Stampa Italiana Ecò - Anno 1 N. 3 - dicembre 2021 - Supplemento mensile della testata giornalistica Stampa Italiana - Copia gratuita
STAMPA ITALIANA ecò
GIOCHIAMO PULITO Nuovi modi di intendere la mobilità. Fonti rinnovabili e sostenibili. Strutture sportive eco-green. Tutto passa necessariamente dalla transizione ecologica
STAMPA ITALIANA ecò Stampa Italiana Ecò Anno 1 N. 3 - dicembre 2021 Supplemento mensile della testata giornalistica Stampa Italiana Registrazione Tribunale di Roma N. 174 del 17 dicembre 2019 Proprietario e direttore responsabile: Andrea Nicosia Editore: Si Informa Srls Sede legale: Via Domokos, 4 20147 Milano P. Iva: 11304160960 Pec: siinformasrls@legalmail.it Direttore editoriale: Valentina Flacchi Vice Direttore editoriale: Mario Caprini Pubblicità: pubblicita.eco@stampaitaliana.online Collaborano: Domenico Cavazzino, Nicodemo Lanti, Giuseppe Motisi, Leonardo Nesi, Lorenzo Scalia Art director e progetto grafico: Stefano Salvatori Sede operativa: Piazza Augusto Imperatore 32 Roma Sito internet: stampaitaliana.online Mail: redazione@stampaitaliana.online Stampa: Tipolitografia Quattroventi Srl Via Andrea del Castagno 196 Roma Prezzo di copertina: Gratuito Mandato in stampa il: 13-12-2021 PUBBLICAZIONE SPONSORIZZATA DA:
UNINDUSTRIA CIVITAVECCHIA, DIONISI: «Creiamo un ponte fra grandi aziende e PMI»
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ostenibilità ed efficientamento energetico sono due delle chiavi del futuro. E riguardano tanto le aziende quanto i privati. Oggi, ci spiega Cristiano Dionisi, presidente di Unindustria Civitavecchia, l’efficientamento energetico deve essere considerato «come un vettore di competitività perché permette allo stesso tempo di arginare l’aumento dei costi e ridurre le emissioni». E sul piano della sostenibilità, aggiunge, il Lazio è già molto avanti. Infatti, la regione «è al terzo posto, dopo Lombardia e Veneto, come numero di imprese che già dal 2015 hanno intrapreso un percorso di investimento in tecnologie e prodotti green». UN PONTE SULLA SOSTENIBILITÀ In questo contesto Unindustria si inserisce con un duplice ruolo. «Affianchiamo le aziende associate - spiega Dionisi - dando importanza alle tematiche di sostenibilità ed efficientamento in chiave strategica. Sia con un rapporto diretto con l’azienda, sostenendo tutte le richieste che vengono in tal senso per ciò che concerne informazione e formazione, sia organizzando dei momenti specifici di incontro». Si tratta di eventi in cui grandi player internazionali entrano in contatto con le PMI del territorio. «Una metodologia che ha un’efficacia importante perché permette di mostrare alle aziende della filiera l’importanza di intraprendere questo percorso». Gli ultimi due incontri sono stati organizzati a luglio e ottobre. Nel primo si è
NEW GENERATION GREEN - A tutto questo, però, si affianca un supporto nel campo della formazione. Soprattutto dei giovani. È in questo contesto che si inserisce il progetto dell’Ipsia Calamatta di Civitavecchia scelto dalla Regione Lazio per la costituzione di una Fondazione Its dedicata ai temi dell’energia. «Un progetto importante - conclude Dionisi che Unindustria ha sostenuto e sosterrà e che ci permetterà di formare ex novo i nostri giovani secondo una disciplina tecnica riguardante in modo specifico le energie rinnovabili». Domenico Cavazzino
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Enel Obiettivo sostenibilità di Domenico Cavazzino
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Seedble Coalescence Innovation di Nicodemo Lanti
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Enea Nuove tecnologie per produrre idrogeno di Giuseppe Motisi 8
Auto elettriche Pugliese spiega il fenomeno Tesla di Lorenzo Scalia
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Ciao Ritorna un mito degli anni ’70 di Domenico Cavazzino
Savio La svolta green in borgata di Lorenzo Scalia
Rapporto Mobilità Agli italiani piace muoversi sostenibile di Leonardo Nesi Carta prodotta con energia rinnovabile
parlato della decarbonizzazione del settore marittimo che, ricorda Dionisi, «nella nostra visione rientra appieno in quella che è la strategia legata alla blue economy». Qui le industrie del territorio sono state messe in contatto con grandi aziende da Fincantieri a Eni, Enel, Edison e Grimaldi che hanno spiegato «il valore di questo percorso». L’efficienza energetica, invece, è stata al centro del secondo evento: «Abbiamo presentato insieme all’Enea una serie di dati sullo stato dell’arte dell’esigenza di efficientamento energetico nel Lazio dal punto di vista delle imprese e abbiamo visto che esistono margini di miglioramento che dovrebbero e potrebbero essere perseguiti». Da qui, aggiunge, ci sarà un lavoro affinché le istituzioni sostengano le imprese nell’esigenza di migliorare i propri impianti.
Grimaldi Un prototipo a idrogeno Made in Italy di Giuseppe Motisi
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Rapporto Mobilità: agli italiani piace muoversi sostenibile
di Leonardo Nesi
La pandemia ha drasticamente modificato le abitudini degli italiani anche negli spostamenti. In aumento la cosiddetta mobilità dolce. Cresce il settore dell’ibrido e dell’elettrico, in particolare biciclette e monopattini
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iaggiare verso una transizione ecologica. Anche sulle nostre strade. È questa la via indicata nell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Audimob sulla mobilità degli italiani. La 18esima edizione, curata da Isfort col supporto del CNEL e del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, insieme al contributo di Agens e Asstra, ha visto il coinvolgimento di un campione di 16200 individui tra i 14 e gli 80 anni. L’indagine ha evidenziato come la pandemia e i conseguenti lockdown abbiano modificato sostanzialmente le abitudini degli italiani. Se, per il presente e in prospettiva futura, è in crescita la cosiddetta mobilità dolce (spostarsi a piedi o in bicicletta) allo stesso tempo diminuisce l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico rispetto all’uso di mezzi privati. Il rapporto affronta anche l’impatto avuto sulla mobilità dall’introduzione marcata dello smart working che, soprattutto nel 2020, ha avuto una forte influenza sullo spostamento dei lavoratori. In futuro, anche una volta che la pandemia sarà alle spalle, molti dei cambiamenti che si stanno verificando in que-
sto periodo rimarranno permanentemente, mentre altri come quelli relativi alla mobilità sostenibile andrebbero incoraggiati e sostenuti per via dei notevoli benefici non solo ambientali che comportano.
«Se tutti andassero in car sharing avremmo risolto il problema dello spazio urbano»
SMART WORKING E SPOSTAMENTI - L’introduzione marcata dello smart working nelle aziende, ha influito necessariamente sugli spostamenti di milioni di italiani. Questo, ha quindi comportato una mobilità più bassa, rispetto ai lavoratori in presenza, con l’aumento però degli spostamenti di prossimità. Chi lavora a casa, inoltre, preferisce muoversi principalmente a piedi o in bicicletta (40 per cento degli spostamenti) rispetto a chi si reca sul posto di lavoro (22,6 per cento degli spostamenti). Un divario che si registra anche, seppur in percentuale minore negli spostamenti in auto (55,6 per cento contro il 68,9 per cento) e col traporto pubblico (2,9 per cento contro il 4,6 per cento). Il futuro vede in ogni caso l’incremento della mobilità dolce. Anche col ritorno alla normalità, infatti, i dati dell’indagine relativi al 2021
mostrano che il 35 per cento degli intervistati pensa di aumentare gli spostamenti a piedi. E per la bicicletta e altri mezzi di micromobilità il saldo positivo è pari al 15 per cento. Tuttavia, allo stesso tempo c’è una riduzione nell’utilizzo del trasporto pubblico, ad eccezione del treno. Questo si traduce in un maggior numero di auto sulla strada. Il monitoraggio relativo al 2021 registra un saldo del + 8,8 per cento tra quanti pensano di spostarsi maggiormente in macchina nei prossimi mesi e quanti pensano di usarla di meno. MOBILITÀ SOSTENIBILE - Un aumento dell’uso di mezzi privati a discapito del trasporto pubblico si traduce, di conseguenza, in maggior traffico e inquinamento. Uno scenario, senza dubbio, da evitare come ricordato, in occasione della presentazione del rapporto, dal presidente del CNEL, Tiziano Treu. «L’obiettivo fondamentale per il futuro è trovare una mobilità più sostenibile, in particolare ecosostenibile». Il settore della mobilità, in passato, «ha contribuito moltissimo al deterioramento dell’ambiente, perciò bisogna agire e cambiare». Su questa scia nel rapporto si evidenzia una forte espansione del mercato delle biciclette. «Secondo i dati dell’ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori), nel 2020 sono state vendute in Italia poco più di due milioni di biciclette - di cui 280mila e-bike pari al 14 per cento del totale (erano appena il 3,5 per cento nel 2015), ovvero il 17 per cento in più rispetto al 2019 (+14 per cento le bici tradizionali, +44 per cento le bici elettriche). Nei primi sei mesi del 2021 sono state già vendute 157.000 e-bike (+12 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020)». E le stime prevedono un aumento anche nel biennio 2021-2022. Cresce anche la filiera dell’elettrico. I dati re-
In apertura una bicicletta, qui un monopattino, entrambi elettrici
lativi a giugno 2021 registrano più di 83463 auto (un aumento del 57 per cento rispetto a fine 2020 e del 267,2 per cento rispetto al 2019), 18635 ciclomotori (in crescita del 12,3 per cento dal 2020), 12471 scooter e moto (+ 32,7 per cento) e 8.352 quadricicli (+18,2 per cento). E il mercato dell’ibrido, a partire da febbraio 2021, ha superato quello delle auto diesel. In questo contesto, il rapporto evidenzia come «nel confronto di mercato con i principali Paesi europei nel primo semestre 2021, l’Italia è leader per la vendita di auto ibride (HEV), ma è ancora in ritardo nella vendita di auto ibride plug-in (PHEV) ed elettriche pure (BEV)». L’aumento della mobilità elettrica ha visto, di conseguenza, anche una crescita dei supporti a questa tecnologia. Il nostro Paese, infatti, dispone (dato relativo a giugno 2021) di 23275 punti di ricarica (+ 20,4 per cento da dicembre 2020) distribuiti su 13275 strutture. Tuttavia, la strada è ancora molto lunga. «L’Italia è solo al 14° posto in Europa per dotazione relativa di colonnine per la ricarica elettrica, con un indice di oltre dieci volte inferiore a quello dei Paesi Bassi».
Dettaglio di un’auto ibrida plug-in
NON SOLO ELETTRICO - La mobilità sostenibile, però, on passa solo per il settore dell’elettrico o dell’ibrido. Un’altra parola fondamentale è condivisione. Che si tratti di
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auto o moto, la sharing mobility è un altro dei settori da implementare per migliorare la qualità dell’ambiente e della vita dei cittadini. Come ha spiegato il presidente Treu nelle sue considerazioni il fenomeno di car e bike sharing impatterà fortemente l’uso degli spazi. «Se tutti andassero in car sharing avremmo risolto il problema di gran parte dell’uso dello spazio, in particolare urbano. È uno stravolgimento. Immaginate una città come Roma che invece di essere intasata da 3-4 milioni di auto tutto il giorno avesse tutto in car sharing. Vuol dire ridurre l’occupazione di spazio del 200-300 per cento. Questo - ha tenuto infine a ricordare - richiede non solo investimenti mirati, ma nuove politiche di regolazione e di programmazione». La sezione del rapporto Audimob relativa al settore della mobilità condivisa riporta i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility. I dati sono sicuramente positivi,
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ma bisognano esaminare entrambi i lati della medaglia. Infatti, la crescita dei veicoli in condivisione in Italia è aumentata del 65 per cento portando il numero di mezzi disponibili a ottantacinquemila. L’incremento, però, riguarda principalmente i monopattini elettrici (aumentati di trentacinquemila unità in un anno) e gli scooter ( + 7.360). Rimane invariato il numero di unità del bike sharing, mentre cala la percentuale delle auto (- 12 per cento). E per finire, la maggior parte dei noleggi, testimonianza che il fenomeno non è equamente distribuito sul territorio, si concentrano nelle grandi città con Milano e Roma in testa seguite da Torino e Firenze. I dati, seppur incoraggianti rispetto al passato, non sono però sufficienti. È necessario un sostegno che incentivi e agevoli maggiormente il passaggio verso una nuova mobilità. Non rimane quindi, per restare sul tracciato della sostenibilità, che “mettersi a pedalare”.
Auto elettrica vicino a una colonnina di ricarica
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GRIMALDI Un prototipo a idrogeno Made in Italy per azzerare le emissioni
Farà la spola dalle navi alle banchine portuali per sollevare, trasportare e scaricare container senza bruciare una goccia di gasolio: è il primo Tug Master 4x4 con motore a idrogeno al mondo
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di Giuseppe Motisi
rosegue spedito il cammino verso la decarbonizzazione intrapreso dalla compagnia di navigazione Grimaldi per arrivare a cancellare l’impiego di combustibili fossili nelle attività svolte dalle navi dell’azienda e dai veicoli che le supportano nei lavori a terra. Dopo aver creato la prima flotta navale green con propulsori ibridi diesel/elettrico, che garantisce il dimezzamento delle emissioni di CO2 rispetto alle imbarcazioni di vecchia generazione, Grimaldi tenta ora la carta dell’idrogeno applicato ai Tug Master, ossia i veicoli che nei porti si occupano di movimentare le merci in transito, in primis i container, costruiti fino ad oggi con motori a gasolio. La costruzione del prototipo di Tug Master a idrogeno Made in Italy è già in fase avanzata e il suo debutto è previsto la prossima estate, quando inizierà la fase di test nel porto di Valencia; Grimaldi ha infatti scelto di realizzare e sperimentare il veicolo in collaborazione con l’autorità portuale spagnola e con altri partner locali, sia pubblici sia privati, per poi vagliarne l’adozione in ulteriori scali portuali dove la socie-
tà partenopea è operativa. Artefice del progetto è l’ingegner Cosimo Cervicato di Grimaldi Group, che ci racconta come è nata l’idea del mezzo da lavoro a propulsione green. «L’idea di avere un Tug Master a idrogeno nasce dalla duplice necessità di ridurre le emissioni di CO2 sia a bordo nave che a terra – spiega Cervicato –. I Tug Master vengono infatti utilizzati sia a bordo delle nostre navi che nei terminal durante le operazioni commerciali per movimentare i carichi rotabili dei nostri clienti. Portando avanti la missione della “Zero emission in port” ci siamo resi conto che non potevamo migliorare solo l’efficienza energetica delle nostre navi, ma anche dei mezzi portuali ad esse asservite. Ipotizzando l’utilizzo di mezzi a zero emissioni avremo il vantaggio di spegnere la ventilazione forzata presente nei garage delle nostre navi e quindi, simultaneamente, ridurre anche i consumi delle navi in porto fino al punto di abbatterli sfruttando la tecnologia delle batterie per un numero maggiore di ore. Il mezzo entrerà in funzione a giugno 2022 presso il porto di Valencia».
DOPPIA ANIMA GREEN: IDROGENO ED ELETTRICO - Il meccanismo di funzionamento del prototipo Grimaldi sfrutta due diverse forme di energia tra di loro combinate, per garantire un risultato assolutamente green in termini di emissioni. «Il Tug Master è dotato di un motore elettrico, batterie a litio e cella a combustibile alimentata ad idrogeno, ed avrà un’autonomia di sei ore – spiega ancora l’ingegner Cervicato –. Il mezzo lavorerà principalmente in elettrico, poi ad esaurimento delle batterie entrerà in funzione la fuel cell che contemporaneamente caricherà le batterie e fornirà la forza propulsiva al mezzo». Motore a parte, la gestione del veicolo sarà identica a quella dei modelli a gasolio. «La conduzione del mezzo non sarà diversa da quella di un mezzo tradizionale, ma certamente verrà realizzato un risk assessment e corsi di formazione al personale, sia per la manutenzione che per la conduzione. Dopodiché, a valle del periodo di testing, che durerà due anni, Grimaldi valuterà i costi/benefici del mezzo per poi decidere se convertire la flotta attualmente in essere nella versione a idrogeno», conclude Cervicato.
«Miglioriamo l’efficienza di navi e mezzi portuali»
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ENEA «Sperimentiamo nuove tecnologie per produrre idrogeno anche da rifiuti»
di Giuseppe Motisi
Produzione, trasporto, accumulo e utilizzo di idrogeno quale combustibile green del futuro, puntando su ricerca, innovazione, tecnologie, infrastrutture e servizi avanzati: è l’obiettivo della prima Hydrogen Valley italiana 8
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a via della decarbonizzazione passa anche per Roma, per la precisione per le campagne circostanti il lago di Bracciano dove si trova il centro ricerche “Casaccia” dell’Enea: è qui che sorgerà nei prossimi anni la prima Hydrogen Valley d’Italia, un polo di produzione, trasporto, distribuzione, stoccaggio e utilizzo dell’idrogeno nei diversi settori applicativi: industria, trasporto, residenziale. Il progetto che intende mettere in moto la prima centrale produttiva di idrogeno Made in Italy è dunque già pronto, nasce nel contesto dell’iniziativa internazionale Mission Innovation ed è sostenuto con fondi pubblici: il Ministero della Transizione Energetica ha infatti assegnato ad Enea un finanziamento di circa quattordici milioni di euro per realizzarlo. Per sapere come funzionerà la Hydrogen Valley e quali saranno i benefici per il tessuto socioeconomico e per l’ambiente, abbiamo intervistato gli artefici del progetto, ossia gli ingegneri Giorgio Graditi e Giulia Monteleone di Enea. «Si tratta di una piattaforma polifunzionale, inclusiva, in cui ci occuperemo di idrogeno a 360 gradi, per accelerare ricerca e inno-
vazione e mettere a disposizione dell’industria infrastrutture hi-tech per arrivare a colmare il gap fra scala di laboratorio e industriale», spiega Giorgio Graditi, Direttore del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili dell’Enea e rappresentante dello stesso Ente di ricerca all’interno della European Clean Hydrogen Alliance. «L’iniziativa, attualmente nelle fase di avvio delle attività di progettazione, ha raccolto più di 30 manifestazioni di interesse da parte di stakeholders nazionali, a vario titolo coinvolti nella catena del valore dell’idrogeno, che metteranno a disposizione competenze, prodotti e tecnologie con l’obiettivo comune di accelerare la nascita di un’economia idrogeno italiana», aggiunge Giulia Monteleone. QUANDO IDROGENO FA RIMA CON SOSTENIBILITÀ - Nel centro ricerche Enea Casaccia sorgeranno dunque un insieme di infrastrutture hi-tech per la ricerca e la sperimentazione lungo tutta la filiera dell’idrogeno: dalla produzione alla distribuzione, dall’accumulo all’utilizzo come materia prima per la produzione di combustibili puliti e co-
me vettore energetico, per ridurre le emissioni di CO2 nell’industria, nella mobilità, nella generazione di energia e nel residenziale. «Questi sono solo alcuni esempi delle potenzialità del progetto che darebbe la possibilità alle aziende di fare innovazione, sperimentando e validando le proprie tecnologie in un ambiente dedicato e con il supporto di personale e laboratori qualificati – afferma l’ingegner Graditi –. Per realizzare il primo dimostratore di ‘taglia rilevante’ per sostenere la fattibilità di un’economia green basata sull’idrogeno, sfrutteremo tutte le potenzialità del nostro centro ricerche Casaccia che si estende su oltre 100 ettari, con circa 1000 ricercatori, importanti infrastrutture e laboratori di ricerca, una rete autonoma del gas e dell’energia elettrica, circa 200 edifici, strade e servizi».
in uso all’interno del nostro centro ricerche, con l’obiettivo di dimostrare il contributo di questo gas alla decarbonizzazione del settore mobilità». ADDIO AI COMBUSTIBILI FOSSILI La strategia di Enea sull’idrogeno prevede la realizzazione di progetti per la decarbonizzazione dell’industria, in particolare quella ad alta intensità energetica, ma anche dei trasporti pesanti su gomma e ferroviari alimentati ancora a diesel. «La crescente attenzione verso l’idrogeno è dovuta ad alcune sue caratteristiche: si tratta di un gas leggero e ad alto contenuto di energia per unità di massa che può essere prodotto su scala industriale ed è più facile da immagazzinare a lungo termine rispetto all’elettricità – chiarisce l’ingegnere Giulia Monteleone, responsabile del Laboratorio Enea di accumulo di energia, batterie e tecnologie per la produzione e l’uso dell’idrogeno -. Ma soprattutto, può essere utilizzato per produrre energia “pulita”: la sua combustione, infatti, non è associata alla produzione di anidride carbonica e può essere condotta per via elettrochimica in celle a combustibile, con efficienze complessive superiori alla combustione termica e senza l’emissione di ossidi di azoto». Per le sue caratteristiche, l’idrogeno verde potrebbe quindi ricoprire un ruolo di primo piano per il raggiungimento della neutralità climatica al 2050, come prevede la Hydrogen Strategy for a climate-neutral Europe lanciata dalla Commissione europea l’8 luglio 2020.
In apertura, Hydrogen demo valley, qui sopra, una centrale Enea, e la vista con Google Earth
«L’attenzione all’idrogeno si deve al poter produrre energia “pulita”»
UN PIENO DI IDROGENO - Ma come è possibile produrre su larga scala questo gas per le nostre esigenze energetiche? «Oggi l’idrogeno verde può essere ottenuto mediante elettrolisi utilizzando diverse fonti di energia rinnovabile come il fotovoltaico e l’eolico – spiega ancora Graditi –. Inoltre, la piattaforma di ricerca Enea consentirà anche la sperimentazione di nuove tecnologie per la produzione di idrogeno, ad esempio, attraverso l’utilizzo dei rifiuti (biomasse residuali) e l’impiego del calore rinnovabile a media-alta temperatura prodotto da impianti solari a concentrazione. L’idrogeno potrà essere utilizzato puro o in miscela con gas naturale per la produzione di energia elettrica e/o termica e per mobilità; verranno, infatti, messe a punto miscele idrogeno-metano da immettere nella rete interna di distribuzione del gas e sarà realizzato un “idrogenodotto” locale dedicato al trasporto di idrogeno puro in pressione, da utilizzare in modo capillare a seconda della domanda delle utenze. È prevista anche la realizzazione di una stazione di rifornimento per veicoli a idrogeno, come i mezzi per la movimentazione delle merci, bus e automobili,
Qui sotto, un rifornimento di un auto ad idrogeno
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Ritorna un mito degli anni ’70: il Ciao Piaggio diventa una e-bike
di Domenico Cavazzino
Il ciclomotore più amato dagli italiani torna a nuova vita grazie all’iniziativa di un imprenditore toscano, Tiberio Casali, che con la sua Ambra Italia ha realizzato un kit che ne permette la trasformazione in una bici elettrica 10
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a sostenibilità passa anche dagli spostamenti. Per questo è necessario ripensare al modo in cui ci muoviamo nelle nostre città, privilegiando, ad esempio, mezzi elettrici o ibridi. Una strada intrapresa già da qualche tempo, specialmente nei grandi centri, con la comparsa di bici e monopattini elettrici in condivisione che si sono aggiunti al già presente servizio di car sharing. In questo contesto si inserisce un’idea imprenditoriale che alla sostenibilità unisce una forte componente romantica: riportare a “nuova vita” il Ciao Piaggio. Stiamo parlando, per i più giovani, di uno dei motorini che hanno fatto la storia del nostro Paese. Oggi, però, a causa delle nuove disposizioni il suo motore non è più idoneo alla circolazione. Da qui l’idea di Tiberio Casali che con la sua Ambra Italia, start up di Rufina in provincia di Firenze, ha deciso di trasformare il Ciao in una e-bike. La sua, ci spiega, più che un’idea è un progetto in quanto online si trovavano già diversi video di Ciao elettrificati. Tuttavia, quello che contraddistingue il progetto di Ambra Italia riguarda la circolabilità del mezzo. Sono stati compiuti «tutta una serie di studi - spiega Casali - so-
prattutto sul retrotreno, e tutta una serie di certificazioni. Il telaio è conforme alla norma Uni En 15194 sulla resistenza a fatica. Perché quando si toglie il motore termico dal Ciao, bisogna ricordare che questo è un organo strutturale del telaio oltre che essere il propulsore, quindi il telaio si indebolisce moltissimo. I test sono stati superati presso un laboratorio certificato Accredia. Lo stesso per tutta la parte elettrica». Un lavoro che ha impiegato più di un anno, dall’ottobre 2019 a giugno 2021, per l’ok definitivo. Ora però afferma con orgoglio Casali «è tutto un altro mondo rispetto a una versione amatoriale. Diamo anche un manuale e un libretto e-bike dove ci sono tutte le dichiarazioni di conformità» in caso di eventuali controlli. Inoltre, sul retro della forcella è presente un QR Code che rimanda a una pagina privata con tutta la documentazione in questione, insieme alle indicazioni che possano provarne la proprietà in caso di furto. «Non dimentichiamoci - ricorda Casali - che questi mezzi diventano oggetti da collezione». LA TRASFORMAZIONE - L’imprenditore ci spiega, quindi, come si svolge il pro-
cedimento di conversione in e-bike. Bisogna montare un kit che, installazione compresa, ha un costo di 2850 euro. Tuttavia, sottolinea, «non è un plug and play. Non si può acquistare il kit, montarlo e fare delle autodichiarazioni sulle certificazioni. La responsabilità è enorme, perciò va fatto tutto presso un’officina autorizzata che lavora con delle precise specifiche tecniche che ho scritto e depositato presso il laboratorio di certificazione». A questo va aggiunto che il Ciao deve essere in buone condizioni. «Se il modello non è perfettamente conservato, il cliente deve essere disponibile a restaurarlo». In questo caso la spesa aggiuntiva «va dai 1100 ai 1500 euro, a seconda delle condizioni in cui si trova il mezzo». Casali ci illustra tutta la procedura: «Il cliente chiede un preventivo sul nostro sito (www.ambraitalia. it) e se il Ciao è in buone condizioni confermiamo il prezzo dell’allestimento base. In caso contrario facciamo un preventivo per il restauro. Ci bastano alcune foto, secondo nostre indicazioni, per capire le condizioni del Ciao. Questo salvo errori, perché ad esempio se c’è una ruota fuori asse, non è possibile capirlo dalle foto. Per questo diamo delle istruzioni al cliente per fare dei controlli in modo tale che non abbia brutte sorprese col preventivo. Il restauro comprende sempre, sistematicamente, sabbiatura e verniciatura in forno del mezzo. Quindi è anche un’occasione per dare un nuovo colore al Ciao o rifarlo del colore originale». Inoltre, Casali si mette anche a disposizione di chi, pur interessato all’idea, un Ciao non lo ha. In quel caso «aiuto il cliente a trovarne uno sul mercato dell’usato. Normalmente, chi non conosce il mezzo rischia di non accorgersi di alcune particolarità o problemi che, come conseguenza, hanno un costo di restauro molto più alto della media».
Emilia che, attualmente, sono in fase di start up formativa. «Il progetto - spiega Casali - prevede di formare e associare altre officine fino ad averne almeno una per regione. In questo modo il cliente non deve portare o spedire il Ciao fino a Rufina. Inoltre, così sarebbe più vantaggioso anche dal punto di vista dell’assistenza ai clienti in caso di guasti».
Sopra: Un momento della lavorazione del Ciao. Sotto: Il logo di Ambra Italia
ALTRI MODELLI - In qualche caso, sarà anche possibile acquistare dei modelli già restaurati e convertiti, come quelli in esposizione nelle varie officine. L’intenzione di Casali, però, non è quella di diventare un rivenditore, ma concentrarsi sul progetto di recupero del Ciao. Proprio per questo, in futuro, non c’è in programma di replicare il procedimento su altri modelli. Il motivo è tecnico. «L’elettrificazione del Ciao è stata possibile perché come ciclomotore era il mezzo più leggero nella storia del nostro Paese. Il modello meno pesante subito dopo è il “Sì”, che pesa 10 kg in più e progettare un nuovo kit per quel modello con i limiti di potenza che ci sono in Italia avrebbe poco senso». Non resta, quindi, che attendere gli sviluppi del progetto per poter tornare presto a “salutare” le strade con un Ciao.
«Queste moto diventano oggetti da collezione»
I LAVORI - Purtroppo, al momento in Italia esistono solo tre officine che effettuano la conversione del Ciao da motorino ad e-bike. Una, a Rufina, è la prima officina autorizzata. A questa ne sono seguite altre due a Napoli e Reggio
Un mezzo che ha fatto storia Il Ciao Piaggio è stato uno dei ciclomotori più amati dai giovani del nostro Paese. Prodotto dal 1967 al 2006 ha unito tante generazioni di ragazzi. La sua particolarità era quella di unire in un unico modello un motorino e una bici da donna. Una grande maneggevolezza, il costo ridotto e i bassi consumi ne aiutarono la diffusione, tanto che con tre milioni e mezzo di esemplari è stato il motorino più venduto nel mondo.
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Enel: l’importanza di puntare sulla sostenibilità di Domenico Cavazzino
Per le aziende si tratta di intraprendere un percorso virtuoso in grado di portare vantaggi non soltanto dal punto di vista ambientale. Il responsabile Sostenibilità e Affari istituzionali del Gruppo, Fabrizio Iaccarino, spiega le scelte intraprese in questa direzione 12
Il dirigente Enel, Fabrizio Iaccarino
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uella di puntare su sostenibilità ed energie rinnovabili deve essere una scelta sempre più condivisa. E i vantaggi non riguardano soltanto l’ambiente. Oggi, infatti, molte aziende hanno intrapreso la via della transizione ecologica coniugando allo stesso tempo business e sostenibilità ambientale. Fulcro di questo percorso è l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e i suoi obiettivi di sviluppo sostenibile. Dalla riduzione del 55 per cento delle emissioni di gas serra al raggiungimento del 32 per cento di quote di energia rinnovabile, fino a un incremento dell’efficientamento energetico pari ad almeno il 32,5 per cento. A questo si aggiunge l’obiettivo della cosiddetta “Carbon Neutrality” dell’Ue che consiste nel raggiungere entro il 2050 l’impatto zero sul clima. Attualmente, ci spiega Fabrizio Iaccarino, responsabile Sostenibilità e Affari istituzionali di Enel Italia, il nostro Paese dovrebbe incrementare gli sforzi per mantenersi nella scia tracciata dall’Unione. «Sarà necessario incrementare la quota di energia rinnovabile dal 38 per cento di oggi ad oltre il 70 per cento al 2030, passando dagli attuali 55 GW di capacità installata a circa 125 GW. Con l’attuale trend
d’installazione del 2019-2021 di circa +1 GW all’anno gli obiettivi al 2030 sarebbero raggiunti nel 2090». E l’azienda, in questo senso ha intenzione di fare anche di più, soprattutto per quel che riguarda le fonti fossili. Infatti, aggiunge Iaccarino, «nel nostro ultimo piano industriale l’azienda si è impegnata a chiudere in Italia entro il 2015 tutte le centrali a carbone (2027 nel resto del mondo), mentre nel 2040 saranno chiuse le centrali a gas e la vendita del gas ai clienti. L’obiettivo è quello di offrire al 2040 energia solo da fonti rinnovabili e raggiungere la piena decarbonizzazione delle attività del gruppo».
bilitando un vero e proprio cambiamento, che vede nella creazione di valore condiviso di lungo periodo con le comunità la chiave del successo. In questo modo abbiamo raddoppiato il valore di capitalizzazione dell’azienda ed il valore delle azioni». Una società che vuole legare il suo sviluppo alla sostenibilità deve necessariamente integrare quest’ultima in tutti i suoi processi di crescita. In questo modo, spiega il dirigente, l’azienda è «più competitiva e resiliente, creando valore per tutti gli stakeholders e minimizzando l’esposizione a shock esterni. Anche l’innovazione rappresenta un aspetto fondamentale: il nostro modello, denominato di “innovability”, vede nella sinergia fra innovazione e sostenibilità la chiave attraverso cui raggiungere i nostri obiettivi industriali e, contestualmente, contribuire al raggiungimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Ed in questo anche i mercati ci stanno dando ragione: una governance chiara e trasparente, così come iniziative di sostenibilità concrete e misurabili hanno reso l’azienda più
In alto: Sedi Enel di Roma e Milano. Sotto: alcune pale eoliche
«La sostenibilità non deve essere ritenuta un costo, ma un investimento»
AZIENDE E SOSTENIBILITÀ - La scelta di Enel, così come di tante aziende, di puntare su iniziative sostenibili ricopre un’importanza fondamentale. Come ricorda Iaccarino, «la sostenibilità non deve essere soltanto ambientale ma anche sociale ed economica e non deve essere ritenuta un costo, ma un importante investimento per l’azienda. Come Enel, dal 2014 abbiamo iniziato a puntare sulla sostenibilità realizzando molti più impianti sostenibili ambientalmente e mo-
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STAMPA ITALIANA ecò circa il 94 per cento dei nostri investimenti (45 mld) sono legati a 4 dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG 7, 9, 11 e 13)».
Centrale termoelettrica La Casella Edoardo Amaldi a Castel San Giovanni (Piacenza)
attrattiva sui mercati. Oggi la finanza sostenibile costituisce una leva chiave per raccogliere capitali pubblici e privati e indirizzarli verso investimenti sostenibili e al contempo competitivi e profittevoli». ANTICIPARE GLI OBIETTIVI - L’impegno di Enel nella sostenibilità, iniziato nel 2014, è stato preceduto dieci anni prima dall’adesione del Gruppo al Global Compact delle Nazioni Unite, l’iniziativa nata per incoraggiare le aziende nel mondo ad iniziare un percorso dedicato alle politiche di sostenibilità, rispettando la responsabilità sociale d’impresa e pubblicando i risultati delle azioni intraprese. Nel 2015, ricorda Iaccarino, «nell’ambito dell’Agenda 2030 il Gruppo ha assunto impegni formali per il raggiungimento in particolare dell’SDG 13 “Lotta contro il cambiamento climatico” (Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite, in tutto sono 17 obiettivi, ndr), definendo l’obiettivo di raggiungere la decarbonizzazione del proprio mix energetico entro il 2050. In seguito, come firmataria della campagna “Business Ambition for 1.5⁰C”, Enel si è impegnata a fissare un obiettivo a lungo termine per raggiungere zero emissioni nette lungo la catena del valore entro il 2050. Enel è poi stata la prima al mondo a lanciare emissioni obbligazionarie SDG-linked, basate su un approccio che combina la performance in tema di sostenibilità con l’emissione di titoli. Oggi
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SOSTENERE LE IMPRESE - Tuttavia, in questo percorso, le aziende non possono essere lasciate da sole. «Le Istituzioni - sottolinea il dirigente - devono fornire il loro supporto a tutti i livelli al fine di poter accelerare il processo di transizione ecologica. Nell’ambito del processo di efficientamento degli iter autorizzativi, ad esempio, è di fondamentale importanza il coinvolgimento delle Regioni e delle Province, per assicurare una convergenza e un pieno coinvolgimento di tali Enti in merito agli obiettivi nazionali di decarbonizzazione e di transizione energetica, chiarendone finalità, necessità di contributo e benefici che ne deriverebbero per le comunità nel loro complesso (Istituzioni, cittadini, imprese). Altrettanto importante il coinvolgimento delle comunità locali, sia per meglio implementare la dimensione ambientale della sostenibilità, ma anche quella sociale, assicurandosi che nel percorso di transizione energetica nessuno venga lasciato indietro». Attualmente, aggiunge, «gli iter autorizzativi degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, sia di competenza regionale, provinciale che nazionale, sono attualmente caratterizzati da tempistiche non coerenti rispetto a quanto indicato all’interno del PNIEC (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima). Il tempo medio di autorizzazione in Italia di un progetto eolico è di circa 5 anni e quello di un fotovoltaico oscilla tra un anno e un anno e mezzo circa. Ciò implica, peraltro, che, al momento dell’autorizzazione del progetto, la tecnologia degli impianti autorizzati può spesso considerarsi già “superata” da tecnologie più efficienti. Si rende quindi necessario accelerare le tempistiche degli iter autorizzativi al fine di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione». Questo processo, però, deve essere accompagnato da un’opera di sensibilizzazione dei cittadini e delle comunità locali. È necessario, sottolinea Iaccarino, far comprendere l’importanza che assume «questa trasformazione per il futuro dell’Italia sia da un punto di vista ambientale e di lotta ai cambiamenti climatici, che economico e sociale, considerato l’impatto che le rinnovabili, la digitalizzazione delle reti e l’elettrificazione dei consumi avranno sulla competitività economica dell’energia e sulla creazione di occupazione e crescita per il Paese».
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COALESCENCE INNOVATION: Andrea Solimene (CEO), co-founder di Seedble
nasce un nuovo approccio all’innovazione
di Nicodemo Lanti
Un nuovo paradigma per costruire ecosistemi targato Seedble. In un’intervista, gli ideatori Andrea Solimene e Giovanni Tufani ne spiegano i concetti principali e i pilastri su cui si basa questa nuova metodologia di comunicazione
C
ol termine innovazione si intende l’introduzione di nuovi sistemi e criteri. E anche oggi la ricerca di nuove modalità di comunicare l’innovazione è qualcosa di continuo che cerca sempre nuove vie di sviluppo. È su questo solco che si inserisce un nuovo modo di approcciarsi all’innovazione targato Seedble, società di consulenza che offre alle imprese soluzioni nei campi dell’innovazione organizzativa, strategica e tecnologica. Si tratta della “Coalescence Innovation” un nuovo paradigma, strutturato su tre pilastri, per costruire ecosistemi, diffondere e democratizzare l’innovazione. A sviluppare questo nuovo approccio sono stati Andrea Solimene (AS) e Giovanni Tufani (GT) - rispettivamente CEO e CFO ed entrambi co-founder di Seedble - che in un’intervista ci spiegano in cosa consiste questo nuovo modo di approcciarsi all’innovazione. Quando e come nasce l’idea della Coalescence Innovation e cosa si intende con questo concetto? GT: «Abbiamo avuto una folgorazione nel 2019 di ritorno da un evento di settore. Ab-
Giovanni Tufani (CFO), co-founder di Seedble
biamo iniziato a domandarci come attribuire all’innovazione un impatto non esclusivamente utilitaristico ma piuttosto finalizzato al perseguimento di obiettivi comuni a un’intera comunità. Questo spunto ci ha stimolato a studiare e fare ricerca e così nasce la Coalescence Innovation. Il nome deriva dal fenomeno della coalescenza, che spiega, ad esempio, quello che succede quando si forma la pioggia nelle nubi: gocce d’acqua si aggregano e al superamento di un determinato peso precipitano verso il basso». Coalescence Innovation e responsabilità sociale: qual è la relazione e come possono esplicitarla le aziende? AS: «L’attenzione su un futuro più sostenibile è cresciuta a seguito della pandemia, ma regna ancora una logica eccessivamente individualistica. Un’idea da sola non va lontano e solo un team coeso e una capacità esecutiva pragmatica consentono di trasformarla in un progetto o in un’innovazione. Oggi il segreto per fare la differenza a livello sociale è collaborare, contaminarsi, attivare collisioni, proprio come suggerisce la Coalescence Innova-
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tion. Una goccia da sola non può irrigare un campo intero, ma una pioggia (ovvero, un insieme di gocce) sì». Come si applica questo paradigma? In quali ambiti? AS: «La Coalescence Innovation è definita dal metodo più che dall’oggetto. È il principio ispiratore che muove all’azione e guida il disegno e l’attuazione delle iniziative. Per questo, può essere applicata a qualsiasi ambito purché si innesti su meccanismi di apertura e contaminazione che abbiano lo scopo ultimo di creare ecosistemi virtuosi in grado di contribuire positivamente a un futuro più sostenibile. Dal punto di vista operativo, l’innovazione coalescente è un processo inclusivo e partecipativo in cui tutti gli attori coinvolti agiscono come entità unica, non come singoli». Quali sono gli aspetti principali della Coalescence Innovation? AS: «Abbiamo individuato i tre pilastri principali in: 1) Change agent. I soggetti coinvolti, innovatori guidati da valori forti che ambiscono a cambiare lo status quo contaminandosi reciprocamente. 2) Incremental Impact. La modalità di attuazione, l’effetto domino che espande l’innovazione generata dal nucleo d’origine in maniera graduale e progressiva e secondo schemi aperti e collaborativi. 3) Ecosystem. Ecosistemi virtuosi in grado di impattare positivamente sul futuro del pianeta e che si formano attorno ai valori condivisi dai change agent». Qual è l’obiettivo finale e quali sono i vantaggi per la comunità? AS: «Prendiamo ad esempio le amministrazioni locali: la contaminazione con startup, università, acceleratori e corporate potrebbe far nascere soluzioni di sviluppo del territorio che altrimenti non sarebbero mai state contemplate.
Potrebbero nascere laboratori sperimentali sulle tecnologie per la mobilità sostenibile, seminari e corsi per l’educazione digitale dei cittadini, eventi per sensibilizzare le persone all’imprenditoria sociale e così via. Accedere a un network diffuso consente di attingere a know how, esperienze e approcci differenti da cui possono scaturire tanti piccoli interventi e soluzioni con impatto positivo sulla comunità». Che differenze ci sono tra questo modello e le altre metodologie d’innovazione? GT: «La chiave è armonizzare diverse tipologie di innovazione per prendere il meglio da ognuna. L’Open Innovation ha scardinato l’assimilazione tra esclusività e vantaggio competitivo, promuovendo per la prima volta un’innovazione di tipo collaborativo. Tuttavia, è un approccio market-oriented che manca di un più alto e necessario proposito di tipo sociale, presente, invece, nella Social Innovation. Dove il metodo aperto incontra il purpose sociale, nasce un processo innovativo che fa leva su apertura e contaminazione per conseguire impatti sociali positivi: la Coalescence Innovation». Quali sono i possibili sviluppi futuri? GT: «Contribuire al futuro del nostro Pianeta è un impegno collettivo ed è per questo che la Coalescence Innovation è il paradigma non di Seedble, ma di tutti. Siamo sempre pronti ad accogliere nuovi stimoli, idee, casi studio che ci aiutino a diffondere e perfezionare questa metodologia, sia lato progetti - Eni ha già sposato la Coalescenza con il progetto Joule - sia lato università e mondo della ricerca gli studenti e i docenti dell’università Sapienza di Roma collaborano attivamente con il team Seedble nella ricerca sul paradigma».
«La Coalescence Innovation può essere applicata a qualsiasi ambito»
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Tesla: l’auto del futuro è già qui. Pugliese: «Tempi giusti e strategie corrette»
Il vicepresidente di Tesla Club Italy: «Il vero obiettivo di Musk, un visionario, non è solamente vendere automobili, ma trasformare la mobilità in un servizio energetico. Con l’energia si fanno affari importanti» di Lorenzo Scalia
«M
ars & Cars». È uno degli ultimi cinguettii di Elon Musk, che per sua stessa ammissione li scrive mentre è seduto comodamente su un trono di… porcellana. Un tweet che riassume (parte) degli interessi dell’uomo più ricco del mondo, amministratore delegato di Tesla e Space X. Due aziende così diverse ma così simili. E collegate tra loro. Perché rappresentano il futuro dell’umanità. E chiaramente anche il presente.
Giuseppe Pugliese, il vicepresidente di Tesla Club Italy
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MONDO TESLA - Uno dei massimi conoscitori del mondo Tesla nel nostro Paese risponde al nome di Giuseppe Pugliese, imprenditore romano che ricopre il ruolo di vicepresidente di Tesla Club Italy, il primo fondato in Italia. Nel tempo libero, tra l’altro, aiuta gli universitari a scrivere le tesi sul marchio che sta accelerando la transizione verso l’energia sostenibile con auto elettriche, impianti fotovoltaici e soluzioni energetiche rinnovabili integrate. «Tesla è una corretta operazione di marketing. Fatta con tempi e strategie giuste. Perché il vero obiettivo di
Musk, un visionario, non è solamente vendere automobili ma trasformare la mobilità in un servizio energetico. Con l’energia si fanno affari importanti: compri a 10-12 centesimi all’ingrosso e rivendi a 45-79 centesimi. Con nessun prodotto fai un margine del genere, neanche con i gioielli. Con i primi ricavi per la vendita delle auto ha costruito la rete di ricarica denominata “Supercharger”, la più importante al mondo. Pensa a cosa succederà con la condivisione dei Supercharger a tutti i marchi dell’automotive? In borsa il prezzo delle azioni schizzerebbe in alto. Forse raddoppia? Forse anche di più…», spiega Giuseppe Pugliese, che tutti i giorni sta al volante di una Model S top di gamma, la P 100D da oltre 600 CV. Un bolide che impiega 2,6 secondi per andare da 0 a 100 km/h e 1,42 secondi per passare da 50 a 100 km/h. Un concentrato di velocità e tecnologia che non ha paragoni. Del resto, le più performanti Ferrari, Maserati, Porsche e Bmw in commercio certi numeri se li sognano di notte. RISPARMIO - Calcolatrice in mano e si vola. In tutti i sensi. Avere una Tesla signifi-
ca risparmiare e dimenticarsi di quanto costa la benzina nelle pompe. «Ecco i dati della mia macchina: dal 1 giugno 2017 ho percorso quasi duecentomila chilometri e ho consumato energia per circa 1100 euro. Bisogna inoltre pensare che il ventidue per cento dell’energia consumata l’ho autoprodotta con la frenata rigenerativa, che funziona pure in discesa. Non serve toccare i pedali. Con una Fiat Punto avrei speso venti volte di più», dice Pugliese che ha acquistato la Tesla quando la casa automobilistica regalava ai suoi clienti tutta l’energia del sistema Supercharger. «E’ stata la mossa meno percepita dal mercato, ma anche quella più innovativa a quei tempi. Perché si è passati dalla vendita di un prodotto a un servizio». Poi Musk ha cambiato traiettoria e strategie: ha abbassato il costo delle macchine (quando tutti li alzavano) erogando l’energia a parte. Tesla a quel punto è diventato un marchio alla portata anche di chi non ha una grande disponibilità economica. La chiave di volta passa anche dall’apertura di una fabbrica in Cina. L’ABC E I VIAGGI - Muoversi con un motore elettrico significa organizzarsi nel quotidiano. Un minimo. «È importante avere la possibilità di ricaricare la macchina dove dormi e, possibilmente, anche dove lavori. Non ha senso tenerla ferma otto ore di fila e non attaccarla alla rete. Dopo fai quello che vuoi. Quasi tutte le ricariche io le ho fatte a casa. Ma è chiaro che posso ricaricare da qualsiasi cosa, anche dalla presa elettrica del tuo giardino. Se passo una notte fuori, da una normale presa elettrica, in sei ore incamero cento chilometri. In media un italiano percorre cinquanta chilometri al giorno». Capitolo viaggi. Un ipotetico RomaMilano. Un tragitto dove ci si deve fermare per forza almeno una volta. «Di solito mi porto un costume da bagno in valigia. Mi fermo ad Arezzo e mi faccio una sauna e bagno in piscina con 10-15 euro mentre la macchina è al Supercharger e si ricarica gratis. Praticamente spendo quanto al bar lungo la strada. In alternativa la mia sosta è a Modena Sud. Al fianco del Supercharger c’è il ristorante Fini, dove si mangia un ottimo bollito e il migliore culatello del mondo». Intoppi? «Pochi, pochissimi. Però mi è capitato di far liberare la presa di un forno per ricaricare la macchina dalla finestra. Di solito chiedo sempre se c’è una colonnina di ricarica o anche una presa industriale vicino alla
finestra. Se non sanno cosa è, gli dico… una cosa tonda rossa con cinque buchi, qualcuno più grande e qualcuno più piccolo». L’IMPORTANZA DEL CLUB - «Ci tengo a sottolineare che siamo indipendenti e slegati da Tesla; ci autofinanziamo come tutti gli altri club Tesla del mondo. Siamo proprietari di macchine elettriche che si aiutano a vicenda, dal vivo e tramite i social. Un canale Telegram nazionale e uno per ciascuna regione sono riservati ai proprietari, un altro agli appassionati, poi ce ne è anche uno in lingua inglese per dare supporto a chi viene con una Tesla in Italia dall’estero». Le domande sono semplici. Perché aiutarsi? A fare cosa? «Quando ho comprato la mia autovettura il manuale era di circa duecento pagine, adesso ne conta quasi trecento. Noi riceviamo tre o quattro update del software al mese e la macchina cambia. Un esempio? La gestione dei fari abbaglianti è diventata automatica. Una persona da sola non riesce a stare dietro a tutto, per questo serve il club». Il Tesla Club Italy intende diffondere e rendere semplice la mobilità elettrica, dimostrarne la sostenibilità grazie a una sistematica informazione, divulgazione e sensibilizzazione. Il Club organizza raduni e incontri. («A Monza, invitati dall’organizzatore del salone dell’auto, eravamo centoventi»). «Abbiamo girato in tutte le regioni italiane. Il tragitto più incredibile è stato Roma-Capo Nord-Venezia a costo zero in dieci giorni; io purtroppo non c’ero quella volta! Chissà, in futuro…».
Sopra, una delle stazioni di ricarica rapida Tesla Supercharger
«Riceviamo tre o quattro update del software al mese e la macchina cambia»
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Savio: la svolta green in borgata. «E tutti ci copieranno…»
di Lorenzo Scalia
Paolo Fiorentini, numero uno del club di Via Norma, racconta gli ultimi sviluppi: dal rinnovo della concessione al restyling dell’impianto, passando per i campioni lanciati nel mondo del calcio e nuove collaborazioni 20
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l Savio fa calcio. Quello vero, quello di una volta. In una borgata di Roma. Se esiste ancora lo deve alla forza e alla tenacia del suo presidente, Paolo Fiorentini. Che sta alla guida del club da una vita. Ha ottanta anni sulla carta d’identità, ma ne dimostra venti per la velocità di pensiero, per la grinta che ci mette e per le idee innovative che ha riversato nella sua creatura. Il Savio, infatti, giocherà tra pochi mesi nel centro sportivo comunale più green della Capitale e probabilmente d’Italia.
era scaduta dal 2016. In questi anni, quindi, il Savio non ha potuto programmare serenamente il futuro. «Se ho mai pensato di mollare? Per qualche istante. Ma in realtà ho avuto sempre la volontà di non darla vinta a chi giocava con la nostra storia. Non ho mai ceduto di un passo. Per avere la concessione ho bussato dappertutto, per far riconoscere i meriti sociali e sportivi raggiunti. Per cui nessuno ha mai potuto sperare di poter avere questo impianto. Lo ripeto: nessuno. Avremmo vinto di fronte a chiunque perché la storia mia, della società e del campo parlano da sole».
«La storia mia, della società e del campo parlano da sole: nessuno poteva batterci»
ULTIMI SVILUPPI «Stiamo aspettando la convocazione da parte del Comune - una volta che si è sistemato dopo l’insediamento della nuova Giunta - per andare a firmare il contratto di concessione per sei anni. Che partiranno proprio dal momento della firma», ci spiega il presidente Paolo Fiorentini. Piccolo passo indietro. Perché, per arrivare al rinnovo della concessione, tra l’altro vinta con il punteggio massimo possibile (valutazione di 100/100), i passaggi non sono stati semplici e lineari. Infatti, la concessione
LAVORI - Nel frattempo il Savio ha anche vinto un bando del Coni per il rifacimento del quartier generale di Via Norma per un importo di circa un 1 milione di euro. Per non perderlo, alla luce della concessione scaduta, è stato “riversato“ al Comune che l’ha diviso in due lotti: il primo riguarda il manto erboso che diventerà di ultima generazione, il secondo invece riguarda l’impiantistica. Nel dettaglio: pannelli fotovoltaici per generare acqua
calda e corrente, ma anche led di ultima generazione per l’illuminazione dei campi. «Abbiamo corso un rischio, ma era giusto correrlo. Lo dico con un po’ di presunzione. Tra l’altro un campo in sintetico lo possono fare tutti, mentre la transizione ecologica no. Credo che molte società private ci “copieranno“ perché avere un impianto green ed efficientato fa risparmiare parecchi soldi e in più aiuta l’ambiente. Le tempistiche? Sulla carta led e fotovoltaico si possono fare in ogni momento - una volta assegnati i lavori - mentre l’installazione del nuovo campo dovrà iniziare d’estate, quando l’attività sportiva è ferma», sottolinea Fiorentini.
di vivere, per me è fondamentale. Passo tutti i giorni al campo e mi confronto con allenatori e giocatori. Dopo l’incidente di mio figlio ho trascorso tre mesi senza uscire di casa. E pensare che all’epoca mi bastava attraversare una strada per arrivare al campo. Passati quei tre mesi orribili, i più brutti della mia esistenza, sono tornato a fare calcio e ho iniziato a passare le giornate pensando a loro, dalla mattina alla sera. Insomma, il Savio è stata la mia salvezza, unitamente Il presidente alla vicinanza dei miei parenti. Tutto quello che Paolo Fiorentini faccio lo faccio per i ragazzi. Sono loro la mia forza. Perché mi hanno dato una ragione per lottare». Insomma, quella ferita non andrà mai via, ma se adesso è “cicatrizzata“ non è merito del tempo che scorre ma della grande famiglia Savio. E forse anche di vecchi e nuovi amici, come la famiglia di Distretti Ecologici, di Andrea e Bernardino Passeri.
«Il Savio mi ha salvato la vita dopo l’incidente di mio figlio: i ragazzi mi trasmettono gioia»
ANCORA DI SALVEZZA - Le vicende del Savio si legano a quelle personali del suo presidente. «Nel 1997 ho perso un figlio di ventinove anni - ricorda Fiorentini - Quando capitano cose del genere vivi un dramma esistenziale. Posso dire che chi mi ha salvato e portato avanti, e mi sta facendo andare, è il Savio. Non sono più un ragazzino, però mi ci sento. Venire qui tra i bambini e anche i più grandi, a cui sono affezionato come dei figli che mi danno la gioia
COLLABORAZIONE - Infatti, è nata una partnership - potenzialmente da sviluppare su più piani - tra il Savio e la Distretti Ecologici. «Siamo in sintonia perfetta. Ci siamo annusati e ci siamo piaciuti fin dal primo incontro perché
Dalla borgata alla serie A Il Savio è una delle società storiche di Roma. Si occupa di bambini e ragazzi fin dal 1968. È da sempre legato alla parrocchia Santa Maria della Misericordia e in particolar modo alla figura di Domenico Savio, il Santo dell’allegria e allievo di Don Bosco, protettore dei giovani, da cui deriva il nome dell’associazione. Il quartier generale attualmente si trova a Via Norma, nella borgata Villa Gordiani: il centro sportivo comunale è intitola-
to all’attore Raimondo Vianello. Sotto la guida del presidente Paolo Fiorentini sono arrivati tantissimi titoli. Per la precisione diciassette regionali e due scudetti a livello nazionale. Il Savio si è trasformato in un trampolino di lancio per giocatori del calibro di Giallombardo, Corvia, Frabotta, Folorunsho, Falzerano, Sabelli, Gigli, Formiconi e Kalaj. Ragazzi che hanno giocato o stanno giocando tra la massima serie e quella cadetta.
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Sopra, festa del Savio con i ragazzi del settore giovanile
parliamo la stessa lingua e veniamo dagli stessi territori», spiega Fiorentini. Uno dei primi step riguarderà l’installazione della tecnologia video di My Soccer Player, ma il discorso in futuro potrebbe essere più ampio, dato che la Distretti Ecologici è entrata nel mondo del calcio professionistico sia come partecipazione e sponsor (Ascoli) che come sponsorizzazione (Latina e Salernitana) ma anche dilettantistico su Roma e dintorni. «Non conosco il futuro. Ma posso dire che viaggiamo sulle stesse frequenze e quindi possiamo ragionare sia su sponsorizzazioni che su eventuali affiliazioni. Perché io preferisco sedermi al tavolo con imprenditori seri», conferma il numero uno di Via Norma. GIOCATORI E UOMINI - Il Savio è una
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società specializzata nel settore giovanile. Non solo. Nonostante la pandemia e le ultime vicissitudini conta trecento bambini nella scuola calcio. Nel corso degli anni ha trasformato dei diamanti grezzi in calciatori professionisti. Qualche esempio? Folorunsho, Sabelli e Frabotta. «La Lazio ha otto giocatori del Savio. Crespi e Ruggeri fanno parte della Primavera biancoceleste sotto età. Sono loro i più attenzionati in questo momento. Dopo la fortuna di vedere esordire Frabotta in Serie A, qualche anno fa abbiamo lanciato Sabelli, che quest’anno gioca nel Genoa. C’è poi Folorunsho, tesserato del Napoli e in prestito al Pordenone. Sarà lui il prossimo figlio del Savio a calcare i campi del massimo campionato. Ne sono certo. E ce ne sono tanti altri tra Serie B, Serie C e tra i dilettanti. Che sento spesso, specialmente nel giorno dei loro compleanni. Ho un legame forte con chi sta tra i professionisti ma anche con chi non ha avuto le capacità o la fortuna di sfondare nel mondo del calcio. Molti mi portano i figli piccoli al Savio per fare scuola calcio. Forse è questa la più grande soddisfazione. Significa che si è lavorato bene, insieme ai miei collaboratori, rispettando l’aspetto sportivo ma anche quello umano e familiare. Perché la cosa più importante è formare uomini che sappiano vivere a testa alta. A prescindere dalle carriere calcistiche che riescono a ritagliarsi».