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Nurit, una sfoglina thailandese a Bologna

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La Toscanaccia

La Toscanaccia

Di come un viaggio turistico si trasforma in un progetto di lavoro e di vita

Nurit Maporn arriva a Bologna vent’anni fa come turista dalla nativa Thailandia. Cammina a lungo per il centro storico della città, ne percorre i portici, ammira i palazzi, le chiese, il mercato del quadrilatero. Un giorno si ferma incantata a guardare un signore che prepara i tortellini nella vetrina della trattoria Annamaria, in via delle Belle Arti. Lo osserva tirare la sfoglia e chiudere i tortellini, le piace così tanto quella gestualità che si ripete in maniera ipnotica al punto da pensare: quello deve diventare il mio lavoro.

Nurit è un’ottima cuoca ma il salto dalla cucina Thai a quella bolognese è acrobatico. Non si intimorisce e decide di provarci iscrivendosi alla Vecchia Scuola Bolognese di Alessandra Spisni che tramanda l’antica tradizione della pasta fresca a Bologna. Segue un corso amatoriale ma la maestra la spinge a passare al corso per professionisti. Viene chiamata a lavorare alla Trattoria del Cacciatore a Casteldebole e da allora non ha mai smesso di tirare la sfoglia. Le piaceva viaggiare per il mondo e non avrebbe mai immaginato di fermarsi a Bologna, ma un lavoro tira l’altro e si sparge la voce della sua instancabile bravura. In seguito è alla Trattoria Paradisino, poi a Polpette e Crescentine. Nel 2006 vince un concorso dell’Unione dei Cuochi Bolognesi per la migliore pasta ripiena, nel 2008 il primo premio al concorso Mattarello d’Oro che si svolge all’Antoniano e nel 2011 è Miss Tagliatelle, a Minerbio. Non pensate che siano concorsi minori perché vi partecipano nutrite pattuglie di sfogline e sfoglini professionisti sfidati da ‘dilettanti’ altrettanto capaci. Bologna rappresenta sempre più un polo d’attrazione per giovani cuochi professionisti stranieri desiderosi di apprendere forme e manualità della sua cucina, principalmente l’arte della sfoglia. Seguono stage anche di un anno in importanti locali in città e in provincia ma non pensano di fermarsi qui a vivere, vogliono arricchire la loro esperienza, continuare a lavorare in altre parti d’Italia attratti dalla cucina mediterranea e poi fare ritorno nel loro paese dove riproporre la pasta fresca nei menu di ristoranti di prestigio, oppure aprono locali propri, alcuni con il nome e la formula della trattoria. Così ha fatto Evan Funke, venuto anch’egli a imparar la sfoglia alla Vecchia Scuola Bolognese e fre- quentando uno stage da Amerigo 1934, an American Sfoglino che da circa vent’anni propone un ricco menu di pasta fresca nella sua Felix Trattoria a Venice, California.

Un colpo di fulmine: Vincenzo Ferrara

In un giorno di riposo Nurit va al ristorante Scaccomatto a trovare una sua amica thailandese che all’epoca lavora in cucina da Mario Ferrara come aiuto cuoca. Socio di Mario è il fratello Vincenzo, per tutti Enzo, ottimo uomo di sala del locale. Tra i due scocca il coup de foudre favorito anche dalla comune passione per la buona cucina.

Frequentando Enzo segue un lungo stage in cucina allo Scaccomatto e in seguito Mario realizza con lei anche delle cene a quattro mani con piatti Thai e in tempi di pandemia dei delivery Thai affiancano l’offerta di menu da asporto del ristorante.

Nurit segue uno stage anche da Massimiliano Poggi, arricchendo sempre più la propria esperienza, non solo come sfoglina.

Nel 2013, rimane incinta la prima volta e smette temporaneamente di lavorare. Nasce il loro primogenito Vincent (un genio della matematica in erba che adesso gioca nei pulcini del Bologna Football Club) ma il tagliere la richiama presto all’opera. Ottiene la cittadinanza italiana e continua a tirare migliaia di uova di sfoglia. Nel 2016 nasce il loro secondo bambino, Victor. Altra breve pausa poi di nuovo al lavoro e lei ed Enzo si sposano.

Quando lui va in pensione, tre anni fa, cede le sue quote di Scaccomatto al figlio di Mario, Simone, che gli subentra nel servizio in sala. Enzo sogna di cominciare a godersi la vita riposandosi e facendo dei viaggi. Compra un camper ma ci mette lo zampino l’amico Stefano Delfiore, titolare dell’Antica Drogheria Calzolari in via Petroni, una strada del centro storico in piena zona universitaria, a pochi volti di portico dal Teatro Comunale. È la più bella e storica enoteca di Bologna, quella dove tutti i giorni potevi incrociare Umberto Eco che beveva un bianco dopo avere tenuto lezione al DAMS, assieme a grandi pittori come Concetto Pozzati, scrittori e teatranti.

Stefano conosce i responsabili della fondazione Rusconi che sono alla ricerca di qualcuno che voglia aprire un’attività artigianale in una bottega da loro acquisita proprio in via Petroni, là dove prima c’era un bar dalle dubbie frequentazioni.

La Fondazione Rusconi

Dal 1927 la Fondazione Rusconi è un ente morale che sostiene iniziative di valorizzazione e tutela del patrimonio culturale, artistico ed architettonico della città di Bologna e alla sua zona universitaria, con particola- re attenzione alla rigenerazione del territorio e al recupero di immobili sfitti attraverso progetti creativi e innovativi, prioritariamente promossi da giovani artisti e ricercatori, oltre a sostenere azioni solidaristiche a favore di persone svantaggiate.

Il laboratorio di pasta fresca

Stefano sottopone Enzo e Nurit a un assedio serrato! Alla fine è la stessa Fondazione che li cerca e li convince. Il laboratorio Scacco alla pasta fresca apre l’11 aprile 2022 in via Petroni al civico 22 B. Siamo in piena pandemia ma parte subito alla grande per la richiesta di pasta fresca da asporto che in quel periodo di limitazioni alla circolazione si incrementa notevolmente.

Adesso con la sua aiutante prepara tagliatelle, lasagne, gnocchi e paste ripiene come tortellini e tortelloni, per i clienti della bottega e per alcune trattorie e ristoranti di Bologna quali l’Osteria Broccaindosso, il Ristorante Teresina, l’Enoteca Da Lucia, Ristorante Scaccomatto, Trattoria Buca Manzoni.

Ogni giorno mediamente tirano al mattarello venticinque chili di impasto dal quale ricavano duecentocinquanta nidi di tagliatelle, poi altra sfoglia molto sottile per preparare dai quindici ai venti chili di tortellini giornalieri, in periodi tranquilli perché nel mese che conduce alle festività natalizie a Bologna scatta il delirio e si lavora anche di notte.

I clienti non si stupiscono più di trovare una thailandese che tira la sfoglia. In realtà la bottega mostra una doppia anima ammiccante: quella della tradizione bolognese e quella della tradizione thailandese perché Nurit propone all’asporto anche ottimi piatti tipici della sua terra come Saté, Salapao, Riso Thai con Pad Krapao Mù, spaghetti di soia e il Padthai, tagliatelle di riso con gamberi e germogli con salsa di pesce al tamarin- do, una delle preparazioni che va per la maggiore. Capita che quelli chi non la conoscono entrino in bottega e al momento rimangano un po’ sorpresi, poi ritornano e, come i clienti abituali, comprano i tortellini o le lasagne ma si lasciano incuriosire e finiscono per provare questi nuovi piatti per organizzare cene o aperitivi Thai.

Non chiamatelo meticciato gastronomico, nessuna confusione o ibridazione fra le due culture. Qui si pratica semplicemente una forma di coabitazione e stimolo reciproco con la giacca cuciniera double face di Nurit.

SCACCO alla pasta fresca

info@scaccoallapastafresca.it scaccoallapastafresca.metro.rest nazionale procede per tutta la prima metà del XX secolo quando anche nel settentrione si mangia pasta secca e nel meridione risotti e al ricettario dell’Artusi se ne affiancano e si sostituiscono altri come Il Talismano della Felicità (1925) di Ada Boni (1881 – 1973). È nella seconda metà del secolo e a partire dal Boom Economico degli anni cinquanta che la Classe Borghese e sua cucina entra in crisi e è sostituita da una mal definita Classe Media con una cucina sempre più influenzata dai media. Nel 1971 la televisione italiana tramette Colazione allo studio 7 che poi diviene A tavola alle 7 ottenendo un notevolissimo successo di pubblico, successo hanno le rubriche di cucina sui giornali e sui settimanali man mano sostituendo le tradizioni delle mamme e delle nonne soprattutto nelle famiglie che dalla una povertà contadina entrano nel Ceto Medio. Contestualmente gli orti contadini e i negozi locali di alimentari iniziano a essere sostituiti dai supermercati (il primo a Milano inaugurato nel 1957) che offrono alimenti delocalizzati. Agli inizi del XXI secolo in Italia vi è una cucina sostanzialmente unificata che di tradizionale contiene solo piatti regionali “nazionalizzati”, spesso anche di produzione industriale.

Cucina Italiana, globalizzazione e contaminazioni

Se anche in cucina il Medioevo finisce il 12 ottobre 1492 con la scoperta dell’America e la Modernità inizia con il 14 luglio 1789 con la Presa della Bastiglia, una nuova era della cucina anche in Italia inizia nel XXI secolo e precisamente l’11 settembre 2001 con il crollo delle Torri Gemelle a New York che indica che il mondo è comple- tamente globalizzato, dalla guerra ad ogni altra attività umana, alimentazione e cucina comprese. Se oggi si può mangiare più o meno bene italiano in ogni parte del mondo, in Italia si possono gustare le cucine di ogni altra parte del mondo in modo altrettanto più o meno bene. Fino a metà del XX secolo la pizza era piatto regionale che si poteva mangiare solo a Napoli e dintorni, ora la pizza è diventata parte di una cucina nazionale. Ora soprattutto i giovani e i “diversamente giovani” dopo aver gustato gustando piatti stranieri come gli hamburger si stanno rivolgendo a piatti esotici dal kebab ai sushi, pokè e altri. Come gli hamburger sono già interpretati dagli chef italiani e entrati nella cucina italiana, lo stesso inizia ad avvenire per il kebab e gli altri piatti d’importazione, per un fenomeno di contaminazione alimentare che segue la contaminazione linguistica e dell’abbigliamento. La contaminazione alimentare non è nuova in un’Italia al centro delle rotte e migrazioni mediterranee, anzi è una delle caratteristiche madri di una cucina che si è formata integrando cibi, ricette e piatti arabi, spagnoli, francesi, austroungarici e di altre origini. Un tempo queste contaminazioni riguardavano solo una piccola parte della popolazione, quella dei nobili e ricchi (con l’eccezione del mais e della patata) e sono avvenute in tempi lunghi. Oggi le nuove contaminazioni interessano larghi strati popolari e sono rapidissime, destando sospetti, preoccupazioni, paure e soprattutto, rendono necessario criticamente giudicare un loro giusto e corretto inserimento nella odierna formazione di una nuova cucina nazionale italiana.

Ristoranti e cambiamento della cucina

Nelle ere passate i cambiamenti della cucina avvengono nelle cucine delle regge, palazzi e magioni del ceto sociale dominante. A partire dal XIX secolo i cambiamenti della cucina avvengono nelle case di una borghesia ricca dove i cuochi, più spesso le cuoche, partendo da preparazioni tradizionali e con contaminazioni eseguono modifiche. Contemporaneamente assumono un’importanza sempre maggiore i ristoranti dove i cuochi, non raramente formatisi da cuoche come insegna l’esperienza delle Mères Lyonnaises, avvengono cambiamenti attraverso alcune principali linee: interpretazione della tradizione adeguandola alle caratteristiche degli alimenti, innovazioni tecnologiche di conservazione e trasformazione; nuovi fuochi e nuove tecniche; contaminazioni con altre cucine; accettazione da parte di una clientela sempre più ampia e diversificata. Di particolare importanza è che dalla fine del XIX secolo e soprattutto nel XX secolo, e ancor più in questo XXI secolo, il ristorante con i suoi diversi livelli di qualità e prezzi è il luogo nel quale la cucina evolve ed evolvono i gusti. Tra gli infiniti esempi è al ristorante che gli italiani nell’ultimo dopoguerra conoscono una moderna cucina del pesce anche crudo e nelle pizzerie stanno sperimentando, sembra con successo, la Pizza Napoletana Moderna o Contemporanea.

Cucina e critica gastronomica accademica

La cucina è tecnica e la gastronomia è arte, necessarie sono quindi una storia, ma soprattutto una critica. Se non mancano le ricerche e gli studi storici sulla cucina e soprattutto sulle ricette regionali e nazionali italiane, più scarsi sono i contributi di critica gastronomica del passato ma soprattutto del presente, diversamente da quanto avviene per taluni settori, quali ad esempio quello dei vini. Chiaramente insufficiente se non fuorviante è il sistema di attribuire ad un piatto o ad un locale un punteggio, il che equivarrebbe che in una mostra di quadri dove sono presenti opere di Leonardo da Vinci, Caravaggio, Picasso, Burri e Fontana e altri si volesse valutarli con un punteggio e poi trarne una media per valutare l’importanza della mostra stessa. Questo è quello che si sta facendo per un pranzo o una cena per dare un giudizio di un locale, mentre una critica gastronomica dovrebbe essere uno se non il principale argomento di ricerca come sta facendo l’Accademia della Crusca per la lingua italiana. Ma questa è un’altra storia.

Autore: Guido Parri

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