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Mi costruirò un’altra scatola…
from Storie sconfinate
by sscmi
di Gaia Trinciavelli
Fuori dal finestrino, le auto andavano veloci, il cielo era già scuro da un po’. Un pacchetto scricchiolante ballava sulle mie ginocchia mentre io ne rovinavo il fiocco giocherellandoci.
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«Siamo in ritardo?».
«Siamo arrivati».
Mia mamma si fermò davanti all’entrata del locale.
«Eccoci. Divertiti e ricordati di chiamarmi quando avete finito».
Scesi dalla macchina. Il freddo, umido, pungeva gli occhi; l’aria gelata faceva male nel naso. La luce gialla del ristorante illuminava le scale che portavano all’entrata. Più mi avvicinavo, più il vociare si intensificava: una risata, una voce maschile, una più dolce, una infantile. Entrando provai un gran sollievo al contatto con il calore del camino. Mi feci strada nella sala piena di gente, le tovaglie sporche e i bicchieri vuoti.
«Virgi! Qui!».
Sara si stava sbracciando dal tavolo. Mi venne incontro con le braccia tese e un gran sorriso. Le diedi il regalo e lei mi abbracciò forte.
Al tavolo erano sedute tutte le mie più care amiche: Silvia, Julie, Franci e… ?
«Lei è Giulia, una mia compagna di classe».
Così l’ho conosciuta.
Non mi parlava, non mi guardava, pensai che non le importasse di ascoltare ciò che avevo da dire. Passava la caraffa d’acqua a Franci, che era seduta accanto a me, e mai una sola volta posava lo sguardo su di me, nemmeno per sbaglio. Ecco, le stavo antipatica. Per tutta la cena fu quasi come se io non ci fossi per lei.
Finimmo di mangiare e dopo la cena non poteva mancare un dolce; Silvia prese in mano il menù e iniziò a leggere ad alta voce.
© 2023, Biblioteche del Comune di Piacenza e Associazione La Matita Parlante, Storie sconfinate, Erickson, www.ericksonlive.it
«Granita al porto Tawny… Soufflé ananas e jalapeño… Tortino di noci di macadamia e…».
Alzò lo sguardo dalla lista. Per un momento ci guardammo tutte in silenzio. Una sorta di comunicazione telepatica, di connessione ultraterrena, un’intesa silenziosa.
«McDonald’s?», sussurrò Julie con un ghigno sulle labbra.
«Sì», sussurrammo noi.
Ci alzammo dal tavolo e seguimmo la routine di sempre. Qualche anno prima avevamo stabilito che durante le uscite, a cena fuori o a qualunque festa, ognuna di noi avrebbe avuto il proprio compito: Silvia (la più affidabile) sarebbe andata a pagare, Julie e Franci a recuperare le borse (in due, perché è un compito troppo importante) e io (non so bene perché) a prendere le giacche.
Silvia, che si stava già dirigendo al bancone, si voltò.
«Giulia, la aiuti tu la Virgi con le giacche?»
Lei mi guardò, poi guardò Silvia, poi le giacche e infine ancora me.
«Sì, sì». Sorrise.
Coperte da strati e strati di lana, pile e poliestere, ci incamminammo verso il McDonald’s più vicino, che si trovava proprio dall’altro lato della strada, un po’ più in là del semaforo.
Credo di essermi innamorata nel parcheggio, quando mi accorsi che io e Giulia, invece di stare con le altre, eravamo isolate, sempre un paio di metri più avanti rispetto al gruppo. Le si era sciolta la lingua, non la smetteva più di parlare, parlare, parlare. Non mi guardava mai negli occhi, ma il loro colore azzurro lo si percepiva, non c’era bisogno che mi guardasse. In quegli istanti pareva che l’unico oggetto in movimento fossero i suoi ricci, tutti concentrati in cima alla testa, tanto corti eppure così vivaci, eccitati dalla brina, inebriati dal vento, schiavi dello stesso. Quella sera un terremoto sconvolse tutto il mio mondo, quello che conoscevo, quello che mi faceva comodo, o meglio, faceva comodo agli altri. Sì, perché a quanto pare non è comodo avere una figlia lesbica. Ho provato tante volte a parlarne coi miei genitori, eppure il mio corpo si rifiutava. Le parole rimanevano incastrate nelle corde vocali, come un cappio che stritola la gola e ti toglie il fiato. Più cercavo di sbrogliarle, di snodarle, di liberarle dalla rete di terrore, più il petto oscillava: su, giù, su, giù, su, giù, come un mare in tempesta.
Quando ho scoperto che i confini che per tutta la vita mi erano stati tracciati intorno mi stavano stretti, mi sono sentita sopraffatta da mille pensieri e preoccupazioni. Non entravo più nella mia scatola ma, allo stesso tempo, questa nuova frontiera di me stessa mi piaceva.
«Mi costruirò un’altra scatola», mi dissi.
© 2023, Biblioteche del Comune di Piacenza e Associazione La Matita Parlante, Storie sconfinate, Erickson, www.ericksonlive.it