N.13 SEMESTRALE - 4 LUGLIO 2011
DIGITALISMI L A V I TA S E C O N D O I L W E B
SPECIALE GIORNALISMO L’ i n f o r m a z i o n e a i t e m p i d i I n t e r n e t
Michele Mezza Angelo Agostini
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“Non esiste che un utente interagisca sulla notizia con il giornalista”
“Oggi il giornalismo è molto più in salute che in passato“
Iacopo Gori “Ho sempre creduto all’online, anche se ci rimetto la salute“
Beppe Severgnini “Sono l’uomo che unisce i puntini, come sulla settimana enigmistica“
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Politecnico di Milano. Corso di Laurea Magistrale, AA 2010-2011, Communication Design, sezione C1, Laboratorio di progettazione di artefatti e sistemi complessi, docenti: Mauro Panzeri, PierAntonio Zanini, Marco Moro
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DIGITALISMI - La vita secondo il web Semestrale - N° 13 - 04 luglio 2011 Speciale giornalismo - L’informazione ai tempi di Internet
Sommario
IL PANORAMA ATTUALE In che condizioni è il giornalismo? Prima di affrontare il tema del digitale in redazione è bene informarsi sulla salute di questo mercato forse un po’ cagionevole, ma mai stanco. Un docente ed esperto di comunicazione dei media scioglie i nodi di questa realtà editoriale e giornalistica così complessa e alle volte sfuggente.
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Chi si è perso, si è perso di Francesco Siliato
LE PROFESSIONALITÀ Abbiamo intervistato alcuni giornalisti che negli ultimi anni, sulla loro pelle, hanno vissuto il passaggio dal supporto analogico a quello digitale. Da chi scriveva su carta e ora lo fa in rete, a chi di Internet proprio non vuole saperne, seguiamo una panoramica di pareri contrastanti sul cambiamento tanto pervasivo e totalizzante di una professione.
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L’online è adrenalina intervista ad Alessandro Sala
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Vogliamo sangue giovane intervista a Iacopo Gori
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Sono tutti un po’ malati intervista a Leandro Palestini
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L’INSEGNAMENTO Chi ha vissuto il passaggio ha ben presente un “prima” e un “dopo”, ma alla professione si stanno accostando una nuova leva di nativi digitali, che su un monitor ci sono cresciuti e specializzati. Un professore di giornalismo conosce bene non solo i pregi e soprattutto i limiti dei suoi studenti, ma anche quelli di un paese che si appresta - forse impreparato - ad accogliere i nuovi frutti del digitale.
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Gli ultimi della classe intervista ad Angelo Agostini
L’OPINIONE Si intraprende qui un confronto con uno scrittore senza peli sulla lingua che nella sua ultima pubblicazione analizza il mercato editoriale e giornalistico attuale con tutte le sue contraddizioni e problematiche. Tra il filosofico e il sociologico, un punto di svolta tra quello che è stato fatto e quello che si dovrebbe fare, con qualche dritta per chiudere un’epoca e aprirne, serenamente, una nuova.
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Abbiamo trovato la fonte intervista a Michele Mezza
GLI INTEGRATI Si mettano da parte le perplessità, i timori e i dubbi sul digitale: chi conosce davvero la rete, le sue potenzialità e le opportunità che offre, ha dimostrato di saperla sfruttare al meglio in tutti i suoi pregi. In questa sezione sono raccolte tre esperienze di autori e professionisti che hanno capito appieno la direzione da prendere e hanno raggiunto il successo professionale grazie anche - e soprattutto - al loro rapporto privilegiato con il web.
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Surfers varesotti di Marco Giovannelli
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L’uomo che unisce i puntini intervista a Beppe Severgnini
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Il giornale non è la sua carta di Luca De Biase
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Speciale giornalismo
Giornalismo e new media
Se il digitale diventa un problema L’intero sistema dell’informazione è radicalmente cambiato dall’avvento dei computer e di internet, restituendo un panorama più ampio e più incerto.
L
a diffusione delle notizie è, da sempre, in mano a un sistema editoriale chiuso e ben definito, che si fa carico di informare i lettori. Il passaggio dalla carta all’online ha provocato grandi cambiamenti su vari fronti, che coinvolgono direttamente il ruolo del giornalista e, più in generale, la natura delle notizie. Questa indagine parte da una panoramica generale e si arricchisce, man mano, con le interviste rilasciate da alcuni dei protagonisti del cambiamento; una miscela di dati, fatti e considerazioni sulle dinamiche di trasferimento dal cartaceo al web. L’esperienza personale degli intervistati diventa spunto di riflessione per valutare i vantaggi e gli svantaggi del binomio analogico/digitale, dalla nuova definizione di “notizia” fino al trattamento dei testi, dalla differente gestione delle redazioni al confronto delle tempistiche lavorative. Un interrogativo importante è posto a proposito del vastissimo uso dei blog e dei social network come nuovi e potenti strumenti di informazione, cui si collega il delicato problema della validità delle fonti. Ma i cambiamenti non coinvolgono solamente chi la notizia la produce: l’utente, che riceve e consuma l’informazione, assume un ruolo sempre più attivo e partecipe all’interno del processo divulgativo, con diverse esigenze e una maggiore capacità d’interazione. Il giornalista, dal suo canto, si trova a doversi confrontare con una professione totalmente rinnovata - o rivoluzionata? - a partire dalla sua formazione. Gli atteggiamenti non sempre sono concordi; opinioni raccolte a confronto mostrano un quadro generale contraddittorio dove emerge la difficoltà di convivere con un mestiere tanto tradizionalista quanto innovativo. Le condizioni attuali del giornalismo si scontrano con le incerte prospettive per il futuro: ipotesi possibili sui nuovi dispositivi e applicazioni realizzabili, ma soprattutto stimoli sulle potenzialità della rete. Dato il presente confuso e il futuro incerto di questa professione, non esiste alcuna facile istantanea che fotografi l’esatto panorama attuale, ma un moltiplicarsi di opinioni, testimonianze ed esperienze che si sommano e si sovrappongono fino a restituire un quadro che è l’essenza del giornalismo odierno, una realtà complessa, contraddittoria e a volte difficile da capire, persino da chi la vive ogni giorno. La raccolta dei testi è avvenuta mediante interviste effettuate ai professionisti sul loro posto di lavoro, per un totale di 204,6 Km percorsi, o in collegamento telefonico. Gli incontri sono stati registrati su supporto audio, per un totale di 10 ore, 44 minuti e 36 secondi di materiale. Sul posto, inoltre, sono state acquisite numerose fotografie sia dell’intervistato che dell’ambientazione lavorativa, per un totale di 709 immagini.
Elena Conchetto Stefania Guerra Veronica Frisicaro Michela Lazzaroni
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IL PANORAMA ATTUALE
Francesco Siliato
Chi si è perso, si è perso Che gli Italiani si siano disaffezionati ai quotidiani è un dato di fatto, ma la colpa non può essere imputata solo a Internet, ed è ora che ognuno si assuma le sue responsabilità.
I
l mercato dell’editoria sta vivendo un lungo periodo di crisi della quale Internet è stato spesso additato come la principale causa; ma la questione è molto più complessa di come potrebbe sembrare. Francesco Siliato, ricercatore ed esperto in comunicazione dei media, commenta il panorama attuale con qualche dato e qualche smentita. A DISCOLPA DI INTERNET Che i quotidiani italiani stiano perdendo lettori nel loro supporto cartaceo è un fatto ormai chiaro a tutti. Ogni testata, grande o piccola, ad alta o bassa tiratura, raggiunge attualmente un numero di clienti inferiore a cinque o sei anni fa. Conseguentemente, anche gli introiti pubblicitari sono diminuiti, e la somma di questi due fattori determina la crisi del settore. Sui motivi della diminuzione dei lettori si può fare il punto, e contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Internet c’entra poco o niente: non siamo di fronte a una disaffezione immotivata, ma alla percezione di una perdita generale di credibilità attribuita al quotidiano. Vi sono svariate cause per le quali l’utente non ripone più la sua fiducia nella carta; per esempio se il giornale non risponde più alle necessità dei suoi lettori, ma a quelle dei poteri economici che lo dirigono, si viene a creare una sostanziale distanza tra punto di vista della testata e punto di vista del lettore, che non vi si riconosce più e la abbandona. 6
Questo fenomeno è capitato anche per quanto riguarda la televisione, ma questo è un apparecchio che si ha a casa, gratuito e comporta una soglia di attenzione mediamente bassa, per cui la sua perdita di credibilità non implica una diminuzione del consumo, ma semplicemente un atteggiamento più distaccato dell’ascoltatore. Invece il giornale implica un approccio diverso, un’intenzionalità maggiore, per la quale si deve andare in edicola, comprarlo, sfogliarlo etc. e sono tutte azioni che, se lo sforzo non è ripagato da un prodotto di qualità, non valgono più la pena di essere fatte. Che Internet abbia determinato la crisi è un’affermazione del tutto falsa. La perdita di credibilità e la disaffezione del lettore fanno la differenza e sono il motivo della situazione attuale, non imputabile alla rete. Semplicemente, gli editori hanno cominciato a perdere perché i giornali sono fatti male. La diffusione di Internet a un pubblico sempre più numeroso non ha giovato ai quotidiani cartacei, ma non per questo la gente legge meno. La lettura nelle nuove generazioni non è minore di quella delle generazioni precedenti, anzi è da considerarsi addirittura maggiore: si legge di più e si scrive di più. Secondo i dati Audiweb, agenzia che misura la lettura sulle testate online, i siti dei giornali più importanti hanno un numero di lettori unici superiore al milione. La “lettura” persa dagli editori sul cartaceo viene quindi ampiamente recuperata grazie alla diffusione del web.
Speciale giornalismo
Il tempo impiegato per informarsi varia in relazione agli interessi privati e all’agenda mondiale, per cui le “hard-news” attireranno un pubblico maggiore e un tempo di lettura più esteso allo stesso modo sulle due piattaforme: la modalità con cui si “sfogliano” le notizie è la stessa sia su carta che su web. Il maggior tempo dedicato alla lettura da chi frequenta Internet è quindi dato dal moltiplicarsi delle fonti. Avendo a disposizione il sito dell’agenzia Ansa, piuttosto che della Reuters, allora ogni lettore può consultare direttamente i lanci di agenzia, e solo in un secondo momento andare a cercare il commento sulla testata online a cui dà più credibilità. Quindi il pubblico di Internet non si affida esclusivamente alle testate, ma di certo legge molto più di prima. UN MERCATO IN CRISI La peculiarità del mercato Italiano della carta stampata sta nel fatto che le vendite dei quotidiani non sono mai cresciute: dai primi del Novecento agli anni Duemila, i numeri di copie non hanno subito sostanziali variazioni. Nonostante l’alfabetizzazione, l’aumento delle professioni e il boom economico, i lettori dei quotidiani sono sempre stati gli stessi, con una costante impressionante. Non perché non potessero permetterselo, ma perché sulla quota di popolazione che cresceva, il numero di lettori restava invariato: su 44 milioni di italiani, 5 milioni erano le copie vendute. Negli ultimi anni, con la perdita di credibilità e con l’arrivo di Internet, è iniziata una palese decrescita, ma non così drastica come si potrebbe pensare. Quando negli anni ‘50 iniziarono a diffondersi le prime televisioni, improvvisamente la gente smise di andare al cinema, perché la sua funzione di piattaforma per i film era completamente sostituita dall’apparecchio televisivo. La perdita per le sale fu enorme, cifre intorno al 60% dei ricavi. Nella storia di Internet e della carta stampata invece non c’è mai stata una frattura tanto netta, ma un lento e costante decrescere. In modo complementare al calo delle vendite, la percentuale delle copie rese è aumentata, perché la copertura sul territorio deve comunque essere garantita dal quotidiano nazionale, anche nel più piccolo dei comuni dove di media viene acquistato un solo giornale. Se la tiratura è invariata e le vendite calano è ovvio che i resi aumentano. La distinzione tra “vendite” e “letture” è però un nodo fondamentale: la prima è l’atto di dare un euro per avere il giornale (il padre che va in edicola e compra il quotidiano); la seconda è il numero di persone nelle cui mani finirà il giornale (tutti i familiari che a casa leggeranno quell’unica copia). Se la vendita è calata di circa il 30% in 20 anni, la lettura ha avuto una flessione minore, perché ogni giornale ha sempre una lettura superiore alle vendite. Questo dettaglio è cruciale se si parla di investimenti pubblicitari, perché i centri media devono tenerne conto. Quando un quotidiano vende i propri spazi pubblicitari, non conta quante
Variazione degli investimenti pubblicitari negli ultimi dieci anni secondo il Rapporto 2011 sull’industria dei quotidiani in Italia.
2,5% 4,6%
0,8%
Cinema Affissioni 25,3%
Radio Periodici Quotidiani
2001
TV 51,6% 15,1%
4% 5,5%
2,1% 0,7%
Internet Cinema 18,9%
Affissioni Radio Periodici
2011
Quotidiani 54,5%
11%
TV
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IL PANORAMA ATTUALE
Numero di copie vendute dai quotidiani dal 1983 al 2010 secondo il Rapporto 2011 sull’industria dei quotidiani in Italia.
6000
4000
2000 1983
1985
1987
1989
1991
1993
persone lo comprano, ma quante lo vedranno: per questo motivo gli introiti pubblicitari non calano così tanto come le vendite. Va ugualmente tenuto presente che, per quanto in misura minore, anche in quest’ambito si registra una flessione. Gli investimenti pubblicitari sui quotidiani sono passati dal 25% nel 2000 al 18% nel 2009, contro il 4% di quelli su Internet, un dato del 2010 incredibilmente basso. Quelli della televisione, al contrario, sono notevolmente aumentati. Le aziende preferiscono di gran lunga fare spot in televisione piuttosto che su carta o su web anche a causa del pesante conflitto di interessi presente nel nostro paese, per cui tutti gli investimenti vengono assorbiti dalle TV - per non citare gli interessi di tipo lobbistico che si nascondono dietro questo mercato. Per rispondere a questa situazione di crisi i quotidiani hanno puntato molto sull’incremento degli introiti pubblicitari. All’inizio vi è stata la strategia degli inserti, che serviva a raccogliere la pubblicità a colori e pubblici più ampi, come quello femminile. Per aumentare le vendite invece è nato il concetto di “panino”: allegare al quotidiano cassette, film, libri etc. Si è partiti dal piccolo make-up e si è arrivati all’impermeabile. Ha funzionato, ma si è creato un mercato drogato nel quale si vende se c’è il gadget, altrimenti non si vende più. Oggi le testate non hanno più la forza economica di permettersi tutti questi allegati, infatti tentano un risparmio licenziando personale. La vera salvezza sono i fondi pubblici, che i giornali hanno quasi da sempre, allo stesso modo delle televisioni locali che per rimanere in attivo hanno bisogno di fare affidamento su quei contributi, altrimenti il 90% di loro chiuderebbe. In alternativa a tutto questo, sarebbe auspicabile una riqualifica dell’offerta, ma al momento gli editori non sono in grado di farlo. Nonostante questo panorama poco roseo, anche in Italia si possono trovare modelli di business positivi che incrementano le vendite. Il Fatto, uscito un paio 8
1995
1997
1999
2001
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d’anni fa, vende molto perché ha coperto un’area di lettorato finora non rappresentata, quello interessato a capire i fatti con inchieste, approfondimenti e denunce. Pochi giornalisti, poche pagine, ma tante idee; come un canale tematico, ha stabilito un’impronta chiara che nessun altro quotidiano aveva, ed è stato un successo, perché hanno mirato esattamente al loro pubblico. Il mercato dei quotidiani è saturo, non avrebbe senso fare un altra testata generalista in stile “Corriere della Sera”, ma puntare su qualcosa di nuovo. Individuare target nuovi e fornire loro un servizio specifico si rivelata essere la soluzione vincente. NUOVI ORIZZONTI, NUOVE PROBLEMATICHE Nei primi anni, i lettori delle testate online non erano gli stessi dei lettori dei rispettivi quotidiani di carta; le due piattaforme puntavano a target differenti. Chi si informava su Internet era mediamente più giovane e non apparteneva al bacino di acquirenti dello stesso giornale su carta, non erano cioè ex-lettori del cartaceo. Specularmente, quelli che si distaccavano dalla carta erano una clientela persa, cioè non passavano all’online. Quindi c’era una perdita di pubblico affezionato della carta, e parallelamente una conquista di pubblico nuovo, che andava direttamente ad abbracciare il digitale. Il minor consumo di carta era in parte pareggiato dai nuovi arrivi sul web. Con il tempo, i target diversi hanno cominciato a diventati gli stessi. La situazione attuale mostra come chi compra il quotidiano su carta si interessi anche il corrispettivo sul web. Internet ha da tempo smesso di essere un medium solo per giovani, perché la fascia di target più attiva in rete va dai 37 ai 54 anni. La sovrapposizione è sempre maggiore perché chi vuole essere informato compra il giornale di carta, ma sa che avrà le notizie del giorno prima, quindi la mattina in ufficio si collega prima della pausa pranzo e guarda la primissime notizie del giorno. Fa un’altra
2010
Speciale giornalismo
visita per controllare la situazione dopo la pausa o prima di uscire dal lavoro, intorno alle 17.00 del pomeriggio. Il giorno dopo compra il giornale con notizie ormai vecchie, ma che garantiscono un approfondimento, e lo legge con tranquillità in metropolitana, al bar, o a casa la sera. La percezione del cartaceo è ancora di maggiore completezza e comodità, si è quindi in una situazione di decrescita e parallelo aumento del digitale, con una parziale sovrapposizione dei due ambiti. Nonostante l’aumento dei lettori online, la situazione economica delle testate resta comunque critica, perché il valore commerciale dei nuovi arrivi è diverso dagli utenti ormai persi del cartaceo. I centri media, cioè il mercato pubblicitario, non riconoscono ai lettori dei siti dei quotidiani lo stesso valore del lettore del medesimo quotidiano su carta: vengono valutati in modo nettamente minore. Una parziale spiegazione di questo è proprio la sovrapposizione degli utenti due piattaforme. Se è la stessa persona che legge il giornale e guarda il sito - e quindi che vede le pubblicità di entrambi, inserto e banner - l’agenzia si rifiuta di pagare per le pubblicità due volte, perché l’utente colpito è sempre lo stesso e dunque una delle due inserzioni sarà inutile, una spesa superflua. Per questo fare pubblicità in Internet costa molto meno, e parlando di una piattaforma gratuita questo è un problema. Nel campo pubblicitario, si chiama “prezzo di listino” quanto viene valutato il costo di una pubblicità su un determinato mezzo per contatto, cioè per singola persona che vedrà quella pubblicità. Il listino della home page di una testata è molto minore di quello della stessa testata cartacea, perché l’utente del cartaceo “vale” di più. La crisi economica dei giornali non sta quindi nella diminuzione degli utenti unici, riguadagnati nell’online, ma nella perdita di utenti che fanno guadagnare di più in termini pubblicitari contro un aumento di utenti su web che però fanno incassare poco. Lo scarto di valore tra questi due fa sì che il bilancio complessivo sia in perdita. Date queste premesse, è naturale che le testate online non stiano funzionando, e non è un fenomeno solo Italiano; negli Stati Uniti, per esempio, anche il Daily di Murdoch è in perdita. Per questo motivo tutti i siti dei quotidiani cercano di essere chiusi, diretti, in modo che l’internauta ci navighi dentro. Si può passare da un articolo all’altro, da un blog all’altro, ma non vi sono molti link esterni alla testata. Più l’utente passa sul sito, più il sito acquisisce valore e si può sperare nell’aumento dei prezzi di listino. Allo stesso modo si tende a far crescere più la multimedialità dell’interattività, con video, dirette, gallerie fotografiche. Sul giornale di carta non c’è mai molto spazio per le immagini, sul web invece vale la pena di rendere disponibili cento foto del matrimonio di William e Kate con lo scopo di occupare il tempo del lettore, trattenendolo nel sito il più a lungo possibile. Con le nuove piattaforme come l’iPad, oggi ci sono
delle opportunità in più per i giornali. Rende più accessibile la multimedialità, sempre a portata di mano senza bisogno di portarsi appresso un computer portatile o di sedersi a una scrivania. Oggi si tiene il giornale multimediale in borsa, come prima si portava in giro quello cartaceo. Per quanto riguarda le notizie non cambia niente, è lo stesso identico giornale, la trasposizione esatta di quel che si trova sul cartaceo. Forse in futuro si arriverà ad avere un’edizione pomeridiana su iPad diversa dalla copia cartacea del mattino, ma è una decisione che spetta agli editori. Nessuno vieta di far uscire, per esempio, un anticipo serale su iPad di quel che si troverà nel quotidiano del giorno dopo, se non ragionamenti di marketing. La questione è tutta economica: meno edizioni si fanno, più si risparmia, e il fulcro rimane sulla multimedialità, non sulle notizie. La previsione per il futuro non è dissimile dall’andamento a cui si è assistito finora. I lettori su cartaceo continueranno a scendere e quelli sul web a crescere, anche perché chi ha preso da giovane l’abitudine di navigare non smetterà certo raggiunta una certa età, e quindi il bacino di utenza online continuerà ad allargarsi di nuove e vecchie conoscenze. Se la perdita su carta sarà riequilibrata da un guadagno, anche economico, sulle testate online dipenderà dagli editori e dalla loro capacità di svincolarsi dai poteri e sperimentare delle nuove soluzioni per attirare il lettore.
Destinazione delle copie di giornali secondo il Rapporto 2011 sull’industria dei quotidiani in Italia.
1,5%
2,5% Vendite 6,3%
Reso Copie gratuite 26,3%
Abbonamenti Altro
2011 63,4%
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LE PROFESSIONALITÀ
Un cambiamento voluto e necessario
L’online è
adrenalina Alessandro Sala è passato dal Corriere della Sera al Corriere.it con una scelta fortemente voluta e consapevole, nonostante tutti gli sconsigliassero di farlo, e ci racconta perché non si è mai pentito.
C’
è chi, ancora oggi, pensa che il giornalismo vero sia quello su carta stampata. Nell’epoca del digitale, sono in pochi ad apprezzare le potenzialità di Internet nel campo dell’informazione. Alessandro Sala, giornalista del Corriere della Sera, ha deciso consapevolmente di passare all’online già sei anni fa. In questa intervista, espone con convinzione l’importanza di un contatto diretto con l’utente e le nuove risorse messe a disposizione dai social network. Com’è cominciata la sua carriera? Prima ero corrispondente di cronaca dalla zona di Monza e Brianza, poi sono entrato nella redazione di Grande Milano. Ho iniziato a lavorare per il Corriere nel 1996 e sei anni fa, nel 2005, ho deciso di passare all’on-line, scelta della quale sono tuttora convinto. Come mai questa decisione? Mi affascinava il mezzo. Io utilizzavo Internet già sei anni fa e non era preistoria, ma nemmeno quello che è oggi. Già mi piaceva l’idea di dare la notizia nel momento stesso in cui il fatto acca10
de, la possibilità di essere veramente sul pezzo, molto più del quotidiano, che ha sempre 24 ore di “scarto” tra la lavorazione e l’andata in stampa. Inoltre, mi interessava la possibilità di occuparmi di più argomenti. Com’era allora l’atteggiamento verso il digitale? Sei anni fa, ma potrei dire anche oggi, c’era una presa di distanze. Tanti colleghi non hanno capito la mia scelta. Mi fermavano nei corridoi per chiedermi se avessi per caso litigato col direttore! A quel tempo era strano che un giornalista della redazione politica del Corriere della Sera - che è ancora considerata di primo piano - potesse decidere di sua spontanea volontà di passare al web, perché non era ancora considerato allo stesso livello della carta. E oggi? Oggi ancora qualcuno pensa a una supremazia della carta, che secondo me, invece, non esiste. È anche una questione di numeri. Al Corriere.it nel 2005, se non ricordo male, si parlava di 450 mila utenti unici al giorno; oggi sono attorno ai 2 milioni, nettamente superiori rispetto ai quelli della carta. Il pubblico
è in continuo aumento. Inoltre, sono sicuro che, per tutta una fascia di lettori, il Corriere della Sera è rappresentato da noi del web. Le generazioni dai 45 anni in giù hanno un rapporto molto più diretto con il computer, lo smartphone o il tablet, piuttosto che con la carta inchiostrata. Il quotidiano non è più in linea con i ritmi di oggi: andare in edicola, comprare il giornale, se piove dover mettere il cappotto… In più è difficile da tenere in mano e sfogliare, rispetto ad un iPad. Lo stesso Corriere che si trova in edicola lo si può vedere già su iPad, abbonandosi.
Speciale giornalismo
CINQUE MINUTI: LA NASCITA DI UNA NOTIZIA Com’è strutturata la versione del Corriere per iPad? C’è la stessa pagina del quotidiano, ma anziché vedere una foto e basta, se ci clicchi sopra puoi vedere un video o una fotogallery. Forse un domani, quando saremo attrezzati, si avrà anche un aggiornamento continuo, mentre oggi gli articoli non vengono cambiati in progress: una notizia su iPad alle 2.00 del pomeriggio è già vecchia. Sul sito, invece, l’aggiornamento è in tempo reale: appena una notizia esce nelle agenzie, noi la diamo. Qual è stata la sua prima impressione nel lavorare all’online? Mi è subito piaciuto, perché mi sono trovato in una tempistica più mia. Quando stavo alla carta, i momenti che preferivo erano quelli un po’ più adrenalinici, quelli sotto pressione, come durante gli spogli elettorali, quando si lavora con tempi in cui tutto è concentrato in 2-3 ore. Qui all’on-line, quando ci saranno le elezioni ed uscirà il primo flash di chi è in testa, in 10 secondi lo pubblicheremo; poi ci si lavora, ma intanto il flash l’hai dato. Questa è la cosa che a me piace molto: dare la notizia al tempo stesso in cui il fatto si verifica. Com’è organizzata la redazione? Noi del Corriere online, non essendo tantissimi, siamo organizzati più per turni di presenza che per competenze specifiche. Nell’orario di servizio si segue dalla politica, agli esteri, allo sport. Non siamo divisi in maniera rigida in settori di competenza, però ognuno ha delle preferenze o precedenti esperienze; io prima ero allocato nella redazione politica del giornale di carta, quindi, tendenzialmente, le notizie di politica vengono assegnate a me. Curo personalmente la pagina degli animali, ma è un “di più” che faccio per interesse personale, e ho carta bianca. Quindi capita di lavorare ad ogni genere di notizia? Quando appartieni alla redazione di un cartaceo, tendi a guardare solo l’argomento di cui scrivi; io ero al politico e guardavo solo il politico. Ora mi capita di passare dalla politica agli spettacoli, al gossip - purtroppo c’è anche quello. Io dico “purtroppo”, poi risulta tra i più letti. I lettori non vengono sul Corriere. it per leggere di gossip, ma se la notizia c’è, se la leggono. L’articolo del Grande
AGENZIA DI STAMPA
1
Primo lancio di un breve anticipo della notizia
Aggiornamento continuo della notizia con più dettagli
CAPOREDATTORI
3
Controllo dei lanci
Selezione delle notizie interessanti
Distribuzione per settori o parole chiave
Assegnazione ai vari giornalisti disponibili
GIORNALISTI
5
Copia del lancio d’agenzia relativo alla notizia scelta
Creazione o modifica del titolo in Home page
Aggiornamento e parziale riscrittura della notizia
Firma della notizia da parte della Redazione Online
11
LE PROFESSIONALITÀ
Fratello al martedì è quasi sempre uno dei dieci più letti. Com’è cambiata la sua organizzazione del tempo rispetto a prima? Abbiamo orari d’ingresso scaglionati a un’ora di distanza, perché copriamo dalle 7.00 del mattino a mezzanotte. I redattori su carta, invece, lavorano dalle 15.00 fino alla chiusura, sempre attorno alla mezzanotte - di solito una persona si ferma fino all’1.30 per eventuali modifiche tra la prima e la seconda edizione, la cosiddetta ribattuta. Questa è una differenza fondamentale. L’altra è legata al modo di lavorare. Nella carta si fa una prima riunione a mezzogiorno, in cui i caporedattori selezionano cosa si avrà nel giornale; una volta deciso, in base alle pagine che si hanno, bisogna stabilire cosa metterci dentro, come comporre la pagina, disegnare il menabò, e solo dopo si può dire ai giornalisti «servono ottanta righe per l’articolo» e il giornalista deve scriverle. Insomma, è tutta una lavorazione molto più lunga. Qui è immediato. La notizia, invece, com’è cambiata nella stesura? Sul web si tende a dare l’informazione nel modo più diretto possibile, mentre sulla carta si cerca di fare un racconto un po’ più contestualizzato, andare oltre il fatto con reportage o racconti degli inviati, e ci si può permettere di usare uno stile di scrittura quasi un po’ più “letterario”. Oltre alle agenzie di stampa, da dove vengono le notizie? Arrivano un sacco di e-mail con comunicati stampa - gli uffici stampa ci inon-
dano! - alcune interessanti, altre meno. Altre ancora escono da quell’aggeggio che si chiama fax, ma credo che, tra un po’, tenderà a sparire. Oppure arrivano dai siti stranieri, o dai blog. E dai social network? Io sì, uso molto i social network. La pagina del Corriere su Facebook l’ho attivata io - quella degli animali era già presente un anno prima - e devo dire che lì ho trovato diverse notizie, magari postate da amici di amici. A volte ci sono delle cose curiose. Vorrei un Corriere ancora più presente su Facebook,
Il web non si ferma, i lettori l’hanno capito su Twitter, su Youtube. Per noi giornalisti il social network suona da un lato come un affronto, dall’altro come uno strumento per avere dei contatti ancora più diretti. La sua positività ora è stata capita, ma non si sfrutta abbastanza; purtroppo non tutti la usano, non tutti ci credono. Io ci credo. Com’è cambiata la verifica delle fonti, in questi casi? La verifica su certe cose è difficile e, quando si ha a disposizione la rete, si cerca di fare dei controlli incrociati. Se il Guardian o il New York Times danno un articolo, cerco nel web qualche riscontro. Tengo in considerazione un fatto se è confermato da più fonti - e le cito anche. Quali sono le interazioni fra la redazione cartacea e quella online? Per ora lavoriamo in maniera indipendente; dico “per ora”, perché c’è il pro-
Sara Bianchi: Online Vs TV Se la tv può sembrare un buon punto di arrivo per un giornalista, Sara Bianchi ne è la smentita. Redattrice de ilsole24ore. com, rinuncia alla carriera televisiva e scommette nel promettente giornalismo online, con grandi risultati.
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getto di fare un’integrazione per cui, di volta in volta, si dovrà decidere se una notizia si dà solo alla carta o solo all’online. Le Soir, il principale giornale del Belgio francofono, è già organizzato in modo che, quando arriva una notizia, si decide subito se è da carta o da web. Mi hanno detto che, da loro, soltanto il 20% delle notizie che sono state sul web viene riportato sulla carta. In Italia c’è molta più sovrapposizione. Carta e on-line devono completarsi? Dovrebbe essere così. Tutte le aziende editoriali sono alle prese con il dilemma di realizzare l’integrazione nel miglior modo possibile, per evitare che il web cannibalizzi troppo la carta e viceversa. Noi, senza la carta, perderemmo il contributo di colleghi ultra specializzati o degli inviati, e all’opposto, se noi met-
Ex giornalista televisiva al Sole24Ore TV (il canale economico-finanziario digitale del Gruppo Sole 24Ore), Sara Bianchi ha scelto la rete. Conduttrice di “Fermo immagine, fatti e idee di attualità” – talk show in diretta su tematiche politiche, economiche o di società – ha deciso di abban-
donare quella che lei chiama “la logorante macchina televisiva delle dirette” per sperimentarsi in un altro mezzo e mettersi in gioco nel sistema Internet. Sul web si lavora sempre in real time, ma con una sostanziale differenza: poter rivedere ciò che si fa. Una vera e propria boc-
Speciale giornalismo
La redazione del Corriere.it in un momento di tranquillità
Non ho avuto ripensamenti, continuo a considerarmi un giornalista del Corriere tiamo troppo in aggiunta alle breaking news, rischiamo di togliere il motivo per cui si compera il giornale di carta. A mio parere la tendenza è che il web sarà sempre più per le notizie veloci e la carta dovrà specializzarsi in inchieste e approfondimenti. Per forza di cose la direzione dovrà essere questa, perché il web non si ferma; la tendenza dei lettori a puntare su Internet ormai c’è ed è un fatto assodato.
cata di ossigeno per chi arriva dalla diretta televisiva, in cui, al contrario, è impossibile rileggere e cambiare ciò che su dice. «Quando si lavora per la televisione - afferma Sara Bianchi - non è possibile correggere le cose che si dicono: se io sono in diretta e dico una cosa, quella è. Su in-
E la tendenza degli editori a puntare su Internet? Gli editori, anche se non lo vogliono, saranno costretti a farlo. In America esiste già un quotidiano solo per iPad. Com’è utilizzata l’interattività? Sui pezzi principali abbiamo il “dì la tua”, cioè il commento dei lettori. C’è poi la possibilità di sperimentare forme nuove di giornalismo, come i blog, che permettono ai giornalisti di perso-
ternet, anche se lavoriamo in tempo reale, io posso rileggere le cose che ho scritto». È questo, infatti, il cambiamento maggiore apprezzato dalla giornalista, che continua tutt’oggi ad occuparsi di temi di politica economica legati anche al mondo del lavoro e a quello sindacale per
nalizzare un po’ di più l’informazione. Io ho un forum legato alla pagina degli animali, faccio il moderatore, ma le sollecitazioni arrivano dal basso: gli utenti scrivono e decidono gli argomenti. C’è uno scambio tra giornalisti e utenti, un dialogo diretto? Sul forum è difficile, perché il giornalista ha un ruolo tecnico. I blog, invece, nascono con questa logica di mettere in contatto giornalista e lettore. Per esempio, un post del nostro blog La 27a ora ha 523 commenti, tutti moderati. Per un articolo sullo stesso argomento, pubblicato su carta, non ci potrebbe mai essere una cosa del genere. Magari arrivano in redazione 20-50 lettere, ma il lettore deve aprire il programma di posta, scrivere la mail, mandarla alla redazione e sperare che la pubblichino. Con i blog l’utente “dice la sua” subito e il risultato è che 523 persone l’hanno commentato e non so quante migliaia l’hanno letto. È un vantaggio che l’utente sia così interattivo? A me piace, perché il lettore non subisce soltanto le notizie, ma ne diventa, in qualche modo, parte; i commenti sono in se stessi un modo di fare informazione o mostrare le opinioni della gente. Non tornerebbe mai al cartaceo? No, e sono riuscito a venire qui perché la persona alla quale avevano chiesto di spostarsi ha rinunciato, dicendo che preferiva restare alla carta. Non si è mai pentito della sua scelta? Ho avuto delle remore all’inizio, ma siccome già ci credevo l’ho fatto. Si sente così tanto il maggior prestigio della carta, rispetto all’on-line? Io non avverto questa differenza, mi sono sempre considerato e continuo a considerarmi un giornalista del Corriere della Sera.
ilsole24ore.com – di cui è redattrice – e, talvolta, anche per il cartaceo. La sua esperienza si sta ora arricchendo degli ingredienti tipici della rete, come ad esempio la velocità, che impone al sito avere uno stile molto più essenziale e più sintetico, per far fronte ad una modalità di fru-
izione immediata, senza per questo perdere qualità ed approfondimento, aspetti su cui ilsole24ore.com fa leva. McLuhan aveva annunciato già cinquant’anni fa che la tv fosse un medium che non entusiasma, ma al massimo eccita: un preannunciato declino del mezzo televisivo.
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LE PROFESSIONALITÀ
La sola determinazione non basta per mandare avanti una testata
Vogliamo sangue
giovane Dare uno sguardo dietro le quinte di una redazione è illuminante se la si osserva attraverso gli occhi di chi ogni giorno la organizza e coordina: Iacopo Gori, caporedattore al Corriere.it, confessa i suoi desideri per una futura testata migliore.
C
arisma e ironia, caratteristiche comuni a ogni buon toscano, non mancano di certo a uno dei caporedattori del Corriere.it. Iacopo Gori, che si occupa della parte multimediale e dei contenuti tv del sito, è quindi ben consapevole dei bisogni e delle esigenze di una redazione “ritmica” come quella web. Il giornalista 44enne ci spiega il funzionamento del meccanismo redazionale e condivide i segreti - e i desideri - per una migliore qualità d’informazione online. La mentalità dei nuovi adepti alle news è per lui una questione centrale, oltre che generazionale. Con l’avvento dei computer, qual è stata la prima differenza che ha riscontrato nella professione? Il cambiamento che il PC ha portato nelle redazioni è precedente alla messa in rete dei siti e comincia con il processo produttivo del cartaceo. Fino ai primi anni ‘70 il giornale veniva fatto grazie a un lavoro fisico: il tipografo tagliava e riquadrava le foto, sistemava titoli e sommari, disegnava la pagina e la montava meccanicamente. Quando furono introdotti i computer si cominciò con l’impaginazione elettronica, quella che viene definita “a freddo”, 14
e tutto divenne molto più semplice e più veloce. Poi arrivò la rete e si cominciò a pensare alla creazione di edizioni online, che stravolsero completamente il nostro modo di lavorare. Cosa comporta il servizio in tempo reale, per il lettore? L’online è indubbiamente comodo, perché quando ti colleghi per controllare la posta, già che ci sei guardi gli aggiornamenti sulla tua testata di fiducia durante tutta la giornata. I nostri picchi di traffico sono alle 8.00 e alle 15.00, la mattina arrivati al lavoro e dopo pranzo, ma clamorosamente intorno alle 21.00 la curva sale di nuovo. Puntuale, tutti i giorni. Cosa vuol dire? Che c’è evidentemente un segmento di pubblico che in televisione non trova più qualcosa che valga la pena vedere, e quindi torna a connettersi sul tardi. Internet è comodo, è gratuito e puoi vedere quello che vuoi quando vuoi. Avete modo di sapere come l’utente arriva alla vostra pagina? Per quanto riguarda noi, una discreta parte di traffico è indirizzata dai motori di ricerca. Google indicizza tantissimo e se ti indicizza in una buona posizione avrai un traffico maggiore rispetto ai concorrenti e agli altri siti. Le testa-
te non sono certo gli unici posti dove si trovano le novità. Molte persone si informano su Facebook non perché ci siano le notizie, ma perché si lasciano incuriosire e cliccano i link che trovano interessanti. Questa è la nuova modalità con cui l’utente si procura le news; una volta per avere un’informazione a tutto tondo si compravano quattro giornali tutti i giorni, oggi non lo facciamo più neanche noi professionisti. Ci sono altri ambiti in cui il peso dell’utente si fa sentire? Se andiamo a scavare, la rete è come un grande bar: ci si scambiano chiacchiere e opinioni, informazioni e pareri, poi ognuno torna a casa sua. Per il giornalista questo si traduce in un lettore che ti segnala dei casi avvenuti, ti indica un sito su cui trovare un fatto interessante o ti smentisce. Il grosso vantaggio di Internet è che si viene immediatamente corretti ed è una grossa lezione per i giornalisti: se scrivi una qualsiasi cosa errata, dopo tre minuti arriva la mail di chi ti avvisa dell’errore e sei costretto a rettificare in tempo reale. Per il giornale Internet potrebbe essere un investimento? Ovviamente tutti parlano bene di Internet, ma per gli editori è ancora una
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LE PROFESSIONALITÀ
La giornata di una redazione: carta e digitale a confronto CARTA
ONLINE
APERTURA REDAZIONE RIUNIONE col DIRETTORE: i caporedattori del sito espongono per primi le novità e vengono selezionate le notizie comuni alle due versioni
SVILUPPO ARTICOLO
“Vado a dormire, se ne riparla domani per la prossima edizione”
UPDATE NOTIZIE
RIUNIONE col DIRETTORE: si fa il punto della situazione e si decide la prima pagina del cartaceo
CHIUSURA REDAZIONE
UPDATE NOTIZIE UPDATE NOTIZIE
EVENTUALE RIBATTUTA
fregatura mostruosa. Paradossalmente aumentano i lettori, ma calano le entrate, perché c’è da far quadrare i conti e in Italia non esiste ancora una cultura della Rete. In Inghilterra il valore del pubblicità online ha superato quello del cartaceo, da noi invece è un quinto, ed è un grosso errore perché il cliente online è più targetizzato e quindi più sensibile alle pubblicità mirate. In realtà ancora nessuno ha trovato la formula giusta per fare soldi con Internet; il New York Times ci sta provando ora con un abbonamento online. È difficile far pagare contenuti in rete perché per abitudine è un territorio libero, ma se l’informazione è di qualità, la qualità si deve pagare, che lo faccia la pubblicità o l’utente. Internet spaventa o attrae? Anche se per certi colleghi c’è ancora una sorta di diffidenza verso l’online, credo che il lettore al contrario conferisca al Corriere.it la stessa autorevolezza del Corriere della Sera e quando legge un pezzo non gli interessa se è da cartaceo o da web, ma solo se è centrato, ben scritto e corretto. Paradossalmente il nostro problema sorge proprio qui: se siamo percepiti a tutti gli effetti come “Corriere” ma lui stesso tende a penalizzare il lato web, si crea una frattura di fondo al quale noi, piccola redazione, non possiamo porre rimedio. Quando si investe poco nell’online e gli si lasciano poche risorse, agli occhi del lettore è
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l’intero brand “Corriere” che ne risente e che risulta quindi di minor qualità. Di cosa ci sarebbe bisogno allora? Soprattutto di far lavorare i giovani. Quello del giornale è un mondo vecchio, io sono decisamente sotto la media e ho 44 anni, non son più giovane da più di un decennio. In Italia si era più avanti 40 anni fa, quando i giornalisti di 32 anni che scrivevano sul Corriere erano considerati professionisti completi, oggi invece sono “i giovani”, ma non è vero: sei giovane a 22 anni, a 32 sei una
dei lettori. Essendo una cerchia molto autoreferenziale, il giornale che vende trentamila copie ha un peso d’opinione molto maggiore rispetto a un canale televisivo che raggiunge qualche milione di persone. La carta è rivolta a un lettore di nicchia che è destinato a diventarlo sempre di più. Oggi un ragazzo di vent’anni non compra un giornale di carta, non lo comprerà mai nemmeno se fai il prodotto più bello del mondo, perché è un mezzo che non gli appartiene. Chi compra la carta è più attento e più interessato, ma spesso non rispecchia la composizione della società italiana. È inutile scrivere un giornale per duemila intellettuali, meglio farlo generalista per due milioni di persone, ma l’importante è essere deontologicamente corretti nel dare le notizie - e spesso in Italia non succede. Nonostante questo, il giornale non è destinato a scomparire. Tralasciando la free-press, che ha un impianto più simile all’online, una sorta di nuovo media adattato al vecchio supporto, attualmente il racconto dei fatti non è tanto da giornale nazionale quanto da stampa locale, dove accade il piccolo evento che in Internet non si trova e quindi ci si affida ancora al giornalista. Al contrario le notizie generaliste navigano in rete e sono alla portata di tutti, per cui i quotidiani nazionali stanno diventando sempre più d’opinione, cioè il letto-
Il grande vantaggio di Internet è che si viene immediatamente corretti ed è una grossa lezione per i giornalisti
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persona matura che può fare qualsiasi lavoro con competenza. Secondariamente, i giornali vanno ridisegnati in base ai supporti. Ora siamo legati alla carta, un business del secolo scorso, e invece bisognerebbe puntare sul ridefinire l’autorevolezza dell’online sulle nuove piattaforme, dall’iPhone all’iPad, perché anche in Internet se non hai autorevolezza non hai niente. Anche i giornali di carta non navigano in ottime acque… Io sono dell’idea che se si vendono meno giornali la colpa è dei giornalisti e non
“Se succede qualcosa nella notte dovrò tornare in redazione”
Speciale giornalismo
re li compra perché - facendo un atto di fede - sa che ci troverà pezzi scritti da opinionisti che la pensano come lui. La mia non vuole essere una critica, questa assonanza di pareri tra testata e lettore può anche andar bene, purché sia chiaro che “opinione” e “fatto” sono due cose ben diverse, non confondibili, e su questo punto è necessario essere onesti con chi compra il giornale. Lei pensa che la qualità informativa tra cartaceo e online sia diversa? Non dovrebbe esserlo. Uso il condizionale perché purtroppo noi abbiamo evidenti problemi di energie: in redazione siamo in 20, molto pochi - quotidiani come El Mundo hanno una settantina di giornalisti - e dobbiamo coprire due milioni di utenti unici al giorno. Capita che in redazione ci siano quattro caporedattori, quattro redattori e otto o nove giornalisti, non di più, dalle 7.00 del mattino alle 23.00 di sera. Quando arriva un Ansa la si legge, la si copia, si fa un titolo e la si pubblica così com’è certe volte; non possiamo fare diversamente perché c’è troppo lavoro per troppe poche persone, ma quello non è Corriere della Sera, quella è un Ansa importata. Succede anche nel cartaceo, dove alle volte si trova il cosiddetto “pastone”, che non è un vero articolo pensato e scritto da qualcuno, solo che da loro ogni giornalista segue una notizia, da noi ognuno ne segue dieci. Non è questione di professionalità, se avessimo un’adeguata quantità di colleghi la qualità sarebbe più alta. Lei cosa vorrebbe per migliorare il Corriere online? Dieci ragazzi di 30 anni. Oltre al numero, avremmo davvero bisogno di un ricambio generazionale perché - ed è una cosa molto impopolare da dire - secondo me è un discorso di mentalità. Dieci persone giovani, motivate, più reattive alle tecnologie e con competenze multiple, dalla scrittura al montaggio video farebbero la differenza. Per esempio, sui Social Network si trovano un sacco di informazioni interessanti, ma bisogna starci sopra, seguirli, appassionarcisi. Io non ci riesco, sono tagliato fuori, li utilizzo perché devo, ma lo trovo molto stressante - c’è così tanta roba! Un trentenne ha un altro passato, un’altra mentalità, riesce a stare al passo molto più facilmente di uno della mia età.
L’utente ha sempre ragione La cosa più difficile di questo mondo è la semplicità. Quando un giornale generalista nazionale ha qualche migliaio di notizie al giorno, non è facile semplificare; il compito del giornalista dovrebbe essere quello di gerarchizzare gli eventi, selezionare i più interessanti e offrirli al lettore, che si fida della testata, ovvero della capacità di scelta del giornalista. Nella pratica, le cose non sono esattamente così e il rapporto tra giornale e utente diventa bidirezionale: il giornalista presenta l’agenda del giorno, ma è la “massa di Internet” che la determina anzi la impone, perché un fatto, un movimento, una mobilitazione che acquisisce in rete una grande risonanza, non può esser ignorata. Questo dimostra quanto grande sia la capacità delle persone di cogliere la notizia. Ogni giorno si conoscono con precisione gli articoli che l’utente ha letto, quante pagine ha visto, quali sono le notizie più cliccate etc. e anche questo contribuisce a determinare le scalette dei giorni successivi, perché ovviamente si tende a prediligere generi di notizie che hanno avuto dati di lettura maggiori. Nella prima riunione di redazione, il direttore chiede un resoconto degli articoli più visti sul sito, perché determinano il “termometro dell’interesse” del pubblico, anche se spesso si tratta di notizie di gossip e spettacolo. A questo punto si è portati a pensare che se l’edizione online ha solo queste al posto della politica si avrà più pubblico, ma nella realtà non è così, perché l’obiettivo non è far leggere la notizia sul Grande Fratello a quelli che il Grande Fratello lo seguono, ma mostrare loro tutte le altre notizie in agenda. I siti non devono catturare i lettori, ma i non-lettori; per questo si inserisce una notizia di spettacolo in homepage affiancandola a una di esteri, per esempio, in modo che l’utente, guardando il sito e notando la prima notizia, magari faccia cadere un occhio anche sulla seconda. Se ci fosse solo la notizia di esteri probabilmente il fan dello spettacolo non la vedrebbe mai e non c’è peggior cosa di un giornale fatto benissimo che nessuno legge.
Una domanda personale: lei come mai ha deciso di passare all’online? Perché ci ho sempre creduto. Ho vissuto in America per tre anni, dal ‘95 al ‘98, e lì era già chiaro che Internet sarebbe diventato quello che è oggi. Molti dei miei colleghi mi dicevano che non era una buona scelta e nonostante tutte le problematicità, lo stress, la salute che ci rimetto a causa dei ritmi, ancora oggi sono convinto di aver fatto bene. Le cose sono cambiate da allora? Io mi aspettavo - e speravo - che sarebbero cambiate di più. Purtroppo i tem-
pi di innovazione del nostro paese sono molto lenti, sia nell’ambito tecnologico che in quello delle idee, dove probabilmente per avere qualche spunto è necessario rivolgersi all’estero, dove hanno una mentalità più aperta. Ci mancano le infrastrutture, ci mancano gli investimenti, ci manca la volontà di innovare: Internet cambia il mondo dell’economia e noi siamo sempre più in ritardo. Il problema è che molti ancora pensano che l’online sia il futuro, invece io credo che l’online sia il presente e per questo, già da oggi, va valorizzato. 17
Una voce fuori dal coro del web
ELENA CONC
Sono tutti un po’…
…malati
Internet ci farà impazzire con la sua dispersività. 18
Speciale giornalismo
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Periodo di crisi per il buon caro vecchio quotidiano. I giornali online si moltiplicano e soddisfano le nuove richieste degli utenti, ormai abituati alla tecnologia del www. Una voce fuori dal coro - costretta a subire il passaggio dal cartaceo al digitale, ma tutt’oggi promotore della carta stampata - propone un confronto tra il prima e il dopo della divulgazione informativa, dalla stesura di una notizia, alla verifica delle fonti, alla gestione di una redazione. Il web si dimostra tecnologia aperta e coinvolgente, ma forse troppo dispersiva.
L
eandro Palestini è storico giornalista de La Repubblica e si dichiara ancora molto legato al vecchio modello editoriale; reticente alla rete e conscio delle sue problematiche, confessa i suoi dubbi sul giornalismo online. Lei di cosa si occupa? Scrivo su La Repubblica, sede centrale; talvolta lavoro anche per Repubblica TV. Mi occupo soprattutto di spettacoli, televisione e politica televisiva. Di cosa si occupava prima di approdare a La Repubblica? Da quanto tempo ci lavora? Sono a La Repubblica da una ventina d’anni. Prima mi occupavo della terza pagina del Messaggero, quella culturale. Ho lavorato anche in televisione per 4-5 anni e per un’agenzia di stampa. Parlando del digitale, com’è cambiato il lavoro in redazione? Quando noi abbiamo preso i primi computer c’è stato una specie di barrage generazionale; i più “professionalmente vecchi” hanno fatto resistenza. All’epoca non ero tanto vecchio, quindi non mi ero opposto, ma intuivo che sa-
remmo andati incontro a un’evoluzione che ci avrebbe portato ad altre mansioni. La prima cosa che ho pensato è stata: «Avremo delle opportunità in più, ma certamente ci complicherà la vita». Qual è il rapporto tra repubblica.it e La Repubblica quotidiano? Loro di repubblica.it hanno le antenne sempre tese. Come ci ha detto subito il nostro direttore - e io sono d’accordo - non c’è concorrenza tra cartaceo e on-line: quello che si trova durante la giornata si può iniettare (questo è il vocabolo che utilizziamo) come linfa vitale in repubblica.it. Lo si fa salvo nel caso di uno scoop che sarebbe sciocco divulgare il pomeriggio o la sera su repubblica. it, perché lo legge anche la concorrenza, ci lavora, e l’indomani non è più uno scoop solo nostro. Se si hanno pezzi che risultano più adatti al cartaceo, da prima pagina, o da servizio in esclusiva, si cerca di non “bruciare” la notizia. Ci sono colleghi che scrivono solo per il cartaceo e altri solo per il digitale, oppure si uniscono i due aspetti? Perlopiù non ci si mischia. Capita solo quando, per esempio, un redattore ha una notizia adatta al web e allora la
scrive lui stesso. Io, personalmente, do la mia disponibilità per quel che mi compete (cioè l’ambito televisivo), ma questo succede poche volte. Capita che mi chiamino, giorni prima, per sapere cosa c’è di nuovo, i retroscena ecc, perché dall’ufficio centrale sanno che su ciò che accade nel mondo televisivo ho qualche notizia in più. Che differenza c’è tra una notizia online e una sul cartaceo? Su Internet certamente c’è il beneficio dell’immediatezza e della freschezza, ma è chiaro che le visite sono parcellizzate per interesse: uno clicca per la politica, un altro per lo sport, o perché pensa che repubblica.it funzioni bene. C’è chi vuole “l’ultima”, chi va di corsa, chi forse è un po’ “malato” di Internet. Invece, chi prende il giornale se lo sfoglia la mattina, poi lavora e, nelle pause o alla sera, finisce di leggere un elaborato che è più impegnativo e più strutturato, con dei titoli ragionati e non frettolosi. Questi ultimi soprattutto, a volte mi sembrano un po’ “gonfiati” - e non sto parlando solo di repubblica.it, che è fatta benissimo. Far leggere la notizia a tutti i costi, esagerando, sparando alto, 19
è una pessima abitudine; drammatizzare è una pessima abitudine. Quale dovrebbe essere il valore aggiunto del cartaceo? Il cartaceo è un feticcio. La bellezza della carta è che tu la possiedi, la tieni sul tavolo, puoi ritagliarla e conservarla. Il cartaceo non muore facilmente, e non è nemmeno la concorrenza con il digitale che lo fa morire prima, perché la pagina di carta e il web convivono, sono due cose che si integrano. Più si è giovani, più si è restii a spendere 1,20 euro e, piuttosto, si ha voglia di collegarsi; penso sia un fatto generazionale. Alcuni dei miei colleghi usano l’iPad al mattino in ufficio e poi, la sera, leggono il giornale. Lo conservi per qualche giorno e pensi: «Non l’ho letto oggi, ma me lo leggo sabato, perché mi incuriosisce quella terapia»; il giornale diventa qualcosa da conservare, da gustarsi con calma in seguito, diventa omnibus. Con la crisi il cartaceo rischia molto, rischia sempre di più, ma la nostra tenuta è buona e, dopo la Gazzetta dello Sport, siamo il giornale con più copie vendute, seguito dal Corriere della Sera. In Italia i giornali sono ben fatti, e non solo il mio; non dobbiamo assolutamente essere esterofili, perché anche in Europa ci sono giornali che hanno sofferto, come Le Monde. Una buona informazione, solo sull’online, è possibile? Ci vogliono i denari, ci vogliono professionalità che si costruiscono col tempo e ci vogliono i giovani più lesti con le sinapsi. Con questo stato di crisi non si possono “buttare” persone di 57, 58 e 59 anni; ormai nella professione si entra a 35, dopo anni di collaborazioni (quando si riesce) e poi si lascia dopo neanche 25 anni. Per rispondere: la qualità può esserci, ma non con le agenzie. Servono persone con rapporti consolidati e ci vogliono 5-10 anni per
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LE PROFESSIONALITÀ
costruire la fonte di cui ci si fida. Io le ho, non perché sono bravo, ma perché ho investito molto tempo in chiacchiere e conversazioni. Come costruisce la notizia? A volte sulla mia agendina già c’è qualcosa in scadenza, altre mi arriva la telefonata di una persona amica - o qualcuno che ha interesse a far uscire qualcosa - e mi danno una “dritta”. Così parte la notizia, che poi devi andare a verificare. Prima di uscire sul giornale resta poco in incubazione, perché hai sempre paura che qualche collega possa arrivare a quella notizia e farla uscire prima di te. Io la controllo sempre con 1-2-3 fonti diverse - perché sono pignolo. Qualche volta ho aspettato e ho perso lo scoop, quindi ho imparato a fare i controlli in fretta. Nella stesura delle notizie, il linguaggio tra cartaceo e digitale cambia? Sì, di solito sì, e questo è dato dalla fretta, dalla velocità. Se hai mezz’ora per scrivere un pezzo di sessanta righe è una cosa, se ne hai due tanto meglio; io sono pignolo e ce ne metto tre, perché alla terza ora, sul tardi, fai una telefo-
Sui blog tutti intervengono, ma quanti commenti sono rilevanti? Io ne vedo pochi 20
nata importante che ti corregge il tiro, che ti evita di scrivere una cosa inesatta. Raccolgo i fatti e per raccogliere i fatti devi fare tante telefonate, devi incontrare le persone anche quando sei libero e non c’è la notizia. Spesso si fanno telefonate - e se ci si incontrasse sarebbe un arricchimento - ma non ho mai chattato per lavoro, ci sono troppi nascondigli. A volte mi sono capitate quelle che noi chiamiamo le “polpette avvelenate”, cioè informazioni da persone che hanno interesse a silurare altri e danno delle notizie gustose, ma distorte. Devi essere in grado di capire se la fonte è attendibile, perché altrimenti rischi di sputtanare il giornale. Lei tiene un blog? Sì è un blog affiliato a repubblica.it, si chiama Antenne, tratta di TV e dintorni. In realtà, devo dire che lo hanno creato altri colleghi per me, un giorno mi hanno detto: «Abbiamo aperto un blog per te e un collega». In genere, cerchiamo di aggiornarlo 1-2 volte a settimana, ma per me è ancora una cosa nuova e fatico a ricordarmi le procedure, per esempio per inserire le foto. Dico la verità, preferisco il cartaceo, per via della mia formazione. Qual è il grado di libertà rispetto alla testata principale? Il nostro grado di libertà, direi, è totale: si fidano. L’unica cosa è che le notizie grosse vanno cernite, altrimenti le perdi. Tra un piccolo giovane blog e una pagina del giornale cartaceo è chiaro che la notizia si vende meglio l’indo-
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mani sul quotidiano e poi, magari, la sviluppi sul blog dopo due giorni. Cosa nota di diverso nel suo rapporto con gli utenti, dal cartaceo al blog? C’è qualcosa di diverso anche nel loro atteggiamento? Per anni sono stato talmente disponibile con i lettori che i colleghi mi dicevano: «Ma come fai!?» C’è chi ti chiama, chi vuole i numeri di telefono, però io ci parlo ugualmente, perché è il lettore che va a comprarci, lo dico per scherzo e perché lo rispetto. Poi quando ti telefona la gente, a volte, capita di avere delle sorprese positive. Sul blog ho la sensazione che siano persone un pochino “malate” di Internet, a volte sono fastidiosi, a volte capziosi. Ho spesso l’impressione che ci sia un qualcosa di distorto negli interventi, devo confessarlo. In che senso? Tutti per esistere ci dobbiamo assegnare un ruolo, per cui molti dicono la loro e si fanno avanti, ma quanti interventi sono veramente utili? Io ne vedo pochi. Non ho detto che non si debba intervenire - anzi - è un bene, ma sono scettico, perché c’è ancora relativamente poca gente che ha davvero le competenze per farlo. Inoltre, non è un dibattito dove parli e fine; devi entrare, devi leggere, devi rispondere, ecc. Ma quante ore perde l’utente che commenta - ecco ho detto “perde” e, purtroppo, è già un giudizio. Io leggo e mi faccio un’idea, ma prima di pubblicare un commento, prima di ritenere il mio contributo utile, ce ne vuole! Internet non è inutile, ma piuttosto dispersivo sì. Per esempio, le lettere al direttore funzionano diversamente, perché sono selezionate e si mantiene un tema; nel cartaceo c’è più tempo e più filtro. Al contrario, nelle notizie sui social network - dove non c’è il filtro - lì manca qualcosa, ma credo sia ancora una fase di passaggio. Però intendiamoci, detto questo io potrei anche mostrare l’altra faccia della medaglia: è chiaro che con Internet si è aperto il mondo, si sono fatte le rivoluzioni in nord Africa con un sistema che prima era impensabile, ecc. Questo è un altro discorso, e non coincide con i meccanismi dell’informazione di tipo giornalistico e il rapporto con la notizia.
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L’INSEGNAMENTO
Nuovi giornalisti e vecchia editoria hanno qualcosa in comune
Gli ultimi della classe Il docente Angelo Agostini spiega con severità che non solo i nuovi studenti di giornalismo sono meno preparati dei vecchi, ma che l’intera Italia merita una nota di biasimo per quanto riguarda digitalizzazione, attenzione alle nuove tecnologie e volontà di cambiare.
evoluzione tecnologica cambia radicalmente la quotidianità di qualunque attività complessa. Il giornalismo ha dovuto affrontare - e continua a farlo - il tornado della multimedialità e dell’interattività, che ha portato alla realizzazione di nuove strumentazioni, incidendo in maniera non trascurabile su metodi di produzione e di diffusione. La strumentazione tecnica non è, però, l’unica ad aver subito gli effetti del progresso. Angelo Agostini insegnante di Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico all’Università IULM di Milano, parla della rivoluzione digitale nell’ambito della divulgazione informativa e rivela come il digitale abbia influito anche sull’attitudine degli studenti che saranno i giornalisti di domani. Quando s’è reso conto del cambiamento che stava avvenendo nella sua professione di insegnante? Me ne sono reso conto prima che avvenisse, altrimenti qua che ci sto a fare? Io appartengo, per formazione e per interesse, a quel gruppo di giornalisti che hanno iniziato ad occuparsi della rete prima che la rete ci fosse. Ho comin22
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L’
ciato alla fine degli anni Ottanta con le prime PBS (Public Broadcasting Services), quando Internet non era ancora nella forma attuale; poi, quando si è sviluppato, nei primi anni Novanta - io allora dirigevo l’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Bologna - insieme all’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano e la Scuola di Giornalismo della Rai di Perugia, nel ‘95 abbiamo realizzato un progetto che si chiamava “Le porte del multimedia”. Si trattava di un giornale su carta, per la televisione, per la radio e per Internet. Cos’ è cambiato nel giornalismo? E’ cambiato tutto. Come prima cosa, gli strumenti digitali hanno modificato il modo in cui si raccolgono e si selezionano le informazioni. Quando abbia-
mo iniziato a fare scuola di giornalismo in Italia, ventuno anni fa, le notizie dell’agenzia Ansa arrivavano ancora sulla telescrivente. Secondariamente, negli ultimi dieci anni, con la moltiplicazione e la differenziazione dei devices digitali, naturalmente, è cambiato anche il modo di distribuire e di confezionare l’informazione. Giusto per fare un esempio, oggi si fa televisione con costi neppure comparabili a quelli di dieci anni fa, perché i mezzi di produzione sono digitali, i programmi per la produzione e la post-produzione sono digitali e la distribuzione può essere fatta in rete. Sono cambiati anche gli studenti? Questo sì che è un tema doloroso. Negli ultimi 4-5 anni, c’è stato un mutamento radicale nell’atteggiamento e nelle com-
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petenze degli studenti. Contrariamente a quello che dicono tutti, il cambiamento è in peggio: 10-15 anni fa, gli studenti interessati al digitale, proprio perché era ancora un lavoro pionieristico, erano abituati a metterci le mani, avevano già delle competenze specifiche. Oggi chi arriva a 22 anni in una scuola di giornalismo non sa più mettere le mani dentro la rete, perché è abituato a usarla esattamente come si usa la televisione, o un’automobile. Nessuno di noi sa più cosa sia uno spinterogeno e non sa controllare il livello dell’olio, tanto ci sono tutti i dispositivi elettronici che lo fanno. Così è la rete, per cui oggi i ragazzi arrivano con una dimestichezza da utenti della rete, non da produttori. Quindi, è compito dell’insegnamento trasmettere questa dimestichezza da produttori? Per forza. 10-15 anni fa, essendo la rete un ambiente per i giovani ed essendo i giovani di allora capaci di metterci dentro le mani, capaci di usare la programmazione, i linguaggi, ecc., era più facile che fossero gli studenti ad aiutare gli insegnanti, in questi ambiti. Oggi non è più così. Oggi l’aspirazione di un ragazzo che entra alla Scuola di Giornalismo è la stessa di vent’anni fa - «Voglio andare a fare l’inviato agli esteri per il Corriere della Sera» - ma Internet, la rete, la multimedialità è vista da pochi come il terreno sul quale si svilupperà il giornalismo nei prossimi anni. Una buona scuola di giornalismo, attualmente, deve mettere in grado i suoi diplomati di lavorare su qualunque piattaforma. La nozione di “notizia” si è evoluta? La notizia come siamo tradizionalmente abituati a considerarla è un fatto che ha inizio, si sviluppa e si conclude; non è nota fino a quando il giornalista non la racconta. Questo tipo di notizie - ahimè - ormai sono quasi esclusivamente confinate all’ambito locale, nelle picco-
le città, nelle province, perché in Italia non c’è ancora una proliferazione tale dei mezzi di comunicazione, per cui non accada quello che già accade sulla rete. Nelle piccole realtà i fatti vengono ancora scoperti dai giornalisti e sono i giornalisti a renderli noti ai lettori. Per quanto riguarda, invece, l’ambito nazionale o internazionale, abbiamo capito che la notizia non è più “notizia”. Come si scrive del matrimonio di William e Kate? Dov’è la “notizia”? Si deve fare qualche cosa d’altro che ovviamente è declinato in funzione che sia televisione, stampa o rete, che sia interpretazione, piuttosto che commento o una chiave di lettura per la società, i suoi miti e le sue favole. Pensa che l’interattività, in Italia, sia un’opportunità ben sfruttata? Mi faccia fare una battuta: quale interattività è possibile sul matrimonio di William e Kate? L’interattività è una fòla, nel senso in cui ce l’hanno venduta i profeti della rete negli ultimi quindici anni. Non esiste che un utente interagisca sulla notizia con il giornalista. Se io ho una notizia e la scrivo, il lettore cosa fa? Al massimo commenta, ma l’interattività è commento? A casa mia no. Il punto è che in rete ci sono delle interazioni possibili, ma sono molto complesse, raffinate e articolate, e non possono essere ridotte al concetto di interattività. Cosa vuol dire “interazione”? Per esempio l’altra notte, un’ora prima che il presidente Obama dicesse: «Abbiamo catturato Bin Laden», la notizia era già ovunque. Perché? Perché un ex-ministro dell’amministrazione Bush ha twittato: «Pare che l’abbiano preso», per cui l’intera rete era in subbuglio già un’ora prima che la notizia venisse data. Queste son le vere interazioni, perché hanno un peso in tutto quel processo complesso che è dare un senso a ciò che accade nel mondo.
Royal Webbing Il 30 aprile 2010 tutti o quasi i quotidiani del mondo hanno dedicato la loro prima pagina al matrimonio reale di William e Kate. Pagine e pagine con foto della cerimonia, curiosità sugli ospiti e commenti di ogni genere per raccontare ai propri lettori l’evento più seguito degli ultimi anni. Il fatidico “sì” è arrivato sotto gli occhi di due miliardi di persone incollate davanti alla tv per la diretta in mondovisione. Ma se il matrimonio dell’anno ha monopolizzato tv e internet, il sito web del quotidiano The Guardian ha pensato anche a una versione per chi del royal wedding non ne può più. “Repubblicani cliccate qui” si legge nell’home page del sito, per accedere a una versione della testata depurata di qualsiasi notizia sulle nozze reali. Un vero esempio di attenzione alle esigenze del lettore, che per una volta non vuole più notizie e più approfondite, ma trovare un angolo di quiete in cui l’inondazione mediatica e mondana - sia bandita.
L’utente non partecipa alla notizia. L’interattività è forse il commento? A casa mia no 23
L’INSEGNAMENTO
ELENA CONC
Non ultimi ma quasi Cresce in Europa molto rapidamente, tranne che in Italia: è la fibra ottica, tema su cui ormai da tempo si discute. A Milano, durante la FTTH (Fiber-To-The-Home) Conference 2011, occasione in cui si delinea la situazione europea, sono stati presentati i dati sul mercato della fibra ottica per il 2010. Dallo studio emerge che nel complesso l’adozione della FTTH è cresciuta, registrando sia un 18% di abbonati in più nel giro di 6 mesi, sia un aumento degli edifici cablati. Oggi in Europa sono quasi 3,9 milioni gli abbonati alla fibra ottica: il primo posto va alla Lituania, seguita da Svezia, Norvegia e Slovenia. In questo quadro, l’Italia non si pone certo bene. In penultima posizione nella classifica della penetrazione della fibra, conta a fine 2010 circa 348mila abbonati. Peggio ha fatto solo la Turchia. Il futuro non si prospetta certo meglio: secondo gli analisti l’Italia raggiungerà il 20% della penetrazione non prima del 2019, purché si cominci a innovare da subito. Stando così le cose la conquista dell’ultimo posto è un impresa fin troppo facile.
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Crede che, con questo meccanismo della notizia frammentata, sia ancora possibile il formarsi di un’opinione, in rete? Non è assolutamente vero che nella situazione italiana i giornali e le televisioni abbiano ancora un ruolo dominante nell’indirizzare il processo di formazione dell’opinione pubblica, questo è fuori discussione. Che la rete non sia un luogo dove si costruisce opinione - beh - il Popolo Viola è lì a dimostrare il contrario. Semplicemente, ci sono aggregazioni sociali (e politiche) che hanno trovato nella rete uno strumento di comunicazione molto più appropriato che non il tradizionale media mainstream e ci si sono buttati. Pensa che l’Italia sia rimasta indietro rispetto al resto dell’Europa, per quanto riguarda la preparazione del mondo dell’editoria a Internet? L’Italia è stata straordinariamente in anticipo rispetto al resto dell’Europa per almeno dieci anni; dagli inizi di Internet (1993 -1994), fino allo scoppio della bolla (2000-2001), per due motivi. Il primo è che, come dicevo all’inizio, c’era un gruppo di pionieri, non più di 3040 persone in tutto il paese, che erano assolutamente al passo con quanto si facesse in tutto il mondo - e quando parlo di tutto il mondo mi riferisco soprattutto agli Stati Uniti, perché l’Europa era in ritardo. Quando su questo capitale umano è arrivato il fenomeno comune agli Stati Uniti e all’Europa, ma in Italia particolarissimo - degli inve-
stimenti dei grandi gruppi editoriali, in particolare del Gruppo Editoriale L’Espresso dell’Ing. De Benedetti, il corto circuito ha prodotto una velocità di sviluppo molto più intensa in Italia che in Europa. Quegli investimenti avevano, però, una caratteristica: erano destina-
Gli investimenti sono andati tutti alle reti televisive ti non tanto allo sviluppo di prodotti, né al capitale umano, ma alle quotazioni in borsa delle società della net economy. Quindi, lo scoppio della bolla ha tirato una sberla micidiale: primo punto, relativo all’editoria in senso stretto. Il secondo punto è che, questo paese, rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna, non ha conosciuto alcuna politica di sistema sullo sviluppo della rete. Gli investimenti pesanti sono andati tutti sulle reti di distribuzione televisiva - prima etere, poi digitale. L’infrastruttura nazionale di rete non c’è ancora, il che significa, per non andare tanto lontani, che oggi sulla banda larga siamo incomparabilmente indietro rispetto a Gran Bretagna, Germania e Francia, dunque è ovvio che il mercato risulti più asfittico. Se dobbiamo continuare a viaggiare sull’ADSL che spacciano per 54 Mb e in realtà va a 500 Kb, cosa diavolo vogliamo fare? Lo streaming televisivo? Ma dai!
Lo stop del governo
Le Statistiche
Uno scivolone L’ultimo rapporto Akamai conferma la leadership dell’Asia per lo sviluppo della banda larga e una forte crescita nell’Europa dell’Est. L’Italia invece, dall’inizio del 2010 perde una posizione, classificandosi 42° su 50 paesi analizzati. Eccone un estratto con le relative velocità in Mbps.
16629
8027 6799 6259 5128 5082 4598 4142 3925
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Nelle casse statali ci sono 800 milioni del piano Romani-Brunetta, previsti per il superamento del “digital divide”, che attendono da tempo di essere sbloccati dal Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica). Oggi risultano sostanzialmente congelati in attesa della fine della recessione che il paese sta attraversando in questi ultimi anni, perché «il governo ha cambiato l’ordine delle priorità». Lo stanziamento, ha spiegato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, era stato previsto «prima dell’avvento della crisi», ma in seguito il governo ha voluto fare una riflessione in funzione della diversa scala di priorità. «Abbiamo dovuto riconsiderare le cose per dare la precedenza a questioni come gli ammortizzatori sociali», ha continuato Letta, «perché l’occupazione è la nostra principale preoccupazione». Per tranquillizzare gli integrati, ha comunque tenuto a sottolineare che «i fondi stanno lì, non sono stati spesi nè sciupati: una volta usciti dalla crisi si potrà riprendere l’ordine della priorità, e la prima sarà certamente la banda larga».
Un paese diviso La situazione in Italia presenta attualmente un profondo digital divide, ovvero quella spaccatura tra chi accede alla rete e chi no. Sebbene gli italiani che non hanno alcuna connessione, 2,3 milioni in totale, siano per lo più al Nord, il digital divide maggiore si verifica al Sud, Molise in testa con una percentuale del 40%.
Molise
Emilia Romagna
14
Marche
13
23
Campania
13
Calabria
22
Toscana
Umbria
21
Lazio
11
19
Lombardia
11
18
Liguria
10
40
Basilicata
26
Trentino Alto Adige
Veneto Friuli Venezia Giulia Abruzzo
18
Puglia
Velocità di banda in Italia
12
7
Piemonte
15
Sicilia
7
Val d’Aosta
14
Sardegna
7
3,1% sotto 256 Kbps
6% sopra 5Mbps
76% sopra 2Mbps
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Internet ha aperto i rubinetti
Abbiamo trovato la fonte In redazio
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ELENA CONC
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onda
Speciale giornalismo
L’
L’avanzamento tecnologico che ha portato la nascita di Internet ha provocato cambiamenti in ambito economico e, soprattutto, comunicativo. La diffusione delle notizie, oggi, si sposta sulla rete, competitiva, aperta, democratica e, inaspettatamente, targettizzata. L’utente assume un nuovo ruolo, più attivo, con annessi nuovi bisogni. Sommerso dalla sovrabbondanza di notizie, il giornalista si trasforma in mediatore “integrato” che vince in velocità. Prossima missione: smascherare la bufala - ovviamente real time.
G
iornalista Rai, insegnante di Teoria e Tecnica dei Nuovi Media all’Università di Perugia e autore del recente libro “Sono le news, bellezza!”, edito da Donzelli, Michele Mezza commenta con una punta di irriverenza il panorama mediatico attuale smascherandone limiti, incongruenze e convenienze private, senza risparmiare nessuno. Ci racconti il suo personale passaggio al digitale. Ho iniziato la mia carriera in modo abbastanza tradizionale, come giornalista della carta stampata. Inviato all’estero, mi imbattei nelle grandi strutture della BBC e CNN, le uniche a fare all news a quei tempi, in cui i giornalisti incominciavano ad essere gli impresari di se stessi, mediante l’autoprogettazione degli strumenti di produzione. La svolta, per me, è stata il 1998, quando iniziai il progetto RAI News 24, un canale di post-produzione che lavorava con le notizie degli altri - prevalentemen-
te dalla rete - aggiungendoci analisi e commenti, con lo slogan “La notizia è che qualcuno ha dato una notizia”: eravamo all’inizio della prima ondata digitale. Il programma partì il 26 aprile 1999, gli anni in cui il web cominciava a diventare “fonte”. A quel tempo io, sbeffeggiato da tutti, soprattutto in Rai, iniziavo a sostenere che Internet non era solo una rete di collegamento, ma anche un centro di produzione di informazione. Qual è la prima cosa che è cambiata? L’abbondanza delle notizie. In una professione come la nostra, il giornalista è abituato a lavorare su poche fonti e poche notizie molto riservate; trovarsi di fronte una valanga di informazioni l’ha costretto a cambiare radicalmente, sia nella cultura che nella professionalità. Nel libro si definisce “integrato”. Cosa intende esattamente? Mi riferisco alla suddivisione proposta da Umberto Eco negli anni Sessanta: apocalittici e integrati. Io credo che la rete, il digitale in generale, sia il segnale di uno straordinario avanzamento dell’umanità. Il giornalismo è più in salute adesso di prima, più competitivo, trasparente, democratico e aperto. Un giornalismo costretto a confrontarsi con milioni di occhi indagatori che lo controllano deve mantenere alta la qualità. Io insisto su un approccio diverso alla rete: Internet non è un nuovo modo di produrre informazione, ma un nuovo modo di produrre ricchezza ed è la conseguenza, non la causa, del cambio di paradigma tecnologico. La tecnologia cambia le cose? L’origine della rivoluzione attuale è il microprocessore, la miniaturizzazione delle forme di produzione. La tecnologia influenza l’economia che a sua volta influisce sulla comunicazione, ma è sempre stato così. Alla fine del Settecento, i telai a vapore erano arnesi giganteschi e mantenibili con molti soldi, perciò l’economia si è sviluppata in senso monopolistico e la comunicazione è diventata di massa - messaggi unidirezionali prodotti da uno e diretti a molti. Oggi questo equilibrio è rotto e siamo di fronte a un riciclo della storia. Cioè stiamo tornando a prima dello sviluppo industriale? Il motivo per il quale Internet ha avuto una pervasività così estesa è che racco27
L’OPINIONE
glie le istintività dell’uomo atavico come la collaborazione, la cooperazione e l’autoproduzione, tutte istanze che il fordismo industriale aveva congelato o distorto. Il superamento di quella fase produzione di massa, consumo di massa, media di massa - riporta a un modello arcaico. Lo si vede anche nel linguaggio: quella che prima era una “letteratura giornalistica”, oggi è una moltiplicazione infinita di pensieri in sostanza simile all’antica tradizione orale su cui si fonda sia la cultura Occidentale che Orientale. Sotto le fronde del famoso Albero di Cracovia1 le informazioni erano frutto di quello stesso passaparola che oggi si chiama Facebook. Alla luce di questo scambio reciproco di informazione, il giornalista cosa diventa? In prima istanza, non è detto che il giornalista debba diventare qualcosa, può essere che si dissolva come milioni di altre professioni ormai scomparse all’orizzonte. Comunque, nei prossimi anni il professionista tenderà ad assumere le caratteristiche di social media editor2, alla ricerca di soluzioni intelligenti per la divulgazione dei fatti sulla base di tecnologie facili. Ormai da tempo il giornalista non è più fonte - io dico che non lo è mai stato, perché in Italia, dal dopoguerra, ci sono state solo tre o quattro inchieste di valore. Oggi il professionista è solo uno degli infiniti nodi e deve imparare a capire cosa succede nella rete, con una complicazione terribile: il real time. Invece di fare lo Sherlock Holmes, dovrebbe occuparsi esclusivamente della velocità. Il detto con cui
Dei nani e dei giganti Bernardo di Chartes nel XII secolo scriveva: “Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più lontano di loro, non certo per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati dalla loro statura”. Usciamo da una fase in cui la Storia, la Cultura e l’Innovazione erano frutto di pochi giganti, sulle cui spalle bisognava salire per avere accesso al Progresso e alla Conoscenza. Oggi, al contrario, siamo di fronte a un infinito brulicare di nani, ognuno dei quali produce un breve segmento di sapere e competenza che, sommati, costituiscono la totalità dello scibile umano. La questione, dunque, non è più raggiungere le spalle dei giganti per scrutare l’orizzonte, ma essere in contatto con il maggior numero di nani possibile per raggungere ogni angolo di questa vastissima conoscenza collettiva.
Glossario 1
Albero di Cracovia: la leggenda narra di un castagno nelle vicinanze di Versailles, sotto il quale i cantastorie si ritrovavano per scambiarsi informazioni. Gli incontri si basavano su pettegolezzi e canzoni orali di grande impatto sull’opinione pubblica e per ampliare il raggio di diffusione delle notizie venivano anche utilizzati foglietti, volantini, manifesti e pam-
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phlet. Sull’origine del nome esistono due teorie: la prima fa riferimento al verbo craquer, che significa “raccontare storie dubbie”; l’altra afferma che, durante la guerra di successione polacca, Cracovia fosse la città in cui si discutevano gli esiti delle diverse battaglie. 2
Social media editor: il nuovo ruolo del giornalista, all’interno dell’attuale panorama mediatico, diventa quello di
partì la CNN, negli anni Ottanta, oggi è una legge implacabile: “Slow News, no news”. Il real time è industrialmente costosissimo, faticoso e rischioso, perché permette mille situazioni di inquinamento; il buon giornalista è quello che in tempo reale capisce se una notizia è vera o se è una bufala. Difficile? Certo, ma è il motivo per cui il professionista viene pagato, mentre milioni di persone fanno i “giornalisti” gratis. E l’analisi? “Slow analysis, no analysis”: anche il commento alla notizia deve essere in tempo reale, altrimenti non è più roba da giornalisti, ma da letterati, economisti, politologi. In questo modo dove va a finire l’autorevolezza della testata? Premessa: non si può riproporre la vecchia logica della carta stampata per cui è autorevole chi fa più ascolto, perché l’informazione online deve fare pochissimo ascolto. Gli indici di ascolto dei singoli canali di Sky fanno ridere la nota Teoria della Coda Lunga3 - ma l’insieme di tutti i loro 500 canali sta mettendo in difficoltà le TV generaliste, perché basati su una logica forte di targettizzazione. Detto questo, non esistono giornali “autorevoli”, ma solo giornali “pertinenti”. Si può essere autorevoli per 20 minuti e coglioni per il resto della vita, quel che conta è centrare il target. Ci si lamenta della partigianeria di alcuni giornali, ma questo è elemento di modernità, non di arretratezza; più i pareri sono di parte, più hanno valore perché mirano al loro target specifico. Ciascuno consapevolmente si dota dei propri
referente per il “come” e il “quando” delle notizie diffuse in rete. Il nuovo professionista è una figura collettiva in grado di dragare continuamente i fondali della rete, di individuare i contenuti frammentati che costituiranno la notizia e di proporre al giornale una formattazione appropriata. In quest’ottica, oltre alla preparazione giornalistica, è fondamentale coltivare una cultura manageriale che lo renda in grado di captare eventuali
nodi interessanti nell’infinito fluire del web, come un vero “imprenditore del flusso”. 3 Teoria della Coda Lunga: coniata da Chris Anderson in un articolo dell’ottobre 2004 di Wired Magazine, descrive alcuni modelli economici e commerciali. Il nome prende spunto dall’andamento del grafico del mercato di Internet, dove a un’ampia popolazione corrisponde un’enorme segmentazione di offerta pro-
duttiva. Si tratta di una sostanziale sostituzione del modello di economia di massa, per il quale un prodotto solo non soddisfa più un alto numero di persone, ma al contrario molti prodotti sono richiesti da un basso numero di persone che, sommate, costituiscono l’offerta complessiva. Fornire molti prodotti, altamente personalizzati, a un ristretto target è, oggi, il meccanismo fondante della net economy, in espansione su numerosi mercati.
ELENA CONC
centri di competenza, perché pensa che siano i migliori, come in qualsiasi altro campo economico. Ci si avvicinerà sempre di più a forme consulenziali, individualizzate e personalizzate destinate a individui consapevoli e preparati. Pensa che attualmente l’utente sia già consapevole? Non lo so, ma sicuramente lo diventerà. Mio figlio lo è molto più di quanto lo fossi io. Un esempio: al momento gestisco un blog (Media senza Mediatori) e le persone che lo seguono sono dei mostri preparati e competenti che ne sanno più di me. De Benedetti, al Festival del Giornalismo di Perugia, ha detto che “La glorificazione della open culture, di collaborazioni anonime stile Wikipedia, mortifica quella democrazia che avrebbe dovuto esaltare, premiando la quantità sulla qualità, i messaggi più estremizzati e meno ponderati, le informazioni più urlate e suggestive al di là della loro verità.” Lei cosa risponde? Questa è la classica visione datata e infondata, prima di tutto per quanto riguarda la qualità: la qualità non c’è mai stata, se non in modo sporadico e limitato. In Italia si sono fatte molte più grandi inchieste giornalistiche negli ultimi tempi, piuttosto che nei quarant’anni passati. Non usciamo da una stagione dell’oro, al contrario abbiamo alle spalle un periodo di subalternità, provincialismo e miseria professionale. Diceva McLuhan: «Non esiste al mondo un problema che non sia risolvibile da un milione di cervelli che lavorano
insieme». Ovviamente, non è privo di problemi organizzare un milione di cervelli, ma di sicuro è diverso dall’avere un unico cervello che lavora per tutti. Questo modello non rischia di formare tanti individui sostanzialmente isolati nel loro contesto di preferenza e targettizzati secondo i loro gusti? Anche questa è una questione che mi fa impazzire. Le analisi sulla comunicazione degli anni Cinquanta e Sessanta sono piene di riferimenti all’atomizzazione degli individui nella società, alla
4 Prosumer: neologismo nato dall’unione dei termini producer (produttore) e consumer (consumatore). Con questa nuova categoria di utenti si identifica l’individuo indipendente dall’economia mainstream che, svincolato dal classico ruolo passivo della catena commerciale che lo condanna ad essere soltanto un compratore, assume un ruolo più attivo nel processo di creazione, produzione, distribuzione e consumo
“solitudine di massa” e alla “passività di massa”, per la quale lo spettatore anonimo, come un beota, si rimbecilliva davanti al flusso dei media, perché apatico e privo sia degli strumenti che delle motivazioni per intervenire nell’arena mediatica del mondo. Oggi per fortuna non è più così, il consumatore si è evoluto ed è diventato prosumer4. Il computer cambia la vita grazie all’attivismo di ogni individuo che legittimamente pretende di partecipare al suo destino, nel bene e nel male.
dei beni. Il termine, applicato al mondo del giornalismo, indica un lettore-utente che partecipa ai processi produttivi della notizia, trasformandosi esso stesso in produttore di contenuto, scopritore e comunicatore, diretto e disintermediato. 5 Remix news: panorama dell’informazione nel quale crolla il binomio notizia-divulgatore, in favore di un contesto in cui le notizie si autori-
producono, rimbalzano da un server all’altro espandendosi nella rete, si sovrappongono e si copiano reciprocamente, generando nuove informazioni e allontanando la possibilità di risalire alla fonte di partenza. Nel moltiplicarsi infinito di fatti e conoscenze, l’utente impara a gestire un impianto informativo certamente più caotico di quello tradizionale, ma estremamente ricco.
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La Recensione La Recensione
È ilÈ progresso, il progresso, bellezza! bellezza!
Titolo: Titolo: Sono Sono le news, le news, bellezza! bellezza! Vincitori Vincitori e vintienella vinti guerra nella guerra della velocità della digitale velocità digitale Autore: Mezza Autore: Michele Mezza Michele AnnoAnno di pubblicazione: di pubblicazione: 20112011 Editore: Donzelli, Editore: Donzelli, collana Interventi collana Interventi Prezzo: 18,00 €
N° pagine: 188 Prezzo: 18,00 €
Dello stesso autore:
Gli uomini dietro gli specchi Percorsi e scorciatoie nei media senza mediatori (Morlacchi, 2008) mediasenzamediatori.org Matrici sociali e indotti geopolitici della comunicazione a rete (Morlacchi, 2005)
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Per capire Per capire chi siano chi isiano vincitori i vincitori e i vintie del i vinti digitale, del digitale, Michele Michele MezzaMezza scomoda scomoda tanta gente. tanta gente. Non siNon riferisce si riferisce ai guruaidell’information guru dell’information technology, technology, ma a Marx, ma a Marx, a Bauman a Bauman e a Castells. e a Castells. L’autore L’autore vuole vuole riflettere riflettere su cosa susia, cosa oggi, sia,la oggi, rete,labenché rete, benché si interessi si interessi poco alla poco tecnologia alla tecnologia - lo dichiara - lodadichiara subito. da “Sono subito. le news, “Sonobellezza!” le news, bellezza!” è il libroèdiil un libro “integrato”, di un “integrato”, un militante un militante che si immerge che si immerge nel flusso nel flusso della rete dellasenza rete senza remore remore o resistenze, o resistenze, che la che studia la studia e la usa e la senza usa senza quell’atteggiamento quell’atteggiamento che sache tanto sa di tanto fanatismo. di fanatismo. Con grande Con grande onestà, onestà, Michele Michele MezzaMezza dichiara dichiara di leggere di leggere la realtà la con realtà delle conlenti delleprecise: lenti precise: «Mi considero «Mi considero un “marxista un “marxista digitale”, digitale”, ossia un ossia sostenitore un sostenitore delle delle magnifiche magnifiche sorti esorti progressive e progressive scoperte scoperte dell’innovazione dell’innovazione digitale, digitale, alla luce alladiluce quella di quella metodologia metodologia sociologica sociologica che proprio che proprio Marx Marx introdusse introdusse con lacon sua la visione sua visione della liberazione della liberazione dal lavoro, dal lavoro, oltre che del lavoro, oltre come che delapprodo lavoro, come finale del approdo processo finale didel ricomposizione processo delle contraddizioni di ricomposizione sociali». Ladelle sua contraddizioni analisi parte dasociali». una lettura La sua sociale analisi parte ed economica da una lettura del fenomeno sociale eddieconomica Internet, che delmostra fenomeno i segni di del Internet, profondo che cambiamento mostra i segnidelle del profondo condizioni cambiamento dell’ultimo decennio. delle condizioni «La culturadell’ultimo dell’individualismo, decennio. -«La afferma cultura Mezza dell’individualismo, - iscritta nella società - afferma in rete, ricostruisce Mezza - iscritta le relazioni nella società socialiinsulla rete,base ricostruisce di individui le relazioni autodefiniti sociali che mirano sulla base a interagire di individui con gli autodefiniti altri seguendo che mirano le proprie a interagire scelte, i propricon valori gliealtri interessi. seguendo Un individualismo le proprie scelte, reticolare i proprievalori cooperativo, e interessi. che supera Un individualismo il primato dell’economicismo reticolare e cooperativo, utilitaristico chedel supera capitalismo il primato industriale, dell’economicismo introducendo tra utilitaristico le motivazioni del capitalismo della produzione industriale, immateriale introducendo anche latra semplice le motivazioni soddisfazione della produzione del pensare immateriale e dell’elaborare». anche la semplice Non si tratta, soddisfazione però, solodel della pensare condizione e dell’elaborare». economica, e per spiegarlo Non si tratta, si rimanda però, solo alledella tesi dicondizione Bauman, popolare economica, sociologo secondo e per il quale spiegarlo le lotte si rimanda per il riconoscimento, alle tesi di Bauman, oggi, soppiantano popolare sociologo le lottesecondo di classe,il quale per cuilenon lottesiper ragiona il riconoscimento, più sulla forma oggi, da dare soppiantano al mondo, le lotte ma sulla di classe, possibilità per cui di essere non si ragiona parte delpiù mondo: sulla forma quello dache dare importa al mondo, non è il fine ma dell’azione, sulla possibilità bensì dila essere sua dinamica. parte del Tutto mondo: questo quello si ripercuote che importa con un non forte è ilimpatto fine dell’azione, anche sulbensì mondo la sua deidinamica. media, Tutto in maniera questo evidente si ripercuote nella constatazione con un forte impatto che oggianche le notizie sul mondo siano prodotte deida media, chi leinconsuma. maniera evidente Non si tratta nelladiconstatazione una morte delche giornale, oggi piuttosto le notizie di unasiano sua profonda prodottetrasformazione. da chi le consuma. Mezza Non questo si tratta fenomeno di una lomorte conosce delda giornale, vicino per piuttosto il suo di lavoro una sua in Rai, profonda è molto criticotrasformazione. proprio con la sua Mezza azienda, questo che fenomeno potrebbelo realizzare conosceprogetti da vicino molto per avanzati il suoelavoro che, invece, in Rai, è resta molto bloccata critico eproprio incapace condilacogliere sua azienda, le potenzialità che potrebbe che la rete realizzare offre. progetti molto avanzati e che, invece, resta Il librobloccata unisce analisi e incapace e riflessioni di cogliere filosofiche le potenzialità al pragmatismo che la rete della offre. ricercaIl elibro dell’elaborazione. unisce analisi e«Ilriflessioni patrimonio filosofiche primarioaldel pragmatismo giornale della diventa ricerca il saper e dell’elaborazione. leggere e usare la«Il rete. patrimonio Il giornale, primario come artigiano del giornale collettivo diventa che filtra il saper e ricrea leggere un suo e usare know la rete. how tecnologico, diventa Il giornale, così una macchina come artigiano complessa, collettivo dove chesono filtrai econtenuti ricrea unasuo know guidare how la tecnicalità. tecnologico, Undiventa motorecosì di contenuti una macchina che accompagna complessa, dove nelle ventiquattr’ore sono i contenuti l’utente a guidare alla ricerca la tecnicalità. della “sua” Un motore notizia». di Un contenuti libro fondamentale che accompagna per gli nelle addetti ventiquattr’ore ai lavori, ma l’utente anchealla perricerca politici, imprenditori, della “sua” amministratori notizia». Unelibro per quanti fondamentale voglionoper comprendere gli addetti ai lavori, appieno malaanche trasformazione per politici,che imprenditori, stiamo, giorno amministratori dopo giorno, e per vivendo. quanti vogliono comprendere appieno la trasformazione che stiamo, giorno dopo giorno, vivendo.
Speciale giornalismo
L’utente cosa vuole? Vuole l’informazione del momento, estremamente personalizzata e georeferenziata, “qui e ora”. Il giornale deve dare al lettore l’opportunità di crearsi il proprio menù delle notizie all’interno del media mix5, abbandonando la logica verticale del giornalista “influente”, perché è un modello chiaramente sull’orlo del fallimento. In Italia ci sono esempi positivi di questo tipo? Esistono realtà strettamente georeferenziali che offrono un servizio sul territorio, come VareseNews.it (si veda articolo a pag.32), una testata esclusivamente online che non si appoggia ad alcun quotidiano. Loro sono stati tra i primi, ma la concorrenza sarà sempre più spietata, quindi presto dovranno rimettersi in gioco. Il giornale di carta scomparirà? Certo che no, ma diventerà un centro servizi. Il futuro del giornale non sarà produrre grandi articoli che spieghino alla gente come campare o che diano consigli su che musica ascoltare o che libro comprare, ma produrre App per mille esigenze diverse del cliente, che non è più il semplice lettore. In un mercato così aperto come la rete, come si convince l’utente a contribuire economicamente? Questa è la partita del momento. A mio parere, i micro-pagamenti sulla notizia
- come per le canzoni di iTunes - non funzionano, semplicemente perché se la musica ha delle origini produttive definite, al contrario la fonte della notizia coincide con il singolo lettore. Ormai è lui che, controllando il flusso, decide cosa gli interessa. I canali di entrata economica su cui scommettere sono due. Da un lato lo sviluppo industriale e tecnologico di App personalizzate e stretta-
Cambiare i poteri è faticoso perché coinvolge tutti trasversalmente mente legate all’utente, dall’altro la possibilità di fornire competenze specifiche in diretta sulla notizia dell’ultimo minuto, che sia presentabile su ogni device, cellulare, iPad ecc. Per fare un esempio, un’applicazione relativa all’economia e diretta esclusivamente a chi si interessa di economia, assommata al parere di un economista che commenta il flusso in tempo reale. Solo su un servizio del genere, forse, l’utente potrebbe pensare di abbonarsi a pagamento, ma di certo non a una qualsiasi testata online attuale, perché se le notizie non si trovano lì le si reperisce altrove senza alcun problema.
Perché le qualità delle testate online è percepita come minore? Perché sono delle lapidi. Se comprate La Repubblica domani ci troverete dieci notizie che a quest’ora già si sapevano, ma sul sito non sono state presentate. I giornali si tengono gli scoop nel cassetto per rivendersele il giorno dopo, ed è ovvio che così il digitale si impoverisce senza contare che sono pieni di articoli provenienti da altri siti Internet. Prima o poi, gli editori si dovranno rassegnare, perché quel che perdono con questo atteggiamento è enormemente maggiore di quel che guadagnano puntando sulle vendite del cartaceo. Perché l’editore ha paura di investire nel digitale? Perché cambiare i poteri è faticoso e coinvolge tutti in modo trasversale. I giornalisti dicono che vogliono il digitale, ma pretendono che non cambi le loro abitudini e non è possibile; l’esperienza non è più un vantaggio, ma un ostacolo alla professione. Allo stesso modo anche il direttore non può pensare di avere gli stessi poteri esclusivi di prima. Ormai l’informazione non sta più chiusa nei cassetti, e se l’informazione viene dalla finestra il direttore non può più essere quello che custodisce le chiavi dei cassetti. Dato questo stravolgimento totale della gerarchia dei poteri, è ovvio che chi ci si trova in mezzo non è contento: i tacchini non festeggiano Natale.
31 ELENA CONC
GLI INTEGRATI
Marco Giovannelli
Surfers varesotti L’avventura di una testata nata e cresciuta online: Varesenews.it raccontata con orgoglio da uno dei suoi creatori e attuale direttore.
V
areseNews è l’ultima creazione di Marco Giovannelli e soci, <<la migliore cosa che potessimo fare>> . Dieci milioni di click e oltre 10 mila fan su Facebook per questo nuovo supporto all’informazione sul territorio interamente online. E pensare che tutto è nato per caso: oggi VareseNews è il punto di incontro di persone e istituzioni per quanto riguarda l’intera provincia varesina dove si può dialogare con chiunque e soprattutto chiunque può esprimersi. L’INIZIO DI UN’AVVENTURA Il progetto di VareseNews.it nasce quasi per gioco nell’autunno 1997 come evoluzione di un piccolo mensile che trattava di eventi culturali, da un’idea mia, di Michele Mancino e Carlo Galeotti. Eravamo attratti dalla rete anche se a quei tempi Internet era ancora agli albori, in America il primo giornale era del ‘94 e in Italia del ‘96: c’erano in tutto solo poche centinaia di siti. Inizialmente si trattava di un lavoro tra l’amatoriale e la sperimentazione delle prime innovazioni, per cui ci sentivamo i pionieri di un area ancora inesplorata ed è stata una grande emozione far nascere e portare avanti questo progetto. Ci sono state tre principali (e in parte fortuite) motivazioni che ci hanno spinto a creare la nostra
testata: come prima cosa il trasferimento a Varese di Carlo, già tra i fondatori del Corriere di Viterbo, mio vecchio amico; poi il desiderio di sviluppare qualcosa di diverso da un giornale legato alla carta; infine un sano spirito d’avventura. Il nostro obiettivo era servirci di un mezzo nuovo per fornire un miglior servizio di divulgazione. Questa nostra velleità si è rivelata vincente e oggi siamo tra i quotidiani locali online più seguiti in Italia. Pochi ci credevano - quelli che oggi ci guardano come extraterrestri quattordici anni fa ci giudicavano degli straccioni e gli editori della zona ci snobbavano pensando che Internet fosse una cosa da ricchi - invece quest’impresa si è rivelata in assoluto la cosa più affascinante e più forte che siamo riusciti a realizzare professionalmente. Inizialmente era la riconversione di un giornalismo su carta trasposto su web, arricchito da tutte le parole d’ordine che la rete permetteva, tra cui l’abbattimento di due concetti vitali della nostra esistenza: spazio e
Abbiamo cominciato quasi per gioco e adesso siamo
una testata a 360°
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Speciale giornalismo
capacità, ma in maniera molto flessibile. Nella trasversalità delle competenze si trova la grande differenza della nostra redazione, che non ha la rigidità a cui siamo abituati con gli altri media, che sia carta, tv o radio. Inoltre questi venti giornalisti hanno totale autonomia nell’accedere direttamente al sistema editoriale, quindi nel pubblicare. Quanto l’evento peserà o quanto sarà importante è una decisione del desk, ma salvo alcuni argomenti che vanno prima affrontati, discussi e verificati, ogni notizia è gestita autonomamente e ognuno è responsabile di quello che fa. Chiaramente questo comporta dei rischi molto più alti per chi dirige un giornale come il nostro.
Ci consideravano degli straccioni, dicevano che Internet era una cosa da ricchi, ma alla fine abbiamo avuto ragione tempo. Per il primo non c’erano problemi, arrivavamo ovunque. Il secondo ha cominciato progressivamente a cambiare, e più noi modificavamo il tempo più lo facevano anche gli altri: quando esisteva un solo giornale, un evento come il consiglio comunale veniva raccontato due o tre giorni dopo, mentre noi lo raccontavamo la notte stessa. Il sito in quegli anni si occupava quasi esclusivamente di politica e cultura, oggi è un giornale generalista a 360° completo di tutta la multimedialità relativa: foto, video, audio e tutto ciò che riguarda i social media. Per raggiungere questo successo è stato fondamentale poter contare su una redazione affiatata. Al centro del progetto non ci sono interessi particolari, ma un disegno comune, dove ognuno mette la propria individualità al servizio degli altri. La redazione è composta da dieci giornalisti professionisti, venti con freelance e corrispondenti, e in più ci sono alcune persone con ruoli tecnici (grafica, illustrazione): in tutto siamo quasi trenta collaboratori. La divisione dei compiti segue le aree territoriali e le
SOPRAVVIVENZA VareseNews è mantenuta da diverse gambe e quella più importante è sicuramente la pubblicità. All’inizio Internet lo conoscevano in pochi e convincere le imprese ad acquistare i nostri spazi era complicato, un’impresa da maghi, ma si sopravviveva. Quando abbiamo cominciato a smettere di lavorare in modo artigianale, quando abbiamo accresciuto il nostro bacino di utenza e necessitato di acquisire ulteriori risorse umane, siamo venuti incontro a costi sostenuti, per cui vendere gli spazi pubblicitari non bastava più. Fu allora che la comunicazione diventò il secondo elemento portante del nostro business. Facciamo lavori a vari livelli, progettiamo per altri soggetti, gestiamo alcuni blog, ma la pubblicità continua a essere la prin-
In una piccola redazione di provincia sembra quasi di stare in famiglia
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Un grande circuito L’ANSO (Associazione Nazionale della Stampa Online) è il primo ente italiano nato per rappresentare e tutelare gli interessi degli editori di testate giornalistiche esclusivamente online e a carattere locale. Attualmente vi fanno parte cinquanta testate locali attive sul territorio nazionale. Il circuito ANSO si posiziona nella media dei grandi quotidiani e gruppi editoriali nazionali, infatti le testate associate hanno una portata di utenza
comparabile di fatto a quella dei grandi siti di informazione, con in più una presenza capillare e radicata sul territorio senza eguali. Oltre a rappresentare le testate presso Autorità, Enti e Istituzioni tutelando i loro interessi, ANSO si preoccupa anche di valorizzare i prodotti editoriali degli associati, di stipulare accordi e convenzioni con professionisti per la consulenzae e di organizzare convegni ed eventi promozionali, come conferenze o dibattiti.
Ogni mese:
Ogni giorno:
25 milioni sono le pagine del circuito ANSO visitate ogni mese, corrispondenti a un numero di lettori pari a 3,5 milioni
Ogni testata pubblica circa 30 notizie in continuo aggiornamento, per un totale di 1.500 notizie
50 Testate associate Esclusivamente online, senza il supporto di una redazione cartacea alle spalle, forniscono informazione a livello locale e sono veri e propri portali verticali, punto di riferimento per la comunità
Eguaglia i siti di informazione dei grandi quotidiani nazionali
Alcuni associati: Vallesabbianews.it IlCapoluogo.it PrimadaNoi.it Vastoweb.it IlCittadinoOnline.it Dailyblog.it NotizieOnline.it Sardegnaoggi.it
VareseNews.it CiaoComo.it Bologna2000.it Parmasera.it Aostasera.it CittadiGenova.com Perugianews.it Orvietonews.it
cipale fonte di entrate economiche. Oggi tutti sanno cos’è Internet e qualcuno sa anche cos’è VareseNews, e questo rende tutto più facile, ma da questo punto di vista l’Italia vive due ritmi e due tempi. Il mondo della pubblicità non considera il locale, o lo considera come parte di un processo più esteso, ma non è così; il locale ha delle logiche diverse e più interessanti del nazionale, perché è attinente al territorio. Il tema del momento è quello della geolocalizzazione: Internet è una realtà globale ma con profonde radici in quella locale, con le sue logiche e i suoi ritmi. Il glocal è una realtà che noi viviamo quotidianamente.
Noi contiamo su una redazione di 800.000 collaboratori 34
IlCapoluogo.it IlMinuto.info SassariNotizie.it Sardegnaoggi.it Dvscope.com Notizie-online.it Catanzaroinforma.it Positanonews.it
Modena2000.it Piacenzasera.it Reggio2000.it Sassuolo2000.it Riviera24.it Ivg.it ImFromIm.it Genova24.it
CITTADINI E TERRITORIO Attualmente oltre la metà delle notizie viene da agenzie non giornalistiche, come associazioni o istituzioni, oppure ci viene segnalata direttamente dai lettori. Senza ombra di dubbio i Social Network sono una realtà potente; è come se in redazione avessimo 800.000 giornalisti, ovvero gli abitanti, che sono sempre velocissimi nel comunicarci un fatto o un avvenimento, con video, foto, testi e tutti gli strumenti che l’interattività mette a disposizione. Il giornalismo partecipativo non è una teoria, ma una realtà molto concreta che si realizza quotidianamente. VareseNews ha 13 mila fan su Facebook; se si considera che ci sono testate nazionali con 50 mila fan, la nostra piccola cifra diventa considerevole pensando al limitato territorio a cui ci rivolgiamo. Quell’idea che il giornalismo aveva dei lettori come “minaccia” è un concetto quantomeno bizzarro, assurdo e sciocco. Il problema del giornalismo Italiano è questo: è nato politico e morirà politico, nel senso
È finito il tempo del parlare, il nuovo giornalista deve saper ascoltare peggiore del termine, quello di asservimento al potere. Al contrario, il giornale è una funzione vitale all’interno di una comunità, è un diritto della cittadinanza, appartiene alle persone, altrimenti non avrebbe alcun senso di esistere. Il nostro primo stakeholder è il lettore e la nostra preoccupazione numero uno è allargare il più possibile la platea di utenti, perché se il lettore è critico, se si intromette, diviene un prezioso elemento di verifica e controllo dell’informazione. Per queste motivazioni il nostro rapporto con il territorio è così profondo. La formula magica è non esser “contro” qualcosa, ma “per” qualcosa: la comunità. Senza linguaggi gridati, senza estremismi - così diffusi in questo tempo e in questo luogo - noi forniamo un servizio di utilità pubblica e siamo un punto di riferimento per tutto ciò che riguarda l’ambito locale, dal piccolo concerto in provincia all’ingorgo stradale in tangenziale. Vicinanza, dunque, non solo al cittadino, ma agli stessi progetti del territorio. VareseNews ha partecipazioni con alcuni enti e associazioni territoriali che si occupano dell’organizzazione di attività locali e della promozione di una solida coesione sociale. È una società un po’ strana, se si vuole, espressione non di un potere, ma di interessi diffusi che fanno del lavoro e della cultura d’impresa un punto di riferimento. Rispetto al territorio noi facciamo da pungolo, ma anche da recettore: Internet richiede ascolto, non parola. Il giornalista è abituato a parlare, invece quanto più ascolta, tanto più le persone si sentono rappresentate e valorizzate. In un mondo dove la frammentazione dei contenuti va affermandosi e l’utente è sempre più disintermediato, le notizie saranno nell’aria e il media non farà più da tramite. Un buon giornale non fa da mediatore, ma da amplificatore delle esigenze di parola dei cittadini. Chi non se ne rende conto è già un dinosauro: per quanto gigantesco e potente, finirà presto per scomparire. LA QUALITÀ NON È FATTA DI CARTA La storia del giornalismo è secolare e di grande prestigio, dalle grandi inchieste di interese pubblico ai servizi all’estero da tutto il mondo. Questo passato glorioso ha portato a credere che la carta fosse unica piattaforma possibile per la vera qualità, in grado di garantire una servizio superiore e preferibile a qua-
Legati al territorio, ma fieri della propria italianità
lunque altro, perché caratterizzata da una selezione maggiore, ritmi più vivibili e una più ampia possibilità di commento e riflessione. Finora è stato così, ma affermare che oggi la qualità informativa sia possibile solo su questo medium è una stupidaggine, una precondizione senza alcun fondamento reale. Il web ha certamente numerosi punti deboli, ma le bufale corrono sulla carta come nella rete. Bisogna avere il coraggio di affermare che una buona informazione non è determinata dal tipo di piattaforma e dal materiale di cui è fatta, ma dal modo in cui si lavora, dalla serietà dei professionisti, dalla validità delle fonti - per quanto svariate - e la sfida di oggi è riadattare quella stessa qualità a un ambito tanto complicato com’è Internet. In una testata locale esclusivamente online come la nostra, se si punta sul territorio, sulla comunità e sul fondamentale ruolo attivo del cittadino, il lettore se ne accorge e ci ripaga con una fedeltà, una fiducia e un entusiasmo non minori di quelli riposti nella carta. 35
Beppe Severgnini
Lâ&#x20AC;&#x2122;uomo che unisce i puntini Collegare web e giornalismo reinventando una professione. 36
Speciale giornalismo
U
Un incontro al bar, un veloce aperitivo perché “sono in ritardo di sole 4 ore” dice Beppe Severgnini mentre ci racconta il suo rapporto con la rete fin dagli inizi. Metafore strampalate e qualche esempio personale sono bastati a farci capire cosa è stato e cosa sarà Internet, medium su cui il suo forum prende piede. Italians, popolarissimo appuntamento quotidiano del Corriere.it, viene seguito in cinque continenti, da esattamente dieci anni. I lettori scrivono, raccontano, commentano, spiegano il mondo che vedono e a qualcuno di loro Beppe Severgnini risponde.
C
orrispondente da Londra per Indro Montanelli, ha lavorato per la Gazzetta dello Sport, La voce, per radio e televisioni, è articolista del Corriere della Sera, scrittore di successo e blogger, ma Beppe Severgnini è certamente un po’ più di tutto questo. Ha fiutato, tra i primi, quale immensa risorsa potesse essere la rete e lì ha modellato il suo personaggio, tutt’oggi è amatissimo sia in Italia che all’estero per la sua schiettezza, simpatia e carisma. Qual è stato il suo primissimo incontro (o scontro) con Internet? Ero a Washington, primavera del ‘94, e qualcuno mi disse “Ti mando un messaggio su Compuserve” - un terminal emulator, antenato del browser - e io non avevo minimamente idea di cosa stesse parlando. Mi spiegò come attaccare il modem al telefono e riuscimmo a mandarci dei messaggi. Ovviamente con una telefonata avremmo fatto molto più in fretta, ma è stato emozionante. Questo per quanto riguarda Internet.
Invece un primo utilizzo multimediale legato alla mia professione è stato nel ‘96. Ero al Corriere da meno di un anno e gestivo una sorta di racconto partecipativo, “Il filo di Arianna”, nel quale scrivevo il primo capitolo di una storia, i lettori mandavano dei possibili seguiti e tra questi votavano il migliore che diventava il secondo capitolo, io scrivevo il terzo, loro il quarto e così via. È stata una bellissima esperienza di interattività, anche perché il risultato era sempre stimolante: un po’ io dovevo inseguire le trame dei lettori, un po’ loro le mie. Quando il digitale è entrato nella vostra redazione? Il Corriere va in rete per la prima volta nel ‘96. Io, appena tornato dagli Stati Uniti, ero da poco entrato in redazione e rompevo le scatole a tutti dicendo che Internet ci avrebbe cambiato la vita e devo dire che mi consideravano un po’ il “fighetto che veniva dall’America”. Invece, forse, non avevo tutti i torti. I più entusiasti della novità sono stati i columnist, gli opinionisti, o quelli che avevano un’esperienza televisiva, come ce l’avevo io. Il passaggio è stato molto lento e ancora adesso, in Italia, la fusione tra la redazione del giornale online e il resto della redazione non è completa. Oggi l’atteggiamento è migliorato? Adesso è più una questione generazionale. Tra i miei coetanei siamo sempre gli stessi, quelli che si entusiasmavano negli anni ‘90 e continuano a farlo oggi. I “nuovi” invece, i trentenni, son tutti appassionati di digitale e sanno utilizzarlo, perché le scuole di giornalismo preparano al multimediale, a differenza di noi che siamo autodidatti. Lei ha imparato il mestiere da firme storiche: cosa di quello che ha vissuto a 20 anni è ancora valido e cosa invece è cambiato? È cambiata la velocità e la mole di notizie, per cui la capacità di selezione del giornalista è diventata cruciale. Un altro aspetto è legato alla notorietà. Negli anni ‘80 se scrivevi su un quotidiano nazionale eri un “arrivato”; oggi non sei arrivato da nessuna parte. Il panorama dell’informazione è una selva oscura e per renderti utile al lettore devi saper fare il disboscatore. Quello che non cambia mai è l’abilità del professionista. Il giornalista deve essere interessante, gradevole, scorrevole, 37
GLI INTEGRATI
Personaggio a tutto web Oltre che giornalista e scrittore italiano di livello internazionale, Beppe Severgnini è anche un personaggio di rilievo del web. Nel virtuale, è rappresentato in più versioni stilizzate - spesso caricature - e tutte, nel rispetto del personaggio, ne conservano il personale stile ironico. Il suo contributo all’online è distribuito in varie modalità, dal sito web, al blog, dal forum al social network. Severgnini gestisce il forum “Italians”, ospitato sul sito del Corriere della Sera dal 1998 e, dal 2006, si occupa anche di “PuntoItalians”, diretta video settimanale in cui discute con i lettori. Sempre sulla pagina Internet del Corriere della Sera, cura dal 2011 “Tre minuti, una parola”, la rubrica in cui, ogni lunedì, vengono commentati i vocaboli italiani più usati. Nel 2010 ha, inoltre, inizio la sua collaborazione con il Goethe Institut, per cui intraprende, insieme al giornalista e scrittore tedesco Mark Spörrle, un viaggio in treno da Berlino a Palermo e, nel 2011, da Mosca a Lisbona. Il viaggio è raccontato su un blog, accompagnato da una serie di video-cronache. Su Facebook e su Twitter, è possibile rintracciare le pagine personali di Severgnini e quelle dedicate a “Italians”.
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e deve farlo spiegando, commuovendo, divertendo, se necessario spaventando, al fine di ottenere da chi legge una risposta di qualche tipo. Cent’anni fa come oggi, se non sai fare questo non sai fare il giornalista. Lei scrive su diverse piattaforme, quotidiani, testate online, blog ecc. Dove si trova meglio? Non cambia nulla. Più tardi scriverò la rubrica del giovedì per il Corriere di carta; successivamente il testo andrà sull’online, e domani mattina a Radio Montecarlo non è escluso che affronti nuovamente il tema. Allora per chi scrivo? Per che piattaforma sto lavorando? Il nodo centrale della faccenda è che io ho un’idea e voglio comunicarla, poco importa dove andrà a finire. Ci dica tre cose che le piacciono del lavorare su web. La tempestività, il lavorare sul momento; l’interazione, perché quello che la gente ha da dire lo scopro attraverso il blog; e l’accessibilità. Italians viene letto a Pechino, a Los Angeles, a Città del Capo, a Helsinki: questo è meraviglioso, il sogno di ogni giornalista. Per un columnist, il cui capitale è la propria firma, Internet è stata un’enorme opportunità, perché ha moltiplicato i lettori. Secondo dei dati recenti, oggi io sarei l’autore italiano più venduto negli Stati Uniti. Per questo sono gasatissimo, felicissimo, ed è merito del web che mi ha regalato la possibilità di amplificare il mio lavoro, di mettermi in contatto con i lettori, di discutere con loro. Il web rappresenta per la professione una marcia in più. Oggi l’autorevolezza del giornalista non dipende più, come un tempo, dalla sua posizione gerarchica, ma, in parte, dalla sua notorietà. Mi rendo conto di essere circondato da un affetto, da una stima e da un seguito che si traducono - non esagero - in numero di click sulle mie rubriche, di libri venduti, di articoli letti, superiore ai miei meriti. Gabriele D’Annunzio diceva “Io ho quel che ho donato”, ecco io ho più di quel che ho donato – e ho anche più capelli di D’Annunzio, che non guasta.
Poi c’è il problema della dipendenza dai ricavi economici. La rete ha messo in grande difficoltà le aziende editoriali, perché di fatto il “chi paga cosa” è una questione non ancora risolta. Faccio però notare che gli acquisti del Corriere su Ipad sono buoni, perché esiste una piattaforma adatta. Cer-
Ormai non tollero più la definizione di
giornalismo online; basta, ormai è morta e sepolta to, dopo sedici anni di Corriere.it gratis e disponibile sul web sarà praticamente impossibile convincere la gente a pagarlo - come si dice, “il dentifricio è fuori dal tubetto” e non si può più rimetterlo dentro. Ci sono cose che la gente si è abituata a considerare gratuite, e in fondo va bene così. Il giornalismo online è ancora Giornalismo, con la G maiuscola? Lo è a tutti gli effetti. Una mia conferenza all’Università di Pavia si intitolava “Il giornalismo online è morto”, perché non tollero più la definizione stessa di “giornalismo online”: ormai è morta e sepolta. C’è il Giornalismo, punto. Quando la notizia è interessante, non ci si ricorda neanche se è stata letta su uno schermo, sull’Ipad, sulla carta o addirittura se la si è sentita in radio o in televisione. Quando la comunità si scambia informazioni direttamente sulla rete, il giornalista che fa? Fa il vigile, il ghisa di Milano. Noi fischiamo, “vai a sinistra, vai a destra, fermi voi”. Poi naturalmente non ci dà retta nessuno, esattamente come a Milano. Parlando di Italians, com’è impostato? Cosa succede dietro le quinte? Succede che arrivano 200 lettere al giorno e un signore di nome Tex deve selezionarle, scegliere le migliori ed editarle, cioè correggere i punti e le maiuscole, dotandole di uno standard di scrittura se necessario. Ad alcune rispondo, ad altre no - “Beppe ti ho visto in TV, hai 54 anni e sembri giovanissimo, ne dimostri 53!” - sarebbe inumano.
Speciale giornalismo
Nessuna maschera, la leggendaria disponibilità di Beppe Severgnini è genuina
Quindi lo schema ricalca quello delle lettere al direttore. No, assolutamente! Nelle lettere al direttore c’è un rapporto di sudditanza. Una volta se il direttore del Corriere della Sera rispondeva a un lettore, questo prendeva la lettera, la incorniciava e la lasciava in eredità a figli e nipoti. Adesso l’era della deferenza è finita; quando De Bortoli risponde via mail, capita che si arrabbino perché non ha risposto subito oppure che replichino “lei non me la racconta giusta”. Con i lettori instauro un rapporto di complicità, come faceva il mio maestro, Indro Montanelli. La sua Stampa era quasi un “protoblog”; lui che non sapeva bene cosa fosse Internet aveva già capito tutto. Era molto sanguigno con il suo pubblico, diceva “Con i miei lettori devo andarci a letto” - adesso è meglio essere un po’ più cauti se no scivoliamo nella politica. Lui li amava, loro amavano lui, litigavano, discutevano, c’era proprio un rapporto passionale.
L’internauta è un lettore più reattivo, più consapevole? È più esigente, vuole risposte, vuole controlli e sa verificare le fonti. Il giornalista deve avere la profondità e la forza di affrontare un interlocutore più preparato. Abituato a vivere su un altarino, scriveva il suo articolo, il lettore lo leggeva, si complimentava e fine. Adesso è tutto molto più difficile, ma anche più eccitante. Una volta era un pic-nic in barca nella Francia dell’800, come un quadro impressionista. Adesso siamo sulle rapide, perché il lettore ti giudica - e fa bene.
Come si tiene informato? Molto mi arriva direttamente dai lettori. Insegniamo e impariamo, spieghiamo e apprendiamo - ed è salutare. Per il resto, m’informo esattamente come mio figlio di 18 anni: è una somma di Social Network, di radio ascoltata in macchina, di chiacchiere per strada, di giornali del mattino. Ecco, ricavare l’informazione da tutto questo, connettere i frammenti, questa è la mia professione. Se mi chiedeste “Qual è il suo lavoro?” risponderei “Sono l’uomo che unisce i puntini, come sulla settimana enigmistica”.
Il panorama dell’informazione è una selva oscura e per renderti utile al lettore devi saper fare il disboscatore 39
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Luca De Biase
Il giornale NON è la sua carta Perché il digitale non deve spaventare, perché tutto sommato il giornalismo non è messo così male, perché il futuro ha di certo qualcosa in serbo per questa professione: rimproveri e auspici di un guru dei new media.
L
uca De Biase, giornalista e scrittore italiano, si occupa da anni di innovazione tecnologica e prospettive socio-economiche dei nuovi media. Attualmente è il responsabile di Nòva 24, l’inserto del giovedì del quotidiano Il Sole 24 ore che si occupa di ricerca e sviluppo. In questo articolo illustra i meccanismi della comunicazione contemporanea e delinea i contorni di quella futura, portando in superficie una questione troppo spesso trascurata: come la trasformazione dei lettori - da spettatori a creatori - possa rivoluzionare l’universo mediatico, soprattutto nel sistema informativo. UNA QUESTIONE DI RUOLI Le domande di chi intende azzardare teorie sul prossimo futuro dei giornali devono necessariamente confrontarsi con un contesto sociale da ridefinire, con una struttura mediatica da sfruttare e con i modelli di business che si possono sviluppare. Nel sistema dei media tradizionali, la tecnologia influiva tanto quanto coloro che sapevano utilizzarla: in pochi potevano produrre informazione e possedevano i mezzi sui quali trasmetterla e renderla fruibile. Nel mondo digitale, invece, la distribuzione e la riproduzione hanno un prezzo quasi nullo: il destinatario non percepisce il costo del singolo elemento informativo, ma il costo generale di accesso a Internet. Abbattuta la barriera materiale, il pubblico tende a confondersi con gli autori, le persone comincia40
no a scrivere e a esprimersi, a connettersi e a informarsi reciprocamente. I lettori diventano nuovi protagonisti: solidarizzano, polemizzano, criticano, verificano; tutti condividono tutto, creando uno spazio informativo molto più ampio. Si dà vita così a una sovrabbondanza di informazione - un’information overload - alla quale corrisponde una sovrabbondanza di informatori. Nasce dunque il bisogno di un sistema di filtri che consenta di selezionare ciò che è importante sapere e che aiuti a distinguerlo dal rumore di fondo; servono ruoli specializzati per discernere i flussi di informazione e mettere ordine nell’infinito panorama della rete. I giornali, in quest’ottica, assumono un ruolo ben definito nella classificazione e selezione delle informazioni rilevanti per la formazione di una sana opinione pubblica, rendendosi garanti di un rigoroso metodo di lavoro nella ricerca dei fatti. Per i giornalisti il cambiamento è fondamentale: il suo ruolo professionale non è più definito dalla posizione - forse un tempo privilegiata - che occupa, ma piuttosto dal servizio che svolge. Attenzione, non è il concetto stesso di giornale a essere messo in discussione, ma la sua organizzazione tradizionale, e la differenza tra passato e presente assume oggi una valenza culturale. Non solo il giornalista non è più distinto in base al mezzo di comunicazione che usa (carta, tv, radio, ecc) e viene riclassificati per il suo scopo sociale, ma avviene che la differenza tra il professionista e il lettore
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non è più il fatto che il primo scrive perché abilitato a farlo e il secondo legge per accedere all’informazione. Il “giornalismo” non è più quella cosa che fanno i giornalisti che scrivono sui giornali, e i giornali non sono più quella cosa che viene fatta dai giornalisti: la tautologia autoreferenziale cade davanti alla crescita del pubblico attivo, che non intende sostituire il giornalismo, ma ha il diritto di sfruttare al meglio gli strumenti che ha oggi a disposizione. Da questa “crisi di personalità” del giornalista deve emergere una nuova definizione di giornalismo in cui una metodologia trasparente di ricerca dei fatti e delle loro possibili interpretazioni sostituisca la vecchia gerarchia ormai obsoleta. È tempo di restauri: la struttura industriale tradizionale è soppiantata dal nuovo paradigma della società della conoscenza.
nuovo, preparato e funzionale - i primi risultati di questa nuova dinamica si possono osservare chiaramente nei blog. Se cambiano i lettori, di certo si modificano anche la natura della notizia e la professionalità del giornalista. Si torna a confrontarsi e si lavora per imparare, per migliorare il servizio informativo e abbandonare il dannoso modello di business che si rivolge ad un pubblico di sciocchi guardoni perditempo interessati solo a notizie irrilevanti. È forse tempo per una nuova scommessa. La gente che naviga in rete non vuole uccidere i giornali, ma vuole giornali migliori, percepiti non soltanto come strumenti per trasmettere notizie, ma che siano luoghi culturali nei quali sviluppare un dibattito informato. L’assassinio del giornalismo può ancora essere sventato.
TRE TASSELLI CHIAVE Gli elementi di rilievo in questo ampio scenario di cambiamenti coinvolgono in modo particolare il supporto, gli editori e i lettori. Il giornale è stato da sempre associato alla carta stampata, con le sue caratteristiche forti di riconoscimento, quali l’odore, la maneggevolezza e la leggibilità, assunti quasi come archetipi mentali universalmente riconosciuti e condivisi. Con lo sviluppo di Internet, però, questa associazione ha cominciato a indebolirsi: il quotidiano si trasforma in oggetto virtuale, privato della sua materialità, e si diffonde in rete. La distinzione tra carta e giornale emerge innegabilmente, portando in evidenza la vera funzionalità della base in cellulosa: la carta è un medium, con una propria dinamica e con precisi costi; il giornale, al contrario, nasce da una redazione, possiede una testata, si nutre del rapporto con il pubblico, interpreta i fatti. Con le dovute modifiche e gli adattamenti del caso, il giornale diventa, dunque, un prodotto da fruire anche online. Gli editori, dal canto loro, non sembrano affatto favorire - e gradire - il trasferimento al digitale. I più tradizionalisti preferiscono difendere le proprie posizioni e attuare una strategia di riduzione dei costi, senza apportare innovazioni rilevanti; una manovra che non fa altro che danneggiare e impoverire l’informazione. Tuttavia, massimizzare le potenzialità dei nuovi strumenti e ottenere risultati che siano funzionali alla crescita del giornalismo non è una lontana chimera. La frontiera del crossmediale, ad esempio, così come la riorganizzazione dei contenuti e la valorizzazione di un rapporto a lungo termine con i lettori, possono rivelarsi punti focali sui quali investire per incrementare la credibilità delle testate e rafforzare il rapporto con gli utenti. Il pubblico, più ancora della tecnologia, è in continua evoluzione: si dimostra attivo e partecipa con crescente coinvolgimento alla divulgazione delle notizie. La relazione da instaurare diventa, allora, di tipo costruttivo, che generi qualità e arricchisca i contenuti: decade il modello giornalista-produttore per il lettore-consumatore. Non si tratta di una ridiscussione dei ruoli, bensì di una potenziale collaborazione, di un’apertura che stimoli la conversazione e la consapevolezza di un utente
LE NUOVE RISORSE Il rapporto tra giornalismo tradizionale e social media alimenta certamente nuove problematiche, soprattutto a livello interpretativo, ma allo stesso tempo altre vanno ricomponendosi. Una decina d’anni fa, c’erano poche alternative ai giornali tradizionali, su carta o in televisione, che costringevano a una minima scelta consapevole, mentre oggi il loro potere è messo in crisi perché diviso e moltiplicato su diversi canali. Meno pubblico e più alternative possono non sembrare le condizioni ideali da cui partire, ma per rinnovare il giornalismo si deve, paradossalmente, aumentare la tanto temuta libertà di stampa. Cogliere l’opportunità offerta da Internet non significa abbattere il potere dei giornali tradizionali, bensì migliorarli su qualunque mezzo. Nella pratica, però, non è tutto così semplice. Un dato importante è l’inquinamento spontaneo delle notizie, provocato dalle frequenti ri-citazioni, dalle modifiche e le riprese di uno stesso contenuto. Per quanto riguarda l’informazione, la rete dimostra che quantità e qualità sono fenomeni collegati: da una parte, aumentando la quantità, aumenta anche la probabilità di trovare informazioni migliori, ma dall’altra c’è il rischio che, diventando eccessiva rispetto alla capacità di selezionarle e controllarle, vi sia un complessivo peggioramento. È evidente, a questo punto, dove nasce la necessità di sviluppare un filtro, un motore di ricerca che permetta di arrivare alle origini di una notizia. Nella complessità del contesto, entra anche in gioco il concetto di reputazione, la capacità di trovare le fonti originali e di riconoscere la qualità dell’informazione: competenze solitamente attribuite a un lavoro di tipo professionale. Serve sperimentazione sui mezzi e i linguaggi più adatti a raggiungere il nuovo pubblico. Nella grande trasformazione in atto, l’impegno dei giornalisti è duplice: oltre a conoscere le nuove piattaforme e imparare ad usarle, svincolandosi dal cartaceo, deve essere in grado di sviluppare il metodo e le competenze necessarie a produrre informazione con qualità crescente e in modo cross-mediale. La scommessa si può ancora vincere, ma solo quando ci si sarà liberati dalla nostalgia per la vecchia gerarchia abbattuta e sarà finalmente chiaro che il giornale non è più la sua carta. 41
CONCLUSIONE
Un’unica scelta
Stare al passo Nessuna soluzione, ma molte possibilità per un mercato che ha ancora tanto da imparare e da sperimentare.
S
i è parlato di giornalismo sotto tanti punti di vista e tanti sono stati gli aspetti analizzati, tanti i problemi da risolvere e le potenzialità da sviluppare. È emerso uno spaccato professionale tutt’altro che stabile e definitivo, ma variegato e in costante evoluzione, in bilico tra chi ha accolto il passaggio al digitale con entusiasmo e chi, invece, confida ancora nella qualità della carta stampata, tra chi è preoccupato per il proprio futuro digitale e chi cavalca alla grande l’onda del web. Nuovi parametri, nuovi strumenti, nuove necessità, nuovi ritmi, nuove risorse, nuove competenze, da un lato costituiscono una sfida e costringono all’adattamento, ma dall’altro sono un’opportunità, un’occasione da cogliere, e le testimonianze dimostrano che spesso questi atteggiamenti contrastanti convivono. Alle porte di un’epoca “digitalizzata” e “digitalizzante”, il mercato editoriale non può fare altro che adattarsi e spingersi verso modalità di divulgazione innovative per soddisfare il lettore di ultima generazione. Quel che è certo è che bisogna accelerare i tempi e cominciare a innovare da subito sia le tecnologie che - soprattutto - la mentalità di chi ha retto così a lungo il potere nell’editoria: in un contesto tanto stimolante e in rapido mutamento è indispensabile giocare d’anticipo. La tecnologia non si ferma e il giornalismo deve stare al passo. Si ringraziano per la collaborazione, il tempo speso e la gentilezza con cui hanno pazientemente risposto alle nostre domande: Beppe Severgnini, Luca De Biase, Michele Mezza, Iacopo Gori, Marco Giovannelli, Leandro Palestini, Angelo Agostini, Alessandro Sala, Sara Bianchi, Rossella Ermacora - prezioso collegamento con la redazione del Corriere della Sera - e, in particolar modo, Francesco Siliato, che ci ha fornito materiale in abbondanza e ha sopportato più volte le nostre irruzioni nel suo studio. Un ringraziamento speciale va ai docenti Mauro Panzeri, PierAntonio Zanini e Marco Moro, che di settimana in settimana ci hanno seguito con costanza nello sviluppo di questo progetto.
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POLITECNICO DI MILANO O Corso di Laurea Magistrale, Communication Design Sezione C1 AA 2010 - 2011 Laboratorio di progettazione di artefatti e sistemi complessi; docenti: Mauro Panzeri, PierAntonio Zanini, Marco Moro Fotografie: Veronica Frisicaro Illustrazioni: Elena Conchetto Infografiche: Stefania Guerra Testi: Michela Lazzaroni Progetto grafico e impaginazione: The Curlies