SUONI DEL SILENZIO FANZINE Maggio 2015

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Web-zine indipendente musicale fondata nel 2007. SUONI DEL SILENZIO...SUONI...LETTURE...VISIONI… Fanzine ufficiale MAGGIO 2015 prezzo copia €uro 2.00 info e contatti www.suonidelsilenzio.blogspot.it suonidelsilenzio@gmail.com

PIRPAOLO SCURO JERì & BARSALI RECENSIONI LIBRI CD COMPILATION DEMO & PROMO


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SUONI DEL SILENZIO Fanzine indipendente di musica fondata nel 2007 Maggio 2015 Collaboratori : Antonio Di Lena, Vincenzo Calò, Antonio Ferriero, Rosario Magazzino, Vincenzo Zizzo, Antonio De Franco, Gabriele Casale, Gianluca Distante, Andrea Corvino, Francesco Baroni, Antonella Fimiani e Soulknife. Grafica a cura di Antonio Di Lena Info e contatti: suonidelsilenzio@gmail.com oppure visitate il sito all’indirizzo www.suonidelsilenzio.blogspot.it

“URGENTE”

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Come si getta scompiglio nel Tempo? Sconvolgendolo. Sta a tutti noi capire come. La tua coscienza ha mai prodotto dei mostri? Si, ma rimangono sempre ben nascosti lì perché altrimenti potrebbero distruggere ciò che ho e che c'è di buono in me. Esistono forme espressive impareggiabili? E' una domanda a cui non saprei rispondere, sinceramente. Dovresti chiederlo a qualcun altro, è una questione che non mi pongo. Qual è la prima e l'ultima caratteristica che trasudi sul palco? Sicuramente la sincerità e la voglia di emozionare ed emozionarmi. Credo che sia alla base di tutte le mie esibizioni sia da solista che con il mio altro progetto, i Silenzio Insipido. Del resto, ho iniziato a scrivere canzoni, ben nove anni fa a 14 anni, proprio per questi due bisogni: prima come semplice passatempo, quasi come gioco, poi per il bisogno di emozionarmi e per raccontarmi le mie stesse emozioni

e per risentirle, quasi come spettatore della mia stessa vita. Quando ti lasci prendere dalle ondate d'ispirazione? Se intendi come momento della giornata, ti rispondo che il 90% delle mie canzoni sono state scritte di notte, perché i telefoni sono spenti, i citofoni non suonano, i familiari dormono, nessuno mi cerca e ho l'atmosfera giusta per dedicarmi totalmente a me stesso. Se invece intendi in quali situazioni della vita di tutti i giorni, non c'è un criterio preciso: posso scrivere dopo un litigio o dopo una passeggiata, o dopo che non sia successo assolutamente nulla . Cos'hai da limare? Questo me lo dovresti dire tu! Scherzi a parte, ho 22 anni e so di dover crescere artisticamente ancora tanto. Il cammino per me è ancora lunghissimo: così avrò tempo per scrivere altre canzoni brutte! Come convinci la società a spogliarsi? Non convinco nessuno, sarebbe una partita persa in partenza, e che for-

se non mi interesserebbe nemmeno. Il procedimento, secondo me, è inverso: chi ha già deciso di "spogliarsi" magari trova piacere ad ascoltarmi (o me lo auguro, perlomeno). Gli altri, semplicemente, ascoltano o fanno altro, e va benissimo così. Bisogna essere per forza (e quindi a tutti i costi) realisti? Anche in questo caso, ti rispondo in due modi, a secondo di come vogliamo intendere il realismo. Se intendiamo il realismo come l'essere veri e sinceri, allora ti rispondo che nella musica è indispensabile: un musicista che non è sincero muore dopo poco. Se invece lo intendiamo come bisogno di raccontare la realtà, allora il realismo non è poi così impor -tante: potrei scrivere una canzone che racconta il presente dove tutti ci vogliamo bene, siamo tutti belli, carini e simpatici e nessuno griderebbe allo scandalo. Vincenzo Calò


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Voce e Chitarra, l’essenza e la magia della canzone d’autore L’album Mezzanota è alla seconda ristampa. 500 le copie finora vendute. Se è vero che l’industria discografica è in crisi, non si può dire altrettanto delle produzioni indipendenti e delle autoproduzioni dei tanti artisti emergenti che macinano km lungo tutto il territorio nazionale per promuovere la propria musica con concerti e showcase. Esempio di forza, costanza e tenacia è il duo voce chitarra, Chiara Jerì e Andrea Barsali, che nel 2013 ha pubblicato il primo album “Mezzanota” vendendo 500 copie solo ed esclusivamente ai live e che con orgoglio presentano la seconda ristampa dell’album con un nuovo mastering e una maggiore attenzione alle sonorità che si avvicinano ancora di più alla dimensione “dal vivo” al duo tanto congeniale. Ma le novità non finisco qui, perché il cd “Mezzanota” sarà distribuito e disponibile nei negozi delle più importanti città italiane, da Milano a Genova, da Bari a Padova, da Roma a Sassari, da Parma a Napoli, passando per Saronno, Perugia, Alessandria, Volterra e Torremaggiore (di seguito l’elenco degli esercizi commerciali). “Mezzanota” è un album in duo, voce e chitarra, essenza minimalista e magia stessa della canzone d’autore o meglio d’autrice. Perché di Chiara Jerì sono i testi, racconti fotografici con una soggettiva femminile di temi di attualità, come l’aborto de “La Ballata della Ginestra”; a temi di cronaca nera come quelli rac-cantati in “Innesco e sparo” ispirata da un fatto realmente accaduto, l’esecuzione fredda, lenta e atroce di Giannino Losardo (21 giugno 1980) all’epoca sindaco di Cetraro e che ricorda il coraggio e lo sdegno di una terra, la Calabria, a cui Chiara Jerì è profondamente legata. Non mancano i temi più intimistici, come l’incubo della solitudine cantata in “A Goccia A Goccia” e della sospesa lontanza di “Vorrei”. Nel cd anche un brano inedito, “Amore mio hai ragione” pezzo potente, intimo e melodioso, interamente scritto da Maurizio di Tollo, autore di tutte le musiche dei brani dell’album “Mezzanota”. L’album include anche capolavori che hanno fatto la storia della musica italiana - “La Donna cannone” di De Gregori, “Canzone II” di Pippo Pollina e “Fino all’ultimo minuto” di Piero Ciampi - e che manifestano la passione del duo nell’«interpretare e vivere in pezzi d’autore». "Mezzanota" è l'emblema dell'abbandono totale delle difese di Chiara Jerì e la massima espressione della libertà di questa neo-autrice, che da interprete - il debutto discografico “Mobile Identità” è una raccolta di brani famosi reinterpretati e riarrangiati per le sue corde e per la

sua sensibilità – con questo album esordisce come autrice di testi raccontando dunque la società di oggi con la delicatezza tipica di “una volta”. Nelle canzoni di Chiara, requisito fondamentale è il legame tra musica e parole che diventa forte ed imprescindibile. Nell'album le musiche sono state scritte interamente da Maurizio di Tollo, ma solo con la chitarra e gli arrangiamenti di Andrea Barsali le canzoni hanno trovato quella esecuzione essenziale a far risaltare il significato della parola e del racconto. Chitarrista trasversale nei vari generi, dalla classica al rock, dal folk al pop, Andrea Barsali è il sostegno, l’armonia, colui che rende possibile l’imprescindibile legame tra musica e parole, così come la stessa Chiara Jerì dichiara: «Tutte le parole senza l’Intenzione del suono di Andrea Barsali non sarebbero divenute Mezzanota. – e continua Mezzanota è un neologismo, è un attimo, è imperfezione viva, è fruscio, è creazione, è voce che si stacca dal pensiero e diventa musica, è suono che saluta le dita e diventa ambiente; ma non è musica e non è ambiente, è tutto quello che c’è prima di arrivarci e tutto quello che c’è dopo aver pensato di arrivarci. Mezzanota non si riduce alla sola tecnica. – Chiara Jerì conclude – Mezzanota è l’istante in cui l’Intenzione diventa Musica». Disponibile nei negozi di musica selezionati e nei principali digital stores e nel webstore di CDbaby (www.cdbaby.com) nel doppio formato sia in digitale sia nel classico supporto rigido. Punti Vendita: "Libreria Pagina 18" Via Padre Luigi Monti, 15 - Saronno (VA) /c/o "associazione culturale L'Aereoplano" Via XXIV Maggio, San Vittore Olona (MI) /"Dischi Volanti" Ripa di Porta Ticinese 47, Milano /“ViaDelCampo29:Rosso” Via del Campo 29R - Genova/"Discoclub" Via San Vincenzo 20r, Genova /"New Record" Via Nicola de Giosa, 59, Bari /"Mipatrini" Strada Trasimeno Ovest 7A, Perugia /"Il 23 Dischi" Via G. Barbarigo 2, Padova /"L'Isola Ritrovata", Via S. Maria di Castello 8. Alessandria /"Caffè dei Fornelli", Piazzetta dei Fornelli, Volterra (PI) /"Music Mille" Viale dei Mille, 88, Parma /"Messaggerie Sarde" Piazza Castello 11 Sassari /"Tattoo Records" Piazzetta Nilo 15, Napoli /"La Bottega dei Miracoli" Via Magenta 51, Torremaggiore (FG) /"Libreria Rinascita" Via Sabaudia 36 Roma. Webstore: Mezzanota su CdBaby: http:// cdbaby.com/cd/chiarajerieandreabarsali iTunes: https:// itunes.apple.com/us/album/mezzanota/id728402157 Contatti: www.mezzanota.com www.facebook.com/ MezzanotaChiaraJeriEAndreaBarsali


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Mariama Bà – Amica mia (Modu Modu Edizioni) E’ notevole la concentrazione narrativa sulle adulazioni, di uno stile culturale portentoso, rivolte a un uomo, un finto diplomatico, che si macchia per tutta una vita (ma lo si viene a sapere alla sua morte) di un rispetto totalmente mancato. La forma del romanzo, in lettera marmorea, dallo spirito stipabile in una donna che ha assoluto bisogno di confidarsi con una persona che la possa comprendere, riprende dei conti da rendere, con parole sicure di sé, che sciolgono qualsiasi comportamento sospetto, insensibile. V’è un patrimonio dunque da reinventare alla morte della fiducia umana, che si celebra con ripercussioni ereditarie e per spostamenti minimi, ingestibili per buona sostanza, cercando di mantenere delle altezze di veduta con lo spessore storico dell’Africa nera, e ripartire amorevolmente da un domani. Si appalesa della tristezza per appelli delicati alla considerazione emotiva, che possono spezzare il filo di un discorso indispensabile. L’inaccettabile è stato applicato per regolamenti civili, ma si manifesta all’interno della psiche umana, come un segreto importante, di natura politica. Gli elementi di carattere personale si legano per compite elettive che non s’intensificano, eppure sembra finalmente giusto riconoscere e ripercorrere un cammino per denunciare inganni di presenze morali. Il lettore può assistere da impotente ai ricordi di un’utilità di luoghi al vaglio della storia, accettando l’irrigidimento di decadenti sovraintendenze. La possibilità di bilanciare le opere di sussistenza riguarda una dipendenza alle tradizioni che non risparmia veleni e polemiche sentimentali, cosicché una situazione strettamente personale la si espone, considerandola in odor di letteratura, e puoi ritrovare tutte le illustrazioni di un silenzio per la promozione di nuove vite, di discorsi seri che partono dal basso per cozzare contro il fermo divino. Strutture fisiche e immateriali al contempo barcollano non potendo quasi più rimuovere dei residui di scarti d’inaudito legame, dovendo dimostrare di credere in una programmazione che non appartiene all’immaginario individuale, con usi & costumi che diventano inadatti e una dignità di cui non s’intende l’assenza a una certa decisione, comportando una grettezza ben coperta a tu per tu con l’essere donna. Il racconto della realtà, di un impegno flessibile, si rispecchia a tratti nel tempo di cercare disperatamente una testimonianza sul male di vivere. E’ oggettivamente difficile risolvere una forma complessa di disagio, causa un dialogo che dipende dalla sensibilità che nessuno può insegnarci davvero. Ciò che facciamo può sfociare in una punizione ch’è seria e folle perché mai del tutto trasparente, ma se comprendessimo gli altri potremmo avere la chiave d’accesso per ogni persona che si sente fallita dentro, perché si finge ancora di aprire civilmente una partecipazione sociale, specialmente in Africa, dove occorre ripartire da questo concetto per vantarsi d’avere qualcosa in possesso ed essere all’altezza di una grande famiglia per cui ci vogliono coraggio e prontezza di riflessi quando l’onore non si aggiorna religiosamente. La necessità di tagliare a lungo, per un reale bisogno d’amore, che deve essere assaporato e monitorato nel tempo traditore, impressiona per la poca prudenza di chi vuole innalzarsi per dare il meglio di sé, con servizi e competenze d’amalgamare per persone e oggetti in sintonia armonica. Ecco che la scrittura assume i contorni di un cerimoniale dal peso fin troppo stoico per riconoscere lo specchio civile di una donna, ed emergono i diritti per rifornirsi di politica, richiusi in uno stato di famiglia dall’innaturale disponibilità. La contentezza è un problema di delimitazioni funzionali, forma il pensiero utopico per un movimento lineare dell’essere non inteso nel riportare fortune proprie, distinte dai destini di chi ti prevale intorno: corteggiatori, magari pure giovani, con una molteplicità di fini declassanti, da cui i figli di una madre

di famiglia devono guardarsi bene, oltretutto modernamente incitati a varcare i confini etici. Già, i figli: per farsi carico della loro immaturità, fra tante richieste dall’ovvia lesione, rischi di destinarti malinconicamente alla modernità, con la corsa ai ripari ad assumere i toni di un’iniziativa impossibile da programmare se dall’esterno t’inseriscono in un tempo formativo. Materie prime, quiete, sono i pensieri quando prendono nessuno di mira! (Mariama Bà nacque a Dakar nel 1929. Questo è il suo primo romanzo che, tradotto in molte lingue, ottenne nel 1980 il Premio Noma di Francoforte. L’anno dopo la morte colse l’autrice, malata da tempo di cancro. Il suo secondo romanzo, Un chant écarlate, è stato pubblicato postumo dalla casa editrice Neas. *(note biografiche tratte dalla quarta di copertina) Vincenzo Calò


P AGINA 9 Leopoldo Marechal, "Adan Buenosayres" (Vallecchi) Riuscite ad immaginare un romanzo, che non è un romanzo perché è un'epopea, anzi, no, un saggio antropologico alla Levi-Strauss, scritto, però, da un irriducibile visionario, le cui allucinazioninon solo amorose - si infrangono contro la realtà di un mondo che a malapena registra l'esistenza sua e dei suoi eccentrici compagni di un casuale quanto etilico viaggio alla ricerca dell'essenza primigenia della cultura autoctona e del suo massimo rappresentante :il gaucho? Se ci riuscite ed avete tempo e pazienza, soprattutto pazienza, potete lasciarvi avvolgere nelle dolci spire di quest'opera eccezionale( a parer mio ),per la prima volta pubblicata in Italia per i tipi della Vallecchi ed., dal titolo " Adàn Buenosayres " di Leopoldo Marechal: Cervantes,Joyce,Musil, Dante nonchè Walser in salsa latino-americana al ritmo struggente di tristissimi tanghi. Romanzo-chiave dell’opera di Leopoldo Marechal, è considerato il capolavoro della letteratura argentina del Novecento e uno dei testi più riusciti della letteratura latinoamericana di tutti i tempi, pubblicato e studiato in tutto il mondo - tranne che in Italia fin dalla sua prima uscita nel 1948. Adán Buenosayres è un sogno ininterrotto, un universo smisurato di personaggi e creature fantastiche che trascina senza posa il lettore in una girandola di situazioni e suggestioni irresistibili: il linguaggio esplosivo e straordinario di Marechal fa dell’Adán Buenosayres la lettura imprescindibile per chiunque ami la narrativa e il romanzo, il tassello che mancava nel luminoso quadro della creazione letteraria mondiale. Perché noi italiani ci ritroviamo a leggere Adán Buenosayres con tanto ritardo? Le ragioni fondamentali sono almeno due, una politica e una linguistica. Quella politica è presto detta: Marechal, nei vent'anni necessari per scrivere questo elefantiaco romanzo, non s'era dedicato soltanto alle patrie lettere, concedendosi al vizio assurdo della poesia e all'ozio gentile della drammaturgia: ma soprattutto era stato, en passant, ministro della Cultura nel governo Peròn. Caduto il leader argentino avrebbe avuto inizio un franco ostracismo da parte del mondo culturale argentino. Marechal, con qualche malinconia, s'era battezzato per questo "il poeta deposto". Sì, è frustrante, e profondamente stancante, accorgersi che l'arte è stata periodicamente confusa con le appartenenze partitiche, e spesso è sembrata da esse derivare, o da esse dipendere, in via esclusiva, nel Novecento. Le biografie di certi romanzieri sono tutte identiche, cambiano soltanto i nomi dei regimi coi quali avevano collaborato, o nei quali avevano creduto, continente dopo continente. Veniamo alla seconda ragione del ritardo. La ragione linguistica è meno prevedibile e decisamente più affascinante. Adán Buenosayres, leggiamo nella nota dell'editore, «ha avuto una grande diffusione in tutti i paesi di lingua spagnola, ma l'utilizzo frequente del dialetto lunfardo e la complessità dell'argomento per anni sono stati considerati veri e propri ostacoli alla traduzione dell'opera in altre lingue». Cos'è questo "lunfardo"? Il nome significa, letteral-

mente, "lombardo", in omaggio a uno dei primi gruppi di immigrati ( ne consiglio la lettura ai leghisti nostrani) che cominciò a servirsene, leggiamo in uno dei paratesti. È un argot castigliano, composto di vocabili provenienti da diverse lingue e dialetti europei, quechua e guaranì, molto diffuso a Buenos Aires e adottato nei testi del tango: «Le sue origini furono quelle di un argot o slang di prigionieri, usato nelle carceri per non farsi comprendere dalle guardie, che ricorreva all'espediente - chiamato vesre, ossia l'inverso di revés, rovescio - di invertire l'ordine delle sillabe di una parola. Questo è il libro che ci permette di passeggiare nelle strade che tanti nostri antenati hanno imparato ad amare, parlando in un singolare esperanto. È un'opera d'arte che tracima sentimento. Va interiorizzata con straordinaria lentezza, per questa ragione. Bisogna decidere di dedicargli il giusto tempo. Ci porta nel "vecchio nuovo mondo". Già, un

mondo che non seppe sempre parlare di questo libro con le parole di Borges, che a suo tempo confidava esplicitamente all'amico Marechal: «Il tuo libro mi ha entusiasmato... sono ancora immerso nell'atmosfera delle tue frasi lette e rilette. Che versi travolgenti, che meravigliosa avventura per la letteratura argentina». Julio Cortázar, invece, era stato il primo a scriverne con autentico trasporto, nel '49. L'incipit dell'articolo è talmente chiaro che non va tradotto: «La aparición de este libro me parece un acontecimiento extraordinario en las letras argentinas». Mezzo secolo più tardi, i letterati e i lettori argentini si sono accorti di quale patrimonio sia questo libro, e di quanta ragione avessero i loro maestri d’antan. Vincenzo Zizzo


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elegante composizione e piace- orecchiabili. Tutto qui, oggi involi melodie (amabile il refrain vece presi dalla crisi s’infighettad i “ M i l a n o - R o m a ” ) no tutti e cercano di racimolare By Frank Lavorino

P.C.P - “In Viaggio con Alice”(BlobAgency) Arrivano da Milano i P.C.P, simpatica sigla abbreviativa dei Piano che Piove. Nove piacevoli ritratti leggeri ma veraci della sopracitata metropoli lombarda. Siamo a metà strada tra un lavoro cantautorale e un disco più prossimo a sonorità jazz; un primo album autoprodottto e registrato interamente in acustico, nato in pratica quasi in presa diretta senza troppi sciroccamenti sonori né aggiunte di alcuna forma di overdubbing. Della serie: semplicità al potere! Si capisce sin dalle prime note di "In Viaggio con Alice" che non siamo di fronte al trip di una ciurma di hippies strafatta in cerca delle più primordiali soddisfazioni: è il box personale e ordinato di chi della vita possiede già una concezione ben precisa e non ha nessuna intenzione di gridare e/ o imporre il proprio pensiero. Sapori nostrani, sensazioni di estrema pacatezza come in “Metà marzo" o in brani più personali, è il caso di "Come si fa", si alternano ad episodi in cui la formazione meneghina abbandona la sua hometown e si avvicina ad uno stampo sonoro più mediterraneo, come accade per esempio nella title track. Molto godibile anche l'intro del singolo "Le Ore Contate", che mi riporta mentalmente per cinque minuti ad oziare beato all'interno di un bistrot, per un'ambientazione degna di un film felliniano. Un gruppo di amici e di brave persone che si ritrovano con piacere a sorseggiare un whiskey insieme quando capita e parlare della vita...; da questa musica traspaiono le fondamenta dei loro sentimenti e dei loro progetti comuni. In fin dei conti siamo di fronte ad un disco che di certo non sorprende per la sua genesi o per il suo sviluppo ma che ci regala momenti di

P I N K F L O Y D . “The Wall Immersion Edit”. (EMI). La bellezza di sei cd +DVD , il sogno dei fan dei Pink Floyd si realizza del tutto, contiene pezzi dei demo e le speciali versioni di Thin Ice e Goodbye Blue Sky , senza effetti sulle voci, capolavori di una band mito nel rock storico. Antonio Di Lena VOTO 8/10

C A R A C H A N G R E N . “Where The Corpses Sink F o r e v e r e ” . (Season Of Mist/ Audioglobe). Gli olandesi Carach Angren tornano con un capolavoro che si potrebbe benissimo definire un “musical dark”, con tinte teatrali black tra Satyricon e sinfonie orchestrali . Nulla viene dato al caso e le minime parti musicali vengono attribuite alle tracce con maestria e sapienza, ottimo disco per un film d’avventura magari del genere “assetati di sang u e ” … . Antonio Di Lena VOTO: 8.5/10 P U N K R E A S . “Noblesse Oblige”. (Edel). Come giocatori di golf tornano alla ribalta i Punkreas , già in passato ci avevano regalato non capolavori ma pezzi

qualche spicciolo vendendo questo cd di bassissima fattura. Poche idee e un punk che di punk non ha neanche il nome . R i m a n d a t i … Antonio Di Lena VOTO 5/10

SUSHY “Faccio Quello Ke Voglio” (We Can Records/ Universal) Se c'è bisogno di un tormentone da infilare in campagne promozionali per prodotti di largo consumo pubblico richiedetelo a sushy.Lei canta "faccio quello ke voglio"...non sembra,è chiaro che si sta facendo assorbire da esigenze discografiche che sfrecciano senza lanciare un ricordo.Indubbiamente è portatissima al microfono,ma temo che non trasmetta appieno quel senso di ribellione,rimarcato volentieri con uno stile che esalta invece la sua immagine esterna. I messaggi (a forma di sms) si fanno prosciugare,incattiviti debolmente con toni leggeri da chi punta al profitto piuttosto che enfatizzare certi difetti umani per migliorarsi ulteriolmente andando oltre i canoni d'impatto predisposti.Fa quindi tenerezza,ingurgita una verve rockettara ma si trucca tamponandosi la coscienza con il r&b e il funk,come se avesse paura di svanire nell'acquario delle illu-

sioni. L'interpretazione è compressata dal raggiungimento stracotto di un obiettivo, e si lascia divorare crudelmente dalla banalità di gesti che minano il rapporto di coppia,come dalla sensualità moderna che eleva l'individuo fino a renderlo impalpabile in un fluire stressante di fighettoneria. Aprendo questa dimensione,il chiacchiericcio prende a pulsare nelle tempie e sogni d'essere vincente. Vincenzo Calò VOTO 7-/10 NATALIE IMBRUGLIA “Left of the Middle” (BMG) Il cuore della realtà di questa artista australiana batte in un angolo remoto della sua stanza, e lei ci rientra nel calcio che gli dà, per destini avversi da rivedere subito in sfida, in buona sostanza, dal tutto del niente. Ascoltandola ti sciogli, non puoi fare a meno della sua intraprendenza con cui prova a sfondare tra i nervi il loro spendibile. Nelle sbavature del giorno, cercando giustizia troviamo i suoi sensi, immagini combinate dal disincanto con forze smarrite da un motivo per conoscersi, a seguito di un periodo di magra (natalie imbruglia, essendo anche un'attrice, soffriva di "disoccupazione"). Il tratto umano (riassunto con quel giro armonico all'inizio di "torn") è meta ambita per gli avvoltoi, ma la voce splende comunque, strattonata dalla fragilità di una ragazza come tante, sui suoi oceani ghiacciati, pacifici, su cui sei sempre pronto a festeggiare il terrore d'amare qualcuno/a per poi dire che non ce la facciamo e cedere nuovamente il cuore, ricominciare da vie lontane, le zone meno a rischio, a richiedere assurdità per il resto del mondo che non conta più niente e che passa tra le gambe, a caccia di un'idea tirata al sole e finita negli occhi di natalie, che tolgono il respiro, riconducibili nei diritti di una persona, per ricostruire la normalità nei punti che indichiamo, su agonie discontinue grazie alle ballate di questo album, uno dei più raffinati lavori pop-rock di fine anni '90, di fresca ampiezza sonora, che ha fatto presa senza eccessive pretese. VOTO: 9-/10 Vincenzo Calò


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VERDENA. "Solo un Grande Sasso". (Universal). Inabissato, quasi ad assistere alle funzioni organiche, con una calma apparente che ricopre la dolcezza di un'evasione, rinunci all'inizio a farti largo nella testa. Gli eroi paiono arresi ai vuoti che l'amore, nudo e crudo, colma esagerando, barcollando sui fili del caos esistenziale sussurrato con tempi musicali dettati da un'energia intravista ad implorare qualcosa di nuovo. E' qui che il "regressive" spunta e sospinge la band in su, verso la gola secca dell'ignoto. L'inacidirsi di una meta obbligatoria stacca ogni quesito dai buoni intenti, e danneggia la scintilla di un tu per tu che muta in suono ingombrante. I Verdena vogliono perdersi nel cielo per scatenare temporali, gettare rumori sulla terra identificata in una sofferenza risaltata da un intreccio di chitarre elettriche ripulito dalla batteria e poi fumato da parole che centrano il bersaglio. L'unico bagliore incandescente langue nell'immensità di un risentimento che non conosce ridimensionamenti. Alla coda della propria importanza, sul far della morte di un battito di cuore, il delirio rende limpida l'angoscia e produce amara, intrattenibile ricchezza d'istinto che si concentra nello specifico dell'essere, indifeso, deciso a fuggire urlando al Destino, cavalcando attriti invasi da cenni di superiorità, a costo di distruggere quello che si era creato in coppia. Ma il ricordo, ancor fresco, irrompe a stabilire contorsioni mentali. Ripararle è un'impresa che non ci riguarda, è d u r a . Vincenzo Calò VOTO: 8/10 FORETASTE .“Alone Whit People Around E.P.”. (Boredom). Il duo francese estrapola il suo secondo singolo dall’album Love on Demand, è giusto che per far sprecare alla casa discografica un po' di soldi s’inventi questo E.P. omonimo con tre versioni della stesa traccia. Un synth pop d'ascoltare in viaggio di notte ma attenzione a non prendere sonno. Antonio Di Lena VOTO 4/10 L E N N Y K R A V I T Z . “5” (Virgin Records). Col fracasso vocale smussato

dal sentirsi irraggiungibili, su una base meravigliosamente schitarrevole puoi connotare un’interpretazione pop trangugiante cenni di ok nella libertà che suggella il vento della passione. Il funky, beneaugurante, tralascia stermini d’impressione soporifera all’americanata tendenza di avercela con chi non sa calibrare la mira verso il cielo. Nella prima parte è come se James Brown sfrecciasse in macchina a irradiare l’autore prima, e il suo capacitarsi sulle constatazioni amichevoli poi. Languida fusion di appropriati convincimenti scavalca ogni sorta d’altruismo, per destare trasgressione in sguardi che dicono tutto e il contrario, al vuoto privo d’angolature ottuse, cercate senza darlo a vedere per il compito di risollevarsi dal palpito sonorizzante la bellezza dell’attrito istantaneo, che scorre sulla pelle di cacciatori e prede in azione seppur perennemente sconvolte da figure di riferimento (che nel caso di Lenny Kravitz è sua madre, attrice di sit-com esportate in Italia con successo…mi ritornano ora in mente i spassosissimi Jefferson!). Nel complesso è un omaggio alla Vita data, colta e spremuta sull’orizzonte raggomitolato, a dimostrare di tenere duro nei movimenti lenti da smargiasso, atmosferico incontrista. Non puoi fare a meno di riprendere a evincere la vastità antifona del rocker, che si oscura con la foga dell’uomo che non deve chiedere mai, per effetto melodico, strisciante sull’immagine bella che composta dal principio umanitario, e poi catturabile dalla verve elettronica che persuade invece spaesata indipendenza. Lenny scrive, canta, suona e produce come a celebrare la sua forza d’animo che non sembra trovare paragoni oggettivi, attorno a lui v’è un piacere percussionevole che, invece di frugargli dentro, eleva smania di protagonismo. I pezzi, facilmente staccabili l’uno dall’altro, ti rapinano letteralmente, alla strenua di versi utopici in lamina d’acciaio, di parole ripetute nell’occasione di tracciare un punto di vista a favore del delirio scombussolante l’organismo servizievole quanto un lusso che magari non avevi richiesto, per cui devi ringraziare l’intoccabile malinconia…la conseguenza è che ascoltandoli ogni parte del corpo va per conto suo. Soul e jazz restituiscono spessore all’album verso la fine, alla riproduzione dei sensi ambiti pacatamente, in cui spiccano stavolta tastiere che si offrono volentieri a mani aperte come ad amplificare il protrarsi di un contatto esterno, ma pur sem-

pre autobiografico. L’ostacolo va inteso come distanza da percorrere per non dare soddisfazione a chi combatte sporco per attenuare un senso di colpa. Col potere di assegnarci a dovere, in un mondo carente di supereroi pare che non ci si comporti nel migliore dei modi, e che si perda gusto a rettificare la realtà. Forse s’è figli di un pregiudizio, e spariremo a ruota per un bene personale, con la mente serenamente basata sulla superiorità sessuale, non essendoci altro da comporre. I cambi di rotta vengono eseguiti tra l’apertura e l’avviamento di un motore, come se non volessi tornare indietro mai più, a comprendere l’imbarazzo totalitario, in uno spazio esclusivamente pubblicitario. I quesiti su eventuali programmi cuociono la carne, non parlano di caramelle, ma la svolta non arriva se metti in giro grossolanamente un’esistenza. Sognando come tutti scherzi nella libertà dei poteri conferiti, nella possibilità concreta di procacciarsi caratteri senza un mandato, che va gestita da professionista, come uomo di guardia, col segnalatore automatico di posizione non guasto. Sì, se battezzassi ogni cosa al suo tempo meriteresti beatitudine, la stanchezza del sentimento più imprevedibile in un colpo di frusta, ma le cose si fanno a modo proprio, e invii messaggi per sperare poi di essere richiamato a mordere come un essere umano in una specie di gioco d’ombre, aperto come lo sono gli occhi nel corso di una sorpresa innocua, di una festa d’intenti che raggiunge il culmine per mezzo di una semplice arrabbiatura, non avendo secondi fini o, peggio ancora, la voglia di assistere a delle scelte illogiche nell’immobilità parziale di un grande tema di discussione che sa, al tatto, di sbarre di prigione. Condivisibili in parte, non possiamo salvarci appieno dai fallimenti epocali, mai chiariti in primo piano, facendo un ottimo, indefesso lavoro, e così veniamo presi a male parole nella stagione delle fortune, messi in castigo, in un deposito di armi leggere memorabile come il relax che serve per esagerare a salutarci a v i c e n d a . Vincenzo Calò VOTO 9/10 N E C R O P H A G I S T “Epitaph” (Relapse Records/ Self ) I Necrophagist sono una band tedesca di technical brutal death metal capitanata dal geniale chitarrista –cantante Muhammed Suiçmez , che, con questo disco ci regala un misto di brutalità e melodia fuori dal c o m u n e . B r u t a l i tà,tecnica,melodia ecco gli in-

gredienti di questo album. Fin dalla prima traccia, “Stabwound”, si viene colpiti dalla violenza sonora proposta dai Necrophagist:traccia trascinante,devastante,riffs fenomenali e mai banali che sfociano in assoli di chitarra ultra tecnici e melodici.Segue la fantastica “The Stillborn One”che alterna tempi cadenzati a sfuriate tipicamente brutal con riferimenti a Per Elisa di Ludwig Van Beethoven.Successivamente tocca a Ignominious And Pale forse il pezzo più debole dell’album che non brilla di luce propria.”Seguono le stupende“Diminished To Be”, “Epitaph”e “Only Ash Remains”;quest’ultima spettacolare arricchita da uno passaggio di Romeo e Giulietta di Prokofiev (inserito alla fine).Chiudono l’album “Seven”e “Symbiotic In Theory” pezzi distruttivi,travolgenti. In definitiva Epitaph è un album geniale:ottima produzione,ottimi pezzi ma, può risultare di difficile ascolto perché i pezzi risultano molto intricati e le strutture sembrano assomigliarsi le une all’altre ma è solo un’impressione dopo alcuni ascolti infatti non potrete fare a meno di ascoltarlo. Gabriele Casale VOTO 8/10 STING “If i Ever Lose my Faith in You” (A&M Records) Paladino dell'amore, alle prese con le tempeste provocate dalla sua passione, che armonizza la sua lei per risiederci nei pensieri...E poi naufrago in umplugged, a fargli compagnia è la sua voce, ricamata e calda, che richiama l'attenzione maledetta per intraprendere una voglia di possesso, cingendosi di musica serafica, con le luci soffuse e facili da immaginare mentre immalinconiscono il sound, per graffiare il vissuto dei presenti all'esibizione, sollecitato dai tocchi d'artista di una band invisibile dietro di lui, avente quel senso d'avventura ubriacante nei toni del soul come nell'ampiezza del jazz, con in mezzo una candela inneggiante al blues. Una botta e via… Vincenzo Calò VOTO8-/10


P AGINA 12 VINICIO CAPOSSELA "L'Indispensabile" (Warner Music) Impressionano le sue cavità vocali riempite dall’umiltà nel predisporsi alla malinconia poi giocabile con un’interpretazione per nulla preventivata, di una originalità surreale, che spreme la musica, artigianale, nota per nota. Lui delira da Dio, a tratti fa pure una certa paura, scioglibile dal divino fiato che anima trombette, trombe e tromboni, mentre le corde armoniche s’intrecciano per un immaginario in festa. Basso e contrabbasso sono d’appoggio per una retroattiva introspezione del paesaggio in movimento, così capita che effluvi di terra d’Oriente s’insinuino tra i colori della primeggiante America latina, in una definizione orchestrale che ti fa venire il buon umore, che ammalia la danzareccia fede nel Prossimo. Le viscere dell’ascoltatore vengono profumate dalle leggende del buon vivere, dagl’impulsi di un amore civile completato dalla romantica solitudine di Vinicio, di un groove macchiato da gocce di vino miste al sudore del tipico tanghero, offuscato dalla vaporosa espansione di popolari, improfanabili usanze. E che dire del cantato, deruttato in una parola che non conosce soste, se sei portato alla poesia del piano tastato dalle incursioni di un tempo che fu, dipinto dall’autore prendendo spunto dal suo avere un’aria allegra ma morente per sempre in un tu per tu allentato dal silenzio delle percussioni come dalle sinfonie ansanti. L’insieme è posseduto da una capacità d’osservazione che mira all’alba che attende il tramonto e viceversa, trascinata nel buio più bestiale, di quei vicoli cittadini dimenticati dal moderno consumismo, illuminato da versamenti di swing. Il risultato è uno splendido giramento di testa che non puoi bloccare, perché almeno Vinicio Capossela va lasciato stare a sorridere al terrore del Domani, al cielo puntellato di stelle, da un sogno umano. E’ una greatest hits che alimenti centrandone il trasporto, equilibrato. Ci si esibisce in misura imponente ma con un peso esiguo, a imbastire il complesso rapporto diretto con la responsabilità di ciò che accade, di fronte ad una implicita pressione sanguigna, idee in caduta libera su di una specie di campo neutro, che fan disperare ciascun sentimento tra arrivi e partenze, in forma vaga e ottimistica, con fermezza inesorabile, scavalcabile solamente da ciò che si vive volendo procedere con una certa energia, in colpi di frusta e sotto tempeste di orgoglio, a far lievi-

tare una spiegazione provinciale senz’aver preteso l’invito ufficiale per sortire l’effetto speciale che cerchiamo, con la vera sofferenza del soldato steso in verticale, dinanzi agli amori di un popolo sotto l’impeto struggente degl’ideali, della natura che balza agli occhi dando credito alla spirale della volontà, come ad assorbire l’appariscenza, lo squilibrio tra la realtà giuridica e quella di fatto, pratiche già archiviate che ammollano la tensione per una ragione di principio dalle normali speranze, per uno spirito eversivo che cambia il corso di storie singole nell’applicazione della logica all’ostentazione della fragilità per parlare ancora più chiaro, abbandonati alla sostanza in compromettente riserva. Si sta più o meno allo scoperto, con lo scambio di troppe parole a confermare le nostre necessità di ferro scaldato sulle asperità della vivacità, a generare esistenza per poter sembrare curiosi poi ricontattando decisioni immortali nelle firme reali sui grandi quesiti di un re che mai si confronta con la gravità degli avvenimenti. Ci forniamo di una svolta radicale indagando su come si mangia e beve nei voli del silenzio, quelli che non sono in programma nelle guide turistiche, nei fatti rivoluzionari con protagonisti i padroni del dramma morale, come sui vecchi disegni dell’assenza o per atteggiamenti ambigui. La simpatia per il rispetto che proviamo per i raggi del Sole regge il nostro fuoco sacro, che diverrà una stella nelle mani di un istante per coordinare azioni di rivalsa come scegliere i tempi di congettura tra le figure di spicco logistico che intervengono in modo amichevole rappresentando forze efficienti radunate da una parte, a nutrire fiducia per gli accordi di base riportati dagl’incarichi civili, in base agli ordini predisposti dando un’occhiata in giro invece che la mano con ogni mezzo, col coraggio di confessarsi ai processi di scissione dall’organismo, in fenomeni profondamente anarchici che impediscono, contenendolo, il disordine creato dal materialismo, dalla violenza delle cose, di una banda di tipi sospetti, usata sulle soluzioni min i m e , n a t u r a l i . Vincenzo Calò VOTO 9/10 OF F LAGA DI SCO PA X . “Bachelite”. (Santeria/ Audioglobe). All’inizio, dolci accordi di chitarra classica ti fanno immaginare chissà quale elucubrazione sentimentale, poi retrocedi in un amplesso equosolidale che non c’è mai stato, un’assenza incentivata da illu-

sioni portate alla ribalta, completa di personaggi del mondo della cultura, dello sport o dello spettacolo convinti, dall’inizio alla fine (che non è ancora stata sancita finché si esibirà questa band), che una fede politica non vale l’altra. Ce li vedo bene gli OfflagaDiscoPax ad accompagnare il creatore di Blob, Enrico Ghezzi (e lui sì ch’è un mito!), nei suoi racconti di cinema controcorrente su rai3, nel cuore della notte, con un unico frammento estremizzato d’intelletto armonico e atomico al contempo, di cui non saprai mai se portava o no a qualche energica illustrazione, del Tempo e del caso, da condividere. Quindi, ip ip urrà alle sconfitte dei propri sogni, a colmare una realtà che non è la tua, per la quale forse non vale la pena sopravvivere, ecco che il sonoro si computerizza con parsimonia, come se si vagasse nella gestualità di terroristi appartenenti ad una vena provinciale inquadrata idealmente, negli anni ’70, che al 2010 non viene intagliata con curiosità dai più, ma rinsecchita noiosamente. Il sintetizzatore si risveglia di tanto in tanto come uno zombie che ti fulmina dando una debole pacca sulla spalla, in paesaggi e percorsi di un vivere civile in fondo ingestibile, mixati parlando esclusivamente alle macerie del comunismo. Sempre più fieri di una solitudine alimentare riassumibile in una nota musicale che, non evolvendosi, rigonfia atmosfere di evasione incidentale, sulla quale si gioca al massimo con secondi di violini e sax orgiastici, ma assolutamente non rotti come può sembrare invece la batteria, di timida ripercussione o nulli come il rock che ci sarebbe andato benissimo, e che avrebbe fatto rifluire uno scompenso emotivo odorante di chiuso. La voce, di cervellotica rimembranza, s’impegna nell’istruire invano il germe della modernità, di certo maggiormente volgare, e stona con sarcasmo, perciò ne deduco anche in ciò l’unicità del tono nella non del tutto presa in giro dei principi di una libertà pasoliniana, sfruttata con una campionatura elevata all’intimo, quasi struggente. Stanchi come verità nascoste, indossiamo corone di pensieri morti. Per ricordare qualcuno che ci somigli proteggiamo la nostra reputazione, con un’ansia celebrativa da giustificare ripetutamente, per essere quantomeno apprezzati come orgogliosi ricostruttori di un patto di stabilità. Riconosci gli uomini buoni quando questi hanno cose importanti da dire, con bocche impastate di malinconia e disperazione, in

posa per un quadro infinito. Per un ascolto felice di niente d’insolito non si deve sentire mai puzza di bruciato. Ci si viene incontro, in amicizia, credendo al progresso, tra i suoi verdetti di diversa gradazione. Nel chiedere tolleranza zero manchiamo spesso in senso lavorativo, perciò quella reputazione da proteggere la dà in barba alla Ragione che risiede in case modeste, comportandosi come un essere umano a ricoprire il venerabile, senz’aver mai capito com’è la situazione dei servizi pubblici, inventando inconsciamente problemi di contrapposizione, la caricatura di qualsiasi immagine, con la forza di permeare autenticità riformatrice attraverso delle debolezze strutturali, giocando politicamente con un processo creativo. Intravedi la luce con una straordinaria forza d’animo, tra le fughe potenti di una ingrandita, vulnerabile innocenza e i fragili ritorni di una fame di sogni, vigilata sopportando il cammino della propria presenza sul tempo per sballarsi, per avere un aspetto fantastico, col nome scritto addosso per non perdere le occasioni di rivincita, invece che vagare senza una malattia nei famigerati carceri di una leggenda ideologica, come le transazioni di un aggravio pesante qual è l’identificazione degli omicidi di una inesatta mente. Vincenzo Calò VOTO 7+/10 RISONANZE FOLK “Per il Sonno, per l'Ipnosi o per il Vino” (Autoproduzione) Strumentale allegria dilaga, annullando i limiti seccanti del perbenismo, con un sapore retrò ad infiammare il sistema nervoso fino a renderlo sorte bruciata per dei capricci popolari. Le tradizioni martellanti sulla dignità, stando al messaggio che si vuol comunicare o imporre se dipendi o meno dalla memoria sconfitta dai tempi moderni, sono però facile preda delle traversie ideologiche. S'inneggia al sentimentalismo dell'emigrante destinato alla povertà del suo ruolo liquidabile con la voce del silenzio. Il linguaggio della quotidianità fa il suo gioco orchestrale, enfatizza i difetti di un risveglio, e il sorriso si colora d'intimità per essere stracciato dal sovrano di turno. La ribellione, a parole, viene cancellata e resta una cornice per dei vuoti violenti come l'indifferenza, a forma di spirale. Il succo musicale non è per niente dolce, se bevuto in un sol sorso da chi non lo sa gustare. Vincenzo Calò VOTO: 7+/10


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TIMORIA "El Topo Grand Hotel" (Universal) Qua si gioca sul pessimismo dimensionale con un talento, che non si crede di avere, per suscitare emozioni, filtrare analisi di uno sballo mai adagiato sulla pelle. Classica restaurazione di un principio di ribellione, di un sogno. Godi facendo parte del ribrezzo provato dagli altolocati, dal vicinato che non ti conosce, prevenuto ma comunicante, per l’univoca forma di un’agonia decentralizzata, in merito alla pesantezza della solitudine da spartire ufficialmente. Ci sono pezzi abbandonati ad un pathos elevato all’ennesima potenza, non compatti, forse per non apparire intellettuali e antipatici di conseguenza, riprodotti da un malessere da revisionare, che genera isterismo curato ad arte, attraverso un rock alternativo, che non guarda in faccia a nessuno, che rasserena la disperazione per un’emarginazione in fondo necessaria per riscoprirsi, per non passare inosservati, con delle chitarre elettriche meravigliosamente balorde, che si aggrappano alla coda di una voce parlante, avente degli acuti stiracchiati nella frenesia della melodia che si vuole espandere, posseduta da una vena poetica, incalcolabile se i Timoria la dovessero sputtanare, fino a riempire l’atmosfera lentamente, di una libertà di significati, che se non la reggi più sei costretto ad appellarti al conformismo più popolare, tombale. Le riflessioni si rilassano in un sentimento inghiottito come se nulla fosse epocale, per l’idea di far rumore suicidandosi, smussata fuggendo nel mondo coi suoi brevi cenni d’intesa, convinti di non avere lasciato un segno di speranza alla gente che non la smette di cagarti sopra strizzando l’occhio. Eppure c’è il fiato per sfidare l’aria di un nuovo giorno, ad animare il sax ed emesso pure nei flauti, per fingere d’essere forte, quando invece non vorresti accorgerti di stare sospeso in caduta libera. L’eccesso di spontaneità però si avvicina al ridicolo, l’identificazione in tal caso è dura, addensata per giunta dalla notturna predisposizione all’assurdità della Vita, stavolta attra-

verso un’erotica singletudine, con un sound senza fronzoli a scrostare l’udito per lo stantuffare alle percussioni, ad un ritmo inviolabile che poi viene bloccato per l’americanità del vagare, di dura esportazione, immaginando di tenere testa a dei monumenti che rispondono al nome di Bob Dylan o di Jim Morrison. Lasciata sfogare la band, l’album comincia ad ingrossarsi di una leggerezza armonica gravante sui contenuti, a rendere quasi scadente la deduzione, che da culturale retrocede in culturistica, con collaborazioni pop per un presumibile adattamento radiofonico, ma è una pecca che puoi riuscire a constatare solo se ti ostini a memorizzare il complesso d’intenti borghesemente, dall’alto verso il basso. Alla fine del mondo, dormi, prigioniero di un dovere che ti leva i pensieri dalla testa. Ti richiudi nelle verità degli operatori in attesa, col coraggio di esporre delle idee parlando in maniera eccessivamente chiara, con la capacità d’imporsi per ritenersi tranquilli nelle alleanze fatte con chiunque abbia da dire qualcosa sulle iatture, sulle nostre speranze, al transito di più cadaveri ripresentati in fase esponenziale, a impoverire la generosità con le sue storie di assurdità temporanea, di un bene privato, oltre le nostre invalidità, di un impeto drammatico, battezzatrici di nuove voci convenzionali, non propense alle analisi batteriologiche in riguardo ai simboli storici della purezza, non sapendo da dove si debba cominciare, cogli occhi accecati dalla polvere alzatasi dalle cancellate osservazioni di una pressione sanguigna abbassatasi a calpestare le fragilità nell’effettuare precisazioni senza annoiare, su come riprodurre il fiato per non darla mai vinta ai vermi nello stomaco o sulle radici spoglie, in un astensioni stico modo di confortarsi. Torniamo a casa non facendocela ad alimentarci, a curare il proprio orticello con le mani immesse nelle porcate che si vanno a benedire, come animali domestici spiaccicati sulle strade, dopo aver pagato dell’acqua, il suo consumo regolare come gli affetti per constatare le responsabilità, tristemente pattuite per aspirare il gas fuoriuscito dal disappunto appreso con la difficoltà di definire un’offerta per non risultare letteralmente dimenticati tra l’inventiva e la sensibilità coi costumi addosso, replicati volendo un tempo per sé, per arrestare la rottura di palle nella condivisione di qualche interessi, nelle favole di un errore, e andare più lenti, per una colonna vertebrale dalle inclinazioni impopolari, coi

fastidi più ricorrenti del solo dolore esistenziale, quello che semplifica gl’innamoramenti, i percorsi introdotti all’interno della gestione fisica, tra le pause pubblicitarie per promuovere divieti di sosta come opere di goliardia avvicinanti la massa terrestre con una forza di attrazione poco impegnativa, a spezzare l’immobilità, il variare delle mode, della comunicazione per star bene al controllo del contatore energetico, per sentire forte il tuo buongiorno a valorizzare prodotti sicuri, ad attrezzare gl’impedimenti per rimediare una sovranità che rappresenti l’attenzione sui processi emotivi che sporcano la pelle, l’età che non interviene per trovare una soluzione alternativa agl’insani divertimenti, la musicalità di un sentimento nelle fasi d’irritazione, associata ad un notevole giovamento, all’iniezione di altro sangue, ovvero la venuta in visita del segnale fisico di confine tra due anime moltiplicate per gli sforzi civili nel prenotare un pensiero cortese, come le sberle ficcanti di una violenza minore, i m p r a t i c a b i l e . VOTO: 8,5/10 Vincenzo Calò TARJA TURUNEN “My Winter Storm” (Universal) Spettacolare, unico, commovente da non crederci ma soprattutto da non perdere! Come i Guano Apes senza Sandra Nasic così i Nightwish senza Tarja Turunen, è inutile stare dietro a fare storie e storielle di gossip prettamente musicale... Tarja era l’anima dei Nightwish senza nulla togliere agli altri componenti del gruppo, talentuosi ed originali nel genere, ma la Turunen ha consacrato con questo cd la sua superiorità artistica e creativa, basta ascoltare alcuni riff di chitarra e qualche giro di basso più duro per capire che questo album è un premio a tanti anni di liderismo nightwishiano senza precedenti. Non vogliamo ora paragonarla solo con il suo ex-gruppo ma credetemi, “My Winter Storm” è una carica di intro e canzoni bestialmente belle. Da segnalare il bonus DVD che a parte una ricca galleria fotografica contiene tre versioni differenti una dall’altra del singolo “I Walk Alone” e una splendida intervista -racconto all’artista per quanto riguarda il cd. Il più del lavoro è indubbiamente l’adrenalinica “Ciaràn’s Well”. Molte riviste a livello internazionale hanno consacrato questo cd come topalbum e chi sono io per non fare questo? Ora speriamo solo di rivederla in campo la prossima volta con un album che dia continuità a quanto fatto fin’ora, alla faccia della nuova cantante dei N i g h t w i s h .

VOTO 10/10 Antonio Di Lena CATS’N’JOE.“Cats'N'Joe”.(Ep Autoprodotto). Brindisi diciamocela tutta non è solo hip-hop, sarà la culla del basket, del porto e della porta verso l’oriente, pugliesemente parlando, ma è anche terra, più delle altre apule, di sconfinate band rock pronte alla ribalta, ricordo Creme, Psychocandy ecc… ed è da qui che escono i “Cats'N'Joe” band dalle fortissime influenze rock’n’roll, che vi assicuro, visti in versione live riescono a condurvi in una dimensione molto hippie. Suonano bene ed è ben curato il loro Ep d’esordio, infatti Silvia & company riescono a rievocare suoni spesso non utilizzati quasi più dalle band attuali, invece loro coraggiosamente (come accade spesso in Puglia) hanno scelto l’autoproduzione, per mettersi in gioco, per dire la loro o forse, perché no, per far capire a più di qualcuno di che stoffa sono fatti. Sound molto anni settanta e ambientazioni festaiole, sono questi gli eterni figli dei fiori brindisini. Dinamici, allegri, concreti. In bocca al lupo! Antonio Di Lena VOTO 7/10 LE CARTE “100” (LaRivolta/ Zimbalam) Se vi piacciono Afterhours e Ministri, si band con la voce graffiante a tinte pop rock, be fate un pensierino per questi Le Carte. La band attiva dal 2007 si presenta con una formazione tipo se vogliamo usare un gerco calcistico, batteria, chitarra e basso ovviamente in attacco ci mettiamo la voce. Un album con diversi potenziali singoli racchiusi da giri armonici che arrivano subito all’ascoltatore. In bocca a lupo. Antonio Di Lena VOTO 6/10 LINKIN PARK “Living Things” (Warner) Sono passati quasi tredici anni dall’uscita di Hybrid Theory, e sinceramente ero convinto che con quell’album il nu metal dei Linkin Park sarebbe rimasto sempre lo stesso, invece caduti nella trappola del music business gli americani in questione hanno prodotto delle boiate atroci, uno fra tutti il cd con J-Z. Ora tornano con questo Living Things ma nulla sembra essere cambiato, per quanto si sforzino a farci capire che vogliono sembrare incazzati, fatemi un favore cari Linkin Park se incontrate qualcuno che tredici anni fa ha aquistato Hybrid Theory statele alla larga, potrebbe essere lui quello incazzato d a v v e r o . Antonio Di Lena VOTO 3/10


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DEMETRA SINE DIE. “Council from Kaos”. (My Kingdom Music). In veste dark, l’alternative prova disperatamente a colmare il vuoto emotivo, tradotto in metal, di questa band genovese all’esordio che, aggrappatasi alla voce coinvolgente di tal Marco Paddeu, pende in atmosfere tagliate da una ritmica semitribale per essere poi annientate da un noioso riff, fino a cadere e rialzarsi malinconicamente dalla superficie di accenno progressive. Si percepisce scarso impatto di produzione, a malincuore dato il sound che annuncia la sua fertilità all’amalgama dei pezzi. Attraversando i testi si perpetrano risorse misere, succhiate per competizioni inevitabili. Ci si ripete per luci fioche, tra ipotesi di reato ancora da fornire come ricerche di un abbandono spirituale, cogli accertamenti sui contatti a indicare una sensibilità nel vento forte, interpretato come una pena di Morte, cogli animi dinanzi alle loro vecchie forme di panico… immagini disattese da fatti determinati come fuochi fatui, sparsi tramite prese di possesso incredibili. Ci si dedica un mezzo termine da trombare in maniera fisiologica, con facce da spaccare in un colpo di sballo, fumante all’ascolto del giusto sempre più latente. Le nostre posizioni s’induriscono, chiuse nei mutamenti climatici, riviste istintivamente come non mai, a modellare dei vizi con la pelle sovradimensionata, a sostenere le considerazioni sulle proprie esperienze… dichiarazioni per eccellenza, agli occhi che ora si allagano per un significato in senso stretto, per convocazioni urgenti, fissate sottocosto come cose da raccontare col fare rassegnato, col lusso di divenire malati, risposte irragionevoli per accadere normalmente. Il proibito campeggia in copertina, femmineo, testimoniando sui rimorsi senz’alcun silenzio analizzabile per contestualizzare un giudizio sprezzante e chiarirsi come demeriti, rovine. Vincenzo Calò VOTO: 7-/10 TIROMANCINO “In Continuo Movimento” (Virgin Music) Facendosi carico delle dimensioni spasmodiche, in quanto extraurbane, dell'umanità,

sulle spalle nude, questa band procede per un pop sapientemente deviato da una sofferenza agognata, introspettiva, che nel suo disuso viene giostrato dall'elettronica, efficacemente romanticizzato con melodie che ti lasciano in sospeso, che partoriscono effetti sonori di cui gli autori n'enfatizzano il travaglio, per poi tornare a correre con la fatica incattivita, correre per degli acquisti di minuzie immateriali in luoghi di fiaba, come bambini svalutati, strappati per forza di cose d'albe che ti trovano impreparato alle traduzioni del cuore, in contatti rarissimi, a segnare le difficoltà accresciute dagli sconvolgimenti del capitalismo. Presi a caos avvenuto, mai pronti alle novità, per assorbirsi delle conferme, intuite e poi subite, sulle nuove generazioni: Uomini in più, fatti da vittorie dubbie, e che vanno in orbita, o figli in lacrime, nelle simulazioni del Tempo, che non danno più il benvenuto alla loro magia per tornare a divertirsi, per essere sollevati. Si parte da un mutismo generale per essere ripresi nelle decisioni infernali con un tono confidenziale, in vestiti comodi, girando a piedi nella bellezza dell'insieme come in segreti differenti. Tutto parte dall'Amore, su storie volute come lavori spiegati per chiederci dei nostri anni, mettersi su una stella sposata alle barzellette, con attori bravissimi, per completare l'unicità di un premio alle persone, a quelle che si evolvono nel rispetto del prossimo...del più amato dalla Vita. Vincenzo Calò VOTO: 9-/10

temente spianata cambieremmo marcia in libertà, e i malanni sparirebbero per far posto alla necessità di peccare, saltellando s u l l a r a z i o n a l i t à . Vincenzo Calò VOTO10/10

E n i g m a - “ M C M X C a.D”(Produced by Enigma) Siamo agli inizi degli anni '90, e questo è il caso musicale che lasciò a bocca aperta e con gli occhi chiusi chiunque, inebriati dal contrasto divenuto imprescindibile ch'emerge tra il sacro riluttante, spalmabile come olio sulla pelle col canto gregoriano, e il profano accresciuto e avvalorato puntando sulle ondate psichedeliche, dentro una complessità puramente istintiva, tenuta a bada con manie di possesso in versione lounge, e di cui l'uomo e la donna fin dai tempi di Adamo ed Eva si fanno carichi per una Vita trapassando il suo mistero, annebbiati da cinque sensi legati tra di loro con l'intensità della luce che lo spirito diffonde maggiormente per mezzo della fede cristiana, penetrante l'ambiguità del prossimo, attanagliato dall'inconscio, divorato dalla leggerezza comportamentale necessaria per essere accettato da un Dio riconoscibile se strisciante sui nostri corpi che odorano di eternità suggestionabile con lo scioglimento dei peccati commessi proprio per ricordare d'aver comunicato, e di rassegnazione sensualizzata bevendoli, risaputo in extremis anche il gusto del funky! Da questa idea s'è preso spunto per la realizzazione di tutte quelle compilation che vengono passate oggi in sottoTHE POLICE “Zenyatta Mon- fondo, nei night...In una sola datta” (A&M Records) Un p a r o l a : Memorabile. esempio di elasticità spirituale Vincenzo Calò VOTO 9/10 che compensa miliardi d'invocaB O W I E zioni gridate al cielo, di come ci D A V I D “ C h a n g e s b o w i e ” (EMI) si può divertire facendo musica, mescolando rock frizzante con Tessendo disfacimenti per prel'anonimato del reggae per stare giuramenti d'amore fuori shekerare e riempire di energia dal mondo, David Bowie ha avil Sole, bucherellato dagli stati velenato schemi di osservanza d'animo, che ti bacia semplice- civile prestampati, truccato a mente sulla fronte quando sei in festa il mortorio causato dalle balia di una ritmica che non esemplari espressioni di una passerà mai inosservata, coin- mediocrità infallibile agli occhi volgente i retrogradi che aspet- dei suoi corruttori, con una stratano di essere innaffiati da un vaganza autenticizzata per mezelisir di lunga vita. L'acustica zo di fenomeni di costume inimpreziosisce determinando la ventati di sana pianta e che felicità in una data circostanza, sono rimasti annidati nel proe poco importa se alla fine trarsi di certi amplessi punkettadell'ascolto il senso di beatitudi- ri. Parlando dell'uomo, ha avuto ne si appiana, perché poi sarai grinta da vendere per rimediarsi così pieno d'adrenalina che ti tra le generazioni vecchie e verrà di ringiovanire negli scan- nuove montandoci sopra elabotinati di un desiderio la nostra razioni d'immediato fascino linimmagine, evitando quel vittimi- guistico. L'interpretazione lo smo agghiacciante dietro a cui schiavizza sui palchi della meci ripariamo dall'appannamento moria. Fondamentalmente mudei tempi. Se ci convincessimo sicali, i brani sprizzano energia che sta in ciò la chiave del suc- che infine accontenta tutti i dicesso, con la strada sorprenden- sadattati. La vena cantautorale ritocca la figura armonica che,

da fermo, procede a passo spedito verso la frammentazione caratteriale del protagonista, tra l'annientamento in stile country e la sorpresa tanto sonora quanto moderna. Stimato per essersi basato sul rock più classico, Bowie alleggerisce maggiormente rimembranze atmosferiche trascinando i clichè che lo puntellano dalle sue origini, portando all'esaurimento percezioni di umana costellazione, robotizzando quindi una voce pluralistica per dei diversivi poco raccomandabili. Il freno inibitorio è presto reso come oggetto di scandalo nella glorificazione del corpo che presti a divinità intercambiabili, rafforzando l'ego senza svelarne gl'intrallazzi ideologici a coloro che praticheranno illusionismo per sempre. Vincenzo Calò VOTO9-/10

LA STRANGE. “Queen of Disguise” (SPV/Audioglobe). Complimenti alla mantovana La Strange one-girl band che mette sù dieci tracce decise di puro hard rock. La voce è molto più decisa di Amy Lee o addirittura Skin e i paragoni sonori sono Guns N’Roses e Aerosmith, forse magari per una volta dall’ Italia non esce la solita cantante costruita su immagine femminile manipolata dal mondo sempre più maschilista che vende per copertine tutte tette e culo. Brava, decisa e coerente. Antonio Di Lena VOTO:8/10 BEREFT. “Leichenhaus”. (The End). Debutto dalle tematiche pesantissime per i Bereft, che narrano due episodi nella trama del lutto. La prima è: le camere mortuarie dell’800 europeo, dove si facevano sostare i defunti per alcuni giorni onde evitare ulteriori presenze di vita, la seconda fase, non meno “allegra”, narra dell’abbandono in Tibet di cadaveri nei luoghi sacri, lasciandoli alle intemperie e agli animali, favorendo il ciclo della vita. Album di doom funereo con una voce da orco da far rabbrividire un intero cimitero di a s s a s s i n i . Antonio Di Lena VOTO:7/10


P AGINA 15 LITFIBA “Sogno Ribelle” (Warner) Rimbrotti di un anticonformismo esercitato pur costretti poi a tornare indietro, dandoci dentro con chitarre di uno stimolo rockeggiante, tastiere dallo stile anni ’80 e percussioni d’irremovibile persuasione che non si confondono fornendo così luce alla voce grossolana, da scaricabarile, di Piero Pelù che se la spassa tra le sue prime hit col suo assistente fidato, Ghigo Renzulli. Brani riarrangiati in una versione più o meno live, senza togliersi di dosso sconvolgimenti direzionali, rimanendo quindi selvaggi al punto di ridere e scherzare su come si finisce male, in un periodo malinconico a proliferare per volontà di meteoropatico richiedente una soluzione esotica immaginata come positività retrograda ma spiazzante quel senso di noia urbana posseduta per forza di volgare sfarzo e in modo irreprensibile, impossibile da ritrarre perché in fondo s’è imprendibili scacciapensieri che mirano ad una visione armonica d’ideali, colorata dalla presenza indissolubile di spiriti maligni, per una legge impronunciabile dacché seguitata da servi benedetti nel nome di un’ipocrisia ricoperta di passioni morte come indiani e banditi ch’erano fieri di proseguire per stravolgimenti, serializzati privi di un carisma pur avendolo, ma che non credevi fosse perentorio fino a rendere amara la descrizione di una condizione reverenziale nel disaccordo comune, nel lavoro quotidiano di tendere alla fine del giorno una smania classistica di pubblico impiego come di privata persecuzione. E’ naturale la frenesia per gesti che ponderano la solitudine clemente, atmosferica, risuonante per chi è adibito a trattenere una palpitazione trascendentale da cartone animato. Nei meandri di un pensiero incollabile i Litfiba issano l’asta della perspicacia più controproducente, data la sistematica e materiale riunione di popoli falcidiati da scopi irriguardosi, con un rigurgito intenzionale ch’esige ampiezza, correggibile se si è liberi di espatriare per lasciare un segno sulla propria pelle, invece d’essere imprigionati in animali addomesticati, fino a tacere. Segui una corrente d’aria non sapendo cosa pensare, come fare un dono che rappresenti la Terra, per immaginare ciò che si vuole con una prontezza di riflessi in eterna fase di costruzione, nel tempo di agitarsi non conoscendo effettivamente la gravità di un problema, di un bene da chiarire come portatori d’interessi sovraesposti per poi ritenersi inopportuni. Dal generale al particolare nulla osta

alla nostra realizzazione, nemmeno gli eventi da sistemare in un unico soggetto di materia insistente sulle incomprensioni. Passo silenziosamente davanti a te, con le manifestazioni di follia dell’uomo che si ripete per non mancare come l’acqua all’individuazione dei comportamenti per avere il benché minimo riscontro positivo sulla parzialità dei dati prospettici a livello ambientale. La scelta di utilizzarti in un mercato come combustibile è indipendente per quanto si cresce tanto per essere soggetti a manovre di chiusura. Levati dall’emotività, provoco la tua pressione, un piacere tanto per rilassarsi in lavori di distinguo da fare col cervello che non trova comodità per dichiarazioni di residenza rassicuranti, nell’assunzione seria dell’impegno di beccarsi una pena formalmente espressa, considerata ad alta pericolosità dato l’intervento sui propri diritti che determina gli elementi per chiedere di valutare un mistero in virtù del progresso integrabile al filo della chimica, sopra il quale uomini di completamento si arrangiano interloquendo in lingua madre cogli alimenti sottobanco, abituati dalla criticità del Passato, di un diniego da forzare per poter essere presi in società come un carico di arrivi e partenze da gestire senza lasciarsi pregare più di tanto di presentarsi come numeri alla ridistribuzione equa del dire, con la sintesi dell’eccedere, a fare battute secondo un parere non appassionato alla coerenza di Pensiero convenuta sul piano tecnico per documenti da riprodurre nell’invito a star sotto le leggi della Natura con una strategia politica, una professione in prestito alternativa a qualsivoglia punto di riferimento, al fatto di appart a r s i . Vincenzo Calò VOTO: 8/10 KNYGHT “Bet Everything” (Anko Musik) Cosa fanno i lanci giovanili promozionali sul mercato?! Questo Ep registrato a Ottobre 2008 presso gli Anko Music Studio di Monaco di Baviera (Germania) da H.Hinze non è altro che la miccia che farà esplodere o la voglia di fare successo oppure l’idea di dare molta immagine e poche idee musicali. Un glam-rock alla Bon Jovi & co. Una presentazione quasi alla Tokio Hotel nazionale per far sì che questi ragazzi facciano soldi e successo. Sono sicuro che se la band avesse iniziato il suo tragitto in maniera meno esplosiva sarebbe stata più credibile, le influenze si sentono ma sembrano che vengano pilotate dalle idee di qualcuno e non da Tommy e compagni. Non

è cattiveria, qui non si parla della bravura o meno della band, ma mi gioco le palle che gli Knyght possono fare di più senza essere supervisionati da qualche Dio minore della scena musicale. Con il passare del tempo spero di ascoltare questo gruppo con qualcosa di nuovo e più personale, sperando che i ragazzi lascino alle spalle i propri miti e mettano su qualcosa alla Knyght veram e n t e . Antonio Di Lena VOTO:5/10

LAPIS NIGER. "Fuckin' God Cult". (Slava Satan Records). Roma capitale d'Italia, Roma caput mundi, Roma terra del black metal nazionale, non proprio globale ma possiamo ben dire che da Roma arriva un dei gruppi black nostrani migliori in circolazione. "Fuckin' God Cult" è un album feroce che ci proietta a ricordarci quando a metà degli anni novanta la scena black norvegese esprimeva il miglior suono e ispirava molti oscuri musicisti. Oggi sono rari i gruppi che seguono il sound scandinavo ma qualche irriducibile si trova sempre, quindi perché girare in lungo e in largo quando a Roma a pochi passi da qualunque posto tu in Italia vivi ti da alla luce una band come i Lapis Niger. Pezzi cattivi e aggressivi sono il biglietto da visita della band capitolina cui componenti con orgoglio difendono la loro romanità, infatti Il Lapis Niger è un sito archeologico romano in cui si ipotizza possa esser stata eretta la tomba di Romolo e quindi vi siano presenti i resti. Assassino del fratello Remo nonché fondatore, legislatore e sacerdote, dai tempi della storia, tale mito trascina con sé un velo di malvagità e ferocia. Molto vicini ai Gorgoroth di "Antichrist"i Lapis Niger pubblicano un lavoro dai riff semplici, spesso lanciato a velocità di blast, privi d'ogni armonia compositiva, tutto viene intervallato da momenti arpeggiati e distorti, che contribuiscono con fermezza a ricreare atmosfere cupe , malvagie ossessive e prettamente oscure. Qindi posso per certo confermare che il lavoro di Zrohell (voce e chitarra, Quirinus (basso) e Triarius (batteria) è di

notevole fatturato e merita il podio che giustamente li spetta sui gradini della musica nazionale. Antonio Di Lena VOTO 7.5/10

TARJA TURUNEN “My Winter Storm” (Universal) Spettacolare, unico, commovente da non crederci ma soprattutto da non perdere! Come i Guano Apes senza Sandra Nasic così i Nightwish senza Tarja Turunen, è inutile stare dietro a fare storie e storielle di gossip prettamente musicale... Tarja era l’anima dei Nightwish senza nulla togliere agli altri componenti del gruppo, talentuosi ed originali nel genere, ma la Turunen ha consacrato con questo cd la sua superiorità artistica e creativa, basta ascoltare alcuni riff di chitarra e qualche giro di basso più duro per capire che questo album è un premio a tanti anni di liderismo nightwishiano senza precedenti. Non vogliamo ora paragonarla solo con il suo ex-gruppo ma credetemi, “My Winter Storm” è una carica di intro e canzoni bestialmente belle. Da segnalare il bonus DVD che a parte una ricca galleria fotografica contiene tre versioni differenti una dall’altra del singolo “I Walk Alone” e una splend ida intervi sta racconto all’artista per quanto riguarda il cd. Il più del lavoro è indubbiamente l’adrenalinica “Ciaràn’s Well”. Molte riviste a livello internazionale hanno consacrato questo cd come topalbum e chi sono io per non fare questo? Ora speriamo solo di rivederla in campo la prossima volta con un album che dia continuità a quanto fatto fin’ora, alla faccia della nuova cantante dei N i g h t w i s h . Antonio Di Lena VOTO 10/10 NEBRUS.“From The Black Ashes”. (Schattenkult Produktionen). Nuovo lavoro per i Nebrus che ci offrono sette tracce di black’n’roll cupo e mortifero, 47 minuti di atrocità con riff veloci come lamenti attenuati da lenti sospiri di echi che conducono alla estrema fine. Contatti: nebrus66@gmail.com Antonio Di Lena VOTO: 6/10


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AA.VV. FABER, AMICO FRAGILE…GENOVA 12 MARZO 2000 “Tributo a Fabrizio De Andrè” Siamo al punto nodale in materia di censura, avendo stavolta un chiaro motivo per incenerirla, l’impegno a rafforzare una figura di cantastorie già di suo stratosferica, paradossalmente richiusa in tutto quello che c’è da rifare. Notare la cura e l’attenzione per la catalogatura delle interpretazioni, come se dessero speranza allo spettatore di riversarsi in pace, in un flusso di artisti uniti dal sacro vincolo dell’amicizia (anche s’esigo da più di una decina d’anni a questa parte la giustificazione per l’assenza di De Gregori). Davvero impossibile non riconoscere la circostanza eccezionalmente commemorativa, non vederla portare addosso un carico di poesia civile in doppio cd/live elevato al valore, insostituibile, di positiva territorialità, per vincere in casa propria le paure del sopravvissuto che tra vino, amore e anarchia crede fervidamente di custodire un dramma come un tesoro, elasticizzato dalla sorte ingerita per sognare il momento a portata di mano, come se crepare e creare un centro di continua traduzione dell’Infinito volessero dire la stessa cosa. Sulla base orchestrale, l’evento coniuga quasi per gioco il Tempo e l’Anima, festeggiando per la Vita come se donassi al pubblico uno strumento per comprendersi (“Ho visto Nina volare” nella versione di Zucchero n’è l’esempio), col metro di giudizio applicato ad una sperimentazione percettiva fuori dal comune, d’irraggiungibile nenia dacché aperta alla consacrazione popolare, atteso l’Oltre dalla ridondanza di un accordo di chitarra classica. Qui ti appassioni al platonico fottersi, al susseguirsi della morte di una bestia in calore, in fondo al sacco della spazzatura, preferendo di perdonare pur sempre il Domani che però è già andato perso svuotandoti di contro per il “se così fosse, se così si decidesse” (vibrante è dir poco sull’apporto di V.Rossi), in un lampo di favore, ma critico con la maggioranza che non considera alcuna libertà come riforma epocale. Ampio risalto dunque al gusto di vedersi arrabbiati, sputtanato dall’analisi continua di fenomeni socio/ culturali attenuati pensando da colpo basso alla sentenza che arriva comunque, legata a interessi personali rispettabili se

chiedi un talento nell’arrivare in fondo, fino a emarginarti, al cuore della notte, per fare i conti con la pubblica amministrazione dormendo in un cimitero all’ora di punta, a forza di sbeffeggiare l’allegria episodica nell’aria con un rock vivace ma non troppo, da creatura prestabile al clamore della materia quand’essa è intoccabile, attaccabile. De Andrè viene musicato camminando sulle corde tese di un’assenza climatica suggellata dallo smistamento delle partiture su una voce che non offre colpi di scena, anticipante la realtà incastonata tra noia e meraviglia, per annunci di brevità, in forma priva di strategia, quasi costretto a mandare affanculo il principio della correzione comportamentale che invita a osservare sulla base di quanto si ascolta per la costituzione ad hoc della personalità. Risulta incredibile l’attività diplomatica sospesa in nessun potere di pregiudizio, in ricordi non detti da sé a evidenziare un’immediatezza suggestivamente rapace per l’abitudine di coinvolgere pecore all’ammasso, all’autenticità impiantistica del palco che induce alla messa in ginocchio…sarà piuttosto il potere della retorica ad alleviare la pressione della natura delle cose sulla rivendicazione delle convenzioni, in una concordia di successi che ritaglia gesti complessi, quelli che si danno per scontato, non vedendo dove stai e quale legge rappresenti nella nuda occasione d’incontrarsi che annulla le distanze caratteriali, giacché le anomalie di un rilascio di diritto hanno l’effetto scisso dalla causa che va avanti perché non inventato di sana pianta. Semmai ci sarebbero le parole da memorizzare obbligatoriamente (che figuraccia quella di Celentano!), in lacrime di Battiato calanti a interrompere le rivisitazioni tutt’altro che generiche del merito di sciogliersi in una dichiarazione di fede, d’uguaglianza stupefacente, talmente bella da illudersi tra selezione, acculturamento e preparazione in nome di un’idea di autocontrollo che viene meno per culo e non per sfiga, come degno amplesso nell’opinione pubblica. Vincenzo Calò VOTO: 8,5/10 AA.VV. “Roma 2009 / Primo Maggio Live” (Alice Records) Nella scatola della comprensione ci sono denunce per un’epocanon gestita con equilibrio, di autori e musicisti in grado di parlare oggettivamente puntan-

do i loro strumenti di lavoro sull’autenticazione fatta di pelle e ossa per costruire un’esperienza seriale, un suggello di libertà non proprio elementare se non si rivedono nella canzone delle condizioni generali. Il punto d’incontro, d’argomentare, rientra in un coraggio incorreggibile se si sta chiusi nella solitudine della Giustizia a scomodare il Governo dalle sue vittorie elettorali, partendo dalla sostanza prima che dall’apparenza, a fare sempre meglio, per un virtuosismo da rendere forse più avveniristico, e sapere così il contrario di tutto, di una vita da sognare per continuare a procedere speditamente, tra le affermazioni che si scambiano di posto rimbalzando… sprazzi di verità nel divenire parte integrante del panorama. Prendersi di fatto è come navigare in dei fiumi in piena, volendo invocarsi, pronti ad appoggiarsi nella domanda politica dall’entusiasmo che deve tornare automatico per sentire l’importanza di ciò che succede, anche della verifica dell’assurdità di una ragione ideologica, sotto un sistema di potere contestabile per natura succedendo di microfono in microfono, una tradizione da reintrodurre con professionalità altrimenti la scena, quel megapalco prevaricherà sempre sulle critiche indispensabili… ma i dati sono di chi li vuole, per un giudizio ch’eccede a razziare il relitto del lavoro senza la possibilità di avere davvero una maggioranza sulle leggi attuali, di detenere la dimensione di una valutazione primaria circa le idee da sostenere, selezionabili al Sole ereditando il Passato in maniera ordinata, esenti dall’illegalità. Sotto un mito ombra le esibizioni non sono mai sottocontrollo, ma con la diretta tv si cavano i meandri del durante, quella società visibilmente occupata a manovrare la ricerca di un evento che sviluppi l’intelligenza e non solo del sarcasmo nel corpo di una giornata. La definizione, tra certi

interessi e la disponibilità a ricrearli viene approvata nella presenza di una condivisione non campata in aria, di vicende umane condannate ad uno stato di diffamazione alata e nemmeno tanto competente al luogo preciso per mostrarsi conflittuali, con ulteriori ipotesi d’accusa (giudiziosa!). La scelta dei pezzi live da parte di ogni singolo artista culmina con la speranza di creare borse di studio per i figli dei caduti sul lavoro, frutto della voglia di dare attribuibile ad una nuova etichetta indipendente all’orizzonte, l’Alice Records, distribuita grazie alla complicità del quotidiano “Il Messaggero”. Si comincia col prodotto musicale del Blasco che accontenta esclusivamente i suoi fan, detronizzabile per mezzo del talismano prog, tenuto in pugno dalla Pfm per essere lanciato in aria, all’indimenticabile De Andrè. Poi spazio alla diversificazione dell’intuito artistico di Caparezza come alla comunicazione impersonata da Edoardo Bennato tra il vecchio e il nuovo, tra due fratelli, prima dell’allegra, boccaccesca malinconia elaborata dai Bandabardò magari con quell’incontrollabile respiro che risuona poeticamente grazie ai Nomadi, a precedere la veste raffinata dei Blue Noise che ricopre la chitarra calamitevole del grande Robben Ford, distinta dal tambureggiante canto di Cisco che richiama la folla subito raccolta dagli Afterhours con una chitarra che stavolta rapina la melodia a confermare i suoi bagliori tramite l’interpretazione, di Marina Rei tra le percussioni grunge, dell’anima al femminile, sputata al moderno smussabile con la sensibilità a tutto spiano di Roberto Angelini, o travolgibile dal rock in vortice intimistico dei Motel Connection, con sonorità disciolte nel blues calorosamente dai sorprendenti Bsbe, vincitori dell’edizione 2009 di “Primo Maggio tutto l’anno”. TRACKS:VASCO ROSSI il mondo che vorrei, PFM volta la carta, CAPAREZZA la grande opera, EDOARDO BENNATO rinnegato, BANDABARDO’ il mistico, I NOMADI lo specchio ti riflette, BLUE NOISE & ROBBEN FORD storyville, CISCO i cento passi, AFTERHOURS ballata per la mia piccola iena, MARINA REI donna che parla in fretta, ROBERTO ANGELINI tempo e pace, MOTEL CONNECTION cypress hill, BSBE f a n n o m e g l i o . Vincenzo Calò VOTO: 7,5/10


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SALVATORE IAIA “Libera Espressione” (Demo). Oggigiorno la difficoltà di muoversi sul piano della tutela dei diritti è destinata a grosse imprese sotto il profilo dell'ordine pubblico, all'ordine del giorno. Per un maggior allargamento della nostra facoltà di rispondere su come invertire la rotta si deve tornare ad essere solari, con le competenze arricchite di ciò ch'è rimasto vivo: il permesso di soggiornare in un diretto coinvolgimento, per orientarsi in materia di formazione e lavorare sui giovani, come se fossero marce da ingranare culturalmente.Salvatore Iaia, in preda ad un'arsura latino-americana, assiste a dei pregiudizi intramontabili, vorace acusticamente, sotto l'aspetto interpretativo, con un delirio all'origine d'armonizzare al momento giusto, per far scattare la molla del peccato d'ingenuità, in questo caso di barcollare sulla linea dell'orizzonte ch'è facile arrotolarla a spirale, mentre i fumi della malinconia s'incentivano per cacciare il timore di non raccontare le vicissitudini dei suoi desideri, come faceva De Andrè, che si faceva male per voler bene, e inserire l'indipendenza logica tipica di Rino Gaetano, per colorare un pianto libratorio (non è un errore di battitura, volevo scrivere proprio "libratorio"), per non banalizzarlo. Interessantissimo… Vincenzo Calò VOTO: 8+ /10 GNUUUTT77 “Demone 2007” (Demo) Innanzitutto bisognerebbe capire se Gnuuutt vista la provenienza geografica di questo gruppo (Bari ndr.) voglia dire ingoiare, vista anche la copertina che propone una sfregiata fanciulla che appunto ciuccia (forse una pistola). Comunque, dubbi a parte, questo Demone 2007 neanche il demonio lo vorrebbe ricevere per la ricorrenza festosa dei suoi 666 anni. Orripilanti e disgustosi suoni che sconfinano con il limiti massimi dell’ascoltabile. “Suoni” death’n’rool cantati con una disgustosa voce roca dal singer King of Terror in italiano (potrebbe essere anche groenlandese, non importa) e lo schifo ti riempie le budella. Certo è un demo, ma se io fossi il genitore di uno dei componenti dopo aver ascoltato questo obbrobrio li manderei a tagliare vigna nelle tenute di Al Bano! Disgus t o s a f e l i c i t à ! Antonio Di Lena VOTO 1/10

SACRA SINDROME “V.I.P (Veleno in Pillole)” (Demo) Il classicismo mentale può portare alla depressione del giovane, furioso tra sostanze tossiche non vedendo l’ora di rifugiarsi negli affetti ristretti alla certezza che possano cessare da un momento all’altro. Questi promettenti rapper t’invitano indirettamente a muoverti, perché il tempo scorre inesorabile e non riesce a cogliere le esigenze di tutti … Delusi dalla morbosità scaricata da un fine prettamente materiale che non ci dovrebbe riguardare, parole srotolate incitano a non contenere una Passione da sconfinarla fino ad incontrare nuova curiosità incoraggiati dall’emotività, coscienti che non sappiamo volare. Lavoro eretto su una base che si sa come intensificarla. Accurato, appoggiato da una credibilità che va presa sul serio uscendo dall’ambito del gioco, al contrario del genere musicale che v i e n e e s e r c i t a t o . Vincenzo Calò VOTO 7-/10 ANTONIO DI LENA. “Miele Vampiro EP”. (Fat Sound R e c o r d s / SuonidelSilenzioRecords). Accomodiamoci pure tra queste tre tracce per assistere all’elogio sulla Diversità, sacrilega secondo il buoncostume, da cui spuntano cenni di umana superiorità, per intimare delle muse a snervare il bene dei sentimenti dal malessere sociale generante il dolore per la Vita impossibile da castigare, in fondo comune, in un volo oscurantista a smuovere cieli insanguinati a seguito d’ideali arresisi alla circolazione nelle vene di un individuo che nessuno pare sia intenzionato a raccogliere da sfaccendato persecutore della sua crudezza, della sua nudità assorta in un senso di orientamento fugace, che scalda la voce del cantautore, densa di caratteriale estremità, dettata come tempo armonico ad un batterista sorprendente, tale Matteo Spinelli, sicuro del suo quieto, ingenuo evadere a tratti addirittura spadroneggiante sulle chitarre elettriche al punto tale da renderle ancora più orecchiabili, sciolte per un grunge arrangiato con la masticazione di effetti sonori in quanto espansivi per una richiudibile dimensione, con un fare poco più simpatico e lucido rispetto ai precedenti lavori, merito dell’etichetta brindisina Fat Sound Records. Tinti di una funzione

magnetico/criminale, ci rifugiamo nelle conquiste di un attimo, con in pugno la rosa dei venti che ha perso i petali nel lavorio di una tematica d’approccio, tra vincitori e perdenti. Sottoforma di fiabe incandescenti ci rassegniamo al rispetto generico, vegliando sull’immoralità corrispondente ad accettazioni promozionali, ma esistere nel proprio essere è una speranza di grande futuro che si estrae da un sistema assente, e chissà se adatto per raccontarci a vicenda di come pecchiamo d’intensità. Vincenzo Calo’ VOTO: 7/10 PROGETTO ORB. “Cera di Ef…”. (Demo). L’ingenuità, vogliosa di peccati, abbraccia un cantastorie. La metabolizzazione giunge al tardi, nel tepore emanato dalla tristezza. La serenità soffre di mania di persecuzione, una nenia glaciale per quant’è immenso a tratti il sentimento qualunquista, la ricompone, con la limpidezza profusa da noie altrettanto introspettive. L’estasi minuscola provocata dall’apparire, ti costringe ad invocare illusioni tambureggianti per un periodo accomodante di cui sei autore trasparente che svanirà quando sarà davvero impossibile sognare. L’inizio dei pezzi dà respiro ampio ad una creatività bisognosa di ricerche musicali talmente possenti da sciogliere l’odio per delimitazioni socio/economiche. Il progetto va solo incoraggiato, siamo alla partenza di uno scopo. Vincenzo Calò VOTO 6+/10

PROGETTO ORB. “Via da me”. (Demo). Una disperata voglia di affondare nella natura pare ingabbiata, e le melodie, pesanti come un ricordo, trovano rifugio nella femminilità da struccare, che non s'è riusciti a contemplare appieno, che comporta l'inevitabile andirivieni di una civiltà definita dalla fragilità che allontana la concretezza. Il suono dell'acqua nel bel mezzo del lavoro riassume un racconto frenetico, dinanzi al quale traspare spettacolare mediocrità, e l'interpretazione, stilisticamente affascinante, perde in tecnica vocale. L'autore ha individuato un bisogno d'aiuto attraverso viaggi interiori così complessi che debilitano l'apparire, insignificante al ritorno dell'onda del presente. Alla fine, lo spirito "degregoriano" acceca l'originalità, e si ha la sensazione che ci sarebbe molto altro da dire se cullati dalla sensibilità in perenne strattonamento a seguito di un intrigo composto dall'umanità (per essere distrutto?). Vincenzo Calò VOTO:6+/10

RAGING AGE. “Waiting For Death Alive”. (Demo). La band barese debutta con cinque tracce che non sono altro che un mix tra death e trash, non fanno un granché, forse il demo è stato registrato in maniera affrettata, la tecnica scarseggia e la sola voce di Fil non basta a tenere una band che già in partenza ha iniziato a sprofondare. Calma ragazzi e tanta pazienza, magari la prossima volta impegnatevi mettendoci l’anima. FUNERA EDO “Curse of Antonio Di Lena VOTO 2/10 Cain” (Demo) Una cosa ben precisa è certa, con i gruppi RUKIA. “Midnight Runner”. black metal i demo, cd, ep e via (Demo). L’underground non si scorrendo le identificazioni e ferma mai, dalla Polonia arrival’espressione di un giudizio mu- no i Rukia band che con la nuosicale diventano assai differenti va line-up passeggiano interese complesse, perché, come nel santi sull'utilizzo dei programcaso dei Funera Edo il loro lavo- ming. Influenze molto swedish ro, o sarà eccellente e maestoso e power heavy rendono la band oppure verrà buttato nel dimen- d a tenere sott’occhio. ticatoio musicale che ognuno di Antonio Di Lena VOTO 6/10 noi possiede in sè. In questo (Under caso ci troviamo davanti ad un DELIRIA.“Deliria”. piccolo capolavoro di black me- Fire Records ). Per amanti dei tal che se seguito con ulteriore primi Death SS dalla Calabria cura e spesa economica da par- arriva il doom dei Deliria, che te di qualche etichetta anche con testi in italiano e la ciliegina nostrana potrà sicuramente far sulla torta, l’omonima “Deliria”, La innalzare i suoi frutti. Un sound interamente strumentale. band si lascia alle spalle un pasgrezzo graffia all’interno di questo demo proprio come un gra- sato fatto di demo per approdadito e sconfinato suono da fore- re, con una piccola ma vera sta nordica. Rabbioso, psicotico e t i c h e t t a . e violento, questo è “Curse of Antonio Di Lena VOTO 6/10 C a i n ” . Antonio Di Lena VOTO 6.5/10


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Abbiamo una voce che non si curva, che affolla i nostri affetti per metterli anche a tacere, legandoci le mani; nessuno ce la dà sul serio a fissare dei sostegni. Però siamo ancora in tempo a procurarci le cose necessarie per vederci buoni in ogni gesto contestabile da poteri assoluti che stanno per crollare, mentre un piccolo demone esulta in grande accogliendo fallimenti in mobilitazioni popolari… La sintesi di un messaggio liturgico Non è conforme ai comportamenti del pensiero Pagine di diario caratterizzate dall’irritazione Per ricavarci la capacità di amare… Vieni a purificare questa sofferenza In un fastidio che ho finalmente riconosciuto Fra sole e pioggia Fino alla sera di oggi. Sottovalutiamo le diffusioni di un virus Per rinsaldare rapporti già buoni Per una sorta di testamento spirituale Lettere consegnate ma mai rese note. Sono qui, con una mia vecchia conoscenza A combinare impegni Per meritarsi una bella sculacciata Dall’atmosfera che possiamo vincere. Sotto il naso passa la perfezione E potrei fingere di non conoscerti Per dover riflettere E restituirci assicurati Da cose disdicevoli che ci denudano Da facce che non ti resistono Tra il dispiacere ed una consumazione. E se Dio non fosse sé stesso? Interpretiamo l’umano comportamento Come provocazioni dure e disonorevoli I precetti non s’incontrano davvero E cammino per altre vie Per afferrare la Vita Con labbra sincere. Non avermela a male Se c’è una bestia che ti guarda Se nei pantaloni non c’è nessuno che faccia qualcosa di speciale… Verrà ai nostri funerali Perché alle interruzioni ti ritrovi uccisa Da chiamate anonime. Finisce sulla carta quel minimo di buon senso Che ti tira fuori le forze Per sentirti libera Su terreni delicati Tra i pensieri che si son fatti alti e insostenibili Di aspettare che il PC si carichi Per sferrare la superiorità sui popoli Nell’osservanza rigorosa di queste norme Nei racconti di un’aspra polemica Con le mani lavate Con il cuore, progetto di salvezza Ad accreditare le notizie A tornare un valore tradizionale Sui combattimenti arrestati, destinati Agli spostamenti del caldo Sulla criticità delle mie condizioni In una freccia che puoi scagliare Ai bambini di una guerra fra scommesse indulgenti.

Lascia fare a noi Che l’Oriente ci porta temporali Alla speranza di ripeterci Che supereremo i ritardi Di questi appuntamenti amichevoli Per revocare misure estreme. Il pieno si fa prima di cominciare Non sei stata chiamata a consegnarti A votare tutte queste opposizioni. (tratto da “C’è da giurare che siamo veri…” di Vincenzo Calò)


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