Terre di Confine #1

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Rivista elettronica aperiodica redatta dal gruppo FantasyStory/FantasyRPG/AccP - www.crepuscolo.it - n. 1 / novembre 2005

Anno I - numero 1

Fantascienza, Fantasy, Anime

SCIENZA

Rischio impatto INTERVISTE DuneItalia G. Soldati Lingalad

LETTURA

Dune Il cavaliere del Sole Nero Incontro con Rama

CINEMA

Ladyhawke

MITI

I giganti

CULTURA Eclissi

ANIME

Giant Robot


T D C

Cover Image Credit: NASA/JPL-Caltech/T. Pyle (SSC/Caltech) http://www.spitzer.caltech.edu/Media/releases/ssc2005-01/ssc2005-01b.shtml


Sommario

TERRE DI CONFINE

REDAZIONE EDITORIALE

FANTASCIENZA INTERVISTA LETTURA SCIENZA E TECNOLOGIA LETTURA CINEMA CINEMA CINEMA

5 PIN-UP: L. TYLER

DUNEITALIA DUNE RISCHIO IMPATTO INCONTRO CON RAMA ARMAGEDDON METEOR DEEP IMPACT

FANTASY

8 14 16 36 38 49 54 PIN-UP: M. PFEIFFER

LETTURA IL CAVALIERE DEL SOLE NERO MITI E LEGGENDE I GIGANTI STORIA E CULTURA UCRONIE CINEMA LADYHAWKE STORIA E CULTURA ECLISSI INTERVISTA LINGALAD

66 69 82 84 98 106 PIN-UP: GINREI

ANIME SERIE OVA GIANT ROBOT INTERVISTA GIANNI SOLDATI ANIME 3D JEEG 3D

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REDAZIONE STAFF

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TDC N.1 - NOVEMBRE 2005

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11 luglio 1999: Yakumo manifta in I.F.ST. la volontà d’iniziare un nuovo GDR; 15 novembre 2005: ce il primo numero di Terre di Confine... In cotanto frangente, non posso imermi dall’inviare un affettuoso saluto a tutti i compagni di quei giorni spensierati in it.fan.startrek (in particolare alla Surreale Famiglia® e alle mie deliziose - e pestifere - Figlie®); alcuni, constato, postano tuttora (di andare a lavorare non se ne parla proprio, eh?). Un abbraccio all’intera la Gabbia di Matti® , senza il ricurante rifugio delle cui pari, oi molti concetti non sarebbero mai “fluiti liberi”… DeFa PS: a imperitura memoria dello scopo reale, intimo, indefo, imprcindibile, inequivocabile di I.F.ST., oia l’adorazione della meravigliosa B’Elanna Torr, Sirena dei Cieli.

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Editoriale

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on l’uscita del primo numero, ci pare doveroso (e romantico) fornire un breve cenno sul percorso ricreativo-culturale iniziato diversi anni or sono, di cui riteniamo questa rivista rappresenti uno dei frutti più significativi. Risalendo a ritroso nel tempo, le varie iniziative in cui TERRE DI CONFINE affonda le proprie radici (Crepuscolo.it, Fantasy Story, Fantasy RPG, Daycem Project, Anime Mundi…) convergono idealmente verso un’unica fonte, alimentata da un principio ispiratore comune. L’inizio dell’avventura è datato 11 luglio 1999, giorno in cui il fondatore YAKUMO “arruola” un manipolo di noi (scovati presso newsgroup vari, in particolare l’eroico it.fan.startrek) per aprire fantasy_rpg (oggi fantasy_gdr): una mailing list concepita come sede di un gioco di ruolo di ambientazione fantasy, organizzato secondo il classico schema della narrazione a molte mani, “PBeM” (Play By eMail). Alcune settimane più tardi, per esigenze di traffico e di contenuti, la ml si sdoppia e dalla sua costola nasce la gemella fantasy_story, luogo d’incontro per decine di appassionati, lettori e scrittori. Quasi contemporanea è la messa on-line, a opera di chi vi scrive, dell’Anime’s Characters Censor Project, sito dedicato all’animazione giapponese, a cui segue, nell’ottobre del 2001, la creazione di altre due ml (anivid_nerv e anivid_seele) destinate allo scambio di risorse e d’informazioni sul tema. Su quelle risorse si appoggia l’attuale Anime Mundi, che riunisce la redazione della sezione Anime/ Manga di questa rivista. Tornando a quel nostalgico 1999… la ml originale, alleggerita del carico di racconti non legati al gioco di ruolo iniziale, poté concentrarsi sullo sviluppo della propria ambientazione, scomponendosi in diverse liste “figlie” e dando vita, nel corso degli anni, a vari racconti PBeM e a un più serio e ambizioso piano letterario, denominato “Daycem Project”. Nel frattempo, la gemella fantasy_story s’ingrandiva, acquisendo ben presto un bacino d’utenza di tutto riguardo. Le due liste furono quasi subito affiancate dai necessari siti di supporto, grazie all’iniziativa di ELISA (altro membro di quello storico nucleo proveniente da ifst), che inizialmente li costruì e li rese disponibili su un host gratuito, per poi trasferirli nell’ormai

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TERRE DI CONFINE

“leggendario” dominio terrediconfine.net. Qui venne edificato un portale che accolse i vari progetti, insieme a lavori e articoli provenienti da ml esterne. Per un lungo periodo, lo sviluppo della sezione web e l’inserimento delle risorse furono portati avanti con pesante tributo di tempo dalla stessa webmaster, fino al 2004; in quell’anno, per ovviare alla gravosità dell’impegno dovuta all’enorme mole di materiale che quotidianamente sommergeva le varie ml, Elisa decise di passare a un sistema di gestione CMS in php e sql, in grado di svincolare il portale dalla dipendenza di un’unica persona. Il sistema d’inserimento e d’indicizzazione delle risorse permette oggi a tutti gli iscritti di gestire autonomamente un proprio account, e immettere e spostare i racconti in totale libertà; ma, di più, funge da contenitore d’iniziative, cioè uno strumento che si lascia usare a piacere per divulgare notizie, presentare progetti, mostrare opere, discorrere di cinema, libri e fumetti… Questo nuovo “organismo” telematico, dotato di vita propria, prende il nome di Crepuscolo.it, e, trasferito nell’omonimo dominio indipendente, sostituisce TerreDiConfine (le cui antiche vestigia possono ancora essere rinvenute nei meandri del Web). Pur avvolti in questo vitale turbinio di vicende, nessuno di noi dimentica quindi le origini, né lo spirito che le influenzò; il nome di questa e-zine ha appunto lo scopo di preservarne la memoria, nella consapevolezza che il ricordo del passato è ciò che più conferisce significato al presente e valore al futuro. Fantasy e Fantascienza ispirano questa particolare percezione del Tempo, in cui l’istintiva magia della “giovinezza” si fonde con la tecnologica razionalità della “vecchiaia”. Il nostro vivere il tempo in senso lineare tenderebbe invece a mantenere questi elementi ben separati, dietro e davanti a noi. Nessuno può agguantare il futuro o trattenere il passato, ma chi riesce, con gli occhi della fantasia e i lumi della conoscenza, a vaderli camminare al proprio fianco, è forse colui che tiene in mano le chiavi della saggezza. MASSIMO “DEFA” DE FAVERI *

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AREA

FANTASCIENZA “Chi scopre la meteora sceglie il nome è esatto ?” “Si è cosi’ è esatto” “Voglio chiamarla Dotty, come mia moglie. Stramaledettissima vipera velenosa dalla quale non esiste scampo ” da Armageddon 1998

FILMOGRAFIA 19. Lonesome Jim (2005) 18. Jersey Girl (2004) 17. The Lord of the Rings: The Return of the King (2003) 16. The Lord of the Rings: The Two Towers (2002) 15. The Lord of the Rings: The Fellowship of the Ring (2001) 14. One Night at McCool’s (2001) 13. Dr T and the Women (2000) 12. Onegin (1999) 11. Cookie’s Fortune (1999) 10. Plunkett & Macleane (1999) 09. Armageddon (1998) 08. Can’t Hardly Wait (1998) (voce) 07. U Turn (1997) 06. Inventing the Abbotts (1997) 05. That Thing You Do! (1996) 04. Stealing Beauty (1996) 03. Empire Records (1995) 02. Heavy (1995) 01. Silent Fall (1994) fonte: www.imdb.com


Liv Tyler


FANTASCIENZA

INTERVISTA

DALLE SABBIE DI ARRAKIS FINO A NOI

La testimonianza di chi per primo, in Italia, ha portato on-line il capolavoro di Frank Herbert di ROMINA “LAVINIA” PERUGINI

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ualche anno fa, forse un po’ per caso, ma più per amore, prendeva forma una piccola creatura, sul cui futuro non avreste scommesso un centesimo; questa specie di embrione l’avreste dovuto scovare in un angolo remoto della rete. Ma si sa, le cose più vere sono quelle che scaturiscono da un amore incondizionato e senza pretese, come quello di una madre per il proprio bambino… o quello di un adolescente per un’opera che gli ha rapito la mente e in qualche maniera condizionato la vita. Basta rovistare nei nostri ricordi per ritrovare quegli attimi davvero preziosi caratterizzati dalle scoperte, tanto grandi quanto impensabili e improvvise. E allora ci si chiede come sia possibile rinunciarvi per tanto tempo. Poichè l’arte è qualcosa di tanto inutile, in termini funzionali, quanto è indispensabile per alimentare il nostro inconscio. Woody Allen, in un suo famoso film, si domanda per che cosa valga la pena vivere: Groucho Marx, le mele e le pere di Cezanne, i film svedesi, il viso del suo amore Tracy… e Dune! Beh, Dune non viene citato nel

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film, ma noi siamo qui per questo, per non dimenticare che cinquant’anni fa un eclettico signor Herbert iniziò a raccontarci storie di terre dimenticate da dio, di profeti, di guerrieri dagli occhi blu, di intrighi politici, di sabbie mortali… Ma più di tutto siamo qui per ringraziare chi, da molti anni a questa parte, non solo ci aiuta ma addirittura ci rende parti attive e dinamiche nel rendere omaggio a questo mondo immaginario. Tommaso Moro l’avrebbe definita una piccola Amauroto, ovvero il “non-luogo”, un luogo nella mente…e nella rete. Un “luogo”, molti lo chiamerebbero portale, dal quale si viene presto

INTERVISTA: DUNEITALIA


DUNEITALIA traghettati dentro un mondo alternativo, dove una nuova lingua, nuovi usi e costumi rimpiazzano quelli a noi familiari. Ecco allora che, quando penserai “casa”, dirai “sitch”, se avrai sete brinderai con una birra di spezia, e non cavalcherai cavalli, bensì vermi. “Possiate amare queste sabbie come le amo io”: parlavamo d’amore, ed è con questa dichiarazione d’amore che il fondatore di DuneItalia.com, il nostro Caronte buono, ci dà il benvenuto, nello stesso istante in cui ci accingiamo a condividere la sua medesima passione. Parliamo di Sihaya, al secolo Federico Falcone, 27enne di Pisa, laureando in giurisprudenza. D - Ogni pseudonimo nasconde un significato, e in qualche modo svela qualcosa di chi lo porta. Parlaci di “Sihaya”. R - È un termine che significa “la primavera del deserto”; scelsi di adottarlo più di quattordici anni fa, sia per la dolce fonia sia perché pensai (leggendo per la prima volta Dune) che, quando avessi incontrato l’amore della mia vita, sarebbe stato questo il soprannome che le avrei dato. Ecco perché, in fondo, il mio è un nick femminile. D - In che modo l’opera di Herbert è entrata a far parte della tua vita? R - Nella maniera fortuita con la quale le grandi passioni sono solite sorgere o meglio accadere. Ero tredicenne e stavo cercando un videogioco per il mio nuovo fiammante 486 a 40Mhz. Un negoziante solerte, inconsapevole di come fosse destinato a influenzare la vita di un perfetto sconosciuto, me ne consigliò uno appena uscito, della francese ed ora defunta Cryo. Vi trovai albe e tramonti in deserti inesplorati, figure misteriose e pittoresche… Questo bastò a indirizzarmi verso il primo libro di

INTERVISTA: DUNEITALIA

quella che, in seguito, scoprii essere un’esalogia: Dune. Per inciso, quel primo arcaico gioco è ancora tuttora presente sul mio pc [e noi ci domandiamo come riesca ancora a girare]. D - Un computer, un gioco, sei romanzi. Da tutto questo è nato un sito. R - È stata una genesi particolare. Ero all’inizio del tormentato periodo adolescenziale, e lo scrivere rappresentava l’unico modo per sollevarmi dai quotidiani pesi. Ho sempre scritto piccoli testi, racconti, poesie, esclusivamente per me s’intende, e dopo aver conosciuto il mondo di Dune il mio immaginario si arricchì al punto tale che, ogni qualvolta mi addoloravo per un

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FANTASCIENZA

INTERVISTA

prime proposte di collaborazione, che tuttavia non si concretizzarono. In seguito, per facilitare l’inserimento delle notizie riguardanti Dune che rinvenivo nel Web, decisi di migrare il sito per l’ennesima volta, su una struttura che favorisse l’interazione fra gli utenti, e vi affiancai inoltre un forum, con l’aiuto di un ragazzo di nome Armando conosciuto casualmente in rete, che desidero ringraziare. Da qui in poi, tutto è avvenuto con una spontaneità che ancora oggi considero sconvolgente. Nel corso di questo anno, molte persone sono entrate a far parte dello staff, e a mano a mano il sito acquisiva contenuti e aggiornamenti; il forum si popolava e nuovi iscritti ogni giorno si aggiungevano ai precedenti. Insomma, mai avrei pensato che sarebbe da lì nata, in poco tempo, una vera e propria comunità italiana dedicata a Dune, a dimostrazione di come a volte le conseguenze involontarie di azioni volontarie superano le nostre più rosee aspettative… per fortuna! D - Sembra che tutto sia stato così spontaneo. Sicuro di non aver pensato almeno una volta di mollare?

qualche motivo, prendevo carta e penna. Pensai allora che, per ricambiare in piccola, infinitesimale maniera, il dono che avevo ricevuto tramite quell’opera da quello sconosciuto uomo d’oltreoceano, avrei potuto creare qualche pagina che di lui ricordasse la storia, la vita, gli scritti. Così nacque il primo sito italiano dedicato a Dune; si chiamava “Sihaya Homepage”, era un sito bilingue italiano-inglese ed è ancora on-line in qualche angolo remoto del Web. Nel corso degli anni, trasformai il sito, ampliandolo notevolmente e utilizzando le competenze (rimaste sempre lacunose a dire il vero) in ambito informatico che nel frattempo avevo acquisito. Chiamai questa nuova realizzazione “Dune Italia”, dal momento che l’intero contenuto era redatto esclusivamente nella nostra lingua. In quel periodo ricevetti le

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R - Beh, come accennato, le complicazioni hanno riguardato esclusivamente le mie scarse conoscenze informatiche, che non mi permettevano di realizzare ciò di cui necessitavo. In principio è stata una pesante limitazione. Ma, del resto, non me ne sono preoccupato troppo, perché quello che avevo creato era semplicemente “pro domo mea”, un piccolo luogo, discreto, nel quale rifugiarmi, che nel tempo sarebbe divenuto un tributo ad un grande autore. Il successo riscosso penso si debba al fatto che altri siano rimasti affascinati da Dune nella stessa maniera in cui lo sono stato io, ed abbiano riconosciuto nella mia la loro stessa passione. Non ho mai pensato di abbandonare il sito, anche se qualche momento di amarezza

INTERVISTA: DUNEITALIA


DUNEITALIA non nego di averlo vissuto. Sta di fatto che, mi sono reso conto, non curandomene più, probabilmente avrei sentito di aver perso una parte di me. Al di là di questo, adesso il mio maggiore desiderio è che Dune Italia si renda autosufficiente, indipendentemente da me. Molti vi hanno contribuito, in una molteplicità di modi che avrei persino imbarazzo ad elencare. Questa è la ragione per la quale non ritengo più il sito di mia appartenenza. Dune Italia è di queste persone e di tutti coloro che seguono il suo evolversi. D – Quale sarà il prossimo stadio di questa interessante evoluzione? R - Credo che il successivo inevitabile passo sia a questo punto la creazione di un’associazione culturale legata al sito di Dune Italia; tutta questa sinergia merita un riconoscimento ufficiale, che vada al di là della semplice notorietà e che ci permetta di organizzare le nostre attività nella migliore maniera possibile. Contiamo di farla nascere entro la fine dell’estate. Successivamente, tradurremo l’intero sito in lingua inglese, nella speranza di ripetere la positiva esperienza di questo anno. D - Avete partecipato a fiere fantasy, nell’intento, oltre che ludico, di pubblicizzare ulteriormente il sito e il mondo di Dune? R - Ci stiamo avvicinando al mondo delle fiere fantasy e del fandom in generale con molta prudenza, nella speranza di presentarci agli appuntamenti prescelti in maniera organizzata e credibile. Questo anche grazie ad alcuni gruppi di amici conosciuti (prima via internet e poi personalmente) nel corso di quest’ultimo anno. Abbiamo partecipato, per il momento, alla Kree’con, alla Deepcon ed alla Yavincon. Certamente

INTERVISTA: DUNEITALIA

miriamo ad essere presenti anche alla LuccaGames. D - A volte ho l’impressione che l’esalogia di Herbert viva un po’ nell’ombra, e che pochi si impegnino affinché la situazione muti. Anche tu come me la pensi allo stesso modo? R - Credo tu abbia ragione, purtroppo. In realtà è tutta la letteratura fantascientifica e fantasy ad essere “figlia di un Dio minore”, a parte i classici che vengono ripubblicati continuamente in nuove edizioni. Il caso di Dune è però particolare: da una parte c’è l’esalogia classica, e dall’altra i prequel di recente pubblicazione, scritti da B. Herbert & K.J. Anderson. I testi dell’esalogia tradizionale, come gran parte della letteratura di genere

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FANTASCIENZA degli anni ’50-’60-’70, sia per la forma che per il contenuto non appartengono, a mio modo di vedere, al genere della letteratura di intrattenimento. Sono complessi, in alcuni punti persino ostici, non favoriscono il lettore né per quanto concerne la forma (definirei lo stile di Herbert “scorbutico”, magnifico dal mio punto di vista), né per il contenuto. In Dune, ad esempio, si fondono nozioni di religione, antropologia, psicologia, geologia e molto altro ancora. Si tratta della ricostruzione di un mondo e dei suoi delicati equilibri e meccanismi, che reca con sé tutta la complessità della vita pulsante. I prequel invece sono scritti con forma tipicamente moderna; l’intreccio rimane sufficientemente articolato, ma lo stile è piano,

Frank Herbert

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INTERVISTA

semplice, lineare. Da un punto di vista editoriale, il ciclo è stato pubblicato circa venti anni fa dalla Casa Editrice Nord, e mai più riproposto se non grazie, recentemente, dalla Sperling & Kupfer sull’onda del lancio dei nuovi prequel che sarebbero stati pubblicati di lì a poco dalla Mondadori. Eccoci infine arrivati al punto dolente. La Mondadori ha pubblicato i primi quattro prequel e ha poi improvvisamente interrotto la serie, quando alla fine del ciclo mancavano ancora gli ultimi due tomi. Altro fatto vergognoso è che ad ogni prequel della versione originale americana, abbiano corrisposto due romanzi nella versione italiana: comprendecopertina DVD rete quindi il vertiginoso aumento del prezzo del prodotto. Abbiamo tentato in ogni modo di prendere contatto con la casa editrice, ma non si è mai dimostrata propensa al confronto. A mio modo di vedere, una vera scorrettezza nei confronti dei clienti. Dune ha poi relativamente beneficiato degli altri media: il film di D. Lynch del 1984 ebbe scarso successo al botteghino, in parte dovuto allo stile visionario del grande regista e al fatto che, obbiettivamente, la pellicola risulta poco comprensibile a chi il libro non l’abbia letto. Va detto comunque che il passare degli anni ha donato quest’opera una seconda giovinezza, grazie a cinefili e lettori appassionati di fantascienza.

INTERVISTA: DUNEITALIA


DUNEITALIA Recentemente, è stata la TV ad avvicinarsi a Dune, proponendo due miniserie, basate sui primi tre libri dell’esalogia. La coraggiosa impresa è stata compiuta dal canale inglese Sci-Fi, e in Italia è ovviamente passata in sordina. Mediaset ha proposto la prima serie durante una domenica pomeriggio, mentre della seconda si sa solo che giace negli archivi di Sky, dopo che la fase di doppiaggio italiano è ultimata da tempo. “Naturalmente” neppure Sky si mai è degnata di rispondere ai nostri cortesi solleciti.

D - La domanda più ostica che viene posta ad un appassionato di Dune, da parte di chi ne è totalmente a digiuno: si tratta di un’opera fantasy o di fantascienza?

R - Ogni qualvolta mi sia stato chiesto di chiarire questo punto, mi sono trovato in imbarazzo, non lo nego. A mio modo di vedere è un’operazione insensata tentare di circoscrivere la portata di una narrazione di questo genere entro gli ingenerosi confini delle categorie classiche. In Dune vi sono elementi di fantascienza come D - Alla luce dei recenti incontri avvenuti tra gli iscrit- di fantasy, vi è filosofia, psicologia, ecologia… Vi sono ti al forum, avete in programma di organizzare anche vette della narrazione altissime, quasi epiche; troviagiornate a tema e Gdr Live? mo canti e poesie. C’è politica, ci sono cospirazioni, tutta la complessità e il bizantinismo della burocrazia. R - Una volta costituita l’Associazione Culturale, ine- Insomma, dichiaro la mia incompetenza ad esprimermi vitabilmente organizzeremo, al pari di altri, giornate a in materia, poiché non credo che un capolavoro di tale tema, e svilupperemo una serie di attività, tra le quali portata meriti il confinamento di una rigida categorizzaGdr Live e molto altro. Le idee non mancano. Per il zione. Invito, o meglio sfido tutti voi lettori a costruirvi momento abbiamo preferito riunioni di carattere orga- un vostro giudizio a riguardo. Di certo non vi avvicinenizzativo, al fine di gettare le basi per gli sviluppi futuri: rete ad una lettura che vi deluderà. una sorta di brain storming, nel quale, oltre a conoscerci di persona, diamo sostanza ai nostri progetti. D - E per quanto riguarda il tuo nick? Hai avuto modo Credo che il prossimo anno organizzeremo il di incontrare la tua “primavera del deserto”? primo Ra-Dune (così chiamiamo i nostri meeting) nazionale di Dune Italia. R - …No!…

Illustrazione di Stephen Youll per la copertina di “The Butlerian Jihad”

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FANTASCIENZA

LETTURA

DUNE

(DUNE)

di FRANK HERBERT

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une è un classico della fantascienza, sebbene gli manchino molti elementi tipici del genere: non ci sono alieni, non ci sono robot o computer (banditi dopo una grande guerra)… tuttavia si viaggia nello spazio tra pianeti. L’universo conosciuto si regge su un sistema feudale, con casate nobiliari e un imperatore. È un mondo pericoloso, anche per i nobili, dove l’assassinio politico è così frequente da essere legalizzato secondo un codice. Esistono migliaia di veleni e tipi di coltelli, ognuno con una specifica funzione atta a raggiungere un diverso obbiettivo; uccidere diventa quasi un’arte. In questo mondo si combatte con spade, pugnali, pistole, laser, scudi energetici, e pericolosissime armi atomiche che ogni grande famiglia possiede, in un eterno clima da “guerra fredda”. Dune è calato in un contesto marziale e rigido, che ricorda l’epica; si direbbe quasi che lo scopo ultimo dei personaggi sia la guerra, la supremazia, la distruzione. Gli eserciti fremono, i politici sorridono con un coltello costantemente nascosto addosso. Il centro d’equilibrio dell’impero è la spezia, una droga che dà una dipendenza totale (chi se ne separa muore), ma dona una lunga vita, estende i sensi, permette ai misteriosi navigatori di far viaggiare nello spazio le astronavi. La preziosissima spezia si trova solo ad Arrakis, noto agli indigeni come Dune, un pianeta totalmente desertico, pericoloso, popolato da giganteschi vermi delle sabbie, dai rudi Fremen, e dalla ricca e crudele famiglia nobiliare che controlla il “feudo” e raccoglie la spezia: gli Harkonnen. Per decisione dell’imperatore, la famiglia nemica da secoli degli Harkonnen, gli Atreides, viene man-

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data su Arrakis a sostituire i rivali nella raccolta della spezia e nella gestione del pianeta. È un complotto: il Duca Leto Atreides verrà ucciso, e la sua casata “ufficialmente” distrutta. Si salveranno però il giovane Paul (figlio del duca e unico erede) e sua madre Jessica, che fuggiranno nel deserto, a vivere con i Fremen. Jessica Atreides è una Bene Gesserit, seguace cioè di un potentissimo ordine monastico-religioso di sole donne, le cui adepte, addestrate da giovanissime, posseggono doti formidabili, come la capacità di “sentire” la menzogna nelle parole degli altri, o vedere sprazzi

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DUNE di futuro, controllare il proprio corpo fino ad arrestare il battito del cuore o neutralizzare i veleni. Alcune sono in grado di dominare le menti tramite la Voce. Queste qualità ne fanno preziose consigliere di molti uomini di potere, ambite, ma al tempo stesso temute: la loro fedeltà al proprio ordine è totale, i loro scopi segreti, il loro aiuto mai disinteressato. È grazie alla spezia, e all’addestramento Bene Gesserit impartitogli dalla madre, che Paul – col suo nuovo nome fremen di Muad’Dib – acquisisce la dote della preveggenza, e con essa capacità di pilotare gli eventi e adattarsi perfettamente al ruolo del messia che, in base a un’antica leggenda, i Fremen attendono da secoli. Guidando il suo nuovo popolo alla conquista della libertà, sbaraglierà le truppe dell’imperatore e degli Harkonnen, scatenando una Jihad e ribaltando l’ordine stesso dell’impero. Una miscela di elementi che Herbert riesce a condurre in modo semplice ma realistico, evitando complicate spiegazioni scientifiche per soffermarsi semmai sull’aspetto umano e psicologico delle vicende, spesso dissacrando temi e generi. La leggenda del messia ne è un esempio; si tratta di una mistificazione, volutamente impiantata dalle Bene Gesserit nella cultura dei Fremen allo scopo di meglio controllarli. Sono le azioni ragionate di Jessica e di Paul, unite al caso e all’autosuggestione dei Fremen, a renderla vera. In questo contesto la figura di Paul Muad’Dib resta ambigua: da un lato potremmo odiarlo, perché studiatamente sincronizza la propria vita per farla collimare con profezia e ottenere quindi la devozione dei Fremen, dall’altro sembra voler affiancare ai propri scopi personali una più altruistica attenzione per i sogni del suo popolo, impegnandosi a ottenere per esso l’agognata libertà, e a trasformare Arrakis in un pianeta verde e fiorito. Dune è un mondo incredibilmente evocativo e curato, un mondo meraviglioso sebbene crudele, un romanzo senza eroi o mali assoluti ma il cui centro è anzi il profondo dell’uomo, con le sue contraddizioni. L’elemento filosofico e religiooso in Dune è una fusione che unisce spiritualità diverse (coerenti con l’ottica di una civiltà galattica multietnica), mescolando il misticismo delle Bene Gesserit, (una sorta di vestali con poteri paranormali) col primitivo animismo (in certi tratti romantico in altri fondamentalista) dei Fremen,

LETTURA: DUNE

che vivono all’insegna della ferocia e dell’onore guerriero, ma al contempo rincorrendo ideali di lealtà e onestà, col rispetto per tutto ciò che è “grande”. Come i vermi delle sabbie, come il deserto. I Fremen, in effetti, meritano un’analisi particolare. Herbert ha passato molto tempo a studiare il comportamento del deserto, dei climi aridi e delle popolazioni che li abitano, la loro cultura e la loro considerazione dell’acqua. Non a caso, il popolo di Dune ha moltissime parole per indicare il prezioso liquido, ognuna con le sue sfumature. La società fremen è basata sull’acqua, e con il tempo ha inventato ingegnosi sistemi per ricavarla e risparmiarla. La religione è incentrata sui vermi delle sabbie, i “creatori” o Shai-Hulud, spine nel fianco per chi vive raccogliendo la spezia (queste colossali creature hanno la pessima abitudine di predare tutto ciò che si muove, macchine comprese), presenze invece fondamentali per i Fremen, che li considerano dèi, e ne fanno i più svariati usi (da mezzi di trasporto, a materia prima per ricavare i coltelli rituali kryss). I Fremen non temono la morte, anzi la venerano a modo loro, e ne parlano come parlassero del tempo atmosferico. Per essi freddezza e forza sono basilari: i capi-tribù diventano tali sfidando e uccidendo i predecessori. Nella loro essenza, i Fremen tracciano la linea che si stende tra “violento” e “malvagio”, tra “arretrato” e “brutto”. Densa di elementi affascinanti, come appunto i Fremen, la trama, pur seguendo un archetipo classico che non eccelle in originalità, è godibile e appassionante. Non si tratta una semplice storia epica, è di più. Addirittura Herbert usa Dune per demitizzare l’epica, per scavare nella mente umana e profanare le radici della morale e della religione, sfatandole, analizzandole con occhio realista e razionale. La narrazione è abbastanza fredda e lenta, con grandi salti temporali. Le scene d’azione sono scandite nel tempo, mai esagerate o coreografiche, anzi sempre funzionali alla storia. I dialoghi variano dai convenevoli dei nobili alla cruda e violenta schiettezza dei Fremen. Questo romanzo è il primo e il più godibile della serie, un’opera che non può deludere chi ama letture serie e appassionanti. SAURONEYE *

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FANTASCIENZA

SCIENZA E TECNOLOGIA

il dal cielo

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a concezione dei pianeti del Sistema Solare come oggetto d’impatti cosmici è affermata da tempo ma, fino a pochi decenni or sono, ancora si attribuiva alla Terra un ruolo di eccezione. Uno dei motivi di questa reticenza, forse il principale, risiede nella difficoltà di rilevare le tracce d’impatto sul nostro rispetto agli altri pianeti. Luna a parte, l’indagine avente per oggetto le superfici planetarie ha potuto svilupparsi grazie al progresso tecnologico raggiunto nella seconda metà del XX secolo; pertanto fino ad allora risultava obiettivamente meno agevole stabilire se il meccanismo degli impatti fosse una caratteristica generale comune a tutti i corpi del Sistema Solare. Le indicazioni di ciò, in ogni caso, erano già tutte presenti. L’osservazione sistematica della Luna (possibile fin da tempi dell’invenzione dei

Il Meteor Crater (Arizona, USA) uno dei crateri terrestri più giovani e meglio conservati. Si è formato approssimativamente 50.000 anni fa, in seguito all’impatto di una meteora ferrosa di circa 30 metri di diametro, alla velocità di 30 km/sec. Il cratere è largo 1,1 km e profondo 200 m.

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primi strumenti ottici), con la muta testimonianza incisa sulla sua superficie da un gran numero di formazioni crateriche più o meno imponenti, che in alcuni casi si sovrappongono o si intersecano, fornisce già un primo indizio. Qualcosa a riguardo potrebbe dirci GALILEO GALILEI, che nel 1609 rivolse verso la Luna il proprio telescopio e si rese conto di quanto il concetto d’immutabilità e di perfetta sfericità degli astri, fino ad allora fondamentale regola della scienza astronomica, naufragasse miseramente già sul corpo celeste a noi più vicino. Per lungo tempo, tuttavia, la formazione dei crateri lunari venne attribuita a situazioni endogene (una delle quali fu proposta già nel 1665, da R. HOOKE, il quale suppose che i crateri lunari derivassero dall’esplosione di vapori o gas provenienti dal sottosuolo e raccoltisi presso la superficie in gigantesche bolle) come vulcanismo o fenomeni mareali (consolidamento sulla superficie di materiale proveniente dall’interno, sollecitato dinamicamente dall’attrazione gravitazionale terrestre). Neppure dopo che E.F.F. CHLADNI dimostrò, nel 1794, la possibilità della caduta sulla superficie della Terra di “sassi” provenienti dal cielo, ispirando così le ricerche di tali reperti, l’idea impattiva si diffuse come ci si sarebbe dovuti aspettare. Accanto ai sostenitori della visione endogena (e talvolta in acceso contrasto con essi) pochi erano coloro che sostenevano il legame diretto tra la morfologia superficiale del nostro satellite e l’azione dirompente di proiettili cosmici provenienti dallo spazio interplanetario; la paternità dell’ipotesi meteoritica è attribuibile a F. VON GRUITHUISEN (1829) e a R.A. PROCTOR (1873). Nei primi anni del XIX secolo, con i fermenti suscitati dalla scoperta dei primi

asteroidi e l’idea lanciata da OLBERS del pianeta distrutto quale origine di Cerere e compagni, sembrò prendere consistenza la consapevolezza che ci si trovasse in una situazione tutt’altro che tranquilla, con l’ammissione che persino gli stessi pianeti potessero subire urti, anche di estrema violenza. Quasi subito, però, all’ipotesi di Olbers venne preferita l’assai più rassicurante teoria che gli asteroidi fossero non i resti di un pianeta bensì i mattoni che avrebbero dovuto costruirlo. Nulla di strano, quindi, che fosse rigettata anche l’idea dell’Ing. D.M. BARRINGER, ossia quella di attribuire ad un’origine extraterrestre l’enorme buca di oltre 1 km di diametro presente nel deserto dell’Arizona (oggi nota con il nome di Meteor Crater o anche Barringer Crater), subito catalogata dagli scienziati come una struttura di genesi vulcanica. Facile allora capire come, analogamente, anche l’origine dei crateri lunari fosse ritenuta vulcanica. Il vero colpo di grazia alle teorie endogene venne assestato dall’esplorazione spaziale: la scoperta di formazioni analoghe ai crateri d’impatto terrestri anche su altri corpi celesti (Mercurio, Venere, Marte, gli asteroidi e i satelliti “visitati” dalla sonda Galileo e dalla NEAR…), ha fornito peso ed autorevolezza alla teoria impattiva, accreditandone la validità per tutti i oggetti cosmici. Di fronte alla presenza generalizzata nel Sistema Solare di crateri da impatto, già un semplice ragionamento statistico (prima ancora di mettere sul piatto della bilancia prove schiaccianti) conduceva ritenere che la stessa Terra dovesse essere potenzialmente soggetta al verificarsi di urti con altri corpi celesti. Col notevole incremento,

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO a partire dagli anni ’70, dello studio dei Corpi Minori, l’intero Sistema Solare cominciava a mostrare sempre più i connotati di un grande biliardo cosmico, e l’urto tra i vari corpi orbitanti intorno al Sole (noti in numero ogni giorno maggiore grazie alle continue scoperte) un meccanismo relativamente (su tempi cosmici) frequente, tanto da potersi considerare uno dei fattori primari nell’evoluzione planetaria. GLI IMPATTI NEL SISTEMA SOLARE La quasi totalità degli scienziati considera fondamentalmente corrette le teorie cosmogoniche del Sistema Solare cosiddette nebulari, che fanno cioè riferimento a un’origine comune del Sole e dei pianeti, riconducibile a un’unica nebulosa primordiale. Tali teorie concordano nel prospettare un avvenuto accrescimento graduale, con ritmi evolutivi differenziati, sia del Sole che degli altri corpi del Sistema. Permangono invece difformità di vedute quando si tratta di dover identificare i meccanismi fisici responsabili dell’innesco e del rapido sviluppo del fenomeno dell’accrescimento. Fino a qualche decennio fa, peraltro, era in voga una visione molto “tranquilla” dell’origine e dell’evoluzione del Sistema Solare. Il meccanismo di accrescimento era inteso come un aggregarsi progressivo di polveri che andavano a formare corpi di dimensioni via via crescenti: un quadro che approfondiva poco l’eventualità di violente interazioni tra gli oggetti che si andavano formando o che già si erano formati. Esisteva, fin dall’inizio del secolo scorso, la consapevolezza della natura extraterrestre del fenomeno meteoritico, ma esso veniva considerato secondario, una caratteristica degenerativa occasionale nell’ambito di un processo evolutivo. In questa visione, i crateri che costellano la superficie lunare costituivano un vero e proprio mondo a parte, una sorta di “anomalia” che male si adattava all’idea del lento e graduale aggregarsi dei planetesimali. Tanto più che l’altra superficie planetaria conosciuta, quella della nostra Terra, di tali strutture ne presentava ben poche. I primi dubbi sulla presunta rarità degli impatti si possono già intravedere, a mio parere, negli studi di K. HIRAYAMA sulle

famiglie dinamiche degli asteroidi (il suo primo lavoro sull’argomento fu pubblicato nel 1918), che spalancheranno la strada ad elaborazioni successive più complesse ed approfondite. Ma la concezione allora in voga nell’ambiente scientifico voleva che il meccanismo impattivo caratterizzasse unicamente la Fascia degli Asteroidi, vista come una zona particolarmente affollata e caotica; per il resto del Sistema Solare, invece, valeva il modello del perfetto congegno a orologeria, che si muoveva seguendo il rigore matematico racchiuso nelle leggi di Keplero. Ad ogni modo, seppure lentamente, già emergeva il sospetto che l’accrescimento planetario non potesse reggersi sulla sola aggregazione di polveri, ma dovesse prevedere una formazione quasi “a gradini”, derivata dall’unione di corpi già “formati”. L’ipotesi di questa crescita gerarchica implicava che oggetti di dimensioni ormai consistenti potessero cozzare fra loro, con la concreta eventualità che un tale scontro risultasse distruttivo. Oggi questa idea costituisce un punto fermo e irrinunciabile della planetologia. Le conoscenze acquisite grazie alle missioni delle sonde spaziali e alle simulazioni numeriche al computer forniscono oggi la certezza che il meccanismo degli urti tra i planetesimali in via di formazione abbia giocato un ruolo cardine nei processi evolutivi dell’intero Sistema Solare. Ciò significa non solo accettare che l’accrescimento dei planetesimali sia avvenuto a seguito di “urti costruttivi”, in grado cioè di non disperdere nello spazio dopo l’impatto i materiali costituenti i corpi originari, ma ammettere la presenza di urti anche molto più energetici, in grado di compromettere la stessa stabilità fisica degli oggetti già formati. In merito all’importanza delle missioni spaziali, e limitandoci unicamente a considerare i corpi celesti a noi più vicini, ricordiamo che la scoperta dei crateri su Marte è dovuta alle osservazioni del Mariner 4 nel 1965, mentre nel 1971 Mariner 9 mostrò la craterizzazione dei due satelliti marziani Phobos e Deimos. I crateri di Venere, da sempre nascosti sotto uno spesso strato di nubi, sono stati rivelati per la prima volta nel 1972, grazie ad osservazioni radar, mentre quella di Mercurio ci è nota in se-

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guito alle fotografie inviate nel 1974 dalla sonda Mariner 10. E occorre citare anche i meravigliosi tour delle due sonde Voyager (lanciate nel 1977), le fantastiche immagini inviateci dalla Galileo (la cui missione è iniziata il 18 ottobre 1989) durante i suoi incontri ravvicinati con il sistema satellitare di Giove e con gli asteroidi Gaspra e Ida, e il panorama non meno spettacolare dell’asteroide Mathilde, mostratoci dalla sonda NEAR che, partita il 17 febbraio 1996 con destinazione Eros, è dal 14 febbraio 2000 in orbita intorno all’asteroide.

La sonda Mariner 2 (NASA).

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onstatare che la craterizzazione rappresenta un fenomeno globale significa includere in questo quadro da tiro a segno cosmico anche la Terra: e ciò rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale, nella quale un posto preminente si ritiene debba essere riconosciuto all’opera del già citato ricercatore di EUGENE SHOEMAKER. A lui si deve lo studio approfondito (fu l’argomento della sua tesi di laurea) del Meteor Crater in Arizona e la ricostruzione, ritenuta valida tuttora, della dinamica dell’evento e della composizione del corpo impattante. Un elemento molto importante presente nello studio del cratere di Barringer effettuato dal Dr. Shoemaker è l’identificazione della coesite (una forma di silicio che si origina in presenza di elevate pressioni e temperature) quale prova incontrovertibile dell’origine da impatto, un segno distintivo che, unito a tutte le altre manifestazioni di metamorfismo da shock, porterà, dalla fine

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FANTASCIENZA

SCIENZA E TECNOLOGIA

Confronto in scala tra gli asteroidi (da sinistra a destra) Mathilde (foto scattata dalla sonda NEAR il 27 giugno 1997), Gaspra e Ida (foto scattate dalla sonda Galileo, rispettivamente nel 1991 e nel 1993).

degli anni ‘60 in poi, a un esponenziale incremento del numero di identificazioni di crateri da impatto terrestri. Esistono diversi elementi capaci di suggerire la presenza attiva e fondamentale del meccanismo impattivo nel Sistema Solare. Il primo di essi è certamente l’obliquità dei pianeti, cioè l’angolo tra il piano equatoriale e quello dell’eclittica (vedi tabella): Pianeta

Obliquità

Mercurio

Pianeta

Obliquità

Giove

3° 1’ 26° 7’

Venere

~ 177°

Saturno

Terra

24° 25’

Urano

Marte

25° 2’

Nettuno

97° 29° 8’

Come si può notare dai dati riportati (nell’elenco manca Plutone, sia per la peculiarità della sua orbita e sia perché le recenti scoperte degli oggetti trans-nettuniani potrebbero suggerire per esso una differente e più consona classificazione), la condizione in cui si trovano tutti i pianeti è caratterizzata dall’inclinazione (in alcuni casi addirittura estrema) dell’asse di rotazione rispetto al piano orbitale. La particolarità non trova risposta plausibile nella teoria dell’accrescimento graduale da polveri, dovendo necessariamente prevedere la presenza di disomogeneità dinamiche locali, la cui origine, però, rimarrebbe un vero mistero. Come motivare, per esempio, il manifestarsi dell’anomala situazione di Venere, il cui senso di rotazione è opposto a quello degli altri pianeti? Per quale ragione e at-

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traverso quale meccanismo fisico la porzione di nube primordiale collocata a quella distanza dal Sole avrebbe dovuto innescare un moto rotatorio invertito? Nella tabella, l’unico pianeta non inclinato è Mercurio, ma le sue modeste dimensioni e, soprattutto, l’estrema vicinanza con il Sole (solamente 0.38 U.A.) possono dinamicamente rendere ragione della sua specifica situazione orbitale, come dimostra anche il legame risonante tra periodo orbitale e rotazionale (stanno in un rapporto 3:2) e tra periodo rotazionale del Sole e analogo periodo di Mercurio (il rapporto è 7:3). La spiegazione più semplice per l’obliquità orbitale richiede espressamente il verificarsi di colossali e violentissimi impatti, presenti e intensi in tutto il Sistema Solare, tanto nei momenti della sua formazione quanto nelle epoche successive. Scontri inimmaginabili, in grado di condizionare non solo la morfologia superficiale dei corpi coinvolti, ma la loro stessa integrità fisica e le loro caratteristiche dinamiche; il modello proposto nel 1989 da W. BENZ e A.G.W. CAMERON per giustificare la sorprendente condizione di Urano, ad esempio, ipotizza un impattore con dimensioni paragonabili a quelle della Terra! Un secondo elemento riconducibile all’azione degli impatti è la strutturazione stessa del nostro pianeta (e analogo discorso può essere fatto per gli altri pianeti di tipo terrestre), nel quale si è verificata una drastica differenziazione tra gli elementi

più pesanti (fondamentalmente ferro e nickel) e quelli leggeri (vari composti silicati quali olivina e pirosseni), avvenuta in seguito a ripetuti e globali fenomeni di fusione sfociati nella discesa verso il centro del pianeta dei pesanti, con la conseguente separazione tra nucleo e mantello. La spaventosa quantità di energia richiesta per simili eventi è compatibile con quella potenzialmente derivante da episodi di tipo collisionale, soprattutto se si considera l’alto tasso d’impatti che avrebbe caratterizzato le fasi iniziali del Sistema Solare. Il quadro generalmente accettato per descrivere questi esordi (desunto in gran parte dallo studio della craterizzazione lunare) prevede infatti la presenza di un catastrofico bombardamento che coinvolse oggetti di dimensioni anche superiori ai 100 km, la cui intensità diminuì poi drasticamente circa 3.850 milioni di anni fa. Una testimonianza concreta della violenza degli impatti negli stadi iniziali della vita del Sistema Solare la individuiamo sulla Luna e su Mercurio. Le superfici dei due corpi sono estremamente somiglianti, coperte da una fitta ed eterogenea craterizzazione, da piccole strutture a grandi bacini. È la conferma di un intenso bombardamento che deve aver interessato tutta la zona interna del Sistema Solare, e che si è protratto nel tempo non a ritmo costante ma con una graduale diminuzione sia per dimensioni dei corpi impattanti che per numero stesso degli impatti (lo si deduce analizzando le sovrapposizioni dei crateri). Ulteriori considerazioni emergono se affiniamo la nostra analisi, prendendo in esame i valori delle densità di Mercurio e del nostro satellite. Se valutiamo le densità dei pianeti a pressione zero, cioè ipotizzando per essi una struttura sferica senza gli effetti della compressione, il valore attribuibile a Mercurio (5,3 g/cm3) appare superiore a quello di tutti gli altri pianeti di tipo terrestre, il che ci induce a ritenerlo formato da un nucleo ferroso avvolto da una sottile crosta composta prevalentemente da silicati. Mercurio, quindi, così simile alla Luna in superficie (anche come composizione chimica), avrebbe un nucleo interno uguale a quello della Terra, verosimilmente proveniente, come è avvenuto per il nostro pianeta, dal meccanismo della

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO differenziazione nucleo-mantello. Eppure Mercurio manca del mantello. La domanda cruciale, allora, è la seguente: basta l’alta temperatura causata dall’estrema vicinanza del Sole a spiegare la carenza di sostanze più leggere (ipotesi dell’evaporazione del mantello)? Oppure è necessario teorizzare un processo meccanico di asportazione dei materiali (ipotesi della rimozione collisionale)? Ambo i quadri potrebbero reggere, ma l’ipotesi che un gigantesco urto abbia privato Mercurio del suo mantello di silicati ha il pregio di poter spiegare anche l’inclinazione dell’orbita rispetto all’eclittica (7 gradi), maggiore di quella di tutti gli altri pianeti (escluso Plutone, alla cui particolarità abbiamo già accennato). Le correnti simulazioni per il fenomeno ipotizzano un proiettile dotato di una massa pari a circa un quinto di quella del pianeta, e una velocità all’impatto di 20 km/sec. Se il problema per Mercurio consisteva nel trovare una spiegazione alla sua elevata densità, per la Luna appare esattamente inverso. Poiché la sua densità (valore medio 3,34 g/cm3) è molto prossima a quella del mantello terrestre, è sempre parso logico ipotizzare per il nostro satellite una composizione di silicati e, necessariamente, la mancanza di quel nucleo pesante che può essere considerato peculiarità dei corpi planetari ubicati in questa zona del Sistema Solare. Quando le missioni americane e sovietiche riportarono campioni di rocce lunari, si scoprì però che la loro composizione chimica era assai diversa da quella riscontrabile nel mantello della Terra: risultavano del tutto prive d’acqua, e arricchite di elementi refrattari. Cadeva così la teoria della comune origine dei mantelli terrestre e lunare, e di una formazione del nostro satellite coeva alla Terra, come pianeta doppio. Altre ipotesi (ad esempio quella del satellite catturato e sradicato da una sua orbita indipendente, o quella della fissione in due di un unico corpo causata dalla rapida rotazione) erano già state abbandonate a causa delle loro incongruenze dinamiche; si rendeva quindi necessario trovare modelli alternativi che fossero in grado di giustificare sia il l’elevato contenuto di momento angolare del sistema Terra-Luna, sia la strana composizione chimica del nostro satellite.

Prende allora corpo la teoria di un catastrofico impatto della Terra con un planetesimale (i modelli propongono per il proiettile dimensioni dell’ordine di quelle di Marte), scontro di portata tale da conciliarsi col momento angolare del sistema Terra-Luna (non giustificabile con semplici impatti di minori dimensioni). Partendo dal presupposto che il corpo destinato a colpire la Terra fosse già differenziato in nucleo e mantello, quello stesso nucleo avrebbe potuto incrementare il terrestre, mentre il mantello, inizialmente disperso in un disco, si sarebbe successivamente riaggregato per originare la Luna. L’accrezione e la solidificazione della crosta lunare verrebbero collocate 4.440 milioni di anni fa, epoca nella quale iniziò, con una durata di circa 500 milioni di anni, il periodo di intenso bombardamento responsabile della creazione di quegli smisurati bacini d’impatto, in seguito colmati da colate basaltiche, che attualmente costituiscono i Mari lunari.

LUNA: il cratere Copernicus (sulla linea dell’orizzonte), 93 km di diametro. Sono visibili parecchie catene di piccoli crateri orientati verso Copernicus, e originati dal materiale eiettato durante l’impatto. In primo piano, il cratere Pytheas, 20 km di diametro. Foto scattata dall’equipaggio dell’Apollo 17, nel 1972

Ma nel Sistema Solare non ci sono solamente la Luna e Mercurio… Proseguiamo perciò il nostro cammino alla ricerca di testimonianze relative alla presenza e al ruolo degli impatti, e lo facciamo iniziando dai pianeti a noi più vicini. - L’esame della superficie di Venere, nonostante la densa atmosfera che ricopre il pianeta, è stata resa possibile dalle osservazioni radar, effettuate sia con radiotelescopi terrestri (soprattutto Arecibo in occasione delle congiunzioni Terra-Venere, verificatesi negli anni 1975 e 1977) sia a mezzo di sonde spaziali (ricordiamo le sovietiche Venera 15 e 16 lanciate nel giugno 1983). In particolare, la sonda Magellan (lanciata il 4 maggio 1989) ha fornito, a partire dal 1990, una mappa topografica dettagliata di oltre il 98% della superficie venusiana, con risoluzione di 120 m nella zona equatoriale e 250 m ai poli. Sono risultati riconoscibili crateri anche su Venere, con diametri compresi tra 3 e 280 km, distribuiti in modo abbastanza uniforme sull’intera superficie del pianeta. È stato inoltre possibile identificare bacini da impatto di enormi dimensioni (uno di essi presenta ben 1800 km di diametro). In oltre il 60% dei casi questi crateri non sembrano mostrare effetti di modificazione

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO

MERCURIO: la prima foto del pianeta foto scattata dalla sonda Mariner 10 il 24 marzo 1974, da una distanza di 5.380.000 km.

imputabili a processi geologici o climatici. L’assenza di crateri inferiori a 3 km è connessa alla potente azione di filtro giocata

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Immagine di Europa, satellite di Giove, trasmessa dalla sonda Voyager 2. MARTE: immagine dal telescopio spaziale Hubble, 27 agosto 2003, in uno dei massimi avvicinamenti del pianeta alla Terra (55.760.220 km al momento dello scatto).

VENERE: immagine agli ultravioletti trasmessa dalla sonda Pioneer, nel 1979.

GANIMEDE: il più grande dei satelliti di Giove, 5.262 km di diametro.

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dalla densa atmosfera venusiana, in grado di distruggere i meteoroidi al di sotto di una certa dimensione, o di frenarne la caduta abbastanza da non permettere loro di produrre crateri al momento dell’impatto. In simili evenienze, in luogo dei crateri, si manifesterebbero al suolo particolari strutture, che sono state appunto identificate su Venere, dovute all’azione dell’onda d’urto trasmessa dal meteoroide all’atmosfera. La maggior testimonianza lasciata dagli impatti su Venere è, però, il già accennato moto di rotazione retrogrado del pianeta (insieme a quello di Urano gli unici in tutto il Sistema), riconducibile a un poderoso urto avvenuto agli inizi della sua formazione, allorché le dimensioni dei planetesimali erano decisamente superiori agli impattori delle epoche successive, in cui le orbite s’erano ormai stabilizzate e le zone più “a rischio” quasi completamente svuotate. - Marte presenta invece una strana conformazione superficiale, accomunando due emisferi (separati da un cerchio massimo inclinato di circa 35° rispetto all’equatore) con caratteristiche completamente differenti: uno (quello meridionale) ricco di crateri, canali e profonde depressioni la cui morfologia può richiamare gli altipiani lunari, e l’altro (quello settentrionale) caratterizzato da pochi crateri e dalla presenza di numerose strutture vulcaniche estinte. L’analisi delle strutture da impatto ci suggerisce, riguardo la composizione del suolo marziano, un’abbondante presenza di acqua sotto forma di permafrost: gli ejecta dei crateri d’impatto, infatti, mostrano un contorno lobato (e non a raggiera come nei crateri lunari) interpretabile come un avanzare di fango, formatosi dallo scioglimento,

ad opera del calore generato dall’impatto, del terreno ghiacciato, e dal suo successivo ricongelarsi dopo aver ricoperto la zona circostante. Una possibile spiegazione sull’origine di queste grandi quantità di acqua è proposta da CHRISTOPHER F. CHYBA ricorrendo all’ipotesi di un intenso bombardamento di Marte ad opera di comete e asteroidi carbonacei, nell’epoca iniziale della formazione del Sistema Solare. - Anche la morfologia dei corpi componenti la Fascia degli Asteroidi (rivelataci dalla sonda Galileo con le prime immagini di Gaspra e Ida e, successivamente, dalla NEAR con quelle di Mathilde e di Eros) presenta i segni lasciati dagli impatti. Non solo crateri più o meno fitti e di svariate misure, ma anche vere e proprie voragini, le cui impressionanti dimensioni lasciano talvolta perplessi sul fatto che i corpi abbiano retto all’urto senza disintegrarsi: veramente incredibile quella di oltre 20 km presente su Mathilde, un asteroide che ha un diametro di 52 km! - Per quanto i riguarda i giganti gassosi (Giove e Saturno), privi di superficie solida, non ci si può aspettare un tappeto di crateri come quello dei pianeti rocciosi. In occasione dell’impatto con la cometa Shoemaker-Levy 9 (luglio 1994) furono spettacolari ed evidentissimi i segni lasciati dai frammenti sulla superficie di Giove; nel volgere di un anno, tutavia, l’intensità delle tracce era già notevolmente diminuita, confermando come l’atmosfera gioviana fosse in grado di disperdere rapidamente le polveri e i gas originatisi nell’impatto e rimasti in sospensione.

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO Giove è dunque avaro d’informazioni circa gli impatti antichi, ma non i suoi satelliti. La superficie di Ganimede racconta di un passato “violento”. Presenta numerosi crateri, eterogenei nella distribuzione probabilmente a causa delle differenti età dei terreni dovute a un’intensa e travagliata attività geologica; è ragionevole peraltro presumere che tale attività abbia inevitabilmente nascosto gli impatti più antichi, e questo potrebbe spiegare la sola presenza di crateri relativamente modesti e l’assenza dei giganteschi bacini d’impatto rilevabili altrove (cosa che pure non impedisce anche a Ganimede di fare sfoggio di una struttura di 550 km: il bacino Gilgamesh). Callisto è, per dimensioni, uguale a Mercurio; proprio come quest’ultimo, presenta una una fitta craterizzazione, con larghi bacini d’impatto (i due maggiori sono Valhalla con diametro di 4.000 km e Asgard di oltre 1.600 km). A differenza di quanto è avvenuto per Ganimede, quindi, la sua superficie non è stata ringiovanita e rimodellata da attività geologica Poco ci si può invece aspettare dall’analisi di Io: l’intenso riscaldamento interno, indotto dall’azione di marea generata dalla vicinanza di Giove, sfocia in fenomeni vulcanici che influenzano pesantemente la morfologia superficie del satellite. Anche Europa fornisce scarse informazioni sul tasso d’impatti, ma per ben altri motivi. La superficie del secondo satellite galileiano è completamente ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio e pertanto, in caso d’impatto, non sussistono le premesse ambientali perché una struttura craterica si possa conservare per lunghi periodi. L’analisi delle immagini inviate dalle sonde (soprattutto quelle scattate dalla Galileo nel corso del flyby effettuato il 6 novembre 1997) ci permetteno comunque di rilevare numerosi crateri, piccoli e grandi: si può senza difficoltà identificare l’evidente struttura a raggiera di Pwyll (un cratere recente con diametro di 26 km), e con altrettanta chiarezza si può notare, in una immagine del 4 aprile 1997, una struttura craterica multi-ring di 140 km di diametro. - Una situazione tormentata, imputabile per alcuni aspetti al meccanismo degli impatti, viene offerta anche dal sistema di Saturno.

Marte emerge dietro la Luna: suggestiva foto scattata da Ron Wayman, il 17 luglio 2003, da Tampa (Florida, USA), con un telescopio da 8 pollici e una camera digitale.

Tralasciamo il discorso relativo agli anelli (peraltro non più esclusiva pertinenza di questo corpo, dopo le scoperte di analoghe strutture intorno a Giove, Urano e Nettuno), la cui formazione non necessariamente si spiega ricorrendo all’ipotesi di un impatto capace di sbriciolare un satellite, ma potrebbe invece chiamare in causa le intense forze mareali indotte dal pianeta, o meccanismi accretivi che possono aver interessato un disco di polveri originario. Le informazioni che maggiormente in-

teressano le fornisce il satellite Mimas, un oggetto di circa 390 km di diametro, sulla cui superficie spicca il gigantesco cratere Herschel. Le dimensioni di questa struttura (ben 130 km di diametro) c’inducono a ritenere che l’impatto che l’ha generato possa essere stato a un passo dal causare danni strutturali ben più disastrosi. La stessa inclinazione orbitale di Mimas (circa 1,5°) non è escluso si possa attribuire proprio a tale evento. Mimas, analogamente a Rhea e Giapeto, mostra inoltre una saturazione

Spettacolare immagine di un vulcano attivo sulla superficie di Io, satellite di Giove, fotografato dalla sonda Galileo il 22 febbraio 2000. L’area riprodotta è larga approssimativamente 250 km.

CALLISTO: immagine del satellite di Giove, trasmessa dalla sonda Voyager 2, il 7 luglio 1979.

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gie molto varie: Ariel e Titania presentano superfici abbastanza giovani, e rivelano di essere stati dei corpi geologicamente attivi; Umbriel ricorda Callisto, con una superficie praticamente immutata dal termine del periodo di intenso bombardamento iniziale; Miranda esibisce sia terreni molto antichi, e fitti di crateri, sia terreni più recenti. Quest’ultimo satellite, inoltre, mostra un’inclinazione orbitale di oltre 4 gradi.

GIOVE: splendido mosaico delle immagini riprese dalla sonda Cassini il 29 dicembre 2000, da una distanza di circa 10.000.000 di km.

di piccoli crateri e una carenza di quelli maggiori di 30 km, indizio di un’epoca di formazione recente. Si può ipotizzare per tali satelliti un meccanismo di creazionedistruzione che possa essersi attivato più volte nel corso della loro storia. - Passando a Urano, si è già accennato al suo asse di rotazione praticamente adagiato sull’orbita, traccia di un passato fatto di violenti episodi collisionali capaci d’influenzare pesantemente la formazione del pianeta. I suoi satelliti mostrano morfolo-

ENCELADUS: mosaico di foto del satellite di Giove, scattate dalla sonda Cassini il 14 luglio 2005.

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- E siamo giunti a Nettuno. Anche qui le informazioni sugli impatti sono piuttosto scarse. Le immagini più recenti (inviate dal Voyager 2 nell’agosto 1989) mostrano un’enigmatica superficie verde-azzurra, con evidenti segni di complessi moti atmosferici, ma nulla ci è dato conoscere della superficie sottostante. Più utili sono le immagini di Tritone, che evidenziano sia complesse strutture di difficile interpretazione che un più familiare bacino da impatto, quasi cancellato dal materiale effusivo che ha colmato la cavità iniziale (in tale fenomeno, e nella sua collocazione in epoca recente, potrebbe forse ricercarsi la spiegazione dell’assenza di altri crateri). Ma Tritone, indirettamente, ci può fornire un’indicazione molto più importante... Il sistema satellitare di Nettuno (troppo anomalo per essere quello originario) ha da sempre spronato i planetologi a identificare le cause della sua stranezza, e la teoria attualmente accettata è quella proposta da P. FARINELLA e dai suoi collaboratori nel 1980, che identificano nella cattura di Tritone lo sconvolgimento del primitivo sistema satellitare di Nettuno. L’ipotesi spiegherebbe non solo il moto retrogrado del satellite, ma anche l’esistenza delle complesse strutture superficiali a cui si faceva cenno, attribuibili alle forti sollecitazioni gravitazionali che avrebbero riscaldato l’interno del pianeta. Dopo la scoperta degli oggetti transnettuniani, si è fatta strada l’idea che Tritone e molti altri corpi celesti (Plutone con il suo satellite Caronte, il satellite di Saturno Phoebe, Chirone e il gruppo dei Centauri) appartengano proprio a questa tipologia di oggetti, e dunque provengano dalla cosiddetta Fascia di Kuiper-Edgeworth. Mentre Tritone è stato direttamente catturato da Nettuno e altri oggetti sono stati bloccati in un’orbita stabile (Plutone, ad esempio, insieme un gran numero di Kuiper

SATURNO: immagine assemblata delle foto scattate dalla sonda Voyager 2, il 4 agosto 1981, da una distanza di circa 21.000.000 di km. I tre oggetti sul lato sinistro sono, in ordine di distanza, i satelliti Tethys, Dione e Rhea.

Belt Objects, sono in risonanza orbitale con Nettuno), appare ragionevole supporre che altri “tritoni” possano essere entrati nella zona planetaria del Sistema Solare, terminando bruscamente il loro peregrinare contro la superficie di un pianeta, con evidenti drammatiche conseguenze (basti pensare che Tritone ha un diametro di 2.705 km). In quest’ottica appare possibile il verificarsi di impatti giganteschi anche in epoche successive al bombardamento iniziale che ha caratterizzato l’evoluzione del Sistema, al quale fin qui abbiamo fatto riferimento come periodo contrassegnato dagli impatti più energeti.

DIONE: immagine del satellite di Giove, scattate dalla sonda Voyager 2 il 12 novembre 1980.

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO nel momento dell’impatto è elevatissima: si calcola, infatti, che nella formazione di un tipico cratere di 10 km prodotto da un oggetto dotato di velocità entro valori standard (dell’ordine, cioè, di 15 km/sec) si possono raggiungere picchi di 5.000-10.000 kbar (500-1000 Gpa). (Figura A). ESCAVAZIONE.

NETTUNO: ricostruzione di 2 immagini trasmesse dalla sonda Voyager 2, nell’agosto 1989.

LA FORMAZIONE DI UN CRATERE DA IMPATTO L’impatto di un oggetto proveniente dallo spazio esterno su una superficie planetaria, evento che porta alla formazione di un cratere, è solitamente un fenomeno rapido, che si compie in tempi che oscillano da frazioni di secondo a pochi minuti. Per descrivere efficacemente un fenomeno dal decorso così veloce, si è soliti ricorrere ad un artificio, una sorta di scomposizione degli eventi fatta a tavolino, identificando e separando nella genesi del cratere d’impatto varie fasi. Tale convenzione divide tuttavia, a scopo di analisi, momenti e fenomeni fisici che, nella realtà, non seguono una sequenza temporale rigorosa, ma si sovrappongono e si influenzano a vicenda. Premesse queste indispensabili precisazioni, esaminiamo da vicino le quattro fasi dell’evento che, di solito, vengono indicate come le più rappresentative, vale a dire: compressione, escavazione, espulsione dei materiali e modificazione finale della struttura. COMPRESSIONE. Durante la prima fase, il meteorite colpisce la superficie planetaria e innesca un sistema di onde d’urto che trasferiscono energia cinetica (è infatti questa l’origine del contenuto energetico associato ad ogni evento impattivo) non solo dal proiettile al bersaglio, ma anche all’interno dello stesso corpo impattante. La pressione generata

L’oggetto proveniente dallo spazio è riuscito ad attraversare integro l’atmosfera, e sta per impattare contro la superficie. L’indicazione della traccia dell’oggetto (1) vuole schematizzare i possibili effetti luminosi e sonori associati all’avvicinamento e collegati al meccanismo di ablazione. È possibile, inoltre, la presenza di una prima onda d’urto (2) dovuta alla violenta compressione dell’aria durante la discesa.

Le onde d’urto generate dall’evento si propagano nel terreno (la loro velocità iniziale è di circa 10 km/sec); questa compressione (associata all’espulsione di materiali dal luogo dell’impatto) origina la cosiddetta “cavità transiente”, l’enorme voragine iniziale destinata, in seguito, a trasformarsi nel cratere vero e proprio (figura B). Il cratere, pertanto (tranne nel caso d’impatti di basso livello energetico) non è mai identificabile come fenomeno di scavo meccanico originato da un oggetto solido (il meteorite) che, per così dire, si apre la strada all’interno di un altro oggetto (la superficie planetaria), cercando di mantenere la direzione del suo moto; si tratta, invece, del trasformarsi istantaneo, in una regione circoscritta, di enormi quantitativi d’energia cinetica in energia meccanica e termica. Dal punto di vista fisico, l’evento è paragonabile all’esplodere di una bomba: le differenze risiedono fondamentalmente nel quantitativo di energia coinvolta, e nel tipo di energia iniziale (cinetica quella del meteorite, chimica quella dell’esplosivo) che origina lo scoppio. In un impatto astronomico, diventano irrilevanti sia la forma dell’impattore che la direzione di provenienza del suo moto: il risultato è, in ogni caso, un cratere circolare. Unica eccezione: l’impatto radente, cioè angolato non più di qualche grado rispetto all’orizzonte, situazione che potrebbe originare un cratere ellittico (o una serie di crateri allineati a causa della disgregazione del proiettile in più oggetti distinti) dal momento che l’energia liberata interesserebbe una “linea” più che un singolo punto.

su valori dell’ordine di 100 m/sec. I materiali (ejecta) vengono scagliati verso l’alto e verso l’esterno, ricoprendo una vasta area circostante il luogo dell’impatto, e formando le caratteristiche raggiere (tipiche di alcuni crateri lunari, ad esempio Tycho), che sulla Terra verranno ben presto mascherate dalla vegetazione, o cancellate dai fenomeni atmosferici e geologici (figura C).

ESPULSIONE DEI MATERIALI.

MODIFICAZIONE.

Inizialmente, l’espulsione dei materiali avviene a velocità molto elevate (anche qualche km/sec), poi si attenua stabilizzandosi

La fase di modificazione della struttura craterica iniziale creatasi a seguito dell’impatto (cavità transiente) può essere considera-

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO

Il proiettile è ormai esploso a causa dell’elevata pressione, originando una potentissima onda d’urto (1) che spazza l’area circostante l’impatto. L’onda d’urto si propaga anche nel terreno (3) ed inizia la creazione della cavità transiente, con fenomeni di fusione e vaporizzazione delle rocce presenti nel luogo dell’impatto (2).

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FANTASCIENZA

Prosegue il meccanismo di escavazione della cavità transiente, e una grande quantità di materiale (ejecta) viene lanciata lontano dalla zona dell’impatto (1) I blocchi più grandi potranno, ricadendo al suolo, originare a loro volta crateri secondari. L’azione dell’onda d’urto nel terreno (2) innesca fenomeni di modificazione strutturale delle rocce (shock metamorphism).

È ritornata la quiete sul luogo dell’impatto. Il cratere (1) è già stato ricoperto dalla ricaduta di parte degli ejecta e dal cedimento delle pareti (2) che, franando, concorrono a limitarne la profondità. Non infrequente è la presenza di zone (3) in cui si è verificata una inversione degli strati geologici.

ta in una duplice prospettiva: analizzando i fenomeni immediatamente successivi all’evento e ad esso direttamente correlati, o valutando processi che, sebbene estranei all’impatto e caratterizzati da tempi di azione spesso molto lunghi, sono cause di mutamenti non meno importanti per l’intera struttura (figura D). Il più importante tra i processi direttamente innescati dall’evento impattivo e che si manifestano negli istanti immediatamente seguenti al suo verificarsi è l’assestamento isostatico della struttura. Non appena diminuisce l’azione di compressione sulle rocce sottostanti la zona della caduta, queste tendono a ritornare nella posizione iniziale (un vero e proprio rimbalzo elastico), riducendo in parte la profondità della

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cavità transiente; tale fenomeno, nel caso di grossi impatti, può sfociare nella formazione di una struttura centrale al cratere (central peak), oppure in una più complessa, ad anelli concentrici sopraelevati (bacino multi-ring). Non è automatico, infatti, che i crateri da impatto abbiano la caratteristica forma “a scodella” come quella del Meteor Crater. La ricaduta degli ejecta nella zona stessa dell’impatto, contribuisce ulteriormente a ridurre la profondità della struttura. Il miscuglio di rocce risultante dalla condensazione del materiale fuso e parzialmente vaporizzato lanciato in atmosfera al momento dell’urto, e poi ricaduto, viene solitamente indicato con il termine di suevite. A evento impattivo terminato, la morfologia della struttura non può assolutamente considerarsi definitiva e duratura: occorre fare i conti con i successivi mutamenti indotti dai fenomeni atmosferici (venti, precipitazioni, azione dei corsi d’acqua, movimento dei ghiacci…) e da quelli geologici (bradisismi, terremoti, fenomeni di orogenesi, manifestazioni vulcaniche…). Modificazioni di questo tipo possono riguardare solo la Terra e i corpi celesti ancora geologicamente attivi (per esempio Europa, satellite di Giove) oppure dotati di una atmosfera (come Venere), mentre non sono evidentemente presenti sul nostro satellite o sugli asteroidi. Giorno dopo giorno, sebbene sia più corretto (ma meno poetico) dire “milione di anni dopo milione di anni”, la costante azione di livellamento da agenti atmosferici e gli sconvolgimenti superficiali da fenomeni geologici portano inevitabilmente alla cancellazione delle pur ciclopiche cicatrici lasciate dagli impatti. È infine opportuno ricordare che anche la vegetazione contribuisce non solo a mascherare un sito d’impatto (e questo deve essere messo in conto quando si cerca di rintracciare tali strutture sul nostro pianeta), ma anche a mutarne la morfologia. Su corpi geologicamente morti e privi di atmosfera è attivo peraltro un modo tutto particolare di eliminazione delle tracce di un impatto, ed è la cosiddetta saturazione di craterizzazione: laddove il corpo sia stato bersagliato tanto frequentemente da risultare completamente coperto di crateri, ogni nuovo impatto finisce fatalmente per distruggere (parzialmente o completa-

mente) le tracce di uno precedente. NON SOLO CRATERI... Il processo di craterizzazione non è però l’unico fenomeno indotto da un impatto; nonostante la brevità temporale dell’evento, si possono innescare conseguenze ben più gravi di quelle localizzate nell’area interessata dalla craterizzazione, in grado di coinvolgere anche l’intera superficie terrestre. Possiamo stimare le conseguenze di un impatto attraverso una scala di valutazione dei rischi, articolata su quattro livelli di gravità crescente, proposta da ANDREA CARUSI nel 1995. I LIVELLO: eventi che non costituiscono alcun rischio significativo per la biosfera. Sono compresi in questo gruppo le interazioni con corpi le cui dimensioni variano dalla regione millimetrica (ed inferiore) fino a qualche metro. Un esempio particolarmente significativo è stato il bolide con dimensioni iniziali di 1,5-3,0 metri e massa di 104-105 kg esploso ad una altezza di circa 30 km sopra Lugo di Romagna il 19 gennaio 1993. Un dato certamente confortante è che, in generale, i corpi rocciosi di massa minore di 100 tonnellate si disintegrano durante l’ingresso o l’attraversamento dell’atmosfera: la maggior parte della loro energia cinetica viene dissipata in tempi dell’ordine del secondo (o anche meno) con la conseguente esplosione del corpo. Questi episodi vengono definiti fireball o bolidi. Per rendersi conto dell’enorme contenuto energetico associato a fenomeni di questo tipo, basti sapere che l’energia cinetica posseduta da un meteoroide di 10 grammi lanciato alla velocità di 30 km/sec (il valore approssimativo della velocità orbitale della Terra) è superiore a quella liberata dallo scoppio di 1 kg di tritolo. II LIVELLO: eventi che coinvolgono corpi con dimensioni comprese tra 10 e 100 m, la cui incidenza temporale è dell’ordine di un evento ogni secolo. Appartiene a questo secondo gruppo il ben noto evento-Tunguska, del 30 giugno 1908, un bolide di una sessantina di metri esploso a un’altezza di circa 8 km, la cui onda d’urto sconvolse oltre 2000 km2 di fitta foresta siberiana, con una potenza esplosiva stimata tra i 10 e i

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO 40 Mton. Simile in dimensioni (ma differente in composizione e struttura) il piccolo asteroide metallico di poche decine di metri che 50.000 anni fa, impattando con la Terra a una velocità di circa 20 km/sec, originò in Arizona (USA) il Meteor Crater, una voragine profonda 183 m e con diametro di 1,2 km. III LIVELLO: in questo gruppo vengono annoverati impatti con oggetti aventi dimensioni dell’ordine di 1 km. I rischi, in un simile evento, iniziano a crescere a causa dell’elevata quantità di polveri sollevate e immesse nell’atmosfera: i cambiamenti climatici derivanti potrebbero estendersi nel tempo. La soglia che separa il secondo dal terzo livello corrisponde approssimativamente a un evento la cui potenza esplosiva può essere quantificata dell’ordine di 1 milione di megatoni. IV LIVELLO: è il caso estremo, e comprende gli impatti con piccoli asteroidi aventi dimensioni dell’ordine della decina di km; la situazione descritta in precedenza assume un carattere globale. L’impatto stesso, e i fenomeni da esso scatenati, comporterebbero per il nostro pianeta conseguenze apocalittiche, uno scenario spesso ipotizzato anche come conseguenza di un conflitto termonucleare su scala planetaria. La sequenza temporale delle letali conseguenze imputabili ad un impatto di questo livello può essere così sintetizzata: 1. Verificarsi dei fenomeni puramente meccanici ascrivibili direttamente all’impatto, quali la formazione del cratere e il conseguente terremoto ad esso associato, con effetti catastrofici entro un raggio di alcune centinaia di km (si stima che un oggetto con dimensioni di 10 km possa produrre un cratere di almeno 100 km di diametro). Nel caso di caduta in mare (evento certamente più probabile dato il rapporto terre emerse/mari sul nostro pianeta), si deve considerare il conseguente tsunami. Un oggetto di 200 metri (inquadrabile dunque ancora nel secondo livello) potrebbe dare origine in mare aperto ad onde alte 3,5 metri, che raggiungerebbero i 100 metri di altezza sulle coste. Parallelamente a questi fenomeni meccanici, sono da annotare quelli termici indotti sul luogo dell’impatto

Rappresentazione artistica (autore Don Davis) dell’evento K/T, la caduta dell’enorme oggetto (asteroide o cometa) avvenuta circa 65 milioni di anni fa, che si sospetta abbia determinato la successiva estinzione dei dinosauri.

dall’energia liberata dall’urto stesso e, nelle zone limitrofe, dalla caduta dei materiali incandescenti, cause sicure dell’innescarsi d’incendi. 2. Compromissione del processo biologico di fotosintesi clorofilliana, per l’oscurità provocata dal permanere in sospensione nell’atmosfera delle polveri, dei fumi e delle ceneri. 3. Produzione nell’atmosfera di NOX (ossidi di azoto) e HNO3, a causa dello shock termico, e conseguente verificarsi del fenomeno delle piogge acide. 4. Diminuzione della temperatura ambientale, dovuta all’effetto-scudo provocato da polveri e ceneri. 5. Successiva e altrettanto drastica inversione del precedente fenomeno, con innalzamento nel lungo termine dell temperatura dovuto all’effetto-serra. La soglia d’immissione nella stratosfera di particelle di polvere che possa dare inizio a un “inverno da impatto” è stato stimato in circa 1013 kg, 100 volte maggiore della quantità prodotta dalle più spettacolari eruzioni vulcaniche degli ultimi due secoli, comprese quelle del Pinatubo nel 1991 e quella del Tambora nel 1816 (responsabile di quello che fu definito “un anno senza

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estate”). In un loro notissimo studio pubblicato su Nature nel gennaio del 1994, CLARK R. CHAPMAN e DAVID MORRISON definiscono “impatto catastrofico globale” l’evento impattivo capace di causare la morte di un quarto della popolazione umana, il che avverrebbe sicuramente nel caso di abbassamento globale della temperatura di 10 gradi per una durata di mesi o di anni, con l’avanzare dei ghiacciai fino alle medie latitudini e l’impossibilità di mantenere produttive le coltivazioni agricole. Tale soglia potrebbe essere superata a seguito dell’impatto con un asteroide roccioso del diametro di almeno 1,5 km, in grado di liberare un’energia equivalente a 200 miliardi di tonnellate di tritolo. Un esempio rappresentativo è l’evento K/T, un impatto con un asteroide avente dimensioni di una decina di km, avvenuto 65 milioni di anni fa (periodo tra il Cretaceo ed il Terziario), al quale si attribuisce l’estinzione dei dinosauri. Finalmente, dopo molte traversie, lo scenario proposto da LUIS W. ALVAREZ e dal suo staff (Extraterrestrial Cause for the Cretaceous-Tyertiary Extinction - Science vol. 208 - Giugno 1980) è stato unanimemente accettato dalla

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FANTASCIENZA comunità scientifica, anche perché le prove addotte sono divenute schiaccianti: per esempio l’abbondanza d’iridio rilevata in strati geologici corrispondenti al confine tra il Cretaceo e il Terziario (difficilmente inquadrabile se non ascrivendola ad un apporto esterno alla Terra), o, nello steso periodo, l’inconsueta diffusione di quarzo compresso (la cui produzione richiede pressioni di circa 90 kbar), l’anomalo rapporto Sr87/Sr86 imputabile ai fenomeni di piogge acide (acido nitrico originatosi dall’azoto atmosferico al momento dell’impatto), o, ancora, la formazione di sferule. La stima dell’energia associata all’impatto suggerisce un valore dell’ordine di 1023 joule, corrispondenti a 24 milioni di megatoni, circa un miliardo e mezzo di bombe di Hiroshima! Dopo anni di ricerche, sembra ormai certa l’individuazione del luogo di collisione: nel nord della penisola dello Yucatan (Messico) è stata scoperta, grazie a misure gravimetriche confermate da immagini ottenute dallo Shuttle Endeavour, una depressione di circa 180 km di diametro (cratere Chicxulub) compatibile con l’impatto con un corpo di 10-20 km di diametro. Ma non è certamente stata questa l’unica occasione di profondi mutamenti dell’ecosistema terrestre ascrivibili, secondo alcuni, alle conseguenze di impatti con corpi esterni. Si è potuto rilevare da osservazioni geologiche e paleontologiche l’esistenza di una serie di eventi che, quasi con cadenza periodica (alla stregua di un serial-killer), hanno coinciso con estinzioni di specie viventi sul nostro pianeta. MORFOLOGIA E IDENTIFICAZIONE DEI CRATERI DA IMPATTO Considerando i crateri terrestri ancora ben conservati, per i quali, cioè, l’erosione non ha ancora operato importanti modifiche morfologiche, si può notare che manifestano strutture analoghe ai crateri riscontrabili sulla Luna e sulle altre superfici planetarie: man mano che aumentano le dimensioni del cratere, si passa da strutture semplici, dalla caratteristica forma di scodella, a strutture sempre più complesse, la cui morfologia è estremamente variegata. Le strutture da impatto vengono quindi distinte in crateri

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semplici e crateri complessi. CRATERI SEMPLICI: sono caratterizzati dalla tipica forma di depressione circolare, con bordi rialzati rispetto al terreno circostante provenienti dall’accumulo degli ejecta attorno al punto d’impatto. Il loro diametro, sul nostro pianeta, è contenuto entro circa 2-4 km. Il parametro che determina la morfologia finale di un cratere è il valore della forza di gravità sulla superficie: maggiore è tale valore e minore sarà il diametro di transizione. Sulla Luna, la cui gravità è circa un sesto di quella terrestre, il passaggio da formazioni semplici a complesse avviene per diametri dell’ordine di 15-20 km. Ruolo importante rivestono anche le proprietà dei terreni sedi della collisione, e il grado di resistenza dei materiali che li compongono. Ancora una volta si può menzionare il Meteor Crater, come esempio di cratere semplice. Indicativamente, questi crateri presentano un rapporto tra profondità e diametro di circa 1:5 - 1:7, contro l’1:10 - 1:20 dei crateri complessi (le misurazioni di questi ultimi sono tuttavia più complicate, e spesso variano da studio a studio). In merito alla profondità, occorre distinguere quella da considersi come reale, cioè la profondità della struttura al termine della sequenza impattiva, dall’apparente, ossia quella misurabile ai nostri giorni (influenzata dagli agenti erosivi). CRATERI COMPLESSI: un gruppo caratterizzato da una grande varietà nelle forme e nelle strutture, entro cui si possono comunque evidenziare alcuni tratti comuni. Già si è accennato al rapporto diametro/profondità inferiore rispetto ai crateri semplici, il che significa che tali strutture hanno, in proporzione, una minore profondità. Ma le caratteristiche fondamentali di un cratere complesso possono essere identificate nella presenza di un picco centrale e di bordi multipli concentrici (multi-ring) circostanti il punto d’impatto, riconducibili al rimbalzo elastico del terreno che tende a riprendere la sua posizione naturale dopo la violenta compressione iniziale. Un fenomeno che può dare un’idea di ciò che accade è osservabile lanciando un sasso in acqua: si noterà il formarsi di una colonna ascendente centrale e l’innescarsi

STRUTTURA DI UN CRATERE SEMPLICE. 1. Diametro. 2. Bordi rialzati (rim). 3. Profondità apparente. 4. Profondità reale. 5. Il fondo del cratere è inizialmente costituito dagli ejecta (ben poco si salva del corpo impattante, tranne in qualche caso particolare) ma, con il passare del tempo, si accumula anche il materiale portato dall’erosione. 6. Talvolta ai bordi del cratere è possibile osservare l’inversione degli strati geologici.

STRUTTURA DI UN CRATERE COMPLESSO. 1. Diametro della struttura. 2. Bordi della struttura (qui, schematicamente, è stato disegnato un solo anello, ma in realtà se ne possono presentare di più). 3. Picco centrale (non è raro che la parte centrale sia nascosta dalla presenza di un lago formatosi in epoca successiva). 4. Per quanto riguarda la profondità reale e apparente, vale quanto detto per i crateri semplici. 5. Il riempimento del fondo del cratere è da attribuirsi inizialmente alle rocce fuse dall’impatto e alla ricaduta degli ejecta, e successivamente all’azione dei fenomeni atmosferici.

di onde concentriche intorno al punto d’impatto. Effettivamente, i materiali fusi a seguito dell’enorme quantità di energia sprigionata dall’impatto si comportano proprio come l’acqua, formando anelli concentrici che, con il successivo raffreddamento, si solidificano. Il crollo successivo delle pareti contribuisce, infine ad allargare la struttura portandola alle sue dimensioni finali.

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RISCHIO IMPATTO Sebbene il picco centrale e la struttura ad anelli concentrici sono chiaramente visibili anche in molti crateri terrestri (Sudbury, Vredefort, Manicouagan, Clearwater Lakes, ecc.), gli esempi più significativi di crateri complessi s’individuano sul nostro satellite. Spettacolare è il cratere Tycho, una struttura del diametro di 85 km risalente a circa 100 milioni di anni fa: i raggi brillanti che si dipartono dal cratere e si estendono per buona parte dell’emisfero meridionale (molto appariscenti in occasione della Luna piena) sono gli ejecta dell’impatto che, non ancora arrossati dalla radiazione cosmica, spiccano sul fondo più scuro della superficie lunare. Facilmente individuabili sul nostro satellite sono anche alcune gigantesche strutture, i cosiddetti bacini d’impatto. Tra i più grandi possiamo citare il Mare Orientale (diametro 900 km) e mostra evidentissima la sua struttura multi-ring, il Mare Imbrium (oltre 1.100 km) e, Polo Sud del nostro satellite, il Bacino Aitken (2.500 km). IDENTIFICAZIONE. La prova più lampante e definitiva dell’origine impattiva di una struttura craterica è naturalmente il rinvenimento in loco di frammenti meteoritici, situazione che tuttavia si verifica raramente visto che spesso ben poco rimane del proiettile (fuso, talvolta vaporizzato, destinato inevitabilmente a mescolarsi con le rocce terrestri già presenti). Solo nei crateri minori, formati da collisioni meno energetiche, è stato possibile ritrovare dei frammenti di origine non terrestre. Esiste, però, tutta una serie di altri indizi, riuniti nella definizione di metamorfismo da shock, che riguardano i radicali cambiamenti prodotti nelle rocce terrestri dalle smisurate energie in gioco. Le strutture più facilmente identificabili sul terreno come segni certi di un cratere da impatto sono senza dubbio gli shattercones, delle fratture coniche che si sviluppano, isolatamente o a gruppi, in rocce generalmente a grana fine, e che mostrano sulla superficie delle striature longitudinali richiamando vagamente la trama di una coda di cavallo. Si originano nel momento in cui l’onda d’urto dell’impatto attraversa la roccia.

Di norma non vengono rinvenuti coni completi ma solo frammenti; la loro altezza può variare da 1 cm a 5 metri, e l’angolo apicale è solitamente molto prossimo a 90°. Il passaggio di un’onda d’urto nella massa rocciosa lascia tracce anche nella struttura cristallina di molti minerali: ad esempio il quarzo, che sviluppa formazioni piane dette lamine di shock, oppure il plagioclasio (una classe di minerali molto comune, che costituisce circa il 50% della crosta terrestre) che può venire parzialmente trasformato in vetro diaplettico (vetro di alta densità formatosi allo stato solido in seguito alla presenza di elevatissime pressioni), isotropo e uniforme in tutte le orientazioni. Ulteriore tipologia rocciosa riconducibile all’azione di una collisione è la breccia d’impatto, struttura a conglomerato che si forma col ricementarsi disordinato dei frammenti rocciosi disgregati durante l’evento. Il riconoscimento, da parte della comunità scientifica, dei criteri di metamorfismo da shock, avvenne ufficialmente durante la “Conferenza sul Metamorfismo da shock dei materiali naturali”, nel 1968. I POSSIBILI IMPATTORI. Le tipologie di corpi celesti vaganti che, potenzialmente, costituiscono un rischio per la Terra sono notoriamente due: comete e asteroidi. Si tratta di oggetti ben diversi, anche visivamente: all’aspetto “quasi stellare” degli asteroidi si contrappone la presenza nelle comete di una “chioma” e di una coda. Talvolta, tuttavia, distinguere il tipo di oggetto risulta meno immediato: può infatti accadere che una cometa, esaurito il materiale volatile superficiale o ricopertasi da uno strato di polveri che impediscano l’ulteriore fuoruscita di gas, assuma una fisionomia asteroidale, e può succedere che un asteroide, sottoposto ad un urto che ne scopra uno strato interno, possa liberare gas in grado di costituire una vera e propria chioma e una coda cometaria. A quelle appariscenti si affiancano comunque differenze più profonde, che riguardano composizione (un miscuglio

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di ghiacci e polveri nel caso delle comete, composti rocciosi e metallici per gli asteroidi) e tipologia delle orbite. 1. GLI ASTEROIDI La ben nota Fascia di Asteroidi è quella zona di spazio che si estende tra l’orbita di Marte e quella di Giove, e in essa si collocano le orbite degli oggetti dai quali prende il nome. Gli asteroidi identificati sono oltre 90.000, ma il loro numero complessivo è assai più elevato, e s’ipotizza che i corpi con diametro superiore ad 1 km siano almeno mezzo milione. La pericolosità degli asteroidi risiede nel fatto che la loro orbita non è così salda e immutabile; può capitare, ad esempio, che un asteroide modifichi gradualmente la propria, tanto da colpirne un altro, producendo detriti che se ne volano da tutte le parti, capitando magari (dopo aver girovagato per qualche milione d’anni) proprio sulle nostre teste. I meccanismi di modifica graduale dei parametri orbitali vengono in gergo tecnico chiamati risonanze, e consistono, semplificando, nel ripetersi nel tempo di particolari situazioni geometriche tra corpi celesti, che alla lunga tendono a influenzarne gravitazionalmente i moti, fino a fare “impazzire” orbite in precedenza stabili. È proprio quanto avviene nella Fascia degli Asteroidi grazie all’azione di Giove: da tempo è infatti ben nota l’esistenza di lacune, vale a dire di zone completamente prive di asteroidi, costretti a cambiare aria per le continue “molestie” del pianeta gigante. Succede allora che un asteroide o un detrito derivante da un impatto possa abbandonare la propria orbita e cominciare una nuova avventura vagabondando per il Sistema Solare. Gran parte di queste situazioni si risolve con la caduta dell’oggetto nel Sole, o col raggiungimento di un nuovo equilibrio e una nuova orbita non più risonante. Particolare importanza per Terra hanno i cosiddetti N.E.A. (Near Earth Asteroid, asteroidi vicini alla Terra, talvolta chiamati Earth Grazing Asteroid, E.G.A., o Earth Crossing Asteroid, E.C.A. o ancora Earth Approacher), classe di oggetti celesti la cui orbite si avvicina o incrocia periscolosamente quella del nostro pianeta. Proprio sulle loro caratteristiche orbitali si basa

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FANTASCIENZA la più utilizzata delle classificazioni, che identifica tre gruppi. ATEN: hanno orbite che li pongono internamente a quella della Terra e la incrociano nei pressi del loro afelio; vengono considerati una sottoclasse degli Apollo. APOLLO: sono asteroidi caratterizzati da un valore del semiasse superiore a 1 U.A. e dal perielio minore di 1,017 U.A. (afelio della Terra), dunque attraversano l’orbita terrestre. AMOR: il loro perielio è maggiore dell’afelio terrestre, quindi non possono impattare con essa, ma solamente avvicinarlesi.

2. LE COMETE. Riprendendo la definizione data negli anni ‘50 da F.L. WHIPPLE, si può considerare una cometa alla stregua di quei mucchi di neve mescolati con ghiaia e polvere che si formano ai bordi delle strade dopo che uno spartineve ha pulito la carreggiata, e che,

Impressionante serie d’immagini trasmesse dal telescopio spaziale Hubble, che testimoniano gli effetti dell’impatto dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 contro Giove, nel luglio del 1994. La prima foto (partendo dal basso) è stata scattata 5 minuti dopo la collisione, la seconda due ore più tardi, la terza alcuni giorni dopo.

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lentamente, si sciolgono al sole. Questo accumulo di ghiacci (non solo ghiaccio d’acqua, ma anche di altre sostanze) sotto l’influsso dei raggi solari subisce un processo di vaporizzazione; i gas prodotti si disperdono nello spazio circostante formando la chioma della cometa e, nel suo moto di avanzamento nell’orbita, la caratteristica e spettacolare coda. Il fenomeno d’evaporazione diviene più intenso man mano che il nucleo cometario si avvicina al perielio; talmente intenso che eventuali fenditure aperte sulla superficie possono allargarsi e spezzare la cometa in due o più tronconi. Dopo il giro di boa attorno al Sole la cometa ritorna da dove è venuta: il fenomeno dell’evaporazione gradatamente diminuisce fino a scomparire. La coda, essendo determinata dalla pressione esercitata dalla radiazione solare (vento solare), nella fase di allontanamento precede la cometa anziché seguirla. Dal punto di vista dinamico si è soliti distinguere due categorie di comete: a corto e a lungo periodo. Le prime sono caratterizzate da un’orbita che le riporta nei pressi del Sole in tempi inferiori a 200 anni, mentre per le altre il viaggio risulta molto più lungo. A differenza degli asteroidi, le comete sono caratterizzate da orbite fortemente ellittiche e (tranne nel caso di quelle a corto periodo, costrette a girare nelle immediate vicinanze dei pianeti del Sistema Solare) al loro afelio (che è il punto più distante dal Sole in un’orbita) si spingono ben oltre il limite planetario, andando a completare il loro giro nella Nube di Oort, un’enorme nuvola cometaria dalla struttura complessa posta a 40.000 U.A. dal Sole, e nella quale si muovono circa 10.000 miliardi di oggetti. Può succedere che questi corpi vengano disturbati nel loro moto (a quella distanza dal Sole il legame gravitazionale con la nostra stella è veramente flebile) e indotti a precipitarsi verso la zona planetaria del Sistema Solare. Esiste anche un altro serbatoio di comete, molto più vicino della Nube di Oort, si chiama Fascia di Kuiper e si trova nella zona compresa tra l’orbita di Nettuno e le 100 U.A.; la sua esistenza ha avuto conferma osservativa solo in tempi recenti, da quando, cioè, D. JEWITT e J. LUU nel mar-

Immagine della cometa C/2001 Q4, presa dal telescopio di 0,9 m WIYN, del Kitt Peak National Observatory (nei pressi di Tucson, Arizona), il 7 maggio 2004.

zo 1992 hanno identificato il primo Kuiper Belt Object, 1992 QB1. Sembra ormai accettato da tutti gli scienziati che alle dinamiche interne alla Fascia di Kuiper (dove convivono oggetti con dimensioni di pochi chilometri e corpi molto più grandi, di raggio 50-200 km) siano da ricondurre le comete a corto periodo, la cui provenienza ha sempre costituito per gli astronomi un difficile enigma da risolvere. Per completare il quadro, occorre mettere in conto anche quei nuclei cometari che hanno subito la stessa sorte orbitale degli asteroidi: catturati, durante il loro cammino, dall’azione gravitazionale di Giove (o di altri pianeti giganti). Gli oggetti, comete e asteroidi, condotti dai meccanismi gravitazionali nei pressi della Terra, vengono riuniti nel più generico termine di N.E.O. (Near Earth Object) che comprende ambedue le classi. INCONTRI RAVVICINATI La storia “impattiva” della Terra non si ferma in epoche lontane, ma continua tuttora, come provato sia dalla persistente caduta di oggetti fortunatamente meno pericolosi (le meteoriti) che dal verificarsi di episodi più violenti, come il già citato evento di Tunguska del 1908, o altri meno noti ma talvolta ben più energetici, quali gli impatti che hanno originato il cratere di Rio Cuarto in Argentina, o il cratere di Wabar in Ara-

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO bia Saudita o quello di Merna in Nebraska (USA): tre eventi verificatisi meno di 10 mila anni fa. Nella tabella che segue sono elencati i dati (tratti da una prospetto curato dal Minor Planet Center e aggiornati alla data del 10 novembre 2001) riguardanti le occasioni di “impatto mancato” più recenti di cui siamo a conoscenza, più appropriatamente definiti “incontri ravvicinati” (close approaches). Distanza in U.A. *

Data del passaggio

Designazione dell’oggetto

Dimensioni (metri)

0.0007

09/12/94

1994 XM1

7-15

0.0010

20/12/93

1993 KA2

4-9

0.0011

12/03/94

1994 ES1

5-12

0.0011

18/01/91

1991 BA

5-12

0.00205

15/01/01

2001 BA16

18-40

altro oggetto del Sistema Solare) è potenzialmente in grado di variare i parametri orbitali dell’oggetto, tanto da ridisegnarne l’orbita e renderlo da innocuo a possibile impattore (o viceversa). Di seguito, una seconda tabella, tratta anch’essa dal sito del Minor Planet Center, elenca i passati incontri ravvicinati con alcune comete. La lista comprende tutte le comete scoperte dopo il 1700 e avvicinatesi entro 0,1020 Unità Astronomiche. Include anche alcuni precedenti passaggi ravvicinati ben documentati di comete periodiche. Non è invece inserito nella lista, a causa dell’estrema incertezza sull’orbita, il presunto passaggio della cometa C/1491 B, avvenuto il 20 febbraio 1491, a una distanza di 0,009 Unità Astronomiche.

0.0029

27/03/95

1995 FF

13-30

0.00303

19/05/96

1996 JA1

209-468

0.00306

05/12/91

1991 VG

5-10

Distanza in U.A.

0.00332

02/06/00

2000 LG6

4-9

0.0151

1/7/1770

D/1770 L1 (Lexell)

0.00380

06/05/99

2000 SG344

33-74

0.0229

26/10/1366

0.00457

22/03/89

Asclepius

209-468

55P/1366 U1 (TempelTuttle)

0.00486

24/11/94

1994 WR12

105-235

0.0312

11/5/1983

C/1983 H1 (IRAS-ArakiAlcock)

Data del passaggio

Designazione della cometa

0.0049

30/10/37

Hermes

660-1480

0.0334

10/4/837

1P/837 F1 (Halley)

0.00495

22/10/00

2000 YA

46-102

0.0366

9/12/1805

3D/1805 V1 (Biela)

0.0050

17/10/95

1995 UB

8-19

0.0390

8/2/1743

C/1743 C1

0.00539

08/06/98

1998 KY26

21-47

0.0394

26/6/1927

7P/Pons-Winnecke

0.00595

23/02/01

2001 DZ76

23-51

0.0437

20/4/1702

C/1702 H1

0.00628

21/10/01

2001 UP

19-43

0.0617

31/5/1930

0.00642

08/10/01

2001 TB

35-78

73P/1930 J1 (Schwassmann-Wachmann)

0.0067

18/10/93

1993 UA

26-59

0.0628

12/6/1983

C/1983 J1(Sugano-Saigusa-Fujikawa)

0.00679

04/02/99

1999 CQ2

8-19

0.0682

8/1/1760

C/1760 A1 (Great comet)

29/4/1853

C/1853 G1 (Schweizer)

16/8/1797

C/1797 P1 (BouvardHerschel)

0.0069

12/04/94

1994 GV

8-19

0.0839

0.0071

17/05/93

1993 KA

17-37

0.0879

0.0071

26/10/97

1997 UA11

26-59

0.00736

09/02/97

1997 CD17

8-19

0.00775

20/10/76

Hathor

234-523

0.00879

12/03/99

1999 FR5

46-102

0.00898

15/08/01

2001 QE71

0.00905

29/12/00

0.00983 0.00984

0.0884

1/4/374

1P/374 E1 (Halley)

0.0898

19/4/607

1P/607 H1 (Halley)

0.0934

23/9/1763

C/1763 S1 (Messier)

0.0964

8/8/1864

C/1864 N1 (Tempel)

32-71

0.0982

4/7/1862

C/1862 N1 (Schmidt)

2001 AV43

29-65

0.1018

25/3/1996

C/1996 B2 (Hyakutake)

26/02/01

2001 EC

526-1176

0.1019

15/11/1961

C/1961 T1(Seki)

29/09/88

1988 TA

166-372

*U.A. (unità astr.) = distanza Terra-Sole, 150 milioni km

Riguardo la valutazione delle probabilità d’impatto di un corpo celeste, occorre tener presente che ogni passaggio ravvicinato con la Terra (come con qualunque

I casi di 1997 XF11, 999 AN10 e 1950 DA Università di Harvard - 11 marzo 1998 “Recenti calcoli dell’orbita di un asteroide scoperto lo scorso dicembre indicano

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO

che è virtualmente sicuro il suo passaggio nei pressi della Terra – ad una distanza inferiore a quella della Luna – tra una trentina d’anni. La probabilità di una effettiva collisione è piccola, ma non può essere esclusa del tutto.” Iniziava così un comunicato dell’Unione Astronomica Internazionale rilasciato dal Dr. BRIAN G. MARSDEN (IAU Central Bureau for Astronomical Telegrams). L’asteroide menzionato era 1997 XF11. Questo oggetto era stato scoperto il 6 dicembre 1997 da JAMES SCOTTI dell’Arizona Spacewatch Program, utilizzando la strumentazione di Kitt Peak: moderni rilevatori CCD abbinati a un telescopio con apertura di 90 cm costruito circa 80 anni orsono. Il comunicato del Dr. Marsden proseguiva poi entrando nei dettagli relativi all’incontro ravvicinato, precisando che si sarebbe verificato il 26 ottobre 2028, verso le ore 13:30 (Eastern Daylight Time), e che la distanza tra i due corpi celesti sarebbe stata di soli 50.000 km. Oltre alla pericolosa vicinanza, preoccupavano anche le dimensioni dell’oggetto, stimate dell’ordine di un 1,5 km, due validi motivi per inserirlo a buon diritto nella lista dei cosiddetti PHAs (Potentially Hazardous Asteroids = Asteroidi Potenzialmente Pericolosi) raccomandandone una osservazione continua al fine di definire con maggiore precisione lo sviluppo della sua orbita. La notizia era troppo ghiotta: i massmedia di tutto il mondo, uno dopo l’altro, diffusero e naturalmente enfatizzarono il “tremendo rischio cui l’umanità stava andando incontro”. Il polverone sollevato mise sotto pressione gli astronomi spingendoli a rovistare tra le vecchie rilevazioni alla ricerca di eventuali dati relativi a precedenti passaggi di 1997 XF11. Ben presto il gruppo di ricerca di ELEONOR HELIN del Jet Propulsion Lab riuscì a identificare l’oggetto su lastre risalenti al 1990, fornendo in tal modo una nuova serie di dati che permisero di ricalcolare in modo più preciso (e di gran lunga meno preoccupante) i parametri dell’incontro ravvicinato del 2028. Il cessato allarme si diffuse con la stessa rapidità dell’annuncio iniziale, e col medesimo (quasi inesistente) spessore scientifico: si affermava, più o meno velatamente,

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FANTASCIENZA che gli astronomi avevano sbagliato i conti gridando troppo precipitosamente “al lupo, al lupo!”. La scia di polemiche mise inevitabilmente in risalto, forse per la prima volta, il delicato problema del “se e come” rendere pubbliche le notizie su possibili rischi d’impatto. Il dilemma si ripropose un anno più tardi. Non si era ancora spenta l’eco del caso di 1997 XF11 che l’attenzione dell’opinione pubblica venne indirizzata verso un altro potenziale impattore. Con una differenza non da poco: questa volta non si trattava di errori di calcolo prontamente ritrattati. L’asteroide 1999 AN10, un oggetto appartenente per tipologia orbitale alla classe degli Apollo, venne scoperto il 13 gennaio 1999 dal telescopio MIT-USAF LINEAR del Lincoln Laboratory ETS (New Mexico, USA). Il suo diametro, grazie alle misurazioni di luminosità, venne stimato tra 0,8 e 1,8 km; l’intervallo proposto è diretta conseguenza di due ipotetici (ma comunque plausibili) valori di riflettività della sua superficie (albedo), la cui vera natura era sconosciuta. Esistendo concrete possibilità di futuri incontri ravvicinati di 1999 AN10 con il nostro pianeta, ANDREA MILANI, STEVEN CHELSEY e GIOVANNI VALSECCHI (tre tra i maggiori esperti mondiali di dinamica orbitale) decisero di studiare con cura l’evoluzione della sua orbita. Il 26 marzo 1999 i tre astronomi, dopo averlo inviato ad una rivista ed in attesa che passasse al vaglio di chi doveva giudicarne la validità e l’attendibilità scientifica, rendevano disponibile loro lavoro su Internet, con l’intento di sottoporre le loro teorie all’analisi dei maggiori esperti mondiali, prima di renderne pubbliche le conclusioni. Per sapere a quali risultati fossero giunti i tre astronomi, e cosa vi fosse di tanto importante nell’evoluzione futura di 1999 AN10, è sufficiente leggere l’abstract della pubblicazione di Milani e colleghi: “La Terra transita molto vicino all’orbita di 1999 AN10 due volte all’anno, ma la possibilità che avvenga o meno un incontro ravvicinato dipende strettamente dall’istante in cui l’asteroide attraversa il piano dell’eclittica. L’incertezza sulla determinazione di questo istante cresce con il passare del tempo: per il 2027 è di +/-

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SCIENZA E TECNOLOGIA

12 giorni. Tra le possibili soluzioni orbitali esiste anche la possibilità che nel 2027 si possa verificare un incontro ravvicinato: in nessun caso, comunque, tale circostanza potebbe trasformarsi in occasione di impatto. Tuttavia l’incontro potrebbe perturbare l’orbita dell’asteroide al punto da indurre nuovi incontri ravvicinati con la Terra nei successivi ritorni. Abbiamo sviluppato una teoria orbitale che prevede con successo i 25 possibili ritorni fino al 2040, e nel susseguirsi di questi ritorni futuri ne sono stati identificati 6 ancora più ravvicinati. Nessuno di tali incontri si concluderà con un impatto, tranne che per quello previsto dai calcoli nell’agosto 2039: la probabilità reale che l’asteroide possa in quell’occasione impattare la Terra è comunque inferiore a quella di essere colpiti entro qualunque data da un oggetto non ancora scoperto. È vero che il comportamento orbitale estremamente caotico non dà modo di predire tutti i possibili avvicinamenti per il futuro se non per pochi decenni dopo ogni incontro ravvicinato, ma la situazione orbitale di 1999 AN10 lo manterrà pericolosamente vicino all’orbita della Terra per circa 600 anni.” Non rischio immediato, dunque, ma ammissione (eventualità certamente remota, ma da non trascurare) che il valzer orbitale tra la Terra e 1999 AN10 potesse (e possa) un giorno concludersi con il botto. Dopo la “figuraccia” causata al mondo astronomico dalle errate previsioni su 1997 XF11, stavolta v’era tutta l’intenzione di gestire con più cautela la diffusione della notizia, e soprattutto di verificare con cura i dati. Ma la disponibilità sul Web dello studio, a scopo di analisi incrociata, ottenne il risultato opposto, rendendo di pubblico dominio la vicenda, e innescando nuove, roventi discussioni. Ancora una volta si evidenziava il problema sul come affrontare pubblicamente questo tipo di argomenti senza suscitare inutili allarmismi. Riguardo a 1999 AN10, a rassicurare un po’ tutti giunse, nel luglio 1999, la notizia che calcoli orbitali più precisi effettuati grazie all’identificazione dell’asteroide su una lastra fotografica del 1955 avevano ridimensionato il rischio ad esso associato, escludendo l’eventualità di un impatto almeno fino al 2076. L’appuntamento è

quindi stato posticipato, ma non del tutto cancellato. Una minaccia-impatto che parrebbe invece proprio destinata a durare è quella di 1950 DA, un altro asteroide la cui orbita incrocia periodicamente quella della Terra, abbastanza vicino da poter risultare pericoloso, particolarmente in una occasione, già prevista. Il lato buono della faccenda è che questo appuntamento è fissato per il 16 marzo 2880. Contrariamente agli altri due casi citati, 1950 DA non è un oggetto appena individuato ma si tratta di una vecchia conoscenza degli astronomi. Scoperto nella notte del 23 febbraio 1950 da C.A. WIRTANEN (Lick Observatory, California), l’asteroide venne osservato con cura per 17 giorni, poi se ne perse ogni traccia. Quando, il 31 dicembre 2000 il programma di ricerca LONEOS (Lowell Observatory Near Earth Object Search) individuò un nuovo oggetto (inizialmente battezzato 2000 YK66) e fu possibile ipotizzarne l’orbita, risultò chiaro che si trattava proprio di 1950 DA. Recuperata l’identità dell’asteroide, fu possibile individuare la sua presenza anche su lastre fotografiche risalenti agli anni ’80, e, comparando tutte le osservazioni, stimarne l’orbita con una precisione straordinaria. Nel 2001, primi giorni di marzo, l’asteroide transitò nei pressi della Terra fornendo al team del ricercatore STEVE OSTRO l’occasione per puntargli contro le antenne radar di Goldstone e Arecibo. Il passaggio fu sufficientemente ravvicinato (circa 7,8 milioni di km, poco più di 20 volte la distanza Terra-Luna) da consentire accurati rilievi e permettere di determinare dimensioni e forma dell’asteroide. Alla valutazione di quanto posse essere pericoloso l’appuntamento cosmico del 16 marzo 2880 ha collaborato una squadra di scienziati di primo piano, coordinati da JON GIORGINI. Lo studio è stato pubblicato su Science il 5 aprile 2002. Il risultato più appariscente della ricerca è senza dubbio la stima della probabilità di impatto con la Terra, compresa tra lo zero (assenza di impatto) e lo 0,33% (una probabilità su 300). Il fatto da sottolineare, però, è che questa volta l’incertezza non dipende da carenza di dati astrometrici, ma dall’inadeguatezza delle nostre conoscenze dei parametri fisici dell’asteroide. Questo rende il caso di 1950

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO DA completamente diverso dai precedenti. Il punto cruciale che emerge dallo studio è che la previsione e i calcoli relativi a futuri possibili rischi d’impatto è subordinata alle conoscenze delle caratteristiche fisiche del potenziale proiettile, che diventano fondamentali per poterne determinare il comportamento dinamico nel lungo periodo. Di 1950 DA alcune cose già le si conoscono: ha una forma grosso modo sferica, il suo diametro maggiore è di 1,1 km e sta ruotando su se stesso piuttosto velocemente, completando un giro in poco più di due ore, un valore che lo pone al secondo posto nella classifica dei rotatori della sua stazza. Ignoriamo però come sia orientato nello spazio, il suo asse di rotazione, il valore della sua massa, la composizione interna e come la sua superficie rifletta la luce. Tutte caratteristiche che, nel corso dei secoli, possono far sentire la loro influenza perturbando l’orbita e rendendo incerta ogni previsione. Per ottenere questi ulteriori dati, e valutare meglio i vari elementi perturbativi, come ad esempio il disturbo arrecato dall’effetto Yarkovsky (una sorta di effettorazzo causato dall’emissione termica della faccia più calda dell’asteroide) potrebbe risultare indispensabile una specifica missione spaziale. Il primo importante appuntamento con 1950 DA sarà il passaggio ravvicinato del 2032, occasione che si presta molto bene ad una nuova analisi radar. Illustrazione di Don Davis, raffigurante un apocalittico impatto.

ENERGIA DI UN IMPATTO È veramente difficile riuscire anche solo a immaginare l’enorme energia rilasciata al verificarsi di un impatto cosmico. Volendola calcolare, la formula fisica di partenza è quella che ci permette di determinare l’energia cinetica del corpo impattante partendo dalla sua massa (m) e velocità (v): ECIN=½ • m • v2 (1) Applicando la (1) al caso di una piccola cometa (diametro di 1 km e densità di 1 g/ cm3) che giunge all’impatto con una velocità di 40 km/sec (valore in sintonia con la media delle possibili velocità di un proietti-

le di questa natura), e trascurando eventuali variazioni di questi parametri imputabili all’azione disgregatrice dell’atmosfera o agli effetti mareali dovuti all’azione gravitazionale del bersaglio, si può calcolare un contenuto energetico di 4,2 x 1020 Joule. In sé questo numero dice poco, ma si può considerare, come termine di paragone, il contenuto energetico (si tratta di energia chimica) di 1 kg di un esplosivo tradizionale quale il tritolo (TNT), in grado di sviluppare allo scoppio un’energia di 4,2 x 106 Joule. Per rendere più chiare le grandezze, aumentiamo le dosi di esplosivo (dai chili alle tonnellate, poi alle migliaia, infine

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO

ai milioni di tonnellate di TNT): passiamo al kiloton (kton), cioè la quantità d’energia associabile all’esplosione di 1.000 tonnellate di tritolo (4,2 x 1012, esprimendola in Joule) e il megaton (Mton), energia liberata dall’esplosione di 1 milione di tonnellate di tritolo (4,2 x 1015 Joule). Ricordiando che la bomba esplosa nel ’45 ad Hiroshima generò una potenza pari a 15 kton, possiamo allora stimare che, se la nostra piccola cometa fosse un bombardiere americano della II Guerra Mondiale, ebbene porterebbe al suo interno circa 6.700.000 di quegli ordigni (100.000 Mton di potenza) pronti a esplodere all’unisono!

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FANTASCIENZA COME DIFENDERCI? Nell’ultimo decennio si è acquisita una certa coscienza in merito ai rischi possibili derivanti dai N.E.O., e si stanno predisponendo efficaci scelte operative per valutarne la portata e le eventuali contromisure. Lo stesso mondo politico-istituzionale si è fatto carico di questa preoccupazione, come traspare dalla risoluzione del 20 marzo 1996 del Consiglio d’Europa: ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA Risoluzione in merito all’individuazione di asteroidi e comete potenzialmente pericolosi per il genere umano. Vi sono due vaste categorie di oggetti celesti che possono avere un potenziale impatto con il nostro pianeta: le comete e gli asteroidi. Generalmente sono conosciuti tra i planetologi con il nome di Near-Earth Objects (NEOs). A quanto ammonti il loro numero complessivo non è noto, ma si stima che il numero degli Asteroidi EarthCrossing con dimensioni superiori a 1 km sia circa 2000. Tali oggetti sono i più pericolosi e di essi soltanto una piccola frazione è stata finora scoperta. Considerando che l’esplosione nei pressi della superficie terrestre di un qualunque oggetto con diametro di 50 m può avere gli stessi effetti di un’arma nucleare di 10 megaton, le conseguenze di un impatto più grande potrebbero essere disastrose su scala globale. Gli esempi più recenti e più noti sono l’evento-Tunguska (causato dall’esplosione di un NEO con dimensioni di circa 60 metri al di sopra della tundra Siberiana nel 1908, con la conseguente distruzione di oltre 2000 km quadrati di foresta in gran parte disabitata) e il violento impatto su Giove dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy nel luglio 1994; questi frammenti avevano all’incirca dimensioni di appena 500 metri, ma causarono devastazioni su aree vaste molto più della Terra. Continuamente, poi, si rinvengono sul nostro pianeta tracce di impatti minori, e anche testimonianze fossili di eventi catastrofici avvenuti in passato. Il complesso di informazioni ormai rilevante acquisito negli ultimi anni in merito

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SCIENZA E TECNOLOGIA

alla collisione con comete e asteroidi indica come essi siano in grado di innescare catastrofi ecologiche su larga scala e persistenti nel tempo, culminanti talvolta persino con estinzioni di massa delle specie viventi; impatti di questo tipo rappresentano dunque una minaccia alla stessa civiltà umana. Benché, statisticamente parlando, il rischio di un impatto di grandi dimensioni nel prossimo futuro sia basso, le conseguenze sono talmente vaste che si deve incoraggiare qualunque ragionevole sforzo destinato a minimizzarlo. Per questi motivi l’Assemblea accoglie di buon grado le varie iniziative - il rapporto Spaceguard Survey pubblicato dalla NASA, la creazione di un Gruppo di Lavoro sui NEO dell’Unione Astronomica Internazionale, e la recente decisione di promuovere una Fondazione Spaceguard per coordinare gli sforzi a livello internazionale - come passi importanti in grado di aprire la strada allo sviluppo di un programma di sorveglianza a livello planetario con l’intento di scoprire tutti i NEO potenzialmente pericolosi e simulare con il computer le loro orbite nel futuro in modo da prevedere con l’anticipo di qualche anno qualsiasi impatto, consentendo così di intraprendere quelle azioni preventive che si rendessero necessarie. L’Assemblea invita i governi degli stati membri e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) a stimolare il sorgere e lo sviluppo della summenzionata Fondazione Spaceguard e dare il necessario supporto ad ogni programma internazionale che si prefigga di: 1) fare l’inventario il più possibile completo dei NEO, con maggiore riguardo agli oggetti con dimensioni superiori a 0.5 km; 2) favorire le nostre conoscenze delle caratteristiche fisiche dei NEO e nello stesso tempo approfondire i fenomeni associati ad un possibile impatto, al mutare del livello di energia cinetica e composizione dell’impattore; 3) tenere regolarmente sotto controllo gli oggetti scoperti per il periodo di tempo necessario a renderci capaci di calcolare con sufficiente precisione le loro orbite, affinché ogni possibile collisione possa essere prevista con largo anticipo;

4) assicurare il coordinamento delle iniziative nazionali, la raccolta e la diffusione dei dati, e una giusta distribuzione di osservatori nei due emisferi; 5) partecipare a programmi osservativi dal suolo e a quelli che più efficacemente possono essere svolti dallo spazio; 6) contribuire ad una strategia globale a lungo termine per trovare i rimedi al verificarsi di possibili impatti. Strasburgo, 20 Marzo 1996. Possiamo far risalire al 1979 il primo tentativo di pianificare una ricerca dei N.E.O., quando i già citati E. SHOEMAKER ed E. HELIN utilizzarono il telescopio Schmidt (46 cm) dell’Osservatorio di Monte Palomar in California, per fotografare il cielo in direzione opposta al Sole, posizione nella quale gli eventuali oggetti raggiungono la massima luminosità. Fu proprio E. Helin a scoprire nel 1976 il pianetino 2062 Aten, capostipite dell’omonima famiglia. Nel 1981 T. GEHRELS cominciò a sviluppare e a utilizzare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie di ripresa costituite dai CCD e, a partire dal 1989, esplorò il cielo con il telescopio Spacewatch (90 cm) dell’Osservatorio Kitt Peak, Arizona, sul quale era installato un CCD di 2048x2048 pixels. Per quanto riguarda l’emisfero Sud, dobbiamo segnalare la sorveglianza fotografica ad opera di D. STEEL iniziata nel 1990, dall’Osservatorio di Siding Spring nel Nuovo Galles del Sud (Australia), utilizzando un telescopio Schmidt di 1,2 metri. Entro breve termine negli USA entreranno in servizio tre nuovi telescopi progettati proprio per la ricerca dei N.E.O. e dotati di sofisticatissimi CCD: lo Spacewatch II di 1,8 m (Kitt Peak), la camera Schmidt LONEOS (Lowell Observatory Near-Earth Object Survey) di 60 cm in Arizona e il telescopio GEODSS, installato alle Hawaii, di proprietà dell’aeronautica militare statunitense e usato fino ad ora per inseguire i satelliti artificiali. Si sta dunque gradatamente cercando di raggiungere l’obiettivo prefisso dalla Spaceguard Survey: grazie ad una rete internazionale di telescopi attrezzati con CCD dell’ultima generazione (in grado di raggiungere una magnitudine

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO V=22), catalogare in 25 anni il 91% degli asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra. Una curiosità: il nome Spaceguard Survey è tratto da una analogo progetto suggerito in un racconto (Rendez-vous con Rama) da ARTHUR C. CLARKE, noto scrittore di racconti di fantascienza. La fase di controllo del cielo è quindi di primaria importanza… dopodiché occorre iniziare a ipotizzare quali possibili contromisure si debbano adottare nel malaugurato caso in cui si giungesse un giorno a stabilire la certezza di un impatto. A grandi linee possiamo suddividere le misure difensive in due grandi categorie: da un lato quelle volte a distruggere il proiettile in marcia di avvicinamento alla Terra, dall’altro quelle che mirano a variarne l’orbita. Alla prima categoria possiamo grosso modo ricondurre i progetti di E. TELLER (uno dei padri della bomba atomica statunitense) che prevedono esplosioni finalizzate alla polverizzazione del proiettile e che hanno trovato applicazione pratica nelle sceneggiature di Armageddon e Deep Impact. Questo tipo di soluzione lascia tuttavia diversi dubbi: 1. anzitutto bisogna notare che l’esplosione non scongiurerebbe completamente il pericolo, dal momento che i frammenti prodotti dalla frantumazione continuerebbero la loro corsa verso il nostro pianeta, e ben conosciamo i gravissimi danni che anche un oggetto dal diametro di un centinaio di metri può provocare; 2. è una contromisura che mal si accorderebbe col percorso che la nostra società, faticosamente e con molti tentennamenti, sembra aver finalmente intrapreso, ossia quello della riduzione e del graduale smantellamento degli arsenali nucleari; 3. per ottimizzarne l’azione, la carica esplosiva dovrebbe essere collocata in profondità, ricorrendo cioè all’azione di astronauti-minatori, ma tale scenario è oltremodo carico di difficoltà oggettive legate alla debole azione gravitazionale dell’oggetto da trivellare. Per quanto riguarda invece la seconda categoria di misure protettive, concretamente sono state avanzate molte proposte: si va dal banale “tamponamento cosmico” (mandare un razzo a sbattere sulla superfi-

Eventi senza alcuna probabile conseguenza

Scala Torino dei rischi da impatto La probabilità di una collisione è zero. 0

Questa indicazione si applica anche ad eventi riguardanti oggetti di piccole dimensioni che, nell’eventualità di una collisione, è improbabile possano raggiungere intatti la superficie terrestre.

Eventi che meritano un accurato controllo

1

La probabilità che si verifichi una collisione è estremamente bassa.

Eventi che meritano particolare attenzione

2

Incontro a distanza ravvicinata in cui una collisione è estremamente improbabile.

3

Incontro ravvicinato con almeno 1 probabilità su 100 di collisione in grado di provocare disastri a livello locale.

4

Incontro ravvicinato con almeno 1 probabilità su 100 di collisione in grado di provocare devastazioni a livello regionale.

5

Incontro ravvicinato con una significativa minaccia di collisione in grado di provocare devastazioni a livello regionale.

6

Incontro ravvicinato con una significativa minaccia di collisione in grado di provocare una catastrofe globale.

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Incontro ravvicinato con una minaccia estremamente significativa di collisione in grado di provocare una catastrofe globale.

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Collisione in grado di provocare disastri a livello locale. Eventi simili si verificano in qualche luogo della Terra tra una volta ogni 50 anni e una volta ogni 1.000 anni.

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Collisione in grado di provocare devastazioni a livello regionale. Eventi simili si verificano tra una volta ogni 1.000 anni e una volta ogni 100.000 anni.

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Collisione in grado di provocare una catastrofe climatica globale. Eventi simili si verificano non più di una volta ogni 100.000 anni.

Eventi che costituiscono una minaccia

Collisione certa

cie dell’asteroide in modo da cedergli energia cinetica in quantità sufficiente da modificarne la traiettoria) all’uso di “lanciatori di massa” (una sorta di motore a reazione da collocare sulla superficie dell’impattore che, scagliando nello spazio materiale estratto in sito, apporterebbe le opportune correzioni di rotta), o al più fantascientifico impiego di “vele solari” che, applicate all’asteroide, sfrutterebbero l’azione del vento solare, emulando in questo gli antichi velieri che solcavano i nostri mari. Non si esclude neppure, nel caso di asteroidi dall’elevato contenuto ferroso, di poter ricorrere a potenti generatori di campo magnetico, gigantesche calamite in grado di attirare il corpo celeste al di fuori della sua orbita o, nel caso di oggetti cometari, all’utilizzo di potentissimi fasci laser in grado di originare, vaporizzando il materiale cometario, getti di gas che si comporterebbero in tutto e per tutto come motori a reazione. La scelta della strategia da impiegare, naturalmente, è subordinata alle caratteristiche dell’eventuale impattore (dimensioni, massa, composizione, geometria, ecc..), e non tutti i metodi elencati sono attualmen-

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO

te alla nostra portata, resta quindi l’assoluta necessità di affrontare la questione considerando il più ampio ventaglio di possibili interventi. Il bisogno di dotarsi di una scala oggettiva per indicare chiaramente il grado di pericolosità di un corpo celeste scoperto sul cammino della Terra è molto sentito dai ricercatori che si occupano di tali problematiche, e proprio da uno di essi, RICHARD P. BINZEL (docente di scienze planetarie al prestigioso Massachusetts Institute of Technology), è stata proposta l’adozione di una scala con codifica numerica e a colori chiamata Torino Impact Hazard Scale (in onore della città italiana che ha ospitato, nel giugno 1999, un Workshop internazionale sui NEO). Qui sopra, la versione pubblicata sul n. 203 de l’Astronomia (novembre 1999, pag. 10). La Scala Torino impiega i numeri da 0 a 10. Un oggetto classificato con lo 0 non ha praticamente alcuna probabilità di collidere con la Terra, mentre il 10 indica la collisione certa. In realtà vengono classificati di grado zero anche i possibili impatti di oggetti troppo piccoli per riuscire a supera-

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FANTASCIENZA re lo scudo dell’atmosfera terrestre. Un evento viene classificato valutando due fattori: la probabilità che avvenga la collisione e l’energia cinetica posseduta dall’oggetto. È importante sottolineare che la classificazione di un evento non è mai un fatto stabilito una volta per tutte. Un oggetto in grado di avvicinarsi più volte alla Terra potrà, per esempio, avere distinti valori nella Scala, uno per ciascuno dei suoi passaggi. Esiste poi una seconda classificazione del rischio, denominata Scala Palermo (Palermo Technical Impact Hazard Scale), strumento degli addetti ai lavori nel campo dei NEO. La sua introduzione si è resa necessaria per poter assegnare un grado di priorità di osservazione e analisi agli eventi che nella Scala Torino erano classificati allo stesso livello. La Scala Palermo esprime il rapporto tra la probabilità che avvenga un evento specifico e la probabilità media che un oggetto di uguali dimensioni possa colpire la Terra negli anni che separano dall’evento considerato. A questo rischio medio ci si riferisce con il nome di background risk. La Scala Palermo è logaritmica, e i suoi valori non sono discreti come quelli della Scala Torino, ma continui (sono consentiti sia valori positivi che negativi); inoltre dipendono strettamente dalla distanza nel tempo del potenziale impatto, nonché dall’energia ad esso associabile. Pertanto le due scale non sono convertibili l’una nell’altra. Il valore di un evento nella Palermo (PS) è dato dall’espressione:

PS = log10 [Pi / (fb • DT)] dove Pi indica le probabilità del suo verificarsi, DT è il tempo (in anni) che ci separa dal potenziale impatto, ed fb è la frequenza d’impatto di background. Quest’ultima grandezza esprime la probabilità che nell’anno si verifichi un impatto con energia E (espressa in Mton) almeno equivalente a quella dell’evento considerato, e si calcola attraverso la seguente relazione:

fb = 0,03 • E- 4/5 La presenza della frequenza di background nella Scala Palermo è fondamentale per valutare probabilità e pericolosità di

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SCIENZA E TECNOLOGIA

un dato evento rispetto al normale rischio al quale la Terra è costantemente esposta. C’è stato anche chi ha voluto quantificare il rischio di decesso imputabile ad un evento impattivo, relazionandolo ad altre cause di morte tristemente comuni per i nostri tempi. Si tratta di C.R. CHAPMANN (del Planetary Science Institute di Tucson, Arizona) e D. MORRISON (del NASA Ames Research Center di Moffet Field, California). La loro ricerca fu pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica Nature nel 1994 (n. 367 pag. 33) dal titolo Impact on the Earth by asteroids and comets: assessing the hazard. L’approccio al problema è quello tipicamente utilizzato dalle compagnie assicurative. La valutazione del rischio avviene prendendo in esame i casi verificatisi durante un certo intervallo di tempo, e rapportandoli al totale della popolazione campione. Il limite, nel considerare in quest’ottica l’evento-impatto, è legato non tanto all’assenza di casistica, quanto al fatto che si tratta di circostanze a minima probabilità ma di elevatissime conseguenze. Un impatto cosmico viene da Chapman e Morrison definito “da catastrofe globale” quando provoca la morte di 1/4 della popolazione mondiale (si tratta chiaramente di un valore arbitrario, che va comunque fissato per poter proseguire nella valutazione); se un evento di questo tipo è in grado di verificarsi ogni 500.000 anni, si conclude che ciascuno di noi, ogni anno, ha una probabilità su 2.000.000 di morire per tale causa, ossia 1/(4x500.000). Se poi s’ipotizza che una persona viva 100 anni, le probabilità salgono a 1 su 20.000! Numeri che acquistano un preoccupante significato se confrontati con le probabilità assegnate ad altri sinistri (i dati di Chapmann e Morrison, presentati nella tabella a destra, si riferiscono a statistiche U.S.A.). Occorre naturalmente precisare che in nessun caso converrebbe stipulare polizze assicurative su tali eventualità: si correrebbe il rischio di non poter essere mai liquidati dalla compagnia assicurativa, o di ritrovarsi in una situazione nella quale il denaro riscosso non avrebbe più alcun valore. Nella tabella della pagina successiva vengono riportati, oltre agli eventi meteoritici più famosi e normalmente citati, anche gli episodi meno noti che hanno comunque

PROBABILITÀ DI DECESSO PER PARTICOLARI CAUSE

CAUSA

DELLA MORTE

PROBABILITÀ

Incidente automobilistico

1 su 100

Assassinio

1 su 300

Incendio

1 su 800

Incidente con armi da fuoco

1 su 2.500

Impatto con asteroide o cometa (limite inferiore)

1 su 3.000

Contatto elettrico

1 su 5.000

Impatto con asteroide o cometa

1 su 20.000

Incidente aereo

1 su 20.000

Inondazione

1 su 30.000

Tornado

1 su 60.000

Puntura o morso velenoso

1 su 100.000

Impatto con asteroide o cometa (limite superiore)

1 su 250.000

Incidente con fuochi artificiali

1 su 1.000.000

Avvelenamento da cibo con botulino

1 su 3.000.000

Acqua con contenuto di TCE al limite EPA (*)

1 su 10.000.000

(*) EPA, Environmental Protection Agency; TCE, tricloroetilene.

avuto conseguenze letali, e quelli (pure non gravi) che hanno interessato la nostra penisola. Questo elenco è quasi completamente tratto da “Rain of Iron and Ice” di JOHN S. LEWIS (Editore Addison-Wesley, 1997) al quale si rimanda per una panoramica completa nonché per la citazione delle fonti originali dei fatti elencati. EVENTI PASSATI: VERITÀ O FANTASIA? Ricerche storiche affiancate da analisi fisico-astronomiche fanno emergere dalle più svariate fonti storiche un gran numero di racconti che parlano di persone e animali uccisi o feriti, e di costruzioni incendiate, distrutte o gravemente danneggiate da cadute meteoritiche. Troppo sbrigativo classificare tutti questi episodi come frutto dell’ignoranza o dell’immaginazione dei nostri avi, parto di secoli bui nei quali credenze e superstizioni costituivano certezze inappellabili. Un elemento che ha sempre giocato a sfavore delle testimonianze del passato è sicuramente il linguaggio usato per ripor-

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO


RISCHIO IMPATTO tarle: similitudini e accostamenti troppo infantili... per i nostri giorni. Ma ogni racconto è figlio della propria epoca, della propria cultura, del proprio ambiente; ecco allora che immagini come “rombi di tuono”, “fuoco dal cielo”, “grandine infuocata”, “fragore di carri”, per quanto curiose agli occhi del mondo moderno, rappresentano solo lo sforzo di riferire fatti straordinari attraverso il linguaggio quotidiano di gente comune. Non stupisce certo il racconto, fatto da un testimone, della caduta del meteorite di Fermo (in provincia di Ascoli Piceno) alle 17,30 del 25 settembre 1996, descritta come caratterizzata da un forte rumore “simile a quello che fa un elicottero”; perché sconcertarsi, dunque, di narrazioni molto più antiche... “Mentre essi fuggivano dinanzi ad Israele ed erano alla discesa di Bet-Oron il Signore lanciò dal cielo su di essi come grosse pietre fino ad Azeka e molti morirono. Coloro che morirono per le pietre della grandine furono più di quanti ne avessero ucciso gli Israeliti con la spada.” (Sacra Bibbia, Giosuè 10, 11) REDAZIONE “Terre di Confine” - Articolo ela-

borato compendiando il materiale presente nel sito “Impact Page”: http://www.geocities.com/elidoro/impactpage.html http://www.geocities.com/elidoro/index.html

DATA ca. 1420 aC

LUOGO

AVVENIMENTO

Israele

Israele: mortale pioggia meteoritica

14/1/616

Cina

10 persone uccise da uno sciame meteoritico

anno 679

Coldingham (Inghilterra)

monastero distrutto dal “fuoco dal cielo”

anno 921

Narni (Terni)

caduta di molte pietre dal cielo

1321-1368

Distretto di O-chia (Cina)

persone e animali uccisi da una pioggia di meteoriti metalliche - case danneggiate

Ho-t’ao (Cina)

soldati feriti - innescato un incendio

inizio 1490

1369

Ch’ing-yang (Cina)

oltre 10.000 persone uccise da pioggia meteoritica

14/9/1511

Cremona

monaco ucciso

anno 1639

Cina

decine di morti per la caduta di una grossa meteorite su un mercato

1633-1664

Milano

notizia di un monaco ucciso

1647-1654

Oceano Indiano

racconto di 2 marinai uccisi su una barca

24/7/1790

Barbotan (Francia)

ucciso un contadino e del bestiame

16/6/1794

Siena

colpito senza conseguenze il cappello di un bambino

16/1/1825

Oriang (India)

un uomo ucciso e una donna ferita

14/7/1847

Braunau (Boemia)

colpita una stanza nella quale dormono tre bambini: nessuna seria conseguenza

30/6/1874

Chin-kuei Shan (Cina)

ucciso un bambino

31/1/1879

Dun-le-Poelier (Francia)

notizia di un contadino ucciso

16/2/1883

Alfianello (BS)

maggiore condrite caduta in Italia (228 kg)

5/9/1907

Hsin-p’ai Wei (Cina)

Intera famiglia schiacciata

30/6/1908

Tunguska (Siberia)

due persone uccise e alcune ferite dall’onda d’urto generata dall’impatto

28/6/1911

Nakhla (Egitto)

colpito e ucciso un cane

8/12/1929

Zvezvan (Yugoslavia)

una persona morta per la caduta di una meteorite ad una festa nuziale

16/5/1946

Santa Ana (Messico)

28 persone ferite, alcune case distrutte

12/2/1947

Sikhote Alin (Siberia)

meteoriti ferrose - craterizzazione

Intervento conclusivo di CLAUDIO ELIDORO:

28/9/1969

Murchison (Australia)

colpito un edificio

5/12/1984

Cuneo

fireball brillante come il sole

“Dettare un pensiero conclusivo dopo questa lunga scorribanda nelle problematiche relative agli impatti cosmici è piuttosto complicato. Mi limiterò dunque a una semplice osservazione. Parlando di impatti di corpi celesti sulla Terra, la prima cosa da evitare è sicuramente l’allarmismo. Ma subito al secondo posto dobbiamo mettere il disinteresse. Solo un’attenta politica di “prevenzione” può metterci (forse) al sicuro. Nel gioco contro il destino bisogna scovare l’asteroide killer prima che prenda la mira. Nel confronto con i dinosauri – 65 milioni di anni fa – ai mammiferi è andata di lusso (a T-Rex e soci un po’ meno), ma non sarebbe affatto piacevole se i prossimi “dinosauri” a scomparire dalla faccia del pianeta Terra fossimo proprio noi.”

18/5/1988

Torino

colpito un edificio

31/8/1991

Noblesville (Indiana - USA)

sfiorati due ragazzi

9/10/1992

Peekskill (New York - USA)

sfondato il bagagliaio di una autovettura

IMAGES CREDITS: Massive Terrestrial Strike: DON DAVIS, NASA Meteor Crater: D. RODDY (U.S. GEOLOGICAL SURVEY), LUNAR AND PLANETARY INSTITUTE Mariner 2: NASA/JPL Mathilde, Gaspra e Ida: NASA Cratere Copernicus: NASA Mercurio: NASA Marte: NASA Venere: NASA Ganimede: CALVIN J. HAMILTON Europa: CALVIN J. HAMILTON Luna e Marte: RON WAYMAN Io: NASA Callisto: CALVIN J. HAMILTON

SCIENZA: RISCHIO IMPATTO

Giove: NASA/JPL/SPACE SCIENCE INSTITUTE Saturno: NASA Enceladus: NASA/JPL/SPACE SCIENCE INSTITUTE Dione: JET PROPULSION LABORATORY, NASA Nettuno: NASA Dino-Killer: DON DAVIS, NASA C/2001 Q4:T. RECTOR (UNIVERSITY OF ALASKA ANCHORAGE), Z. LEVAY AND L.FRATTARE (SPACE TELESCOPE SCIENCE INSTITUTE) AND NATIONAL OPTICAL ASTRONOMY OBSERVATORY/ASSOCIATION OF UNIVERSITIES FOR RESEARCH IN ASTRONOMY/NATIONAL SCIENCE FOUNDATION Giove/Shoemaker: R. EVANS, J. TRAUGER, H. HAMMEL AND THE HST COMET SCIENCE TEAM AND NASA Coastline remodeling: DON DAVIS, NASA

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FANTASCIENZA

LETTURA

INCONTRO CON RAMA (Rendez-vous with Rama) di ARTHUR C. CLARKE

Ecco un libro che ha vinto più o meno tutti i premi che è possibile vincere nel campo della fantascienza, generato due seguiti, un videogioco e adesso si parla pure di un film. Ha anche ispirato un romanzo (Eon, di Greg Bear) a sua volta vincitore d’importanti premi. Insomma, una cosettina sconosciuta che ha bisogno di presentazione più o meno quanto la forza di gravità o il motore a scoppio. Ma cosa rende così affascinante questo libro? Be’, andiamo per ordine. Intanto ecco un breve accenno della trama. Nel ventiduesimo secolo, dopo un impatto catastrofico avvenuto sessant’anni prima (peraltro in Italia), l’umanità scruta con attenzione il cielo, osservando con cautela gli asteroidi che potrebbero causare una nuova catastrofe. Così, quando un nuovo oggetto celeste, proveniente da fuori il Sistema Solare, appare, viene immediatamente avvistato e catalogato. Esaurite quelle grecoromane, lo si battezza col nome di una divinità indiana: Rama. Ma Rama non è un asteroide. È invece un enorme oggetto artificiale alieno. La sua orbita lo porterà a sfrecciare attraverso il Sistema, passando vicinissimo al Sole per poi allontanarsi definitivamente. Non c’è il tempo di organizzare una spedizione; solo un’astro-

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nave, l’Endeavour (dal nome del dell’antico vascello dell’esploratore Cook) si trova casualmente già in una posizione idonea a poter intercettare il misterioso oggetto. Il compito di studiare Rama toccherà quindi all’equipaggio di questa nave “qualunque”. Sapendo che il romanzo è di poco posteriore a quell’altra opera celeberrima di Clarke, 2001: A Space Odissey, e ripensando ad altri suoi romanzi precedenti, non c’è davvero bisogno di leggere il libro fino in

LETTURA: INCONTRO CON RAMA


INCONTRO CON RAMA fondo per intuire che molti (quasi tutti in realtà) dei misteri di Rama rimarranno insoluti. Non si tratta di un giallo, è il “semplice” incontro dell’umanità con qualcosa di antichissimo e ignoto. Molti misteri vengono chiariti. Molti restano insoluti. La narrazione si sofferma spesso a descrivere al lettore le dimensioni ciclopiche e l’antichità immensa di Rama: come le piramidi ma più grande, più arcaico, più alieno. Grande abbastanza da contenere un proprio clima, con nuvole e temporali, ed estraneo quanto serve per suscitare teorie religiose e panico. E qui arrivo finalmente al punto. Leggere Incontro con Rama come se fosse un whodonit porta a un’inevitabile delusione. Leggerlo come uno studio di caratteri, anche: le personalità sono nette ma abbozzate, giusto il tanto da caratterizzare i personaggi. Il punto di forza di questo libro è piuttosto la meticolosità quasi pedante nel descrivere l’ambiente alieno. Il modo sorprendente in cui la fisica contraddice le aspettative in un mondo che, per quanto immenso, è l’interno cavo di un cilindro rotante. Non è facile per un libro di hard-sf coniugare godibilità e accuratezza. Non ci sono sfide banali o melodrammatiche. I problemi, talvolta causati dal timore dell’uomo di fronte all’ignoto o da un’audacia eccessiva (e mi tengo qui sul vago per non rovinare la sorpresa a chi non avesse già letto il libro), vengono risolti in modo rigoroso, da manuale di fisica. Clarke riesce nell’impresa apparentemente impossible di rendere interessante la forza di Coriolis.

nuti, silenziosamente, quasi incapaci di credere ai loro occhi. La logica diceva loro che in questo mondo rotante nessun oggetto poteva muoversi in una linea retta cadendo, ma c’era qualcosa di orribilmente innaturale in una cascata che si piegava di lato, fino a cadere a vari chilometri di distanza dal punto direttamente al di sotto della sua origine.” Una testimonianza ulteriore della rigore scientifico del romanzo e della sua popolarità è il nome adottato dal progetto reale per sorvegliare gli asteroidi in transito nel Sistema Solare: safeguard, come quello che nel libro porta all’avvistamento di Rama. E poi c’è un altro aspetto: se le sorprese di questo mondo diverso rendono il libro avvincente, è proprio l’alienità in sé che lo rende affascinante. Come già in 2001, anche qui il lato poetico (sì, mi sento di usare questo termine) consiste proprio nell’estraneità, nel distacco che separa l’umanità da questo oggetto immenso e antichissimo. Nel misurare l’umanità con un metro che la fa apparire microscopica. Un oggetto è apparsa nel cielo, abbiamo compreso alcune cose di esso, ma molto rimane al di là di noi...

Le voci di trarre un film (basato su effetti speciali e computer grafica) dal soggetto di Clarke circolano già da diverso tempo; a quanto pare il progetto è anzi già affidato al regista David Fincher (Alien3), anche se non c’è assolutamente nulla di ufficiale. Staremo a vedere, e che il Santo Patrono della Fantascienza ci “Descending from some hidden source in the assista… clouds three or four kilometres away was a waterfall, and for long minutes they stared at it silently, almost unable to believe their eyes. Logic told them that on OMINO VERDE this spinning world no falling object could move in a * straight line, but there was something horribly unnatural about a curving waterfall that curved sideways, to end many kilometres away from the point directly below its source…” Si ringrazia per l’immagine: “A tre o quattro chilometri di distanza, prove- http://www.mondourania.com/

niente da una sorgente nascosta delle nuvole, c’era una cascata, e rimasero a guardarla per lunghi mi-

LETTURA: INCONTRO CON RAMA

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FANTASCIENZA

A

rmageddon è una parola biblica e indica una valle in Israele; è stata teatro di molte battaglie nell’antichità, descritte nella Bibbia e confermate da studi archeologici. Oggi si chiama Tel Megiddo e di per sé ha poco di inquietante, se non vi mettono a disagio delle colline sassose coperte da poca erba ingiallita e qualche arbusto profumato. Contenuta tra i modesti rilievi si stende una vallata, occupata da parecchi campi, coltivati con grande cura. Armageddon si riferisce anche alla fine dei tem-

CINEMA

pi. Secondo l’Apocalisse, proprio in quella piana si terrà il giudizio finale. Col tempo, toponimo e avvenimento si sono fusi. È comprensibile che il termine sia stato scelto come titolo per un film altamente spettacolare, che narra il pericolo corso dall’umanità a causa di un grosso asteroide. Tutto ha inizio quando una missione Shuttle viene distrutta da un misterioso corpo celeste, e i grattacieli di New York vengono devastati da numerosi meteoriti. La NASA presto scopre che un

Avvisaglie del pericolo incombente: lo shuttle, in orbita per la manutenzione di un satellite, viene distrutto dai primi frammenti dell’asteroide

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asteroide grande “quanto il Texas” è in rotta di collisione con la Terra: solo diciotto giorni e ci sarà il botto! Provocherà inevitabilmente l’estinzione della specie umana, una vera e propria apocalisse, paragonabile a quella che si suppone abbia fatto sparire i dinosauri; previsioni che, in confronto, “L’alba del giorno dopo” è una vacanza a Cortina d’Ampezzo, in albergo a cinque stelle. Per evitare la catastrofe, gli uomini della NASA avanzano numerose soluzioni; l’unica affidabile sembra quella di raggiungere l’asteroide nello spazio, trivellarlo alla profondità di 800 piedi (circa 2400 metri) e sistemare all’interno una bomba atomica ad orologeria. Con questa azzardata manovra, allo scoppio dell’ordigno, l’immensa roccia si spaccherà in due parti; esse s’allontaneranno nello spazio, ridotte in frantumi, senza investire la Terra. Alla NASA sono incompetenti per tecniche e apparecchiature necessarie a certi scavi, da poco tempo introdotti nei programmi d’esplorazione. Non resta che mandare nello spazio una squadra di

CINEMA: ARMAGEDDON


armageddon trivellatori guidati dal miglior specialista al mondo. Viene convocato Harry Stamper, progettista di modelli destinati alla ricerca di petrolio e alle missioni NASA. Non c’è tempo per addestrare veri astronauti, bisogna mandare in orbita la squadra di operai specializzati di Stamper, anche se è più scompagnata di un battaglione disciplinare ed è afflitta da tutti i possibili guai del mondo (fisici rotondeggianti, vacanze forzate nei penitenziari, problemi familiari, comportamenti psicotici...). Intanto il tempo scorre e l’asteroide fila dritto verso la Terra alla velocità di fantastiliardi di miglia all’ ora… Ecco un esempio di blockbuster americano che qualsiasi critico “serio” ha già deciso di macellare prima ancora di vedere. Anzi, forse proprio si rifiuterebbe di visionarlo, a meno che non venisse assai lautamente compensato. E in parte avrebbe ragione, povero diavolo, nel senso che questo è un titolo che va guardato con la voglia di staccare la spina per un paio d’ore, senza pretendere chissà quali verosimiglianze, introspezioni, montaggi complicati, o dialoghi raffinati. Gli effetti speciali, il montaggio serrato e la musica sono onnipresenti; servono a dar pepe ad una storia che ha tutto, tranne l’originalità, e purtroppo scade in alcune sequenze sdolcinate abbastanza gratuite, degne di uno spot di lecca lecca. C’era stato “Quando i mondi si scontrano” negli anni Cinquanta, poi “Meteor” negli anni Settanta, poi “Deep Impact”, film quasi contemporaneo a questo, tanto da far immaginare chissà quali plagi. Accuse discutibili: più che di

Sopra e sotto: i frammenti raggiungono e devastano New York. plagio, si tratta di ripetizione di luoghi comuni rivisitati con la grafica digitale. “Armageddon” brilla poco per novità nelle tematiche offerte ma, nella sua semplice elementarità, ha tutti gli ingredienti necessari per riuscire simpatico allo spettatore privo di spiccato interesse per il cinema di genere, che non pretende rivoluzioni stilistiche o strutturali, ma vuole uscire dal cinema divertito e rassicurato. Protagonista è il consueto manipolo di uomini, tipo “sporca dozzina”, fra lo scombinato e l’avanzo di galera, che viene catapultato dalle sue piattaforme marine fin nello spazio per salvare l’umani-

CINEMA: ARMAGEDDON

tà e ingrassare il botteghino. Sono personaggi definiti in poche righe, costruiti a tavolino e dotati di tratti in cui lo spettatore si possa riconoscere, chi in uno chi in un altro. C’è il capo, classico duro col cuore di burro; c’è il giovanotto bello e ribelle, così anticonformista… che prima della partenza sposa la figlia del capo; troviamo un geniale psicopatico, il ciccione goloso, un culturista nero con la passione delle belle moto e dei giubbotti di pelle, e così via… Per sapere chi di loro farà ritorno dallo spazio non è obbligatorio arrivare alla fine del film, o chiedere in prestito a Harry Potter la sfera di cristallo. Basta esaminare i candida-

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FANTASCIENZA

Sopra e sotto: New York in ginocchio. In mezzo: Harry (B. Willis) alla caccia di A.J., Chick (W. Patton) cerca di calmarlo, per la verità senza metterci eccessivo impegno. ti uno per uno, poi confrontarli con i valori tipici della società USA, e scartare quanti più se ne distaccano. Ho provato questo metodo, e devo dire che la previsione è stata ragionevolmente precisa. Come al solito la trasgressione è tollerata solo se non viene a scontrarsi con valori tradizionali. Muoiono gli “antipati-

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CINEMA

ci” perché così vuole lo spettatore, e gli anticonformisti veri poiché - si sarebbe detto negli anni ‘70 - ‘è la volontà del Sistema’. Ovvio, vengono sacrificati quei personaggi il cui essere è troppo poco caratterizzato e lascia quindi lo spettatore indifferente al loro destino, oltre che… beh, qui sto rivelando troppi dettagli. Come al solito gli Americani salvano il mondo, stavolta con un Russo e un Afroamericano. Il Russo è il personaggio più spassoso ed originale, mentre l’Afroamericano, non sarebbe una novità in pellicole

stile “sporca dozzina”. Finalmente però, c’è un salto di qualità rispetto ai copioni ‘coreografici’ che venivano riservati agli attori di colore, soprattutto se giganteschi e statuari. È un ruolo limitato, ma non più banale di quello assegnato ad altri caratteristi. Armageddon mi appare un film corretto e convenzionale: ossia il dipanarsi della vicenda rende “vincente” un preciso modello sociale fatto di amor patrio, religiosità, senso della famiglia e buoni sentimenti ostentati verso il prossimo, rispetto almeno apparente di tutte le

CINEMA: ARMAGEDDON


armageddon minoranze, anche quelle che parrebbero proprio divergere in pieno da quello stereotipo. E se dico rispetto apparente, è perché in genere i personaggi che non fanno propria quella visione della vita, pur essendo rappresentati, vengono “scartati” dal premio finale della sopravvivenza o dell’eroismo con la “E” maiuscola. Eppure c’è di buono che la retorica riesce ad essere tenuta a freno, almeno per la prima ora di proiezione, grazie a una discreta dose di umorismo. A un certo punto gli astronauti addirittura si ribellano apertamente agli ordini del Presidente. C’è addirittura un momento in cui si ironizza sul rituale patriottismo americano, quando gli sceneggiatori scelgono di mostrare un gruppo di uomini che accetta di rischiare la vita non solo altruisticamente per salvare il pianeta, ma anche in cambio di concessioni economiche che in confronto alla salvezza dell’umanità sembrano davvero di poco peso: abitare alla Casa Bianca, non pagare le tasse, avere la fedina ripulita… Le prevedibili dosi da cavallo di retorica, buoni sentimenti e “Dio, Patria e Famiglia” spuntano solo a secondo tempo inoltrato.

D’altra parte i soldi per produrre il film sono yankee; è difficile pretendere che vengano messi in primo piano valori diversi da quelli convenuti dalla società americana. Per fortuna, l’irritante propaganda arriva assai tardi, e in contempo-

CINEMA: ARMAGEDDON

Dall’alto in basso: 1) Alla NASA si analizza il problema, e si cercano le soluzioni. 2) La squadra di Stamper si addestra per l’ardua missione. 3) Choi (O. Wilson), A.J. (B. Affleck) e Rockhound (S. Buscemi)

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FANTASCIENZA

CINEMA

Momento romantico tra Grace (Liv Tyler) e A.J. (Ben Affleck) prima della partenza. Potrebbero essere i loro utlimi attimi insieme. In besso: il decollo degli shuttle. ranea col crescendo dell’azione. Il ritmo velocissimo del montaggio e la sarabanda di effetti speciali minimizzano molto sia l’amor patrio, sia le sequenze strappalacrime. La sceneggiatura tenta pure di rendere la genuinità dei sentimenti umani non tramite bandiere e slogans, ma grazie a piccoli particolari facili e di sicura efficacia: gli sguardi, le battute lievi o goliardiche, le spacconate dei vari operai, le pacche sulla schiena, la stessa scena ini-

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ziale in cui il padre scopre che… vi lascio la sorpresa. Se non si ha il palato troppo viziato dal cinema d’autore, può andare bene. Ancora una volta, almeno nelle produzioni americane, introspezione e azione non legano per rafforzare la storia, ma sembrano escludersi a vicenda. Peccato, forse verrebbe da seguire con maggiore interesse le peripezie di personaggi meno convenzionali, spinti da motivazioni meno ovvie. Purtroppo, generare protagonisti

credibili per pellicole d’azione è piuttosto complicato e, peggio, paga poco. I produttori, in buona o in cattiva fede, ritengono che spesso sia fatica sprecata. Secondo le leggi di mercato, una grossa fetta del pubblico di cinema d’azione se ne infischia della credibilità, mentre esige spettacolarità a qualsiasi costo. Magari schifa ogni tentativo di dare realismo psicologico, o anche solo logico, se ciò rallenta il ritmo. È una scelta che può deludere, anche se comprensibilissima; d’altra parte i film ricchi di effetti speciali costano. Prima d’investire milioni di dollari, le majors hollywoodiane ci pensano sopra e pianificano tutto quanto va fatto vedere, spesso anche con la consulenza di psicologi che studiano le reazioni del pubblico e “prevedono” la sceneggiatura più gradita. È chiaro che mettere Willis in un film d’azione e divertimento è una scelta vincente al botteghino, anche se gli si affibbia un copione prevedibile. La regola funziona: nessuno può essere più adatto di lui nella parte del comandante della squadra.

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Se poi il ruolo è insipido, è colpa del soggetto e degli sceneggiatori che vogliono investire dollari solo su prodotti ragionevolmente sicuri e rinunciano all’originalità. Alla presenza di Willis hanno aggiunto attori della simpatia di Steve Buscemi e Peter Stormare (un astronauta russo, squinternato pure lui, che si unisce alla missione), o della bellezza di Liv Tyler, e il gioco è fatto, il pubblico riempie la sala. Poco importa se Liv Tyler sia solo un altro effetto speciale, e la sua parte stucchevole. Tra l’altro è figlia del cantante leader degli Aereosmith, e guarda caso, proprio gli Aereosmith firmano il grosso della colonna sonora. A voi le conclusioni… Non che la controparte maschile della bella attrice sia meno melensa e stereotipata. Tra tensione continua, decisioni estreme da prendere sempre con onnipresenti conti alla rovescia ormai agli sgoccioli, azione e qualche momento che dovrebbe risultare perfino commovente (o almeno ci prova, il finale per esempio, se non fosse così scontato), il film ha navi-

Dall’alto in basso: 1) Il cosmonauta Russo Andropov (P. Stormare) attende l’arrivo dell’Indipendence e del Freedom. 2) Uno degli shuttle all’attracco presso la stazione spaziale. 3) La partenza sarà molto più movimentata.

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gato a gonfie vele nelle classifiche degli incassi. Le reazioni dello spettatore, invece, possono essere assai diverse; o recepisce quanto si vede come una farsa sgangherata e ne prende le distanze con ironia, o sta al gioco e finisce per perdonare tutto, anche che venga rimesso in moto il propulsore dello Shuttle a forza di martellate come se si trattasse della In alto e sotto: L’esplosione dell’asteroide: missione riuscita. Sotto al centro: fase di rientro del Freedom.

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lavatrice della nonna. Da notare ancora la colonna sonora di alto livello che sfrutta classici anni Sessanta, titoli di hard rock e alcune canzoni degli Aerosmith; anche qui la trasgressione è solo apparente. Accordi di chitarra a parte, il singolo I don’t want to miss a thing è l’ennesima rock ballad a base di cuore, amore, zucchero. È molto commerciale, più vicina alle produzioni della “Ca’ del Lissio” che non al vero hard rock o heavy metal. Buon per i più piccoli o i più vecchi o i più ignoranti, che almeno non capiscono il testo, e possono

sopportare indenni una canzone così sdolcinata. Meglio assai il tema strumentale, epico, potente. È un film confezionato con molta cura e con grande impiego di mezzi. È stato pubblicizzato in modo intelligente, con messaggi martellanti e diretti a un ampio target di possibili spettatori, grazie alla sua commistione di generi (catastrofe, fantascienza, qualche sprazzo di humour e romanticismo). Pazienza se l’innovazione riguarda a prima vista le bellissime scene generate dalla computer graphic, e il dialogo è far-

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armageddon A destra, dall’alto in basso: 1) Il Freedom finalmente a terra. 2) Il ritorno degli Eori. 3) Per non dimenticare i caduti... cito di parolacce (che fanno pubblicità, Celentano docet), mentre i contenuti hanno poche ma significative variazioni sul tema. Se vogliamo risparmiarci due ore di noia e delusione, magari anche incomprensioni verso l’immagine che gli Americani vogliono dare di loro stessi, non ci resta che evitare questo film, oppure guadarlo in compagnia, con un pacco di popcorn formato famiglia, e l’occhio pronto ad apprezzare tutto quello che un film d’essai ci negherebbe. Armageddon va guardato concedendosi una pausa di sana ingenuità, godendosi la spettacolarità dell’insieme che riuscirà a sorprenderci fino a quando nuovi effetti speciali non la renderanno datata. Con la certezza di non contemplare un capolavoro né di potervi scoprire chissà quali meraviglie nascoste. Quando tornerà la luce in sala, o leveremo il DVD dal lettore, potrà esserci spazio per la riflessione sul modo d’essere del cinema americano rispetto a quello europeo. Ancora una volta, trovo un malinconico ada-

gio fatto di idee nuove senza mezzi e mezzi che non vengono investiti in idee nuove, poiché la novità può essere un rischio… Nel tripudio di effetti speciali, essere originali diventa un optional, ma due ore di divertimento senza pretese possono essere piacevoli.

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CUCCU’SSÉTTE *

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FANTASCIENZA Bruce Willis (Harry S. Stamper):

classico duro col cuore tenero , è il capo della spedizione. Abbiamo già visto Willis in ruoli del genere, magari ripetitivi, però ogni volta è un vero piacere, è perfetto nella parte.

Filmografia fantascienza/fantastico: Il sesto senso, Unbreakable, L’esercito delle 12 scimmie, Il Quinto Elemento

Liv Tyler (Grace Stamper):

figlia di Harry. Dolce e bella sopra ogni misura, fa il paio con A.J., ha meno azione nel copione e, peggio ancora, le sono affidati siparietti rosa degni di uno spot Coca Cola. È figlia del cantante degli Aereosmith che composto il grosso della colonna sonora. Filmografia fantascienza/fantastico: Il Signore degli Anelli (trilogia)

Will Patton

(Charles ‘Chick’ Chapple): il patito del gioco d’azzardo. Filmografia fantascienza/fantastico: The Punisher, The mothman prophecies, L’uomo del giorno prima

Steve Buscemi (Rockhound):

altra macchietta, ovvero l’ometto con la fissa del sesso; una volta sarebbe stato meno esplicito, comunque non è una rivoluzione. Filmografia fantascienza/fantastico: The Island, Fuga da Los Angeles, L’uomo del giorno prima

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Billy Bob Thornton (Dan Truman):

ruolo anche questo classico ma, almeno all’inizio, con un briciolo d’ironia. Filmografia fantascienza/fantastico: La principessa Mononoke (voce Jigo)

Ben Affleck (A.J. Frost):

giovane scanzonato e ribelle, almeno in apparenza. In realtà tutte le scelte del personaggio sono assai tradizionali. Il Bello di turno, piazzato in scena per la gioia di ragazze e signore. Filmografia fantascienza/fantastico: Daredevil, Dogma, Phantoms

Peter Stormare (Lev Andropov)

L’astronauta russo. Squinternato e ironico, doppiato come un russo da caricatura dei tempi della Guerra Fredda. Se la sua presenza non fosse frutto di attenta analisi di mercato, sarebbe trasgressivo e dirompente. Filmografia fantascienza/fantastico: I fratelli Grimm, Constantine, Minority Report, Il Mondo Perduto: Jurassic Park

Michael Clarke Duncan (Jayotis ‘Bear’ Kurleenbear): il gigante-

sco Afroamericano appassionato di moto e donne. Un ruolo classico nella composizione di una squadra stile ‘Sporca Dozzina’ che sia corretta.

Filmografia fantascienza/fantastico: The Island, Daredevil, Il re scorpione, Il pianeta delle scimmie, Il miglio verde

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armageddon Owen Wilson (Oscar Choi):

il pazzoide. Fin dai tempi di ‘A-Team’ ogni gruppo che si rispetti deve munirsi di uno squinternato. Filmografia fantascienza/fantastico: Anaconda, Hounting - Presenze

Jessica Steen (Jennifer Watts): coriacea copilota Shuttle Freedom. L’unica donna della missione.

Filmografia fantascienza/fantastico: Pat la mamma virtuale, Progetto Eden (TV)

Keith David (Generale Kimsey):

l’autoritario militare che tenta di far esplodere la bomba da terra. Filmografia fantascienza/fantastico: The chronicles of Riddick, Pitch Black, Il terrore dalla Sesta Luna

Judith Hoag (Denise): l’ex-moglie di

Chick, che si riavvicina al marito dopo l’eroico rientro dei cosmonauti. Filmografia fantascienza/fantastico: Halloweentown (TV), Tartarughe Ninja alla riscossa,

Stanley Anderson (Il Presidente degli Stati Uniti): un Presidenta al quale, per fortuna, si disobbedisce.

Filmografia fantascienza/fantastico: S1m0ne, Spiderman, Stephen King Shining (TV), Robocop 3

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Ken Hudson Campbell (Max Lennert):

il mammone della squadra di Stamper.

Filmografia fantascienza/ fantastico: Vita da strega, Una mummia per amico, Dr. Dolittle 2

Clark Heathcliffe Brolly (Freddy Noonan): il duro tatiturno del gruppo.

Filmografia fantascienza/fantastico: Seaquest (TV)

William Fichtner (William Sharp): pilota

dello Shuttle Freedom, una parte abbastanza breve. Dimenticabile, non tanto per incapacità dell’attore quanto per le poche battute. Filmografia fantascienza/fantastico: Equilibrium, Contact, Strange days, Virtuality

John Aylward (Dr. Banks):

il medico che esamina la squadra, fosse per lui la boccerebbe in toto. Filmografia fantascienza/fantastico: Creature (TV), Tartarughe Ninja 3

Jason Isaacs (Dr. Ronald Quincy):

l’esperto della NASA in campo nucleare.

Filmografia fantascienza/fantastico: Elektra, Peter Pan, Harry Potter e la camera dei segreti, Resident Evil, Soldier, Punto di non ritorno, Dragonheart

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SCHEDA TECNICA Titolo: ARMAGEDDON - GIUDIZIO FINALE Tit. originale: ARMAGEDDON Anno: 1998 Durata: versioni di 115 minuti, o di 145. La Director’s Cut è di 150 Paese: USA Produzione: Jerry Bruckheimer, Gale Ahhe Hurd, Micheal Bay Distribuzione: BUENA VISTA INTERNATIONAL (1998) - BUENA VISTA HOME VIDEO, TOUCHSTONE HOME VIDEO

Regia: Micheal Bay (Bad boys, The Rock, Pearl Harbor) Soggetto: Jonathan Hensleigh e Robert Roy Pool Sceneggiatu- Jeffrey Abrams, Tony Gilroy, Jonathan ra: Hensleigh e Shane Salerno Fotografia: John Schwartzman Musiche: Trevor Rabin e Aereosmith Montaggio: Mark Goldblatt, Chris Lebenzon e Glen Scantlebury Scenografia: Michael White Costumi: Michael Kaplan Note: NOMINATION AGLI OSCAR 1999 PER IL

MIGLIOR SONORO, I MIGLIORI EFFETTI SONORI, I MIGLIORI EFFETTI SPECIALI VISIVI, LA MIGLIORE CANZONE

Altri interpreti: Chris Ellis: Walter Clark Grayson McCouch: Gruber Marshall R. Teague: Colonello Davis, USAF Anthony Guidera: Tucker, copilota Independence Greg Collins: Tenente Halsey J. Patrick McCormack: Generale Boffer Ian Quinn: Astronauta Pete Shelby Christopher J. Worret: Operatore #1 Adam Smith: Operatore #2 John Mahon: Karl Grace Zabriskie: Dottie K.C. Leomiti: Samoano Eddie Griffin: Ragazzo James Harper: Ammiraglio Kelso Ellen Cleghorne: Helga

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Udo Kier: Psicologo Mark Curry: Stu, il taxista Charlton Heston: narratore (voce) Deborah Nishimura, Albert Wong, Jim Ishida, Seiko Matsuda, Harry Humphries, Dyllan Christopher, Sage Allen, Deborah Nishimura, Albert Wong, Jim Ishida, Steven Ford, Christian Clemenson, Andy Ryan, Duke Valenti, Michael Taliferro, Billy Devlin, Kathleen Matthews, J.C. Hayward, Andrew Glassman, Shawnee Smith, Dwight Hicks, Odile Corso, Vic Manni, Jim Maniaci, Layla Roberts, Joe Allen, Bodhi Elfman, Alexander Johnson, Kathy Neff, Victor Vinson, Joseph Patrick Kelly, Peter White, Rudy Mettia, Frank Van Keeken, Fred Weller, Jeff Austin, Googy Gress, Matt Malloy, H. Richard Greene, Brian Brophy, Peter Murnik, Brian Hayes Currie, Andrew Heckler, Andy Milder, Michael Kaplan, Patrick Richwood, Brian Mulligan, Charles Stewart, Scarlet Forge,, Michael Tuck, Patrick Lander, Anne Vareze, Fritz Mashimo, Dina Morrone, Ruben O’Lague, Wolfgang Muser, Jim Fitzpatrick, Michael Bay, Judi Beecher, Mark Boone Junior, Judith Drake, Ronald Fox, Franky, John Frazier, Andy Gill, Will Green, Jeff Linnartz, Shannon Lucid, Kevin McGuire, Aaron J. Patton, Pope John Paul II, Gary A. Rogers, Frank Silva:, William T. Smith, Erik Per Sullivan, Lawrence Tierney, Greg Warmoth, Gedde Watanabe.

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o spazio interstellare. Infinito, eterno. Attraversato da eruzioni cosmiche e da incessanti turbolenze. Illimitato scenario d’azione per quei missili infuocati che sono chiamati comete. Nell’antichità le comete terrificavano l’Uomo, che vi riconosceva l’annuncio di catastrofi imminenti. In seguito, rassicurato, ne ha atteso la visita come quella di un vecchio amico. Questa cometa è emersa da dietro il sole attraverso i Cieli alla velocità di 270.000 chilometri l’ora. Non è ancora mai stata osservata dall’Uomo. La cintura di asteroidi. Un’immensa discarica di metallo e rocce in orbita intorno al Sole, tra Giove e Marte. Migliaia di frammenti, alcuni non più grandi di un granello di sabbia, altri delle dimensioni di una città. Tra questi ultimi, Orfeo: 30 chilometri di diametro, inviolato da più di mille anni. Fino ad oggi...

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iustamente massacrato dalla critica dell’epoca, Meteor è un film che alle nuove generazioni può apparire circondato da un alone quasi mitico, ma che agli occhi di chi ha avuto modo di vederlo si dimostra ciò che davvero è: un prodotto dalle alte pretese spettacolari che non riesce però a nascondere la povertà del budget. Considerato il genere di pellicola, infatti, i 16 milioni di dollari spesi per realizzarla sembrano davvero pochi, anche per una produzione del 1979: sono meno della metà di quanto Spielberg impiegò nello stesso anno per realizzare 1941: Allarme ad Hollywood, e poco più di quanto aveva a disposizione Milos Forman per portare al cinema il musical Hair. E tutto sommato è un peccato che la produzione non abbia potuto raccogliere più fondi, perché i nomi che compongono il cast avrebbero meritato di meglio – e in fondo lo avrebbe meritato anche la sceneggiatura di Stanley Mann e Edmund H. North che, pur piena degli errori e delle banalità di rito, risulta comunque più convincente di molti degli innumerevoli epigoni che il cinema hollywoodiano ci ha proposto in seguito. I discorsi che il soggetto ideato da Edmund H. North intavola sono diversi e certo non originali – dall’inet-

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titudine dei militari alla necessità di Sovietici e Statunitensi di collaborare rivelando i propri segreti militari al Nemico, alla scintilla sentimentale che scocca tra due dei protagonisti – ma ha il grande pregio di non mettere al centro della vicenda un Eroe. Non solo Mann e North hanno evitato di creare un personaggio bigger than life che (magari solo in cuor suo) non vedesse l’ora di prendersi sulle spalle il Destino del Mondo, ma hanno addirittura deciso di non mettere al centro della loro sceneggiatura un uomo che risolvesse in qualche modo la situazione. Fin dall’inizio, la soluzione al problema – l’unica possibile – è evidente a tutti tranne che ai militari, e ciò che il dottor Bradley (Sean Connery) si limita a fare è convincere i sovietici a collaborare con la NASA, e supervisionare la preparazione al lancio dei missili nucleari che distruggeranno il meteorite. Non è lui che capisce per primo cosa bisogna fare, e non è lui che lo fa materialmente; in effetti viene portato a conoscenza del pericolo costituito dal meteorite solo perché è il progettista del satellite statunitense che lancerà i missili. Gli spettatori abituati ai supereroi travestiti da normali cittadini potranno trovare noiosa questa accortezza di sceneggiatura, ma è in realtà un particolare

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METEOR doppiamente importante. Innanzi tutto “abbassa” il dottor Bradley al livello degli spettatori – rendendolo una persona se non comune, almeno realistica – ed amplifica l’aspetto fatalista della pellicola: l’Uomo non ha il controllo sul Cosmo e può ben poco per proteggere se stesso. Non ci sono atti di eroismo che tengano: è il Caso a mettere a repentaglio l’esistenza della razza umana (una cometa sbriciola un meteorite, proiettando una parte di quest’ultimo in rotta di collisione con la Terra) ed è un caso che gli uomini abbiano pronto qualcosa che li può salvare. È questa una lezione che il cinema catastrofico successivo ha faticato a recepire. Non solo è più facile creare a tavolino un superuomo (o al massimo un ristretto gruppo di superuomini) piuttosto che un insieme di persone normali, dotate di buon senso e null’altro che le proprie competenze specifiche – ma è enormemente più facile proporre un superuomo su cui il pubblico possa fare affidamento per risolvere la situazione che non delle persone realmente in crisi. Perché se manca l’Eroe, allora il resto del film dev’essere strepitoso per funzionare ugualmente. E se quest’ultimo è il caso della Guerra dei Mondi di Spielberg – il cui protagonista vuole solo salvare la pelle, sbolognare i figli all’ex moglie e che gli altri si arrangino – non è invece il caso di Meteor. La regia dell’esperto Ronald Neame nulla può contro i limiti degli effetti speciali a sua disposizione, e anche l’unica sequenza che si può considerare visivamente davvero riuscita – la valanga che seppellisce un paedi essere uno spettacolo realmente meritevole, agli sino delle Alpi svizzere – non occhi del pubblico di allora come di quello attuale. riesce ad essere inquietante come dovrebbe. La povertà delALBERTO CASSANI la confezione è un difetto troppo * grosso per permettere a Meteor For images, thanks to: http://www.jimusnr.com/meteor.html

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Henry Fonda (Il Presidente):

ruolo minore per Fonda, compare in una sla scena, per mettere d’accordo la coppia Bradley-Sherwood e il generale Adlon Filmografia fantascienza/fantastico: Swarm, Tentacoli

Brian Keith (Dr. Alexei Dubov):

lo scienziato che ha progettato il satellite sovietico i cui missili verranno combinati con quelli statunitense. Filmografia fantascienza/fantastico/mistero: Il villaggio maledetto, Stazione Luna

Martin Landau (Gen. Adlon): il Ge-

nerale a capo della Base Missilistica, che non vorrebbe rivelare ai sovietici la potenza di fuoco del satellite USA. Filmografia fantascienza/fantastico: Il mistero di Sleepy Hollow, The new adventures of Pinocchio, X-Files - The movie, The adventures of Pinocchio, 12:01 (TV), The return of Six-Million-Dollar Man and the Bionic Woman (TV), Cyclone arma mortale, The return, Aliens from spaceship Earth, Spazio 1999 (TV), Caccia ai terrestri, La casa degli Usher, The ghost of Sierra de Cobre

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Sean Connery (Dr. Paul Bradley):

lo scienziato che aveva progettato (a fini non bellici) il satellite statunitense i cui missili serviranno per distruggere il meteorite; durante il film fa da interfaccia con lo scienziato sovietico. Filmografia fantascienza/fantastico/medievale: La leggenda degli uomini straordinari, Dragonheart (voce), Il primo cavaliere, Robin Hood - Principe dei ladri, Highlander II - Il ritorno, Indiana Jones e l’ultima crociata, Highlander L’ultimo immortale, Sword of the Valiant, Il nome della Rosa, I banditi del tempo, Atmosfera zero, Robin e Marian, Zardoz, An age of kings (TV), Darby O’Gill il re dei folletti

Natalie Wood (Tatiana Nikolaevna Donskaya): la coraggio-

sa interprete di Dubov. Di lei s’innamorerà Bradley.

Filmografia fantascienza/fantastico: Brainstorm - Generazione elettronica, Miracolo della 34a strada

Karl Malden (Harry Sherwood)

scienziato che subentra a Bradley, come capo del progetto satellitare, dopo l’abbandono del collega. Filmografia fantastico/mistero: Alice in Wonderland (TV), Il mostro della via Morgue

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METEOR SCHEDA TECNICA Titolo: Tit. originale: Anno: Durata: Paese: Produzione:

METEOR METEOR 1979 107 minuti USA Sandy Howard, Gabriel Katzka, Arnold H. Orgolini, Theodore R. Parvin, Run Run Shaw

Distribuzione: WARNER BROS. (1979) Regia: Ronald Neame (Due sotto il divano, Dossier Odessa, Gambit) Soggetto: Edmund H. North Sceneggiatura: Stanley Mann, Edmund H. North Fotografia: Paul Lohmann Musiche: Laurence Rosenthal Montaggio: Carl Kress Scenografia: Edward C. Carfagno Effetti speciali: William Cruse, Margo Anderson Costumi: Albert Wolsky Note: NOMINATION AGLI OSCAR 1979 PER IL MIGLIOR SUONO

CAST : Sean Connery: Dr. Paul Bradley Natalie Wood: Tatiana Nikolaevna Donskaya Karl Malden: Harry Sherwood, NASA Brian Keith: Dr. Alexei Dubov Martin Landau: Gen. Adlon Trevor Howard: Sir Michael Hughes Richard A. Dysart: Segretario della Difesa Henry Fonda: il Presidente degli Stati Uniti Joseph Campanella: Gen. Easton Bo Brundin: Rolf Manheim Katherine De Hetre: Jan Watson James G. Richardson: Alan Marshall Roger Robinson: Bill Hunter Michael Zaslow: Sam Mason John McKinney: Peter Watson John Findlater: Astronauta Tom Easton Paul Tulley: Astronauta Bill Frager Allen Williams: Astronauta Michael McKendrick Bibi Besch: Helen Bradley Gregory Gaye: Capo di Stato russo

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Clyde Kusatsu: Yamashiro Burke Byrnes: Ufficiale Guardiacosta Joseph G. Medalis: Barista Charles Bartlett, Raymond O’Keefe: Guardie Henry Olek: Capitano dell’Esercito Peter Bourne: Presidente ONU Stanley Mann: Rappresentante Canadese ONU Ronald Neame: Rappresentante Britannico ONU Philip Sterling: Rappresentante Russo ONU Arthur Adams: Rappresentante Ghanese ONU Fred Carney: Rappresentante USA ONU Carole Hemingway: Gladys Christine Anne Baur, Paul Camen, Dorothy Catching, Bill Couch, William Darr, Joan Foley, Paul Laurence, John Moio, Read Morgan, Conrad E. Palmisano, Tony Rocco, Jesse Wayne: Tecnici del Centro Communicazioni Altri interpreti: Sybil Danning, Meschino Paterlini, Johnny Yune, Eileen Sak, Clete Roberts, Stu Nahan, Osman Ragheb, Yu Wing, Yau Tsui Ling, Ricker Slaven, James Bacon, Yani Begakis, Simon Cadell, Selma Archerd, Domingo Ambriz, George Golden, Arthur Tovey, Peter Donat (voce Narratore).

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eriodicamente, i media scoprono “qualcosa”. Può essere la precessione degli equinozi, che renderebbe ancor più discutibili le previsioni degli oroscopi, e che è stata già “scoperta” almeno quattro volte negli ultimi trent’anni (in realtà fu scoperta circa 2.000

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anni fa). Può essere l’ubicazione dell’Arca dell’Alleanza o di quella di Noè. O può essere qualche oscura minaccia che grava sul nostro pianeta: in questo caso, la possibilità che una cometa (o un asteroide) finisca per collidere con la Terra, causando un’estinzione di

massa simile a quella che potrebbe aver chiuso l’epoca dei dinosauri. Tutto comincia a metà degli anni ‘90, quando l’utilizzo sempre più massiccio del computer in campo astronomico migliora sensibilmente le nostre conoscenze sugli asteroidi e le relative orbite: calcoli complessi, un tempo riservati ai corpi celesti di grandi dimensioni, vengono ora facilmente estesi a quelli più piccoli, e con una precisione infinitamente maggiore. Si scopre così l’esistenza di alcuni asteroidi la cui orbita incrocia quella della Terra, e che in un futuro estremamente remoto potrebbero, forse, chissà (l’orbita di un asteroide, a causa delle perturbazioni cui questi oggetti sono sottoposti, può essere calcolata con precisione solo per pochi anni nel futuro prossimo), avvicinarsi pericolosamente al nostro pianeta. Come dicevamo prima, i media “scoprono” ben presto questo stato di cose. Da allora, ma soprattutto nella seconda metà degli anni ‘90, non passa mese (e talvolta settimana) senza che qualche giornale non annunci come “prossima” la fine del mondo: ogni qualvolta viene scoperto un nuovo asteroide “earth-crossing”, i titoli sulla catastrofe imminente si sprecano. E la psicosi è tuttora viva e vegeta: basti cercare con Google “asteroid”, “earth” e “crossing” per rendersene conto. Naturalmente, Hollywood non può farsi sfuggire l’occasione di rinfrescare il già sempreverde filone dei film catastrofici: e nel 1998, a distanza di soli due mesi, escono dapprima Deep Impact e poi Armageddon, due film molto simili come

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DEEP IMPACT trama, ricchi di effetti speciali e di attori famosi. Entrambi incassano parecchio, ma non abbastanza da convincere i produttori a insistere con altre pellicole sullo stesso tema. Per una volta lo spettatore, già esausto dai troppi film al limite dell’idiozia sfornati dai produttori d’oltreoceano, ci guadagna ampiamente: se Armageddon, infatti, è considerato da molti come il film più assurdo nella storia del cinema, Deep Impact, nonostante si presenti come la versione “seria” del tema in questione, non è veramente da meno. I fuochi d’artificio cominciano fin dai primi fotogrammi: un gruppo di ragazzi, membri di un imprecisato “astronomy club”, stanno osservando il cielo da Richmond, Virginia (come la sovraimpressione non manca di precisare), tutti muniti di telescopi più o meno potenti. Uno di loro, tale Frodo, pardon Leo Lieberman (interpretato dall’allora sconosciuto e giovanissimo Elijah Wood), sta facendo sfoggio della sua bravura nel riconoscere le stelle dell’Orsa Maggiore (sorvoliamo sul fatto che un astrofilo degno di questo nome dovrebbe occuparsi di ben altro), quando una di queste causa un’accesa discussione con Sarah, la sua amichetta: i due giovani non riescono a mettersi d’accordo sul nome della stella. Detto fatto: si scatta una foto dell’oggetto in questione, che anche un neonato riconoscerebbe all’istante come una cometa – ha già la caratteristica chioma! – e la si manda al “cervello” locale, tale dottor Wolf, per l’identificazione. Costui sta sonnecchiando nel proprio osservatorio quando riceve il plico con la foto; incurante del fatto

1) Jenny Lerner (T. Leoni), incalza il ministro Rittenhouse (J. Cromwell). 2) Jenny col Presidente (M. Freeman). 3) Il padre (M. Schell) di Jenny, organizza un’imbarazzante presentazione della sua nuova moglie (Rya Kihlstedt). 4) L’annuncio.

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1) Attimi di celebrità per Leo (Elijah Wood). 2) Tanner (R. Duvall) si confronta con i più giovani colleghi. 3) Il Messia lascia il bacino d’assemblaggio. 4) Il Messia in approccio alla superficie della cometa.

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che, come qualsiasi studente delle superiori dovrebbe sapere, servono tre punti per determinare l’orbita di un corpo celeste, lui ne calcola all’istante la traiettoria, dopo di che sbianca e, senza curarsi di aspettare altri dati o almeno verificare più seriamente quelli di cui dispone (un lavoro di molte settimane!), cerca di avvertire qualcun altro. Ma il server di posta non funziona (toh: un dato realistico!), e allora ecco il nostro dottor Wolf salvare i dati su un floppy disk, balzare in macchina e correre verso una destinazione ignota. Che avrà mai scoperto? Ma il triste destino è in agguato... Siamo su una strada piena di curve e burroni: bastano pochi minuti perché il dottor Wolf incroci un camionista che guarda dappertutto fuorché sulla strada e finisca arrosto insieme al suo floppy disk. È la fine dell’umanità? Questo incidente impedirà che la minaccia sia rivelata in tempo? Altrimenti, perché gli sceneggiatori lo avrebbero inserito nel film? Perché non avevano nulla da fare, probabilmente: infatti si scopre ben presto che, un anno dopo gli eventi di cui sopra, tutti sono stati informati e hanno persino potuto predisporre le adeguate contromisure. Wolf dev’essere riuscito, dall’aldilà, a far funzionare il server di posta. Ma andiamo con ordine. Dicevamo che un anno è passato, e l’umanità è regredita alla preistoria: almeno, non può essere diversamente, dal momento che nessun altro, tra i milioni di astrofili sparsi per il mondo, e tra gli innumerevoli astronomi professionisti, ha più notato questo misterioso corpo celeste, che

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DEEP IMPACT pure era luminoso quanto le stelle dell’Orsa Maggiore (e nel frattempo sarà diventato luminoso quanto Venere, se non di più). Finalmente, qualcuno intuisce qualcosa: la solita giornalista ficcanaso, tale Jenny Lerner (Tea Leoni). Forse un’astrofila? Assolutamente no! È solo una che sta cercando di scoprire se il ministro del Tesoro si è dimesso perché ha un’amante: siccome la verità è un’altra (si è dimesso perchè “sa”, e temendo la fine imminente vuole stare vicino alla sua famiglia) viene immediatamente sequestrata dagli Uomini in Nero e portata al cospetto del presidente, l’immancabile Morgan “Prezzemolo” Freeman, che ne ottiene il silenzio in cambio di una posizione in seconda fila alla conferenza stampa prossima ventura. Infine, la verità viene annunciata: una cometa sta per schiantarsi contro la Terra, l’umanità si estinguerà etc... etc... Per fortuna i nostri, sotto forma di un’astronave appositamente costruita e chiamata “Messia”, stanno andando a piazzare otto bombe atomiche nel suo nucleo. La cometa verrà distrutta, e noi potremo continuare a dormire sonni tranquilli. O no? Gli astronauti, tutti professionisti, a differenza di quanto accade in Armageddon, portano a termine la loro missione senza particolari problemi: un morto e un ferito grave sono ben poca cosa rispetto agli inconvenienti che accadono nell’altro film. Certo, che dire del fatto che le otto bombe atomiche, invece di distruggere la cometa, la spaccano in due pezzi, entrambi ugualmente distruttivi? Lo spettatore accorto potrebbe chiedersi come mai, visto che a bordo del

1) Le famiglie Beiderman e Hotchner assistono preoccupati allo svolgersi della missione. 2) Baker (M. McCormack) e Tanner ai comandi del Mesia. 3) La missione entra nel vivo. 4) Attimi di terrore per gli astronauti.

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1) Precipitoso rientro degli astronauti. 2) Prima detonazione. 3) La cometa non è esplosa, si è solo divisa in due. Missione fallita. 4) Si procede al piano d’emergenza: vengono aperti i bunker che proteggeranno i pochi fortunati prescelti.

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“Messia” ce ne sono altre quattro, non le abbiano usate tutte. O potrebbe chiedersi perchè non ne hanno portate ottanta, invece di otto; ma queste sono quisquilie, come direbbe Totò, di fronte alla cronica mancanza di carburante che impedisce agli astronauti qualsiasi manovra di emergenza per rimediare ai problemi che si presentano di volta in volta. E sì che non si tratta di una missione qualunque, ma “solo” di quella che dovrebbe salvare l’umanità dall’estinzione! E, a quanto ricordo, il costo del petrolio, all’epoca, non era ancora proibitivo. Ma la riscossa arriva rapidamente: mentre sulla Terra un sempre più rassegnato Morgan Freeman annuncia il peggio, e il panico si diffonde a macchia d’olio, il gruppo di astronauti, imbeccato dal grande Puffo, pardon, dal più anziano di loro, un Robert Duvall icona-vivente-saggio-colto-buono-mentre-i-colleghi-sono-solo-dei-ragazzini-scemi, decide di lanciarsi sul frammento più grosso della cometa con le altre quattro bombe pronte a esplodere, in modo da sbriciolarlo una volta per tutte. La possibilità che quattro bombe non la spuntino dove otto hanno già fallito non sfiora la mente di nessuno, meno che mai degli spettatori. O no? Sulla Terra, intanto, le vicende di alcuni protagonisti si complicano: un milione di persone, di cui ottocentomila estratte a sorte, si dirigono verso il mega-rifugio costruito dal governo nel Missouri. Tra loro Frodo, pardon Leo, e la sua famiglia, compresa la sua amichetta Sarah, da lui sposata al solo scopo di poterla portare con sé (ma in fondo i

CINEMA: DEEP IMPACT


DEEP IMPACT due si amano, e anche se dimostrano una quindicina di anni a testa, cosa importa? All’epoca, non c’era ancora l’ossessione per la pedofilia figlia della diffusione di Internet). Invece Jenny, la giornalista, visto che nessuno – incredibile ma vero – se l’è cuccata per tutto il film, decide che è ora di suicidarsi, e così raggiunge il padre giusto in tempo per farsi travolgere con lui dall’enorme ondata generata dall’impatto in mare del frammento di cometa più piccolo. Conclusione strana, ma non priva di una sua logica contorta: dal momento che, fin dall’inizio del film, non aveva fatto altro che rompere le scatole al padre perché si “rimangiasse” il divorzio dalla madre e tornasse con lei, e poiché quest’ultima aveva già provveduto a suicidarsi a sua volta all’annuncio del fallimento del “Messia”, quale modo migliore per riunire la famiglia e rispettare i Sacri Valori dei Buoni Film Made in Hollywood? Per fortuna le quattro bombe nucleari tenute di riserva sul “Messia” fanno il loro dovere (tra le lacrime dei parenti degli eroici astronauti), e il frammento più grosso della cometa si dissolve in una pioggia di stelle cadenti, mentre il maremoto causato dall’altro provoca solo danni trascurabili e tutti i superstiti vivranno felici e contenti. Oddio, forse il fatto che mezza America sia finita distrutta non sarebbe così trascurabile, ma, se ce lo dice Morgan Freeman in persona, come fare a non credergli? E quando Frodo e Sam, pardon Leo e Sarah, riescono a salvarsi semplicemente correndo sulla prima collina che si trovano davanti, nonostante alle loro spalle

1) e 2) Il primo frammento della cometa entra nell’atmosfera terrestre. 3) Il tremendo impatto. 4) Jenny e il padre attendono rassegnati la fine, in un ultimo abbraccio. L’onda gigante provocata dall’impatto s’innalza terrificante.

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FANTASCIENZA

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un’onda alta centinaia di metri li incalzi senza mai riuscire a raggiungerli, possiamo dubitarne? In fondo, si dirà, abbiamo visto di peggio. Armageddon è raccapricciante, e, solo due anni prima, parlare male di Indipendence Day era un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Eppure non è detto che Deep Impact sia davvero una spanna al di sopra dei suoi colleghi: vuole darne l’impressione, questo è innegabile, ma la serietà di base e la plausibilità delle vicende narrate sono sempre quelle, vale a dire a livello del vuoto cosmico dal quale arrivano comete e asteroidi che nella realtà non faranno mai alcun danno. Deep Impact, in sostanza, si presenta bene; e forse potrebbe anche guadagnarsi la sufficienza, dal momento che, nel confronto con l’inguardabile, Armageddon esce comunque vincitore. Ma i danni che una pellicola simile, sottilmente ma profondamente ipocrita, causa al cinema di fantascienza, non sono affatto trascurabili. Purtroppo, la strada sembra ormai segnata: lo spettatore, che una volta avrebbe notato subito il mare di assurdità propinate dagli sceneggiatori, oggi sembra come lobotomizzato: qualunque cosa, purché condita da esplosioni, viene subito digerita. E magari dimenticata il giorno dopo: ma intanto il danno è fatto. Anche se nessuna cometa ha colpito la Terra, il Medioevo sembra già tornato (non solo nel cinema, a dire il vero): dovremo aspettare altri mille anni per un nuovo Rinascimento? 1) e 2) Le scene più spettacolari: il gigantesco tsunami sommerge New York. 3) Il Messia, ultima speranza della Terra, si lancia in missione suicida contro il grosso della cometa. 4) La cometa esplode in milioni di frammenti. La Terra è salva.

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ANDREA CARTA *

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DEEP IMPACT Téa Leoni (Jenny Lerner):

la solita giornalista-chescopre-tutto. Stranamente, ma forse non troppo, preferisce il suicidio a un futuro pieno di incertezze. Filmografia fantascienza/fantastico: Jurassic Park III, Nei panni di una bionda

Morgan Freeman (Tom Beck): il Presidente, con la P maiuscola.

Filmografia fantascienza/fantastico: Batman begins, Una settimana da Dio, Robin Hood, principe dei ladri

Vanessa Redgrave (Robin Lerner): La ma-

dre di Jenny. E pensare che una volta la Redgrave non si limitava a dire soltanto “Tuo padre mi ha lasciato! Come sono infelice!”. Filmografia fantascienza/fantastico: Camelot

Aleksandr Baluyev (Col. Mikhail Tulchinsky):

russo l’esperto del gruppo in materia nucleare. Filmografia fantascienza/fantastico: nessuno

Blair Underwood (Mark Simon):

il navigatore del Messia.

Filmografia fantascienza/fantastico: Gattaca

CINEMA: DEEP IMPACT

Elijah Wood (Leo Beiderman):

il “piccolo” eroe della storia, ossia l’astrofilo che avvista la cometa per primo.

Filmografia fantascienza/fantastico: Missione 3-D: game over, Il Signore degli Anelli (trilogia), Day-O (TV), Ritorno al futuro - Parte II

Leelee Sobieski (Sarah Hotchner Beiderman):

la ragazzina, poi mogliettina, dell’astrofilo Leo. Filmografia fantascienza/fantastico: Hercules (TV)

Maximilian Schell (Jason Lerner): il padre di Jenny.

Filmografia fantascienza/fantastico: Vampires, The Eighteenth Angel, The Black Hole - Il Buco Nero

Robert Duvall (Capt. Spurgeon ‘Fish’ Tanner): “Ragazzi, tor-

nate alle vostre playstation che adesso ci penso io”.

Filmografia fantascienza/fantastico: Il sesto giorno, Phenomenon, Aliens From Another Planet (TV) L’uomo che fuggì dal futuro, Conto alla rovescia

Mary McCormack (Andrea ‘Andy’ Baker):

lil pilota del Messia, e unica donna del gruppo.

Filmografia fantascienza/fantastico: K-Pax

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FANTASCIENZA Jon Favreau (Dr. Gus Partenza):

Ron Eldard (Dr. Oren Monash):

l’ufficiale medico del Messia.

il comandande del Messia.

Filmografia fantascienza/fantastico: Elf, Daredevil, Batman forever

Filmografia fantascienza/fantastico: Nave fantasma - Ghost ship

Richard Schiff (Don Beiderman): il padre di Leo.

Filmografia fantascienza/fantastico: Il dottor Dolittle, Jurassic Park - Il mondo perduto, The arrival, Special Report: Journey to Mars (TV), Ghost in the Machine

Betsy Brantley (Ellen Beiderman): la madre di Leo.

Filmografia fantascienza/fantastico: From the earth to the moon (TV), Un angelo in famiglia (TV), Arma non convenzionale, La storia fantastica

James Cromwell (Alan Rittenhouse): il Ministro del Tesoro, su di lui indaga la Lerner.

Filmografia fantascienza/fantastico: Io robot, Space Cowboys, Il miglio verde, Specie Mortale II, Star Trek - Primo Contatto, Explorers

Laura Innes (Beth Stanley):

la sorella di Jenny, cronista anche lei.

Filmografia fantascienza/fantastico: The fury

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CINEMA

Gary Werntz (Chuck Hotchner):

il padre di Sarah.

Filmografia fantascienza/fantastico: nessuno

Denise Crosby (Vicky Hotchner):

la madre di Sarah.

Filmografia fantascienza/fantastico: Legend of the Phantom Rider, Premonizioni mortali, Mutant species, Pet semetary - Cimitero vivente, Star Trek - The next generation (TV), Eliminators

O’Neal Compton (Morten Entrekin): lo

scienziato che sovrintende alla missione del “Messia”. Filmografia fantascienza/fantastico: Una donna in crescendo, Un fratello venuto dal futuro (TV)

Kurtwood Smith (Otis Hefter): il control-

lore (a terra) della missione.

Filmografia fantascienza/fantastico: Trespassing, Visioni di un omicidio, 2013 la Fortezza, Star Trek VI - Rotta verso l’ignoto, Robocop

CINEMA: DEEP IMPACT


DEEP IMPACT Bruce Weitz (Stuart Caley):

il direttore della TV dove lavora Jenny. Filmografia fantascienza/fantastico: Velocity trap, Prehysteria! 3

Rya Kihlstedt (Chloe Lerner):

la seconda moglie del padre di Jenny. Filmografia fantascienza/fantastico: Lei la Creatura (TV), Brave new world (TV)

Charles Martin Smith (Marcus Wolf):

l’astronomo professionista che convalida la scoperta di Leo. Filmografia fantascienza/fantastico: Roswell (TV), Morte a 33 giri, Starman

SCHEDA TECNICA Titolo: Tit. originale: Anno: Durata: Paese: Produzione: Distribuzione: Regia: Sceneggiatura:

DEEP IMPACT DEEP IMPACT 1998 116 minuti USA David Brown, Richard D. Zanuck DREAMWORKS/PARAMOUNT/AMBLIN

Mimi Leder (The peacemaker) Bruce Joel Rubin, Michael Tolkin

Fotografia: Dietrich Lohmann Musiche: James Horner Montaggio: Paul Cichocki, David Rosenbloom Scenografia: Leslie Dilley Effetti speciali: INDUSTRIAL LIGHT & MAGIC Costumi: Ruth Myers Note: vincitore YOUNGSTAR AWARDS 1999

miglior giovane attore film drammatico (E. Wood); vincitore IMAGE AWARDS 1999 miglior attore non protagonista (M.Freeman); vincitore GOLDEN SCREEN (Germania)

CINEMA: DEEP IMPACT

ALTRI INTERPRETI: Dougray Scott, Bruce Weitz, Caitlin Fein, Amanda Fein, Joe Urla, Una Damon, Mark Moses, Derek de Lint, Charles Dumas, Suzy Nakamura, Alimi Ballard, Katie Hagan, Frank Whiteman, Jason Dohring, Jasmine Harrison, Rahi Azizi, Hannah Werntz, Tucker Smallwood, Merrin Dungey, Kimberly Huie, William Fair, Francis X. McCarthy, Ellen Bry, Lisa Ann Grant, Leslie Dilley, Concetta Tomei, Mike O’Malley, Gerry Griffin, Charlie Hartsock, Jennifer Jostyn, Don Handfield, Jason Frasca, Cynthia Ettinger, Benjamin Stralka, Stephanie Patton, Michael Winters, John Ducey, Christopher Darga, Joshua Colwell, Cornelius Lewis, Kevin LaRosa... [e cast non accreditato].

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FANTASY “Sì, eravamo tutti innamorati di lei, in qualche modo. Persino Sua Grazia il Vescovo non riusciva a pensare ad altro.” Imperius da Ladyhawke 1985

Filmografia 41. Sinbad: Legend of the Seven Seas (2003) (voce) 40. White Oleander (2002) 39. I Am Sam (2001) 38. What Lies Beneath (2000) 37. The Story of Us (1999) 36. A Midsummer Night’s Dream (1999) 35. The Deep End of the Ocean (1999) 34. The Prince of Egypt (1998) (voce) 33. A Thousand Acres (1997) 32. One Fine Day (1996) 31. To Gillian on Her 37th Birthday (1996) 30. Up Close & Personal (1996) 29. Dangerous Minds (1995) 28. Wolf (1994) 27. The Age of Innocence (1993) 26. Love Field (1992) 25. Batman Returns (1992) 24. Frankie and Johnny (1991) 23. The Russia House (1990) 22. The Fabulous Baker Boys (1989) 21. Dangerous Liaisons (1988) 20. Tequila Sunrise (1988)

19. Married to the Mob (1988) 18. Amazon Women on the Moon (1987) 17. The Witches of Eastwick (1987) 16. Tales from the Hollywood Hills: Natica Jackson (1987) (TV) 15. Sweet Liberty (1986) 14. Ladyhawke (1985) 13. Into the Night (1985) 12. Scarface (1983) 11. One Too Many (1983) (TV) 10. Grease 2 (1982) 09. The Children Nobody Wanted (1981) (TV) 08. Splendor in the Grass (1981) (TV) 07. Callie & Son (1981) (TV) 06. Charlie Chan and the Curse of the Dragon Queen (1981) 05. Falling in Love Again (1980) 04. The Hollywood Knights (1980) 03. “B.A.D. Cats” (1980) TV Series 02. “Delta House” (1979/I) TV Series 01. The Solitary Man (1979) (TV) fonte: www.imdb.com


Michelle Pfeiffer


FANTASY

Lettura

IL CAVALIERE DEL SOLE NERO (Black sun rising) di C.S. Friedman

“…..l’efficacia del Sacrificio è direttamente proporzionale a ciò che viene distrutto.”

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iamo su Erna, dodici secoli dopo l’arrivo di un’astronave proveniente dalla lontana Terra. Il ricordo del pianeta madre e della sua tecnologia è praticamente svanito. Gli uomini hanno parzialmente preso possesso del loro nuovo territorio, dove regna il fae, una forza primitiva e selvaggia che, a contatto con lo spirito umano, dà vita ai più bei sogni come ai peggiori incubi. Adepti e maghi hanno imparato a manipolare il fae, a loro rischio e pericolo, fra demoni, spettri, apparizioni arcane, combattimenti e duelli magici. Magia contro la magia, quindi, sigilli di protezione ovunque contro le forze oscure che il fae scatena, in particolar modo quando scende la notte e il controllo umano sulle forze di Erna diventa più fragile. Per soccorrere un’adepta, Lady Ciani, vittima

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di una crudele aggressione da parte di creature di oscura provenienza, il Cavaliere della Fiamma e Prete Guerriero Damien Vryce inizia con lei un lungo viaggio per riprendere ciò che le è stato sottratto: il potere magico. Ma il loro cammino s’incrocia con

Lettura: Il cavaliere del Sole Nero


IL CAVALIERE DEL SOLE NERO quello di un’altra inquietante figura: il Cacciatore, mago non-morto dai terribili e oscuri poteri che ha il suo regno nel cuore della Foresta Maledetta (probabilmente una trasposizione molto gotica della britannica New Forest) da lui stesso creata. Il Cacciatore è una singolare forma di vampiro, da vero figlio di Erna non si nutre solo di sangue ma anche di un’emozione umana: il terrore, quello di giovani donne che porta nella sua Foresta, insegue per giorni in una sorta di macabro gioco e poi uccide. Separati da un abisso morale e materiale, Damien e il Cacciatore decidono una strana alleanza, basata sulla consapevolezza di avere un nemico comune; partono quindi verso il regno dimenticato dei Rakh, dove tutto è cominciato, assieme a Ciani e a Senzei, il suo apprendista: li attende una missione in cui l’avvenire stesso dell’umanità (e non solo) su Erna è in gioco. Attorno ad essi un assortimento di Demoni, ostili e non, Divinità minori per tutte le necessità, Succubi e Spettri evocati e banditi, anche con le armi. Il mondo della Friedman appare caratterizzato da una simbologia rovesciata ma realistica e coerente: si parla di Sole Nero e di Fuoco Freddo, di Profeti che diventano angeli caduti, di un mondo in cui una vita forse da incubo sarebbe quella della Terra. Niente è mai uguale o prevedibile su Erna, tranne forse i moti ciclici e lontani del suo Sole, del Nucleo (un ammasso luminoso di stelle) e delle sue tre Lune che si spostano pigramente nel cielo, tutti troppo lontani per essere raggiunti dal potere del fae. Ma quando tutte le fonti di luce spariscono in una specie di periodica eclissi, su Erna domina la Vera Notte e sotto la sua influenza il fae raggiunge l’apice del proprio potere: allora le creature che prosperano nell’oscurità cominciano la loro personale caccia alle “sostanze” di cui si alimentano, sangue, piacere, disperazione o terrore. Contro di loro gli uomini cercano di difendersi evitando le zone oscure e le strade buie, coprono di sigilli intagliati le loro case, pregano e combattono. E danno inevitabilmente vita a nuovi mostri da incubo, perché ogni loro paura si materializza. Poi, al primo apparire della luce, la tenebra e i suoi demoni svaniscono e la vita riprende. Si tratta di un fantasy di struttura e argomento

classici, il tipico “andiamo a salvare il mondo” come tema portante, tuttavia originale per le sue idee di base: in particolare il concetto di “fae”, una sorta di forza primigenia legata ai Quattro Elementi. Per gli Adepti essa costituisce un mondo scintillante sovrapposto a quello reale, fatto di gelidi vapori argentei e roventi ruscelli violetti, echi squillanti e musica cristallina, ombre oscure e abissi rosso fuoco. Il fae è l’anima di Erna, né buona né cattiva, solo estremamente reattiva; pervade ogni cosa ed assume diverse forme, tutte ugualmente potenti: il fae oscuro, il fae delle maree. Il fae della terra, il fae solare…. Non è magia, ma piuttosto il mezzo per crearla: la magia si può dominare, il fae no; occorre essere parte di esso come gli Adepti, o imparare a vederlo, come i Maghi, attraverso gesti e parole rituali. Una volta vincolato, il fae permette ogni tipo d’incantesimo (Visioni, Schermature, Evocazioni, Divinazioni e Sacrifici) perché è in grado di alterare la realtà. Questo è il cardine della forza di Erna: con l’arrivo dei terrestri (i veri alieni), il suo delicato equilibrio, in cui nessuna forza è dominante, viene a contatto con un potere altrettanto grande: quello della mente umana. Il pianeta reagisce violentemente a questa fonte di alterazione, materializzando proprio quello di cui l’uomo ha più paura: i peggiori incubi prendono vita divorando i loro inconsapevoli creatori. Gerald Tarrant, quando ancora è il Neoconte di Merentha, capisce che esiste una sola possibilità per la sopravvivenza della sua specie su Erna: concentrare l’enorme forza psichica umana in un’unica direzione, sviluppando una forma di magia controllata da un principio comune e valido per tutti. Questo catalizzatore supremo è la Vera Fede, retaggio della religione terrestre. Il suo disegno ha successo, nascono la Chiesa e i suoi Patriarchi, ma l’ideatore ne resterà escluso, e ciò che egli stesso ha costruito diventerà un’arma capace di distruggerlo. Particolarmente inquietante è il concetto che traspare da tutto il romanzo: ci si chiede dove in effetti possa arrivare la mente umana, capace di creare dèi e poi distruggerli, manipolare razze e poi sterminarle. Proprio questo scoprirà l’eterogenea compagnia, una volta arrivata in territorio Rakhene: i Rakh, abitanti

Lettura: il cavaliere del Sole Nero

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FANTASY

Lettura

originari e primitivi del pianeta, a contatto con i conquistatori terrestri hanno subito un’evoluzione repentina dallo stadio animalesco a quello umanoide, e per questo sono stati perseguitati e costretti a rifugiarsi in un luogo ritenuto inaccessibile. Ma la contaminazione non è finita, perché anche i Rakh cominciano a produrre i loro demoni che si nutrono proprio dei pensieri umani. L’analisi psicologica dei personaggi è accurata e ingegnosamente mescolata a scene d’azione in cui la violenza è abbastanza esplicita. La narrazione, forse lenta all’inizio, acquista velocemente corposità grazie alle situazioni inaspettate, al linguaggio ad effetto, alla sottile ironia che spezza la tensione e il tono, a volte troppo melodrammatico. Damien Vryce è il classico eroe positivo che combatte con spada e incantesimi; s’innamora di Ciani e decide di salvarla anche a costo di porre in discussione il suo credo. E di perderlo, alla fine. Senzei rappresenta il desiderio irrefrenabile e frustrante di un sapere che non potrà mai appartenergli, neanche a prezzo della vita. Ciani è forse la figura meno espressiva e originale: fragile e insicura dopo la perdita del potere, viene inevitabilmente sedotta dalla personalità oscura del Cacciatore. Hesseth è la donna Rakhene che prova ribrezzo e odio ancestrale anche solo all’odore degli esseri umani, ma diventa loro guida e alleata per la salvezza della propria razza. Tra tutti, la figura più interessante è sicuramente quella del Cacciatore: messo di fronte alla scelta se vivere da entità demoniaca o morire, Tarrant sacrifica la propria umanità in nome dell’immortalità mediante un patto con le più oscure forze di Erna e compie quello che per lui è il Supremo Sacrificio, diventando un simbolo negativo senza apparente possibilità di redenzione. Adepto votato interamente al male, corrompe lentamente le convinzioni del Prete Guerriero, ma a sua volta ne subisce l’umanità. Creatura della notte dai poteri magici quasi illimitati, da vero vampiro non tollera la luce, può mutarsi in animali rigorosamente neri e la sua spada è fatta di fuoco freddo. Non conserva nulla dei suoi sentimenti umani, tranne una sorta di codice d’onore che si riassume in un unico concetto: il mantenimento quasi ossessivo della parola data. Se

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la sua nemesi è il sole, la sua essenza è l’oscurità. È il suo dominio di magia oscura quello che sorge ogni notte come un Sole Nero, un vortice che può essere percepito ma non visto, in cui viene risucchiata tutta la luce del mondo, i colori e il fae: in questo antisole tutto il Potere è concentrato come la materia all’interno di un buco nero. Eppure il Cacciatore è l’unico che conserva il ricordo e forse il desiderio dell’antico mondo perduto, di cui porta l’emblema al collo: la Terra. Il personaggio più negativo e amorale diventa quello per cui, con un certo stupore, alla fine si parteggia. Contro ogni logica, si soffre per lui quando viene torturato e si gioisce quando viene salvato. Il tema della vicenda non è solo la contrapposizione Bene/Male, quindi, ma anche la storia dell’impensabile amicizia tra le due figure maschili che la rappresentano e che da essa sono trasformate. Il rapporto Damien-Gerald viene continuamente messo in discussione: il primo è idealista, coraggioso e votato al bene, l’altro è arrogante, solitario e crudele, ma capace di rischiare la vita in nome di una lealtà che egli stesso vorrebbe negare. Eppure non possono fare a meno di alimentarsi l’uno della personalità dell’altro, perché un’alleanza imprevedibile è spesso la più forte. Alcuni caratteri restano in ombra: la figura del Nemico, il Signore di Lema, è forse poco sviluppata rispetto al demone Calesta suo consigliere, ma il risultato è comunque avvincente. Il romanzo, il primo della trilogia di Coldfire, costituisce un approccio singolare al genere fantasy, e piace per l’impatto d’insieme capace di catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime righe. Si tratta di una storia che offre diversi livelli di lettura, alcuni immediati e di pura evasione, altri più nascosti e complessi, ma tutti affrontati in un modo originale e accessibile.

ANJIINSAN *

Lettura: Il cavaliere del Sole Nero


Miti e leggende

Nicolas Poussin: “Paesaggio con Polifemo”,1648, olio su tela, Hermitage, S. Pietroburgo

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miti e le leggende che costellano la lunga marcia dell’umanità, dalla preistoria fino alla moderna società postindustriale, hanno spesso riguardato esseri infinitamente piccoli o invisibili (elfi, folletti, troll) oppure infinitamente grandi (Giganti, ciclopi). È interessante notare come tali miti, pur nella loro fantasia e a volte manifesta irrazionalità, si siano radicati nell’essere umano quali espressioni di eventi ancestrali, come se l’uomo insomma avesse cercato di rendere razionalmente comprensibili alcuni fenomeni altrimenti inspiegabili. Oltre a rappresentare una “dimensione parallela”, il mito si configura allora quale espressione

Miti e leggende: i Giganti

I Giganti

I GIGANTI

di una delle qualità più eminentemente umane: la fantasia, il potere di sognare e creare, e in qualche modo sostituirsi alla Forza Creatrice in cui ogni uomo crede. Le forze della Terra, nell’immaginario degli antichi, assumevano volti e corpi; uno dei più usati era quello dei Giganti. Essi compaiono nei miti ora come nemici degli Dei, ora come razza che va scomparendo, ora come corpo da cui la vita stessa ha origine. Talvolta i viaggiatori si vantavano di averne visti, e nei loro racconti riportavano avventure incredibili. I crani degli elefanti, sbiancati dal tempo, fa-

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Miti e leggende

Tra i numerosi miti, ci soffermeremo ora su quelli riguardanti i “giganti” nati in un delimitato ambito geografico, il bacino del Mediterraneo. Generalmente, parlando di Mediterraneo, si pensa alle sole civiltà greca e romana, con i loro vastissimi repertori mitici; la mitologia romana è però frutto della commistione tra quella greca e quella italica ed etrusca, e più a ritroso nel tempo non si esclude che uno tra i più antichi cantori del mito greco, Esiodo, nella metà del VII a.C., Diego Velasquez De Silva: “La fragua de Vulcano” sia stato influenzato dalle (La fucina di Vulcano -1630), Museo del Prado, Madrid culture micenee o persiane, per citarne solo un paio, cevano pensare a immani esseri con una sola cavità come si vedrà in seguito a proposito di uno dei suoi oculare... e furono i Ciclopi, compagni di Polifemo. testi più famosi, la Teogonia. Furono Giganti, primi figli degli Dei. Presso gli antichi popoli Italici, in epoca antece«La figura dei Giganti è nata probabilmente da dente all’avvento di Roma, esisteva ad esempio un molteplici rappresentazioni originarie», presume etimo particolare: “Volcanus, Volkanus o Vulcanus”; lo scrittore e divulgatore scientifico Ernst Probst. si ritiene che sia di origine indoeuropea, e veniva asSecondo lui la fonte è da cercarsi «nei criteri di sociato a una divinità messa in relazione col fuoco misurazione assai diversi che esistevano allora, nel vulcanico, se è vero che il suo culto conservava uno vedere in insoliti fenomeni della natura la manife- dei principali centri a Pozzuoli, nei Campi Flegrei stazione di creature dalla forza eccezionale (si pen- (luogo che incontreremo, e non a caso, in uno dei sava che l’avversario sconfitto avesse proporzioni miti più importanti, la Titanomachia), secondo sovrumane: tali concezioni avevano un loro ruolo quanto ci racconta il geografo greco Strabone (64 nelle storie di draghi), forse anche nelle allucinazio- a.C - 21 d.C.). I Romani ereditarono questo culto ni dovute al consumo di droghe». E ancora: «Quasi dagli Etruschi e finirono per identificare questa diogni Paese aveva un tempo il suo Gigante naziona- vinità con il dio greco Efesto. In particolare, a Roma le, che risaliva quasi sempre al ritrovamento di ossa assunse forte rilevanza il culto di Vulcano nel corso di elefanti, la cui vera natura era sconosciuta.». dell’età monarchica, tanto che Servio Tullio – uno

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Miti e leggende: i Giganti


I Giganti tra gli ultimi re – era ritenuto diretto discendente di si ritiene che tali fenomeni dovessero presentarsi in tale dio. numero ed entità maggiori rispetto ai giorni nostri. A loro volta i Greci derivarono il mito di Efesto La combinazione di navigazione a vista e vuldai popoli stanziati in Asia Minore e nelle isole cani deve aver prodotto nell’immaginario dei maCicladi, quindi da una sorgente diversa da quella rinai la credenza nell’esistenza di Giganti, enormi italica del dio Vulcano. È risaputo, infatti, che i po- esseri viventi i cui occhi erano scambiati per quegli poli mediorientali ebbero a che fare con le eruzioni enormi fuochi che ardevano sulle coste. Purtroppo, dei vulcani delle Cicladi e dell’Anatolia. a causa del sincretismo e delle stratificazioni cultuIl tratto dominante dell’area mediterranea, dun- rali succedutesi nel corso dei secoli, non è possibile que, è questa sorta di sincretismo mitologico che gettare uno sguardo unitario sul panorama mitologitrova ragion d’essere in una delle caratteristiche fon- co complessivo dell’epoca: basti citare il caso deldamentali dei popoli stanziati nella zona: la voglia la quasi sconosciuta civiltà micenea, cui subentrò sempre viva di esplorare lo sconosciuto. L’opera di quella ben più famosa dei greci. Certo è che in tutte Omero in tal senso ne è l’emblema. le culture mediterranee esistono riferimenti a culti Il viaggio, lo spostamento, è l’attività privilegia- specifici correlabili a quello primordiale del fuoco ta di questi popoli, di quello greco in particolare; sotterraneo: tra i vari esempi ci sono quello delle viaggi principalmente a scopi commerciali, per apri- Vestali romane, o dell’antichissima dea Hestia nel re rotte più vantaggiose e sicure, e scovare mercati pantheon greco, passata poi in quello romano apvergini dove poter vendere i propri prodotti: nulla punto come Vesta. Il panorama mitologico mediterraneo è strettadi nuovo, in fondo. I viaggi marittimi avvenivano prevalentemente tra la stagione primaverile e quel- mente legato al tema del “fuoco”, inteso come forza la estiva, e in ogni caso era raro che ci Come giustificare fenomeni tanto imponenti e straordinari se non come si allontanasse daleffetti delle ire di creature leggendarie? - particolare dell’Etna in eruzione la costa; accadeva quindi che, durante la navigazione, con un occhio si sfiorasse l’immensità delle acque, ma con l’altro si rimanesse attaccati alla Madre Terra. A questo punto, bisogna considerare un fattore per così dire “geologico” dominante del bacino mediterraneo: la presenza di eventi vulcanici primari (soprattutto) e secondari. Tra il XIV e il VII secolo a.C.

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Miti e leggende

insopprimibile, la quale può essere creatrice o di- Gigante manifestava appunto tale costituzione “vulstruttrice: tra i miti più famosi si possono inserire canica” scagliando massi contro gli intrusi, brucianla distruzione di Atlantide, la guerra fra i Giganti e doli, arroventandosi e stringendoli in un abbraccio Zeus, Prometeo che ruba il fuoco agli dei per darlo mortale, e lui stesso aveva lava al posto del sangue. In mitologia esistono varie storie legate a Talo: agli uomini, il ciclope Polifemo ed Ulisse, la Fucina di Vulcano, fabbro di Zeus, l’Averno e la porta per dovere d’informazione bisogna aggiungere che, degli Inferi, mito vivo addirittura al tempo della oltre ad un Gigante di bronzo, in altre versioni si Commedia dantesca! tramandava che fosse un toro La morte di Talo Anfora Greca In area greca esiste una fabbricato o donato a Minosse leggenda nella quale si vede dal dio Efesto, per custodire riflesso il legame tra evenCreta. Il mito narra che egli ti vulcanici e Giganti: quella compiva tre volte al giorno il che narra del Gigante Talo. Di giro dell’isola, o che visitaquesto mostro si parla sopratva tre volte l’anno i villaggi di Creta, recando tavolette di tutto nelle Argonautiche, poebronzo con sopra incise le legma epico redatto da Apollonio Rodio (290 – 260 ca a.C) in gi; è presente un legame tra Gigante e cupa oppressione, il età ellenistica nel tentativo di che rafforzerebbe l’ipotesi che rivitalizzare un genere oramai agonizzante. Ci troviamo nel nell’immaginario collettivo dell’epoca Talo fosse la percorso del viaggio di ritorno degli Argonauti; Giasone ha sonificazione del vulcano di già raggiunto il suo obiettivo, Santorini, la cui esplosione si recuperare il vello d’oro, ed ritiene abbia avuto conseguenè riuscito a sedurre la maga ze devastanti per la civiltà creMedea (la seduzione era un tese. Un’altra versione ancora racconta che Talo, nella veste tema caro alla cultura ellenistidi Gigante di ferro costruito ca) quando, nei pressi di Creta, si erge innanzi alla sua nave da Efesto, fu da Zeus posto a guardia di Creta quando vi la(l’Argo) un immenso Gigante sciò la ninfa Europa. di bronzo, Talo appunto. La forza vitale di quest’ultimo risiede in un’unica vena Rimanendo sempre nello stretto ambito elleche corre dalla testa alla caviglia, dove è situato una nico, trattando di Giganti non si può tacere circa uno specie di tappo. Il Gigante cerca di staccare delle dei testi sul quale si fondano gran parte dei miti che rocce da scagliare contro l’Argo, ma Medea rie- li riguardano: la Teogonia. Si presenta nella forma sce, con le sue arti magiche, a provocargli visioni tradizionale dell’epoca, il poema, ed è composta di malefiche, che gli fanno perdere l’equilibrio; nella 1022 esametri epici: con quest’opera Esiodo tenta caduta la caviglia si scalfisce, determinando la rot- di ordinare l’immensità del materiale tradizionale e tura della vena cosi che il sangue inizia a sgorgare a popolare che circolava fin dalla notte dei tempi cirfiotti. Talo si abbatte morto sulla riva. ca la generazione degli dèi e l’origine dell’UniverApollonio usa il mito come semplice spunto nar- so. Per dare un esempio della diversità che si poteva rativo (retaggio anche questo della cultura ellenisti- riscontrare nei miti, basti ricordare che per Esiodo ca) ma le informazioni riguardanti Talo sono nume- la coppia di divinità generatrici è rappresentata da rose, e in genere riconducibili a eventi vulcanici: il Gea e Urano – scelta obbligata per chi intendesse

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I Giganti presentare una sistemazione razionale del materiale che si apprestava a trattare argomenti mitologici (e mitologico; quale coppia migliore di “Terra/Cielo? sicuramente ce ne saranno molti le cui opere sono – mentre per Omero, (il quale, da alcuni passi del- perdute) si nota un’estrema libertà nello scegliere o tralasciare fatti e personaggi. Va presa con le pinze la definizione di Erodoto (480 – 430 a.C. ca) “pròtoi heuretaì” dedicata ad Esiodo e Omero, che tradotta suona quasi come “primi scopritori” [delle cose relative agli dei]. Infatti, il progresso degli studi e le più recenti scoperte archeologiche hanno permesso di capire quale ingente quantità di materiale cosmologico vi fosse alle spalle di Esiodo, materiale risalente per lo più a civiltà anteriori e diverse da quella greca (quella del Vicino Oriente per esempio), e poi passato nella civiltà ellenica per quel fenomeno di sincretismo già accennato prima. Bisogna ricordare che lo stesso Esiodo era figlio di un colono che aveva abitato per lungo tempo a Cuma, una città affacciata sulla costa dell’Asia Minore; inoltre il poeta era originario della Beozia, regione che in tempi anteriori era stata il maggior centro di sviluppo della cultura micenea. È interessante osservare come, nella Teogonia, Esiodo abbia in un certo modo Annibale Carracci: “Polifemo” (1597 - 1601), “classificato” i Giganti in affresco, Palazzo Farnese, Roma varie stirpi, tutte discendenti dalla coppia Urano-Gea; i due procrearono dapprima i l’Iliade, pare essere a conoscenza di cose relative Titani: “l’Ocèano profondo, e Coio, Crio, Giapèto, agli dèi che però non sembra aver avuto interesse a Mnemòsine, Tèmide, Rea, Iperïone, Tea, l’amabile trattare nella sua narrazione), tale coppia è rappre- Tètide, e Febe dalla ghirlanda d’oro” e il più imporsentata da Oceano e Teti. Dunque, in ogni autore tante di essi, “il fortissimo Crono… di scaltro consi-

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solamente un occhio avevano in mezzo alla fronte ed ebbero quindi il nome di Ciclopi”. In età arcaica i mitografi distinguevano a loro volta tre stirpi di Ciclopi: i figli di Gea e Urano, appartenenti alla prima generazione di giganti; i Ciclopi “costruttori”, artefici di tutti quei monumenti presenti in Grecia o in Sicilia formati da blocchi di pietra così giganteschi che non erano creduti frutto di attività umana (da qui le “mura ciclopiche”); infine, i Ciclopi “siciliani”, resi famosi dalla letteratura greca, quella omerica in particolare (ad esempio Polifemo). Si diceva che essi occupassero le zone più calde dell’Etna, gli antri più inaccessibili e sperduti della Sicilia e delle Eolie, e che fossero, agli ordini di Efesto, i fabbri degli dèi ai quali procuravano le armi. Relativamente al legame dei Ciclopi con il fuoco, bisogna aggiungere che nella Grecia primitiva esisteva una sorta di “corporazione” dei mastri fabbri ferrai, i quali portavano tatuati sulla fronte dei cerGiulio Romano: “La caduta dei Giganti”, 1531-34, chi concentrici, simboli del Sole affresco, volta “Sala dei Giganti”, Palazzo Te, Mantova e del fuoco. Nell’immaginario collettivo, dunque, il simbolo del glio, fra tutti i figliuoli il piú tremendo; e d’ira terri- tatuaggio (che poi diventò l’unico occhio centrale) bile ardea contro il padre”. Il motivo di tanto odio è si legò quindi indissolubilmente al “fuoco”. Mi sembra opportuno evidenziare due importanpresto detto, e ce lo narra lo stesso Esiodo: “Uràno come nascevano, tutti li nascondeva giú nei bàratri ti conseguenze legate al mito dei Ciclopi: in primo luogo si deve rilevare ancora una volta la relazione bui della Terra, non li lasciava a luce venire”. La seconda stirpe è quella dei Ciclopi (propria- “vulcanica”, poiché essi abitavano in caverne sotmente dal greco kuklops = dall’occhio rotondo): terranee, dove i colpi delle loro incudini e il loro “…[Gea] generava [i Ciclopi] dal cuore superbo, ansimare faceva brontolare appunto i vulcani della Stèrope, Bronte, ed Arge dal cuore fierissimo: il tuo- zona, mentre il fuoco della loro fucina arrossava la no diedero questi a Giove, foggiarono il folgore… cima dell’Etna. Inoltre, c’è uno stretto legame tra

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Francisco José de Goya y Lucientes “Coloso”, 1808/12, olio su tela Museo del Prado, Madrid Ciclopi e Natura che sarà avvertito in maniera particolare in età ellenistica, quando l’imponente fenomeno di inurbamento spinse autori come Teocrito (315 – 260 ca a.C.) a riscoprire i valori della natura, seppur in un’atmosfera sognante e idealizzata (insomma, ben lontana da quella delle Georgiche virgiliane). Proprio a questo autore, ad esempio, si deve un idillio incentrato sulla figura di un Ciclope, innamorato della bella Galatea, che tuttavia non riesce a conquistare pur sfoderando tutte le sue arti “seduttive”; si assiste, insomma, ad una profonda frattura, ormai consolidata, tra mondo cittadino e

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naturale. La terza stirpe di Giganti figli di Gea e Urano furono gli Ecatonchiri: “…Cotto, Gía, Briarèo, figliuoli di somma arroganza. Ad essi cento mani spuntavan dagli òmeri fuori, indomabili, immani, cinquanta crescevano teste fuor dalle spalle a ciascuno…” Oltre alla versione mitica, bisogna registrare anche la posizione assunta dai cosiddetti “evemeristi”, seguaci cioè della teoria portata avanti dal filosofo Evemero di Messene (III a.C.): secondo questi, gli dèi altro non erano che uomini leggendari (come potevano essere, per i Romani, Muzio Scevola o la guerriera Camilla) realmente esistiti e divinizzati dalla fama popolare. Secondo tale ottica, dunque, gli Ecatonchiri erano uomini che, in un tempo lontanissimo, avevano occupato la città di Ecatonchiria e avevano porto il loro aiuto agli abitanti di Olimpia (gli olimpici) nella guerra per cacciare i Titani dalla regione. Ovviamente, non si tardò ad accusare chi appoggiava le tesi di questa vera e propria ”filosofia della storia” quali propugnatori dell’ateismo. Lo stato di equilibrio tra queste tre stirpi venne rotto ad opera del Titano più intraprendente, Crono, alleatosi con la madre Gea (disperata per la sorte dei propri figli) contro il padre Urano. Gea gli offrì lo strumento: “generò del cinerèo ferro l’essenza, una gran falce…” ma lo spirito vendicativo e punitivo era tutto di Crono: “O madre, io ti prometto di compier l’impresa ché nulla del tristo mio padre m’importa: ché egli ai nostri danni rivolse per primo la mente”. La ribellione di Crono segna l’inizio di quell’immane lotta che prende il nome di “Titanomachia”, una guerra combattuta tra generazioni successive di Giganti (Urano, Crono,

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Zeus) per la conquista del potere sull’Universo. La evirò il padre, lasciando che i genitali cadessero detronizzazione di Urano avvenne in maniera molto nel mare (e da qui prende avvio il famoso mito di cruenta: con la falce prodotta dalla madre, Crono Venere nata dalla spuma del mare). Dopo aver precipitato negli Inferi i fratelli Ciclopi ed Ecatonchiri, ed essersi congiunto con la sorella Rea, Crono ottenne il pieno potere; siamo nel pieno della seconda generazione di Giganti. Ben presto, però, Crono cadde nella cattiva usanza di divorare i propri figli, indotto a ciò dalla predizione dei genitori – depositari di saggezza e conoscenza – secondo cui egli era destinato a venire a sua volta deposto da un figlio: “…aveva saputo dalla Terra, da Uràno fulgente di stelle, che era per lui destino soccombere al proprio figliuolo.” In tal modo, a mano a mano che Rea generava i figli, Crono“…l’inghiottiva, come ciascuno dall’utero sacro su le ginocchia della sua madre cadesse…”, e questa fine fecero Estia, Demetra, Era e Ade. In una società patriarcale, quale doveva essere quella greca dell’epoca, il timore di venire spodestati dai propri figli doveva essere molto sentito, tanto da aver prodotto una mitologia incentrata proprio su tale “pratica”. In tempi più recenti il tema è stato efficacemente trattato da Goya attraverso un affresco eseguito nella fase terminale della sua carriera, nella “Quinta del Sordo”: mi riferisco a “Saturno che divora uno dei suoi figli”(1821 – 1823), esposto ora al museo del Prado, a Madrid. Tale affresco è stato riconosciuto dai critici quale emblema della disperazione e della più cupa bestialità del potere che non esita a compiere l’atto più vile per un genitore pur di mantenere il predominio. Con la nascita di Zeus si giunse al Francisco José de Goya y Lucientes: momento della definitiva resa dei con“Saturno mangia uno dei suoi figli”, 1821-1823, ti e allo spiegamento della terza geneMuseo del Prado, Madrid razione di Giganti. Rea, in procinto

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di mettere al mondo Zeus, l’ultimo dei suoi figli, su suggerimento dei genitori Gea e Urano fuggì a Creta, dove partorì; in seguito presentò a Crono una pietra avvolta di fasce, che egli prontamente divorò senza accorgersi dell’inganno. A tal proposito, Esiodo ci dice: “…concertarono insieme quanto era segnato dal Fato… la mandarono a Litto, fra il popolo ricco di Creta… [Rea] lo nascose in un antro inaccesso, con le sue mani, sotto santissimi anfratti terrestri… una gran pietra ravvolta di fasce, la porse all’Uranide [figlio di Urano] grande…con le sue mani quello la prese, la cacciò nel ventre, né gli passò per la mente [che] era rimasto immune dal danno l’invitto suo figlio, che con le forti sue mani doveva ben presto domarlo…” Ecco come ha origine la terza generazione di Giganti, quella che avrà più fama nella mitologia

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greca: la stirpe Giant’s Causeway, olimpica. Ben particolare. presto, infatti, la Titanomachia entrò nella sua fase più dura e violenta, lo scontro tra Zeus e gli alleati Ciclopi ed Ecatonchiri, liberati dalla prigione in cui li aveva gettati il fratello(“del suo beneficio poi memori furono sempre”) contro Crono unitosi ai fratelli Titani. Il mito racconta che Atlante e suo fratello Menezio si coalizzarono con Crono (il “tempo”, ovvio nemico degli dèi immortali) ed agli altri Titani nella loro guerra contro gli dei dell’Olimpo. Da parte sua, Zeus, tramite una pozione, indusse Crono a vomitare i figli divorati in precedenza, i quali divennero i suoi alleati più forti. “E Giove non frenò la sua furia, ma subito il

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FANTASY cuore a lui di negra bile fu colmo; e di tutta la forza sua fece mostra…” dice Esiodo. La lotta durò dieci anni, e vide alla fine vincere Zeus e i suoi alleati in accordo al responso di un oracolo, il quale gli aveva predetto che sarebbe riuscito vincitore se avesse liberato i fratelli di Crono – Ciclopi ed Ecatonchiri – imprigionati nel Tartaro. Anche in tale mito è ravvisabile un legame con eventi vulcanici, basti pensare al modo in cui combattevano Zeus e i suoi: “…ben trecento massi lanciavan dai pugni gagliardi sempre via via piú fitti, copriano i Titani con l’ombra dei colpi…”, terribilmente simile ad un’esplosione vulcanica. Inoltre il mito narra che la battaglia decisiva si svolse nel cielo sovrastante la già citata area vulcanica dei Campi Flegrei. Al fatto che gli eventi naturali, che all’epoca sferzavano l’area mediterranea, col tempo non si

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attenuarono, è probabilmente legata l’ultima prova che gli olimpici dovettero sopportare. Il mito prosegue narrando, infatti, la nascita di 24 nuovi Giganti, figli della Terra, nei pressi di Flegra, in Tracia (zona caratterizzata non casualmente dalla presenza di vaste distese ignee) che avrebbero nuovamente dato l’assalto al cielo degli dei, per vendicarsi di Zeus. Ognuno di tali Giganti venne sconfitto e sepolto vivo sotto i massi scagliati da Zeus o da qualche altro dio olimpico. Il legame più evidente con l’attività vulcanica si nota osservando i luoghi in cui tali Giganti vennero sepolti: Tifone o Encelado nell’Etna, Tifeo a Ischia, altri sotto i Campi Flegrei. Veduta d’effetto della “Danza dei giganti” coperta dalla neve.

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I Giganti Nicolai Abraham Abilgaard: “Ymer og Audumla”, 1790, olio su tela, Statens Museum fur Kunst, Copenhagen.

Dunque anche nella “Titanomachia”, uno dei miti più famosi e importanti legato ai Giganti, s’intravede riflesso il legame tra leggenda e attività vulcanica, evidente nel modo di affrontare la battaglia (con il lancio di massi e tizzoni ardenti) oppure nella scelta dei luoghi chiave, devastati da cataclismi vulcanici. Esiste, per la precisione, anche una versione differente del mito, elaborata secondo interpretazioni orfiche, seguendo la quale si assiste ad una successiva riconciliazione tra Zeus e Crono, con quest’ultimo che assume la veste di re buono e magnanimo. In ambito latino, Crono passò come Saturno (divinità tipicamente italica, cui è legato anche un particolare metro arcaico della latinità, il saturnio appunto) con una propria importanza: era usanza, infatti, porre in Campidoglio, come buon auspicio, il trono di Saturno, creduto opera diretta di Romolo. Presso i Celti e nelle leggende nordiche i ritrovamenti dell’agire dei Giganti, più che ad ossa di elefanti, erano probabilmente legati all’esistenza dei dolmen, o all’attività degli elementi naturali (solo degli esseri eccezionali potevano rappresentare il lavorio delle forze che muovono la Terra). In Irlanda un’intera area, la Giant’s Causeway, si ritiene sia stata costruita dal leggendario Gigante Finn MacCool per permettere ad un Gigante scozzese, Benandonner, di raggiungere la terra d’Irlanda

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e sfidarlo. Secondo altre fonti, Finn avrebbe costruito il ponte per raggiungere la donna amata attraverso il mare. Una serie di lunghe colonne di basalto s’innalza dal terreno, lungo la costa, e pare tendere verso terre lontane. La zona, creata da una catena di eruzioni vulcaniche e dall’erosione del mare in milioni di anni, è tuttora meta di turisti. Anche nell’Edda, saga nordica per eccellenza che fu messa per iscritto nel primo Medioevo, troviamo presenza dei Giganti. I Giganti nordici sono assimilabili per alcuni profili ai Titani delle leggende mediterranee (ad esempio anch’essi sono collegati all’elemento fuoco), per altri sono invece più simili ai Troll. L’inizio dei tempi è scandito dalla nascita di due esseri, uno dei quali è Ymir il Gigante. Da Ymir discende una razza di giganti, e solo in seguito la razza degli uomini. Tra uomini e Giganti, malvagi di natura, nasce una lotta vinta dai primi e dai loro Dei. Dal corpo di Ymir, Odino e i suoi fratelli creano il mondo: dalla carne la terra, dal sangue mare e fiumi, dalle ossa le montagne, dai capelli gli alberi, dal cranio la volta celeste e dal cervello le nuvole. Il rapporto tra uomini e Giganti è raramente pacifico; come gli antichi dèi (Zeus, Odino) così gli eroi delle leggende bretoni e scozzesi affrontano i Giganti come nemici, sconfiggendoli più spesso con l’astuzia che non con la forza. In Scozia, due Giganti del Loch Shiel vengono gabbati da un uomo: con la scusa di stabilire chi sia il più forte tra loro, vengono convinti a lanciare le rocce di un glen, un appezzamento di terreno, il più lontano possibile. Gli sciocchi finiscono poi per perdersi per sempre agli estremi del mondo, una volta giunto il momento di recuperarle, lasciando agli uomini un campo eccezionalmente privo di rocce.

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Promessa, trovano a Rabbath il letto di ferro di un Gigante scomparso, “era lungo nove cubiti e largo quattro...”, o li incontrano: “vedemmo i giganti i figli di Anak che discendono dai giganti e ai nostri occhi noi eravamo di fronte ad essi come dei grilli – ed ai loro occhi eravamo come dei grilli”. In Genesi 4,1.4: “in quel tempo sulla terra vi erano dei Giganti ed in seguito quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini ed ebbero dei figli, questi figli divennero uomini potenti e furono celebri eroi nell’antichità”. Senz’altro il più famoso tra i Giganti biblici è Golia, e la sua vicenda diviene il simbolo della vittoria del bene sul male, dell’astuzia sulla forza violenta. Benché non altrettanto celebre, Og è un altro dei Giganti citati nella Bibbia meritevole di richiamo. Mosè lo sconfigge durante la conquista di Canaan, e secondo la mitologia ebraica esso faceva parte dei numerosi Giganti antidiluviaCaravaggio: “Davide e Golia”, 1600, olio su tela, ni, l’unico a sopravvivere Museo del Prado, Madrid al diluvio perché l’acqua gli arrivava appena fino alle ginocchia. Dietro alla costruzione dei maggiori cerchi di Un altro episodio biblico narra che nei dintorni pietre ci sono leggende di Giganti: di fronte a quei massi colossali infissi nel terreno, ci si chiedeva di Ebron vivesse una stirpe di Giganti, discendenti quali forze immani fossero state in grado di erigere da Anak: gli Anakiti. Tre figli di Anak (Achiman, tali opere. Lo stesso cerchio di Stonehenge viene Sesai e Talmai) gettarono nel panico gli israeliti durante il loro cammino verso la Terra Promessa. chiamato “danza dei giganti”. Anche la Bibbia parla spesso di Giganti. Nel Probabilmente da questi Giganti prendono il nome “Deuteronomio” gli Ebrei, giunti nella Terra quelli che nel mondo greco erano venerati come

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I Giganti stirpe di dèi e di antichi re, gli anachi. In Austria e in Germania i Giganti si muovono in selve, grotte e boschi. Aimone, ad esempio, era un gigante che aveva dimora vicino alle sorgenti del Reno. Scontratosi con un suo simile di nome Tirso, che abitava la valle dell’Inn, l’aveva ucciso. La cosa non era piaciuta agli abitanti locali, tant’è che Aimone fu costretto a riparare al proprio misfatto affrontando una creatura mostruosa che funestava la zona. Il Bayernkonigsloch (tana dell’imperatore bavarese), una località situata nel nord del Tirolo, secondo alcune leggende locali deve il suo nome ai Giganti che avevano cura di sorvegliare «l’ingresso ai padiglioni dell’imperatore». Molte leggende narrano di Riibezahl, il genio del monte dei Giganti, che aiutava i viandanti ma si vendicava senza pietà di chi osava dileggiarlo. Nelle saghe del Reno i Giganti sono numerosissimi. Un Gigante di nome Tannchel avrebbe fatto saltare le rocce che facevano ristagnare le acque del Reno nella zona della Foresta Nera.

Cronache medioevali infine raccontano che l’imperatore Massimiliano in persona abbia sconfitto l’ultimo Gigante dell’Odenwald, in un torneo svoltosi nella città di Worms, situata sulla riva occidentale del Reno. In epoca medioevale un uomo particolarmente grosso e alto non poteva che far pensare ai caratteri del mito. Non c’è area del mondo conosciuto in cui i Giganti non abbiano avuto un qualche ruolo. Espedienti nella crescita del personaggio, o spiegazione di fenomeni inspiegabili, queste leggende sorgono dappertutto, perfino in America Latina (alcuni studiosi parlano a riguardo di una razza vera e propria, teorizzandone l’esistenza... in qualche luogo). Il Gigante pare dunque rispondere ad un’esigenza umana, quella di dare alla natura un volto razionale simile a quello umano. Un archetipo quindi, un mito per spiegare quanto non è o non era possibile spiegare.

ELFWINE - SELENA M. *

CREDITS Vulcano (pag. 70): http://www.bramarte.it/ Polifemo (pag. 73): http://www.umich.edu/~homeros/ Paesaggio con Polifemo (pag. 69), La Caduta dei Giganti (pag. 74), Coloso (pag. 75), Davide e Golia (pag. 80): http://www.wga.hu/ Talos (pag. 72): http://www.aksityayincilik.com/mitolojigaleri2.htm Saturno Goya (pag. 76): www.utexas.edu/courses/ mymyth/terms3.html Giant’s causeway (pag. 77): http://home.comcast.net/~hories/Ireland/Portrush/Portrush.html Stonehenge (pag. 78): http://www.mythicalireland.com/ancientsites/stonehenge/irelandstonehenge.html Eruzione etna (pag. 71): www.decadevolcano.net/ photos/etna0904_1.htm Ymer (pag. 79): http://www.bifrost.it/

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STORIA E CULTURA

FANTASY

Storia e cultura

Storia e fantasy: un connubio possibile, auspicabile... ma non assoluto

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aques Le Goff, noto studioso del medioe- l’elemento magico. È dunque possibile, mi vo, in un importante saggio (J. LE GOFF, chiedo, che anche queste opere possano avere Storia e Memoria, pp. 36-37) distingue, per una valenza didattica, come il romanzo storicosì dire, i romanzi storici di contesto da quel- co? E possiamo applicare le categorie interpreli che, in un certo qual modo, si avvalgono di tative di Le Goff a questi romanzi? Sulla prima una piega secondaria degli avvenimenti. Cosa domanda, mi riservo di rispondere in seguito, significa tutto questo? Cercherò di spiegarlo... mentre vorrei immediatamente affrontare il seLo storico francese, appartenente alla scuo- condo quesito con esempi concreti. Inizierei la dei Les Annales, vede gli avvenimenti del la mia disamina citando due autori americani, passato non nell’ottica di una sequela di episodi Gemmell e H. Turtledove. Gemmell ci rapprebellici, ma come un complesso viluppo di feno- senta, nel ciclo di Parmenion, la Grecia a cavalmeni economici e sociali. Un romanzo di “con- lo tra il IV-III secolo a.C. in modo abbastanza testo” avrà quindi il compito di ricostruire tutta fedele e sceglie di incentrare la narrazione sul questa serie di fenomeni proponendo al letto- misconosciuto generale macedone Parmenione re una immagine realistica di una società del di cui le fonti non ci hanno lasciato molte informazioni. Parmenione, dunque, passato. Una simile rappresenALL’INTERNO DEL GENEdiventa un esule spartano altazione potrà, secondo Le Goff, portare anche a creare sviluppi RE FANTASY, ASSAI MUL- l’interno della vicenda gemmelstorici inediti, purché coerenti TIFORME PER DEFINIZIONE, liana, e verrà coinvolto in tutti con il substrato socio-econo- ALCUNI SCRITTORI SI SONO i principali avvenimenti della mico evocato dallo scrittore. CIMENTATI NELLA NARRA- storia greca: la vittoria tebana di Leuttra, l’ascesa di Filippo Per converso esistono invece ZIONE “STORICA”. il Macedone, l’affermazione di romanzi storici che, pur rimanendo fedeli alle vicende passate, ne sfruttano Alessandro Magno. Particolarmente interesi lati oscuri, le pieghe nascoste o incentrano la sante appare l’interpretazione di quest’ultima narrazione su personaggi secondari citati o ad- figura, eroe combattuto tra istanze orientali e dirittura non presenti nelle fonti a noi giunte. tradizione occidentale nella realtà e che è, inLe Goff, tuttavia, dà a questo tipo di romanzi vece, visto nell’opera di Gemmell come domiun valore minore dal punto di vista didattico es- nato da un’entità demoniaca. Credo, nonostante sendo egli stesso portato, come si diceva, a pre- le doverose concessioni alla fantasia, che questi scritti possano essere considerati romanzi ferire il contesto agli avvenimenti tout court. All’interno del genere fantasy, assai multi- di contesto. Un contesto che, presentato con forme per definizione, alcuni scrittori si sono coerenza e dovizia di particolari, può non solo cimentati nella narrazione “storica”. In questi donare realismo all’intera vicenda, ma anche romanzi l’aspetto “fantastico” è legato a una fungere da viatico per approfondire un particomarginale e spesso secondaria comparsa del- lare periodo storico. La curiosità spingerà, in-

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Storia e cultura: Ucronie


Ucronie

DAVID GEMMELL fatti, il lettore a documentarsi, a verificare con mano i particolari storici descritti dal romanziere. E qui veniamo all’aspetto “didattico” che, a mio parere, può e, perché no, deve essere perseguito dall’autore. Per Turtledove il discorso appare più complesso: applicherei, infatti, la definizione di storia di contesto per il suo “Ciclo della Legione”, interessante e inedito esperimento di connubio tra Romani di età repubblicana e Bizantini (alias Videssiani). La stessa cosa farei, più generalmente, per i romanzi legati al mondo di Videssos, dove si ripercorrono quasi pedissequamente vicende e situazioni politiche legate al mondo bizantino. Il “Ciclo dell’Oscurità”, invece, pur ricalcando in molte delle sue vicende la storia della Seconda Guerra Mondiale non può certamente essere considerato “storia di contesto”, né può avere quel valore didattico di cui si accennava in precedenza. Le altre opere di Turtledove, mi riferisco alle ucronie pubblicate e non pubblicate in Italia, mi permettono di parlare di questo inedito e interessante filone a cavallo tra fantasy e fantascienza. Possono, dunque, le opere ucroniche essere considerate “storie di contesto”? In un certo senso sì, ma nello stesso

Storia e cultura: Ucronie

HARRY TURTLEDOVE tempo sarei assai restio ad attribuire a queste opere una qualsivoglia valenza didattica. Il fatto stesso di proiettare il contesto nel futuro o nel presente, permette allo scrittore troppe libertà, troppe interpretazioni arbitrarie di quel substrato politico sociale appartenente al passato a cui si è ispirato. Infine, cosa più importante, l’ucronia parte da un presupposto inaccettabile dal punto di vista storico: non si può, infatti, enfatizzare eccessivamente l’importanza di un solo evento. Cosa sarebbe successo se i Francesi non avessero perso a Waterloo? Con ogni probabilità avrebbero soltanto rinviato l’inevitabile sconfitta, essendo l’esercito francese assai provato dopo la catastrofe russa. Insomma, difficilmente nella storia recente e passata si possono identificare episodi davvero risolutivi per lo svolgimento generale degli avvenimenti, né possiamo azzardare interpretazioni o prognosi troppo ardite a riguardo. Un antico adagio, mai venuto meno, afferma, infatti, che la storia non si fa con i se e i ma.

STEFANO BACCOLINI *

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FANTASY

Cinema

LADYHAWKE

- UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL FILM -

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orre l’anno 1239. Ci troviamo nella cittadina di Aquila (in alcune traduzioni riportata come Avignone); attraverso i labirinti fognari, il giovane ladruncolo Philippe Gaston (Matthew Broderick) riesce a scappare dalle locali

In alto: Phillipe (M. Broderick) evade dalle prigioni di Avignone... Sotto: ...ma viene catturato dalle guardie, e sta per essere ucciso.

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prigioni, sfatando una leggenda che le voleva a prova di evasione. Braccato dalle guardie del Vescovo di Avignone, riesce a salvarsi solo grazie all’intervento di Etienne Navarre (Rutger Hauer), solitario e misterioso cavaliere che non tarda a rivelare i propri scopi: usare le doti dell’abile Philippe per entrare di nascosto in Avignone e compiere una vendetta. La sua storia inizia due anni pri-

ma, quando, Capitano delle Guardie innamoratosi (ricambiato) dell’incantevole Isabeau d’Anjou – Isabella d’Angiò – (Michelle Pfeiffer), è costretto a fuggire con lei per sottrarla alle ossessive e sacrileghe attenzioni del Vescovo in persona, follemente stregato dalla bellezza della giovane. Tremenda allora la maledizione lanciata su di loro dall’ecclesiastico, e sostenuta da un patto scellerato con le più empie forze delle tenebre: dall’alba al tramonto lei sarà un bellissimo falco, e lui, dal tramonto all’alba, un temibile lupo nero, almeno “fino a quando esisteranno il giorno e la notte”. Costretto al seguito di Navarre, Philippe ne scoprirà gradualmente il segreto, divenendo suo malgrado intermediario tra i due sfortunati amanti. Quando, nel corso di uno scontro con gli implacabile armigeri del Vescovo, il falco/Isabeau

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LADYHAWKE viene colpita quasi a morte da una freccia, sarà lo stesso Philippe a salvarla, portandola dall’unica persona in grado di curarla e nasconderla: Imperius, il prete che, in preda ai fumi dell’alcool, aveva a suo tempo tradito il segreto del loro amore denunciandolo al Vescovo nonostante il vincolo della confessione. Roso dal rimorso, proprio Imperius rivelerà l’esistenza di una via di salvezza per i due amanti: da lì a tre giorni, “un giorno senza notte ed una notte senza giorno” avrebbe finalmente permesso loro di affrontare il Vescovo come uomo e donna, e spezzare così la maledizione. “Sempre insieme eppure eternamente divisi” è forse la frase più suggestiva che riassume la vendetta del Vescovo. Nel film, divenuto ormai un classico, sono affrontati diversi aspetti del lato umano, estremizzati in caratteri ben riusciti che lo rendono una favola da non perdere. La Chiesa ne esce sconfitta nei suoi personaggi: il Vescovo, odiato e temuto perfino dal papa (al tempo Gregorio IX), è un essere malvagio, corrotto dal potere, incapace di amare veramente, e ossessionato da una passione morbosa e proibita; il prete Imperius impersona il vizio, ubriacandosi, lodando i piaceri della gola e tradendo la segretezza del confessionale. Lui si redimerà, cercando di porre rimedio al male che lui stesso ha causato. Sotto l’aspetto della fede, il film ribadisce come la società dell’epoca avesse plasmato la propria cultura attorno alla religione. Perfino il ladro Gaston si rivolge spesso a Dio, seppure in modo ironico, affermando alla fine: “I migliori risultati li ho ottenuti con le bugie”. I frequenti

colloqui del ladruncolo con L’Ente Supremo riempiono in modo divertente alcuni tempi morti del film. Navarre è il tipico Eroe Combattente, che vince ogni scontro, impavido e risoluto in ogni situazione, abituato a comandare più che a chiedere, un “principe” dagli occhi di ghiaccio, che tuttavia si scioglie fatalmente di fronte a Isabeau, la dolce e incantevole “principessa” che ogni favola deve avere. La spada di Navarre rappresenta un piccolo anacronismo nel film: ha una foggia successiva al XIII secolo, periodo in cui si svolge la vicenda. È una lama che ha servito la famiglia Navarre senza mai perdere uno scontro, ed è legata ad un voto che obbliga ogni suo possessore a compiere un grande gesto, testimoniato da una gemma incastonata nell’elsa: c’è ancora

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un incavo vuoto, che spetterà a Navarre riempire. Nel film si dice che la spada appartiene alla famiglia da cinque generazioni, ma solamente il padre di Navarre ha incastonato una pietra prima di lui; oltre a quella ve n’è infatti solo un’altra che simboleggia il legame della famiglia con la Chiesa Cristiana di Roma. Una piccola imprecisione, quindi: una sola pietra, un solo atto eroico in cinque generazioni. Anche la balestra è decisamente poco comune: è un’arma a due colpi di una precisione alquanto irreale. Isabeau è bellissima e chiunque l’abbia conosciuta se ne è innamo-

In alto: Navarre (R. Hauer) alle prese con le guardie del Vescovo. Sotto: Navarre spiega a Philippe la storia della spada di famiglia.

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Sopra: il Capitano delle guardie (K. Hutchison) informa il Vescovo (J. Wood) del ritorno di Navarre. rato. Ospite dalla cugina ad Avignone per sfuggire alle lotte che impegnavano la famiglia d’Angiò, è una creatura dolce che vive nella speranza di una vita normale. Fragile nell’aspetto ma al tempo stesso coraggiosa e determinata nel carattere, non demorde mai, non si abbatte, trova sempre il momento per un sorriso o una parola gentile. La sua

Sotto: Navarre e il falco si apprestano a trascorre la loro misteriosa notte.

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prima apparizione è di grande effetto: è notte e Gaston prende la balestra per uccidere il lupo nero, senza sapere che si tratta di Navarre… Lei allora si frappone, apparendo per la prima volta in forma umana, avvolta nel mantello che divide con il suo uomo, mostrando il suo viso candido e bellissimo, messo in risalto dall’ombra scura del cappuccio. La fede di Isabeau in Navarre è incrollabile, come pure il suo amore, accetta senza dubbi o rimorsi ogni decisione del compagno, anche la più estrema. Philippe Gaston è il ladro simpatico e scanzonato, capace di trovare il lato ironico in ogni situazione, e timorato di Dio solo quando “gli fà

comodo” esserlo. Agile e determinato, affronta ogni situazione trovando nella semplicità il suo modo di essere. Senza ombra di dubbio è lui il personaggio principale intorno a cui ruota l’intera storia. Tutto inizia con la sua fuga, e il suo incontro con Navarre, prosegue con la sua opera di mediazione, con i messaggi inventati che riporta ai due amanti per farli sentire più vicini, con le sue prodezze coraggiose che salvano loro ripetutamente la vita… E termina con lui che abbraccia i due innamorati, finalmente liberi. Alcune incongruenze nello svolgersi della vicenda riguardano due scene in particolare. Nella prima, si possono individuare due sequenze “anomale”: il falco (Isabeau) è stato ferito in un’imboscata e Philippe cavalca per un tempo imprecisato (ma di certo non breve) per raggiungere le rovine del castello di Imperius. Navarre viene lasciato sul luogo dell’agguato e raggiunge anche lui il castello il giorno seguente, dopo aver viaggiato presumibilmente sotto forma di lupo con spada e balestra… Arriva in tempo per salvare Gaston dalle guardie scoccando una

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LADYHAWKE freccia da una distanza abbastanza inverosimile. Nella seconda sequenza, contemporanea alla prima, Gaston e Isabeau, ferita, hanno passato la notte nel castello: la mattina seguente, all’arrivo delle guardie, i due fuggitivi salgono sull’unica torre ancora intatta, ma qui la luminosità è troppo chiara e prolungata per essere l’alba. Questo piccolo paradosso è tuttavia necessario per creare la scena ad effetto in cui Michelle Pfeiffer cade dalla torre proprio quando il primo raggio di sole la trasforma in falco, permettendole di salvarsi la vita. L’altra pecca riguarda la scena finale, più per contenuto che per forma: Navarre entra e ingaggia un duello con il soldato che ha preso il suo posto come Comandante delle Guardie: il combattimento è per lo più “uno ad uno”, tipico di stili come quello greco, non certo medioevale. Nessuno osa muoversi, nessuno va a chiamare il drappello di soldati che Navarre supera prima di entrare in città, e, perfino quando il Vescovo viene ucciso, nessuno dei molti uomini di chiesa presenti muove un dito: si arriva così alla scena finale in cui Navarre solleva Isabeau tra le sue braccia sotto gli applausi di tutti. Se si dà per sconato che nessuno conosca la storia della maledizione, appare allora piuttosto irrazionale una trama in cui un uomo entra in chiesa durante la funzione, attacca le guardie, uccide il Vescovo, e per questo viene applaudito. La colonna sonora, molto suggestiva e coinvolgente, anche se poco medioevale, è stata composta da Andrew Powell. Al film sono state riconosciute due nomination agli Oscar, per i migliori effetti visivi e

fantasy in cui si svolge la storia di Ladyhawke, in un sapiente gioco di ombre e luci, grandi e piccoli sentimenti, magia e astuzia. In un medioevo verosimile senza essere severo, l’atmosfera viene delineata fin dalle prime immagini attraverso uno scenario a sfumature vivaci e colorate, caratteristico di un certo cinema degli anni ottanta, che ricercava un’atmosfera rassicurante e KRISAORE concettualmente incontaminata. * Pur riproponendo lo schema classico bene/male, i personaggi LADYHAWKE e la positivi contrapposti senza quartieFantasy onirica re a quelli negativi, il risultato è un riuscito esempio di aggregazione di Una fuga, un’incontro, una sto- ruoli che arriva a toccare positivaria d’amore. Sulla commistione dinamica di questi tre temi tradizionali del cinema d’azione, Richard In alto: Il falco colpito dai soldati. Donner ha costruito il microcosmo Sotto: Navarre in azione. per il miglior suono. Nel 1986, vince due Saturn Award per i migliori costumi e come miglior film fantasy. I panorami splendidi che accompagnano i personaggi in questa storia sono quelli del Parco Nazionale d’Abruzzo in giornate che alternano un forte sole primaverile alla neve [le location sono molte, per lo più emiliane].

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In alto: un’intensa immagine di Isabeau (M. Pfeiffer) ferita. Sotto: 1) Philippe tenta disperatamente di salvare Isabeau. 2) Diversamente da Isabeau, Philippe non ha le ali!

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mente l’immaginario personale e collettivo. Si intrecciano quattro figure, che riprendono la simbologia tipicamente fantasy: il Cavaliere, la Dama, il Mago e la Bestia, riuniti nel tema essenziale del film che è quello della fuga. Navarre e Isabeau, condannati a fuggire “eternamente uniti, eternamente separati”; Gaston il “mendicante ladro”, un Lazarillo de Tormes ben tratteggiato nei suoi atteggiamenti picareschi, che evade dal donjon di Avignone; il monaco alchimista Imperius, fuggito dalla sua vita ecclesiastica, tormentato dalla più grave delle colpe: il tradimento della confessione, di cui cerca di espiare le crudeli quanto involontarie conseguenze. Di fronte a loro, la figura inesorabilmente malvagia del Vescovo, i cui abiti talari sono una pura formalità sopra le realtà oscure che ne animano pensieri e azioni. “Credo nei miracoli, il mio ruolo lo impone”: in questa frase particolarmente illuminante c’è molto della religiosità medievale, in cui la forma spesso governa la

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LADYHAWKE sostanza, e non viceversa. Tuttavia, se mentre al Vescovo saranno sicuramente precluse le porte del Paradiso, sarà grazie al coinvolgimento nella vicenda di Navarre e Isabeau, alla loro ribellione e al loro coraggio, che Imperius e Gaston troveranno il proprio riscatto: dopo un’esistenza ai margini, redenzione per l’uno e maturazione per l’altro. Il film non ha pause né concede ripensamenti, segue un filo narrativo sicuro e trascinante, in cui la figura scura di Navarre, cavallo nero e falcone, rappresenta il prototipo, assai amato da molta letteratura fantasy, del Cavaliere sans-terre, senza più patria né amico, alla conquista dell’antica e amata esistenza perduta, per la quale è pronto a sconfiggere i propri demoni e vendicarsi dei propri nemici. Il lupo è animale di metamorfosi per antonomasia, associato a scenari inquietanti: la notte, il gelo, la foresta. Solo in alcuni casi si riveste di un aspetto più rassicurante, mettendo la propria natura di predatore al servizio di creature indifese o amate, come in questo caso, diventandone il paladino. Il cavaliere si identifica nel Lupo, figura altamente rappresentativa in molte mitologie, e porta sul pugno il Falcone, emblema di nobiltà e di prestigio e, soprattutto nel medioevo, simbolo dei privilegi di casta. Non è un caso che Dama Isabeau, il premio più desiderato, sia il falco: legato anima e corpo al suo signore, combatte per lui ma da pari a pari, da compagno e non da servo. Il tema della Magia, senza essere esasperato, permea tutto il film: l’antica leggenda della Luce e del Buio viene trasformata in un in-

cantesimo diabolico che colpisce i due protagonisti condannandoli ad una vita immersa nella Notte senza Giorno e nel Giorno senza Notte, tema che diverrà risolutivo nel finale. La maledizione, che getta una luce inquietante sull’occulto potere ecclesiastico, e l’Eclissi, vista come momento di forza se non arcana sicuramente “ai confini della realtà”,

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sono l’alfa e l’omega del film, a riprova della posizione insostituibile dell’elemento magico nel fantasy tradizionale Di particolare effetto è il mo-

In alto: Imperius (L. McKern). Sotto: 1) Navarre a pesca. 2) Un imbarazzato Philippe tiene il falco, voltao da lui anziché da Navarre.

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mento in cui il piccolo ladro Gaston vede la trasformazione del falco in donna: un improvviso gioco di ombre di luci in cui si svelano lo sguardo azzurro e il cappuccio nero, o forse blu come la notte. Donna e lupo, il raffronto con la “Bella e la Bestia” viene istintivo forse, ma qui il legame è più complesso perché di

In alto: Il Lupo mentre viene fatto entrare in Avignone. Sotto: Navarre fronteggia i suoi vecchi soldati, che lo lasciano passare.

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giorno i ruoli si invertono: la Bella si trasforma in bestia e il Lupo ritorna uomo, eternamente irraggiungibili l’uno all’altra come il giorno e la notte. La scoperta della magia da parte di Gaston, la sua istintiva negazione di essa per rifugiarsi in una situazione onirica (“Sto sognando”…) abbastanza tipica dell’atteggiamento dell’uomo medievale, che istintivamente teme l’occulto, e la sua successiva accettazione e coinvolgimento nella vicenda costituisco-

no il vero filo conduttore di tutto il film. Gaston può vedere Navarre e Isabeau nel loro aspetto umano, diventandone il tramite e il protettore, paladino di lei e alleato di lui, in un ruolo altrettanto importante che fa da fulcro al succedersi degli avvenimenti. “Anche tu ci sei dentro, Philip Gaston”, dice Imperius, tra una fiasca di liquore e l’altra, perché “in vino veritas” naturalmente, in perfetta coerenza con l’immagine del monaco medievale che ben apprezza il cibo e il bere. Ma di questo Gaston si renderà conto fino in fondo in un particolare momento, in cui l’intensità del film raggiunge il suo vertice: la Dama e il Lupo vicini in una delle loro infinite albe, vengono colpiti dalla luce impietosa e abbagliante del primo raggio di sole, una scena di inesorabile ed esasperata lentezza, sottolineata dai primi piani in ralenti della macchina da presa, che concede appena il tempo di uno sguardo, nemmeno quello di una ca-

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LADYHAWKE rezza. Anche se tutto il film fa presagire il lieto fine, con il malvagio che viene sconfitto e l’amore che trionfa, questa “consapevolezza” non disturba né rovina l’effetto. Regno dei buoni sentimenti, in conclusione, in cui la Favola viene rivestita dalla giusta dose di pathos e realismo, in modo da non poter essere definita scontata. Il lieto fine è intuito e desiderato dallo spettatore, la vicenda non può che concludersi in un unico modo, senza alternative. La Magia deviata del Vescovo Negromante viene sconfitta dalla sapienza del Monaco Alchimista, dall’astuzia e dal coraggio comico di Gaston, dalla forza e dal valore dei due amanti finalmente riuniti sotto l’aura scura e doppia dell’Eclissi, in cui tutti i mondi, fatati e non, si incontrano. Celebrazione dei buoni sentimenti che vincono sul male, con un effetto rasserenante e desiderato. Citando le parole del regista stesso alla prima di Ladyhawke, si tratta di “avventura, pura evasione”, tuttavia, grazie alla immediatezza dei contenuti e al calibrato ma professionale uso degli effetti speciali, il film materializza la fantasia e il sogno. Un sogno fantasy, quindi, che si fa perdonare forse la leggerezza di tematiche e i caratteri troppo da archetipo dei protagonisti, ma comunque un sogno da cui si esce rasserenati e di cui si prova nostalgia. E comunque, come si dice, la

Vita è Sogno.

ANJIINSAN *

LUPO E FALCO, LA SIMBOLOGIA DEL PREDATORE. Il Falco Il falco è una creatura dell’aria e tutto ciò che vola ha sempre affascinato l’animo umano. È visto nell’immaginario collettivo come un essere quasi sovrannaturale, in cui la natura del predatore è associata alla crudeltà e alla freddezza, ma anche alla maestosità e alla forza. Ha un impatto visivo fatto di artigli, becco e fisionomia rapace, dotato di un’eleganza perfetta e di

una picchiata letale; inoltre, almeno anticamente, nasce libero. Tutti elementi che hanno portato il Falco a suggestionare profondamente l’immaginario umano, che lo collocano con simbologie e significati spesso contrapposti in strutture mitologiche appartenenti a civiltà anche infinitamente distanti tra loro da un punto di vista storico, geografico e culturale. Nella cultura dell’antico Egitto, caratterizzata da un pantheon zoomorfo per eccellenza, il Falco è in primo luogo l’immagine simbolica di Horus, il dio del cielo, di Ra, il dio del sole, e di Sokar, il dio della morte. Simbolo regale per eccellenza, il suo Occhio è la vista del faraone. Presso i Persiani, la costellazione dell’Aquila veniva chiamata Shaihin Tarazed, cioè “falco che colpisce le stelle”, una idealizzazio-

In alto: l’Eclissi è totale, Imperius sta per uccidere il falco. A destra: la spettacolare scena del duello nella chiesa di Avignone.

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FANTASY ne del falco come animale vicino al cielo, e quindi agli dei. Analogo significato, in un altro tempo e in un altro luogo, viene ripreso presso gli Indiani d’America, cultori di una religione profondamente naturistica: il Falco è Cetan, uno degli animalitotem, paragonabile al messaggero degli dei della mitologia greca, che trasmette il volere degli dèi e indica i regali del Grande Spirito. Infatti il volo, estremo legame con l’elemento aria, rappresenta la capacità di elevarsi ad un livello superiore e di sondare oltre le capacità umane, riportando poi indietro la conoscenza. Il Falco compare anche in uno dei miti indiani della creazione: I Gemelli della Guerra, capostipiti della razza umana, portano alla luce dal caos delle tenebre quattro animali sacri, tra cui appunto il Falco, che con il battere d’ali dirige le acque

Sotto: Isabeau iconsegna sprezzante i lacci del falco al Vescovo. La maledizione è infranta.

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verso gli oceani. Sempre nel quadro di una concezione animistica della natura, abbiamo un dio preincaico dell’acqua, adorato nelle Ande centrali, nato con le sembianze di falco. Il legame falco-divinità compare con un significato molto stretto anche presso i germani del nord: Loki e Odino avevano la facoltà di assumere la forma di falcone, e su Yggdrasil, il Sacro Frassino, è appollaiata un’aquila che possiede molta saggezza; tra i suoi occhi sta Veorfolnir, un falco. Profondamente animista e legata alla natura è anche la tradizione celtica. Nelle favole del folclore britannico pre-cristiano, figure di animali volanti sono soliti rappresentare gli “spiriti migranti”, sia dei morti che dei vivi. La zoomorfosi si trova nei miti celtici più antichi, come ad esempio la Storia di Tuan: Tuan, figlio di Carell, prolunga la propria vita per tre volte, trasformandosi in cervo, in cinghiale e in falco “sem-

pre nel medesimo luogo”. E anche nella tragica storia di Llew, l’eroe, per sfuggire alla morte, si trasforma in falco. E Ceridwen la dea-strega si tramuta in falco per concepire il bardo Taliesin. Inoltre, il mago per eccellenza della saga arturiana è Merlino/Myrddyn, il cui nome può essere fatto risalire, tra le tante ipotesi, al nome dello “smeriglio”, che è una tipologia di falcone. Nel Medioevo, il falco è considerato un simbolo di casta, un privilegio della classe nobiliare, e, più in generale, l’emblema della cavalleria e della nobiltà: la sua figura alata si ritrova in un’infinità di simboli, stemmi e racconti, anche di epoche più tarde. L’addestramento del falco dà vita ad una vera e propria corporazione, la Falconeria, che acquista un notevole peso sociale e politico. Concettualmente più negativo è il significato del falco nelle allegorie di stampo cristiano: nei bestiari allegorici, diventa il predatore dei deboli, l’uomo che si preoccupa di

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LADYHAWKE soddisfare unicamente i propri istinti, colui che si contrappone al bene. Queste due concezioni opposte (ma comunque inesorabilmente legate) sono rappresentate in due quadri di epoche diverse, il Cavaliere Thyssen (1510) di V.Carpaccio e L’Adorazione dei Magi ( 1422) di Gentile da Fabriano. Il primo ritrae, in una profusione allegorica di animali, fiori, e castelli, un misterioso e giovane cavaliere, secondo l’iconografia consolidata del miles christianus, la cui morte precoce in battaglia viene simboleggiata in un lato del dipinto dal falco che uccide l’airone. Nel secondo, i Magi, personaggi evangelici, vengono raffigurati come nobili signori in viaggio, circondati da tutto il loro fasto, e uno di loro (in veste nera e oro) tiene sulla spalla un falcone. In epoca più moderna, l’immagine di questo uccello predatore ha forse perso la maggior parte della sua carica simbolica, che pure non sparisce del tutto, ma riaffiora laddove lo spirito dell’uomo riesce ancora a rivolgersi alla sua componente fantastica e primitiva: nel Dedalus di Joyce, fortemente caratterizzato dalla familiarità dell’autore con la mitologia celtica, esiste un profondo legame tra creature volanti e anime individuali: e una di queste creature che compaiono nel finale è, ancora, un falco.

[Volospà - Carme eddico XI sec. circa] Nell’immaginario collettivo, il lupo ha sempre avuto una valenza particolarmente complessa e contraddittoria: associato a simbologie variegate ma comunque legato a incarnazioni di potere e a scenari inquietanti (la notte, il gelo, la foresta), da sempre considerato il nemico dell’uomo in forma animale, il lupo riveste comunque il significato di forza se non di minaccia. È la belva malvagia delle favole, contro la quale tutto è lecito. È il predatore crudele che vive nell’oscurità della foresta, che caccia nella notte, che ulula e provoca i temporali. È l’immagine di forze selvagge, spesso commiste all’elemento umano (come vuole la tradizione universale

In alto: il Vescovo, trafitto dalla spada di Navarre. Sotto: Isabeau e Navarre finalmente liberi di abbracciarsi. del Loup Garou), o a quello demoniaco (il diavolo prende a volte la forma di lupo), o divino. È forse la personificazione del nostro lato selvaggio, e per questo probabilmente non può far a meno di comparire in uno spettro ampio di culture e tradizioni. Nella mitologia più antica, il Lupo possiede due polarità distinte: una solare e maschile, legata ai culti di Zeus e di Apollo e Marte, e una lunare, femminile, legata al culto di Artemide e delle altre grandi dee del neolitico; mentre nei popoli di religione sciamanica, come gli Indiani d’America, diventa guida e

Il Lupo. “…Il lupo divorerà il sole e l’altro lupo la luna… Il gigantesco lupo Fenrir, nemico peggiore degli dèi, loro prigioniero, si libererà dalle sue catene e anche gli dèi saranno in grave pericolo.”

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L’eclissi si profila dal rosone della chiesa, mentre Navarre si batte con Marquet. simbolo di saggezza. Anche presso altre culture, il lupo costituisce il totem della tribù, come nel caso delle popolazioni delle steppe asiatiche: avevano vessilli e stendardi con la testa di lupo, e Gengis Khan si diceva discendesse da un lupo azzurro generato dal cielo. Inoltre, già autori classici (Erodoto e Plinio) parlano di tribù sciite i cui componenti si trasformavano in lupi una volta l’anno, per poi riprendere l’aspetto umano: tema della licantropia, in questo contesto più con significato totemico che malvagio. Le prime credenze su questo tipo di metamorfosi, organizzate in forma di mito,

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si potrebbero trovare nelle saghe nordiche (anche se alcune tracce esistevano già presso i greci): nella saga irlandese dei Volsung (XIII sec. circa) e in quella di Egill viene narrata la trasformazione di uomini in lupi, attraverso la pelle dell’animale. Nella mitologia slava si racconta del principe stregone Vseslav, che di notte correva in forma di lupo incontro al grande dio Chors. Animale “spettrale” dell’antichità, con connotati quindi anche in palese contraddizione tra loro, il lupo è presente nella mitologia germanica nella figura di Fenrir, che nella battaglia finale spezza le catene e divora il Sole prima di scontrarsi in duello con Odino, ma altrove può anche essere considerato un simbolo solare (Apollo Liceo). Esisteva anche un culto totemico di Zeus-lupo

al quale, in caso di carestia o siccità, si sacrificavano vittime umane. Presso gli Spartani inoltre, la comparsa di un lupo che divora le greggi prima della battaglia di Leuttra (371 a.c.) venne considerata presagio di sventura , mentre presso i Romani presagiva la vittoria . Nell’antica Cina il lupo rappresenta avidità, ma compare anche come protettore di creature indifese: leggende di lupe che allattano e allevano neonati si ritrovano in più culture, cinese e indiana oltre a quella classica: accanto a Romolo e Remo allattati da una lupa, troviamo in Grecia la ninfa Tiro, che aveva generato i gemelli Pelia e Nereo nutriti da una giumenta e da una cagna. Però, nella mitologia greca, troviamo anche la Lupa Mormo, o Mormolyke, divinità infernale,

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LADYHAWKE e il dio degli inferi Ade, che porta un mantello di pelle di lupo. E qui l’animale viene allora accostato all’idea della morte, con la funzione di accompagnatore delle anime dei defunti. Il simbolo del lupo era già presente presso gli etruschi: sulle tombe di Golini I ad Orvieto e di Orco II a Tarquinia è raffigurato il dio Aita, che veste una pelle di lupo. Ancora un lupo era simbolo di Soranus, divinità sabina del monte Soratte, e Cicerone nel De Divinatione ce la illustra come assimilabile a Marte, dio della guerra. Nella lupa romana si ritrovano, allora, diversi simboli che appartengono a più culture e questa, in sintesi, sembra essere la tesi più accreditabile, visto che questo animale fondeva insieme le caratteristiche etrusche e sabine con quelle romane: anche nel nome Luperco/ Luperca, (figure divine), era rintracciabile la radice lup della lingua etrusca. Col Medioevo inizia la fase conflittuale con la Natura, e il lupo diviene il Predatore di Agnelli e quindi di anime: nell’iconografia cristiana e paleo cristiana, si torna infatti all’immagine del lupo come animale “cattivo”, simbolo del potere diabolico che attenta alla salute spirituale del gregge: l’incontro/scontro tra il Santo e il Lupo è riscontrabile in una miriade di esempi, le streghe lo usano come cavalcatura e le porte dell’Inferno vengono a volte raffigurate con fauci di lupo. Nei primissimi esempi di bestiari allegorici viene usata la simbologia per definire delle categorie di emarginazione: lo stereotipo animale raccoglie molti simboli creando una

parentela automatica tra significati animali e minoranze da respingere. Lupo opposto all’Agnello, come da citazioni evangeliche. Simbolicamente rappresenta il diavolo che rapisce e disperde le pecore, o l’eretico o i falsi profeti, unendo i temi dell’aggressività sanguinaria e della dissimulazione. Nel Bestiario Medievale, il lupo è ancora un animale diabolico, che gira di notte con occhi luccicanti come lanterne, capaci di annebbiare l’intelletto, fino a confluire nella già citata credenza del lupo mannaro sulla cui esistenza anche l’uomo medievale non ha dubbi: all’inizio del XIII sec. Gervaso di Tillbury attesta la diffusione di questa leggenda (J.Verdon – La notte nel medioevo) parlando della metamorfosi in modo quasi scientifico, senza riferimenti divini o diabolici come si riscontra in altre fonti: “Abbiamo visto di frequente in Inghilterra, mentre la luna splendeva, uomini trasformarsi in lupi”. L’atavica paura del lupo nasce comunque da un pericolo concreto, (non dimentichiamo che Francois Villon, poeta maledetto, narra che in un inverno particolarmente duro i lupi arrivavano alle porte di Parigi),

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ma è rimasta stratificata nel nostro subconscio. In ogni epoca, questo sfortunato animale è diventato un simbolo dagli aspetti prevalentemente malvagi, a causa di ciò che ha sempre rappresentato nella società antica, prettamente agricola e pastorale: una creatura selvaggia e istintiva che valica il confine passando dal mondo incontrollabile della natura a quello ordinato e sicuro degli uomini, portandovi tutto il suo carico di forza primordiale e la sua competizione di carnivoro primario; homo homini lupus, è un detto comune per indicare la ferocia dell’uomo verso i suoi simili, anche se spesso verrebbe da chiedersi quale sia in realtà la specie più crudele. “…….Il lupo apparirà davanti a te… Prendilo come tuo fratello, perché il lupo conosce l’ordine delle foreste… Egli ti condurrà per via piana verso il Paradiso.” [Anonimo]

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I nove mondi e l’albero che li sostiene: www.bifrost.it , Le garzantine: Simboli, Falconeria e medioevo...: Giovanni Goj, www.storiamedievale.net

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FANTASY Rutger Hauer (Etienne Navarre):

ex-Capitano delle Guardie di Avignone, brama vendetta contro il Vescovo che l’ha maledetto rendendolo un Lupo Nero quando cala la notte. Filmografia fantascienza/fantastico: Dracula III: Legacy, Batman begins, Salem’s lot (TV), Swarm - Minaccia dalla giungla, Readline/Deathline, The 10th Kingdom (TV), Merlino, Hemogoblin, Crossworlds - Dimensioni incrociate, Mr. Stitch, Lexx: The Dark Zone, Omega Doom, Precious Find, Buffy l’Ammazzavampiri, Sotto massima sorveglianza, Detective Stone, Giochi di morte, Blade Runner

Michelle Pfeiffer (Isabeau d’Anjou):

la bellissima protagonista del film, meraviglioso falco alla luce del giorno, capace di non perdere mai la speranza in una vita felice con Navarre. Filmografia fantascienza/fantastico: Le verità nascoste, Wolf - La belva è fuori, Batman - Il ritorno, Le streghe di Eastwick

Ken Hutchison (Marquet): attuale Capo della Guardia, succube del potere del Vescovo, compie per lui ogni genere di nefandezza.

Filmografia fantascienza/fantastico: nessuno

Alfred Molina (Cezar):

il miglior cacciatore mercenario alle dipendenze del Vescovo. Il suo compito è trovare e uccidere il Lupo Nero (Navarre). Filmografia fantascienza/fantastico: Il codice Da Vinci, Spiderman 2, Premonizioni, Specie mortale, I predatori dell’Arca Perduta, Typhon’s People (TV)

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Matthew Broderick (Phillipe Gaston):

detto il Topo, unico prigioniero ad essere mai evaso dalle prigioni di Avignone, sarà lui che aiuterà i due amanti a liberarsi della maledizione del Vescovo. Filmografia fantascienza/fantastico: L’ispettore Gadget, Godzilla, Wargames - Giochi di guerra

Leo McKern (Imperius):

il prete che, ubriaco, ha tradito il sacro vincolo della Confessione, e denunciato i due amanti al Vescovo. Si redimerà scoprendo il modo di rompere la loro maledizione. Filmografia fantascienza/fantastico: Dr. Jekyll and Mr. Hyde (TV), La maledizione di Damien, Il presagio, Alice in Wonderland (TV), ...E la Terra Prese Fuoco, X Contro il Centro Atomico

John Wood (Il Vescovo):

potente e senza scrupoli. S’innamora di Isabeau ma, quando scopre di non poterla avere, stringe un patto con le forze delle tenebre maledendo lei e Navarre. Filmografia fantascienza/fantastico: Il mio amico vampiro, I miti greci (TV), La Rosa Purpurea del Cairo, Wargames - Giochi di guerra, Slaughterhouse-Five,

Giancarlo Prete (Fornac):

braccio destro di Marquet. Opera lui la seconda cattura di Phillipe, e scocca lui le due frecce che colpiscono il falco e Navarre. Filmografia fantascienza/fantastico: Fuga dal Bronx, I nuovi barbari

Cinema: Ladyhawke


LADYHAWKE

Scheda Tecnica Titolo: Tit. originale: Anno: Durata: Paese: Produzione: Distribuzione:

LADYHAWKE LADYHAWKE 1985 116 minuti USA Richard Donner, Lauren Schuler WARNER BROS. - TWENTIETH CENTURY FOX (1985)

Regia: Richard Donner (Il presagio, Superman, Arma Letale, Assassins) Soggetto: Edward Khmara Sceneggiatu- Edward Khmara, Michael Thomas, Tom ra: Mankiewicz, David Webb Peoples Fotografia: Vittorio Storaro Musiche: Andrew Powell Montaggio: Stuart Baild Scenografia: Wolf Kroeger Costumi: Nanà Cecchi Note: NOMINATION AGLI OSCAR 1986 PER IL

MIGLIOR SUONO e I MIGLIORI EFFETTI SPECIALI SONORI VINCITORE SATRUN AWARD 1986 PER MIGLIOR FILM e MIGLIORI COSTUMI

CAST: Matthew Broderick: Phillipe Gaston Rutger Hauer: Etienne Navarre Michelle Pfeiffer: Isabeau d’Anjou Leo McKern: Imperius John Wood: Vescovo Ken Hutchison: Marquet Alfred Molina: Cezar Giancarlo Prete: Fornac Altri interpreti: Loris Loddi Alessandro Serra Charles Borromel Massimo Sarchielli

Cinema: Ladyhawke

Nicolina Papetti Russell Kase Donald Hodson Gregory Snegoff Gaetano Russo Rod Dana Stefano Horowitzo Paul Tuerpe Venantino Venantini Marcus Beresford Valerie O’Brian Nanà Cecchi Elettra Baldassarri Paolo Merosi Jurgen Morhofer

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FANTASY

Storia e cultura

UN GIORNO COME LA NOTTE E UNA NOTTE COME IL GIORNO... L’eclissi tra storia e astronomia “Nell’anno mille duecento trentanove quando giugno cominciava, il terzo giorno Il Sole si oscurò, il suo disco coperto dalle tenebre In pieno giorno il Sole restò senza luce. Per un’intera ora il Sole fu morto e lontano da noi. Questa meravigla avvenne il sesto giorno della settimana.” Questi versi tratti dagli Annales Caesenates si riferiscono all’eclissi totale di Sole del 14.5.1239 corrispondente all’attuale 3.6.1239.

Introduzione L’eclissi, come abbiamo visto, gioca un ruolo deter-

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minante nella storia di Ladyhawke. Per noi, uomini cresciuti nell’epoca delle conquiste spaziali, è un meraviglioso spettacolo della Natura. Ricordiamo bene l’eclissi totale di Sole dell’11 agosto 1999, e ciò che colpì fu lo scendere del silenzio a mano a mano che il Sole si oscurava. Gli antichi dovevano provare profondo timore di fronte a un’eclissi, il nome stesso lo attesta: “eclissi” deriva dal termine greco “abbandono”. Per capire quanto, prima dell’avvento della scienza moderna, le eclissi fossero legate al mondo del magico, basta leggere questo racconto.

Storia e cultura: le Eclissi


Le Eclissi CRISTOFORO COLOMBO, GRANDE SCIAMANO Nel quarto viaggio verso il nuovo Mondo, Cristoforo Colombo dovette cambiare rotta per attraccare e consentire la riparazione della sua nave. Oggi il posto dove attraccò è conosciuto come la Baia di S.Anna, in Giamaica. Vi dovette restare più di un anno, ma poiché l’indisciplina della ciurma aveva reso ostili gli isolani, che provvedevano a fornire a Colombo e ai suoi uomini il cibo, il navigatore genovese dovette inventarsi un’abilità di sciamano. Così, organizzò un incontro per le ore subito antecedenti il tramonto del 29 febbraio 1504 e qui annunciò che l’Onnipotente non gradiva il modo come venivano trattati Colombo e la sua ciurma, sicché

Iddio aveva deciso di rimuovere la Luna permanentemente, in segno di ostilità. Non passò molto tempo e una Luna nera sorse nel cielo; il cielo si fece buio, la luna rossa e intorno splendevano le stelle. I nativi erano terrorizzati, e promisero di dare al navigatore genovese e ai suoi uomini tutto ciò che volevano, a patto che restituisse loro la Luna. In un momento di altissima tensione, Colombo chiese di potersi ritirare per conferire con l’Onnipotente [il navigatore genovese, essendo necessariamente un ottimo astronomo, sapeva che si stava svolgendo un’eclissi e ne conosceva la durata, n.d.t.]. Sicché, poco prima che finisse l’eclissi, Colombo tornò e annunciò che l’Onnipotente aveva perdonato gli Indiani e avrebbe consentito alla Luna di riapparire. Così avvenne. Pare che da allora né gli indiani né la ciurma cercarono più di infastidire Colombo, credendo che egli avesse un collegamento privato con il cielo. Tratto da “How the Shaman stole the moon” di William H. Calvin, vedi http://williamcalvin.com, la traduzione è dell’Autore.

Questa impressionante immagine, scattata dalla MIR27, mostra l’ombra della Luna sulla Terra durante l’eclissi totale di Sole dell’11 agosto 1999. Copyright CNES (France). Gli oggetti visibili nel cielo nero sono resti di missili o satelliti artificiali.

Colombo non disponeva dei metodi di calcolo astronomico odierni, né delle tabelle con le “circostanze” delle eclissi; per la mentalità degli indiani, aveva dimostrato qualità sciamaniche. In realtà l’ammiraglio genovese poteva contare su un almanacco nautico che lo informava che la sera del 29 febbraio 1504 doveva esserci una eclissi totale di Sole sopra la Giamaica (in effetti le tabelle di Fred Espenak – GSFC – NASA riportano un’eclissi alle ore 00:42 di Londra del 1° marzo 1504, pari alle 19:42 del giorno prima in Giamaica).

Le eclissi nella storia Il sapere di Colombo era lo stesso di chi aveva compilato il suo almanacco nautico. Si tratta di un sapere antico, da sem-

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FANTASY pre usato per redigere i calendari. Nell’antichità i calendari si basavano sui mesi lunari, determinando un anno di tredici mesi (il mese lunare è in realtà pari a 29,53 giorni). E già nella preistoria pare esistessero calendari, magari fatti coi megaliti. Un esempio eclatante può essere rappresentato da Stonehenge, complesso megalitico edificato intorno al 3.000 a.C., dai popoli del Neolitico che abitavano quella che oggi è Salisbury Plain, località del Wiltshire, Regno Unito. Si ritiene che in questo sito si compissero riti religiosi legati, in qualche modo, ai movimenti del Sole e della Luna. All’interno dell’anello megalitico, delimitato da un fossato, è presente un terrapieno con 56 buche, dette Buche di Aubrey, disposte lungo il confine circolare del sito, distanziate in modo uniforme l’una dall’altra. Tra le buche di Aubrey e la struttura in pietra ci sono altri due cerchi di buche: uno ne conta 30, l’altro 29 (ricordiamo i giorni del mese sinodico sono esattamente 29,50).. Utilizzando 4 indicatori, a segnare Sole, Luna e i due nodi, sistemando il Sole nella prima buca di Aubrey, la Luna nella buca 28, i nodi nelle buche 14 e 42, e spostando in senso orario ogni 13 giorni l’indicatore del Sole di due buche, la Luna di due buche al giorno e i nodi in senso antiorario di 3 buche all’anno, è effettivamente possibile simulare una previsione di eclissi: evento rappresentato nel giorni in cui Sole, Luna e uno dei due nodi dovessero trovarsi nella medesima buca. Molto poco si sa di Stonehenge, ma un “meccanismo” così sofisticato, e con tali “corrispondenze” astronomiche, lascia supporre, da parte di chi

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l’ha eretto, un grande interesse verso l’ordine cosmico e una sorprendente (per l’epoca) conoscenza della materia. Stonehenge, del resto, avrebbe potuto essere anche un luogo di culto dedicato ad una divinità draconitica (un dio serpente o dragone); il dio serpente, nella mitologia, è l’essere che ingoia periodicamente la Luna. Il tempo che impiega la Luna a ritornare a uno dei due nodi è detto mese draconitico e dura 27,21 giorni. Delle eclissi ci giungono notizie fin da tempi antichissimi (in Cina quella del 2169 a.C., e i Maya addirittura registrarono quella del 3379 a.C.), ma fu presumibilmente il popolo babilonese il primo a tenere nota del fenomeno con rigore astronomico, se ne hanno registrazioni scritte a partire dall’VIII secolo a.C. Ad essi, o ai Caldei (popolo stanziato in

Questa suggestiva immagine mostra Stonehenge durante l’eclissi di Sole dell’11 agosto 1999.

Storia e cultura: le Eclissi


Le Eclissi

Il 22 dicembre 968, Leone Diacono descrisse per la prima volta, osservando un’eclissi totale, la corona solare. Nell’Ottocento, Padre Angelo Secchi fotografò la corona solare, dimostrando che le protuberanze solari sono un fatto reale e non un’illusione ottica.

eclissi di Sole o di Luna fu Hè Megalè Syntaxis di Tolomeo (II sec. a.C.), tradotto e poi diffuso dagli Arabi con il nome di Almagesto. Proprio un arabo, il grande matematico Al-Khwarazmi, sviluppò le prime tavole trigonometriche (esatte fino alla quinta cifra decimale) che consentirono poi a Muhammad al-Batani, matematico di Antiochia, di ricalcolare nell’850 d.C. le precessioni degli equinozi e le tavole astronomiche. I libri arabi giunsero in seguito in Europa tradotti dagli amanuensi. Prima di allora le registrazioni delle eclissi nei paesi europei rimasero cura dei monasteri benedettini, soprattutto quelli legati all’Abbazia di Cluny, in Borgogna. I monaci medioevali annotavano puntualmente i fatti straordinari che accadevano in cielo ed erano visibili ad occhio nudo. Non si trattava però di osservazioni scientifiche.

Il Cronachista Andrea da Bergamo riportò una vivace descrizione di un’eclissi avvenuta nel maggio dell’anno 840: «Nella terza indizione (cioe il sole fu oscurato e le stelle apparvero in cielo al terzo giorno precedente [5 maggio 840, ndr]) nell’ora nona delle litanie del Signore per circa mezz’ora. Ci fu grande sgomento tra la gente e molti cominciarono a temere che questa nostra era fosse giunta alla fine. Ma mentre si scambiavano simili ingenui penIl primo documento da cui risulti un metodo sieri riprese nuovo splendere sfuggendo all’ombra per prevedere con discreta approssimazione una prima l’aveva avvolto». [...] «Questi fu un eclissi

Mesopotamia, che si ritiene aver costituito la classe sacerdotale babilonese, ossia quella a cui era demandata l’osservazione del cielo), si deve anche la scoperta del cosiddetto saros, il ciclo di 223 mesi in cui le eclissi si ripetono. Probabilmente parte della conoscenza babilonese fu trasmessa agli Egizi, ma le tracce scritte andarono probabilmente distrutte insieme alla Biblioteca di Alessandria d’Egitto.

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FANTASY del Sole si tremendo e oscuro, che nel mancar della luce s’impossessarono in modo inusitato le tenebre, e apparirono nel piu’ bello del giorno chiaramente le Stelle.»

Simulazione (realizzata con il programma Celestia da uno degli autori) dell’eclissi di Sole dell’11 agosto 1999. Posizione della Terra (a sinistra) e della Luna (a destra) alla data, viste da un’immaginaria sonda che si muovesse in direzione della costellazione del Sagittario. L’ipotetica sonda sta orbitando a mezzo milione di km dalla Terra. Proseguendo la linea bianca oltre la Luna, per circa 500 volte la sua lunghezza, s’incontrerebbe il Sole.

Ai tempi di Andrea da Bergamo si pensava che la Terra fosse immobile al centro dell’Universo, e la Luna e il Sole ruotassero attorno ad essa. Il calcolo delle eclissi avveniva secondo le regole ricavabili dal trattato “De Natura Rerum Liber” di Beda il Venerabile, e dagli scritti del monaco Dungal, irlandese – divenuto poi il corrispondente all’attuale carica di Rettore dell’Università di Pavia – che spiegavano il fenomeno dimostrando di conoscere bene gli aspetti geometrici che lo caratterizzavano. Con le attuali conoscenze scientifiche, che sfruttano le leggi fisiche scoperte da Keplero, Newton ed Einstein in tempi assai più recenti rispetto a quelli di Andrea da Bergamo, è possibile stabilire che l’eclissi di Sole del 5 maggio 840 fu totale a Bergamo intorno alle 13,25 ora locale (corrispondente all’ora ottava e non alla nona). Questo perché il giorno siderale era più corto di 20 millesimi di

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secondo rispetto alla durata odierna di 23 ore, 56 minuti e 4 secondi (la durata di 24 ore del giorno è convenzionale). La discrepanza, tenuto conto della traiettoria dell’ombra, risulta essere di circa 2.000

secondi, per cui l’osservazione di Andrea da Bergamo fu accuratissima. L’eclissi totale dell’840, così come il passaggio nell’837 di una cometa (quella oggi chiamata di Halley), furono interpretati come presagi di sventura, che nell’immaginario poplare di allora trovarono concretezza con la morte dell’Imperatore Lodovico, avvenuta il 20 giugno 840 presso Magonza. Le cronache italiane sono ricche di rapporti sulle eclissi, spesso associate a disordini o calamità. Tra gli eventi più importanti si possono ricordare, oltre all’eclissi di Andrea di Bergamo, quella del 19 Luglio 939 a Pisa, del 18 Marzo 1010 a Montecassino, del 2 Agosto 1133 (Montecassino, Hildesheim) e così via. Il rapporto tra eclissi e presagi di sventura fu particolarmente stretto intorno all’anno 1000 – presunta data della fine del mondo – quando il fenomeno veniva vissuto addirittura con terrore. Nel Medioevo i contadini erano convinti che le eclissi fossero causate da certe parole magiche pronunciate da streghe cattive; queste parole avevano il potere di “ipnotizzare” la Luna, obbligandola ad avvicinarsi alla Terra per deporre una schiuma sulle erbe che poi sarebbero servite alle fattucchiere per compiere i loro sortilegi. Per impedire alle streghe di operare, all’inizio dell’eclissi, in molte località si usava organizzare delle battute di disturbo, durante le quali i villici si riunivano correndo sui campi facendo un fracasso infernale, agitando campanacci da mucca, martellando lastre di rame e di bronzo, percuotendo

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Le Eclissi Questa figura consente di vedere in dettaglio la mappa di un’eclissi di sole. La linea centrale segnata in blu rappresenta l’area in cui l’eclissi è totale. È indicato anche l’orario di passaggio (ad esempio 11:00 UT significa le 12 ora italiana). Le linee azzurre indicano la zona in cui l’eclissi è parziale. Il punto di massima eclissi è riportato nella sezione “Local circumstances at greatest eclipse” (circostanze locali dell’eclissi). Vengono forniti: le coordinate astronomiche del Sole e della Luna al punto di massima eclissi e l’orario d’inizio della fase d’ombra e di penombra.

di gravità e metà alla curvatura dello spazio, cioè alla sua modificazione geometrica (per inciso, gli autori di Star Trek fanno riferimento proprio a questo fenomento quando parlano di “velocità

“Eclipse Predictions by Fred Espenak, NASA’s GSFC”

incudini e urlando come pazzi. Si dovettero attendere i vari Copernico, Keplero, Tyco Brahe e Newton per fare giustizia di queste superstizioni. Einstein nel 1915 con la Teoria della Relatività Generale provò che un raggio di luce in presenza di una sorgente di gravità si curva. Proprio l’eclissi totale di Sole del 29 maggio 1919 fu decisiva confermare di tale teoria. Il genio di Ulm aveva previsto che un raggio di luce dovesse subire un incurvamento del proprio percorso nel transitare in prossimità di un campo gravitazionale come quello prodotto da una stella, deviando verso il corpo celeste: in modo un po’ semplicistico, potremmo immaginare come se lo spazio intorno a una stella s’incurvasse (un lenzuolo teso – lo spazio – con sopra una boccia di metallo – la stella – può essere un buon esempio). In base alla sua teoria, Einstein sosteneva che questa deflessione dovesse essere per metà dovuta alla forza

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FANTASY curvatura”). Come conseguenza, la posizione apparente delle stelle doveva essere diversa da quella realmente determinata dalla luce emessa. Per verificare la teoria di Einstein occorreva un controllo sperimentale, che poteva realizzarsi solamente durante un’eclissi totale di Sole, ossia nell’unico momento in cui il Sole lascia visibili le stelle prospetticamente ad esso vicine, e può così evidenziare la curvatura della loro luce determinata dall’influenza della sua enorme massa. Sir Arthur Eddington guidò la spedizione della Royal Astronomical Society, che effettuò a Sobral (Brasile) e Isola Principe (Africa) le necessarie rilevazioni fotografiche. Le misurazioni confermarono la teoria in modo più che soddisfacente, confermando la teoria della relatività generale.

Le eclissi totali di Sole come fenomeno astronomico In un’eclissi totale di Sole, la Luna, che è un corpo celeste relativamente piccolo ma molto vicino alla Terra, appare dello stesso diametro del Sole, immensamente più grande ma assai più lontano, oscurandone la vista alla Terra (o a una parte della sua superficie), esattamente come potrebbe fare una enorme e opaca nuvola di passaggio. L’eclissi totale di Sole si manifesta man mano che la Luna attraversare il disco solare; inizialmente un piccolo “morso” del satellite appare sul lato occidentale del Sole, via via cresce e, solo negli ultimi minuti che precedono la totalità dell’eclissi, la luce solare svanisce molto rapidamente, finché il cielo si oscura completamente. Questa fase dura circa un’ora. L’effetto è impressionante! Inizia a vedersi la corona solare, una luce madreperlacea che si staglia come un’aura introno al sole “nero”, e l’assenza della luce diretta consente anche di osservare le stelle e i pianeti. Il buio dell’eclissi somiglia molto alla notte, e piante ed animali si regolano di conseguenza, finchè l’ombra lunare passa, e ritorna la luce: ecco il perché del silenzio di così grande suggestione. Per determinare quando accadrà un’eclissi oc-

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corre svolgere dei calcoli, ma qui alla matematica vorremmo privilegiare la logica (e la geometria) che sta dietro di essi. Perché si verifichi un’eclissi occorre che la Luna giaccia in linea retta con il Sole e la Terra cioè passi direttamente tra di essi; in questo caso nella zona che si trova “in asse” tra Sole e Luna l’eclissi sarà totale, cioè la Luna proietterà la sua ombra sulla Terra. La periodicità e il ricorrere delle eclissi è governato da un ciclo detto Saros, e già noto ai Caldei come accennato in precedenza. Il Saros mette d’accordo i tre periodi orbitali della Luna, il periodo sinodico (tempo che trascorre tra due lune nuove: 29,53059 giorni), il periodo draconico pari a 27,21222 giorni, e il periodo anomalistico che va da perigeo a perigeo e che dura 27,55455 giorni. I necessari calcoli portano a un valore del Saros pari a 6585,3 giorni, cioè poco più di 18 anni. Per capire quando inizia il Saros occorre ricordare che l’orbita della Luna interseca l’Eclittica (l’orbita apparente del Sole) in due punti che si chiamano Nodi Lunari: esiste un Nodo Lunare ascendente e un Nodo Lunare discendente. Se l’eclissi avviene quando la Luna si trova vicino al Nodo discendente, l’ombra della Luna passerà circa 3.500 km sotto la Terra e provocherà un’eclissi parziale; al ritorno, l’ombra passerà 300 km più vicino alla Terra stessa. Dopo dieci o undici cicli Saros (pari a circa 200 anni), la prima eclissi totale si verificherà nei pressi del Polo Sud, e, nei successivi 950 anni, ogni qual volta si verificherà un’eclissi totale, questa avverrà sempre 300 km più a Nord della precedente, fino a concludersi al Polo Nord. Si è detto che un ciclo Saros completo dura 6585,3 giorni. Questo significa che ogni 6585 giorni si svolge un’eclissi allo stesso Nodo Lunare (cioè nella stessa posizione dell’orbita della Luna), alla stessa distanza dalla Terra e nello stesso periodo dell’anno. L’avanzo di 0,3 giorni, sposterà l’eclissi di 115° verso ovest. Pertanto, un’eclissi di Sole si ripeterà nello stesso luogo una volta ogni 54 anni e 34 giorni. Uguale comportamento, ma movimento con-

Storia e cultura: le Eclissi


Le Eclissi trario, si ha invece se le eclissi di Sole hanno luogo vicino al Nodo Lunare ascendente. Complicato? Già, oltretutto ci sono almeno da due a cinque eclissi di Sole all’anno, quindi almeno 40 Saros in svolgi-

all’Equatore vedrebbe a mezzogiorno il disco della Luna avvicinarsi a quello del Sole da Ovest verso Est, con una velocità angolare tale da far descrivere al bordo della Luna tutto il disco solare di 32’ in circa 62 minuti, per cui la durata del fenomeno è pari a poco più di due ore, anche se la fase di effettiva totalità si può stimare in pochi minuti. L’ombra proiettata dalla Luna si muove per l’osservatore equatoriale a 0,47 km/sec, sempre da Ovest verso Est. Se poi il Sole fosse un punto luminoso posto all’infinito, l’ombra sarebbe larga quanto il diametro lunare, quindi circa 3.480 km. Il calcolo di tutte le caratteristiche di un’eclissi porta a questo esempio (fig. pag. precedente) calcolato dal ricercatore Fred Espenak (Planetary Systems Laboratory – NASA Goddard Space Flight Center) per l’eclissi totale di Sole dell’11 agosto 1999.

PIERO GIUSEPPE GOLETTO * CREDITS

Eclipse, dipinto a china. ©Christy Babrick. All Right Reserved.

mento. Nella prima metà del XX secolo ce ne sono state 41 serie, e di queste 26 hanno prodotto eclissi totali. Per esempio, le dieci eclissi totali verificatesi negli anni: 1891, 1909, 1927, 1945, 1963, 1981, 1999, 2017, 2035, 2053 fanno parte del Saros 145 (cfr. Espenak, NASA, Goddard Space Flight Center). Questa serie cominciò con un’eclissi al Polo Nord nel 1639. L’eclissi dell’11 agosto 1999 è la 21° della serie, che si concluderà nel 3009. Al momento di una eclissi, l’osservatore posto

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L’immagine scattata dalla MIR27è Copyright CNES (France) ed è stata reperita al seguente indirizzo: http://antwrp.gsfc. nasa.gov/apod/ap990830.html. La citazione degli Annales Caesenates proviene dal sito Internet “The Sun-Eating Dragon” e fa riferimento al libro Historical Eclipses and Earth’s Rotation, by F Richard Stephenson, Cambridge University Press, 1997, pag. 399. La traduzione è degli Autori. Eclipse maps, figures, tables and predictions courtesy of Fred Espenak - NASA/Goddard Space Flight Center. For more information on solar and lunar eclipses, see Fred Espenak’s Eclipse Home Page http://sunearth.gsfc.nasa.gov/eclipse/eclipse. html. L’immagine di Stonehenge è tratta dal sito http://www.earthview.com/ages/stonehenge.htm Da tale sito è tratta anche l’immagine. Il dipinto “Eclipse” è di Christy Babrick, ed è stato pubblicato originariamente nel sito http://elfwood.lysator.liu.se/art/c/h/ christy/eclipse.jpg.html. Bibliografia: Cesare Barbieri, Lezioni di Astronomia, Zanichelli - Albert Einstein, Relatività- esposizione divulgativa – Bollati-Boringhieri

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FANTASY

CANTANDO LO SPIRITO DELLE FOGLIE... INCONTRO CON

Intervista D - È possibile che la natura sia qualcosa di più di una biomassa vivente? R - Anche se fosse “solo” biomassa vivente sarebbe comunque qualcosa di meraviglioso: la trama della vita tesse fili invisibili e imprevedibili, in una miriade di connessioni e adattamenti che mi lasciano sempre a bocca aperta. Personalmente, però, vedo un’anima spirituale nel mondo naturale, come la vedo negli uomini. D - Credi in quello che fai? R - Certamente!

Lingalad

di ANIELLO RUSSO

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n giorno, un musicista poco meno che ventenne originario di Milano, Lingalad alias Giuseppe Festa, legge per caso Il signore degli anelli, e decide di metterne in musica alcune poesie. Qualche tempo dopo, a seguito di successi incoraggianti, Giuseppe incide il cd Voci dalla Terra di Mezzo che gli dona fama a livello internazionale. A lui si aggiungono gli altri tre elementi di quello che sarà il gruppo Lingalad, ovvero “Canto degli alberi” nel linguaggio Sindarin usato da Tolkien per dare parola ai suoi elfi. Partito dall’idea di un artista qualunque, che ha cominciato come molti strimpellando qualche nota rock in una band amatoriale di amici adolescenti, il gruppo ottiene un successo crescente, arrivando ad esibirsi in Inghilterra, Belgio, Olanda e persino in Canada, al The gather of the fellowship. S’ingrazia addirittura Priscilla Tolkien, figlia del fu scrittore, che apprezza i brani inviando una bella lettera di complimenti. Adesso Giuseppe “Lingalad” ha trent’anni, il suo gruppo tuttora si esibisce in ambienti evocativi, prevalentemente naturali, al lume di soffuse lanterne finlandesi; esprimendo la loro arte con musiche dolci e rari strumenti etnici. La bellezza delle loro esibizioni è del tutto mistica…

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Intervista: Lingalad


Lingalad

Intervista: Lingalad

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FANTASY

Intervista

INTERVISTA A

GIUSEPPE

FESTA

di ANIELLO RUSSO

D - Innanzi tutto complimenti per la tua iniziativa e per i tuoi lavori, non bisogna essere esperti per apprezzarne la qualità. In una precedente intervista hai detto di avere trovato “Il signore degli anelli” abbandonato in credenza come regalo per tua sorella. Prima di conoscere il maestro Tolkien che rapporto avevi con il fantasy in generale? R - Non avevo letto alcun libro fantasy, in compenso avevo già vissuto molte esperienze tra realtà e fiaba… spesso ci si ferma alla lettura, relegando solo al mondo letterario le creature leggendarie di cui leggiamo. Pochi considerano che esse possano esistere anche nella realtà… Intendiamoci, a quanti si domandano se ho mai visto gli elfi la risposta è no, ma ho sentito spesso le loro voci nel vento tra le foglie o nei ruscelli di montagna. Nel momento in cui queste voci mi comunicano un’emozione, anche gli spiriti del

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bosco appaiono ai miei occhi tangibili, come espressione dei sentimenti che muovono in me. Le emozioni e i sentimenti non li vediamo, eppure chi oserebbe dire che non siano quanto mai reali? D - Cos’è stata la “trilogia dell’anello” per te? Voglio dire, un giorno leggi un’opera che ti appassiona e che racconta la vita con le parole che tu vorresti sentire; è stata più una fonte di ispirazione o un vero e proprio veicolo che hai saputo sfruttare per la tua musica? R - Come ho già accennato, ero un viandante ancor prima di leggere il libro, anche se in un periodo della mia vita ho attraversato un momento in cui tutto mi sembrava materiale e privo di spiritualità. Tolkien ha avuto il merito di ridonarmi quella visione magica che stavo perdendo.

Intervista: Lingalad


Lingalad D - Quali sono stati i primi successi che ti hanno spinto a proporti nel mondo della musica professionale R - Innanzi tutto ci tengo a precisare che non sono un professionista della musica, nonostante i nostri concerti in giro per il mondo sembrino dimostrare il contrario. Mi sono sempre tenuto ben stretto il mio lavoro di educatore ambientale. Ho la fortuna di progettare percorsi didattici a contatto con il mondo naturale, e questa possibilità è un dono al quale non voglio rinunciare.

In seguito si sono uniti al gruppo Claudio, con la sua grande esperienza da “stregone” degli strumenti musicali, e Giovanni, che ci segue al mixer. Inutile dire che quando andiamo per concerti ci si diverte molto. D - Lingalad (che è anche il tuo nickname) significa “Canto degli alberi”. Dunque Giuseppe Festa è un cantore degli alberi? Parlaci delle tue escursioni nei parchi nazionali.

R - Lingalad è un viandante che trova nel canto degli alberi il sentiero da seguire nella sua vita. È una sorta di “interprete”, che D - Come si è venuto a formare il gruppo dei attraverso la sua musica racconta ciò che Lingalad? Gli altri componenti si sono fatti il mondo naturale esprime, soprattutto per avanti spontaneamente, o c’è stato bisogno coloro che stanno dimenticando l’Antico di una ricerca da parte tua? Linguaggio. Le mie esperienze nei parchi nazionali (ho R - La nostra è una storia di amicizia di lun- collaborato a vari progetti su e giù per l’Itaga data. Ho iniziato a suonare con Giorgio, il lia) mi hanno formato tantissimo. Soprattutto percussionista, a 16 anni in un gruppo rock. il Parco Nazionale d’Abruzzo è stato per me A noi due si è aggregato poco dopo anche una palestra di vita che mi ha donato e mi Fabio, il bassista. Siamo stati sempre molto uniti ma, per motivi di lavoro, due di noi si sono trasferiti e ci siamo persi di vista per un paio d’anni. Poi il caso (caso?) ci ha condotto ad abitare relativamente vicini e il progetto Lingalad I Lingalad a Dartmoor, Inghilterra (2003) ci ha di nuovo uniti.

Intervista: Lingalad

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FANTASY

Intervista

D - Se per esprimere quello che senti il mezzo migliore fosse un pezzo rap o un caotico heavy metal, useresti una musica diversa dalla tua?

Claudio Morlotti al concerto “Lo spirito del Pianeta”, Chiuduno (giugno 2005) dona tuttora gran parte dell’ispirazione che si traduce poi in musica e testi. D - Hai intenzione di fermarti e riposare, un giorno? O forse intendi seguire l’esempio di Bilbo Baggins e proseguire fino alla fine? R - Mi piacerebbe prendermi una “pausa compositiva”, appena ultimato il nuovo cd “Lo Spirito delle Foglie”, e lavorare ad un vecchio romanzo che ho cominciato a scrivere qualche anno fa ma che è incompiuto. Vedremo… Per quanto riguarda la vita di un artista, comunque, lo slancio creativo è l’essenza stessa del vivere ed è una Via che prosegue senza fine.

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heavy metal, anzi…

R - Rispondo a questa domanda rimandando chi ne ha la possibilità a visionare il contenuto del nostro dvd “I Sentieri di Lingalad”; potrebbe avere delle sorprese! Comunque non definirei caotico un

D - Poniamo per assurdo che un giorno tu componga il pezzo migliore della tua raccolta, una canzone che condividi appieno e che vorresti rimanesse nel tempo; una potente organizzazione ascolta il pezzo e ne è entusiasta. Con la sua pubblicità può portarti al successo assoluto e quindi alla diffusione del tuo pensiero, ti chiede solamente d’inserire un messaggio subliminale all’interno della traccia (magari per vendere un prodotto), e aggiunge che altrimenti la sua critica ti distruggerà la carriera. Come ti comporti? R - Credo che diffondere il proprio pensiero per un artista sia molto importante, ma la no-

Intervista: Lingalad


Lingalad stra caratteristica principale sta proprio nella coerenza del percorso artistico, indipendente dalle etichette discografiche, e nel momento stesso in cui scendessimo a compromessi il nostro mondo si sgretolerebbe all’istante. Il nostro sogno è quello di poter raggiungere più persone mentendoci uguali a noi stessi e anche se ciò non fosse possibile… stiamo bene così. D - Hai visto i film di Peter Jackson?

come hobbit! D - Come procede la tua attività di bardo girovago? Quale sarà il tuo prossimo concerto? R - Fra un paio di settimane esce il nostro nuovo album “Lo Spirito delle Foglie”, pertanto siamo impegnati negli ultimi ritocchi. Il prossimo concerto sarà ad Alzano Lombardo (Bg) a fine Luglio. Chi fosse interessato alle date può comunque trovarle sul nostro sito www.lingalad.com.

R - Sì, ho dovuto. Non volevo che le immagini del film si sovrapponessero a quelle che vivevano nella mia testa dopo aver letto il li- D - Sul tuo sito si può leggere che il tuo bro. Ma ho dovuto cedere quando siamo stati gruppo si è esibito anche in chiesa, almeno invitati a Toronto a suonare alla prima nordamericana del film. Pensavo che chiaccherare con un attore senza conoscerne il ruolo nel film sarebbe stato spiacevole. Comunque alla fine non è servito a molto, dato che molti degli attori sono così truccati nel film che a mala pena li ho riconosciuti dal vivo (vedi Gimli il Nano o Haldir l’Elfo)… poco male, ci siamo Giuseppe Festa, concerto a Gerenzano (2005) comunque divertiti

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FANTASY in un’occasione. Puoi descrivere questa esperienza? R - È stato molto bello. Dobbiamo questa opportunità a Don Walter Magni, che ci ha voluto nella sua chiesa. È un appassionato della nostra musica, voleva ospitare un nostro concerto anche se temeva la reazione dei parrocchiani… come l’avrebbero presa nel sentire cantare di elfi e spiriti dei boschi in chiesa? Ma non è stato certo difficile legare il Bene espresso da Tolkien con quello predicato da Gesù. Come disse il Capo Indiano Seath: “Noi sappiamo una cosa che l’uomo bianco non sa, ma un giorno scoprirà: il vostro Dio e il nostro Dio sono lo stesso Dio. Voi pensate che Lui sia una vostra proprietà, come la terra, ma non è così. Lui è il Dio di tutti gli esseri e la sua compassione è la stessa verso il popolo pellerossa e verso l’uomo bianco. Questa Terra Gli è cara e nuocere alla Terra è come accumulare disprezzo sul tuo creatore”. Il pensiero di questo nativo americano racchiude un concetto a noi caro: l’Anima della Terra, il Grande Spirito, Il Bene professato da Gesù Cristo… sono espressioni di una stessa Entità Spirituale. Questo i parrocchiani l’hanno capito e hanno accettato la strana amalgama di sacro e “profano”. È stato uno dei concerti più emozionanti per noi. D - Hai mai pensato di cantare in Sindarin, la lingua degli elfi? R - L’idea mi ha sfiorato, ma l’ho subito

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accantonata. La nostra musica non è infatti musica degli elfi. Quella la possiamo sentire tra le foglie degli alberi, nel canto degli uccelli o nel ronzare degli insetti sullo stagno. Le nostre sono semplici composizioni fatte da Uomini e, più spesso, da Hobbit! D - Kary Mullis diede una craniata al volante della sua automobile e mise in commercio una tecnica di duplicazione del DNA tutt’ora largamente in uso. Hai qualche aneddoto per i nostri lettori riguardo fonti d’ispirazione improvvise? R - In questo momento mi vengono in mente due situazioni particolari che hanno ispirato altrettanti brani. Lingalad è nato dopo un meraviglioso viaggio notturno nella Foresta di Forca d’Acero, in compagnia di altri quattro viandanti. Un’emozione molto forte della quale però non scriverò oltre per non svilire con parole inadatte quei momenti magici. C’è un brano, nel cd “Lo Spirito delle Foglie”, che nasce invece dall’osservazione di una giovane aquila nel suo nido. Qualche anno fa mi sono trovato “a fare la guardia”, per conto del Parco Nazionale d’Abruzzo, ad un nido d’aquila posto a dirupo su una valle del Parco. I giovani rapaci sono spesso prelevati illecitamente da bracconieri-rocciatori, che poi li vendono a peso d’oro a falconieri stranieri. Si trattava quindi di vegliare sul nido almeno fino al primo volo. Dalla mia postazione sopraelevata ho passato così tante ore ad osservare il nido e la valle sottostante che ho cominciato ad immaginare i pensieri dell’aquilotto. È nato così il brano, che culmina col primo volo dell’aquila.

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Lingalad Vederla spiccare il volo e compiere un ampio giro nella valle seguendo la madre è stata una delle emozioni più forti che io abbia mai provato. D - Cantare di luoghi immaginati da un altro, parlare per bocca di personaggi non tuoi... non pensi che possa essere riduttivo per lo spirito dell’autore? R - In parte concordo con ciò che dici. Ed è per questo che ho sentito il bisogno di creare un cd con testi completamente originali. Lo “Spirito delle Foglie” è un lavoro che sento totalmente mio e al quale sono molto legato. Racchiude l’essenza della mia filosofia di vita e la chiave dell’equilibrio che ho faticosamente raggiunto. D - Ti lascio spazio per fare un saluto e per concludere come preferisci. R - Vorrei invitare tutti i lettori a ricercare anche nella vita reale le emozioni che provano leggendo un libro. Una passeggiata in un bosco di notte è un buon modo per iniziare. Buon sentiero...

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Il nuovo album 1 Cuore di pietra 2 Il Vecchio Lupo 3 Il volo dell’Aquila 4 Luci nell’ombra 5 Seguo il Sole 6 Il Bosco di Betulle 7 Verso Nord

8 Polvere d’incanto 9 Cielo e Fonte 10 Il risveglio 11 Lo Spirito delle Foglie 12 Lingalad (nuova versione) 13 Oltre il Mare 14 In viaggio ancora

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“Quali erano le parole che ti ripeteva sempre tuo padre? Si potrà mai conquistare la felicità senza immolare vittime? è possibile lasciarsi alle spalle il passato senza essere schiacciati dai propri ricordi? Sono domande molto sagge, credimi Daisaku. E penso che tu... possa trovare la risposta. E non appena ci sarai riuscito, falla sapere anche a me.” Ginrei da Una felice conclusione 1998


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GIANT ROBOT IL GIORNO IN CUI LA TERRA SI FERMÒ.

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iant Robot è una serie OVA - Original Video Animation - liberamente tratta (o, per meglio dire, ispirata) dal fumetto “Jaianto Robo” (già portato sullo schermo, nel 1967, da un omonimo telefilm) disegnato dal compianto MITSUTERU YOKOYAMA, diretta da YASUHIRO IMAGAWA e sceneggiata dallo stesso Imagawa e da EIICHI MATSUYAMA. Si compone di 7 episodi, il primo dei quali uscì in Giappone nel luglio del 1992. Ci troviamo in un prossimo futuro nel quale le applicazioni di una nuova forma di energia, pulita, versatile e totalmente riciclabile, hanno determinato nell’arco di un solo decennio l’obsolescenza e l’abbandono di ogni altra risorsa energetica. Il dispositivo universale che imbriglia ed eroga questa energia, denominato Sismadrive e messo a punto da un’equipe di cinque premi Nobel guidati dal professor Sisma (Shizuma nella versione originale), prodotto in svariate versioni, alimenta ormai ogni genere di macchinario, dagli orologi da polso ai motori degli aerei. Abbattuti, grazie a questa scoperta, i monopoli relativi all’estrazione e alla distribuzione delle risorse energetiche, eliminate pertanto alcune delle maggiori

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cause di disparità economica, e risolti i problemi d’inquinamento, il mondo sembra avviato a concepire una società ideale, priva di conflitti. Rimane tuttavia la criminalità, un fenomeno il cui apice è rappresentato da un organismo paramilitare estremamente potente, la società segreta Big Fire (BF), che persegue l’eterno proposito di dominare il mondo. Ad essa si oppone l’altrettanto composita Organizzazione di Polizia Internazionale (OPI). Ambedue le fazioni dispongono di ampie risorse (mezzi, uomini e infrastrutture), e includono nelle rispetttive fila agenti dalle capacità sovrumane. L’OPI, inoltre, può far conto su un’arma formidabile, un robot che, nella presentazione iniziale, viene definito come il “più grande di tutti”: il suo nome è, non a caso, Giant Robot. Queste le premesse di un’opera che riunisce in sé almeno tre fortunati filoni storici dell’arte fumettistica (e conseguentemente dell’animazione) giapponese, quello robotico (iniziato proprio con un’altra opera di Yokoyama, SUPER ROBOT 28, perpetuatosi poi all’insegna dei robot di GO NAGAI), quello d’arti marziali e combattimento (si pensi a KEN IL GUERRIERO, o ai CAVALIERI DELLO ZODIACO), e quello derivante dai romanzi epici,

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dalle leggende e dall’antica mitologia cinesi (ricordiamo, per esempio, Hakujaden, il primo lungometraggio a colori prodotto in Giappone, o le infinite trasposizioni del Sayuki), contenuti tuttavia in un’ambientazione inusuale rispetto ai generi, direttamente plasmata sui contesti cari a Yokoyama, da cui la sceneggiatura attinge a piene mani. A questo proposito occorre avvisare che Giant Robot, proprio per il singolare utilizzo e la disomogenea distribuzione degli elementi (in particolare i personaggi) prelevati dalle varie opere di Yokoyama, non costituisce una composizione uniforme, né dal punto di vista della trama né per ritmo narrativo, ma segue anzi una cadenza che accelera improvvisa nei due episodi conclusivi. Per certi versi questo effetto è sicuramente riconducibile a sopravvenute revisioni e ampliamenti della trama, compiuti durante la lavorazione, che hanno determinato un inserimento compresso nel finale di nomi ed eventi probabilmente non del tutto comtemplati da principio. Forse è più facile spiegare questo concetto in termini allegorici… Conviene allora pensare alla trama dell’opera come allo scorrere di un grosso fiume a monte di una cascata. Vedere Giant Robot significa imbarcarsi per navigare lungo questo

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corso d’acqua immaginario, che ci sembrerà placido all’inizio (non in quanto a colpi di scena, ma per la “pazienza” narrativa con cui vengono introdotte le varie componenti dell’intreccio), e che quieto resterà per un sostanzioso tratto del suo corso. Ma più avanti sappiamo esserci le rapide, pronte senza preavviso a renderci parossistico il pur breve tratto terminale che culmina col salto. Ebbene, per Giant Robot le rapide iniziano all’episodio numero 6. Non si tratta necessariamente di un difetto, potremmo definirla semmai una… peculiarità, una di quelle caratteristiche che contribuiscono a rendere questa serie animata un’opera assolutamente fuori del comune. Di seguito verrà presentata e commentata la trama dei 7 episodi. La scelta di trattarli singolarmente è volta a permettere al lettore (che, nel corso dell’articolo, si sentisse magari interessato a intraprendere la visione della serie senza intermediari, o che, avendo già visionato parte dell’opera, fosse desideroso di non precludersi le sorprese per la parte restante) d’interrompere la cronaca in ogni momento, saltando direttamente alle “considerazioni finali” di fine lettura, più generali e pertanto a minimo rischio-spoiler. MdF

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LA VALIGETTA NERA

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Episodio #1

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na notte di tempesta, un tetro castello, quattro uomini dall’aria sinistra (uno di essi celato dietro una maschera da samurai)... Entrano subito in scena i personaggi che simboleggeranno la BF durante i primi cinque episodi. Bastano poche battute per delineare i ruoli: da una parte Lord Albert, prestigioso esponente delle più alte sfere di comando, e Ivan suo fedele braccio destro; dall’altra il giovane e ambizioso Genya, a quanto capiamo un subalterno di lusso, in grado di permettersi una certa, sprezzante autonomia. Infine, Ko Enshaku, l’uomo con la maschera, inquietante e silenziosa figura che pare svolgere la mansione di guardia del corpo dello stesso Genya. Sopra un tavolo, nell’ampio e tetro salone, ci vengono mostrate due anonime valigette contenenti non meglio specificati “prototipi”, fondamentali per i criminosi piani della BF. Di questi campioni riusciamo a sapere una sola cosa: che dovrebbero essere tre. E la terza valigetta appare puntuale poco dopo, stretta al petto di uno stravolto professor Sisma, sul tetto di un treno che sfreccia divorando le luci notturne del centro urbano di Nanchino. È l’inizio dei fuochi d’artificio, un quarto d’ora di fiato sospeso in un’escalation d’azione che ci presenta due distinti scenari. Nel

primo, a salvare il fuggiasco Sisma (braccato dagli sgherri della BF) piombano tempestivamente gli agenti dell’OPI: l’affascinante Ginrei, il mastodontico Tetsugyu e, soprattutto, Daisaku Kusama, dodicenne al comando dell’impressionante Giant Robot; nel secondo, ci ritroviamo nella notte di Parigi in compagnia dell’agente OPI Kenji Murasame, in cima alle torri campanarie di Notre Dame, con i cadaveri impiccati di tre scienziati “del Drive” che dondolano macabri, accompagnati dai rintocchi funerei delle campane e dalla risata di un redivivo professor Von Vogler - altro scienziato della celebre equipe, morto da anni (o così si credeva) - la cui spettrale apparizione scandisce un terrificante cataclisma che, in pochi istanti, devasta l’intera città. Solo dopo i botti di questo pirotecnico prologo, allo spettatore, fin qui in apnea totale, viene finalmente concesso di prendere fiato. E allora l’atmosfera cambia, la notte cede il passo a una luminosa mattina di sole che accompagna l’arrivo a Pechino del “Greta Garbo”, la singolare macchina volante (simile nella forna a un dirigibile di gusto naif) che riporta Giant Robot, Daisaku e il professor Sisma (Tetsugyu e Ginrei li troviamo già rientrati per proprio conto) alla base locale

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1) Il tetro castello di Genya. 2) Q-Boss all’attacco, non esita ad usare tutte le risorse della BF, compreso (3) un robot gigante.

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4) Tetsugyu fugge portando di peso il professor Sisma. 5) Tetsugyu, Ginrei e Sisma, inseguiti dal robot di Q-Boss. 6) Giant Robot lascia vittorioso Nanchino. 7) L’impressionante energia dell’anti-Sisma Drive devasta Parigi. 8) Il Greta Garbo vola a Pechino, di ritorno dalla missione.

9) Il Greta Garbo scarica Giant Robot nell’hangar di manutenzione della base OPI di Pechino.

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dell’OPI. Conosciamo qui altri tre protagonisti: Nakajo, direttore della base, il serafico professor Go e, soprattutto, il carismatico Taiso. L’incontro tra gli agenti reduci dalla missione offre l’opportunità di approfondirne l’analisi psicologica. La regia qui è magistrale: di nuovo, come già nella scena del castello, bastano poche frasi per svelare caratteri e reciproci rapporti. Intuiamo così l’affetto fraterno che lega Taiso e Tetsugyu, l’insofferenza che quest’ultimo nutre verso Daisaku, la goffa tenerezza che serba per la bella Ginrei, peraltro lungi dall’essere da lei ricambiata, e la simpatia che invece alla stessa Ginrei ispira il diligente (fin troppo) Daisaku. Su tutti, però, già comincia a emergere la straordinaria presenza di Taiso, personaggio che sarà centrale nella storia fino al quarto episodio. Rientrata la squadra ed espletati i convenevoli di rito, è tempo per i “cervelli” dell’OPI, Nakajo e il professor Go, di fare il punto della situazione. Iniziamo così ad apprendere qualcosa in più 9 sulla figura di Von Vogler e

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sul ruolo dei misteriosi “prototipi”; siamo ancora lontani dalle spiegazioni vere e proprie, ma riusciamo a scostare un po’ la porta della stanza degli enigmi. Tanto per cominciare, ci viene mostrato il contenuto della valigetta riportata dal professor Sisma: sembrerebbe trattarsi di una elaborata variante del Sisma-drive. Nell’occasione, si menziona ancora una volta (il nome era già stato pronunciato con senso di colpa dallo sconvolto Sisma, a bordo del Greta Garbo) la “tragedia di Vashtal” (Bashitarlle, nella versione originale), un disastro d’immani proporzioni verificatosi dieci anni prima, durante un collaudo sperimentale del Drive. Grazie al flashback offertoci da un incubo di Genya, apprendiamo la versione ufficiale di quella sciagura, che ha visto protagonista in negativo proprio il professor Franken Von Vogler, reo di aver voluto forzare i tempi dei test sul Drive, utilizzando, contro il parere dei colleghi, un pericoloso prototipo. Ed ora, in concomitanza di una nuova, inspiegabile, piccola “Vashtal” scatenatasi nella notte a Parigi, spunta questa valigetta (che sia lo stesso prototipo

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di allora?), e riappare inspiegabilmente anche Von Vogler, come un fantasma dalla tomba, mentre tre dei suoi colleghi vengono uccisi e il quarto, Sisma, viene salvato per un soffio: c’è insomma di che inquietare i vertici dell’OPI. L’impressione è che a Storia di Vashtal minacci di ripetersi. L’incubo di Genya, naturalmente, rende implicita l’esistenza di un legame tra il giovane e il famigerato professore; non è chiaro di quale tipo, ma possiamo facilmente intuirlo. Inoltrandoci con Kenji Murasame nella vasta faglia scavata a Parigi dal cataclisma, scopriamo, nel sottosuolo della cattedrale di Notre Dame, una sorta di base segreta della BF. Proprio da quel punto pare essere scaturita la tremenda energia che ha devastato la città. Nel frattempo, Lord Albert giunge a Pechino con l’intento di recuperare la terza valigetta. È ormai notte quando il formidabile dirigente della BF, coadiuvato nell’occasione da Ko Enshaku, attacca la base dell’OPI, fornendoci l’esatta dimensione della propria forza: da soli, lui ed Enshaku (ma soprattutto

“Lui”), sbaragliano ogni tentativo di resistenza, penetrando con facilità irrisoria in una struttura intensamente pattugliata e dotata di ogni genere di difesa. L’avanzata di Lord Albert appare subito inarrestabile, tanto da costringere Nakajo a ordinare un’evacuazione immediata. Spetta ancora a Ginrei e Daisaku, stavolta con l’assistenza di Go, l’onere di portare in salvo per la seconda volta il professor Sisma e il prezioso prototipo. La fuga dei cinque (al gruppo si unisce poco dopo Tetsugyu) viene in un primo momento intercettata dallo stesso Lord Albert (costretto però a impegnarsi in un titanico corpo a corpo col sopraggiunto Taiso), e poi definitivamente bloccata dall’intervento di Ivan. L’episodio termina con la gola di Taiso serrata nella mano di Lord Albert, e con i fuggitivi alla mercé di Uranus, il robot di Ivan, mentre Giant Robot, nell’incredulità generale, quasi a dimostrare una volontà propria, scardina autonomamente i blocchi costrittivi che lo tengono agganciato all’hangar di manutenzione, e decolla per precipitarsi in soccorso di Daisaku…

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Commento

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’inizio di questa saga è vorticoso: ribolle tra stormi di elicotteri, treni che si speronano, inseguimenti vertiginosi, convogli che si trasformano in colossali robot, in uno spasmodico crescendo di tensione che coinvolge, quasi senza soluzione di continuità, anche la scena della distruzione di Parigi. La volontà di stupire immediatamente lo spettatore è palese, la si riconosce nel frenetico susseguirsi delle scene d’azione, nel modo di animarle, nella cura stessa dei particolari, indubbiamente lodevole (specie trattandosi di una produzione OVA, ossia destinata al solo mercato dell’home-video domestico) ma in qualche frangente forse un po’ eccessiva, “maniacale”. Un esempio lo fornisce la sequenza nella quale il robot di Q-Boss (l’agente BF che insegue Sisma a Nanchino) viene colpito e scagliato lontano da Giant Robot. La fluidità della scena, nello spumeggiare di fumo che avvolge l’enorme macchina mentre si schianta contro un vecchio edificio, è indubbiamente una delizia a ve-

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10) Daisaku osserva le operazioni di routine alla base di Pechino. 11) Sostituizione delle capsule di Sisma-drive. 12) Siparietto comico con protagonisti Ginrei, Daisaku e Taiso. 13) Murasame spia la base segreta della BF nel sottosuolo di Parigi. 14) Veduta esterna dell’aeroporto di Pechino. 15) Ginrei si appresta a lasciare la base per mettere in salvo Sisma e la valigetta. 16) Daisaku confronta una normale capsula di Sisma-Drive col campione contenuto nella valigetta. 17) Giant Robot scardina i ganci di sicurezza e decolla. 15

dersi, ma il fatto di poter contare una ad una (nel caso ci sognassimo di volerlo fare) le tegole del palazzo che scivolano giù dal tetto sparpagliandosi… be’, è una finezza che apprezziamo, certo, ma con un po’ d’imbarazzo. Questi “narcisismi” dell’animazione sono piacevoli, è vero, ma viene da chiedersi se non siano controproducenti, considerando il loro costo in termini di tempi di realizzazione! Per altri versi, si può dire che l’intera scena dell’inseguimento a Nanchino sia “esagerata”, ma questo rientra nell’ottica di un realismo dichiaratamente arbitrario, che occorre accettare in anticipo. Non deve quindi stupire la presenza di convo-

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gli chilometrici dal cui tetto fuoriescono a decine (se non a centinaia) gli elicotteri della BF, peraltro allegramente abbattuti dall’infallibile pistola di Ginrei e dalla scure serpeggiante di Tetsugyu, perché sono eccessi che si ripeteranno spesso in quest’opera. Una volta sintonizzatici sul “particolare” grado di verosimiglianza della serie, e riavutici dagli scossoni dei primi avvenimenti, saremo pronti per goderci uno spettacolo che, nel complesso, di sicuro non tradirà le nostre aspettative. Alcune sequenze sono davvero d’antologia, come la scena della distruzione di Parigi, scandita dai cori della filarmonica di Varsavia, che raggiunge vertici di puro lirismo. 16

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Inevitabile la simbolica scelta di Parigi, la “Ville Lumiére” per antonomasia, come teatro della follia oscurantista di Von Vogler; la cornice perfetta per l’inquietante scenario che tratteggia la distruzione globale dei Sisma-drive, lo spegnimento di tutte le luci. Il professore assiste inebriato, con in mano una candela accesa, facendo eco al se stesso della contorta visione onirica di Genya, in cui vagheggia di “giorni senza notti”, mentre scorre l’addolorata “furtiva lagrima” di DONIZETTI (L’Elisir d’amore, 1832). Magnifiche anche tutte le inquadrature riservate al ruggente Giant Robot, perfette nella costruzione e nell’impareggiabile accompagna17

mento sonoro, capaci di suscitare anche in situazioni statiche l’impressione di potenza del robot. In realtà è tutto l’episodio a svilupparsi in modo scorrevole e armonioso, con i tempi delle transizioni sempre indovinati, sia nei cambi di scena concitati, come nella prima apparizione di Sisma, che in quelli morbidi e graduali come nell’arrivo di Lord Albert a Pechino, quando l’agente della BF finisce quasi per incrociare Taiso e Tetsuguy, e la regia abbandona l’uno per interessarsi degli altri. Dei personaggi si è già detto. La capacità di caratterizzarli in poche battute è esemplare. Senza nulla togliere alla divertente e bellissima Ginrei, è indubbio che i protagonisti indiscussi di questo primo episodio siano Taiso e Lord Albert. La narrazione li lega indissolubilmente, inserendo tra loro un vecchio antagonismo che ci viene rivelato durante la scena finale del duello. Straordinaria è la gestione del personaggio di Taiso, proposto, nei 20 minuti in cui compare, con una serie incredibile di trasformismi caratteriali (goliardico, fatalista, vitaiolo, autoritario, saggio...), tutti

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perfettamenti integrati, a formare una personalità stupefacente e sapientemente resa. Il picco di queste metamorfosi si raggiunge al cambio d’epressione di Taiso nell’attimo in cui, corso in aiuto dei colleghi, “intercetta” Lord Albert. Dalla bonaria e sorniona allegria della scena precedente, nella quale scherza con Tetsugyu, l’agente dell’OPI passa a un’espressione di determinazione fredda, un sorriso quasi diabolico con cui addirittura pregusta il piacere dell’imminente scontro contro l’antico e forte rivale. Doveroso il plauso anche al doppiaggio italiano; si riascoltano con infinito piacere voci celeberrime del panorama storico degli anime (e non solo), tutte egregiamente abbinate ai personaggi. Una menzione speciale si deve all’assegnazione delle voci dei due amici fraterni, Taiso e Tetsugyu, doppiati rispettivamente da ROBERTO DEL GIUDICE e da ENZO CONSOLI, ossia gli impagabili Lupin e Zenigata. Come non ricordare, infine, il glorioso ROMANO MALASPINA (l’indimenticabile Actarus di ATLAS UFO ROBOT), a cui non poteva che essere affidata la voce di Lord Albert. M DF

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LA Tragedia di vashtal

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Episodio #2

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e strutture OPI di Nanchino sono compromesse, ai danni conseguenti all’incursione di Lord Albert si aggiungono quelli provocati da Giant Robot durante il suo inaspettato “risveglio”. Nakajo, allora, pare fermamente intenzionato a distruggere l’intera base. Lo dissuade però l’improvviso arrivo degli agenti Issei e Yoshi, accorsi in aiuto di Taiso. Si completa così il quadro dei personaggi principali, vale a dire quelli che appaiono nella sigla iniziale e che, verosimilmente, avrebbero dovuto costituire il cast dell’intera serie (vedremo invece come, nel proseguio, altri personaggi si affiancheranno a quelli attuali o addirittura li sostituiranno, testimoniando l’evidente evoluzione in corso d’opera della sceneggiatura, e la volontà di omaggiare Yokoyama citando il maggior numero possibile dei suoi protagonisti storici). Issei, il bonzo, e Yoshi, la possente donna dalla pelle blu, rappresentano le componenti più bizzarre fin qui introdotte; i loro “poteri” sono così stravaganti e privi di criterio da rendere prataticamente indescrivibile il loro combattimento con Lord Albert. È un labirinto di sequenze che occorre assecondare senza la pretesa di dipanarvi un ordinato filo logico, lasciandosi semplicemente trascinare dal puro impatto vi-

sivo dell’animazione (ancora una volta accompagnata da un sottofondo sonoro notevole e perfettamente inserito), un po’ come si farebbe (con tutto il rispetto e fatte, naturalmente, le dovute proporzioni) di fronte a una scena del Fantasia disneyano. Il confronto si conclude con Lord Albert che “signorilmente” si ritira, congedandosi da Taiso con la promessa di sistemare i sospesi in altra occasione. Riprendiamo allora le sorti di Daisaku e compagni, che avevamo lasciati nelle grinfie di Ivan. L’arrivo di Giant Robot non ha mutato la situazione, giacché nemmeno la formidabile potenza del robot si dimostra in grado di scalfire il campo di forza generato dall’Uranus. Protetto all’interno di questo “guscio” trasparente che brilla d’energia ad ogni vano assalto di Giant, Ivan può disporre in tutta tranquillità dei suoi prigionieri. Per bocca dell’agente della BF riusciamo finalmente a conoscere in dettaglio gli avvenimenti di Vashtal, o perlomeno la versione nota al mondo. Apprendiamo ciò che in parte ci era già stato anticipato dall’incubo di Genya nel primo episodio: durante la sperimentazione sul Sisma-drive, trovandosi in una situazione d’impasse nella quale i risultati (già promessi al mondo)

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18) Momento drammatico per Taiso, stretto nella morsa di Lord Albert. 19) Entrano in scena Issei e (20) Yoshi.

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21) Enshaku interrompe il duello tra Taiso e Lord Albert. 22) Issei impegna Lord Albert, mentre Yoshi recupera Taiso. 23) Salvataggio riuscito. 24) Giant Robot tenta invano di oltrepassare la barriera dell’Uranus. 25) Ginrei e il professor Go si preparano ad affrontare Ivan.

26) Ivan tiene sotto tiro Daisaku.

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stentavano ad arrivare, il professor Von Vogler, uno dei cinque premi Nobel (fra i quali Sisma) che lavoravano alla progettazione del rivoluzionario dispositivo, decise sconsideratamente di collaudare i tre prototipi fino ad allora preparati. Il risultato fu catastrofico: un’esplosione immane volatilizzò l’intera nazione (Vashtal, la patria di Ivan) entro i cui confini era stato condotto l’esperimento. Perdipiù la misteriosa natura del disastro provocò un inspiegabile, anomalo black-out energetico, nell’intero globo, precipitando per 7 giorni la Terra in una insostenibile era preindustriale. Il disastro fu di proporzioni apocalittiche, tali da determinare la scomparsa di due terzi della popolazione mondiale. 26 Facile intuire come i prototipi utilizzati in quel terribile giorno di dieci anni prima fossero del tutto simili a quelli ora contenuti nelle fatidiche tre valigette (forse addirittura gli stessi). E così giungiamo al momento topico, quando un sempre più alienato professor Sisma, in un attimo di lucida follia, estrae il prototi-

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po dalla terza valigetta e lo sostituisce a uno dei drive che alimentano l’auto con la quale il gruppo è scappato dalla base. L’attivazione del pericoloso dispositivo è immediata: in pochi istanti capita ciò che già si era verificato a Parigi, ossia una versione ridotta dell’effetto-Vashtal. Assistiamo di nuovo al cataclisma, e al successivo spegnimento di tutti i Sisma-drive, in un’area che rapidamente si allarga fino a inglobare l’intera Pechino. L’interazione esistente tra i prototipi finisce per avviare, nonostante l’enorme distanza che li separa, anche i due in possesso della BF, nascosti a Parigi nella base segreta scoperta da Murasame e diretta da Genya in persona. La prematura attivazione di tutti e tre i meccanismi induce in qualche modo Genya a modificare i propri piani, e a ordinare il decollo di quella che, in realtà, scopriamo non essere una semplice base bensì un’enorme macchina volante sferoidale a forma di ciclopico occhio (l’Occhio di Vogler). È in questa occasione che Genya, in un coinvolgente monologo, ribadisce la propria vocazione di vendicatore votato al castigo del mondo, quel

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mondo che ha ricoperto d’ignominia il nome di Von Vogler, maledicendolo come unico responsabile della tragedia di Vashtal. Lo stesso mondo ipocrita, precisa Genya, che qualche anno più tardi insigniva di ogni onore gli altri quattro scienziati del gruppo, osannando il Drive, “come…”, sottolinea, “se [a Vashtal] non fosse accaduto nulla”. Questo singolare desiderio di rivalsa, unito al misterioso senso di colpa che pare devastare invece Sisma fin dalla sua prima apparizione, c’inducono a pensare che l’incidente di Vashtal celi ancora dei segreti inespressi, e che forse la responsabilità di Von Vogler non sia stata del tutto esclusiva. Mentre la Sfera Nera, col suo occhio aperto pronto a pietrificare l’umanità, levita bieca e imponente sopra i cieli di Parigi, lasciando sotto di sé una scia di distruzione e oscurità totale, a Pechino la situazione è decisamente cambiata: anche i drive che alimentano l’Uranus sono stati disattivati dall’azione del prototipo alterato, che il professor Go definisce con il nome perfettamente emblematico di anti-Sismadrive. Si scopre con stupore che l’unica

“macchina” ancora funzionante, per nulla toccata dell’influsso del congegno, è proprio Giant Robot. La distruzione raggiunge però livelli tali da obbligare Ginrei a staccare l’anti-Sismadrive. L’Uranus allora istantaneamente si riattiva. Giant Robot gli si scaglia addosso, e la macchina della BF non pare in grado di contrastarne l’immane potenza. Ivan è dunque costretto a fuggire, ma non prima di aver vigliaccamente sparato al professor Sisma, alla schiena. L’episodio si chiude con la morte dello scenziato, tra le braccia di Ginrei. Daisaku fa solo in tempo a confermargli ciò che il professore già aveva intuito, ossia che Giant Robot non è alimentato dal Sismadrive, ma dall’energia atomica! Rasserenato da questa (che per noi sembrerebbe al contrario inquietante) rivelazione, il professore spira; le sue ultime parole sono rivolte a Daisaku e al suo robot che, a suo dire, “sono l’unica speranza del mondo contro la follia di Von Vogler”.

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“O

rmai il futuro c’illumina con la folgorante luce della vittoria… basta poco a sconfiggere il buio, perché la notte è meravigliosa”: con queste parole di Franken Von Vogler inizia il riassunto che introduce all’episodio numero 2. La puntata è meno caleidoscopica della precendete, i cambi di luogo sono ridotti, e il grosso dell’azione si concentra nel confronto tra Ivan e gli agenti dell’OPI. Tutto ruota intorno alla spiegazione della tragedia di Vashtal, e al chiarimento degli scopi della BF, che ora sappiamo volti a impadronirsi dei tre prototipi per bloccare ogni fonte di energia sulla Terra. Il design dei personaggi, curato da AKIHIKO YAMASHITA e TOSHIYUKI KUBOKA, appare sempre più fedele allo stile di Yokoyama, a sua volta inevitabilmente influenzato da quello di OSAMU TEZUKA. Le presenze immaginarie dei due Senpai aleggiano sulla serie come come quella di Von Vogler davanti alla Sfera Nera. Daisaku e il professor Sisma, e Q-Boss e gli sgherri mascherati della BF, e

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27) Taiso alimenta con l’energia del proprio corpo la base di Pechino, dopo l’attivazione dell’anti-Sismadrive. 28) Fra gli uomini di Genya a Parigi si nasconde una spia dell’OPI: Murasame. 29) Da Pechino gli agenti dell’OPI assistono al decollo della Sfera Nera. 30) L’immagine di Von Vogler gioisce innanzi alla Sfera Nera. 31) La Sfera devasta nuovamente Parigi. 32) Giant Robot si riprende e per l’Uranus (33) non c’è speranza. 34) Ginrei, Tetsugyu, Daisaku e Go al capezzale del professor Sisma. 32

Murasame, paiono tutti appena usciti dalle pagine di Tetsujin 28 gou; Issei, trasformato in cavallo, e le sue acrobazie nel traffico di Pechino ci proiettano per qualche istante in Ribbon no Kishi, con l’agente che sgambetta in forma equina tra le auto del centro urbano così come Opale faceva tra spade e armigeri, con la sola differenza che in groppa non porta l’agile e deliziosa Zaffiro, ma l’imponente e bluastra Yoshi. La corrispondenza tra i nostri protagonisti e i personaggi delle opere di Yokoyama è comunque globale: quasi tutti gli agenti dell’OPI (Go, Issei, Taiso, Tetsugyu, Yoshi) e KoEnshaku li ritroviamo nel manga Suikoden, ambientato nella leggen-

daria Cina degli Han, Lord Albert ed Ivan sono presenti in Maazu (mars), l’incantevole Ginrei appare in Okami no seiza, Nakajo in Babiru Nisei (BABIL JUNIOR in Italia), Genya in Iga no Kagemaru. Protagonista “nascosto” dell’episodio è Von Vogler, il professore maledetto, sulla cui morte sorgono ora legittimi dubbi. La trama comincia a manifestare la propria accuratezza, s’iniziano ad apprezzare certe finezze che nell’episodio 1 lasciavano forse perplessi. Si compongono come tessere di un mosaico le immagini che qua è là la regia ci regala: le fanatiche grida di un delirante Von Vogler nell’incubo di Genya, che inneggiano 33

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alla notte meravigliosa, rischiarata dall’Energia Promessa dei drive che illumina i negozi, le vie delle città, le finestre delle case… gli animi della gente; e poi l’improvviso ritorno alle tenebre, nella degenerata sete di vendetta del professore, di cui Genya si fa implacabile portavoce. Per contro, ahimé, occorre notare anche qualche lieve incrinatura nella trama. Non può sfuggire il fatto che, all’epoca di Vashtal, per stessa ammissione della sceneggiatura, il Sisma-drive fosse ancora in fase sperimentale, ben lontano dall’essere entrato a far parte della quotidianità. Allora risulta sì verosimile che un campo anti-Sismadrive possa, nel “presente”, alterare il funzionamen-

to degli analoghi dispositivi energetici, e quindi effettivamente lasciare al buio una Terra drive-dipendente (strano, a proposito, che l’orologio di Daisaku continui a funzionare; che sia anche quello alimentato dall’energia atomica?), ma appare molto più forzato (pur nel contesto irrealistico della serie) che un effetto analogo possa, dieci anni prima, aver “annullato” ogni altra risorsa energetica, rendendola inutilizzabile per 7 giorni (quindi aver, simultaneamente, interagito coi derivati del petrolio, fermato il vento nelle centrali eoliche, bloccato i raggi del sole, cancellato le proprietà radioattive degli elementi fissili nelle centrali nucleari, ecc…). Anche alla regia scappa un passo controverso: la decisione di Nakajo di distruggere la base OPI, in un momento in cui Lord Albert già se n’era andato. Inoltre fanno sorridere le parole di Genya nello scoprire l’infiltrato Murasame in mezzo agli agenti della BF, tutti mascherati e quindi identici fra loro: “…non mi sembra di averti mai visto”! (nello script originale era addirittura: “non riconosco la tua faccia”!). Qualche errore anche nell’adattamento italiano: in una scena si sente Ginrei

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citare “i due scienziati uccisi”, frase inesistente nel testo originale (tant’è che i ricercatori impiccati a Parigi sono tre, non due), e, nel primo episodio, la voce di un operatore annuncia il rientro a “Nanchino” (anziché Pechino) del Greta Garbo. Prosegue intanto la caratterizzazione di Giant Robot, che spinge sempre più lo spettatore al sospetto che il gigante d’acciaio agisca in parte mosso da una coscienza propria. La regia ne dissemina gli indizi in ogni occasione: quando il robot tenta testardamente di raggiungere con una mano Daisaku, pur impedito dalla barriera eretta dall’Uranus; o quando si blocca, apparentemente privo d’energia (ma noi giureremmo invece in preda a pura frustrazione); o, ancora, quando persiste nello scaricare rabbiosamente il suo intero arsenale dietro al fuggiasco Ivan, nonostante Daisaku gli ordini ripetutamente di smettere. Come di consueto è pressoché perfetta la caratterizzazione dei personaggi, in particolare Ginrei, le cui espressioni, nei frequenti primi piani che le vengono riservati quando si parla di Vashtal, fanno presagire un suo particolare coinvolgimento nella tragedia. M DF

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I cannoni elettromagnetici Trama

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ono trascorsi tre giorni… La rivelazione che Giant Robot è alimentato dall’energia atomica pare aver sorpreso e agitato il gruppo dell’OPI. Ulteriore nervosismo accompagna poi la convinzione, generale, che Von Vogler sia sopravvissuto alla tragedia di Vashtal, e sia tuttora vivo, lui e i segreti della tecnologia che provocò quel disastro. Nel clima di tensione, si tengono i funerali del professor Sisma. Intanto la Sfera Nera avanza minacciosa. Parigi, Londra, Dublino, poi New York, Washington, San Francisco: un itinerario di distruzione che punta diritto a Shanghi, ove ha sede il maggior giacimento petrolifero del mondo. Lo scopo è presumibilmente quello di distruggerlo, eliminando così ogni residua alternativa energetica in vista della distruzione sistematica dei Sisma-drive. Ma l’OPI sta già valutando le contromisure. Il piano per fermare la Sfera prevede l’utilizzo di una rete di dispositivi azionati dall’elettromagnetismo, quindi teoricamente insensibili al campo anti-Sismadrive generato dalla macchina bellica della BF. Si tratta di “cannoni elettromagnetici” che dovrebbero generare una forza repulsiva sufficiente a sospingere la Sfera Nera nello

Episodio #3

spazio. Tutti i membri operativi dell’OPI di Pechino vengono prontamente riassegnati a Shanghai; tutti tranne Daisaku e Tetsugyu. Nakajo, infatti, ordina loro di portare al sicuro Giant Robot al quartier generale himalayano di Ryu Zampaku. La decisione, incomprensibile (visto che sottrae alla missione la più potente arma offensiva dell’OPI), lascia tutti sconcertati, anche per la freddezza con la quale viene comunicata. Daisaku suppone che la causa dell’estromissione di Giant sia l’ingiusto timore verso l’alimentazione atomica. Ginrei cerca di consolare il ragazzo, e, nel racconto di lei da bambina, la scopriamo presente, insieme a un giovane professor Go, a Vashtal nel cruciale e drammatico istante in cui Von Vogler azionò il Drive. “Lasciami Go, voglio andare dal mio papà…” la sentiamo gridare, e capiamo molte cose… Un attimo dopo ecco l’immane esplosione, e una tacita domanda viene lasciata sospesa: come hanno fatto Go e Ginrei a sopravvivere? Cambio di luogo e ritroviamo, a Parigi, Ivan e Lord Albert. Quest’ultimo è pervaso dai dubbi: non riesce a inquadrare i reali intenti di Big Fire, il capo supremo dell’Organizzazione. Lo lascia molto dubbioso il fatto che Egli abbia acconsentito alla co-

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35 35) Il Greta Garbo si alza in volo per le esequie del professor Sisma. 36) La Sfera Nera sorvola New York, diretta verso Shanghai. 37) Parigi distrutta.

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38) Yoshi e Taiso a bordo del velivolo che porta la squadra a Shanghai. 39) La centrale petrolifera di Shanghai, obiettivo della Sfera Nera. 40) I cannoni elettromagnetici entrano in azione. 41) La Sfera Nera cade nella trappola. 42) A Ryu Zampaku è tutto pronto per l’esperimento di Go. 43) Ivan a bordo del suo Uranus corre in soccorso della Sfera Nera. 44) Daisaku guida Giant Robot all’attacco contro la Sfera Nera. 45) Le caldaie esplodono: Giant Robot sconfitto e “piangente”. 43

struzione e all’utilizzo della Sfera Nera, una macchina le cui finalità (annullare il Drive) sono potenzialmente pericolose anche per la stessa BF. La lealtà di Lord Albert nei confronti del Superiore resta incondizionata, come pure la fiducia nelle capacità strategiche della prestigiosa Élite dei Dieci (l’esclusivo circolo dirigente, di cui Albert stesso fa parte, che governa l’Organizzazione proprio in nome e per conto di Big Fire), ma il suo sospetto che sotto l’intera faccenda si nasconda un inganno da parte di Genya permane. Giunge infine la notte a Shanghai. I cannoni elettromagnetici vengono posizionati lungo il perimetro della città, la trappola è tesa.

Lo stratagemma dell’OPI pare inizialmente funzionare: al suo passaggio, la Sfera Nera resta bloccata in cielo, come una mosca in una ragnatela. Ma interviene Ivan che, a bordo dell’Uranus, comincia a eliminare uno ad uno i cannoni dell’OPI. Sul fronte opposto, con il caratteristico ruggito e l’impressionate turbinare dei suoi propulsori dorsali, entra finalmente in scena Giant Robo. Inutile precisare che, una volta soli, Tetsugyu e Daisaku sono stati come cane e gatto, trovandosi d’accordo su una sola cosa: disobbedire agli ordini e correre in aiuto degli amici. Un breve ma intenso scontro 44

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e per Ivan e il suo robot è la fine (complice un nuovo calo di energia dell’Uranus, colpito dal campo antiSismadrive della Sfera Nera, ormai liberata). L’obbiettivo successivo di Daisaku è chiudere la partita con Genya. Nonostante i richiami di Taiso e Ginrei, che lo esortano a non attaccare l’Occhio di Vogler, Daisaku, in una sorta di delirio di onnipotenza, dimostra l’impulsività dei suoi dodici anni e lancia Giant Robot contro l’enorme Sfera Nera. L’assalto fallisce miseramente, e il robot dell’OPI precipita, con “a bordo” l’allibito Dasaku…

Commento

È

un episodio interlocutorio, che pure ha il pregio di riportare fluidità alla trama, e ordine agli eventi che, nella precedente puntata, avevano virato decisi verso lidi di azione pura e surreale. Tra le altre cose viene chiarita la posizione di Ginrei, che ora sappiamo essere Farmel, la figlia di Von Vogler. La puntata è quieta, e si concentra tutto sul pathos finale dell’attacco alla Sfera Nera. Spettacolari come sempre le sequenze dedicate a Giant Robot, nelle quali la fusione tra animazione ed effetti sonori conferisce una sensazione di potenza alla macchina. Gli ingranaggi della regia funzionano con precisione svizzera anche laddove quelli del robot vanno in frantumi: l’impianto scenico, che ammanta di atomica invincibilità l’arma antropomorfa dell’OPI, fa funzionare egregiamente l’effetto sorpresa allorché, al culmine della scalata al cielo dell’onnipotenza, assistiamo al pugno del gigante che si sfascia letteralemente contro la corazza della Sfera Nera. Nell’espressione imperturbabile

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di Giant Robot, sempre la stessa, sempre coerentemente fissa e meccanica, si riesce a cogliere ogni volta un sentimento diverso. Non ci sono mimiche facciali (storico il DAITARN 3), né varianti fisionomiche (il design rimane rigorosamente stabile), tutto si regge su un esemplare uso delle inquadrature. E in questa scena (solo in questa) la regia si aiuta con un geniale artificio: riemprire di lacrime il volto del robot. Quindi ecco l’acqua delle caldaie esplose sgorgare come una cascata da quegli occhi inespressivi, un effetto che coinvolge ancor più di un grido o una smorfia di dolore. Assistiamo così al muto precipitare del gigante di ferro (niente ruggiti, stavolta), e intanto ci scopriamo più increduli noi dello stesso, presuntuoso Daisaku. Difficile dire quanto siano volute le analogie di cronaca storica in questo finale d’episodio, ma la morale rimane ugualmente valida. Nei cieli di Shanghai come nei mari dell’Atlantico, di fronte a enormi sfere nere o a colossali montagne bianche, l’immodestia umana alla guida di giganti d’acciaio ritenuti invincibili (o inaffondabili) porta sempre a tragiche conclusioni. M DF

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Il crepuscolo degli Eroi Trama

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iant Robot precipita, ma la sua enorme mano protegge il giovane Kusama, che rimane illeso. La Sfera Nera, mossasi per schiacciare col proprio peso il robot, viene nuovamente bloccata dai campi elettromagnetici, grazie a Taiso e Yoshi che riattivano i pochi cannoni rimasti. A tutti gli altri agenti viene invece impartito l’ordine di ripiegare sul Greta Garbo. Nel punto in cui giace Giant Robot, intanto, Ginrei e Issei trovano ad attenderli il temibile Lord Albert. Issei viene rapidamente messo fuori causa, ma nel frattempo Ginrei ha modo di raccogliere Daisaku e scappare. Lord Albert la incalza, con l’obiettivo di recuperare la valigetta (che Ginrei porta con sé, apparente incongruenza di cui più avanti si comprenderà il motivo). Inizia così una spettacolare rincorsa tra i vicoli e i tetti di Shanghai, al termine della quale Lord Albert raggiunge le sue prede e sembra a quel punto di finirle. È qui che Ginrei manifesta il proprio potere, un capacità finora tenuta nascosta: quella di riuscire a teletrasportarsi da un luogo all’altro. In un istante lei e Daisaku scompaiono davanti agli occhi di Lord Albert (e di Genya, nel frattempo sceso dalla Sfera Nera), per ricomparire assai più lontani.

Episodio #4

Genya intende occuparsi personalmente del recupero della valigetta, così, dall’alto della sua carica di direttore dell’operazione “Sfera Nera”, impone a Lord Albert di ignorare il Greta Garbo e concentrarsi sull’eliminazione del giacimento petrolifero. Nonostante i sospetti sul conto dello spregiudicato alleato continuino a crescere, Lord Albert decide, almeno per ora, di assecondarne il gioco. Il Greta Garbo abbandona mesto i cieli di Shanghai, comandato da Yoshi. L’eroico Taiso è il solo agente rimasto sul campo a proteggere la ritirata. È dunque venuto il momento della resa dai conti fra lui e Lord Albert. Il duello che li vede impegnati è titanico, e purtroppo letale per il già ferito Taiso. Dopo ripetuti tentativi, Daisaku riesce intanto a richiamare Giant Robot, che si solleva in cielo e vola ad aggrapparsi al Greta Garbo. La Sfera Nera è stata bloccata quanto basta per permettere la fuga delle forze dell’OPI, e Taiso, prima di morire, ha almeno la soddisfazione di sapere che il suo sacrificio non è stato inutile. Con l’OPI in rotta e la griglia elettromagnetica definitivamente disattivata, la Sfera Nera resta libera di scatenare il campo antiSismadrive e distruggere Shanghai. Nel frattempo, a Ryo Zam-

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46 46) Ginrei porta in salvo Daisaku, sfuggendo a Lord Albert grazie a i suoi poteri di teletrasporto. 47 e 48) Gli agenti dell’OPI si ritirano a bordo del Greta Garbo.

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49) Taiso e Lord Albert si fronteggiano nel loro ulrimo duello; sullo sfondo incombe la Sfera Nera. 50) Lo scontro tra Taiso e Lord Albert si conclude, mentre il Giant Robot (l’oggetto luminoso) riesce a decollare. 51) Daisaku, Ginrei e Tetsugyu a bordo del Greta Garbo. 52) Issei cerca di separare il modulo del ponte di comando. 53) In plancia Daisaku Tetsugyu e Ginrei attendono il manifestarsi di Genya. 54) Il Greta Garbo esplode, mentre il modulo della plancia, con avvinghiato Giant Robot, plana verso le montagne.

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paku, Nakajo e il porfessor Go procedono a un esperimento. Sulla base dei dati rinvenuti nella terza valigetta e dell’analisi del prototipo contenutovi, il professore ha costruito delle riproduzioni del Sisma-drive negativo già in possesso della BF, così da poter studiare in quale modo e con che effetti esso interagisca con le normali capsule di Sisma-drive. Il test ha luogo in concomitanza dell’attivazione della Sfera Nera. Ma qualcosa va storto: gli uomini dell’OPI nel laboratorio sembrano soffocare e cadono esanimi a terra. Poco dopo, il campione energetico usato per l’esperimento esplode. Ignari di tutto ciò, gli agenti a bordo del Greta Garbo proseguono la loro malinconica ritirata. Ginrei si sente male, e ci 54 viene spiegato che l’uso del teletrasporto è estremamente rischioso per la ragazza, che alla lunga potrebbe rimetterci la vita. Ora è anche chiaro in quale modo lei e Go si siano potuti salvare dall’esplosione di Vashtal, e il perché la ragazza sia così parsimoniosa nell’utilizzo del proprio potere. Ma il momento delle rifles-

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sioni e delle spiegazioni dura poco, interrotto dalla sirena dell’allarme generale: un intruso è penetrato a bordo del dirigibile. È Enshaku. L’intera forza dell’OPI presente a bordo, compresi Yoshi e Issei, è costretta a entrare in azione per arginare la furia del micidiale uomo mascherato; in plancia rimangono solo Ginrei, Tetsugyu e Daisaku. E proprio in plancia appare all’improvviso… Franken Von Vogler! Si tratta in realtà di Genya, che Ginrei riconosce come suo fratello, Emaniel Von Vogler. La verità è quindi finalmente svelata: Von Vogler è davvero morto, ed è suo figlio, travestito, ad ergersi in sua vece quale angelo della vendetta. Enhsaku intanto fa strage all’interno del Greta Garbo. Nemmeno Yoshi e Issei riescono a contenerlo. Per salvare la valigetta, Issei non trova altra soluzione che operare il distacco del componente di salvataggio, separando il ponte di comando dal resto del dirigibile. La manovra, pur con degli imprevisti (uno dei ganci di sicurezza rimane a lungo bloccato) riesce, ma a caro prezzo: Issei viene scaraventato fuori bordo, e Yoshi è costretta a sacrificarsi per bloccare Enshaku, facendosi esplo-

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dere insieme il Greta Garbo. Il modulo della plancia (con Giant Robot avvinghiato sopra) scampa alla detonazione, mentre Genya riesce a impadronirsi della valigetta, anche se solo per pochi istanti. Proprio la mano di Giant Robot (ancora una volta azionatosi senza alcun comando da parte di Daisaku), infatti, sfonda la cabina dall’esterno e ghermisce il figlio di Von Vogler. E intanto il velivolo plana senza controllo verso le montagne…

Commento

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iversamente dal terzo, questo quarto episodio infila scene d’azione ininterrottamente, dal primo all’ultimo minuto. Il protagonista assoluto è il sacrificio; quello di Taiso, quello di Yoshi, quello degli agenti a bordo del Greta Garbo… Un’apoteosi del martirio eroico e virile… ma anche del pianto a volte fastidioso, che vediamo negli occhi di Daisaku (sempre più bambino in fase di sofferta crescita interiore) e anche in quelli del colosso Tetsugyu, in una girandola di fiero sconforto nella quale un po’ tutti fanno a gara

per prendere su di sé l’intera responsabilità della disfatta. Il ritmo dell’azione, comunque, sommerge incalzante anche queste brevi pause, e trova il suo momento più sublime nel confronto tra Taiso e Lord Albert. Strepitosamente esagerata la sequenza nella quale Taiso, ormai sconfitto, fronteggia ancora, stoico, il rivale, pur mostrando mezzo torace divelto dalla potenza dell’avversario. La colonna sonora si conferma inarrivabile; ogni episodio propone nuovi temi e formidabili variazioni sui precedenti, dai cori ecclesiastici dell’ultimo saluto tra Taiso e Yoshi, al meraviglioso e struggente assolo di violini che introduce l’arrivo dell’irriducibile Lord Albert presso il luogo dove Taiso lo attende saldo (e forse già conscio del proprio tragico destino) per l’ultimo confronto; e, ancora, le armonie dei fiati che accompagnano le reminiscenze di Ginrei. Spettacolare la seconda parte, a bordo del Greta Garbo. La scena della separazione della plancia ricorda quella dello sganciamento del modulo di salvataggio in Mirai Shonen Conan; lì era una catena umana, al posto di un gancio, a tenere per qual-

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che attimo ancorate le due sezioni… e poi il distacco, con l’esplosione del “Gigante” sull’oceano, come quella del Greta Garbo sopra le cattedrali di roccia himalayane. La trama dell’episodio svela il mistero della famiglia Von Vogler, con l’incontro tra Genya/Emaniel e Ginrei/Farmel. Il potere inaspettato di Ginrei, la straordinaria capacità di teleportarsi istantaneamente da una parte all’altra del globo, che la rendono pertanto l’unico agente dell’OPI in grado di poter sfuggire in ogni momento alle grinfie della BF, motiva la decisione del professor Go di affidare proprio a lei la custodia della valigetta. Nell’edizione italiana, questo episodio segna il cambio di consegne nel doppiaggio di Ginrei, che passa da MONICA WARD (Lois Lane in LOIS & CLARK) a BARBARA DE BORTOLI (la Monica di FRIENDS, e la Piper di STREGHE), due doppiatrici bravissime, e due interpretazioni così simili che l’avvicendamento quasi non si nota. M DF

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La verita’ su vashtal Trama

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istrutto il deposito petrolifero di Shanghai, la Sfera Nera scompare senza lasciar traccia. Il modulo di comando del Greta Garbo è precipitato in mezzo alle nevi dell’Himalaya. I rottami della plancia forniscono a Ginrei e Tetsugyu riparo dalla tormenta; ma di Daisaku, volato via durante lo schianto, e del suo Giant Robot, nessuna traccia. Gli altoparlanti, gli elicotteri di ricerca della BF (anch’essi ostacolati dalla tempesta di neve) diffondono di continuo la minaccia di Genya: il giovane Kusama è stato catturato, e se, entro l’alba, gli agenti dell’OPI non porteranno la valigetta in un luogo covenuto, il ragazzo verrà ucciso. Daisaku, privo di conoscenza, è in effetti nelle mani di Genya. Rivive in sogno il momento del suo primo incontro, da bambino, con Giant Robot. È accaduto al capezzale del padre (il professor Kusama, che costruì il gigante d’acciaio per conto della BF), ferito a morte. Nella scena, a far loro da scudo ai due, contro i proiettili della BF, è Murasame, che in apparenza muore (ma poi lo ritroviamo vivo e vegeto) per consentire la fuga a Daisaku. La notte è anche tempo di confessioni. Ginrei spiega a Tatsugyu come lei e Go entrarono nell’OPI; Go, a sua volta, a bordo di un elicottero mandato a cercare i dispersi, deve rispondere ai

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Episodio #5

dubbi degli agenti che lo accompagnano: a cosa è dovuto il desiderio di vendetta di Von Vogler (o di chi per lui)? Se è stato lo stesso scienziato a provocarla, perché nutre allora un tale risentimento verso chi giustamente gli rimprovera la tragedia di Vashtal? Viene data voce alla stessa domanda che intriga lo spettattore, e che merita ormai una risposta. Giunge l’alba… Ginrei e Tetsugyu s’incontrano con Genya. Durante il tentavtivo di liberare Daisaku, Tetsugyu e l’onnipresente Enshaku sembrano uccidersi a vicenda. Genya è perciò libero di confrontarsi con la sorella. È il momento culminante: Emaniel, l’unico testimone oculare del post-catastrofe, chiarisce finalmente come davvero si svolsero i fatti a Vashtal. Ci viene così rivelato che fu di Sisma, il sedicente benefattore, la vera responsabilità del disastro. Furono lui e gli altri tre ricercatori dell’equipe, in segreto, nonostante la categorica opposizione di Von Vogler, a dare il via all’esperimento che causò la terribile esplosione. Vogler li scoprì troppo tardi per poterli fermare, eppure fu l’unico a rimanere coraggiosamente al proprio posto quando la reazione anomala del Drive divenne incotrollabile e gli altri se la squagliarono a gambe levate. Così come Genya, anche Go (all’epoca assistente di Von Vo-

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55) Ginrei e Tetsugyu si nascondono alla vista degli elicotteri della BF. 56) Daisaku bambino accanto al padre ferito. 57) Murasame contro Cervantes.

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58) Giant Robot lascia andare Genya, permettendogli così di salvare Daisaku da morte certa. 59) Ginrei e Tetsugyu all’appuntamento con Genya; la valigetta è il prezzo che devono pagare per riscattare la vita di Daisaku. 60) Tetsugyu è ferito gravemente da Ko-Enshaku, eppure conserva ancora la forza per affrontare Genya. 61) Issei e Murasame intervengono a proteggere Ginrei e Daisaku dalla valanga che sta per travolgerli. 62) L’arrivo dei soccorsi da Ryu Zampaku completa il salvataggio.

gler) e Ginrei erano presenti, e sapevano tutto. Sapevano... però hanno sempre taciuto. Ma ciò che nemmeno Ginrei e Go potevano immaginare è che Von Vogler scampò all’esplosione, esattamente nello stesso modo in cui si salvarono loro, ossia grazie alle capacità di teletrasporto… quelle di Genya. Per lunghi mesi padre e figlio vissero rintanati nei sotterranei delle rovine, mentre Sisma metteva

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a punto una versione finalmente stabile del Drive. Von Vogler morì non molto tempo dopo, “sotto il peso dell’onta fatta ricadere su di lui dal professor Sisma” rivela Genya. Ma, prima di andarsene, dopo aver letto un articolo sulle nuove ricerche ultimate dagli ex-colleghi, riuscì a mettere a punto i tre prototipi di anti-drive contenuti nelle valigette, strappando una promessa a Genya: fermare Sisma! Ginrei è sconcertata dalle rivelazioni, e indecisa su come comportarsi. Cerca, è vero, di scappare per proteggere la valigetta dal fratello… però non si teleporta. Non usa il suo potere per mettere al sicuro il campione (come aveva invece promesso a Yoshi dopo l’abbandono di Shanghai), nemmeno quando un robot della BF gli sbarra ogni via di fuga. È solo grazie alla riattivazione, da parte di Daisaku di Giant Robot, e all’intervento provvideniale di Issei (l’unico sopravvissuto del Greta Garbo) e Murasame, se l’OPI riesce a mantenere il possesso del prezioso prototipo. L’arrivo, subito dopo, dei soccorsi da Ryo Zampaku completa il salvataggio. Suo malgrado, Genya è costretto a desistere, deve infatti frenteggiare

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un imprevisto: Lord Albert. Il membro dell’Élite dei Dieci ha assistito all’intera scena, trovando conferma ai propri sospetti: il figlio di Von Vogler ha manipolato la BF per semplice rancore personale. Alla minaccia di venir denunciato al resto dell’Élite, Genya estrae la pistola e, approfittando ancora una volta dell’aiuto immancabile di Enshaku (che tutti credevamo morto), fa fuoco contro Lord Albert. L’eco dello sparo chiude l’episodio.

Commento

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l confronto padri-figli è il tema portante di questa quinta parte. Ginrei deve dare un senso alle sconcertanti rivelazioni di Genya, combattendo tra la fedeltà all’OPI, ai propri principi morali, e il ricordo di uomo buono e retto che lei conserva (e ne ha motivo, conoscendo la verità) di suo padre. Le immagini di un Von Vogler genitore affettuoso e scienziato integerrimo si sovrappongono a quelle di vittima traumatizzata da una catastrofe che non ha potuto evitare, una “larva d’uomo” (come lo definisce amara-

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mente Genya), incapace di parlare, impazzito alla vista del Drive messo a punto dagli ex-colleghi, tanto sconvolto da creare un antidispositivo col quale cancellare l’incubo dell’altrui successo. Il dissidio interiore di Ginrei evolve però su due piani paralleli. Da una parte c’è il dubbio: le intenzioni di Von Vogler erano forse diverse da ciò che ora appaiono, o davvero il rancore e la follia avevano raggiunto apici tali da fargli ripudiare ogni principio etico, tali da indurlo a caricare il figlio del peso di una vendetta criminale e indiscriminata?; dall’altra parte c’è il dilemma: occorre attribuire importanza determinante a queste intenzioni? o la fiducia dei figli deve essere un atto dovuto in tutti i casi, e la loro obbedienza un dovere morale che astrae dalle richieste (o dalle colpe) dei padri? Genya non ha di queste esitazioni, il suo è un amore filiale di stampo quasi “confuciano”, una devozione che prescinde dal bene o dal male, una lealtà incondizionata che gli impone di rispettare le ultime volontà del padre morente, anche se determinate dall’odio e dalla pazzia. La stessa incrollabile dedizione al genitore anima Daisaku, che proprio

dal padre riceve Giant Robot, l’arma atomica, e con essa l’incarico di combattere la BF; e un sentimento analogo sorregge anche Tetsugyu, che addirittura adolescente uccise per errore il padre con le proprie mani. Ma, se la fiducia assoluta nei padri è obbligo imperativo per i figli, ecco che le posizioni apparentemente opposte di Ginrei e Genya, Farmel ed Emaniel, finiscono per collimare, diverse solo nel significato che essi vogliono attribuire alle ultime volontà di Von Vogler. Diverse in questo, ma identiche nella loro intenzione di rispettarle, quelle volontà, perché giuste fuor di ogni dubbio, appartenendo a un uomo che essi sanno essere stato profondamente giudizioso, equilibrato ed onesto. Ginrei non se ne rende conto, ma la fede in suo padre le divampa nell’animo, intensa e insopprimibile quanto quella di Genya. È per questo che ha esitato a “scomparire” con la valigetta. Coscientemente o no, la giovane ha quindi già operato la propria scelta. E quando Daisaku, in quella che possiamo ora definire un’inconsapevole incitazione al tradimento,

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esclama con decisione (riferendosi ai tre prototipi costruiti per l’annientamento globale dell’Umanità): “io non riesco a credere che tuo padre volesse una cosa tanto orribile, Ginrei!”, allo spettatore viene da chiedersi se, pur senza saperlo, sia veramente il giovane Kusama l’unico ad avere capito tutto! Suggestiva la scelta di presentare in bianco e nero le sequenze che riguardano Vashtal. Nella narrazione, la scena più importante è il resoconto incrociato della tragedia, che s’intereseca sfumando dalle le parole di Genya a quelle di Go, e viceversa. Go è costretto a spiegare agli agenti il perché lui e Ginrei abbian permesso che la verità contraffatta da Sisma venisse diffusa e accettata: “…Se tacere avrebbe significato poter continuare a lavorare sul progetto affinché venisse ultimato, tanto meglio. In fondo non era forse la cosa che Vogler desiderava di più al mondo? La verità può anche restare nascosta, e far versare ad alcuni lacrime che nessuno vedrà mai” confessa il professore; “Eppoi i morti non possono lamentarsi” conclude Genya. M DF

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Delitto e castigo Trama

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l campo anti-Sismadrive si estende ormai su tutta la Terra, e ne fanno le spese anche le basi della BF, che una ad una restanosenza energia. L’Élite dei Dieci, il formidabile gruppo che dirige l’Organizzazione, inizia a nutrire seri dubbi sulla concreta utilità dell’operazione di Genya, e convoca quest’ultimo per ottenere spiegazioni, sia riguardo il suo agire, sia in merito alla misteriosa scomparsa di Lord Albert (di cui naturalmente Genya non ha specificato i particolari). A difendere il giovane intercede Komei. Questo personaggio, al cui fianco, inginocchiato in segno di deferenza, sta Ko Enshaku, si era già intravisto nell’episodio precedente: compariva nel racconto di Genya, ad attendere il giovane fuori dalle rovine di Vashtal. Il suo ruolo è quello di portavoce del grande Big Fire in persona, e comprendiamo allora che l’arroganza ostentata da Genya fin dal primo episodio è dovuta proprio alla protezione e all’impunità che gli viene garantita grazie a Komei. Le stesse domande rivolte a Genya, ora l’Élite le pone a Komei: per quale ragione è necessario scatenare un secondo inferno di Vashtal? E perché Genya, uno dei membri più marginali della BF (“bamboccio”, lo chiamano quelli dell’Élite), l’ultimo arrivato, è stato posto a comando dell’operazione, e addirittura si vuo-

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le ora accoglierlo nella dirigenza facendogli prendere il posto di Lord Albert? Hanzui, il membro più autorevole dell’Élite, sostiene di poter dimostrare che Lord Albert è ancora vivo. Un volteggiare di mantello… e al suo fianco appare la piccola Sunny, bambina telepate, figlia di Lord Albert, e collegata al padre da una sorta di legame psichico. Genya, per la prima volta, appare turbato. Ma Komei non si lascia impressionare. Ribadisce: ogni decisione presa è stata diretta espressione della volontà del supremo Big Fire, e ciò deve sbarrare la porta a qualsiasi possibile obiezione. In queste scene iniziali si evidenzia già il ruolo ambiguo di Komei, e non stupisce che, nel corso dell’episodio, facendo fronte agli inevitabili sospetti di cui è divenuto oggetto, ricorra alle maniere forti, utilizzando i tre Guardiani di Big Fire (un robot gigante, un enorme uccello meccanico, una pantera mutaforma), e in ultimo addirittura un’apparizione del Supremo in persona, per sedare i bollori dei membri dell’Élite. Vengono anche per la prima volta menzionati, a proposito delle eventuali cause della scomparsa di Lord Albert, i “Nove Grandi” dell’Organizzazione di Polizia Internazionale, che rappresentano la controparte buona dell’Élite dei Dieci.

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63 63) L’Élite dei Dieci (in primo piano Hanzui) interroga Genya. 64) Ginrei imprigionata. 65 ) Si avvicina il momento decisivo per il piano di Genya. 64

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66) Sunny nella biblioteca del Quartier Genrale della BF. 67) La Sfera Nera staziona minacciosa sopra la sede dell’Élite dei Dieci. 68) Obbediente a Komei, Garuda si staglia nella notte. 69) I Combattenti del Vento di Sangue, guidati dal Legittimo Discendente Doki, assaltano Ryu Zampaku. 70) Fitzcarraldo raggiunge spavaldo il luogo dove è detenuta Ginrei, insieme al terzo campione.

71) Ginrei si risveglia; il suo campo teletrasporto avvolge ogni cosa.

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Il resto dell’episodio è incentrato sull’attacco in forze da parte della BF al quartier generale OPI di Ryu Zampaku, dov’è custodita la terza valigetta. Prima del tumultuoso combattimento finale, c’è spazio per la spiegazione di ciò che accadde al laboratorio di Go durante l’esperimento con i tre campioni ricostruiti. È lo stesso professor Go a chiarirlo a Daisaku, di fronte alla capsula di vetro nella quale, sedata, viene custodita (anzi imprigionata, per evitare che ceda alla tentazione di riunirsi al fratello e tradire l’OPI) Ginrei. A quanto pare, durante l’attivazione dell’anti-Sismadrive, con i prototipi simulati, si era verificato l’inquietante fenomeno della soppressione di tutto l’ossigeno nell’aria, con conseguente svenimento dei presenti. Il timore, ora, è che dietro le intenzioni inespresse del professor Von Vogler non si celi solo la completa eliminazione di ogni Drive esistente, ma addirittura l’annientamento dell’umanità intera, tramite 71 l’eliminazione di tutto l’ossigeno dall’atmosfera. Dopo queste rivelazioni, e

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mentre a Saint Arbarel, sede della più grande centrale del Sisma-drive esistente, tuttora operativa, appare la Sfera Nera (e a fronteggiarla c’è il solo Nakajo, uno dei Nove Grandi dell’OPI), a Ryu Zampako si scatena l’offensiva della BF. In una girandola di combattimenti e nuovi personaggi, l’episodio termina coll’improvviso risveglio di Ginrei. Il campo del teletrasporto scatuirsce dalla capsula nella quale è prigioniera, allargandosi fino a inglobare l’intera area della base…

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icordando l’allegoria iniziale, è questo l’episodio dove termina il placido scorrere del fiume e iniziano le rapide. La scomparsa di alcuni dei principali (Yoshi, Taiso e Ivan, morti, e Tetsugyu e Lord Albert, la cui sorte rimane sospesa), porta un’autentica inondazione di altri personaggi: vengono introdotti in un colpo solo Komei e tutti i membri dell’Élite, oltre a una serie di nuovi agenti dell’OPI, più o meno importanti. L’omaggio a Yokoyama è omnicomprensivo: sono riproposti, compressi e distillati, i

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personaggi, i luoghi e i temi di tutti i suoi manga. Non possiamo non riconoscere Sally nelle fattezze di Sunny (peraltro era proprio questo il primo nome in origine scelto per la celebre e prima mahotsukai della storia dei manga, poi sostituito per ragioni di copyright), la figlia di Lord Albert, soprannominata non a caso “la maga”; e quando vediamo la Sfera Nera gravitare sopra il quartier generale della BF, e la regia ci mostra l’inquadratura di una inconfondibile Torre in rovina, diventa spontaneo il richiamo alla mente di Babiru Nisei, avvalorato dall’entrata in scena dei tre Guardiani: impossibile infatti non identificare Neptune con il poderoso Poseidon, Garuda con il preistorico Ropuros, e Achilles con il fedele Roden, e infine lo stesso Big Fire (nella sua unica e fugace apparizione) con l’esper Babil Junior. Meno noti al pubblico italiano, ma altrettanto identificabili come personaggi delle varie saghe di Yokoyama, da Suikoden (Hanzui e Zangetsu) a Sangokushi (Komei e Jujoji), a Maazu (Kawarazaki), a Kamen no ninja Akakage (Red Mask), a Iga no Kagemaru (Yuuki), al già citato Babiru Nisei (Fitzcarraldo e Cervantes), a Yami no tsuchi

oni (Doki), sono praticamente tutti i componenti dell’Élite. Riguardo l’intreccio, l’episodio completa il quadro delle spiegazioni: sappiamo ormai tutto di Von Vogler, di Vashtal e dei campioni; resta solo lo stesso dilemma che dilania Farmel, ossia se Von Vogler volesse davvero la distruzione della Terra, o nutrisse piuttosto altre ragioni per ideare l’anti-Drive. Si affaccia invece un nuovo mistero, interno alla BF: qual è lo scopo reale di Komei? Agisce davvero per conto dell’impenetrabile Big Fire (al quale tutti i membri dell’Élite sono incondizionatamente fedeli, mostrando la medesima fiducia incrollabile che Ginrei, Genya e Daisaku ripongono nei loro rispettivi padri), o piuttosto usa la propria carica per mistificarne le reali direttive? In quanto a Daisaku, continua la sua tormentata crescita interiore. Il ruolo di suo maestro di vita, che fino al quarto episodio era stato di Taiso, ora viene interpretato da Murasame. E tanto benevolo e indulgente era stato il primo mentore, quanto duro e inflessibile è adesso il secondo: Daisaku è cresciuto, i drammatici avvenimenti l’hanno plasmato, non è più un bambino da consolare ma

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un giovane uomo da responsabilizzare, e anche la figura del maestro deve adeguarsi a questa evoluzione. Cruda e spettacolare è la scena del colloquio tra Murasame e Daisaku in cima a una montagna di Sismadrive esauriti, e anche il successivo confronto che avviene innazi alla “bara” di cristallo (verticale, una sorta di drive a grandezza umana), in cui dorme angelicamente Ginrei, immersa in un liquido smeraldino, intrappolata lì proprio per volontà di Murasame. Ancora splendide le scene dei flashback, rigorosamente in grigio quelle di Vashtal, e in calde tonalità gialle quelle che descrivono Von Vogler con i suoi amati figli. Di nuovo nettissimo lo stacco tra le due “personalità” dello scienziato; in attesa di capire quale sia quella sopravvissuta al dopo-Vashtal, una frase del professore ci indica una via da seguire per emergere dalle nebbie del mistero: “se la scienza dovesse richiedervi nuovi sacrifici, che possa essere fermata una volta per tutte…” Un pensiero rivelatore, di cui dovremo ricordarci, nel finale di questa coinvolgente storia. M DF

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Una felice conclusione Trama

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osì ci troviamo a Saint Arbarel, un nuovo nome e una recente sede per la più grande e moderna centrale esistente del Sisma-drive. Il luogo, però, è “antico”, e tristemente celebre, un tempo conosciuto col nome di… Vashtal. Tutto avrà fine, pertanto, laddove tutto ha avuto inizio. Trasportata dall’incredibile potere di Ginrei, l’intera Ryu Zampaku, uomini, mezzi, costruzioni, e buona parte della montagna dov’era edificata, si materializza a Vashtal. Ginrei spiega a Daisaku, aleggiando nell’aria come un’apparizione celestiale, la propria scelta e la decisione di credere in suo padre. Subito dopo scompare all’interno della Sfera Nera, portando con sé il terzo campione. Sarà l’ultima volta che i due si vedranno. Usare il teletrasporto per un’area tanto vasta esaurirà l’energia vitale della giovane Farmel. Gli agenti dell’OPI ne sono consapevoli, e lo è anche Genya, che assiste meravigliato al martirio della sorella, mentre noi la vediamo trascinarsi a fatica, con metà del corpo già evanescente, lungo i corridoi della Sfera Nera, cercando di raggiungere a tentoni la sala di comando. Ignaro di tutto ciò, Daisaku entra crisi e abbandona la battaglia, non disposto ad attaccare la macchina da guerra della BF ora che Ginrei vi si è rinchiusa dentro. Lo scontro decisivo fra le due

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fazioni rivali, però, non si può rimandare. Sebbene i tre membri dell’Élite dei Dieci che avevano dato l’assalto a Ryu Zampaku siano rimasti in piena Himalaya, a incombere su Saint Arbarel resta pur sempre la Sfera Nera, con tutto il suo potenziale offensivo. Nakajo, che si apprestava a fermarla (intuiamo che il suo potere di agente dev’essere enorme), non può intervenire perchè allontanato dal luogo per effetto del teletrasporto. La centrale del Sisma-drive sembra perciò indifesa di fronte al ciclopico “Occhio di Vogler”. Ritiratosi Daisaku, nemmeno Giant Robot è più disponibile. Nel quartier generale della BF, i membri dell’Élite sono prigionieri di Komei, ma lo restano per poco poiché nessuno, nemmeno Achilles, il mutaforma servitore di Big Fire, può riuscire a tenere lungamente imbrigliati i potenti dirigenti dell’Organizzazione. Tuttavia, nonostante Hanzui riesca abilmente a smascherare le trame di Komei, mostrando a tutti che dietro la silenziosa figura di Big Fire (esibita platealmente dallo stesso Komei quale prova inconfutabile della proprio diritto decisionale) si cela in realtà la piccola Sunny (ipnotizzata e travestita), l’Élite non può far altro che assistere impotente all’evolversi della battaglia, e al compiersi del folle progetto di Genya:

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72) Genya si avvicina a Saint Arbarel. 73) Ginrei parla per l’ultima volta con Daisaku. 74) Fitzcarraldo, rimaterializzatosi fuso con la roccia, viene tradito e pugnalato da Red Mask. 73

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75) Buona parte di Ryo Zampaku viene teletrasportata a Saint Arbarel. 76) Preoccupato di nuocere a Ginrei, Daisaku rinuncia alla battaglia. 77) L’ultimo saluto tra Murasame e Ginrei. 78) Koshin cerca di scuotere Daisaku. 79) Il maestoso nucle della centrale di Saint Arbarel.

80) La Sfera Nera cerca di penetrare la barriera che difende Saint Arbarel.

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“l’obbiettivo della BF non è forse conquistare il mondo?”, fa presente il diabolico Komei, “e quale modo migliore se non distruggerlo?” Genya attiva i suoi due campioni. La centrale regge per un po’, grazie a uno scudo energetico sbrigativamente predisposto dagli agenti dell’OPI, ma il Sisma-drive è ormai al collasso, e la barriera si esaurisce in fretta… Di fronte alla cruda prospettiva della disfatta, Daisaku supera le proprie remore è decide d’intervenire. La maturazione del ragazzo è compiuta, le ultime parole di suo padre, “si potrà mai conquistare la felicità senza immolare vittime?”, acquisiscono finalmente il loro significato educativo. Con un veicolo alimentato da un drive mezzo sca80 rico, il giovane sfreccia per affiancare il suo robot nella battaglia. L’OPI al completo (tutti, compreso un ritrovato Tetsugyu) accorre a coprirlo contro le forze dell BF. Una volta salito su Giant Robot, Daisaku trova un ulteriore e inatteso alleato: Lord Albert! Proprio lui (ferito ma non ucciso dal colpo di pistola di Genya), nascostosi in

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Giant Robot (sotto forma di lastra di ghiaccio) ricompare ora come Nemesi ineluttabile a punire il traditore Emaniel. I poteri congiuti di Giant Robot e Lord Albert (anche se richiedono a quest’ultimo il sacrificio della vita) “abbattono” la corazza d’energia eretta a difesa della Sfera Nera, e l’enorme macchina da guerra viene in poco tempo ridotta a un rottame. Eppure il pericolo non è affatto scongiurato, anzi persiste più tremendo che mai, poiché Ginrei è nel frattempo riuscita raggiungere Genya in cabina di comando. In un ultimo, drammatico faccia a faccia col fratello, Farmel pare quasi voler recedere dal proposito di consegnargli il terzo prototipo, ma le sue forze sono allo stremo, il suo corpo è quasi svanito, e il tentativo di trattenere il campione è ripagato da Genya con un tragico colpo di pistola che la uccide. Risoluto, tanto da sacrificare la sorella, raggiunto quindi un punto di non ritorno nel suo folle inseguimento alla vendetta, Emaniel Von Vogler, indifferente ormai perfino alla propria stessa incolumità, imposta il conto alla rovescia per l’autodistruzione della Sfera Nera, dopodiché corona fatalmente la sua

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ossessione e attiva tutti e tre i campioni. La sua vittoria è trionfale: il campo anti-Sismadrive, per la prima volta, può scatenarsi in tutta la sua potenza, e decretare la somma rivincita di Von Vogler. Invece della paventata notte eterna, però, ecco improvviso… il Giorno! Sotto l’influsso dgli anti-dispositivi, il nocciolo del megadrive di Saint Arbarel si scompone in tre nuclei distinti, e inaspettatamente si ristabilizza. Nello stupore universale, mentre il campo generato dalla Sfera Nera si estende ad abbracciare l’intero globo terrestre, tutti i drive riprendono a funzionare. Alle fazioni in lotta giungono messaggi da ogni parte del mondo: tutte le basi, sia dell’OPI che della BF, si stanno riattivando. Genya è incredulo. I tre campioni, dopo aver espletato la loro funzione, completamente opposta rispetto alle attese, fanno partire una registrazione olografica incisa da Von Vogler nei suoi ultimi istanti di vita. E così, finalmente, comprendiamo dalla voce stessa del professore quali fossero state le sue reali intenzioni: non certo distruggere l’umanità, ma anzi salvarla!

La chiave del mistero è da cercarsi a Vashtal, nel giorno in cui Genya mostrò al padre l’articolo di giornale sul Drive completato da Sisma. Ciò che Genya scambiò per sdegno disperato, era in realtà una reazione di grave apprensione: il professore aveva subito intuito che il dispositivo realizzato dai suoi colleghi costituiva una versione ancora potenzialmente instabile, frutto dei loro precedenti esperimenti (ed era sufficiente osservarne il nucleo, per capirlo). Quel Drive rischiava di contenere ancora una gravissima tara: la durata limite di 10 anni, dopo la quale tendeva a produrre una particella venefica in grado di cambiare senza alcun preavviso la composizione dell’atomsfera, eliminando ne tutto l’ossigeno. Lavorando senza tregua fino alla sua totale consunzione psicofisica, Von Vogler riuscì o a realizzare i tre campioni proprio allo scopo di neutralizzare quell’effetto. E vi riuscì solo grazie ai dati raccolti durante la tragedia di Vashtal, i dati di cui lui solo diponeva, dal momento che era stato l’unico a rimanere al proprio posto fino all’ultimo, mentre gli altri fuggivano vilmente. Nessuna volontà di vendetta, dunque; i prototipi

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avrebbero dovuto essere usati suvito ma, al momento di consegnarli a Genya, il corpo provato del profesore cedette, ed egli, prima di spirare, non riuscì a proferire altro che quel travisato “ferma Sisma”. Nel suo testamento spirituale, rimasto per anni nascosto all’interno dei prototipi, Von Vogler perdona Sisma e gli altri colleghi, e augura a Emaniel e Farmel di poter vivere felici insieme da bravi fratelli. Genya, distrutto dal rimorso, guarda sconvolto il corpo di Ginrei. Nonostante tutto, le parole del professore corrono anche in suo aiuto: “hai agito nel giusto, Emaniel”. Pur distorcendone il significato, il giovane Von Volger è infatti riuscito ad onorare la volontà del padre, e così facendo ha salvato il mondo. Il conto alla rovescia per l’autodistruzione sta per scadere, a Genya oramai non resta che teletrasportarsi con la Sfera Nera, facendola esplodere nello spazio ed espiando così le proprie colpe. Tutto è concluso, in un modo o nell’altro la BF è stata sconfitta e la minaccia di Von Vogler scongiurata. L’OPI ha vinto, la Terra è salva. Almeno per oggi. Sorge l’alba a Saint Arbarel, il

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81) Finalmente Daisaku attiva Giant Robot contro la Sfera Nera. 82) Lord Albert, inaspettatamente, si allea con Giant Robot,. 83) Ginrei in un ultimo, disperato ripensamento, cerca di distruggere il terzo campione. 84) Il campo anti-Sismadrive, per la prima volta al pieno della sua potenza, avvolge tutta la Terra. 85) La Sfera Nera semidistrutta, di fronte a ciò che rimane di Saint Arbarel. 86) Una registrazione, lasciata prima di morire, riabilità Von Vogler. 87) L’eccelso Big Fire si sveglia nella sua Torre di Babele (88). 86

L’episodio finale riabilita completamente la figura di Von Vogler, in un crescendo lirico che riassume in sé i temi del quarto e del quinto episodio, rappresentando un’autentica apologia del sacrificio e della fede. Von Vogler ha sacrificato la vita e l’onorabilità per un ideale di pace, fiducioso che i figli avrebbero riparato ai suoi errori, ed essi lo imitano, a loro volta incondizionatamente fedeli alla sua memoria. Si sacrifica per fede e per amore anche Murasame, colui che aveva imprigionato Ginrei (di cui era innamorato) per impedirne il passaggio alla BF e la conversione al Male, ma che infine on poteva che essere poetica sceglie di credere in lei e ne accetta la conclusione di questa saga. le tragiche decisioni; e si sacrifica

professor Go confessa a Nakajo la propria intenzione, quale ultimo sopravvissuto alla tragedia di Vashtal, di lasciare la Polizia Internazionale e riprendere gli studi per mettere a punto una forma di energia migliore del Drive, e realizzare quella pace luminosa così rincorsa da Von Vogler e da Sisma. Intanto, alla Torre di Babele, il vero Big Fire si risveglia dal suo sonno, a presagio di nuove, dure battaglie lotte tra la BF e l’OPI…

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Lord Albert, la cui concezione di lealtà (verso Big Fire, e verso l’Élite) è talmente profonda e nobile da trascendere gli schieramenti e indurlo ad aiutare gli acerrimi rivali, a costo della vita. Lo spirito di abnegazione è totale, tanto per i membri dell’OPI quanto per i criminali della BF, e in questa lotta senza quartiere nella quale Bene e Male volteggiano da un fronte all’altro senza mai decidere a quale realmente appartenere, ci si ritrova all’improvviso ad ammirare il coraggio, la dedizione e… l’onestà dei “cattivi”, almeno quanto quella dei “buoni”. Questo finale è l’episodio nel quale si susseguono le scene più crude e drammatiche. Commovente

la sequenza nella quale l’immortale Murasame “muore” (per l’ennesima volta), dando l’addio a Ginrei, immolandosi contro il campo disintegratore che lo stava dividendo dall’amata. Altrettanto toccante è tragica la fine di Farmel, condannata a sparire un po’ alla volta. Il momento in cui Genya tenta di strapparle il terzo campione dalle braccia e, sollevandola, si accorge che di lei non è rimasto che il busto, è addirittura scioccante. Come raccapricciante è la fine di Fitcarraldo, il membro dell’Élite dei Dieci rimasto intrappolato nel campo di teletrasporto di Ginrei, e rimaterializzato fuso con le rocce di Ryu Zampaku. Intenso anche il sacrificio finale di Lord Albert; per lui era inevitabile una chiusura gloriosa, da eroe, esattamente come quella di Taiso. Proprio a Taiso corre il suo ultimo pensiero, carico di rispetto, quasi affettuoso. Uno strano simbolismo ricorre nella parte centrale dell’episodio: Daisaku, raggiunto Giant Robot, si lega nell’incavo dell’occhio del gigante, divelto durante il combattimento; Lord Albert sopravvive allo sparo di Genya perché il proiettile va a centrare proprio il suo occhio

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sinistro, robotico; l’enorme Occhio di Vogler della Sfera Nera “piange” una cascata d’acqua all’attacco di Giant Robot. Insomma ogni protagonista riesce ad avere solo una visione dimezzata della realtà; ognuno riesce a guardarla con un solo occhio, a individuarne solo una parte, forse quella che più conviene vedere. Nessuno, fino alla fine, riesce ad andare oltre questa miopia, a capire le vere intenzioni di Von Vogler, ad accorgersi che il Male (quello vero, quello super partes) era proprio lì, davanti a tutti: il Sisma-drive. Può essere forse una metafora della vita? Quanto più la verità è in primo piano, tanto più occorrono occhi bene aperti (e tutti e due) per riuscire a coglierla nella sua interezza. Il nostro occhio bendato è il punto di vista dell’avversario, quello opposto al nostro, quello spesso archiviato come implicitamente empio, ma senza conoscere il quale la nostra visione resterà sempre incompleta, e la nostra verità sempre imperfetta.

MASSIMO DE FAVERI SI RINGRAZIA SERGIO POMANTE PER IL SUPPORTO MULTIMEDIALE

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Considerazioni finali

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ono numerose le caratteristiche che fanno di Giant Robot un’opera insolita e di qualità decisamente superiore alla media delle produzioni OVA (e non solo quelle dell’epoca). La cura e la scioltezza dell’animazione, la tenacia nel mantenere lineare un filo narrativo che mille volte avrebbe potuto sfuggire di mano, la spettacolarità e l’impatto visivo di molte scene, i begli effetti cinematici, la storia avvincente… La stessa ambientazione contribuisce a renderlo particolare. Caratteristica comune a molte produzioni degli anni ’90 e 2000 è quella di riproporre, modernizzandole, versioni (quasi sempre OVA) di vecchie serie animate o manga, riportando in auge personaggi gloriosi che hanno fatto la storia dell’animazione e del fumetto giapponesi. A puro titolo di esempio è possibile citare i

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Sopra da sinistra: copertine dai manga Jaianto Robo e Babiru Nisei. Pagina a fianco: raccolta Yokoyama e Kouha to Ryuuhou

noti remake delle serie storiche della TATSUNOKO, quali KYASHAN, POLYMAR, GATCHAMAN… Ma la “modernizzazione”, l’aggiornamento inteso a rendere la storia più contemporanea e più rispondente ai costumi, alla mentalità, e alle abitudine tecnologiche dello spettatore di oggi, è sempre la chiave, il punto di partenza di queste riproposizioni. Va invece controcorrente una sottocategoria di anime la cui ambientazione cerca al contrario di recuperare il gusto romantico e retrò (agli occhi moderni) degli anni d’oro della Fantascienza, e Giant Robot rappresenta il capostipite di questo piccolo filone. In Giant Robot si è scelto di preservare le atmosfere delle opere originali di Yokoyama, tant’è che potremmo definire lo stile dei disegni retrofuturista, ossia rappresentativo di un “futuro” come lo si sarebbe potuto

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immaginare nel passato. In effetti, se un “Sisma-drive” fosse stato davvero scoperto nella prima metà del secolo, quegli anni li avremmo probabilmente vissuti con meccanismi dalle capacità portentose, ma pur sempre manovrati da leve e stantuffi, ben lontani dalle forme stilistiche che delineano oggi le nostre case, i nostri oggetti e in genereale l’ambiente che ci circonda, dominato dal digitale e dalle nanotecnologie. Questo design “datato” lo si riscontra nell’abbigliamento dei personaggi e in quasi tutti i macchinari presenti nella serie, dalle automobili ai giganteschi robot della BF (dei quali si riconosce subito la fedele somiglianza con quelli che appaiono in Tetsujin 28 gou). Esemplificativa, in tal senso, la scena dell’arrivo a Pechino di Lord Albert, nel primo episodio, dove le vetrate dell’aeroporto e le forme arrotondate delle auto e dei bus ci riportano a una splendida atmosfera Art-Deco da film anni ’40.

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Le ambientazioni che si rincorrono nella serie sono varie, e seguono funzionalmente le atmosfere (create quindi non solo dai luoghi, ma dall’insieme con eventi e personaggi) originali, cercando di conciliare aspetti molto diversi e quasi opposti della realtà: la tecnologia e la spiritualità. Si mostra una sorta di dualismo inteso a accomunare progesso con tradizione, tanto che ci troviamo tranquillamente proiettati da contesti ipertecnologici, come la base OPI di Pechino, ad altri rurali, come il quartier generale di Ryu Zampaku (trasposizione di Liang Shan Po già presente in Suikoden), sperduto tra le vette himalayane, e fatto di tende e templi. Gli stessi protagonisti rispecchiano questa duplicità: si passa da Lord Albert, in giacca, cravatta e occhio bionico, a Yoshi impellicciata, che pare uscita da un villaggio agreste della Cina Imperiale. Nell’episodio finale c’è l’esemplio più eclatante di questa eterogenea miscela, laddove vediamo il fratelli Ken (anch’essi ripresi da Suikoden,

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questo caso viene introdotta una relazione di esclusività che impedisca in modo verosimile la sostituzione del pilota con uno ragionevolmente più qualificato (in sostanza, un adulto). Spesso si tratta di un particolare legame d’imprinting che si stabilisce tra robot e pilota nel momento della prima attivazione (succede in varie serie famose che presentano analoghe situazioni, per esempio METAL ARMOUR DRAGONAR, o il celeberrimo NEON GENESIS EVANGELION). È ciò che avviene anche nel nostro caso, la voce di Daisaku, impartendo ordini tramite il comunicatore del suo orologio da polso, è l’unica in grado di guidare il robot. A giustificare ancor più questo legame speciale, viene spesso richiamato nella serie il fondato sospetto che Giant Robot sia animato da una sorta di coscienza propria (e in questo può dirsi autentico precursore di EVANGELION), e che quindi, più che reagire meccanicamente agli ordini dettatigli da un pilota, obbedisca a un padrone al quale è affezionato. È il legame emotivo, il suo accorato appello, che permette a Daisaku di risvegliare Giant a Shanghai, dopo che il semplice comando vocale non aveva sortito effetti. In Giant Robot c’è tutto: azione, riflessione, combattimenti, mistero, pathos, divertimento, commozione. Manca forse il romanticismo riferito all’amore, poiché non è stato introdotto nella trama l’elemento Sopra: copertina dal manga Kamen no ninja così come Kodella “coppia”. Solo nel finale si rivela un legame tra Akakage. Pagina a fianco: pagine dai manga: shin e Kaei) conMurasame e Ginrei, mentre quello esistente tra Taiso Mahoutsukai Sarii e Tetsujin 28 gou. vogliare l’energia e Yoshi s’intuisce (nel quarto episodio) ma non viene della barriera tramite il mistico rintocco dei loro tam- approfondito. Per il resto la varietà abbonda: scene diburi rituali, e contemporaneamente dietro di loro il son- vertenti, e drammatiche, comicità al limite del dementuoso e futuribile mega-Drive di Saint Arbarel. ziale, tragigità al limite del raccapriccio (ricordiamo Della trama abbiamo parlato in dettaglio a proposito la scena in cui Murasame si spara un colpo di pistola dei singoli episodi. Possiamo aggiungere che, a dispetto alla tempia, per dimostrare davanti allo sbigottito Daidel nome della serie, il ruolo di Giant Robot è abbastan- saku il proprio potere di resuscitare). Una commistione za marginale (quantunque la sua presenza, ogniqualvol- di generi e di situazione che ne fanno un’opera caleita compaia, catalizzi su sé l’intera scena), e i protago- doscopica, vorticosa, a volte caotica, in alcuni attimi nisti sono piuttosto i vari personaggi dell’OPI e della troppo magniloquente (forse infatti eccede - ma questo BF, con le loro storie parallele, in primis naturalmente probabilmente in rapporto al nostro gusto occidentale quella della famiglia Von Vogler. Parte dell’intreccio è - nel melodramma, in certe sequenze e nella profusione anche costruito sulla crescita morale e caratteriale di di monologhi drammatici che regolarmente delineano i un protagonista-bambino (Daisaku), che è un elemen- personaggi chiarificando la storia ma rendendo alcuni to molto comune nelle produzioni giapponesi, specie momenti un po’ stucchevoli), eppure avvincente, epica, quelle destinate a un pubblico preadoloscente. Come in straordinaria. vari contesti in cui il comando del robot è “ereditato” Il tutto sottolineato da una colonna sonora che rapda un primattore giovane (MAZINGA Z, TRIDER G7, ZAM- presenta un inestimabile valore aggiunto. Composta BOT 3, DALTANIOUS… gli esempi sono molti) anche in da MASAMICHI AMANO ed eseguita dalla FILARMONICA DI

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Serie OVA: Giant Robot


GIANT ROBOT

VARSAVIA (vale a dire l’Orchestra di Stato Polacca), è poderosa e solenne, intensa, struggente, e di qualità assoluta. È sorprendente constatare come, in ogni episodio, nonostante i tre minuti di schermo nero che fa da sfondo ai titoli di coda, non ci si riesca ad alzare finché non si estingue anche l’eco dell’ultima nota! Dello spessore e cura dell’animazione abbiamo già accennato, e ad essa si unisce un’ottima colorazione dei fondali, che rende luminosi i mattini, suggestivi i tramonti, inquietanti le notti. La regia di Imagawa è naturalemente ottima, l’uso dei flashback è magistrale, le inquadrature sono superbe, peccato solo per i tempi dilatati di lavorazione (2 anni fra la sesta e la settima uscita) e i contemporanei altri impegni dello staff di produzione che hanno condizionato la struttura degli ultimi episodi. Curiose anche aclune citazioni cinematografiche, che compaiono nella scelta di certi nomi, primo fra tutti l’evidente “Greta Garbo”, ma anche il nome di Von Vogler, ossia “Franken”, che richiama il Frank-NFurter (interpretato da Tim Curry, e a sua volta ispirato a Frankenstein) di The Rocky Horror Picture Show (1975), o il suo stesso cognome, abbinato poi al nome del figlio (Albert Emanuel Vogler fu il protagonista, interpretato da Max Von Sydow, del film Ansiktet, IL VOLTO in Italia, girato da Ingmar Bergman nel 1958). L’edizione italiana è più che buona; verrebbe da dire perfetta, se non fosse per alcune imprecisioni nell’adattamento, che comunque non inficiano l’eccellente la-

Serie OVA: GIant Robot

voro globale. La serie in Italia è stata edita per la prima volta (i primi 3 episodi) dalla defunta GRANATA PRESS, e successivamente riedita dalla DYNAMIC ITALIA in una serie di 7 VHS. Attualmente i diritti sono stati acquisiti dalla SHIN VISION, ed è prevista un’edizione in dvd per il 2006, che tutti noi attendiamo con impazienza. Giant Robo ha prodotto anche 3 spin-off OVA di circa 30 minuti l’uno dedicati a Ginrei, inediti in Italia: Suashi no GinRei, 1993; Tetsuwan GinRei, 1994, che si compone di due episodi; Aoi hitomi no GinRei, 1995. In conclusione, ricordiamo la sovrimpressione che conclude i titoli di coda: “Dedico quest’opera a tutti i padri e a tutti i figli”. È una frase che, oltre a condensare i sentimenti ispiratori della serie, ne evidenzia anche una lodevole caratteristica, quella di riuscire ad appassionare lo spettatore di qualunque età. Questa è un’opera a cui genitori e figli potrebbero tranquillamente (o forse anzi dovrebbero) assistere insieme.

MASSIMO DE FAVERI *

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ANIME

Serie OVA

Giant Robot

Daisaku Kusama

Taiso

Ginrei/Farmel V.V.

Tetsugyu

Issei

Professor Go

Yoshi

Nakajo

Kenji Murasame

Shutsu

Koei

Koshin

Kaichin

Kaiho

Shoshichi

Shoji

Shogo

Professor Sisma

Professor Kusama

Franken Von Vogler

Genya

Lord Albert

Komei

Hanzui

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Serie OVA: Giant Robot


GIANT ROBOT

Kawarazaki

Zangetsu

Jujoji

Yuuki

Cervantes

Red Mask

Fitzcarraldo

Doki

Ivan

Ko-Enshaku

TITOLO ORIGINALE: TRATTO DALL’OM. MANGA DI: REGIA: SOGGETTO:

Sunny

SCENEGGIATURA: CHARACTER DESIGN E SUPERVISIONE DISEGNI: STORYBOARD:

Q-Boss

MECHA DESIGN: DIRETTORE DEI FONDALI: MUSICHE: ESECUZIONE MUSICHE:

Big Fire

“Jaianto Robo” Mitsuteru Yokoyama Yasuhiro Imagawa Yasuto Yamaki, Yasuhiro Imagawa Yasuhiro Imagawa (tutti) Eiichi Matsuyama (ep. 1, 2, 3) Toshiyuki Kuboka. Akihiko Yamashita, Masami Ozone (ep. 7) Akihiko Yamashita, Kazuyoshi Katayama, Toshiyuki Kuboka, Yasuhiro Imagawa Takashi Watabe (tutti) Masaru Ota (ep. 6) Hiromasa Ogura (tutti) Dai Ota (ep. 5) Masamichi Amano Filarmonica di Varsavia

Achilles

Garuda

© 1992 HIKARU PRODUCTION / AMUSE VIDEO / PLEX ATLANTIS © 1994 GRANATA PRESS per la I versione italiana © 1997-1999 DYNAMIC ITALIA s.r.l. per la II vers.italiana © 2005 SHIN VISION per la III versione italiana

Serie OVA: GIant Robot

Neptune

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ANIME

intervista

LA FABBRICA DEI ROBOT, INTERVISTA a

GIANNI SOLDATI

di ANIELLO RUSSO

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mmaginate una matita incredibilmente dotata che espande i propri orizonti al digitale; pensate ad un disegnatore 3d capace di lavorare autonomamente, a partire da schizzi da lui creati; pensate al talento, ed otterrete lavori tra i migliori sul mercato... oltre ad un incredibile numero di modelli tridimensionali e snodati dei personaggi degli anime giapponesi. Gianni soldati lavora per passione, spesso divertendosi, e sempre condividendo liberamente la sua arte. D - Sul sito www.giannisoldati.com non si vedono sponsor, dai qualche utile consiglio

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ai principianti e regali programmi da te scritti; di certo si tratta di una passione più che un lavoro. Cosa fai per vivere? R - Sono uno dei tanti studenti fuori corso di Architettura. Grazie alla computer grafica e al mio sito ho potuto svolgere i miei primi lavori veri e propri, quasi tutte collaborazioni esterne per studi di architettura, grafica, gioielli e moda. Ho anche creato diversi loghi per gruppi musicali e negozi. Esperienze brevi ma molto diversificate! D - Parlaci degli esordi: da quanto hai la passione per gli anime? Quando capisti di avere doti per il disegno fuori dal comune? R - La passione per i cartoni animati giapponesi è nata con l’arrivo dei cartoni stessi in Italia. L’impatto con personaggi così carismatici, con i robot giganti e soprattutto con storie tragiche ed epiche al tempo stesso non poteva non lasciare il segno in un bambino di 7-8 anni. Ho sempre disegnato! Io copiavo tutto quello che vedevo e lo riproducevo su carta alla perfezione. Ho miei disegni di età prescolare degni di uno studente di scuola media. Il problema è che nessuno crede possibile che un bimbo potesse disegnare così!

intervista: G.soldati


Gianni Soldati Però non mi posso considerare un vero disegnatore. Il mio approccio al disegno è scientifico! Io creo personaggi, creature, robot, ne rappresento i dettagli, ne immagino le caratteristiche. Non sono interessato all’immagine fine a se stessa quanto alla creazione di nuovo soggetto. D - Quando invece hai deciso di focalizzare le tue arti su programmi informatici? Cosa ne pensarono gli amici e la famiglia? R - Fu grazie ad una delle prime riviste italiane di settore che potei vedere i risultati ottenibili con il computer. Mi affascinava la perfezione! La possibilità di affinare più volte, di migliorare continuamente. I colori non danno questa possibilità, a volte si arriva ad un punto dal quale non si può tornare indietro, invece col computer tutto è modificabile fino alla fine. Provenendo anche da modellismo statico ero stufo di creare modellini dove per un piccolo sbaffo di colore toccava sverniciare tutto e ricominciare! E così sono passato al virtuale.

intervista: G.soldati

Per amici e parenti, disegnare al computer o su un foglio non fa differenza. Sapevano come disegnavo e non si sono certo meravigliati per i lavori in computer grafica. D - Hai svolto un percorso di studi, di conseguenza? R - No. Volevo fare scuole artistiche ma, secondo i professori di allora, ero “sprecato” per un istituto d’arte, e mi convinsero a seguire il liceo scientifico. Al momento di scegliere la facoltà universitaria non erano disponibili corsi adatti e optai per Architettura, proprio per sfruttare al meglio la mia passione per il disegno D - Riguardo al 3d, anche tu hai cominciato con tutorial del tipo “Gundam per gli idioti”? R - Ovviamente! Ho scaricato tutti i tutorial che trovavo in rete, da quelli generici per principianti a quelli superspecialistici. Oggi, a distanza di anni, mi rendo conto che di cento tutorial scaricati

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ANIME

intervista

“DIVISIONE SPAZIALE CUBICA” MAURITIUS CORNELIUS ESCHER

(1952)

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ota opera di M.C. Escher del 1952, un piccolo omaggio a un grande.

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utto fatto col Povray tramite moltiplicazione del modulo costituito dal cubo e dai tre assi uscenti da esso. In Photoshop ho aggiunto gli smussi disegnando delle linee e poi cancellandole man mano che si allontanano dalla camera. G.Soldati

ventata di novità che non potevo ignorare, programmi innovativi, motori di resa velocissimi, modellatori interattivi ecc. Così ho affiancato a Lightwave il modellatore Modo, il motore di resa Fprime e sto studiando Zbrush e altre D - Quali pensi siano i software migliori per il nuove applicazioni in versione demo. tuo lavoro, e di quali fai uso al momento? D - Ci è chiara la tua passione per “La clinica R - Oggi è disponibile una miriade di program- dell’amore”, ma cosa faresti se incontrassi al mi 3d, tutti di pari livello e tutti testabili in ver- bar una ragazza uscita dalla china di Haruka sione demo. Qualcuno è più immediato, ma li- Inui, magari simile ad uno dei tuoi fotomonmitato, qualcuno estremamente ostico, ma dà taggi? risultati migliori. Ognuno ha i suoi preferiti, io sono un utente di Lightwave3d, lo uso da anni R - Scappo a gambe levate! con grandi risultati e divertimento. La scelta Troppa bellezza mi ha sempre fatto paura, non è caduta su Lightwave perché ne ho subito ne sono degno. ammirato la velocità d’utilizzo nella modellazione e la qualità strabiliante del suo motore D - Ti capita di navigare su siti giapponesi alla di resa. Negli ultimi mesi, però, c’è stata una ricerca di nuovi modelli, o sei troppo attaccanon più di una decina sono stati davvero utili. Più un tutorial è specifico e meno servirà, perché risolve solo una situazione ma non spiega come l’autore sia giunto a quella soluzione.

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intervista: G.soldati


Gianni Soldati A

nni fa feci un disegno a mano giocando col mio cognome. Ho ritrovato quel disegno e ho deciso di riproporlo in 3d.

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l gioco consiste in una semplice sottrazione booleana, dalla prima parte del mio cognome la seconda.

I

n una delle facce più pulite è stato inserito il mio nome. Con Photoshop il render è stato ritoccato in modo da fornire una sensazione fotografica. G.Soldati

S

ono molti i software oggi sul mercato in grado di generare immagini con tecniche differenti dal fotorealismo. Poser permette di ottenere con facilità una resa impressionista, simile al disegno artistico a mano. Ecco alcune prove che ho eseguito usando i modelli già inclusi nel programma.

G.Soldati

intervista: G.soldati

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ANIME

intervista

P P

Lavoro eseguito in coppia con Danilo Parmitano.

artendo da una fotografia del progetto reale, abbiamo ricostruito il modello 3d, completo di texture create su misura. Tecnicamente parlando, la maggior difficoltà è consistita nel creare le stesse condizioni di luce della fotografia reale e lo stesso effetto dell’acqua nella piscina. Modellato in Archicad renderizzato in Lightwave3d 7.5. G.Soldati

CHIESA

DI

SANT’IGNAZIO - SEATTLE

ARCHITETTO:

STEVEN HOLL

to a quelli già conosciuti? R - Se ti riferisci ai cartoni animati, cerco di tenermi informato ma senza ossessioni eccessive sulle ultime novità. Se mi capita di vedere in tv qualche cartone animato recente, e lo trovo gradevole, allora provo a crearne un modello 3d (è successo per Spongebob per esempio). Ammetto però che le grandi richieste sul mio sito sono tutte per i robottoni classici! Mi richiedono il Grande Mazinger a gran voce, dovrò esaudire questi appelli, è il minimo per ringraziare i tanti visitatori.

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intervista: G.soldati


Gianni Soldati D - Quali sono le maggiori problematiche che sempre maggiore. Maggiore è la cura maggiori incontri nella creazione di un nuovo modello? i tempi di realizzazione. Va poi aggiunto che i miei modelli sono tutti animabili, questo vuol R - Le difficoltà sono cambiate col progredi- dire che ogni personaggio ha una sua struttura re delle mie capacità. Agli inizi spesso entravo scheletrica funzionante, ha deformatori per corin crisi per ottenere delle forme particolarmen- reggere le giunture ecc. Tutte cose che sul sito te complesse. Oggi posso dire tranquillamente non si vedono, ma che ho curato per migliorare di riuscire a modellare qualunque cosa e nella le mie capacità nell’animazione. maniera corretta. Ma nascono altre difficoltà, prima fra tutte il realismo, la cura dei dettagli D - Quando si rende necessario un programma

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iccolo esempio di modello creato in Rhino. Non conoscendo le dimensioni del modello reale, mi sono basato sulle fotografie che avevo a disposizione. Il render finale è stato creato in Lightwave3d.

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empo di lavorazione: 1 ora circa per modellazione, esportazione modello, pulitura poligoni, texturing, illuminazione e resa. Impaginazione in Photoshop. G.Soldati

intervista: G.soldati

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ANIME

intervista

T F

rasposizione 3d di una delle più note opere del grande Escher.

ra i temi cari ad Escher c’è la rappresentazione della tridimensionalità tramite la ripetizione modulare di un elemento, in questo caso un pesce stilizzato. Qui sotto troverete l’immagine originale del maestro. La riproduzione è modellata e resa in Lightwave3d 6.5 e stilizzato in Photoshop.

“PROFONDITÀ”

MAURITIUS CORNELIUS ESCHER

G.Soldati

centinaia di plugin spesso gratuiti. D - Ti è mai capitato lo spiacevole caso di un’immagine rubata? R - Spessissimo. La sezione dedicata ai robot è stata saccheggiata da chiunque. I cartoni sono un argomento che attira molte persone, spesso giovanissime, che, incapaci di creare qualcosa da sole, cannibalizzano i siti altrui. Spesso per ingenuità! A volte basta farglielo notare e rimuovono tutto. per creare superfici complesse, come ad esemD - Come è possibile rintracciare questo gepio uno specchio d’acqua mossa, come te lo nere di persone? Si tratta di puro caso? procuri? R - Per quello che riguarda la mia esperienza, R - Se il programma 3d è scelto bene, può per- sono stati sempre i visitatori ad informarmi di mettere qualunque effetto, qualunque materia- aver trovato mie immagini in rete. Di questo le e illuminazione. Tutto sta a quel punto nel li ringrazio. Ho trovato miei lavori in siti di cercare delle buone fonti, fotografie o film, da presunti negozi di fumetti e giocattoli online, usare come riferimento. Una volta studiato il in siti di appassionati di robot (questi di solifenomeno da riprodurre si prova e riprova con to non lo fanno con cattiveria ma solo per diciò che si ha a disposizione. Se il risultato non sattenzione), sui telefonini come sfondi (ma convince, si può tentare la strada delle plugin, questo mi diverte!), in una pubblicazione di ovvero cercare in rete se esistono aggiunte crea- quart’ordine sui robot uscita un paio di anni te appositamente. I programmi migliori hanno fa e persino sul sito ufficiale di una rete locale

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intervista: G.soldati


Gianni Soldati

intervista: G.soldati

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ANIME

intervista

cura, non provatene uno solo. Una volta scelto non fate come i molti che cambiano in continuazione (sono persone che si atteggiano a professionisti poi però non sanno fare nulla), imparatelo alla perfezione! Terzo: studiate il mondo che vi circonda! Cercate di capire la luce, le ombre, le forme. Non serve il computer, bastano gli occhi. Solo così saprete trasporre tutto sul computer. che, prontamente, le ha rimosse non appena gli Quarto: provate, proho fatto presente la questione “diritti d’autore”. vate, provate. Non si finisce mai di imparare. Io non ricavo nulla dalle mie immagini se non un po’ di notorietà. Tutto quello che domando D - Matita o china? è che mi venga richiesto il permesso di usarle, e che non vengano manipolate in alcun modo; R - La matita per la grande flessibilità degli efinvece, la prima cosa che tutti fanno, è ritagliar- fetti ottenibili. La china per la perfezione del le per eliminare la mia firma e il mio sito. Che tratto. tristezza! D - Puoi salutare i tuoi lettori ed aggiungere D - Cosa consigli ai giovani appassionati che ciò che preferisci… vogliono intraprendere il tuo stesso cammino? R - Un saluto a tutti i lettori! Vi invito a visitare R - Primo: non fidatevi delle immagini che tro- il mio sito. Vi troverete quasi tutti i miei lavori, vate sui siti ufficiali dei programmi! Molte di dai primi tentativi sofferti alle ultime immagini quelle immagini sono state create da artisti con il più curate possibile. Vi invito a scrivermi in decenni di esperienza allo scopo di convincervi piena libertà e, soprattutto, sono ben apprezzate che il programma è migliore. È l’artista a fare le critiche! Senza critiche non si migliora, e ultila differenza non il programma. Secondo: il mamente mi sento fare troppi complimenti, non programma è la vostra matita! Sceglietelo con vorrei correre il rischio di montarmi la testa.

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intervista: G.soldati


Gianni Soldati

intervista: G.soldati

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ANIME

ANIME IN 3D

  Gianni Soldati presenta :

JEEG 3D

ALTEZZA: 11 metri dichiarati ma ci sono variazioni da inquadratura a inquadratura PILOTA: Hiroshi Shiba ATTIVAZIONE: Hiroshi si traforma nella testa di Jeeg. Miwa gli lancia tutte le parti rimanenti contenute nel Bigshooter. Le parti si agganciano tramite elettromagnetismo. GUIDA: Hiroshi controlla direttamente tutte le parti di Jeeg senza la mediazioni di nessun tipo di controllo ma come semplici estenzioni dei suoi arti. MATERIALE Acciaio per i componenti. Mistero per la testa. ARMI: Raggio protonico (Spin Storm), super neutroni, boomerang elettronico, maglio e doppio maglio perforante (Knuckle bomber), raggi delta, raggi detector, raggi gamma, missili perforanti (Mach drill), bazooka spaziale, scudi rotanti (Jeeg buckler), astro componenti (sky parts), componenti subacquei (marine parts),missili super perforanti (aka super componenti), scudi rotanti, modulo h305-Antares.

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ANIME IN 3D: JEEG


 MODELLAZIONE: Questo è stato uno dei modelli più difficili da ultimare, tutte le superfici sono curve e con molti dettagli, come le scanalature verdi sulle gambe. Ulteriore problema è stato stabilire la dimensione delle parti. Jeeg ha una caratteristica: da inquadratura a inquadratura dimagrisce e si ingrassa con una velocità che neanche io ho mai raggiunto. Nel cartone le gambe sono sempre enormi , così come le spalle. Io ho scelto una via di mezzo, in modo da non sproporzionare troppo il modello. Il guaio è che non c’è mai corrispondenza tra l’inquadratura del cartone e quella che ottengo io. COSA MANCA: gli altri componenti. NOTE: Jeeg, tra tutti i robot di Go Nagai, è quello che ha le forme più simili all’uomo. Lo si nota particolarmente nelle gambe (che hanno

Nel cartone le gambe sono enormi, così come le spalle. Io ho scelto una via di mezzo...

addirittura i polpacci) e nella minore rigidità del complesso. Non sapevo come comportarmi con le texture della testa: non è di metallo, non è organica, non so di cosa sia fatta. Allora ho scelto una finitura plastica senza dettagli. IL PROBLEMA MAGGIORE: Riuscire a conciliare le scene in cui si vede la testa dal davanti con quelle di profilo. Questo perchè non è fisicamente realizzabile una testa che varia così tanto a seconda dell’inquadratura. Ad esempio: durante il cartone, le ali ai lati della testa si alzano e abbassano continuamente.

ANIME IN 3D: JEEG

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ANIME

ANIME IN 3D mostro Aniba Sodom (gran bel nome, io non ci combatterei mai!). I dischi roteano e si lanciano, fungendo sia da difesa che d’attacco. Come si riesca a stivarli all’interno del Bigshooter resta un vero mistero. BAZOOKA SPAZIALE. Arma devastante. Entra in scena quasi subito, già al 5° episodio della serie, intitolato “Formula1”, contro il mostro Aniba Ghemara (chiamato Gara nell’adattamento italiano).

Jeeg non può dirsi completo senza i suoi numerosi componenti. Erano la peculiarità più innovativa...

I COMPONENTI. Jeeg non può dirsi completato senza i suoi numerosi componenti. Erano la peculiarità più innovativa e interessante, che permetteva al robot di adeguare le proprie prestazioni alle caratteristiche dell’avversario e del “terreno” di scontro, che fosse cielo, sottosuolo o acqua. SCUDI ROTANTI. Arma che entra in scena molto tardi nella serie, nel 24° episodio, dal titolo “Odio implacabile”, contro il

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ANIME IN 3D: JEEG


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ANIME IN 3D: JEEG

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ANIME IN 3D SUPERCOMPONENTI. Rappresentano il set di Jeeg per le missioni nel sottosuolo, e gli consentono di scavare facilmente nel terreno. Le uniche parti a non variare rispetto la configurazione standard sono bacino, vita, torace e, naturalmente, la testa. Ho sfruttato tutte le mie conoscente di texturing per rovinare e sporcare le parti soggette a maggiore usura. G. SOLDATI Jeeg: marchio e immagini © ® Go Nagai / Dynamic

Non sapevo come comportarmi con le texture della testa: non è di metallo, non è organica, non so di cosa sia fatta.

MISSILI PERFORANTI. I primi componenti aggiuntivi di Jeeg. Gli consentono di volare ,e possono essere usati come arma micidiale grazie alle punte rotanti. Mi sono concesso delle piccole licenze per renderli più realistici, aggiungendo qua e là alcuni dettagli. Nell’immagine, comunque, questi dettagli non si notano così come non si vedono le turbine molto dettagliate.

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ANIME IN 3D: JEEG




ANIME IN 3D: JEEG

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Staff

TERRE DI CONFINE

COPERTINA SOMMARIO EDITORIALE AREA FANTASCIENZA - L.TYLER DUNEITALIA DUNE RISCHIO IMPATTO INCONTRO CON RAMA ARMAGEDDON METEOR DEEP IMPACT AREA FANTASY - M. PFEIFFER IL CAVALIERE DEL SOLE NERO IGIGANTI UCRONIE LADYHAWKE ECLISSI LINGALAD AREA ANIME - GINREI GIANT ROBOT GIANNI SOLDATI JEEG 3D STAFF HANNO COLLABORATO:

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AUTORE IMPAGINAZIONE CROM CROM MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA CROM CROM ROMINA “LAVINIA” PERUGINI CROM SAURONEYE DEFA REDAZIONE TDC DEFA OMINO VERDE DEFA CUCCU’SSÉTTE JUMA / DEFA ALBERTO CASSANI DEFA ANDREA CARTA DEFA CROM CROM ANJIINSAN JUMA / DEFA ELFWINE /SELENA M. JUMA STEFANO BACCOLINI DEFA KRISAORE / ANJIINSAN DEFA PIERO GIUSEPPE GOLETTO JUMA ANIELLO RUSSO JUMA / DEFA CROM CROM MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA / CROM ANIELLO RUSSO DEFA GIANNI SOLDATI DEFA / CROM MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA CLAUDIO ELIDORO, FEDERICO FALCONE, GIUSEPPE FESTA, SERGIO POMANTE, GIANNI SOLDATI

TDC N.1 - NOVEMBRE 2005


http://www.crepuscolo.it

T

http://www.crepuscolo.it/fantasystory/

D C

http://www.animemundi.net

http://www.terrediconďŹ ne.net/fantasyrpg/


i grandi autori

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