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Malagò: “È necessario un Ministero dello Sport”

Gli strepitosi risultati ottenuti nell’ultimo anno sono il frutto di un modello sportivo basato sull’associazionismo e sullaorganizzazione confederale garantita dal CONI

di Leonio Callioni

Ad un anno dalla scintillante Olimpiade azzurra a Tokyo e alla vigilia dei Giochi del Mediterraneo e dei Giochi Olimpici Giovanili a Banská Bystrica, Stadium ha varcato le porte del Palazzo H al Foro Italico per incontrare il numero uno del Comitato OIimpico Italiano.

Presidente Malagò, dopo l’entusiasmante pioggia di medaglie conquistata dallo sport di vertice olimpico e paralimpico, cosa si aspetta nel suo ruolo di guida del CONI dallo sport universalmente inteso nel nostro Paese?

Mi auguro possa esercitare, sempre più, un ruolo nevralgico nel tessuto sociale come propulsore di ideali e fonte di positività e benessere ad ogni livello, diventando un riferimento irrinunciabile per radicare una mentalità che possa rappresentare la stella polare di un Paese migliore. I numeri, i riscontri e le varie evidenze credo rappresentino la testimonianza più eloquente dell’importanza che riveste per la collettività.

Dopo due anni di pandemia, con i ragazzi che più di tutti hanno perso tempo di vita, cosa può fare lo sport per cercare di porre rimedio?

I giovani hanno sofferto e continuano a pagare le conseguenze della pandemia, è un vulnus da sanare cercando di tornare a far sentire la forza del messaggio che ci appartiene. Lo sport è la soluzione per riprendersi un’identità soffocata dall’alienazione. Sono sinceramente vicino alle società e alle associazioni per le enormi difficoltà che hanno dovuto fronteggiare e per i deflagranti effetti che ancora si riflettono nella quotidianità.

Da tempo e con accelerazioni e momenti di stanca che si alternano, si parla di riforma dello sport. Dal suo punto di osservazione particolarmente interessato, quali ritiene possano essere i vantaggi dell’ultima formulazione e quali pensa possano invece essere i rischi connessi?

A distanza di 3 anni e mezzo, ci ritroviamo a discutere di un tema nato con un presupposto, quello della governance, trasformato in 6 decreti che trattano altri argomenti, tra cui il lavoro sportivo. Qualsiasi cosa si fa non può ricadere sul sistema, che non la sostiene. Bisogna il più possibile accompagnarla. Penso che il lavoro sportivo sia necessario, che i ruoli debbano essere scritti e declinati con l’aiuto del Comitato Olimpico e di quello Paralimpico, da sempre sul campo. Se uno non lo fa c’è qualcosa che non funziona. Poi esiste il discorso del registro, che ci sta particolarmente a cuore, perché non credo si possa prescindere dal ruolo di CONI e CIO per il riconoscimento delle società, che non può essere una prerogativa di un soggetto politico. Il CONI è terzo.

Veniamo allo sport di base: quale ruolo pensa debba essere rivestito dalla promozione sportiva in Italia?

Parliamo di un’attività fondamentale che passa attraverso un’azione insistita, appassionata, forte della dedizione e del senso di appartenenza che rientrano nel codice genetico degli organismi che rappresentano la filiera del sistema. Gli Enti esercitano un ruolo decisivo in questa missione, dal valore inestimabile per la collettività.

Enti di promozione sportiva e Federazioni si trovano spesso in contrapposizione e questo non è un bene per lo sport. A suo avviso è possibile una convivenza? È possibile immaginare addirittura forme di collaborazione ed evitare di cadere in una malintesa forma di concorrenza che fa solo danni?

È indispensabile fare sintesi. Abbiamo cercato di favorire la risoluzione di ogni controversia in questo senso. Il futuro del sistema passa per una definizione dei rapporti tra organismi che sviluppano politiche finalizzate alla crescita del movimento. Occorre superare ogni conflittualità nell’interesse specifico e generale, perché il percorso di crescita deve essere costruito sulla collaborazione, nel rispetto delle reciproche funzioni, attenendosi al proprio perimetro di azione.

Lei è il primo firmatario della proposta di modifica/ integrazione del testo costituzionale affinché sia inserita nella Carta fondamentale della Nazione italiana il diritto di tutti di praticare attività sportive. Il principio è particolarmente interessante e il nostro periodico, Stadium, vi ha dedicato un articolo specifico con importanti approfondimenti. Cosa chiede lei alla politica per rendere concreto un principio tanto importante quanto fondamentale nel miglioramento della società italiana?

Sono orgoglioso di essere stato il primo firmatario dell’iniziativa, non certo per sostenere un interesse di parte, ma per conferire la sacrosanta dignità costituzionale alla valenza del nostro mondo, sinonimo di valori universali. Era un proposito che avevo manifestato tra l’altro nel 2013, subito dopo essere stato eletto alla Presidenza del CONI. Fa piacere che ci sia una convergenza trasversale a livello politico, segno evidente della considerazione vantata dallo sport sotto ogni profilo. Mi auguro che il futuro raggiungimento del traguardo faccia da preludio a iniziative che possano valorizzare il principio riconosciuto.

In questa nuova impostazione costituzionale, con il ruolo dello sport portato a livello di diritto universale, quale pensa possa e debba essere il ruolo del Centro Sportivo Italiano?

Il CSI è portabandiera di ideali inalienabili, ha un’identità forte e una vocazione nobile, una visione che abbraccia l’aspetto educativo e quello culturale, fondendoli nell’offerta che grazie allo sport permea l’essenza del messaggio promosso. Rientra esattamente nel solco del principio enunciato, modello per ispirare una crescita nel segno degli ideali che ci caratterizzano. Sono da sempre vicino a questa straordinaria famiglia e apprezzo molto l’operato del Presidente Bosio: sono sicuro che l’Ente continuerà ad offrire il proprio energico contributo per la crescita del movimento.

Come vede lei, alla luce della situazione attuale, il rapporto tra CONI, la società Sport e Salute Spa e il Dipartimento dello sport? È possibile una sinergia?

A settembre il Consiglio Nazionale del CONI, sulla base dell’unanime indirizzo adottato dalla Giunta Nazionale, ha proposto l’istituzione permanente di un Ministero dello Sport, anche sul modello di altri Paesi europei, che si occupi direttamente delle politiche pubbliche per la diffusione della pratica sportiva in Italia, attraverso la scuola, l’intervento sul comparto sanitario e per risolvere le storiche problematiche dell’impiantistica. Nello stesso tempo, lo sport, di base e di vertice, interamente affidato al CONI e alle sue articolazioni territoriali, in stretta sinergia con gli organismi sportivi. Gli strepitosi risultati ottenuti nell’ultimo anno sono il frutto di un modello sportivo basato sull’associazionismo e sull’organizzazione confederale garantita dal CONI. È un modello che si può sicuramente migliorare e rendere sempre più efficiente ma se le modifiche intervenute negli ultimi anni non vengono adeguatamente corrette, si corre il rischio di perdere l’efficienza, la responsabilità e, soprattutto, la capacità, attraverso le vie democratiche, di rispondere sia dei risultati sia del funzionamento delle strutture sportive e, quindi, di sprecare questo patrimonio.

“Non credo si possa prescindere dal ruolo di CONI e CIO per il riconoscimento delle società, che non può essere una prerogativa di un soggetto politico. Il CONI è terzo.

“Il CSI è portabandiera di ideali inalienabili, ha un’identità forte e una vocazione nobile, una visione che abbraccia l’aspetto educativo e quello culturale, sono sicuro che l’Ente continuerà a offrire il proprio energico contributo per la crescita del movimento

Vittorio Bosio (Presidente CSI) e Giovanni Malagò (Presidente del CONI)

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