Stampa Italiana Ecò Numero 2 Anno 1

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STAMPA ITALIANA ecò Stampa Italiana Ecò - Anno 1 N. 2 - novembre 2021 - Allegato mensile della testata giornalistica Stampa Italiana - Copia gratuita

UN’IMPRESA VIRTUOSA

Le grandi aziende non hanno più dubbi: la sostenibilità va di pari passo con la competitività. La strada per raggiungere la piena armonia fra il mondo produttivo e l’ambiente è ancora lunga, ma la direzione è quella giusta



STAMPA ITALIANA ecò Stampa Italiana Ecò Anno 1 N. 2 / Novembre 2021 Allegato mensile della testata giornalistica Stampa Italiana Registrazione Tribunale di Roma N. 174 del 17 dicembre 2019 Proprietario e direttore responsabile: Andrea Nicosia Editore: Si Informa Srls Sede legale: Via Domokos, 4 20147 Milano P. Iva: 11304160960 Pec: siinformasrls@legalmail.it Direttore editoriale: Valentina Flacchi Vice Direttore editoriale: Mario Caprini Pubblicità: pubblicita.eco@stampaitaliana.online

Superbonus 110%: i problemi della raccolta documentale e a chi rivolgersi

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a strada verso l’efficientamento energetico può essere lunga e piena di scartoffie. Soprattutto quando si parla di Superbonus 110%. Infatti, la misura che permette di rendere case e condomini più sicuri ed ecosostenibili prevede una raccolta documentale sicuramente importante. Motivo per cui, in molti casi, rivolgersi a una ditta specializzata può comportare un notevole risparmio di tempo ed energie. Come ci spiega Giuseppe Flacchi, di Alfa srl, società che si occupa di fare da trait d’union tra le aziende che svolgono i lavori del Superbonus 110% e gli amministratori di condominio e i singoli condòmini.

Prezzo di copertina: Gratuito

SOCIETÀ E SINGOLI PROFESSIONISTI - Come ricorda Flacchi, per espletare le pratiche del Superbonus 110% «esistono due strade da scegliere. Un riguarda quella delle aziende di servizi specializzate che si occupano interamente di tutta l’operazione. Dall’acquisizione dei documenti del condominio fino alla parte burocratica riguardante la cessione del credito. L’alternativa, che ha tempi più lunghi, è affidarsi al singolo professionista che può essere ad esempio un architetto. Che, in quel caso, fa uno studio di fattibilità per poi riferire all’assemblea condominiale. Si passa quindi a una fase di rilievi e progettazione per tornare nuovamente in assemblea condominiale, trovare la ditta e fare il capitolato di appalto». Le complessità burocratiche e le numerose competenze richieste per la preparazione di una pratica rendono, quindi, la scelta di una società specializzata

Mandato in stampa il: 5-11-2021

Sommario

Collaborano: Domenico Cavazzino, Giuseppe Motisi, Lorenzo Scalia Art director e progetto grafico: Stefano Salvatori Sede operativa: Piazza Augusto Imperatore 32 Roma Sito internet: stampaitaliana.online Mail: redazione@stampaitaliana.online Stampa: Tipolitografia Quattroventi Srl Via Andrea del Castagno 196 Roma

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Carta prodotta con energia rinnovabile

MENO TEMPO E PIÙ ENERGIE - In ogni caso, è sempre sconsigliato il ricorso al classico fai da te. «Il vantaggio di rivolgersi a una società - spiega Flacchi - è quello di una struttura completa a disposizione che azzera i tempi burocratici per i singoli condòmini. Una società specializzata conviene perché ha all’interno i suoi professionisti che collaborano in maniera costante per più lavori ed è una struttura organizzata per fare il Superbonus 110%. L’altra procedura è valida ugualmente, ma con tempi più lunghi». Insomma, un vantaggio di energie e soprattutto tempo. In media, infatti, per avere a disposizione l’intero plico documentale di un condominio da quaranta unità immobiliari si impiega circa un mese e mezzo, mentre per una villa si parla di una ventina di giorni. Domenico Cavazzino Sport Distretti Ecologici in tackle: l’Ascoli e l’universo calcio di Lorenzo Scalia

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Conserve Italia «Riduciamo i rifiuti e trasformiamo gli scarti alimentari» di Giuseppe Motisi

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Trentino Un albergo diffuso per recuperare un antico borgo di Domenico Cavazzino

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Calcio professionistico Stadi a Roma: il vuoto oltre l’Olimpico. La proposta di Lorenzo Scalia 20

Ferrero e la sostenibilità Dagli obiettivi raggiunti ai traguardi futuri di Domenico Cavazzino

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Seedble Professione innovatore: ecco la masterclass per il lavoro del futuro di Domenico Cavazzino

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Distretti Ecologici-Bricofer Nascita di una partnership vincente di Lorenzo Scalia Bricofer Per un fai da te sempre più eco e sostenibile di Lorenzo Scalia

più sicura. Questo poiché, in entrambi i casi, le problematiche principali riguardano il reperimento di tutta una serie di documentazioni. Da quelle riguardanti il condominio e la singola unità immobiliare, le progettazioni, la gestione e la presentazione delle pratiche in Enea e l’Agenzia delle Entrate, l’eventuale cessione del credito, il reperimento delle forniture, ecc... Nel pieno della pandemia, ricorda Flacchi, «uno dei problemi principali nei rapporti con la PA erano i tempi di risposta alle domande delle singole società per il reperimento dei documenti». Fortunatamente, «la situazione dovrebbe pian piano velocizzarsi col ritorno in presenza nei vari uffici».

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Ferrero e la sostenibilità: dagli obiettivi raggiunti ai traguardi futuri di Domenico Cavazzino

L’azienda di Alba prosegue il suo percorso green di sviluppo sostenibile agendo sulla base di quattro pilastri: protezione dell’ambiente, approvvigionamento sostenibile degli ingredienti, promozione di un consumo responsabile e valorizzazione delle persone 4

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uello tra sostenibilità e crescita aziendale è un connubio che non è più possibile prorogare. La strada di iniziative green deve essere un percorso da intraprendere quanto prima. Ne sono convinti al Gruppo Ferrero che già da tempo ha intrapreso passi concreti verso l’ecosostenibilità. Dal packaging alla filiera delle nocciole e del cacao, fino all’approvvigionamento di energia verde. Così come per gli interventi di sostenibilità nella filiera dell’olio di palma, in cui Ferrero è indicato come azienda leader mondiale. Riconoscimento che trova riscontro nella scorecard pubblicata nel 2020 dal WWF, che indica il Gruppo Ferrero come l’azienda più sostenibile al mondo nel suo settore di riferimento. Un impegno che non ha visto interruzioni anche durante la pandemia. Il 2020, infatti, è stato l’anno che ha sancito la svolta green del Gruppo con uno sviluppo sostenibile sia in campo sociale che ambientale. L’azienda ha sempre agito sulla base di quattro pilastri, che costituiscono la chiave delle strategia di sostenibilità del Gruppo: protezione dell’ambiente,

approvvigionamento sostenibile degli ingredienti, promozione di un consumo responsabile e valorizzazione delle persone. Questo ha permesso di raggiungere una serie di obiettivi prefissati entro il 2020, come l’approvvigionamento di fave di cacao cento per cento sostenibili, certificate attraverso standard gestiti in modo indipendente, e di zucchero di canna cento per cento certificato da Bonsucro e Altromercato. Ora, l’azienda vuol ripartire per consolidare quanto raggiunto con nuovi risultati da raggiungere entro il 2030.

Imballaggi sostenibili e riduzione delle emissioni tra gli obiettivi futuri del Gruppo

ENERGIA VERDE - E alla sostenibilità ambientale si lega l’accordo decennale, raggiunto tra il Gruppo Ferrero e Falk Renewables, operatore internazionale nel campo delle energie rinnovabili. L’accordo prevede la produzione di energia elettrica green, cento per cento rinnovabile, realizzata attraverso l’installazione di due impianti fotovoltaici in Sicilia. Grazie a questa partnership il Gruppo Ferrero diventa la prima azienda italiana nel settore alimentare a firmare un Virtual Power Purchase Agreement (PPA), ossia


Ferrero e Falck Renewables hanno firmato un accordo per la produzione di energia elettrica green cento per cento rinnovabile, realizzata attraverso l’installazione di due impianti fotovoltaici in Sicilia

un accordo per l’acquisto di energia. I PPA di lungo periodo rappresentano per Ferrero una soluzione verso una transizione energetica ecologica che, insieme all’attuazione di misure di efficientamento energetico e all’identificazione di soluzioni insieme ai fornitori lungo le catene di approvvigionamento, consentiranno all’azienda di ridurre la propria impronta di carbonio. Nel dettaglio, i due impianti fotovoltaici integrati con sistemi agricoli, di proprietà di Falk Renewables, in fase di sviluppo nelle province di Ragusa e Trapani, genereranno un quantitativo di energia pari a circa il cinquanta per cento del fabbisogno di energia elettrica che Ferrero acquista da rete in Italia, che già oggi deriva da fonti certificate rinnovabili, così come avviene per tutta l’energia elettrica prelevata da Ferrero dalla rete elettrica in Europa, consentendo all’azienda di contribuire positivamente alla riduzione di CO2 e perseguire i propri obiettivi di sostenibilità. Riguardo l’accordo raggiunto, Michele Ferro, Chief Industrial and Supply Officer di Ferrero, ha affermato: «Siamo orgogliosi che questo accordo con Falck Renewables porti alla realizzazione di due impianti di filosofia integrata agrivoltaica in Italia, che consentiranno l’immissione di nuova energia green addizionale nella rete elettrica nazionale. Per Ferrero

questo significa inoltre un passo avanti verso il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità di Gruppo, sia assicurando il nostro percorso di approvvigionamento di energia elettrica cento per cento certificata rinnovabile per i nostri stabilimenti, sia per raggiungere il nostro obiettivo al 2030 di ridurre del cinquanta per cento le emissioni di gas serra derivanti dalle nostre attività». PACKAGING SOSTENIBILE - E le iniziative sostenibili non si fermano all’energia rinnovabile. Il Gruppo Ferrero, infatti, già da alcuni anni ha iniziato un percorso per arrivare, entro il 2025, a rendere tutti gli imballaggi riutilizzabili, riciclabili o compostabili al cento per cento. Nell’ultimo rapporto di sosteni-

Ingresso dello stabilimento Ferrero ad Alba, in Piemonte

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Le azioni del Gruppo a sostegno dell’ambiente

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bilità pubblicato dal Gruppo si legge: “Utilizziamo circa il trentanove per cento di vetro e il trentasette per cento di carta e cartone nei nostri imballaggi, seguiti dal diciassette per cento di plastica rigida, dal cinque per cento di plastica flessibile e dal tre per cento di altri materiali, come metalli e legno”. Inoltre, dai dati dell’esercizio 2019/2020 risulta che l’82,9 per cento degli imballaggi era riciclabile, riutilizzabile o compostabile. Un dato in aumento rispetto all’esercizio precedente quando era pari all’81,7 per cento. In questo contesto si inserisce l’adesione del Gruppo al “New Plastics Economy Global Commitment” promosso dalla Ellen MacArthur Foundation per condividere e perseguire la visione di uno sviluppo di un’economia circolare per la plastica. A questo proposito, ha affermato il presidente esecutivo, Giovanni Ferrero, il Gruppo «ha da sempre adottato comportamenti responsabili per offrire prodotti di alta qualità, che contribuiscano positivamente sia alla società di oggi che a quella futura. Questa convinzione continua a spingerci verso una catena del valore responsabile costituita da un approvvigionamento sostenibile, una produzione sostenibile e, ora, da un rafforzamento ulteriore del nostro impegno per un packaging ancora più sostenibile». Inoltre,

ha aggiunto Lapo Civiletti, CEO del Gruppo Ferrero, «abbiamo ambizioni di crescita e ciò che è fondamentale è infondere il principio della sostenibilità in tutta il nostro business. Il nuovo impegno relativo al packaging è un passo importante per raggiungere questo obiettivo».. UNO SGUARDO AL FUTURO - L’impegno del Gruppo nella sostenibilità continua con obiettivi sul lungo periodo. Dopo i risultati raggiunti entro il 2020, infatti, ecco i nuovi traguardi che Ferrero ha intenzione di raggiungere in questo decennio. Oltre alla completa sostenibilità degli imballaggi, da raggiungere entro il 2025, uno degli obiettivi più ambiziosi prevede una drastica riduzione della carbon footprint del Gruppo entro il 2030. Si tratta di un obiettivo costruito su solide basi scientifiche ed approvato dalla Science Based Targets initiative (SBTi) nel dicembre 2020. Nel dettaglio, l’azienda punta a ridurre del cinquanta per cento, entro il 2030, tutte le emissioni derivanti dalle proprie attività (definite tecnicamente “Scope 1” e “Scope 2”). Inoltre, complessivamente, Ferrero si impegna a ridurre le emissioni del quarantatré per cento (“Scope 1, 2 e 3” - comprese quindi le emissioni indirette terze) per ogni tonnellata di prodotto realizzato.


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Professione innovatore: ecco la masterclass per il lavoro del futuro di Domenico Cavazzino

Il mondo del lavoro si sta evolvendo e con esso le figure professionali. Da qui l’esigenza di formare professionisti che abbiano le competenze necessarie. La Factory di Seedble va in questa direzione

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l lavoro del futuro? Ha a che fare con l’innovazione. Ne sono convinti in Seedble, società di consulenza che offre alle imprese soluzioni nei campi dell’innovazione organizzativa, strategica e tecnologica, con un’attenzione particolare a progetti a forte vocazione sociale. L’azienda, infatti, è pronta a partire con la seconda edizione della Innovators Factory, una masterclass che si terrà dal 22 al 26 novembre, dedicata ai tanti giovani che vogliono iniziare un percorso nel campo dell’innovazione. Si tratta, ci spiega Lucia Goracci, Innovation Advisor e People & Organization Expert di Seedble, di una diversa metodologia per affacciarsi al mondo del lavoro. Questo perché, ricorda, secondo uno studio «il novanta per cento delle offerte di lavoro tramite i canali tradizionali non funziona. Un dato sorprendente se si pensa a tutte le application fatte da chi cerca lavoro o alle tante offerte pubblicate dalle aziende. Eppure soltanto il dieci per cento viene selezionato tramite quel tipo di job posting. Negli altri casi prevale il passaparola». È necessario pertanto cercare nuove strade ed è proprio questo l’obiettivo di questa masterclass.

SBOCCHI PROFESSIONALI - I partecipanti del corso diventeranno degli innovation specialist. Si tratta di «profili trasversali che potrebbero lavorare dal marketing al reparto HR inserendosi un po’ in tutti gli ambiti. Hanno però la capacità di prevedere i trend, vedere quelli che si stanno affermando e capire di conseguenza come sviluppare l’innovazione a partire dall’interno dell’azienda. Su questi profili oggi c’è sempre più attenzione. Infatti, si sta diffondendo nelle aziende la figura dell’innovation manager». E proprio questo può essere uno dei futuri sbocchi lavorativi dei partecipanti alla masterclass. L’innovation specialist, infatti, altro non è che il primo gradino per diventare dei veri e propri manager dell’innovazione applicata a qualunque ambito in cui questa si renda necessaria. Durante il corso, infatti, i moduli affrontati spazieranno dalla digital transformation al marketing, dalla employee experience fino al project management. «Gli sbocchi professionali che possono esserci dopo questa masterclass - ricorda Goracci - sono proprio le stesse figure che poi nella vita di tutti i giorni in azienda trattano con queste tematiche.

«Grazie ai temi affrontati puntiamo a creare delle figure che siano quanto più poliedriche possibili»

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STAMPA ITALIANA ecò Dall’azienda che vuole intraprendere un percorso di digital transformation dei processi HR, alla società che vuole investire sul marketing abilitando dinamiche più strategiche di marketing predittivo fino a tutte quelle realtà che mirano a perseguire la trasformazione digitale grazie alle nuove tecnologie. Grazie ai temi affrontati nella masterclass si mira a creare delle figure che siano quanto più poliedriche possibili». STRUTTURA DEL CORSO - La masterclass è riservata a candidati under trenta, neolaureati o con poche esperienze lavorative. Il corso è articolato in cinque giornate full time ed è interamente gratuito in quanto il costo formativo, escluse le spese di vitto e alloggio (il corso si tiene a Roma presso Phluid, l’Innovation Hub di Seedble) è coperto da Seedble e dai partner dell’iniziativa. Per partecipare basta compilare l’apposito form sul sito di Seedble. A quel punto, spiega Goracci, la società effettua una preselezione. Infatti, «nel form viene richiesto il profilo LinkedIn, in base al quale si valuta se la persona è in target rispetto alla Factory. Superata questa fase si accede a una challenge. Raccontare un’idea innovativa, piuttosto che un’idea di business. Qualcosa che chi lavora nel mondo dell’innovazione è abituato ad avere. Se si supera questa fase ci sono dei colloqui motivazionali e conoscitivi per conoscere meglio le persone selezionate e andare a creare una classe di dieci persone». La Factory, nei primi quattro giorni, è organizzata in lezioni frontali al mattino e project work al pomeriggio a cui i ragazzi lavoreranno divisi in team. La mattina del venerdì ci sarà la presentazione dei lavori. Il pomeriggio, invece, si svolgerà «quella che chiamiamo “final challenge”, l’ultimo sforzo, in cui viene chiesto ai ragazzi un ultimo project work in cui chiediamo di lavorare anche in ottica di idee su quanto visto la mattina nei lavori dei vari team». POST MASTER - Nel post Factory, i partecipanti verranno selezionati per dei colloqui da una serie di aziende. «La selezione - ricorda Goracci - può essere per posizioni interne a Seedble o esterne, presso clienti che cercano figure in linea con il background dei partecipanti alla masterclass. La scelta dei vari colloqui viene fatta da Seedble in base a quanto emerso nel corso della Factory e al background dei ragazzi». Tuttavia, lo stage successivo alla masterclass non è assicurato. «Può capitare che qualcuno non trovi immediatamente lo sbocco. In quel caso, comunque, rimane nel nostro database e può capitare che si verifichino delle oc-

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casioni in seguito. A volte si tratta di figure interessanti, ma per cui al momento non c’è una posizione aperta. Quindi magari bisogna solo aspettare che sia creata una job opportunity per quel profilo. E al di là dell’attività di placement svolta da Seedble, alcuni partecipanti della prima edizione, grazie all’esperienza del corso a curriculum, sono riusciti a trovare un’occupazione altrove. Questo ci ha fatto molto piacere anche per il valore riconosciuto a questo percorso. In ogni caso - conclude - le percentuali occupazionali sono comunque positive e anche chi è rimasto fuori, in circa due mesi ha ricevuto un’opportunità lavorativa». Dopo questa edizione l’appuntamento è per la primavera del 2022. L’obiettivo di Seedble, infatti, è quello di rendere questo corso un appuntamento stabile con due sessioni annuali.

In basso, le caratteristiche dell’innovatore e l’organizzazione della Factory



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Distretti Ecologici-Bricofer: nasce una partnership vincente di Lorenzo Scalia

Il direttore generale Dino Passeri: «Il percorso insieme può solo crescere. Perché le competenze non sono in contrasto. Anzi, si possono valorizzare a vicenda»

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scire con l’idea di comprare un trapano e tornare a casa con il Superbonus praticamente in tasca. Fantascienza? No, da adesso in poi sarà possibile. Anche se suona strano. Perché è un po’ come decidere di andare a prendere un caffè americano al bar e poi rientrare con in mano un gratta e vinci. Chiaramente già grattato e soprattutto vincente. Nel business si parla spesso di partnership. Un concetto che a volte si presta a interpretazioni, che spesso può diventare un po’ fumoso. Eppure non è così. La partnership, secondo la dottrina più consolidata, è la gestione integrata di un processo da parte di due diversi soggetti, i quali agiscono come se appartenessero a un’unica entità. Si realizza, ad esempio, quando un attore dello scambio assorbe nel suo processo di lavoro un costo o un’attività dell’altro, oppure mette a disposizione conoscenze e modalità di lavoro poco accessibili all’altro, per aiutarlo a fare meglio il suo lavoro. Fa questo perché così ottiene un ritorno nel proprio processo di creazione del valore. Più valore per l’altro diventa più valore

anche per sé. Questa definizione, semplice e lineare, è un abito cucito addosso a quello che stanno facendo Distretti Ecologici e Bricofer. Un win-win totale che mette in campo le competenze di una delle poche realtà specializzate sul Superbonus come Distretti Ecologici e la forte presa sul territorio dell’altra azienda in gioco, Bricofer, specializzata negli articoli della galassia fai da te per privati (ma anche per partite Iva).

«Il progetto pilota sul Supebonus parte dal Lazio»

QUALCOSA DI NUOVO - «Si tratta di una partnership importante che si ripete perché siamo già soci nell’Ascoli Calcio. Adesso lo saremo anche in ambito commerciale. Si uniscono due mentalità imprenditoriali solide. Il percorso insieme può solo continuare e quindi crescere. Perché le competenze non sono in contrasto. Anzi, si possono valorizzare a vicenda. Distretti Ecologici è focalizzata sulle necessità dei prossimi anni legate al green, all’innovazione tecnologica, alla sostenibilità e all’impatto zero. In definitiva a tutte quelle tematiche che saranno portanti in ogni settore di business in futuro. Bricofer è un


colosso sui prodotti per la casa e ha tantissimi clienti. Insieme offriremo qualcosa di nuovo», sottolinea Dino Passeri, direttore generale della Distretti Ecologici. «Con Bricofer abbiamo trovato un’opportunità perché stiamo parlando di un marchio consolidato che ha una forte presenza sul mercato e anche una forte presenza a livello locale. L’intero gruppo conta centoventuno centri sparsi per la Penisola. Noi abbiamo un know how legato alla sostenibilità e all’efficientamento energetico che in questo momento in Italia hanno in pochi, soprattutto per quanto riguarda il Superbonus. Bricofer in questo modo amplia e velocizza un percorso verso il green avviato già da tempo, già prima di questa partnership». COME FUNZIONA - Il progetto pilota è pronto. E scatta dai centri Bricofer di Capena e Pomezia, nel Lazio, dove è previsto l’allestimento di due punti negli store targati Distretti Ecologici per il Superbonus. Qui i clienti di Bricofer potranno prendere informazioni «direttamente dai nostri operatori specializzati». Non solo. «Il processo è quasi del tutto automatizzato. Perché poi daremo un accesso online dove caricare la documentazione, successivamente in back office analizzeremo, approfondiremo e valuteremo se ci sono problematiche o no. Si passa quindi alla fase di verifica della prefattibilità. Insomma, il sistema è semiautomatizzato. Ma l’assistenza all’interno dello store comprende anche l’aiuto a compilare la documentazione e quindi a caricare i file». Se tutto fila liscio si accede al Superbonus. Che significa non pagare nulla per rifarsi casa attraverso la cessione del credito. «E’ ovvio che l’offerta è invidiabile - continua Dino Passeri perché significa fare i lavori veramente a costo zero. Una casa efficientata aumenta il proprio valore sul mercato del trenta per cento. E ti fa anche risparmiare sulle bollette. In sostanza sono elementi di valore che uno va a regalare. Non c’è un motivo per dire no».

CHI PUO’ ACCEDERE - Tutto ciò che non è condominio può rientrare nell’offerta messa a punto dalla partnership Distretti Ecologici-Bricofer. Traduzione: abitazioni unifamiliari, bifamiliari, trifamiliari e quadrifamiliari. Sulla carta anche una porzione di una villa, «ma è ovvio che fare un intervento sull’intero immobile è meglio perché bisogna comunque fare il salto di due classi energetiche», ricorda Dino Passeri. «Le case private, comunque, hanno una procedura più semplice rispetto a quella dei condomini, dove per fare partire i lavori c’è bisogno della maggioranza in assemblea. Dall’altra parte il proprietario dell’abitazione unifamiliare decide in autonomia se partire o meno con il Superbonus». Come detto, Capena e Pomezia saranno dei test. «Attendiamo i feedback anche se possiamo immaginarli». Del resto, si tratta di un unicum. «Perché finora nessuno è mai andato così sul mercato. Ci hanno provato alcune grandi società, ma hanno praticamente fallito perché hanno messo a punto un procedimento semplificato, una sorta di porta a porta con il personale che capisce poco o niente di aspetti tecnici. Noi faremo l’esatto contrario». L’idea, in prospettiva, è di ampliarsi «dove siamo già presenti, cioè a Roma, Ascoli, Todi, Massa Carrara, Milano, Salerno e la zona intorno a Siena». Insomma, se non è tutta Italia poco ci manca…

«L’offerta è invidiabile: lavori di casa a costo zero»

In alto, ingresso dello store Bricofer di Zagarolo. Sopra e a lato, alcuni reparti all’interno di uno store

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Bricofer: per un fai da te sempre più eco e sostenibile di Lorenzo Scalia

Giuseppe Cabras, direttore commerciale dell’azienda, ripercorre i passi già compiuti e svela le mosse future del Gruppo che fa capo alla famiglia Pulcinelli 12

Il direttore Giuseppe Cabras

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l fai da te in Italia ha la forma di un elefante blu. Che copre l’intero territorio nazionale sventolando la sua proboscide ma anche una bandiera tricolore. La storia, come sempre, parte da lontano. Anzi, lontanissimo. È una rincorsa che copre più di quaranta anni, che inizia con un piccolo negozio di ferramenta a Roma e che nel tempo si trasforma nel Gruppo Bricofer, icona italiana del fai da te che fa capo alla famiglia Pulcinelli. Un’azienda che è passata di padre in figlio, da Aldo a Massimo, cambiando nel corso degli anni strategie, ampliandosi con Ottimax e Self e quindi iniziando a pensare sempre più in grande, senza dimenticarsi di strizzare l’occhio al futuro. Basta farsi un giro sul sito ufficiale di Bricofer, semplice e intuitivo ma al tempo stesso vastissimo: un paradiso per chi ama costruire qualcosa con le proprie mani, impiegando il proprio tempo libero per quello che per molti non è un semplice hobby. Ma una filosofia di vita. FARO ACCESO - Bricofer ha acceso un faro sulla sostenibilità. Il vento è già cambiato come ci conferma Giuseppe Cabras che ricopre il ruolo di direttore commerciale: «Il tema


della sostenibilità ambientale rientra a pieno titolo tra le attività di responsabilità sociale che l’azienda si propone di perseguire. Negli ultimi anni, noi tutti, siamo stati chiamati a prendere maggiore consapevolezza in merito all’impatto che i nostri business hanno sull’ambiente, per questo anche il Gruppo Bricofer ha iniziato a muovere i primi passi verso una maggiore sostenibilità. Per prima cosa abbiamo deciso di utilizzare carta riciclata per la stampa dei nostri volantini riducendone drasticamente il numero di copie (nel 2020 abbiamo stampato il cinquanta per cento di volantini in meno rispetto al 2019). Inoltre, abbiamo incrementato gli investimenti sul digital, per socializzare il cliente in maniera graduale a una nuova forma di fruizione. Siamo ancora degli “imperfetti sostenibili” ma stiamo vagliando una serie di collaborazioni con importanti partner, nazionali e internazionali, fortemente impegnati su diversi fronti, per la tutela e la salvaguardia del Pianeta: dalla riduzione delle polveri sottili, attraverso l’uso di energie rinnovabili alla pulizia dei mari dalle plastiche; dall’utilizzo di materie prime trattate

con sistemi di produzione biologica alla ripopolazione di aree verdi in Italia e nel mondo». PROGETTI - L’azienda è impegnata anche nel sociale: ha chiuso accordi in questo senso per aiutare l’ambiente e anche i meno fortunati. Di più. Bricofer ha già messo in atto una rivoluzione verde, puntando sulle auto elettriche e sensibilizzando i dipendenti sulle tematiche green. «Si, ci sono dei progetti sia in termini di assortimento che di nuove collaborazioni con società e Onlus impegnate nel mondo della sostenibilità ambientale - continua Giuseppe Cabras - Abbiamo aderito alla campagna di Treedom per la piantumazione di oltre cinquecento alberi e venduto maglie di cotone organico in partnership con Diadora in seno alla raccolta fondi per AISM – Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Ad oggi stiamo chiudendo accordi per installare nuove colonnine elettriche in prossimità dei nostri punti vendita, per favorire la mobilità sostenibile. Per l’estate stiamo pensando a dei progetti che coinvolgano i nostri dipendenti in attività di impegno ambientale».

In alto: Massimo Pulcinelli, presidente di Bricofer Group SpA

«Utilizziamo carta riciclata per i nostri volantini»

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Sopra e in basso, casse elettroniche e reparti in un punto vendita Bricofer

PRODOTTI GREEN - Nel vastissimo catalogo di Bricofer, non mancano prodotti che vanno a braccetto con l’ambiente e che quindi fanno rima con bio edilizia. In legno ma non solo. «Tra le nostre gamme i prodotti più green sono quelli legati all’universo dell’edilizia. Sto parlando di aree dedicate alla creatività ecosostenibile dove il cliente può immergersi per realizzare i suoi progetti, con il sostegno di professionisti specializzati. La scelta di aprire all’universo dei materiali bioedili nasce da un naturale processo di sperimentazione e di apertura al nuovo che contraddistingue il brand sempre attento alle tematiche di responsabilità ambientale a cui le aziende dovrebbero sempre prestare attenzione».

DI SECONDA MANO - Bricofer è un vulcano di idee. Uno dei passi successivi sarà aprire una nuova finestra online dedicata agli articoli di seconda mano per ridurre potenziali sprechi ma anche per venire incontro alle famiglie e di riflesso al Pianeta. «L’evoluzione in atto fa pensare ad un progressivo adattamento dei business alla crescente presa di coscienza del consumatore finale. Stiamo lavorando per aprire una divisione e-commerce dedicata alla vendita di prodotti di seconda mano, per ridurre gli sprechi e agevolare negli acquisti i clienti con un budget di spesa più contenuto. In generale posso dire che la velocità di adattamento alle nuove esigenze dipenderà molto dal mercato di riferimento in cui si muovono gli attori e contestualmente allo sviluppo di tecnologie idonee e accessibili che coadiuvino le imprese nel processo di conversione graduale verso un commercio più equo e solidale». La sensazione, quindi, è che la transizione ecologica sembra non avere confini. I prossimi mesi e i prossimi anni vanno in un’unica direzione. «La crescente attenzione dei nostri clienti verso tematiche di impatto ambientale e la coscienza etica della nostra azienda ci hanno spinto e ci spingeranno a interessanti collaborazioni sia in termini di gamme prodotto che di iniziative ecosostenibili», chiude Giuseppe Cabras.

«I prodotti più green sono quelli dell’edilizia»

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Distretti Ecologici in tackle: l’Ascoli e l’universo calcio Andrea Passeri, direttore marketing della Distretti Ecologici, parla dell’impegno dell’azienda nel club bianconero e non solo. Perché anche il pallone e tutto ciò che gli gira intorno saranno sempre più green

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di Lorenzo Scalia

mi riferisco ai Paesi del nord Europa, adesso si può fare in Italia. Anche grazie agli incentivi come l’Ecobonus o il Superbonus».

on un tackle scivolato. Un gesto che sta scomparendo, si vede sempre di meno, ma DENTRO L’ASCOLI che resta bellissimo, - Ottobre 2021 è diventaforse più di una roto il mese dell’ufficialità: vesciata. Perché ci vuole a Roma, presso lo studio coordinazione, scelta di notarile di Roberta Motempo e una bella dose ri, infatti, è stato definidi coraggio per strapto il passaggio del venpare in maniera pulita ti per cento delle quote la sfera all’avversario e azionarie dell’Ascoli Calcio ottenere il possesso palla. del patron Massimo Pulcinelli In fondo serve per ribaltare a Distretti Ecologici. «Il sostegno l’azione. Per alcuni può sembrare vecchia scuola. Ma è un Andrea Passeri, e l’appoggio della città sono stati qualcosa che esalta chi lo fa e Distretti ecologici incondizionati. Ci siamo trovati subito benissimo fa esaltare chi lo vede. Distretti Ecologici è entrata così nel mondo per l’accoglienza riservadel calcio italiano, ancora ancorato a taci dalle istituzioni, dai logiche del passato quando si parla di tifosi e dagli altri soci», green. Esatto: in maniera decisa, net- sottolinea Andrea Passeta, elettrizzante. Investendo da un la- ri. «La scelta Ascoli non è to e lavorando dall’altro lato per creare stata casuale, ma è legata uno tsunami verde su più livelli, sia in alle origini della famiglia: ambito pro che dilettantistico. «Il mo- mia nonna paterna è di Forca, che è dello inglese rappresenta la strada ma- praticamente Ascoli Piceno. Insomestra. E il Tottenham è il nostro faro ma, è stata una scelta fatta con il cuoper quanto riguarda l’autosostenibilità re. Ma c’è anche da sottolineare che la dei club», dice senza giri di parole An- Distretti Ecologici lavorava già con didrea Passeri, direttore marketing della verse aziende del territorio. Quindi per Distretti Ecologici. Di più. «Quello che noi è un po’ come stare a casa». Adesso in passato è stato permesso altrove, e la missione è doppia. La prima: vede-

re volare l’Ascoli sui campi della Serie B «perché l’obiettivo a medio termine è di salire nella massima serie». La seconda: innescare all’interno del club bianconero «un processo di rinnovamento verso il green». In altre parole rendere l’Ascoli, in futuro, la società più ecosostenibile d’Italia. E, perché no, d’Europa. SPONSOR - L’Ascoli è il biglietto da visita più scintillante. Ma non è l’unico. La Distretti Ecologici, infatti, ha intrapreso un percorso nel sistema calcio sostenendo altre realtà importanti: il marchio dell’azienda leader della bio edilizia e nell’efficientamento energetico si trova come back sponsor sulle magliette della Salernitana (Serie A), inoltre è main sponsor del Latina (Serie C). L’impegno è rivolto anche su alcune società del panorama romano che si occupano principalmente di settore giovanile, come per esempio la Vis Aurelia. Dall’altra parte non si vuole lasciare nessuno indietro: del resto, anche il calcio femminile è sostenuto dalla Distretti Ecologici attraverso la Roma XIV Decimoquarto, piccolo grande club rosa che ha trovato un alleato green per tentare la scalata verso i vertici della classifica.

«Ascoli? Non è un caso. E’ stata una scelta di cuore»

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Conserve Italia: «Riduciamo i rifiuti e trasformiamo gli scarti alimentari»

di Giuseppe Motisi

Dai campi delle aziende agricole che lavorano in Conserve Italia vengono ogni anno recuperati scarti di frutta e verdura che tornano a nuova vita attraverso processi di rigenerazione che trasformano materiali da destinare in discarica in risorse 16

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on finiranno sugli scaffali dei supermercati, ma neppure verranno sepolti in discarica perché li attende un destino diverso: quello di essere trasformati in mangimi per animali, fertilizzanti o biogas. Sono gli scarti alimentari della produzione di Conserve Italia, circa cinquantamila tonnellate di frutta e verdura provenienti dai campi delle aziende agricole associate al gruppo di San Lazzaro di Savena che, invece di venire gettati via come rifiuti, prendono la strada del riciclo e del riutilizzo. Una vera e propria montagna di buccette di pomodoro, residui della lavorazione del mais e della frutta, legumi e verdure non utilizzabili per essere inscatolati a causa delle loro imperfezioni che ogni anno Conserve Italia raccoglie per dare loro una nuova vita. «È il nostro concreto impegno per contrastare gli sprechi alimentari riducendo al contempo i rifiuti e diminuendo il consumo di energia», spiega Pier Paolo Rosetti, direttore generale di Conserve Italia. «Sostenibilità ed economia circolare sono elementi connaturati alla mission della nostra filiera cooperativa – aggiunge -, e si traducono in buone pratiche co-

me quelle della valorizzazione dei sottoprodotti che vengono riutilizzati come mangimi per animali e per la produzione di biogas». ECONOMIA CIRCOLARE IN SALSA ALIMENTARE - Buccette di pomodoro, foglie del mais, semi non conformi dei piselli, ceci fuori calibro, noccioli di pesche e albicocche: non si butta via niente di tutto questo nei processi produttivi di Conserve Italia, tanto che negli stabilimenti del gruppo cooperativo titolare dei marchi Valfrutta, Cirio, Yoga, Derby Blue e Jolly Colombani è prassi consolidata quella di raccogliere ogni anno i sottoprodotti e di reimpiegarli nel medesimo ambito agricolo e alimentare. «Le principali destinazioni per i residui delle nostre lavorazioni sono l’alimentazione zootecnica e lo sviluppo di energia tramite digestione anaerobica – afferma Pier Paolo Rosetti -. Riteniamo che anche questo sia un modo efficace per valorizzare le produzioni conferite dai nostri oltre quattordicimila soci produttori italiani, che non si limitano così a realizzare generi alimentari di estrema qualità venduti in oltre ottanta Paesi, dalle polpe e passate di pomodoro ai succhi


di frutta fino appunto a legumi e mais. Significa anche impegnarsi ogni giorno per incrementare il recupero e il riutilizzo delle materie prime, a partire dai residui di lavorazione, in linea con la normativa che disciplina l’utilizzo dei sottoprodotti generati dai processi produttivi».

oppure nell’uso alimentare zootecnico». Analogo destino hanno i residui della lavorazione della frutta: «Semi, bucce, piccioli e parti fibrose separati dalla polpa di frutta vengono recuperati tramite l’avvio alla distillazione e la produzione di energia per mezzo di digestione anaerobica. I noccioli di pesche, nettarine e albicocche diventano invece utili per la combustione finalizzata alla produzione di energia termica».

Sopra, l’impianto di produzione del biogas nello stabilimento di Pomposa

«Impianto di Pomposa esempio di economia circolare»

UNO SCARTO PIENO DI RISORSE - Ma quali sono gli aspetti tecnici del recupero di questi scarti? «Le buccette di pomodoro, frazione solida della lavorazione del pomodoro per sughi e salse costituita principalmente da bucce e semi, vengono destinate alle aziende agricole socie e non solo, per uso alimentare zootecnico oppure per l’alimentazione di impianti a biogas – aggiunge il direttore di Conserve Italia -. Stesso recupero viene attuato anche per i residui della lavorazione del mais dolce, costituiti da foglie staccate dall’azione meccanica delle macchine defogliatrici e da tutoli privi di granella a seguito dell’azione di taglio operata dalle macchine sgranatrici. Anche i residui della lavorazione di piselli, fagiolini, fagioli e altri vegetali vengono recuperati come fertilizzante agricolo o per la digestione anaerobica, mentre i residui della lavorazione dei legumi secchi sono recuperati nell’alimentazione umana come cece fuori calibro,

ENERGIA BIO DA GAS NATURALE - Una parte di questi residui di lavorazione viene infine recuperata direttamente all’interno del ciclo produttivo di Conserve Italia attraverso l’impianto a biogas presente nello stabilimento di Pomposa, in provincia di Ferrara, un impianto all’avanguardia in Europa che consente di riutilizzare i sottoprodotti della lavorazione agricola per produrre energia elettrica. «L’impianto, a digestione anaerobica controllata, trasforma la miscela di metano e anidride carbonica prodotta dagli scarti vegetali in combustibile, che viene poi utilizzato per produrre energia elettrica la quale arriva a coprire il trenta per cento del fabbisogno dello stabilimento: un tangibile e già operativo esempio di economia circolare», conclude il direttore generale di Conserve Italia.

In apertura nella pagina accanto, Pier Paolo Rosetti, direttore generale Conserve Italia

Conserve Italia, focus sull’azienda Quartier generale in Emilia Romagna, per la precisione a San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna, ma con filiali e succursali sparse in tutta Italia che condividono con la casa madre la medesima filosofia produttiva: coltivare frutta e verdura nei terreni agricoli italiani con metodi sostenibili e rispettosi della biodiversità delle nostre campagne, per garantire una assoluta qualità dei prodotti agricoli una volta messi in scatola o in bottiglia. Conserve Italia, leader nel settore della trasformazione alimentare nel nostro Paese, è oggi il maggiore gruppo cooperativo italiano del suo settore, con numeri che rendono bene l’idea di come sia arrivato a ottenere questa primato nel suo settore: oltre quattordicimila produttori agricoli associati che lavorano cinquecentottantamila tonnellate di frutta, pomodoro e vegetali in tredici stabilimenti produttivi, di cui dieci in Italia, due in Francia e uno in Spagna. Il fatturato del Gruppo Conserve Italia è di ottocentosettantadue milioni di euro. Dà lavoro in Italia a oltre tremila persone tra lavoratori fissi e stagionali, e detiene marchi storici del Made in Italy alimentare come Cirio, Valfrutta, Yoga, Derby Blue e Jolly Colombani.

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STAMPA ITALIANA ecò

Sostenibilità diffusa:

un albergo green per recuperare un antico borgo

di Domenico Cavazzino

Quattro edifici storici di Sclemo, frazione di Stenico, verranno ristrutturati per dar vita a una struttura ricettiva all’insegna della sostenibilità. Un’iniziativa imprenditoriale che rilancerà l’intera economia del piccolo comune trentino

R L’imprenditore Nicola Zucca. Sotto, veduta aerea di Sclemo con ubicazione dei quattro edifici (A, B, C, D)

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estaurare quattro antichi edifici in un antico borgo e rilanciarne l’economia. È questa l’idea alla base del progetto di un albergo diffuso a Sclemo, frazione di Stenico in Trentino. Si tratta di un piccolo borgo a settecentocinquanta metri di altezza che, attualmente, conta solamente centosette abitanti. A voler recuperare questo territorio è l’imprenditore milanese Nicola Zucca. La sua visione parte da lontano, almeno tre anni fa, e come ci spiega in un’intervista ha origine dal bisogno personale e della sua famiglia di migliorare la loro qualità della vita. «Il nostro desiderio - ricorda Zucca - era ridurre lo stress e cambiare stile di vita. Questo si è tradotto nel cercare un luogo che ci facesse stare meglio e ci potesse permettere di concentrare la nostra attenzione su una attività alla volta. Abbiamo ragionato sull’idea di recuperare un borgo montano perché di questo posto abbiamo già avuto esperienza in quanto sono ventisei anni che frequentiamo questo ambiente». Inoltre, aggiunge, «durante la pandemia abbiamo trascorso il lockdown qui e ci siamo resi conto ancora di più delle qualità del posto. Dopo quest’ulti-

mo anno le persone hanno preso maggior coscienza dell’importanza di una qualità della vita superiore, degli spazi all’aperto e un contesto naturale. Questo ci ha stimolato a proseguire nel progetto». IL PROGETTO - Così ecco l’idea di recuperare quattro edifici del luogo (che in futuro diventeranno otto) che hanno ormai perso la loro antica funzione e non vengono più utilizzati. Si tratta, nello specifico, di grandi casali composti da due piani di archi in pietra, con i piani superiori in legno e pietra. Questi edifici verranno riqualificati e trasformati in un Well-being Resort con la formula dell’albergo diffuso. «Sono strutture molto affascinanti che abbiamo sempre apprezzato e quindi ci è venuto naturale pensare di poterli riqualificare perché ormai hanno perso la loro funzione e non vengono più utilizzati dai contadini». Il progetto, infatti, ne prevede la trasformazione in tante camere e unità abitative diverse (con l’apertura dell’attività ricettiva prevista per la primavera del 2023). «Il piano terra, una volta adibito a stalla, verrà ristrutturato mantenendo gli archi in pietra e destinato ad


menti vengono offerti in vendita con due formule. Nella prima, il proprietario lascia la gestione della casa, nei periodi di non utilizzo, all’albergo che la affitta per periodi più o meno brevi con la formula del property management. La seconda offerta è quella del “rent to buy”. In questo caso l’acquirente, dopo aver acquistato l’appartamento (pagando un acconto del venti per cento) lo rivende alla struttura dell’albergo diffuso che lo riacquista in dieci anni, valutandolo il centotrenta per cento. Durante questo periodo, spiega Zucca, «l’investitore rimane proprietario della casa, mentre l’uso passa alla struttura tramite il contratto di affitto. Trascorsi i dieci anni, otterrà così un trenta per cento netto in più del valore dell’appartamento che è superiore all’investimento iniziale del venti per cento. Attualmente, dei ventinove appartamenti ne rimangono ancora quindici disponibili e da novembre, sul sito haralife.com, apriranno le vendite per una delle quattro strutture».

attività diverse per ogni edificio, dal ristorante a spazi per lo smart working a servizi per la persona fino alla reception dell’albergo diffuso. I primi piani che erano le volte in pietra delle vecchie abitazioni vengono ottimizzati dal punto di vista architettonico. Il secondo, terzo e a volte quarto piano, che erano le aie e i fienili, sono stati frazionati per realizzare più unità abitative. Si tratta di appartamenti da trentacinque a centoventi metri quadrati che vengono proposti in vendita a soggetti privati, completamente ristrutturati e arredati. Agli arredi è stata dedicata un’attenzione particolare, soprattutto nell’utilizzo delle piante grazie alla collaborazione con il biolandscaper (chi misura l’interazione che le piante hanno con gli altri esseri viventi attraverso la lettura dei campi magnetici che emettono, ndr) Marco Nieri».

TURISMO SOSTENIBILE - Chi sceglie questi luoghi, però, lo fa soprattutto per il benessere. «Il nostro motto - spiega Zucca - è “Good Mood Soon”, stare bene subito. In questo posto si sta bene per le caratteristiche intrinseche che ha, a partire dal trovarsi in uno splendido contesto naturale. Siamo nel parco dell’Adamello Brenta, che è patrimonio Unesco, ai confini con un bosco sovrastato dal massiccio del Brenta, circondati da campagne e acque termali. Insomma, un territorio da poter vivere outdoor tutto l’anno. L’idea è quella di offrire agli ospiti un’esperienza di pace e benessere». Da una semplice passeggiata nel bosco a una sessione di yoga o un corso di respirazione fino alla deprivazione sensoriale nei gusci di floating o una seduta di sauna a infrarossi all’interno del centro benessere. E non mancheranno le collaborazioni con le tante attività presenti sul territorio. «Vogliamo valorizzare ciò che c’è e creare uno scambio. Spesso, in questi luoghi, ci sono tante belle iniziative che non riescono ad emergere». Infine, conclude Zucca, «costruendo questo percorso ci siamo resi conto che è un processo replicabile e ci siamo organizzati, digitalizzandolo, per renderlo fruibile ad altri». La speranza è che questo esempio si traduca in un circolo virtuoso spingendo altri imprenditori a fare lo stesso in altri borghi d’Italia

Sopra, immagine storica di un casale. Sotto, il render di un edificio restaurato e ancora più in basso tre esempi di arredamento interno

«Il progetto nasce dal bisogno di cambiare il nostro stile di vita»

LE DUE FORMULE - Poiché l’obiettivo finale non si ferma all’apertura di una semplice struttura ricettiva, ma a recuperare l’interno borgo, il territorio deve essere frequentato il più possibile. Per questo motivo gli apparta-

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STAMPA ITALIANA ecò

Calcio professionistico Il vuoto oltre l’Olimpico. La proposta di Lorenzo Scalia

Ad oggi non c’è uno stadio che possa ospitare una squadra di Roma in Serie C. La soluzione richiede un investimento minimo e relativamente poco tempo, burocrazia permettendo 20

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ouston, abbiamo un problema. Anzi. Roma, abbiamo un grande problema. Da risolvere in fretta. Strano ma vero: la Capitale non ha uno stadio per ospitare una potenziale squadra che vuole affacciarsi tra i professionisti, cioè andare oltre la Serie D. Escludendo l’Olimpico - già occupato da Roma e Lazio e comunque con un canone d’affitto fuori budget per un piccolo club - c’è il vuoto spazio cosmico. Traduzione: ad oggi non può esistere una nuova Lodigiani (poi Cisco Roma e Atletico Roma), che negli anni d’oro giocava le gare casalinghe al Flaminio, lanciando nel firmamento del calcio Luca Toni o regalando gli ultimi anni di carriera a Paolo Di Canio, tra l’altro capitano di quella che era considerata la terza squadra di Roma.

se sono Arsenal, Chelsea, Tottenham, West Ham, Fulham, Crystal Palace, Qpr e Millwall. Ogni club ha un suo stadio, più o meno grande. Senza calcolare che la capitale inglese si può permettere il lusso di avere Wembley (novantamila posti) che utilizza solamente per le partite della nazionale di Southgate. Buenos Aires, un po’ a sorpresa, detiene il record assoluto perché ha al suo interno trentasei stadi con almeno diecimila posti. Il più grande? El Monumental, la casa del River Plate. Numericamente la capitale argentina batte le principali metropoli del Brasile: San Paolo ha quindici stadi e Rio de Janeiro nove. Forse il Sudamerica è un capitolo a parte, ma anche Madrid non se la passa male, con cinque impianti dove si possono giocare le partite di club professionistici. Roma è indietro: come detto al momento ne ha uno solo, l’Olimpico. Che è condiviso da Roma e Lazio. E che inoltre non gode di una grande visibilità dagli spalti. I giocatori, anche dalle tribune Tevere o Monte Mario,

Roma è molto indietro rispetto a Londra e Madrid

NEL MONDO - Le società calcistiche che hanno sede a Londra sono più di cento, ma quelle che giocano nei campionati professionistici sono attualmente dodici. Le più famo-


sono poco più grandi di un pupazzetto del Subbuteo. NODO FLAMINIO - Il Flaminio è in stato di abbandono da anni. La famiglia Nervi detiene dei diritti di “copyright“ e la sua posizione non è ideale, essendo dentro la città, in zona Parioli, a due passi in linea d’aria da Piazza Euclide. Rimetterlo a nuovo non è un compito semplice. E’ sicuramente un processo lento considerando i vincoli paesaggistici e altri cavilli burocratici. Ma anche se fosse ristrutturato non risolverebbe il problema. Uno stadio così grande (minimo da ventimila posti) non andrebbe bene per un club che si affaccia per la prima volta al calcio dei grandi. I costi di gestione sarebbero insostenibili. In linea teorica potrebbe andare bene alla Lazio, che più volte ci ha fatto un pensierino. Anche di recente.

per diversi motivi. Perché alcuni sono troppo piccoli (Castelli di Tor Sapienza o Anco Marzio di Ostia). Altri perché non hanno lo spazio esterno adatto per i parcheggi e per separare le tifoserie con percorsi ad hoc (Trastevere Stadium e Francesca Gianni). Altri perché sono gestiti in esclusiva da università (Berra) o forze dell’ordine (Casal del Marmo). Altri ancora hanno dei vincoli paesaggistici che non permettono di alzare per esempio le torri faro: è il caso del Tre Fontane, in piena zona Eur, dove giocano la Primavera e la sezione femminile della Roma.

Basta costruire uno stadio green partendo da zero

IMPIANTI NON ADATTI - Roma, in realtà, ha moltissimi impianti sportivi, ma nessuno è omologabile per la Serie C o la Serie B

LE REGOLE PRINCIPALI - Per accedere in Serie C bisogna indicare in anticipo uno stadio che abbia determinate caratteristiche: la grandezza minima è di millecinquecento posti, tutti dotati di sedute individuali. I settori devono essere minimo due, uno per i tifosi di casa e uno per gli ospiti. Non solo. All’esterno bisogna adottare sistemi strutturali per la separazione delle tifoserie, anche per svolgere le

Seduta di allenamento dell’Ostia Mare allo stadio Anco Marzio

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STAMPA ITALIANA ecò

Sopra, lo stadio Flaminio durante una partita di rugby del 2007 . Sotto, lo stadio del Trastevere dentro Villa Doria Pamphilj

operazioni di prefiltraggio. Esistono numeri da rispettare per ogni voce: dalla grandezza campo a quella degli spogliatoi, dalla potenza all’altezza dell’impianto di illuminazione, dal sistema di videosorveglianza ai tornelli, dalle postazioni della tribuna stampa fino ai servizi igienici, dai parcheggi fino alle caratteristiche del manto erboso. Il documento è infinito. E ogni voce va soddisfatta. RINUNCE - Negli ultimi anni si sono ripetute due situazioni surreali. Prima è successo all’Ostia Mare e poi al Trastevere. Avevano le carte in regola per salire in Serie C dal punto di vista sportivo ma non ci sono andate perché non avevano uno stadio dentro Roma e neppure a Ostia. In sostanza hanno rinunciato al grande salto. Essendo impossibile omologare o avere una deroga sull’Anco Marzio o sul Trastevere Stadium, sarebbero dovute emigrare, probabilmente a Rieti, se non addirittura fuori regione, per disputare le partite interne. Una follia. Significava vivere una stagione costantemente in trasferta, senza tifosi e lontano dal proprio quartier generale. Pagando di conseguenza una serie di costi monstre per una matricola. In altre parole sarebbero andate incontro a un suicidio sportivo ma anche e soprattutto economico.

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SOLUZIONE - Eppure la soluzione c’è, anche per Roma. Richiede un investimento minimo (si parla di meno di due milioni di euro) e relativamente poco tempo, burocrazia permettendo. Basta costruire da zero uno stadio piccolo, magari da duemila o duemilacinquecento posti ma che possono essere raddoppiati con tribune mobili. Seguendo una linea green, moderna e al passo con i tempi. Certo, va individuata la zona, se dentro o fuori il Gra. Ma al momento sembra l’unica soluzione per dotare la città, la più grande d’Italia, di un secondo stadio che possa sposare le esigenze di un club che vuole lasciare il circuito dei dilettanti. Roma, secondo l’ultimo rilevamento Istat, conta circa tre milioni di abitanti, spalmati su quindici municipi. Una cifra impressionante che non ha eguali in Italia. Il primo municipio della Capitale - quello del centro storico - corrisponde da solo alla città di Reggio Emilia. Gli altri? A Perugia, Padova, Reggio Calabria, Venezia, Verona, Catania, Salerno, Modena, Messina, Livorno, Foggia, Ferrara, Prato e Ravenna. Centri abitati che hanno stadi di un certo livello, come per esempio il Massimino, il Curi o il Mapei Stadium. Il vuoto che c’è attorno all’Olimpico va colmato in tempi rapidi. E’ una questione urgente.


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