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La zuppa di dati

di Lorenzo Capitani

Oggi un’azienda a mille miglia non solo sa chi sono, cosa mi piace e cosa faccio online, ma è in grado di prevedere ciò che voglio e offrirmelo, sfruttando le tracce che lascio di me più o meno consapevolmente. Già Henry Ford negli anni Venti riconosceva la centralità del cliente quando mirava a “produrre una sola automobile perfettamente buona e a basso prezzo, ma assistita da un servizio continuo”. Segmentazione e customer centricity nascono negli anni ’50, ma è con Internet e la diffusione capillare dei personal device che si sono create le perfette condizioni tecnologiche e sociali. In questo scenario, al centro di tutto c’è il dato: diventare capaci di raccogliere, integrare, analizzare e sfruttare il patrimonio informativo in modo trasversale rispetto ai diversi processi di relazione è oggi la vera sfida.

Multicanalità, cross-canalità e omnicanalità

Spesso si tende a semplificare e usare questi termini come sinonimi: in realtà sono step evolutivi di una logica di interazione con i clienti che nel tempo è passata da un singolo punto di incontro (il negozio fisico) a punti di contatto potenzialmente infiniti. La multicanalità è il primo gradino con il quale un’azienda cerca di moltiplicare i touch point con il cliente (social, app, mail, chatbot…) per andare ad arricchire il ventaglio dei canali già esistenti, come il classico sito. Segue la cosiddetta cross-canalità che presuppone la progettazione di servizi integrati tra più canali (tipicamente due, il fisico e il virtuale). È il caso di servizi come il “click & collect” per prenotare online, ritirare e pagare presso un punto vendita, ormai diffuso in moltissimi e-commerce da Adidas, a Ikea, Uniqlo o Unieuro, o il local marketing che punta a spingere gli utenti all’interno di un negozio fisico: non è un caso che app di navigazione come Waze o Gmaps mostrino alcuni negozi e non altri. L’omnicanalità fa un ulteriore passo avanti. Non solo il consumatore è al centro, ma prevede un sistema interconnesso tra tutti i punti di contatto. Sono necessari il trasferimento di dati tra i diversi canali e strategie di contenuto coerenti e integrate, così l’utente non solo può interagire con l’azienda in una molteplicità di modi diversi, ma anche vivere la medesima esperienza su tutti i touch point senza soluzione di continuità. I dati dimostrano che il mercato è assolutamente maturo tanto che, durante il 2021, l’80% degli italiani dichiara di aver acquistato online e di questi il 47% lo ha fatto da smartphone.

Da Single Channel a Omni Channel: gli step evolutivi di una logica di interazione con i clienti che nel tempo è passata da un singolo punto di incontro (il negozio fisico) a punti di contatto potenzialmente infiniti.

Tutti per uno, uno per tutti!

Oggi il consumatore non distingue più tra online e offline e si aspetta di interagire con un’azienda passando in modo naturale dal negozio al sito web, dall’e-commerce ai social, alla pubblicità tradizionale: il rapporto con i brand non si esaurisce con l’acquisto. Per seguire il comportamento dei clienti e saper gestire in tempo reale il contatto su tutti i diversi canali occorrono strategie di marketing, e una solida organizzazione aziendale, basate sui dati. Alla luce di questa rivoluzione, non si tratta più “solo” di raccoglierli e utilizzarli come gui-

da per targettizzare l’offerta, ma di adottare una vera strategia basata sulla customer experience. Un progetto non banale che richiede una profonda trasformazione nel modo di fare business, nell’organizzazione e nella cultura di un’azienda. Come sottolinea l’annuale report dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience del Politecnico di Milano, nel 2021 è aumentato notevolmente l’interesse per l’omnicanalità perché i clienti si dimostrano sempre più evoluti, complici anche le restrizioni per la pandemia che hanno costretto a usare canali a distanza o digitali. Eppure, nonostante queste spinte dal basso, solo il 16% del campione di aziende ha un approccio sistemico: occorre cambiare ruoli, processi e responsabilità e fare un salto tecnologico perché spesso le aziende hanno sistemi locali, slegati tra di loro e sviluppati in diversi momenti con finalità proprie. L’armonizzazione è il fattore più complesso e in questa trasformazione il tempo è il nemico principale. Non ci possono volere anni per integrare o digitalizzare, soprattutto nel retail dove si fanno i maggiori profitti, ma anche dove occorre fare i conti con magazzini e logiche distributive. La buona notizia è che rispetto al 2020, recita il report, “il 21% dei Novice (dell’omnichannel, ndr) sono aziende dei settori industriale/B2B, beni di largo consumo e durevoli. Insomma, non più solo i servizi. Ma i clienti rischiano di essere pronti prima delle aziende: per questo occorre l’implementazione e l’integrazione rapida delle piattaforme necessarie per adottare una strategia unica di marketing e comunicazione, vendita e customer care realmente data-driven e una gestione coerente dei contenuti e delle informazioni sui diversi punti di contatto”. Perché al centro di tutto, in realtà, più che il cliente ci sono i suoi dati. Operazione non banale, tanto che anche un gigante come Amazon fatica a integrare il venduto con i suggerimenti all’acquisto e così quando riceviamo il libro che abbiamo ordinato ieri, puntuale arriva anche la mail che suggerisce… lo stesso libro.

I dati, questi sconosciuti

Spesso si pensa che basti un CRM (Customer Relationship Management) per risolvere il problema, ma questo è solo uno strumento e non la soluzione; occorre certamente avere il dato, ma prima va normalizzato e uniformato con sistemi di Customer Data (CDP) per poi passare alla business intelligence e al data mining per selezionare, esplorare e modellizzare, così da scoprire regolarità o relazioni per essere competitivi. Nel 1916, John Wanamaker, uno dei padri del marketing moderno, ha detto: “Metà del denaro che spendo per la pubblicità viene sprecato; il problema è che non so quale sia la metà giusta”. Ora come cento anni fa, i brand si trovano di fronte allo stesso dilemma. Ad esempio, Nick Huang, Senior Web Analyst di Epson America, motiva con queste parole la scelta del CDP di Tealium: “Dovevamo essere in grado di trarre conoscenza e intelligenza dai dati che avevamo. Dovevamo dare un senso a ciò che stavamo raccogliendo”. Ma come devono essere questi dati e come devono essere organizzati? Possono essere strutturati o destrutturati a seconda se sono memorizzati o meno su database; individuali, riconducibili cioè a un singolo utente, o aggregati per cluster di consumatori; dichiarati direttamente dall’utente tramite registrazione o navigazione in chiaro, oppure ottenuti tramite monitoraggio passivo; storici o raccolti in tempo reale. Tutto questo serve per individuare comportamenti, caratteristiche o bisogni comuni, e creare profili o modelli ricorrenti. “Capito il cliente – scrivono dal Politecnico – lo si deve incontrare in ogni touch point disponibile, innescando tutti i meccanismi utili per proporgli un prodotto che sia più aderente possibile alle sue esigenze, anche non espresse, fidelizzandolo, attivando promozioni e cercando di scongiurare il più possibile la sindrome da carrello abbandonato” che affligge l’e-commerce con percentuali impressionanti. La società inglese di marketing comportamentale SaleCycle ha stimato nel 2021 una media dell’81,1% di tasso globale Occorre l’implementazione e l’integrazione rapida delle piattaforme necessarie per adottare una strategia unica di marketing e comunicazione, vendita e customer care realmente data-driven e una gestione coerente dei contenuti e delle informazioni sui diversi punti di contatto

di abbandono del carrello sui siti e-commerce, con un 88,57% del comparto moda e il 61,13% dell’alimentare, cresciuto molto in tempi di pandemia.

Il mio nome è nessuno

Incontrare il cliente significa non abbandonarlo, coccolarlo e guidarlo, ma soprattutto non essere invasivi. Perché se è vero che per suggerire un prodotto o ricordare un carrello abbandonato è necessario rivolgersi a lui direttamente, è altrettanto vero che la continua sensazione di essere tracciati spinge all’anonimato. Quanti di noi non hanno fatto acquisti su un sito, non hanno scaricato un’app o hanno rifiutato l’ennesima fidelity card perché occorreva registrarsi e non volevano essere sommersi da ulteriori notifiche, newsletter, mail, messaggi…?

E qui arriva l’altra vera sfida che va oltre privacy o GDPR, ovvero come profilare e fare omnicanalità con clienti anonimi? In altre parole, so chi sei, cosa hai comprato e cosa ti piace, ma come ti ritrovo se appena concluso l’acquisto sparisci dai miei radar? Soprattutto ora con la fine del supporto ai cookie di terze parti da parte di Chrome entro la fine del 2023, che significa rendere molto più complesso il tracciamento degli utenti. Questi particolari cookie sono utilizzati principalmente per la profilazione cross-site e possono essere creati da altri domini rispetto al sito in cui si sta navigando. Se visito il sito di un produttore di auto e accetto la Privacy e la Cookie Policy in automatico e inconsapevolmente scarico un cookie rilasciato non dal brand del sito ma da piattaforme di advertising come Doubleclick di Google, quel cookie rimane attivo per mesi sul mio pc e ricorda alla piattaforma che ho visitato quel sito. Se Doubleclick è attivo, ad esempio, anche sulla pagina web di un quotidiano, questa, riconoscendomi, mi attiva una pubblicità ad argomento automobilistico. Senza queste tracce si va verso la fine dell’identificazione 1 a 1 degli utenti per il tracciamento, la profilazione, il retargeting. La soluzione è non tracciare passivamente o a strascico, ma instaurare un rapporto diretto e fiduciario con l’utente per convincerlo a essere contattato in modo puntuale e consistente.

Omnicanalità nel punto vendita

Se è vero che nel 2021 con la pandemia l’e-commerce è cresciuto a livello globale del 58%, secondo il report Shopping Index di Salesforce, con un traffico sui siti di shopping online del +27%, con l’Italia che da sola ha fatto registrare un +78%, è altrettanto vero che i negozi fisici restano al centro delle strategie marketing di tutti i retailer.

Esempio di local marketing integrato nell’app di navigazione Waze. Durante il tragitto, l’app suggerisce servizi e punti vendita in linea con le preferenze utente catturate.

Anche Gmaps versione desktop o Google Mappe, la versione mobile, mostrano punti vendita in base ai dati di navigazione utente presi dai cookies o dalla cronologia.

Per seguire il comportamento dei clienti e saper gestire in tempo reale il contatto su tutti i diversi canali le aziende devono mettere in campo strategie di marketing e una solida organizzazione basate sui dati.

Il POS può diventare un mezzo per ingaggiare il cliente offrendo servizi post vendita stampando sullo scontrino un QR code che abilita un canale di comunicazione con l’azienda.

Gucci ha attivato un servizio di personal shopping organico basato su live chat, videochiamate multilingua e visite allo store da remoto o allo store virtuale, sempre seguiti da un personal advisor fisico.

Se nel digitale l’omnicanalità è più o meno alla portata di tutti, nel retail deve superare ostacoli spesso strutturali. Se sono a Parigi e voglio comprare online i miei jeans preferiti, in che lingua deve essere il sito? In francese perché rileva il mio IP o in italiano in base ai cookies? Ordinando dalla Francia, posso farmeli consegnare a casa in Italia? Da quale magazzino partono?

E cosa succede se il paio che ho scelto è disponibile nel magazzino francese, ma non in quello italiano? La disponibilità che vedo è quella del magazzino francese, ammesso che ce l’abbia, o di quello italiano? E come cambia la disponibilità se sono loggato, quindi riconoscibile, o voglio acquistare da anonimo? E perché non offrirmi il ritiro in negozio? Se invece ho il tempo di farlo consegnare a Parigi ma, arrivato a casa, devo fare un reso: lo rimando in Francia, lo rendo al negozio più vicino o lo rendo all’e-commerce locale? Sono tutte casistiche che vanno affrontate se si fa una vera omnicanalità e che nascondono difficoltà organizzative che vanno ben oltre l’armonizzare i dati del cliente ma coinvolgono l’organizzazione dei magazzini e la natura dei punti vendita di proprietà o franchising, che spesso rendono impossibile un semplice cambio di taglia tra punti vendita. Oggi il più delle volte non si va oltre la possibilità di vedere la disponibilità in negozio di un articolo e prenotarlo mentre si naviga nello store online, come fa ad esempio MaxiSport, premiato come miglior e-commerce 2021 dall’Istituto tedesco ITQF e il suo Media Partner, La Repubblica - Affari & Finanza. Più rari sono servizi evoluti come quelli di Gucci che, oltre al tradizionale ecommerce, ha attivato un servizio di personal shopping organico e basato su live chat, videochiamate multilingua e visite allo store da remoto o allo store virtuale, sempre seguiti da un personal advisor (fisico, non un bot), disponibile senza prenotazione dal sito, che alla fine della customer journey invia una wish list direttamente sul WhatsApp del cliente. Un sistema articolato che utilizza semplici strumenti ormai diffusi, armonizzandoli però in modo integrato e ben orchestrato, e che si basa su canali proprietari che sfruttano il proprio ecommerce, senza ricorrere a grandi marketplace che erodono la marginalità. O ancora, uno strumento di pagamento come il POS può diventare un mezzo per ingaggiare il cliente offrendo servizi post vendita semplicemente stampando sullo scontrino un QR code che abilita un canale di comunicazione con l’azienda. Insomma, la direzione è chiara: l’aumento delle transazioni online sta portando sempre più verso una forte integrazione tra fisico e digitale. I clienti oggi si aspettano esperienze di acquisto totalmente fluide e connesse, che permettano un passaggio senza ostacoli dall’e-commerce al negozio tradizionale, e viceversa. 69

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