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Talenti veri: Giovanni Solofra e Roberta Merolli
Entrambi ai Tre Olivi di Paestum; due stelle Michelin in un colpo solo
Due anime in così profonda sintonia da porsi in continuità e completamento l’una dell’altra e diventare una sola anima, quella del ristorante che da tre anni a questa parte stanno forgiando a loro immagine. Sono proprio questo Giovanni Solofra e Roberta Merolli, rispettivamente executive chef e chef patissier, esperta in lievitati, presso i Tre Olivi di Paestum, ristorante rivelazione del 2022 a insindacabile giudizio della guida Michelin, che gli ha assegnato - cosa inedita - ben due stelle contemporaneamente. “Ci siamo conosciuti - racconta Giovanni Solofra - lavorando alla Pergola dove ci esprimevamo ognuno in maniera ben identificata. E col tempo ci siamo integrati naturalmente. Quando lo stesso Heinz ci ha affidato il progetto di apertura del St George Restaurantby Heinz Beck di Taormina, dove abbiamo poi ottenuto la nostra prima stella Michelin, probabilmente già aveva colto che insieme esprimevamo un certo potenziale. Roberta è la parte più dolce di me, il confine fra noi non esiste tanto al lavoro quanto nella vita, perché nel tempo siamo diventati una cosa sola. I nostri stessi palati si somigliano. I ragazzi sono abituati a farci fare il doppio assaggio senza temere di essere disorientati. All’occorrenza io e Roberta ci sostituiamo e pure siamo di aiuto a vicenda nel trovar soluzioni a certe idee di non semplice realizzazione. La vera energia arriva proprio da qui”.
L’a ermazione del pensiero autonomo
Quando abbiamo preso il timone del St. George by Heinz Beck di Taormina, ci è stata data piena autonomia, semmai eravamo, come qualsiasi professionista, ‘condizionati’ in maniera positiva dal progetto ‘apriamo a Taormina, 100% stranieri (americani, anglosassoni...), persone che vengono lì da molti anni e hanno di Taormina, nel 5 stelle lusso, quell’idea di ospitalità basata ancora su caviale, astice, foie gras, anziché territorio. Uscendo in sala e interagendo con il cliente, per sensibilità personale, ci siamo accorti che questi era pronto per un’altra tipologia di approccio. A quel punto non abbiamo avuto più paura. Quindi coltivi con coraggio l’anima pura di quello che hai dentro e se questo arriva al cliente ti senti libero e felice di poter fare qualsiasi cosa e di essere compreso. Abbiamo vissuto la prima parte creativa lì col desiderio di voler rappresentare un territorio. Sono nati piatti come Fontana o Pomodoro? In forma di domanda, occasione per spiegare alle persone di questi due artisti quando magari difficilmente avrebbero associato cultura e cibo, o piatti come Butterfly effect, dedicato in declinazione totale al cavolo truzzo, che notoriamente puzza, è brutto e non lo si mangia e qui si trasforma in farfalla. Questo per trasmettere il concetto di come si possa partire da una condizione e arrivare a una diametralmente opposta. I nostri menù somigliano a noi, a quello che siamo nella parte più intima. Non nasce mai un piatto fine a sé stesso per elogiare la tecnica, non nasce mai un piatto solo per la vanesia del mio pensiero, non nasce mai un piatto solo perché goloso. Nascono piatti di un’intimità unica, penso ad esempio ai benvenuto che ho dedicato ai miei collaboratori, il “Parla come mangi” con tutte le frasi napoletane (omaggio alla mia terra)... per cui ballo con i mieidemoni ma faccio quello che mi piace, non che piace a qualcun altro. Si tratta di un’esperienza immersiva, quotidiana in cui, però, tutto è un punto di vista, un personalissimo punto di vista. Nel nostro menù non si conosce un solo ingrediente. Tu arrivi e ti trovi davanti a una Scatola di bottoni oppure a What’s Zupp, che difficilmente può avere un simile in qualsiasi paradigma o diagramma mentale di quello che era o è la cucina. Per poternutrire questa tipologia di creatività la nostra alimentazione è ferrea: prima di tutto non seguiamo i social, volutamente non partecipiamo alle community di food, perché c’è una parte latente della nostra mente che si lascerebbe influenzare. Anche quando credi di avere fatto la rivoluzione, semplicemente ti sei omologato a qualcosa che sta girando.Ciò non vuol dire che ci chiudiamo a tutto ciò che è stato il mondo, anzi, ai grandi nomi della cucina attuale che in maniera autonoma l’hanno influenzata va dato atto assolutamente ma crediamo che se c’è una propria personalità quella è destinata a venire fuori. Abbiamo sempre curato questa parte di noi, è un’alimentazione intesa proprio in senso mediterraneo antico, pre Ancel Keys. La nostra è una dieta di etica, di pensiero. Dobbiamo dare dei minuti importanti a tutto ciò che ci circonda. L’abbiamo sempre detto di essere un punto esclamativo al centro del Mediterraneo. Niente che è umano ci è estraneo. Quindi può influenzarci un incontro, un museo visto in giornata, le due ore al mare con Tecla, la nostra bimba con cui, giocando sul lungomare, abbiamo scoperto diverse erbe spontanee che stiamo utilizzando in cucina. C’è anche un altro aspetto da considerare ed è che io, Giovanni, personalmente dormo poco, leggo molto e spazio tantissimo nei generi: anche in un libro di Hermann Esse posso trovare la chiave del nuovo menù.Alla luce di tutto questo, la creazione dei nostri piatti parte da un pensiero il più spontaneo possibile poi ci sono 20 anni di carriera che restituiscono una conoscenza importante della materia prima, una padronanza delle tecniche che attualmente possono aiutarci a creare un nuovo percorso di salute del cibo. Contemporaneamente siamo anche romantici, per cui ci fa piacere ascoltare tutto quello che questo territorio ci sussurra all’orecchio. Sono nati piatti ispirati a storie incredibili come la zuppa di coccodrillo battezzata come What’s Zupp per un curiosissimo motivo.
What’s Zupp
Genesi della zuppa di coccodrillo denominata What’s Zupp
“Da tempo - racconta Giovanni Solofra - ero alla ricerca della ricetta di un’antichissima zuppa cilentana, chiamata minestra spersa, quando una ragazza che lavora con noi in un altro reparto ha avuto l’idea di inserirmi in un gruppo di signore del territorio che, rigorosamente in dialetto, si mandano messaggi vocali tramandandosi tradizioni e modi di fare le ricette. Parlare con loro mi è stato molto utile per raccogliere elementi su questa zuppa che si prepara con diverse erbe del territorio, fra cui il coccodrillo. Questo mi ha ispirato di rappresentare la zuppa a forma di coccodrillo. Ho portato questo piatto ad alcuni eventi. Non sono immaginabili tutte le storie che la gente ci ha costruito intorno ‘Io non l’ho mai mangiato il coccodrillo. Ma com’è?’ e io per stare al gioco dicevo ‘Vi stupirà’. A parte questo lato giocoso che non disdegno mai, un giorno mentre chattavo con le signore ho realizzato che a partire dalla fi ne degli anni ‘90 la possibilità di mandare messaggi con il cellulare ha tagliato fuori mia nonna, mia mamma, uscite dalla comunicazione (mai manderanno una ricetta scritta via messaggio). Ora la sopraggiunta ultima frontiera di whatsapp è il vocale e con questo loro sono tornate in auge. L’operazione è semplicissima: basta schiacciare un tasto e parlare. La tradizione orale può vincere anche quella scritta, mi sono detto. Da qui l’idea di battezzare la zuppa come What’s Zupp, memorie moderne di una zuppa di coccodrillo, come omaggio alla tradizione orale dato che in cucina, nonostante abbiano ricettato pressoché tutto, non è possibile farlo con le zuppe. Un cespuglio di invidia riccia non sarà mai uguale, per simili piatti c’è una gestualità che va acquisita preferibilmente vedendo”. La sacralità del pane secondo Roberta Merolli
“In questi anni - spiega Roberta Merolli - io e Giovanni abbiamo dibattuto spesso del pane, soff ermandoci sulla quantità piuttosto che la varietà. Si è visto i panieri ridursi e concentrarsi su un’unica tipologia, in alcuni casi il pane è diventato una portata...Io ho sempre sostenuto che la nostra dev’essere una tavola italiana in cui potersi geolocalizzare, dove il pane ha un’importanza centrale, è veramente quasi sacro, tanto che la ferratella presente nel nostro paniere diventa quasi un rosone di una chiesa al centro della tavola.Prima di entrare nel merito del nostro paniere, ci tengo a dire che grazie a un’importante ricerca sul territorio abbiamo conosciuto Antonio Pellegrino, che porta avanti, a Caselle in Pittari, un progetto molto importante di custodia dei grani cilentani. Ha pure una biblioteca del grano, che è tra le più grandi d’Europa. Devo dire che, a prescindere dal tecnicismo, ciò che più mi ha colpita in questi anni nel lavorare le farine è l’aver riscoperto il profumo del pane. Nel nostro paniere non manca il pane a lievitazione naturale, la baguette 100%
integrale, la ciabatta di semola (in Campania i pani di semola sono molto importanti), la focaccia all’acqua di pomodoro (acqua che recuperiamo da una produzione di pomodori che utilizziamo per altre lavorazioni, progetto nato in Pergola, un pezzo di storia della mia crescita che mi sono voluta portare dietro)e poi tutta la parte secca: il tarallo napoletano, il grissino che è veramente un omaggio alla farina, semplicissimo, quasi senza sale, dove si sente il sapore e il profumo della farina, la ferratella che è il simbolo della mia terra, l’Abruzzo, che io porto sempre in maniera fi era, quasi prepotente, sulla mia tavola. Poi nel non confi ne c’è il companatico, quindi gli intingoli, gli oli, la selezione dei Sali: veramente non c’è confi ne tra cucina e pasticceria, ai Tre Olivi non esiste questa suddivisione”.
L’arrivo di Tecla
“Tecla si è aff acciata alla nostra vita giusto a partire dal momento in cui la Michelin ci ha chiamato per invitarci, senza specifi care il motivo, alla conferenza stampa che avrebbe portato la prima stella al St George. All’indomani abbiamo appreso che saremmo diventati anche genitori. Da quel momento lei c’è sempre stata, testimone dei nostri passaggi importanti. A pochi mesi dalla nascita- ci confi da Giovanni Solofra - a fronte di una mamma felice e di una chef insoddisfatta abbiamo fatto in modo che Roberta tornasse al lavoro. Si parla spesso di donne in cucina, chiediamoci come fanno le mamme in cucina. La nostra vita è evidentemente cambiata e noi stiamo imparando a riadattare tutto questo. Abbiamo capito che avevamo bisogno di una tata con noi, in casa, e pure che tutti gli elementi della nostra vita dovevano fondersi se no il tempo sarebbe stato sempre troppo poco. Chi fa il nostro mestiere, più che mai, deve imparare a dare qualità al proprio tempo. Tecla, dal canto suo, sembra avere già capito il ruolo di papà. Al mattino le preparo una coccola nella bottiglietta, lei mi guarda e dice ‘troppo caldo!’ oppure ‘troppo freddo, un po’ più caldo!’. È la mia prima cliente della giornata! Ci tengo a dire che un’altra bella rivoluzione di cucina l’ho fatta quando sono diventato papà, perché ho dovuto cucinare senza sale e quindi ho aperto una nuova percezione del sapore. Il carrello vegetale di oggi è migliorato grazie a questo. Abbiamo scelto di mandare Tecla in una country school dove ci sono caprette, galline e pure hanno già fatto ricottine e marmellate. Ecco, lungo quel tragitto io ne approfi tto per fermarmi a raccogliere fi nocchio selvatico, fi ori di borragine... Non esiste un’altra vita. O è tutto così emozionante oppure non siamo noi”.
Non resta che una domanda alla quale chiediamo a Giovanni e Roberta di rispondere singolarmente: cos’è per voi la visione?
Roberta: “ D’istinto direi che la visione è il non avere confi ne”. Giovanni: “ Certamente sono d’accordo con Roberta e aggiungo che è coraggio, forza, quell’attimo di forza in cui ho bisogno di buio, cioè non vedere, e disegnare con i miei occhi liberi”
Ognuno tragga le sue conclusioni ma prima provi di persona questa esperienza in cui il pensiero è la leva più potente. Limitarsi a valutare l’estetica di piatti impeccabili o il gusto è il caso di dire che qui non basta. Due chef segnano il passo e ci invitano a cambiare registro di valutazione.
Interno dei Tre Olivi
Il paniere