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La fine dell’abbondanza
Per l’agroalimentare italiano i successi dell’export sono mitigati dalle criticità e dalle sfide rappresentate dall’italian sounding e dalla transizione verde che se non affrontate possono minarne la competitività. Intanto il largo consumo tra bilanci in difficoltà, inflazione e aumento dei costi cerca di ricostruire un modello di filiera efficiente e il retail deve reinventare se stesso puntando sul fattore umano e su valori condivisi.
La produzione industriale di beni di consumo, è l’analisi di Ref Ricerche, mostra già all’inizio del 2022 i primi segnali di arretramento, dopo la ripresa osservata nel 2021. Difatti, al miglioramento legato alla progressiva normalizzazione di alcuni comportamenti condizionati dalla pandemia si contrappone una tendenza opposta, dettata dalla limitazione di alcune spese causata dall’aumento dell’inflazione degli ultimi mesi.
In sostanza, la presenza di spinte di segno opposto sui consumi delle famiglie fa sì che l’effetto netto sia molto differenziato tra i settori. È utile inoltre rimarcare che tale andamento è determinato tanto dalla domanda interna quanto dalle dinamiche dell’export, dato che tanto lo shock pandemico quanto quello energetico hanno colpito i paesi europei in maniera piuttosto simmetrica.
La produzione industriale dei beni di consumo arretra, con differenze tra i vari settori
In particolare, la produzione risulta in calo nei settori che erano andati relativamente meglio nel periodo pandemico, dato che il lockdown aveva spinto le famiglie a dedicare un’attenzione maggiore alla cura dell’abitazione: è il caso della produzione di mobili, elettrodomestici e dei prodotti cura-casa, che stanno ora soffrendo il minor ricorso allo smart working e alla didattica a distanza. Al contrario, questa stessa tendenza favorisce il settore dell’abbigliamento, dove i livelli di produzione mostrano una prima fase di ripresa nei primi mesi del 2022. Tuttavia, il comparto rimane ancora ben lontano dai livelli di produzione del 2019, ma le indagini Istat mostrano un clima di fiducia del settore che rimane su livelli abbastanza elevati, segnalando relativo ottimismo per i mesi futuri.
Un settore che invece sta vivendo una fase di contrazione è quello dell’automobile, a causa tanto di problemi dal lato dell’offerta, principalmente dovuti a strozzature che si sono verificate in alcune catene globali del valore, quanto della domanda, in diminuzione prima a causa della diffusione dello smart working, e poi per i rincari dei prezzi dei carburanti e l’incertezza sulla loro evoluzione.
Dal lato delle imprese dei servizi, invece, si segnala a settembre una diminuzione dell’indicatore di fiducia di quelle del turismo, che potrebbe rappresentare un primo segnale di pessimismo in vista della fine della stagione estiva, in cui il settore ha osservato una notevole crescita in seguito alla contrazione dell’attività osservata nei mesi più acuti della pandemia. Inoltre, una tendenza generale di questi mesi è stata la contrazione dei margini di profitto delle imprese, che hanno assorbito parte dei rincari, trattenendosi dal traslare la totalità degli aumenti a valle sui consumatori.
Margini di profitto
Se però l’aumento dei costi di produzione si rivelasse prolungato molte imprese (e in particolar modo quelle industriali) non riuscirebbero a contrarre ulteriormente gli utili, alimentando così le spinte inflazionistiche. Su questo punto, segnali positivi emergono dal rientro dei prezzi di diverse commodities, che potrebbe ridurre la pressione sulle imprese e attenuare l’effetto della trasmissione dei rincari sui consumatori nei prossimi mesi.
(VEDI FIGURA 1)
Produzione Industriale Dei Beni Di Consumo E Clima Di Fiducia Imprese Del Turismo
La doppia emergenza, del Coronavirus prima e ora della guerra tra Russia e Ucraina, sta mettendo in seria crisi il sistema delle imprese del largo consumo e fa emergere le inefficienze della filiera, nonché la mancanza di visione a medio lungo termine della politica industriale ed energetica del nostro paese che, in realtà, affonda le radici nei decenni precedenti. «Tra queste, la scelta di non diversificare le fonti di energia primarie e il tempo perso sulle rinnovabili che rende difficile raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni e di aumento dell’uso di energie rinnovabili fissati per il 2030 dall’Unione europea», afferma Nicola Monti, amministratore delegato di Edison, intervenendo al convegno “Energie e sinergie per la filiera” organizzato da Ibc- Associazione Industrie Beni di Consumo.
Così ora la penuria e i rincari delle materie prime, i costi dell’energia e le difficoltà della catena logistica stanno creando problemi all’intera filiera agroalimentare, per la quale è tempo di fare i conti, insieme ai tanti elementi di successo, con le criticità che questo periodo di crisi generalizzata fa emergere in tutta la loro urgenza. Secondo il position paper di The European House Ambrosetti sono, oltre all’inflazione, l’italian sounding e la sostenibilità.
LE POTENZIALITÀ DELL’EXPORT ALIMENTARE
L’agrifood italiano è oggi infatti contrassegnato da una situazione interna difficile e da successi nell’export (50 miliardi il valore nel 2021, con la bilancia commerciale in positivo negli ultimi tre anni) che nasconde ancora grandi potenzialità di crescita e di sviluppo.
Basti dire che il valore dell’export italiano è pari al 65% di quello tedesco e al 72% di quello francese e che se la Polonia con i suoi 33,3 miliardi proseguisse il suo ritmo di crescita raggiungerebbe l’export italiano entro i prossimi dieci anni. Non solo. La performance dell’Italia non migliora guardando all’incidenza dell’export agroalimentare sul totale, il 9,7%, metà della quota spagnola e il 70% di quella francese. Spicca, peraltro, tra le destinazioni dei prodotti alimentari italiani, la Cina, che copre solo l’1,4% del totale, mentre copre una quota superiore dell’export di altri paesi come Germania e Francia.
A questo riguardo Teh Ambrosetti ha realizzato una specifica ricerca che ha l’obiettivo di quantificare l’impatto del fenomeno dell’italian sounding per le filiere del made in Italy, partendo dagli scaffali della GDO internazionale, grazie alla collaborazione di Assocamerestero e delle Camere di commercio italiane all’estero, con una survey a 250 retailer rappresentativi di una quota di mercati del 50% in ciascuno dei dieci paesi presi in esame. Sono stati analizzati inoltre 11 prodotti più rappresentativi del made in Italy per i quali il fenomeno dell'italian sounding è più marcato, con un’analisi diretta anche degli scaffali.