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LA FILIERA AGROALIMENTARE ITALIANA IN UN COLPO D’OCCHIO
204,5 mld di euro di fatturato, di cui €143,8 mld di F&B e €60,7 mld del comparto agricolo
(2020) +3,8% vs 2015
1,4 mln di occupati, di cui 483.000 F&B e 925.000 del comparto agricolo
(2021) +3,2% vs 2015
224 mld di euro consumi alimentari e bevande (inclusa la ristorazione)
(2021) +3,3% vs 2015
50,1 mld di euro export, di cui €42,3 mld F&B e €7,8 mld del comparto agricolo
(2021) +36,0% vs 2015
1,2 mln imprese, di cui 55.048 F&B e 1,1 milioni aziende agricole
(2020) +5,2% vs 2015
65,0 mld di euro valore aggiunto agroalimentare, di cui €30,2 mld del F&B e €34,8 mld del comparto agricolo
(2021) +6,2% vs 2015
Quanto vale l’italian sounding
Da oltre dieci anni il riferimento per valutare il fenomeno dell’italian sounding non è mai stato aggiornato, nonostante le esportazioni di prodotti alimentari fosse in continua crescita. Lo studio di The European House- Ambrosetti colma questo vuoto e mostra innanzitutto come in alcuni paesi la quota di referenze “che scimmiottano il prodotto italiano” nei punti vendita della grande distribuzione sia più marcata. È il caso, in primis, del Giappone (70,9%), seguito a brevissima distanza dal Brasile (70,5%), mentre in Europa il dato maggiore è stato riscontrato in Germania (67,9%). Ragù (61,4%), parmigiano (61,0%) e aceto balsamico (60,5%) i prodotti più imitati. Se si addiziona quindi il valore di italian sounding su tutti i prodotti alimentari monitorati dalla survey nei dieci paesi, Ambrosetti stima un fatturato di 10,4 miliardi di euro, il 58% in più rispetto a quanto generano complessivamente gli stessi 11 prodotti “veramente” italiani. Applicando il moltiplicatore di 1,58 su ampia scala internazionale ne risulterebbe un valore dell’imitazione di 79,2 miliardi di euro, da aggiungere ai 50 miliardi dell’attuale export agroalimentare italiano.
Più ragionevolmente la ricerca applica un correttore: l’effetto prezzo. Di che cosa si tratta? In tre casi su dieci il consumatore straniero si orienta su una tipicità gastronomica italiana quando questa prevede una spesa più bassa, invece che porre come prioritaria la reale garanzia di provenienza territoriale del prodotto acquistato. Seguendo questa logica, il fenomeno dell’italian sounding ammonterebbe a 6,8 miliardi di euro nel cluster dei dieci paesi di riferimento sugli 11 prodotti analizzati, ovvero il 3% in più rispetto al valore concreto dell’export italiano, da cui si ottiene un moltiplicatore di 1,03. Riparametrando il modello sull’intero valore dell’export agroalimentare nel mondo e depurando l’italian sounding da tale effetto prezzo, si arriverebbe a quantificare il fenomeno per un valore di 51,6 miliardi di euro che, sommato al dato reale di export, permetterebbe all’Italia di generare all’estero con i suoi prodotti un giro di affari superiore ai 100 miliardi di euro, senza considerare i 25 miliardi di euro per la contraffazione dolosa del cibo italiano.
Il Desiderio Di Italianit Per Prodotto
La ricerca indica anche alcune direzioni di lavoro affinché l’Italia si doti di una visione-paese condivisa: «L’Italia deve affermarsi come il paese di riferimento nello sviluppo delle eccellenze per far vivere meglio il mondo e la filiera agroalimentare è il soggetto privilegiato per scaricare a terra questa visione», afferma Valerio De Molli, managing partner Teh Ambrosetti.
Per contrastare efficacemente questo fenomeno resta prioritario favorire la consapevolezza del consumatore straniero verso le valenze distintive del made in Italy agroalimentare. Un obiettivo che si può ottenere promuovendo azioni di marketing mirate, creando un logo food & beverage del made in Italy, organizzando fiere, allestendo corner di prodotti italiani nei punti vendita della GDO all’estero. In parallelo, diventerebbe strategico puntare su attività di educazione del consumatore favorendo una corretta lettura delle etichette, coinvolgendo studenti stranieri con corsi di formazione in Italia, alimentando la sinergia con il settore turistico.
Favorire la consapevolezza del consumatore straniero verso il cibo italiano
Si tratta di temi in discussione ormai da anni in convegni e appelli, ai quali se ne devono aggiungere ora altri, che Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, sintetizza efficacemente così: «Dobbiamo prendere atto che scontiamo un ritardo pluridecennale. Dieci anni fa l’Italia esportava ortofrutta per cinque miliardi di euro, la Spagna quattro. Oggi la Spagna esporta 13 miliardi, l’Italia è ferma a cinque. Sono necessari grandi investimenti infrastrutturali per colmare questo gap competitivo».
Se si analizza la bilancia commerciale agroalimentare, si contrappone il surplus dell’industria alimentare con il deficit del settore agricolo, che nel 2021 si è
F IGURA 2 ampliato di un ulteriore miliardo di euro raggiungendo la cifra di 8,5 miliardi di euro. (VEDI FIGURA 2)
«È d’obbligo – riprende Prandini – però fare autocritica: è finita la stagione dei campanili, le cose vanno cambiate a partire dai poli fieristici frammentati, che non sono in grado di ospitare i buyer internazionali. Dobbiamo avere tre poli fieristici forti al Nord, al Centro e al Sud. Contemporaneamente bisogna rivedere i meccanismi di investimento su come viene comunicata la nostra presenza sui vari mercati: presidiare le fiere internazionali a livello di singola regione o di singola realtà non è un valore aggiunto. Per quanto forti siano le aziende italiane sono sempre deboli rispetto ai grandi player.