NUMERO 366 29 gennaio 2018
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News: Triumph Thruxton TFC e Rocket TFC. Ducati Diavel 1260 | Attualità: Le protezioni sui guardrail | Elettrico: Novità di MBE | Special: KTM 990 2WD | Mercato: Le moto più vendute. Ducati prima fra le sportive | Raduni: Agnellotreffen | Epoca: collezione Indian all’asta | Tecnica e storia: Raffreddamento a liquido | MotoGP: Presentazione Honda MotoGP, interviste di Marquez e Lorenzo | SBK: Rea comanda nei test | MX Internazionali d’Italia: E’ subito Cairoli | SX: Round Oakland
YAMAHA YZF-R1 vs YZF-R6 vs YZF-R3 Pagine 2-19
SUZUKI RM-Z 250: BENTORNATA! Nonostante l’assenza dai campi di gara, Suzuki è sempre attiva e presenta in anteprima mondiale la nuovissima 250 4T da cross. Importanti novità per una bella moto
MOTOGP: LA PRESENTAZIONE DEL "DREAM TEAM" HONDA HRC Marquez e Lorenzo non sono al meglio della propria condizione fisica, ma Puig fa buon viso a cattivo gioco
NICO CEREGHINI: "L’ENDURANCE DI UNA VOLTA" È un campionato tostissimo, ma negli irripetibili anni Settanta c’erano tanti piloti del mondiale e correvano anche le Case italiane…
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YAMAHA YZF-R1 vs YZF-R6 vs YZF-R3 di Edoardo Licciardello LE TRE SUPERSPORTIVE YAMAHA SI SCONTRANO PER CAPIRNE MEGLIO LE SFUMATURE, E DECIDERE… SE SERVE DAVVERO LA MAXI. MAGARI UNA DELLE PICCOLE REGALA ALTRETTANTE SODDISFAZIONI?
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Meglio la Superbike, la Supersport o la SSP300? Se si ragiona per blasone e fascino è inevitabile concedere la vittoria alla classe regina, è ovvio, ma qualunque appassionato si sia dato pena di guardare le gare delle varie categorie sa bene quando siano divertenti, tirate e appassionanti le competizioni delle serie più piccole… Il perché è semplice: moto più leggere, semplici e meno potenti sono intrinseca4
mente più facili da sfruttare e da portare al limite, e in configurazione di monogomma, come avviene nel Mondiale riservato alle derivate di serie, le prestazioni si livellano aumentando incertezza e spettacolarità. Nel mondo delle moto di serie la regola è ancora più vera. Tutti noi amanti delle sportive subiamo il fascino delle superpotenze delle maxi, anche e soprattutto perché le medie sono un po’ scomparse dai listini delle case (ma date retta, la situazione sta per cambiare) però, quando ci capita 5
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di tornare a guidare una bella 600 in pista, torniamo tutti a ricordare… perché ci piacevano tanto. Abbiamo quindi deciso di inaugurare una nuova serie di articoli, che abbiamo chiamato Piccola contro grande, in cui metteremo a confronto moto… sorelle, della stessa Casa, per capire volta per volta se davvero non si possa fare a meno (disponibilità economica permettendo) dei lussi offerti dai top di gamma o se invece non ci siano ottimi, fondatissimi motivi per scegliere proposte forse meno prestanti, ma certo anche meno impegnative e forse altrettanto gratificanti. Non ci limiteremo alle sportive, ma spazieremo su tutti i segmenti in cui un confronto del genere sia proponibile. Abbiamo iniziato, dicevamo, proprio da Yamaha, perché è l’unica fra le varie Case (per ora) a proporre moto di tutte e tre le classi. Iniziamo raccontandovele un po’, per poi dirvi cosa cambia nell’uso in pista. YAMAHA YZF-R1 La maxi Yamaha la conosciamo bene fin dalla sua prima versione del 2015, provata ad Eastern Creek ed esaminata nel dettaglio
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– non a caso – nel reparto corse italiano. Potente, efficace, veloce, ci è sempre piaciuta moltissimo soprattutto per quella sua capacità di andare forte con (relativamente) poco impegno, sia fisico che psicologico, che l’ha vista meritarsi tante lodi nella nostra comparativa delle supersportive 2018. La base motoristica è quella – ormai collaudata – che si affida al quadricilindrico Crossplane da un litro di cilindrata con fasatura irregolare degli scoppi, carter in magnesio e distribuzione a quattro valvole per cilindro (in titanio quelle d’aspirazione, così come lo scarico) controllato dal sistema
Ride-by-wire YCC-T – Yamaha è stata la prima a introdurlo su una sportiva, la R6 di metà anni 2000 – e con cornetti d’aspirazione ad altezza variabile che ottimizzano spinta ai medi e cattiveria agli alti. Il telaio è un doppio trave perimetrale in alluminio Deltabox, con forcellone nello stesso materiale e telaietto reggisella in magnesio. Le sospensioni, invece delle semiattive ÖhlinsSmart EC 2.0 in dotazione alla YZF-R1M, qui sono un’accoppiata KYB a funzionamento meccanico. Comparto frenante Tokico, con pinze monoblocco e dischi da 320 mm all’avantreno e 220 mm dietro, con ABS cornering.
Una funzionalità che viene proposta grazie alla piattaforma inerziale a sei assi, che proprio Yamaha ha portato nella produzione con il modello 2015, e che consente di gestire separatamente controllo di trazione e di derapata, a cui si aggiungono Launch Control e anti-impennata. Naturalmente presente il quickshifter, che dal modello 2018 è attivo in innesto e in scalata con il beneficio aggiuntivo di un comando cambio migliorato nella funzionalità grazie ad affinamenti generali che, peraltro, hanno coinvolto anche diverse strategie elettroniche. YAMAHA YZF-R6 Altro cavallo di battaglia Yamaha, l’R6 è stata la prima delle 600 quadricilindriche giapponesi a… risorgere con un modello nuovo dopo l’ecatombe Euro-4. Presentata nel 2016, a cavallo fra Intermot ed EICMA 8
come modello 2017, la YZF-R6 è profondamente basata sul modello precedente, che però riceve una profonda iniezione tecnica derivata dall’attuale YZF-R1. Come del resto dichiara l’impostazione estetica, che colloca la 600 giapponese a metà fra la R1 (appunto) e la MotoGP YZF-M1. Rispetto al modello precedente troviamo uno scarico caratterizzato da un andamento leggermente diverso, con differenze anche all’alimentazione con corpi farfallati più moderni, una presa d’aria più efficace e diverse ottimizzazioni qua e là che hanno permesso di recuperare qualcosa di quanto perso per le normative Euro-4. Arriva anche un po’ di elettronica, sotto forma del quickshifterQSS, attivo però solo in innesto, e del controllo di trazione TCS su sei livelli. Per quanto riguarda la ciclistica, fermo restando il telaio a doppio trave in allumi9
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nio Deltabox, arriva… la stessa dotazione dell’R1 sopra citata: forcella KYB completamente regolabile con steli da 43mm, perno ruota maggiorato a 25mm, mono KYB completamente regolabile, impianto frenante con pinze monoblocco Tokico e dischi da 320mm di derivazione R1 con ABS racing. YAMAHA YZF-R3 Siamo in attesa dell’arrivo sul mercato della nuova YZF-R3 che ha debuttato a EICMA, ma nel frattempo abbiamo inserito la versione attualmente in vendita, pur meno sportiva e sofisticata, per utilizzarla nel nostro confronto a tre. La “A2” di casa Yamaha è spinta da un bicilindrico frontemarcia da 321 ccbialbero e 4 valvole per cilindro capace di 42 cv a 10.750 giri che definiscono prestazioni interessanti visto il peso di soli 169 kg con il pieno. Telaio e forcellone sono in acciaio, con sospensioni costituite da forcella convenzionale (gli steli sono da 41 mm) e monoammortizzatore regolabile nel solo precarico. I cerchi a 10 razze in alluminio calzano pneumatici da 110/70-17 all’anteriore e 140/70-17 al posteriore, e freni a disco da 298 mm con pinze a due pistoncini all’anteriore e 220 mm con pinza a un pistoncino al posteriore. LE GOMME Per mettere tutte e tre nelle stesse condizioni, vista la forte disomogeneità nella dotazione di serie dei tre modelli, abbiamo deciso di calzare tutte e tre con gomme Dunlop Sportsmart TT, un prodotto non specificamente pensato per l’uso in circuito ma piuttosto per un impiego misto strada/ pista, utilizzabili senza problemi di termocoperte, pressioni particolari e necessità di lavoro sulle sospensioni. Una scelta dettata intanto dalla disponibilità delle misure per tutte e tre le moto, non scontata e anzi spesso esclusa utilizzando prodotti “in mescola”, ma anche dalla nostra volontà di poterci godere le tre moto 10
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come in una normale giornata in pista fra amici, senza troppe procedure o cautele, per concentrarci sulla guida e sulle sensazioni piuttosto che sulla prestazione pura, dato che l’esito in questo caso è abbastanza scontato. SportSmart TT si colloca, nella gamma Dunlop, tra il GP Racer D212 e lo SportSmart2Max(in attesa del Mk3 in arrivo). Li abbiamo utilizzati con pressioni 1,6 (addirittura 1,5 sulla 300) al posteriore e 2,1 sull’anteriore: in entrambi i casi si parla sempre di pressioni a freddo, che come noterete sono più basse della media per sfruttare al meglio la tecnologia NTEC RT. Da notare che parliamo comunque di pressioni da usare solo ed esclusivamente in pista - su strada raccomandiamo sempre di seguire le indicazioni del costruttore - e che siamo scesi ulteriormente rispetto a quanto probabilmente sarebbe stato giusto usare per il caldo notevole della giornata. Il verdetto ci parla di una gomma versatile,
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caratterizzata dalla tradizionale confidenza sull’avantreno di Dunlop e da una buona agilità senza però arrivare a quella da… rasoio a mano libera tipica delle proposte più specialistiche. L’usura? Più che accettabile, visto che in una giornata di caldo torrido in pista non abbiamo notato sensibili decadimenti del grip. LA GUIDA Iniziamo dai punti in comune: le tre Yamaha sono contraddistinte da quel classico equilibrio, tipico delle sportive della Casa di Iwata, fra motore e ciclistica che tende a renderle prestanti sì ma allo stesso tempo accessibili, comunicative e prevedibili. L’R1 dà un gusto infinito. Potentissima, con la colonna sonora gasante del suo quadricilindrico Crossplaneche ricorda tanto la MotoGP, e allo stesso tempo sfruttabile (per una mille, s’intende) grazie ad un’erogazione da riferimento,
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sa andare forte senza impegnare troppo il pilota. Soprattutto, come abbiamo già riscontrato in tutte le nostre comparative, è quella con cui è più facile mantenere un passo di tutto rispetto con una notevole ripetibilità, ovvero restando molto costanti nelle prestazioni. L’elettronica ha ormai un’efficacia eccelsa, e anche nella versione R1 – ovvero non R1M, quindi senza l’assistenza elettronica sulle sospensioni – l’ammiraglia Yamaha è fantastica per rigore e precisione. Ci piacerebbero solo un pelo di agilità in più e magari freni più costanti, anche se su un tracciato come quello di Cremona, dove l’impianto viene sollecitato veramente solo due volte, non abbiamo riscontrato problemi di affaticamento degni di nota. Rimane comunque una moto da 200 e passa cavalli, quindi pur con tutta l’assistenza da parte dell’elettronica servono fisico e fiatoper… restare attaccati in accelerazione e frenata, e soprattutto un po’ di muscoli per farla voltare, perché anche 14
a causa della sua architettura motoristica (l’albero con fasatura a croce si porta dietro una certa inerzia) i cambi di direzione risultano un po’ fisici. Lo abbiamo detto tante volte e lo ribadiamo: una Yamaha YZF-R6 ben gommata in pista è uno dei più grandi piaceri che un motociclista sportivo possa concedersi. Agile, reattiva, precisa come solo una 600 sa essere, con l’aggiornamento 2018 ha fatto un passo avanti notevole in termini di stabilità e confidenza a centro curva grazie a una ciclistica da maxi. Il peso più contenuto, ma soprattutto le inerzie ridottissime, la rendono una saetta in inserimento e nei cambi di direzione: siamo sicuri che con pista libera a disposizione e magari una gommatura più specialistica avrebbe potuto farsi valere ben più di quanto non sia in effetti successo, perché il senso di appoggio tipico delle attuali maxi qui si integra con l’agilità che ci ha sempre fatto amare tanto le 600 supersport. E l’impegno fisico è veramente ridot15
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tissimo in ogni situazione, anche se quello psicologico, sia pure per motivi diversi dalla 1000, non è del tutto banale. La differenza è che la 1000 richiede concentrazione per le prestazioni mostruose che è in grado di offrire, la 600 invece la vuole per la precisione che richiede nella guida, perché evidentemente, pur… facendo meno danni quando si esagera in staccata o in riapertura, il motore non compensa le sbavature come sa fare la maxi. Una considerazione ancora più vera nel caso di questa R6 in versione Euro-4, che ai medi e agli altissimi regimi va un po’ in sofferenza rispetto ai modelli precedenti: se si scende troppo di giri in riapertura, o si cerca di sfruttare l’allungo, l’R6 attuale perde tempo. Date retta, se la volete usare in pista, scarico aperto e rimappatura della centralina. E poi vivrete felici come non mai.
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L’R3 porta tutti i concetti dell’R6 – nel confronto con la maxi – ancora più al limite. Se è vero che in diversi aspetti si notano i compromessi necessari a contenere il prezzo a livelli accettabili per la categoria, è però altrettanto vero che il DNA sportivo c’è e si sente: la guida è bella pepata, con una ciclistica sana e capace di dare più di una soddisfazione in pista – l’unico reale limite viene dalle pedane, che toccano terra davvero troppo presto, altrimenti la R3 sarebbe capace di pieghe davvero incredibili. Allo stesso modo, la forcella è ben tarata per l’uso stradale e anche in pista non andrebbe male finché non si pretende di tirarle davvero il collo in staccata, situazione in cui si desidererebbe un’unità regolabile per trovare maggior sostegno. Al retrotreno si riesce a compensare un po’ la tendenza ad allargare in accelerazione agendo sul precarico, operazione con cui
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tra l’altro si guadagna anche un po’ di agognata luce a terra. Il motore ha una bella erogazione, lineare e regolare, e pur non brillando per potenza massima sa farsi valere – anche la voce allo scarico, con l’Akrapovic di serie, ha un suo perché. La personalità della YZFR3 paga naturalmente la guida rotonda: bisogna forzarsi a dimenticare i riferimenti delle grosse cilindrate, mollare i freni dove non si ritiene possibile e inserirsi a velocità suicide, contando su una massa molto ridotta e una “sanità” della ciclistica che ripaga con percorrenze davvero elevatissime. Impegno fisico? Inesistente. Impegno psicologico? Una volta fatta l’abitudine ad una guida che noi… veterani abbiamo dimenticato, quasi zero. Ma attenzione a rispettarla, perché la YZF-R3 va trattata come una moto vera. Poi il gusto è davvero tantissimo…
MA ALLORA…? Vi lasciamo al video per le considerazioni relative all’acquisizione dati e alle prestazioni pure. Qui ci limitiamo a confermare quello che in fondo sapevamo già prima di iniziare: se è vero che il fascino dei 200 cavalli, le emozioni fortissime e la sicurezza intrinseca della dotazione tecnologica giustificano l’esborso per l’ammiraglia YZF-R1(18.990 euro), noi dal canto nostro continuiamo a pensare che con una bella YZF-R6, soprattutto se si frequenta spesso la pista, ci si diverte altrettanto. E con i suoi 13.990 euro fa risparmiare il necessario per “mettere su” il kit ufficiale, che riporta il motore alle glorie dei bei tempi. Ci si va forte, si fa una frazione della fatica imposta dall’R1 ma ci si diverte altrettanto. Per l’R3 il discorso è un po’ diverso: è vero che tutti i concetti espressi per l’R6 si repli-
cano secondo la stessa logica, ma lo scarto prestazionale è davvero molto marcato, e servono interventi un po’ più strutturali per sfruttare al meglio le potenzialità del mezzo. D’altra parte, l’arrivo della nuova YZF-R3 (che proveremo già a gennaio, restate sintonizzati…) sembra poter eliminare diverse di queste obiezioni. Inoltre, la YZFR3 nasce come nave scuola che sappia traghettare gli appassionati di moto sportive dalla 125 alle medie come l’R6, insegnando i principi della guida sportiva ma offrendo quella versatilità e accessibilità necessarie a far crescere chi, giocoforza, l’esperienza se la deve ancora fare. Il fatto che… ragazzini troppo cresciuti come noi l’apprezzino tanto è da considerarsi, semplicemente, una conferma della sua validità. 18
ABBIGLIAMENTO
Caschi Arai RX-7V, AGV Pista GP R, HJC RPHA 11 Tute Dainese D-Air Racing Misano, Ixon Mirage Guanti Dainese Full Metal D1, Alpinestars GP Plus R Stivali Dainese R Axial Pro In, Alpinestars SuperTech R
PIÙ INFORMAZIONI Meteo: Sole, 20° Luogo: Cremona Circuit Terreno: pista
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SUZUKI RM-Z 250: BENTORNATA SUZUKI!
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SUZUKI RM-Z 250: BENTORNATA SUZUKI! di Aimone Dal Pozzo NONOSTANTE L’ASSENZA DAI CAMPI DI GARA, SUZUKI È SEMPRE ATTIVA E PRESENTA IN ANTEPRIMA MONDIALE LA NUOVISSIMA 250 4T DA CROSS. IMPORTANTI NOVITÀ PER UNA MOTO BELLA DA VEDERE E SOPRATTUTTO DIVERTENTE DA GUIDARE
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Spagna, sulle colline nelle vicinanze di Barcellona, alla ricerca dell’ultimo caldo annuale che di fatto non c’è stato. Pioggia e freddo hanno caratterizzato una delle prove più attese della stagione, nella quale torna finalmente sotto i riflettori la cross dalla livrea gialla, l’iconica RM-Z 250. A presentarcela sono arrivati direttamente dalla casa madre i tecnici che l’hanno sviluppata che ci raccontano nel dettaglio i punti focali che hanno caratterizzato lo sviluppo del nuovo progetto. Yamaguchisan, motorista a capo del modello 2019 ci indica le chiavi del progetto che sono: l’erogazione del motore, la maneggevolezza in curva e la capacità di frenata. Dal punto di vista termico hanno lavorato assiduamente durante gli ultimi due anni ed infatti, viene incrementato notevolmente il picco massimo di potenza grazie ad un nuovo flusso dei condotti d’aspirazione ed all’inserimento del doppio iniettore che aumenta la potenza espressa di oltre il 5%. Grazie a ciò viene anche ridisegnata la distribuzione del cambio in particolare la prima e la seconda che ora sono più corte. Viene inoltre introdotta un’ulteriore 22
possibilità di personalizzare le impostazioni della centralina, grazie alla partnership con Athena. Le tre mappe non sono un'innovazione sulla 2019, in quanto erano già presenti sul modello precedente: c'è la classica Standard, la Soft per terreni scivolosi, e la Aggressive per terreni che legano di più; le mappe si modificano intervenendo sugli spinotti opzionali che vengono forniti assieme alla moto, e questi di fatto agiscono sulla centralina modificando semplicemente la quantità di benzina che viene miscelata con l'aria. E' invece una novità lo strumento di programmazione dell'italiana GET, che può essere montato a bordo della moto e gestito tramite una app sul telefono. in questo caso le personalizzazioni sono maggiori, anche se comunque non è previsto il controllo di trazione al momento. In abbinamento alla gestione della ECU viene confermato il Suzuki Holeshot Assist Control (S-HAC) nelle due possibilità d’azionamento, ovvero A per terreni duro o scivolosi e B per le condizioni normali, entrambi attuabili con il tasto al manubrio. Non viene ancora introdotto l’avviamento elettrico e questo consente anche una 23
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notevole riduzione di peso. Dal punto di vista ciclistico, Yuse-san ci conferma come il maggior lavoro si sia concentrato nella ricerca della massima maneggevolezza e questo è stato ottenuto ruotando il motore all’interno del telaio all’indietro per avvicinarlo al baricentro. Anche il telaio stesso è stato interamente ridisegnato internamente dove ora risulta interamente cavo. Le forcelle KYB di ultima generazione tornano ad essere a molla mentre per il monoamortizzatore sono state variate le progressioni del leveraggio che si abbina ad un nuovo forcellone da un disegno interamente rinnovato. A completare le dotazioni di serie è la componentistica di alto livello con una fornitura Nissin per quanto riguarda gli impianti fre-
nanti con un aumento del disco anteriore che passa da 260 a 270 mm. Arriva come dotazione di serie ,ed anche per la prima volta sul mercato, il nuovissimo Dunlop Geomaxx Mx33, un nuovissimo pneumatico medium soft di Dunlop che permette di avere un largo range di utilizzo. Risulta il degno successore del blasonato MX3SF con una serie di accorgimenti nel disegno e nella mescola che le permette di essere ancora più competitiva su una moltitudine di terreni differenti. COME VA Sali in sella ed avverti subito una posizione comoda ed una linea slanciata e sottile tra le gambe. La seduta è bella piatta e sostenuta e l’accoppiamento con i fianchetti ed
il serbatoio, ora in plastica, è molto preciso e curato. Il convogliatore dell’aria è in materiale bicomponente, con una parte in simil carbonio ed una gialla che si sposano elegantemente alla copertura del serbatoio di colore blu. Come comandi troviamo a sinistra una leva frizione a cavo, il pulsante di spegnimento, l’attivazione del Launch control, mentre a destra, oltre al comando gas, una pompa Nissin che è stata accoppiata ad un disco oversize. Per accendere la gialla occorre ancora scalciare, è infatti tra le poche rimaste a non avere l’avviamento elettrico. Ciononostante si avvia molto velocemente, bisogna solo prendere un po’ di confidenza all’inizio con lo stacco frizione e la poca inerzia, per non fargli fare il classico ciuf. Già dai primi 24
metri senti che il motore c’è, spinge forte ed ha voglia di distendersi. Il sound, seppur in linea con le richieste fonometriche è una goduria perché è secco e rabbioso come il carattere del propulsore. Appena la inserisci in curva ed inizi a ruotare la manopola, lei è subito pronta a sostenerti, tanto da richiedere, a volte, una marcia in più. Nella fase centrale della schiena però perde un po’ di spinta, come se fosse indecisa se proseguire o meno, ma appena superi quel punto entri nella zona in alto dove da il meglio di sé. Ha un ottimo allungo infatti e, se la fai cantare a dovere è capace di regalarti grandi soddisfazioni. Dal punto di vista ciclistico ho avuto l’occasione di lavorare direttamente con i tecnici Kayaba che mi hanno settato la moto a 25
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pennello prima di entrare in pista e durante tutto il test. Il primo approccio porta come impressione quella di un ottimo sostegno, che a volte è risultato essere fin troppo duro e nervoso, complice probabilmente anche un prodotto appena uscito dalla scatola e non ancora rodato. La forcella sostiene bene fino ad un certo punto, poi quando va a lavorare in basso tende a picchiare nelle braccia. Nulla che non si possa sistemare con i registri o al massimo con una molla piÚ dura. Discorso similare per il mono, che lavora bene in abbinamento con la forcella, ma che in alcune occasioni, specie nelle buche secche in accelerazione, tende a picchiare sulle creste, piuttosto che scaricare tutta la potenza a terra. Pur non essendo tra le piÚ leggere della propria categoria (nonostante non abbia a bordo batteria e motore d’avviamento) in termini assoluti, in ordine di marcia risulta essere leggera da muovere sia a terra tra i canali,
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che in aria nei salti. Il punto di forza è senza dubbio l’inserimento che avviene in maniera naturale ed istintiva, soprattutto nei canali stretti. A metà, complice la coppia centrale, hai un attimo di esitazione, ma se insisti nell’apertura e la aspetti, esci dagli appoggi come una fucilata. In conclusione la nuova 250 di casa Suzuki compie importanti passi avanti rispetto alla versione precedente, sia in termini di motore che di ciclistica e sensazioni di guida. Mancano alcuni componenti per avere un pacchetto davvero completo, al passo con la concorrenza e con le esigenze ed i “vizi” del crossista moderno. I tecnici in giallo ne sono consapevoli e ci hanno già anticipato imminenti importanti novità. 28
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Luogo: Crossodromo di Vallgorguina Barcellona, Spagna Foto e Video: Steve Bauerschmidt per Suzuki
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Casco: Thor Occhiali : Ariete Maglia: Thor Pantaloni: Thor Guanti: Thor Stivali: Alpinestars Tech 8
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TRIUMPH: FACTORY CUSTOM THRUXTON R E ROCKET III
customizzati direttamente in fabbrica, con i vantaggi che ne seguono in termini di funzionamento e affidabilità. La Thruxton TFC si segnala per la carrozzeria in fibra di carbonio, formata da carena monopezzo, parafango anteriore, codino copri sella, para tacchi e cappucci terminali di scarico. Ulteriori dettagli includono placca in alluminio con logo TFC, kit specchietti in nichel spazzolato, strumentazione a colori, sella in pelle con dettagli cuciti a mano e tappo serbatoio "Monza" in alluminio. Ci sono le ruote a raggi anodizzate nere e ammortizzatori neri RSU Öhlins. Particolare la verniciatura nera con dettagli in carbonio in rilievo sul serbatoio. La forcella è una Öhlins NIX30, ci sono pinze Brembo a 4 pistoncini M4.34 monoblocco radiali e gomme Metzeler Racetec RR. Il motore eroga 10 cv in più rispetto alla versione standard Thruxton R: da 97 a 107 cv, mentre la coppia (picco massimo di 115 Nm) è stata arricchita ai regimi medi
e bassi grazie anche allo scarico in titanio Vance & Hines con terminali rivestiti in carbonio. Il peso è diminuito di 5 kg, da 203 a 198 kg dichiarati a secco. Il prezzo parte da 22.500 euro. ROCKET TFC CONCEPT La Triumph Rocket TFC, presentata in veste di concept, è il prossimo progetto TFC e sarà svelata il 1° maggio con tutti i relativi dettagli e le specifiche. Lanciata nel 2004, la Rocket III è unica nel panorama delle maxi cruiser, a partire dal suo fprmdabil motore a tre cilindri trasversali con cilindrata record di 2.300 cc. La nuova versione dovrebbe tuttavia montare il propulsore maggiorato a 2.500 cc, capace di fornire 230 Nm di coppia a 3.000 giri e con la potenza superiore a 180 cavalli. Inedita la ciclistica, che vede ora il forcellone monobraccio, il telaio d'alluminio, nuove ruote, una solida forcella rovesciata e l'impianto frenante Brembo di grande diametro con pinze radiali.
di Maurizio Gissi DOPO LE INDISCREZIONI, ECCO LA CONFERMA. LA MARCA INGLESE HA VARATO LA FAMIGLIA TRIUMPH FACTORY CUSTOM: MODELLI IN SERIE SPECIALE E LIMITATA NEL NUMERO. SI INIZIA CON LA THRUXTON R E LA ROCKET III 2.500, POTENZIATE E ARRICCHITE NELLA DOTAZIONE
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Ve ne avevamo anticipato la notizia e alcune foto un mese fa, ora è arrivata la conferma ufficiale. Triumph ha avviato il suo programma TFC (Triumph Factory Custom), che concerne la produzione di modelli a tiratura limitata (750 esemplari in tutto il mondo, 34
non più replicabili), impreziositi da equipaggiamenti dedicati, incrementati nelle prestazioni e caratterizzati da finiture esclusive. Un primo assaggio si era visto nel 2014, quando da Hinkley erano arrivate due show-bike su base Bonneville: la TFC-1 Bobber e la TFC-2 Scrambler viste a Eicma. La nuova serie prevede che i modelli siano 35
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DUCATI DIAVEL 1260 M.Y. 2019 IN PRODUZIONE. IN VENDITA A FEBBRAIO E’ INIZIATA A BORGO PANIGALE LA PRODUZIONE DELLA NUOVA DUCATI DIAVEL 1260 CHE ERA STATA PRESENTATA A EICMA. ARRIVERÀ NELLE CONCESSIONARIE A METÀ FEBBRAIO
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Come da tradizione, il primo esemplare sceso dalla catena di montaggio è stato festeggiato da tutta la fabbrica con un brindisi. Lunedì 21 gennaio è infatti iniziata la produzione della Diavel 1260, e per l’occasione ci sono stati i discorsi di Claudio Domenicali, amministratore delegato, e di Silvano Fini, direttore di produzione. Lanciata a Eicma nel 2010, la Ducati Diavel è giunta alla sua seconda generazione 1260 forte del motore Testastretta DVT da 1262 cc, decisamente generoso nella potenza e soprattutto nella coppia già ai regimi bassi. La ciclistica aggiornata rende la nuova Diavel più agile, mentre la dotazione tecnica ed elettronica consente frenate da supersportiva in sicurezza grazie all’ABS 36
Cornering di Bosch, e una facile gestione delle prestazioni meccaniche. Questa power cruiser si riconosce anche per il pneumatico posteriore da 240 mm di larghezza (17 pollici di diametro) che da sempre è un elemento estetico, oltre che dinamico, della moto. Diavel 1260 è disponibile anche nella sportiva versione S caratterizzata dalle sospensioni Öhlins, da ruote dedicate e da un impianto frenante ancora più performante, oltre al “Ducati Quick Shift up & down Evo” di serie. A partire da metà febbraio, la moto sarà disponibile presso le concessionarie Ducati: nel colore Sandstone Grey costerà 19.990 euro, mentre la Diavel 1260 S, nei colori Sandstone Grey o Thrilling Black & Dark Stealth, andrà in vendita a 22.990 euro. 37
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PROTEZIONI GUARDRAIL PER MOTOCICLISTI: CI PROVA MOTORLAB di Nico Cereghini LA CAMPAGNA “ADOTTA UN DR46” SI RIVOLGE AI COMUNI, ALLE PROVINCE, AI GESTORI DELLE STRADE PER METTERE IN SICUREZZA I GUARDRAIL ESISTENTI CHE SONO MICIDIALI PER I MOTOCICLISTI. LA FUMOSITÀ DELLE LEGGI E LA LENTEZZA DELLA POLITICA NON AIUTANO
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Guardrail assassini. E’ il tema che abbiamo affrontato pochi giorni fa nell’intervista alla coraggiosa madre di Elena Aubry, caduta a Roma con la moto nel maggio scorso e purtroppo deceduta. La sua protesta è arrivata fino al ministro Toninelli, che l’ha ricevuta e si è impegnato personalmente ad accelerare l’iter legislativo su due piani: il decreto di attuazione e recepimento delle normative europee e poi le emanazioni delle “istruzioni tecniche per l’uso e l’installazione dei dispositivi di ritenuta stradale”; queste ultime in base al DM 233 del giugno 2011, istruzioni che avrebbero dovuto arrivare entro dodici mesi da quella data. In Italia i tempi sono lunghi: pensate che solo nel marzo 2016 il tavolo degli specialisti (gestori, tecnici, produttori delle barriere ecc.) stese una bozza di decreto. La bozza ricevette anche l’ok del Consiglio superiore dei lavori pubblici e, nell’attesa dell’approvazione, il Ministero aveva persino espressamente autorizzato i gestori “alla istallazione sperimentale dei dispositivi salva motociclisti”. 38
Vi terremo aggiornati sulle mosse del Ministro, ed ora ascoltiamo Mario Volta, il presidente di MotorLab di Bologna che ha lanciato il progetto “adotta un DR46”. E’ una campagna rivolta alle pubbliche amministrazioni sensibili all’argomento sicurezza. L’obiettivo è offrire a costo zero quella fascia gialla da installare sui guardrail esistenti a protezione dei motociclisti, per scongiurare l’impatto contro i pali di sostegno e lo scivolamento sotto le lame d’acciaio. I tempi sono grami, sulle nostre strade: sempre più trascurate per i tagli delle risorse, per la nebulosa sorte delle province, per la confusione legislativa eccetera. Peraltro le pubbliche amministrazioni ed i gestori rischiano molto, in materia: numerose condanne stanno fioccando sui Comuni per gli incidenti motociclistici contro i guardrail, per la loro conformazione o per omessa manutenzione (in base all’articolo 14 del Codice della Strada e alla legge 29.7.2010 n.120). «Il dispositivo aggiuntivo – dichiara Mario Volta - non richiederebbe nemmeno la marchiatura CE, seppure abbia superato le prove europee in qualità di pertinenza e manutenzione straordinaria
delle barriere già in opera». E per fortuna già tanti gestori lo hanno adottato, magari appunto in forma “sperimentale”, su alcune rampe autostradali e sulle curve più pericolose di strade statali. Riducendo così, sebbene in misura ancora inadeguata, la mortalità, i lutti, le lesioni e i costi sociali. MotorLab, associazione motociclistica sportiva e di promozione sociale senza fini di lucro, fa la sua parte con una ricetta semplice: è in sostanza un patto di collaborazione con i gestori delle strade, ai quali prima segnala le curve pericolose per i motociclisti e poi offre il DR46, che acquista in prima persona nella metratura del progetto; infine, per coprire il costo, trova aziende (o enti, o Comuni) che vogliano comparire con l’adesivo del loro marchio e collaborare alla sicurezza e al progresso sociale. 39
News
Moto.it Magazine N. 366
MOTO.IT E L’ELETTRICO. IL FUTURO AL MOTOR BIKE EXPO DI VERONA di Matteo Perniconi ALLA FIERA DELLA MOTO CUSTOM PER FARE RUMORE CON IL SILENZIO. LO STAND, IL NUOVO CANALE SULLA MOBILITÀ SOSTENIBILE, I PROGETTI GREEN E UN PARTY PER SPIEGARVI CHE "ELECTRIC IS THE NEW BLACK"
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«Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta». Lo scriveva il poeta Thomas S. Eliot in un suo quartetto, ma potrebbe essere la dichiarazione dell’amministratore delegato di una grande casa moto. Perché a quello starting point di fine ottocento, quando inventori e ingegneri fissavano al telaio di un velocipede un motore elettrico e a New York circolavano più di cento taxi con un propulsore che non era ancora a scoppio, ci siamo tornati davvero. Perché l’elettrico non è più una buia caverna in cui le conversazioni sulla mobilità sostenibile delle due o delle quattro ruote vanno a morire. Non è più surfare l’onda del marketing con il lancio di un prototipo per attirare l’attenzione dei media. Prendete Motor Bike Expo, il regno della customizzazione moto, l’enclave in cui l’immaginario più genuino del motociclista diventa realtà seppur in uno scenario sazio 40
con un’impostazione naked e motore elettrico all’interno della ruota anteriore (4 kw nominali, 8 di picco). Moto.it a Verona per ballare e dire che Electric is the new black: un party a LP22 (sede di Apache Custom) in cui abbiamo ribadito che nell’elettrico ci crediamo portando in pista (quella dance) anche la Smart elettrica EQ grazie al concessionario Trivellato, partner dell’iniziativa. Sì, perché dal 2020 il modello electric drive sarà l’unico modello acquistabile nel listino Smart. Quindi, ricapitolando: ci sono artigiani che già customizzano la moto elettrica, campioni che progettano e realizzano moto elettriche da gara, brand delle quattro ruote che tra due anni venderanno solo modelli elettrici… E noi che vi urliamo nelle orecchie lo stesso invito scritto sullo stand del Motor Bike Expo: Sveglia! Il mondo sta cambiando.
(e anche imbruttito dalla poca creatività) di special handmade. In questa edizione Moto.it era presente con uno stand vestito d’elettrico. Con la FXS di Zero Motorcycles preparata con il kit di Officina Elettrica Modenese e con la Apache Custom Energica Midnight Runner, la café racer elettrica realizzata da Giorgio Zamboni, Roberto Butturini e Luca Danese dell’omonima officina veronese. E non è un caso se abbiamo voluto presentare il canale della nostra piattaforma web dedicato esclusivamente alle due ruote green proprio qui, alla fiera meno pettinata del settore dove è più probabile alzare i decibel di uno scarico o dell’estetica piuttosto che seguire la strada dell’undestatement, del silenzio di un motore che non fa rumore. Qui perché volevamo fare chiasso, perché sull’elettrico siamo andati in cerca delle opinioni di customizer e visitatori. Per seguire lo stesso intuito di Loris Reggiani che nella pista indoor del padiglione 8 ha presentato la sua ThunderVolt NK-E, una pitbike che il campione di velocità degli anni Ottanta e Novanta ha progettato 41
Special
Moto.it Magazine N. 366
KTM 990 ADVENTURE A DUE RUOTE MOTRICI. ECCENTRICA? DECISAMENTE di Umberto Mongiardini IN GERMANIA HANNO PROGETTATO UN KIT PER TRASFORMARE UNA DELLE MOTO PIÙ ICONICHE DEL MARCHIO AUSTRIACO
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Abbiamo tutti in mente la gloriosa KTM 990 Adventure, ma chi di noi ha mai pensato di trasformarla in una moto a due ruote motrici? Direi nessuno, o quasi, visto che Guido Koch, di Projekt DT-A, ne ha sviluppata e realizzata una in Germania. L'idea è sicuramente bizzarra e di difficile realizzazione, ma sembrerebbe abbastanza riuscita: due ruote motrici con la ruota anteriore sterzante, ma non solo, visto che la trazione anteriore è escludibile tramite una leva posta sul manubrio, e che con questa trasformazione radicale il peso si abbassa di addirittura 40 chili. Lo scopo di Guido Koch è quello di attirare ora degli investitori in modo tale da creare un kit di trasformazione per i possessori della KTM 990 Adventure per convertire le proprie moto. Guido ha impiegato dieci anni per realizzare il proprio progetto con un nuovo reparto sterzante e ammortizzante anteriore e, soprattutto, con un nuovo sistema di trasmissione che riuscisse a portare la potenza del motore LC8 anche all’anteriore. Nasce così 42
una cinghia dentata che, agganciata ad un’estensione del pignone, porta la potenza ad un una corona montata sul mozzo del cerchio anteriore. La cosa interessante è che, quando non è richiesta la trazione anteriore, si può scollegare il sistema tramite una leva al manubrio. Il sistema a due ruote motrici è progettato per entrare in funzione quando la ruota posteriore riscontra il 5% o più di slittamento, togliendo d’impaccio il pilota da situazioni difficili come, ad esempio, tratti coperti di fango. La KTM 990 Adventure di DT-A Projekt ha tre serbatoi con una capacità totale di 27 litri, ciascuno realizzato con una tecnica sandwich con struttura a nido d’ape in aramide, mentre la carenatura e la sella sono realizzati in fibra di carbonio. Alla fine il peso complessivo risulta di soli di 170 chilogrammi, con un'altezza della sella di 1.000 mm e 280 mm di escursione per entrambe sospensioni. Ora non resta che aspettare di vedere se questo ambizioso progetto possa essere messo sul mercato e reso disponibile per i possessori della KTM 990 Adventure. 43
Attualità
Moto.it Magazine N. 366
LE MOTO PIÙ VENDUTE: QUALI E QUANTE SONO di Maurizio Gissi COMPLETIAMO LA RASSEGNA DEL MERCATO ITALIANO 2018 CON LA CLASSIFICA DEI MODELLI PIÙ VENDUTI DI CIASCUNA CATEGORIA. NAKED ED ENDURO SI CONFERMANO LARGAMENTE COME LE PIÙ VENDUTE E CON LE ENDURO CHE HANNO GUADAGNATO DI PIÙ. STABILI LE MOTO DA TURISMO E IN IMPORTANTE CRESCITA PERCENTUALE LE SPORTIVE
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Come abbiamo visto qui, il mercato della moto è andato molto bene nel 2018 registrando un aumento delle vendite del 12,7% grazie 92.991 nuove immatricolazioni. Una ripresa iniziata nel 2014, primo anno positivo dopo il record storico del 2006 e la crisi economiche che seguì a ruota, quando le moto vendute furono 55.000. Le quasi 93.000 moto del 2018 replicano insomma il risultato del 2010 e i volumi di vendite di inizi anni Novanta. Pochi giorni fa abbiamo visto quali sono state le marche che più si sono avvantaggiate di questa crescita e che cosa hanno venduto, adesso ci occupiamo dei modelli più venduti di ciascuna categoria. Diciamo subito che le sette categorie (custom, enduro, naked, sportive, supermotard, turismo e trial) sono quelle fornite dalle statistiche elaborate da ANCMA partendo dai dati del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. Categorie che mostrano alcune disomogeneità. Ovvero ci sono costruttori, ad esempio, che indicano i modelli crossover fra le 44
enduro e altri che li inseriscono fra le turistiche. Addirittura Honda pone la CB 500X fra le turistiche e la NC750X fra le enduro… Così come ci sono marche che vedono modelli simili con dati separati, (vedi le R 1200 GS base e Adventure) e altre che le sommano (Moto Guzzi con le V7 o Benelli con le TRK 502). Tuttavia ai fini statistici è importante che ci sia corrispondenza di metodo fra un anno e l’altro e questo solitamente accade.
unità. Da osservare la forte ripresa si questo segmento che l’anno precedente era cresciuto del 3,4%, mentre le naked nello stesso periodo erano aumentate del 15,9%. In questa categoria ci sono le enduro professionali, i modelli più stradali, le adventure e persino molte crossover. Caratteristica unificante è in definitiva la possibilità di affrontare il fuoristrada in maniera più o meno specialistica. Enduro e naked valgono insieme il 71% delle vendite motociclistiche, un 2% in più rispetto all’anno precedent. TIPOLOGIE A CONFRONTO 2017 VS 2018 Terza categoria per ordine di importanza si conferma quelle delle turismo, cresciuta dell’1,94% e con 11.758 immatricolazioni all’attivo. Gli aumenti degli ultimi anni erano stati più sostenuti (+21% tre anni fa ad esempio) grazie appunto alla diffusione dei modelli crossover inseriti in questo grup-
po, vedi le Ducati Multistrada o le Yamaha Tracer. Le custom, nel recente passato più diffuse delle turismo, hanno visto un incremento pari a +4,4% grazie 5.584 unità vendute. Più sostenuta la crescita delle sportive, passate a 4.841 unità vendute con un aumento pari a +12,3% (in linea con la crescita del mercato moto) che conferma una ripresa delle categoria in atto da ormai quattro anni. Tuttavia la quota delle sportive sul totale supera di poco il 5%. Le supermotard vendute nel 2018 sono state 3.066 (+4,9%), mentre le specialistiche trial non vanno oltre le 1.000 unità che da un po’ di tempo in qua è il volume medio annuale. In flessione del 7%, ma l'andamento degli ultimi anni è sempre stato attorno alle 900-1.000 unità, il settore specialistico delle trial: sono scese a 993 unità nel 2018, sui valori del 2015.
CHI SALE E CHI SCENDE Tre delle sette categorie hanno registrato una crescita superiore alla media del mercato e fra queste ci sono le due principali per volumi di vendita: le naked e le enduro. Le moto naked sono state anche nel 2018 le più vendute, raggiungendo le 35.399 unità con un incremento del 14,6%. Raggruppano modelli assai diversi e che spaziano dai modelli basici alle iper naked passando per le classiche e le scrambler. Le enduro, principale segmento per l’ultima volta nel 2014, hanno segnato il migliore aumento percentuale: +18,07% rispetto all’anno precedente per un totale di 31.286 45
Attualità
Moto.it Magazine N. 366
QUALI CILINDRATE SI VENDONO DI PIÙ? L’andamento delle vendite per fasce di cilindrata arricchisce il nostro discorso. Balza all’attenzione il forte incremento della categoria che va da 250 a 500 cc, nella quale rientrano tante novità di prezzo spesso competitivo, balzata a 15.591 unità pari a un +58%. Nel giro di un anno questo segmento di cilindrata ha così superato la classe 600-750, che ha totalizzato 14.564 unità e una lievissima flessione (-0,75%). Importante anche l’amento percentuale delle 125 (+35%) per 11.206 unità vendute e la conferma di una tendenza di ripresa in atto da alcuni anni (nel 2013, ad esempio, si erano vendute soltanto 4.000 moto di 125 cc). La fascia di maggior diffusione si conferma ancora quella che va da 750 a 1000 cc: 24.594 unità di fatto stabili (-0,36% per la precisione). Discreto, invece, l’aumento delle oltre 1000 cc che vede un +6% e
23.601 unità vendute. In pratica le moto oltre 600 cc costituiscono il 68% del mercato e una moto su quattro supera il litro di cilindrata. LE NAKED PIÙ VENDUTE SONO QUESTE La Yamaha MT-07, rinnovata nella versione 2018, è la più venduta del segmento scalzando dal primo posto la Ducati Scrambler 800. La bicilindrica Yamaha è passata da 1.640 a 2.009 esemplari, mentre la Scrambler è scesa da 2.241 a 1.973 esemplari. L’accorpamento delle versioni V7 ha portato la classica di Moto Guzzi al terzo posto e largamente al primo per le vendite di marca. La Kawasaki Z900 ha guadagnato unità vendute rispetto al 2017, mentre la Z650 ha perso qualcosa, così come la prima 125 in classifica (KTM Duke) è arretra dal sesto all’ottavo posto perdendo un centinaio di esemplari venduti. Chi ha compiuto un balzo in avanti è Be-
nelli con la debuttante Leoncino 500 (sesta con quasi 1.400 unità), KTM ha venduto meglio dell’anno precedente la Duke 390 e, nella parte alta della classifica, sono salite la Honda CB 650F e la KTM Duke 790. Nelle prime sette posizioni, moto che hanno venduto oltre mille esemplari e che valgono oltre il 30% del vendite del segmento, ci sono modelli che vanno da 500 a 900 cc. ENDURO STRADALI IN AUMENTO. GS DAVANTI La classifica delle enduro più vendute vede i modelli maxi enduro sempre ai primi posti. La BMW R 1200 GS resta la preferita e le poche unità perse rispetto al 2017 sono state più che compensate dall’arrivo della versione 1250 a fine 2018. L'Africa Twin si è confermata al secondo posto con 178 unità in più e ancora meglio ha fatto BMW 1200 Adventure (+243 esemplari) salita al terzo posto. Notevole 46
l’aumento della Benelli TRK 502 lanciata un anno prima e passata da 929 a 2.233 esemplari, prestazione che ha portato le due versioni accorpate (base e X) al quarto posto; davanti a un altro modello storicamente preferito come la Honda NC 750X, che da parte sua ha perso 472 unità. Suzuki V-Strom 650 e Kawasaki Versys 650, altri due modelli di media cilindrata, hanno fatto meglio dell’anno precedente (la 650Suzuki è la più venduta della marca). In questo segmento ci sono infatti i modelli più venduti di molti costruttori (nelle prime otto posizioni ci sono modelli di sei marche diverse) e la salute della categoria è data dall’aumento dell’offerta che si è vista un po’ in tutte le cilindrate. Il che ha spalmato su tante moto l’incremento delle vendite ottenuto dal segmento. Le prime dieci moto in classifica valgono ad esempio il 57% del vendite totali del segmento, un anno prima ne valevano il 60 e il 76% due anni prima. 47
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883, con 567 esemplari ma un calo del 35%; la 1200 Forty-Eight, altro cavallo di battaglia del mercato di categoria, è scesa dal secondo al terzo posto con una perdita del 45%. Fra le H-D di cilindrata medio alta si inseriscono modelli più piccoli e soprattutto più economici che riguardano un altro pubblico di appassionati. Vedi la la Honda 500 Rebel, seconda, la Keeway 125 (quarta e un +48%), o la Kawasaki Vulcan S 650 (quinta e qualche unità in più). In leggera flessione anche la Ducati XDiavel, qualche esemplare in più per la Yamaha XV950, mentre ha fatto meno del previsto la Triumph Bobber, soltanto 35esima. QUESTE LE SPORTIVE PREFERITE Il debutto della Ducati V4 era atteso e così la 1100 iper sport ha sostituito al
LE TURISTICHE VANNO DI PIÙ Terza categoria più venduto è quella delle moto da turismo, nella quale sconfina la filosofia maxi enduro reinterpretata in chiave crossover. Non è infatti un caso se ai primi cinque posti troviamo altrettanti modelli caratterizzati dalla guida con manubrio alto e dalla versatilità non disgiunte dall’efficacia e quindi dal piacere di guida. Come l’anno precedente al primo posto troviamo la Yamaha Tracer 900, ma con 345 unità in più (+15%) grazie anche alla disponibilità della seconda versione GT introdotta nel 2018. E anche la nuova versione Multistrada 1260, al secondo posto in classifica, ha venduto molto meglio della precedente 1200 (passando da 1.031 a 1.521 unità). E’ arretrata quindi al terzo posto la Tracer 700, che venduto un centinaio di esemplari in meno; flessione simile per la Multistrada 950 scesa al quarto posto in classifica. Si conferma al quinto posto la più piccola 48
primo posto la più tranquilla Super Sport 900 con ben 880 unità: un valore che non si registrava da anni. La R1, quarta in classifica, ha aumentato le sue vendite da 237 a 292 esemplari e così la rinnovata R6 che è passata da 197 a 212 esemplari. Le altre tradizionali iper sport hanno fatto invece peggio, chi più chi meno: Suzuki GSX-R, Honda CBR, BMW RR e Kawasaki ZX-10R hanno tutte perso vendite. Prima 125 è ancora la Yamaha R125, ma con soli 285 esemplari. In un settore specialistico le vendite si sono concentrate maggiormente sui modelli più venduti: i primi dieci in classifica valgono il 65% del mercato di categoria. LEGGI QUI TUTTE LE CLASSIFICHE
Honda X, la CB500 (+132 esemplari), che precede ancora la prima vera granturismo: BMW 1200 RT (-155 esemplari). Guadagna una posizione la sport touring Kawasaki SX (ma vendendo un po’ meno) e seguono due turistiche anomale, nel senso che una è la monocilindrica naked Royal Enfield Bullet e l’altra è la Adventure Triumph Explorer 1200. Diversamente dalle altre tipologie viste finora, la vendita delle turistiche si concentra su di un numero inferiore di modelli. In questo caso bastano le prime cinque moto più vendute per arrivare al 62% del mercato di categoria. LE CUSTOM PREMIANO SEMPRE H-D Con 17 modelli nelle prime 25 posizioni è ancora una volta Harley-Davidson la regina del settore. Tuttavia il suo calo del 4,2% avuto nel 2018, sommato al +4,4% del segmento custom in generale, ha ridotto un po’ le distanze. Al primo posto c’è ancora una volta la Iron 49
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DUCATI, VENDITE MONDIALI: PRIMA FRA LE SUPERSPORTIVE MA PERDE 5% di Maurizio Gissi CON 53.000 MOTO VENDUTE NEL MONDO, DUCATI OTTIENE LA LEADERSHIP FRA LE SUPER SPORTIVE DI GROSSA CILINDRATA. VEDE PERÒ FERMARSI LA CRESCITA PERCENTUALE CHE AVEVA OTTENUTO NEGLI ULTIMI OTTO ANNI, PATENDO NEL 2018 IL CALO GENERALIZZATO DELLE OLTRE 500 CC
S
Sono state 53.004 le moto che Ducati ha venduto ai suoi clienti nel mondo durante il 2018. Un dato che, come ricordano a Borgo Panigale, per il quarto anno di fila supera quota cinquantamila: un risultato positivo, ma che per la prima volta dopo il 2010 vede la crescita fermarsi. Nel 2017 le vendite raggiunsero infatti le 55.871 unità (+0,8% sull’anno precedente): significa che nel 2018 i volumi Ducati hanno visto un calo del 5,1%. Nel 2016, come nel 2017, il saldo era stato positivo (+1,2%) e nel 2015 era stato di +22%, grazie soprattutto all'arrivo dell'inedita Scrambler. Per completezza di informazione, va detto che il segmento oltre 500 cc, ovvero le cilindrate nei quali è presente Ducati con tutti i propri modelli, nel 2018 ha visto a livello mondiale una flessione del 3%, che ha seguito un altro - 2,8% nel 2017. Lo stesso problema di sofferenza riguarda anche altre marche, come Harley-Davidson o l'europea BMW che, come abbiamo scritto qui, se è cresciuta nel 2017 e nel 2018 lo deve all’introduzione della serie G310. 50
Tornando ai numeri che riguardano Ducati, così come la Scrambler è stata il motore della crescita dal 2015, l’anno appena concluso ha visto in prima linea il successo della serie super sportiva Panigale. Fra nuova V4 e le storiche Panigale bicilindriche, la serie ha totalizzato 9.700 unità (6.100 le V4), pari a un notevole +70%. Questo ha permesso per la prima volta a Ducati di essere al primo posto mondiale nel segmento sportivo di appartenenza, con una quota di mercato che supera il 26%. In Italia, ad esempio, le Panigale V4 vendute sono state 880, contro le 292 della moto seconda classificata di categoria, ovvero la Yamaha R1. Ducati è cresciuta in Italia del 4,6% nel 2018, arrivando a 9.184 immatricolazioni. Grazie a questo risultato, è diventato quello italiano il mercato più importante a livello mondiale nel 2018, mentre quello statunitense, storicamente il numero uno, è sceso del 9% (+1,3% l’anno precedente), totalizzando 7.843 vendite e soffrendo anche in questo il calo generalizzato del mercato nordamericano. Migliore invece l’andamento di Ducati in
Spagna (+8% e 2.444 moto), Giappone (+2% e 1.941 unità) e Svizzera (+2,2% e 1.276 moto). Non sono stati diffusi i dati che riguardano l’Europa nella sua interezza, il mercato che vale oltre la metà delle vendite della marca e che l’anno scorso aveva visto un +4%, mentre la Cina ha ottenuto un +29% - le concessionarie sono salite a 23 - che segue il +31% del 2017. Tornando ai modelli, Ducati segnala in 11.829 esemplari le Multistrada consegnati nel mondo, dei quali sono 6.569 le nuove versioni 1260 (+25% rispetto alle precedenti 1200). «Malgrado il 2018 sia stato un anno impegnativo e difficile per il mercato delle moto di grossa cilindrata - ha detto Claudio Domenicali, amministratore delegato di Ducati Motor Holding - Ducati ha consolidato la crescita ottenuta negli ultimi anni. Il 2018 è stato un anno in cui ci siamo stabilizzati,
positivo quindi sia dal punto di vista commerciale sia sportivo. Si conferma quindi la solidità dell’azienda e questo ci permette di continuare a lavorare con determinazione sull’innovazione e sullo sviluppo dei prodotti per offrire anche nei prossimi anni nuove icone di stile e tecnologia». «Per far fronte alle sfide del mercato – ha aggiunto Francesco Milicia, global sales director – stiamo lavorando per rendere ancora più efficace la nostra rete di vendita. Abbiamo rinnovato la gamma Scrambler 800, abbiamo lanciato nuovi prodotti come Diavel 1260 e Hypermotard 950. L a famiglia Multistrada vede l’ingresso della 1260 Enduro e della 950 S, che completano la proposta. Infine abbiamo introdotto la V4 R, per avere una nuova base di partenza per competere nel campionato Superbike. Parliamo in totale di nove nuovi modelli che ci fanno guardare positivamente al futuro».
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Epoca
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INDIAN MOTORCYCLE: A LAS VEGAS ALL’ASTA UNA COLLEZIONE STRAORDINARIA di Umberto Mongiardini MOTO, BICI E CIMELI MESSI ALL’INCANTO; NESSUN PREZZO DI RISERVA!
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Indian Motorcycle: a Las Vegas si sta svolgendo una delle aste più importanti che abbia mai coinvolto in marchio americano. Parliamo di moto, biciclette, monopattini e tantissimi cimeli come cartelloni, latte, lavagne e tanto altro. ìTutto questo immenso patrimonio arriva da un certo Rickey Jensen, una volta proprietario di RJ & C Metal Fabricators a Phoenix, in Arizona. Lo descrivevano tutti come una persona riservatissima e aveva accaparrato negli anni una sconfinata collezione monomarca Indian di cui quasi nessuno era a conoscenza e, quando è venuto a mancare, 52
è tornata alla luce. Quindici moto Indian d'epoca, tra cui, addirittura, un Papoose Indian. Prodotto nel Regno Unito come Welbike e portato negli USA dall’importatore, era uno scooter usato durante il periodo bellico per essere paracadutato. Ci sono anche otto biciclette a marchio Indian e centinaia di cimeli come insegne, cacciaviti, candele, fibbie per cinture, apriscatole – tutto marchiato Indian – ma anche stivali, tute da lavoro e tanto altro. Ciascuno dei pezzi è stato messo all’asta senza prezzo di riserva, consentendo agli appassionati del marchio di riuscire a fare dei buoni affari, magari portandosi a casa anche solo un’insegna originale. 53
Raduni
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AGNELLOTREFFEN 2019: VIAGGIO DALLA REDAZIONE AL RADUNO PIÙ ALTO D'ITALIA! di Andrea Perfetti AGNELLOTREFFEN 2019 CONCLUSO! È STATA UN'EDIZIONE SEMPLICEMENTE PERFETTA. PANORAMA INNEVATO SIN DA PAVIA, STRADE PULITE E APPASSIONATI FANTASTICI A PONTECHIANALE. GRAZIE A TUTTI GLI AMICI INCONTRATI IN QUESTI GIORNI AL RADUNO. CON NOI HA VIAGGIATO IL LETTORE MATTEO, ECCO COM'È ANDATA IN UN VIDEO LUNGHISSIMO, SIETE PRONTI?
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Agnellotreffen 2019 concluso! È stata un'edizione semplicemente perfetta. Panorama innevato sin da Pavia, strade pulite e appassionati fantastici a Pontechianale. Grazie a tutti gli amici incontrati in questi giorni al raduno, ma anche per strada. Gli organizzatori di Moto Ride Experience (Claudio, Manuel e Rino) sono persone meravigliose e si meritano ogni anno di più la fiducia dei motociclisti. E quest'anno ne sono arrivati su tantissimi, oltre 1.500 con ogni genere di moto. Il meteo ha dato una mano, con temperature più che sopportabili ( - 11 gradi sabato, sopra lo zero la domenica). Sono partito dalla redazione di Milano coi miei compagni di avventura Guido, Cristiano, Angelo e Simone. E soprattutto insieme al lettore di Moto.it Matteo, che ora considero già un amico, selezionato dalla redazione per questa gelida avventura. Gentile, appassionato e bravo in moto. Ho viaggiato al gelo con una BMW R 1250 GS Adventure gommata con le Anlas Winter Grip Plus e con un po' di accessori Tu54
cano Urbano (giacca, guanti e gaucho). Beh, c'è da dire che con una dotazione del genere si viaggia alla grande, e sicuri, anche d'inverno. Non dovete infatti pensare ai partecipanti dell'Agnellotreffen come a un'armata Brancaleone di improvvisati masochisti. Chi viaggia in moto d'inverno sa - quasi sempre - quello che fa. E parte con un'attrezzatura degna di Reinhold Messner: delle migliori marche, ma spesso anche costruita fai da te e con tanta fantasia nelle lunghe sere d'estate. Nessuno si lamenta del freddo e le ore passano veloci, parlando di moto, di viaggi con nuovi amici. E' questa la grande magia dell'Agnellotreffen, che l'ha reso un appuntamento imperdibile per tantissimi motociclisti, che arrivano qui con i mezzi più diversi. Il video del nostro viaggio è davvero lungo, ma credeteci, condensare un weekend così bello in 20 minuti non è stato affatto semplice! COSA DICONO GLI ORGANIZZATORI C’è chi è partito dall’Irlanda con moto che hanno fatto più volte il giro del mondo, chi dalle Isole Canarie su una vecchia gloria tedesca, chi dall’Inghilterra coll’inseparabi55
Raduni
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le amico a quattro zampe nel sidecar, chi dalla Norvegia e chi dalla Turchia su piccole 125 come i nostri amici Tugce e Fatih. Una volta giunti in Val Varaita si sono riuniti ai tantissimi motociclisti italiani provenienti da ogni regione dello stivale su due o tre ruote. C’è chi è arrivato dalla Toscana in sella a un vecchio ciclomotore e chi invece ha attrezzato la propria moderna tourer di tutto punto, chi è salito fin quassù con un Moto Guzzi Ercole carico di provviste e chi ha dotato di sci la propria Vespa. Anche a questo Agnellotreffen ne abbiamo viste di tutti i colori. Sono stati più di 1.500 gli iscritti alla manifestazione che ha animato tutta l’alta valle, il paese di Pontechianale in primis. Confermata dunque l’affluenza dello scorso anno
rispetto al quale si registra un incremento percentuale di chi è rimasto per l’intera durata del week-end rispetto a chi ha partecipato solo di passaggio, venendo a curiosare in giornata. Un dato piccolo all’apparenza, ma molto importante per Moto Raid Experience, organizzatore dell’evento, che dimostra come lo spirito che porta i motociclisti a voler vivere l’Agnellotreffen al 100% si stia radicando nella comunità motociclistica. È anche il segnale che le piccole modifiche organizzative, il cui obiettivo principale è stato rendere l’accesso all’evento più sicuro e controllato, hanno portato l’effetto desiderato. Un risultato che non sarebbe stato possibile senza il fondamentale ausilio di ATL Cuneese della Pro Loco, del Comune e di
tutti gli esercizi commerciali di Pontechianale, impegnati in prima linea nell’offrire una calorosa accoglienza. Un ringraziamento speciale va rivolto ai partner che hanno trasformato la piazza del paese in un un vero villaggio per motociclisti: Tucano Urbano, oltre a portare tutti i suoi famosi must have per l’equipaggiamento invernale e, in esclusiva, la nuova gamma di abbigliamento T.ur, ha offerto vin brulè a tutti i visitatori; Anlas ha portato i celebri pneumatici invernali già popolarissimi tra i partecipanti al raduno; le concessionarie Luciano Moto, Marino Moto e Motordon hanno alimentato i sogni di tutti i motociclisti con le novità Honda, KTM, SWM, Quadro e Kawasaki; Galup ha addolcito il rientro di tutti i premiati La gratitudine di tutta l’organizzazione va, infine, a tutti i volontari che hanno dato un fondamentale supporto, ai Carabinieri di Casteldelfino e all’associazione Carabinieri in Congedo. 56
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Tecnica e Storia
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i casi non sono comunque mancate interessanti eccezioni. Questi due diversi orientamenti dei tecnici erano logici in quanto sulle autovetture il motore era completamente racchiuso (e di spazio attorno ad esso ce ne era in abbondanza) mentre sulle moto, mezzi più semplici e per i quali era importante la leggerezza, esso era liberamente esposto al vento della corsa. Per le auto le eccezioni, che adottavano il raffreddamento ad aria (ovviamente forzata mediante ventola), si chiamavano Franklin e, dalla fine degli anni Trenta, Volkswagen Maggiolino; per quanto riguarda invece i mezzi a due ruote di serie, tra i pochi che adottavano la refrigerazione ad acqua occorre ricordare almeno la Scott bicilindrica e diverse realizzazioni tedesche degli anni Venti (ARCO, Aristos, Bohme, Maurer), più qualche modello a due tempi realizzato dalla DKW.
Dopo la seconda guerra sono apparse svariate auto di piccola cilindrata con raffreddamento ad aria, che hanno avuto una lunga vita e una grande popolarità. La Panhard Dyna, le Citroen 2 CV e Dyane, la NSU Prinz e la Fiat 500 non solo sono rimaste nella memoria di tanti, ma sono state di grande importanza nella storia dei veicoli a quattro ruote. E naturalmente facevano capitolo a sé le formidabili Porsche boxer. A partire dagli anni Ottanta però il raffreddamento ad aria ha perso talmente favore da scomparire ben presto dalla scena. Nelle moto la storia è andata diversamente; alla fine il raffreddamento ad acqua si è imposto, ma solo per le realizzazioni di potenza specifica elevata che da circa trent’anni dominano la scena. Numerose naked, classic style bikes e custom sono però tuttora raffreddate ad aria (sistema più semplice e meno costoso), per non parlare dei milioni
E FINALMENTE ARRIVÒ IL RAFFREDDAMENTO AD ACQUA di Massimo Clarke COME E QUANDO SI È AFFERMATO DEFINITIVAMENTE QUESTO TIPO DI REFRIGERAZIONE. COMPLETIAMO COSÌ LA SERIE DI ARTICOLI SUL RAFFREDDAMENTO DEI MOTORI MOTOCICLISTICI
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Qualunque sia il sistema di raffreddamento che si impiega, alla fine il calore viene sempre asportato dall’aria. Per questa ragione di quando in quando si parla di raffreddamento diretto e indiretto. In questo secondo caso ci si riferisce ai sistemi nei quali le pareti della testa
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e del cilindro sono lambite da un liquido che quindi trasporta il calore asportato a uno scambiatore (il radiatore) ove viene infine ceduto all’aria. Fin dagli albori del motorismo in campo automobilistico si è data la preferenza al raffreddamento ad acqua mentre in quello motociclistico si è affermato pressoché universalmente quello ad aria. In entrambi 59
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di moto di piccola cilindrata costruite ogni anno in India e in Cina. Tra i modelli di serie, negli anni Settanta hanno impiegato la refrigerazione ad acqua dapprima la Suzuki, per la sua tricilindrica 750 GT a due tempi, e quindi la Honda, per la GL 1000 Gold Wing dotata di motore a quattro cilindri contrapposti e successivamente per la bicilindrica CX 500. Il decennio seguente ha visto l’affermazione definitiva, sui modelli più performanti, delle teste a quattro valvole per cilindro e del raffreddamento ad acqua (con l’unica eccezione delle Suzuki, che hanno impiegato un sistema misto aria-olio fino ai primi anni Novanta). Pure nelle piccole cilindrate sportive, ove dominavano i due tempi, dopo qualche importante esempio di 125 con circolazione a termosifone (Zundapp), sui modelli di alta potenza specifica il raffreddamento ad ac-
qua si è imposto definitivamente, con moderni circuiti dotati di pompa centrifuga. Come avevano dimostrato le moto da competizione, grazie a questo tipo di refrigerazione i rischi di distorsioni venivano minimizzati e il grippaggio non costituiva più un pericolo; nell’impiego agonistico inoltre non si partiva più con una certa potenza per arrivare a fine gara con un’altra… È interessante osservare che, dopo essersi affermato sui quadricilindrici (ove era anche vantaggioso ai fini della compattezza, in quanto consentiva l’adozione di interassi tra le canne molto ridotti), il raffreddamento ad acqua è stato adottato pure sui motori con due cilindri e perfino sui mono. Oltre a consentire una riduzione delle temperature, esso permetteva una notevole uniformità nella loro distribuzione. Molto importante era il fatto che il liquido refrigerante poteva raggiungere direttamente
certe zone critiche, nelle quali l’aria non sarebbe mai potuta arrivare. Insomma, tanto al di sopra di una certa potenza specifica quanto in presenza di distribuzioni a quattro valvole per cilindro con angoli tra le valvole molto contenuti, la refrigerazione ad acqua diventava d’obbligo! Molto importante era poi la possibilità di ottenere un buon controllo termico del motore, indipendentemente dalle condizioni di impiego del veicolo. Non importava più infatti che si procedesse a velocità elevata o modesta, che si fosse nel traffico cittadino o in autostrada… In contrapposizione a quello ad aria spesso si parla di raffreddamento a liquido. In questo secondo caso in effetti, se tralasciamo i pochi esempi di raffreddamento misto (o addirittura ad olio), il fluido che asporta
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il calore dalla testa e dal cilindro nei motori di serie è una miscela di acqua demineralizzata e glicol etilenico o propilenico (più piccole quantità di additivi anticorrosione). Nei motori da corsa si impiega però solo acqua e ciò per due motivi. Il primo è legato alla sicurezza: in caso di caduta o di incidente, se avviene una perdita dal circuito di raffreddamento sull’asfalto finisce dell’acqua e non un liquido più “scivoloso”. Inoltre il miglior fluido che si può impiegare per ottenere una vigorosa asportazione di calore con successivo trasporto e infine con cessione all’aria (nel radiatore) è proprio l’acqua, che possiede un calore specifico, una conduttività, una densità e una viscosità ideali per questo tipo di utilizzazione.
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Editoriale
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NICO CEREGHINI "L’ENDURANCE DI UNA VOLTA" L’ENDURANCE È UN CAMPIONATO TOSTISSIMO ANCHE OGGI, E VINCERE RESTA DA VERI SPECIALISTI, MA NEGLI IRRIPETIBILI ANNI SETTANTA C’ERANO TANTI PILOTI DEL MONDIALE GP E CORREVANO UFFICIALMENTE ANCHE LE CASE ITALIANE…
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Ciao a tutti! Mi capita sott’occhio una foto del settembre 1972. Bol d’Or a Le Mans, una Suzuki 500 col numero 30, equipaggio Bonera-Cereghini: Gianfranco, campione italiano junior 500 con una moto analoga, in sella poco prima del via della 24 Ore ed io che lo guardo concentrato. Si partiva per vincere la 500 dopo avere stabilito il miglior tempo di classe, e la moto era ben preparata dall’importatore di Torino: motore Titan 500 con termica “Daytona”, espansioni adeguate, freno Fontana davanti e una coppia di fari belli grossi. Gomme Michelin e per i due piloti caschi jet Granturismo, poi diventati Nava. Non fu una gara memorabile: una biella piegata subito al primo turno, due ore abbondanti per sostituirla ad opera di un tecnico ex-Motobi appena arrivato in
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Suzuki, poi il mio turno per rodare e provare a spingere, infine la caduta di Bonera col buio e l’abbandono definitivo. Non varrebbe nemmeno la pena di parlarne, se non fosse che insieme alla fotografia è sbucata anche una classifica, ed è impressionante scorrerla. L’Endurance, allora, era una cosa veramente grossa. Vinsero due specialisti: Debrock e Ruiz, con la Japauto Honda 950, con un giro in più di Godier-Genoud che allora correvano su Honda 750. Terzi gli inglesi John Williams e Stan Woods, sempre su Honda. Quindi due forti equipaggi italiani: Guido MandracciRaimondo Riva su Guzzi 850 ufficiale, e Renato GaltruccoGiovanni Provenzano con la Triumph Koelliker 750. La Moto Guzzi aveva schierato anche i fratelli Tino e Vittorio Brambilla, mentre Bepi Koelliker aveva in gara anche il mitico Walter Villa con Giampiero Zubani. I ritiri furono
tanti: dei sessanta partenti, trentasette finirono fuori gara per rotture e per cadute. Non conclusero le Laverda ufficiali (tra le quali Brettoni-Angiolini, secondi l’anno prima davanti alla Guzzi); c’erano moltissime Honda, molte Kawasaki, qualche Norton, le BSA 500. A vincere la mezzolitro al nostro posto fu la coppia Ravel-Blosser su Kawasaki tre cilindri, dodicesima assoluta, e c’erano anche le 250, una dozzina: la Montesa a due tempi di Alguersari-Escobosa staccò prepotentemente due Kawasaki, due Ducati e la Pannonia (bicilindrica due tempi) superstite della nutrita squadra ungherese. Ma è a leggere i nomi dei piloti che si resta attoniti. Il mondiale quel weekend era fermo, si sarebbe corso la domenica dopo al Montjuich. Oltre ai già citati, vedo Jack Findlay, Michel Rougerie, Patrick Pons, Olivier Chevallier, Eric Offenstadt, Christian Bourgeois, e poi Luc, Rigal,
Fougeray, Bertorello, Loigo, Pescucci, Rollason, Bowler, Oosterrhuis, decine di forti specialisti internazionali. C’era anche una coppia femminile: Lagauche-Toigo su Kawa 500; Gabrielle Toigo, origini friulane, aveva vinto la Coupe Kawasaki davanti ai maschi e andava fortissimo, purtroppo fu fermata da un brutto incidente l’anno dopo. Personalmente ricordo poche cose, di quel mio primo Bol’Or troppo breve, soltanto ottantun giri. Ho ancora in mente le due BSA derivate dalla B50 Gold Star, che in staccata sfruttavano il freno motore più dei due freni a tamburo laterali; ma staccavano per dire: sul dritto avranno fatto i 180 e sotto il casco ci veniva da sorridere di tenerezza, ma poi non te ne liberavi così
facilmente, perché in curva erano velocissime e pesavano niente; e poi con i 25 litri del pieno erano capaci di girare due ore e mezzo contro i nostri 50 minuti di autonomia massima. Per pulire gli occhiali in corsa, il pilota usava una spugnetta contenuta in una mezza pallina da tennis fissata in testa di forcella, come negli anni Cinquanta e Sessanta. E poi c’era la spagnola Ossa 1000 a quattro cilindri. Pochi l’avranno vista: si chiamava Byr, ed era un prototipo ottenuto allineando in batteria i quattro gruppi termici del motgore 250 a due tempi. Larghino, come motore, magari era anche potente, ma poco affidabile: si ruppe dopo 13 giri e quella moto bislacca non sarebbe mai andata in produzione.
LA MOTO GUZZI AVEVA SCHIERATO ANCHE I FRATELLI TINO E VITTORIO BRAMBILLA, MENTRE BEPI KOELLIKER AVEVA IN GARA ANCHE IL MITICO WALTER VILLA CON GIAMPIERO ZUBANI. I RITIRI FURONO TANTI: DEI SESSANTA PARTENTI, TRENTASETTE FINIRONO FUORI GARA PER ROTTURE E PER CADUTE 63
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LA PRESENTAZIONE DEL "DREAM TEAM" CON MÁRQUEZ E LORENZO di Giovanni Zamagni I PILOTI NON SONO AL MEGLIO DELLA PROPRIA CONDIZIONE FISICA, MA PUIG FA BUON VISO A CATTIVO GIOCO
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Tutti lo chiamano “Dream Team”, team da sogno, denominazione che però non piace ai due piloti, Marc Márquez e Jorge Lorenzo, 12 titoli mondiali e 138 vittorie in due. Nella presentazione ufficiale di Madrid i due si sono presentati non al meglio della condizione fisica: Márquez non ha ancora recuperato dopo l’operazione alla spalla sinistra, Lorenzo si è rotto lo scafoide sabato scorso, facendo dirt track. «Non ci voleva, rallenta un po’ il lavoro di sviluppo, ma è meglio adesso piuttosto che a metà stagione» fa buon viso a cattivo gioco il team manager Alberto Puig. Il quale, dovrà essere bravo a gestire due campionissimi così: adesso è tutto rose e fiori, sorrisi e pacche (metaforiche…) sulle spalle, con Jorge che chiede aiuto a Marc per apri-
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re la bottiglietta dell’acqua. Ma come sarà quando si andrà in pista? I piloti minimizzano: «Ci potrà essere qualche tensione, ma siamo due persone adulte, sappiamo gestire queste cose: non dovrebbero esserci problemi» dicono d’accordo i due campioni. E’ questo però il tema della presentazione: due così, potranno non litigare durante il campionato? Gli esempi passati non sono favorevoli – da Doohan e Crivillé (tanto per rimanere in casa HRC…), da Rossi e Lorenzo, da Senna e Prost (per fare un esempio con la F.1) – sono sempre state scintille. Senza dimenticare che Lorenzo, in MotoGP, ha avuto da dire con tutti i compagni di squadra: prima con Rossi, poi con Spies, infine con Dovizioso… Sulla carta, però, questa è sicuramente la squadra da battere. 67
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MARC MÁRQUEZ: “E’ STATO L’INVERNO PIÙ NOIOSO E COMPLICATO”
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Alla presentazione del Team Honda Repsol MotoGP, a Madrid, abbiamo intervistato il campione del mondo in carica.
sono stato fermo tutto l’inverno. In questo momento, come è normale che sia, non ho forza: il corpo è uguale per tutti, ha i suoi tempi di recupero. Bisogna partire con calma».
Marc, come stai fisicamente? «Purtroppo non sono ancora al 100%, l’operazione è stata più difficile del previsto, i tempi di recupero si sono allungati parecchio: sono assistito 24 ore su 24 dal mio preparatore, faccio fisioterapia tutti i giorni, ma per i test in Malesia non sarò ancora al meglio delle condizioni. Spero di essere pronto per la prima gara: l’obiettivo è essere vicino al 100% per il Qatar. Ho avuto anche tanto dolore, e so già che dovrò soffrire a Sepang, una pista molto critica sotto questo aspetto. Ma con Lorenzo infortunato, non posso certo tirarmi indietro…. Ogni giorno mi sento meglio, non so come starò a Sepang, bisognerà stare un po’ attenti, non prendere troppi rischi. Faccio 5 ore al giorno di allenamento, ho dovuto sacrificare famiglia e amici, è stata dura anche psicologicamente. Ma adesso va molto meglio».
Lorenzo si è fatto male allenandosi: è normale? «Sì, è ovvio che un pilota vada in moto, e dato che ti alleni molto di più di quanto corri in pista, percentualmente è più facile farsi male in allenamento. Fa parte del nostro lavoro, devi guidare la moto: fosse per me lo farei tutti i giorni. è chiaro che bisogna cercare di gestire i rischi, ma non si possono evitare».
Ci sono similitudini con il 2014, quando dovesti saltare i test invernali? «Effettivamente allora ebbi dei problemi, poi fu la mia miglior stagione in MotoGP (quella delle dieci vittorie consecutive, nda). Ma la situazione è differente: allora mi feci male nei primi test, mentre adesso 68
mondo, è normale che la Honda voglia vincere con due piloti. Si sa che il primo rivale è il compagno di squadra: io credo che ci miglioreremo uno con l’altro, che ci stimoleremo a vicenda per essere sempre più competitivi». Quindi non ci saranno problemi tra di voi? «Credo abbia ragione Lorenzo quando dice che si sta esagerando troppo la nostra rivalità. C’era anche con Dani, nel 2013 e nel 2014 abbiamo anche avuto qualche problema, ma poi tutto si risolse. L’importante è che rimanga tutto dentro al box: sicuramente potrà esserci qualche tensione, come c’è stata, per esempio, dopo Aragón. Ma è bastato parlarci per telefono per chiarire tutto». Dove va migliorata la Honda? «C’è sempre da migliorare, noi cerchiamo di essere più efficaci in accelerazione e in uscita di curva. Però, finché non ti confronti con gli avversari non sai mai come sei
messo, a che livello sei arrivato». Rimarrai in Honda a vita? «Non si può mai sapere cosa accadrà nel futuro: per il momento posso solo dire che sto benissimo qui, che questa continua a essere la squadra dove ho sempre sognato di essere». Lorenzo sarà uno dei tuoi rivali in campionato, o pensi più a Dovizioso, o ad altri? «Sicuramente Lorenzo sarà uno dei rivali al titolo, così come lo saranno Dovizioso, le due Yamaha e, forse, anche la Suzuki con Mir. Si parte tutti alla pari, poi si vedrà». Cosa ti mancherà di Pedrosa? «Pedrosa mancherà soprattutto al campionato, perché è un ottimo pilota. Per quanto riguarda il box, lui era molto sensibile nell’elettronica, ma alla fine ognuno va per la sua strada. Sicuramente è una bella persona».
Tu e Lorenzo avrete due stili di guida molto differenti: sarà un problema per la Honda accontentare entrambi? «Non credo proprio. Anche Pedrosa aveva uno stile molto differente dal mio, ma per Honda non è stato un problema seguire entrambi e non lo sarà nemmeno adesso. Anche perché poi, quando si va veloci, i piloti chiedono più o meno le stesse cose». Come sarà il rapporto con Lorenzo? «Lui è un professionista e ha una grande esperienza. Naturalmente cercherò di rendergli la vita il più difficile possibile in pista, ma sempre con rispetto tra di noi». E’ giusto mettere due “galli” in un “pollaio”? «Qui sei nella miglior squadra del 69
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JORGE LORENZO “SONO ORGOGLIOSO DI FAR PARTE DI QUESTA SQUADRA”
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Dalla tuta esce la fasciatura che copre gran parte della mano sinistra, ma, se non altro, Jorge Lorenzo è a Madrid, alla presentazione ufficiale della sua nuova squadra. Non ci sarà invece a Sepang: lo rivedremo sulla Honda nei tre giorni di test in Qatar, dal 23 al 25 febbraio. «La situazione è questa, ma bisogna pensare positivo. La rottura dello scafoide è sempre un problema, ma fortunatamente adesso abbiamo tecniche molto migliori di qualche anno fa, quando i piloti erano costretti a stare fermi a lungo per recuperare dopo un infortunio del genere. Sono passati troppi pochi giorni dall’operazione (l’intervento è stato effettuato lunedì 21 gennaio a Barcellona, NDA), vedremo per il Qatar. Sono sicuro che fra due mesi ricorderemo questo momento come un semplice fastidio…». Puoi spiegare cosa è successo? «Sono andato a fare dirt track in una pista in Italia: non ho verificato bene le condizioni, mi sembrava fosse perfetta, invece in un punto c’era un po’ di fango e mi si è chiuso lo sterzo. E’ stata una caduta stupida, ma purtroppo si è rotto lo scafoide della mano sinistra, forse anche perché non era ancora al meglio dopo l’infortunio in Thailandia. Tutti insieme abbiamo deciso di fare l’operazione: i tempi di recupero si allungano un po’, ma dovrebbe essere meglio». 70
I primi test con la Honda come erano andati? «Purtroppo anche allora non ero al 100%, a causa dei postumi dell’infortunio in Thailandia, ma nonostante questo avevamo una buona velocità. Sono orgoglioso di far parte di questa squadra: adesso, il primo obiettivo è recuperare la migliore forma fisica». Questo è il “Dream Team”, la squadra da sogno? «Aspettiamo fine stagione per dirlo…». Come sei arrivato in questa squadra? «Sapete come è andata la mia stagione 2018: nonostante mi fossi allenato come mai prima, è stata molto dura, con risultati inferiori alle aspettative. Per questo, la mia valutazione è scesa e ho cominciato a realizzare che il mio futuro sarebbe stato complicato, che avrei anche potuto rimanere senza moto. Ho pensato a cosa fare, e ho ritenuto giusto parlare direttamente con la Honda: non è stato facile, ma, alla fine, è stato possibile entrare in questa squadra e accettare questa sfida. In due settimane è cambiato tutto: ero in grande crisi, poi ho firmato con la HRC e ho vinto al Mugello. Impensabile fino a qualche giorno prima». Crutchlow dice che questa è una moto molto fisica: sei preoccupato per questo? «Non sono d’accordo. E’ vero che lui la conosce meglio perché la guida da qualche anno, ma a me sembra meno critica della
Ducati: non sono preoccupato sotto questo aspetto». Quanto ti mancheranno i test in Malesia? «E’ chiaro che la situazione perfetta sarebbe stata poter provare in Malesia, ma non si può fare. In Qatar sarò al 70-80%: cercherò di fare il possibile per recuperare il tempo perso». Ti preoccupa dover dividere il box con Márquez, che ha dominato le ultime stagioni? «Diciamo che la situazione è simile al 2008, quando arrivai in Yamaha: Rossi era il pilota di riferimento, anche se non aveva conquistato il titolo nel 2006 e 2007, conosceva perfettamente la moto, era all’apice della sua carriera. Márquez è il campione, conosce benissimo la Honda e
sappiamo quanto sia difficile prendere confidenza con la moto, ma credo che con la Honda avrò meno problemi di quanti ne abbia avuti con la Ducati». Quali sono gli aspetti positivi e negativi della Honda? «La Honda è più piccola della Ducati, e questo ti fa stare più vicino all’asfalto: ti dà più confidenza in entrata di curva, specie quando c’è poca aderenza. E’ una moto molto agile, anche questo è positivo. Non mi piace parlare degli aspetti negativi: la moto perfetta non esiste, bisogna migliorare un po’ la potenza». Come sarà il rapporto con Márquez? «Noi siamo molto diversi, concepiamo le corse in modo differente, ci sono cose che a me piacciono e a lui no, come il nuovo 71
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serbatoio, ma credo anche che gli aspetti positivi di avere in squadra due piloti come noi sono superiori a quelli negativi. Due piloti come noi si stimolano a vicenda, si migliorano. Mi ricordo che anche Senna e Prost sottolineavano questo aspetto: la nostra rivalità ci farà migliorare».
rono in Yamaha…».
Esiste la possibilità di tensioni tra di voi? «Sicuramente esiste, ma è piccola: l’importante è avere rispetto uno dell’altro. E’ chiaro che se ti giochi la vittoria all’ultima curva dell’ultimo giro può accadere di tutto, ma è sempre così».
E’ una sfida diversa rispetto a quella con la Ducati? «Con la Ducati l’obiettivo era essere competitivo e vincere con una moto diversa dalla Yamaha, ma il mio adattamento è stato più difficile del previsto. Solo Stoner ha conquistato il titolo con la Ducati, ma alla fine sono riuscito a essere veloce. Credo che con la Honda avrò meno problemi, l’obiettivo è essere veloci alla svelta».
Metterete un muro come avvenne in Yamaha? «Non credo proprio che Puig lo permetterà: quella è una cosa che si inventa-
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Rimarrai fino a fine carriera in Honda? «Quando ero in Yamaha dicevo che avrei corso a vita per loro, e lo stesso ho detto quando sono arrivato in Ducati: è meglio che non faccia più certe previsioni…».
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Superbike
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REA È IL PIÙ VELOCE NEI TEST DI JEREZ di Carlo Baldi REA CHIUDE I TEST DELLA SUPERBIKE A JEREZ AL PRIMO POSTO DAVANTI A LOWES E HASLAM. BENE BAUTISTA QUARTO. PROBLEMI FISICI PER DAVIES. MELANDRI NONO DAVANTI A RINALDI. IN SUPERSPORT NUOVO GIRO RECORD DI CARICASULO.
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Condizioni meteo decisamente migliori oggi a Jerez de la Frontera, per il secondo ed ultimo giorno di test Superbike e Supersport. Con l’asfalto che è arrivato anche a 30 gradi (contro i 17 di ieri) ed una pista meno sporca anche nei tratti asfaltati da poco, team e piloti hanno avuto vita più facile ed i tempi sono scesi. Il campione del mondo Jonathan Rea, che ieri si era fermato a 8 millesimi da Lowes, si è migliorato di oltre un secondo e con un giro in 1’39”160 ha staccato l’inglese di oltre due decimi. Ieri Rea aveva ceduto 8 millesimi a Lowes e anche oggi ha accusato lo stesso distacco, ma non da una Superbike bensì da una MotoGP, la Honda di Stefan Bradl, tester della moto campione del mondo. Un divario davvero minimo, che conferma la grande competitività raggiunta dal 4 volte iridato delle derivate. Il solito Cannibale insomma, ma anche oggi l’infaticabile Lowes (102 giri in totale per lui nella due giorni andalusa) si è confermato molto veloce, ed ha preceduto di oltre un decimo l’altra Ninja ufficiale di Leon Haslam, che sembra essersi adattato subito e bene alla moto campione del mondo. Prosegue la marcia di avvicinamento della 74
Ducati, che oggi non ha potuto contare su Chaz Davies, rallentato da un forte dolore alla schiena, che non dipende dalla sua scivolata di ieri. Decimo posto per lui. E’ andato forte Alvaro Bautista, che con il tempo di 1’39”620 ha abbassato di oltre due secondi il suo best lap di ieri. Mentre Chaz oggi ha percorso solo pochi giri, lo spagnolo ne ha inanellati 59 ed ha lavorato molto con la propria squadra allo sviluppo della V4. La nuova moto di Borgo Panigale ha senza dubbio potenza da vendere, ma deve ovviamente ancora trovare gli assetti giusti per poterla scatenare tutta sulla pista. Al miglioramento dei piloti ufficiali ha fatto riscontro quello dei privati. Laverty è sceso di 2 secondi e mezzo ed ha chiuso al dodicesimo posto, mentre ancor meglio ha fatto Michael Ruben Rinaldi, che si è migliorato di oltre 3 secondi con la moto del team Barni Racing ed è salito in nona posizione, utilizzando qui a Jerez per la prima volta sospensioni Showa. Subito dietro Bautista c’è il “turchino” Razgatlioglu, che da rivelazione si sta sempre più tramutando in certezza. Quarto ieri, oggi Toprak si è migliorato di oltre un secondo, mettendosi alle spalle ben tre Yamaha, la più veloce delle quali è stata quella del campione Supersport 2018 San-
dro Cortese. L’italo tedesco (caduto senza conseguenze in mattinata) non è sceso sotto il muro del 1’40, ma ha fatto meglio della R1 ufficiale di VdMark (che però si è dedicato più all’erogazione del suo motore che non alla ricerca del tempo sul giro) e di quella del suo compagno di squadra Marco Melandri. Il ravennate accusa un distacco di 1 secondo e 3 decimi da Rea, ed ha dichiarato di “non sentire ancora sua” la Yamaha. Nulla di strano, visto che siamo solo al suo secondo test con la moto della casa dei tre diapason e che Marco scenderà ancora in pista per altri test a Portimao e a Phillip Island, prima del round che aprirà il campionato 2019. Undicesimo posto per Leandro Tati Mercado, con la Kawasaki privata del team Orelac, mentre Jordi Torres ha chiuso tredicesimo, con quella non meno privata del team Pedercini. Tom Sykes e Markus Reiterberger oggi hanno montato il trasponder nel finale del turno, ed i tempi dei due piloti BMW hanno rivelato come al momento entrambi si deb-
bano accontentarsi delle ultime posizioni, a oltre 2 secondi da Rea e davanti solo al debuttante Delbianco, che porta in pista la CBR privata del team Althea. In Supersport continua la supremazia di Federico Caricasulo, che ha abbassato anche oggi il giro veloce ufficioso della pista dedicata ad Angel Nieto. L’italiano del team Evan Bros Yamaha ha preceduto Lucas Mahias con la Kawasaki del team Puccetti Racing. Il francese ha chiuso a 2 decimi da Caricasulo, determinato a prendere il testimone lasciato da Sofuoglu, per interrompere la supremazia mostrata dalla Yamaha nella scorsa stagione. Terzo tempo per Raffaele De Rosa con la MV Agusta F3, davanti a Randy Krummenacher, al francese Jules Cluzel ed al giapponese Hikari Okubo. In questi test ha debuttato in Supersport Maria Herrera, con la Yamaha del team MS Racing. Il prossimo appuntamento con i piloti della Superbike è fissato per il 27 ed il 28 gennaio sui saliscendi della pista di Portimao, ultimi test prima di sistemare le moto nelle casse e spedirle in Australia.
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MANUEL PUCCETTI: “VOGLIAMO RIPRENDERCI IL MONDIALE SUPERSPORT” di Carlo Baldi IL TEAM KAWASAKI PUCCETTI RACING PUNTA DECISO AL MONDIALE SUPERSPORT CON LUCAS MAHIAS, MENTRE IN SUPERBIKE PROSEGUIRÀ LA CRESCITA DEL GIOVANE RAZGATLIOGLU
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Siamo stati a Reggio Emilia a visitare la sede del Kawasaki Puccetti Racing Team, per conoscere meglio una delle realtà italiane più importanti nel mondo delle competizioni motociclistiche. Siamo entrati nel reparto corse della squadra creata da Manuel Puccetti, e abbiamo intervistato sia lui che Cristiano Migliorati, ex pilota che da sempre fa parte del team. Abbiamo conosciuto anche tutti gli altri componenti delle due squadre, quella Supersport e quella Superbike, e li abbiamo visti all’opera mentre si stavano preparando per i test invernali di Jerez e per Portimão, nonché al primo round del mondiale, a fine febbraio, a Phillip Island. Mancavano solamente i tre piloti, Lucas Mahias, Hikari Okubo e Toprak Razgatlioglu Una squadra senza dubbio coesa, dove ognuno ha un compito ben definito ed è conscio dell’importanza del proprio ruolo. Il reparto corse del team Puccetti è completo e molto ben organizzato. Abbastanza grande da contenere il banco prova, il re76
parto motori, un’officina, il magazzino ed i tre camion: uno per l’hospitality e due per contenere le moto ed i ricambi Supersport e Superbike. Il team Puccetti è stato fondato nel 2002 ed è passato in fretta dalle gare nazionali a quelle internazionali, raccogliendo ben presto vittorie e titoli italiani ed europei. Per Puccetti e la sua squadra è stato determinante incontrare Kenan Sofuoglu. Il pilota turco ha fatto crescere ulteriormente la squadra italiana e l’ha portata a conquistare due titoli mondiali e a diventare il team ufficiale Kawasaki in Supersport. Come sappiamo il Sultano si è ritirato per dedicarsi al proprio Paese, ma il suo testimone è stato raccolto da Toprak Razgatlioglu, che nell’anno del suo debutto in Superbike è salito per due volte sul podio. Nel 2019 gli obiettivi del team di Manuel Puccetti sono quelli di riconquistare il titolo mondiale Supersport, interrompendo l’egemonia Yamaha, alla quale ha strappato il campione del mondo 2017 Lucas Mahias, mentre in Superbike dovrà completare la crescita del talentuoso Toprak. 77
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TEST DI PORTIMAO REA AL COMANDO di Carlo Baldi REA È PRIMO DAVANTI A LOWES, TERZO BAUTISTA, AL DEBUTTO SULLA PISTA PORTOGHESE. SI CONFERMA RAZGATLIOGLU E SORPRENDE SYKES CON LA NUOVA BMW
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Giornata soleggiata ma molto ventosa quella odierna a Portimao, con raffiche che hanno ostacolato il lavoro dei piloti e dei loro tecnici, soprattutto per quanto riguarda la classe Supersport. La prima giornata di test portoghese ha confermato i responsi delle precedenti prove di Jerez, con Rea che conduce davanti a Lowes, con un vantaggio che sale 4 decimi, rispetto ai 2 che l’inglese della Yamaha aveva accusato nei test andalusi. Con un crono di 1’42”195 il quattro volte campione del mondo è già sotto il record della pista che gli appartiene, ma si è fermato ad un secondo e mezzo dal giro veloce, stabilito Laverty in Superpole (1’40”705) soprattutto a causa del forte vento, che lo ha indotto a non rischiare una caduta assolutamente da evitare, visto che mancano meno di tre settimane al primo round del mondiale. Continua la marcia di avvicinamento di
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a testa bassa, senza badare al cronometro, mentre l’italiano si sta impegnando per adattare la R1 al suo stile di guida. Reiterberger è nono con l’altra BMW, ma con un pesante distacco da Rea di quasi un secondo e mezzo. Chaz Davies ha fatto segnare solo il decimo tempo, ma il gallese è sempre alle prese con forti dolori alla schiena che ne limitano le prestazioni. Dietro al pilota della Ducati si piazzano Cortese, Laverty e Rinaldi, mentre l’ultimo dei piloti Superbike è Delbianco con la Honda Althea privata. In Supersport comanda Cluzel, ma Mahias non è lontano a dimostrazione di come con il francese del team Puccetti, la Kawasaki ZX-6R abbia ridotto di molto il gap nei confronti della Yamaha YZF R6. Terzo posto per De Rosa con la MV Agusta, davanti a Perolari, Okubo e il debuttante Vinales.
Bautista e della Ducati alla leadership di Rea. Lo spagnolo ha chiuso al terzo posto, a quasi mezzo secondo dal nordirlandese, ma ha dimostrato che il suo feeling con la V4 è in costante crescita, anche in considerazione del fatto che quella di oggi è stata la sua prima volta sui saliscendi della bellissima pista portoghese. Quarta posizione finale per Razgatliuoglu. Il turco del team Kawasaki Puccetti Racing in questo inizio di stagione si sta confermando tra i top rider ed aveva addirittura chiuso in testa la prima fase delle prove, ma poi nella seconda non si è migliorato, anche a causa di un problema tecnico che lo ha trattenuto a lungo nel suo box. Sorprende il quinto posto di Tom Sykes con la nuova BMW. Certo l’inglese è un mago del giro veloce, ma l’aver chiuso a soli 6 decimi da Rea fa ben sperare, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo della S1000RR. Haslam è ottavo, a meno di due decimi da Sykes e precede le due Yamaha di VdMark e di Melandri. L’olandese lavora 79
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DOPPIETTA DI CAIROLI NELLA PRIMA GARA DEGLI INTERNAZIONALI D’ITALIA di Massimo Zanzani IL NOVE VOLTE IRIDATO SI È IMPOSTO SIA NELLA MX1 CHE NELLA SUPERCAMPIONE; TRA I PROTAGONISTI FEBVRE E GAJSER, OLTRE A PRADO E BONACORSI CHE HANNO VINTO RISPETTIVAMENTE LA MX2 E LA 125
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Mentre ad un migliaio di chilometri Jeff Herlings era in convalescenza per la caduta in allenamento in cui si è procurato la frattura del piede destro che ha richiesto un immediato intervento chirurgico (si ipotizzano per i lrecupero diverse decine di giorni), la sabbia di Riola Sardo ha celebrato per la quinta volta la sonora doppietta di Tony Cairoli il quale ha regalato questa splendida prestazione al team manager Claudio De Carli che giusto il giorno prima aveva celebrato i suoi 55 anni. Una gara impeccabile quella corsa dal fantino di Patti, che solo nella prima parte di gara MX1 si è dovuto spremere a fondo per scalzare Tim Gajser dal ruolo di battistrada, per poi dare una dimostrazione di piena sicurezza e lucidità con cui è salito per due volte sul gradino più alto del podio. Gajser, che nella prima gara è stato vittima dell’indurimento degli avambracci, ha comunque fatto vedere di aver ritrovato la motivazione per puntare di nuovo molto in alto, ed è stato ripagato dal 3° posto otte-
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nuto in MX1 e dal posto d’onore spiccato in quella successiva. Rinvigorito da una solida preparazione e da una ottima strategia di gara, Romain Febvre ha esibito un’insolita pulizia di guida intaccata solo dalla scivolata nella gara combinata dove ha mancato di bissare la 2ª piazza della MX1 dovendosi accontentare della 5ª alle spalle di Gautier Paulin che in apertura era finito 4°. Tonino è stato si può dire quasi eguagliato dal compagno di squadra Jorge Prado, che si è assicurato senza problemi la MX2 per concludere la giornata con un ottimo 3° dietro alle 450 di Cairoli e Gajser. Nella 250 si sono messi in evidenza l’ufficiale Husqvarna IceOne Mikkel Haarup, al traguardo 2° davanti al bravo Mattia Guadagnini al via con una 250 2T, a Ben Watson e a Miki Cervellin, quest’ultimo uscito di scena dalla Supercampione come Alex Lupino per noie tecniche. Con un iniziale 4° posto e la vittoria della seconda frazione il pilota della KTM Celestini Racing Andrea Bonacorsi ha invece sigillato la 125 davanti al francese Floria Miot che si era imposto nella prima manche. 83
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AMA SUPERCROSS OAKLAND: DI NUOVO WEBB L'UFFICIALE KTM CI HA PRESO GUSTO, E REPLICA LA VITTORIA DI ANAHEIM-2 DAVANTI A MUSQUIN. NELLE LITES CIANCIARULO SI RISCATTA E VINCE
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E' un Supercross dai protagonisti inaspettati questo del 2019. Dopo le vittorie di Barcia e Baggett è il turno di Webb, che ha conquistato la prima affermazione in carriera ad Anaheim-II, e non ha tardato a ripetersi in maniera convincente. Autore dell'holeshot, l'ufficiale KTM se n'è andato via, e nonostante un errore veniale al primo quarto di gara non è mai apparso in reale difficoltà, riuscendo ad amministrare un discreto vantaggio su una pista sempre più "arata" dalle moto. Non stupisce dunque la sua affermazione, mentre molto più perplessi lasciano le prestazioni di Roczen e Tomac, piloti ben più esperti dai quali ci si aspettava un campionato di altro livello anche considerando la battuta d'arresto forzata del campione in carica Anderson, vittima di un incidente in allenamento e di una tripla frattura fra braccio sinistro e costola. Ne stanno invece approfittando con succes86
so Musquin, forse più concreto (ma ancora propenso all'errore) rispetto agli anni passati, e un Baggett che fino ad inizio stagione non era mai stato fra i più considerati: un podio poco prevedibile solo qualche settimana fa e che invece oggi dà tutta l'idea di essere una situazione a cui ci dovremo abituare. E ci sarebbe stato da dire anche di Plessinger, se non avesse commesso un brutto errore che gli ha fatto gettare al vento una gara di discreto spessore. Nella Lites è duello fra Nichols, autore dell'holeshot, e Cianciarulo, che fin dalle prime battute ha preso la testa della gara ma pur avendo un ritmo superiore ha messo in mostra una certa propensione all'errore, forse per la pressione di Nichols che non ha mai mollato un attimo. Alla fine è stato Cianciarulo a prevalere, favorito dai doppiaggi e dall'attacco di un infernale Ferrandis, che sul finale ha attaccato senza risparmiarsi riuscendo a prevalere su Nichols, incalzato anche da McElrath che ha chiuso sotto il podio. 87
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PELLEGRINI: "STO REALIZZANDO IL MIO SOGNO" di Massimo Zanzani DOPO ESSERSI SUDATO L’AMMISSIONE ALLA FINALE AD ANAHEIM, ANGELO PELLEGRINI HA AVUTO LA SODDISFAZIONE DI CHIUDERE L’EVENTO AL 19° POSTO
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C'è un pilota italiano che sfida i mostri sacri del Supercross americano. E' Angelo Pellegrini, che dopo essersi sudato l’ammissione alla finale ad Anaheim
grazie al posto d’onore ottenuto nella last chance, ha avuto al soddisfazione di chiudere l’evento in 19ª posizione. L'abbiamo intervistato prima e dopo il main event, e ci ha spiegato come si arriva a gareggiare negli USA. 89
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