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Reinventare il retail con il purpose Fausto Caprini

Con la trasformazione digitale il retail ha cessato di essere una industry, per il semplice motivo che tutte le imprese sono potenzialmente retailer e nel contempo i clienti hanno acquisito un superpotere: quello di giudicare.

Come risposta, il retail ha percorso prima la strada del prezzo, dell’assortimento e del servizio (il “cosa”), poi quella del “come”, con i servizi di consegna door to door per esempio, infine mettendo l’accento sul “perché” fidarsi del brand: ma l’emulazione sarà sempre in agguato, prima o poi tutti offriranno la stessa cosa. Ora emerge il purpose, inteso come l’impianto valoriale sul quale l’impresa-retailer deve costruire il proprio posizionamento distintivo, superando le pratiche di emulazione reciproca. Molti brand nel tempo si sono spostati nell’area dei valori identificando uno spazio di attenzione nella mente dei clienti (tra i tanti, Dove, per esempio, valorizza la bellezza a prescindere dagli stereotipi), ma mancano ancora i brand dei retailer, con pochissime eccezioni. Di fronte al periodo di grandi difficoltà che stiamo vivendo, il purpose è uno strumento importante a disposizione del retail per reimmaginare sé stesso.

Come può allora l’azienda essere scelta in questo capovolgimento di ruoli? Deve proporre percorsi di carriera entusiasmanti e benefici economici attrattivi, avere una cultura aziendale aperta, mettere la tecnologia e l’innovazione al centro della proposta e, infine, un’organizzazione agile che dia visibilità e responsabilità crescenti a chi eccelle.

Rivedere Pratiche Consolidate

Per chi fa Distribuzione è tempo di avere il coraggio di rimettere in discussione pratiche consolidate. E di agire. Secondo l’analisi di Maniele Tasca , general manager Selex Gruppo commerciale , servono cultura e processi per relazionarsi e ascoltare il consumatore, anche prendendo lezione dagli eccellenti dell’e-commerce. Perché i conti cominciano a non tornare e il retail attraversa grandi difficoltà. «Occorre agire e cambiare. Le persone devono agire in modo differente. Nel nostro gruppo gli imprenditori si stanno interrogando su nuove fonti di valore», afferma Tasca. Per esempio? «Le sinergie non espresse e le collaborazioni su alcuni ambiti come gli acquisti, la logistica e i trasporti, da un lato. Dall’altro sfruttare maggiormente tutto il potenziale dei dati, per esempio per un nuovo modello d’acquisto dell’energia. Infine migliorare i rapporti con i fornitori perché se non c’è convenienza reciproca quanto può durare la partnership?».

Concorda Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Decò Italia, per il quale di fronte a bilanci che scricchiolano bisogna rimettere mano al concetto di efficienza: «Non si può affrontare la crisi – sostiene Gasbarrino – senza cercare di sciogliere i problemi che la Distribuzione si trascina da anni. E in particolare: la frammentazione, la crescita della MDD che deve raggiungere la quota di mercato degli altri paesi, il rapporto conflittuale con l’Industria di marca, la competitività tra retailer. Per anni abbiamo convinto i clienti che i prodotti non costano niente, ma combattersi solo sui prezzi bassi non blocca l’inflazione né rilancia i consumi. Dobbiamo invece sapere trovare modalità nuove per fare sinergie e massa critica. L’efficienza da sola non basta, occorre una maggiore massa critica».

«Bisogna andare oltre il category management crisi – aggiunge Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad – e condividere realmente le risorse e le informazioni. Sappiamo che gli imprenditori sono individualisti, ma ciò che mantiene viva un’azienda è la sua capacità di evolvere nel tempo. E dobbiamo agire in due direzioni: selezionare il capitale umano, cioè le persone, le alleanze e le partnership con altre realtà anche fuori settore, con i fornitori e con chi è vicino ai valori dell’impresa». ^

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