L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier e un esperienza di sala-prove
Stefano Leoni 25 settembre 2007
Indice
I
- Premessa e motivazione del lavoro di tesi
III
- Introduzione
VI
- Cenni storici sulla storia dell’acustica
VI
- Credenze popolari e empirismo
IX
- Prime esperienze
X
- Epoca Classica
XIII
- Epoca Medioevale
XIII
- Epoca Rinascimentale
XV
- Epoca seicentesca
XVII
- Epoca settecento e ottecentesca
XXII
- Epoca novecentesca
XXIX - L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier XXI XLI
- Il Palazzo delle Nazioni a Ginevra, un organismo per vedere e ascoltare - Il Palazzo dei Soviet a Mosca
XLVII - Il Palazzo del Parlamento dell’assemblea di Chandigarh
LVI
LXIV - Il Padiglione Philips a Bruxelles
- Il Convento di Sainte Marie de la Tourette a Eveux
LXXII - Esperienza personale: lo studio, la realizzazione, le prove in opera per la costruzione di una sala-prove LXXII - Obiettivi LXXIII - Progettazione dell’isolamento acustico
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- Progettazione dell’assorbimento acustico
LXXXII - Realizzazione dell’assorbimento della sala-prove e prove in opera
LXXXV - Ulteriori prove di assorbimento e ipotesi di miglioramento per l’isolamento
LXXXVI- Appendice LXXXVI- La salle Pleyel XCII
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- Bibliografia
- Jantar Mantar di Delhi
Premessa e motivazione del lavoro di tesi
Premessa e motivazione del lavoro di tesi
L’evoluzione delle normative inerenti la progettazione e la costruzione di edifici è esponenzialmente aumentata in questi ultimi anni, è oramai impossibile pensare di costituire uno studio di progettazione individualmente, il tempo e il progresso ci portano sempre di più verso una specializzazione riguardo a pochi elementi e a pochissimi settori. Questo fenomeno è chiaramente evidenziato dalla enorme quantità di persone che lavorano o collaborano per la sola progettazione di un fabbricato. Sono oramai sempre più d’uso studi composti da più di mille addetti, sono esempi significativi il Renzo Piano Building Workshop e lo studio di Norman Foster. Tenendo in considerazione questa premessa come fondante per la mia formazione di architetto ho deciso di intraprendere un lavoro di tesi e di cooperazione nel settore dell’acustica applicata all’architettura, parallelamente ai miei studi e ai miei lavori di “pura” progettazione architettonica. Questo non significa che l’acustica diventi il mio unico settore e interesse, consapevole del fatto che la formazione di un architetto deve a mio parere essere la più completa e estesa possibile, l’esperienza, l’approccio e la coscienza data anche da queste conoscenze non possono che influenzare positivamente il mio approccio architettonico. Ecco allora che questa sinergia di ambiti tenta di miscelarsi per portarmi I
Premessa e motivazione del lavoro di tesi
sempre di più verso una riflessione profonda sui temi dell’essere nell’abitare e nel vivere il paesaggio architettonico. Il tutto è nato come una semplice e innocua passione inizialmente per l’ascolto della musica e successivamente per lo studio e l’interpretazione della stessa. Lo studio di questa materia, la mia ricerca personale, cerca di avvicinare e di integrare le mie conoscenze tecniche inerenti l’acustica nell’edilizia e l’acustica della musica dal vivo, di cui sono continuo fruitore e partecipante, con i miei studi e le mie riflessioni riguardanti l’architettura. Scartabellando in cerca di informazioni interessanti mi sono inaspettatamente trovato a scoprire l’interesse di Le Corbusier per molti temi inerenti l’acustica. Questa stimolante scoperta ha innescato una serie di riflessioni e pensieri sull’evoluzione dell’architettura Le Corbuseriana proprio in relazione alla diversa percezione e al diverso utilizzo dei luoghi in relazione al suono. Questo lavoro di tesi verterà quindi sia su riflessioni architettonico – acustiche, in particolar modo nelle opere del maestro, sia sulla mia (ancor poca, ma in continua crescita) esperienza e realizzazione di una salaprove per musicisti.
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Introduzione
Introduzione
“L’architettura è il risultato di un processo creativo che unisce sensazione e pensiero. […] La sensazione è il grande pozzo della conoscenza. Il pensare è il satellite, una meteora, che non si stacca però dalla sensazione per non farvi più il ritorno, perché, per raggiungere significati profondi, deve riguadagnare il terreno delle sensazioni”.1 Traendo spunto da Kahn oppure semplicemente ricordando la nostra natura di uomo, noi architetti dobbiamo necessariamente ricordarci che l’uomo, in primis, percepisce, attraverso il suo corpo, per mezzo degli organi di senso, l’architettura, naturale o artificiosa che lo circonda. Talvolta siamo soliti considerare la sola vista come unico raffronto per parlare di buona o cattiva architettura, ignorando quasi totalmente la reale completezza dell’essere umano, uomo razionale, istintivo e di tanto in tanto imprevedibile. Alcuni architetti di interior e alcune grandi catene di distribuzione si sono accorti di questo fatto e hanno intrapreso una politica commerciale molto all’avanguardia. Sfruttando la percezione olfattiva dei visitatori – potenziali clienti, che eminenti studi hanno dimostrato essere il senso maggiormente influenzabile, hanno aumentato sensibilmente le 1
Architettura è, Louis I. Kahn, gli scritti, pag 26, tratto da Louis Kahn, lettera a Tyng, 18 dicembre 1953, in Louis Kahn to Anne Tyng…, cit.
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Introduzione
vendite di alcune serie di prodotti. Per provare una sensazione simile basta scendere alla fermata del metro Cadorna e uscire verso la stazione, tutto il luogo è permeato da un forte odore di dolci, appositamente creato da un negozio che vende brioche e colazioni. È divertente notare che all’interno del negozio l’odore quasi svanisce, ma, ad occhio, il risultato sembra essere di grande efficacia. Ancora pochi, si sono cimentati in studi di acustica per offrire al fruitore del luogo sensazioni suggestive, particolari, non scontate e di sicuro interesse. Dobbiamo renderci conto che l’acustica è fattore sempre presente. Riguardo alla progettazione architettonica o meglio, alla realizzazione architettonica, può essere considerato come un arma potentissima o un eterna disgrazia. Il progettista dopo l’approvazione del decreto del presidente del consiglio dei ministri del 5 dicembre 1997 è tenuto a dichiarare la conformità con le norme dei isolamento acustico prescritte nel decreto, norme ferree soprattutto per quanto riguarda le nuove edificazioni residenziali. La legge prescrive degli alti valori di isolamento acustico tra le pareti confinanti con altri appartamenti, tra i solai, per tutto ciò che riguarda l’impiantistica: condizionatori, braghe, tubazioni etc. insomma sia il progettista che il direttore lavori deve tenere presente tutto ciò che può essere nocivo al senso uditivo della persona che sta fruendo dell’edificio. Le tipologie di disturbi riscontrabili sono molteplici, vanno dal semplice rumore del traffico, al rumore dello scarico delle acque nere del vicino fino al rumore a bassa frequenza del condizionamento della fabbrica posizionata apparentementemente lontano dal fabbricato. Queste tipologie di rumori sono dovute a un errato calcolo di isolamento acustico, o meglio, il più delle volte, ad una vera e proprio impreparazione da parte dei progettisti e dei costruttori riguardo alle normative minime per assicurare una vita tranquilla agli occupanti. Talvolta alcuni problemi possono essere dovuti ai fenomeni di riverberazione, evidenti in auditorium o palestre con una pessima acustica
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Introduzione
oppure mense o pub dove è quasi impossibile dialogare. Questi problemi sono legati all’assorbimento acustico. La differenza fondamentale tra l’isolamento e l’assorbimento è che il primo necessita di una accurata progettazione e una ancor più accurata realizzazione, mentre il secondo, se calcolato in maniera erronea ha maggiore possibilità di miglioramento. In alcune situazioni particolari è necessario progettare fin da principio un corretto assorbimento. È evidentemente il caso dei teatri e delle sale concerto, per questo introduco il mio scritto con una riflessione e uno studio sulla storia dell’acustica dall’antichità fino ai giorni nostri.
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Cenni storici sulla storia dell’acustica
Cenni storici sulla storia dell’acustica
Credenze popolari e empirismo Fino all’inizio del secolo XX, epoca in cui nasce l’acustica architettonica quantitativamente espressa, la progettazione degli edifici teatrali era basata sull’esperienza pregressa e sull’empirismo. Se tale pratica portava a risultati spesso soddisfacenti, i relativi fondamenti teorici erano d’altro canto costellati di non poche credenze erronee. Già dall’antichità greco-romana il parametro più solido di cui disponevano gli architetti era costituito dal potere riflettente di alcuni materiali strutturali, specie se di materiale litoideo. Sui rimanenti parametri molti punti erano invece ancora oscuri. Materiali: fino al XIX secolo essi continuarono ad essere suddivisi nelle tre classi di derivazione vitruviana: molli (cioè fonoassorbenti, come i tessuti), elastici (cioè risonanti, come il legno), duri (cioè non risonanti, come la pietra). Tale classificazione era viziata da gravi errori concettuali dovuti alla non conoscenza dei meccanismi di assorbimento acustico. I materiali molli erano ad esempio ritenuti fonoassorbenti perché non elastici: secondo G.B. Doni (c. 1630), gli arazzi infatti assorbivano il suono perché “molli e cedenti, e non tesi, ma solamente sospesi”. Ancora un secolo dopo la stessa spiegazione viene offerta dal fisico J.A. Nollet (1700-1770), secondo il quale l’onda sonora riceverebbe impulsi dai corpi elastici (come una palla da biliardo rimbalza sulle sponde elastiche del campo da gioco).
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Cenni storici sulla storia dell’acustica
Per quanto concerne la scelta tra legno e pietra c’è comunque da fare una distinzione tra teatri e altri edifici (chiese e sale per pubbliche udienze). Per questi ultimi, infatti, già almeno dai primi del secolo XVI architetti e organari si dimostrarono convinti del maggiore assorbimento acustico del legno (C. Cesariano, 1521, allievo del Bramante; F. Giorni, 1535, A. Bardotto, 1652, organaro). Per i teatri, invece, fino all’Ottocento la maggioranza dei costruttori e teorici rimase attaccata alla credenza che il legno, essendo un materiale elastico, conferisse alla sala una maggiore “elasticità sonora” (in ciò anche condizionati dall’erronea analogia con la cassa di risonanza degli strumenti musicali a corda). Sempre in campo teatrale, solo da due relazioni manoscritte settecentesche comincia ad affiorare la consapevolezza del maggiore assorbimento del legno (1756) e, specie alle basse frequenze, delle superfici elastiche quali le sottili incannucciate intonacate usate nei soffitti dei teatri italiani (1794-95). Secondo F. Algarotti, i materiali litoidei – riflettendo il suono in maniera troppo “cruda e aspra” – erano poco adatti ai teatri; al che Antonio Galli Bibiena, sentendosi attaccato proprio su tale punto, dovette difendersi dicendo che i mattoni da lui impiegati per l’interno del teatro Comunale di Bologna (1757) erano di materia “ben cotta” e quindi “più elastica, e come più elastica più ancora risuonante”. Le murature dei teatri appena costruiti – essendo il loro intonaco ancora umido e quindi “molle” – erano ritenute la causa di un eventuale sordità della sala, come ad esempio riferisce Stendhal a proposito del San Carlo di Napoli, quando nel 1817 fu ricostruito (oggi invece sappiamo che è vero proprio il contrario). Risonanza della sala: si pensava fosse principalmente dovuta all’accennata erronea analogia con la cassa armonica degli strumenti musicali; oggi invece è dimostrato che tale analogia è valida solo nel caso in cui le lunghezze d’onda in gioco siano maggiori o almeno compatibili con le dimensioni della cassa. Detta funzione avrebbe dovuto essere coadiuvata da alcuni dispositivi, parimenti ritenuti di risonanza. Tale era ad esempio il soffitto ligneo costituito da una serie di cassette da G.B. Doni (c.1630) e realizzato da F. Galli Bibiena nel teatro Filarmonico di Verona (1724-29): tali autori, contrariamente alle loro intenzioni, non VII
Cenni storici sulla storia dell’acustica
fecero quindi altro che anticipare i moderni pannelli forati, impiegati per aumentare l’assorbimento alle basse frequenze. Forma della sala: Il concetto peripatetico-vitruviano della propagazione del suono, basato sull’analogia con le onde circolari prodotte da un sassolino gettato in uno stagno, prescriveva di dare alla sala una forma rotondeggiante e inoltre di evitare spigoli, ornamenti a sbalzo, discontinuità nella struttura e in genere tutto ciò che si riteneva potesse ostacolare la «circolazione», cioè la libera propagazione, dell’onda nel vano teatrale. F. Carini Motta (1676) espone ad esempio correttamente la funzione riflettente esercitata dai piedritti dell’arcoscenico, ma prescrive una sagomatura concava per il loro intradosso, al fine di meglio adattarlo all’onda sferica su di esso incidente. Questa piuttosto naif impostazione concettuale, nonostante l’adozione del dualismo luce-suono, sopravvisse fino all’Ottocento. Detta persistenza può trovare una spiegazione nell’inadeguata conoscenza dei meccanismi di diffusione, assorbimento e soprattutto diffrazione: quest’ultimo fenomeno, date le lunghezze d’onda in gioco, grandi rispetto alle summenzionate discontinuità, avrebbe infatti nella stragrande maggioranza dei casi assicurato la cosiddetta circolazione. Stato dell’aria dell’ambiente: Già dai tempi di Aristotele, e almeno fino ai rilevamenti sperimentali di J. Tyndall (1867), si pensava che all’aumentare dell’umidità relativa (per ragioni meteorologiche o a causa della traspirazione del pubblico) l’aria venisse privata della sua elasticità e quindi il suono fosse trasmesso con un progressivo grado di appannamento. Oggi invece sappiamo che si verifica proprio l’opposto: l’assorbimento cala all’aumentare dell’umidità relativa, e per quasi tutte le frequenze. Ricordando che l’assorbimento dell’aria è in ogni caso trascurabile sotto circa 2 kHz, con l’aumentare dell’umidità relativa il suono tende a divenire più ricco di armoniche percepibili e quindi più brillante. Riguardo poi all’assorbimento alle alte frequenze dei grandi volumi d’aria, il primo a farne un sia pur indiretto cenno è F. Galeazzi (1791): per ottenere una maggiore sonorità nei teatri di vaste dimensioni egli infatti raccomanda ai violinisti d’orchestra di cavare dai loro strumenti «tutta la voce possibile, VIII
Cenni storici sulla storia dell’acustica
senza curarsi s’ella sia aspra, e cruda, poiché la distanza non mancherà di temprarne qualunque crudezza». Sempre riguardo al mezzo trasmissivo, tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento alcuni architetti progettarono il palcoscenico in modo da favorire la creazione di una corrente d’aria che pensavano «trascinasse con sé» il suono verso la sala. Fino a buona parte dell’Ottocento si riteneva infatti che il vento provocasse un aumento non solo della velocità, ma anche dell’intensità di un’onda sonora che si propaga nella stessa direzione e verso. Oggi è invece noto che quest’ultima ipotesi non sempre si verifica, dato che bisogna anche tenere conto del fenomeno della rifrazione distribuita (per la prima volta chiaramente segnalata dal succitato Tyndall, nel 1867).
Prime esperienze L’acustica nell’edilizia ha radici molto antiche, inizialmente legate all’edificazione di teatri, luoghi esclusivamente adibiti ad eventi spettacolari o pubblici. Andando a scavare ancor più in profondità, riguardo ai luoghi di aggregazione adibiti ad eventi pubblici ci accorgiamo che l’inizio dell’architettura teatrale non coincide con le prime manifestazioni teatrali di cui si abbia conoscenza. Individuando nel rapporto tra un evento spettacolare ed il pubblico che vi assiste la condizione sufficiente al compimento di un evento teatrale, rientrano in questa categoria delle manifestazioni che hanno poco a che vedere col teatro nel senso comune del termine. Si parla infatti di parate militari, di retorica a fini propagandistici e di celebrazioni religiose. Già alcuni testi sacri dell’antico Egitto, ad esempio quello che racconta della morte e della risurrezione del dio Osiride, sono scritti in forma dialogica e probabilmente pensati per la rappresentazione. Questa eventuale rappresentazione sarebbe tuttavia avvenuta nell’ambito dell’edificio religioso, e non in un luogo progettato appositamente per la messinscena. Lo stesso si può dire delle parate militari o dei discorsi di uomini illustri: pur essendo situazioni la cui grande IX
Cenni storici sulla storia dell’acustica
spettacolarità suscitava un entusiastico interesse nella collettività, non avevano un proprio luogo specifico e si svolgevano negli spazi pubblici come le piazze e le vie delle città. Prima della civiltà greca sono pochi gli edifici teatrali progettati in quanto tali: potrebbero rientrare in questa categoria alcuni spazi dei palazzi della civiltà minoica, come il cortile delle feste del palazzo di Festo a Creta. Si trattava di uno spiazzo circondato per tre lati da gradinate che potevano ospitare fino a cinquecento persone venute ad assistere alle danze, alle cerimonie o alle tauromachie che vi si svolgevano. Chiaramente nessuno di questi è stato pensato con la funzione di un luogo per ascoltare, per passare a delle riflessioni del genere bisogna andare ad indagare la metodologia di costruzione, di disposizione dei volumi e delle superfici nei teatri greci.
Epoca classica I teatri greci (il primo risale al 498 a.C.) erano notoriamente costituiti da una gradinata semicircolare (cavea, o auditorium) irradiantesi da un recinto lastricato circolare (poi semicircolare, detto «orchestra») dietro al quale si trovava il palco degli attori, inizialmente di legno. I raggi diretti potevano così raggiungere tutti i singoli spettatori e venivano inoltre rinforzati dalle riflessioni fornite, con ritardo tale da non dare luogo a echi, dal lastricato dell’orchestra e dallo scenario eretto sul fondo del palco. La capienza di pubblico e le conseguenti dimensioni col tempo però aumentarono, per cui l’irradiazione verso la cavea fu incrementata munendo lo scenario di un riflettore acustico, e circoscrivendo la parte superiore della cavea con un «portico» (loggiato che – dice L.B. Alberti nel De re aedificatoria, 1447-52 – tratteneva il suono e lo rimandava con un po’ di riverberazione). Tale maggiore contenimento dell’onda sonora è specialmente evidente nel teatro romano, nel quale le gradinate degli spettatori sono per la prima volta prolungate fino a congiungersi col palcoscenico, realizzato in materiale litoideo. Gli attori erano inoltre dotati di maschere la cui bocca, specie in epoca tarda, era talvolta a foggia di portavoce: quest’ultimo non aveva funzione direzionale, ma fungeva X
Cenni storici sulla storia dell’acustica
soprattutto da adattatore di impedenza, provocando quindi, a paritĂ di sforzo vocale, una maggiore emissione di suono (Cassiodoro riferisce che la sua efficienza era sorprendente).
Su tali teatri preziose informazioni ci vengono fornite da Vitruvio (nel De architectura, secolo I a.C.), che tra l’altro introduce i primi descrittori acustici, sia pure a livello puramente verbale (cita infatti luoghi resonantes, consonantes, ecc.).
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Cenni storici sulla storia dell’acustica
Egli è inoltre anche il primo a riferire che sotto i sedili dei teatri greci, al fine di aumentare la claritas e la risonanza di particolari note, venivano posti dei vasi di bronzo (o di terracotta) accordati, detti echeia (nessuno di essi ci è però pervenuto, benché in alcuni teatri siano state rivenute delle nicchie, da 12 a 20, che sembrano avere ospitato detti dispositivi). Nei teatri romani, privi di echeia, i cantori potevano invece indirizzare la loro voce verso appositi pannelli di legno, in modo da «ricevere aiuto» dallo loro risonanza (Lewcock, Pirn, 2001).
Sulle virtù amplificatrici di tali dispositivi si è molto fantasticato, almeno fino al secolo XVII; murati in molte chiese medioevali, specialmente del Nord Europa, sono stati rinvenuti diversi echeia di terracotta, fino a 40-50 per chiesa, e un documento francese (Metz, 1432) attesta – sia pure con un po’ di scetticismo – che la loro funzione era quella di rinforzare la risonanza. In base al principio di conservazione dell’energia oggi possiamo affermare che dispositivi di questo tipo, se a basse perdite, possono al massimo prolungare di qualche decimo di secondo il tempo di riverberazione della frequenza sulla quale sono accordati (tale frequenza può, al contrario, venire da essi assorbita qualora vengano progettati in modo da presentare elevate perdite). Vasi del genere, appositamente ricostruiti, hanno prodotto riverberazioni da 0,5 a 2,0 s (Bruci, 1951); tale effetto, che per un teatro all’aperto sarebbe certamente stato salutare, decresce però rapidamente di mano in mano che ci si allontana da essi. Nel secolo XX l’impiego dei risonatori è stato ripreso, ma soprattutto al fine di diminuire il tempo di riverberazione alle basse frequenze. XII
Cenni storici sulla storia dell’acustica
Epoca medioevale Passando agli edifici di culto, poco si può dire sulle chiese paleocristiane, quasi tutte rimaneggiate nel corso dei secoli: la basilica romana di S. Maria Maggiore (352 d.C.) presenta ad esempio un ottimo tempo di riverberazione (2,5 s e 4,9 s alle medie frequenze, rispettivamente con e senza pubblico), ma c’è da tenere presente che il soffitto ligneo a cassettoni e le due grandi cappelle accoppiate alla navata sono di epoca rinascimentale. In tempi successivi, un comportamento meno scadente di quanto ci si potrebbe aspettare presentano poi alcune cattedrali gotiche inglesi (Durham, Canterbury, Salisbury, York), dato che la grande altezza delle loro volte riduce il negativo apporto acustico delle riflessioni: i loro tempi di riverberazione vanno infatti mediamente da 8 s per le basse frequenze a 5,5 s per le medie, risultando inoltre poco affetti dalla presenza o meno del pubblico (Lewcock, Pim, 2001).
Epoca rinascimentale Quando nel rinascimento si ricominciarono a costruire edifici teatrali – vedi l’Olimpico di Vicenza (A. Palladio, 1583) – venne sostanzialmente ripreso il modello classico, al quale fu però aggiunto un elemento essenziale per mitigarne l’estrema sordità: il soffitto, tramite il quale lo spazio teatrale veniva completamente confinato. Sopravviveva il «portico», sotto forma di finto loggiato ligneo, che però acusticamente ricopriva il ruolo di dispositivo anti-eco (Cingolani, 1999). Per quanto poi riguarda gli edifici civili e di culto, furono invece riprese le nicchie (agenti da diffusori del suono) e le «cornici» che Vitruvio aveva inserito nei suoi modelli di curia civile e religiosa. Queste ultime consistevano in cornicioni correnti a metà altezza lungo le pareti perimetrali interne, e il loro aggetto si riteneva impedisse alla voce dell’oratore di disperdersi verso la volta, con conseguente riverberazione nociva all’intelligibilità. Tali elementi vitruviani si riscontrano anche nella prima sala espressamente destinata alla musica strumentale di cui si ha notizia: XIII
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quella dell’ormai non più esistente palazzo che Alvise Comparo si era fatto costruire a Padova nella prima metà del Cinquecento (la funzione acustica delle nicchie di cui era dotato viene esplicitamente sottolineata da S. Serlio, 1475-1544). Nicchie e cornicioni – il contributo acustico di questi ultimi viene menzionato da L.B. Alberti (1447-52), C. Cesariano (1521) e G. Philander (1544) – sono componenti che proliferarono negli interni rinascimentali, forse su imitazione di quelli presenti nel Pantheon di Roma (l’opera di Vitruvio ci è infatti giunta priva delle illustrazioni). Anche il soffitto a cassettoni – questi ultimi pure presenti nella cupola del Pantheon, benché ci siano pervenuti privi degli elementi decorativi, con la loro funzione assorbente – divenne un elemento essenziale per migliorare l’intelligibilità delle omelie negli edifici sacri, requisito che con l’avvento della controriforma rafforzò la sua importanza: il veneziano F. Giorgi (1535) lo consiglia proprio a tale fine, mentre rimane favorevole alle volte di pietra per le piccole cappelle destinate alle esecuzioni vocali. Unitamente alla grande quantità di decorazioni scultoree, già V. Scamozzi ( 1615) riteneva che gli elementi summenzionati contribuissero a conferire a una basilica vasta come quella di S. Pietro in Vaticano una riverberazione insolitamente bassa anche sotto la grande cupola, la quale non produce alcun fenomeno di eco; moderni rilevamenti hanno confermato che essa è, alle basse e medie frequenze, di soli 7 s e 3,5 s, rispettivamente a basilica vuota e piena alla capienza massima. Il principio che sta alla base delle cornici vitruviane si ritrova inoltre, sia pure in versione assai più efficace, nei tendoni che spesso venivano tesi sopra le cantorie degli organi, al fine dichiarato di impedire che il suono raggiungesse le volte della chiesa, con le conseguenti dannose riflessioni (vedi ad esempio: S. Giustina, Padova, 1640; S. Petronio, Bologna, 1722; S. Maria della Pietà, Venezia, 1770).
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Cenni storici sulla storia dell’acustica
Epoca seicentesca Nel seicento si assiste a alla cosiddetta nascita dell’acustica geometrica. Dopo più di un millennio di stasi, abbiamo visto che nel rinascimento si assiste alla rifondazione del teatro; dato che essa avviene in Italia, italiane sono anche le prime testimonianze relative all’acustica teatrale. Dopo una iniziale umanistica dipendenza dalle fonti classiche, negli ultimi decenni del Cinquecento l’avvento della rivoluzione scientifica impone una radicale svolta: con la riscoperta delle sezioni coniche e lo studio degli specchi ustori di Archimede, la propagazione del suono, da «ondulatoria» che era, comincia infatti a venire associata a quella dei raggi luminosi. Ad opera del veneziano E. Ausonio, seguito da G.B. Della Porta (Magia naturalis, Napoli 1589) e G. Biancani (Sphaera mundi, Bologna 1620), nasce quindi l’acustica geometrica, con i conseguenti primi tentativi di focalizzazione del suono e di modificazione della forma della sala. Il primo sviluppo matematico di tali direttrici è dovuto a B. Cavalieri (Lo specchio ustorio, Bologna 1632), il quale fu anche il primo ad affermare che – per il suono, e contrariamente ai raggi luminosi – nella pratica progettuale bisogna tener conto di un fenomeno che F.M. Grimaldi, anteriormente al 1663, rinverrà invece in campo ottico (sia pure con manifestazioni assai meno accentuate) e che denominerà «diffrazione». Tale fenomeno era proprio quello che creava problemi alle voci di basso, attenuandone la direzionalità e quindi l’udibilità fino al fondo della sala; a tale riguardo, intorno al 1630 G.B. Doni riferisce che, proprio per ovviare a tale inconveniente, in Francia alcuni bassi si servivano di un «bocchino» simile ai piccoli portavoce degli attori classici (Barbieri, 1998). Per la pianta delle sale, autori come M. Mersenne (1636) e M. Bettini (1642) cominciarono quindi a prendere in considerazione la parabola, l’iperbole e l’ellisse, tutte sezioni coniche differenti dal cerchio, sul quale erano stati impostati i primissimi teatri rinascimentali. La prima sala basata su questo nuovo indirizzo è da individuarsi nel refettorio del convento dei Filippini presso la Chiesa Nuova di Roma, tuttora esistente (F. Borromini, 1639): la sua forma ellissoidale fu espressamente richiesta XV
Cenni storici sulla storia dell’acustica
dal priore del convento, convinto così di farsi meglio intendere nel corso delle omelie (dimenticando però di fare almeno posizionare il pulpito in uno dei due fuochi!). La forma ovoidale, sia pure vista da un’altra angolazione, si rivelò poi essere in sostanziale accordo con i diagrammi di irradiazione dell’onda sonora, quando iniziarono a essere formulati sotto l’aspetto qualitativo-sperimentale (J.M. Hase, 1719; P. Patte, 1782; G. Saunders, 1790) e matematico (G. Riccati, 1788); tali diagrammi erano però validi solo per il campo aperto, dato che non tenevano conto della riverberazione. Per quanto poi riguarda l’iperbole, sembra che ad essa si sia ispirato F. Galli Bibiena per la sua famosa «curva fonetica a campana», già messa in pratica nel Teatro Ducale di Milano, da lui eretto nel 1717. Con l’affermazione del recitativo accompagnato, nato a Firenze negli ultimi due decenni del Cinquecento, l’intelligibilità del testo diventava il parametro più importante anche nelle sale destinate alla rappresentazione dei primi melodrammi. Di ciò si hanno due conferme indipendenti. Nel 1585 il Teatro Olimpico di Vicenza fu inaugurato con un Oedipus rex di Sofocle corredato da cori di A. Gabrieli, da due a sei voci; benchè fino a quindici fossero i cantanti che li eseguivano, una cronaca coeva sentì la necessità di ricordare «che s’intendevano schiettamente le parole quasi tutte». Riguardo poi alla prima del Sant’Alessio di S. Landi (Roma, 1632, nel teatro dell’appena edificato palazzo Barberini), il francese J.J. Bouchard osserva che «si udivano tutte le parole così distintamente come se [i cantanti] non avessero fatto altro che parlare». Detta esigenza richiedeva inoltre che gli strumentisti, anche per realismo rappresentativo, fossero relegati dietro la scena (vedi ad esempio l’Euridice di J. Peri, 1600); la cosiddetta «orchestra» davanti al palcoscenico aveva d’altro canto conservato, come già l’omonimo recinto lastricato del teatro classico, il ruolo di spazio scenico. G.B. Doni (c.1630) riferisce che in tali condizioni anche il «ripieno», cioè il tutti, «rende così poco suono, che appena si ode da’ più vicini alla scena». La prima fonte attestante il posizionamento degli strumentisti davanti al palcoscenico risale XVI
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al 1622 (Martirio di Sant’Agata, di J. Cicognini, in un oratorio di Firenze). La testimonianza successiva risale al 1628, quando una profonda fossa orchestrale ai piedi del palco fu edificata nel Teatro Farnese di Parma (edificato da G.B. Alcotti dieci anni prima), per la rappresentazione del Mercurio e Marte di C. Monteverdi. Anche nell’Andromeda di M. Rossi (Ferrara, 1638) l’orchestra continuò a rimanere sepolta in una fossa del tutto simile alla precedente, fornendo quindi un sottofondo armonico dal quale nessuno strumento poteva emergere individualmente. Talvolta gli orchestrali erano confinati su palchi ai lati della scena, perché di intralcio alle macchine teatrali e anche perché – aggiunge lo scenografo N. Sabbatini, ancora nel 1638 – era bene che essi non fossero «veduti di fuori, secondo che l’esperienza persuade essere più sano consiglio». Si vedrà che a partire dalla metà del secolo la situazione invece tenderà a ribaltarsi.
Epoca settecento e ottocentesca A partire dai teatri veneziani di S. Cassiano e dei Santi Giovanni e Paolo (1637-39) la struttura interna si allontana decisamente da quella rinascimentale: la cosiddetta «orchestra» si allarga al pubblico fino a diventare la platea delle moderne sale, mentre la cavea si trasforma nei palchi del teatro all’italiana (estesi fino a cinque ordini) o nelle balconate di quello alla francese. Specialmente in Italia, la pianta della sala assume le più svariate configurazioni (a V, a U, ellittiche, ovoidali, a ferro di cavallo, a spirale logaritmica), talvolta frutto di speculazioni fisico-matematiche motivate soprattutto dal_l’esigenza di contemperare lo spinto compattamento del pubblico col massimo comfort visivo. Il tempo di riverberazione medio era quindi piuttosto basso, risultando quindi ideale per sentire «con egual felicità qualunque artificioso giro della voce del cantante» (F. Giorgi, 1795, architetto del Tordinona di Roma); alla Scala di Milano era ad esempio di 1,25 secondi, alle medie frequenze, a sala piena (Beranek, 1996; per questo e altri teatri italiani vedi anche i rilevamenti di XVII
Cenni storici sulla storia dell’acustica
Tronchin, 1994). Il pubblico che letteralmente rivestiva l’interno – oltre a garantire l’assenza di echi e di onde stazionarie, coadiuvato da una pianta a pareti non fra loro parallele – assorbiva infatti le medie e le alte frequenze, mentre invece i palchi, il soffitto (costituito dalla cortina di canne palustri intonacate e il rivestimento di legno attenuavano le basse, evitando così rimbombi. La brillantezza del suono veniva soprattutto affidata alle riflessioni del proscenio, dell’arcoscenico (spesso strombato proprio a tale fine, almeno a partire da quello dei Santi Giovanni e Paolo, 1639) e dai parapetti dei palchi, che a partire dal neoclassicismo vennero realizzati «a fascia continua» e, in ossequio ai principi acustici pseudo-aristotelici, perfettamente lisci. La riflessione operata dai parapetti era importante soprattutto nei teatri all’italiana, per controbilanciare l’elevato assorbimento dei palchi: ne La Scala (1778) essi erano particolarmente alti, e limitavano così al 40% circa l’assorbimento totale delle pareti; nei teatri francesi, che erano dotati non di palchi, ma di balconate, tale assorbimento era invece del solo 25%, secondo quanto riferisce P. Patte nel 1782. Con la crescita della borghesia e la conseguente ambizione di meglio far risaltare le ricche toilettes delle dame in bella mostra nei palchi, a partire dall’Ottocento i parapetti vennero abbassati, con conseguente crescita dell’assorbimento (Beranek, 1962): vedi ad esempio la Royal Opera House di Londra e il Teatro Valle di Roma (quest’ultimo dopo la ristrutturazione di G. Valadier, ca.1820). Per quanto infine riguarda il pavimento del palcoscenico, c’è da osservare che l’avanzamento del proscenio – caratteristica dei teatri italiani che inizia a manifestarsi già nel 1639 (Venezia, Santi Giovanni e Paolo) — aveva lo scopo di permettere al cantante di avvicinarsi maggiormente al pubblico e quindi di «impedire alla sua voce di perdersi fra le quinte» (C.N. Cochin, 1765); esso contribuiva inoltre alla riflessione del suono verso le zone alte della sala. Ciò facendo si veniva però a creare un grave problema formale, dato che il cantante era costretto ad abbandonare il luogo in cui si svolgeva l’azione scenica. Tollerata come minor male nel tardo Seicento (Carini Motta, 1676), a partire dalla metà del secolo XVIII
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successivo, con l’evoluzione del melodramma, tale prassi fu giudicata con assai minore indulgenza: in tal modo, commenterà drasticamente una gazzetta napoletana del 1816, si venivano infatti a confondere «il gran teatro dell’opera e l’accademia di musica». Vennero quindi introdotti alcuni accorgimenti acustici. Si è visto che utili riflessioni erano fornite dall’arcoscenico, anche se spesso nell’intradosso dei suoi piedritti venivano aperti i cosiddetti «palchi di proscenio» (ambitissimi dal pubblico, ma avversati dagli architetti). Al fine di evitare fenomeni di rimbombo, nel 1787 l’ingegnere napoletano V. Lamberti sarà il primo a fornire quantitative valutazioni riguardanti lo sfalsamento temporale massimo tra il suono diretto e quello di prima riflessione proveniente dall’arcoscenico (sfalsamento che fissa in 67 ms). Per accrescere il talvolta troppo basso tempo di riverberazione, venivano anche inseriti dei risonatori di tipo cavo. Oltre al saltuario impiego degli echeia di vitruviana memoria, si ricorreva a pozzi o cisterne scavati – facendo affidamento sull’autorità dei pseudo-aristotelici Problemata – nella platea: vedi ad esempio il Vendramin di Venezia (1688) e il San Carlo di Napoli (pozzi aperti nel 1742 da G.M. Galli Bibiena per cercare di attenuarne la secchezza acustica). Analoghi risonatori furono aperti anche sotto il recinto orchestrale, il palcoscenico e il pavimento della platea (talvolta senza soluzione di continuità, come ad esempio nella grande «conca armonica a fondo di violino» realizzata in alcuni teatri italiani del tardo Ottocento). C’è inoltre da ricordare che al 1790 (Venezia) risale la prima segnalazione dei picchi di risonanza naturali della sala, già ben noti ai cantanti quando intonavano determinate note in determinati punti del palcoscenico. Allo scopo di far giungere il suono in tutte le parti della sala, nel Teatro Argentina di Roma fu scavata una rete di canali sotterranei contenenti acqua, le cui caratteristiche di buona riflessione per tutte le frequenze erano già allora ben note, in seguito allo studio degli acquedotti romani. L’architetto G. Saunders (1790) riferisce che tale accorgimento apportò miglioramenti «sorprendenti». Si pensò anche di intervenire sullo stato dell’aria ambiente. V. Lamberti XIX
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(1787) propose ad esempio che apposite tubature immettessero nella sala aria fresca proveniente dall’esterno: in base a nuove acquisizioni scientifiche (F. Hawksbee, 1705), che contrastavano con quelle aristoteliche, ciò avrebbe aumentato la densità dell’aria e quindi l’intensità del suono. Sotto l’aspetto puramente acustico, oggi possiamo dire che tali conclusioni sono corrette nei risultati, ma prive di valore sotto l’aspetto teorico, dato che il concetto di impedenza acustica del mezzo trasmissivo verrà introdotto solo nel 1914, da A.G. Webster. Si è anche accennato all’espediente di progettare il palcoscenico in modo da incrementare la corrente d’aria da esso proveniente. Già proposto teoricamente dal francese de Chaumont (1766), tale principio fu applicato sistematicamente dal solo A. Niccolini (il quale, nel 1823, dichiarò di averlo messo in pratica in ben quattordici teatri, tra cui il San Carlo di Napoli). Tale innovazione sembra però abbia apportato vantaggi solo alla visuale, dato che l’arcoscenico veniva in tal modo allargato; nel 1826 fu ancora caldeggiata da H. Matthews (Beyer, 1999), benché acusticamente fosse invece stata giudicata inutile dal trattato di E.F.F. Chladni (1809). Col mutato indirizzo del melodramma e l’avvento del tipico teatro all’italiana, essa fu definitivamente posizionata davanti al palcoscenico e portata allo stesso livello della platea (e talvolta anche un po’ al di sopra). Questa impostazione, che fino a tutto l’Ottocento rimarrà tipica dei teatri italiani, permetteva di ottenere un’aumentata intensità sonora, una migliore intesa tra cantanti e strumentisti, maggiore chiarezza, qualità che nell’orchestra dell’Opera di Parigi era invece giudicata da J.J. Rousseau insoddisfacente, essendo «infossata nella terra». Quest’ultima caratteristica trovò conferma nel 1882, in occasione del collaudo acustico del nuovo teatro dell’opera di Roma (il Costanzi): l’accresciuta fusione dei suoni, derivante dall’avere infossato l’orchestra in un «paraboloide ellittico», fu giudicata poco adatta alle opere del secolo precedente. Nel 1876 R. Wagner, per la Bayreuth Festspielhaus, impose requisiti che si rivelano simili a quelli del primo Seicento italiano: tempo di riverberazione tale da permettere una sufficientemente buona intelligibilità del XX
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del testo (1,6 s alle medie frequenze, a sala piena, secondo Beranck, 1996), che risalta su di una orchestra sepolta in un profondo e tortuoso «golfo mistico», capace di contenere fino a 130 esecutori. Riguardo al numero degli esecutori, già dal Settecento almeno ci si era resi conto che il livello di sensazione uditiva non è direttamente proporzionale al livello di intensità acustica della sorgente sonora. Brosses – a proposito di una cerimonia papale al palazzo del Quirinale, cui parteciparono circa 200 musicisti – nel 1739 osservò infatti che il volume sonoro non sembrava più elevato di quello che avrebbero prodotto soli 50 esecutori (oggi diremmo infatti che la differenza di livello sonoro tra 50 e 200 musicisti è di soli 6 dB).
Allo scopo di accrescere l’intensità, nel Settecento le orchestre italiane introdussero sotto l’assito del loro recinto una cassa lignea semicilindrica, ispirata a quella delle antiche chitarre, che caratterizzò i teatri della penisola fino ai primi decenni del Novecento. XXI
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In seguito a rilevamenti acustici recentemente effettuati, sembra che, contrariamente a quanto da molti supposto, il suo apporto non fosse affatto trascurabile (Cocchi, 1995). Tale dispositivo fu accolto da molti teatri esteri (vedi ad esempio quello di Dresda) e rinforzato mestarsi già nel 1639 (Venezia, Santi Giovanni e Paolo) — aveva lo scopo di permettere al cantante di avvicinarsi maggiormente al pubblico e quindi di «impedire alla sua voce di perdersi fra le quinte» (Ch. N. Cochin, 1765); esso contribuiva inoltre alla riflessione del suono verso le zone alte della sala. Ciò facendo si veniva però a creare un grave problema formale, dato che il cantante era costretto ad abbandonare il luogo in cui si svolgeva l’azione scenica. Tollerata come minor male nel tardo Seicento (Carini Motta, 1676), a partire dalla metà del secolo successivo, con l’evoluzione del melodramma, tale prassi fu giudicata con assai minore indulgenza: in tal modo, commenterà drasticamente una gazzetta napoletana del 1816, si venivano infatti a confondere «il gran teatro dell’opera e l’accademia di musica».
Epoca novecentesca Bisogna premettere che, a partire dal tardo Settecento, l’architettura delle sale era cambiata e la loro acustica divenuta più critica, in seguito alla comparsa di cupole, alla crescente adozione di un solo ordine di balconate e all’uso di muri nudi anche all’interno. Specialmente in America, alcuni ricercatori, come J.P. Upham (1853) e il fisico J. Itenry (1854-56), focalizzarono quindi maggiormente la loro attenzione sul tempo di riverberazione, limitandosi però a disposizioni progettuali di tipo qualitativo (Knudsen, 1932). L’avvio della moderna acustica architettonica può essere fissato nel 1898, anno in cui l’americano W.C. Sabine, a conclusione di rilevamenti sperimentali, riuscì invece a dare una descrizione quantitativa di detto descrittore, fornendo una formula da cui risulta che esso è proporzionale al volume della sala e all’inverso delle sue perdite. Il primo teatro moderno scientificamente progettato può quindi essere considerato la nuova Symphony Hall di Boston (1898-1900), in cui XXII
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Sabine stesso, nominato consulente acustico, applicò con successo la sua formula, che particolarmente si adattava alla regolarissima pianta rettangolare della sala. Tale formula – pur sostanzialmente confermata a livello teorico da A. Jaeger (1911), tramite metodi statistici – subirà aggiustamenti a cominciare dal 1930, con C.F. Eyring.
Fin dai primissimi decenni del secolo i progettisti si avvalsero inoltre di costruzioni grafiche basate sul metodo delle sorgenti immagine, per avere una sia pure approssimata mappatura delle riflessioni e di modelli reali in scala, a due e tre dimensioni. XXIII
Cenni storici sulla storia dell’acustica
Questi ultimi si basavano su diversi principi e si servivano di (Knudsen, 1932): - onde circolari create su di una superficie d’acqua introdotta nel modello a due dimensioni; - impulsi sonori ad alta frequenza (in scala col modello) prodotti dalla scarica di un condensatore elettrico (già segnalati nel 1912); raggi luminosi fatti riflettere sulle pareti metalliche, lucidate a specchio (tecnica sviluppata soprattutto negli anni Venti).
Il primo grande teatro frutto di tali nuovi criteri fu la Salle Pleyel2 di Parigi (1927): in essa il progettista adottò un profilo parabolico, al fine di massimizzare le riflessioni verso il pubblico, incappando però nell’inconveniente di ottenere una insufficiente riverberazione (Knudsen, 1932; Beranek, 1962). Già J.G. Rhode nel 1800 (Hartmann, 1990), e successivamente Chladni (1802) e A. Lovatti (1853) avevano caldeggiato un indirizzo analogo, proponendo sale che si allargavano con andamento tronco-piramidale a partire dal palcoscenico.
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In appendice è possibile consultare un approfondimento sulla Salle Pleyel
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Cenni storici sulla storia dell’acustica
Nel dopoguerra fu inaugurata un’altra importante sala, la Royal Festival Hall, a Londra (1951); in quel periodo la maggiore preoccupazione dei progettisti rimaneva però quella dei decenni precedenti, i riflettori del suono (posti sul palcoscenico), il che dette luogo – con il negativo apporto dei coefficienti di assorbimento del pubblico, allora errati per difetto – a un tempo di riverberazione nei bassi di soli 1,4 s. A ciò fu ovviato applicando, per la prima volta in un auditorium, una assisted resonance di tipo elettronico (1964-69). Nel soffitto, in corrispondenza degli antinodi di pressione delle risonanze, furono disposti ben 172 risonatori meccanici accordati, ognuno dotato di un microfono e di un altoparlante; le loro vibrazioni, coprenti la banda 58-700 Hz, venivano trasdotte dal microfono e, dopo opportuna amplificazione, re-irradiate tramite l’altoparlante. Tale correzione fu dosata nel corso di alcune stagioni sinfoniche (innalzando progressivamente la riverberazione alle basse frequenze fino a circa 2,5 s, a sala vuota) e col minimo possibile di pubblicità, al fine di evitare reazioni critiche dettate da preconcetti (Parkin, Morgan, 1970). Oggi riverberazioni di tipo puramente elettronico sono particolarmente utilizzate nelle sale cinematografiche e dai gruppi pop, i quali, per conservare il più possibile il proprio sound, preferiscono sale neutre o addirittura luoghi all’aperto. Al fine di non cadere nel difetto dei due summenzionati teatri e di aumentare la riverberazione con mezzi puramente meccanici, nella immensa Koussevitzky Shed di Lenox, Massachusetts, Tanglewood (1959) furono sospesi alla parte anteriore del soffitto dei pannelli (noti come clouds) che fornivano le prime riflessioni, mentre un opportuno spazio tra di essi lasciava passare la rimanente parte dell’onda sonora, che, diffusa dal soffitto, forniva una adeguata coda riverberante (Beranek, 1996). La riflessione introdotta da dette clouds è però inevitabilmente selettiva: nel celebre caso della Philarmonic Hall (Lincoln Center, New York, 1962) – progettata da L. Beranek, che ritenne addirittura superfluo testarne l’acustica su di un modello in scala – le loro ridotte dimensioni dettero luogo a insufficienti prime riflessioni nei bassi, contribuendo così alla scarsa clarity, in quella banda (Schroeder,1966). XXV
Cenni storici sulla storia dell’acustica
In ogni caso, già alla fine degli anni Venti ci si era resi conto della impossibilità di progettare sale adatte a tutte le esigenze, cioè a parlato, musica da camera e sinfonica. In seguito alle esigenze della neonata radiofonia, gli studi di registrazione erano riusciti dal canto loro a ottenere un’ampia regolazione del tempo di riverberazione (tra 0,5 e 4,0 s) mediante l’inserimento di opportune superfici assorbenti, come tende o pannelli regolabili (Knudsen, 1932). Tecnica che, su indicazione di C. Moeller ( 1930), fu poi estesa ai teatri e successivamente implementata con la cosiddetta «geometria variabile», che estendeva detta regolazione ai volumi, principalmente tramite soffitti ad altezza regolabile (vedi ad esempio L ‘Espace de Projection all’IRCAM del Centre Pompidou di Parigi, 1978).
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Cenni storici sulla storia dell’acustica
Fino agli anni Trenta l’unico descrittore acustico era rimasto il tempo di riverberazione. Ad esso intorno al 1930 V.O. Knudsen affiancò l’Arriculation index, cioè un indice di intelligibilità del parlato ideato da H. Fletcher e J.C. Steinberg (1929), di cui ci si serviva già in telefonia. Anche tramite esso Knudsen e Cyril Harris furono in grado di tracciare le note curve che danno il tempo di riverberazione ideale in funzione del volume della sala, per le differenti esigenze, come la prosa e i vari generi musicali (Beyer, 1999). A tali descrittori nel 1962 Beranek cominciò ad affiancarne altri, anche di tipo psicoacustico. La prima applicazione del computer digitale al campo dell’acustica architettonica risale al 1963, quando M.R. Schroeder e B.S. Atal, dei Bell Telephone Laboratories (Murray Hill, New Jersey), misurarono il tempo di riverberazione di una semplice sala costruita virtualmente all’interno dell’elaboratore (Schroeder, Atal, 1963). Contemporaneamente essi effettuarono anche il primo esperimento di auralizzazione, installando nel computer un segnale anecoico preregistrato, aggiungendo la XXVII
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riverberazione risultante dalle sole plurime riflessioni dei raggi acustici secondo le regole dell’ottica (senza cioè aggiungervi, come nei moderni programmi, anche la diffusione e la diffrazione) e irradiando il suono così elaborato in una camera anecoica tramite due altoparlanti opportunamente disposti: un ascoltatore, seduto in posizione centrale, poteva così ascoltare il suono con la riverberazione virtuale. Oggi tutti i differenti sistemi sono basati sulla tecnica del Ray Tracing (vedi capitolo 20). Tecnica normalmente corredata dall’auralizzazione, processo che ebbe particolare risonanza a partire dagli anni Settanta, quando lo stesso Schroeder, nel frattempo tornato in Germania e trasferitosi all’università di Góttingen, fece registrare in camera anecoica la sinfonia Jupiter di Mozart, per irradiarla poi in venti celebri teatri: mediante registrazioni ottenute con una dummy head (testa artificiale munita di due microfoni in corrispondenza delle orecchie) piazzata in diversi punti della sala, fu così in grado di analizzare la differente colorazione acustica conferita alla composizione dai vari teatri.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“Per riconoscere la presenza di un fenomeno acustico nel dominio delle forme non bisogna essere l’iniziato delle parole tabù, ma soltanto l’individuo sensibile alle cose dell’universo. L’orecchio può “vedere” le proporzioni. Si può “ascoltare” la musica della proporzione visuale.” 3 L’indagine di Le Corbusier inerente al sapere acustico non si ferma al solo buonsenso o pensiero pressapochistico, ma scava in profondità per capire realmente qual è l’effetto del suono all’interno di uno spazio o meglio, l’effetto di uno spazio su un suono e la conseguente sensazione data al fruitore di quel luogo. È noto a pochi lo studio acustico di Le Corbusier circa parecchi suoi progetti, uno studio accurato, intelligente, capace di porsi un problema e di cercare, talvolta aiutato da personaggi più esperti di lui, una soluzione realmente efficace. Le Corbusier non si limita solo a parlare il linguaggio dell’acustica tecnica, dei riverberi, delle riflessioni e degli assorbimenti ma va oltre, indaga anche la musica, prendendola come modello di armonia, di proporzione e di matematica, comparandola con il campo dell’architettura con 3
Le Corbusier, Modulor 2, 1950
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
parole di forte stima e di grande critica, invece, nei riguardi della “sua” materia.
“Il jazz, come i grattacieli, è un evento che esprime la forza del presente. E’ molto più avanti dell’architettura. Se così non fosse, lo scenario davanti ai nostri occhi sarebbe ben diverso. Lo ripeto: Manhattan è un hot-jazz di pietra e acciaio. E’ necessario che il rinnovamento di un epoca si basi su qualche punto fondamentale e la gente di colore lo ha individuato nella musica: lo ha fatto scaturire dal passato e lo ha situato nel tempo presente.” 4
Ammetteva di non aver avuto un’educazione specifica e di non distinguere tra loro nemmeno le note di uno spartito ma di possedere una sensibilità capace di apprezzarla e giudicarla, a suo avviso la musica è “tempo e spazio” come l’architettura, perché entrambe dipendono dalle misure e dai rapporti armonici. Su quest’ultimo argomento mi soffermerò alla fine del capitolo, parlando di alcuni suoi progetti pensati come veri e propri luoghi per la musica e per rappresentazioni “sensoriali”. 4 Racconto di una sera a Broadway dopo un concerto di Louis Armstrong e successivamente, a notte fonda, ad Harlem ad ascoltare “le piccole orchestre che si esibivano ovunque”.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Il Palazzo delle Nazioni a Ginevra, un organismo per vedere e ascoltare Il primo studio del maestro circa i fenomeni acustici risale al palazzo delle Nazioni a Ginevra. Per la progettazione di questo palazzo, nel 1927, è stato indetto un concorso internazionale vinto dal progetto di Le Corbusier insieme con il fratello Pierre Jeanneret. Questo progetto trae tutta la sua forza funzionale e compositiva proprio da una grande sala per 2600 persone, un organismo per vedere e ascoltare, una sala enorme con un obiettivo primario:
“Riunire un gruppo di persone che provengono dai quattro angoli della terra e che parlano lingue differenti per discutere, non principi filosofici astratti e avulsi dalla realtà contingente, ma problemi concreti come la pace o la guerra nel mondo.” 5 Invita poi a ricordare come, durante le nostre visite alle grandi opere d’architettura del passato, ci fosse impossibile udire persino le parole delle guide a meno di non essere incollati ai loro passi. Per essere più esplicito prende ad esempio la sala principale della Camera dei Deputati a Parigi, un ambiente di modeste dimensioni e caratterizzato da una pessima acustica e spiega, con molta ironia, cosa può accadere se non si presta la dovuta attenzione nel creare spazi che possano favorire un ascolto perfetto.
“Per questo motivo dopo la rivoluzione del 1889, è stato inventato lo stile tribuna e ogni epoca ha avuto i suoi grandi usignoli: coloro che possedevano una gola adatta a produrre effetti oratorii. Il pensiero però non risiede nella gola. La gola non ha la forza di governare per sempre. A Ginevra, teoricamente, si sarebbe voluto concepire più un pensiero di testa che un pensiero di gola. Ma le dimensioni gigantesche previste per la sala ci annunciano un disastro irrimediabile, se venisse costruita seguendo i mezzi, le ricette e i canoni dell’Accademia.” 6 5 6
Le Corbusier, Une Maison – Un Palais, cit. Trad. Amedeo Petrilli Tratto da “Acustica e Architettura”, Amedeo Petrilli, ed. Marsilio
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Come contrapposizione esamina l’antico teatro romano di Orange, una città nel sud della Francia. Le guide locali, per i visitatori seduti sulle gradinate, lasciano cadere una moneta sulla pedana in legno. Il tenue rumore prodotto giunge all’orecchio del visitatore nella sua totale esattezza. Le Corbusier spiega le ragioni dell’accaduto:
“Uno spazio senza soffitto, senza volte, cupole, archi, i materiali utilizzati e la disposizione dei gradini seguono scrupolosamente le leggi della fisica. […] I teatri antichi sono l’espressione di un disegno rigoroso e pieno di sapienza, mentre molti grandi invasi progettati o costruiti nell’epoca moderna spesso non tengono nemmeno conto dei principi essenziali dell’acustica.” 7
Le Corbusier è particolarmente velenoso nei confronti dell’architettura del suo tempo e soprattutto di quella insegnata alle Beaux Arts di Parigi. Le leggi dell’acustica ci introducono in un “ordine biologico” dell’architettura. Sono evidenti le conseguenze formali. Manca però una conoscenza scientifica del fenomeno acustico che Le Corbusier trova negli esperimenti di Gustave Lyon, suo contemporaneo. Proprio per questo fatto, prima di iniziare il progetto per il Palazzo delle Nazioni di Ginevra svolge una lunga analisi sugli esperimenti di Lyon per carpire i segreti dell’acustica nei teatri greci. 7
Le Corbusier, Une Maison – Un Palais, cit. Trad. Amedeo Petrilli
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Lyon era un esperto notevole all’inizio del novecento, famosissimo per essere stato proprietario delle fabbrica di pianoforti Pleyel e per aver costruito a Parigi la Salle Pleyel°, unico auditorium parigino con capienza di 3000 posti. Nel 1927, anno della sua costruzione, è stato ritenuto un esperimento assolutamente riuscito grazie alla sua acustica definita da molti eccezionale.
Lyon studiò a fondo l’acustica sperimentando senza sosta e studiando gli esempi illustri del passato, primi tra tutti i teatri greci.
° In appendice è presente un’approfondimento sulla Salle Pleyel
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“Il teatro greco prevede una scena: l’oratore è lì e parla. La sua voce parte con la forma di una sfera (onda sonora); a man mano che la sfera si amplifica, i timpani degli ascoltatori entrano in contatto con un frammento minuscolo di questa sfera (ascolto diretto); dietro però è situato un muro verticale. La sfera d’emissione lo colpisce. Come conseguenza questo muro, in tutti i suoi innumerevoli punti –per rimbalzo- riflette una grande quantità di sfere che ripartono verso le orecchie degli ascoltatori. Davanti all’oratore, ai suoi piedi, vi è il pavimento levigato dell’orchestra. La sfera diretta ne colpisce la superficie, rimbalza seguendo l’angolo d’incidenza e origina innumerevoli nuove sfere che, partendo obliquamente, lambiscono tutti i gradini dell’anfiteatro. Solo la volta del cielo ricopre il teatro; per questa ragione tutte le sfere, dopo essere entrate in contatto con i timpani degli ascoltatori, continuano ad amplificarsi e volano in cielo: non torneranno mai più. Se è stato teso un velo al di sopra di questo spazio, le onde sonore vengono assorbite nella loro totalità. Il teatro greco non ha un soffitto: ha soltanto un muro riflettente. Tutte le onde sono proiettate verso il pubblico, svolgono con diligenza il compito loro assegnato e non torneranno mai indietro”. 8 Ecco che con qualche semplice e intuitiva riga spiega uno dei segreti della inaspettata acustica di Epidauro e compagni, si pensi solo che nel teatro di Epidauro la massima distanza dell’ascoltatore dalla sorgente sonora è di 70 metri e con le gradinate piene non fatica a sentire l’attore che recita. Per comprendere meglio il principio teorico di questa spiegazione è interessante citare un’altra esperienza di Gustave Lyon.
“Circa venti o trent’anni fa, continuando ostinatamente i suoi studi sull’acustica, approfittò di una magnifica notte con il chiaro di luna sulla Senna, vicino a Parigi. L’aria era di calma assoluta: l’acqua era liscia come uno specchio. Prese un battello e risalì il fiume; un suo amico ne prese un altro e discese nella 8
Tratto da “Acustica e Architettura”, Amedeo Petrilli, ed. Marsilio
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
direzione opposta. Uno di loro leggeva il giornale con voce normale; i battelli si allentavano l’uno dall’altro. A 50 metri, si sentiva perfettamente; anche a 100, a 200 e perfino a 500 metri. Raggiunsero entrambi un ponte; i due ponti erano distanti tra loro 1500 metri; la lettura del giornale era percettibile da un ponte all’altro! Poi tornarono indietro. Arrivati a 100 metri l’uno dall’altro, si levò un leggero vento che increspò leggermente la superficie dell’acqua. Non si sentivano più! Neanche a 50 e a 20 metri: le pieghe dell’acqua, sollevando una infinità di piccole muraglie oblique, rifrangevano verso l’alto le onde sonore, molto al di sopra della testa di chi ascoltava. Lo specchio liscio dell’acqua, un immenso piano di rifrazione in cui ogni punto rifletteva il suono, non esisteva più. E si erano anche dissolte tutte le onde sonore che prima raggiungevano l’orecchio dell’ascoltatore.” 9 Il ragionamento di Lyon si basa quindi, parimenti a quello di Sabine per la legge del T6010, sull’esperienza e sul tentativo di capire come si comporta il suono in un determinato spazio. Anche oggi la professione dell’acustico si basa moltissimo sull’esperienza, rimane ancora una scienza che necessita di intuito e di studio. Queste parole sono all’ordine del giorno nei congressi di acustica che contemporaneamente lamentano anche una incompletezza legislativa e soprattutto una scadente trasparenza dei produttori di materiali. Per questo riporterò in coda al lavoro di tesi una mia piccola esperienza nel campo dell’acustica. Ho progettato e realizzato l’isolamento e l’assorbimento acustico di una sala prove per musicisti e ritengo che sia stato il primo passo verso una reale consapevolezza e una maggiore conoscenza dei fenomeni acustici. Anche Le Corbusier si era documentato e aveva sperimentato molto sull’acustica. Ne “Una maison – Un palais” introduce l’argomento suono paragonando l’onda sferica di una suono a una bolla di sapone Tratto da “Acustica e Architettura”, Amedeo Petrilli, ed. Marsilio Il T60 è definito come il tempo in secondi impiegato dal suono per attenuarsi di 60 dB dopo che la sorgente ha cessato di emetterlo. T60=(0,163V)/A, dove V è il volume dell’ambiente di m3, A è l’assorbimento totale in m2 sabine e 0,163 è la costante in secondi al metro (s/m) 9
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tinta di rosso che gonfiandosi perde il suo colore originario per passare gradatamente a un colore sempre più roseo. Ecco allora che se appoggiate il vostro timpano su una piccola bolla “udite un rumore (rosso vivo) molto forte” mentre se lo appoggiate su una grande “sentirete un rumore (rosa pallido) che potrete appena percepire”.
Precisa poi che il suono “è come una pallina da biliardo” che se incontra “superfici levigate rimbalza” mentre se incontra “un materiale che non sia liscio ma assorbente, come ad esempio un tessuto felpato, l’onda parassita ne è attratta, vi affonda, viene annullata; non rimbalzerà più e non arriverà all’orecchio dell’ascoltatore: è soppressa per sempre.” Se avete un riverbero troppo presente basta che “Moltiplicate l’esperienza. Avrete eliminato tutti i parassiti.” 10
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Le Corbusier, Une Maison – Un Palais, cit. Trad. Amedeo Petrilli
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Tornando a parlare più in particolare del Palazzo delle Nazioni possiamo dire che i tracciati acustici riportati in figura e la disequazione (A+B)-C < 22 m sono l’elemento creatore della forma e il risolutore acustico della sala del Palazzo delle Nazioni. La sala è totalmente pensata intorno a questa semplice disequazione che ha fornito una forma e una scelta di materiali per “una grande sala per 2600 persone, un organismo per vedere e ascoltare.”
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Essendo la velocità del suono di circa 340 metri al secondo e considerando che l’orecchio umano non differenzia i suoni che lo raggiungono in meno di un quindicesimo di secondo, con una semplice moltiplicazione troviamo che 340[m/sec]*1/15[sec] = 22,6 m ~ 20 metri. Se lo approssimiamo per difetto, così da includere le differenze di velocità del suono rispetto all’umidità11 e alla temperatura dell’aria12, abbiamo la spiegazione e il risultato dell’equazione. Ricordando ciò che diceva Le Corbusier sui teatri greci ci accorgiamo che il disegno è chiaro: il soffitto, in questo caso, è un amico. La volta di copertura, così come i muri laterali e pavimenti, possono essere i più grandi amici o i peggiori nemici dell’acustico-architetto. Per questo Viene così definito uno spazio atto ad ascoltare e a comprendere partendo da un esigenza e arrivando a una soluzione formale. Le Corbusier parlando della sua opera, cita, come sempre, le sue esperienze personali. Racconta di aver avuto la possibilità in quegli anni di parlare in numerose sale conferenze, molte delle quali munite di un prezioso tendaggio alle spalle dell’oratore. L’effetto di questo accessorio inutile era oltremodo dannoso poichè assorbiva la parte migliore della sua voce. Giovava solamente al suo mal di gola e alla bottiglietta gentilmente fornitagli quasi fosse uno scherzo di cattivo gusto. Bastava un semplice “muro riflettente” alle sue spalle per garantirgli una conferenza più agiata ma qualcuno si doveva essere dimenticato qualche polveroso insegnamento di qualche antico personaggio… La variazione rispetto al tempo di riverberazione data dalla temperatura è meno evidente di quella data dalla variazione di umidità ma è comunque abbastanza sensibile. 11 L’effetto dell’assorbimento del suono in aria è legato al processo di rilassamento delle molecole dei gas costituenti l’aria stessa. In ambienti di piccolo volume, il libero cammino medio percorso in aria è anch’esso piccolo e l’energia persa lungo il percorso è in buona approssimazione trascurabile rispetto a quella sottratta per assorbimento delle superfici. In grandi ambienti (come nella sala del Palazzo delle Nazioni n.d.r.) la dissipazione dell’aria puo’ avere una certa influenza, in particolare alle alte frequenze, tipicamente superiori a 1 kHz (Benedetto, Spagnolo, 1979, 1983). Introduciamo una costante di attenuazione di suono in aria m [m-1] e quindi consideriamo la formula del tempo di riverberazione TR=(0.161V)/(A+4mV) [sec]; con V volume della sala, A area di superficie assorbente in m2 sabine. 12 La variazione rispetto al tempo di riverberazione data dalla temperatura è meno evidente di quella data dalla variazione di umidità ma è comunque abbastanza sensibile. 12
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Le Corbusier, invece, alle spalle dell’oratore costruisce ben tre muri di scena riflettenti. L’uno sovrapposto all’altro e con una superficie che dal basso verso l’alto aumenta seguendo il quadrato della distanza dall’ascoltatore. Il suono più “rosa pallido”, infatti, colpisce una superficie riflettente maggiore così da essere sentito in egual misura anche da chi siede in fondo alla sala. Dopo aver toccato i timpani degli ascoltatori, le poche onde rimaste verranno assorbite dai vestiti, dal feltro dei leggi e dalla moquette sul pavimento. Il grande Gustave Lyon, colui che aveva spiegato i principi dei suoi esperimenti ai fratelli Jeanneret, visto il progetto scrive un apprezzamento molto lusinghiero nei loro confronti: “Soltanto la grande sala di Le Corbusier è stata progettata secondo le basi scientifiche dell’acustica”. Non a caso nel 1931 lavoreranno insieme per studiare le traiettorie del suono nel Palazzo dei Soviet a Mosca. XL
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Il Palazzo dei Soviet a Mosca Il concorso per il Dvorec Sovetov, il Palazzo dei Soviet, a Mosca si collocò come uno dei momenti più rilevanti e decisivi nella storia dell’architettura del XX secolo. Senza dubbio fu uno dei concorsi maggiormente significativi e che, in maniera del tutto completa e manifesta, ha meglio incarnato gli ideali politici, sociali ed estetici della propria epoca. Non solo l’intera progettazione, avvenuta in successive fasi di elaborazione, attraversò lo sviluppo della architettura sovietica per quasi tre decenni, ma diede anche vita, nella stragrande maggioranza della popolazione dell’immenso Paese, alla immagine visibile della nuova, tanto attesa e luminosa era che si andava prefigurando. La vicenda del Palazzo dei Soviet nella città di Mosca si articolò e prese corpo nell’arco di ben tre decenni ed esattamente tra il 1922 e la fine degli anni Cinquanta, anni che segnarono, dopo l’avvento al potere di Nikita Kruschëv e la conseguente eclissi della parabola staliniana, l’irrevocabile tramonto di ogni velleità realizzativa del Palazzo dei Soviet e di ogni aspirazione al “verticalismo”, simbolicamente inteso.13 Di fronte al tema proposto, Le Corbusier si propose un programma molto rigoroso, secondo il principio che: “L’architettura è nel mettere in ordine, nel raggiungere e nel rilegare e organizzare secondo una intenzione elevata, e nel dare alle opere della tecnica l’unità e la grazia che dovunque la natura ha manifestato nelle sue creazioni.” 14 Il progetto di Le Corbusier pose un fondamento basilare di concreto metodo disciplinare e fornì una precisa indicazione relativamente alle questioni del rapporto tra analisi urbana e progetto, sottolineando come tutto il complesso architettonico del Palazzo dei Soviet e ogni suo segmento, spazialmente considerato, si sarebbe inserito in modo assolutamente naturale dentro Mosca, con la viva consapevolezza di aver mantenuto, nel proprio elaborato, una continuità di ricerca con il passato. 13
L’invisibile visione del Palazzo dei Soviet, Daniele L. Viganò, Larici editore
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Il progetto di Le Corbusier pose un fondamento basilare di concreto metodo disciplinare e fornì una precisa indicazione relativamente alle questioni del rapporto tra analisi urbana e progetto, sottolineando come tutto il complesso architettonico del Palazzo dei Soviet e ogni suo segmento, spazialmente considerato, si sarebbe inserito in modo assolutamente naturale dentro Mosca, con la viva consapevolezza di aver mantenuto, nel proprio elaborato, una continuità di ricerca con il passato.
Le Corbusier era un ricercatore paziente in tutti i campi, sempre alla ricerca dell’avanguardia tecnologica, parla di ventilazione interna, di “respirazione esatta”, di isolamento termico, di materiali e di dettagli costruttivi. È interessante notare come nello schizzo del Palazzo delle Nazioni sia già evidente la tipologia di copertura isostatica vincolata con un semplice appoggio cerniera-carrello. Il Palazzo dei Soviet era un organismo molto complesso poiché prevedeva uffici, biblioteche, ristoranti e per quanto concerne l’acustica comprendeva anche una serie di sale riunioni da 200 e 500 posti, due sale enormi da 6.500 e 15.000 posti ed infine un luogo all’aperto adibito alle grandi manifestazioni per 50.000 persone.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Nel secondo volume dell’Oeuvre complète Le Corbusier parla dell’enorme complessità della sala grande poiché doveva assicurare una perfetta “visibilità” per tutti i presenti e un “acustica equivalente” per ogni ascoltatore.
“Le sale da 15.000 e 6.500 persone sono degli organi biologici che obbediscono a dei calcoli matematici. Questi calcoli, se sono guidati dal punto di vista plastico, possono condurre a un’armonia impeccabile, a uno splendere molto simile alle forme della natura. In questo caso il calcolo riflette le leggi del mondo e si manifesta un principio di unità tra il cosmo e l’opera umana. I fautori degli “stili” non vogliono capire che i nuovi programmi portano alla creazione di nuovi organismi, che a loro volta rispondono alle leggi della statica, della resistenza dei materiali, dell’acustica, della visibilità, della circolazione e della perfetta respirazione. Queste condizioni “imperative” determinano uno stato di fatto di cose altrettanto imperativo: si può passare dal semplice soddisfacimento dei bisogni materiali allo splendore dell’architettura, che è poesia, lirismo, commozione provocata da rapporti inattesi.” 15
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Le Corbusier, Oeuvre complète, vol. II 1929-1934, cit. Trad. Amedeo Petrilli
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
E’ splendido come sia chiaro il passaggio tra semplice soddisfacimento di una funzione ad architettura e soprattutto come l’indagine sempre più profonda di Le Corbusier lo porti ad assimilare come perfetto ciò che tende alla perfezione della natura. La sala da 15.000 persone su disegnata del “più puro vascello”, simile alla valva di una conchiglia dischiusa, in cui ogni punto dell’anfiteatro e quindi la posizione di ogni ascoltatore aveva un preciso elemento individuato sul soffitto, incaricato di riflettergli le onde sonore. L’artificio risolutivo per risolvere il problema acustico Le Corbusier l’aveva trovato proprio nella configurazione del soffitto denominato per l’occasione “conca sonora”. Era sostanzialmente differente da quello dei teatri greci, inesistente, da quello del Palazzo delle Nazioni, da quello della sua splendida, ma a sue parole pessima acusticamente, sala da pranzo16
Le Corbusier si riferisce alla sala da pranzo del suo appartamento in rue Nungesseret Coli a Parigi, un edificio che realizzò nel 1933. Oeuvre Complète vol. II 1929-1934, cit.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
con volte a botte, era una vera e propria conca, levigata in tutti i punti e generatrice di angoli d’incidenza necessari per innaffiare lo spazio con onde equivalenti.
Per studiare la riflessione delle onde sonore costruisce un grande modello in scala della sala collocando una sorgente luminosa nel punto in cui era prevista la sorgente sonora. Questo metodo gli permette di portare a verità quasi-scientifica17 il suo ragionamento. Il posizionamento della sorgente sonora è “luogo matematico”, tra la scena e la sala va creato un “abisso” di undici metri per rendere vana l’onda diretta, va collocato in uno spazio situato 24 metri sopra la scena un apparecchio di ricezione di tutti i suoni prodotti che va poi collegato nel punto strategico “matematico” rispetto al quale è stata dimensionata la “conca sonora”.
Mi permetto di scrivere quasi scientifica perché parlando con un qualsiasi acustico ci si accorge che è impossibile essere sicuri della buona riuscita di un lavoro prima di averlo completato.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Del “vero” palazzo dei Soviet, cioè di quello che dopo mille peripezie era stato reso vincitore, furono costruite solo le poderose fondamenta circolari, temporaneamente trasformate in una enorme piscina riscaldata all’aperto, che ebbe vita fino a quando la cattedrale del Cristo Salvatore, inizialmente preesistente sul lotto di terra adibito alla costruzione del palazzo, riprese il suo posto nel landscape moscovita.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Il Palazzo dell’assemblea del Parlamento di Chandigarh Nel 1950 una commissione governativa dello stato indiano del Punjab affidò a Le Corbusier il progetto di una città da cinquecentomila abitanti situata su un altopiano ai piedi dell’Himalaya.
Il progetto, pensato e organizzato in modo che la sua realizzazione potesse avvenire nel tempo, si configurava seguendo un Grille Climatique, cioè un sistema atto a enumerare, analizzare e coordinare i dati climatici del luogo e a muovere la ricerca architettonica verso soluzioni congruenti con la “biologia” umana capaci di assicurare benessere e comfort in qualsiasi condizione. Il progetto quindi, non impone dall’alto un estetica o un etica occidentale ma anzi si adatta al luogo, rispettandolo, cogliendone e sfruttandone le potenzialità. XLVII
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Le Corbusier studia puntualmente la corretta ventilazione naturale degli ambienti, l’articolata distribuzione delle attività in pianta e in alzato, l’orientamento favorevole e le tecniche costruttive più congruenti.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Studia accuratamente le aree pubbliche e le piantumazioni in rapporto alle variazioni climatiche e agli assetti spaziali degli edifici. Svolge quindi una reale analisi del territorio su cui deve andare ad agire. È evidente in Le Corbusier un approccio olistico nei confronti della progettazione. Ora però mi appresto a parlare di ciò che c’è di realmente “acustico” nel progetto di Chandigarh e in particolare mi riferisco alla sala grande del Palazzo dell’Assemblea del Parlamento.
L’elemento che immediatamente si nota differenziandosi violentemente dai tracciati regolatori dei prospetti è la grande sala circolare. La pianta ad anello si innalza, si stringe e trafora tutto l’edificio alla ricerca di luce. La luce della luna e del sole tagliano l’iperboloide fendendolo con una giacitura inclinata.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
A sud un ampio portico indica l’ingresso principale, sul lato opposto erano previsti gli uffici, disposti su quattro livelli, al centro una grande hall che serviva le due sale.
Nei progetti preliminari erano state pensate due sale di diverse dimensioni entrambe a base ovale. L’evoluzione del progetto ha portato la più piccola verso una forma quadrata, sistemata non più a piano terra ma occupante parte del terzo e quarto piano, mentre la più grande si è tramutata in un cerchio. La forma circolare del guscio della sala, cemento armato spesso 20 cm, sembra contrastare violentemente con le regole della buona acustica ma Le Corbusier la considera irrinunciabile perché espressione di una notevole nobiltà architettonica, come non dargliene ragione… L
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
La copertura di questo spazio è concepita come “luogo della meccanica acustica-elettronica.”
LI
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
A sud un ampio portico indica l’ingresso principale, sul lato opposto erano previsti gli uffici, disposti su quattro livelli, al centro una grande hall che serviva le due sale.
“Questa struttura avrebbe permesso agli uomini di osservare le feste solari e ricordato, almeno una volta all’anno, che sono figli del sole (una circostanza oramai completamente dimenticata dalla nostra civiltà scatenata e schiacciata dalle assurdità, in particolare nel campo architettonico e urbanistico).” 18
L’idea iniziale era di coprire la grande sala con un vero “laboratorio di fisica”, luogo dell’illuminazione, della ventilazione, da cui sarebbero dovuti pendere grossi stendardi con la funzione di fonoassorbenti.
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Le Corbusier, Oeuvre Complète vol. V 1946-1952, cit
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Guillaume Jullian de la Fuente, architetto cileno collaboratore di Le Corbusier, racconta:
“Le Corbusier mi chiese di modificare la soluzione iniziale e di disegnare delle nuvole, quasi volesse portare all’interno dell’edificio alcuni elementi formali che fanno parte del cielo. E queste nuvole, secondo necessità, potevano avere caratteristiche differenziate rispetto all’assorbimento acustico, mentre la superficie convessa delle pareti doveva riflettere il suono. La luce arrivava dall’alto e, secondo il diverso angolo di incidenza del sole durante le ore del giorno, produceva una sorta di gioco con le nuvole, come nel cielo. Volle che le nuvole avessero colori differenti, alcune rosse e altre gialle, un po’ come all’alba e al tramonto, un vero spettacolo cosmico trasferito nello spazio interno. Discutemmo anche a lungo con un ingegnere elettronico olandese1, inviato dalla Philips, i materiali e le finiture di queste forme, oltre alle loro caratteristiche di assorbimento acustico. Inoltre decise di staccarle leggermente dalla parete, per cui contemporaneamente si generavano delle ombre sulla superficie convessa del muro: forse tutto questo può sembrare un po’ curioso, persino esoterico, ma Le Corbusier cercava semplicemente di far reagire la luce, le ombre, lo spazio, la forma del muro e il suono…”. 19
Jullian si riferisce a Willem Tak, l’ingegnere che qualche mese prima aveva collaborato con Le Corbusier per la realizzazione del padiglione Philips a Bruxelles
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LIII
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
È notevole l’approccio del maestro, un approccio realmente olistico dell’architettura, non contento di analizzare i problemi e di dargli una soluzione progettuale, nei suoi progetti l’insieme appare essere sempre più ricco della semplice sommatoria delle parti. Le Corbusier, in questo progetto, era andato a scovare e a riportare in auge il “Genius Loci” del luogo su cui stava operando, ricordandosi le origini della spiritualità indiana, fortemente collegate ai fenomeni solari e celesti. Circa questo argomento propongo in appendice qualche interessante fotografia e commento dello Jantar Mantar di Delhi, il più grande osservatorio astronomico senza strumenti ottici del mondo. Costruito nel 1724, condensa le conoscenze astronomiche e il gusto architettonico indiano dell’epoca. LIV
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“La preoccupazione di Le Corbusier era come lavorare con la luce e il suono all’interno di quello spazio, e nel contempo cercava di introdurre qualcos’altro: per lui la luce aveva anche un significato cosmico e voleva relazionare il suo edificio con il solstizio indiano, con il movimento sole. Io non so esattamente cosa vide o quali esperienze avesse avuto in India, ma mi è noto che gli osservatori indiani di astrofisica non sono soltanto attrezzature scientifiche, in qualche modo sono anche dei captatori di tutti i fenomeni che avvengono all’esterno. E la loro forma corrisponde, in termini architettonici, alla stretta connessione spirituale che nel passato la popolazione indiana aveva con il sole e la volta del cielo.” 20
20
Guillaume Jullian de la Fuente, architetto, collaboratore di Le Corbusier
LV
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Il Convento di Sainte Marie de la Tourette a Eveux Indagando l’architettura del convento de la Tourette è necessario un ulteriore approfondimento sull’importanza che Le Corbusier da alla musica, sempre più spesso utilizzata come paragone con l’architettura. In questo progetto e per circa dieci anni ancora, collabora con lui Iannis Xenakis, un ingegnere greco diventato musicista e poi architetto, a sue parole “tre vocazioni molto favorevoli riunite insieme”. Forse è proprio questa collaborazione che ha sempre di più aperto la strada verso una progettazione armonico-musicale che, però, era sicuramente già presente nella ideazione e nello studio del Modulor.
La genesi del convento de La Tourette è “alloggiare nel silenzio degli uomini che si dedicano alla preghiera e allo studio e costruire per loro una chiesa.” 21 Come al solito, anche se siamo soliti farci poco caso, parliamo sempre di problemi di acustica. È chiaro che progettare uno spazio per alloggiare “nel silenzio” persone che devono concentrarsi per svolgere i loro compiti e costruire una chiesa, luogo che viene solitamente considerato pessimo acusticamente, ha all’interno anche alcuni sensibili problemi di acustica. Un luogo che deve permettere comprensione e concentrazione, quale è una chiesa, non può essere trattato senza un occhio di riguardo nei confronti della risposta del suono. 21
Le Corbusier, Oeuvre Complète vol. VI 1952-1957, cit
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“Ero venuto qui, a Eveux. Avevo con me, come faccio sempre, il taccuino per prendere delle note. Ho disegnato la strada, gli orizzonti, l’orientamento del sole, in altri termini ho fiutato la topografia”. Ho deciso il luogo preciso, dal momento che non era ancora fissato. Scegliendolo, commettevo l’atto criminale o valido. È il primo gesto che si deve compiere, ed è molto importante perché poi determinerà la forma dello spazio. Qui, in questo terreno così mobile, che fuggiva, scendeva, colava, mi sono detto che non avrei mai spianato la terra, perché questa scivolava da tutte le parti, o allora i lavori necessari sarebbero costati quanto quelli per una fortezza romana o assira: il denaro mancava e bisogna sempre tenere conto delle risorse. Perciò pensai di partire da un orizzontale; di misurare poi ogni cosa a partire da questa linea, e di attaccarsi al suolo dal momento in cui lo si raggiungeva. Tutto ciò è forse lapalissiano, ma non posso farci nulla. In questo modo abbiamo un edificio che è molto preciso in alto e che, a poco a poco, determina la propria fisionomia scendendo e tocca il terreno come può. È comunque un’idea molto originale, che forse non sarebbe venuta in mente a tutti!” 22 Il “parto” dell’idea di Le Corbusier avviene durante il suo sopralluogo, evento che ritengo necessario ma non sufficiente per una genesi matura di qualsiasi progetto. Come per Chandigarh notiamo immediatamente la forte sensibilità di Corbu verso il luogo e le necessità del progetto. In primis un problema fondamentale: la luce naturale.
“Ora, il problema è sapere con esattezza di cosa stiamo parlando: si tratta di superfici che ricevono la luce. Sono delle pareti illuminate. L’emozione proviene da ciò che gli occhi vedono, cioè i volumi, e da ciò che il corpo riceve su se stesso come impressione o pressione delle pareti: e infine da quello che l’illuminazione produce sia come intensità che come dolcezza, secondo i luoghi. E piano piano, si comincia a tessere lentamente qualcosa. Dico tessere perché ogni cosa è intrecciata all’altra, ogni cosa implica l’altra. E allora, a questo punto, abbiamo il fallimento o la riuscita”. 22
Un convento di Le Corbusier, Jean Petit, Milano, Edizioni di Comunità, 1961
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Come diceva Morris qualche anno prima: “Il mio concetto di architettura è l’unione e la collaborazione delle arti, in modo che ogni cosa sia subordinata alle altre, in completa armonia” 23 il pensiero di Le Corbusier ingloba, con il passare del tempo, sempre più discipline, utilizzandole direttamente o indirettamente. Ne La Tourette le due possibilità inerenti il suono “percepito”, la percezione acustica, e la “melodia suonata”, cioè la trascrizione di un musica in architettura e viceversa, si fondono creando ciò che lui stesso definisce uno “spazio indicibile”. Le Corbusier confessa che il problema dell’acustica nel convento era veramente inquietante, in atelier avevano fatto una serie di tentativi e esperimenti pratici e avevano deciso di costruire dei grandi muri poligonali per spezzare il suono ed evitare strane riverberazioni. Questi muri, però, non furono mai costruiti per la ristrettezza delle risorse economiche. Le Corbusier ne fu molto contento perché li considerava superflui e disturbatori della limpidezza delle forme. Ebbe ragione.
“Qui vi trovate davanti a un acustica di grande purezza. Non vi dirò di averla trovata in modo pienamente consapevole, ma piuttosto di aver avuto fiuto” 24 Mentre parla della sua chiesa e del suo convento riflette sulle risonanze scadenti tipiche delle chiese e del fatto che talvolta quel brusio, quel mistero ammaliano, confondendo la liturgia con la cattiva acustica. Nel convento introduce anche una sua “invenzione”, i “pans de verre musicaux” cioè “pannelli di vetro musicali”, messi a punto con l’aiuto dell’amico e collaboratore Xenakis. Questi pannelli vengono modulati secondo le progressioni armonico-temporali studiate e messe in pratica da Xenakis nelle sue composizioni musicali, prime tra queste Metastaseis. Sono costituiti da lame di vetro e cemento armato e vengono utilizzati sulla facciata ovest del convento.
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W. Morris, 1881 Un convento di Le Corbusier, Jean Petit, Milano, Edizioni di Comunità, 1961
LVIII
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“Qui la dinamica del Modulor è messa in totale libertà. Gli elementi si articolano, quanto alle loro masse, nelle direzioni cartesiane orizzontale e verticale. Orizzontalmente si ottengono variazioni di densità delle nervature in modo continuo, alla maniera delle ondulazioni dei sistemi elastici. Verticalmente si crea un contrappunto armonico di densità variabili. Le due gamme rossa e blu del Modulor sono utilizzate sia separatamente che intrecciate fra loro, creando così la sequenza di lievi ondulazioni determinate dalla integrazione dei due processi modulari.” 25
Xenakis scrive che nella sua composizione il tempo è trattato in maniera relativistica, ed incorpora l’essenza stessa della materia e dell’energia. In Metastasies vengono a cadere le metodologie classiche adottate dai compositori fino a quel momento, ora i 65 esecutori dell’orchestra classica si rapportano con progressioni geometriche trascritte in musica e tradotte in suono e tempo.
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Modulor 2, Le Corbusier, 1950, Trad. Amedeo Petrilli
LIX
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“Una delle applicazioni fondamentali, in Metastasies è che nei sei intervalli algebrici e temperati della gamma dei dodici suoni sono emessi in tempi proporzionali ai rapporti delle frequenze. Da cui le gamme dei sei tempi accompagnano l’emissione degli intervalli. […] il tempo ha proprietà additiva. Un tempo può essere addizionato ad una altro e la somma è sentita come tale. Da ciò scaturisce la necessità di avere delle gamme di tempi che possano sommarsi nel senso definito più alto.” 26
26
Iannis Xenakis
LX
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“Tra tutte le progressioni geometriche, ce n’è soltanto una i cui termini godono di questa proprietà additiva. È la progressione della sezione aurea. Ecco in che modo l’idea del Modulor ha creato una stretta relazione strutturale tra il tempo e i suoni. Ma questo condizionamento ha trovato un ulteriore espressione nella definizione dei campi delle densità sonore, variabili dall’inizio di Metastasies tramite i glissandi degli strumenti ad arco così come nelle proporzioni dei tempi globali delle misure nel glissando del finale” 27
Ciò che Le Corbusier ha voluto fare creando il Modulor è ciò che successe sei secoli prima di Cristo quando qualcuno decise che, per tramandare fedelmente la musica era necessaria una “graduazione”, cioè una serie di segni convenzionali, determinati e precisi, e una scala artificiale nel primo caso del suono e nel caso di Corbu dello spazio. La difficoltà stava proprio nell’intuire un metodo semplice e sensato per “regolare” il fenomeno sonoro. Pitagora trovò la soluzione affiancando la matematica alla sensibilità dell’orecchio umano. Successivamente, J.S. Bach inventò la gamma temperata, perfezionando la metodologia di Pitagora.
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Iannis Xenakis
LXI
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Così scrive Le Corbusier con un semplice paragone musicale:
“Se esistesse uno strumento di misure lineari o visive simili alla scrittura musicale, non ne risulterebbero facilitate le cose che riguardano l’architettura?” 28 In Entretiens avec lès èstudiants des ècoles d’architecuture del 1943 elenca esplicitamente gli elementi per creare una sinfonia architettonica: - Il sole - Il sito - La topografia - La scala - La circolazione interna ed esterna - Le invenzioni tecniche - I materiali Contemporaneamente critica i canoni accademici che si contrappongo a queste semplici ma fondamentali coordinate.
“Io ho parlato di armonia ed evocato il disastro della rottura dell’incantesimo che ne è conseguito. E ho utilizzato una terminologia che ben si adatterebbe alla musica…Precisamente, sappiate che architettura e musica sono sorelle, dal momento che entrambe sono proporzionate dal tempo e dallo spazio. Lo strumento che struttura questo incantesimo è la proporzione, a cui molto strettamente sono legati i sentimenti che, all’estremo delle loro possibilità, si avvicinano alla metafisica, all’esoterico, al linguaggio degli dei. La sensazione, di fronte all’architettura, voi l’avrete dalle misure delle distanze, delle dimensioni, delle altezze, dei volumi: matematica che ha una chiave, che da (o non da) l’unità, secondo che sia riuscita o no. Lo credereste? Questa chiave dell’architettura, la proporzione, è stata perduta, dimenticata. Essa che, in altre epoche, era tutto e conduceva perfino alla magia, è stata abbandonata. Ecco a che punto siamo.” 29
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Le Modulor , Le Corbusier, Boulogne sur Seine, Editions de L’Architecture d’Aujourd’hui, 1950 Entretiens avec lès èstudiants des ècoles d’architecuture, Le Corbusier, cit.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Pitagora, comunemente ritenuto fondatore della geometria teorica affermava che la verità ultima della struttura dell’universo risiedesse nelle relazioni proporzionali che stanno alla base degli accordi musicali, poiché derivati da rapporti fissi e invariabili, dipendenti dalla lunghezza delle corde degli strumenti. Ecco allora che tutte le consonanze musicali sono esprimibili con la matematica, scienza suprema per Le Corbusier, e interrelate per mezzo di spazio, suono e numeri. Scrive così della sua chiesa nel convento, sempre utilizzando un paragone musicale:
“Vi è nella musica una chiave, un diapason, un accordo. In questo caso la nota è rappresentata dall’altare, da cui si irradia tutta l’opera. Ciò è stato determinato dalle proporzioni. La proporzione è una cosa ineffabile. Io sono l’inventore dell’espressione: lo spazio indicibile, una realtà che ho scoperto lungo il mio cammino. Quando si raggiunge la massima intensità, l’armonia totale, l’essenza esecutiva, si verifica un fenomeno straordinario: i luoghi si mettono ad irradiare e lo fanno quasi fisicamente, producendo una sorta di shock che non dipende soltanto dalle proporzioni, ma dalla qualità della perfezione.” 30 30
Un convento di Le Corbusier, Jean Petit, Milano, Edizioni di Comunità, 1961
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Il Padiglione Philips a Bruxelles Non è forse la costruzione di un padiglione assolutamente pensato in ogni particolare come evento sensoriale una delle più grandi opere della maturità di Le Curbusier? Io penso di sì poichè incarna l’essenza stessa dell’architettura: un luogo per tutta l’umanità che risiede nell’uomo. Quando nel 1956 l’ingegnere, architetto e direttore artistico della Philips, Louis C. Kalff propose a Le Corbusier di progettare uno spazio per l’Esposizione Internazionale di Bruxelles del 1958 Le Corbusier rispose:
“Tutto succederà all’interno: suono, luce, colore, ritmo; un ponteggio metallico potrebbe essere il solo aspetto esteriore del padiglione.”
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Gli era stata data la possibilità di disegnare la facciata, lui è andato oltre. Chiese la collaborazione del più grande compositore suo contemporaneo, Edgar Varèse, incaricò Xenakis di seguire il progetto, non si accontentò di presentare uno spettacolo inedito di suono e luce, una dimostrazione delle possibilità tecnologiche e del progresso del futuro, ma creò un sinfonia di suono, ritmo, spazio, luce, proiezioni, persone e architettura. Questo violento approccio olistico tipico di Le Corbusier è un reale “Poème électronique”.
Utilizza tutte le possibilità fornite dall’elettronica, dall’illuminazione artificiale, dall’acustica e dall’automazione ed ospita all’interno di un volume costituito da gusci incurvati in cemento armato precompresso uno spettacolo unico e ineguagliabile, una sinfonia totale. La paura di un qualsiasi acustico dopo aver sentito “gusci incurvati formati da lastre precompresse in cemento armato” è subito vanificata dall’immediato pensiero di Le Corbusier di costruirle con curvatura variabile, quindi senza una riflessione localizzata in un solo punto. È lapalissiano infatti che una forma sferica o ellittica concentrano le riflessioni in uno stesso punto detto fuoco o, nel caso della sfera, centro. Questa enorme macchina per lo spettacolo o, come diceva Corbu, “questo stomaco” era in grado di accogliere seicento spettatori ogni otto minuti, con due minuti di intermezzo per il cambio di pubblico. LXV
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Gli otto minuti erano musicati da Edgar Varèse con il suo omonimo “Poème électronique” mentre i due minuti di riempimento-svuotamento sono di Xenakis con il suo “Concrete P-H” che tradotto significa musica concreta con un P-H che fa riferimento ai paraboloidi iperbolici che sono la forma e l’essenza del progetto architettonico. Siamo certi del fatto che Le Corbusier abbia seguito dal primo fino all’ultimo secondo la composizione di luci e suoni del Poema Elettronico creando una vera e propria partitura che descrive l’andamento dello spettacolo nei minimi particolari. La partitura gestisce i cambiamenti di ambiances cioè di colore, il film, i tri-trous cioè delle forme geometriche, un sole e una luna, nuvole, un fulmine, le stelle e due volumi tridimensionali appesi sul soffitto del padiglione e illuminati con potenti lampade a ultravioletti. LXVI
L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Il suono è diffuso da 350 altoparlanti montati sulla struttura dei paraboloidi iperbolici che da una planimetria a “stomaco” si innalzano creando uno spazio che ha un che di simile alla partitura che è stata scritta per essere riprodotta al suo interno.
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“Le forme architettoniche sono un elemento malamente o persino trascurato: infatti vengono realizzate sale cubiche o rettangolari poligonali, cilindriche o coniche. Gli architetti sembrano essere improvvisamente inibiti quando si tratta di immaginare nuove forme per avvolgere lo spazio tridimensionale. In alternativa, ho voluto individuare una soluzione che è in qualche modo parente stretta di quella che avevo studiato con Le Corbusier per il Padiglione Philips. Ma la forma del Diatope, a causa delle traiettorie dei raggi laser, doveva anche rispondere a un altro principio: massimo volume libero contrapposto a un minimo di superficie di curvatura. La risposta classica sarebbe stata una sfera. Ma questa forma, anche se bella, è pessima per l’acustica e meno ricca, dal punto di vista tattile, rispetto ad altre forme a doppia curvatura. Per cui, come principio, la configurazione finale è una sfera, ma aperta, con le sue fughe, sul mondo.” 31
Così parla Xenakis nel 1977 quando è incaricato di progettare il Diatope per il nuove Center Pompidou di Rogers e Piano. Non si può biasimarlo, il suo approccio al padiglione è stato assolutamente esemplare. Le Diatope, geste de lumière et de son, Iannis Xenakis, Paris, Centre George Pompidou, 1977, trad. Amedeo Petrilli
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“Nell’ottobre del 1956, cominciai lo studio del progetto preliminare. L’obiettivo di Le Corbusier non era quello di realizzare un locale in più nella sua carriera, ma di creare un vero gioco elettronico e sincronico in cui il volume, il movimento, il suono e l’idea complessiva potessero formare un tutto sbalorditivo. Mi resi subito conto che per organizzare i fattori suscettibili di determinare la sua forma, era necessario considerare i seguenti elementi: - L’area per il pubblico: gli spettatori restano all’interno da otto a dieci minuti e si distribuiscono in modo omogeneo su tutta la superficie. Si può allora ipotizzare, in astratto, una forma ad andamento circolare con due appendici, una per l’ingresso e l’altra per l’uscita. - L’auditorio elettroacustico: è lo spazio fisico dove viene diffusa la musica elettromagnetica. La riverberazione deve essere sufficientemente debole, per cui non si possono prevedere superfici piane parallele per evitare le riflessioni multiple e nemmeno angoli triedri, a causa della riverberazione che si accumula sui loro piani bisettori. Sono invece eccellenti le superfici con raggi di curvatura variabile: si devono comunque escludere le porzioni di sfera, perché producono echi localizzati. - Colori, luce e proiezioni: gli orizzontali colorati e i volumi generati dalla luce riflessa devono risultare fantasmagorici. Dunque è necessario prevedere superfici curve, sfuggenti o ricettive i raggi luminosi perpendicolari, obliqui, rasenti che creano volumi mobili, chiudendosi o aprendosi o ruotando. - Costruzione e tecnica: fra tutte le superfici geometriche che conosciamo, quali sono autoportanti, accessibili al calcolo statico e realizzabili in un cantiere normale? Le mie ricerche musicali sui suoni a variazione continua in funzione del tempo mi indirizzarono verso le strutture geometriche basate sulle rette o su superfici generate da curve piane: i paraboloidi e i conoidi.” 32 Così parla Xenakis nel 1977 quando è incaricato di progettare il Diatope per il nuove Center Pompidou di Rogers e Piano. Non si può biasimarlo, il suo approccio al padiglione è stato assolutamente esemplare. Le Poème Electronique Le Corbusier, Le Corbusier, Paris, Editions de Minuit, 1958, trad. Amedeo Petrilli
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
Edgar Varèse disse che nel Padiglione Philips, per la prima volta, sentì la sua musica letteralmente “proiettata” all’interno di un organismo architettonico. Nelle sue composizioni era infatti evidente il tentativo di mettere in movimento i piani e le figure nello spazio, la volontà di percorrere traiettorie sonore inedite e caratterizzate da velocità variabili di traslazione e rotazione, la presenza di molteplici figure geometriche contrapposte, il rifiuto della simmetria e di una prospettiva fissa e immutabile, l’assenza totale di ogni ripetizione formale. Per questo e per il fatto che soltanto attraverso l’uso di mezzi elettronici era possibile distribuire musica in un ambiente così da creare un evento acustico-visivo in cui lo spazio coincidesse con il suono.
“In musica ci sono tre dimensioni: orizzontale, verticale, e quella dinamica, espressa sia crescendo che calando. Io potrei aggiungerne una quarta, la proiezione del suono nello spazio, ovvero la sensazione che se ne sta andando via per sempre e senza alcuna speranza di tornare indietro, una percezione simile a quella suscitata dai fasci di luce emessi da un potente proiettore – è infatti una condizione che vale sia per l’orecchio che per l’occhio. Oppure potrei definirlo il senso della proiezione o, se volete, un viaggio senza ritorno nello spazio.” 33 Edgar Varèse, tratto da Space calculated in seconds, Marc Treib, Princeton University Press, 1996, trad. Amedeo Petrilli
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L’acustica creatrice di forme nei progetti di Le Corbusier
“L’artigiano della musica” come ha definito Le Corbusier Varèse e “l’artigiano dell’architettura” come un po’ si definisce Le Corbusier stesso, con un lavoro da dannati, da cani, da monaci, mettendo un tassello dopo l’altro hanno realizzato un lavoro che nel breve periodo dell’esposizione ha probabilmente lasciato un ricordo indelebile nelle esperienze di due milioni di persone, tutte quelle che sono riuscite a trascorrere dieci minuti della loro vita all’interno di una vera architettura musicale.
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Esperienza personale: la sala-prove
Esperienza personale: lo studio, la realizzazione, le prove in opera per la costruzione di una sala-prove
“La più bella avventura, per un architetto, è quella di costruire una sala per concerti. Forse è ancora più bello per un liutaio costruire un violino; ma si tratta (con tutte le differenze di dimensione e di impiego) di attività molto simili. In fondo si tratta sempre di costruire strumenti per fare musica o per ascoltare musica. E’ il suono che comanda, è la cassa armonica che deve saper vibrare con le sue frequenze e la sua energia.” 34 Obiettivi Quello che circa un anno fa mi ha impegnato per qualche mese è stato lo studio e la realizzazione della mia piccola sala-prove. Sicuramente un progetto insignificante se confrontato con i grandi edifici di Le Corbusier o le sale per concerti di Renzo Piano ma sicuramente un esperienza formante per la mia formazione di architetto e di acustico. Inizialmente mi sono posto degli obiettivi da raggiungere. In primis era necessario progettare uno spazio con un notevole isolamento acustico. La batteria, strumento che suono oramai da parecchi anni, ha un livello di pressione sonora di circa 100-102 dB, se suonata con un certo vigore. 34
Intervista a Renzo Piano su l’Auditorium Parco della Musica, Roma
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Esperienza personale: la sala-prove
All’interno della sala che si andava a costruire era necessaria una buona acustica, fondamentale per riuscire a suonare sia da soli, sia con una band. La presenza di tempi di riverberazione troppo elevati rende assolutamente impossibile la riproduzione di musica. A parte la struttura architettonica in mattoni e cemento, i materiali da utilizzare per la correzione acustica dell’assorbimento dovevano essere facilmente reperibili, il più possibile economici e facili da montare. Questi elementi erano indispensabili per poter effettuare le numerose “prove in opera” pianificate e necessarie per la buona riuscita del progetto.
Progettazione dell’isolamento acustico Il progetto architettonico è stato redatto da un architetto e comprendeva anche una ingrandimento del salone della casa con un annessione di una piccola taverna, oltre la sala-prove suddetta ancorata alla struttura preesistente del garage. La sala-prove era stata pensata in blocchi di forati Poroton da 25 cm di spessore. La copertura inclinata a una falda andava a confluire nella gronda della copertura del garage. Il solaio era pensato in latero-cemento gettato in opera di spessore 20 cm. Questo progetto è stato da me rivisto e rivisitato, modificandone la forma e i materiali. In primis la decisione di aumentare la massa muraria non utilizzando più i mattoni forati e sostituendoli con i mattoni UNI pieni 12x25x5,5 cm. Si è quindi creato uno standard di parete con una massa parecchio maggiore rispetto ai forati al fine di aumentare sensibilmente l’isolamento acustico che, per la legge della massa, sappiamo essere maggiore di 6 dB al raddoppio della stessa. Il Poroton con una doppia intonacatura da 1,5 cm ha infatti una massa di circa 360 kg/m2, mentre il mattone UNI a doppia testa pesa circa 520 kg/m2 35. 35
Dati presi dalle UNI-TR 11175 del 2005
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Esperienza personale: la sala-prove
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Esperienza personale: la sala-prove
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Esperienza personale: la sala-prove
Il potere fonoisolante dei due pacchetti si differenzia di circa 5 dB, essendo il primo Rw 46 dB e il secondo Rw 51 dB. La differenza tra i due è quindi più che apprezzabile sapendo che il secondo è tre volte tanto il primo.36 Idealmente sarebbe stato meglio aggiungere un ulteriore strato di mattoni in costa separati da un interapedine, con una tripla intonacatura e con interposto un materiale fonoassorbente fibroso, così da aumentare ancora l’isolamento acustico. Purtroppo viste le ridotte dimensioni della stanza, non è stato possibile. Questo artifizio avrebbe sicuramente portato un miglioramento, ma a causa di altri fattori che andrò a spiegare in seguito, probabilmente, sarebbe stato praticamente inutile. Il motivo si basa essenzialmente sul fatto che i veri “buchi acustici” non sono i muri ma piuttosto le porte e le finestre che non riescono mai a garantire un paritario isolamento acustico. Una modifica significativa al progetto iniziale è stata quella di costruire un ulteriore parete distaccata da quella preesistente del garage. La “quarta” parete, costruita con lo stesso pacchetto delle altre, è stata distaccata di circa 5 cm dalla parete preesistente. Le due pareti sono di massa diversa poiché la prima è di mattoni pieni a due teste mentre la seconda è in forati da 25 cm, questo giova al non accoppiamento di impedenza delle pareti, non avendo la stessa fondamentale non hanno la stessa frequenza di risonanza. L’intercapedine tra il muro preesistente e la nuova edificazione sarebbe funzionata meglio se di spessore 15 o 20 cm, purtroppo, essendo la sala di 18,5 mq e dovendo ospitare almeno 5 persone, non era possibile perdere altro spazio. L’introduzione dell’intercapedine ha sensibilmente diminuito il fenomeno di trasmissione laterale mezzo strutture che avrebbe portato i muri della casa adiacente a diventare una sorta di cassa acustica aumentando considerevolmente l’isolamento. L’effetto che si verifica in questi casi è quello che tutti conosciamo quando qualcuno sta trapanando un muro del nostro edificio, le vibrazioni del trapano corrono attraverso i muri e si propagano indistintamente in tutto l’edificio. 36 È sottointesa la regola per la quale essendo la scala del Decibel logaritmica il raddoppio dell’intensità sonora è quantificato in 3 dB. Inoltre essendo inteso come la somma di tre sorgenti sonore l’ulteriore somma tra il primo 46 dB più il secondo 46 dB risulta essere 49 dB che ulteriormente sommato a 46 dB ottiene un totale di 51 dB.
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Esperienza personale: la sala-prove
Un’altra modifica significativa, acusticamente parlando, è stata l’introduzione delle doppie porte e doppie finestre, così da creare un intercapedine d’aria significativa tra le due. Nel caso delle porte sono state utilizzate due porte REI 120 accoppiate, scelte per il loro peso notevole (circa un quintale l’una) e per la loro particolare conformazione a telaio murato. Per motivi economici, non è stato possibile utilizzare porte ad alto isolamento acustico, che comunque, se non accoppiate, non avrebbero garantito un sufficiente isolamento. Le porte ad alto isolamento, in genere con un Rw di circa 51 dB, hanno comunque un basso rendimento sull’isolamento alle basse frequenze e quindi necessitano, parimenti alle altre, di essere accoppiate. Quello che sono in procinto di fare, per aumentare ancora l’isolamento, è di applicare su una delle due porte diversi materiali con diverse impedenze meccaniche e con una massa rilevante, così da aumentare la differenza di massa tra le due porte e diminuire il fenomeno dell’accoppiamento di impedenza. Questo fenomeno non si verifica nelle finestre, poiché sono stati montati sui due telai due tipologie di vetro molto differenti. Sul telaio interno è stato montato un vetro doppio stratificato con intercapedine 3+3 / 9 / 4+4, con due vetri disaccoppiati per non avere il fenomeno di cui ho parlato prima. Sul telaio esterno è stato montato un vetro stratificato 6+6 per avere una grande massa e un forte isolamento acustico. Riflettendo e studiando ciò che scrivevano Everest e Spagnolo nei loro rispettivi manuali, mi sono accorto di un ulteriore possibile miglioria, montando i due vetri delle finestre l’uno dritto e l’altro inclinato sarebbe diminuito ulteriormente l’effetto di accoppiamento. Questo artifizio è parecchio usato negli studi di registrazione, tra la sala di ripresa e la regia. Un’altra esperienza che sono in procinto di mettere in atto per migliorare l’isolamento si basa sull’aumento dell’assorbimento d’intercapedine tra le due porte e le due finestre. Aggiungendo materiale fonoassorbente nell’intercapedine l’isolamento dovrebbe ancora migliorare, si parla comunque dell’ordine di massimo 3 dB. Questo è il principio su cui si basano molti pacchetti murari non esageratamente spessi e pesanti.
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Esperienza personale: la sala-prove
Parte dell’intercapedine viene appositamente riempita con materiali fibrosi fonoassorbenti. In questi casi è utile non occupare tutta l’intercapedine ma lasciare uno spazio d’aria libera, avendo questa un impedenza meccanica differente giova all’isolamento. Leggendo l’esperimento riportato da Everest in una sala regia della CNN ho montato su tutte le porte guarnizioni in poliuretano, cercando di otturare qualsiasi via di fuga di aria e consequenzialmente anche di suono. La miglioria è stata evidente. Se prima rivolgendo un orecchio alla porta si sentiva quasi il suono uscire dalle piccole fessure causate dalla posa in opera, ora la questione è percettibilmente migliorata. L’esperimento riportato da Alton Everest dichiarava un aumento di 10 dB di isolamento acustico, il risultato ottenuto non è stato così notevole ma è comunque più che percepibile.
Progettazione dell’assorbimento acustico La progettazione dell’isolamento acustico della sala è stato solo il primo passo verso la possibilità di utilizzarla per lo scopo per cui era stata creata infatti semplicemente schioccando le dita o battendo le mani all’interno di essa era più che percepibile un fastidiosissimo rimbombo di qualche secondo. La sala ha un volume abbastanza ridotto, circa 45 m3, era trattata a muro con una semplice intonacatura che, anche se abbastanza grezza, rendeva impossibile la pratica della musica. Inoltre il pavimento in piastrelle di gres porcellanato influiva non poco sulla riverberazione persistente. Tutti i materiali incidenti con la “bolla sonora”, così come Le Corbusier chiamava il suono, erano per la quasi totalità dei perfetti “specchi acustici”. La prima prova di assorbimento è stata fatta nello stanzino adiacente alla saletta dove, temporaneamente, era stata montata una scarna batteria. Inizialmente riempito per la metà da scaffalature e attrezzi vari, LXXVIII
Esperienza personale: la sala-prove
lo stanzino, di volume intorno ai 12 m3 e circa 6 m2 di pavimento, suonava discretamente bene. Successivamente, essendo nata la necessità di sgombrare lo stesso per procedure di imbiancatura e manutenzione idraulica, rimontando la batteria a stanza completamente vuota, è risultato assolutamente impossibile suonare a causa delle fastidiose riverberazioni in tutti i campi di frequenze. Per fare un esempio, il rullante ad ogni colpo sembrava suonasse due volte: il livello di pressione sonora delle riflessioni era pari al livello di pressione sonora inziale. L’eco percepito era realmente insistente. Idea fu quella di posizionare all’interno della piccola stanza un vecchio materasso usato e delle coperte, questa semplice modifica apportò un miglioramento sostanziale all’acustica di quel luogo e mi permise di suonare liberamente nel periodo di montaggio-prove in opera della salaprove. L’unica riverberazione ancora non controllata poiché troppo presente era quella della grancassa, carica di basse frequenze. La seconda prova di assorbimento ha comportato uno studio teorico più approfondito, ma l’approccio empirico della precedente esperienza è stato un elemento fondamentale per ottenere il risultato che ora è sotto gli occhi e le orecchie di tutti. Forte della piccola esperienza precedente, ho ritenuto essere l’assorbimento delle basse frequenze il problema più complesso e ho quindi agito di conseguenza. Nella ricerca dei materiali da utilizzare per l’assorbimento è stato fondamentale internet e soprattuto le discussione telefoniche con molti tecnici del settore. Era necessario scegliere un materiale che avesse un buon assorbimento alle basse frequenze, quindi un materiale assorbente a flessione, lasciarlo il più possibile libero di vibrare e di flettersi così da assorbire le lunghe onde sonore. Le possibilità alla mia portata erano due: il legno o il cartongesso. Ho scelto il legno. I motivi che mi hanno spinto a questa scelta non sono stati del tutto raziocinati. Come dice Pierantoni non esiste nessun collegamento scientifico tra l’idea del legno come materiale per la costruzione di strumenti musicali e la costruzione di sale musicali. Resta il fatto che i maggiori studi di registrazione di Los Angeles e New York, dove sono incisi la maggior parte dei dischi di musica pop, sono LXXIX
Esperienza personale: la sala-prove
costruiti in gran parte con il legno. Ho quindi utilizzato listelli di legno, comunemente detti perline, inchiodandoli su profili intassellati al muro e �������� interponendo rotoli di lana di vetro. ���������
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Creando una tabella dei tempi di riverberazione conoscendo i valori di assorbimento per bande di ottava dei materiali scelti, moltiplicando la superficie degli stessi per l’assorbimento inerente quell’ottava e sommando tutte le aree risultati, si trovano i rispettivi m2 Sabine di assorbimento per banda di ottava. LXXX
Esperienza personale: la sala-prove
costruiti in gran parte con il legno. Ho quindi utilizzato listelli di legno, comunemente detti perline, inchiodandoli su profili intassellati al muro e interponendo rotoli di lana di vetro. Le aree sono proporzionali al tempo di riverberazione calcolato tramite la formula di Sabine del T60 37, essendo il volume della sala di 43,2 m3 e l’area di assorbimento in m2 Sabine diversa per ogni banda d’ottava si calcola il tempo di riverberazione e cioè il tempo in secondi che il suono impiega per attenuarsi di 60 dB. Sabine in persona era arrivato alla formulazione della legge omonima con un esperimento empirico. È divertente ricordare un aneddoto sulla formulazione della cosiddetta legge di Sabine. “I cuscini armoniosi del Prof. Clement Wallace Sabine” 38 erano stati i responsabili della possibilità di fruizione dell’auditorium del Fogg Art Museum di Boston, costruito a immagine e somiglianza del teatro di Epidauro ma assolutamente inutilizzabile per via di una copertura errata. I quasi mille cuscini portati dagli studenti del professor Sabine avevano sostanzialmente migliorato l’acustica della sala diminuendone i tempi di riverberazione e permette a Sabine la formulazione della legge omonima sul tempo di riverberazione.
Sabine stesso diceva essere valida la sua legge soprattutto negli spazi con grandi volumi, nel mio caso lavorando su un volume piccolo diceva necessarie le prove in opera. Detto fatto. La formula di Sabine è T60=(0,163*V)/A dove V è il volume della sala in m3 e A è l’area di assorbimento in m2 Sabine 38 Citazione da La trottola di Prometeo, Introduzione alla percezione acustica e visiva, Pierantoni, ed. Laterza 37
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Esperienza personale: la sala-prove
Realizzazione dell’assorbimento della sala-prove e prove in opera L’esperimento iniziale fu di collocare una mini batteria all’interno della sala e provare a suonare. Tendo a sottolineare che il mio metodo empirico si basa quasi totalmente sulla percezione dei suoni che comunemente sento o uso: la voce, il battito delle mani, lo schiocco delle dita, il colpo di tosse e il suono della mia batteria. Quest’ultimo è stato fondamentale nella realizzazione della sala poiché in anni di esperienza e concerti dal vivo nelle più disparate condizioni acustiche, all’aperto, al chiuso sotto un tendone, nei locali, nelle discoteche ho affinato l’orecchio circa il suono che ha e che deve avere il mio strumento. Diventa quindi uno dei miei termini di paragone a maggior ragione in una sala pensata proprio per uno scopo musicale. Con muri intonacati e pavimento in piastrelle di gres porcellanato il suono percepibile era a dir poco drammatico. Riverberazione violenta su tutte le frequenze, un basso esplosivo, delle alte taglienti e un medio lunghissimo. I miei termini di paragone sulle frequenze sono la grancassa per il basso, il rullante per le medie frequenze e il charleston o i piatti per gli alti. Conoscendo il suono che dovrebbero avere e confrontandolo con quello percepito si arriva a capire cosa manca, in questo caso mancava tutto l’assorbimento a tutte le frequenze. Il primo passaggio è stato l’incollaggio del piramidale sul soffitto, ho scelto un piramidale 2 + 5 cioè con due centimetri di base e cinque di piramide. L’incollaggio con un apposito mastice sulla quasi totalità del soffitto non ha ostacolato le numerose prove-suono durante il lavoro. Il quantitativo che avevo calcolato in tabella era di 20 mq, sono invece stati incollati solo 21 pannelli melamminci da 120 x 60 cm, cioè poco più di 15 mq. Questa differenza tra “progettazione teorica” e “realizzazione pratica” ha diverse spiegazioni che illustrerò più in fondo al capitolo. Le prove in opera effettuate sono state diverse. LXXXII
Esperienza personale: la sala-prove
Inizialmente, come riportato prima, la situazione era drammatica. Con metà del piramidale incollato al soffitto si verificava un fenomeno inusuale. Posizionando una qualunque sorgente sonora al di sotto del piramidale il riverbero era controllato, almeno sulle alte e medie frequenze. Posizionandosi nella parte di stanza non ancora “modificata” il riverbero risultava essere quasi come nella stanza senza modifiche di assorbimento.
Completato l’incollaggio del piramidale e quindi il lavoro di assorbimento delle alte e medie frequenze è iniziato il lavoro per l’assorbimento delle basse. Sono stati montati dei listelli di legno 3 x 4 cm con passo 120 cm circa. Questi supporti, intassellati al muro, hanno permesso alle perline di essere inchiodate sopra di essi. Le perline sono state inusualmente montate in orizzontale poichè, essendo la stanza di 4 x 4,5 m, la quantità di utilizzo era parecchio inferiore al montaggio in verticale e su due pareti poteva essere montate senza neanche essere tagliate poiché la lunghezza standard è di 4 m. Inoltre, visivamente parlando, la stanza sembra essere più grande perchè rende evidente l’orizzontalità dei giunti. Dietro il legno è stato inserito uno strato di lana di vetro in rotoli così da aumentare l’isolamento termico e, anche se relativamente, quello acustico.
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Esperienza personale: la sala-prove
Durante il montaggio delle contropareti in legno sono state effettuate più prove in opera. Inizialmente con due pareti completamente montate, poi con tre e poi a stanza completata. È stato necessario il montaggio di tutte le pareti per avere una buona risposta sulle basse frequenze. Le prove in opera non avevano dato risultati abbastanza soddisfacenti contrariamente a quanto era successo per il soffitto. È quindi stato necessario arrivare a occupare tutta la superficie teorica calcolata nello studio dell’assorbimento. Le alte frequenze infatti sono maggiormente semplici da assorbire avendo una lunghezza d’onda più corta, le basse frequenze con lunghezze d’onda anche di metri sono un problema più complesso. Come evidenziato già in precedenza nell’esperimento della piccola anticamera della saletta, l’arredamento stesso offre assorbimento gratuito alle alte e medie frequenze. Finita la sala-prove, montata la batteria completa, gli amplificatori per gli altri strumenti e un piccolo divano, il suono percepibile è a detta di molti molto gradevole e molto buono per suonare, anche a volumi parecchio elevati. Tutti i suoni sono assolutamente distinguibili, il riverbero è controllato, la stanza non risulta assolutamente sorda come invece succede in alcuni studi di registrazione. La soddisfazione di suonarci dentro è notevole. Molti musicisti professionisti si sono complimentati per l’acustica della sala.
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Esperienza personale: la sala-prove
Finita la sala-prove, montata la batteria completa, gli amplificatori per gli altri strumenti e un piccolo divano, il suono percepibile è a detta di molti molto gradevole e molto buono per suonare, anche a volumi parecchio elevati. Tutti i suoni sono assolutamente distinguibili, il riverbero è controllato, la stanza non risulta assolutamente sorda come invece succede in alcuni studi di registrazione. La soddisfazione di suonarci dentro è notevole. Molti musicisti professionisti si sono complimentati per lâ&#x20AC;&#x2122;acustica della sala.
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Esperienza personale: la sala-prove
Ulteriori prove di assorbimento e ipotesi di miglioramento per l’isolamento Essendo oramai quasi un anno che la sala-prove è utilizzata regolarmente le prove effettuate all’interno sono state molte. La semplice disposizione degli strumenti e sopratutto della batteria modifica la percezione acustica della stanza. Rivolgendola verso la finestra, per esempio, la cassa perde “punta”, “attacco”, la sensazione “botta nello stomaco” diminuisce. Un ulteriore prova che ho fatto è stata quella di aumentare la quantità di piramidale all’interno della sala durante una sessione di musica. Un mio caro amico mentre suonavo ha tolto dallo scatolone in cui erano riposti i pannelli di piramidale avanzati, posizionandoli in giro per la stanza. La prova è stata fatta con molta calma evidenziando quanto questo influisse sulla percezione del suono. Ciò che era immediatamente evidente a entrambi è che sia il rullante che la punta della cassa perdevano brillantezza e vigore all’aumentare della massa assorbente. È quindi immediatamente caduta l’idea di incollare ulteriori pannelli di piramidale all’interno della sala, cioè di raggiungere la superficie pensata in via teorica. In questo caso l’aiuto dell’arredamento è stato fondamentale. In un futuro sarà possibile la costruzione di bass trap per diminuire ulteriormente la presenza di bassi all’interno della sala, probabilmente poi non verranno utilizzati perchè la stanza suona benissimo. A mio parere è interessante sentire la reale differenza di suono con l’aggiunta di modiche e non solo studiare teoricamente il risultato che si dovrebbe ottenere.Nel prossimo futuro aumenterò la massa di una delle due porte e inserirò bugnato o piramidale poliuretanico all’interno delle intercapedini. Il lavoro non è stato ancora fatto poiché il piramidale che ho montato sul soffitto è melamminico e quindi molto più longevo del poliuretanico al passare del tempo, in classe 1 di reazione al fuoco, bianco, ma molto fragile allo strofinamento e quindi poco adatto a essere montato su una porta. La massa delle due porte purtroppo necessariamente uguale, se modificata sostanzialmente dovrebbe aumentare ulteriormente l’isolamento ovviando al fenomeno dell’accoppiamento di impedenza. LXXXV
Esperienza personale: la sala-prove
“Finalmente arrivò Strauss. Era un vecchietto piccolino, con tutti i capelli bianchi. Salì sul podio, ci salutò con un simpatico sorriso, disse alcune frasi di circostanza e cominciò la prova. Appena diede il via, l’orchestra partì come un razzo, ma dopo qualche minuto, Strauss si fermò e si mise le mani nei capelli. “Signori”, disse “voi suonate proprio tutte le note, alla perfezione. Ma non è di questo che ho bisogno. La musica è fatta anche di altre cose”. In dieci minuti distrusse il lavoro di giorni e giorni di prove. Noi avevamo raggiunto la perfezione formale ma mancava l’anima.” 38
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Renzo Allegri, intervista con Carlo Maria Giulini, Milano estate 1994, mensile musicale giapponese “Ongaku No Tomo”
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Appendice La salle Pleyel, di Guy Cherqui (tratto da “Amadeus”, Anno XIX, gennaio 2007, n.206) In attesa della costruzione di un nuovo grande auditorium (di Parigi N.d.R.) è stata ristrutturata e riaperta la sala da concerti parigina, luogo storico e centrale della capitale francese. La questione dell’auditorium è ricorrente nella vita musicale parigina e viene posta con insistenza da più di vent’anni: da quando François Mitterrand decise di costruire l’Opéra-Bastille, ma in realtà fin dal diciannovesimo secolo. Con la costruzione della Cité de la Musique alla Villette ha ricevuto una risposta solo parziale; da qualche mese, però, si è finalmente trovato un accordo tra i diversi partner pubblici e un auditorium di duemila posti sarà costruito alla Cité de la Musique entro il 2012. Nell’attesa, è bastato che la Salle Pleyel fosse chiusa per diversi anni perché il problema apparisse in tutta la sua gravità: l’Orchestre de Paris non aveva più una sede per i suoi concerti e ha dovuto per quattro anni emigrare in un teatro parigino, il Mogador, concepito per l’operetta tradizionale e del tutto inadatto alle esigenze di una grande orchestra. E’ come dire che la Salle Pleyel è oggi un luogo essenziale, insostituibile, per la vita musicale parigina, come d’altronde fin dalla sua costruzione nel 1927. In effetti quella di rue du Faubourg Saint-Honoré è la sola sala da concerti abbastanza ampia della capitale; gli altri spazi; lo Chátelet o il Théátre des Champs-Elysées, sono teatri che accolgono di tanto in tanto dei concerti, e l’auditorium della Villette o la sala Olivier Messiaen di Radio France hanno una capacità troppo ridotta di spettatori (mille posti). Dunque, ciò che fa della Salle Pleyel un luogo mitico ed eccezionale è prima di tutto il suo carattere unico. Si rimane sorpresi nel constatare che dopo il 1927 non è stato costruito un auditorium a Parigi: ormai, è la sola capitale europea sprovvista di un luogo moderno e accogliente per l’ascolto della musica. Tuttavia, il pubblico è presente dappertutto, dove a Parigi si fa musica, e i primi dati sull’affluenza del pubblico alla Salle Pleyel rinnovata sono del tutto favorevoli. La recente riapertura di questa sala è dunque un avvenimento importante nella vita musicale LXXXVI
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parigina. E’ il caso di ricordare le circostanze della sua costruzione e le tribolazioni che hanno segnato la sua esistenza fino a questi ultimi anni. La famiglia Pleyel, residente a Parigi dal 1795, apre nel 1807 una fabbrica di pianoforti che diventerà celebre in tutto il mondo. Camille Pleyel, il figlio del fondatore ungherese (Ignaz Pleyel), fa allora costruire una sala da 150 posti, poi un’altra da 550 che accoglierà i più grandi musicisti (Chopin, Saint-Saéns, Debussy). Questa sala si rivela insufficiente per le grandi orchestre sinfoniche e all’inizio degli anni ‘20 del Novecento Gustave Lyon, direttore della società Pleyel, lancia l’idea di costruire una sala da concerti da tremila posti che usufruisca delle ultime innovazioni in campo acustico. Il progetto prende forma: risponde, insieme, alle esigenze della società Pleyel di promuovere le proprie attività musicali e a quelle della città di Parigi dove non esistono sale che non siano teatri che accolgono concerti (praticamente come oggi). La sala viene inaugurata il 18 ottobre 1927 con un concerto della Société des concerts du Conservatoire (l’antico nome dell’Orchestre de Paris), nel corso del quale Igor Stravinskij e Maurice Ravel dirigono e al quale assistono, tra gli altri, Manuel de Falla, Paul Dukas, André Messager. Tutti riconoscono la grande riuscita di un’acustica eccezionale, ma dopo un anno un incendio la distrugge. Ciò nonostante, viene rapidamente rimessa in sesto, ma con una capacità ridotta a duemilacinquecento posti. L’organo viene installato nel 1929 e inaugurato il 5 marzo 1930 da Marcel Dupré.Da allora, la Salle Pleyel è il centro nevralgico della vita musicale parigina, con le due sale complementari Chopin e Debussy. Vi prendono sede le orchestre delle associazioni musicali parigine (Orchestre Symphonique de Paris, Société Philharmonique), poi poco a poco delle altre come l’Orchestre Colonne, l’Orchestre Pasdeloup, l’Orchestre Lamoureux; ma vi si ascoltano anche cantanti di varietà e di jazz. L’incendio, tuttavia, ha gravemente minato l’equilibrio finanziario della maison Pleyel che, in tale momento di grave crisi economica, fallisce; è la sua banca, il Crédit Lyonnais, a diventare proprietaria della Sala. La gestione morbida della banca permette alla Salle Pleyel di restare il centro della creazione e dell’interpretazione musicale parigina: LXXXVII
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Stravinskij, per esempio, vi presenta Agon in prima esecuzione; grandi direttori e tutti i grandi solisti del ventesimo secolo la segnano con la loro presenza. Otto Klemperer, per citarne uno, vi eseguirà la Nona sinfonia di Mahler. Infine, la Salle Pleyel diventerà la sede dell’Orchestre de Paris, il cui direttore era all’epoca Daniel Barenboim. Nel 1998, la Salle Pleyel è messa in vendita dal Crédit Lyonnais in seguito allo scandalo economico che stava per inghiottire questo storico gioiello della finanza francese. Il nuovo proprietario ne affida la direzione a sua moglie, direttore d’orchestra, fatto che provoca grossi trambusti nella vita musicale (tra le altre cose, il ciclo Beethoven previsto nel febbraio 2001, con i Berliner Philharmoniker e Claudio Abbado, sarà annullato e si terrà invece a Roma, all’Auditorium di via della Conciliazione). La Salle Pleyel vive allora i momenti più difficili: si parlerà perfino, per qualche momento, di abbatterla per costruire al suo posto degli uffici. D’altro canto, per rispondere alle critiche sempre più pungenti, era stato programmato più di un rifacimento: il primo, nel 1958, aveva trasformato tutte le parti comuni dividendole con tramezzi ed era intervenuto anche nella sala vera e propria, diminuendone peraltro le qualità acustiche; il secondo, nel 1981, aveva cercato di ristabilire la forma originale, senza migliorare veramente l’acustica. Sarà l’ultimo grande intervento prima dei lavori del 2002, conclusisi con l’inaugurazione del settembre 2006. Lo stato francese, conscio della difficile situazione parigina e della necessità della città di avere un auditorium al minor costo possibile, decide d’accordo con il proprietario di intervenire per salvare la Salle Pleyel e di ridarle il suo lustro d’antan. I lavori cominciano nel 2002. I lavori cercano di ristabilire prima di tutto la struttura originale e di eliminare gli interventi del 1958. La realizzazione più impressionante è il ripristino della monumentale entrata, la rotonda originale Art déco distrutta nel 1958; poi un ampliamento delle parti pubbliche e un totale rifacimento dell’auditorium con il comparire di gallerie laterali e di gradini dietro l’orchestra, in un’estetica vicina a quella originale, così come la totale rifondazione delle condizioni acustiche. Il numero di posti è limitato a 1.913, decisione che migliora le condizioni di comfort. LXXXVIII
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Anche le parti destinate agli artisti sono state ripensate, per permettere l’accoglienza simultanea di differenti orchestre, residenti o invitate, e rispondere così alle attuali esigenze delle grandi formazioni musicali. Questo recupero, largamente finanziato dalla stato, si inscrive in una esigenza di trasparenza della gestione artistica e viene chiesto alla Cité de la Musique, istituzione pubblica creata nel 1995 e posta sotto la tutela statale, di prendere in gestione la Salle Pleyel permettendole così di allargare il suo progetto artistico. Per fare questo, il ministero della cultura e della comunicazione ha autorizzato la Cité de la Musique a prendere in affitto la Salle dal suo proprietario per cinquant’anni e a gestirla con l’intermediazione di una filiale cui è associata la città di Parigi. La Cité de la Musique ha trovato nella Salle Pleyel un polo di riferimento in campo sinfonico che le mancava (in effetti, l’auditorium da mille posti era insufficiente) e resta nel contempo il crocevia del vicinissimo Conservatorio e della musica contemporanea (con l’Ensemble Intercontemporain), possiede anche una mediateca e un Museo e organizza delle mostre. Aspettando la costruzione dell’auditorium prevista, come si è detto, nel 2012, la Cité de la Musique può così accogliere le grandi fondazioni sinfoniche e animare un luogo di esecuzione del repertorio classico di ieri e di oggi, mentre le altre sedi sono consacrate piuttosto alla musica da camera, alla musica barocca e a quella contemporanea. Così l’Orchestre de Paris, con il suo attuale direttore Christoph Eschenbach, ha ritrovato la sua sede tradizionale che condividerà con l’Orchestre Philharmonique de Radio France diretto da Myung-Whun Chung e con le diverse orchestre e i solisti invitati nella stagione. La riapertura della Salle Pleyel risponde a un bisogno reale della città di Parigi. Diventava molto difficile organizzare una vita musicale sempre più ricca senza avere a disposizione una sala da concerti di ampie dimensioni. Rimane in ogni caso da augurarsi che questa riapertura sia anche il preludio alla costruzione di un’altra sala moderna che porrà finalmente Parigi al livello delle altre grandi capitali europee, che hanno almeno due sale da concerto importanti. E’ programmata di sicuro, ma la storia musicale di Parigi ci ha insegnato a diffidare delle promesse. LXXXIX
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Jantar Mantar di Delhi: il più grande osservatorio astronomico senza strumenti ottici del mondo. Costruito nel 1724, condensa le conoscenze astronomiche e il gusto architettonico indiano dell’epoca. Il coltissimo Maragià Sawai Jai Singh II, fondatore di Jaipur, studioso di sanscrito e persiano, astronomia, matematica e architettura, fece proprie le istanze dei ricercatori e, in un periodo politicamente buio (guerre tra dinastie indiane e potenze europee per il controllo del Paese), costruì, non più in metallo ma in pietra e cemento, il grande osservatorio monumentale di Dheli: lo Jantar Mantar. Jantar Mantar deriva dal sanscrito Yantar (strumento) Mantar (calcolo, formula) ed è un grandioso complesso di strumenti astronomici contraddistinti da un’enorme precisione, insuperata per strumenti del genere. Uraniborg, la “città osservatorio” costruita dal facoltoso astronomo danese Tico Brahe, il più grande osservatorio europeo prima dell’invenzione del telescopio, era molto più piccola dello Jantar Mantar. Sappiamo che astronomi europei (come Xavier de Silva, direttore dell’osservatorio di Lisbona) furono invitati dall’illuminato governante per far diffondere in India le ultime scoperte occidentali nel campo, tuttavia il maragià prese a modello per il nuovo osservatorio quello di Mirza Ulugh a Samarcanda, costruito nel 15° secolo. Ciò che colpisce visitando il complesso, realizzato nel 1724, è l’armonia con cui si fondono le esigenze di precisione delle misure con le leggi astronomiche e con l’eleganza delle costruzioni. Per le sue forme, Sawai Jai Singh II, che successivamente costruirà altri 4 osservatori, si ispirò all’architettura tradizionale indiana ma accettando influssi anche islamici e greci. Fra gli strumenti dell’osservatorio spicca il Samrat Yantra, una grande meridiana disegnata dallo stesso Jai Singh, su cui si può leggere non solo l’ora solare di Jaipur (Tempo Standard Indiano) con la precisione di mezzo secondo, ma anche le coordinate celesti del Sole in quel momento. Altri strumenti consentono di misurare la posizione della Luna e dei pianeti, di determinare la data dei giorni più lungo e più breve dell’anno, il diametro del Sole e della Luna e di prevedere le eclissi. Nelle intenzioni del maragià Sawai Jai Singh II c’era un rinascimento dell’astronomia pratica a tutti i livelli, dalla ricerca pura fino alla cultura popolare. XC
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Purtroppo la turbolenza politica vanificò i suoi sforzi e l’intero potenziale del grande osservatorio non fu mai colto. Solo per 7 anni furono eseguite delle misure con il suo osservatorio, poi, miracolosamente scampato a guerre e distruzioni, lo Jantar Mantar fu utilizzato come “cava” di materiale da costruzione. Re staurato nel secolo scorso, attualmente gli alti alberghi per i turisti nelle zone circostanti impediscono agli strumenti la vista degli astri.
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Bibliografia
Bibliografia Acustica e Architettura, Amedeo Petrilli, ed. Marsilio Acustica musicale e architettonica, Sergio Cingolati, Renato Spagnolo, ed. UTET libreria Architettura è, Louis I. Kahn, gli scritti, Maria Bonaiti, ed. Aeta Compendio di Acustica, K. Anthony Hoover, trad. Giorgio Campolongo, ed. CLUP Entretiens avec lès èstudiants des ècoles d’architecuture, Le Corbusier Il Palazzo dei Soviet 1931-1933, A. Samonà, Officina, Roma 1976 La trottola di Prometeo, Introduzione alla percezione acustica e visiva, Pierantoni, ed. Laterza Le Diatope, geste de lumière et de son, Iannis Xenakis, Paris, Centre George Pompidou, 1977 Le Modulor, Le Corbusier, Boulogne sur Seine, Editions de L’Architecture d’Aujourd’hui, 1950 Le Poème Electronique Le Corbusier, Le Corbusier, Paris, Editions de Minuit, 1958 L’invisibile visione del Palazzo dei Soviet: iconografia e architettura negli anni Trenta sovietici, Daniele Ludovico Vigano, 2002, Larici Editore Manuale di Acustica, F. Alton Everest, ed. Hoepli XCII
Bibliografia
Modulor 2, 1950, Le Corbusier Oeuvre complète, vol. II 1929-1934, Le Corbusier Oeuvre Complète, vol. V 1946-1952, Le Corbusier Oeuvre Complète, vol. VI 1952-1957, Le Corbusier Space calculated in seconds, Marc Treib, Princeton University Press, 1996 Un convento di Le Corbusier, Jean Petit, Milano, Edizioni di Comunità, 1961 Une Maison – Un Palais, Le Corbusier Verso un Architettura, Le Corbusier
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