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Non si lascia indietro nessuno!

Intervista a tutto campo con il presidente e amministratore delegato di Sport e Salute, Vito Cozzoli

di Leonio Callioni

Nell’intervista al Presidente e Amministratore delegato di Sport e Salute, Vito Cozzoli, pensiamo sia doveroso da parte nostra omettere ogni presentazione del CSI e del nostro house organ “Stadium”, storico strumento di comunicazione dell’Associazione che da poco ha ripreso le pubblicazioni. Pensare di presentargli l’Associazione o Stadium, infatti, vorrebbe dire non conoscere il grande impegno suo e della sua famiglia, in particolare del papà Mario Saverio che fu nostro dirigente per moltissimi anni, come testimoniato dal libro pubblicato qualche anno fa dal titolo “Mario Saverio Cozzoli – Una vita al servizio degli altri”. Ed infine sarebbe davvero ingeneroso nei suoi confronti perché vorrebbe dire che non ricordiamo i molti articoli da lui scritti in passato proprio per Stadium. Questa intervista è perciò un po’ anomala per il fatto che lui di CSI ne sa sicuramente più di molti dirigenti che magari sono arrivati in Associazione da poco. Questo, se possibile, rende l’intervista ancora più interessante, perché ci rivolgiamo a lui, nel suo ruolo di Presidente e Amministratore Delegato di un organismo importante nella gestione dello sport in Italia: la società Sport e Salute Spa.

Cosa ne pensa lei, dal suo punto di osservazione, del sistema sportivo attuale?

Che sta lavorando con successo, ma che c’è ancora tanto da fare. Occorre un nuovo modello di sport sempre più orientato ad una visione green, sostenibile, inclusiva, appassionante. Non possiamo permetterci di essere esclusivi: lo sport deve essere attrattivo e coinvolgente, parlare un linguaggio capace di dialogare contemporaneamente con i ragazzi e con le persone anziane. Abbiamo bisogno di valorizzare ogni luogo, ogni spazio, ogni modello di attività fisica e motoria in grado di fare crescere una cultura dello sport che entri nel quotidiano della vita di ciascuno di noi e in tutti i tempi della nostra vita: scuola, lavoro, famiglia. L’attività fisica e lo sport devono entrare in contatto con i cittadini nei luoghi in cui le persone cercano risposte ai loro bisogni. Veniamo da un periodo in cui la salute è stata il baricentro della nostra vita. Farmacie, ambulatori e ospedali, purtroppo, sono stati il punto di riferimento costante per tutti noi. Questi luoghi possono diventare ambienti di promozione della salute e del benessere, luoghi in cui lo sport e i corretti stili di vita siano i veri farmaci della salute. Una rete che, affiancata da quella del sistema sportivo, permetterebbe di allargare le maglie della prevenzione e del monitoraggio della salute e quindi di non perdere per strada nessuno, in particolare le categorie più fragili e vulnerabili della popolazione. Anche le imprese saranno sempre di più protagoniste della promozione della salute attraverso piani di welfare aziendale e sostegni alla pratica sportiva dei lavoratori. Le amministrazioni locali, a tutti i livelli, stanno riscoprendo l’importanza di spazi e modelli sportivi innovativi, sempre più vicini ai bisogni dei cittadini e sempre più capaci di coinvolgere persone di tutte le età, primi fra tutti gli spazi outdoor, parchi, cammini, piste ciclabili. È un piano di sistema, in cui scuola, sistema associativo sportivo, sistema sanitario, amministrazioni pubbliche e imprese intrecciano una rete di protezione sociale e civile attraverso lo sport.

Ora facciamo un salto nei ricordi: dai tempi della sua gioventù, cosa è cambiato nella pratica sportiva di base?

Forse sarebbe meglio dire che cosa è cambiato nel mondo. Le generazioni che oggi potremmo riassumere negli over 40 sanno bene, anche se in contesti comunque mutati negli anni, che lo spazio sportivo era prima di tutto uno spazio gioco. E il gioco per eccellenza era sotto casa, quello dove davvero la mamma ti poteva guardare dalla finestra. Oggi non è più così. Oggi la strada è un luogo molto pericoloso laddove non c’è un presidio. Gli stessi parchi, dove Sport e Salute sta facendo grossi investimenti in armonia con il territorio, quando non sono attrezzati con strutture sportive che fanno vivere quell’area o non esprimono socialità, rischiano di essere zone di degrado. È cambiata la società, ma è anche cambiato il modo di vivere la città. Le società di base erano società di quartiere, ora lo sono ancora ma con logiche diverse. Ci sono più opportunità, c’è più concorrenza. Ma una possibilità in più rispetto a prima l’abbiamo: è la sfida formativa. È questa che oggi deve fare la differenza. Oggi l’evoluzione del modello sportivo ci dà la possibilità di trovarci di fronte a tecnici e allenatori preparati, i quali spesso passano la maggior parte del tempo con i nostri figli, li vedono quasi tutti i giorni, in un contesto fuori da quello familiare: dobbiamo dare a queste persone i mezzi per poter essere prima di tutto educatori. Ecco, la sfida vera dello sport di base penso si giochi qui, tra formazione ed educazione.

Come ha visto realizzato l’impegno del Centro Sportivo Italiano per una diffusione sempre più ampia e radicata della pratica sportiva a misura di persona, disponibile per tutti, base di partenza anche per i futuri campioni olimpici?

Lo vedo sul campo, sul territorio. Ed è l’unica ricetta. Il CSI lo incontro tutte le volte che giro l’Italia, e si può dire che io sia sempre in giro. Lo vedo negli impianti sportivi con le società e lo vedo nelle scuole con i progetti. Lo vedo con gli anziani, con i diversamente abili, lo vedo quando rianima i luoghi degradati, quando scende in piazza per lanciare un messaggio, quando ancora riempie gli oratori in un momento di crisi generalizzata che ha coinvolto anche le parrocchie. Lo vedo quando interpreta quello che anche per noi è il concetto più moderno dello sport: l’evoluzione di questo spazio, di questo tesoro è proprio la sua condivisione per un obiettivo comune, il benessere delle persone. Lo sport diventa un mezzo importantissimo per la crescita dei giovani; è un veicolo di socialità, di benessere e di salute per il miglioramento della qualità della vita delle persone e delle comunità; è uno strumento di dialogo e di inclusione; supera le barriere culturali, religiose, sociali, fisiche e mentali; è un’opportunità di studio e formazione, di lavoro e di sviluppo economico; è un elemento di ricerca e sviluppo tecnologico, di linguaggi e comunicazione; è una passione individuale e collettiva. Vive nell’opera - il più delle volte volontaria - di migliaia di allenatori, dirigenti, educatori, animatori dello sport, che donano tempo ed energie per accrescere le possibilità di tutti di esprimersi e misurarsi con sé stessi e con gli altri. Lo sport ha la responsabilità e l’opportunità di favorire il protagonismo e il coinvolgimento attivo di tutti i cittadini. E di farli crescere, atleti o amatori, ma soprattutto uomini.

Pensa che il CSI sia davvero riuscito in una delle imprese più nobili e più difficili della sua missione: avere a cuore la promozione, attraverso lo sport e con lo sport, degli ultimi, dei più fragili?

Il CSI sta lavorando, come tutti, in un contesto di forte difficoltà. E lo sta facendo dall’alto della sua esperienza valoriale e allo stesso tempo pratica. È il giusto mix tra qualità e quantità: chi pratica sport e frequenta gli impianti sportivi ha toccato, almeno una volta nella vita, gli eventi organizzati dal CSI. Chi è stato parte del CSI ne riconoscerà la missione, sempre improntata al bene comune. Questa è una lezione da fare nostra. Perché comunità significa tutti, indistintamente, senza lasciare indietro nessuno, come anche noi stiamo ripetendo da mesi nel progettare nuove idee e nuovi spazi sportivi. I progetti sull’abbandono sportivo degli adolescenti, quelli che combattono il disagio sociale coinvolgendo i ragazzi che hanno bisogno di trovare un’opportunità vera e uno spazio protetto per incontrarsi, l’accoglienza degli immigrati che trovano nello sport una delle prime interfacce nella loro nuova vita, i volontari che animano lo sport in carcere, chi fa dello sport una vera missione in luoghi di frontiera, l’inclusione dei diversamente abili nella pratica sportiva quotidiana con progetti e impianti all’altezza: sono esempi sotto gli occhi di tutti. Solo un errore non dobbiamo fare, e capite perché dico “dobbiamo”: oggi lo sport sopravvive con questa forza, con questa centralità, con questa capacità progettuale solamente se si fa rete, se si uniscono le forze, se capiamo che da soli non possiamo andare da nessuna parte.

Secondo molti analisti del sistema, lo sport d’alto livello è chiamato ad un forte ripensamento: costi sempre più insostenibili; ricerca del campionismo; assenza di spazi per la creatività personale e la fantasia; assenza di quello spazio di spontaneità che è invece tipico degli oratori e delle società sportive del CSI. È davvero così?

Indubbiamente il mondo sportivo ha anime variegate ed esempi come quelli che lei faceva, sull’estremizzazione del risultato, certamente esistono. Non ne farei però una questione di «o con te o senza di te», «o lo sport di altissimo livello o lo sport di base». Dicevano che la verità sta nel mezzo? Beh, forse in questo caso sì. Lo sport ha una vita circolare: cominci a fare sport, ma per continuare devi prima di tutto trovare il divertimento. E qui siamo alla base. Quando ti diverti trovi le giuste motivazioni e diventi parte di un progetto, perché ti piace, ti emoziona, ti dà vita. Il passaggio successivo è quello delle prestazioni: chi ha talento deve poterlo esprimere ed è giusto che ne abbia le possibilità. E il cerchio piano piano si chiude, e torna al divertimento. Se fate questa domanda ai nostri Legend, la squadra di ex grandi atleti e oggi testimonial di Sport e Salute che sta portando in giro per l’Italia i nostri messaggi, vi diranno tutti la stessa cosa: ci divertivamo, e ci divertiamo ancora a vivere la grande famiglia dello sport. Ecco, la società che riesce a far convivere questo moto circolare dello sport non potrà che beneficiarne: lo sport di base ha bisogno dello sport di vertice per trovare stimoli, orizzonti e nuove conferme. Lo sport di vertice senza lo sport di base sparisce, è un fantasma, non è destinato a sopravvivere. L’uno è anima dell’altro, non in contrapposizione ma in forte complicità. Solo con queste fondamenta si può strutturare un piano economico che sia in grado di reggere tutto il sistema.

Come si può aiutare lo sport di base a proseguire con coraggio (e con fatica) nel servizio alla società, alle famiglie (in particolare quelle più fragili), alla comunità civile e al Paese?

Progettando insieme. Nel 2021 Sport e Salute ha promosso diversi avvisi pubblici per amministrazioni locali, scuole ed associazioni e società sportive. Oggi questi progetti, idee su carta, stanno nascendo. “Scuola Attiva”, il progetto per portare nella Scuola primaria e secondaria di primo grado l’educazione fisica, ha avuto un’adesione mai così rilevante: 33 federazioni partecipanti (lo scorso anno erano 6), quasi 7 mila scuole, 63 mila classi dalla prima alla quinta elementare aderenti, 1.250.000 bambini coinvolti seguiti da 3 mila tutor laureati in scienze motorie: il 60% della popolazione scolastica. Il progetto “Inclusione” ha visto la partecipazione alla call pubblica di 2430 associazioni: attraverso le risorse di Sport e salute e delle Istituzioni ci permetterà di sostenere complessivamente i primi 412 progetti di associazioni volti alla partecipazione all’attività sportiva delle persone fragili. Il progetto “Quartieri e periferie disagiate”, cui hanno risposto oltre 1230 associazione sportive, ha l’obiettivo di creare dei luoghi/spazi di sport, cultura e aggregazione sociale nelle periferie disagiate delle nostre città. Con le risorse a disposizione finanzieremo i primi 80 luoghi/spazi di sport. Il progetto “Ausili” per lo sport, con 161 progetti, permetterà a tante persone disabili di fare sport. Tutto questo è sostenibilità, un concetto attuale da fare nostro, che non si traduce solo in termini ambientali, ma prima di tutto nel dare a tutti la stessa possibilità di praticare sport. Capite quindi quanto sia fondamentale associare alla parola sport la parola investimento. Per generare un moto virtuoso che non si chiama profitto, ma capitale. Un capitale che diventa umano ogni qual volta tocca la qualità della vita delle persone. Investimento sulle persone, investimento sul territorio. Ma serve anche un investimento sul futuro per rendere l’azienda sport sempre più competitiva passando per tre asset principali: gli eventi, la tecnologia e il turismo. Così il Paese potrà continuare a crescere.

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