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IL RETAIL DA MODELLI ALL-INN A PIATTAFORME MODULARI APERTE
Retail platform
Verso il retail media
Sono diversi i motivi per cui la crisi globale rende più urgente la necessità di puntare a cambiamenti radicali nel modello di business del retail.
Tra questi il fatto che, per esempio, le linee di ricavo dall’attività tradizionale per il retail si assottiglierà nel 2030 a vantaggio di altre linee di ricavo.
Un fenomeno, per esempio, già in corso negli Stati Uniti e prende il nome di Retail Media, cioè la valorizzazione dei dati dei clienti per generare nuove entrate.
«La conoscenza dei clienti consente la generazione di nuovi modelli di business – afferma Marco Metti, business development manager di Dunnhumby Italy – e si prevede che negli USA nel 2026 questa area di business triplicherà rispetto ai 36 miliardi di dollari del 2021». Anche in Europa si assiste allo sviluppo dei primi progetti; dopo Regno Unito e Germania, l’Italia fa parte dei cinque maggiori paesi che hanno iniziato a investire in Retail Media. Dall’analisi dei progetti Retail Media seguiti Dunnhmby stima un incremento atteso del fatturato totale dello 0,2-0,5% e delle vendite indotte tra l’1% e il 2%, con riflessi tra +0,25% e +0,5% sull’Ebit.
Secondo Arata occorre «trasformare i modelli aziendali del retail in cui le principali funzioni sono sviluppate internamente, passando a piattaforme modulari aperte, in cui le principali funzioni sono sviluppate su moduli indipendenti che standardizzano i processi e permettono maggiore agilità nell’attivare nuove collaborazioni e nuovi business. L’azienda si deve quindi organizzare su quattro pilastri per gestire i nuovi talenti (caratterizzati dall’essere digitali, individualisti, orientati agli obiettivi, appassionati): il rinnovo delle competenze, la gestione agile delle persone, la digitalizzazione e il monitoraggio del coinvolgimento dei clienti e dei dipendenti». (VEDI FIGURA 8)
A sua volta Andrea Petronio, senior partner di Bain & Company, spiega che nell’ecosistema retail vanno monetizzati gli asset fisici e digitali, sviluppate le adiacenze e aumentata la scala, anche accelerando la transizione verso la sostenibilità ESG (acronimo di Environmental, Social e Governance, le tre dimensioni dell’impegno in termini di sostenibilità di una organizzazione, ndr): «Il 93% dei retailer dichiara infatti di essere indietro o molto indietro rispetto ai programmi di sostenibilità. Ma servono talenti e competenze, oggi assai scarse, in particolare IT e competenze digitali. Il fatto è che cambiano radicalmente le aspettative sul lavoro per le generazioni più giovani e retribuzione e benefici non sono sufficienti per attirare il talento. Altri elementi passano in primo piano, come il lavoro in team, l’opportunità di apprendimento, l’inclusione, la priorità a questioni più ampie. Soprattutto però sono i giovani che scelgono l’azienda con cui lavorare».
Valori condivisi per un retail attrattivo
Secondo quanto riporta Fulvio Matteoni, responsabile comunicazione istituzionale di Decathlon, nel retail vi è un tasso di turnover del 10% ma il tasso di insoddisfazione nel recarsi al lavoro è del 90%. «Dobbiamo chiederci se esiste davvero una cultura d’impresa – chiarisce Matteoni – oppure se non sia arrivato il momento di investire su piani formativi in cultura d’impresa, perché il sentimento di appartenenza a un progetto non si alimenta più con il livello retributivo e la prospettiva di crescita verticale. I giovani non vivono più la dicotomia tra ciò che si è e ciò che si fa. Per questo oggi le aziende possono attrarre talenti solo con una mission motivante e dei valori condivisi e potranno distinguersi per autonomia dei collaboratori e sussidiarietà nelle decisioni». Non mancano esempi nella direzione di un riconoscimento dei collaboratori in quanto persone. Come quello di Amazon per un’innovazione diffusa in cui tutti i collaboratori sono innovatori permettendo all’azienda di essere agile e inno- vativa. «Purché chi è alla guida abbia la capacità di ascoltare e non abbia timore a percorrere strade apparentemente non percorribili», spiega Mariangela Marseglia, vp country manager Italy and Spain di Amazon.
Un’idea di azienda aperta è quella che sta sviluppando anche Penny Italia del gruppo Rewe, cercando di coinvolgere le persone nelle scelte fondamentali. «Gli addetti dei punti vendita rappresentano l’azienda che incontra i clienti. Sono loro a dover informare l’azienda sulle esigenze dei clienti», spiega il ceo Nicola Pierdomenico. Ecco quindi iniziative per un confronto aperto down-top come l’app per la comunicazione diretta con i vertici dell’azienda, lo scambio tra il personale dei negozi con quello della sede, «perché spesso abbiamo talenti in azienda che non conosciamo ma hanno competenze specifiche, che magari stiamo ricercando altrove» e il reverse mentoring in cui sono i nuovi entrati in azienda a diffondere competenze e idee perché il business assuma nuove forme.