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Omar Daffe: diamo un calcio al razzismo

Intervista al responsabile dell’Ufficio Antirazzismo della Lega Serie A

di Massimiliano Dilettuso

Novembre 2019: si sta disputando una partita di Eccellenza emiliana tra Bagnolese e Agazzanese. Il portiere dell’Agazzanese è Omar Daffe, 37enne di origini senegalesi con un trascorso nella Primavera del Bordeaux, che ad un certo punto del match decide di lasciare il terreno di gioco anzitempo a causa dei pesanti insulti razzisti perpetrati nei suoi confronti dalle tribune. La coraggiosa scelta, subito condivisa da tutti i suoi compagni, gli costa una giornata di squalifica, oltre che la sconfitta a tavolino e la pena di un punto di penalizzazione in classifica per la sua squadra. Da quel momento Omar decide di dare avvio a una campagna di sensibilizzazione in lungo e in largo per lo Stivale, con l’obiettivo di combattere non solo l’odio razziale, ma anche l’indifferenza della gente. Alcuni mesi più tardi, la Lega Serie A prende a cuore la sua lotta e decide di nominare Daffe responsabile dello staff dell’Ufficio Antirazzismo della Lega Nazionale Professionisti di Serie A.

Daffe, secondo lei come si può combattere il razzismo nell’ambiente sportivo?

«Prima di tutto servirebbe una presa di coscienza collettiva, riconoscendo la gravità del fenomeno, la sua presenza in ambito sportivo e condannando ogni azione violenta e discriminatoria. Nella lotta al razzismo l’educazione svolge un ruolo chiave: si potrebbero, quindi, promuovere delle iniziative di sensibilizzazione e dei programmi di formazione».

Lavora nell’ufficio CSR della Lega Serie A, quali sono le iniziative che avete adottato nella lotta al razzismo?

«La Lega Serie A è schierata in prima linea contro il razzismo e ogni forma di discriminazione con la campagna di sensibilizzazione ‘Keep Racism Out’. Nell’ultimo anno siamo riusciti a realizzare diverse importanti attività: abbiamo instaurato una partnership con l’Ufficio Nazionale Antirazzismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con Football Against Racism in Europe, istituito una Commissione CSR che si riunisce mensilmente e lanciato una campagna di comunicazione dedicata a ‘Keep Racism Out’ con la partecipazione di 20 calciatori, uno per ogni Club, ad uno spot per esprimere la propria ferma condanna al razzismo. Siamo certamente soddisfatti per quanto fatto finora, ma siamo pienamente consapevoli che la strada da percorrere sia ancora lunga».

Da quest’anno anche la Junior TIM Cup abbraccerà la campagna Keep Racism Out.

«L’educazione dei più giovani è fondamentale nella lotta al razzismo ed è uno dei pilastri su cui si basa l’iniziativa ‘Keep Racism Out’. Da quest’anno anche la Junior TIM Cup, uno dei progetti storici di Lega Serie A, organizzato in collaborazione con i partner TIM e CSI, abbraccerà la nostra campagna. Si tratta di un passo importante, perché grazie alla JTC riusciremo a raggiungere e a sensibilizzare migliaia di ragazzi in tutta Italia, organizzando incontri di formazione e momenti di riflessione con testimonianze dirette di esponenti del mondo calcistico e sportivo italiano».

Dal punto di vista sportivo, qual è stata la sua vittoria più importante?

«Tra i vari titoli conquistati metto in cima senza esitazione la “KeeperBATTLE Beach” di Munich nel 2015. Come indicato dal suo nome, si tratta di un torneo internazionale che vede ogni anno la partecipazione di circa un migliaio di portieri tra dilettanti e professionisti. Nel 2015 sono diventato Campione d’Italia vincendo la finale del torneo a Rimini e staccando il ‘pass’ per le fasi finali internazionali di Monaco di Baviera, dove mi sono laureato vice-campione. Un secondo posto che vale come una vittoria, perché durante il torneo ho avuto l’opportunità di crescere sportivamente e umanamente, confrontandomi con ragazze e ragazzi provenienti da diversi Paesi».

E nella vita?

«Oltre al mio lavoro in Lega Serie A nell’ufficio CSR, ho una bellissima famiglia con due figli e mi occupo dell’associazione ‘Calcio Dilettanti e Solidarietà APS’, che ho fondato nel 2014 con l’obiettivo di creare un ponte di relazioni sociali e culturali tra il mio Paese di origine, il Senegal, e quello adottivo, l’Italia, attraverso attività sportive con finalità benefiche e umanitarie. In questi anni siamo riusciti ad adottare circa 300 bambini, abbiamo aiutato scuole, ristrutturato ospedali e orfanotrofi, organizzato gruppi di viaggio dedicati alla realizzazione di campi estivi per scuole calcio presenti sul territorio senegalese».

Se potesse tornare indietro, rifarebbe la stessa scelta di abbandonare il campo durante Bagnolese-Agazzanese?

«Certamente. Prima del calciatore, sono stato offeso come essere umano, come Omar, con la mia personalità, dignità e forte sensibilità. Non sarebbe stato giusto far finta di nulla, non potevo continuare a subire passivamente una violenza gratuita e ripetuta. Uscendo dal campo stavo protestando in modo pacifico anche contro l’omertà della maggioranza dei presenti allo stadio, contro un’ingiustizia che stava accadendo davanti ai loro occhi».

Quant’è importante la lotta al razzismo?

«Direi che è fondamentale e necessaria, anche perché si tratta di una lotta legittima per tutelare la dignità, garantire il rispetto dei diritti umani e la protezione di ogni individuo, a prescindere da colore della pelle, etnia, genere, livello sociale e Paese di origine. Ogni persona deve sentirsi al sicuro e a proprio agio nel nostro Paese».

E lo sport può davvero aiutare a supportare la lotta al razzismo?

«Lo sport è uno strumento eccezionale: è una competizione leale che stimola la crescita personale e l’interazione sociale, è un veicolo importante di valori quali l’inclusione, l’integrazione, il rispetto e la solidarietà fra individui. Lo sport non considera etnia, nazionalità, genere, religione o colore della pelle dei partecipanti: dà a tutti, indistintamente, pari opportunità di esprimersi e mettersi in gioco. D’altronde anche Nelson Mandela affermava che lo sport ha il potere di cambiare il mondo e di unire le persone come poche altre cose al mondo. Lo sport ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione»

Lo sport ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione

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