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Prossa dei lettori – S. Moresco

PROSSA DEI LETTORI

Samantha Moresco è graphic designer di professione ma da sempre in bilico tra passioni antitetiche. La scrittura è sua compagna di vita dai diari di bambina che curava con costanza. Oggi si è ridimensionata per lo più in pensieri scribacchiati sui margini della settimana enigmistica.

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IO SCRIVO PER ME

di Samantha Moresco

Io scrivo per me. Scrivo per me, mi scrivo lettere, lamentele, scrivo per ricordare, per addormentarmi, per vedere una bella grafia su un foglio, per sbrogliare quel groviglio di assurdità della mente.

“Scrivo per me” diventa un’ossessione, una fissa. Non è più pragmatica, ora è semantica.

Sì, perché il voto sul libretto lo scrivo io, per me. E poi lo passo a chi di dovere deve apporvi una firma.

Non accetto informazioni su post-it.

Le ricette del medico diventano coriandoli ancora prima di riuscire a premere il tasto T dell’ascensore. Per questo non ho ancora consultato uno specialista: so che probabilmente la richiesta scritta finirebbe per terra calpestata. E ci salterei anche sopra un paio di volte.

Iniziò tutto durante un viaggio in treno. Un caro omino dai baffoni bianchi (e un attrezzo luccicante appeso alla cintura che gli permette di fare fori quadrati

sui biglietti (che forse non si chiamano fori se non sono tondi), dal nome genialmente tecnico che non so come scoprire) (scusate, le parentesi le scrivo per me)… Dicevo? Che frase lunga. Sì, l’omino, voleva correggere l’orario che l’obliteratrice aveva sbagliato per me.

Ma il problema è che questa persona gentile, in uniforme verde con tanto di cappellino da fattorino retrò, voleva scrivere, e dico SCRIVERE, per me.

No. Non potei accettare.

Un fulmine a ciel sereno folgorò la mia mente.

Forse il cielo non era così sereno, lo ammetto.

“No, grazie. Se permette, lo scrivo io per me.”.

E cosa c’è poi di più sgarbato dello strappare un pezzo di carta dalle mani di qualcuno? Che repulsione verso il mio stesso atto. Quel maniacale gesto nei confronti del controllore aveva salvato il mio biglietto, che stava per essere violato dai caratteri di chissà-chi.

Non potete immaginare quanto tempo si perda a scrivere per sé. Farsi dettare ogni lista, bollettino o appuntamento.

Eppure, da bambina, i dettati della maestra, li odiavo. Scandiva ogni parola complessa. Non era una prova di intelligenza, allora: era un esame dell’udito.

Ma eccoci qui. A scrivere per me, perché sono un tantino turbata. Credo di aver esagerato.

«Sì cara mia. Sei in pizzeria con gli amici, quando il povero cameriere malauguratamente pone una domanda nel modo errato: E per te, cosa scrivo?

Attimi, magari secondi, ma una battaglia ti esplode dentro, il sangue si scalda e lo senti correre, fluido, pensi, come l’inchiostro gel della penna di quel maledetto con l’orologio di gomma che, saputello, ha già tracciato un X 1 sul suo block notes infarinato.

Lo stomaco reclama altro, non pizza, vendetta. Ecco cosa dovrebbe scrivere X 1 vendetta. Cerchi la calma, temporeggi riportando gli occhi sul menù. Che fare? Lasci scegliere l’amico alla tua destra. Il X 1 non è più per te. E per te, cosa scrivo?, di nuovo.

Scatti immediatamente, la mano lo raggiunge, il taccuino è tuo. Tutti ti guardano con la testa inclinata. Non sembrano amichevoli.

Ma ormai è fatta! Scrivi per te e ripassi tutto al cameriere. Ah, grazie. L’hai scritto

per me. Sdrammatizza lui. Ma è un dramma, nuovo: hai scritto per un altro, non per te.»

Per me insomma. La situazione mi sta sfuggendo di mano. La parole mi soffocano. Domani dal medico chiederò che si scriva una richiesta per far visita ad uno psicologo. “La richiesta la scriva per lo psicologo, non per me. ”

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