Verona In 02/2004

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MARZO

2004 -

G I O R N A L E E D I TO DA L LO S T U D I O E D I TO R I A L E G I O R G I O M O N TO L L I

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Primo piano

Italia Spa: ma vale anche per il patrimonio culturale?

In copertina foto di Francesco Passarella

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Giù le mani dal “Modello Italia”. Ha fatto clamore, e quel che più conta sta facendo centro nel cuore degli italiani, il libro Italia Spa, di Salvatore Settis, che denuncia il tentativo di privatizzare parte del patrimonio culturale del nostro Paese. L’autore, docente di Storia dell’arte e dell’archeologia classica, nonché direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, spiega come un sistema di gestione e tutela italiano, fino a pochi decenni fa all’avanguardia, sia stato «progressivamente delegittimato e smantellato a opera degli stessi ministri a cui era affidato». Settis non ne fa però una questione politica, anzi si affretta a sostenere: «Sono convinto che quella in favore del nostro patrimonio culturale non è una battaglia di destra né di sinistra: è una battaglia di civiltà». La causa di questa nuova considerazione prettamente finanziaria dei beni artistici del Bel Paese sarebbe, secondo Settis, il risultato di un profondo mutamento di cultura istituzionale e civile che ha coinvolto trasversalmente il mondo politico, in particolare negli ultimi tre mandati ministeriali, con sempre maggiore forza. «Quello che l’Italia offre» sottolinea Settis «non è solo la summa dei suoi monumenti, musei, bellezze naturali ma soprattutto il loro comporsi in un tutto unico, il cui legante non saprei chiamare meglio che tradizione nazionale o identità nazionale, e cioè la consapevolezza del proprio patrimonio, della sua unità e unicità, della necessità di conservarlo in situ». Ecco perché il professore si dice contrario a definire i beni storici nazionali come “gioielli di famiglia”. Questa metafora implicherebbe l’idea del patrimonio storico come di un «deposito di risparmi di cui ci si può disfare in caso di necessità»

mentre di fatto esso rappresenta «la coscienza del legame profondo tra la propria storia e il proprio futuro». Un futuro che è indissolubilmente legato a quello dell’Europa, dove la nozione stessa di patrimonio culturale e dei modi di proteggerlo e perpetuarlo è ancora tra i problemi irrisolti della Comunità. Per questo, spiega Settis «L’Italia deve scegliere subito se portare nel concerto europeo la propria tradizione e la propria cultura, civile e giuridica, elaborata nei secoli in questo campo, proponendola agli altri come modello, o se intende invece presentarsi disarmata al confronto, pronta ad appiattirsi su altre concezioni, quasi che in materia di patrimonio culturale noi avessimo solo da imparare e nulla da insegnare». Il nostro paese sarebbe invece «doppiamente esemplare rispetto al resto d’Europa» perché in Italia vi è un «alto tasso di continuità» del patrimonio culturale e una precoce cultura istituzionale di conservazione. L’articolo 9 della Costituzione ne è la prova. Esso recita: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». In queste semplici e inequivocabili parole si afferma la centralità del patrimonio culturale garantendo e consolidando i valori di identità nazionale che sono il cuore dell’ordinamento repubblicano. Parlare di identità culturale e tradizione nazionale non è quindi un riesumare antichi concetti ma una necessità, soprattutto a fronte della prospettiva di integrazione europea e di una civiltà sempre più caratterizzata dall’ incontro di diverse culture. In un mondo dove l’autocoscienza storica dei popoli sembra essere il miglior antidoto ai nazionalismi, Settis ritiene che il patrimonio culturale, in quanto «luogo di se-

dimentazione dei processi secolari di osmosi e di interscambio fra culture» possa giocare un ruolo capitale nel processo di creazione di un’identità culturale europea che «non pretenda di cancellare le identità nazionali forti, ma nemmeno si limiti a generici principi».

Nel suo libro Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, spiega come un sistema di gestione e tutela italiano dei beni culturali, fino a pochi decenni fa all’avanguardia, sia stato «progressivamente delegittimato e smantellato a opera degli stessi ministri a cui era affidato»

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Eventi BOLOGNA

Sono i bambini i lettori più attenti Dal 14 al 17 aprile si svolge la Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi, giunta quest’anno alla 41ª edizione. Al suo interno la Mostra degli illustratori

Un luogo d’incontro privilegiato dove editori, autori, illustratori, agenti letterari, stampatori, e distributori trovano un’ampia panoramica editoriale e multimediale

di Giorgia Cozzolino Sono loro a tirare le redini dell’editoria: i ragazzi. Bambini e adolescenti risultano infatti essere lettori attenti ed esigenti. È per questo che è nata la Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi, in programma a Bologna dal 14 al 17 aprile e giunta quest’anno alla 41ª edizione. Si tratta del più importante mercato per lo scambio di diritti per l’editoria libraria e multimediale dedicata ai giovani. Un luogo d’incontro privilegiato dove professionisti del settore, come editori, autori, illustratori, agenti letterari, stampatori, distributori, produttori televisivi/cinematografici e broadcaster possono trovare un’ampia panoramica della produzione editoriale e multimediale. In un ambito strettamente professionale, su oltre ventimila metri quadrati di esposizione, la manifestazione mette in mostra le

ultime tendenze internazionali e la possibilità di valutare le nuove opportunità di business. Un appuntamento irrinunciabile per gli operatori e per gli amanti della lettura, che attribuisce a Bologna il titolo di capitale mondiale dell’editoria per ragazzi. Le quattro giornate di manifestazione saranno caratterizzate da un’ampia proposta espositiva e da un programma di iniziative di respiro internazionale. Alla tradizionale Mostra degli illustratori si affiancheranno tre iniziative di particolare interesse: la Global Learning Initiaive, il Centro Agenti Letterari e il TV & Film Rights Centre che completeranno ogni segmento espositivo. La Mostra degli illustratori, la cui

prima edizione risale al 1967, è suddivisa in due sezioni, Fiction e Non Fiction, e propone ogni anno un’unica e internazionale vetrina delle tendenze e delle novità nel mondo dell’illustrazione di libri per ragazzi. Rappresenta inoltre per gli artisti un’opportunità per presentare e far conoscere le proprie opere a tutti i più importanti editori del settore. L’esposizione è una selezione rigorosa di 126 autori, scelti da una giuria internazionale, ed è al contempo un luogo di incontro dove si concretizzano collaborazioni e accordi. Tra i programmi della fiera anche il GLI, ovvero Global Learning Initiative che, dopo il fortunato debutto dello scorso anno, viene riproposto con nuovo slancio. L’e-

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Eventi A Torino la Fiera Internazionale del libro

E il Lingotto dal 6 al 10 maggio attira i ragazzi con il sorriso

Una delle cinque tavole sulla storia di Cappuccetto Rosso della veronese Emanuela Recchia, esposte alla Fiera del Libro per Ragazzi - Bologna 2002.

vento, in collaborazione con l’Association of Educational Publishers (USA), prevede la partecipazione di un comitato scientifico di operatori delle più importanti case editrici mondiali che si occupano di materiali didattici di supporto all’insegnamento e all’apprendimento, e fornisce un’occasione di incontro, di scambi e di affari esplicitamente rivolta agli editori legati alla scuola primaria e secondaria e alle biblioteche scolastiche. Un intero padiglione sarà quindi dedicato alla lettura delle nuove tendenze, all’identificazione di potenziali partner e allo sviluppo di relazioni professionali. Stand espositivi, vetrine per le novità, sale incontri e uno spazio dedicato alle presentazioni di prodotti e idee, insieme a seminari e workshop sulle tematiche di maggior interesse, completeranno l’iniziativa. Un altro luogo privilegiato è il Centro Agenti Letterari, uno spazio dedicato allo scambio di copyright tra gli agenti registrati. È un servizio che la fiera di Bologna mette a disposizione e che ogni anno risulta in costante crescita. L’incontro tra libri e cinema è sempre più ravvicinato tanto che la manifestazione dedica una larga superficie al Tv & Film Rights Center. Un punto di incontro, per conferenze e appuntamenti, dove l’editoria classica si apre a quella multimediale e visiva nonché alla cinematografia. Uno degli eventi più importanti legati alla Fiera è il Bologna Ragazzi Award, un riconoscimento all’eccellenza del progetto editoriale complessivo. È ormai un marchio

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Alla tradizionale Mostra degli illustratori si affiancheranno tre iniziative di particolare interesse: la Global Learning Initiative, il Centro Agenti Letterari e il TV & Film Rights Centre di qualità per gli editori internazionali, un appuntamento classico per l’editoria per ragazzi e per gli operatori e fornisce un primo sguardo alle novità e alle tendenze editoriali. È diviso in tre sezioni: fiction, riservato alla fantasia, il Non Fiction, dedicato al libro di divulgazione scientifica e attualità e New Horizon, ideato per fornire un palcoscenico agli editori dei Paesi emergenti. Quest’anno, la giuria composta dal presidente Antonio Faeti, professore di Letteratura per l’infanzia, Steven Guarnaccia, direttore artistico di OpEd New York Times e Denise Von Stockar, direttore dell’Istituto svizzero dei Media per ragazzi e la gioventù, ha scelto come vincitore per la sezione Fiction “La grande question” (Edition Être -Francia) di Wolf Erlbruch. Per la Non Fiction “The tree of Life” (Farrar, Strauss & Giroux – N.Y. Usa) di Peter Sis, mentre il premio New Horizon è andato all’iraniana Shabaviz Publishing Company per una collana di volumetti in diversi stili.

Anche Torino lancia uno sguardo all’editoria dei bambini. Il Lingotto Fiere organizza infatti dal 6 al 10 maggio la tradizionale Fiera del Libro il cui filo conduttore riconduce in particolarmente al mondo dei ragazzi. Il tema di quest’anno è l’ironia. L’umorismo e la comicità sono i sistemi più diretti ed incisivi con cui attrarre i lettori in erba. Scrittori, attori, registi e studiosi saranno al salone di Torino per svelare i segreti di laboratorio e i meccanismi che scatenano la risata, per parlare delle tante declinazioni che il comico ha trovato in letteratura, nel teatro, nel cinema, in televisione, ma anche nei giornali satirici, nei fumetti, nella graffiante satira politica d’oggi e nei funambolici piaceri dei giochi linguistici. Si potrebbe così anche scoprire una insospettabile vena umoristica in Dante, Leopardi e Shakespeare ma sarà anche possibile infilarsi in discorsi al tempo stesso serissimi e divertenti, nel segno ironico di Don Chisciotte e della sua follia, nata dall’aver creduto alla realtà dei libri che aveva letto. L’umorismo e la comicità, la parodia e la satira, l’ironia e la caricatura, i giochi di parole e l’invenzione surreale, il grottesco e l’umor nero sono tutti elementi che caratterizzano le società umane e sono anche il modo migliore che abbiamo per prendere distanza dalla realtà, per leggerla criticamente, per tentare di esorcizzarla, per colpire il ridicolo di certi comportamenti, per riflettere sulla natura umana, tra critica sociale e gusto della trasgressione. Ecco quindi che il mondo dei ragazzi viene investito di un’importanza cruciale in questa nuova edizione della Fiera Internazionale del Libro di Torino. Tra le numerose iniziative, come il “Torneo di lettura online” e “Adotta uno scrittore”, alcune sono volte alla promozione della lettura già in età prescolare. Si tratta del progetto “Nati per leggere”, sviluppato dall’Associazione Italiana Bibliotecari, dalla Regione Piemonte, dall’Associazione Culturale Pediatri e dal Centro per la Salute del Bambino, che ha l’obiettivo di rendere i genitori sempre più consapevoli dell’importanza di soddisfare i bisogni fondamentali dei più piccoli, in particolare quello di crescere in un ambiente ricco di stimoli, vicino a persone che sappiano parlare loro con affetto e intelligenza, con rispetto e onestà. (g.c.)

Inoltre, come ogni anno, viene invitato alla Mostra degli illustratori un Paese ospite d’onore che espone una panoramica globale della produzione artistica dei suoi disegnatori. Quest’edizione è stata dedicata alla Polonia che, oltre ai libri pubblicati, esporrà anche le opere di quegli artisti che hanno ottenuto riconoscimenti in patria o all’estero negli ultimi dodici anni. Si tratta di una mostra, curata da Krystyna Lipka-Sztarballo, illustratrice, Presidente della “Sezione Illustratori” della Sede di Varsavia del Sindacato degli Artisti Polacchi, composta da quarantasette maestri della creazione artistica ed una selezione dall’Almanacco degli illustratori per l’infanzia.

Come ogni anno viene invitato alla Mostra degli illustratori un Paese ospite d’onore che espone una panoramica globale della produzione artistica dei suoi disegnatori. Quest’edizione è stata dedicata alla Polonia

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Eventi Filmfestival della montagna La storia La prima edizione del Filmfestival Internazionale della Montagna “Città di Trento” si svolse dal 14 al 17 settembre 1952, per iniziativa del Club Alpino Italiano e del Comune di Trento, su idea del roveretano Amedeo Costa e del torinese Enrico Rolandi. A quella prima edizione vennero iscritte 39 pellicole di sette paesi e la prima Genziana d’oro, il massimo riconoscimento del Filmfestival, venne vinta dal francese Samivel con il documentario Cimes et merveilles. Il concorso cinematografico assunse la denominazione di “Festival” nel 1955, quando venne esteso anche ai film di esplorazione, mentre partire dal 1957 venne inserito nel calendario della manifestazione anche l’Incontro alpinistico internazionale per riunire e premiare i migliori protagonisti di una stagione alpinistica o per affrontare temi e argomenti legati alle tendenze, alle tecniche, ai nuovi filoni e ai nuovi terreni dell’esplorazione alpini. Nel corso dei cinquant’anni di vita sono stati proiettati film che testimoniano l’evolversi non solo delle tecniche e della filosofia dell’alpinismo, ma anche – specialmente dagli anni ’80 – dei problemi che oggi ruotano intorno all’ “universo montagna”, all’ambiente, al territorio, al rapporto con l’uomo che in montagna vive o che le si avvicina per i più svariati motivi. E tutto ciò non soltanto con i film, ma anche con convegni e tavole rotonde, attraverso mostre tematiche, con i Concorsi fotografici “Tre Ranuncoli d’oro”, con la Rassegna internazionale dell’editoria di montagna “Montagnalibri” (nata nel 1987), oggi la più importante a livello mondiale, con il “Premio Itas” del libro di montagna, la “Mostra filatelica” curata dalla Società Filatelica trentina, con il ricercare collaborazioni con i massimi soggetti referenti.

TRENTO

K2, 50 anni fa la salita italiana La 52ª edizione del Filmfestival della montagna, che si terrà dal 2 al 9 maggio, celebrerà la conquista italiana della vetta. Anche Velo Veronese alla manifestazione trentina

di Giovanni Padovani Sarà all’insegna dei cinquant’anni della conquista del K2, la montagna degli italiani, la 52ª edizione del Filmfestival internazionale della montagna, che si ripresenterà a Trento dal 2 al 9 maggio 2004. Così come lo scorso anno fu all’insegna dell’Everest, salito dalla spedizione inglese nel maggio del 1953. Fu la spedizione del geologo Ardito Desio a conquistare con Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, il 31 luglio del 1954, la seconda cima della catena himalayana (m. 8611), inferiore all’Everest di 237 metri, ma sicuramente più ardua sotto il profilo alpinistico. E sarà una lastra del 1909, impressa da Vittorio Sella, fotografo della prima spedizione del Duca degli Abruzzi, a fare da refrain iconografico su tutta la documentazione ufficiale dell’edizione 2004, dal poster ai vari cataloghi sezionali.

Era nella storia dei numerosi tentativi alle vette himalayane che dovessero essere gli italiani a salire per primi il K2, così come era destino che fossero degli inglesi e dei tedeschi le vittorie sull’Everest e sul Nanga Parbat. Ma se tutto questo collimò fu per una serie di circostanze, che confermano

quanto la fortuna giochi, e talvolta non poco, negli eventi degli uomini. Se la spedizione di Sir Hunt portò Hillary e Tenzing in vetta all’Everest il 29 maggio del 1953, nel giorno in cui a Londra Elisabetta veniva incoronata regina d’Inghilterra, fu perché l’anno prima

Se gli italiani conquistarono il K2 nel 1954 fu perché l’agguerrita spedizione americana dell’anno prima dovette interrompere il tentativo ormai avanzato a causa di un incidente mortale

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Marzo 2003 Le Dolomiti


Eventi Fu un risultato di grande prestigio per l’alpinismo nazionale, avvilito però dalle polemiche nei confronti di Ardito Desio, Compagnoni e Lacedelli

Nella pagina a fianco: 31 luglio 1954, Compagnoni e Lacedelli sulla vetta del K2. A destra: la parete Sud della montagna himalayana

la spedizione svizzera scoprì la via logica di salita lungo l’itinerario del Lhotse e per poco, ma assai per poco, non mancò la salita. E se gli italiani conquistarono il K2 nel 1954 fu perché l’agguerrita spedizione americana dell’anno prima dovette interrompere il tentativo ormai avanzato a causa di un incidente mortale a uno dei suoi componenti. Rientrarono nella certezza che la cima, imper-

via più che mai, sarebbe rimasta, lì, intonsa, anche per l’anno dopo. E invece capitarono gli italiani. Fu un risultato di grande prestigio per l’alpinismo nazionale, avvilito però ancora da qualche strascico. Trattasi della polemica nei confronti di Ardito Desio e dei vincitori, Compagnoni e Lacedelli, innescata da Walter Bonatti dopo un po’ dal suo rientro in patria e che puntualmente si è ripresentata alla vigilia della scadenza celebrativa del cinquantenario con la riedizione del suo Processo al K2. Una querelle che probabilmente è destinata a riemergere a Trento nel corso del prossimo festival, in quanto il programma dedicherà al K2 una mostra e una serata rievocativa, nell’ormai abituale appuntamento del venerdì. Grande evento il Filmfestival della montagna di Trento, veramente una grande ribalta, unico nel suo genere, che ha fatto della filmografia di montagna, dell’alpinismo, dell’esplorazione e dell’avventura un fatto culturale. Un prestigio che gli è indiscutibilmente riconosciuto. Perché Trento, rispetto alle molteplici analoghe iniziative che si sono riprodotte nei vari continenti, ha sapu-

to esprimersi con una vivacità progettuale, che pur nella fedeltà all’originaria base tematica, ha impresso al festival un costante aggiornamento. Basti guardare alle rassegne che lo affiancano e che del festival fanno parte integrante: Montagnalibri, la mostra internazionale dell’editoria di Montagna, giunta alla 18ª edizione, la Mostra delle librerie antiquarie (vera chicca per i bibliofili e per i ricercatori di iconografia di montagna), giunta all’8ª edizione, il Premio Itas di letteratura di montagna, (presieduto da Mario Rigoni Stern) che va alla ricerca del meglio in campo di narrativa, diaristica e di studi sull’alpinismo e la montagna. E poi mostre minori, dibattiti, incontri. Insomma una settimana piena di appuntamenti, di fortissimo richiamo per tutti coloro che vivono la montagna come una componente di cuore e di cultura. Nell’edizione di quest’anno il Filmfestival coinvolgerà nelle sue iniziative collaterali una realtà tutta veronese, quella del coro “Le Falie” di Velo, che sta imponendosi per il valore dei suoi contenuti ben oltre i confini locali. Alessandro Anderloni non è nuovo alla rassegna di Trento, essendovi sta-

to accolto in edizioni passate con suoi documentari. In questo prossimo vi sarà coinvolto in modo diverso, invitato a portare la testimonianza di come le “terre alte” possano trovare un loro “riscatto” grazie alla determinazione della loro gente, attraverso iniziative atte a inserire nel tessuto locale la forza di una identità. Lo scorso anno si parlò a Trento di Prado, un piccolo centro delle Giudicarie, rinato comunitariamente per l’impegno posto dai suoi pochi abitanti a non accettare l’emarginazione imposta dai nuovi corsi economici e la perdita

Ma cosa accadde a quota 7900? Luglio 1954. Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sono i due alpinisti scelti dalla spedizione italiana capeggiata da Ardito Desio per raggiungere gli 8616 metri del K2. Per riuscire nell’attacco finale i due hanno bisogno delle bombole di ossigeno. Ci si accorda per un incontro a quota 7900 con altri due alpinisti,Walter Bonatti e lo sherpa Mahdi, che il 30 luglio partono dal sottostante campo 8, posto a 7627 metri. Giunti sul luogo dell’appuntamento Compagnoni e Lacedelli non ci sono e questo costringe Bonatti e Mahdi ad una difficilissima arrampicata per cercare di raggiungerli, una fatica estrema che termina quando si fa buio. La conseguenza di questo fuori programma è una notte all’addiaccio a quota 8100, con lo sherpa al limite della sopravvivenza (gli saranno amputate alcune dita delle mani e dei piedi). I due chiamano ripetutamente i compagni in alto, che finalmente rispondono di lasciare le bombole e di tornare a valle. Grazie all’ossigeno recuperato Compagnoni e Lacedelli il 31 luglio passano alla storia come i primi uomini a mettere piede sul K2. Il mancato appuntamento a quota 7900, che mise a repentaglio la vita dei due soccorritori, non fu l’uni-

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co spunto per le polemiche che seguirono. Nella relazione ufficiale della scalata non venne menzionato con il giusto peso il ruolo decisivo di Bonatti e Mahdi. Anzi, qualcuno sostenne che questi utilizzarono parte dell’ossigeno per sopravvivere, o addirittura con l’intento di raggiungere loro la vetta al posto dei predestinati. Ma i tribunale diede ragione a Bonatti e Mahdi, perché i miscelatori e le maschere, senza le quali non sarebbe stato possibile utilizzare le bombole, erano negli zaini di Compagnoni e Lacedelli. Con la celebrazione del 50° della scalata le polemiche ritornano e Bonatti chiede, come non ha mai smesso di fare, che sia riscritta la storia del K2. E lo ha fatto anche recentemente con il libro “K2, la verità” (Baldini Castoldi Dalai editore, 282 pagine, 15 euro) che rievoca tutte le ambiguità che caratterizzarono l’ultimo attacco alla vetta, i festeggiamenti al rientro in Italia e, soprattutto, la stesura della relazione finale. Il volume contiene gli aggiornamenti delle polemiche, mai cessate in tutti questi anni, fino all’ultima del 2001, quando il presidente Ciampi rese i massimi onori ad Ardito desio, il grande geologo ed esploratore italiano che morì pochi mesi dopo all’età di 104 anni. (g.m.)

conseguente della propria storia. Di Velo Veronese si parlerà nel corso della settimana con la presenza dei ragazzi delle “Falie” e con una rassegna espositiva che farà conoscere come un paese possa entusiasmarsi a far teatro, a tener vive due corali, a far memoria delle proprie tradizioni ed esserne orgogliosi. Un “Caso Velo” che diventerà propositivo di modelli di sviluppo umano e culturale che maturano all’interno di una comunità. Anche questo sarà un motivo per porre in agenda l’appuntamento di Trento. Per approfondire: www.mountainfilmfestival. trento.it

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Cultura VERONA

La storia del Rengo: la campana dei veronesi Il Difensore civico Antonio Sambugaro ha chiesto che il bronzo torni a suonare dalla Torre dei Lamberti nei giorni in cui si tiene il Consiglio comunale

È per dimensioni la seconda campana nel Veneto. Al primo posto il bronzo maggiore del concerto della Cattedrale di Verona, rinnovata nel 2003 e pesante 4566 chili di Matteo Padovani La recente proposta del Difensore civico, Antonio Sambugaro, di tornare a suonare il Rengo quando si riunisce il Consiglio comunale riporta l’attenzione su questa significativa campana che è parte integrante della storia e dell’arte di Verona. Il Rengo raggiungerà nel 2007 il prestigioso traguardo dei 450 anni di età. In tutto questo tempo ha suonato ininterrottamente dall’alto della Torre dei Lamberti, simbolo storico del potere comunale della città, segnalando i principali avvenimenti della vita pubblica e le ricorrenze di interesse cittadino e nazionale. Se questa campana, con un po’ di fantasia, avesse il dono della parola, potrebbe raccontarci moltissime cose. Ci direbbe di avere suonato per quasi due secoli e mezzo sotto la dominazione veneziana, poi sotto quella austriaca, di avere

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Il Rengo è considerato un capolavoro dell’arte fusoria rinascimentale per la qualità del suono e per l’eleganza degli ornamenti (foto Maurizio Guadagnini)

rintoccato per le Pasque Veronesi, per l’Unità d’Italia, per la conclusione delle due guerre mondiali e chissà in quanti altri eventi storici. Con tristezza ci ricorderebbe che, in epoca veneziana, gli spettava anche il grave compito di annunciare le esecuzioni capitali. Forse nemmeno lui potrebbe ri-

cordare quante volte, in questi secoli, ha suonato per convocare il Consiglio comunale, compito che ha svolto regolarmente fino a qualche decennio fa. Le campane nacquero per scopi religiosi e ancora svolgono l’importante funzione di richiamo liturgico. Ma alcune di esse, quelle

cosiddette “civiche”, fin dall’epoca medievale risuonano dall’alto delle torri comunali. La Torre dei Lamberti, la più alta di Verona, raggiunge l’altezza di 79,10 metri alla sommità delle falde di copertura e di 83 metri alla banderuola che sormonta la sfera. Le campane attualmente esistenti sulla torre sono quattro, frutto di rifusioni ed aggiunte avvenute nel corso dei secoli: il Rengo si trova nella cella campanaria ottagonale superiore, mentre un’altra, detta Marangona, assieme a due bronzi più piccoli è posizionata in quella inferiore. Le quattro campane costituiscono un accordo musicale armonico (prima, terza, quinta, ottava). Questo tipo di accordo, un tempo abbastanza diffuso sui campanili cittadini, venne progressivamente sostituito dalla scala musicale diatonica maggiore. L’origine di queste campane viene fatta risalire agli Statuti Albertini (1272-1276), i quali stabilivano che sulla Turris Palatijs Comunis Verone dovevano esserci due campane di diversa grandezza. La maggiore aveva il compito principale di convocare il parlamento cittadino, detto Arengo, da cui deriva il nome di Rengo assegnato alla campana. La minore, la Marangona, aveva il compito di segnalare l’inizio e la fine delle attività lavorative. Le due campane furono rifatte nel 1311 per gli Scaligeri Alboino e

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Cultura Cangrande, e una successiva rifusione del Rengo avvenne nel 1394 per opera del fonditore Zanfrancesco da Legnago. Nel 1452 entrambe furono rifatte dal Maestro Gasparino da Vicenza, a cui il Consiglio di Verona diede il titolo di Archicampanista. Nel 1471 si rifece nuovamente la Marangona, e nel 1521 fu ancora la volta del Rengo ad opera di don Bonaventura, capostipite della dinastia dei fonditori Bonaventurini: la campana riuscì del peso di dieci mila 884 libbre, corrispondenti a tremila 611 chili (Il peso veronese corrisponde a 8,33050 chili e si divide in 25 libbre). Nel 1557 si dovette procedere ad una nuova rifusione per la quale fu incaricato Alessandro Bonaventurini, nipote di don Bonaventura. La campana, che è quella tuttora funzionante sulla torre, pesava dodici mila 658 libbre, ovvero 4215 chili. La Marangona fu rifatta nel 1597 per opera di Servo De Levis, e infine da Giovanni Cavadini nel 1833. Il Rengo è per dimensioni la seconda campana nel Veneto. Al primo posto vi è la campana maggiore del concerto della Cattedrale di Verona, rinnovata nel 2003 e pesante 4566 chili, mentre al terzo posto vi è la maggiore delle cinque campane di San Marco, a Venezia, di 3625 chili. Il Rengo è considerato un capola-

La Marangona, con due campane più piccole, è posizionata nella cella campanaria inferiore della Torre dei Lamberti

voro dell’arte fusoria rinascimentale, non solo per la qualità del suono, ma anche per l’eleganza degli ornamenti che arricchiscono la superficie esterna del vaso bronzeo. È una delle campane più antiche tra quelle oggi esistenti nella provincia di Verona, poiché l’attuale patrimonio campanario della città risale, nella grande maggioranza dei casi, ai secoli XIX e XX. Le campane precedenti (fino al secolo XVIII) furono in gran parte sostituite con nuove fusioni a causa di rotture dovute all’usura, o per esigenze superiori rispetto a quelle passate. Alcune campane antiche, tuttora esistenti e non più utilizzate, sono oggetto

di adeguate sistemazioni museali, come ad esempio nel Museo di Castelvecchio. Ma ce ne sono altre che continuano a svolgere con puntualità il loro servizio Una di queste è appunto il Rengo, montato su un’incastellatura metallica realizzata intorno al 1970 dalla ditta Cavadini di Verona, costituita da una robusta struttura intelaiata, da un ceppo che sostiene e controbilancia la campana e da una grande ruota di azionamento. La struttura consente l’utilizzo della campana in condizioni di massima sicurezza per la staticità della torre. Il suono avviene con moto oscillatorio per mezzo di un motore

Il sistema veronese di suonare le campane Esiste un sistema tutto veronese di suonare le campane. È stato studiato e messo a punto verso la fine del secolo XVIII, precisamente nel campanile di San Giorgio in Bràida e agli inizi del Ventesimo secolo conobbe la sua completa affermazione. È un sistema di suono “a campane giranti”, ossia in grado di compiere la rotazione completa di 360°. La montatura prevede un ceppo in ghisa di sostegno e bilanciamento, corrispondente al quaranta percento del peso del bronzo. A lato del ceppo vi è la ruota di azionamento, di diametro circa doppio di quello della campana. A questa è fissata la corda che scende fino alla base del campanile. Il battaglio è di tipo cadente, con peso ideale pari al due per cento del peso del bronzo. I suonatori eseguono di solito le concertazioni dal piano terreno, a volte invece operano da un livello intermedio, ma in ogni caso possono solamente udire le campane, non vederle. Una volta disposta la squadra di suonatori, uno per campana, o più di uno se le campane superano un

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certo peso, inizia l’esecuzione concertistica. La prima operazione consiste nella messa “in piedi” delle campane, agendo a strappi successivi sulla fune di manovra finché il bronzo raggiunge la posizione di equilibrio con la bocca verso l’alto, posizione che viene poi mantenuta grazie all’abilità del suonatore. Il maestro ha il compito di indicare la successione delle campane prevista dallo spartito il quale è costituito da una serie di numeri che sostituiscono le note musicali e ad ogni numero corrisponde una campana. Il compito di ogni suonatore, ogni qualvolta venga chiamato il numero corrispondente, è di riportare la campana dalla posizione di riposo, farle compiere una rotazione completa con l’emissione di un unico squillo e fermarla dalla parte opposta a quella di partenza. I suonatori provengono da apposite scuole campanarie, istruiti da maestri ed esperti. Nel veronese ci sono un centinaio di gruppi di suonatori, per un totale di oltre mille praticanti, molti dei quali di giovane età. (m.p.)

elettrico, il quale, tramite una catena di trasmissione, agisce sulla ruota di azionamento. In questo modo si ha la percussione del battaglio in ferro appeso internamente alla campana. Il Rengo rintocca quotidianamente per segnare le ore dell’orologio, tale suono avviene però a campana ferma, per mezzo di un martello elettrico che colpisce il bordo esterno di battuta. La campana, pur presentando i segni dell’usura, è assolutamente sana. Lo testimoniano non solo un attento esame esterno, ma soprattutto la resa acustica che è davvero notevole. Il suono è grave, cupo, armonicamente imperfetto se paragonato a quello delle campane realizzate negli ultimi due secoli, ma è comunque possente, solenne, ed in grado di esercitare un fascino davvero unico. Il Rengo potrebbe tornare a suonare con una certa regolarità, ma il suo utilizzo dovrebbe necessariamente avvenire con le dovute cautele, poiché si tratta di una campana antica e di un bene storico per il quale è fondamentale innanzitutto la conservazione. L’Amministrazione comunale si fa carico infatti di assicurare una manutenzione costante e qualificata alle varie parti meccaniche. La durata del suono deve sempre essere limitata a pochi minuti, per non sottoporre la vetusta campana a vibrazioni troppo prolungate. In questo modo il Rengo potrà continuare per lunghi secoli ancora a far sentire la sua autorevole voce.

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Il Museo Civico di Storia Naturale di Verona dal 1994 ha organizzato cinque spedizioni scientifiche nella regione del Guizhou

In Cina, alla ricerca dell’acqua perduta Dopo la stagione delle piogge il prezioso liquido sparisce sottoterra e costringe gli abitanti alla sete. Gli scienziati del nostro Museo alla ricerca di una soluzione

di Angelo Brugnoli La Cina è una terra di dimensioni inimmaginabili, ma questa sensazione di vastità è difficilmente percepibile nelle grandi megalopoli turistiche e commerciali della costa. Pechino è lontana, non solo fisicamente, ma anche come stile di vita. I frequenti discorsi sulla Cina che girano sui giornali in questi giorni ci descrivono un paese in fortissima espansione economica e commerciale. Ma non tutta la Cina è così. Il Museo Civico di Storia Naturale di Verona dal 1994 ha organizzato e portato a termine ben 5

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spedizioni scientifiche nella regione del Guizhou, all’estremità sudoccidentale dell’immenso stato asiatico. Questa regione, grande come metà Italia, è senza sbocchi sul mare ed è una delle regioni cinesi economicamente più arretrate, dove l’attività principale della popolazione è ancora l’agricoltura, spesso eseguita con mezzi rudimentali. Non è difficile ancora oggi vedere contadini che arano una terra magra con aratro di legno tirato dal bufalo, esattamente come 5000 anni fa. La terra coltivabile è poca perché tutta la regione è prevalentemente costituita da una grande piattaforma

L’ingresso della cavità Shui Xiang Dong, detta grotta “dell’Acqua Rombante”

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Cultura

Quattordici specialisti di diverse discipline si sono ritrovati per venti giorni nella contea di Qianxi, nel paese di Hong Lin, insieme a colleghi dell’Università del Guizhou Sopra: approvvigionamento idrico. Sotto: è ancora utilizzato l’aratro di legno

di rocce calcaree. Situata nella fascia subtropicale e soggetta quindi alle grandi piogge dei monsoni, la piattaforma calcarea si è andata erodendo e modificando, creando profondi canyons, picchi e guglie, grotte e voragini. Il fenomeno è noto ai veronesi che ben conoscono la morfologia carsica della Lessinia; qui però la scala è quella cinese. I ponti naturali sono giganteschi, le imboccature delle caverne monumentali ed i corsi d’acqua che frequentemente si riversano al loro interno appaiono fiumi che percorrono maestose cattedrali gotiche. Ma alla fine della stagione delle piogge, poco a poco tutta l’acqua, che da milioni di anni scava questo paesaggio particolarissimo, sparisce sottoterra: per la popolazione locale diventa un problema l’approvvigionamento idrico. I pozzi si seccano, le vasche si prosciugano e le sorgenti diminuiscono la loro portata, costringendo gli abitanti dei numerosi villaggi a spostamenti, anche di uno o due chilometri, alla ricerca dell’acqua. Il Museo, con un finanziamento del Ministero degli Affari Esteri italiano ed in collaborazione con il Science and Technology Department of Guizhou Province e la Guizhou Normal University di Guiyang, ha accettato di studiare il fenomeno e di cercare possibili soluzioni. La spedizione organizzata nel novembre 2003 infatti ha avuto come obiettivo lo studio della qualità delle acque di ambiente carsico della regione del Guizhou, al fine di stabilire l’opportunità di un loro corretto sfruttamento ad uso idropotabile.

in VERONA

Quattordici specialisti di diverse discipline si sono ritrovati per venti giorni nella contea di Qianxi, nel paese di Hong Lin, insieme a colleghi dell’Università del Guizhou. Hong Lin è un paesino di 4000 abitanti, raggiungibile dalla capitale Guyiang con un viaggio di tre ore per strade che via via passano dall’asfalto allo sterrato. Nel paese la spedizione ha alloggiato presso il cosiddetto Hotel Hong Lin, ex casermetta degli ufficiali, scampolo del periodo durante il quale il paesino aveva nelle vicinanze un’importante fabbrica di munizioni per aerei, rigorosamente sistemata in una enorme grotta naturale ed ora scheletro abbandonato. Tra i ricercatori c’erano speleologi, geologi, zoologi, cartografi, specialisti in analisi fisico-chimiche: il lavoro si è prospettato subito impegnativo, anche a causa del tempo piuttosto inclemente per la stagione e la latitudine. Le numerose t-shirt portate dall’Italia, con i 5 gradi di temperatura su quest’altipiano a 1400 metri sul

livello del mare, sono rimaste nelle sacche. Ogni giorno tre squadre si dirigevano nelle zone di ricerca programmate ed è solo a sera, intorno alle tipiche stufe cinesi, che ci si ritrovava per commentare le nuove scoperte e pianificare il lavoro dell’indomani. Le grotte nelle zone intorno sono numerosissime: quelle esplorate sono state più di 77 e di queste ben 25 chilo-

metri sono stati rilevati. Sotto il paese di Hong Lin si trova un’enorme cavità detta Shui Xiang Dong o grotta “dell’Acqua Rombante”; una cupola di dimensioni impressionanti copre un’area dalla quale emergono resti di muri a secco, fornaci, camminamenti, testimonianze di epoche durante le quali la grotta era rifugio e casa per una numerosa comunità. Il

A sera, intorno alle tipiche stufe cinesi, ci si ritrovava per commentare le nuove scoperte e pianificare il lavoro del giorno dopo

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Cultura fiume proveniente dalla valle entra nella caverna, l’attraversa e dopo aver oltrepassato il villaggio in rovina, nella parte più interna e più buia della grotta, si immerge tra i massi scomparendo. Proprio in questa cavità è stato deciso il test con la fluoresceina sodica; la sostanza, sciogliendosi nell’acqua, la colora di un bel giallo-verde brillante e diluendosi via via scompare alla vista. Ma anche tracce infinitesimali possono essere catturate da apposite “trappole” chimiche. Con questa tecnica, riversando nel fiume della grotta dell’Acqua Rombante la fluoresceina, si è scoperto che il fiume sotterraneo continua la sua corsa per diversi chilometri. Gli speleologi, scendendo in una cavità distante 3 chilometri, dopo aver superato vari pozzi ed attraversato gallerie, alla profondità di 270 metri hanno ritrovato il fiume sotterraneo… ancora colorato di verde! La scoperta del collegamento tra le due grotte è importante per chiarire le modalità di formazione di questi condotti sotterranei ed il loro andamento. In ultima analisi ciò permetterà di ricostruire il percorso dell’acqua e quindi prendere le opportune decisioni che potranno riguardare forme di tutela e controllo, come anche interventi strutturali utili alla posa di stazioni di presa dell’acqua per uso idropotabile. Nella ricostruzione di questo complesso mondo di acque sotterranee, una parte importante è stata giocata dai ricercatori del Museo di Verona che si sono de-

UNIVERSITÀ La cultura newyorkese tra le due guerre Conferenza del prof. Dan Schwarz il 30 marzo a Verona

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dicati ad analizzare la qualità delle acque utilizzando la tecnica dei cosiddetti “indici biotici”. In pratica si tratta di determinare la presenza o l’assenza di specie della fauna delle acque dolci, composta principalmente da animali appartenenti a gruppi quali gli insetti, i crostacei, i briozoi ed altri ancora. Con retini e altri strumenti di raccolta gli zoologi hanno campionato sorgenti, laghetti, fumi e torrenti, sia all’aperto che in grotta. Tra le maglie dei retini e nelle “trappole” sono finiti anche alcuni animali curiosi come alcuni coleotteri adattati alla vita cavernicola, completamente depigmentati, senza occhi, con antenne e zampe lunghissime. Questi animaletti sono carnivori e nel buio totale delle grotte vanno a caccia dei pochi altri esseri che osano vivere in un ambiente così povero di sostanze organiche. Gli scienziati hanno calcolato che approssimativamente il numero delle specie cavernicole conosciute sia pari al 10% delle specie realmente esistenti; l’inquinamento di acque sotterranee può provocare la scomparsa di animali come que-

sti, particolarmente sensibili alle più piccole variazioni ambientali, prima ancora che vengano scoperti dalla scienza. Le grotte ed i loro curiosi ospiti sono inoltre una fonte preziosa di informazioni sulle vicende ecologiche di tempi remoti; rappresentano infatti degli ambienti rifugio, le cui faune ci testimoniano l’alternanza delle fasi climatiche nel passato. L’attività di campionamento e raccolta in 31 grotte della zona di Hong Lin ha portato alla catalogazione di ben 70 specie animali e vegetali, delle quali almeno quindici risultano nuove per la scienza. Tra la fauna di grotta, oltre ai citati coleotteri cavernicoli (5 nuove specie ed 1 genere), sono stati trovati anche una nuova specie di collemboli, due specie nuove di ortotteri e due specie nuove di pesci. Tutto il materiale è attualmente in fase di studio sistematico da parte di un’equipe congiunta italiana e cinese. L’analisi degli “indici biotici” ha mostrato una diversità faunistica dell’area piuttosto bassa negli ecosistemi esterni, mentre sembra essere senz’altro più alto il valore della bio-

diversità all’interno delle grotte. La composizione faunistica, cioè l’insieme di tutti gli animali raccolti, è nel complesso influenzata da fattori d’inquinamento; è frequente per esempio l’uso di scaricare i liquami degli allevamenti familiari di maiali direttamente nei torrenti. Tuttavia la presenza degli agenti inquinanti nell’acqua non ha ancora provocato alterazioni irreversibili nel sistema naturale. Sarà interessante capire se, alla luce di questi dati, la comunità locale cinese si attiverà per ridurre o eliminare questi fattori d’inquinamento ambientale. Recentemente il governo centrale, dopo i disboscamenti selvaggi degli ultimi 50 anni, ha invitato la popolazione ad una maggiore salvaguardia dei boschi, offrendo nel contempo incentivi economici per il rimboschimento agli agricoltori. Tutti i dati raccolti, topografici, analisi chimico-fisiche delle acque, dati di prelievi e raccolte faunistiche e botaniche, sono stati introdotti in database informatizzati e verificati sul posto: l’ausilio di quella che oggi è diventata l’Information Communication Technology (ICT) ha permesso di ottimizzare i tempi e di ridurre gli errori. A far compagnia alle nuove tecnologie è comparso anche il sito Web dedicato alla spedizione 2003 (www.progettoguizhou.it), ma che raccoglie anche dati e notizie sulle precedenti spedizioni. Al suo interno è possibile visionare un ricco portfolio fotografico.

Il prof. Dan Schwarz, studioso di letteratura e insegnante alla Cornell University (USA), il 30 marzo sarà a Verona per tenere una conferenza agli studenti dell’Università sulla cultura newyorkese tra le due guerre, a partire dall’opera di Damon Runyon, figura minore ma centrale di quel periodo, che ha avuto un influsso fortissimo sulla cultura europea. Runyon, conosciuto soprattutto per il romanzo Bulli e pupe da cui venne tratto il film Angeli con la pistola di Frank Capra, è in realtà una figura poliedrica: reporter giudiziario, opinionist e giornalista

sportivo, contribuì a creare l’immagine di New York e della sua cultura in America e oltre, diventando uno dei personaggi più di spicco sulla spumeggiante scena newyorkese tra Grande depressione e Seconda guerra mondiale. L’aspetto più rilevante della sua poliedrica attività è forse la creazione di un linguaggio nuovo, di un inglese non solo tipicamente americano ma specificamente newyorkese: un’invenzione che è giunta fino a noi con la calata dei personaggi di Puzo o di Woody Allen e, più di ogni altro, di quel Robert De Niro che è stato per

molti anni la voce del regista Scorsese e delle sue ossessioni italo-newyorkesi, almeno per chi di noi ha potuto goderselo in una versione non doppiata. Proprio per via di questa notevole capacità di creare una lingua nuova, che mescolava i fulgori di Broadway con il gergo dei gangster, il linguaggio della radio e del vaudeville con quello del giornalismo sensazionalistico dei quotidiani, Dan Schwarz parlerà, a partire dal suo studio Broadway Boogie Woogie. Damon Runyon and the Making of the New York City Culture (2003) agli studenti della

Il pesce fa parte di una nuova specie scoperta in Cina tra la fauna di grotta

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Cultura VERONA

Le origini dei Salgari Un’antica pergamena riconduce la casata dello scrittore al Castello padovano di Salgaro e nomina i servizi resi a Firenze, al Papato e alla Serenissima

È stato trovato un documento, una pergamena araldica, che riportando uno stemma con tanto di chiavi fa derivare la casata dei Salgari dal castello di Salgaro, nel padovano, ne attesta l’appartenenza alle arti di Padova fin dall’età comunale e nomina i servizi resi in favore di Firenze, del Papato e di Venezia Serenissima. È questo il frutto delle ricerche di Francesco Quintarelli, che è stato sindaco e preside a Negrar, dove Emilio Salgari passava le vacanze da bambino. Quintarelli è anche membro acquisito della famiglia Salgari: la moglie Emilia, infatti, portava il cognome dell’illustre scrittore nato a Verona nel 1862. Il professore ha consultato gli archivi pubblici, ha cercato in vecchie cassapanche e granai privati, ricorrendo anche alla memoria storica di tutto il parentado, ed è uscita questa novità che ci aiuta ad inquadrare meglio le origini

del padre di Sandokan e dei Tigrotti della Malesia, del Corsaro Nero, della Scotennatrice e di un’infinità di personaggi che furono cari a parecchie generazioni di giovani. Nel 1825, sotto l’imperial regio governo, la famiglia Salgari era benestante. Possedeva terre in Valpolicella, a Tomenighe di Sotto, fra San Vito e San Peretto e aveva un appezzamento d’una settantina di campi. Qui si coltivava la buona terra da vigna, si produceva il vino, si allevavano e lavoravano i bachi da seta. In città i Salgari gestivano un paio di lucrose attività: un servizio di vetturale, con cavalli e vetture, e l’Osteria all’Ortolan, celebrata da gastronomi e viaggiatori. Il bisnonno di Salgari ebbe 10 figli fra cui vennero divise queste proprietà. Al nonno del romanziere, Paolo, toccarono metà degli edifici della vecchia casa di Tomeni-

facoltà di Lingue, grazie alla collaborazione tra il Centro linguistico di ateneo e l’Ufficio Affari culturali dell’ambasciata americana a Milano, dello slang della New York dei locali jazz, delle redazioni dei giornali, del mondo dello sport e del crimine. Non a caso gli stessi americani hanno coniato il termine ‘runyonese’ per definire la variante newyorkese dello slang, che proprio da questo scrittore ha ricevuto una spinta tuttora visibile nei neologismi e nei colloquialismi che infarciscono l’inglese di oltreoceano. Come molti studiosi americani di

letteratura, Dan Schwarz ha orientato la ricerca in direzioni apparentemente molto diverse, in realtà tutte legate alla modernità. Dai suoi libri emerge infatti una conferma degli effetti a tutto campo che la modernità ha avuto sulla storia del Novecento: se da una parte ha segnato una svolta per il jazz, per la letteratura e per la storia dell’arte, dall’altra ha prodotto i campi di sterminio, secondo una tesi che aveva già articolato qualche anno fa Bauman, con un libro intitolato per l’appunto Modernità e olocausto. I lavori di Schwarz sono dunque de-

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Lo stemma dei Salgari

ghe, con una ventina di campi di terra, e il servizio cittadino di vetturale. Suo fratello minore, Luigi, rimanendo sul posto, conservò invece lo stemma (probabilmente derivato da una frequentazione degli antenati a piccole cariche di dignità locale), tenne i campi in località Colonel di San Vito, lungo il Progno di Negrar, dove si rifece

dicati ad analizzare testi specifici e a fare storia della cultura in senso lato, ma non nel senso spesso infantile dei Cultural studies, che si dedicano agli oggetti più disparati per riconoscervi le coordinate di culturali di un gruppo. L’opera forse più nota di Schwarz è Immaginare l’olocausto, uscita negli Stati Uniti nel 1999: che ruolo ha l’immaginazione letteraria per mantenere vivo il ricordo dei campi di sterminio? Più ci allontaniamo dall’epoca in cui quei fatti si svolsero, e più i racconti che ne parlano assumono toni anti-realistici o la forma di para-

la casa che i suoi discendenti conservano ancora, insieme alle antiche attività vitivinicole. Un altro interessante documento ottocentesco venuto alla luce è la pianta della grande corte di Tomenighe che ci mostra un luogo sicuramente frequentato dal giovane Emilio nei suoi frequenti soggiorni in Valpolicella presso il parentado dove visse estrosi sogni infantili. Arrampicato sul culmine della torretta di casa sicuramente Emilio resistette ad assedi infernali di turpi colonialisti inglesi e di arrembanti ciurme saracene. In questi luoghi si misurò col reale la sovrabbondante capacità del giovinetto di lasciar libero sfogo alla fantasia, probabilmente di trascinarvi dentro i compagni, portandoseli a spasso nel mito, come poi farà con generazioni di entusiasti. Michele Gragnato

bole. Oltre ai racconti classici di quell’esperienza (Levi, Wiesel, Anna Frank), il volume affronta tra gli altri testi di Borowski, Heresy, Kosinski, Styron, Aplefeld e Ozick, autori che vantano anche numerose traduzioni italiane, e due film emblematici: Shoah di Lanzmann e Schindler’s List di Spielberg. (s. f.)

Dan Schwarz “Broadway Boogie Woogie”. Martedì 30 marzo, ore 8.45-10 Aula 2.5 - Università di Verona.

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Spettacoli VERONA - CAMPLOY

“Lo straniero” di Camus celebra l’indifferenza Lunedì 29 marzo in scena la vicenda di Meursault, il modesto impiegato protagonista del romanzo uscito nel 1942. Uccide senza ragione apparente un uomo e si lascia poi condannare a morte, evitando ogni giustificazione, con la massima indifferenza

Marco Baliani è Meursault

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di Enrico Linaria Lunedì 29 marzo al teatro Camploy è in programma Lo straniero di Albert Camus nell’interpretazione di Marco Baliani. Straniero non significa forestiero. Per Camus straniero vuol dire estraneo a se stesso, indifferente. Meursault, il modesto impiegato protagonista del romanzo uscito nel 1942, uccide infatti senza ragione apparente un uomo e si lascia poi condannare a morte, evitando ogni giustificazione, con la massima indifferenza. Stesso stato d’animo dei protagonisti degli Indifferenti (1929) di Moravia dove situazioni, che farebbero rivoltare un morto nella tomba, non provocano indignazione alcuna. Nel nostro immaginario di italiani, Meursault ha il volto di un quarantatreenne Marcello Mastroianni, diretto da Luchino Visconti nel 1967, in un film piuttosto opaco dove poco c’è dello spirito di Camus e poco si sente la sua poetica dell’assurdo tesa a evidenziare l’inumanità dell’uomo. E ora, quasi quarant’anni dopo Mastroianni, Meursault ha il volto di Marco Baliani che reduce del successo “teatro di narrazione” col suo Kholhaas del 1989, si è rivelato eclettico attore di cinema e teatro, valente regista e apprezzato autore: tra i suoi libri nati da eventi teatrali segnaliamo Francesco a testa in giù (Garzanti, 2000) e Corpo di stato (Rizzoli, 2003). La chiave di lettura che Baliani dà del capolavoro portato in scena, ce la spiega lui stesso: «Lo straniero di Camus è uno di quei racconti di vita che da tempo abitano un mio speciale giardino, un luogo in cui coltivo particolari “amicizie” e “parentele”, dove vado disegnando negli anni una mia mappa segreta di riferimenti e tesori. Questa terra, abitata da alcuni artisti e dalle loro opere, continua a produrre frutti nutrendomi spirito e corpo in forme

molto concrete». E aggiunge:«Non è un campo vasto, deve poter avere un limite che permetta anche delle esclusioni; i confini sono labili e transitori. Non ho mai amato i confini, ma la terra non può contenere tutti, va scelta ed eletta. Camus è uno di quelli che hanno messo radici da quercia, profonde, solide. E questo è ben strano perché il suo Straniero sembrerebbe non trovare pace né dimora essendo per sua natura estraneo e nomade e non dovrebbe fermarsi in un posto: invece è lì fin da quando ho cominciato ad arare il campo nella mia giovinezza artistica, quando ho sentito che non ero solo in questo mondo e che potevo proteggermi e parlare coltivando speciali incontri e amicizie». Baliani spiega: «Nell’accingermi all’impresa di divenire per un po’ io stesso “straniero”, cerco di immaginare chi dei miei abitanti possa leggere insieme a me le pagine di Camus. Penso al vecchio Melville, seduto su un fagotto intento a sfogliarne le pagine, perdendosi in quella scrittura così essenziale e lucida, così lontana dalla sua. Dietro di lui in piedi, come sempre di passaggio, sta Pavese, lì che sorride delle reazioni del vecchio baleniere. E più in là Bacon che, sporco di colore, traccia schizzi di tutte e due. Insomma a giudicare da come vedo consumate e ingiallite le pagine, questo Straniero se lo devono essere passato di mano in mano e di occhio in cuore tutti gli abitatori del mio giardino, al punto che non è più un libro ma una vita, non più personaggio ma persona, perché la vita, a saperla raccontare, fa di ciascuno di noi un personaggio».


Spettacoli VERONA - FILARMONICO

Un atto d’amore per due atti di genio In Così fan tutte, in scena dal 16 al 24 aprile, il regista Battistoni che concluse l’opera fa rivivere Mozart e Strehler. Direttore è il maestro Gustav Kuhn

di Giorgia Cozzolino «Senza clamore, senza mondanità, semplicemente con uno straordinario raccoglimento». È in questo modo che Strehler descrisse l’inizio delle prove di Così fan tutte, opera in cartellone al Teatro Filarmonico dal 16 al 24 aprile per la regia dello stesso Strehler, ripresa da Carlo Battistoni e diretta da Gustav Kuhn. Dopo aver messo in scena il Don Giovanni e Le Nozze di Figaro, il fondatore del Piccolo Teatro intraprese la preparazione della terza opera mozartiana con lo spirito di chi è intento a compiere un grande “atto d’amore”. Un “atto” non nel senso teatrale, colmo di astuzie istrioniche e plateali, ma un “atto” umano che, raddoppiandosi sulla scena, vuole appunto donare un po’ di feli-

Il maestro Gustav Kuhn

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cità. Si arrivava così, per Strehler, al senso di un Nuovo Teatro d’Arte: «L’arte contro il disumano, il male e tutto ciò che di basso a ogni ora ci circonda». Oggi, lo spettacolo torna a calcare le scene diretto da Carlo Battistoni, successore naturale e morale di Strehler. Toccò infatti a questo straordinario regista il compito di concludere l’opera e oggi quello di riproporla. «Aveva un’affinità particolare con Mozart» spiega Battistoni parlando dell’amico regista con il quale condivise i sipari per oltre venticinque anni. E aggiunge: «Solitamente lavorava per punti drammaturgici, centri focali che venivano prima di ogni cosa perché in essi vedeva gli snodi dell’opera. Con Mozart no: faceva tutto in rigorosa sequenza, dalla prima all’ultima scena, condivideva e si ritrovava in ogni particolare». Battistoni mantiene invariato, sep-

«L’arte contro il disumano, il male e tutto ciò che di basso a ogni ora ci circonda» Il regista scomparso Giorgio Strehler

pur maturato, il nucleo storico di Così fan tutte: «I contenuti della regia, i rapporti dei personaggi sono quelli immaginati dallo stesso Strehler» spiega il regista «È uno spettacolo magico e di ferrea coerenza, che ancor oggi commuove e soggioga il pubblico». Con Così fan tutte Strehler inaugurò un nuovo modo di portare in scena l’opera lirica. Innovativo era del resto anche il lavoro della coppia Mozart - Da Ponte che, rispetto ai due precedenti Nozze di Figaro e il Don Giovanni, si differenziava notevolmente. In Così fan tutte non c’è un incisivo, ironico ed arguto disegno psicologico dei personaggi principali, che sono in realtà soggetti di studio con i quali giocare osservandone gli effetti dall’esterno. Solo Don Alfonso e Despina, veri burattinai della trama, sono personaggi vivi e reali. Non c’è nemmeno il sentimento rivoluziona-

rio del Figaro né il carattere demoniaco del Don Giovanni, si tratta per lo più della copiatura burlesca dell’opera seria. Così fan tutte fu commissionato dall’imperatore Giuseppe II, noto per la sua passione teatrale, alla coppia Da Ponte - Mozart i quali sfruttarono la vena licenziosa gradita al sovrano per sbaragliare la concorrenza. Se in Figaro l’indiscrezione era ancora guardinga, in Don Giovanni era divenuta imprudente, nonostante il finale punitivo che disorientò i moralisti. In Così fan tutte l’invadenza divenne invece sfacciata. Non era la radice sociale della sfida ad istigare il librettista Da Ponte. A trascinarlo era il gioco d’azzardo sulla fortuna scenica, che aveva per posta un trionfo musicale. Una scommessa che, dalla prima rappresentazione del 20 febbraio del 1790 e da quella più fortunata di Strehler del 1998, sembra vinta.

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Spettacoli MUSICA

Nicola Guerini giovane talento Dirige l’Orchestra Archi Filarmonici e l’Orchestra da camera Franco Faccio. Il debutto a 24 anni con una fiaba per ragazzi

Anche Verona ha i suoi artisti di talento. Uno di questi è Nicola Guerini, giovane compositore, direttore d’orchestra e apprezzato interprete di pianoforte e organo. Guerini dirige l’Orchestra Archi Filarmonici e l’Orchestra da camera Franco Faccio con le quali è impegnato in manifestazioni prestigiose e collaborazioni con le associazioni culturali interessate nella riscoperta di pregevoli opere del passato.

«La direzione d’orchestra richiede una notevole preparazione analitica e un costante approfondimento stilistico del linguaggio»

«Ho sempre avuto molto acceso l’interesse per la direzione d’orchestra – spiega Guerini –. Ho debuttato a 24 anni dirigendo una fiaba per ragazzi commissionata dalla Fondazione Arena di Verona alla Scuola Sperimentale di composizione; da quel momento ho capito che quell’esperienza fantastica sarebbe stata per me l’inizio di un cammino di ricerca e di studio per la mia futura vita artistica». Dopo aver concluso brillantemente il Corso Superiore della Scuola Sperimentale di composizione al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano con il M° Umberto Rotondi, Guerini perfeziona i suoi studi seguendo il Corso Superiore di Musicologia. Dal 1992 frequenta corsi di direzione d’orchestra in Italia (Siena, Roma, Pescara, Milano) e all’estero (Lienz, Barcellona e Vienna). «La direzione d’orchestra raccoglie un mondo affascinante ma molto impegnativo che richiede una notevole preparazione analitica e un costante approfondimento stilistico del linguaggio – spiega il musicista –. Poi c’è tutto un sottobosco emotivo e psicologico che si affronta nel momento in cui si lavora con l’orchestra per raggiungere il risultato estetico del suono attraverso il “sentire” ontologico e poetico del direttore». Nel 1994 il giovane artista segue un importante stage sulla musica del Nove-

L’Orchestra Archi Filarmonici

cento storico tenuto dal M° Valdambrini, preparando la direzione de L’Histoire du soldat di Stravinsky e l’opera n° 5 di A. Webern. Nell’aprile 1995 debutta in veste di compositore e direttore d’orchestra al teatro Nuovo di Verona, nell’ambito del Festival di Primavera, con l’opera in prima assoluta, dal titolo Zaabok, commissionata dall’Ente Lirico alla Scuola Sperimentale di Composizione di Verona. Nell’estate del 1995 segue l’allestimento de Il Flauto Magico di W. A. Mozart in qualità di assistente del direttore d’orchestra austriaco Ralf Weikart al teatro Municipal Victoria Eujenia di S. Sebastian (Spagna). Nel dicembre del 1996 l’Accademia Filarmonica di Verona gli commissiona la revisione critica della partitura manoscritta di un’opera del Settecento veneto del compositore veronese Giuseppe Gazzaniga dal titolo L’isola d’Alcina, che sarà poi da lui diretta in prima esecuzione moderna (dopo 200 anni dall’ultima rappresentazione) nell’ambito della

rassegna “Musica & Musica” il 1° e il 5 settembre 1997 nel Cortile del Mercato Vecchio di Verona. L’incontro con il M° Luis Salomon Guerini lo ricorda come il momento più significativo del suo percorso: «A lui devo molto per l’alto valore pedagogico, artistico e per i consigli e l’appoggio che un giovane direttore cerca nella fase della formazione». Dal 1997 Guerini è docente di pianoforte, di Storia ed Estetica della Musica presso il Centro Studi Musicali di Verona, dove dal 2002 ha inaugurato un Laboratorio Sperimentale di Composizione. «Il mio impegno più grande – conclude il giovane artista veronese – è quello di introdurre sempre più nei miei programmi tutto quel repertorio che è ancora ignorato dal grande pubblico. Con il trio Eikasia lavoro da anni su Novecento e linguaggio contemporaneo accorgendomi che il pubblico di oggi non trova più questo mondo “illeggibile” ma si accosta con curiosità e interesse». (g.m.)

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Mostre VENEZIA

Salvator Dalì a Palazzo Grassi A 100 anni dalla nascita, da settembre 2004 a gennaio 2005 una mostra dedicata all’eccentrico artista catalano “Il creatore di moda”

di Maria Grazia Tornisiello Per celebrare i cento anni dalla nascita del pittore Salvador Dalì da settembre 2004 a gennaio 2005 Palazzo Grassi, a Venezia, ospiterà una mostra monografica dedicata all’arte dell’eclettico ed eccentrico artista catalano. La mostra, organizzata nel quadro delle manifestazioni previste in collaborazione con il ministero della Cultura spagnolo, ospiterà oltre centocinquanta dipinti ad olio provenienti dalle collezioni della Fondazione e del Centro de Arte Reina Sofia di Madrid. Molte opere proverranno anche dal Museo Dalí di St. Petersburg in Florida e da collezioni pubbliche

Il Surrealismo riconsidera la componente irrazionale della creatività umana e la volontà di esprimere, attraverso l’arte, le manifestazioni del subconscio

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“L’uomo di Legge”

e private di tutto il mondo. La rassegna sarà curata da Dawn Ades, un’autorità internazionale nel campo degli studi daliniani, con la collaborazione di Montse Aguer, direttrice del centro studi della Fondazione Gala-Salvador Dalí di Figueras. Dopo Palazzo Grassi la mostra sarà ospitata al Philadelphia Museum of Art, negli Stati Uniti. Salvador Felipe y Jacinto Dalì nasce l’11 maggio 1904 a Figueres, nella provincia catalana di Gerona, in Spagna e sin da piccolo si mostra un bimbo ricco di immaginazione: ama fantasticare, popolando la sua vita di figure immaginarie e di segni avvertiti come predestinazioni alla gloria. Dalì è bravo nel disegno, ha talento per la pittura e nel 1921, alcuni mesi dopo la morte della madre, viene ammesso all’Acca-

demia d’Arte di S. Fernando a Madrid, dove stringe amicizia con Federico Garcìa Lorca e il regista Luis Buñuel con il quale, qualche anno più tardi, collaborerà alla regia del film Un chien andalou a Parigi. Ed è proprio nella capitale francese che, nel 1929, Dalì conosce Gala, sua futura compagna di vita e musa ispiratrice e, sempre nello stesso anno, aderisce al movimento surrealista di Andrè Breton. Il Surrealismo è un movimento artistico-letterario che nasce ufficialmente in Francia nel 1924 con la pubblicazione del Manifeste surréaliste, dove André Breton definisce questa corrente come un «automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale». Il Surrealismo può essere considerato come un’evoluzione del Dadaismo ma, al contrario di quest’ultimo, che si poneva come obiettivo di abbattere tutte le “restrizioni” artistiche radicate da secoli, il Surrealismo attribuisce all’arte un ruolo edificante suggerito dall’interiorità dell’uomo. Gli aspetti fondamentali del pensiero surrealista sono la riconsiderazione della componente irrazionale della creatività umana, la volontà di esprimere attraverso

l’arte le manifestazioni del subconscio e il rifiuto della logica umana e delle restrizioni della civiltà a favore di una totale libertà di espressione. Sono rivalutati il sogno, l’irrazionalità, la follia, gli stati di allucinazione, cogliendo l’essenza intima della realtà, oltre la realtà stessa. È nelle arti figurative che si hanno i più grandi successi del Surrealismo, dove la fusione tra realtà e sogno si esplica nel libero accostamento di materiali diversi. Dalí, con la sua pittura illusionistica, fondata su un’intensa concentrazione di immagini legate ad ossessioni di castrazione, putrefazione, impotenza aderisce al Surrealismo anche se in modo molto personale. Infatti dopo frequenti dissapori con il gruppo, a volte anche violenti, nel 1939 si compirà la sua rottura definitiva con il movimento. In una sua famosa dichiarazione, durante un’intervista, alla domanda del giornalista che gli chiedeva cosa fosse il Surrealismo, Dalí rispose: «il surrealismo... sono io!» Salvador Dalì muore il 23 gennaio del 1989 a causa di un colpo apoplettico, nella torre Galatea del suo Castello di Pùbol, dove ormai risiedeva stabilmente dopo la morte di Gala. Viene sepolto nella cripta del Teatro-museo Dalì, a Figueras. Nel suo testamento lascia allo Stato spagnolo tutte le sue opere e tutte le sue proprietà.

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Mostre Rimarrà aperta fino al 12 aprile la prima Antologica dedicata allo scultore neoclassico Antonio Canova, allestita a Possagno (Treviso), dove l’artista nacque nel 1757, e a Bassano del Grappa (Vicenza). Promossa dai due comuni, dalla Fondazione Canova, insieme al ministero per i Beni e le Attività culturali e alla Regione Veneto, la mostra è curata da Sergej Androssov, Mario Guderzo e Giuseppe Pavanello e resa possibile anche grazie alla collaborazione del Comune di Bassano con il Museo statale Ermitage di San Pietroburgo, che per l’occasione ha prestato sette statue della più importante collezione al mondo di marmi canoviani. Il Neoclassicismo nasce nella seconda metà del ’700 in seguito ad alcune importanti scoperte archeologiche del tedesco Giovanni Gioacchino Winckelmann e si propaga subito all’arte e alla letteratura. “Una calma grandezza”, “una nobile semplicità”: la forza del gusto neoclassico sta in quell’armonia spirituale e umana che viene platonicamente riconosciuta come bellezza ideale e carattere fondamentale dell’età antica, in opposizione al Barocco e alle sue eccessive estrosità. Quest’ultimo era stato un movimento complesso, virtuosistico, sensuale; al contrario, il Neoclassicismo vuole essere semplice, genuino, razionale. Il Barocco proponeva le immagini delle cose che nascondevano, nella loro bellezza esterna, le brutture interiori; il Neoclassicismo non si accon-

POSSAGNO - BASSANO

Canova e il bello ideale Dall’Ermitage di San Pietroburgo sette statue della più importante collezione di marmi canoviani La mostra chiude il 12 aprile

tenta della sola bellezza esteriore, vuole che questa corrisponda ad una razionalità interiore. Il Barocco perseguiva effetti fantasiosi e bizzarri, affidandosi all’estro e all’immaginazione, mentre il Neoclassicismo va alla continua ricerca di equilibrio e di simmetria seguendo norme precise. L’Italia ebbe un ruolo determinante nella nascita del Neoclassicismo rappresentato non solo dalle sculture di Canova, ma in letteratura da autori come Pindemonte, Foscolo, Monti e Giordani. Questa corrente culturale ebbe caratteri ambivalenti: nella sua forma più diffusa penetrò nella moda, nel costume, divenne gusto di scenografie spettacolari o solenni e serviva a celebrare col travestimento di una romanità stilizzata i fasti del regime napoleonico. Viceversa la storia antica per alcuni servì a riscoprire quei valori etici e morali di alto

contenuto civile in grado di suscitare gli ideali irrequieti e passionali del Romanticismo e del Risorgimento. Nel 1779 Canova compì il suo primo viaggio a Roma, dove svolse la maggior parte della sua attività conquistandosi la stima dei papi e di Napoleone Bonaparte. Nel 1798 fece ritorno a Possagno dove si dedicò alla pittura. Qui, nel luglio del 1819, tre anni prima della morte avvenuta il 13 ottobre 1822 a Venezia, pose la prima pietra del Tempio, dove è sepolto. Due sono le tipologie principali dei soggetti delle sculture del Canova: da un lato le allegorie mitologiche di Teseo sul Minotauro, Amore e Psiche, Ercole e Lica e Le tre Grazie, dall’altro i monumenti funebri di Clemente XIV, Clemente XIII e Maria Cristina d’Austria. Da vedere nelle mostre di Possagno e Bassano del Grappa opere mai esposte prima d’ora in Italia, come la Pace da Kiev, la Venere da Leeds o la Polimnia da Vienna. La storia di quest’ultima scultura in particolare è legata alle vicissitudini politiche dei primi anni dell’Ottocento. La statua, commissionata nel 1812, raffigurava Elisa Bonaparte Baciocchi grandu-

chessa di Toscana. Canova tuttavia la terminò solo nel 1815, dopo la caduta di Napoleone: alla scultura venne allora eliminato ogni riferimento realistico, furono idealizzati i tratti del volto e l’opera poté essere compresa nell’omaggio delle province venete alla nuova imperatrice d’Austria, alla quale l’origine della statua fu naturalmente celata. Maria Grazia Tornisiello

Per informazioni: tel. 0423544323; fax 0423922007 e-mail: gipsoteca@libero.it

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Libri

Critica d’arte in guerra La Grande Guerra rivisitata da un’angolatura inusuale: quella delle opere d’arte lesionate o distrutte, ma anche protette e difese per ragioni di propaganda

Marta Nezzo Critica d’arte in guerra. Ojetti 1914-1920 Edizioni Terraferma pp. 176, euro 20,00 Marta Nezzo è nata a Verona nel 1966, ha studiato Storia dell’arte all’Università di Padova e alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Attualmente svolge ricerche presso l’Ateneo patavino. L’autrice, col suo Critica d’arte in guerra. Ojetti 1914-1920, rivisita la Grande Guerra da un’angolatura inusuale: quella della sorte delle opere d’arte, distrutte, lesionate, ma anche

Ugo Ojetti, critico d’arte del Corriere della Sera, ben comprende l’enorme potenziale suasorio delle immagini e lo sfrutta per veicolare messaggi

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protette e difese. Apre su un evento di dirompente gravità, con relativo battage sulla stampa europea: il bombardamento tedesco della cattedrale di Reims nel ’14. In Italia se ne occupa Ugo Ojetti, critico d’arte del Corriere della Sera, che inizia una virulenta campagna antigermanica accusando Bode, direttore dei musei berlinesi, di aver suggerito il cannoneggiamento per non esser riuscito ad appropriarsi di alcuni importanti capolavori francesi. E se, durante una visita alla cattedrale in compagnia di D’Annunzio, Ojetti sarà turbato a sua volta dal “sadismo estetico” del Vate, come giornalista ben comprende l’enorme potenziale suasorio delle immagini e lo sfrutta per veicolare messaggi. In un’Italia in cui la propaganda ancora non c’è, la vediamo germinare e svilupparsi attraverso le pagine di questo personaggio, futuro regista di tanta politica culturale fascista. Arruolatosi, fa da tramite fra il ministero della guerra, la direzione generale delle arti e le sovrintendenze, per la protezione e rimozione delle opere in pericolo. E poiché quest’ultima pratica è vista con sospetto dalla popolazione, che si sente derubata, trasforma i trasporti in eventi mediatici e liturgie laiche. Alla traslazione dell’Assunta di Tiziano da Venezia fa ala il popolo; dopo la distruzione del soffitto di Tiepolo agli Scalzi, Ojetti vuol riaprire la chiesa per sacralizzare il luogo devastato e nel 1917, sulle pagine de Illustrazione Italiana, spettacolarizza per immagini le difese padovane dell’altare del Santo e del Gattamelata. L’ostensione dei monumenti,

mascherati da impalcature e saccate, coinvolge emotivamente il pubblico e ne rinsalda gli ideali patriottici. Dopo Caporetto gli eventi precipitano e sempre più il volto dell’arte rimanda a significati ulteriori, veicola ragioni e mistificazioni politiche. Significativo il commento ojettiano al bombardamento del duomo di Padova: «Tutta la cima della facciata a terra, un monte di sassi e di mattoni: danni riparabili, ma ottimo per la propaganda contro questa canaglia». E un suo appunto recita: «La propaganda più efficace è quella per gli occhi: fotografie, cinematografie, disegni, manifesti. Essa sola raggiunge gli analfabeti, i pigri, i distratti: cioè il pubblico». Su tale linea, nel libro dedicato ai Monumenti italiani e la guerra (1917), arriva ad articolare

il racconto affidandosi quasi esclusivamente al collante visivo: i monumenti feriti diventano metafora di un’aggressione al corpo della nazione che con essi si identifica. Il sottile cambiamento che Marta Nezzo mette in luce riguarda il passaggio dalla propaganda attraverso l’arte alla propaganda dell’arte come forma della persuasione; un’arte antiavanguardistica, narrativa, in armonia (e non in tensione) con la grande tradizione del Rinascimento. È il ritorno all’ordine europeo nella sua accezione più reazionaria, che condurrà ai concorsi a tema del premio Cremona negli anni della Seconda guerra mondiale. Giuliana Tomasella Docente di Storia della critica d’arte, Facoltà di lettere e filosofia Università di Verona

Le Baccanti Tragedia di Euripide reinterpretata da Luca Dorizzi Edizioni Bonaccorso pp. 60, euro 9,00

centi del calibro di Arnoldo Foà) e, più recentemente, i laboratori di regia e drammaturgia organizzati dallo Iuav di Venezia, con la partecipazione di famosi registi, fra cui Luca Ronconi, ed infine gli stages presso il “Piccolo” di Milano (per seguire la ripresa dell’allestimento del Prometeo incatenato di Eschilo) e “La Fenice” di Venezia (per il Marin Faliero di Donizetti). «Il Teatro delle origini, e in particolare la Tragedia, hanno sempre esercitato su di me un fascino particolare» spiega Dorizzi «e ho interpretato come una specie di segno del destino il fatto di aver potuto seguire, nel maggio 2002

A Verona è stata recentemente pubblicata dall’editore Bonaccorso una re-interpretazione delle Baccanti di Euripide, a cura di Luca Dorizzi. Le esperienze di Dorizzi sono soprattutto di carattere teatrale: dagli inizi con “La Barcaccia” ai corsi tenuti da Dario Fo a Gubbio, e poi il diploma ottenuto presso la Scuola regionale di teatro di Padova (con do-

Marzo 2003


Libri Giovanni Rapelli Si dice a Verona 500 modi di dire del veronese Cierre edizioni pp 192, euro12,50

I modi di dire veronesi Esaminare questo particolare settore della comunicazione orale diventa un’operazione di archeologia

al Teatro Greco di Siracusa, l’allestimento, curato dal maestro Ronconi, del Prometeo incatenato di Eschilo, delle Rane di Aristofane e, per l’appunto, delle Baccanti di Euripide. L’interesse specifico per quest’ultima opera era però nato molto tempo prima, dopo lo studio della Nascita della tragedia di Nietzsche e di vari testi di argomento dionisiaco». Da qui l’idea di esordire come scrittore-traduttore con Le Baccanti, senza dubbio una sfida, perché si tratta di un testo problematico ed enigmatico, sia per i contenuti – il cui filo conduttore è quello della razionalità di fronte all’irrazionale, o, come di-

in VERONA

Cos’è un modo di dire? L’autore di questo libro la definisce una locuzione che non avrebbe nessun senso, o ben poco, se venisse interpretata letteralmente. I modi di dire contengono riferimenti ad avvenimenti, persone, usanze, tradizioni, oggetti spesso oggi difficilmente afferrabili. Nel caso di parole singole, oltre a queste considerazioni, vanno aggiunti i fattori fonetici che portano alla contrazione di più termini in uno solo. Per parlare bene una lingua non basta imparare il maggior numero di vocaboli possibile e cercare di riprodurre al meglio i suoi fonemi. È importante anche conoscere i suoi modi di dire, senza i quali la comunicazione diventerebbe monotona e povera di spirito. Pensiamo, per esempio, all’inglese it’s raining cats and dogs “piove a dirotto” (che letteralmente varrebbe “piovono gatti e cani”), al russo pojtí po miru “stendere la mano, fare l’accattone” (letteralmente “andare per il mondo”), al giapponese o-naka ga suita “ho fame” (letteralmente “l’onorevole interno è diventato vuoto”), al catalano buscar tres peus al gat “cercare il pelo nell’uovo” (letteral-

mente “cercare tre peli al gatto”). In questo libro, che contribuisce a colmare una lacuna negli studi sul dialetto di Verona, Rapelli in primo luogo ha voluto fissare i numerosi modi di dire che arricchivano fino a un recente passato, e spesso ancor oggi, la parlata veronese. Secondariamente ha cercato di ricostruire le circostanze che ne hanno causato la nascita, dando quindi, ove possibile, l’etimologia della voce o delle voci principali. La maggior parte dei modi di dire trattati appartiene alla parlata della città, benché sia nota praticamente in tutto il territorio veronese. Il variegato quadro della vita del popolo come affiora da questi detti è di enorme interesse, per il ricercatore ma anche per il comune lettore. Non si tratta infatti di strutture espressive create in pochi decenni. Molti modi di dire risalgono a tempi antichi, e ci parlano di oggetti, persone e situazioni oggi non più esistenti. Esaminare questo particolare settore della comunicazione orale diventa quindi anche un’operazione di archeologia. L’autore distingue tra modi di dire e proverbi e avverte che tra i due c’è una fondamentale differenza. I primi comprendono una varietà di possibili espressioni, tutte metaforiche: il modo di dire è costituzionalmente il regno del traslato, del doppio senso, delle allusioni. I secondi sono sempre

composti di frasi complete, dal significato letterale generalmente comprensibile, e vengono sempre citati con intento esortativo, di monito, di consiglio, di avvertimento. Mentre nei modi di dire si scatena al massimo la fantasia popolare, utilizzando capricciosamente le parole per esprimere anche ciò che esse di per sé non potrebbero mai esprimere, nei proverbi abbiamo una sorta di codificazione della saggezza dei nostri antenati. Mentre i dialetti tendono ad avvicinarsi sempre di più all’italiano, soggetti come sono al costante martellamento del linguaggio della televisione, è piacevole constatare come assai di più resistano nella vita di tutti i giorni i modi di dire dialettali. Essi svolgono le benefiche funzioni di valvola di sfogo verbale in una situazione critica, di suggello a una discussione, di commento esortativo, saggio oppure comico, sarcastico o ironico, cinico o disincantato, perfido o di colorita integrazione di un discorso altrimenti noioso. Spesso i dizionari dialettali ne danno una traduzione vaga, o non li traducono affatto, limitandosi a dire, per esempio, “frase usata per esprimere disappunto”. Rapelli ha tentato qui di tradurli sia letteralmente sia nel significato specifico che viene loro attribuito nei contesti abituali attraverso una ricerca storica, ma anche etimologica.

rebbe Nietzsche, del conflitto fra “apollineo” e “dionisiaco” – che per lo stesso tessuto verbale, e perciò di difficile approccio per l’interprete. «In genere i traduttori, essendo dei letterati, non si pongono il problema della messa in scena; io non sono un letterato» spiega Dorizzi «e ho voluto riscrivere il testo pensando ad una sua possibile rappresentazione e, in primo luogo, agli attori che dovrebbero realizzarla. Si spiega, dunque, il termine “tradire lo spirito dell’opera”». Così si giustifica il termine “reinterpretazione”, con quel trattino che serve per evidenziare ancor più il concetto. Dal punto di

vista del drammaturgo, l’interprete per eccellenza è l’attore, la cui parola, non va mai dimenticato, è sempre indirizzata ad un pubblico. Ma molte traduzioni, pur pregevolissime dal punto di vista stilistico, si rivelano superate, oppure ostiche per l’attore/interprete e quindi di difficile comprensione da parte dello spettatore, che non riesce a cogliere pienamente il messaggio contenuto nel testo. Ecco perché ogni epoca, al fine di poter meglio comunicare l’essenza di un’opera, ha i suoi traduttori. «Per questo motivo» conclude Dorizzi «nel mio lavoro drammaturgico ho voluto semplificare il linguaggio,

rinunciando anche ad alcuni passaggi, probabilmente troppo ardui per il pubblico contemporaneo. Ho voluto predisporre un testo adatto ad essere rappresentato, che non avesse nulla di letterario ma fosse invece squisitamente teatrale. Peraltro questa tragedia, che è un po’ il canto del cigno di Euripide (venne infatti rappresentata postuma dal figlio del poeta nel 405 a.C.) e anche della grande stagione della tragedia attica iniziata da Eschilo e Sofocle, è l’unica superstite ad avere per protagonista proprio il dio del teatro, e cioè Dioniso».

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Libri

Il mondo dei bogoni Il volumetto si addentra nella storia e nelle tradizioni millenarie che accompagnano la vita degli abitanti di Sant’Andrea e delle loro lumache

A cura di Piero Piazzola Pro Loco “Sprea cum Progno” San’Andrea - Badia Calavena Sant’Andrea e i suoi “bogoni” Editrice La Grafica pp. 94

L’associazione Pro Loco di Sant’Andrea di Badia Calavena, dove si svolge il più antico mercato dei “bogoni” d’Europa, ha dato alle stampe un opuscolo che tratta del mondo della lumaca

L’associazione Pro Loco di Sant’Andrea di Badia Calavena, in occasione dei festeggiamenti per la celebrazione della secolare Fiera di Sant’Andrea del 2003, cui da secoli è associato il più antico mercato dei bogoni d’Europa, ha dato alle stampe un opuscolo di un centinaio di pagine, un lavoro che compendia, con semplicità e chiarezza espositiva, il mondo della lumaca (bogón). Un vademecum utile per addentrarsi nella storia, nelle tradizioni, nella gastronomia e nella poesia di questo gasteropode che, seppur piccolo, lento e un po’ impacciato ha saputo superare i grandi cataclismi geologici della Terra, giungendo fino ai nostri giorni indenne.

Si tratta di un libretto prezioso, curato con la consueta precisione da “La Grafica” di Vago, perché richiama la sapienziale trasmissione delle memorie di un mercato millenario che nel tempo ha associato il nome di Sant’Andrea, l’antica Sprea cum Progno, uno dei Tredici Comuni Veronesi di etnia cimbrica, a quello dei bogoni, fino a suggellare, qualche anno fa, lo sposalizio con l’inaugurazione, all’ingresso del paese, di un monumento alla chiocciola, opera in ferro battuto di un valente artista locale, Gino Bonamini. Vuole essere un plauso all’iniziativa e all’opera della Pro Loco che l’ha promosso e fatto curare da Piero Piazzola, che lo apre con una sua arguta introduzione storica, alla quale si sono aggiunti, col loro prezioso contributo, Aulo Crisma con la vera storia del paese, Edoardo Mori con la gastronomia e con le ricette della cucina d’altri paesi, Pietro Galletto, Antonio Cisamolo e Francesca Zappelli appassionati cultori pure loro delle tradizioni della nostra terra, ricca di storia e di antiche memorie, con alcune liriche, fresche e semplici, su un tema di tutt’altra sostanza. La raccolta puntuale delle ricette gastronomiche locali diventano quasi un motivo di riconoscenza

Contrattazioni per la compravendita di “bogoni”

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per il protagonista, il bogón, una bestiolina che ha tenuto viva e invitante una manifestazione per secoli. La Pro Loco Sprea cum Progno, dopo gli avvenimenti bellici che hanno sconvolto un po’ tutta la montagna veronese, e con lei anche la Lessinia, ha lavorato appassionatamente per anni, nel silenzio e nella serenità del luogo, per far tornare alla luce del sole l’antica manifestazione del 30 novembre, togliendo questa quasi millenaria patina di storia che vi si era depositata sopra e per ridarle prestigio e freschezza nuovi, pur nella diversità di tempi. Un modo per farla amare, in particolar modo dai veronesi, ma non solo, e farla conoscere in più vasti orizzonti, com’è avvenuto per tante altre manifestazioni di paese, provincia o regione. Il vademecum, come l’ha definito il sindaco di Badia, Stefano Valdegamberi, è arricchito da un discreto corredo di immagini d’epoca, in bianco e nero e a colori, che ripropongono il mercato e le sue usanze, il luogo e le sue offerte culturali. È un tascabile pulito e gradevole, anche graficamente, che offre lo spunto al lettore per scoprire e gustare gli aspetti locali, così come la ricostruzione del passato, e per riflettere sui possibili futuri sviluppi di una manifestazione che attira da sempre centinaia e centinaia di curiosi, di cultori delle tradizioni, di intenditori e di assaggiatori di piatti tipici, come quello, o quelli, dei bogoni che i ristoranti del luogo da secoli preparano.

Marzo 2003


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Salute SANITÀ

La Croce Verde a Verona Come nasce, le prime lettighe a mano, il servizio oggi

di Alessandra Motta Nel 2003 ha effettuato 50.441 servizi, di cui 12.614 di primo intervento attraverso il 118. Oggi la Croce Verde di Verona è una realtà strutturata con 1.823 soci, dispone di 32 mezzi, organizza corsi semestrali di formazione ed è dislocata in dieci sedi: 2 cittadine (Lungadige Panvinio e Borgo Venezia) e 8 provinciali: Castel D’Azzano, Cerro, Grezzana, Isola della Scala, Legnago, San Giovanni Lupatoto, San Pietro in cariano e Villafranca. Un traguardo che poggia su fondamenta robuste. Quella che è nata come “Società volontaria di assistenza pubblica” ha infatti supera-

to prove difficili, a partire da quelle pioneristiche della fondazione. Siamo agli inizi del ’900. Un piccolo gruppo di veronesi vorrebbe garantire un servizio moderno per il trasporto e la cura dei malati. L’idea è quella di un’associazione con un solo scopo: aiutare il prossimo. È con questo spirito che il 27 novembre 1909 nasce nel salone della Gran Guardia la Croce Verde, mentre l’inaugurazione avviene il 26 febbraio 1910 nella vecchia sede di Cortile Mercato Vecchio. I primi fondi vengono dal Comune, dalla Provincia e dalla Cassa di Risparmio. Ma non mancano gli aiuti della gente comune, come quello dei ferrovieri che nel 1911 offrono una bellissima lettiga a mano “di volata”, mentre la prima a motore è del 1919. Il 13 dicembre 1925 viene inaugurata l’attuale sede tra via Libera e lungadige Panvinio. Un’altra data

In alto: come erano le ambulanze nei primi anni del’900. La prima autolettiga a motore in dotazione alla Croce Verde di Verona è del 1919. A sinistra: alcuni mezzi oggi

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importante è il 21 febbraio del 1926, quando la Società Volontaria di Assistenza Pubblica Croce Verde ottiene, con decreto di Vittorio Emanuele III, la costituzione in ente morale. Questi uomini e donne che dedicano il loro tempo per cercare di strappare vite alla morte, anche nei momenti più difficili hanno saputo rimanere fedeli allo spirito di volontariato che li anima. Nel 1940 le difficoltà economiche e organizzative si fanno sentire e addirittura precipitano nel 1944 per il bombardamento della sede e per la sospensione della fornitura di carburante che blocca le tre autoambulanze. Nonostante questo la Croce Verde ha una posizione eroica e rassicura il Comune: «il servizio per i poveri non subirà sosta alcuna, perché in una maniera o nell’altra, magari con le vecchie lettighe a mano, si provvederà alle necessità più urgenti». Si giunge così alla fine della guerra, privi di mezzi per il proseguimento dell’attività. Un primo segnale di risveglio viene dal Comitato di Liberazione che mette a disposizione una radio (bottino di guerra) “bisognosa di riparazioni”. Negli anni successivi il sodalizio si riprende, si rafforza e torna alla piena efficienza. Nel 1976 ci sono 14 ambulanze, di cui 12 con radiotelefono. Negli anni ’80 e ’90, per far fronte alle crescenti necessità della comunità, si assiste ad un massiccio in-

cremento del volontariato giovanile, ad una nuova solidarietà di enti e imprese veronesi: gli automezzi in quegli anni sono 30, modernamente attrezzati. Un altro significativo passo si ha verso la fine degli anni ’90 quando l’ente diventa capofila nel servizio d’emergenza (118) attraverso il rapporto attivato con l’ULSS 20. Croce Verde non è solo sinonimo di sirene spiegate nella lotta contro il tempo per salvare una vita. Oggi questa realtà comprende anche i servizi di trasporto interno all’Ospedale di Borgo Trento; tra il Policlinico di Borgo Roma e l’Ospedale di Borgo Trento; tra le altre strutture sanitarie presenti in provincia; servizi di ricovero e dimissione dei pazienti; di trasferimento da e per altre città italiane; trasporto di organi e di personale sanitario. Va anche ricordato che durante l’anno i volontari della Croce Verde sono impegnati in servizi di assistenza a manifestazioni culturali e sportive su tutto il territorio della provincia, come la presenza in Arena e il servizio all’interno dello Stadio Bentegodi durante le partite domenicali. Non passa giorno che la presenza dei volontari sia richiesta per gare sportive, concerti e manifestazioni varie. Infine presso la Croce Verde di Verona è operativo un nucleo di Protezione Civile che opera in situazioni di particolare gravità sia in Italia che all’estero.

Marzo 2003


Ambiente INQUINAMENTO

Allarme polveri sottili Servono nuove politiche Inquinamento atmosferico a Verona: come uscire dall’emergenza per tutelare la salute, soprattutto quella dei più piccoli. I dati allarmanti dell’ULSS 20

di Michele Bertucco * Nei primi due mesi del 2004 le polveri sottili (PM 10) a Verona hanno superato i limiti di legge per ben 45 giorni nella centralina di Corso Milano e per 24 giorni in quella di località Cason. Secondo la normativa attuale il valore di riferimento non deve essere superato più di 35 volte l’anno. Nel 2003 in Corso Milano i valori sono stati sorpassati per 213 giorni e in Via San Giacomo, Borgo Roma, per 179. Sulla pericolosità delle polveri sottili si è espressa in maniera inequivocabile l’ULSS 20 di Verona nella propria Relazione Sanitaria dell’anno 2002 che, definendo l’inquinamento da traffico cittadino “in alcuni momenti, una vera emergenza” scrive: “Gli effetti del PM 10 sono proporzionali alle concentrazioni dello stesso nell’aria e non sono noti livelli di soglia, cioè valori al di sotto dei quali non si verifica un danno alla salute. Per il PM 10 i dati forniti dall’ARPAV evidenziano nel 2002 a Verona un numero di giorni di superamento del limite ambientale di 65 mg/Nm3 pari a 59 e 68 nelle due centraline. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha evidenziato che passando da concentrazioni di 50 a 100 mg/Nm3 di PM 10 si verifica un raddoppio degli effetti sanitari attribuibili a questa causa come mortalità, ricoveri per malattie

in VERONA

respiratorie, uso di broncodilatatori e giorni di malattia”. La relazione prosegue segnalando preoccupanti effetti acuti sui bambini e mostra un legame diretto tra residenza in prossimità di strade a traffico pesante e cattive condizioni di salute dei più piccoli, con manifestazioni prevalentemente respiratorie come sintomi asmatici e tosse. Gli effetti cronici dell’inquinamento atmosferico causano invece problemi di salute anche quan-

Nei primi due mesi del 2004 le polveri sottili a Verona hanno superato i limiti di legge per ben 45 giorni nella centralina di Corso Milano. Secondo la normativa il valore di riferimento non deve essere superato più di 35 volte l’anno

do le concentrazioni di inquinanti sono inferiori ai valori di riferimento e agli standard di qualità dell’aria. Per questo motivo nelle linee guida OMS non viene indicato un valore di riferimento per il PM 10, ma vengono fornite stime di rischio sanitario correlate alle varie concentrazioni. Un calo delle concentrazioni di PM 10 a 30 mg/Nm3, secondo le stime dell’OMS, produrrebbe una riduzione di quasi il cinque per cento della mortalità totale annua nelle persone oltre i 30 anni, escluse naturalmente le morti per cause violente. È quindi evidente che l’inquinamento atmosferico non è più solo un’emergenza invernale, ma è un problema presente a Verona per tutto l’anno che comporta seri rischi per la salute di tutti i cittadini ed in modo particolare per i bambini e per gli anziani. A tutt’oggi il tavolo degli assessori all’Ambiente dei capoluoghi del Veneto ha prodotto interventi deboli, tardivi, ininfluenti e le responsabilità maggiori ricadono sulla Regione Veneto. Proprio questo tavolo dovrebbe aprire una contrattazione serrata con la Regione per ottenere un serio impegno da parte dell’istituzione veneta. Il Decreto del ministero per l’Ambiente, n. 60 del 4 aprile 2002, ha indicato obblighi precisi alle Regioni. Esse dovevano entro un anno, sulla base di una valuta-

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Ambiente

Le proposte di Legambiente per contrastare l’emergenza «È evidente che la soluzione del problema dell’inquinamento di Verona e del Veneto è legato alla realizzazione di una massiccio piano di interventi strutturali per la mobilità sostenibile. Nel frattempo, oggi e fino a quando tali inter venti non av ranno prodotto i benefici auspicati sulla qualità dell’aria, bisogna adottare tutti quei provvedimenti di limitazione del traffico programmati, e sul lungo periodo, che possono diminuire almeno la media annua delle concentrazioni di benzo (a) pirene e Pm10. La scelta degli interventi spetta a Regione e Comuni, ma Le-

Il blocco delle auto non catalizzate e dei vecchi diesel non è sufficiente. La lotta all’inquinamento si vince accettando la sfida della mobilità sostenibile

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gambiente ribadisce le caratteristiche che certamente tali interventi devono avere, se si vuole sperare in una minima efficacia. In primis, le limitazioni alla circolazione dovrebbero avvenire su scala territoriale più ampia possibile, visto la forte ubiquità del pm10. Tali restrizioni devono inoltre essere costanti, frequenti e coprire un largo arco temporale, e comunque nel periodo di maggior inquinamento, che va dai primi di ottobre alla fine di maggio. Il blocco delle auto non catalizzate e dei vecchi diesel non è sufficiente. Tutte le sperimentazioni fatte in questo senso dimo-

zione della qualità dell’aria, predisporre ed attuare un piano di interventi che consentisse di rispettare i valori limite dell’inquinamento e di ridurre i rischi di superamento. La Regione Veneto, a tutt’oggi, non ha ratificato nulla di definitivo: c’è stata una prima approvazione, ma manca l’adozione formale. Oltre a questo, quanto è stato fin qui preliminarmente elaborato dalla Giunta regionale tutto si può definire tranne che un Piano organico e incisivo. Infatti: non prevede interventi per l’emergenza, né fornisce indicazioni per la gestione provvedimenti e, in sostanza, lascia ancora ai Comuni la responsabilità di intervenire. Inoltre si limita a fare un elenco delle azioni possibili senza formulare una gerarchia di priorità. La zonizzazione del territorio in aree di intervento a seconda della gravità dell’inquinamento, la base stessa del Piano, risulta carente e inadeguata. Il Veneto è diviso in aree nelle quali modulare interventi per il “risanamento” o il “mantenimento” della qualità dell’aria. Ma le zone critiche individuate, di tipo A, quelle in cui bisogna risanare, sono eccessivamente ristrette e ciò non permette di realizzare interventi efficaci. Il Piano, infine, qualora entrasse

strano che limitazioni del traffico troppo articolate e piene di eccezioni e deroghe finiscono per non essere applicabili e tolgono dalle strade percentuali che vanno dal cinque al dieci per cento del parco mezzi circolante, per cui sfuggono ai divieti moltissimi veicoli che dovrebbero in realtà restare fermi. Del resto questo tipo di provvedimenti, già realizzati anche a Verona, dati alla mano non hanno mai prodotto miglioramenti della qualità dell’aria. Legambiente ritiene che la lotta all’inquinamento si vince accettando la sfida della mobilità sostenibile e si governa selezio-

nando gli obiettivi, scegliendo investimenti e politiche. Il Comune di Verona e la Regione Veneto dovrebbero, ragionando in un orizzonte di dieci anni, programmare di spostare su ferro e cabotaggio una quota pari al dieci per cento del traffico merci e aumentare gli spostamenti su traffico pubblico in ambito urbano del venti o trenta per cento. Si dovrebbero inoltre ridurre i consumi energetici legati al sistema dei trasporti. Legambiente propone quindi che per una mobilità sostenibile è necessario attivare alcune scelte strategiche di investimento, di trasparenza, innovazione e qualità».

Il traffico cittadino è uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento

in vigore introdurrebbe un aggravio burocratico che rischia di rallentare qualsiasi tipo di provvedimento. Infine lo stesso Piano ammette che l’aumento delle emissioni è dovuto all’incremento inarrestabile del traffico veicolare ma evita accuratamente di porre tra gli obiettivi operativi quello della riduzione del suo volume e conseguentemente la necessità di rivisitare le politiche della mobilità e del trasporto pubblico e collettivo. Non si trova infatti mai una descrizione di come entro il 2005

o il 2010, scadenze limite fissate dal Decreto ministeriale, si arrivi a non superare i valori previsti dalla normativa. Non c’è quindi una pianificazione delle azioni in base alle quale agire, pianificazione che faccia evolvere per passi successivi la situazione verso una migliore qualità dell’aria. Il rischio più tangibile è che, in assenza di un Piano regionale capace di dirigere o coordinare, i capoluoghi del Veneto si muovano di nuovo in ordine sparso. * Presidente Legambiente Verona

Marzo 2003


Viaggiare SAN PIETROBURGO

Nella città di Dostoevskij Si visita a piedi, costeggiando l’intrico di canali, per poi scendere nel sottosuolo e sfruttare la rapidità della metropolitana. Un patrimonio di arte e cultura

Due dei quattro grifoni in bronzo dalle ali dorate del Ponte Banca

di Michele Domaschio «Ai primi di luglio, in un periodo straordinariamente caldo, verso sera, un giovanotto se ne uscì in strada dal suo bugigattolo preso in subaffitto dagli inquilini nel vicolo Stoljàrnyi, e lentamente, quasi esitando, si diresse al ponte Kòkuskin». Se il giovane Raskolnikov uscisse oggi, come per incanto, dalle pagine di Delitto e castigo, il panorama che gli si presenterebbe dinnanzi agli occhi sarebbe certo un po’ diverso da quello che Dostoevskij narrava nel suo romanzo. Eppure, dopo tre secoli di splendori e sofferenze, il fascino di San Pietroburgo resiste inalterato e si offre al viaggiatore nelle imponenti piazze come nei vicoli più malfamati. Neppure i lunghi decenni del regime sovietico ne hanno intaccato la bellezza. L’anima di San Pietroburgo resta saldamente ancorata alla trama di canali che si affacciano sul Golfo di Finlandia, dove lo zar Pietro il Grande volle eri-

in VERONA

gerla nel 1703, inizialmente come avamposto militare contro le truppe svedesi, sino a farne poi la nuova capitale dell’impero. Ma torniamo a fare compagnia al nostro Raskolnikov: affacciandosi sulla piazza del fieno (Sennaja Ploshchad) resterebbe forse stupito constatando l’assenza della Chiesa dell’Assunzione. Al posto di questo luogo di culto si staglia ora l’imponente facciata della stazione della metropolitana, e vista la magnificenza delle cattedrali sopravvissute, unita alla comodità dei treni sotterranei, non ci si può lagnare troppo per il cambio di destinazione. San Pietroburgo, infatti, è una città da visitare a piedi, costeggiandone l’intrico di canali per immergersi poi rapidamente nel sottosuolo sfruttando la rapidità della metro. Logicamente, prima di salire sui vagoni imparate bene il nome della vostra stazione d’arrivo, visto che lo troverete scritto solamente in caratteri cirillici, oppure fate il conto delle

fermate che vi separano dalla vostra mèta. Una volta riemersi, i colori pastello delle facciate dei palazzi daranno sollievo allo sguardo, quasi quanto gli occhi cerulei delle giovani pietroburghesi che scivolano altere nel turbinio di colori della Nevskij prospekt. Percorrendo questa lunga strada, giustamente la più famosa di San Pietroburgo, vale la pena sostare un attimo sul ponte Kazanskji per ammirare le cupole dorate della Chiesa sul Sangue Versato, nome un po’ truculento, dovuto al fatto che fu edificata ove fu assassinato lo zar Alessandro II, nel marzo del 1881. Inevitabilmente si verrà attratti dallo splendore delle decorazioni musive, ed è bene assecondare tale curiosità percorrendo quindi il canale Griboedova sino a giungere dinnanzi alla facciata della chiesa, in perfetto stile russo seicentesco.

La statua equestre di Nicola I, in Piazza Sant’Isacco

Chi desidera ritrovare atmosfere più consone alla tradizione artistica di San Pietroburgo non avrà che da compiere una breve retromarcia: a pochi passi di distanza si trova, infatti, il Museo Russo, che contiene una delle più magnificenti collezioni d’arte russa, dalle splendide icone di Andrey Rublyov sino alle opere degli impressionisti Korovin e Grabar. L’offerta museale della città non è infatti limitata al famoso Ermitage che varrebbe, da solo, il costo della trasferta. Accanto al gran-


INFORMAZIONI UTILI PER IL VIAGGIO

dioso palazzo, costituito da cinque edifici collegati e impreziosito da oltre tre milioni di opere, vi sono autentiche chicche. È il caso, ad esempio, del Museo Kirov, singolare ricostruzione dell’abitazione ove Sergei Kirov, fidato consigliere di Stalin, trascorse gli ultimi giorni di vita prima di morire assassinato per mano di sicari presumibilmente inviati dallo stesso sovrano. Le anziane signore (babushke) che vegliano sulle stanze si prodigheranno per farvi visitare pure la sezione dedicata all’educazione dei giovani nell’era stalinista: divise, bandiere e oggettistica varia destinata alla formazione degli audaci Pionieri, veri e propri boyscout del socialismo reale. La cultura, è risaputo, stuzzica l’appetito: per rifocillarsi sarà be-

A sinistra: la Chiesa della Resurrezione o Chiesa sul Sangue Versato, perché costruita sul luogo dove fu assassinato Alessandro II. Sopra: “La passeggiata” di Marc Chagall. La tela si trova al Museo Russo.

ne abbandonare la profusione di locali alla moda occidentale, spuntati come funghi nelle vie principali della città, e dirigersi nuovamente verso Sennaja Ploshchad. I cambiamenti urbanistici hanno lasciato fortunatamente inalterata la vocazione godereccia di questo quartiere, ricco di localini tipici. Tra le alternative più ghiotte (mai aggettivo fu più indicato) ci si presentano il Kafe Adzhika e la tavola calda vegetariana in Vladimirsky Prospekt. Per gustare la cucina caucasica sarà sufficiente, invece, qualche fer-

Libri e film Partendo dai classici: Delitto e castigo, Le notti bianche di Fedor Dostoevskij e i Racconti di Pietroburgo di Nikolaj Gogol’. Due poeti hanno legato la propria esistenza e l’ispirazione alla città sulla Neva: Anna Akhmatova (Poema senza eroe e altre poesie, La corsa del tempo) e Josif Brodskij (Fondamenta degli incurabili, La poesia di San Pietroburgo). Per avere un quadro realistico e crudo delle giovani generazioni russe, niente di meglio di Dammi! Songs for lovers, dell’esordiente Irina Denezkina. Due film tratti da Le notti bianche meritano di essere ricordati: il primo, che porta il titolo del romanzo, diretto da Luchino Visconti nel 1956 con Marcello Mastroianni e Maria Schell, e le Quattro notti di un sognatore (1971), del francese Robert Bresson. Accanto a queste pellicole, due proposte antitetiche: il classico per antonomasia, Sergej Eisenstein, con Ottobre (1928), film celebrativo della rivoluzione russa, e il finlandese Aki Kaurismäki con il surreale Leningrad cowboys go america (1989), precursore involontario della caduta del Muro.

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mata di metropolitana: il Piromani Restaurant si trova infatti a Petrograd, sparuto gruppetto di isole da cui Pietro il Grande iniziò la costruzione della città. Il desiderio di assaggiare un’ottima zuppa d’agnello speziata (kharchoh) può essere così la scusa per visitare la Fortezza di Pietro e Paolo. All’interno del perimetro delle mura si trova l’omonima Cattedrale, che contiene le tombe degli zar, da Pietro il Grande sino a Nicola II. L’inumazione della salma di questo che fu l’ultimo sovrano di tutte le Russie, avvenuta nel 1998, suscitò molte polemiche, ma in realtà rappresenta solo uno dei paradossi che costellano la storia e la cultura di questi luoghi: basti pensare che, a qualche centinaia di metri dalla tomba dell’ultimo zar, lungo la Neva, è placidamente attraccato l’incrociatore Aurora, che con un sol colpo di cannone, nella notte del 25 ottobre 1917, diede l’avvio alla Rivoluzione d’Ottobre. Ma oramai si è fatto tardi: è tempo di gustare i riflessi del tramonto che accarezza i palazzi affacciati sul fiume. Si profila un lento declinare di luce, misterioso e affascinante come solo San Pietroburgo sa essere, una notte bianca, con il sole che non vuole morire, «..una notte incantevole, una di quelle notti che succedono solo se si è giovani, gentile lettore».

Su internet si possono trovare numerose offerte per la sistemazione a San Pietroburgo, dagli alberghi più lussuosi agli appartamenti, ad esempio: www.saint-petersburghotel.com; www.hotelscentral.com. www.hotelsrussia.com offre un’ampia scelta e inoltre consente di noleggiare una vettura per raggiungere il vostro hotel dall’aeroporto Pulkovo (costo: 31 dollari). Per la stessa cifra potrete ricevere via fax la visa support letter, ovvero la lettera di conferma della vostra prenotazione, di vitale importanza per il rilascio del visto d’ingresso. Tale documento, necessario per recarsi in Russia, va richiesto per tempo presso i consolati russi di Roma, Milano o Genova. Le tariffe per i visti variano in base all’urgenza: le autorità consolari possono rilasciarvelo immediatamente (e vi chiederanno 80 o 100 euro), ma se pazientate per una decina di giorni il costo scende sino a 30 euro. San Pietroburgo è collegata con voli diretti Aeroflot da Milano e Roma. Le tariffe sono ragionevoli e sugli spartani aeromobili (i gloriosi Tupolev) le corpulente hostess servono birra e vino senza limitazioni di sorta.

L’incrociatore Aurora

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Sport

Il lago di Garda è l’ideale per chi si dedica alla nautica da diporto. Questo specchio d’acqua ha infatti una lunga e consolidata tradizione velica e negli ultimi cinquant’anni i suoi club hanno fornito alcuni tra i migliori skipper delle classi olimpiche

VELA

Sulla rotta di Odissèo di Alessandra Motta

Un corso on line All’indirizzo internet www.leganavale.it/portale/gioco_vela.asp si trova un opuscolo in formato PDF realizzato dalla Lega Navale Italiana dove in maniera molto accessibile viene spiegato come si manovra una imbarcazione a vela, tanto per fare un esempio, un Optimist, che è la classica e più diffusa barca di iniziazione. Contiene una descrizione delle sue singole parti, i termini marinareschi di uso più corrente e le manovre fondamentali per condurlo, in relazione alla direzione di provenienza del vento e delle varie circostanze. In appendice un regolamento semplificato indica come comportarsi in regata.

in VERONA

La navigazione a Vela è una tecnica accessibile a tutti. Non è solo avventura estrema, conquista ma anche semplice divertimento, distrazione dall’ordinario, recupero dei ritmi biologici, stare con gli amici, conoscersi e conoscere l’ambiente. Dalla metà del ventesimo secolo giovani e meno giovani sono attratti dalle variabili di questo sport: vento e mare, con le loro rispettive intensità e direzioni, tipi di vele e loro combinazioni, carattere dell’individuo, e più caratteri quindi per l’equipaggio, condizioni e capacità fisiche, tipo di barca. Il lago di Garda è l’ideale per chi si dedica alla nautica da diporto. Questo specchio d’acqua ha infatti una lunga e consolidata tradizione velica e negli ultimi cinquant’anni i suoi Club hanno saputo creare alcuni tra i migliori skipper delle classi olimpiche. Le condizioni dei venti variano a seconda della zona: arie leggere nella parte bassa, venti

più freschi nella zona a nord di Gargnano, verso Malcesine, Riva e Torbole. In ogni località c’è un Circolo velico riconosciuto dalla FIV (Federazione Italiana Vela) spesso con una scuola sia per ragazzi che per adulti. Famosissime sono le competizioni gardesane come la Centomiglia e l’Intervela, regate che vantano cinquant’anni di storia. «La scuola, quando si rivolge ai più giovani – spiega Mimmo Palmieri di Est Garda Equipe Vela, uno dei tanti circoli velici, con una scuola in via Magellano 28, a Verona – serve a responsabilizzarli con l’attribuzione di compiti ben precisi, nella consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo in rapporto ai compagni. Diventa così un’esperienza notevole, sotto il profilo educativo, tecnico, sociale ed ecologico». Est Garda Equipe Vela, in collaborazione con l’Ospedale Villa Santa Giuliana e con il sostegno dell’Amia ha istituito il progetto “Rivelazione”, rivolto agli adolescenti con

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Sport difficoltà psichiche, dimostrando che la vela può diventare un eccezionale campo d’esperienza per combattere la sofferenza mentale. Per chi invece preferisce il mare la meta in ogni periodo dell’anno potrebbe essere Portoferraio, dove dal 1970 “Casa di Vela Elba” propone corsi a tutti i livelli per entrare nel mondo affascinante della navigazione da diporto. C’è una grande simpatica casa, nel tradizionale e marinaro ambiente dell’isola d’Elba, dove si vive con altri allievi e con gli istruttori. A terra le attrezzature del centro sono concepite per permettere un soggiorno di-

UN LIBRO DI SOLDINI «L’idea di poter andare da un posto all’altro utilizzando solo l’energia della natura mi ha sempre affascinato.» Con queste semplici parole Giovanni Soldini, il celebre navigatore solitario, comincia il suo libro “Nel blu, una storia di vita e di mare” (Editore Tea, pp. 248, euro 7,80) dove racconta del proprio amore per la vela: dalle esperienze compiute da bambino sul lago Maggiore in compagnia del padre agli esordi nelle competizioni, sino alle regate d’altura e alla prima delle ormai numerose traversate oceaniche. Un’avventura fatta di impegno, sofferenza ma anche di gioia.

vertente e distensivo. Poche persone, pienamente responsabili di tutta l’organizzazione, curano direttamente ogni gruppo di allievi. Piccole unità, in seno alle quali le relazioni umane conservano a pieno il loro valore. Est Garda Equipe Vela. Mimmo Palmieri. Tel. 045/8340428 - 48/2575272. estgarda@libero.it Casa di Vela Elba, Portoferraio. Luigi e Tommaso Monteleone. Tel. 0586.505562; 0565.933265. info@casadivela.it.

Breve storia della navigazione da diporto (A.M.) Le prime imbarcazioni da diporto furono costruite in Olanda nel XVII sec., ma la prima regata velica si svolse a Londra, sul Tamigi nel 1662. Nel 1720 fu istituito il Cork Harbor Water Club, la prima società velica. In Italia la prima associazione fu il Regata Club, fondato nel 1842 a Como. A Genova, nel 1879, sorse il Regio Yacht Club Italiano, che rappresentò la prima vera autorità nazionale in campo velico. Attraverso i vari passaggi si giunse, nel 1946, all’Unione società veliche italiane (USVI), divenuta nel 1946 l’attuale Federazione Italiana Vela (FIV). Nel 1919 venne fondata la federazione internazionale, la IYRU (International Yacht Ra-

cing Union), con l’adesione di 28 nazioni, tra le quali l’Italia. Essa stabilisce le regole che disciplinano le regate, denominazione delle gare di vela che si svolgono su percorsi tracciati da boe, da ripetere più volte. In genere il percorso è triangolare e la direzione, alla partenza, è quella contro vento. Gli equipaggi affrontano il percorso dalla partenza alla prima boa con l’andatura di bolina, ossia stringendo il vento, per poi passare, ai successivi giri di boa, a quella di lasco o a quella di poppa. In queste ultime si può fare uso di una vela supplementare semisferica, lo spinnaker, che richiede una speciale attrezzatura di cui è caratteristica saliente il tangone, la lun-

Circoli FIV e Scuole di Vela sul lago di Garda ARCO. Circolo Vela Arco (0464 505086). BARDOLINO. Circolo Nautico Bardolino (045 7210816). BRENZONE. Circolo Nautico Brenzone (045 7430169). Compagnia delle Derive (045 7420762). Yacht Club Acquafresca (045 7420575). DESENZANO DEL GARDA. Club Nautico Diavoli Rossi (030 9141346). Fraglia Vela Desenzano (030 9143343). Lega Navale Italiana-Sez. Brescia Desenzano (030 9980344 - 0349 3509871). GARDA. Gruppo Vela L.N.I. Garda (045 7256377). GARGNANO. Circolo Vela Gargnano (0365 71433). LIMONE SUL GARDA. Circolo Vela Limone (0365 914045). MALCESINE. (Fraglia Vela Malcesine (045 7400274). Sphera Sail - Scuola di Vela (388 0402537). MANERBA DEL GARDA. Circolo Vela Torcolo (030 9907217). MONIGA DEL GARDA. Nauticlub Moniga (0365 503884 -

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338 7405713). PADENGHE SUL GARDA. West Garda Yacht Club (030 9907295). West Garda Marina (030 9907164). PESCHIERA DEL GARDA. Fraglia Vela Peschiera (045 7550727). RIVA DEL GARDA. Circolo Velico Alto Garda (0464 521831). Fraglia Vela Riva (0464 552460). Sezione L.N.I. Riva (0464 556028). SALÒ. Società Canottieri Garda (0365 43245). SAN FELICE DEL BENACO. Circolo Nautico Portese (0365 559893). SIRMIONE. Yachting Club Sirmione (030 9904078). Cantiere Nautico Bisoli (030 916088). TORBOLE. Circolo Vela Torbole (0464 506240). TORRI DEL BENACO. Yachting Club Torri (045 7225124). Est Garda Vela (045/8340428 348/2575272). TOSCOLANO MADERNO. Circolo Vela Toscolano Maderno (0365 540888). TREMOSINE.Vela Club Campione (0365 916908).

ga asta fissata all’albero. La regata velica più famosa al mondo è la Coppa America, nata nel 1851 per iniziativa del New York Yachting Club.

in VERONA

Giornale di attualità e cultura Direttore Giorgio Montolli g.mont@libero.it Redazione Giorgia Cozzolino

STUDIO

e

DITORIALE Giorgio Montolli

Lungadige Re Teodorico, 10 37129 -Verona. Tel. 045592695 Stampa Novastampa di Verona Registrazione al Tribunale di Verona n° 1550 del 6 novembre 2003 Progetto editoriale Proporre temi di attualità e cultura, stili di vita per la crescita della persona. N° 2/marzo 2004 Il giornale è distribuito gratuitamente nelle più importanti librerie di Verona. Per riceverlo a domicilio consultare la voce “informazioni” all’indirizzo internet: www.verona-in.it

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Orientamenti per il futuro Calendario manifestazioni 2004 SETTEMBRE

GENNAIO 24/01 1/02

Vivi la Casa

Evento mostra mercato Soluzioni d’arredo classiche e moderne. Prodotti e servizi per la casa e gli sposi.

7 - 15 Luxury & Yachts

Salone italiano del lusso

7 - 15 Nautic Show

Salone internazionale della nautica

7-9

Salone delle attrezzature per la pesca sportiva

18 - 20 Pte Expo

I giochi dei grandi

16 - 20 Abitare il Tempo

Giornate internazionali dell’arredo

OTTOBRE

FEBBRAIO

Pescare

10 - 12 Ver-Con

Progetto terza età - Fiera e congresso delle tecnologie, prodotti e servizi per la terza età

7 - 10

Marmomacc

14 - 17 Iosposa

La fiera per il tuo matrimonio

22 - 25 Texmacos

Salone costruttori macchine tessili

NOVEMBRE 4-7

Fieracavalli

Fiera internazionale dei cavalli e salone delle attrezzature e delle attività ippiche

13 - 14 Elettroexpo

Mostra mercato di elettronica, radiantismo, strumentazione, componentistica informatica

18 - 20 Ecocoating

Mostra convegno di prodotti, tecnologie e servizi per verniciatura, galvanica ed altri trattamenti a basso impatto ambientale.

18 - 21 Expografica

Mostra industriale per arti grafiche

19 - 21 Veronafil

Manifestazione filatelica, numismatica, cartofila

25 - 27 Job & Orienta

Scuola, orientamento formazione e lavoro

25 - 28 Big Buyer

Mostra convegno del settore cartoleria/cancelleria di prodotti ufficio/casa/scuola per grandi compratori italiani ed esteri

MARZO 3-7

15

Fieragricola

Fiera internazionale biennale della meccanica, dei servizi e dei prodotti per l’agricoltura e la zootecnia

Concorso Internazionale di Packaging

18 - 21 Progetto Fuoco

Mostra internazionale di impianti ed attrezzature per la produzione di calore ed energia della combustione di legna

24 - 28 Concorso Enologico Internazionale APRILE 1-5

Vinitaly

Salone internazionale del vino e dei distillati

1-5

Enolitech

Salone internazionale delle tecniche per la viticoltura, l’enologia e delle tecnologie olivicole ed olearie

1-5

Sol

Salone internazionale dell’olio d’oliva vergine ed extravergine

22 - 25 Transpotec & Logitec Salone internazionale delle tecnologie del trasporto, dei servizi intermodali e della logistica MAGGIO 8 - 12 Siab

21 - 23 Veronafil

FIERE ALL’ESTERO 8 - 10

Gennaio

IFOWS - INDIA FOOD & WINE SHOW Taj Palace Hotel - New Delhi - India Salone internazionale del prodotto alimentare di qualità, vini, bevande alcoliche e analcoliche

9 - 12

Settembre

BAUCON INDIA - New Delhi - India Fiera internazionale delle macchine e dei materiali per la costruzione

26

Ottobre

VINITALY- US TOUR - Miami - U.S.A. Presentazione di vino, olio e prodotti tipici italiani.

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Ottobre

VINITALY- US TOUR - San Francisco - U.S.A. Presentazione di vino, olio e prodotto alimentare italiano

Salone internazionale dell’arte bianca, panificazione, pasticceria, dolciario pasta fresca e pizza

21 - 23 Borsa del Minerale Mostra di pietre preziose, pietre dure, pietre ornamentali, fossili e derivati , oggettistica in pietra Manifestazione filatelica, numismatica, cartofila

Mostra internazionale di marmi, pietre e tecnologie

24 - 26 Novembre

VINITALY CHINA - Shangai - Cina

www.veronafiere.it CALENDARIO SUSCETTIBILE DI VARIAZIONI IN COLLABORAZIONE CON



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