SECTIONS OF AU TO N O M Y SIX KO R E A N ARCHITECTS
Choi Moon-gyu
Kim Jun-sung
J a n g Yo o n - g y o o
Kim Seung-hoy
Kim Jong-kyu
K i m Yo u n g - j o o n
Sections of Autonomy Six Korean Architects
Projects by | Con i progetti di Choi Moon-gyu (Ga.A Architects) Jang Yoon-gyoo (Unsangdong Architects Cooperation) Kim Jong-kyu (M.A.R.U.) Kim Jun-sung (Architecture Studio hANd) Kim Seung-hoy (KYWC Architects) Kim Young-joon (YO2 Architects) Curators | Curatori Choi Won-joon Luca Galofaro, Roma Luca Molinari, Milano in collaboration with | in collaborazione con Alessandro Benetti Federica Rasenti Press Office | Ufficio Stampa DigitalMind (+39 041 5951792) Media Partner Corriere della Sera
Spazio Fmg per l’Architettura SPAZIO FMG PER L’ARCHITETTURA è una galleria che FMG Fabbrica Marmi e Graniti ed Iris Ceramica dedicano all’architettura e all’interior design. Un luogo deputato per “esporre e comunicare liberamente architettura” a cura di Luca Molinari, che si propone come punto d’incontro e confronto per architetti, studenti e appassionati di architettura e interior design. Uno spazio che associa la forza espressiva di una galleria alla dinamicità discreta di un atelier di idee e materiali, progetti ed opere, testimonianza del profondo legame e dell’autentica passione da parte del Gruppo Iris Ceramica verso il proprio mondo di riferimento. www.spaziofmg.com Iris Ceramica Iris Ceramica è l’azienda capogruppo di una multinazionale, leader mondiale nella produzione di ceramica smaltata e grès porcellanato smaltato per rivestimenti a pavimento e parete destinati a progetti residenziali, commerciali ed industriali. Con una gamma di oltre 50 collezioni per più di 2500 articoli, dal 1961 Iris Ceramica diffonde nel mondo il prestigio del made in Italy ed afferma quotidianamente il proprio impegno a realizzare creazioni ceramiche dall’elevato valore tecnico-estetico, caratterizzate dall’eccellenza di un design evoluto di cui sono testimonianza premi e riconoscimenti internazionali. Creazioni che sono frutto della ricerca e dello sviluppo interni all’azienda, un patrimonio di conoscenza unico che permette di realizzare materiali a loro volta unici. Creazioni che nascono abbinando l’innovazione di tecnologie all’avanguardia al sapere della tradizione artigianale, nell’assoluto rispetto delle norme più rigorose in tema di sostenibilità, sia di processo sia di prodotto. www.irisceramica.it
FMG Fabbrica Marmi e Graniti FMG Fabbrica Marmi e Graniti è la divisione del gruppo Iris Ceramica nata per dialogare con il mondo dell’architettura attraverso prodotti pensati per liberare la creatività di designer e progettisti, offrendo un’ampia scelta di Pietre Naturali di Fabbrica adatte ai più diversi impieghi, dalle grandi opere ai piccoli spazi abitativi. FMG è in grado di proporre al mercato internazionale un materiale unico, frutto di una tecnologia esclusiva, per cui i marmi, i graniti e le pietre più belli, rari e pregiati prendono forma in lastre a tutta massa ad altissime prestazioni per durezza, durata ed igiene, perché le materie prime (argille, sabbie e minerali) sono selezionate all’origine da FMG; perché la pressione di compattazione è altissima (480 Kg per cm2); perché il calore di cottura supera quello dei vulcani (oltre 1.300 °C). La gamma FMG è composta da oltre 70 varietà di lastre, in diverse finiture (anticata, a spacco, a spacco B, bocciardata, burattata, honed, levigata, prelevigata, shine, slate e strutturata) e dimensioni (120×60, 90×45, 60×60, 60×30, 45×45, 40×40 e 30×30). www.irisfmg.it
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The free architects of cosmopolitan Korea Gli architetti liberi della Corea cosmopolita Luca Molinari
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An historical account of a generation Resoconto storico di una generazione Choi Won-joon
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The new objectivity Una nuova oggettivitĂ Luca Galofaro
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Six Korean Architects Sei architetti coreani
The free architects of cosmopolitan Korea
Gli architetti liberi della Corea cosmopolita Luca Molinari What does the word “autonomy” mean in architecture? “Sections of Autonomy. Six Korean Architects” addresses this topic through the experience of six authors from South Korea, who established themselves right after the collapse of the military government and freely compare notes with the rest of the world, with no need to censure themselves. This is the Korea of the boom years, of the explosion in the arts which we now clearly recognise in film, art, graphic art, fashion and architecture. “Autonomy” therefore came to mean freedom from a castrating context and the possibility of discussion with the poetic and formal worlds that most stimulate their work, from the Portuguese architecture of Alvaro Siza to the Deconstructivism of Peter Eisenman and Rem Koolhaas, the lightness of Toyo Ito or Steven Holl, the dark power of Jean Nouvel or Korean metropolitan horror films. The architects all left their country and chose their own masters and sources of conceptual and stylistic inspiration, which they then poured into a series of works that were an instant hit with clients and the public, making them the most influential and widely recognised contemporary “masters”. Kim Jun-Sung of studio hAnd studied in San Paolo, Brazil and the Pratt in New York, as well as looking to Alvaro Siza for inspiration; his works skilfully mediate between use of bare concrete, the structure of the building laid bare, and attentive interaction with landscape. Choi Moon-gyu of Ga.A architects reinterprets what he has learned from Japanese architect Toyo Ito in projects in a sophisticated metropolitan spirit which 2
is all about concrete, steel and glass, with intermediate spaces creating casual gathering-places. Yang Yoon-gyoo of Unsangdong Architects Cooperation, a name literally meaning “spiritual vitality”, transforms all his work with a paradoxical expressive, caricaturelike energy, building provocative magnets that stand out in the generic city streets. Kim Jong-kyu of M.A.R.U. architects does exactly the opposite. His is an architecture of silence, composed and profoundly contemporary in its symmetries, materials, spaces and vocabulary, as if striving to construct the peace that is often lacking in our cities. Kim Seung-hoy of KYWC architects and Kim Young-joon of Y02 architects both work on projects which continually seek to construct places with a bold urban character, employing a contemporary vocabulary that is updated in response to international debate. All six architects were born in the fifties, set up their own practices in the early nineties and now hold the most important positions in the universities, where they have introduced new teaching methods, and in the urban governance of many Korean cities. The projects clearly interpret the new world of a people that has emerged from the wars and authoritarian movements of the 20th century and has found room for self-expression in a form of controlled deregulation. Is this enough to define a national style? The answer is probably yes, but I believe it will be important to see how the new generations respond to these lessons, and to the spirit of a time that is rapidly changing, but, we hope, this will be the subject of another exhibition soon.
Che significato dare al termine “autonomia” se applicato all’architettura? “Sections of Authonomy. Six Korean architects” affronta questo tema attraverso l’esperienza di sei autori sudcoreani che si affermano negli anni appena successivi alla fine del governo militare e che, per primi, si confrontano liberamente e senza auto-censure con il Mondo esterno. E’ la Corea del boom economico e di un’esplosione nel mondo delle arti che oggi riconosciamo con chiarezza tra cinema, arte, grafica, moda e architettura. “Autonomia” diventa quindi libertà da un contesto castrante e possibilità di confrontarsi con i mondi poetici e formali che maggiormente stimolarono il loro percorso: dall’architettura portoghese di Alvaro Siza, passando per il Decostruttivismo di Peter Eisenman e Rem Koolhaas, la leggerezza di Toyo Ito o Steven Holl, la forza oscura di Jean Nouvel o il cinema horror-metropolitano coreano. Ogni autore uscì dal Paese e viaggiando scelse i propri Maestri e fonti d’ispirazione concettuale e stilistica che è stata poi riversata in una serie di opere che hanno avuto immediatamente un grande successo pubblico e di committenza facendo di questi autori i “maestri” contemporanei più influenti e riconosciuti. Kim Jun-Sung di studio hAnd si forma tra San Paolo in Brasile e il Pratt a New York oltre a guardare ad Alvaro Siza; le sue opere mediano abilmente tra l’uso del cemento armato a vista, la struttura del corpo di fabbrica messa a nudo e il dialogo attento con il paesaggio. Choi Moon-gyu di Ga.A architects rielabora la lezione del giapponese Toyo Ito riportando nei suoi lavori una metropolitanità sofisticata, fatta di cemento, acciaio e vetro oltre che di spazi intermedi che creano luoghi collettivi informali. Yang Yoon-gyoo di Unsangdong Architects Cooperation, che letteralmente significa “vitalità spirituale”, trasforma ogni lavoro attraverso
una carica espressiva paradossale, caricaturale, costruendo magneti provocatori che emergono nella metropoli generica. Kim Jong-kyu di M.A.R.U. architects sceglie esattamente la strada opposta. Le sue sono architetture di silenzio, composte, profondamente contemporanee nelle simmetrie, materiali, spazi e linguaggio come a cercare di costruire una pace che sembra spesso mancare nelle nostre città. Kim Seung-hoy di KYWC architects e Kim Young-joon di Y02 architects lavorano entrambi su opere che cercano continuamente la costruzione di luoghi dal forte carattere urbano e dall’uso di un linguaggio contemporaneo e aggiornato con il dibattito internazionale. Tutti i sei autori nascono negli anni Cinquanta, aprono i loro studi nei primi anni Novanta e attualmente occupano le posizioni di maggior peso nelle università, dove hanno introdotto nuovi metodi d’insegnamento, e nel governo urbano di molti centri coreani. Le loro opere interpretano con chiarezza il nuovo mondo di un popolo emerso dalle guerre del ‘900 e dalle sue derive autoritarie che ha trovato nel libero mercato e in una forma di deregulation controllata il proprio spazio di espressione. Basta questo per definire uno stile nazionale? Probabilmente la risposta è positiva ma credo sarà importante vedere come le nuove generazioni elaboreranno queste lezioni e lo spirito di un tempo che sta rapidamente cambiato, ma questo sarà, speriamo, l’oggetto di una prossima mostra.
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An historical account of a generation
Resoconto storico di una generazione Choi Won-joon The most widely publicized open debate regarding architecture in Korean postwar history took place in 1967 when Kim Swoo-geun, the pioneering modern master of Korea, was accused of being “too Japanese” in his design for Buyeo National Museum. Unfolding on the pages of a daily newspaper for two months, the debate became a national public row not because it concerned an architectural matter but because it touched upon the issue of Korea’s cultural identity— an alarming topic for the nation that underwent Japanese colonial rule in the early part of the twentieth century, during which its tradition and culture were forcefully suppressed and discontinued. After exchanges of fierce debates among prominent architects, historians, cultural figures, and Kim himself, he bypassed the issue by claiming that the form of the Museum was neither Japanese nor Korean but his very own, “style of Kim Swoo-geun, one who practices modern architecture”. Kim longed for his form to be understood by itself without historical or political analogies, but this incident clearly showed that architecture, as it was comprehended by the Korean society, was deeply rooted in political and socio-cultural issues. Such was Kim Swoo-geun’s wish to practice in autonomy, free from heavy ideological burdens, but it would take another thirty years for Korean architecture to finally arrive at that autonomous state. It was only in the latter half of the 1990s that Choi Moon-gyu, Jang Yoon-gyoo, Kim Jong-kyu, Kim Jun-sung, Kim Seunghoy, and Kim Young-joon, six architects gathered here for the exhibition, were able to lead a practice that finally enjoyed that autonomy, or rather, explored its full 4
potentials. (A short notice: one out of five Koreans share the family name Kim, the most common in the nation, and none of the architects noted here are familyrelated). Autonomy, of course, refers neither to a decadent, self-confining formalist attitude nor an Eisenmanian inquiry into the possibility of a pure, self-referential production of architecture, but to a disciplinary autonomy that maintains independence from ideologies to which architecture as social production often was subject. There were politics, sociology, economics, philosophy, and most prominently in Korean modern history, nationalism, as exemplified in Kim Swoo-geun’s Buyeo Museum case— versions of society’s grand narratives that ostensibly gave architecture its meaning and relevance. On the other hand, architectural autonomy concerns a mode of practice that deals with issues internal to the discipline, working on and with the discipline’s inner conditions of site, program, technology, regulations, and economy, through architecture’s inherent languages of form, space, programming, materiality, and tectonics. This generation of architects was able to break away from external value systems, and address issues of imminent realities in further expanded and diversified dimensions of architectural language.
Nel 1967 prende vita un dibattito storico per l’architettura coreana del dopoguerra: è in quell’anno che Kim Swoo-geun, il pionieristico maestro moderno della Corea, fu accusato di essere “troppo giapponese” nel suo progetto per il Museo Nazionale Buyeo. Per due mesi il dibattito trovò spazio sulle pagine dei quotidiani, diventando una faccenda pubblica nazionale, e non perché riguardasse una questione architettonica, ma perché toccava il tema dell’identità culturale nazionale, un tema scottante per un paese che aveva subìto, nella prima parte del XX secolo, il dominio coloniale giapponese, durante il quale le tradizioni e la cultura locali erano state sospese e represse con la forza. Dopo un acceso scambio tra architetti di spicco, storici, personalità del mondo della cultura e lo stesso Kim, l’architetto aggirò il problema affermando che la forma del museo non era né giapponese, né coreana, ma “frutto di un personalissimo stile di Kim Swoo-geun di architettura moderna”. Kim voleva che il suo stile fosse compreso nella sua essenza, senza analogie storiche o politiche, ma l’incidente dimostrava chiaramente che l’architettura, nel suo modo di essere intesa dalla società coreana, era profondamente radicata in questioni politiche e socio-culturali. Il desiderio di Kim Swoo-geun di operare in autonomia, libero da pesanti fardelli ideologici, era forte, eppure ci vollero ancora trent’anni prima che l’architettura coreana riuscisse a rendersi veramente autonoma. Fu solo nella seconda metà degli anni Novanta del Novecento che Choi Moon-gyu, Jang Yoon-gyoo, Kim Jong-kyu, Kim Jun-sung, Kim Seung-hoy e Kim Youngjoon, i sei architetti qui riuniti per la mostra, riuscirono a esercitare la propria professione in piena autonomia, o meglio, sfruttandone appieno le potenzialità. (Un dettaglio: un coreano su cinque si chiama Kim, il cognome più diffuso in Corea, ma non vi è alcun vincolo
di parentela tra gli architetti qui elencati). Con autonomia, ovviamente, non si intende un approccio formale decadente, auto-limitante, né un’indagine eisenmaniana della possibilità di un’architettura pura e autoreferenziale; ma un’autonomia disciplinare capace di mantenere un’indipendenza dalle ideologie a cui l’architettura, come produzione sociale, era spesso soggetta. A dare apparentemente significato e rilevanza all’architettura c’erano diverse versioni delle grandi narrazioni della società: a partire da quelle politiche a quelle sociologiche, economiche, filosofiche e – soprattutto nella storia moderna della Corea – nazionaliste, come dimostra il caso del Museo Nazionale Buyeo di Kim Swoo-geun. D’altro canto, l’autonomia architettonica si riferisce ad un modus operandi che si preoccupa di questioni interne alla disciplina, lavorando alle e con le condizioni più intime della disciplina stessa, che riguardano il sito, il progetto, la tecnologia, le normative e l’economia, attraverso linguaggi propri dell’architettura in merito a forma, spazio, progettazione, materiali e tettonica. Questa generazione di architetti è stata capace di rompere con i sistemi di valori esterni, trattando problemi concreti e imminenti con dimensioni più ampie e diversificate del linguaggio architettonico.
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The new objectivity
Una nuova oggettività Luca Galofaro Sections of autonomy is the story of a generation’s attempt to rethink the relationship between architecture and urban space. These six architects attempt to define the city as a place for community living. Each building defines a precise urban form in which the boundary between public and private seems to disappear. While seeking independence from tradition, at the same time they demonstrate how tradition has been assimilated into a process of contextualisation of design. Reciprocity between the building and the open space is a recurrent feature in architectural projects demonstrating how a country damaged by war and economic crisis can be rebuilt in only sixty years. It is hard for us to imagine today that Korea was one of the poorest countries in the world in the 1950s. And yet the Koreans started rebuilding, quite rapidly, in a pragmatic way, responding to the demands of individuals first, and to those of the community immediately afterwards. And this is an important theme: building for the community. Attention in the west continues to be directed towards Asia, particularly China with its largescale projects and Japan with its experimentation. Korea does not attempt to amaze us with colossal projects, nor does it transform research in architecture into an individual’s need to express his or her own desires, but establishes the boundaries of the new objectivity. The new objectivity is all about the architecture of everyday living, seeking a precise order and assigning strategic importance to the building, redefining links with its users. Exhibiting Korean architecture is very important in a country like Italy that needs 6
to understand that quality architecture is an essential condition not only for a country’s economic growth, but for its cultural growth as well. To re-establish contact between memory and the way we view our rapidly transforming world, we need to redefine the limits of the discipline, and quality architecture re-establishes this dialogue. The exhibition is made up of fragments, models, books, drawings and photographs, a fluid narration demonstrating how these six architects seek their own form of expression not in the idiom of architecture but in the quality of the places that their architecture produces. A professional way of building design, seen in terms of production: buildings and comments are concentrated around the idea that true form is, and always will be, the product of our imagination which gives the world concrete form. The exhibition manages to offer a direct experience of the individual buildings by asking the architects to provide documentation that is not limited to a simple description of them but attempts to establish empathy between the visitor and all stages in the execution of the project, from conception to construction. This stratification is reconstructed in the catalogue through Choi Won-joon’s essay describing the cultural climate and the political and economic circumstances in which the architects developed their ideas, while Alessandro Toti introduces us to the country’s history and Stefania Manna reflects this idea of a new objectivity achieved with special care, not so much for technical innovation but for quality use of materials.
Sections of autonomy racconta il tentativo di una generazione di ripensare il rapporto tra architettura e luogo urbano, questi sei architetti cercano infatti di definire la città come spazio di vita collettivo. Ogni edificio definisce una precisa forma urbana in cui il limite tra pubblico e privato sembra svanire. Se da una parte cercano l’autonomia dalla tradizione, dall’altra dimostrano come la tradizione sia assimilata in un processo di contestualizzazione del progetto. La reciprocità tra edificio e spazio aperto è una caratteristica ricorrente di queste architetture che dimostrano come in soli sessant’anni un paese provato dalla guerra e dalla crisi economica, può essere ricostruito. Oggi è difficile immaginare che negli anni ‘50 del XX secolo la Corea era uno degli Stati più poveri al mondo. Eppure nemmeno troppo lentamente hanno cominciato a costruire, in modo pragmatico, rispondendo alle esigenze degli individui prima, delle comunità subito dopo. Questo è un tema importante costruire per la comunità. L’Asia continua ad attrarre l’attenzione, ma sono sempre la Cina dei grandi progetti e il Giappone della sperimentazione, al centro dello sguardo dell’occidente. La Corea non cerca di stupire con grandi progetti, e non trasforma la ricerca in un’esigenza dell’individuo ad esprimere i propri desideri, ma definisce i limiti di una nuova oggettività. La nuova oggettività definisce un’architettura del quotidiano nella quale si cerca un ordine preciso, l’edificio assume un importanza strategica nel ridefinire un legame con i suoi fruitori. Mettere in mostra l’architettura coreana è molto importante in un paese come l’Italia che ha bisogno di comprendere come la qualità architettonica sia una condizione necessaria non
solo per la crescita economica di un paese ma anche per la sua crescita culturale. Per ristabilire un contatto tra la memoria e lo sguardo sul mondo che si trasforma velocemente è necessario ridefinire i limiti della disciplina, un’architettura di qualità ristabilisce questo dialogo. La mostra è costruita per frammenti, modelli, libri, disegni e fotografie, una narrazione fluida che dimostra come questi sei architetti non cercano nel linguaggio la loro forma espressiva, ma nella qualità dei luoghi che la loro architettura produce. Una modalità di costruzione professionale del progetto inteso come produzione: gli edifici e le annotazioni si addensano attorno all’idea che la vera forma è, e sarà sempre, una restituzione della nostra immaginazione, che viene riprodotta costruendo la forma concreta del mondo. E’ stato possibile restituire l’esperienza diretta dei singoli edifici, chiedendo agli architetti di fornire una documentazione che non si limita alla loro semplice descrizione, ma cerca invece di creare un empatia tra il visitatore e tutte le fasi di realizzazione del progetto, dall’ideazione alla costruzione. Nel catalogo questa stratificazione è ricostruita attorno al saggio di Choi Won-joon che definisce il clima culturale in cui gli architetti hanno sviluppato le loro idee, lo sguardo alla situazione politica ed economica di Alessandro Toti ci introduce al contesto storico del paese. Mentre Stefania Manna restituisce l’dea di questa nuova oggettività realizzata con una cura speciale non tanto per l’innovazione tecnica quanto per la qualità nell’uso dei materiali.
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Choi Moon-gyu—Ga.A Architects
Soongsil University Student Union Seoul, 2008-2011 © Nam-gung Sun
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Choi Moon-gyu—Ga.A Architects
H Music Library Seoul, 2012-2015 © Nam-gung Sun
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Ssamziegil Seoul, 2001-2004 © Kim Yong-kwan
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Jang Yoon-gyoo—Unsangdong Architects Cooperation
Seongdong Cultural & Welfare Center Seoul, 2009-2010 © Fernando Guerra
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Kolon Energy Plus House Yongin, 2010-2011 © Sergio Pirrone
Kring / KumHo Culture Complex Seoul, 2005-2006 © Sergio Pirrone
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Kim Jong-kyu—M.A.R.U. (Metropolitan Architecture Research)
Amore Pacific / SCM Botanical Garden Osan, 2011 © Thierry Sauvage
Hansen Museum Yeosu, 2012-2015 © Kim Yong-kwan
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Arumjigi Head Office Seoul, 2011-2013 © Jonathan Lovekin
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Kim Jun-sung—Architecture Studio hANd
Humanist Books Office Seoul, 2011-2012 © Nam-gung Sun
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Mimesis Art House Seoul, 2006-2009 © Kim Yong-kwan
XIOM Factory and Warehouse Eumseong, 2014-2016 © Architecture Studio hANd
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Kim Seung-hoy—KYWC Architects
Place J Seoul, 2013-2014 © Kim Jae-kyeong
Soyul Seoul © Kim Jae-kyeong
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Munhakdongne Publishers Office Paju, 2002-2003 © Kim Jae-kyeong
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Kim Young-joon—YO2 Architects
Hakhyunsa Publishing Co. Paju, 2005-2008 © Kim Jae-kyeong
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Heryoojae Women’s Hospital Ilsan, 2001-2004 © Kim Jae-kyeong
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Kim Young-joon—YO2 Architects
ZWKM Block Seoul, 2011-2015 © Kim Jae-kyeong
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Spazio Fmg per l’Architettura
FMG Fabbrica Marmi e Graniti
SPAZIO FMG PER L’ARCHITETTURA is the gallery Iris Ceramica and FMG Fabbrica Marmi e Graniti dedicate to architecture and interior design. A place dedicated to “displaying and freely communicating architecture” by Luca Molinari, conceived as meeting and engagement point for architects, students and enthusiasts. A space that combines the expressive power of a gallery with the discrete dynamics of a workshop of ideas and materials, projects and works, testimony to the deep bond and authentic passion of the Iris Ceramica Group for their surroundings.
FMG Fabbrica Marmi e Graniti is the division of Iris Ceramica created to communicate with the world of architecture through products designed to unleash the creativity of designers and architects, offering a wide range of Natural Stone of Factory more suited to a range of uses, from large to small living spaces works. FMG is able to offer the international market a unique material, the result of a unique technology, allowing the most beautiful, rare and valuable marbles, granite and stones to take shape in very high performance slabs for toughness, durability and hygiene, thanks to raw materials (clay, sand and minerals) selected at source by FMG, exceptionally high compacting pressure (480 Kg / cm2) and the a firing heat higher than that of volcanoes (over 1,300°C). FMG’s product range consists of more than 70 varieties of slabs in different finishes (aged, cleft, cleft B, flamed, tumbled, honed, smooth, pre-polished, shine,slate and structured) and sizes (120x60, 90x45,60x60, 60x30, 45x45, 40x40 and 30x30).
www.spaziofmg.com Iris Ceramica Iris Ceramica is the leader company of a multinational, world leader in the production of glazed ceramic tiles and porcelain tiles for floor and wall coverings for projects in residential, commercial and industrial settings. With a range of more than 50 collections for more than 2500 articles, since 1961 Iris Ceramica spreads the prestige of Made in Italy and daily affirms its commitment to realize ceramic creations by the high value technical and aesthetic, characterized by excellence in design evolved as witnessed by international awards. Creations that are the result of research and development within the company, a wealth of knowledge that allows them to make materials that are themselves unique. Creations that are born by combining technological innovation with knowledge of traditional craft techniques,in full compliance with the stricter standards in sustainability, for both processes and production. www.irisceramica.it
www.irisfmg.it
www.spaziofmg.com