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Il mio nome è Agnieszka
from Storie sconfinate
by sscmi
di Agnieszka Maksymiuk
«A primavera, il profumo del bosco con i mughetti.
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Le foglie che scricchiolano sotto le scarpe, in autunno.
Se mi chiedi quali sono le prime suggestioni che mi vengono in mente quando penso alla mia terra, sono queste. Sono queste le cose che mi mancano di più della Polonia».
Agnieszka ha una figura gentile, aspetto nordico, gote arrossate che svelano la timidezza. Ha un accento che ne tradisce l’origine ma si sforza di pronunciare un italiano corretto, anzi ricercato; si percepisce lo studio, lo sforzo e la volontà di impadronirsi di una lingua diversa. L’abbiamo incontrata al MES, il Museo dell'Emigrazione G.B. Scalabrini, dove oggi lavora.
«Ero giovane, avevo vent’anni, frequentavo l’università dove studiavo pedagogia con l’obiettivo di fornire sostegno pedagogico e psicologico ai bambini e agli insegnanti a scuola.
Stavo vivendo un momento particolare della mia vita, avevo bisogno di allontanarmi, di “staccare”.
Ho deciso di prendermi un anno sabbatico e sono partita per Roma con una mia amica senza sapere una parola di italiano. Siamo state ospitate da due famiglie diverse; in cambio dell’ospitalità e della possibilità di imparare una nuova lingua dovevo occuparmi dei bambini per alcune ore al giorno.
Io sono stata molto più fortunata della mia amica.
Le persone che mi hanno accolto erano generose, molto istruite, mi hanno insegnato tante cose, ma non bastava: non riuscire a esprimersi, non avere le parole per parlare, era una sensazione terribile. Un giorno sono rimasta traumatizzata: sono uscita da sola a Roma e ho sbagliato autobus, mi sono persa e non c’erano i cellulari a quell’epoca…. Mi sono spaventata, poi ho chiesto aiuto a una ragazza
© 2023, Biblioteche del Comune di Piacenza e Associazione La Matita Parlante, Storie sconfinate, Erickson, www.ericksonlive.it e il caso ha voluto che fosse anche lei polacca. Da quel giorno, restavo sveglia la notte per studiare l’italiano.
Tutta la famiglia mi accolse come una di loro ma in particolare la mamma: mi portava con lei a vedere mostre, musei, concerti. Mi ha portato a vedere il mare… ho sposato suo fratello.
Per le vacanze di Pasqua siamo venuti a Guardamiglio a trovare i parenti ed è in questa occasione che ho conosciuto mio marito. Sono poi tornata a casa per finire l’università e quando ci siamo sposati, padre Sisto, scalabriniano, è venuto fino in Polonia per celebrare il matrimonio: è stato un vero incontro di due culture.
Nostra figlia ora è grande, fa il liceo classico, ha capito la sua fortuna: provenire da due culture diverse ci rende più ricchi.
Non è stato sempre facile per me: quando sono stata assunta qui per catalogare i libri della biblioteca degli Scalabriniani, padre Silvio mi ha chiamato “Polacca” per due anni prima di chiamarmi con il mio nome. Certi italiani sono pigri, non si sforzano di pronunciare correttamente i nomi, li storpiano: mi chiamano “Polacca”, “Agnese”… il mio nome è Agnieszka, non è difficile! Credo sia un diritto essere chiamati con il proprio nome, rappresenta la nostra identità e va rispettato. Anche quando sono andata in questura per ottenere i documenti, ovviamente accompagnata da mio marito, è stato umiliante, mi hanno trattata da “deficiente”, usando un linguaggio dispregiativo. Ecco, l’incontro con gli “uffici” italiani, è stata l’esperienza peggiore del mio arrivo in Italia.
Ora sto bene qui, ho tanti amici, mi piace la città in cui vivo, mi appassiona il mio lavoro, studiare questi libri, incontrare i ragazzi delle scuole. Appena posso torno in Polonia a trovare la mia famiglia; anche mia figlia trascorre là le sue vacanze con la nonna e i cugini. Poi ritorno volentieri, la mia vita ora è qui».
…
–«Pronto?»
–«Ciao Agnieszka, dimmi…»
–«Sono le persone, ci ho pensato. La cosa che mi manca di più della Polonia sono le persone che ho lasciato là».
© 2023, Biblioteche del Comune di Piacenza e Associazione La Matita Parlante, Storie sconfinate, Erickson, www.ericksonlive.it