L'arte di collaborare

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FORZA10 e Siua insieme per il benessere del cane Forza10 ha sviluppato in questi anni una feconda partnership con Siua riconoscendo obiettivi comuni nella promozione del benessere del cane, partendo dai fattori di base come l’alimentazione e la relazione ma in una logica innovativa ancorché rigorosamente attenta alle evidenze scientifiche. La migliore relazione uomo-animale evolve attraverso l’equilibrio di intese, competenze e interazioni tra i due partner che, basandosi sulla reciproca collaborazione, ne stabiliscono le migliori condizioni. L’obiettivo di una relazione sana e consapevole deve essere supportato e favorito da una precisa attenzione all’alimentazione del cane: rito essenziale e quotidiano di cui solo e soltanto il suo proprietario può averne piena conoscenza e tradurre in scelta responsabile. Recenti e approfondite ricerche nutrizionistiche, hanno inequivocabilmente dimostrato quanto l’equilibrio psico-fisico del cane possa essere condizionato dalla presenza nel pet-food di agenti chimici inquinanti: residui dovuti alla persistenza di sostanze chimiche quali antiparassitari, antibiotici, etc. che introdotti

all’origine della filiera alimentare finiscono per essere assimilate dalla “pappa” dei nostri amici a quattro zampe. Solo un’accurata selezione “a monte”, così come la formulazione di ricette integrate da principi naturali e biologici può garantire una nutrizione non solo sana, ma assumere un ruolo fondamentale per il benessere animale, in una chiave effettivamente tesa al miglioramento del suo equilibrio psichico e fisico: il migliore presupposto per una perfetta relazione. È pertanto grazie a questa attenzione, spesso trascurata, che l’approccio cognitivo-zooantropologico trova la condizione ideale di apprendimento e sviluppo. L’ALIMENTAZIONE: il primo passo per garantire la migliore salute a chi non può scegliere


Collaboro quindi sono

Che il cane sia un animale sociale è opinione condivisa, ma non sempre si comprende lo stile del suo bisogno di vivere in compagnia e di condividere i momenti della propria esistenza. C’è una parola chiave: collaborazione. Quando affermiamo che il cane è un animale sociale stiamo dicendo una cosa giusta e tuttavia ancora troppo generica per comprendere pienamente cosa significhi per il cane convivere e condividere. Anche l’essere umano o il gatto sono animali sociali ma il loro modo di stare in compagnia e costruire amicizia, solidarietà e affiliazione è profondamente diverso. Volendo generalizzare potremmo dire che ogni animale deve in qualche modo equipaggiarsi di uno stile di relazione sociale, non fosse altro perché deve accoppiarsi e, nel caso dei mammiferi e

degli uccelli, fornire cure parentali alla prole. Il gatto intrattiene relazioni sociali complesse sia verso i conspecifici che verso l’uomo, relazioni che talvolta assumono il profilo del confronto ma altresì della convivenza, dell’affiliazione e in certi ambiti dell’aiuto reciproco. In generale comunque possiamo dire che il gatto ha una relazione conviviale con l’uomo - ci incontriamo e stiamo insieme quando non c’è nulla da fare e quindi possiamo rilassarci o giocare a differenza del cane che interpreta lo stare insieme come momento di collaborazione e di azione comune. 1


Siamo una squadra

Il cane tende a ragionare con il noi, soprattutto quando si tratta di fare un’attività, e solo raramente si ricorda di essere un individuo. La dimensione di vita del cane, come peraltro quella del suo progenitore, il lupo, può essere paragonata al collettivo di squadra, vale a dire del gruppo che agisce in sintonia per realizzare i propri obiettivi: difendere il territorio, proteggere i membri del gruppo, procurarsi del cibo e più in generale vivere. Vivere in gruppo significa per il cane sentirsi prima di tutto “parte di un progetto comune”. Ogni azione - dal perlustrare un ambiente al proporre un intermezzo ludico - viene pensata come attività comune che quindi richiede una 2

chiamata alle armi dell’intera comunità. Per questo il cane tende a ingaggiare le persone e a lasciarsi ingaggiare: il richiamo del gruppo ha un fascino irresistibile e il cane s’immerge nell’azione comune con tutte le sue energie fisiche e mentali. Pensarsi in modo collettivo significa sentire gli altri come parti del Sé - il cane è pronto a sacrificarsi per il gruppo perché non c’è una distanza esistenziale tra lui e gli affiliati - in un modo così profondo che noi umani facciamo fatica a comprendere pienamente.


Il cane soffre molto la solitudine perché è come privarlo di alcune parti del suo corpo, giacché la sua dimensione comprende anche il corpo dei compagni di vita, perché lui si proietta in uno spazio esistenziale che è fatto di relazioni ancor prima che di ambiente. Alcuni affermano che il cane deve vivere in giardino, altri ne fanno la causa di tutti i mali: ma questa frase non vuole dire nulla. Un conto è se il cane passa la vita in solitudine in giardino, un conto se il giardino è un luogo d’incontro. E non si tratta di un semplice bisogno di compagnia o di affetto ma di un’esigenza globale, di un modo di

esistere nel senso più completo del termine. Un cane da solo non è deficitario di qualcosa in particolare ma gli viene a mancare il senso stesso della vita. Per questo se lasciato in solitudine cercherà in ogni modo di evadere da quella situazione innaturale, cercare pertugi di relazionalità con gli altri - fossero pure conflittuali - o andrà incontro a gravi derive comportamentali. La libertà per il cane non si misura perciò nella grandezza di una casa o di un giardino o nella possibilità di fare liberamente ciò che individualmente si desidera: per il cane libertà è partecipazione.

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Il cane ci supera in amore

Il cane respira e si nutre di relazione. Il cane non può capire le distanze che poniamo tra lui e noi perché nelle sue corde esistenziali non esiste alcuna soluzione di continuità. Se mettiamo insieme la vocazione collaborativa del cane con il suo bisogno di sentirsi parte di un gruppo comprendiamo che molto spesso noi equivochiamo il desiderio relazionale del cane, pensandolo esclusivamente in termini di affettività o di performatività. Agire insieme è qualcosa che va oltre il semplice scambiarsi affettuosità o compagnia come peraltro il solo mettere in atto una prestazione. Collaborare all’interno di una squadra significa sentirsi in ogni circostanza come un gruppo che vive e opera insieme, che condivide cioè tutte le situazioni del vissuto senza porre dei limiti a questa partecipazione. Per questo la sensazione che si riceve nella convivenza con un cane è sempre quella di 4

non essere all’altezza della sua dedizione. Il cane ci sovrasta nella socialità, oltrepassa il nostro esile altruismo e ci spiazza, perché noi umani siamo di gran lunga più individualisti di lui. Non saprei come altro chiamare questo essere sempre in noi se non con il termine di “amore”, ma un amore attivo, lontano dagli egoismi che ci caratterizzano, una dimensione di piena presenza: noi siamo sempre nei pensieri del nostro cane. Per il cane siamo parte del suo stesso corpo e non si tratta solo di affetto o di bisogno di compagnia, ma di sentirsi un unico organismo che realizza ogni attività cercando l’accordo tra le parti e quindi esercitando l’arte di collaborare in ogni momento, nel gioco come nell’intimità.


Per tale motivo l’abbandono rappresenta qualcosa di incomprensibile e tragico per il cane. Abbandonato rincorre la macchina che lo ha lasciato sul ciglio della strada o fa le feste alla persona che lo ha lasciato solo. Non c’è rancore in lui ma desiderio di ritrovare il piacere della condivisione operosa della vita. Ogni momento è una preparazione allo slancio attivo nel mondo. Anche gli scambi di affettività diventano propedeutiche di accordo, consolidamento di legami, schemi di concertazione operativa. La dedizione al gruppo per il cane non è rinuncia di sé, limitazione del proprio spazio di vissuto, ma, al contrario, è piena realizzazione del sé, tripudio di vissuto. E allora non ci sono parole perché fatichiamo a circoscrivere e delineare questa totalità che non si lascia

descrivere proprio perché coinvolge ogni aspetto della vita del cane. Il cane sembra sempre in credito di relazione, non è possibile non sentirsi in qualche modo debitori nei suoi riguardi e siamo sempre noi i primi a stancarsi nelle attività collaborative con lui. Questo significa peraltro che, se è vero che la relazione con un cane rappresenta una delle più belle esperienze della vita, è altresì evidente che comporta un bel carico di responsabilità. Ritengo d’altro canto che tale responsabilità vada vissuta non come un compito gravoso, una sorta di obbligo, ma come un sentire che parte da una forte consapevolezza di valore. È indispensabile che chi adotta un cane rifletta sul significato di questa presenza senza darla per scontata: valore e impegno sono infatti legati a doppio filo.

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Sei il mio centro d’interesse

Una volta entrato in famiglia il cane cerca subito l’integrazione e fa di tutto per trovare occasioni di relazione: immediatamente diventiamo per lui il centro del mondo. Il cane ci guarda attentamente, sembra studiarci o comunque aspettare qualcosa da noi, e lo fa pressoché in modo continuo. Sdraiato nella sua cuccia o mentre sembra sonnecchiare o, ancora, quando gioca con la pallina... il cane non ci perde mai d’occhio. Per un animale caratterizzato da una socialità collaborativa così accentuata conoscere i propri compagni di squadra è la prima delle esigenze. Per questo non ci si deve meravigliare se il cane anticipa sempre le nostre azioni, lui dopo un po’ ci conosce meglio di quanto noi stessi ci conosciamo. Se sembra capace di preveggenza o di leggere il pensiero, è solo 6

perché sa interpretare perfettamente i nostri movimenti: quando ci alziamo dal divano per uscire il cane si mette a saltellare in preda all’entusiasmo più sfrenato, se viceversa ci alziamo per andare in bagno non ci degna nemmeno di uno sguardo. Sono convinto che se mi facessero vedere un filmato dove sto eseguendo azioni che anticipano una certa attività - per esempio: mi alzo dalla sedia, smetto di scrivere al computer, ripongo gli occhiali, etc. - il mio cane saprebbe interpretarle nel modo giusto, ossia agirebbe di conseguenza, al contrario io non saprei rispondere su cosa mi sto accingendo a fare.


La relazione è pertanto per il cane una sorta di palestra di concertazione, il luogo cioè dove ci si conosce e si approfondisce l’intimità fino nei meandri meno accessibili della personalità, per costruire quella sintonia che sta al centro della collaborazione. Per collaborare infatti è necessario essere perfettamente allineati, sapere sempre la posizione del tuo compagno nel campo di gioco, capirsi al volo attraverso una comunicazione ridotta al minimo, aver maturato degli schemi di gioco che consentano triangolazioni perfettamente sincroniche, essere in grado di complementarsi. La collaborazione è un’arte complessa. Non basta desiderarla o declamare i propri intenti collaborativi. Per collaborare è necessario un duro lavoro esercitativo, una palestra diuturna di prove e controprove, ma per farlo è necessario esserne motivati. Questo è il grande segreto del

cane. Si sforza ma non è un compito, s’impegna ma non è una costrizione: è solo l’espressione del suo talento sociale. Attraverso lo sguardo, la relazione, l’affettività e il gioco il cane esercita l’allineamento, cerca la sintonia e purtroppo sovente deve arrendersi di fronte all’accidia e al disinteresse del suo compagno a due zampe. Il gioco per il cane non è un semplice momento di distrazione ma il modo di armonizzare il proprio comportamento con il nostro, costruendo stili e schemi d’interazione. Anche la passeggiata rappresenta un momento sociale importante, che non va banalizzata con il semplice “portare il cane a fare pipì”, perché per lui è sempre l’inizio di un’avventura condivisa, seppur breve, ma puntualmente vissuta come escursione, avvenimento, festa... e l’eccitazione e l’entusiasmo che vi infonde lo dimostra.

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Assumere un ruolo

Per poter funzionare una squadra ha bisogno che i propri membri si specializzino nel assumere un certo ruolo all’interno della sistemica operativa del gruppo. Come in una squadra di calcio esistono difensori, attaccanti, centrocampisti e portiere, così in un gruppo operativo è necessaria una certa ripartizione di compiti. In altre parole per il cane stare insieme significa prima di tutto assumere un ruolo e contribuire, così facendo, al raggiungimento degli obiettivi comuni. Molte persone non tengono in sufficiente considerazione tale esigenza, considerando il cane un bambino, una semplice mascotte, un surrogato affettivo, uno strumento per la guardia o la caccia, un giocattolo per il figlio, una sorta di espansione del sé o di status symbol. Tutto ciò comporta un’inevitabile negligenza per quanto concerne gli aspetti di ripartizione di ruolo. 8

Il cane si aspetta che voi assumiate un ruolo, che questo ruolo lo riguardi perché declinato sul gruppo operativo, che voi stessi gli affidiate un ruolo attraverso dei compiti ove lui è chiamato direttamente in causa. Assumere un ruolo non significa solo vivere in coerenza con le sue aspettative etologiche, ma per l’individuo vuol dire altresì sentirsi considerato e ben integrato all’interno del gruppo. Si tratta in buona sostanza di coinvolgere il proprio cane in piccole attività, come il portare un oggetto o il farglielo recuperare attraverso il “cerca”, creando occasioni di collaborazione che facciano sentire la relazione importante per noi.


Se il cane non viene coinvolto all’interno di attività che lo vedono protagonista ne soffre. Talvolta si crede di fare il bene del cane lasciandolo in una condizione di assoluta inattività, ma questo è un errore grave: stiamo non solo chiudendo il cane all’interno di una prigione dorata, ma quel che è peggio lo stiamo emarginando dal gruppo, stiamo cioè insultando la sua socialità. Questo è il motivo che fa sì che i cani che fanno attività con i loro partner umani siano in una condizione di benessere psico-comportamentale assai migliore rispetto a quelli che, vezzeggiati e coccolati nella totale inanizione, in realtà soffrono per demotivazione, noia, frustrazione, aumen-

tando il più delle volte la loro sensibilità emotiva. Avere un ruolo significa essere coinvolti, partecipare, poter esprimere le proprie vocazioni e i propri talenti: in altre parole sentirsi un giocatore che non sta sempre in panchina e che quando è sul campo di gioco gli viene passata la palla. Voglio ripeterlo: il cane ama lavorare e per lui il lavoro non significa schiavitù ma libertà. Detto questo ovviamente sono contro ogni forma di sfruttamento, ma ciò che vorrei sottolineare è che spesso si pensa di dare al proprio cane una vita agiata quando al contrario si violentano le sue prerogative.

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Un po’ di storia

Prima di approfondire le coordinate di ruolo nella relazione tra l’essere umano e il cane, è indispensabile ricordare come la presenza del cane sia stata una dei fondamenti della storia dell’umanità. Nel comportamento sociale il cane esprime una tendenza complessiva che è impressa in modo profondo e indelebile nelle sue corde etografiche. Gran parte del successo adattativo e culturale della nostra specie è attribuibile alla presenza del cane, anche se so bene che l’essere umano preferisce cantarsi un’altra storia, quella mitopoietica che vede lui solo al centro di una lotta diuturna contro una natura crudele, nei confronti della quale alla fine ha visto la meglio. Le cose non sono andate così e ne è testimonianza il fatto che in qualunque attività umana il cane venga sempre coinvolto. Il cane è stato l’alleato che ha fatto la differenza, allargando i territori di 10

espansione e l’utilizzo delle risorse, cosicché possiamo tranquillamente affermare che questa storia, tanto celebrata, l’abbiamo scritta insieme a lui, a partire da quel remoto Paleolitico in cui le nostre strade hanno iniziato a convergere. Facciamo un errore grossolano nell’assimilare l’alleanza uomo-cane agli altri processi di domesticazione di piante e animali, tutti collocati all’interno di un periodo, il Neolitico, quando già l’uomo aveva preso possesso dell’ambiente. Quella con il cane non è stata una vera e propria presa di possesso da parte dell’uomo, ma un incontro, una sorta di convergenza di interessi sfociata in un’alleanza.


Uomo e cane sono le due facce della stessa medaglia evoluzionistica. Sarei quasi portato a parlare di una sorta di coevoluzione. Di certo la presenza del cane ha slittato molte delle pressioni selettive che altrimenti avrebbero diversamente conformato il nostro habitus morfologico e comportamentale, così come l’essere umano ha trasformato il lupo e l’ha ridisegnato all’interno del profilo del cane. In altre parole sono propenso ad affermare che tra uomo e cane vi sia stata una sorta di domesticazione reciproca, in virtù del fatto che non parliamo di poche migliaia di anni bensì di qualche decina di migliaia di anni, perlomeno 30.000 anni prima della rivoluzione neolitica. Gran parte dei comportamenti che diverranno appannaggio dell’essere umano - come la stanzialità e la pastorizia - saranno resi possibili solo grazie alla presenza del cane. Spesso ci si dimentica il

fatto che allorché il lupo-cane entra nel gruppo umano i bambini alla nascita si trovano anche loro come basi sicure e come referenti educativi, vale a dire che l’essere umano lentamente assume comportamenti non-umani allargando l’orizzonte della propria identità comportamentale. Sappiamo che il cucciolo umano ha incredibili capacità di “apprendimento sociale”, che ha una forte tendenza imitativa, che alla nascita è molto immaturo e quindi forgiabile dall’ambiente, che ha un’età evolutiva lunga. Tutte queste caratteristiche lo predispongono a risentire in modo considerevole delle esperienze nella costruzione identitaria. Questo a maggior ragione se nella sua quotidianità, fin dalla nascita, è presente un compagno di un’altra specie. Anche se non ululiamo al plenilunio, siamo in realtà tutti licantropi.

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Ma quale ruolo?

Per comprendere come coinvolgere il proprio cane all’interno di dinamiche collaborative che siano in grado di renderlo partecipe di un ruolo è necessario conoscere le sue emozioni e motivazioni. Nella relazione collaborativa il cane mette tutta la propria disponibilità integrativa e partecipativa, equipaggiato di grande capacità comunicativa e interattiva, che deriva, come vedremo, non solo dalle sue caratteristiche filogenetiche ma altresì dall’educazione che riceve dalla madre. Per questo motivo per potenziare al meglio il profilo sociale del cane è indispensabile che trascorra i primi due mesi di vita con la madre in un ambiente che gli dia la possibilità di sperimentarsi e, all’occorrenza, farsi correggere dal genitore. È peraltro evidente che ogni cane partecipi alle dinamiche collaborative del gruppo a seconda delle sue predisposizioni, in 12

primis in riferimento al carattere emozionale e motivazionale dell’individuo. Sotto il profilo emozionale abbiamo infatti cani più esuberanti e sicuri che tendono molto a prendere l’iniziativa e a cercare dei ruoli attivi e propositivi, altri che hanno bisogno di sentirsi supportati e affiancati e che richiedono una presenza rassicurante da parte del partner umano. Alcuni cani si caratterizzano per un profilo diffidente che li porta a monitorare costantemente il mondo circostante, altri viceversa tendono a essere estremamente fiduciosi e aperti, sempre pronti a intessere amicizie e a creare situazioni conviviali.


È indubbio d’altro canto che il fattore più importante nella predisposizione di ruolo riguarda l’ambito motivazionale. Le motivazioni sono tendenze individuali, spesso riferibili alla razza o comunque alla linea ereditaria del cane. Ci sono cani che hanno una forte disposizione perlustrativa e tendono in passeggiata a portarsi in avanti come per fare da staffetta o avanguardia del gruppo; altri cani manifestano un’accesa motivazione territoriale e si propongono come guardiani attenti e scrupolosi, avvisando con l’abbaio o mettendo in atto comportamenti esplicitamente avversativi nei confronti degli estranei. Tra le disposizioni non vanno dimenticate quelle olfattive ed esplorative che rendono alcuni cani particolarmente

dotati nella ricerca e tutti sanno l’importanza di questa alleanza nei più svariati campi, soprattutto nel ritrovare persone disperse. D’altro canto, se è vero che il cane è cacciatore per natura, alcuni cani hanno trasformato questa tendenza al predatorio nell’arte della conduzione e dell’imbranco del gregge, predisponendoli a tutte le attività che si basano sul movimento (rincorrere una pallina o un freesby) e sulla comunicazione visiva. I difensori del gregge sono portati a proteggere i membri del gruppo, mentre i retriver sono eccezionali nel riporto e più in generale nell’arte di portare. I molossoidi hanno una spiccata competitività e per loro collaborare significa rinforzare i legami attraverso l’agonismo.

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Si fa presto a dire “obbedienza”

Una delle qualità che ha fatto la fortuna del cane è sicuramente la sua tendenza ad ascoltarci e ad assecondare le nostre richieste, ma non sempre siamo in grado di capirla. Mai ci sogneremmo di dare un “comando” a un gatto e chi lo fa si condanna a cocenti delusioni. Il cane, viceversa, è sempre pronto a trovare una concertazione e, quando le cose non vanno nel verso giusto, è saggio interrogarsi sulle proprie incongruenze prima di prendersela con il cane. Con questo non si vuole colpevolizzare nessuno, anche perché esistono situazioni ove il cane, che magari ha subito compromissioni durante il processo di crescita, fatica a entrare nella giusta dimensione. Anche gli sbagli peraltro non vanno colpevolizzati ma semplicemente corretti: non 14

dimentichiamo che questa società non fa nulla per educare le persone a un corretto rapporto con il loro beniamino a quattro zampe. Ci sono alcune qualità che tuttavia vanno rimarcate perché spesso rappresentano i punti deboli del rapporto. Il cane infatti ci chiede prima di tutto coerenza, altrimenti fa molta fatica a capire quello che vogliamo da lui. In seconda battuta, ma non inferiore per importanza, sta la costanza, vale a dire la continuità del rapporto e la dedizione alla relazione. Per avere un cane collaborativo bisogna dedicargli tempo e impegno.


Ma c’è un altro aspetto che spesso viene dimenticato. L’obbedienza nel cane non è mai fine a se stessa ovvero il cane non obbedisce per obbedire: obbedisce per fare. L’obbedienza in altre parole è uno dei tanti strumenti di quella collaborazione attiva e operosa che sta al centro della dimensione sociale del cane. L’obbedienza pertanto non si discosta dagli altri strumenti che il cane utilizza per trasformare il gruppo in una squadra ben organizzata e capace di muoversi all’unisono verso un certo obiettivo, quali: il conoscerci perfettamente, la ripartizione dei ruoli, il migliorare l’accordo comunicativo, lo strutturare degli schemi di azione comune. Il cane obbedisce per fare, per accrescere cioè il suo spazio di agibili-

tà nel mondo, per facilitare l’azione del gruppo, esattamente come alcuni lupi frenano la loro azione nella caccia di gruppo per agire di concerto. Se la persona non gioca con il proprio cane, non s’interessa a lui, non gli propone mai delle attività, non si preoccupa di fargli emergere un ruolo operoso nel gruppo, allora anche l’obbedienza tenderà a diventare una qualità esile perché non esercitata nell’azione comune. Insegnare delle parole che richiedano un’obbedienza da parte del cane - come il richiamo, il resta, il seduto, etc - non è pertanto uno snaturare il cane, bensì seguire le sue coordinate e i suoi bisogni concertativi. Così facendo lo aiuteremo a capire come trovare un perfetto accordo con noi.

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La centripetazione relazionale

Aiutiamo il cane a comprenderci e a rafforzare il binomio attraverso dei piccoli esercizi. Vivere con un cane è un’esperienza ricca e appagante e tuttavia non dobbiamo mai dimenticare di vivere in un mondo che forza molto le capacità di tolleranza del nostro compagno non-umano. Già noi fatichiamo a sopportare le continue sollecitazioni che ci derivano da un contesto innaturale, per quanto ci ripetiamo che la dimensione culturale e tecnologica sia il nostro ecosistema, figuriamoci il cane che di colpo si trova catapultato in un mondo di automobili, sirene, automatismi, elettrodomestici e via dicendo che rappresentano non solo eventi di sovrasollecitazioni ma che il più delle volte possono diventare seri pericoli per il cane. Non è corretto, in nome di una sorta di egualitarismo transpecifico, dimenticare che vivere con un cane significa 16

prima di tutto assumersene la responsabilità. Il cane non è in grado di capire quale pericolo possa comportare il gettarsi giù all’improvviso dal portellone dell’automobile o l’attraversare una strada per rincorrere un gatto. Chi non lavora su alcuni insegnamenti precisi come il richiamo, il “fermo!”, il “resta!” e via dicendo sembra demagogicamente rispettare la libertà del cane, in realtà lo espone ai pericoli. È importante inoltre abituarlo fin da piccolo in una realtà che presenta un buon livello di rumore di fondo in modo tale da evitare che, una volta adulto, gli stimoli non abbiano un effetto dirompente sulla sua sensibilità, tenendolo sempre sul “chi va là” e quindi allontanandolo dalle relazione che, viceversa deve essere il suo centro.


La centripetazione relazionale è un capitolo molto importante dell’educazione cinofila, che pertanto riguarda sia il cane che il partner umano. Si tratta di un insieme di attività, che peraltro singolarmente hanno una lunga tradizione educativa e addestrativa, basate sul rafforzare il legame del binomio, facendo sì che ciascuno dei due abbia l’altro al centro dei propri pensieri, cosicché allorché ci si muova nel mondo tanto il cane quanto la persona agiscano da coppia e non in modo individuale. Nelle attività educative di centripetazione, oltre ai tradizionali “comandi di base”, si lavora sulla capacità di essere rivolti l’uno all’altro, sull’esercizio degli autocontrolli, sulla comunicazione assertiva (che significa chiara ed esplicita), sulla capacità di muoversi affiancati.

Un ambito molto importante della centripetazione sono le attività di mediazione relazionale - definite spesso anche con i termini di “permessi” e “consensi” - dove s’insegna al cane a guardarci allorché venga sollecitato da uno stimolo e a cercare un accordo nel comportamento da mettere in atto. Questo non significa che ogni attività debba necessariamente sempre e comunque passare attraverso noi. È fondamentale educare il proprio cane anche a un buon livello di autonomia che gli consenta di trascorrere dei momenti per i fatti propri anche quando siamo presenti. In tal modo il cane sarà in grado di sopportare temporanee assenze della persona senza cadere in uno stato ansioso. Le attività di ricerca sono utili in tal senso.

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Chi trascina il gruppo?

Tra i ruoli che un gruppo operativo prevede c’è sicuramente quello coordinativo, si tratta di un ruolo fondamentale che la persona dev’essere in grado di ricoprire per il benessere del cane. Una squadra funziona se c’è qualcuno che fa da collante al gruppo, ne traccia le coordinate organizzative, ne coordina l’azione comune, si preoccupa di tenere sotto controllo le dinamiche sociali. Non si tratta di un despota che tiranneggia i membri del gruppo e sbaglieremmo persino a considerarlo una sorta di caporale che ama farsi rispettare dalla truppa e tanto meno una sorta di “yuppie” che dall’alto della sua posizione guardi gli altri con sufficienza. Per il cane il coordinatore assomiglia di più al mister di una squadra: uno cioè che si preoccupa per il gruppo, lo tiene unito dandogli delle coordinate e delle regole, scandisca le tempistiche delle attività, si assicuri il buon esito delle iniziative. Spesso lo si definisce “capo18

branco” dimenticando peraltro che le dinamiche di branco solo parzialmente trovano espressione all’interno di un gruppo interspecifico, come quello che si realizza tra umano e cane. C’è chi nega l’importanza di questo ruolo, ma così facendo compie una grave negligenza sulle caratteristiche etografiche del cane e non aiuta a comprendere molte dinamiche interattive che hanno proprio nel coordinamento la loro causalità espressiva. Ma prima di entrare a illustrare i fattori che entrano in gioco nell’assunzione di questo ruolo, mi preme rimarcare il fatto che per un cane che vive all’interno di un contesto umano è veramente una calamità il dover assumere il ruolo coordinativo. Non si tratta pertanto solo


un problema di gestione del cane - è evidente che se il cane assume la leadership del gruppo cercherà di porre le proprie coordinate di interazione al gruppo, con il risultato di entrare puntualmente in conflitto ogni volta che la persona cercherà di darle una particolare indicazione o semplicemente di essere assecondato - ma è altresì fonte di stress per il cane che si troverà chiamato a un ruolo molto oneroso e non in linea con le sue capacità. Inoltre i comportamenti contraddittori del proprietario faciliteranno l’emergenza di conflitti con il risultato che tutta la relazione si troverà compromessa. Anche in questo caso per comprendere le dinamiche di accreditamento ci viene in aiuto la conoscenza dei tratti del comportamento sociale del cane. È proprio nella relazione che infatti si giocano quegli indizi che con facilità possono dare al cane l’impressione che desideriamo sia lui a prendersi il duro compito del coordinamento. Sembra strano ma siamo noi ad aver chiesto al cane di diventare il leader.

Prima di affrontare il tema dell’accreditamento ovvero di come diventare un buon leader per il proprio cane, è indispensabile rimarcare il fatto che per alcune tipologie di cane - si vedano per esempio i molossoidi - l’assumere la leadership del gruppo famiglia rappresenta un grave problema, sia per il cane che per le persone. Si tratta infatti di cani che hanno un bisogno estremo di appoggiarsi su qualcuno che li tranquillizzi con la propria presenza autorevole e che in caso contrario manifestano comportamenti di forte diffidenza verso il mondo. Nello stesso tempo è indispensabile rimarcare il fatto che cani come il rottweiler o il corso possono diventare un grosso problema se le persone non sono in grado di gestirli e indirizzarli. Qualora poi si crei una condizione di conflitto tra il cane e i familiari si può arrivare al morso o anche solo a comportamenti impositivi da parte del cane - come il non permettere l’ingresso in casa - che rappresentano fattori di forte criticità soprattutto se ci sono dei bambini.

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Diventare un buon leader per il proprio cane

La leadership è sempre decisa dal gruppo, anche se è evidente che ci sono cani che per carattere si propongono con più facilità, ma alla fine è il gruppo che decide. Se abbiamo compreso i connotati particolari della socialità collaborativa del cane, diventa assai semplice capire quali siano i fattori che diventano strategici nel definire il ruolo coordinativo. Innanzitutto, lo ripetiamo, un buon leader dev’essere presente e coinvolgente nelle attività: non è un caso che molto spesso il leader per il cane è il ragazzino che condivide con lui un gran numero di attività. Inoltre deve manifestare coerenza nel comportamento, sicurezza nel proporsi - non solo con il cane ma anche con il mondo esterno - evitando tentennamenti e incertezze, deve avere una comunicazione chiara e diretta, dev’essere in grado di rassicurare con 20

la propria presenza e non chiedere costantemente conferme affettive al cane, deve essere in grado di gestire le iniziative e non lasciarsi continuamente trascinare dal cane, deve stemperare le situazioni emotive agendo con decisione e fermezza. La leadership ha più a che fare con la coerenza e con la sicurezza che con altre qualità: il cane chiede al leader la capacità di decidere. Si tratta di doti che non sempre le persone riescono a possedere, ma d’altro canto non tutti cani sono così selettivi nella scelta del loro leader. E tuttavia certi cani e certe razze pretendono davvero tanto e sarebbe consigliabile che solo certe persone li adottassero.


C’è peraltro un modo per acquisire accreditamento agli occhi del proprio cane: la capacità di ingaggiarlo in diverse attività. Ancora una volta da questo si dimostra con evidenza la natura sociale del cane. Chi è il coordinatore? Uno che se ne sta tutto il giorno sul divano a guardare la televisione? Uno che non fa altro che piagnucolare per avere qualche coccola dal cane? Uno che non si fila per nulla il cane e lo vede come un impiccio portato a casa dai figli o dal partner? No di certo! Per il cane il coordinatore è colui che fa giocare la squadra, che si prende la briga di esercitarla negli schemi operativi, uno che non è mai sazio di esperienze di gruppo e che porta il cane a fare delle attività che sono in linea con le sue aspettative. Il leader, proprio come il mister, non lascia mai la squadra nella inattività, non si limita a non seguire le iniziative del cane o a

inibirlo, ma si fa parte attiva nel proporre quella dimensione di operosità che batte forte nel cuore del cane. Inoltre la leadership si gioca sulla forza emotiva: la capacità di autonomia della persona, la precisa direzionalità dei movimenti, la gestione delle risorse, la calma negli accadimenti e negli imprevisti, la capacità di prendere decisioni sul da farsi, il saper impostare concertazioni come il chiedere un “seduto” o un “resta”, il definire tempi di iniziofine e modalità di impostazione di un gioco, la definizione degli spazi. Se queste indicazioni vengono impostate correttamente fin dall’inizio e soprattutto prima dell’adolescenza (tra i 6 e gli 8 mesi) tutto è molto semplice perché il cane ha tutte le qualità per accreditarci. Se, viceversa, questo non è avvenuto, è buona cosa affidarsi a uno specialista per reimpostare il posizionamento sociale e affiliativo del cane.

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Così sociale da assorbire tutto

La grande propensione e capacità sociale del cane viene giustamente considerata un punto di forza, ma pochi si rendono conto che può essere anche una vulnerabilità. Il cane vive di relazione e si nutre pascolando all’interno di un grande prato fatto d’interazioni, rapporti, ingaggi, giochi, manifestazioni affettive e via dicendo. Questo lo porta ad assorbire tutto delle dinamiche interattive che si svolgono all’interno del gruppo, cosicché se in famiglia ci sono tensioni o discussioni, se le persone hanno comportamenti emotivamente altalenanti, se il partner è stressato e nervoso, il cane immediatamente ne risente. È incredibile vedere come anche il suo umore si rabbui, il suo profilo espressivo assuma un tono più defilato, il suo carattere accresca in emotività. Le capacità empatiche del cane sono davvero all’ennesima potenza e il nostro essere centro di interesse per lui, sommato al suo bisogno di concertazione, lo rende particolarmente vulnerabile al comportamento di chi gli sta a fianco. 22

Il comportamento del cane assume degli stili e delle abitudini di gruppo proprio perché portato alla collaborazione sociale, una dimensione che necessariamente si basa sulla concertazione. Per tale motivo la grande palestra d’apprendimento per il cane è la vita quotidiana, scandita da tempi e modalità di assolvere i bisogni e le motivazioni che bussano alla porta espressiva. Si apprende dalle abitudini, nella quotidianità e non nella straordinarietà delle attività fatte sul campo di training. Impostare le corrette abitudini e un adeguato stile di convivenza è perciò il modo migliore per evitare situazioni di conflittualità, perché il cane si conforma alle abitudini come un fiume all’interno del suo letto, cosicché poi il suo comportamento sarà impostato e in perfetta sintonia con il nostro.


So bene che è difficile di fronte a un problema comportamentale del cane mettere sotto analisi la famiglia e tuttavia mi preme rimarcare che questo fattore in genere è sottovalutato, preferendo concentrare l’attenzione sul cane. La zooantropologia è una disciplina che si occupa delle relazioni tra l’essere umano e le altre specie, con l’obiettivo di rimarcare l’importanza di un incontro corretto, equilibrato, consapevole e responsabile, sapendo come l’asimmetria di questo rapporto (è l’umano a dettare le regole) lo esponga a un gran numero di derive. Occorre prima di tutto insegnare alle persone seppur in linea generale cosa significhi essere-cane in modo tale da assicurare un profilo di correttezza interattiva. La correttezza riguarda la capacità di comunicare in modo ade-

guato con il cane e di impostare gli stili di interazione secondo un modello etograficamente coerente, avvalendosi anche dell’aiuto di consulenti. In seconda battuta è indispensabile favorire una relazione che possa avere agio di espressione in più dimensioni (la cura, il gioco, le attività, l’affettività, etc.) ossia renderla equilibrata e non morbosa su alcune aspettative. Non esistono dimensioni sbagliate, ma dobbiamo parlare di eccessi e di carenze: un cane non può essere solo un compagno di giochi o un piccolino da accudire, una fonte di conferme affettive o un performer. Infine è necessario insistere sulla consapevolezza e sulla responsabilità di relazione, perché l’adozione di un cane non ha nulla a che vedere con l’acquisto di un oggetto.

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Sociali si nasce, sociali si diventa

Se è vero che nel cane esiste una forte propensione al comportamento sociale, è altrettanto vero che la competenza sociale richiede l’acquisizione di uno stile. La prima maestra di socialità è senza dubbio la mamma, primo luogo d’incontro dell’alterità per il cucciolo. Come ogni piccolo di mammifero, il cucciolo tende a espandere il sé in tutto quello che lo circonda mosso da un’esuberanza motivazionale che caratterizza le primi fasi della crescita. In questo senso la sua volontà ribolle e la curiosità incentiva il suo desiderio di appropriarsi di fette sempre più ampie di realtà e di mettersi alla prova. Il cucciolo è un tripudio di vitalità, ma proprio questa energia interna di crescita ha bisogno di essere disciplinata, vale a dire incanalata evitando che tracimi in ogni dove. La mamma deve fare un paziente lavoro 24

di contenimento insegnando al cucciolo: a) la gestione della frustrazione = non sempre si può fare ciò che si vuole; b) la gestione della conazione = l’assecondare la volontà di una guida; c) il rispetto delle regole sociali. Per questo se un cucciolo non ha ricevuto l’insegnamento materno farà molta fatica a rassegnarsi di fronte ai limiti inevitabili che la relazione sociale pone. Quando si vive in un gruppo occorre inevitabilmente trovare delle mediazioni e dei compromessi, è indispensabile saper rinunciare e rassegnarsi, cercare degli accordi anche attraverso la comunicazione. Si tratta di qualità molto complesse che vengono impostate dall’educazione materna.


Un altro momento importante di questa propedeutica sociale riguarda il rapporto con i fratelli e, in seguito, con il cosiddetto “gruppo dei pari”, luogo dove il cucciolo sperimenta la comunicazione, l’ingaggio, l’interazione agonistica, gli stili più importanti di relazione con i conspecifici. Gli etologi chiamano questo apprendistato, che consente al cucciolo di mettere insieme i tasselli di quel grande puzzle che è il comportamento sociale, col termine di “socializzazione primaria”. Si tratta di affinare la riconoscibilità del conspecifico ma soprattutto di assumere uno stile interattivo adeguato. Si imparano le regole della comunicazione efficace - sapersi esprimere attraverso la ritualizzazione ma soprattutto saper leggere il proprio conspecifico - e dell’interazione corretta, per esempio la gestione del morso, la capacità di frenare l’esuberanza, le basi comportamentali chiamate a frenare i dissidi e a trasformarli in rituali.

Per questo la socializzazione primaria è fondamentale e va incentivata attraverso attività tutorate d’interazione sociale lungo tutta l’età evolutiva del cane (i primi 24 mesi) grazie a puppy class e classi di socializzazione: solo così si costruirà un buon futuro sociale per il cane. La socializzazione primaria trova una prima palestra all’interno della cucciolata e può venir meno o essere deficitaria se il cucciolo viene tolto da mamma e fratelli prima di aver compiuto i due mesi di età. In seguito è necessario che questa educazione alla socialità con i conspecifici non venga interrotta, perché il cucciolo ha ancora tante cose da imparare dagli altri cani. Per tale motivo è indispensabile che le persone non considerino il cane una proprietà da tenere tutta per sé, ma si preoccupino di consentire al cucciolo momenti di interazione con altri cani, ovviamente in situazioni di sicurezza.

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Socialità significa anche confrontarsi

L’essere socialmente attivo e propositivo del cane non lo porta solo alla collaborazione e all’affiliazione ma inevitabilmente anche a entrare in rotta di collisione con il suo prossimo. Non sono d’accordo con chi vuole spacciare l’idea bucolica che vede il cane come “accordo e armonia sempre e comunque”, perché essere sociali significa prima di tutto porre l’accento sulle relazioni, focalizzarsi sulle dinamiche di rapporto ovvero, in altre parole, non essere in grado di ignorare il prossimo. Questo significa che per il cane tutto ciò che ha a che fare con le dinamiche sociali assume un’importanza prioritaria, nell’accordo collaborativo e affiliativo come nel più problematico terreno del dissidio. Agonismo, vale a dire competizione, e antagonismo, ossia confronto e chiusura, rappresentano due coordinate interattive estremamente importanti nel 26

comportamento sociale del cane, soprattutto allorché ci si appresta all’adolescenza. Si tratta di un momento molto delicato che segna una cesura nella vita del cane, facendo emergere quei tratti del carattere che poi si consolideranno nell’adulto. Diventare adolescente significa affacciarsi al mondo della riproduzione - aspetto che noi umani siamo portati a negligere nei figli come nei cani - e quindi rivendicare un posto per sé. Competere e confrontarsi diventano pertanto due predicati verbali importanti, associati a una maggiore diffidenza nei confronti degli estranei e una tendenza a mettere in atto comportamenti avversativi nei loro riguardi.


Al parco, nell’area cani o nel cortile condominiale i cani s’incontrano e se hanno ricevuto una buona socializzazione difficilmente insorgono dei problemi, ma questo non significa che non si verifichino episodi di confronto. I cani fanno comunella, ma non dobbiamo confondere questa sistemica con il gruppo sociale affiliativo - la squadra di cui abbiamo precedentemente parlato. Si tratta di un gruppo aggregato, mancante cioè di un’affiliazione e di un’organizzazione in termini di ruoli, leadership e condivisione d’intenti. Questa aggregazione temporanea o ricorrente (spesso le persone vanno al parco alla stessa ora) crea dinamiche interattive che stanno all’interno della “dialettica di dominanza”, ove cioè il confronto è sempre singolare e riferito al contesto. Soprattutto allorché siano presenti delle risorse - alimentari, riproduttive, ter-

ritoriali - è facile che insorga il problema della prelazione (chi ha la precedenza?), ecco allora che la dialettica di dominanza aiuta a risolvere la questione. In caso di dissidio tra due cani, vengono manifestati comportamenti di dominanza e di sottomissione che consentono di diminuire la possibilità di una rissa vera e propria. Il comportamento di dominanza è pertanto molto utile perché fortemente espressivo e ritualizzato, consentendo all’altro di sottomettersi senza dar luogo allo scontro. Mostrare i denti, orripilare, mettere la testa sopra la schiena dell’altro sono rituali di dominanza tesi a strutturare un rapporto ben definito. Noi umani spesso ci mettiamo in mezzo con amene affermazioni, del tipo “fa il prepotente”, senza accorgerci che così facendo rischiamo di innescare lo scontro. Il cane è più saggio di noi.

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Cosa significa prosocialità?

Il cane è predisposto per vivere in piccoli gruppi ben organizzati, dove cioè ci si conosce bene, non per essere immerso in grandi comunità anonime quali sono oggi le metropoli. Abbiamo già visto parlando di rapporti tra cani che esiste una differenza tra la squadra (socialità affiliativa) e l’aggregazione (socialità interattiva) e come la prima sia più strutturata, attraverso ruoli, schemi, leadership, mentre la seconda più fluida e tenuta all’interno di binari di pacificazione attraverso la dialettica di dominanza, oltre che attraverso altri comportamenti di ingaggio, di allentamento di tensione, di comunicazione indiretta - quale, per esempio, la marcatura - o diretta attraverso lo sguardo, la postura, la cinetica. Le dinamiche di interazione sociale tra cani sono molto complesse e rappresentano materia di interesse e di studio tra gli etologi soprattutto in quest’ultimo ventennio. Un comportamento, che spesso si manifesta nei cani con maggiore competenza sociale, è lo “splitting” ovvero la tendenza a fungere da “re28

golatore del gruppo” intervenendo per dividere due cani che stanno interagendo in modo inappropriato. Allo stesso modo questi soggetti sono maestri nel frenare l’esuberanza di cuccioli scatenati o adolescenti troppo invadenti e questo loro comportamento fa la differenza all’interno di un gruppo. Osservare l’interazione sociale tra cani ci consente di vedere molti aspetti del comportamento sociale e anche di capire meglio il proprio cane, anche per quanto concerne le sue tendenze, il modo di affrontare le situazioni e soprattutto le sue qualità e propensioni. È nella relazione sociale che il cane si manifesta e spesso nella spontaneità del gruppo, lontano dalla nostra continua interferenza, è possibile individuare dei tratti caratteriali che altrimenti resterebbero celati ma che tuttavia ci aiutano a capire meglio il nostro cane.


All’interno di un gruppo è possibile vedere molti comportamenti sociali tra cani, non solo in termini interattivi ma anche di comunicazione. L’incontro è spesso preceduto da una comunicazione calmante con una serie di segnali (leccarsi il labbro, voltare lo sguardo, assumere una traiettoria curvilinea) che hanno l’obiettivo di diminuire la tensione. Esistono poi segnali di pacificazione e di ingaggio, tesi a portare il confronto non più sull’interazione antagonista bensì sul gioco e sull’agonismo. Quanta più esperienza ha fatto il cane nelle relazioni sociali con i conspecifici tanto maggiore sarà la sua capacità di affrontare con equilibrio e competenza le relazioni sociali. L’esperienza infatti mette il cane al riparo dal comportamento impulsivo, soprattutto per quanto concerne l’emotività, perché conoscenza e competenza indicano familia-

rità e quindi tranquillità riflessiva nelle diverse situazioni. Esattamente come noi, il cane laddove ha esperienza si sente a proprio agio ed è in grado di comportarsi mettendo in pratica le soluzioni che ha appreso. Pertanto prosocialità non significa che il nostro cane debba andare d’amore e d’accordo con tutti, ma che sappia inserirsi nelle relazioni sociali e le sappia affrontare anche nelle criticità eventuali e occorrenti. L’esperienza sociale crea familiarità e questo aiuta il cane nelle diverse situazioni. Alcune attività educative e ricreative vanno proprio in questa direzione. Abbiamo già nominato le classi di socializzazione; a queste si possono aggiungere le passeggiate collettive con i cani che rappresentano un modo eccellente per rafforzare le competenze sociali del proprio cane.

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La socializzazione secondaria

La capacità di rapportarsi con l’essere umano è una dote naturale del cane e tuttavia, come per ogni altra virtù, è necessaria coltivarla e farla evolvere in ricchezza e competenza. A partire dalla quarta settimana di vita, il cane comincia a farsi un’idea di quegli strani esseri a due zampe che lo circondano. Ci sono molte cose che deve capire degli umani, non ultima questa loro tendenza ad afferrare, a usare cioè le zampe anteriori come una sorta di bocca che prende, sostiene e trasporta. Ecco... gli umani fanno con le zampe davanti ciò che noi cani facciamo con la bocca, per cui la carezza è l’analogo della lingua della mamma e il grooming con le dita la stessa cosa dello spulciare fatto con i denti. Il cucciolo va perciò 30

manipolato fin dal primo mese di vita proprio per abituarlo alla mano, evitando accuratamente di associare alla mano dell’uomo sensazioni spiacevoli o dolorose. Ma è ovvio che questa familiarizzazione con l’umano, che prende il nome di “socializzazione secondaria” riguarda molti altri aspetti: la conoscenza vocale, la comunicazione non verbale, gli stili d’interazione, le più frequenti forme di affettività. Per il cane l’essere umano diventa così un continente da esplorare giorno dopo giorno. Prima si comincia, meglio è.


La socializzazione secondaria richiede una varietà di esperienze, ovvero di modelli esperiti, assai maggiore rispetto a quella primaria, proprio per il suo carattere di scoperta e di propensione alla distinzione. Insomma non è facile per il cane generalizzare questa esperienza per cui, se ha visto solo uomini bianchi adulti, potrebbe manifestare comportamenti di diffidenza nei confronti di donne o di persone di colore o addirittura manifestare comportamenti predatori nei conversi di bambini piccoli che corrono o gattonano. Per realizzare una socializzazione secondaria profonda ed estensibile a tutti gli esseri umani è pertanto indispen-

sabile che il cane non faccia esperienza su un solo modello ma su molti, in modo tale da facilitare le sue capacità categoriali. Fare tanta esperienza nel rapporto con gli umani soprattutto nel primo anno di vita del cane svilupperà in lui una forte competenza nella relazione con noi e questa sarà sicuramente la miglior forma di prevenzione nei confronti del pericolo di aggressioni. Un’ultima cosa. Il cane ama la compagnia, ma questo non significa che ogni tanto non desideri starsene per i fatti suoi: impariamo a rispettare i suoi spazi privati. E quando mangia, vi prego, non disturbatelo!

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Il benessere attraverso l’alimentazione

La migliore relazione uomo-animale evolve attraverso l’equilibrio d’intese, competenze e interazioni tra i due partner che, basandosi sulla reciproca collaborazione, ne stabiliscono le migliori condizioni.

L’obiettivo di una relazione sana e consapevole deve essere supportato e favorito da una precisa attenzione all’alimentazione del cane: rito essenziale e quotidiano di cui solo il suo proprietario può esserne il mediatore e tradurlo in scelta responsabile. Una nutrizione sana, completa ed equilibrata assume, così, un ruolo fondamentale quale componente attiva alla realizzazione del benessere animale, in una chiave tesa al miglioramento del suo equilibrio psico-fisico quale presupposto per una migliore relazione uomo-animale.

Il ruolo degli inquinanti sul comportamento Se, viceversa, gli alimenti sono contaminati da residui chimici tossici e poveri di principi nutritivi fondamentali, l’obiettivo non potrà essere realizzato. Purtroppo, è proprio la presenza di residui tossici farmacologici appartenenti alla classe delle tetracicline, una tipologia di antibiotici largamente ma legalmente utilizzata nell’allevamento intensivo, a provocare degenerazioni cellulari così come dimostrato da recenti studi in vitro. Questo meccanismo si manifesterebbe attraverso numerose evidenze cliniche, correlate con diversi processi infiammatori diffusi o localizzati. Cani e gatti che si cibano di alimenti che contengono carni derivanti da allevamento intensivo, possono frequentemente manifestare otiti, dermatiti, piodermiti, congiuntiviti, gastriti, enteriti, gengiviti, stomatiti, tutti a evoluzione cronica o ricorrente. Contemporaneamente, si sono evidenziati anche comportamenti inusuali, molti dei quali collegati all’ansia. Proprio degli studi in corso alla Facoltà di Veterinaria di Sassari, condotti dalla Dott.ssa Raffaella Cocco, fanno ipotizzare che questi residui farmacologici vadano a influenzare i meccanismi di sintesi di alcuni neurotrasmettitori, tra cui la serotonina, la melatonina, la dopamina e l’adrenalina. Oltre un centinaio di prove cliniche sinora effettuate anche da parte di vari operatori SIUA (Scuola Interazione Uomo Animale), ha evidenziato un’azione rapidissima di FORZA10 Armonia (15/20 giorni) sulle dinamiche dell’ansia, permettendo agli animali che lo utilizzano una regressione parziale o totale dei disturbi del comportamento. Solo una forte tossicità dell’ossitetraciclina sull’organismo può giustificare, nel momento in cui viene eliminata dall’alimentazione ogni possibile fonte di assunzione, una modificazione così evidente e rapida dei sintomi correlati all’ansia.

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FORZA10 Armonia FORZA10 Armonia è l’alimento studiato dal Centro Ricerca e Sviluppo SANYpet per contribuire al raggiungimento e al mantenimento dell’equilibrio psicofisico del cane sfruttando l’azione sinergica dei nutrienti privi dei residui sopra citati, un adeguato e bilanciato rapporto Omega3/Omega6 e un pool di fitoterapici identificato come il più idoneo e mirato al riequilibrio comportamentale senza provocare sedazione. L’utilizzo di Armonia, si propone, di riportare “nella corretta frequenza” la fisiologia dei neurotrasmettitori, lasciando al lavoro degli esperti SIUA il compito fondamentale d’insegnare a comprendere e rispettare, a chi condivide la propria vita con uno o più cani, il linguaggio di questi splendidi compagni di vita.

L’importanza dei fitoterapici Un ruolo fondamentale per far raggiungere o mantenere un ottimale equilibrio psico-fisico ai nostri animali da compagnia lo giocano i fitoterapici. Frutti e piante medicinali utilissime per un triplice fine: - beneficiare delle loro proprietà antiossidanti, caratteristica ormai indispensabile per depurare quotidianamente l’organismo dalla formazione continua e abnorme di radicali liberi, vera e propria spazzatura prodotta dall’impossibilità dell’organismo di “smontare” completamente le molteplici molecole chimiche in tutte le fonti alimentari; - usufruire delle loro proprietà antinfiammatorie naturali; - aiutare il sistema immunitario a riprendere il pieno controllo delle proprie funzioni, pesantemente alterate proprio dal ruolo tossico di precisi inquinanti.

In Armonia troverete: • Il tiglio: gli effetti benefici di questa pianta, dati dall’azione rilassante e calmante gli stati d’ansia, derivano dai principi naturali delle sue inflorescenze e dall’alburno. • La valeriana: pianta ricca di oli essenziali ed alcaloidi che esercitano un effetto attivo benefico sul sistema nervoso. Inoltre, favorisce la riduzione dell’aggressività. • Il biancospino (Crataegus oxyacantha L.): conosciuto per le proprietà modulanti sul sistema nervoso centrale, riduce emotività e stati di tensione. • Il triptofano: aminoacido importante perché precursore della serotonina, neuro-trasmettitore del sistema nervoso coinvolto nella regolazione dell’umore. • La Teanina: aminoacido, contenuto nel tè verde, noto per la benefica capacità modulante il temperamento. • Melograno del Caucaso: apporta in modo naturale polifenoli che contrastano l’ossidazione dei lipidi e l’azione dannosa dei radicali liberi. Possiede naturali acidi grassi essenziali oleico e linoleico, indispensabili per l’organismo.


ISBN 978-88-87690-19-4

9 788887 690194


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