APPROFONDIMENTI
Nascere speleo: un’analisi statistica Giovanni BADINO a speleologia invecchia”, “no, non invecchia”, “tutte le attività invecchiano”, “no, a crescere è l’età media della popolazione”, “macché è solo che ora si fa a trent’anni quello che un tempo si faceva a sedici”…
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Quante chiacchiere. È certamente vero che il colore dei capelli più frequente, in grotta, sta virando al grigio, soprattutto a grandi profondità dove esplorano con tranquillità persone di età che, pochi decenni fa, sarebbero state inconcepibili. Ricordo quando, molti anni fa, Marietto Gherbaz aveva fatto una punta in fondo al Gortani, e si vantava di esserci riuscito a quarant’anni… Ora laggiù si protendono squadre con età media ben maggiore, e pare normale. Del resto, vale la pena di citare qui Gianni Ribaldone, grandissimo speleologo della metà degli anni ’60. Aveva al suo attivo grandi imprese speleo (ad esempio il fondo della Preta) e alpinistiche, studi sulle grotte e sui pipistrelli, una Medaglia d’Oro al Valor Civile, la fondazione del Soccorso Speleo, del Gruppo Alta Montagna e della scuola di alpinismo Gervasutti, quando morì sul Monte Bianco; aveva raggiunto i ventiquattro anni… [Badino, 2000]. Insomma, c’è qualcosa di strano in questi nonni che vanno in grotta, ma non di questo si vuole discutere. L’obiettivo di questa nota non è interpretativo ma sperimentale; fornire delle misure reali per valutare l’evoluzione nel tempo dell’attrattività della speleologia sulla popolazione. È assai probabile che analisi di questo genere diano risultati simili anche in altre discipline “totalizzanti”, come alpinismo o subacquea, ma forse solo in speleologia esistono dati adeguati. Essa è infatti una disciplina piuttosto chiusa in sé ma anche molto organizzata socialmente. In particolare, da diversi decenni ci sono gli incontri nazionali che coinvolgono una parte sostanziale degli speleologi. Un’analisi simile fatta in passato, basata sulla percentuale di presenti appartenenti a strutture con associati ben definiti (SSI e CNSAS) [Badino, 2002] aveva mostrato che a quegli incontri partecipava oltre un terzo degli speleologi presenti in Italia (circa 4000), e che quindi il campione era assolutamente significativo. Naturalmente già allora si era posto il problema di cosa fosse uno “speleologo”, poiché è ben noto che la definizione varia molto sia geograficamente che nel tempo. Abbiamo assunto una definizione basata sull’autoreferenzialità, vale a dire che sia “speleologo” chi alla domanda “da quanto tempo fai speleologia?”
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Speleologia 75 dicembre 2016
dichiara un tempo maggiore di un anno. Vale a dire che escludiamo sia chi non risponde, perché non la fa, sia chi dice “da quest’anno”. La definizione quindi include persone che “si occupano di grotte” da almeno un anno. Il primo dato che si osserva è che i partecipanti “non speleologi” a questi incontri sono andati crescendo dal 15-20% a metà anni ’90 al 25-30% degli ultimi anni e che quindi è davvero indispensabile escludere costoro dalle statistiche. I dati utilizzati sono stati quelli di Casola 1995, Apuane 2007 e Casola 2013. Nel primo incontro c’erano dati di età anagrafica e speleologica completi, mentre nel secondo purtroppo le età speleologiche erano precise all’anno per i dieci anni precedenti ma per intervalli di cinque anni in quelli prima, cosa che li ha resi inutilizzabili. Per fortuna l’incontro di Casola 2013 ha rimediato, fornendo non solo i dati di età all’anno, ma addirittura le date di nascita degli speleologi. Questo ha permesso di analizzare l’influenza degli astri alla nascita sulla scelta di diventare speleologi…
L’età d’iniziazione Il dato fondamentale è che ciascuno dichiara quanti anni ha (età anagrafica) e da quanto tempo fa speleologia (età speleologica). Si può quindi ricostruire in quale anno ha iniziato e quindi calcolare numero ed età media di quelli che hanno iniziato in quell’anno. Vediamo i dati, iniziando da quello più recente, Casola 2013.
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