RASSEGNA STAMPA DEL 03 SETTEMBRE 2019

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MARTEDÌ 3 SETTEMBRE 2019 CORRIERE DELLE ALPI

PRIMO PIANO

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La crisi

Il Pd veneto senza leader cerca la riscossa Il sogno proibito: affidare il Mise a un imprenditore del Nordest. Il ruolo decisivo di Martella, De Menech punta allo Sport

Albino Salmaso

IL TOTOPOLTRONE

PADOVA. Con l’addio di Carlo

Calenda dal PD, il Nordest perde la bandiera dell’efficienza e nel nuovo esecutivo giallorosso sarà difficile rimpiazzare lo stratega che ha inventato Industria 4.0. Nicola Zingaretti ha affidato al veneziano Andrea Martella una missione complicatissima: coinvolgere un imprenditore nella gestione del Mise, ma dai contatti con viale dell’Astronomia a Roma e con i big del Nordest è arrivata una raffica di “no, grazie”. Ci vorrebbe il coraggio di convincere un Massimo Carraro-bis, cui è seguito il feeling con Massimo Calearo, allora leader di Federmeccanica, lan-

Si vuole ripetere la stagione dell’Ulivo Il vuoto dopo Carraro e Calearo ciato capolista da Veltroni nel 2008 su proposta del senatore Paolo Giaretta. Poi è calato il sipario sul dialogo con i corpi sociali, inventato dall’Ulivo e da Romano Prodi che ha battuto Silvio Berlusconi. Si è rotto anche il feeling con i docenti universitari, riallacciato con ottimi risultati a Rovigo, con l’elezione del sindaco Edoardo Gaffeo, docente di economia a Trento, con esperienza nel Cda della fondazione Cariparo e di Banca Intesa. Oggi i big di Confindustria veneta, da Matteo Zoppas a Massimo Finco, da Maria Cristina Piovesana a Vincenzo Marinese, attendono due scelte concrete: il taglio del cuneo fiscale e le infrastrutture. Prima della Tav Torino-Lione c’è la completare la Brescia-Padova, accanto alla Pedemontana Montecchio-Spresiano. Senza scordare il Mose di Venezia, che va fatto funzionare, visto che costa 6 miliardi. L’ultimo ministro veneto a guidare il Mise si chiama Flavio Zanonato, ar-

Roger De Menech, punta allo Sport per gestire le Olimpiadi

Giorgio Santini, ex senatore del Pd, ex sindacalista Cisl

ruolato da Enrico Letta nel 2013: l’ex sindaco di Padova si era fatto apprezzare anche da Marchionne per l’impegno a sostituire le Audi e le Bmw dei ministeri con le ammiraglie della Maserati e Lancia, sul modello della Francia che non ha mai oltraggiato la Citroen e la Peugeot. Zanonato approdato in LeU ora sta in panchina e, come Bersani, segue lo sviluppo della crisi perché l’ultima pattuglia della sinistra sarà determinante al Senato: LeU e il gruppo delle Autonomie regalano la tranquillità. In panchina c’è pure Pierpaolo Baretta sottosegretario all’Economia dei governi Renzi e Gentiloni, che ha gestito la crisi delle banche venete: lui è legato a Franceschini e spera di essere richiamato, ma le chances sono in ribasso per i veti del grillino Villarosa che ha trovato 1,5 miliardi dai conti correnti dormenti al posto dei 100 milioni di Padoan con cui avviare i rimborsi ai rispar-

Andrea Martella, coordina la segreteria di Zingaretti

Laura Puppato, ex senatrice trevigiana, esperta di ambiente

Gianni Dal Moro, deputato veronese, legato a Renzi

Alessandro Naccarato, padovano, ex deputato

Foto di gruppo dei candidati Pd al Parlamento: solo 11 eletti nel 2018

miatori. L’altro big ex Cisl è Giorgio Santini, non rieletto al Senato, che spera di tornare a Roma con la delega al Lavoro. Ma chi può ambire a una poltrona di governo? Il primo nodo da sciogliere è legato alle scelte di Conte: ministri tecni-

ci o politici? Alleanza vera di legislatura Pd-5Stelle o patto di transizione per evitare l’aumento dell’Iva e votare a primavera 2020? Il caso più emblematico riguarda l’Agricoltura: se Prodi ha benedetto il Contebis, tra Bologna e Roma sono in rialzo

L’ex senatore dem aveva lasciato la magistratura con 6 anni di anticipo Era stato candidato del Pd a Venezia. «Ora mi occupo di ambiente»

trolchimico di Marghera. Casson lascia la politica. Nessun ripensamento? «Proprio no. È finito il prestito alla politica». Si parla della necessità di un’alternativa per la politica veneziana. In primavera si vota per il sindaco. «Non vedo alternative all’orizzonte. E soprattutto non vedo differenze tra l’attuale sindaco Brugnaro e il Pd che dice di combatterlo». Ripeta un po’. «Sì è così. Brugnaro è stato la prosecuzione di molte cose fatte dal Pd. Non sono alternativi in nessun modo». Detto da lei che è stato candidato anche del Pd contro Cacciari e poi Brugnaro.... «Ma è proprio così. I fatti

L’addio di Casson alla politica «Dopo 15 anni è finito il prestito» L’INTERVISTA

ultima conferenza è stata in Messco, nello stato di Pachuka. La prossima, già domani, nella città cinese di Whan, ospite dell’Università di Economia e Diritto Zhonggnan.

L’

Felice Casson ha cambiato vita. Ha lasciato la magistratura, andandosene in pensione con sei anni di anticipo. Adesso annuncia che lascerà anche la politica che lo ha impegnato negli ultimi 15 anni. Ultimi mesi da consigliere comunale, prima delle nuove elezioni a Venezia. L’ex pm ed ex senatore eletto con il Pd

in Parlamento adesso si occupa di sicurezza e diritto ambientale per conto dell’Onu, di cui è diventato consulente. Gira il mondo a spiegare i sistemi di indagine per garantire la sicurezza, la legislazione sull’ambiente che lo ha visto protagonista negli anni Novanta di inchieste storiche come quella sui veleni del Pe-

Achille Variati, sindaco di Vicenza fino al 2018

Pier Paolo Baretta, veneziano, ex sottosegretario al Mef

le quotazioni di Paolo De Castro, il big1 della politica Ue che gode di una stima bipartisan tra viticoltori, allevatori e coop, rieletto a Bruxelles con Calenda e la Moretti. L’antagonista interno si chiama Maurizio Martina, che ha gestito la transizione dalle dimissioni di Renzi e alla vittoria di Zingaretti. In Veneto c’è chi immagina sottosegretario a Roma Achille Variati con la delega alle regioni per gestire la mina vagante dell’autonomia, magari in squadra con Vasco Errani, (LeU), ex governatore dell’Emilia Romagna. Ma se De Castro dovesse entrare nella compagine di governo, a Strasburgo si libererebbe la poltrona di eurodeputato per Variati, primo dei non eletti, anche perché l’ex sindaco di Vicenza ha sempre sostenuto la tesi del voto immediato: lui non ama i 5 stelle. Il “ribaltone” è figlio del trasformismo di Renzi che controlla i gruppi parlamentari e i suoi “colon-

Felice Casson

hanno dimostrato che se si vuole una vera alternativa a Brugnaro bisogna trovarla al di fuori del Pd». Un esempio di questa continuità tra il Pd e Brugnaro. «Beh, le grandi navi. Io ho sempre detto che devono andare fuori dalla laguna. Il Pd ha portato avanti la proposta di metterle a Marghera. Dun-

nelli” attendono la “nomination”. La pattuglia a Nordest è guidata da Gianni Dal Moro, il deputato veronese braccio destro di Lotti, che ha guidato la commissione del congresso che ha incoronato Zingaretti. In forte ascesa anche Roger De Menech, coordinatore dei parlamentari veneti a Roma, che punta alla poltrona di sottosegretario allo Sport, per gestire le Olimpiadi di Cortina 2026 ed offuscare il protagonismo di Luca Zaia. De Menech con Luca Lotti è stato protagonista dell’assegnazione dei Mondiali 2021 a Cortina e vuole entrare nella cabina di regia delle olimpiadi con un ruolo assai più determinato rispetto a Giancarlo Giorgetti. A Treviso dicono che la vera

Il deputato bellunese in corsa per coordinare la gestione delle Olimpiadi di Cortina sottosegretaria all’Ambiente si chiama Laura Puppato, la più grillina del Pd, antesignana della green economy fin dei tempi di Bersani nel 2013 e mai ascoltata da Renzi e Gentiloni. Lei attende che maturino gli eventi, così come Matteo Favero, impegnato a rassicurare la filiera dei viticoltori di Valdobbiadene in team con De Castro. La sinistra ex Ds è legata al ruolo di Andrea Orlando, vicesegretario Pd, che considera l’ex deputato Alessandro Naccarato uno di riferimenti nazionali in materia di antimafia e lotta alla criminalità, con chance per gli Interni o la Giustizia. E Andrea Martella, l’allievo di Lucio Strumendo, che ruolo può avere? Il coordinatore della segreteria di Zingaretti ha il telefono che scotta, ma giura di non trattare alcuna poltrona per sé. Tutti questi destini sono nelle mani dei clic grillini su Rousseau: chi porterà un cero a Casaleggio? BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

que in laguna. La stessa dell’amministrazione comunale di Brugnaro, degli Industriali, della Lega e del presidente Zaia». Tra le sue battaglie c’era stata anche quella per denunciare gli sprechi del Mose. Non solo corruzione, ma anche un’opera sbagliata. «Lo dico ancora oggi e con maggiore convinzione. Il Mose va smantellato, non funzionerà mai. Una politica seria dovrebbe avere il coraggio di dire: abbiamo sbagliato adesso fermiamoci e torniamo indietro senza sprecare ancora soldi pubblici in quella grande opera sbagliata e dannosa. Ma sono sicuro che non andrà così». — BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


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Martedì 3 Settembre 2019 www.gazzettino.it

Le idee

L’intervento

C’era una volta Rousseau, la rivoluzione va in archivio

Rilancio delle infrastrutture o l’Italia sarà da codice rosso

Mario Ajello

Fabio Bui*

segue dalla prima pagina (...) sulla via del superamento del

concetto classico di rappresentatività. Si fa strumento di ratifica di patti e di accordi raggiunti, o quasi, nelle stanze di un Palazzo che non è stato sventrato come una scatoletta di tonno. «Esci dal tuo blog!», aveva detto del resto Renzi a Grillo, in uno dei famosi streaming (strumento a sua volta già in archivio) e Beppe adesso ne è uscito portandosi appresso gran parte dei suoi. Con la mutazione genetica impressa a M5S dal suo fondatore, quella del superamento del sogno rivoluzionario in nome delle convenienze pratiche, lo strumento Rousseau che rappresentava l’algoritmo al potere perde insomma il suo senso, elimina di fatto se stesso, diventa di colpo il passato di un’illusione o il ricordo rassicurante di un’identità rottamata dal ripristino della normalità. E dunque, la questione non è più se sia vero o falso, se sia autentico o artefatto il voto sulla piattaforma elettronica. Il punto è che questo voto è stato vanificato (anche se lo spettacolo di queste ore mantiene il titolo: Aspettando Rousseau) nel momento in cui il tentato mescolamento tra rosso-gialli avviene secondo le logiche e nei luoghi tradizionali del gioco politico. La rivoluzione sembra aver divorato se stessa e Rousseau appassisce in queste ore proprio in coincidenza con la sua massima esposizione pubblica. E pensare che questo mezzo ma anche fine è stato uno dei pilastri della neo-politica degli ultimi anni, ha funzionato da frusta anti-casta, ha agito da gemello e da amplificatore della retorica sul

taglio del numero dei parlamentari e da miccia per altre battaglie “del popolo” contro gli ottimati, dell’agorà contro le poltrone. Il tutto in nome del famoso filosofo ginevrino (in versione maccheronica, naturalmente) contro Voltaire, contro Montesquieu, contro il razionalismo illuminista che ha concepito l’articolazione dei poteri in quella maniera che il costituzionalismo otto-novecentesco ha portato fino ad oggi e che, tra alti e bassi, ha funzionato. Anche se ormai necessita di un rinnovamento vero e non sintetizzabile in un clic. Non si tratta quindi di essere felici o infelici per questa sorte che sembra toccare alla democrazia diretta in chiave Casaleggio. Va soltanto registrato il fatto. A cui si può aggiungere questa considerazione. Se oggi ci fosse, come è probabile, la ratifica dell’accordo, comunque restano le differenze strategiche e culturali dentro un movimento in cui convivono la “destra” di Di Maio, il nostalgismo nei confronti di Salvini, la sinistra di Grillo e di Fico, il governismo simil-democristiano o

modello Ursula di Conte. Non sarà facile far convivere tendenze così diverse, che rischiano di pregiudicare l’azione e la buona salute dell’esecutivo. Salvini ha mostrato almeno per 15 mesi, grazie al monolite leghista che borbottava ma poi ubbidiva, di saper gestire il rapporto con il disordine del partito a 5 stelle. Il Pd, che al suo interno è tutt’altro che unito, dovrà faticare assai. Gli toccherà dare fondo alle sue riserve di professionismo politico, se ancora ne ha, perché la fusione a freddo dei rosso-gialli non si squagli. A detrimento, prima ancora che di se stessa, di un Paese che chiede stabilità e decisioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA

NON SARÀ FACILE FAR CONVIVERE TENDENZE COSÌ DIVERSE, CHE RISCHIANO DI PREGIUDICARE L’AZIONE E LA BUONA SALUTE DELL’ESECUTIVO

La vignetta

CON LA MUTAZIONE GENETICA IMPRESSA A M5S DAL SUO FONDATORE, LO STRUMENTO CHE RAPPRESENTAVA L’ALGORITMO AL POTERE PERDE IL SUO SENSO

È

di alcuni giorni fa la pubblicazione del consuntivo del bilancio dello Stato che certifica che nel 2018 il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha mandato “in economia” quasi sei miliardi di euro. Un Paese senza investimenti in infrastrutture è un Paese da “codice rosso” e la peggiore delle scelte è quella di non scegliere, rinviare, non farsi trovare pronti al cambiamento. Il dato pubblicato fa riflettere e in qualità di amministratore mi fa lanciare un appello al Governo e alla Regione Veneto. Abbiamo progetti pronti nei cassetti che non possiamo far partire e opere ferme o rallentate perché non giungono i finanziamenti, ma nel contempo i fondi disponibili a livello nazionale ci sono e non vengono spesi, anzi rischiano (almeno in parte) di essere cancellati dal bilancio. Le procedure farraginose, la burocrazia asfissiante e le disfunzioni legate al Codice degli appalti ingessano un intero Paese. I criteri per rendere operativi i contratti sono lunghi e complessi e bloccano gli investimenti proprio sulle infrastrutture, settore capace di guardare al rilancio delle grandi opere come una formidabile leva di sviluppo economico, occupazionale e sociale. Parto dall’idea che il futuro è oggi e senza infrastrutture non andremo da nessuna parte. Il mercato non perdona: avere strade, collegamenti aeroportuali, treni veloci, assi viari, fa la differenza tra un imprenditore che decide di insediare il proprio sito in un territorio anziché prediligerne un altro. Sulle opere e le infrastrutture ci giochiamo il futuro perché sono quelle che definiscono la competitività di un territorio e di un Paese e non possiamo perdere altro tempo. Dobbiamo lottare per portare a casa investimenti e realtà imprenditoriali. Qualche mese fa, con 22 amministratori locali, abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa per chiedere alla Regione Veneto di trovare finanziamenti e progettare la bretella di collegamento tra la Sr308 e la Super Pedemontana Veneta (Spv). Il protocollo d’intesa riguarda in particolare il completamento del tratto che va dallo svincolo di Loria alla Sr 308 “nuova Strada del Santo”, lungo la direttrice della Spv Trento-Padova. Si tratta di un itinerario strategico per i collegamenti interregionali tra Veneto

e Trentino, oltre che per quelli internazionali tra il Nord-Est italiano e i Paesi di lingua tedesca. Senza un collegamento adeguato, il rischio è che con l’apertura della Pedemontana e “a valle” con il nuovo Ospedale di Padova a Padova est, il traffico congestioni anche le reti viarie locali con conseguente impatto sulla sicurezza e l’ambiente. Questo documento è stato firmato dai rappresentanti dei territori veneti che producono la maggiore quota di Pil e rappresentano un punto di riferimento economico regionale ed europeo. E affianco del collegamento della SS 308 va affrontato con pari forza e determinazione il tema della nuova “Valsugana ” che, al di la della problematica contingente del ponte di Curtarolo, va ripensata in funzione di un collegamento con la Pedemontana per dare una risposta concreta e moderna ad un territorio che da troppi anni ne discute, ma ancora oggi non vede soluzioni concrete. Nelle settimane scorse abbiamo avviato la procedura di riclassificazione a Roma e mi auguro che presto ci sia un risposta dal Ministero competente. Il piano provinciale della Viabilità della Provincia di Padova, approvato dal Consiglio provinciale ancora nel 2012, indica priorità che, nel 2019 sono ancora su carta. Parlo del raddoppio della Sr 308, del potenziamento della Sr 47 e del completamento, nella Bassa, della Sr 10 da Carceri a Montagnana. L’appello che arriva dalle imprese e dal commercio è forte e la Provincia di Padova intende farlo proprio: il mondo gira, la competizione corre veloce. Un territorio che ci mette decenni per realizzare il raddoppio di 30 chilometri di strada (parlo ad esempio della SR 308) rischia di essere espulso dal mercato. Padova ha le carte in regola per diventare un territorio “CON”: con le imprese, con le istituzioni, con i lavoratori, con i giovani, con le persone. Ma dobbiamo rimboccarci le maniche e sfoderare le nostre migliori energie. Non c’è più tempo, ed ogni ulteriore incertezza confermerà ai cittadini la scarsa lungimiranza nella programmazione di una politica delle infrastrutture, che rischia di isolare non solo tra loro le diverse specificità territoriali del Paese, ma la stessa intera Italia dall’Europa. * Presidente della Provincia di Padova

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MARTEDÌ 3 SETTEMBRE 2019 IL MATTINO

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PADOVA Viabilità a ostacoli

Sono scattati di prima mattina i lavori sui giunti di un cavalcavia della Statale del Santo a Padova Est

Il contraccolpo è stato praticamente immediato lunghe code per chilometri in entrata in città

Ancora lavori, altre code e un cantiere a sorpresa Rientro dalle ferie shock Ieri mattina il caos per la riparazione dei giunti di un cavalcavia a Padova Est L’assessore Micalizzi: «Colpa di Veneto Strade, la Regione non sa organizzare» Claudio Malfitano Fino a poche ore prima stesi in spiaggia o rilassa in montagna. Ieri mattina già in coda in tangenziale a causa dei cantieri, di cui uno spuntato quasi a sorpresa a Padova Est. È stato traumatico il rientro dei padovani nel primo giorno lavorativo di settembre. Anche se le prospettive sono di un progressivo miglioramento della viabilità. Due gli “scogli” critici di ieri mattina, fuori dai cantieri annunciati della tangenziale est: i lavori di sostituzione giunti di un cavalcavia della Statale del Santo, poco prima del ponte Darwin, avviati da Veneto Strade che hanno fatto infuriare Palazzo Moroni; e poi il restringimento di corsia sul cavalcavia Grassi che ha intasato l’intera via Plebiscito.

I TEMPI DI PERCORRENZA IERI ALLE 8.30

CAMPODARSEGO

45 min

Stanga Ponte via Vigonovese

24 min

Villatora Stanga

30 min

Pontecorvo Stanga

15 min

Svincolo Albignasego Padova Est

23 min

Meianiga Vigonza Peranga Cadoneghe Torre Perarolo Busa Mortise

Brentelle

PADOVA EST STANGA PONTE VIGONOVESE PONTECORVO

Terranegra

S. Osvaldo Voltabrusegana Paltana

Bassanello

Villatora

Voltabarozzo

Roncaglia

VILLATORA Saonara

SVINCOLO ALBIGNASEGO

Rio

Ieri mattina però anche il restringimento di corsia sul cavalcavia Grassi, per il cantiere di rifacimento delle barriere laterali, ha provocato lunghe code in via Plebiscito e via Avanzo. «L’azienda è la stessa che ha fatto il medesimo lavoro sul cavalcavia Brusegana, dove però c’è stata una difficoltà tecnica emersa nel corso del cantiere – racconta ancora Micalizzi – In accordo con loro il Comune ha chiesto di concentrarsi su Brusegana, dove c’erano i maggiori disagi. Per cui è rimasto parzialmente scoperto il cantiere su via Grassi, che chiuderà comunque domani». CODE IN TANGENZIALE EST

Brusegana

ACCUSE A VENETO STRADE

Ieri mattina la sorpresa più amara è stata quella di un nuovo cantiere, avviato da Veneto Strade sulla Statale del Santo ma in territorio padovano, poco prima del ponte Darwin a Padova Est. Per chi arrivava da nord e doveva entrare in città è stato un Calvario (che proseguirà per due settimane). Ecco perché è scattata immediatamente la rabbia di Pa-

Pionca Bragni

a

lazzo Moroni (un caso analogo è avvenuto in occasione del cantiere Terna su corso Australia). «Noi siamo stati attenti a organizzare i lavori tra luglio e agosto. Abbiamo gestito i cantieri in maniera intelligente proprio per venire incontro alle esigenze dei cittadini – accusa l’assessore ai lavori pubblici Andrea Micalizzi – Ora far partire un cantiere a settembre è una scelta senza senso, forse orientata più al risparmio che al bene pubblico. E poi questi lavori noi li facciamo di notte. Ancora una volta, la Regione si dimostra lontana dai cittadini. Si palesa l’incapacità della giunta Zaia di coordinare i lavori pubblici e le possibili ricadute sul territorio. D’altronde Venezia è lontana da Padova». VIA PLEBISCITO INTASATA

Reschigliano

Campodarsego Padova Est

Una situazione che ha completamente bloccato l’area dello svincolo di Padova Est

Ponte S. Nicolò

Percorrere la tangenziale est è una corsa a ostacoli. Ma tutto dovrebbe risolversi entro il 10 settembre. Data in cui è prevista la riapertura del lungo cantiere per il nuovo ponte di via Vigonovese. In corso ci sono poi i lavori per la sostituzione del guardrail centrale: nel tratto di corso Kennedy e corso Esperanto ieri la circolazione è tornata normale, mentre in corso Primo Maggio da ieri la viabilità è stata riorganizzata su due corsie, utilizzando però la corsia di emergenza. —

Un’estate “calda”

Camin a metà aprile

I primi cantieri sono stati aperti a metà aprile, con la chiusura al traffico di via Vigonovese, a Camin. L’amministrazione ha dato il via a un maxi-cantiere da 2,3 milioni per la sostituzione del ponte della tangenziale, a causa dei possibili problemi di usura. Un cantiere che si replicherà anche l’anno prossimo per la sostituzione della seconda parte di impalcato.

L’asfalto che cede

Un grosso problema al cantiere si è creato lo scorso 31 luglio quando l’asfalto del tratto di “salto di corsia” ha ceduto, costringendo i vigili a chiudere completamente la tangenziale. Una mattinata di passione ma i tecnici comunali hanno risolto il problema nel giro di 24 ore.

Guardrail da sostituire

Sempre sulla tangenziale est in agosto sono iniziati i lavori per la sostituzione del guardrail centrale in alcuni tratti della strada. È un obbligo di legge per mettere a norma la strada. Nelle prossime estati la sostituzione proseguirà in altri tratti.

Il cantiere di Terna

Ha creato problemi anche un cantiere di Terna in corso Australia (tangenziale ovest) avviato a sorpresa il 26 luglio. È stato necessario l’intervento del Comune per riorganizzare il cantiere e ridurre i disagi.


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PRIMO PIANO

MARTEDÌ 3 SETTEMBRE 2019 IL MATTINO

La crisi legge elettorale nel programma come scambio col taglio dei parlamentari

Zingaretti parla solo con il premier Conte «Tranquilli sull’esito del voto Rousseau» La posta è così alta che difficilmente ci saranno sorprese, ma il Pd si chiede: se il sì sarà risicato, Di Maio chiederà altro? Francesca Schianchi ROMA. «Se ci sono passi avan-

ti, siamo fiduciosi e ottimisti». Sono passati sì e no venti minuti dalla diffusione del doppio video – quello di Luigi Di Maio e quello di Giuseppe Conte – quando il segretario Pd Nicola Zingaretti interviene. «Stiamo lavorando con pazienza e serietà per un governo di svolta vera – commenta – continueremo a lavorare per questo risultato». Misura le parole, evita i trionfalismi, gli basta vincere, non serve stravincere: obiettivo centrato, dopo il tweet di domenica di Dario Franceschini, anche Di Maio cede, e accetta di rinunciare al posto di vicepremier. «Adesso il cammino è in discesa», sono ottimisti alla sede nazionale di Largo del Nazareno, lì dove all’ora di pranzo il segretario riunisce tutto lo stato maggiore per una cabina di regia. Un modo per tenere tutti informati sull’evoluzione della trattativa, senza che però ci siano grandi novità da raccontarsi. Perché, appunto, fino alle otto di sera, fino a che non è il capo politico grillino a comparire su tutti gli schermi per annunciare la sua resa, nel Pd sono convinti che la mossa del giorno prima abbia spedito la palla dall’altra parte del campo, ed è lì

che il negoziato si deve sbloccare. Con l’aiuto di Conte, magari, visto che i rapporti tra Zingaretti e Di Maio sono praticamente nulli, scelta rivendicata e sottolineata dai dem perché cela la volontà di schiacciare sempre di più il premier nella posizione di capo del Movimento: «Noi parliamo solo con Conte». Sciolto il nodo del vicepremier, manca però un’altra curva pericolosa. Oggi, dalle 9 alle 18, gli iscritti alla Piattaforma Rousseau dovranno dire la loro. «E’ una dinamica interna di un altro partito, non commentiamo», si limitano a dire tra i dem. Non vogliono commentare la differenza con il quesito posto lo scorso anno, visibilmente più simpatizzante, là dove si parlava solo di «governo del cambiamento», mentre stavolta è ben chiaro il legame col Pd, che per almeno una parte della base dei Cinque stelle è notoriamente indigesto. Non importa, ripetono al quartier generale dem affollato come per le grandi occasioni: in realtà, sono certi che andrà bene. Che da Rousseau non possa uscire che un voto positivo, un sì che coroni l’operazione e lanci Conte dritto dritto verso il Quirinale per sciogliere la riserva. «Se uscisse un no, ne parlerebbe mezzo mondo, e sia noi che il Movimen-

I rapporti tra il segretario del Pd Nicola Zingaretti (nella foto) e il vicepremier Luigi Di Maio sono praticamente nulli

to avremmo tutto da perdere», valutano con disincanto. E si convincono che non possano uscire sorprese quando, scorrendo social e agenzie, cominciano a contare i volti noti del Movimento che si espongono per il sì: Manlio Di Stefano, Carlo Sibilia, Marta Grande, persino Alberto Airola, che pure ancora pochi giorni fa ancora definiva il Pd «il partito di Bibbiano». Fino al video del premier incaricato, e poi a

quello di Di Maio, benché si limiti a una indicazione a doppio taglio, «non esiste un voto giusto e uno sbagliato». «Beh, se proprio vogliono far saltare tutto così, se ne prendono la responsabilità loro», sospirano dai piani alti del Nazareno: la posta in gioco è così alta che difficilmente potranno esserci sorprese. Il punto, è parere diffuso tra i dem, è come eventualmente passerà il sì all’accor-

Il primo cittadino guida una coalizione di centrosinistra nel Veneto a trazione leghista Parole di apprezzamento per l’equilibrio di Conte. «Ora serve più umanità verso i migranti»

Il sindaco di Padova mette in guardia «Non ignorate le esigenze del Nord» L’INTERVISTA

Claudio Malfitano

«S

e dovesse partire il nuovo governo, Conte stia attento a non ignorare le esigenze del Nord, la parte produttiva del Paese. Noi sindaci siamo pronti ad alzare la voce, come abbiamo già fatto per l’alta velocità». Sergio Giordani, primo cittadino di Padova, guida una maggioranza tra Pd e liste civiche, quasi un “fortino” nel Veneto a trazione leghista: «Anche io ho il problema di far convivere due forze con posizioni diverse, ma il buon senso fa sì

che prevalga sempre l’interesse dei cittadini». Sindaco, giusto che parta il governo giallo-rosso? «Vediamo cosa accade con Rousseau. In questa crisi abbiamo visto capovolgimenti di fronte continui. Magari oggi la base dei 5 Stelle o problemi sul fronte Dem faranno saltare tutto. Sarebbe autolesionista per loro e per il Paese». In queste settimane di crisi Conte ha guadagnato consensi tra la gente. Perché? «A volte anche io dico di non essere né di destra né di sinistra, così mi prendono per “grillino”. Ma la realtà è diversa: i cittadini apprezzano chi proviene da una vita normale, da un precedente impegno lavorativo. In più il suo sforzo per man-

tenere unite anime diverse in un frangente così difficile per il Paese è apprezzato per lo spirito di servizio». Capacità di mediazione che ha evitato al Paese un nuovo turno elettorale. Neppure lei è per il ritorno alle urne? «In un Paese moderno come l’Italia non si può votare ogni anno per i capricci delle forze politiche. Nessuno come un sindaco sa quanto le campagne elettorali permanenti abbiano un effetto devastante sui territori: nella litigiosità e nel cambio continuo di interlocutori si bloccano tutte le progettualità e non va avanti niente». Per i continui “no” dei grillini la Lega sostiene di aver deciso di staccare la spina al precedente governo. Cosa la

Il sindaco Sergio Giordani

do. Sono in diversi a credere che potrebbe chiudersi con una maggioranza non schiacciante, qualcosa tipo 55 a 45: e a quel punto, Di Maio potrebbe ancora una volta alzare la posta delle richieste, con la scusa di dover riuscire a convincere quella quasi metà dei suoi attivisti ancora scettici sull’accordo. Ma se così sarà, si vedrà. Per ora, i dem si preoccupano di sottolineare che, nel suo video, Conte elenca

una serie di priorità che sono del Pd: il taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori, le infrastrutture da sbloccare, il tema abitativo. Nel programma condiviso dovrebbe entrare anche la legge elettorale, condizione messa proprio da loro per dare il via libera al taglio del numero dei parlamentari: oggi, un nuovo incontro, dovrà mettere a punto il programma. —

rende ottimista che queste dinamiche non si ripetano? «Proprio perché sono un civico che si è impegnato per la sua città, penso si possa governare col buon senso. Dico sì alla svolta ecologica, non per ideologia ma perché ne va del nostro futuro. Ma dico sì anche alle infrastrutture necessarie e sostenibili. Un governo che nasce solo per dire no è già morto». Il governo saprà essere attento alle esigenze del Nord? «Lo spero. Suggerisco al presidente Conte di essere molto attento alle esigenze della parte produttiva del Paese, non meno di tutte le attenzioni che si devono al Mezzogiorno. Su alcune questioni per me giallo-verde o giallo-rosso, non cambia nulla: se il Nord sarà tradito e le infrastrutture non partiranno alzerò la voce, come abbiamo già fatto per la Tav. E questo anche se guido una giunta di centrosinistra». C’è qualcosa che cambierebbe rispetto al Conte1? «Più di una, ma spero prima di tutto in una svolta umana. Basta propaganda sulla pelle dei disperati. Era insopportabile vedere barconi alla deriva per 15-20 giorni per qualche voto in più. Il governo che sta na-

scendo può avere maggiore credibilità in Europa per sollecitare un intervento comune sul tema delle migrazioni, che oggi francamente manca». Per la Lega, Padova rischia di riempirsi di clandestini. «Devo già gestire i fantasmi creati dal decreto sicurezza di Salvini. Sono stato tra i primi sindaci a riconoscere l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo per motivi umanitari. Perché solo così possiamo monitorarli, integrarli e conoscerli. Quei decreti vanno corretti il prima possibile». Il percorso dell’autonomia del Veneto si fermerà? «Penso che all’interno della coesione nazionale, l’autonomia differenziata sia una sfida da raccogliere. Anche se non capisco perché l’unico ente a chiederla debba essere la Regione. Sono d’accordo con Sala e Nardella: ragioniamo anche su maggiori margini di premialità per i comuni virtuosi». Zaia, governatore del Veneto, ha chiamato alle piazze e alla rivoluzione, poi ha precisato “gandhiana”. «Francamente non ce lo vedo proprio Luca a fare la rivoluzione...». —

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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MARTEDÌ 3 SETTEMBRE 2019 IL MATTINO

PRIMO PIANO

La crisi oggi la consultazione

stefani contro lezzi

Il clic divide i 5 Stelle del Veneto Tra i big vince il sì, attivisti contrari

«L’abbraccio giallorosso soffocherà l’autonomia»

Favorevoli Scarabel, Businarolo, D’Incà. No da Baldin e Maniero. La polemica: «Voto a giochi fatti» Filippo Tosatto VENEZIA. Il giorno del giudizio

fotografa sentimenti contrastanti nel M5S. Chiamati al voto digitale sull’accordo di governo con il Pd, i grillini veneti oscillano tra l’esigenza di evitare il naufragio sul nascere del Conte bis, la volontà di punire l’infido alleato leghista, la perdurante avversione verso la “casta dem”. Nel complesso, il sì prevale tra i parlamentari e i dirigenti; contraria invece buona parte degli attivisti sul territorio, diviso il gruppo degli amministratori regionali. Così, c’è chi scommette su un successo dei fautori dell’accordo giallorosso, magari di misura e accompagnato dalla critica (pressoché unanime) al ricorso tardivo al click sulla piattaforma Rousseau. «Stavolta, almeno, il quesito è chiaro ma, visto lo stato avanzato delle

I consiglieri Manuel Brusco, Simone Scarabel, Erika Baldin, Jacopo Berti; in basso i deputati Federico D’Incà, Francesca Businarolo, Alvise Maniero

di garantire il cuneo fiscale, la tutela prioritaria dell’ambiente, il rilancio dell’istruzione». All’opposto, il deputato veneziano Alvise Maniero: «Capisco le nobili ragioni dei colle-

«Salvini ci ha tradito dobbiamo garantire un governo che dia un futuro del Paese» trattative, più che una consultazione sembra la richiesta di ratifica di decisioni già prese», commenta con l’abituale franchezza Simone Scarabel, consigliere trevigiano in Regione. L’AVVERTIMENTO DI BERTI

Che tuttavia voterà sì: «Dopo la follia di Salvini va evitato un autogol ancora più clamoroso da parte nostra, oggi dobbiamo dimostrare capacità di governo che prescindono dalle alleanze. Sul piano della credibilità, Lega e Pd si equivalgono, ciò che deve importarci davvero è l’attuazione delle misure di trasparenza, efficienza e giu-

«Allearci con il Pd? Rappresenta la casta non il popolo e Renzi ci pugnalerà» stizia contenute dal nostro programma, ad esclusivo beneficio del Paese». Orientata al no, invece, la collega di gruppo Erika Baldin, bandiera del movimento a Chioggia: «È una scelta sofferta, da una parte il senso di responsabilità, perché c’è in ballo il futuro degli italiani; dall’altra la difficoltà di realizzare un’intesa credibile con il partito democratico, dal quale ci divide un’idea assai diversa della politica e della democrazia». Silenzioso il capogruppo veronese Manuel Brusco (perplesso, potrebbe optare per l’astensione), chi mantiene le carte coperte è il portavoce vene-

to Jacopo Berti – «Da proboviro nazionale non posso influenzare il voto con dichiarazioni personali» - che tuttavia appare assai poco entusiasta dell’abbraccio a i “nemici” di ieri; «Siamo chiamati a scelte difficili», le parole del padovano «noi rispetteremo con lealtà la volontà di Rousseau ma a livello locale escludiamo qualsiasi alleanza con il Pd. Non abbiamo fatto sconti a Zaia quando la Lega era un partner a Roma, non ne faremo ai democratici».Diverso il clima parlamentare. «Voterò favorevolmente e con convinzione per sostenere il prossimo governo Conte»,

fa sapere da Este Francesca Businarolo, presidente della commissione giustizia alla Camera «credo che la precedente esperienza con la Lega sia stata viziata dalla preponderanza del loro leader e che ora al nostro movimento spetti la responsabilità di tentare ancora di dare un futuro positivo al Paese». DECISIONI LAST MINUTE

Via libera esplicito anche dal bellunese Federico D’Incà: «Il presidente Conte è garanzia di serietà e capacità, non ci sottrarremo all’’impegno di tagliare il numero di parlamentari, di evitare l’aumento dell’Iva,

ghi, ma sono per il no: Renzi imiterà Salvini e ci pugnalerà alle spalle come ha fatto con Letta, cosa possiamo sperare di concludere alleandoci con un partito i cui leader sono lontani dal popolo?». E c’è anche chi si aggrappa al last minute: «Sto ancora riflettendo», confida il veterano Simone Borile, che rivendica «la lotta contro l’estrema destra e la sinistra di potere a Padova»; «Certo il voltafaccia di Salvini è stato vergognoso ma la questione nordista non può essere accantonata e se questo governo decolla basterà un mese per capire se c’è amore oppure odio». —

Quando Berlusconi faceva il sovranista contro l’Europa

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de l’autonomia del Veneto (già arenata nelle schermaglie tra leghisti e M5S) in vista del nascente governo giallorosso? «Le autonomie sono nei nostri 20 punti. È stata la Lega, divisa, a non volerle portare avanti», le parole di Barbara Lezzi, il ministro del Sud, al termine della riunione a Palazzo Chigi dei vertici grillini. «A Roma lo sanno anche i muri che sull’autonomia i 5 Stelle prima e Conte poi si sono messi di traverso per non concedere alle Regioni quanto previsto dalla Costituzione», la secca replica del ministro (uscente) agli affari regionali Erika Stefani «iL 15 febbraio avevo già chiuso i lavori evidenziando i nodi politici rimasti. Abbiamo fatto più di centro incontri, ho avanzato varie proposte trovando dall’altra parte sempre e solo rinvii, anzi, muri». Poi l’affondo: «Lezzi, che per il Sud ha fatto più proclami che fatti, ora è costretta a inventare qualunque scusa per sviare l’attenzione, farebbe meglio ad ascoltare gli elettori del M5S schifati dall’abbraccio mortale con il Pd. Mi spiace persino infierire visto che sono dilaniati all’interno e abbandonati dalla loro base e stanno per essere mangiati dalla coppia Conte-Pd. Le rotture dentro la Lega sull’autonomia che vede Lezzi sono fantasie mentre nel suo partito, non solo sull’argomento, la spaccatura è reale». «La Lega, tutta la Lega, crede nell’autonomia e continuerà la sua battaglia», conclude Stefani «siamo certi che con i centri decisionali più vicini alla gente si possano ottenere controlli, efficienza e meno sprechi. Ora andiamo avanti per migliorare questo Paese e la guerra alle poltrone le lasciamo a chi non ha idee, cuore e coraggio per vincere le elezioni». —

MAURIZIO MISTRI

L’ANALISI

l 30 agosto, uscendo dall’incontro con Giuseppe Conte, Silvio Berlusconi rilasciò una dichiarazione che voleva dare una immagine di Forza Italia del tutto diversa da quella della Lega di Salvini. Per Berlusconi, in versione 2019, Fi è un partito che si rifà alla tradizione di un liberal-cattolicesimo moderato ed “europeista” avversario di ogni sovranismo. Probabilmente Berlusconi pensava a quegli elettori moderati che

VENEZIA. Che destino atten-

votano per la Lega, la quale ha ormai prosciugato il bacino di voti di FI. Ne è venuto fuori un quadro idilliaco, politicamente corretto alla maniera di Junker, di Macron e della Merkel. Eppure, nel 2011 il governo Berlusconi cadde per l’insostenibile peso di uno spread che l’economia italiana non poteva sostenere; venne chiamato a formare un nuovo governo Mario Monti, appena nominato senatore a vita dal presidente Napolitano e in odore di santità europeista presso la Com-

missione europea. Credo che a tutt’oggi sia difficile sapere con esattezza come si sono sviluppate le vicende che portarono Berlusconi alle dimissioni coatte e cioè se l’elevarsi dello spread a livelli insostenibili sia stato il frutto di dinamiche innescatesi autonomamente oppure di una strategia pensata al di fuori dell’Italia e sostenuta anche da alcuni ambienti politico-economici italiani. Solo gli storici del futuro potranno dire come sono andate le cose. In questa sede mi limi-

to ad analizzare l’atteggiamento di Berlusconi e dei dirigenti di FI all’indomani della caduta del governo di centrodestra. La narrazione di quegli eventi fatta da Berlusconi all’indomani del 2011 mostra un Berlusconi sostanzialmente sovranista ben diverso dal Berlusconi di oggi elogiatore di Junker ed associati. Allora Berlusconi aveva sposato decisamente la tesi del complotto degli euroburocrati che avrebbero utilizzato l’arma dello spread, per destabilizzare il

governo Berlusconi e con esso anche l’economia italiana. In quel periodo negli ambienti di Fi si parlava, con convinzione, di un complotto dei poteri finanziari che avrebbe portato l’Italia a perdere la sua sovranità. Di fatto lo spread è un indicatore della fiducia/sfiducia che i risparmiatori del mondo hanno nei confronti della capacità dei governi nazionali di governare le rispettive economie. Venendo ai tempi d’oggi non si può certo dire che il governo gialloverde riscuotesse

la fiducia degli ambienti finanziari nazionali ed esteri per cui non sono mancate alcune tensioni sul rendimento dei BTP italiani. Tensioni che il Berlusconi, edizione 2019, si è rifiutato di addebitare alla tecnoburocrazia di Bruxelles, dando una lettura del tutto diversa da quella da lui data agli eventi del 2011, ed impartendo lezioni di “antisovranismo” al governo giallo-verde e soprattutto alla Lega. Vorrà dire che, come Paolo sulla via di Damasco cambiò idea su Gesù, Berlusconi, sulla via di Bruxelles, ha cambiato idea su Junker, Macron e la Merkel. — BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


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