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Comune di Sant’Angelo in Lizzola
UN RECUPERO STORICO E ARCHITETTONICO
LA VECCHIA FONTE di Sant’Angelo in Lizzola
Ricerche storiche Ing. Silvio Picozzi Restauro Architettonico Fabio Pradarelli Architetto Deborah Sparacca Architetto
Ringraziamenti dell’autore
Si ringrazia, per aver permesso la realizzazione di questo volumetto, il Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro Urbino, Avv. Gianfranco Sabbatini ed il Consiglio di Amministrazione, il Sindaco del Comune di Sant’Angelo in Lizzola, Guido Formica con tutti i suoi collaboratori. Si ringrazia inoltre tutti coloro che hanno collaborato o permesso di rendere pubblici documenti di loro proprietà: Luciano Baffioni Venturi Massimo Bonifazi Giancarlo Cacciaguerra Perticari Grazia Calegari Francesco Cecchini Vittorio Ciarrocchi Giancarlo Crescentini Anderlini Gabriele Falciasecca Enrico Ferdinando Londei Giuseppina Nicolini Carlo Nicolini Cristina Ortolani Gabriele Stroppa Riccardo Paolo Uguccioni Giovanni Zaccarelli
A pagina 1 la riproduzione di un disegno acquarellato di Romolo Liverani della Fonte di Sant’Angelo in Lizzola nel 1850. Album VII, Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolte Piancastelli.
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Presentazione …All’inizio fu Napoleone, o meglio il cavallo di Napoleone.
È così che può nascere, ed è poi nata, la passione istituzionale di riportare alla luce o meglio agli antichi splendori, per quanto è nelle nostre possibilità, la “fonte dei poeti” di Sant’Angelo in Lizzola, quella che fece provare struggente nostalgia al nostro Terenzio Mamiani. Avevo letto (o sentito dire?) di una leggenda non certo metropolitana la quale narra che anche Napoleone fosse passato nelle nostre “lande”, e che il suo cavallo si fosse abbeverato alla nostra antica fonte (se non lui sicuramente gli altri cavalli dell’esercito napoleonico si sono dissetati alla nostra fonte). Il recupero e la fruibilità della Fonte sono avvenuti attraverso l’impegno e la perseveranza dell’Amministrazione Comunale che nella precedente legislatura ha ricercato ed impegnato le risorse necessarie al raggiungimento di tale obiettivo, impegno che sono certo pur tra le aumentate difficoltà finanziarie degli Enti Locali potrà assicurare il recupero completo dell’area attorno alla fonte. L’Ing. Silvio Picozzi che ci ha onorato della sua preziosa collaborazione per scrivere la storia della fonte inquadra bene in questa pubblicazione il senso morale del recupero di una fonte d’acqua (e di poesia) contestualizzando il manufatto, la sua importanza nell’epoca passata per la comunità di allora. La lettura di questa pubblicazione ma in fondo di tutta l’operazione di recupero ha diversi livelli di significato. Il primo è il valore della memoria, il costante lavoro di ricostruzione delle tracce del nostro passato, la ricerca dei legami indissolubili con i posti e i segni del nostro territorio, strada indispensabile per la programmazione del nostro futuro, e quindi anche la nostra fonte è un luogo della memoria. Il secondo è il riferimento alla fonte intesa come sorgente d’acqua e di come questo elemento sia strettamente collegato alla vita quotidiana delle donne e degli uomini più umili, nell’economia del tempo delle persone che ci hanno preceduto. Dove c’era un paese c’era una fonte, un lavatoio, una sorgente, c’era l’acqua insomma. Non è male fare questo collegamento, oggi solo ideale, in un periodo dove basta aprire il rubinetto e l’acqua arriva. Rendiamoci conto del bene prezioso di cui parliamo e di cui molti nel mondo possono ancora solo immaginare. Il terzo riferimento è culturale perché la fonte è stata in passato per un certo periodo anche un piccolo ma importante salotto estivo dell’intellighenzia pesarese e non è sicuramente cosa da trascurare. Nelle ultime estati grazie
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alla preziosa collaborazione di Matteo Giardini abbiamo ripristinato (con la fonte non ancora ristrutturata) l’antico splendore poetico di Sant’Angelo in Lizzola. Il recupero ci rimanda al nostro presente e (speriamo) al nostro futuro nel senso di recupero della fonte anche e soprattutto in funzione di “luogo” culturale. Ma qui si apre un’altra storia ed un altro impegno. Concludo con i ringraziamenti che ritengo in questo caso particolare doverosissimi. Innanzitutto Silvio Picozzi che da “buon storico delle fonti d’acqua” ha realizzato anche per noi questa importante e bellissima pubblicazione. Poi Fabio Pradarelli che ha riportato progettualmente agli antichi splendori la fonte. Matteo Giardini senza il quale non sarebbe scaturita in noi la scintilla giusta per far esplodere questa volontà di recupero sia architettonico che artistico. Massimo Vannucci per il sostegno che ci ha fornito nell’operazione di “salvataggio” della fonte. Mauro Tiviroli e Gabriele Berardi di Marche Multiservizi per la sentita collaborazione. Lorenzo Ponselè della ditta Acema per il prezioso sostegno. Infine al santangiolese d’adozione Gianfranco Sabbatini e alla Fondazione Cassa di Risparmio da lui presieduta che in questa impresa ci ha spronati e non ci ha mai lasciati soli. Guido Formica Sindaco di Sant’Angelo in Lizzola
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Nota dell’autore
Il restauro della Vecchia Fonte nasce dal legame con la nostra terra, dal desiderio di creare un luogo dove far rivivere i valori del passato e le suggestioni di antiche tradizioni. Dalla lettura di un recente studio, che analizzava i problemi della società dei nostri giorni, ho ritenuto interessante ricavare una considerazione: “gli uomini del XXI secolo sono portati a dimenticare con estrema rapidità il passato e non dedicano il necessario tempo per lo studio di una corretta programmazione del loro futuro”. Se si riflette su questa affermazione ci si accorge di quanto sia vera e quanto possono essere negative le conseguenze di questo stato di cose che dobbiamo tentare di modificare ricercando nuove soluzioni. Tutti noi, da chi ricopre importanti incarichi, che richiedono capacità decisionali e assunzione di responsabilità, fino al semplice cittadino, subiamo infatti gli effetti d’una impressionante accelerazione che i nuovi metodi di vita hanno apportato, modificando completamente i “tempi ed i ritmi” della nostra vita. Le nuove tecnologie, con gli immensi vantaggi che forniscono alla nostra civiltà, ci portano infatti ad essere partecipi “in diretta”, tramite la televisione o internet, di avvenimenti che si svolgono in luoghi magari lontanissimi ma che noi “viviamo” e somatizziamo come se avvenissero nella nostra città o addirittura nella stessa via dove abitiamo. Ed allora si innesta nella nostra mente un meccanismo che cerca uno spazio, per incasellarvi una nuova notizia, e spesso cancella una serie di altre memorie. Il numero di informazioni che ci pervengono, momento dopo momento, è tale da coinvolgerci totalmente e non ci lascia tempo e spazio per riflettere e per trovare una corretta programmazione per soluzioni ai problemi che ci attendono. Modificare questa situazione non significa rifiutare tutti questi nuovi apporti, queste notizie che arricchiscono il nostro intelletto, per non chiuderci in un negativo isolamento, ma vuol dire ricercare giusti spazi e tempi corretti da riservare ad un più attento riesame di avvenimenti passati, sicuramente ricchi di profondo significato. Rileggere con spirito critico avvenimenti della nostra storia, anche locale,
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significa molto spesso ritrovare importanti legami ed attingere a contributi conoscitivi di esperienze già vissute per arricchirci di positivi apporti, ampliando le nostre conoscenze, per trovare la giusta via nel nostro futuro. Un invito quindi allo studio del nostro passato, ad una attenta ricerca ed ad una serena riflessione su avvenimenti e costumi per giungere alla formazione di una personale “cultura”. Se questa cultura avesse una più vasta diffusione forse non saremmo sistematicamente offesi da certi grossolani errori che vengono commessi in molti importanti settori o da scelte e realizzazioni contrarie ad ogni regola del buon senso. Questa pubblicazione non vuole certo risolvere questo stato di cose ma vuole essere un modesto e piccolissimo contributo per ricordare, a chi ci legge, alcuni momenti di un mondo passato nel quale però affondano le nostre radici. Sfogliando queste pagine troverete per esempio due fotografie di una donna delle nostre campagne ritratta nel 1927 con un abito estremamente semplice, anzi povero, dal volto segnato dalla fatica e a piedi nudi. Questa donna doveva sopportare la fatica di recarsi alla fonte più volte al giorno, ogni giorno, e di portare sul capo fino alla sua casa, un pesante orcio pieno d’acqua. Basterebbero queste due fotografie così forti, e che dovrebbero forse essere esposte nelle scuole, o nella piazza dei paesi, per far capire ai nostri giovani da dove veniamo e far nascere una riflessione sul nostro futuro. Oggi viviamo una profonda crisi che forse è dovuta ad un cambiamento epocale come l’ha vissuta quella gente delle nostre campagne che per secoli, anzi migliaia di anni, ha compiuto lavori estremamente faticosi con gli stessi gesti, quasi dei riti, e con gli stessi attrezzi, fino ad un periodo a noi ancora vicino che possiamo indicare negli anni quaranta dello scorso secolo. Poi La Vecchia Fonte prima del restauro nel 2005.
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La Vecchia Fonte dopo il restauro.
tutto è cambiato con una rapidità impressionante ed abbiamo assistito ad un succedersi di avvenimenti che hanno cancellato quel tipo di civiltà contadina. E nella nostra mente, se ci fermiamo a riflettere, scopriamo che questi ricordi sono stati annullati anche se non così lontani in termini di tempo. Quindi anche una semplice rievocazione del mondo passato, legato alla nostra “vecchia fonte” può servire, anche se granello di sabbia in un deserto, a riportare il nostro pensiero a quel mondo ricco di miserie ma anche di grandi positività, da cui sappiamo di provenire. Un mondo lontano che non vogliamo assolutamente rifiutare ma da cui vogliamo trarre insegnamenti studiando le gesta dei personaggi dell’epoca che hanno contribuito, in proporzione alle loro capacità e alla loro posizione nella vita sociale, alla costruzione della nostra storia e della nostra civiltà. È un filo sottile quello che a loro ancora ci lega e se lo esaminiamo con attenzione scopriamo che molte delle nostre idee e dei nostri comportamenti sociali e politici attuali hanno, nel bene e nel male, profonde radici negli avvenimenti di quegli anni.
Pesaro, agosto 2010
Silvio Picozzi
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LA FONTE
La fonte di Sant’Angelo, oggetto di questa pubblicazione, è stata quasi dimenticata per alcuni decenni, se non abbandonata, sia perché esclusa dai percorsi abituali dei cittadini di Sant’Angelo, o dei turisti, sia per aver perso la sua importanza nella vita quotidiana degli abitanti della zona quale dispensatrice di un bene essenziale come l’acqua. Oggi per bere l’acqua non è più necessario recarsi alla fonte ma basta aprire il rubinetto di casa o acquistarla imbottigliata nel più vicino centro commerciale. Ma se col pensiero si ritorna indietro nel tempo, bastano solo 60 anni, si scopre una realtà completamente differente perché la fonte allora forniva l’acqua sia per gli uomini ma anche per gli animali, che venivano portati ad abbeverarsi nella vasca antistante la fonte. La struttura, come oggi la vediamo, rappresentava quindi un fattore essenziale per la sopravvivenza per gli abitanti di Sant’Angelo e del contado. Ricordo che la prima volta che vidi la Fonte di Sant’Angelo fu alcuni anni fa, in compagnia di un amico santangiolese, che, conoscendo i miei interessi per “le cose vecchie” stabilì proprio la Fonte come meta di una camminata. Imboccammo la via della Fonte ed io ne ricevetti una sensazione particolare cioè quella di un percorso, un tratturo, già calpestato da tanti uomini prima di noi, sensazione che spesso si avverte quando si percorrono le strade antiche del nostro paese all’ombra dei filari degli alberi cresciuti lungo il ciglio del sentiero. Per tanti secoli gli abitanti del luogo hanno camminato lungo la via della
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Allegoria della Fonte. Particolare del sipario del Teatro Rossini 1
- Part. Foto Amati-Bacciardi Archivio del Teatro Rossini.
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Vecchia Fonte per recarsi ad attingere l’acqua e riempire i loro orci, le donne sono giunte fino al lavatoio con le ceste sul capo ricolme di panni da lavare, i pastori hanno portato ad abbeverare le loro greggi, i viandanti, i pellegrini, i commercianti e per finire i soldati e le soldataglie di tanti, troppi, eserciti si sono fermati a dissetarsi e a trovare refrigerio con le fresche e salutari acque della fonte. A mano a mano che ci si avvicinava alla Fonte si poteva però rilevare lo stato di abbandono e i danni arrecati dall’uomo e dalle ingiurie del tempo ma in ogni caso si rimaneva colpiti dal forte fascino che riusciva ancora a trasmette. La nostra Fonte è infatti uno di quei luoghi particolari che hanno la capacità di far scoprire al visitatore valori veri, quali la nostra storia e le nostre radici. Ritengo quindi estremamente positivo il fatto che si sia deciso di restaurare questo antico manufatto ed il completamento dei lavori deve essere da tutti accolto con estrema soddisfazione. Il risultato non sarà solo quello di fermare l’opera devastatrice del tempo ma soprattutto quello di ridare un aspetto dignitoso a questo settecentesco monumento rurale e di riconvertirne il suo utilizzo ai fini di un turismo di cultura. Inoltre la ristrutturazione di questa fonte risponde alla nuova sensibilità dei cittadini di Sant’Angelo e all’interesse che oggi molti abitanti delle nostre terre dimostrano per tutto ciò che si riferisce al recupero di testimonianze legate alla vita e alla storia della loro città e del territorio circostante. Ora che è stato completato il restauro, ci si augura che questa meta venga La Vecchia Fonte nel 2009.
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inserita nei programmi delle organizzazioni turistiche o, più semplicemente nelle passeggiate famigliari, per “scoprirla” e sostare nel suo verde anfiteatro per meglio ammirarla ed ascoltare il suono della sua acqua. Sono certo che molti dei visitatori riusciranno a percepire il fascino dell’elegante struttura, e apprezzeranno il suo inserimento lungo le tranquille strade della nostra campagna. La Fonte diventarà non solo luogo di riposo ma anche “teatro verde” dove poter rappresentare spettacoli d’arte che dovranno degnamente ricordare i grandi momenti culturali che Sant’Angelo in Lizzola ha vissuto nell’800, anni in cui fu eletta quale luogo preferito da un folto gruppo di letterati, poeti e studiosi di grande fama. La ristrutturazione della Vecchia Fonte risponde ad un preciso messaggio che abbiamo dentro di noi e che ci ricorda che ogni persona cha “ha cultura del suo territorio” deve sapere che è un suo impegno fare in modo che tutto quanto ha ricevuto dal passato sia conservato nelle migliori condizioni per poterlo trasmettere alle future generazioni. Ed in molti casi dovrebbe essere, più che un impegno, un dovere.
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UNA SORGENTE
L’acqua è sempre stata un elemento prezioso e indispensabile per la sopravvivenza dell’uomo e molto spesso ha fortemente condizionato la scelta dei luoghi dove creare i primi insediamenti. L’uomo ha sempre saputo che la disponibilità di buone sorgenti d’acqua era un fattore essenziale per la sua vita, non solo per la necessità di dissetarsi ma anche per abbeverare le greggi e soprattutto ottenere dalle coltivazioni dei campi i prodotti per il suo sostentamento. Per comprendere quale sia stata l’importanza delle fonti d’acqua per la vita dell’uomo basti pensare che molto spesso l’uomo trasformava i sentieri, dove sapeva di trovare della buona acqua, in vere e proprie strade di comunicazione per commercializzare con i villaggi vicini. L’uomo, fino dalle epoche più remote aveva compreso quale era l’importanza dell’acqua, tanto da farne spesso oggetto di culto e di venerazione. Da sempre infatti l’acqua fu considerata cosa sacra e i nostri progenitori romani, usarono il termine latino “fons” sia per indicare la sorgente d’acqua sia per indicare la divinità protettrice delle sorgenti, una figlia di Giano, la più antica divinità italica, a cui era attribuito, tra tanti altri poteri, anche quello di far scaturire dal terreno sorgenti o polle d’acqua Anche per noi cristiani l’acqua riveste una grande importanza rappresentando la “fonte di vita” ed è l’elemento essenziale del battesimo, il primo sacramento della vita. Nel Duecento, San Francesco, ricambiando con amore fraterno quanto l’acqua dava all’umanità, così pregava “Laudato si’, mi Signore, per sor’Acqua la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.”. Passando dalla poesia ad un aspetto pratico non va dimenticato che, in tempi lontani, l’acqua se era abbondante poteva, molto spesso, non essere poi così buona come facilmente si è portati a pensare. Era infatti frequente che le fonti diventassero improvvisamente inquinate perché bastava la contaminazione di un animale, caduto accidentalmente nella fonte, per trasformare l’acqua in un veicolo di infezioni estremamente dannose alla salute dell’uomo. Per questa ragione, si trovano spesso, custoditi nei nostri archivi storici, numerosi editti e bandi che raccomandavano di non contravvenire alle più elementari regole per non inquinare le acque delle fonti ed erano previste pene molto severe per i trasgressori. Anche il prezioso apporto che l’acqua può oggi fornire per l’irrigazione dei
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campi non è sempre stato così facile da realizzare almeno fino a quando la tecnica non ha fornito i mezzi di sollevamento dell’acqua. Prima l’uomo poteva irrigare i campi, e far crescere le sue colture, usando l’acqua solo per caduta e quindi con un rendimento molto basso. Oggi si parla spesso dell’acqua come risorsa limitata per un mondo industrializzato che “consuma” quantità impressionanti di acqua. E proprio il nostro mondo dovrà imparare a considerarla sempre più spesso come una merce rara e proteggerla e difenderla come “elemento di cultura”.
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LA FONTE IN EPOCHE REMOTE
2 - Nel 1812, quando le Marche erano sotto il dominio napoleonico, fu dato l’incarico a dei professori di disegno di fare una ricerca sui costumi e sulle abitudini degli abitanti della regione e per documentare le varie attività vennero realizzati dei “figurini”. Dal libro “Contadini marchigiani del primo ottocento, una inchiesta del Regno Italico” a cura di Sergio Anselmi - Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi - 1995.
Quando un visitatore giunge alla Vecchia Fonte di Sant’Angelo si pone istintivamente una domanda, da quanto tempo sgorga quest’acqua? Non vi è purtroppo una documentazione in merito ma possiamo facilmente affermare che l’area in questione sia “da sempre” un punto di raccolta di acque sorgive. Fin dall’antichità quindi la nostra Fonte ha dissetato gli abitanti di tutte le terre della zona, ancor prima della costruzione del castello di Sant’Angelo. I contadini delle nostre colline sono vissuti per secoli grazie alla raccolta dei prodotti dei campi, alla cacciagione Contadino marchigiano dell’800 2 ed agli allevamenti di animali che conducevano, percorrendo la via della fonte, fino all’abbeveratoio dove trovavano l’acqua ristoratrice dopo le terribili fatiche dei campi. Una osservazione: leggendo i verbali del Consiglio Comunale di Sant’Angelo in Lizzola del XVII, XVIII e XIX si nota che la parola “Acqua” e la parola “Fonte” venivano scritte sempre con la lettera maiuscola e ne ho tratto la convinzione che vi sia in questo fatto il senso dell’importanza che l’acqua e la fonte avevano, nella mente di chi ci ha preceduto, quali beni essenziali per la comunità di Sant’Angelo. E alla nostra Fonte gli abitanti del Castello o della campagna, non andavano solo per riempire l’orcio con la fresca acqua o per far abbeverare il gregge di pecore, ma anche perché era uno dei pochi luoghi del paese dove potevano incontrare altre persone e socializzare con loro. Pensate quanto erano limitate le occasioni che avevano gli abitanti della campagna di quei tempi per parlare con i loro “vicini”, per ricevere notizie e per aprire la propria mente a qualche semplice novità che li staccasse dalle preoccupazioni materiali quotidiane per procurarsi del cibo o per svolgere i lavori di casa o nei campi. Anche per i componenti delle famiglie, i cui terreni confinavano, non erano sempre facili i contatti e non si trovava quasi mai il
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tempo e l’occasione per degli incontri. La Fonte e il vicino lavatoio diventavano così degli importanti punti di aggregazione specialmente per le donne perché per gli uomini vi era anche l’osteria di Sant’Angelo. Ma alla Fonte, in primavera o nei mesi estivi al calar del sole, spesso nascevano occasioni per favorire nuove conoscenze e qualche volta anche nuovi amori. E alla fonte sostavano anche i viandanti provenienti dai villaggi vicini che giungevano a Sant’Angelo oppure i pellegrini o i mercanti che trasportavano di paese in paese i prodotti della terra o i primi manufatti. Gli uomini si dissetavano con l’acqua pura e fresca della Fonte e facevano abbeverare i loro cavalli impiegati per alleviare le fatiche del percorso agli uomini o per il trasporto delle merci. Ma non dimentichiamo tutte le soldatesche e i predatori, un numero veramente considerevole, che per secoli hanno trasformato i nostri campi e le nostre città in zone di conquista e di scorribanda. La Fonte come sorgente d’acqua è quindi sempre esistita ma per noi era interessante conoscere se e quando la nostra fonte fosse “entrata nella storia” e dopo alcune ricerche siamo riusciti a rintracciare quello che, per il momento, è il primo documento certo che ci fornisce l’assicurazione non solo dell’esistenza ma soprattutto dell’importanza della nostra Fonte. Il documento consultato è un importante trattato della storia del territorio pesarese e rappresenta la pietra miliare di tutta la nostra storia locale. Si tratta del Chronicon Pisauri scritto dal 1504 al 1508 dal giurista Tommaso Diplovatazio da Corfù. L’opera del Diplovatazio è stata, nei secoli successivi, la base di ricerca e fonte di preziose informazioni per tutti gli studiosi di storia pesarese sia perché ne è stata verificata, dove possibile, la correttezza dei dati riportati sia perché il Diplovatazio ebbe sicuramente la possibilità di consultare e studiare antichissimi manoscritti, ricchi di preziose informazioni sulle origini dei nostri castelli, manoscritti che sono andati poi persi nei secoli successivi. Il Diplovatazio, nella sua opera citata, descrive con queste parole tratte da un atto notarile, la nascita di Sant’Angelo: «Hoc anno 1280: et die 17: Mensis Martij Ind:e 8:a temp. Dñi Nicholai pp. 3:i Superbus Castellani Sindicus hominum, e[t u]niversitatis Castri Montis S: Angeli comitatus [P]ensauri vice, et nomine d. Universitatis emit a Guidone
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Pesarelli Sindico Cois Peñs, et pro ipso Commune Castellare, et terrena domus, et ædificia quæ, et quas sunt in d. Castro, e primo lat. ejus via versus fontem S: Angeli a 2: heredes Blasij, a 3: via, a 4: Coradutius Guidotti cum Frateibus pro pretio, et nomine pretij 500: librar. Raven. et Ancon. quod pretium d. Guido confessus fuit habuisse, et recepisse de quo rogatus fuit Ser Dentaides Bartholi Not. Pub: Pisaurensis.» 3 Pertanto nell’anno 1280 il Castello di Sant’Angelo diventa Comune e “sul primo suo lato confina con la via che porta alla Fonte”! Questo chiaro riferimento alla nostra Fonte, in un documento storico di così rilevante importanza, è una dimostrazione di come fosse significativa, per gli abitanti di quell’epoca, l’esistenza della fonte e quindi di quanto fosse radicata nella conoscenza comune l’importanza della sua strada. E che questa strada sia stata ritenuta per secoli importante lo si può anche dedurre da un’opera pittorica, molto più vicina a noi. Quest’opera è stata realizzata ben quattrocento anni dopo la notizia riportata nel trattato del Diplovatazio, e possiamo considerarla come la prima “immagine” del Castello di Sant’Angelo e il suo borgo.
- Testo tratto dal Vol. II “Manoscritto Mamiani” - Archivio Stroppa Nobili. 3
Si tratta di una tempera di Francesco Mingucci da Pesaro, realizzata nel 1626. Questo grande artista quando iniziò in quegli anni a creare le sue bellissime opere che rappresentano i borghi, i castelli e le campagne del Ducato di Urbino, non poteva certo immaginare che sarebbero state riprodotte persino
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negli anni 2000, in quasi tutti i libri che hanno come argomento la storia de i nostri territori. Ma le sue riproduzioni non solo sono bellissime e suggestive, ma sono anche estremamente precise nei dettagli e ci forniscono, con la raffigurazione di certi particolari, molti elementi di estremo interesse per giungere alla conoscenza di momenti della vita degli abitanti delle nostre campagne. Il Mingucci viene spesso definito giustamente come il miglior fotografo a disposizione in quei tempi. Se esaminiamo le sue opere notiamo che nella maggior parte delle sue tempere i borghi o i castelli vengono “ripresi” mettendo in primo piano la strada principale di accesso all’abitato. Nel nostro caso è interessante osservare l’attenta rappresentazione del Castello di “Sant’Agnolo” ed in modo particolare come l’artista abbia posto, sulla sinistra, la strada della Fonte come la strada principale che conduce all’ingresso del Castello. La precisa raffigurazione del Mingucci, di un mondo a noi così lontano, offre spesso l’occasione di sorprenderci. Anche nella tempera di “Sant’Agnolo” è interessante notare la forte somiglianza del profilo dell’abitato da lui riprodotto con quello dei giorni nostri.
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SANT’ANGELO IN LIZZOLA
La vecchia Fonte, come ci ha riferito anche lo storico Tommaso Diplovatazio, è situata lungo la strada che nasce ai piedi delle mura del castello di Sant’Angelo e si collega alla strada per Ginestreto. Possiamo quindi considerare la strada e la fonte come componenti del castello e riteniamo quindi giusto riportare alcune informazioni storiche in merito alla nascita di Sant’Angelo. Le notizie di nostro interesse sono state raccolte, analizzate ed a noi tramandate da un altro grande studioso di Pesaro, forse il più grande, Annibale degli Abbati Olivieri (1708 –1789). Dai suoi scritti veniamo a sapere che nel 1047 il papa Clemente II, gravemente malato si fermò presso l’abbazia di San Tommaso in Foglia, ed in punto di morte fa donazione a quei monaci di vaste terre tra cui “Liciola” e “Mons Calvellus”. Pochi anni dopo, nel 1060, Liciola diventa Castrum Liciola e in un altro documento, circa due secoli dopo, viene confermata l’esistenza di “Castri Lizola” e di due borghi, uno
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vicino al castello con la chiesa “S. Angeli” e l’altro poco lontano nella zona di Basco “S. Andree”. Intorno al 1270-1280, i Signori di Lizzola si ribellarono ai Malatesta di Pesaro ma furono sconfitti. Secondo quanto stabilito dagli “Statuta Pisauri” il castello traditore, con tutto il suo borgo, avrebbe dovuto essere abbattuto, ma facendo prevalere Mappa di Sant’Angelo (1825 circa) Archivio di Stato di Pesaro - Catasto Pontificio, cartella H5.
il tradizionale senso della praticità degli abitanti delle nostre terre, fu deciso di confiscarlo e rivenderlo ai parrocchiani delle chiese di Sant’Angelo e Sant’Andrea che abitavano in zone franose e in case pericolanti. Il testo che abbiamo nelle pagine precedenti riportato in latino rappresenta l’atto di vendita del castello e dice precisamente: “1280 - in quest’anno, il giorno 17 marzo, anno VIII di Papa Nicola III, il Sindaco di tutti gli abitanti del Castello e di tutto il circondario del castello di Monte Sant’Angelo che è parte del Comitato di Pesaro, in rappresentanza e a nome di detta Comunità, acquista da Giudone Pesarelli, Sindaco di
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Pesaro, terreni, case e d edifici pubblici e tutto ciò che ritrova entro il Castello che confina con il primo lato con la strada che porta alla Vecchia Fonte, con il secondo con i terreni degli eredi Blasi, con il terzo lato con la via principale e con il quarto lato con i terreni di proprietà Guidotti e fratelli, per il prezzo di 500 libre in denari di Ravenna e Ancona che Guido conosceva e che ebbe e accettò, e di tutto Sant’Angelo oggi con Google questo fui incaricato, io pubblico notaio in Pesaro, D. Batoli”. Si può quindi affermare che questo atto notarile rappresenti l’atto di nascita della comunità di Sant’Angelo in Lizzola.
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LA FONTE NEL XVIII SECOLO
Negli archivi non sembra esservi alcuna documentazione, forse andata smarrita nel tempo, della progettazione e della realizzazione della fonte e quindi ci si deve basare, per cercare di risalire alle origini di questo pregevole manufatto, ad una attenta “lettura” del bel disegno di Romolo Liverani. Anche se l’artista ce la propone come era nel 1850, probabilmente più di un secolo dopo la presunta data della sua costruzione, possiamo ricavare da quel disegno interessanti notizie. La struttura dell’edificio della Fonte era alquanto diversa da quella attuale ed aveva una bella cimasa curvilinea a corona del manufatto. Inoltre si nota una vasca centrale quadrata, mentre ai giorni nostri ci è pervenuta una vasca a forma tonda, che per svolgere l’importante funzione di abbeveratoio, era posta allo stesso livello della strada. Questo permetteva un facile e logico utilizzo al pastore per il gregge di pecore o al contadino per i buoi ed al mercante per il cavallo carico di frutti da vendere al mercato. Per giungere a stabilire quando e da chi venne costruita la Fonte come rappresentata dal disegno del 1850, si può affermare che con molte probabilità, nella seconda metà del settecento, certamente un bravo architetto deve avere ricevuto l’incarico, da una facoltosa e colta famiglia di sant’Angelo, di progettare e disegnare le belle linee della nostra fonte. Il nostro manufatto non può essere infatti considerato come opera di muratori locali o di un fontaniere, un “tecnico” esperto che a quei tempi veniva chiamato per la realizzazione di fonti o lavatoi o impianti di irrigazione. I fontanieri erano sicuramente dei lavoratori molto bravi ma non possedevano una preparazione tale da assicurare una capacità di realizzare per una opera con linee architettoniche così piacevoli e con un sistema idrico di una certa complessità. La “famiglia facoltosa e colta” di Sant’Angelo che potrebbe aver favorito la realizzazione della Fonte deve essere ricercate fra queste tre: i Mamiani, i Perticari o i Monti. E come già si è detto, guardando ancora oggi la Fonte si rimane colpiti dal suo stile, dall’armonia delle sue linee, e dal corretto inserimento nel contesto del paesaggio che la circonda, oltre che dalle soluzioni idrauliche. Sono tutti elementi che denotano come questa opera sia frutto di un pensiero, di una
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Particolare del disegno di Romolo Liverani come vide la nostra Fonte nel 1850.
Fondale di un suggestivo giardino di una villa marchigiana del XVIII secolo.4
- Nella foto è riprodotta una struttura che ricorda nelle sue linee architettoniche e nel profilo della sua esedra la nostra fonte. È il fondale di un suggestivo giardino di una villa marchigiana del XVIII secolo.
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capacità e di una esperienza, qualità e caratteristiche che solo un esperto architetto poteva possedere. La ricerca del nome dell’architetto artefice dell’opera, è decisamnete complessa perché è infatti sorprendente constatare quanti famosi architetti di grande ingegno operassero nel pesarese nella seconda metà del secolo XVIII. La maggior parte di loro non si limitava alla nostra regione ma realizzavano opere in molte città d’Italia e soprattutto a Roma. Seguivano le nozioni e lo stile che allora si rifacevano al pensiero neoclassico che proponeva un recupero di modelli architettonici delle antichità classiche fatti di compostezza e armonia. Sicuramente la famiglia “facoltosa e colta” teneva molto alla fonte e voleva anche dare agli abitanti di Sant’Angelo una opera degna delle belle mura del castello e l’impegno di un valido architetto e la realizzazione della costruzione devono aver richiesto un considerevole impegno economico. Possiamo pertanto fare solo delle ipotesi ma la qualità dell’opera ci permette di poter prendere in considerazione architetti famosi come il Valadier (1762 -1839), che sembra abbia lavorato per la famiglia Monti oppure come il Vanvitelli (1700-1773), che, ormai già affermato, operava anche a Pesaro nella ristrutturazione della Chiesa della Purificazione lungo il Corso e del non lontano monastero benedettino di Santa Maria Maddalena. Importante per Pesaro fu anche l’opera di un allievo del Vanvitelli, l’architetto Francesco Maria Ciaraffoni. Ma l’architetto più famoso, grande studioso e archeologo, fu Giannandrea Lazzarini (1710-1801) che tante opere di grande importanza realizzò nella nostra città. Mi piace ricordare una sua opera minore, ma legata all’argomento della nostra ricerca, che fu la realizzazione della Fonte di Sajano. Un suo allievo, l’architetto Tommaso Bicciaglia (1720-1804), che progettò il palazzo dei conti Perticari a Pesaro e il palazzo Giovannelli in via Diaz. Inoltre visse in quegli anni anche un’architetto nato ad Arcevia, Andrea Vici (17431817), che fu celebre per una numerosa serie di opere realizzate, molte relative ad acquedotti e impianti idrici, ma anche palazzi e monumenti, tanto da ricevere l’incarico e la nomina di “primo architetto della “Fabbrica di San Pietro”. Tutte queste notizie le possiamo considerare utili per comprendere e descrivere l’atmosfera culturale di quei tempi nella nostra provincia, e se nessuno degli architetti sopra citati fu interpellato per la progettazione della fonte, sicuramente chi operò in tal senso ha “vissuto” quell’epoca tanto che possiamo affermare che le linee della nostra fonte denotano sicuramente una impronta vanvitelliana.
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LA FAMIGLIA MAMIANI
Il giorno 4 del mese di aprile dell’anno 1584, il Duca di Urbino, Francesco Maria II della Rovere, così annotava nel suo diario: “a 4 d’aprile feci conte di Sant’Agnolo, castello del territorio di Pesaro, Giulio Cesare Mammiano”.5 Il nuovo Conte ebbe l’importante concessione di aggiungere al suo cognome quello dei Della Rovere ed al blasone della sua famiglia la quercia roveresca.6 Ebbe così inizio nel 1584 il feudo di Sant’Angelo che la famiglia Mamiani seppe conservare per più di due secoli, superando tutti i numerosi cambiamenti che nel frattempo subiva il resto del mondo, fino al 1816 quando lo Stato pontificio abolì il feudalesimo. I Mamiani rimasero sempre “i padroni” del castello, e di gran parte delle terre circostanti, e governarono con totale autorità la vita degli abitanti. Interessante la lettura dei verbali, custoditi nell’Archivio del Comune, delle riunioni del Consiglio Comunale che si sono tenute negli anni del lungo periodo durante il quale i Mamiani furono Signori di Sant’Angelo. Iniziavano tutti con l’invocazione al Divino aiuto e, quasi tutti, riportavano come prima proposta quella del “Conte Padrone” che logicamente veniva sempre votata con maggioranza assoluta. Solo una volta, almeno sulla base delle nostre ricerche, venne respinta una
- Luciano Tomassini - “Sant’Angelo in Lizzola /la storia, i personaggi” Ed. Majorana -1996.
proposta, quella che riguardava la proibizione del gioco del pallone e della palla col tamburello sotto le mura del Castello. Tasse e gabelle potevano essere, anche se a malincuore, accettate ma non la proibizione del gioco del pallone e del tamburello!
6 - Hondedei A. - “Stemmi gentilizi di famiglie nobili pesaresi” (1732) - Ms N. 1184 - Biblioteca Oliveriana di Pesaro.
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Nell’Archivio del Comune abbiamo inoltre rintracciato un interessante documento. Si tratta di un editto del 1673 scritto dal Vicario di S. Angelo, “per ordine espresso avuto dall’Illustrissimo Sig. Conte Girolamo Mamiani Conte Padrone di Sant’Angelo” ordina a “tutti sia Terriero che Forestiero” senza distinzione di grado sociale che “non abbia ardire di levare o far levare, dalla Fonte di S. Angelo, ... acqua con bacili o some per conservare ivi il bene pubblico, acciocché tutti indifferentemente se ne possono della stessa servire con gli orci” Evidentemente vi erano persone che facevano incetta d’acqua per poi commercializzarla! Un bando che oggi interpretiamo a favore del “Conte Padrone” che sembra abbia avuto a cuore, almeno in questo particolare caso, la sorte dei suoi cittadini. Un documento che dimostra un suo interessamento affinché vi fossero precise disposizioni per fare in modo che l’acqua della fonte rimanesse “pubblica” e non divenisse “privata”. Problematiche antiche ma che hanno forti riscontri con la nostra attualità. Nel secolo successivo rileviamo, da un verbale del Consiglio Comunale tenutosi precisamente nel novembre del 1725, delle informazioni che forse ci forniscono validi motivi per poter attribuire alla Famiglia Mamiani la volontà di dare una degna struttura alla Fonte anche se con la solita richiesta del contributo economico dei cittadini: Avendo l’Illustrisimo Sig. Conte Padrone, nel mentre che stava adunato il Consiglio, fatto chiamare il Podestà e comandandoli (di non spendere i soldi destinati all’orologio ma che fossero spesi) siasi ad accrescere (l’afflusso dell’acqua) nei condotti della cisterna ad effetto sempre questa sia per beneficio del bene pubblico, abbondasse d’Acqua come anche si pensi al modo di accomodare bene la Fonte così tirare dentro una vena d’Acqua che sorge fuori ad effetto anche che questa siasi sempre piena parimente al Pubblico beneficio e riparata dall’andare le bestie per avere sempre acqua … Forse queste parole documentano la decisione presa dal Conte Padrone di dare un degno aspetto alla Fonte oltre che arricchirne la portata “tirando dentro” una vena che evidentemente andava dispersa. L’impegno personale del Conte Mamiani, che convoca il Podestà, fa pensare ad un intervento importante per la ristrutturazione della Fonte ed inoltre
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il periodo (1725) corrisponderebbe con lo stile della Fonte, disegnata successivamente dal Liverani. Ma il documento più conosciuto e più significativo che accomuna la famiglia Mamiani alla nostra Fonte è una lettera, quella che il più famoso dei Mamiani, Terenzio Mamiani, ormai assente da Sant’Angelo da dieci lunghi anni di esilio in Francia, invia al fratello Giuseppe, il 23 dicembre 1841. È una lunga lettera in cui esprime tutta la sua malinconia e la nostalgia per il suo paese: “Vi farò ridere forse a dirvi che uno dei desideri che ho riposto nell’animo è di rivedere, indovinate?... Sant’Angelo e gli alti pioppi che fronteggiano nella discesa che va alla fonte. Così è fatto l’Uomo.” 7 Estremamente significativo questo nostalgico ricordo di un grande uomo, che accomuna la sua terra all’immagine della “discesa che va alla fonte”, e questo ci aiuta a comprendere quanto “l’Acqua di quella Fonte” sia stata per secoli importante nella vita quotidiana degli abitanti, colti o umili, ricchi o poveri, di Sant’Angelo in Lizzola. E la discesa che va alla Fonte viene ricordata anche in uno studio8 su Sant’Angelo che riporta una significativa testimonianza cioè quella dell’esistenza, anni fa, di una lapide posta all’inizio della strada della Fonte che riportava un testo curioso: PIOPPI ET ULMI NOLI FRANGERE. AGMEN ETIAM CUM CAPITE AD STELLAS CONTINGANT 1822 Un testo scritto in un latino particolarmente strano, quasi maccheronico, di cui però abbiamo voluto dare una libera traduzione, che inizia con un invito ai cittadini di Sant’Angelo e termina con una immagine che trovo molto bella: NON TAGLIATE I PIOPPI E GLI OLMI. I FILARI DEGLI ALBERI TENDONO LE LORO PUNTE FINO ALLE STELLE 1822 Evidentemente l’ambiente naturale della Fonte e del suo viale è sempre riuscita a creare suggestioni non solo a Terenzio Mamiani ma anche a questo sconosciuto semplice poeta di Sant’Angelo. Terenzio Mamiani (1799-1885) che, come abbiamo visto, ricorda durante un lungo periodo di esilio, la sua terra con tanta nostalgia, fu l’ultimo Conte di Sant’Angelo in Lizzola ma soprattutto fu un filosofo, un insigne letterato e un insigne statista che recò grande fama a Pesaro e a Sant’Angelo in Lizzola. Sin da giovane prese parte ai moti risorgimentali pesaresi del 1831: proprio il
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7 - Domenico Gaspari - “Vita di Terenzio Mamiani della Rovere” Morelli - 1888.
- Carlo Nicolini - “Documenti dell’Archivio Comunale e Parrocchiale di S. Angelo in Lizzola” - Tesi di laurea - Università degli Studi di Urbino. 1977.
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Ritratto di Terenzio Mamiani della Rovere eseguito dal pittore fanese Giovanni Pierpaoli e conservato alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro.
fallimento di questa esperienza lo costrinse all’esilio a Parigi. Rientrato in patria nel 1847, tra l’aprile e l’agosto del 1848 ebbe incarichi di Ministro nel governo costituzionale romano e successivamente, per i suoi grandi meriti e la sua vasta cultura ottenne nel 1860 un prestigioso incarico quale Ministro dell’Istruzione nel primo governo del Regno d’Italia. Nel 1864, dopo essere stato ambasciatore in Grecia, fu nominato senatore a vita e dal 1870 al 1875 fu vice presidente del Senato del Regno d’Italia. Non abbandonò mai gli studi e per molti anni, fino alla sua morte, fu titolare della cattedra di filosofia all’Università di Roma.
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LA FAMIGLIA MONTI
Alla fine del XVIII secolo Domenico Monti, originario di Sant’Angelo in Vado, decise di trasferire la famiglia a Pesaro e di acquistare delle proprietà oltre che in città anche, come risulta dai catasti, tra il comune di Monteciccardo e quello di Sant’Angelo in Lizzola. In quel periodo fece infatti costruire un “casino” di vacanze, come veniva allora definita una villa di campagna, e forse anche la struttura della fonte. Suo figlio Carlo (1777-183?) è ricordato perché nell’ottobre del 1830 venne “aggregato” al Ceto Patrizio di Pesaro.9 Da Carlo nacque Enrico che nel 1855 risulta essere il solo proprietario dei terreni della fonte come indicato nel Catastino di Sant’Angelo in Lizzola.
Un successivo documento, e precisamente un atto notarile datato 4 luglio 1882, ci informa che il cav. Enrico Monti fu Carlo di Pesaro decide di cedere queste sue proprietà. L’atto riporta il seguente testo: “gravato da alcune passività accresciute anche per aver in poco tempo maritate le tre sue uniche figlie, Giulia, Virginia e Emilia, e venuto nella decisione di alienare due suoi fondi rustici trovansi presso che a contatto con il suo casino di villeggiatura che possiede nel Comune di Monteciccardo”. Bramando che detti fondi abbiano a rimanere in famiglia “stabilisce di vendere ai suoi due generi Giuseppe e Augusto Mazzucato10 i due appezzamenti di terra “avente il vocabolo La Fonte il quale predio nel pubblico Catasto e Mappa
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9 - Archivio Diocesano di Pesaro - Fascicolo n. 203 dell’archivio Stramigioli Ciacchi.
- Giuseppe Mazzucato aveva sposato Emilia Monti mentre Augusto aveva sposato Giulia.
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- Archivio di Stato di Pesaro - Notaio Ermenegildo Guidi - 4 luglio 1882 (fascicolo 311- foglio 7).
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di Sant’Angelo resta distinto con n° 671 e 672” 11 Riproduciamo un particolare della mappa del Catasto12 Pontificio, che riporta la data del marzo 1825, un documento quindi anteriore all’atto notarile sopra riportato ma che ci fornisce un chiarimento “visivo” di quanto stiamo trattando. Sono rappresentati i due appezzamenti di terreno ceduti dal Monti, posti a destra e a sinistra della fonte che occupa una superficie quasi a forma di triangolo, in questo caso colorato di verde. Con una certa difficoltà si riesce anche a leggere che i due appezzamenti di terreno sono quelli distinti con i numeri 671 e 672 mentre la fonte è invece indicata con il numero 673. Abbiamo quindi la certezza che per almeno tutto il 1800 la famiglia Monti e i loro discendenti furono i proprietari della villa poco lontana dalla fonte e dei terreni che circondano la fonte. Ora dobbiamo ricordare che nei giardini, nei parchi o nelle vicinanze delle ville di campagna, costruite nel secolo XVIII solitamente da ricchi abitanti della città, venivano realizzati degli spazi ricavati dalla naturale conformazione del terreno a forma di piccoli anfiteatri e molto spesso delimitati da quinte di alberi. Si chiamavano “teatrini verdi”, famoso quello di Villa Caprile a Pesaro, e cercavano di imitare le forme degli anfiteatri con una platea gradinata e a forma di ferro di cavallo ed una platea sopraelevata con delle quinte formate da una siepe di cipressi. Erano considerate delle “isole” di meditazione o per tranquille letture o per spettacoli teatrali o piccole recite che coinvolgevano amici e famigliari. Non è detto che quindi la famiglia Monti non abbia voluto “nobilitare” questa area, inserita nelle loro proprietà, anche se abbiamo la certezza, dai documenti ritrovati nell’archivio del Comune di Sant’Angelo, che la Fonte sia sempre stata di uso pubblico .
- Archivio di Stato di Pesaro - Catasto Pontificio, cartella H5, Sant’Angelo in Lizzola.
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LA FAMIGLIA PERTICARI
È per noi importante ricordare due personaggi della vita pesarese dei primi anni dell’800, il conte Giulio Perticari e sua moglie Costanza, che ebbero per Sant’Angelo in Lizzola, e la Vecchia Fonte, un interesse appassionato. La famiglia Perticari13, originaria di Savignano, nella prima metà del settecento si era trasferita e viveva a Pesaro e verso il 1750 Giulio Perticari, bisnonno del conte Giulio, sposò Angela Lapi, figlia di un nobile possidente di Sant’Angelo. Angela Lapi portò in dote ed in eredità, perché rimasta ultima rappresentante di questa ricca famiglia, vasti poderi con case coloniche, una villa padronale e la chiesa di Sant’Egidio. Da quel momento la famiglia Perticari legò indissolubilmente il suo nome a quello di Sant’Angelo in Lizzola partecipando attivamente alla vita del paese anche se, dai verbali del Consiglio Comunale, si rileva che per molti anni rimase aperta una causa per il mancato pagamento da parte della famiglia Perticari delle tasse dovute sia al feudatario Conte Mamiani, sia alla comunità di Sant’Angelo. Formalmente le motivazione addotte dai Perticari, anche se pretestuose, furono riconosciute valide da Roma ed il Consiglio Comunale, dopo aver formulate le sue scuse, dovette trovare anche i fondi per rimborsare ai Perticari le spese della causa. Ma l’uomo della Famiglia Perticari, su cui dobbiamo concentrare la nostra attenzione, è il Conte Giulio Perticari (1779-1822) che trascorse la sua giovinezza ed iniziò i suoi studi a Savignano, paese d’origine della famiglia, per proseguirli a Roma, alla “Sapienza”, fino al conseguimento di una laurea in legge. La sua intelligenza e la sua passione per la letteratura e la poesia lo portarono a ricercare sempre nuovi contatti ed amicizie con gli uomini culturalmente più eruditi dell’epoca. Conobbe e frequentò il sommo vate di allora in Italia, Vincenzo Monti14, poeta, letterato, drammaturgo, da molti conosciuto ancora oggi per la traduzione dell’Iliade di Omero.
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13 - Hondedei A. - “Stemmi gentilizi di famiglie nobili pesaresi” (1732) Ms N. 1184 - Biblioteca Oliveriana di Pesaro.
- la famiglia Monti, citata nelle precedenti pagine, non ha nulla a che vedere con Vincenzo Monti, e quindi si tratta solo di omonimia.
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Giulio Perticari in un’incisione di Maina conservata nella Biblioteca Comunale di Forlì.
- Stendhal (1783-1842), pseudonimo di Henri-Marie Beyle, scrittore francese ricordato soprattutto per due suoi romanzi, Il rosso e il nero e La Certosa di Parma.
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Giulio, che aveva acquisito una vasta cultura e possedeva un notevole ingegno, riuscì a conquistare la stima e la fiducia di quest’uomo che lo aiutò aprendogli le porte dei più famosi salotti intellettuali dell’epoca e facendolo conoscere a tutto il mondo culturale italiano. Il 6 giugno 1812 Giulio sposò la figlia di Vincenzo, Costanza Monti (1792-1840), giovane donna, aveva solo venti anni, di grande intelligenza ma già dotata di una vasta cultura per aver molto studiato e per aver frequentato, grazie al padre, i più famosi poeti o letterati di Milano e di Roma. Stendhal15 scrive in relazione ad una sua visita a Pesaro nel 1817… “affascinante la compagnia della contessa Perticari. È la figlia del celebre Monti; conosce il latino meglio di me”. Anni dopo, in merito a Giulio Perticari, sempre Stendhal scrive “… il conte Perticari di Pesaro, è in questo momento il personaggio più rilevante della letteratura italiana, lo si può affermare con certezza …” Giulio e Costanza furono una coppia di letterati e poeti che influì molto sulla vita culturale pesarese e contribuirono a creare a Sant’Angelo una piccola Arcadia conosciuta e frequentata dai migliori uomini di cultura di quegli anni, e non solo italiani. Giulio e Costanza avevano evidentemente anche una capacità di comunicare e di trasmettere, a chi li frequentava, il loro grande amore per l’arte, la letteratura e la poesia. Giulio, anche se con qualche contraddizione, abbracciò le nuove idee nate dalla Rivoluzione francese e certi suoi atteggiamenti fanno pensare che forse vi era in lui anche il desiderio di una diffusione della cultura affinché non rimanesse solo un beneficio per pochi. I migliori ingegni dell’epoca, lo stesso Vincenzo Monti, Gioachino Rossini, Giacomo Leopardi, Stendhal, il Giordani, il Cassi, l’Antaldi, Giuseppe Mamiani e molti altri, venivano attratti dall’atmosfera che Giulio era riuscito a creare, sicuramente grazie all’intelligenza e la grazia della moglie Costanza. Questi uomini di cultura si riunivano a Sant’Angelo e i Perticari trasformarono persino un vecchio mulino per l’olio in un teatrino di famiglia per creare un luogo dove poter recitare o declamare i versi. In merito a questo teatrino così raccontò don Giovanni Gabucci, durante
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una conferenza tenuta al cinema “G.Branca” di Sant’Angelo in Lizzola nel marzo 1948. “... Sapete com’è sorto? per uno scherzo. Il letterato Vincenzo Monti che aveva dato in sposa al conte Giulio Perticari la sua figlia Costanza, aveva voluto varare la sua tragedia l’Aristodemo nel nostro paese fra l’accolta di amici e letterati che frequentavano la villa dei Perticari, cenacolo di artisti, fra i quali non mancava neppur Rossini. L’Aristodemo fu quindi rappresentato nel mulino dei Perticari, adattato per la circostanza: ed allora lo spirito caustico del Conte Francesco Cassi lanciò l’epigramma: Oh bel vedere Aristodemo in solio,/Aristodemo, in un molin da olio.”. Il Conte Gordiano Perticari, fratello di Giulio, dopo aver demolito il famoso mulino, forse vincendo la sua conosciuta parsimonia costruì, molti anni dopo la morte di Giulio, un nuovo e ampio teatro che fu decorato dal celebre scenografo di Faenza Romolo Liverani. Il teatro, dedicato a Giulio Perticari, fu inaugurato nel 1851 con le tragedie dell’Alfieri e le commedie del Goldoni ed ancora nei primi anni del ‘900 furono messe in scena opere liriche e recite filodrammatiche di ottima qualità. Rimase il centro della vita civile ed artistica di Sant’Angelo fino alla sua distruzione durante la seconda guerra mondiale. Un acquerello bellissimo di Romolo Liverani (1851) con la facciata illuminata dal sole del Teatro Giulio Perticari e sullo sfondo la villa Perticari. Sulla destra si intravede il timpano della chiesa di Sant’Egidio.
Il teatrino ricavato dal mulino dell’olio veniva utilizzato in autunno e in inverno ma nei pomeriggi o nelle serate estive veniva preferito il “teatrino verde” ricavato alla Fonte. Costanza venne conquistata dal fascino romantico del luogo circondato da alberi e abbellito dalla fonte. Si racconta che trasformò questo luogo, immerso nella natura in uno scenario poetico dove lei, Giulio ed i loro ospiti
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declamavano versi, leggevano le pagine più interessanti delle opere dei letterati più famosi o eseguivano brani di musiche. Costanza Monti, donna intelligente, sensibile e colta era anche una donna molto bella e dotata di un fascino che doveva esercitare una forte attrazione su i suoi interlocutori. All’età di 20 ani giunse a Pesaro, moglie di Giulio, e si trovò calata in un ambiente ben diverso da quello di Milano o di Roma. Anche la stessa famiglia Perticari si dimostrò con lei in modo particolare, molto chiusa e non facile a slanci di generosità e di affetto. Gli uomini di casa Perticari non ammettevano che le donne potessero godere di quella libertà che lei amava tanto, e che quasi sempre era solo culturale, ma che divenne un frequente motivo di equivoci e maldicenze. Le circostanze di quel matrimonio e di quella difficile convivenza furono subito di dominio pubblico e la cosa non favorì la soluzione dei problemi che fin dall’inizio si erano presentati fra Giulio e Costanza. Basti pensare che prima delle nozze, Giulio patteggiò a lungo con Vincenzo Monti, sulla dote della ragazza per ottenere 200 scudi in più di quanto gli era stato proposto e Costanza scoprì, solo dopo il matrimonio, che suo marito era già padre di un bimbo, Andrea, avuto nel 1810 da Teresa Ranzi con la quale non interruppe mai il rapporto. Successe poi che, nel 1814, Costanza ebbe un figlio che purtroppo morì dopo pochi giorni e questo fatto non aiutò a rasserenare i rapporti coniugali. Ma l’invidia e l’ignoranza del mondo che li circondava contribuirono in modo determinante a creare anche tante dicerie e volgarità, mettendo, più volte e pubblicamente, in discussione la moralità di Costanza e rendendo logicamente sempre più difficili i dieci anni di convivenza. Le calunnie crearono situazioni di estrema difficoltà e raggiunsero l’apice alla morte di Giulio con l’accusa infamante di aver avvelenato il marito. Fu Francesco
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Cassi, cugino di Giulio, che diffuse questa sua impressione e ne fece persino argomento di una pubblicazione. Solo la sorella di Giulio, Violante, ebbe parole di conforto per Costanza: “Hai sofferto dai tuoi nemici una guerra, la più vile e ignominiosa in una città di perfidia e di malignità” 16 Dopo la tragica morte di Giulio, quasi sicuramente per un tumore allo stomaco, Costanza fu letteralmente cacciata dalla famiglia Perticari, completamente diseredata per non dire derubata. I dieci anni di vita pesarese della bella Costanza terminano così. Questo periodo della sua travagliata vita è stato ricco di positive esperienze nel campo della poesie e della letteratura ma anche permeato di esperienze molto spesso negative nei rapporti con la famiglia e con il mondo di “amicizie” che la circondava. Di quasi tutti i giorni da lei trascorsi a Pesaro noi possiamo conoscere molti particolari grazie alle numerosissime lettere che i nostri personaggi amavano scambiarsi e dalle quali si possono ricavare non solo i fatti importanti ma anche semplici informazioni o notizie che risultano per noi di curioso interesse. A quei tempi, in assenza del telefono o di internet, la comunicazione veniva affidata alle parole scritte quotidianamente in quelle lettere che fortunatamente alcuni archivi delle nostre biblioteche hanno saputo gelosamente conservare.
16 - Dal libro di Luciano Tomassini “Sant’Angelo in Lizzola /la storia, i personaggi” Ed. Majorana 1996.
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IL SIPARIO DEL TEATRO ROSSINI
La Vecchia Fonte di Sant’Angelo in Lizzola, tanto amata dal Giulio Perticari e da Costanza Monti, deve avere trasmesso la suggestione di un’oasi di serena meditazione poetica che ritroviamo riprodotta, anche se trasferita all’allegorico mondo mitologico, con la raffigurazione della Fonte Ippocrene, nel bellissimo e importante sipario del Teatro Rossini. Il sipario del Teatro Rossini di Pesaro17
- Foto Amati-Bacciardi Archivio del Teatro Rossini.
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18 - Ippocrene, toponimo formato sulla radice hippo- “cavallo”, giacché la tradizione voleva che fosse stato Pegaso a far zampillare l’acqua della fonte sacra ad Apollo, alla quale si dissetavano poeti e cantori per ricevere l’ispirazione. Per questo motivo Pegaso veniva anche considerato il cavallo delle Muse. Alla fine delle sue vicende, Pegaso si trasformò nell’omonima costellazione.
La leggenda racconta che l’acqua della Fonte Ippocrene18, situata sul monte Elicona nella regione della Beozia in Grecia, scaturì dalla roccia colpita da un calcio del cavallo alato Pegaso. Questa fonte, come la più famosa fonte Castalia del Parnaso, è annoverata fra le sorgenti d’ispirazione invocate dai poeti del mondo neoclassico. La raffigurazione, dipinta sul grande sipario del Teatro Rossini, consiste in una interessante composizione di figure allegoriche che accolgono i poeti in un grande spazio ricavato in un anfratto naturale dove, dalle rocce sgorga “l’acqua della poesia” versata da una figura femminile, posta in alto a sinistra, che rappresenta la Fonte. Quest’acqua viene raccolta dalle Ninfe che poi la offrono, nelle coppe, ad un gruppo di cinque poeti uno dei quali, l’ultimo a destra, canta accompagnandosi con il suono del plettro.
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Ritornando alla realtà del nostro mondo, sappiamo che il Teatro Rossini, allora chiamato “il Teatro Nuovo”, ed il suo bel sipario, rappresentano una tangibile testimonianza di quanto fosse allora influente la famiglia Perticari nel mondo della cultura pesarese e non solo. Fu proprio il Conte Giulio Perticari a perorare il progetto di costruzione del Teatro Nuovo di Pesaro nell’assemblea comunale del 6 marzo 1816 e a convincere, con le sue capacità diplomatiche, l’assemblea ad approvare la realizzazione di quest’opera per contribuire ad elevare il livello culturale della città. I resoconti storici dell’epoca riferiscono inoltre che la sera del 18 giugno 1818, con una grande partecipazione dei cittadini pesaresi, venne inaugurato il Teatro Nuovo con un’opera, la “Gazza Ladra”, di Gioacchino Rossini. L’opera fu diretta al cembalo dallo stesso Rossini che, seppur giovane, avendo compiuto i 27 anni, godeva già di grande fama nazionale. Furono ancora i due Perticari a volere Rossini, con la sua opera, presente all’inaugurazione del teatro di cui avevano favorito la realizzazione soprattutto per la loro grande passione per l’arte. Non dimentichiamo inoltre che erano anche dei propagatori, più o meno convinti, delle nuove teorie che volevano una maggior diffusione della cultura rimasta fino ad allora un bene riservato a pochi eletti. Il successo della serata dell’inaugurazione fu grandissimo e Giulio e Costanza furono ripagati delle loro fatiche e furono anche felici di poter ospitare Rossini nel loro palazzo a Pesaro. Quella sera venne anche “aperto”, per la prima volta, il nuovo e bellissimo sipario opera di un grande artista dell’epoca, Angelo Monticelli, che dopo questo successo di critica, nel 1821, realizzerà anche un nuovo sipario per il Teatro della Scala di Milano. Fu Giulio Perticari che recatosi a Milano con la moglie Costanza nell’ottobre del 1816, si attivò per contattare, grazie alle sue vaste conoscenze nel mondo dei letterati e dei pittori che allora operavano in quella città, i migliori decoratori e allestitori di apparati scenografici e fu lui a dare a questi artisti l’incarico di abbellire il Teatro Nuovo ma soprattutto con Angelo Monticelli definì nei particolari la realizzazione del sipario. Quest’opera, tanto bella, fu realizzata a Milano e persino esposta, nel 1817, per permettere alla “Milano artistica” di poterla ammirare e dopo quasi due secoli possiamo affermare che è ancora oggi un vanto del nostro Teatro Rossini. Non vi è dubbio che la volontà di Giulio Perticari fosse quella di trasfigurare la Vecchia Fonte di Sant’Angelo in Lizzola, la sua fresca acqua e l’atmosfera poetica delle colline che la circondano, nella Fonte Ippocrene ricca di memorie classiche e mitologiche.
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Interessante sarebbe poter individuare i cinque poeti che sicuramente Giulio Perticari chiese ad Angelo Monticelli di raffigurare in atteggiamenti cari al neoclassicismo dell’epoca ed intenti a dissetarsi con l’acqua della poesia19. Forse si potrebbe individuare lo stesso Giulio nel poeta che appoggia la mano sulla spalla del “nume” Vicenzo Monti, suo suocero, mentre il poeta che beve alla coppa delle muse potrebbe essere l’amico Paolo Costa vicino a Ippolito Pindemonte. Per il quinto poeta, quello che suona il plettro, si è anche ritenuto di intravedere nel volto le sembianze che ricordano quelle di Costanza, ed è probabile che questa fosse l’intenzione del decoratore del sipario, ma certamente il resto del corpo non si addice alla sua bellezza femminile tanto decantata. Sicuramente Giulio, che aveva fortemente voluto creare una accademia pesarese, coglie l’occasione per immortalare alcuni dei suoi componenti a lui più cari.
- Part. Foto Amati-Bacciardi Archivio del Teatro Rossini.
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PERSONAGGI E FATTI
Nelle pagine precedenti abbiamo parlato dei cittadini di Sant’Angelo e ci siamo soffermati su alcuni personaggi, che abbiamo ritenuto più importanti o più “legati”, per certi aspetti, alla nostra Fonte. In modo particolare i Monti, Giulio Perticari con la moglie Costanza e Terenzo Mamiani. Abbiamo puntato i nostri riflettori soprattutto su un periodo che abbraccia gli anni che vanno dalla Rivoluzione Francese, 1789, fino a circa il 1820, circa un trentennio che non dobbiamo dimenticare fu, per tutta l’Europa, ma in modo particolare per i territori dello Stato Pontificio, come Pesaro e Sant’Angelo, un tempo di grandi e continui e repentini cambiamenti politicosociali soprattutto con le alterne vicende del dominio di Napoleone. Interessante notare come i nostri personaggi riescano però a superare indenni queste bufere e a continuare imperterriti a vivere la loro vita, culturalmente molto ricca e frutto di impegnativi studi, ma socialmente abbastanza limitata a piccoli problemi locali, a invidie, gelosie, maldicenze, gretti calcoli su doti o eredità, senza capire o interpretare in termini concreti le grandi novità del nuovo mondo che si stava formando attorno a loro.
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NAPOLEONE A SANT’ANGELO
Le storie tramandate di padre in figlio narrano di un avvenimento che forse ha interessato Sant’Angelo e la nostra Fonte ma che sicuramente ha colpito la fantasia di molti. Si racconta infatti che un giorno, potrebbe essere l’anno 1804, Napoleone Bonaparte si sia fermato alla nostra fonte per far abbeverare il suo cavallo. Questo fatto rimase impresso nella memoria popolare e chissà quante volte fu ricordato quando le famiglie si riunivano alla sera tutte intorno al camino che con le sue fiamme illuminava i volti attenti dei ragazzini ai racconti degli anziani. Non si sa se quella famosa volta Napoleone si fermò a Sant’Angelo o proseguì il suo cammino sempre desideroso di nuove conquiste, ma sicuramente in quel tempo, ed anche negli anni successivi, si fermarono le sue truppe. Dai verbali del Consiglio Comunale si legge infatti che ai cittadini di Sant’Angelo venne più volte chiesto di far fronte, con la tassa sul “casermaggio”, alle ingenti spese sostenute per alloggiare e nutrire le truppe Francesi.
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LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE DELLA FONTE nel 1834 e nel 1882
Un documento conservato all’Archivio di Stato di Pesaro ci fornisce preziose informazioni su dei lavori che furono decisi ed eseguiti in tempi brevi in quanto la popolazione aveva una estrema necessità di attingere l’acqua alla fonte. Il Priore di Sant’Angelo, Giacomo Venturi, il giorno 22 novembre 1834 trasmette al delegato Pontificio il fascicolo relativo ai lavori e “alla spesa occorsa per li risanamenti di questa pubblica Fonte”. Nel mese di settembre era stato infatti convocato il Consiglio della Comunità, composto da 14 consiglieri, per discutere la situazione della fonte “mancando nella medesima l’acqua” e in quella occasione fu sottolineato che “trattatasi di un lavoro urgentissimo, che non ammette la più piccola dilazione, giacché la popolazione si trova priva d’acqua, conviene eseguirlo per conto del Comune ed in via di amministrazione…e siccome tale lavoro, che fin dall’anno 1832, venne riconosciuto necessario”.20 Il Consiglio approvò all’unanimità l’esecuzione dei lavori in tempi brevissimi, inserendo in un’urna tutte palline bianche, e fu deciso di coprire i costi utilizzando un “sopravanzo” del bilancio precedente. L’importo complessivo dei lavori, come si rileva dalla nota del 28 ottobre, non fu eccessivo perché i lavori vennero eseguiti in circa 7 giorni di lavoro impiegando 5 o 6 persone ed il materiale utilizzato si ridusse a circa 1.000 mattoni. Evidentemente la fonte aveva subito dei lievi cedimenti delle strutture murarie che avevano però causato l’interruzione della normale erogazione dell’acqua, cedimenti dovuti a smottamenti del terreno della zona, facilmente soggetto a frequenti dissesti. Dalla lettura del documento si ricava l’impressione che lo stesso Priore voglia sottolineare che la fonte, anche se di proprietà privata, è in realtà pubblica perché di uso pubblico, ed è per questa ragione che le spese per il suo ripristino devono essere considerate a carico della comunità. In un registro delle delibere del consiglio comunale di Sant’Angelo del 1882 si legge che il 13 luglio 1882: Oggetto 4°. Provvista dei Fondi per la spesa delle riparazioni alle pubbliche Fonti I lavori di restauro testè eseguiti al serbatoio e lavatoio pubblici di questo Comune, hanno comportato dei costi superiori all’importo previsto a bilancio. …siccome poi le pubbliche Fonti di questo stesso Comune reclamano urgenti riparazioni… il Consiglio decide all’unanimità di effettuare con urgenza i
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- Archivio di Stato di Pesaro Delegazione Apostolica - Acque e Strade - 1834 - Tav. XIV - busta 121.
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lavori alla Fonte e di recuperare i fondi necessari spostando ad altro esercizio i lavori di ampliamento del cimitero. Vi sono molte probabilità che proprio con questa delibera si sia presa la decisone di eseguire quegli importanti lavori che hanno comportato, oltre al ripristino della funzionalità della fonte, anche le notevoli modifiche che hanno variato l’aspetto architettonico della fonte da come l’aveva rappresentata Romolo Liverani nel 1850 a come ci è oggi pervenuta. Infatti in tutti i documenti consultati e relativi al secolo scorso non vi è traccia di ulteriori decisioni che abbiano comportato un nuovo impegno per il Comune di Sant’Angelo per delle opere di ripristino della nostra fonte.
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1845 - UN CRIMINE ALLA FONTE
Il 17 giugno dell’anno 1845, “quando l’orologio della torre di Sant’Angelo batteva le 7,30” del mattino fu trovato, nella vasca della fonte, il corpo di una povera donna morta annegata. Questa triste vicenda è descritta, con la massima attenzione in ogni minimo particolare, in un fascicolo degli atti processuali del Tribunale Civile e Criminale di Pesaro. Il Pubblico Ministero di allora descrive molto bene questo episodio e lo inquadra nel mondo contadino di allora. La lettura, di questo documento, è quindi di estremo interesse, oltre che per l’episodio in se stesso, anche perché fornisce numerosi particolari di un modo di vivere così lontano dal nostro perché fatto di tanta miseria e di una grande fatica. Oggi, per fortuna, non sarebbe accettabile. Solo quando vengono descritti i caratteri e le debolezze delle persone coinvolte in questa triste vicenda troviamo molti punti di contatto con il nostro attuale modo di vivere. La dona annegata venne subito riconosciuta in Barbara Balducci moglie di Fortunato degli Esposti nato 35 anni prima a Pesaro, fruttivendolo, e madre di due figli piccoli. Il giorno dopo venne arrestato il marito ed una certa Teresa Grandoni, 20 anni, detta “la gavolina”, che era stata tempo prima da lui assunta come “servente” e subito dopo diventata la sua amante. Fortunato fu accusato di “uxoricidio per annegamento con animo deliberato” e Teresa di aver collaborato all’uccisione di Barbara. Il Pubblico Ministero, nel tentare di ricostruire la scena del crimine, descrive il momento in cui Barbara fu sorpresa dai due assassini al lavatoio, che era situato vicino alla fonte, dove erano rimaste “…due pianelle voltate con la punta all’impari verso il marazzuolo, e sullo scanno del lavatojo stesso vi erano tre pannucci da bambino bagnati ma non lavati ed attorciati: sulla tavola sovrapposta al parapetto della fonte vi era un canovaccio per fare la croja, o bracciatella, onde portare l’orcio in testa…” Un successivo passo della relazione dell’investigatore racconta con realismo che dai riscontri si dedusse che l’uxoricidio avvenne “...a seguito di una zuffa, o colluttazione, alla fonte per gettare la donna in acqua. Ella, siccome alta di statura, si appigliasse colle mani al tavolato del parapetto per possibilmente sollevarsi, e vi lasciasse l’impressa delle unghie ... e forse allora che si sciogliesse e si lacerasse il fazzoletto legato alla testa, si scompigliassero i suoi capelli, si strappassero dalle orecchie i pendenti, ed uno di essi si rompesse.”
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L’ACQUA E L’ACQUEDOTTO
L’acqua a Sant’Angelo è sempre stata un bene prezioso perché non vi erano sorgenti tanto ricche da fornirne in abbondanza. Il paese ha sempre vissuto con questa difficoltà attingendo l’acqua alla fonte pubblica o ai pozzi privati.
- dall’Archivio Stroppa-Nobili.
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Ma finalmente nei primi anni del ‘900 vengono fatti sondaggi, studi e progetti per captare l’acqua da sorgenti che dovevano dare la garanzia di poter immettere nelle tubature una quantità d’acqua sufficiente a soddisfare le necessità della popolazione di quell’epoca. Vengono scelte due sorgenti nella zona di Montegaudio con notevoli costi per la posa delle tubature che dovevano portare l’acqua fino a Sant’Angelo. Montechio veniva esclusa da questo progetto. La linea rossa indica il tracciato del nuovo acquedotto che forniva l’acqua al serbatoio posto vicino alla strada per Monteciccardo per poi proseguire e raggiungere una prima fontanella nella piazza Perticari ed una seconda all’interno del castello. Quella posta in Piazza Perticari non corrisponde a quella prevista dal progetto ed è di notevoli dimensioni tanto da meritarsi il titolo di “Nuova Fonte” ed una fotografia per una cartolina21.
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S.Angelo in Lizzola - Piazza con la nuova fonte.
La foto ritrae Piazza Perticari, la nuova grande fontana e, sullo sfondo, il palazzo Marcolini che fu distrutto dalla seconda guerra mondiale così come il teatro “Giulio Perticari” che sorgeva sul lato sinistro della foto lungo Via Roma. Il nuovo acquedotto avrebbe dovuto garantire una portata di circa 40-50 litri al giorno per ogni abitante di Sant’Angelo, come si legge dalla relazione conservata presso l’archivio del Comune, venne quindi inaugurato nel settembre 1912 con gran festeggiamenti e partecipazione di tutta la cittadinanza e di numerose autorità invitate. Ma per gli abitanti di Sant’Angelo non erano terminati i problemi perché l’acquedotto fu, nel corso degli anni, soggetto a frequenti rotture, data la tipologia franosa dei terreni e la quantità dell’acqua, specialmente nei mesi estivi, non era sufficiente. Interessante un documento dell’ottobre del 1933 che riporta il regolamento per la distribuzione dell’acqua ai privati, esercizi pubblici e abitazioni. Rappresenta un momento positivo nella vita di questa comunità anche se l’anno successivo una richiesta giunta da Roma di fotografie del “nuovo acquedotto fascista” fa sorgere qualche dubbio che la decisione della concessione agli allacci fosse più ispirata per motivi politici che non per il bene della popolazione. Ed infatti dieci anni dopo, e precisamente il 16 gennaio 1943 “XXI” in una relazione inviata al Reale Ufficio Genio Civile di Pesaro, si legge: “Acquedotto – Il Capoluogo di questo Comune è sprovvisto di acquedotto di moderno sistema. Esiste però un acquedotto di vecchio sistema, il quale causa i continui franamenti e le spesse incrostazioni dei tubi di conduttura, non da il quantitativo di acqua sufficiente per il fabbisogno della popolazione. Nel periodo di siccità l’acqua arriva a questo Capoluogo solo in alcune ore del mattino. L’attingimento dell’acqua da parte della popolazione viene eseguito a mezzo fontane ...”
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La Fonte al termine dei lavori di restauro.
LA FONTE NEL SECOLO XX
La Vecchia Fonte qualche anno fa.
Forse negli ultimi anni dell’Ottocento la Fonte subì una ristrutturazione dettata evidentemente da modifiche morfologiche del terreno circostante e soprattutto dall’innalzamento del livello della strada prospiciente. Per contenere la terra della strada, e per delimitare la fonte, fu costruito un muro sul quale fu posta una cancellata trattenuta da quattro pilastri. Per raggiungere il piano della fonte fu costruita una rampa di gradini che logicamente, non permettendo più l’ingresso di animali, eliminava completamente la funzione di abbeveratoio. Fu infatti sostituito l’abbeveratoio, inizialmente costruito, a forma di vasca quadrata con una a forma circolare forse per richiamare l’idea di un pozzo. Fu abbattuta, o crollò per cedimenti strutturali, anche la bella cimasa della parte di fondo e venne creata una situazione analoga a quella del muro frontale, con l’applicazione di una balaustra in ferro battuto. Fino agli anni ’40 del secolo scorso, quando ancora l’acqua potabile non raggiungeva tutte le case, questa fonte servì a fornire acqua ai cittadini di Sant’Angelo. Più volte al giorno bisognava recarsi a piedi fino alla fonte e poi trasportare gli orci pieni d’acqua fino alle abitazioni.
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Oggi ci sorprendono le fotografie scattate nel settembre 1925 nelle campagne della provincia pesarese dal fotografo-studioso svizzero Paul Scheuermeier22, immagini, crude e piene di una tristezza che nasce dal misero abito fatto di una ruvida tela, quasi un saio, che ricopre un corpo magro, quasi denutrito, di una contadina, forse resa più anziana dalle fatiche dei campi con il volto segnato e con i piedi nudi. Il fotografo ha poi voluto ritrarre due atteggiamenti tipici delle donne che giungevano alla fonte con l’orcio vuoto, tenuto sul fianco, e riprendevano il cammino verso casa con l’orcio, pieno dell’acqua presa alla fonte, posto sul capo. Queste immagini sono documenti storici che la bravura del fotografo ha trasformato in una importante memoria della “semplice” vita delle nostre campagne come si è svolta fino a pochi decenni fa. Una vita piena di miseria durata millenni e che solo negli anni ’50 dello scorso secolo ha subito, fortunatamente, una rivoluzione epocale che ha cambiato positivamente il mondo arcaico delle nostre campagne. Rimangono queste immagini che devono essere viste anche dai giovani per non dimenticare il nostro passato.
- Foto tratte dal libro di M. Dean e G. Pedrocco - “Il lavoro dei contadini” di Paul Scheuermeier (1996).
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IL VICINO LAVATOIO
Molte Fonti, se non tutte, avevano, oltre al bocchettone di uscita dell’acqua e alla vasca di raccolta da dove venivano riempiti gli orci, anche un abbeveratoio per gli animali ed infine, collegato e non molto lontano il lavatoio. Ed anche a Sant’Angelo il lavatoio doveva essere inizialmente collegato alla fonte e solo successivamente nel 1914 fu costruito all’inizio della strada della Fonte. Il progetto prevedeva due vasche parallele ed una copertura semplice ma valida per proteggere le donne, che si recavano a lavare i panni, dal sole e dalla pioggia. Abbiamo trovato una fotografia di come era il lavatoio nel 1982, ormai abbandonato e non più utilizzato, perché era allegata alla delibera comunale, del novembre di quell’anno, che stabiliva la demolizione del lavatoio e la costruzione, al suo posto, di un a struttura prefabbricata da adibire a magazzino per materiale e attrezzi per il personale tecnico del Comune.
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IMPIANTO IDRICO
Il restauro della “Vecchia Fonte” non poteva limitarsi solo al ripristino della parte in muratura del manufatto ma ci si doveva accertare dell’effettiva consistenza di tutto l’apparto idrico e dell’esistenza o meno di altre cisterne di raccolta delle acque oltre che a provvedere al successivo recupero della sua funzionalità idraulica. Il risultato è stato quello di riportare la fonte al suo funzionamento originario operando una serie di positivi interventi che hanno reso possibile il rilevamento delle vene acquifere, il ripristino di una corretta ed efficiente loro captazione ed il rinnovato convogliamento delle acque sorgive nelle grandi cisterne esistenti.
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BIBLIOGRAFIA
1508 - Tommaso Diplovatazio - “Chronicon Pisauri” 1732 - Hondedei A. - “Stemmi gentilizi di famiglie nobili pesaresi” Ms N° 1184- Biblioteca Oliveriana di Pesaro 1888 - Gaspari Domenico - “Vita di Terenzio Mamiani della Rovere” Morelli - Ancona 1977 - Carlo Nicolini - “Documenti dell’Archivio Comunale e Parrocchiale di S. Angelo in Lizzola” - Tesi di laurea - Università degli Studi di Urbino. 1981 - Grazia Calegari - “Il sipario restituito” - Comune di Pesaro 1986 - Omiccioli/Cecini/Dassori/Bischi/Piermattei - “L’Isauro e la Foglia - Pesaro e i suoi Castelli nei disegni di Romolo Liverani” 1995 - Sergio Anselmi - “Contadini marchigiani del primo ottocento, una inchiesta del Regno Italico” 1996 - Luciano Tomassini - “Sant’Angelo in Lizzola /la storia, i personaggi” - Ed. Majorana 1996 - M. Dean e G. Pedrocco - “Il lavoro dei contadini” di Paul Scheuermeier 1998 - Franco Panzini - “Giardini delle Marche” Federico Motta Editore 2004 - AA.VV. - “Uomini e campagne tra il Montefeltro e il mare” - Metauro Edizioni 2005 - Giancarla Boschi - “Sant’Angelo in Lizzola. Storia di un antico borgo” 2008 - Silvia Cecchi - “Le tredici vite di Costanza Monti Perticari” 2008 - Cristina Ortolani - “Sant’Angelo in Lizzola / piccola guida per il visitatore” Ed. Magma 2008 - Luciano Baffioni Venturi - “Costanza Monti e Giulio Perticari” Arti Grafiche del Liri
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IL RESTAURO ARCHITETTONICO della Vecchia Fonte di Sant’Angelo in Lizzola
Fabio Pradarelli Architetto Deborah Sparacca Architetto
Lo stato della Fonte precedente il Restauro.
La fonte, situata in quello che resta di un boschetto nelle immediate vicinanze di Sant’Angelo in Lizzola, si presentava sostanzialmente diversa da quella del disegno del Liverani, non più di impostazione tardo barocca (se non nella composizione di massima) ma con stilemi e decorazioni tipici dei manufatti tardo ottocenteschi e dei primi del novecento. Lo stato di conservazione generale risultava piuttosto compromesso. Le murature si presentavano nella quasi totalità prive di stuccatura e in parte anche prive di materiale strutturale (laterizio). La zona centrale alta della facciata principale e parte del muro di contenimento di destra risultavano crollati (con mancanza del materiale originario in loco). Le principali cause del degrado, erano riconducibili essenzialmente al prolungato stato di abbandono del luogo; maggiormente ad infiltrazioni di acqua dal sottosuolo che non regimentata fuoriusciva in corrispondenza delle murature contro-terra di tutta la parte destra del manufatto, provocando la
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formazione di concrezioni calcaree, di muschi ma soprattutto di de-coesione dei giunti tra i laterizi con conseguente perdita di consistenza della muratura. Formalmente si potevano distinguere numerose differenze rispetto al disegno del Liverani, che si è dimostrato piuttosto attendibile a seguito di una indagine archeologica da cui è risultato sia l’antico piano d’imposta della fonte, sia la forma quadrata della vasca centrale (in analogia con il disegno). La facciata si presentava priva della cimasa sagomata con l’ovale centrale, sostituita da una ringhiera in ferro battuto decisamente più recente. La parte sottostante presentava invece la stessa scansione decorativa: le due finestrature laterali cieche con arco a tutto sesto, l’apertura centrale e le due paraste interrotte all’altezza del piano di calpestio superiore. Al di sotto della finestra centrale era presente un mascherone in pietra, dal quale doveva sicuramente sgorgare l’acqua proveniente dalle cisterne superiori riversandosi nella vasca in pietra sottostante. Nel disegno del Liverani non vi è presenza del mascherone, bensì di un semplice ugello privo di decoro mentre la vasca
di raccolta dell’acqua presenta dimensioni più consistenti, inoltre sono evidenziate altre due vasche posizionate sulla destra della facciata di cui non si riscontrava più traccia. L’imposta del pavimento risultava essere ad una quota di circa 40-60 cm. più alta rispetto all’originale come confermato dai saggi archeologici effettuati. La pavimentazione era realizzata con selci irregolari di dimensioni variabili, posati direttamente su terra e legati tra loro da un abbozzo di stuccatura facilmente removibile probabilmente frutto di interventi successivi a cui si può ricondurre anche la diversa forma della vasca centrale non più quadrata ma circolare. Nella parte alta della fonte, da cui si accede alle cisterne, non
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risultava traccia di pavimentazione, probabilmente rimossa o forse mai esistita. Sulla facciata si notava la presenza di una finestra per l’accesso alla cisterna provvista di una gliglia in ferro, nella stessa posizione di quella del disegno ma di più ampie dimensioni. Tutto il piano della fonte risultava decisamente ad un livello inferiore rispetto al piano della strada limitrofa. Nel corso del tempo il piano strada aveva avuto un incremento altimetrico notevole tanto da rendere necessaria la realizzazione di un muro di contenimento e la realizzazione di due scalinate in laterizio così da consentire il raggiungimento del piano della fonte. Sul lato strada a chiusura del sito era stata realizzata una cancellata in ferro battuto analoga a quella installata al di sopra della facciata principale. Un dettaglio di non poco conto che emerge nella restituzione del Liverani è
la presenza su tutto l’apparato murario di una leggera intonacatura che lascia soltanto intravedere i laterizi, un intonaco a velo ormai del tutto cancellato dagli anni. Il complesso della fonte nasconde in zona completamente interrata, tutta una serie di cisterne di raccolta e cunicoli che consentivano di regolamentare la captazione delle acque di falda, fino alle varie vasche a livello della strada. Attualmente dalla parte alta della fonte si accede alla cisterna principale, realizzata in laterizio con copertura a botte ed intonacata in tutte le sue parti. Dal fondo della stessa si accede ad un tunnel anch’esso voltato e realizzato in laterizio (una indagine geologica ne ha evidenziato lo sviluppo ad “elle” per qualche decina di metri all’interno della collina fino ad un paramento murario di chiusura oltre il quale non è stato possibile procedere).
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Al piano inferiore è presente una seconda cisterna realizzata in laterizio di dimensioni più contenute rispetto a quella superiore. Posizionata dietro la muratura contro-terra sul lato destro vi si accede tramite una bucatura rettangolare attualmente chiusa in modo precario e decisamente provvisorio. Dal confronto tra i piani di imposta di questa cisterna e quello della vasca centrale rinvenuto nei sondaggi archeologici, si potrebbe pensare ragionevolmente che da qui l’acqua per effetto del principio dei vasi comunicanti, andasse ad alimentare proprio la vasca /abbeveratoio collocata in posizione centrale; ad oggi risulterebbe essere l’unica alimentazione possibile della vasca. Indagini geologiche hanno confermato la presenza di acqua di falda in tutto l’ambito di destra del sito; il riempimento delle cisterne avverrebbe in effetti per captazione. In fase di restauro è venuta alla luce una terza cisterna posizionata sul lato destro di quella superiore e ad essa connessa tramite un condotto interno; a conferma di ciò l’identico livello dell’acqua presente all’interno delle stesse. La nuova cisterna presenta anche una serie di bucature nella muratura controterra, per la ricezione delle acque dal sottosuolo. Dietro al mascherone in pietra, nella parete di fondo, si sviluppa un tunnel voltato che si
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estende fino al muro di separazione con la cisterna superiore. Attualmente il collegamento tra i due elementi risulta interdetto ma non doveva essere cosÏ in passato; era proprio da qui che l’acqua veniva alla luce in un getto continuo e copioso.
Per gentile concessione del Dott. geol. Stefano Marabini.
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RESTAURO E RECUPERO DELLA FONTE
L’ intervento di progetto ha portato al recupero del manufatto architettonico nella sua interezza, intervenendo anche sul ripristino della situazione idraulica come elemento primario di interesse. Un restauro principalmente funzionale in quanto l’Amministrazione intenderà usare il sito come luogo di interesse culturale, ripristinando per quanto possibile quella atmosfera di incontri letterari tanto attivi all’epoca del Perticari. Oltremodo un restauro filologico non sarebbe ipotizzabile, in quanto tutti gli elementi primari del disegno Settecentesco sono andati perduti, ne resta unica testimonianza il disegno di Romolo Liverani. Il manufatto ubicato lungo la strada di collegamento che del castello portava alla Villa Monti risulta da sempre censito tra i beni architettonici comunali dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici delle Marche ai sensi della L. 1089/39, (recentemente, sulla base della L.R. 45/92 “PIANO DI CATALOGAZIONE PER L’ANNO 2003/2009 PROGETTO 8/03/109 – REDAZIONE DEGLI ELENCHI DESCRITTIVI DEI BENI IMMOBILI DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO DI PROPRIETÀ DEGLI ENTI LOCALI”, nel 2006 è stato di nuovo catalogato e censito). Il recupero ha interessato il consolidamento in primis di tutta la parte di destra che risultava maggiormente instabile e danneggiata e conseguentemente lo stato delle murature nella loro interezza. Le parti mancanti sono state reintegrate (utilizzando laterizi di recupero di dimensioni analoghe agli originali) ed operando la stuccatura dei giunti con malta a base di calce e polveri tufacee. Un’opera di cuci-scuci che ha consentito così di riportare la muratura al suo antico splendore. Là dove le infiltrazioni di acqua dal terreno hanno provocato il maggior degrado alla muratura (lato destro della fonte) si è provveduto ad un intervento di deviazione e convogliamento delle stesse verso la cisterna inferiore. Si è mantenuto l’andamento a scalare dei muri perimetrali, che seppur non originario, risulta essere un intervento di modificazione della fonte piuttosto consistente. In collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali delle Marche si è deciso di realizzare un intonaco a velo su tutte le murature della fonte, così come probabilmente dovevano apparire agli occhi del Liverani.
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Relativamente al piano di calpestio, si è deciso di mantenere l’imposta così come ci è pervenuta; il ripristino della quota originaria avrebbe comportato un incremento del dislivello rispetto all’attuale piano strada, complicando ulteriormente il raggiungimento del piano della vasca dovendo realizzare scale di accesso ingombranti affossando visivamente l’immagine di insieme. La vasca centrale è stata mantenuta circolare, sostituendo però gli elementi in graniglia che ne coprivano il perimetro superiore con conci di pietra arenaria lavorata a mano. Il piano di calpestio è stato ripristinato previa rimozione e pulitura dei selci esistenti, al fine di avere un pavimento omogeneo, ben stuccato e in piano con le imposte degli scoli laterali delle acque meteoriche. Si è anche deciso di ripristinare la stessa pavimentazione anche sulla parte alta della fonte dove precedentemente vi era terra battuta, al fine di poter usare l’edificio nella sua interezza. Uno degli interventi principali ha interessato la zona di ingresso verso la strada, dove si è realizzata una breve gradonata in laterizio stuccato come la muratura. In questo modo si rende possibile l’utilizzo del manufatto anche come luogo in cui allestire spettacoli culturali. Un discorso a parte va fatto relativamente alla situazione idraulica della fonte. Per quanto riguarda la parte inferiore, non potendo ripristinare i livelli originari delle acque, risulta impossibile un collegamento per vasi comunicanti che consenta il riempimento della fonte centrale (come era probabilmente in origine). Dopo una accurata ripulitura della cisterna si è deciso per l’installazione internamente alla stessa di una pompa meccanica. Ciò consente travaso di acqua dalla cisterna alla vasca circolare così da mantenerne costante ll livello. Un troppo pieno nella vasca e uno nella cisterna
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saranno collegati alla fognatura comunale esistente assicurando, qualora l’apporto di acqua risulti superiore al previsto, un margine di sicurezza. La cisterne superiori collegate tra loro daranno il maggiore apporto idrico al sistema della fonte. Il tunnel a livello del mascherone, in buono stato di conservazione, è stato ripulito e collegato alle cisterne con un condotto (così come in passato), cosicché il mascherone è inserito nel circuito delle acque ed è reso funzionante. Un restauro che si pone come fine quello di rendere nuovamente fruibile un manufatto architettonico che è stato in passato parte della storia del borgo di Sant’Angelo in Lizzola e del territorio nella sua interezza.
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Facciata progetto
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Facciata rilievo
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Pianta di rilievo
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Finito di stampare nel mese di agosto 2010 da industria grafica SAT - Pesaro
Pubblicazione realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro