Stampa Italiana Ecò Numero 4 Anno 2

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Stampa Italiana Ecò - Anno 2 N. 4 - aprile 2022 - Supplemento mensile della testata giornalistica Stampa Italiana - Copia gratuita

STAMPA ITALIANA ecò # ACCUMULO TERMICO # EOLICO # FOTOVOLTAICO # IDROGENO

NUOVE ENERGIE



STAMPA ITALIANA ecò ONU: La transizione energetica unica via per arginare i cambiamenti climatici

Stampa Italiana Ecò Anno 2 N. 4 - aprile 2022

Supplemento mensile della testata giornalistica Stampa Italiana Registrazione Tribunale di Roma N. 174 del 17 dicembre 2019 Proprietario e direttore responsabile: Andrea Nicosia Editore: Si Informa Srls Sede legale: Via Domokos, 4 20147 Milano P. Iva: 11304160960 Pec: siinformasrls@legalmail.it Direttore editoriale: Valentina Flacchi Vice Direttore editoriale: Mario Caprini Pubblicità: pubblicita.eco@stampaitaliana.online Collaborano: Domenico Cavazzino, Silvia Gambirasi, Nicodemo Lanti, Gabriele Samuelli, Lorenzo Scalia Art director e progetto grafico: Stefano Salvatori Sede operativa: Piazza Augusto Imperatore 32 Roma Sito internet: stampaitaliana.online Mail: redazione@stampaitaliana.online Stampa: Tipolitografia Quattroventi Srl Via Andrea del Castagno 196 Roma Prezzo di copertina: Gratuito Mandato in stampa il: 18-05-2022 PUBBLICAZIONE SPONSORIZZATA DA:

Carta prodotta con energia rinnovabile

I

l riscaldamento globale avanza e le lancette del Climate Clock corrono inesorabili. Questo particolare orologio (ne esistono solo quattro esemplari nel mondo) mostra a che velocità il Pianeta si sta avvicinando a un aumento di 1,5 °C del riscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriali, insieme alla quantità di CO2 emessa finora. In Italia ce n’è uno sulla facciata del MiTE (ministero della Transizione Ecologica) e il tempo che si legge sopra mostra poco più di sette anni. Insomma, bisogna correre e non poco. Anche perché, come ricorda l’ultimo rapporto sul clima dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il panel sul clima dell’ONU, i rischi dei cambiamenti climatici coinvolgerebbero fortemente gli ecosistemi e le persone. Dalla perdita di biodiversità allo scioglimento dei ghiacci con il conseguente innalzamento delle acque che porterebbe inevitabilmente a una erosione delle coste. Inoltre, aumenterà la frequenza di eventi meteorologici estremi, lunghi periodi di siccità che si alterneranno con le inondazioni fino a un aumento della temperatura media.

Hoesung Lee, «siamo a un bivio. Le decisioni che prendiamo ora possono garantire un futuro vivibile. Abbiamo gli strumenti e il know-how necessari per limitare il riscaldamento».

DECISIONI FONDAMENTALI - Lo scorso decennio è stato forse il periodo più complicato dal punto di vista dei cambiamenti climatici. Tra il 2010 e il 2019, infatti, le emissioni medie di gas serra in tutto il mondo hanno raggiunto i livelli più alti mai registrati, nonostante il tasso di crescita sia rallentato. Il rapporto dell’IPCC sottolinea come un intervento con azioni a breve termine che limitino l’avvicinamento alla soglia di 1,5°C, permetterebbe di ridurre le perdite e i danni legati ai cambiamenti climatici. Tuttavia, non sarebbe possibile eliminare tutti i problemi. Attualmente, ha ricordato il presidente dell’IPCC

DALLE PAROLE AI FATTI - Le azioni da intraprendere sono chiare da tempo e riguardano il percorso di transizione energetica intrapreso da più Paesi. Per limitare il riscaldamento globale è necessaria in primis una riduzione dell’uso dei combustibili fossili, una diffusa elettrificazione, una migliore efficienza energetica e l’utilizzo di combustibili alternativi tra cui, ad esempio, l’idrogeno. «Sono incoraggiato - ha aggiunto Lee - dall’azione per il clima intrapresa in molti Paesi. Ci sono politiche, regolamenti e strumenti di mercato che si stanno rivelando efficaci. Se questi vengono ampliati e applicati in modo più ampio ed equo, possono supportare profonde riduzioni delle emissioni e stimolare l’innovazione». Secondo le stime, un intervento concreto su infrastrutture e tecnologie coadiuvato da adeguate politiche di supporto porterebbe a un cambiamento dei nostri stili di vita tale da realizzare l’obiettivo di ridurre le emissioni tra il 40 e il 70 per cento entro il 2050. «Le promesse e i piani sul clima - ha affermato il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, commentando su Twitter i dati del rapporto IPCC - devono essere trasformati in realtà e azioni, adesso. Un passaggio alle energie rinnovabili riparerà il nostro mix energetico globale e offrirà speranza a milioni di persone che già soffrono per l’impatto del cambiamento climatico». Insomma, dalle parole bisogna passare ai fatti. E le lancette del Climate Clock continuano a correre… Nicodemo Lanti

Sommario

Cambiamento climatico La spedizione sull’Adamello di Gabriele Samuelli

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Magaldi Green Energy Quando l’energia viene dalla sabbia di Domenico Cavazzino

CNR Un idrogeno sempre più verde di Domenico Cavazzino

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TAC Soluzioni green per dimenticare la carta di Lorenzo Scalia 7

Domethics Per una casa più smart di Silvia Gambirasi

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Decarbonizzazione Agricoltura e transizione ecologica di Domenico Cavazzino

Distretti Ecologici Continua l’impegno nel calcio di Lorenzo Scalia

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Margin Up Mining Sostenibilità e Bitcoin di Domenico Cavazzino

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WeArena Da visione a realtà di Lorenzo Scalia

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STAMPA ITALIANA ecò

MAGALDI GREEN ENERGY

Quando l’energia viene dalla sabbia

di Domenico Cavazzino

La tecnologia dell’accumulo termico permette di stoccare l’energia in eccesso di un impianto solare o eolico per utilizzarla quando sole e vento scarseggiano. Il vice presidente Raffaello Magaldi ci spiega in un’intervista i dettagli di questa idea innovativa 4

L’

innovazione è, senza dubbio, l’alleata principale della transizione ecologica. Per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità previsti dal green deal europeo e contribuire così alla decarbonizzazione del nostro Paese e non solo, non bastano interventi sparsi sulle rinnovabili o sul riciclo. È importante anche concentrarsi nella ricerca di nuove forme di energia, soprattutto in questo periodo in cui a causa del conflitto in Ucraina si cerca di ridurre, fino a superare, la dipendenza energetica dal gas russo. Puntare su fonti di energia alternative e soprattutto sulle rinnovabili è senza dubbio la strada principale, superando i possibili punti deboli, come l’approvvigionamento di energia quando sole e vento scarseggiano. Una soluzione viene dalla tecnologia dell’accumulo termico. Un’idea totalmente made in Italy, brevettata dalla startup Magaldi Green Energy (MGE), che permette di stoccare l’energia in eccesso prodotta da un impianto per utilizzarla quando sole e vento scarseggino. Lo sviluppo di questa tecnolo-

gia, come ci spiega in un’intervista Raffaello Magaldi, Executive Vice-President Commercial & Technical Operations della società, è valso alla Magaldi Green Energy l’inserimento come Technology Provider nel prestigioso LDES Council (Long Duration Energy Storage Council). Promosso da McKinsey, è nato a Glasgow in Scozia in occasione della COP26, l’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il cui primo obiettivo è supportare la progettazione e lo sviluppo di soluzioni, tecnologie e politiche volte al raggiungimento della carbon neutrality. Il prestigioso riconoscimento sottolinea Magaldi, è un risultato raggiunto «grazie alla tecnologia di MGTES e al suo impegno e competenza nello sviluppo di innovazioni TES (Thermal Energy Storage)». Ripercorriamo quindi il percorso che ha portato alla nascita della startup e allo sviluppo della sua idea innovativa. Come nasce l’idea di Magaldi Green Energy? «In pochi anni sono cambiate abitudini e

«I sistemi di accumulo sono tra gli elementi chiave per sostituire le fonti fossili»


prassi che pensavamo acquisite. La sostenibilità dei nostri comportamenti di consumo ma, più in generale, del nostro stesso modo di vivere è diventata una priorità etica e politica e non solo economica. Noi, come Gruppo Magaldi, siamo impegnati da oltre un secolo nel settore industriale e da circa 40 anni nel settore energetico. Abbiamo 50 brevetti internazionali su tecnologie sviluppate per rendere più efficienti e sostenibili i processi di produzione, conservazione e riutilizzo di energia nel settore industriale. Oggi la nostra missione diventa ancora più urgente e, per questo, abbiamo deciso di avviare questa nuova avventura: Magaldi Green Energy. Da startup radicata in un terreno secolare, Magaldi Green Energy si orienta alla ricerca, allo sviluppo, alla produzione ed alla commercializzazione di tecnologie innovative nel settore dello stoccaggio di energia, anche proveniente da fonte rinnovabile». In cosa consiste la tecnologia dell’accumulo termico? «Le tecnologie di accumulo dell’energia per-

mettono di risolvere il problema dell’intermittenza delle fonti rinnovabili. Per questo i sistemi di accumulo sono tra gli elementi chiave per sostituire le fonti fossili con generazione rinnovabile ed abilitare la transizione energetica. Il sistema Magaldi Green Thermal Energy Storage utilizza l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili o direttamente dalla rete per la fase di carica e successivamente rilascia energia sotto forma di calore quando necessario. Il sistema utilizza, più nel dettaglio, una tecnologia di accumulo basata su un letto fluidizzato di semplice sabbia silicea, che consente la carica con energia elettrica da fotovoltaico o eolico, per loro natura intermittenti, riuscendo a immagazzinarla giorni o settimane con perdite molto limitate per poi scaricarla con continuità, secondo le esigenze dell’utenza industriale con una efficienza di ciclo globale prossima al 100 per cento. Il sistema a letto fluidizzato si presta ad essere caricato anche in modalità ibrida, non solo da energia elettrica ma anche da energia termica residua disponibile in diversi siti industriali. Il sistema MGTES presenta notevoli vantaggi: grandi capacità di accumulo termico (fino all’ordine dei GWh) grazie alla sua modularità, elevata efficienza, tempi di risposta rapidi, nessun impatto ambientale grazie all’impiego di materiali naturali nel pieno rispetto dell’economia circolare». Quali sono le applicazioni pratiche di questa tecnologia? «Grazie alla sua capacità di integrarsi con la rete elettrica, specialmente nei Paesi a forte penetrazione di energia rinnovabile, di accumulare l’energia e restituirla sotto forma di calore nelle industrie e anche sotto forma di energia elettrica nel settore power, MGTES rappresenta uno strumento chiave per promuovere la progressiva decarbonizzazione a livello globale. MGTES rappresenta una sorta di distributore di

Qui sopra, sabbia silicea utilizzata per l’accumulo termico. Sotto, Raffaello Magaldi, Executive Vice-President Commercial & Technical Operations di Magaldi Green Energy

«Il problema di fotovoltaico ed eolico è che funzionano solo in presenza di sole e vento»

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STAMPA ITALIANA ecò

Sopra, un parco solare ed eolico. Sotto, un modulo TES (Thermal Energy Storage)

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energia verde “on demand”, risolvendo il problema dell’intermittenza intrinseco delle fonti rinnovabili quali fotovoltaico e eolico che funzionano solo in presenza di sole e vento. Quanto alle applicazioni pratiche, basti pensare alle tante fabbriche impegnate in settori che oggi usano combustibili fossili per i propri processi termici o elettrici e che vogliono intraprendere un percorso di decarbonizzazione. Inoltre un sistema di accumulo come MGTES si presta a flessibilizzare la rete elettrica abilitando di conseguenza l’ingresso di maggiori quote di energia da fonti rinnovabili intermittenti». Parlando di sostenibilità, qual è la situazione italiana? «In Italia la penetrazione delle rinnovabili è ad un buon livello (le rinnovabili nel 2021 hanno coperto il 36,4 per cento della domanda elettrica), soprattutto il PV ha tratto vantaggio degli incentivi dei vari conti energia erogati negli anni passati e tuttora in vigore. Tuttavia la sostenibilità ambientale della generazione da fonti rinnovabili si scontra con la necessità da parte del gestore della rete di poter offrire

una generazione stabile e continua al Paese, essendo le fonti rinnovabili intermittenti per definizione. La situazione attuale già produce forti scompensi in determinate fasce orarie ed il problema potrà solo peggiorare con il peraltro auspicato aumento della penetrazione della generazione da fonti rinnovabili. Da qui la nascita dell’obbligatorietà di affrontare compiutamente il tema degli accumuli, l’unica soluzione che ci permetterebbe di fare realmente di più nel campo della generazione di energia in Italia dal punto di vista della sostenibilità». Quali saranno le prossime azioni della società? «I nostri prossimi passi sono volti in duplice direzione: da un lato un continuo sviluppo della attività di R&D che ci permetta di mantenere il livello delle nostre soluzioni tecnologiche costantemente allo stato dell’arte mondiale, da un altro uno scouting a livello nazionale, europeo e soprattutto internazionale al fine di valutare le migliori opportunità di applicazione di primi impianti su scala industriale, che ci permettano di percorrere l’ultimo miglio e validare la tecnologia (STEM/MGTES) agli occhi dei maggiori players del settore».


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TAC La soluzione green per dimenticare carta e biglietti da visita

La startup romana, guidata da un gruppo di Under 30, ha la mission di snellire i processi delle aziende e aiutare i liberi professionisti attraverso l’innovazione. Conta già 30mila utenti e 100 imprese tra Italia, Svizzera, Emirati Arabi, Inghilterra e Francia

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di Lorenzo Scalia

ess paper, more business». E’ questo il motto di TAC (Touch And Contact), startup romana guidata da un gruppo di giovani imprenditori. Tutti Under 30, a partire da Edoardo Costa, co-founder e head of sales. La missione di TAC è semplice e lineare: snellire i processi delle aziende e aiutare i liberi professionisti attraverso l’innovazione. Come? Riducendo l’uso della carta sia per i biglietti da visita sia per mandare e ricevere documentazione, ma anche per monitorare l’attività dei dipendenti, che diventa “certificata” dall’azienda. Tutto ciò si fa attraverso un’app, una card in stile carta di credito (un biglietto da visita 2.0) e una dashboard. «Customizzabile in base alla richiesta del cliente», sottolinea Costa.

chiuso un accordo con un’importante agenzia immobiliare: l’agente, quindi, anche attraverso la sua card, può allegare l’immobile di riferimento, il sito web, così come lo storico delle operazioni effettuate oltre ai contatti. La card è contactless. In automatico, avvicinandola dietro al telefono o scannerizzando il QR code sul retro, c’è la possibilità di scaricare e salvare il contatto nella rubrica personale. Oltre al proprio profilo c’è la possibilità allegare tre link. Di qualsiasi tipo». Le cose a TAC stanno andando bene: conta già 30mila utenti e 100 imprese partner. Non solo. Oltre che in Italia, è presente in Svizzera, Emirati Arabi, Inghilterra e Francia. E pensare che tutto è nato nel 2019, quando gli ideatori Roberto Sfoglietta e Riccardo Angioli, erano stati sommersi da una pila di biglietti da visita cartacei dopo un summit a Dubai. Da lì in poi si sono aggiunti Edoardo Costa e Matteo Saltarello e il progetto è stato messo a punto e successivamente lanciato ufficialmente nel giugno del 2021.

«Per ogni utente abbonato piantiamo un albero attraverso Tree-Nation»

L’ESEMPIO - «TAC è soprattutto una soluzione b2b per le grandi aziende perché offriamo, oltre alle card e all’applicazione, una dashboard che permette il monitoraggio dell’attività dei commerciali. Nell’ultimo periodo abbiamo

SOSTENIBILITÀ - Passare a TAC significa aiutare l’ambiente. «Siamo di-

versi dalla concorrenza per un discorso di sviluppo, avendo il software proprietario completamente con codice nativo, cioè sviluppato da zero. E poi perché proponiamo una soluzione che va a braccetto con la sostenibilità. Infatti, per ogni utente abbonato piantiamo un albero con Tree-Nation e l’azienda riceve un certificato. Le card, inoltre, sono in plastica riciclata». Di più. «Il risparmio non riguarda solo la carta dei biglietti da visita - sottolinea Costa - ma anche inchiostro, elettricità ed acqua. Lo stesso discorso vale per brochure e documenti perché appunto c’è la possibilità di allegare una parte documentale senza usare carta». PROSSIMI PASSI - Lo sguardo di Costa è rivolto al futuro: «Nei prossimi mesi e anni puntiamo a consolidare la nostra presenza sul mercato, specialmente all’estero. Vogliamo poi aumentare la consapevolezza rispetto a quello che è il dispendio di carta soprattutto in un Paese come l’Italia, quindi sensibilizzare le aziende a un discorso di adozione di una soluzione innovativa. Certo, le cose si sono un po’ velocizzate con il Covid, ma c’è sempre una certa resistenza quando si ha a che fare con il cambiamento».

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DECARBONIZZAZIONE Il contributo dell’agricoltura alla transizione ecologica di Domenico Cavazzino

Le aziende agricole possono diventare protagoniste del nuovo percorso di sostenibilità intrapreso dal nostro Paese. Una possibilità viene dall’utilizzo del fotovoltaico nel settore. Il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, e la vicepresidente CREA, Stefania De Pascale, spiegano pro e contro 8

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ome coniugare agricoltura e sostenibilità per contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione? La risposta viene dall’innovazione, grazie allo sviluppo della tecnologia fotovoltaica applicata al settore. Le aziende agricole, quindi, possono diventare protagoniste della transizione ecologica e senza dover rinunciare a cedere suolo destinato alle colture. L’importante, però, ci spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, è la definizione di regole chiare che devono essere rispettate da tutti. Gli attori principali sono tre: gli agricoltori, gli investitori internazionali e le aziende che si occupano di energia. «Oggi - ricorda Ciafani - ci troviamo davanti a varie situazioni. Quella in cui ci sono terreni produttivi di aziende agricole fiorenti che stanno cercando di fare l’agrivoltaico, quello più innovativo, che garantisce la prosecuzione dell’attività agricola integrata con la produzione energetica. Ci sono terreni compromessi come discariche e cave dove, ovviamente, non si può che fare il fotovoltaico a terra tradizionale e c’è una gran parte di terreni agricoli di aziende che sono in difficoltà che ricevono proposte di affitto dei terreni per fermare la produzione agricola e realizzare un

impianto di fotovoltaico a terra tradizionale». Una situazione, quest’ultima, fortemente diffusa nelle regioni con maggiore esposizione solare del sud Italia come Puglia o Sicilia. Tuttavia, secondo Ciafani, la soluzione ideale è quella di costruire sistemi che integrino la tecnologia con la produzione agricola. «Credo - afferma - che debbano essere messe in campo quelle regole a livello nazionale per facilitare l’installazione di impianti agrivoltaici che non sostituiscono la produzione agricola con quella energetica, arginando al massimo i progetti di fotovoltaico a terra che abbiamo visto fino ad oggi».

«L’agrivoltaico garantisce la prosecuzione delle coltivazioni e la produzione energetica»

INNOVARE O COLTIVARE - Le due strade, insomma, non devono necessariamente escludersi a vicenda, ma possono coesistere. Purtroppo, aggiunge Ciafani, l’ultimo decreto energia approvato a marzo non va in questa direzione. Nel dettaglio, la norma inserisce un limite del 10 per cento di superficie sui suoli agricoli da adibire al fotovoltaico, comprendendo anche gli impianti agrivoltaici. Un decreto, quindi, che «non va nella stessa direzione, ad esempio, del decreto semplificazioni che era stato ap-


provato nell’estate scorsa e che aveva provato a dare alcune regole per promuovere l’agrivoltaico più innovativo». Questa situazione, altrimenti, consentirebbe solo alle grandi aziende di sviluppare questa tecnologia. Per questo, secondo Ciafani, il decreto deve essere modificato. «Si deve aumentare la percentuale di suolo che è destinato agli impianti agrivoltaici anche in base alle dimensioni delle aziende. La grande azienda può limitarsi a fare il 10-20 per cento. Alla piccola azienda questa percentuale non garantisce le superfici adeguate per permettersi l’investimento. E poi bisogna continuare a non prevedere incentivi per gli impianti di fotovoltaico a terra, cosa che è stata reintrodotta col decreto energia per gli impianti di fotovoltaico a terra con una superficie fino al 10 per cento». OLTRE AL SOLARE C’È DI PIÙ - Tutti devono poter contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione. E per raggiungerli il fotovoltaico non è l’unica via sfruttabile in agricoltura. «Le aziende agricole possono dare un contributo molto importante ad esempio per produrre biometano con gli scarti agricoli, i reflui zootecnici o i rifiuti con il secondo raccolto. C’è una produzione di biometano in agricoltura che è molto molto importante e che deve essere ancora sviluppata. Se si facesse tutto il biometano che si può produrre, tra agricoltura e organico differenziato, potremmo arrivare a realizzare fino a 10 miliardi di m3 di biometano all’anno, un terzo del gas che importiamo dalla Russia. E poi, c’è anche l’eolico che si può utilizzare senza consumare suolo anche nelle zone agricole. Perché sotto la pala eolica si può continuare a fare agricoltura senza alcun problema».

I DUBBI - Purtroppo, non è tutto rose e fiori, soprattutto se si parla di agrivoltaico. Oltre ai rallentamenti normativi, infatti, permangono anche dei dubbi come ci spiega Stefania De Pascale, vice presidente del CREA e docente di Produzioni Vegetali presso la facoltà di Agraria all’Università “Federico II” di Napoli. In primis, quello relativo al consumo di suolo tolto proprio alle coltivazioni. «Questa è una delle preoccupazioni - ricorda De Pascale -. Perché la mission dell’agricoltura è ancora oggi quella di produrre cibo. È chiaro quindi che l’agrivoltaico deve essere pensato, progettato e realizzato correttamente. Quindi è necessario individuare come, dove, quando e perché». Secondo la professoressa questa tecnologia va considerata all’interno di un grande insieme che riguarda la sostenibilità. «L’agrivoltaico - spiega - è stato proposto come possibile soluzione sostenibile per la produzione di energia rinnovabile. La comunità scientifica nazionale ha già espresso qualche preoccupazione sulla sua corretta applicazione, nel senso che riteniamo l’agrivoltaico una possibile soluzione, ma che il principio debba essere quello dello sviluppo sostenibile». Per raggiungere questo obiettivo andrebbero sfruttate tutte le strade disponibili prima di “invadere i campi”. Secondo De Pascale, è necessario «mettere a disposizione dell’agricoltura conoscenze e competenze per un’ottimizzazione dell’integrazione di produzione agricola e produzione di energia che deve comunque essere preceduta dall’utilizzo di superfici già compromesse, tetti, discariche, aree industriali dismesse e essere accompagnata e guidata da attività di ricerca e attività scientifica che guidino le scelte politiche e la conseguente pianificazione territoriale per raggiungere effettivamente un agrivoltaico sostenibile».

Impianto fotovoltaico sul tetto di un deposito di legname

Il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani

La vicepresidente del CREA, Stefania De Pascale

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MARGIN UP MINING Puntare alla sostenibilità minando Bitcoin

di Domenico Cavazzino

Utilizzare l’energia in eccesso prodotta da fonti rinnovabili e rimasta invenduta come potenza di calcolo da destinare all’attività di mining. Federico Spitaleri, co-founder della startup, spiega i vantaggi del mining sostenibile e perché la scelta di Bitcoin fra tutte le criptovalute 10

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ining e settore energetico possono diventare un connubio vincente. Soprattutto se si parla di rinnovabili. Capita spesso, infatti, che le centrali, in alcuni periodi, producano energia in eccesso che rimane invenduta. È in questo contesto che si inserisce l’attività di Margin Up Mining, società creata alla fine del 2021 da Federico Spitaleri e Andrea Raspitzu. L’azienda si occupa di aumentare i profitti delle centrali di energia rinnovabile grazie al mining di Bitcoin. I due soci, ci racconta Spitaleri in un’intervista, non sono certo nuovi al mondo delle criptovalute. «Entrambi ci occupiamo del mondo di Bitcoin praticamente da anni, io personalmente da inizio 2017 e il mio socio anche da qualche anno di più. Personalmente ho anche fondato un’altra società negli Stati Uniti, Satoshi’s Games Inc. che crea giochi con Bitcoin, mentre Andrea ha lavorato come ingegnere software in ACINQ, una delle principali società che hanno realizzato i primi wallet, i portafogli di Bitcoin». Per quanto riguarda l’attività di mining, tutto è iniziato nel 2021 in Ucraina, ma l’arrivo del conflitto li ha costretti ad abbandonare il Paese decidendo di ripartire dall’Ita-

lia con le energie rinnovabili. Il 2022, quindi, viene lanciata Margin Up Mining e, spiega Spitaleri, «in questo periodo stiamo progettando una centrale da 1 megawatt per l’eolico in Campania dove utilizzeremo l’energia del vento per minare Bitcoin. Adesso questo parco eolico può accedere a una fonte di domanda di energia che è quella del mining, che assicura una redditività del tutto slegata dalle dinamiche del mercato dell’energia». IL PROGETTO - Attualmente in Italia «è stato già fatto qualcosa solo in Nord Italia con delle centrali idroelettriche», ma qualsiasi società può scegliere di dedicarsi al mining. Tuttavia, ricorda Spitaleri, «il minimo di potenza che deve fornire è di circa 3 chilowatt e mezzo, ossia l’equivalente per alimentare un supercomputer. Nel caso della centrale eolica da 1 megawatt stiamo progettando dei centri di calcolo con più di 300 macchine. Questo discorso si può fare sia per le centrali piccole che per le centrali grandi. Si può fare anche a livello domestico, però la nostra attività, si focalizza su centrali di medie e grandi dimensioni». Entrando nel dettaglio del progetto, il procedimento è molto semplice. «Quando ci interfacciamo con un cliente, la prima cosa che fac-

«Qualsiasi società in grado di alimentare un supercomputer può scegliere di dedicarsi al mining»


ciamo è cercare di capire qual è il suo problema e la disponibilità in termini di potenza. Quindi chiediamo quanto si vorrebbe adibire di questa potenza al mining. Una volta appurati questi dati chiediamo anche le ore di attività della centrale. Perché, ad esempio, l’eolico lavora per 15 ore al giorno, il solare per 6 ore, quindi le stime di profitto del mining variano in base a questo. Dopo la raccolta delle informazioni progettiamo le dimensioni del centro di calcolo che varieranno a seconda della potenza che il cliente vuole dedicare al mining e alle ore di attività della centrale. Fatto questo riforniamo la centrale di produzione di energia con i supercomputer, li installiamo in prossimità ad esempio della turbina eolica o della turbina idroelettrica o del campo solare e dopo un collaudo si può iniziare a “minare”. Inoltre, dopo l’installazione, Margin Up Mining segue anche la manutenzione e l’operatività del centro di calcolo. E su richiesta del cliente assistiamo anche nella conversione dei profitti del mining. Da Bitcoin in euro». INVESTIMENTO - I vantaggi economici sono evidenti, come ci spiega Spitaleri. Basta pensare, ad esempio, che per un centro di calcolo «per una turbina idroelettrica che può fornire energia in maniera continuativa, con gli ultimi macchinari disponibili di produzione è possibile fare breakeven, cioè tornare sull’investimento, nel secondo anno e già avere un ritorno del 140 per cento nel terzo. In particolare, ad oggi, l’attività di mining consente di trarre un guadagno dall’energia devoluta al centro di calcolo che è pari a circa 18 centesimi di euro per chilowatt». E tutto il ricavato rimane all’azienda. «Noi prendiamo solo una percentuale per seguire l’operatività, la manutenzione e seguire il percorso post vendita. Quindi per qualsiasi cosa ha bisogno il cliente riguardo al centro di calcolo, noi siamo lì a risolvere i problemi».

da fonti rinnovabili». Il motivo, aggiunge, è molto semplice. «Chi mina vuole utilizzare l’energia più economica possibile, quindi appunto quella rinnovabile. In più c’è anche da dire il fatto che sostanzialmente l’energia che Bitcoin consuma viene utilizzata per uno scopo nobile che è quello di permettere alle persone di tutto il mondo di essere la banca di se stessi e non dover fidarsi di intermediari». Inoltre, secondo Spitaleri, in futuro sarà Bitcoin la blockchain su cui fare affidamento. «La sua adozione sta crescendo in maniera rapida. Bitcoin è per il denaro quello che è internet per l’informazione. Per vedere internet essere utilizzato da tutti con le funzionalità che ha oggi, ci sono voluti 20 anni. Bitcoin esiste da poco più di 10, quindi immagino che al massimo fra 8 o 10 anni sarà adottato e utilizzato come internet. È la naturale evoluzione del denaro. In un mondo decentralizzato come quello di oggi - conclude Spitaleri - serve una moneta globalizzata che metta in contatto tutte le persone del mondo per scambiare denaro senza intermediari in maniera sicura. Le macchine che installiamo presso le centrali si occupano solo di minare Bitcoin perché è la blockchain più affidabile, sicura e che può essere proposta ai clienti come qualcosa di serio».

Federico Spitaleri e Andrea Raspitzu, i due co-founder di Margin Up Mining

«Chi mina vuole utilizzare l’energia più economica possibile, come quella rinnovabile»

GREEN E BITCOIN - Un altro tratto distintivo di Margin Up Mining è la decisione della criptovaluta da minare, ovvero Bitcoin. In molti, infatti, sostengono che questa scelta non sia tra le più sostenibili e quindi non si sposerebbe bene con chi produce energia rinnovabile. Una tesi prontamente smentita dal co-founder della startup. «Penso che ci sia molta disinformazione a riguardo. Nel senso che Bitcoin stesso è una moneta green, perché l’80 per cento o più dell’energia che alimenta il centro di calcolo proviene

Supercomputer utilizzato per l’attività di mining

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CAMBIAMENTO CLIMATICO dal Ghiacciaio dell’Adamello arrivano le risposte di Gabriele Samuelli

Prima l’estrazione di 224 metri di ghiaccio (conservati in uno speciale laboratorio in Bicocca), un’operazione mai riuscita prima nella zona alpina, poi la raccolta di dati provenienti dalla fibra ottica: il progetto ClimADA, voluto e sostenuto da partner pubblici e privati, è arrivato alla seconda fase 12

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icercare la verità. Capire il passato per prevedere il futuro. Insomma, andare a fondo. Anzi, in alto. È quello che sta accadendo con il progetto ClimADA, giunto da poco alla seconda fase, dopo che nell’aprile 2021 ha permesso l’estrazione di 224 metri di ghiaccio dal Ghiacciaio dell’Adamello. Un’operazione mai riuscita nella zona alpina. Attorno al progetto di Fondazione Lombardia per l’Ambiente ci sono partner pubblici e privati che hanno deciso di studiare il ghiacciaio per capire i cambiamenti climatici sull’arco alpino e sui territori circostanti. Adesso il ghiaccio estratto si trova presso l’EuroCOLD Lab di Milano-Bicocca: una porzione dell’università che che arriva a -50°C di temperatura e che, insieme a due “camere bianche” a bassissimi livelli di contaminazione, permette di simulare le condizioni presenti in alta montagna e nelle regioni polari. Nel frattempo, la fase due è entrata nel vivo attraverso la raccolta di dati provenienti dalla fibra ottica installata lungo la verticale di estrazione del ghiaccio: dalla loro posa si misurano spostamento e temperatura lungo tutta la verticale di sondaggio, dando informazioni preziose per comprendere come si muove il ghiacciaio dell’Adamello e quindi come cambierà.

to scientifico che è in linea con la politica ambientale del governo regionale - commenta Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e Clima di Regione Lombardia - I 224 metri di ghiaccio estratti e studiati permetteranno di leggere la storia del ghiacciaio e dei cambiamenti climatici, così come la fibra ottica sta fornendo informazioni preziose. Un risultato per la nostra Regione, per l’ambiente e per gli studi sulle evoluzioni dei ghiacciai. Questo ci fa proseguire convintamente, attraverso la Fondazione, nel sostenere questo progetto con un importante stanziamento per i prossimi due anni, a favore dell’attività di ricerca per la ricostruzione climatica e ambientale dell’area dell’Adamello. A conferma della necessità di un lavoro continuo, che Regione Lombardia sta portando avanti sui temi ambientali, sul cambiamento climatico, sullo studio della biodiversità. Sempre in un’ottica di sviluppo sostenibile, guardando al futuro e alle tecnologie innovative».

«Possiamo leggere la storia in un’ottica di sviluppo sostenibile»

REGIONE LOMBARDIA - «Abbiamo voluto sostenere fin dall’inizio questo proget-

BICOCCA - «Ora - spiega Valter Maggi, responsabile dell’EuroCOLD Lab, dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra - stiamo definendo un piano di taglio della “carota”. Saranno campionate sezioni di ghiaccio destinate alle misure degli isotopi stabili, necessarie per ricostruire l’origine


delle masse d’aria che provocano le precipitazioni nevose sull’Adamello. In parallelo verranno effettuati campionamenti per le misure delle polveri fini atmosferiche, dei pollini e dei macroresti vegetali e per le misure dei black carbons di origine antropica. Sono previste anche datazioni di differente tipo (come radiocarbonio e Argon) necessarie per meglio capire la sequenza temporale degli eventi».

deformativo del ghiacciaio lungo la verticale fino alla profondità di 225 metri, con un elevato dettaglio spaziale. I PROFESSORI - «Un sistema di monitoraggio di questo tipo - spiega Martinelli - non è mai stato applicato a un ghiacciaio alpino prima d’ora e potrà fornire anche in futuro preziosissime informazioni, che saranno utili a geologi e glaciologi per prevedere la futura evoluzione del più grande e profondo ghiacciaio d’Italia. Le misure del sensore a fibra ottica saranno successivamente integrate da dati satellitari, per seguire anche lo spostamento superficiale del ghiacciaio. L’integrazione di questi dati permetterà di stimare i parametri del modello termofluidodinamico (messo a punto dal prof. Ranzi e dalla prof.ssa Grossi dell’Università di Brescia) e quindi di ottenere una descrizione più affidabile del ghiacciaio, simulandone il comportamento». Così Roberto Ranzi, professore di Costruzioni idrauliche e di Monitoraggio e sistemazione dei bacini idrografici: «Dalle valutazioni preliminari condotte dal team dell’Università di Brescia era risultato che difficilmente il Ghiacciaio dell’Adamello sopravviverà fino alla fine del secolo. Le misure effettuate nel progetto ClimADA potranno ridurre le incertezze delle nostre stime e gettare maggior luce sugli impatti del riscaldamento globale sulla criosfera e il regime dei deflussi nei bacini alpini glacializzati».

In apertura, il Ghiacciaio dell’Adamello. Qui sopra le rilevazioni scientifiche per lo studio del clima

«Difficilmente l’Adamello sopravviverà fino alla fine del secolo»

FIBRA OTTICA - Le misurazioni effettuate sono fondamentali per comprendere l’evoluzione del Ghiacciaio dell’Adamello negli ultimi secoli, ricostruire le condizioni climatiche ed ambientali che si sono succedute fino ad ora, e fornire dati per gli scenari futuri sia sul ghiacciaio stesso che nelle Alpi centrali. In particolare la ricostruzione degli eventi climatici ed ambientali si concentrerà su 4 periodi specifici: il periodo industriale: la Prima Guerra Mondiale; la parte della Piccola Età Glaciale, del periodo pre-industriale; la parte basale della carota (indicativamente gli ultimi 30 metri) consentiranno infine di comprendere l’evoluzione climatico-ambientale di un periodo stimato intorno a 1000 anni dal presente. L’inserimento di 4 cavi in fibra ottica all’interno della perforazione - progettato ed eseguito dal team del prof. Mario Martinelli del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano - ha permesso di monitorare l’evoluzione temporale del profilo termico e

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CNR

Un idrogeno sempre più verde di Domenico Cavazzino

Ricercatori del CnrIccom e dell’ETH di Zurigo hanno realizzato, da un complesso organometallico di rutenio, una cella elettrolitica per la produzione di idrogeno verde dall’acqua. Il professor Francesco Vizza che ha coordinato lo studio ci spiega le applicazioni pratiche della ricerca 14

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el percorso di transizione energetica del nostro Paese l’idrogeno verde rappresenta uno degli strumenti per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Per quanto riguarda le stime del governo italiano le ipotesi parlano di un utilizzo dell’idrogeno a fini energetici pari al 2 per cento entro il 2030, per arrivare al 20 per cento entro il 2050. Si tratta di obiettivi senz’altro ambiziosi che presuppongono quindi un aumento degli studi per migliorare la tecnologia che permette l’utilizzo dell’idrogeno per la produzione di elettricità. In questo solco si inserisce la ricerca realizzata dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iccom) in collaborazione con l’ETH di Zurigo. Le due equipe, coordinate rispettivamente dal professor Francesco Vizza e dal professor Enzo Grutzmacher, partendo da un complesso organometallico di rutenio hanno realizzato una cella elettrolitica per la produzione di idrogeno verde dall’acqua.

basate su metalli a base di platino e di iridio. E sono in forma di nanoparticelle. Dobbiamo considerare che le nanoparticelle come catalizzatori, la parte attiva della catalisi, sono gli atomi esposti alla superficie». Per spiegare questo fenomeno in maniera semplice, ci dice il professor Vizza, bisogna pensare a un pallone da calcio «in cui è solo la superficie che partecipa alla reazione. Il contenuto all’interno (perché il pallone è pieno), ossia gli atomi che sono disposti in profondità, non partecipa alla reazione». Lo studio ha dimostrato per la prima volta che un complesso organometallico dinucleare di rutenio è un attivo catalizzatore per la generazione di idrogeno in una cella elettrolitica a membrana polimerica (PEM - Proton Exchange Membrane). «La nostra innovazione - spiega il professor Vizza - è consistita nel fatto che invece di una nanoparticella abbiamo utilizzato un complesso molecolare. Abbiamo quindi una molecola che è costituita da due atomi di rutenio. Quando questo viene posto sull’elettrodo formalmente ogni atomo partecipa alla reazione. Quindi ogni singolo atomo è coinvolto nella produzione di idrogeno, a differenza di quanto avviene nelle nanoparticelle. Se riusciamo ad avere dei catalizzatori attivi in forma molecolare riusciamo a minimizzare la quantità di metallo che serve per la reazione».

«Siamo passati da una nanoparticella a un complesso molecolare»

UTILIZZARE L’INTERO “PALLONE” - Il rutenio, ci spiega il professor Vizza, «è un metallo che viene adoperato nell’industria petrolchimica per una serie di reazioni catalitiche, ma che nel nostro caso è stato impiegato per la produzione di idrogeno dall’acqua». Attualmente, prosegue il direttore del CnrIccom, «le tecnologie più performanti sono


APPLICAZIONI PRATICHE - Attualmente la ricerca è ancora nelle sue fasi di base e per avere sviluppi pratici servirà ancora del tempo, tuttavia «non si era mai verificato prima che un complesso molecolare potesse essere utilizzato. Se in futuro troveremo dei catalizzatori molecolari molto stabili, si potrebbero utilizzare al posto del platino e del rutenio che sono attualmente i catalizzatori utilizzati per l’elettrolisi dell’acqua. Quelli più performanti. Sono i cosiddetti catalizzatori a membrana polimerica. Questo va nella direzione di rendere sostenibile una tecnologia perché utilizzeremo sempre meno metalli critici».

vedono un divario così elevato sono perlopiù economici. «L’idrogeno che viene prodotto da elettrolisi non è al momento competitivo con quello prodotto dal reforming del metano, quindi che ha un’origine fossile. Utilizzando l’acqua diventa un idrogeno verde e quindi sostenibile. Al momento, però, le controindicazioni, sono dal punto di vista dei costi. Ottenere un chilo di idrogeno dall’acqua costa molto di più che ottenerlo dal metano quindi lo sforzo che dobbiamo fare è quello di rendere economica la produzione di idrogeno dall’acqua». Gli aspetti su cui intervenire, ci spiega lo scienziato, vanno dal miglioramento delle tecnologie di elettrolisi fino all’agire sui catalizzatori, in questo caso i metalli di cui abbiamo parlato utilizzandone sempre meno e trovando catalizzatori sempre più efficaci ed efficienti. «La sostenibilità - sottolinea il professor Vizza - è dovuta non solo al fatto di avere una grande quantità di energia rinnovabile, ma di avere i catalizzatori, i metalli che rendono possibile poi lo sfruttamento dell’energia rinnovabile per produrre idrogeno. È quello su cui bisogna puntare».

«Bisogna rendere economica la produzione di idrogeno dall’acqua»

PIÙ IDROGENO VERDE - Nella produzione di idrogeno dall’elettrolisi dell’acqua, infatti, le tecnologie degli elettrolizzatori più performanti impiegano grandi quantità di platino e iridio, due metalli che fanno parte della lista dei Critical Raw Materials (CRM), cioè materiali a rischio approvvigionamento. «Siccome il rutenio è un metallo nobile, il pattern successivo su cui stiamo lavorando è quello di spostarci su metalli non nobili come, ad esempio, il ferro o il nichel che riescono comunque in modo efficace ad agire come catalizzatori per l’elettrolisi». Inoltre, questo permetterebbe di aumentare le percentuali di idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili. Attualmente, infatti, il 95 per cento è ottenuto da procedimenti mediante fonti fossili, mentre il 5 per cento grazie a fonti rinnovabili. Aumentare le percentuali ottenute con procedimenti sostenibili è possibile e gli sforzi, ricorda Vizza, vanno in quella direzione, dal green deal europeo agli investimenti sull’idrogeno per quel che riguarda il PNRR. Attualmente, i motivi che

In apertura, nella foto grande delle molecole di idrogeno. Nel riquadro, Il professor Francesco Vizza, Director Institute of Chemistry of Organometallic Compounds (ICCOM - CNR) Qui sopra, due schemi di un elettrolizzatore per l’evoluzione di idrogeno da acqua

OLTRE L’IDROGENO - Gli studi inerenti la sostenibilità non si fermano a questa ricerca. È infatti allo studio «un’altra ricerca sempre sullo sviluppo di idrogeno, ma che riguarda la fotocatalisi: cioè sistemi fotocatalitici che con l’attivazione dell’energia solare permettono l’evoluzione dell’idrogeno». Inoltre, conclude Vizza, un’altra equipe «sta lavorando anche sui sistemi fotovoltaici avanzati di nuova generazione che tendono a rimpiazzare il silicio nei pannelli fotovoltaici con altri materiali più performanti».

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DOMETHICS Casa più smart… e bolletta più leggera

di Silvia Gambirasi

La startup ha creato Adriano, dispositivo che, tramite app, consente di manovrare da remoto valvole termostatiche, sensori di sicurezza e altri device casalinghi, nel segno del risparmio e dell’ambiente

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ai come in questo periodo di crisi energetica, inevitabile strascico di tragedie come guerra e pandemia, si è fatta impellente la necessità di ottimizzare il funzionamento dei dispositivi di casa, diminuendo i consumi e rendendo l’abitazione nel complesso più “efficiente”. Il classico buon proposito che poi rimane sulla carta? Al contrario, una realtà alla portata di tutti basata sui vantaggi che la connessione applicata alla vita domestica può regalare. È l’obiettivo su cui si è concentrata Domethics, società italiana attiva nell’ambito dell’internet of things (l’efficientamento di oggetti di uso quotidiano connessi al web), fautrice di un dispositivo ad hoc, battezzato Adriano, in onore dell’industriale Adriano Olivetti indiscusso pioniere della tecnologia e dell’informatica di casa nostra. Congegno capace di trasformare smartphone e tablet - anche vecchi - in potenti gateway di automatizzazione casalinga e di gestire i singoli meccanismi attraverso un’unica app, Adriano può facilitarci la vita tra le mura domestiche e in ufficio. Dotato di una notevole autonomia energetica grazie alle batterie di back-up che si associano a quelle dei cellulari, funziona

pure senza elettricità e può navigare, senza wifi, sui network 4 e 5 G. Un portento della domotica (la scienza che studia le tecnologie applicate alla vita domestica), che attraverso l’app consente di gestire i dispositivi anche quando non siamo a casa. Ne consegue un controllo mirato del consumo elettrico, del riscaldamento e del raffreddamento che evita sprechi e inefficienze e ci fa risparmiare sulla bolletta web. Tutto questo seguendo otto semplici regole suggerite da Domethics.

Un italiano su due rinuncerebbe a un po’ di spazio per circondarsi di elettrodomestici intelligenti

OTTO REGOLE 1 - Vecchie manopole manuali dei termosifoni addio. Con le valvole termostatiche smart si regola il livello di calore da remoto, configurando i termosifoni tramite l’app del fornitore. È un modo per utilizzare l’energia degli impianti solo quando serve, modulando la temperatura in base alla reale occupazione degli ambienti. 2 - Volete arieggiare i locali anche se trascorrete molto tempo fuori casa? Porte e finestre intelligenti permettono di controllare temperatura e umidità in ogni momento. Gli infissi smart consentono apertura e chiusura delle finestre in base al clima interno. E se scoppia un temporale? Niente panico: ci pensano i sensori a chiudere le finestre tramite app evitando


che vento e pioggia possano fare danni. 3 - Non vedete l’ora di partire per le vacanze, ma non sapete a chi affidare il giardino? Basta domotizzare le piante di casa grazie a sensori collegati tramite un gateway che dialoga con il cloud sia via wifi, che via 4G. Per dare acqua senza sprecarne e diversificare l’irrigazione, selezionando durata, ora e frequenza. 4 - E luce fu... si potrebbe dire. Sì, perché un impianto domotico di luci permette di impostare e monitorare accensione e spegnimento delle stesse tramite app, gestendo l’intensità dell’illuminazione per creare zone ad atmosfera soffusa. La funzione Gps, poi, individua la posizione dei residenti, per accendersi un istante prima del loro arrivo e spegnersi nella loro assenza. 5 - Stanchi di tirare su e giù le serrande? Le tapparelle e tende intelligenti, alternativa elettrica alle tradizionali, si azionano dentro o fuori casa, collegandole a un impianto di domotica. Per quanto riguarda, poi, le tende è possibile regolare il passaggio del sole, e quindi sfruttare il calore della luce aumentando o diminuendo la temperatura dell’ambiente. 6 - Non ci si sente mai abbastanza sicuri in casa propria. Ecco perché i sensori di movimento e sicurezza possono contribuire alla nostra tranquillità. Collegabili a porte e finestre, si azionano quando vengono intercettati movimenti intorno a un’area, spaventando gli intrusi e avvisando i proprietari. Altra soluzione sono gli impianti di videosorveglianza domotica, capaci di registrare ogni movimento, più o meno sospetto, e di scaricarlo sullo smartphone. 7 - Alzi la mano chi almeno una volta non si è trovato alle prese con un allagamento. Grazie all’allarme antiallagamento messo in moto dai sensori di un impianto domotico, è possibile rilevare perdite di acqua e avvisare chi di dovere. I dispositivi possono chiudere la fornitura dell’acqua, consentendo di intervenire. La segnalazione avviene sul posto, tramite allarme sonoro e luminoso, o da remoto con l’app. 8 - La domotica applicata alla casa serve pure in caso di incendio tramite i rilevatori di fumo e qualità dell’aria. Attraverso la connessione tra l’impianto dotato di sensori posti nell’abitazione e la matrice domotica siamo avvisati della pre-

senza di fumo direttamente sullo smartphone. I rilevatori di qualità dell’aria, inoltre, misurano la concentrazione di CO2 presente nell’ambiente: un parametro prezioso per controllare l’areazione degli stessi.

In apertura, Adriano, dispositivo IoT di Domethics

PROSPETTIVE - Più che mai al passo con i tempi, l’iniziativa di Domethics va incontro alla tendenza crescente degli italiani a ricorrere a smart device per la propria abitazione. Basti pensare che, in base ad alcune recenti ricerche, un italiano su due, con una predominanza delle nuove generazioni, rinuncerebbe a qualche metro quadro di spazio in più pur di circondarsi di elettrodomestici intelligenti che gli possano facilitare la vita domestica. Per vivere in un ambiente più sano e risparmiare energie, tempo e denaro.

Domotica ed etica Brillante fusione fra il concetto di domotica e quello di etica, Domethics è una piccola e media impresa innovativa, che punta a raggiungere il giusto equilibrio tra tecnologia, innovazione e sostenibilità, sociale e ambientale. In primo piano nella realizzazione di prodotti e servizi nel mondo dell’internet of things, ha puntato in particolare su smart home, elderly care e tele-assistenza medica.

Altresì impegnata nell’incentivare prodotti e servizi a valore aggiunto di terze parti, quali telemedicina, instant insurance, smart device e sensori domestici. Nata a Torino, è stata giudicata come una delle aziende più all’avanguardia al CES (Consumer Electronics Show) 2022 di Las Vegas, tanto da essere premiata con l’Innovation Award Honoree 2022 nella categoria Smart Home.

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DISTRETTI ECOLOGICI Spezia più Savio: continua l’impegno nel calcio di Lorenzo Scalia

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L’azienda romana, punto di riferimento nazionale per la transizione ecologica, ha aumentato il raggio d’azione confermandosi un collante tra il mondo dei professionisti e quello dei dilettanti

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n occhio lassù e uno più giù. Perché la palla rotola nello stesso modo a San Siro o all’Olimpico come nei campetti di periferia di Roma. Due mondi in apparenza distanti. Ma connessi, più vicini di quanto può sembrare e legati da un filo invisibile. I professionisti da un lato, con i giocatori che sono i gladiatori del nuovo millennio, i dilettanti dall’altra parte che rappresentano la base della piramide pallonara, il cuore pulsante di un intero movimento. Fatto principalmente da bambini e ragazzi che sognano di diventare grandi e nella stragrande maggioranza da istruttori preparati. COLLANTE - Distretti Ecologici si è messa lì a metà strada: è una sorta di collante perché è entrata nell’universo calcio con la visione di renderlo sostenibile a tutti i livelli. Non da oggi, ma da tempo. Basta vedere gli investimenti nell’Ascoli (20 per cento delle quote) così come nel Latina, Grosseto e Salernitana sotto forma di sponsor, ma anche gli accordi stipulati con diverse realtà di Roma. La grande famiglia dall’azienda romana, punto di riferimento nazionale per la transizione ecologica, ha allargato il raggio d’azione di recente con due firme pesanti: la

prima riguarda lo Spezia in Serie A, la seconda il Savio, storico club della Capitale specializzato nel settore giovanile. Negli anni, come è noto, la società del presidente Paolo Fiorentini ha lanciato tantissimi calciatori tra i pro. Qualche esempio recente? Folorunsho (il cartellino è del Napoli) e Frabotta (di proprietà della Juventus). Assottigliando la distanza tra il mondo di sopra e il mondo di sotto. MATRIMONIO - Un accordo lampo. Voluto da entrambe le parti, dopo un incontro andato in scena a Milano. Distretti Ecologici e lo Spezia si sono uniti in matrimonio a metà marzo: l’azienda romana, infatti, è diventata ufficialmente main partner e main jersey front sponsor della squadra ligure fino alla fine della stagione 2024. Non solo. Il logo sarà presente sulle maglie della Primavera e delle formazioni giovanili degli aquilotti. Il discorso è totale: basti pensare che «grazie alla loro grande esperienza nel campo dell’edilizia e del green-building, Distretti Ecologici porterà il proprio prezioso contributo anche al progetto di ristrutturazione dello stadio Alberto Picco, obiettivo più che mai centrale nel prossimo futuro dello Spezia», si legge nel comunicato del club della massima serie.

«Spezia realtà giovane dal respiro internazionale»


ANDREA PASSERI - «Fin dal primo incontro ci siamo trovati perfettamente in linea. Nel calcio non sempre trovi delle persone illuminate, che hanno una visione del calcio così complessiva: dal marketing al rapporto con gli sponsor, fino al settore giovanile. Lo Spezia è una realtà giovane e moderna, dal respiro internazionale, che ha voglia di crescere con la giusta dose di ambizione e di progettualità. Che non significa vincere dall’oggi al domani, fare tutto e subito, ma costruire un percorso condiviso, sostenibile e lungimirante», spiega Andrea Passeri, direttore marketing di Distretti Ecologici.

efficiente energicamente, che non sia un peso per la città né per la società», aggiunge Andrea Passeri. Distretti Ecologici, tra l’altro, ha portato fortuna allo Spezia. Perché, quando il logo è comparso sulla maglia, escludendo le sfide al limite dell’impossibile con Juve e Roma, la squadra di Thiago Motta ha iniziato a mettere da parte punti su punti allontanandosi dalla zona rossa. «La vittoria contro il Cagliari è stata fondamentale, un passo decisivo verso la salvezza. Sì, lo possiamo dire: abbiamo portato fortuna…».

«Savio? Il discorso è molto ampio e profondo»

PLATEK - «La chiusura di questo accordo duraturo, che permetterà al nostro club di legarsi fino al 2024 ad una società virtuosa che persegue una politica green come Distretti Ecologici, ci rende molto soddisfatti. L’auspicio è che questa partnership possa proseguire a lungo sempre all’insegna di grandi successi per entrambe le parti coinvolte e per tutti i tifosi dello Spezia», le parole del presidente dello Spezia, Philip Platek, durante la conferenza stampa. Ha svolto un ruolo fondamentale anche Luca Scafati, chief revenue officer dello Spezia: «Siamo estremamente felici di iniziare una collaborazione così importante con un’azienda leader a livello nazionale nel settore della bioedilizia, con la quale condividiamo valori, progetti, obiettivi ed un percorso di crescita basato sull’innovazione e sulla sostenibilità. Sarà una partnership a 360°, che creerà valore per lo Spezia e per il territorio». PORTAFORTUNA - «C’è un interesse generale nel rifare lo stadio Picco, ma oggi convergono le volontà di creare un impianto moderno,

In apertura, da sinistra, Andrea e Dino Passeri (Distretti Ecologici), con il presidente dello Spezia Philip Platek e Luca Scafati, Chief Revenue Officer dello Spezia. Qui sopra, Andrea Passeri con Paolo Fiorentini, presidente del Savio. Sotto, il numero 10 dello Spezia Daniele Verde

DENTRO ROMA - Parallelamente al discorso Spezia c’è la finestra aperta sul Savio, che ha il desiderio di mettere a punto nel breve periodo la struttura sportiva più green di Roma. Un vanto per la città, ma anche per i ragazzi che tutti i giorni scendono sul campo di Via Norma. «Siamo diventati main sponsor del Savio - sottolinea Passeri - ma anche qui il discorso è molto ampio: la collaborazione è profonda e sul lungo periodo con il presidente Paolo Fiorentini. L’idea di fondo è di aiutare i ragazzi a spiccare il volo verso il mondo dei professionisti, attraverso la nostra rete. Dall’altro lato puntiamo a sviluppare e ammodernare la sede, a farla crescere sotto ogni punto di vista. Del resto, il green è nel nostro dna».

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WEARENA

Da visione a realtà. Viaggio nel mondo eSports con Romina Patrignani di Lorenzo Scalia

L’Italia è indietro rispetto al resto dell’Europa, ma è arrivato il momento giusto per invertire il trend anche perché gli eSports viaggiano verso le Olimpiadi di Los Angeles. WeArena sta giocando un ruolo chiave in un mercato in forte espansione 20

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i scrive eSport, si legge futuro. Perché i segnali vanno in un’unica direzione: verso l’infinito, nonostante il caso delle sale Lan chiuse dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Un evento che non fa altro che sottolineare quanto sia importante regolamentare e dare delle linee guida all’intero movimento. Del resto, basta guardare i numeri dei ricavi a livello mondiale del settore, stimati in circa 1 miliardo di dollari, che dovrebbero salire a 1.6 miliardi entro il 2023. Il sistema Italia c’è e fa la sua parte: secondo il rapporto di Nielsen Sports & Entertainment e IIDEA l’impatto economico totale (diretto e indiretto) stimato ammonta a circa 50 milioni di euro. Chi sta giocando un ruolo decisivo nel mondo degli eSport è WeArena, un format che ha l’obiettivo per nulla velato di portare il pubblico dell’online... offline. In posti fisici e digitali. Appunto, delle arene. WeArena ne ha già attivate diverse: la più importante si trova a Ferrara, tra l’altro uscita a testa altissima dal

caso delle sale Lan. WeArena ha in serbo di espandere il suo campo d’azione come conferma Romina Patrignani, COO dell’azienda. Patrignani, come e quando nasce il progetto WeArena? «Nasce nel 2015 dalla visione di Francesco Monastero, Ceo e founder, e dalla volontà di creare un modello nuovo di intrattenimento rivolto a tutte le generazioni ma con particolare attenzione alle new gen X,Y e Z che hanno necessità, visioni e bisogni da soddisfare completamente diversi dalle altre generazioni». Parla di visione... «Oltre che andare a colmare grandi spazi all’interno dei centri commerciali/spazi retail offrendo esperienza fisica e digitale non sostituibile all’esperienza online, questa visione ha fatto nascere i format d’intrattenimento da noi ideati che ad oggi ci hanno portato ad aprire il secondo parco di intrattenimento digitale a Ferrara, che conta 2000mq; a diventare partner esclusivi di LNPB e di Lega Pro

«Mezzo milione di persone in Italia segue eventi eSport quotidianamente»


per l’organizzazione di progetti e di campionati eSport; ad aprire una campagna di crowdfunding con l’obiettivo primario di accelerare il nostro piano industriale; a sviluppare molti altri formati esperienziali, legati soprattutto all’organizzazione di grandi eventi». Gli eSports nel mondo fanno numeri pazzeschi. L’Italia come è messa? «Secondo gli ultimi dati sembra che quasi mezzo milione di persone in Italia segua eventi eSport quotidianamente e più di un milione e mezzo lo fa almeno una volta a settimana. Questi numeri, è vero che, come espresso poc’anzi, denotano un gap rispetto allo stato degli eSport, guardando anche solo ai nostri Paesi vicini in Europa ma in questo momento storico in Italia siamo in un momento propizio». Perché? «A gennaio il Coni e il Comitato promotore eSports Italia hanno siglato un accordo per supportare le Federazioni e DSA nella creazione di un settore dedicato agli sport elettronici e simulati al loro interno. Questa è una grandissima apertura e direi che siamo in un momento di fermento molto interessante per lo sviluppo degli eSport in Italia: “non abbiamo più scuse”». Ma il gap è recuperabile? «Sicuramente il gap esiste ed è oggettivamente rilevante. Ma crediamo che le potenzialità e le menti italiane siano in grado di colmare il divario creatosi grazie anche al movimento che si sta creando intorno agli eSport». I giovani stanno perdendo interesse nel calcio, al massimo guardano la sintesi delle partite di Serie A. Gli eSports a tema football hanno le carte per superare l’audience del calcio vero? «Al giorno d’oggi i giovani hanno esigenze differenti dalle passate generazioni e non per questo sono considerabili meglio o peggio. La velocità della società di oggi, soprattutto quella online, porta i giovani ad essere assidui consumatori di contenuti, per questo spesso gli highlights sono dal loro punto di vista preferibili rispetto alla durata intera di una partita. In questo senso il videogioco rispetta maggiormente le tempistiche cercate dai ragazzi d’oggi ma non solo, nel gioco di simulazione calcistica i giocatori sono i reali protagonisti della partita e possono riassumere le emozioni dei canonici 90 minuti in una manciata di minuti!». Insomma, gli eSport sono più reali della realtà...

«Un altro fattore da prendere in considerazione è la possibilità che gli eSports danno ai player: nel calcio si richiede una capacità tale, talvolta inarrivabile, che rende questo mondo apparentemente inaccessibile; al contrario, nel mondo degli eSports i giochi sono ancora da fare. Oggi noi dal calcio abbiamo tanto da imparare e non sappiamo se gli eSports di simulazione calcistica supereranno l’audience del calcio reale. Certo è che il modello degli eSports va implementato con il mondo parallelo delle società

«WeArena Ferrara ha facilitato la partnership con la Spal»

In apertura, la sede di WeArena a Ferrara, nel riquadro, Romina Patrignani, COO dell’azienda. Qui sopra, con Francesco Monastero, Ceo e founder

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calcistiche, che abbiamo da prendere come esempio». Avete un rapporto stretto con la Spal? Come funziona questa collaborazione? Ne avete altre del genere? «L’apertura di WeArena Ferrara ha facilitato la partnership con la Spal. Ad oggi, poi, vantiamo collaborazioni con altre società calcistiche che militano in Lega Pro: U.C. Albinoleffe, Pro Vercelli 1892, Calcio Padova, Olbia Calcio 1902 e Virtus Entella». Quanto guadagna in media un pro player? «Non esiste ancora un benchmark di riferimento per i contributi economici ai player professionisti, è un mondo ancora in evoluzione e, soprattutto, in regolamentazione». Voi li formate? «Sì, abbiamo un percorso di formazione che prende in considerazione ambito comunicativo, competitivo e la professionalizzazione dei player».

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Secondo lei gli eSports, in futuro, verranno presi in considerazione per le Olimpiadi? «Non solo secondo me, c’è già stato un avvicinamento degli eSports alle Olimpiadi, a partire dalle Olympic Virtual Series. Alle Olimpiadi di Tokyo 2020 abbiamo assistito a degli eventi eSports nel periodo di avvicinamento all’inizio della competizione, destinata a giocatori e sportivi e che hanno riguardato 5 discipline olimpiche (vela, canottaggio, ciclismo, baseball e automobilismo) sotto forma di simulazioni virtuali. I prossimi passi saranno la dimostrazione competitiva nelle Olimpiadi di Parigi 2024 fino ad arrivare al debutto ufficiale di Los Angeles nel 2028!». Di recente avete lanciato e chiuso una campagna di equity crowdfun-

ding. In cosa consiste e che obiettivi vi siete posti? «Durante il 2020 WeArena si è preparata per aumentare la velocità e la scalabilità del modello e del brand aumentando la pervasività sul territorio, radicando una forte presenza online. Abbiamo deciso di aprire una campagna di equity crowdfunding per accelerare il nostro sviluppo in vista degli obiettivi prefissati per i prossimi anni, secondo il nostro piano industriale: affermazione del brand WeArena Online; nuove linee di business scalabili a basso investimento; apertura nuovi punti vendita; espansione internazionale; diventare i capisaldi della cultura eSportiva e sviluppare in Italia un’industria eSport, allo stesso livello di altri Paesi in Europa e nel mondo».

«Presto espansione internazionale e apertura nuovi punti vendita»




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