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Gli standard globali per la circular economy Bruno Aceto

Nell’economia circolare le informazioni sono assolutamente rilevanti e non ci può essere circolarità dei prodotti senza la circolarità dei dati. Oggi il focus principale è sul prodotto, con tutti gli attributi suoi e del packaging, che devono essere trasferiti all’interno di una supply chain non più lineare ma circolare. Bisogna quindi definire tali informazioni e mettere le aziende in condizione di strutturarle e di scambiarle in maniera automatizzata.

Gli standard globali sono lo strumento che consente l’automazione nello scambio delle informazioni, senza cui non è possibile mettere in atto un’economia circolare. Non a caso la Commissione europea ha fatto propria l’idea che senza digital non c’è green. Proprio il passaporto di prodotto deve raccogliere le informazioni rilevanti in tutto il suo ciclo di vita ed è lo strumento per trasferire al consumatore quelle non solo ambientali ma anche riguardanti la gestione, come

LA CIRCOLARITÀ NON È UN’OPZIONE

Storicamente la supply chain si è evoluta e integrata intorno a un sistema di economia lineare. Il paradigma "take-makeuse-disposal" (prendi, produci, usa e getta) dell' economia lineare permette di identificare le dipendenze tra gli operatori economici, che possono instaurare collaborazioni con accordi a lungo termine. I dati strutturati che costituiscono la base dei passaporti digitali dei prodotti, come per esempio le emissioni di CO 2 calcolate per prodotto, dovranno essere condivisi attraverso le catene di valore: significa che l'interoperabilità e la riparazione, la manutenzione, il riciclo, il disassemblaggio, lo smaltimento, introducendo di fatto il divieto di distruggere il prodotto. Da qui la necessità di avere informazioni strutturate.

Nelle batterie, il primo settore con cui stiamo lavorando, il codice identificativo non compare solo sul packaging ma è inciso sul prodotto stesso, per poter essere recuperato lungo tutto il ciclo di vita.

Gli standard globali, quindi, abilitano esattamente questo e poiché sono adottati in molti settori, dal largo consumo al medicale al farmaceutico, recentemente anche in quello delle costruzioni, abbiamo la possibilità di abilitare velocemente una grande quantità di aziende all’economia circolare e al Digital product passport.

Bruno Aceto ceo GS1 Italy

la portabilità dei dati diventano essenziali e non solo qualcosa di aggiuntivo. Essenziale è l’utilizzo degli standard globali e aperti già utilizzati dalle aziende.

In questo modo si potranno raggiungere negli stretti tempi previsti, tutti i settori coinvolti e le quantità di dati richiesti per legge, per rendere l’economia europea sostenibile e digitalizzata.

Oggi dovrebbero essere i dati dei prodotti e la digitalizzazione a guidare la supply chain circolare. È quindi chiaro che nell’Unione europea la digitalizzazione sta diventando il motore della transizione ecologica.

Il passaporto digitale dei prodotti darà in questo senso un contributo decisivo sia alla circolarità sia alla trasformazione digitale. Sono essenziali anche le questioni etiche e di trasparenza della supply chain legate ai contenuti del passaporto dei prodotti.

«L’Unione europea riconosce la natura intersettoriale della sfida climatica – afferma Francesca Poggiali – e impone una visione circolare nelle varie strategie settoriali. La Commissione europea stima infatti che l'80% dell'impatto ambientale dei prodotti risalga alla fase di progettazione e per questo il passaporto digitale del prodotto indicherà, quando tutte le leggi saranno adottate, i dati di provenienza delle materie prime e le emissioni di CO 2 del prodotto.

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“Stato dell’arte dell’economia circolare nelle aziende del largo consumo”

Inoltre, dovranno essere inclusi importanti fattori di impegno e trasparenza lungo le filiere come l'assenza di lavoro minorile e i sistemi di certificazione». Un esempio di legislazione settoriale sul concetto di passaporto digitale di prodotto è il “Regolamento sulle batterie sostenibili”, pubblicato nel 2020.

«Il passaporto digitale di prodotto – riprende Poggiali – dovrebbe quindi far progredire la digitalizzazione e agevolare la circolarità verso l'obiettivo del 2050 di zero emissioni di CO2. Infatti, la digitalizzazione è riconosciuta come un acceleratore dell'economia circolare e stanno emergendo diverse soluzioni digitali, seppur ancora frammentate a causa di diversi fattori: la complessità della transizione da un modello economico lineare a uno circolare o il fatto che finora le politiche europee sono state adottate separatamente senza una visione che agevoli il collegamento cross-settoriale tra digitale ed ecologico».

Fabio Iraldo, professore ordinario della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, asserisce che il passaggio da un’economia lineare a un’economia circolare è alla base della transizione ecologica, ma il mondo produttivo è ancora lontano da compierlo, anzi «negli ultimi anni – osserva – il consumo delle materie prime e dei metalli sta aumentando, ma l’incremento della curva della produzione dei rifiuti è più che proporzionale all’aumento del Pil; dei 60 metalli usati dall’Industria solo un terzo ha un tasso di riciclo superiore al 25%. L’economia circolare, che pesa appena l’8,7% di quella mondiale, è una necessità competitiva per l’Industria e per il retail poiché valorizza anche i costi sostenuti per acquistare ciò che sarebbe diventato uno scarto».

Riciclo E Riduzione Delle Emissioni

Sono le due forze che guidano il sistema delle imprese, le istituzioni, gli organismi internazionali verso l’obiettivo primario di un mondo con impatto zero del carbonio.

Il consorzio Conai , per esempio, ha calcolato, nel suo ultimo “Bilancio di sostenibilità”, che l’insieme dei diversi materiali di imballaggio avviati al riciclo ha evitato nel 2020 l’emissione in atmosfera di 4,4 milioni di tonnellate di CO 2 pari alle emissioni generate da quasi dieci mila tratte aeree Roma-New York andata e ritorno.

4,4 milioni di CO2 risparmiati con il riciclo degli imballaggi

È perciò fondamentale non demonizzare e discriminare i vari materiali, ma lavorare insieme in logica sistemica. «Neutralità climatica significa usare meno energia, produrre meno scarti, utilizzare meno risorse, preservare il capitale naturale», afferma Giulia Gregori, del consiglio direttivo e di presidenza di Federchimica Assobiotec. «La bioeconomia circolare da questo punto di vista è un metasettore: opera con filiere integrate tra diversi settori, crea collaborazioni forti tra pubblico, privato e consumatori e utilizza risorse rinnovabili per creare nuovi prodotti». Novamont, per esempio, segue tre filoni di attività nella convinzione che, in quanto società benefit, il modello di sviluppo debba avere l’obiettivo di creare benefici estesi: la rivitalizzazione di siti industriali dismessi, lo sviluppo di connessioni con altri settori (con Melinda è stato studiato un imballaggio a basso impatto ambientale e gli scarti della produzione di succo di mela forniscono zuccheri per i processi di fermentazione), lo sviluppo di soluzioni per risolvere problemi ambientali, come il riciclo di rifiuti alimentari attraverso il coinvolgimento di mondo agricolo, riciclo organico, grande distribuzione, industria biobased».

Il valore dell’economia circolare assume rilevanza non solo valutando il risparmio di materie prime ma anche il minore impatto sulle emissioni in atmosfera.

Cominciare a sottolineare quanto valgono i risparmi di emissioni di CO2 determinati dal riciclo dei materiali è una necessità per Lorenzo Bono, responsabile ricerca e sviluppo di Comieco

«In Italia la percentuale di riciclo della carta dell’87% è tra le migliori in Europa e se nel 1995-1998 l’Italia importava un milione di tonnellate di macero, nel 2020 abbiamo registrato un export di 1,2 milioni di tonnellate. Ma non basta, perché i quattro milioni di tonnellate di carta e cartone riciclati (sui 4,6 milioni complessivi) hanno permesso di evitare 3,5 milioni di tonnellate di emissioni di CO 2 ».

Circolarità motore dell’innovazione

Due esempi di come l’approccio all’economia circolare possa generare innovazione di prodotto orientata alla riduzione delle emissioni.

Mapei, multinazionale che fabbrica prodotti chimici per edilizia, da tempo monitora l’impatto ambientale di ciò che produce adottando i due strumenti Life cycle assessment (Lca) e Environmental product declaration (Epd), e, grazie a questa attività di misurazione, ha sviluppato nuovi additivi per asfalto a elevate prestazioni in sostituzione dei polimeri e nuovi prodotti durevoli e di qualità utilizzando cementi riciclati.

Feralpi Group, produttore di acciaio da rottame, quanto a economia circola- re, ha il 97% di circolarità in ingresso e l’85% in uscita. Il processo produttivo con forni elettrici consente di emettere 20 volte in meno di emissioni dirette rispetto alla produzione con altoforno e sette volte in meno di emissioni indirette. «Sostituendo la polvere di antracite con i polimeri ricavati dal riciclo della plastica da imballaggio abbiamo ottenuto diversi benefici: economici, di processo grazie all’alto contenuto di idrogeno dei polimeri impiegati, e ambientali, perché parte del carbonio di questo polimero è di origine biologica, non fossile, e quindi non produce emissioni», spiega Maurizio Fusato, responsabile transizione ecologica ed energetica di Feralpi Group.

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