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Old Boy
di LUCA BOVE
PARK CHAN-WOOK
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Old Boy (2003) è un film diretto da Park Chan-wook ed è il secondo capitolo che il regista dedica alla vendetta. Vincitore del Grand Prix Speciale della giuria del festival di Cannes nel 2004, l’opera ottiene un notevole successo in patria e all’estero. Quando il film esce nella sale cinematografiche, il cinema coreano è nel pieno della sua rinascita. Ormai conclusa, o quasi, la fase caratterizzata dal predominio delle pellicole hollywoodiane; il pubblico inizia a mostrare un certo interesse per cinema prodotto in patria. Old Boy non racconta certo una storia consolatoria, ma non è neppure un film dell’action frenetica, genere tanto amato in Corea del Sud. Ormai il pubblico è smaliziato e pronto ad accogliere ogni novità. Dopo l’insuccesso parziale dei suoi primi film, Park con Old Boy diventa un vero autore cinematografico. Solo apparentemente questo film può sembrare una furbata, in realtà il regista riesce a stabilizzare il suo stile, giungendo a una vera e propria poetica dell’immagine cinematografica e non solo. In occidente il lungometraggio viene accolto come un’opera tarantiniana. C’è sicuramente tanto materiale (narrativo, visivo ed etico) che ci consente di accostare Old Boy a tutta la filmografia di Quentin Tarantino e in particolar modo a Kill Bill. Inoltre, è risaputo che il regista statunitense, dopo averlo premiato a Cannes, lo ha definito: “Il film che avrei voluto fare.” È senz’altro riduttivo, però, liquidare Old Boy come un film tarantiniano. Park oltrepassa l’effetto spettacolare della violenza e i suoi personaggi non possono essere definiti semplicemente masochisti, sarebbe troppo semplice. Non deve ingannarci, poi, che il film sia tratto da un manga scritto da Garon Tsucchiya e disegnato da Nobuaki Minegishi. È vero ci sono dei tratti che ricordano questa matrice, come la sospensione del movimento naturale del corpo e soprattutto la sequenza, costruita senza stacchi con un carrello che procede in orizzontale, quando Oh Dae-su, interpretato da Choi Min-sik, lotta contro i sicari. Ma Old Boy se non è semplicemente un film tarantiniano, non è neppure un film fumettistico. Park offre allo spettatore un’occasione di riflessione molto più vasta e per certi versi universale. Il film, senza dubbio, mostra la rappresentazione della violenza, ma non è mai gratuita e compiaciuta, come avviene in certi film americani, oppure come avveniva nel western all’italiana e quello meno conosciuto di produzione tedesca. La violenza di Old Boy ha una finalità ben precisa. Il regista la usa per dimostrare l’impossibilità della redenzione e dà l’avvio a una prepotenza che non può essere contenuta. Da questo punto il Park parte per giungere a una tesi di carattere sociale e politico. Il suo obiettivo è quello di rappresentare i danni della guerra, che inizia sempre con una motivazione “nobile”, ma le sue conseguenze non possono essere controllate. L’escalation della violenza di Old Boy rimanda alla guerra. È questo un punto che viene approfondito soprattutto negli altri due film della trilogia. Il vero tormento di Oh Dae-su è il continuo domandarsi sulla sua colpa che ha scaturito la carcerazione. In Occidente questa domanda non può non richiamare la tragedia dei campi di stermino nazisti, ma possiamo trovare anche dei riferimenti nella letteratura americana. Il romanzo La campana di vetro di Sylvia Plath racconta la vicenda di una giovane rinchiusa in un manicomio, la quale si tormenta per lo stesso motivo di Oh Dae-su.