Terre di Confine #9

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Rivista aperiodica redatta da www.terrediconfine.eu

di TERRE Confine Fantascienza, Fantasy, Anime

Novembre 2008 ANNO IV

LETTURA:

I Pirati:

La Città delle Navi n I Giardini della Luna n Maree di Mezzanotte n La Tomba senza Nome n I Pirati Neri di Barsoom n L’Estate della Paura n L’Inverno della Paura n Il Segreto nella Fiamma n La Lama del Dolore n Roma Fantastica n

imprese e misfatti dall’età classica all’epopea dei Caraibi

Speciale

Harlock:

Serie Classica L’Arcadia della mia Giovinezza Rotta Infinita SSX Harlock Saga Endless Odyssey

SERIE TV: n

L’Isola del Tesoro

ANIME e MANGA:

Gli Allegri Pirati... n One Piece n Gaurru Z n

NUMERO

9

CINEMA: I Pirati dei Caraibi Pirati dei Caraibi

I Pirati dello Spazio

Capitan Harlock

Peter Pan

Le Mappe Misteriose

L’Isola del Tesoro Associazione Culturale

Lettura: Trilogia di Borgomago, Schegge di Mondi Incantati, Labbra Proibite, Kila Chombo Kwa Wimbile Cultura/Costume: Fansub, RyuCosplay Animazione: Il Pianeta del Tesoro Intervista: L. Bonizzato, N. Storai Fumetto: Tormentini Cinema e Corti: Waterworld, Hook, Peter Pan, Aquaend


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Editoriale REDAZIONE

di Massimo “DeFa” De Faveri

I

Editoriale

PIRATERIA MODERNA pirati protagonisti dei romanzi d’appendice e dei film in costume, pennellati sullo sfondo di luoghi lussureggianti e lussuriosi, alla ricerca di tesori sepolti in mezzo a lagune cristalline o di procaci “cameriere” tra pinte di rum in dissoluti porti di frontiera, sono lo strumento narrativo perfetto per adescare lo spirito d’avventura e il desiderio di libertà. Non c’è misfatto che tenga: tra i pirati è sempre presente, immancabile, quello guascone ma coraggioso, quello disonesto ma leale, il “rude galantuomo” capace insomma di riscattare l’intera categoria compensando col “candore” della sua sostanza l’opinabilità della sua forma. Grande pregio della Fantasia è proprio il riuscire a ricavare suggestioni perfino da realtà che tutto possono essere fuorché seducenti. Il numero 9 di TdC è dedicato alla figura del pirata e al modo con cui gli autori di ogni epoca hanno saputo raccontarla dando volto e corpo al nostro desiderio di evasione; senza tuttavia dimenticare ciò che la pirateria storica realmente è stata. Nella vita “vera”, infatti, i pirati, coloro che esercitano l’arte della navigazione al fine di depredare per trarne profitto, sono spinti per indole − o a volte, purtroppo, per necessità di sussistenza − a una pratica che di attraente non ha davvero nulla. Lasciamoci ammaliare da quello letterario, dunque, ma stando attenti a non nobilitare il pirata vero, che ancora esiste, attivo oggi più che mai, come riportano con cadenza quotidiana le cronache provenienti da ogni mare del mondo. n Massimo De Faveri [ANSA] BRUXELLES, 2 dicembre 2008 - Una nave italiana da battaglia ha bloccato oggi un attacco dei pirati che aveva come obiettivo 5 mercantili tra cui uno iraniano. Fonti Nato parlano dell’”attacco multicoordinato più vasto mai visto”. La Luigi Durand de la Penne, che partecipa alla missione Nato che combatte la pirateria nel Golfo di Aden, ha ricevuto l’allarme della Sea Queen sotto attacco ed è intervenuta subito, posizionandosi tra i cargo e i pirati e utilizzando il suo elicottero per disperdere la minaccia. [ANSA] SOFIA, 5 dicembre 2008 - I pirati sono all’opera anche sul Danubio, sul tratto serbo, dove attaccano le navi, razziando tutto quello che trovano a bordo. La più colpita è la flotta bulgara: negli ultimi 2 anni sono state attaccate 38 navi, secondo quanto scrivono oggi i quotidiani bulgari. I pirati agiscono intorno al porto serbo di Smederevo, a circa 200 km dal confine bulgaro. Di solito vanno all’abbordaggio di notte in gruppi di più di 4 uomini. [ANSA] BERLINO, 5 dicembre 2008 - La Marina militare tedesca ha impedito la settimana scorsa un probabile attacco di pirati a una nave da crociera tedesca nel Golfo di Oman. Secondo il settimanale “Der Spiegel”, venerdì scorso la fregata Mecklenburg-Vorpommern ha sparato colpi di avvertimento contro 2 “lance sospette” che si dirigevano a forte velocità verso la nave da crociera tedesca MS Astor, mettendole in fuga. La MS Astor, con 600 passeggeri, era in viaggio dall’Egitto a Dubai, dove è arrivata giovedì scorso. n fonte: ANSA.it

Editoriale


Sommario REDAZIONE

TERRE DI CONFINE N. 9 - NOVEMBRE 2008

NUMERO

9

Sommario Editoriale Pirateria Moderna di M. De Faveri ................................. 3 Lettura

Sommario

Corti Intervista Intervista Cultura Lettura Lettura Lettura Lettura Lettura Lettura Lettura Lettura

Pirati Lettura Lettura Sci/Tec Cinema Cinema Serie TV

Animazione

Labbra Proibite di V. Summa ........................................ 6 Aquaend di ������������� Cuccu’ssette ............................................... 8 Intervista a Luigi Bonizzato di Cuccu’ssette ................... 11 Intervista a Niccolò Storai�� di P. Motta .......................... 16 I Fansub di G.F. Signorotto ........................................... 20 L’Estate della Paura di C. Ristori .................................. 24 L’Inverno della Paura di C. Ristori ................................ 26 Roma Fantastica di C. Ristori ...................................... 28 Il Segreto nella Fiamma di V. Summa ........................... 30 La Lama del Dolore di C. Ristori ................................... 32 Schegge di Mondi Incantati di S. Baccolini .................... 34 I Giardini della Luna di L. Germano .............................. 36 Maree di Mezzanotte di C. Ristori ................................ 40

Storia Storia

Kila Chombo Kwa Wimbile di P. Motta .......................... 46 I Pirati Neri di Barsoom di D. Mana ............................. 48 I Velieri di V. Summa ................................................. 52 Waterworld di R. Perugini .......................................... 58 I Pirati dello Spazio di D. Mana ..................................... 64 L’Isola del Tesoro di Cuccu’ssette .................................. 70 Il Pianeta del Tesoro di A. Tripodi ................................ 74 I Pirati in Epoca Classica di S. Baccolini ......................... 78 Pirateria Mediterranea nell’Alto Medioevo di F. Coppola ... 86

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REDAZIONE Storia Mistero Lettura Lettura Lettura Lettura Cinema Cinema Cinema Cinema Cinema Cultura/Int. Serie TV Cinema Serie TV Serie OVA Serie OVA Cinema Serie TV Manga

La Pirateria di Mario Veronesi, Redazione TdC .................... 92 L’Enigma delle Mappe di D. Cuoghi� ............................ 110 Peter Pan di C. Ristori� .............................................. 116 La Città delle Navi di M. Pelli� .................................... 120 I Mercanti di Borgomago di Redazionale/K. Meerman� ......... 122 La Tomba senza Nome di V. Summa� ........................... 124 La Maledizione della Prima Luna di Cuccu’ssette� ...........126 La Maledizione del Forziere Fantasma di R. Martinelli� ... 136 Ai Confini del Mondo di A. Carta ................................ 142 Hook - Capitan Uncino di F. Viegi ............................... 148 Peter Pan di V. Summa ............................................ 152 RyuCosplay di L. Colombi� .......................................... 158 Capitan Harlock di E. Romanello� ................................ 162 L’Arcadia della mia Giovinezza di A. Tripodi� ................. 176 Capitan Harlock SSX di M. De Faveri� ............................ 186 Harlock Saga di A. Carta� .......................................... 194 Captain Herlock - The Endless Odyssey di M. De Faveri ... 200 Gli Allegri Pirati dell’Isola del Tesoro di D. Mana� .......... 208 L’Isola del Tesoro di D. Altobelli� ................................. 212 One Piece di L. Colombi� ............................................ 222

Fumetti Fumetto Manga

I Tormentini di G. Cafaro, M. Cavenaghi, Joker, The Frighter ...... 226 Gaurru Z di L. Atzei, A. Porcu, G. Ruiu ............................. 228

Redazione

Andrea Carta, Antonio Tripodi, Cristina “Anjiin” Ristori, Claudio “Sat’Rain” Piovesan, Cuccu’ssette, Daniela “Dashana” Belli, Davide Mana, Diego Altobelli, Elfwine, Elena Romanello, Emanuele “Krisaore” Palmarini, Francesco “Muspeling”Coppola, Francesco Viegi, Gianluca Francesco Signorotto, Graziella Cavallanti, Laura Tolomei, Leonardo Colombi, Luca Germano, Massimo “DeFa” De Faveri, Paolo Buscaglino, Paolo Motta, Pellegrino Dormiente, Piero Giuseppe Goletto, Romina “Lavinia” Perugini, Rossella Martinelli, Stefano Baccolini, Valentina “Vania” Summa

Hanno collaborato

Diego Cuoghi, Gianluca Turconi, Karina Meerman, Luigi Bonizzato, Niccolò Storai, Mario Veronesi (Cronologia. it), Mattia Pelli (La Leggera), RyuCosplay, Talo Base Team (Loredana Atzei, Antonio Porcu, Giuseppe Ruiu), Tormentini (Giuseppe Cafaro, M. Cavenaghi, Joker, The Frighter)

Si ringrazia

Adam Moore, Bradipo Libri, Clarissa Monnati (Armando Curcio Editore), Costanza Ciminelli (Gargoyle Books), Elina Lawrie, Emma Laird (Sail Training International), Federico Panicucci (RiLL), Firefly2347, Franco Gonzato (Cronologia. it), Gloria Misul (Alacrán), Luca Moncelli (Multimedia Shop), Luigi Milani (Edizioni XII), Massimo Guida (Nexus PC.it), Viviana De Mitri (Armenia), William Fahey

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Lettura

Lettura

FANTASCIENZA

LABBRA PROIBITE (L. Maffezzoli, 2007)

di Valentina “Vania” Summa

I

l racconto Labbra Proibite di LUIGI MAFFEZZOLI (pubblicato da EDITORI DeLLA PeSTe) ci porta in un futuro in cui il rischio di epidemia è diventato il supremo terrore della società. Niente contatti fisici, quindi. Niente abbracci, niente intimità, niente sesso se non on-line. E mascherina sulla bocca, sempre. Togliersela accresce la possibilità del contagio e comporta il ricovero coatto per mano dei temuti “uomini in arancione”. In questo clima ipocondriaco, il futuro è nelle mani di esseri umani con il volto coperto a metà, labbra nascoste come reliquie proibite. Il protagonista del racconto conosce l’altra faccia degli “uomini in arancione”, quella di spietati aguzzini legali. Suo nonno, pittore, anima libera che chiamava il nipotino Piccolo Principe, ha beffato il “gigante” in arancione che voleva punire la sua leggerezza nell’uso della mascherina ed è fuggito verso una vita più vera… o forse incontro a una diversa morte. Chissà. Il ricordo è rimasto nella mente di un giovane uomo che, nel vedere ora una ragazza – splendida nella nudità del corpo e della bocca – domata e rapita dagli uomini in arancione, d’improvviso si riscopre cavaliere senza macchia e senza paura votato a salvarla. Nel corso dell’impresa cercherà di conoscere il leggendario Comandante, capo di una vecchia rivolta finita in niente; sfiderà il sistema infiltrandosi negli ospedali detentivi della Città Vecchia, dove i libri sono ancora di carta e la morte è nell’aria; infine fuggirà con l’amata, riscattata dalla prigionia, e scoprirà un’oasi di vita antica, lontana dalla paura del contagio, dove potrà vivere in pace con lei e con il nonno ritrovato. Breve scritto per una storia che avrebbe avuto bisogno di ben più ampio respiro per poter decollare. Risolvendo il racconto in meno di cento pagine, l’autore cade in bidimensionalità e forzature piuttosto evidenti; costella inoltre il testo di note esplicative che interrompono regolarmente la lettura: un eccesso di ragguagli a margine

Lettura: Labbra Proibite


FANTASCIENZA

“Futuristic City”, Firefly2347, 2008 http://firefly2347.deviantart.com/ di una narrazione troppo condensata per poterli contenere. La passione del protagonista per la fanciulla rapita e reclusa è immediata, senza un vero perché, una sorta di predestinazione da poema cavalleresco che stride con il contesto. A un sentimento di tale profondità non corrispondono situazioni di crescita interiore o di confronto tra i due. Si vedono; si amano. Entrambi, senza timori, senza incertezze. Il protagonista è un Principe Azzurro che cerca la sua Principessa, un Orlando che s’invaghisce dopo aver incrociato per un solo istante lo sguardo della sua bella Angelica. Non regge. Cosa si può pensare di un personaggio che, troppo lanciato verso la liberazione della sua bella, non riesce a indulgere nemmeno a un lutto come l’omicidio dell’amico che l’ha condotto alla Resistenza? All’interno degli ospedali di ricovero coatto, il contagio è solo una scusa per eliminare gli elementi pericolosi o inutili al Sistema. I reclusi vengono intontiti a suon di psicofarmaci, in attesa che arrivi il momento dell’iniezione letale. Non un colpo di scena,

ma l’immagine suscita la giusta inquietudine. Peccato venga liquidata con tanta fretta. Inoltre, sa troppo di fiaba l’oasi che i nostri ritrovano lontano dalla città, in mezzo alla natura, tra vestigia del passato che fu, cibo vero e non in pillole, sentimenti di amicizia, amore e fratellanza. Perfino il nonno tanto amato è parte di quella comunità di esuli, vivo e vegeto, e ancora dipinge i suoi quadri approfittando delle belle vedute en plein air. La coincidenza è forzata a dir poco. Dulcis in fundo, il gigante cattivo non sarebbe tale se non sfuggisse alla morte almeno due o tre volte prima di scovare l’oasi di pace e tentare un ultimo attacco, un’eclatante incursione in volo che finirà con l’abbattimento e la definitiva sconfitta per mano di un universitario, una donna e un vecchio. Una traccia di 1984 di GEORGE ORWELL e un pizzico di Fahrenheit 451 di RAY BRADbURY per costruire una favola risolta troppo in fretta. Peccato. I presupposti erano incoraggianti. n Valentina Summa

Lettura: Labbra Proibite


Corti

Corti

FANTASCIENZA

AQUAEND (L. Bonizzato, 2007) di Cuccu’ssette

A

nno 2070: l’atmosfera terrestre è satura di anidride carbonica, le risorse sono esaurite, gran parte delle specie marine sono estinte. L’umanità sopravvive in spazi chiusi, sotto gigantesche cupole oppure in torri disseminate nei vasti deserti. Emigrare su un altro pianeta abitabile rimane l’ultima speranza. Un giovane astronauta viene selezionato per imbarcarsi su una nave spaziale, diretta verso il lontano Aquaend, un mondo tutto da esplorare, che si ipotizza idoneo alla vita umana. Fin dalle prime sequenze, il corto Aquaend di LUIGI BONIZZATO affronta temi di dolorosa attualità: il disastro ambientale, la solitudine dell’uomo, la perdita della fede, l’emigrazione verso luoghi lontani… argomenti trattati spesso dalla migliore fantascienza, che ritrae il futuro per consentire la riflessione sul presente, o per indagare la natura umana. L’idea di un gruppo di astronauti lanciato nello spazio, alla disperata ricerca di un pianeta da colonizzare, è già contenuta nello struggente e purtroppo mal distribuito The Wild Blue Yonder di WERNER HERZOG, che fonde documentario e fantasia grazie all’uso creativo di materiale footage della NASA. In quella pellicola, per bocca di un malinconico alieno, vengono narrati i deludenti tentativi di ricostruire un’esistenza soddisfacente sul nostro pianeta da parte della gente di Andromeda. Più esplicito è l’omaggio a STANLEY KUbRICk, in particolare a 2001 Odissea nello Spazio. L’aspirante astronauta attende il colloquio che deciderà il suo futuro in una sala simile ai locali della stazione orbitante in cui si incontrano Heywood Floyd e il dottor Smilof. L’assenza di gravità fa galleggiare negli asettici corridoi dell’astronave non una penna, ma un libro dedicato al regista. La capsula di salvataggio assomiglia a quella usata da David Bowman per riparare l’astronave e, più tardi, sfuggire al vendicativo elaboratore guasto Hal 9000. Le scenografie e gli abiti sono ispirati dal capolavoro, e le stesse inquadrature sono montate in maniera da suggerire diversi

Corti: Aquaend


FANTASCIENZA

narratori, com’era avvenuto per il drammatico viaggio della Discovery. Anche se è stato proiettato in svariate rassegne specializzate, il cortometraggio prende le distanze da certi imbarazzanti collage di citazioni dotte ma affastellate con l’unico intento di piacere ai critici. La narrazione di Luigi Bonizzato è certamente influenzata dai Grandi: per fortuna, non è mai lineare e scontata. Lungi dall’indulgere a facili sfoggi di effetti speciali e luoghi comuni, il regista segue il personaggio principale nei suoi ricordi, mescola presente, passato e sogni, in un flusso continuo che ricorda l’Ulisse di JAmES JOYCE. Il protagonista vaga nello spazio profondo con un solo compagno, che si intravede ma resta sempre in penombra, quasi fosse solo una voce interiore a cui viene attribuito un corpo. È una presenza voluta sia per acuire il senso di solitudine, sia per preparare lo spettatore all’enigmatica conclusione. Se, nelle magistrali tavole de L’Incal di MOEbIUS e JODOROWSkY, Aquaend è il pianeta-oceano dalle acque

vermiglie che celano misteri, nel cortometraggio diviene metafora dell’inconscio umano. Il regista sottolinea come il viaggio verso l’ignoto sia prima di tutto un cammino interiore che ogni persona in ogni epoca o condizione compie. L’astronauta non ha un nome: come se attribuirgli una precisa identità comportasse il ridurre la sua esperienza dall’universale al particolare. Ha una storia personale, narrata al solo scopo rendere credibili decisioni e comportamenti. Scopriamo che è l’unico sopravvissuto a un incidente provocato da un parafulmine difettoso. Viviamo la sua quotidiana disperazione attraverso un tentativo di uscire all’aria aperta senza la necessaria mascherina, o tramite una corsa in auto a folle velocità, o nella solitudine di una chiesa deserta. Sappiamo che ha accettato la missione perché è il “migliore”, o piuttosto perché non ha nessuno al mondo, come confessa all’imprenditore che lo assume. Rivela la sua umanità scegliendo di vivere nel lusso i suoi ultimi giorni sulla Terra. Più tardi, sull’astronave, dorme in una stanza che

Corti: Aquaend


Corti FANTASCIENZA

replica un’accogliente casa d’inizio Novecento, con tanto di arredamento di alto antiquariato, quadro barocco di Madonna con Bambino e fotografie. Queste ultime vengono lasciate intravedere solo per un attimo; quel poco basta per suggerire allo spettatore la vita familiare perduta: una ragazza, un matrimonio… Dettagli descritti con brevi battute e con sequenze appropriate, senza rivelare informazioni superflue. Il dialogo è essenziale, fatto di poche significative battute; mai si sostituisce all’uso della camera, e parlano piuttosto le inquadrature, tutte selezionate in modo da fornire precise indicazioni sui personaggi. La suggestione della musica classica o dei suoni contemporanei completa le atmosfere metafisiche. Per restare in tema di citazioni, la visione della donna con un bambino ricorre spesso. Non sappiamo con certezza se si tratti della moglie con il figlio, periti nell’incidente dal quale il protagonista si è invece salvato, o se sia un ricordo felice dell’infanzia, o magari una metafora dei sogni più autentici, ma non ha importanza: è un’immagine confortante per l’astronauta, e allo stesso tempo rappresenta una meta agognata

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che diviene sempre più concreta a mano a mano che l’astronave si avvicina al pianeta Aquaend. Questa reminiscenza, che va a concretizzarsi nelle ultime sequenze, ricorda da vicino quelle indotte dall’Oceano Pensante di Solaris, forse l’entità più aliena tra quelle mai immaginate. Un complesso organismo, che dà corpo al ricordo di persone concrete, ed è vivente pur restando inintelligibile da parte dell’uomo. L’astronauta in qualche modo raggiunge Aquaend e in esso si perde; trova l’oggetto dei suoi sogni, oppure lo intravede prima che subito sfugga. Aquaend è il compiersi del Destino, sia esso la soddisfazione paradisiaca dei desideri, la fine della vita fisica, il fondersi con l’Assoluto o un’esperienza estatica di contemplazione a cui seguirà un consapevole ritorno, analoga a quella che permea la Divina Commedia. La conclusione è ricca di poesia e giustamente enigmatica: ci sono situazioni che parlano direttamente al cuore dello spettatore. Oltre, ogni parola, ogni inquadratura, ogni spiegazione è superflua. n Cuccu’ssette

Corti: Aquaend


Intervista FANTASCIENZA

di Cuccu’ssette

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Intervista

Intervista a Luigi Bonizzato

uigi Bonizzato, classe 1967, diplomato al Liceo Artistico, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti e lavorato come grafico pubblicitario e fumettista. Oggi si occupa d’insegnamento di materie artistiche, e realizza cortometraggi che produce, dirige, fotografa e monta personalmente. Esordisce nel 1989 con il fantascientifico 1998; nel 1991 gira l’horror Trashman, che nel 2002 partorirà il sequel Trashman 2: the Desolator; la produzione di Fantascienza riprende nel 1993 con Universe, a cui fanno seguito Koburn (2004), The Shadow Program (2006) e Aquaend (2007). è attualmente in lavorazioLuigi Bonizzato ne un nuovo corto, The Crossing Man. Con molta disponibilità, l’autore ha accettato di narrarci la sua visione della Settima Arte.

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uando e come hai iniziato ad interessarti al Cinema? Molto presto. Da bambino avevo un piccolo televisore in bianco e nero con il quale mi sintonizzavo su straordinarie rassegne fantascientifiche curate da ENRICO GhEZZI: quei film mi hanno aperto delle porte che non si sono mai più richiuse. E poi c’erano i telefilm, come la prima serie di Spazio 1999, che mi terrorizzava, o Project U.F.O. che trovavo esotico e onirico, molto onirico. Ogni notte era una sorpresa, una meraviglia. Questo mi ha spinto a fare qualcosa, a cercare di ricreare con il super 8 mm quel “sense of wonder” con il quale scoprivo la Fantascienza: e quella degli anni Settanta era Fantascienza estremamente profonda, fondamentale, affascinante. Naturalmente continua a esserlo tuttora, dato che i film-playstation di oggi non reggono minimamente il confronto.

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a scelta di realizzare corti è legata ai mezzi, alla possibile distribuzione, o è una scelta narrativa che senti più tua? Anche se la tecnologia digitale mi consentirebbe di creare un lungometraggio, ov-

Intervista: Luigi Bonizzato

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Intervista FANTASCIENZA

Preparando il set della capsula, backstage di “Aquaend”, 2007 viamente dovrei appoggiarmi a una struttura produttiva solida per realizzare un film competitivo. Il corto rappresenta una valida alternativa poiché è un prodotto agile, veloce, riproducibile, scaricabile, visibile in più Festival specializzati: è un’ottima opportunità per farsi conoscere rispetto al tentativo farraginoso di portare a termine e cercare di distribuire un film (per di più di Fantascienza) in Italia. E poi le mie storie si esauriscono naturalmente in uno spazio di quindici-venti minuti, tempo ideale per un cortometraggio. Sono portato per i corti in modo del tutto spontaneo, e li faccio da sempre per puro piacere senza preoccuparmi di dovere a tutti i costi sfondare nel cinema.

S

ullo schermo si nota da parte tua una grande passione per Stanley Kubrick, sia come uso della macchina da presa sia come scenografie, costumi, temi. Quali sono invece i modelli letterari che ispirano la tua opera? Temo di non averne affatto. L’eventuale ispirazione che possa trarre da qualcun altro può giungermi attraverso un quadro, una musica, un film, qualcosa per esempio che – come nel caso di Koburn –mi faccia pensare: vorrei poter realizzare una sorta di “Mad Max”. Il risultato è comunque sempre frutto di una mia personale e lunga elaborazione. Direi che essenzialmente ho

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lo stesso approccio al materiale di un pittore, è come se creassi un quadro che ritocco continuamente, fino a che non ottengo una precisa armonia sensoriale. E anche questo mi viene del tutto naturale.

Q

uale è stato l’effetto speciale più complesso da ottenere? Sono convinto che nulla sia impossibile se si è abbastanza elastici e creativi. Ad esempio per The Shadow Program avevo bisogno di una città allo sfascio, ma mi sono detto: inutile costruire complicati modellini quando ci sono parchi tematici come “Italia in miniatura”, con decine di piccoli palazzi e monumenti! Avrei solo dovuto buttar lì qualche macchinina rovesciata. Per Aquaend volevo una città futuristica nel ghiaccio stile SF anni Settanta, e così, mentre aspettavo che nevicasse, nel mio garage ho messo insieme un sacco di roba che avesse un senso, poi sono andato in spiaggia e l’ho assemblata e ripresa con un grandangolo. Con il computer faccio il resto: fumo, pioggia, nebbia, aggiungo e tolgo particolari, le astronavi in volo o i mezzi cingolati… Mi arrangio moltissimo, e la sfida, il vero divertimento è ottenere il massimo col minimo. Ovviamente bisogna essere coscienti dei propri limiti e non fare il passo più lungo della gamba; Roger Corman insegna!

Intervista: Luigi Bonizzato


FANTASCIENZA

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etafisica, modelli e grafica al PC: cos’è più indispensabile? Senz’altro un computer per legare il tutto. Il computer mi ha finalmente permesso l’indipendenza creativa, rispetto a una volta quando ero costretto ad affittare costosi impianti di editing lineari che, tra i tanti limiti, non consentivano di modificare ciò che era già stato registrato su videocassetta master. Il computer è davvero libertà totale.

“1998”, 1989

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rima di realizzare Aquaend, hai avuto la possibilità di visionare The Wild Blue Yonder? Ho avuto modo di vederlo più tardi, in televisione, ma sinceramente l’ho trovato abbastanza trash, per non dire brutto: ho capito l’operazione che voleva fare WERNER HERZOG, ma non è nelle sue corde e questo è del tutto evidente. Sarebbe stato più originale fare del buon Herzog creando in studio un’astronave e spedendo un paio di sub nell’artico, ripresi da un’attrezzatura cinematografica decente, in una sorta di Fitzcarraldo fantascientifico! Francamente mi ritrovo di più in Nosferatu, il Principe della Notte o in Aguirre, Furore di Dio, dove è percepibile la purezza del rapporto tra uomo e destino, nel passaggio culminante da ordinario a straordinario. Lì c’è tutto Herzog.

“Trashman”, 1991

“Universe”, 1993

A

quaend e Solaris: due mondi che si assomigliano? Senza dubbio. Vi è la stessa struttura narrativa e un soggetto assai simile dato che Aquaend è la storia di un uomo irrisolto, un astronauta che non avendo mai superato la perdita della famiglia accetta una missione senza ritorno nello spazio con sviluppi straordinari. Senza Solaris e 2001: Odissea nello Spazio non ci sarebbe Aquaend: quelli sono due tra i film che mi hanno forgiato, e vanno oltre la Fantascienza. In un certo senso ho voluto anch’io trascenderla con Aquaend, arrivando al cuore, al sistema nervoso e oltre, ancora oltre.

“Trashman 2: the Desolator”, 2002

I

tuoi corti presentano un dialogo essenziale ma molto significativo; quanto conta la presenza scenica degli attori coinvolti? Le persone coinvolte sono quasi tutti miei amici, e li scelgo soprattutto per la loro fotogenicità più che per le doti recitative. Do molta importanza a una resa fotografica complessiva la più perfetta possibile. In secondo luogo, lavoro sulla recitazione, l’aspetto più faticoso e penoso di ogni progetto. Devo innanzitutto far esaurire la carica di eccitazione degli attori, e poi lavorare sulla loro stanchezza; ed è a questo punto che stabiliscono un contatto con il loro personaggio. Però l’amicizia dev’essere molto forte, dato che nelle mie storie si toccano talvolta corde delicate, profonde, e non ho a che fare con attori professionisti in grado di gestire le emozioni. In alcune occasioni ci sono state infatti, da parte di qualcuno, reazioni anche spiacevoli, dovute a problemi personali di cui ignoravo persino l’esistenza. Posso anche scoprire – con una certa delusione – in un amico molto orgoglio, e quindi resistenza di fronte a una figura “autoritaria” che gli dice cosa fare

Intervista: Luigi Bonizzato

“Koburn”, 2004

“The Shadow Program”, 2006

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Intervista FANTASCIENZA Visita medica, dal set dell’Ospedale, backstage di “Aquaend”, 2007

1) 2001: Odissea nello Spazio (1968); 2) Solaris (1972); 3) L’Uomo che fuggì dal Futuro (1971); 4) Alien (1979); 5) La Fuga di Logan (1976); 6) Il Pianeta delle Scimmie (1968); 7) Il Mondo dei Robot (1973); 8) 1997: Fuga da New York (1981); 9) Blade Runner (1982); 10) La Cosa (1982).

e come. Comunque, nel bene o nel male, accettano la sfida, e io ho imparato con gli anni la disciplina della calma e della pazienza.

Q

uale rilievo ha il senso della corporeità nei tuoi video? Il cyborg come superamento del dualismo organico meccanico? Il cyborg, secondo me, non supera questo dualismo se non con la trascendenza. Il cyborg è un io diviso, una creatura in preda a sofferenza psicologica e fisica, derivante dal suo essere appunto un ibrido. È impossibile, per chi sia stato un uomo, trovarsi a portare protesi meccaniche, avvertire ronzii dal proprio corpo, avere parti di sé indipendenti, magari controllate da un secondo cervello, bionico. Ciò porterebbe alla pazzia chiunque: una pazzia superomistica, da semidio, che è poi quella che ho rappresentato in alcuni cyborg di Koburn. Questi esseri sono spaventosi, imprevedibili, succubi di una tecnologia degenerante anche sul piano cerebrale. Comunque può esistere una redenzione, come nel personaggio del “predicatore” che in Koburn accetta e affronta il dolore solo attraverso la fede in Dio. Bisogna accettare e affrontare il proprio metallo come una malattia o una deformità per le quali provare pena e amore.

S te?

e dovessi montare sull’astronave diretta ad Aquaend, quali dieci migliori film porteresti con

Bene, allora procederò con una mia personale top ten, lasciando fuori inevitabilmente e dolorosamente almeno cinquanta film pari merito:

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Q

uale è il valore dell’elemento acquatico nei tuoi corti (come mutazione in polpo e sequenze in spiaggia, come assenza, come credo inconscio)? Amo moltissimo l’acqua. Mi piace stare sott’acqua, galleggiare nell’infinito silenzio verde, con la luce del sole che penetra dall’alto. Mi dà molta pace. Un ritorno al ventre materno? No, forse più una sensazione di contatto con l’universo. Emergere poi, e vedere solo acqua, immaginare un deserto d’acqua è la visione che mi ha portato ad Aquaend. In ogni caso mi accorgo che nei miei lavori l’acqua è quasi sempre presente, in un modo o nell’altro. L’acqua è per me il simbolo della vita.

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uali sono le location dei tuoi corti? Ho girato quasi tutti i miei corti a Rimini, dove abito: è una città che conosco bene e che contiene tutte le altre città; multiforme. Nel caso di Koburn ho trovato paesaggi incredibili tra S. Leo e Urbino, a un’oretta di auto: vere e proprie zone desertiche con tanto di scorpioni e resti della Seconda Guerra Mondiale. Per

Intervista: Luigi Bonizzato


FANTASCIENZA

Indicazioni di ripresa, dal set di Cold City, backstage di “Aquaend”, 2007 The Crossing Man, una storia di viaggi nel tempo a cui sto lavorando, ho girato alcune sequenze in costume a Mondaino, un piccolo borgo medievale sempre a pochi chilometri da Rimini. In linea di massima, tutto ciò che mi occorre è a portata di mano.

S

tando alla tua personale esperienza, trovi che la Fantascienza e il Fantastico, in Italia, siano troppo poveri o troppo underground? Trovo che, semplicemente… non siano! Fantascienza e Fantastico in Italia hanno avuto grande diffusione negli anni Settanta e Ottanta, non solo in campo cinematografico ma anche televisivo, con risultati stupendi. Poi è finito tutto. Ci sono film – che scommetto nessuno ricorda – di una raffinatezza assoluta, come L’Invenzione di Morel o La Decima Vittima per citarne solo un paio. Ci siamo dati da fare parecchio nel campo del Fantastico, per poi far morire i generi negli anni Novanta. Il perché di questa eutanasia è per me un mistero: il mercato c’è (ora più che mai), l’industria cinematografica italiana è attrezzatissima (anche se i teatri di posa sono occupati dai telefilm o i telequiz), ma nessuno in Italia gira più un film di Fantascienza o dell’Orrore! L’unico grande di sempre è PUpI AVATI, a cui va il mio massimo rispetto: rendiamoci conto che quest’uomo continua la tradizione dei generi in Italia con una padronanza assoluta del mezzo cinematografico e anche televisivo, con una energia e ispirazione che gli invidio. Amo paragonarlo a un altro

mitico artigiano americano, ROGER CORmAN, in grado di realizzare film con grande creatività, velocità e intuito, coltivando in proprio una grande famiglia di artisti. Ma gente così è più unica che rara, e difficilmente lascerà eredità.

C

ome va la distribuzione e la diffusione dei corti in Italia? Oggi molto bene, grazie alla tecnologia. Possiamo duplicare e spedire un corto a un Festival in tempi brevissimi, grazie al DVD. In un futuro molto prossimo, credo che il capiente server di un ipotetico festival “bypasserà” addirittura supporti e spedizioni postali, e invieremo il nostro lavoro direttamente in streaming. Il corto è una potente alternativa al cinema, poiché garantisce a tutti la possibilità di esprimersi con creatività ed entusiasmo, svicolati da regole produttive e interessi commerciali (e di conseguenza, molto spesso, con risultati assai superiori a un film regolare); in più, Internet rappresenta il terreno ideale per la loro diffusione, più di qualsiasi altro mezzo, basti pensare per esempio al boom di YouTube. Ringraziamo Luigi per averci concesso questa intervista, e per la sua attività in favore della cultura e della diffusione del cinema di genere, che promuove attraverso cortometraggi girati con cuore e tecnologia. n Cuccu’ssette

Intervista: Luigi Bonizzato

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Intervista

Intervista

FANTASCIENZA

Intervista a NICCOLò STORAI di Paolo Motta

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siste un autore nel fumetto indipendente italiano che è come il prezzemolo, lo si ritrova praticamente ovunque. Si tratta di NICCOLÒ STORAI, un giovane disegnatore originario di Prato. Storai ha pubblicato i suoi lavori sulle riviste “Dime Press”, “Forno Magazine”, “Slow Food”, “Mono”, “Motel”, “Vice Magazine”, “Nixon”, “The Artist”, “Lamette” e persino sulla prestigiosa testata statunitense “Heavy Metal”. Ha collaborato inoltre con BOTTeRO EDIZIONI e con NICOLA PeSCe EDITORe. Presso quest’ultimo ha curato i volumi Killers e Lucio Fulci - Tributo al Poeta del Macabro. Per MONDADORI ha invece disegnato uno dei capitoli del libro di Simone Cristicchi, C.I.M. (Centro di Igiene Mentale). Parallelamente al fumetto, Storai è molto interessato al cinema, tanto che realizza story-board per lo studio d’animazione STRANe MANI e per la casa di produzione BeLLO SGUARDO. Tutto ciò spinto essenzialmente da una sincera passione per il suo mestiere di disegnatore, anzi di “grafonauta”, come si autodefinisce. Proprio questo suo grande interesse gli permette, nonostante una produzione così vasta, di mantenere sempre alta la qualità generale del suo lavoro. Storai si è ormai imposto all’attenzione della critica grazie al suo tratto deciso, e alla predilezione per il grottesco e il surreale che l’ha portato a creare il topo Santiago, protagonista di una sorta di Toy Story in chiave splatter, e Mr Balloon, un bizzarro personaggio con un palloncino al posto della testa. Storai ci ha concesso con grande cortesia e una profonda modestia l’intervista che vi presentiamo.

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Intervista: Niccolò Storai


FANTASCIENZA

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uali fumetti ti hanno accompagnato nella tua infanzia e giovinezza? Tantissimi, i miei primi ricordi “fumettosi” sono legati agli albi che comprava mio padre d’estate. Tali albi rispondevano al nome di Tex e Diabolik! Dopo i sopraccitati eroi ne ho incrociati altri quali Topolino, il diavolo Geppo eccetera… La vera folgorazione è arrivata con tre dei più interessanti gruppi italiani, quello di Frigidaire, quello di Valvoline e quello composto dai tipi dello Shok Studio. Dietro tutti questi nomi vi sono stili, disegnatori e sceneggiatori che mi hanno influenzato tantissimo.

Q

uale in particolare pensi ti abbia dato l’imprinting per diventare autore? Frigidaire e le produzioni di Daniele Brolli mi hanno fatto scattare la molla di voler far quello che faccio per tutta la vita. Amo molto il modo che ha Brolli di ideare storie, realizza dei personaggi talmente credibili che ti ci affezioni subito.

C

ome è avvenuto il tuo esordio nel mondo dei comics? Il mio inizio è stato confuso perché all’epoca non sapevo che tipo di disegnatore volevo diventare. Poi ho capito che cullarsi in una piacevole precarietà ti può dare spunti per migliorare e perfezionare, sempre. Le prime cose le ho pubblicate per “Dime Press”, erano il-

lustrazioni dedicate agli eroi bonelliani. “Dime Press” era una rivista edita da Antonio Vianovi, per le mie pubblicazioni devo ringraziare i tre principali curatori che erano Moreno Burattini, Saverio Ceri e Francesco Manetti i quali aprirono un negozio di fumetti a Prato, la mia città. Il negozio c’è ancora e si chiama Mondi Paralleli. Francesco, Moreno e Saverio hanno preso altre strade ma ricordo quel periodo con infinito affetto.

C

ome sono nati Santiago e Mr Balloon? Santiago nasce dalla mia passione per i giocattoli, che colleziono tuttora. È un personaggio che per ora è in “stand by”, lo voglio però recuperare per ideare insieme a Giacomo Tagliaferri – che è uno sceneggiatore con il quale ho realizzato diverse cose importanti quali l’adattamento a fumetti per un capitolo del libro di Simone Cristicchi – una storia per “Slow Food” ed una per la rivista “Mono” edita da TUNUÈ. Mr Baloon è un mio piccolo divertimento. Non so se ne realizzerò mai qualcosa di più, mai mettere limiti alla Provvidenza, vedremo.

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u collabori spesso con Nicola Pesce Editore. Parlaci un po’ di questa piccola ma interessante casa editrice. Nicola è un tipo tosto che ama la letteratura, il cinema e i fumetti. Io ci collaboro da un po’ di tempo, ho iniziato pubblicando sulla sua rivista “Up” per poi pas-

Intervista: Niccolò Storai

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Intervista FANTASCIENZA sare ai volumi Killers e Lucio Fulci - Tributo al Poeta del Macabro, quest’ultimo realizzato in gruppo con Massimo Perissinotto e Claudio Calia. Spero di lavorare ancora sia con Massimo e Claudio che con Nicola, magari per qualche mio progetto solista. Se volete conoscere le prossime pubblicazioni di questo nuovo e agguerrito editore, andate a spulciarvi il suo bel blog sempre aggiornato e curato dagli amici Andrea Longhi e Massimo Perissinotto� (http://ifumettidinicolapesceditore.blogspot. com/).

N

oi di Terre di Confine ci occupiamo essenzialmente di Fantascienza e Fantastico. La storia breve Gli Esploratori del Misconoscibile su testi di Marco Rizzo è un’ottima rivisitazione parodistica del fumetto avventuroso fantascientifico. Com’è il tuo rapporto con questo genere? Semplicemente lo adoro, amo moltissimo i vecchi gloriosi fumetti della EC COmICS, li considero straordinari, pieni di trovate e di libertà espressiva. L’idea che Marco mi propose per questo fumetto era una reinterpretazione dei mostri kyrbiani, altra mia grandissima passione. La storia che hai citato, presente sul primo volume di Monstars edito da Nicola Pesce, è anche

un mio piccolo tributo a Gli Erculoidi; quasi nessuno tranne Francesco Ciampi se n’è accorto. Sono contento del risultato finale e spero di poter lavorare ancora con Marco Rizzo che è un ottimo autore e un grande amico.

H

ai pubblicato di recente su “Heavy Metal”. Che differenze ci sono tra il mercato fumettistico italiano e quello straniero, secondo te? Credo che la differenza più evidente sia che il mercato americano può contare su un bacino di utenze superiore a quello italiano; è pertanto più ricco e dispone quindi di molte più risorse. Ciò non significa che proponga sempre cose egregie, ma ha sicuramente più libertà di pubblicare opere che possono sembrare un po’ “strane”. La mia storia apparsa su “Heavy Metal” è disegnata da Laura Spianelli, senza ombra di dubbio una delle migliori disegnatrici in circolazione.

A

ttualmente sei impegnato con “Nixon”. Vuoi raccontarci qualcosa su questo progetto indipendente? “Nixon” è la nuova creatura di Gabriele di Benedetto che da un po’ di tempo a questa parte si firma “Akab”. È una rivista contenitore; al suo interno possiamo trovare fumetti, illustrazioni, fotografie e quant’altro sia fatto con sincerità e vera necessità creativa. In questo momento stiamo lavorando al terzo numero che dovrebbe uscire per Napoli Comicon, in cui si potranno ammirare i lavori di autori dal tratto molto personale ed espressivo quali Andrea Mozzato,

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Intervista: Niccolò Storai


FANTASCIENZA Maicol e Mirko, Alberto Ponticelli, Akab, Marco Corona, Massimo Giacon, Alberto Pagliaro, Ottokin e moltissimi altri. Per tutti coloro che ne volessero sapere di più, vi invito a visitare il blog della rivista: http://votanixon.blogspot.com/.

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ai uno stile deciso e con un forte contrasto tra bianco e nero. Quali materiali e strumenti prediligi usare? Sono molto materico e istintivo, amo usare carte con una grammatura bella pesante e possibilmente ruvida. Lavoro quasi esclusivamente con le micromine, preferibilmente uso le 03 con gradazioni che vanno dall’HB al B alla F. Per l’inchiostrazione uso gli ormai famosi pennarelli/pennelli giapponesi che adesso si trovano facilmente un po’ dappertutto. Non mi affeziono mai molto alle mie matite, spesso e volentieri disegno solo una traccia che completerò con le chine. Trovo che questo metodo di lavoro conferisca una certa forza espressiva al disegno. Per i colori adoro usare i pantoni e le matite colorate Carbothello, una tecnica che ho ripreso da Tanino Liberatore; per questo uso moltissimo anche la gomma elettrica per imprimere sfumature ed effetti particolari. Prossimamente mi cimenterò con l’acrilico, è una promessa. Digitalmente uso Photoshop e Painter, coadiuvato dalla mia preziosissima Wacom.

Q

uali dei tuoi colleghi stimi di più al momento? Ci sono un sacco di disegnatori nuovi che mi appassionano tantissimo, tutti hanno stile personale e in costante crescita. Ne citerò solo alcuni e spero di non far torto a nessuno: Remo Fuiano, ultimamente sta sorprendentemente dando una svolta realistica al suo stile, chissà cosa combinerà in futuro; Nigraz, un grande; Aron, una potenza di segno capace di spaventare; Thomas Ray, probabilmente il mio disegnatore preferito in questo momento. Andateveli a cercare e seguiteli con attenzione.

non mi sento di anticipare. Oltre ai miei impegni fumettistici continuerò a collaborare con la casa di produzione cinematografica BeLLOSGUARDO che sta per uscire con la prima produzione CenciInCina del regista – mio compaesano – Marco Limberi. Sarò anche impegnato in un progetto teatrale del quale non voglio dire niente tranne che vedrà tra i suoi protagonisti un personaggio molto amato dello Shok Studio. Venitemi a trovare sul mio blog per qualsiasi altra notizia o curiosità.

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i vuoi anticipare qualche tuo progetto per il futuro? Continuare a lavorare per “Heavy Metal”, per “Nixon” e per un sacco di altre cose che al momento

on mancheremo, e intanto ti ringraziamo per la disponibilità. Grazie a voi per l’interesse, ci sentiamo presto. n Paolo Motta

Intervista: Niccolò Storai

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Cultura

Cultura

ANIME

I FANSUB di Gianluca Francesco Signorotto

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razie all’avvento della “Nana”, Morio Asaka, 2006 banda larga, e in forza da un manga di Ai Yazawa di una maggior efficienza dei formati di compressione audio e video, in Italia come nel resto del Mondo si sta sempre più diffondendo, nel panorama dei più esigenti appassionati di animazione nipponica, il fenomeno del fansub. Il termine è formato dall’unione delle due parole inglesi “fan” (appassionato) e “subtitle” (sottotitolo), e indica un qualsiasi audiovisivo in lingua originale cui siano stati aggiunti, da parte di un gruppo amatoriale, i sottotitoli in una lingua diversa. I fansub sono quindi prodotti direttamente da appassionati per altri appassionati, al di fuori dei tradizionali circuiti distributivi di audiovideo. La quasi totalità dei fansubber si occupa di sottotitolare (in gergo “fansubbare”) sia le serie anime televisive che le produzioni OVA e i lungometraggi; una modesta – ma non meno importante – parte di essi si concentra invece sugli “action movie”, ossia i film o le serie ispirati a note opere di animazione e interpretati da attori in carne ed ossa. Le tecniche di fansub sono varie – ogni gruppo segue una strada propria – ma, in ogni caso, comprendono i seguenti passi-chiave: 1. Acquisizione del RAW-Video, vale a dire il reperimento di un formato video “naturale” e del tutto privo di meta-dati, quali ad esempio testata (header) o coda (tail), e non elaborato in alcun modo da algoritmi di compressione, per garantire l’alta qualità della “sorgente” da elaborare. 2. Traduzione dei dialoghi e degli eventuali “cartelli” presenti nelle varie scene, una fase che comporta molto dispendio di energie e soprattutto di tempo. Per principio si dovrebbe tradurre direttamente dal dialogo giapponese, ma spesso – almeno in Italia – si preferisce utilizzare dei testi precedentemene tradotti in altra lingua, di solito l’inglese. Questo riciclo facilita il traduttore, che così non è obbligato a conoscere una lingua ostica come il giapponese, sebbene comporti il rischio che eventuali errori presenti nella prima traduzione si trovino ripetuti anche nella successiva.

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Cultura: I Fansub


ANIME “Full Metal Panic! The Second Raid” Yasuhiro Takemoto, Shoji Gatou, 2005 3. Timing, ossia l’associazione al dialogo del testo tradotto, per ottenere sottotitoli il più possibile sincronizzati al labiale dei personaggi, e favorire una comoda lettura anche laddove le frasi del dialogo fossero molto articolate e di conseguenza il testo sovrimpresso lungo da leggere. Questa fase può includere anche un riadattamento della traduzione, per una maggior scorrevolezza e una miglior aderenza alla tempistica dei dialoghi. La maggior parte dei gruppi propone inoltre il karaoke delle sigle di testa e di coda, e relativa traduzione. Dal timing si genera il “softsub”, il file matrice che contiene tutte le informazioni sui testi e sui tempi di scorrimento in sovrimpressione. Il processo a questo punto è formalmente concluso: al RAW-video è stato associato un secondo file, la matrice, che gestisce i sottotitoli. In effetti, per i gruppi che creano softsub, il lavoro sarebbe concluso; in realtà, di solito, si procede con una ulteriore quarta fase, e una quinta. 4. Applicazione del softsub al RAWvideo e compressione, cioè la sovrimpressione al video, in modo permanente, del testo tradotto, e la successiva compressione per ottenere un unico file direttamente fruibile da parte dello spettatore. 5. Quality check: è una fase attualmente opzionale per molti dei nostri gruppi di fansubber, ma decisamente utile, svolta su un prodotto ulteriormente compresso, di solito su un file che pesa circa la metà di quello che verrà infine diffuso. Consiste nel controllo complessivo della qualità del tradotto, con ricerca di possibili errori ortografico-grammaticali, deficienze del timing e qualsiasi altra cosa fosse precedentemente sfuggita. I gruppi di fansub utilizzano normalmente, quali canali distributivi, le reti di file sharing, alle quali viene di solito affiancato un sito web, un forum e/o un canale IRC, per tenere informati gli utenti sulle varie iniziative, sui nuovi rilasci (releases) di episodi o sull’abbandono (drop) di progetti in corso. Esistono inoltre siti web più generali che aggiornano sulle novità provenienti dal mondo dei fansubber e sulle produzioni artistiche provenienti dal Sol Levante, tramite RSS e Atom. Il movimento del fansub rappresenta per gli appas-

sionati il vantaggio di poter restare al passo rispetto al mercato degli anime in Giappone, di conoscerne quasi in tempo reale le novità, e sovente costituisce anche la sola possibilità di visione di un’opera, poiché la maggior parte delle produzioni giapponesi non raggiunge l’Europa, o, se avviene, spesso lo fa a distanza di vari anni e subendo censure e discutibili adattamenti. Esiste un’importante convenzione, fra tutti fansubber e fra gli utenti che fruiscono del loro lavoro, che impone di interrompere il rilascio di un’opera non appena della stessa vengano acquistati i diritti commerciali nel paese ove il fansub è prodotto. Il fenomeno del fansub vorrebbe infatti non oltrepassare mai i, peraltro angusti, confini della legalità, cercando di non sovrapporsi ai canali di distribuzione ufficiali. Scopo del fansub è infatti unicamente quello di proporre materiale “fresco”, senza ledere i diritti legittimi dei titolari delle licenze, ma anzi in qualche modo fornendo anche a quest’ultimi un servizio utile, tastando il polso degli appassionati e generando intorno a determinate produzioni quell’interesse che possa poi fare da traino

Cultura: I Fansub

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Cultura ANIME

“Hellsing”, 2001, da un manga di Kouta Hirano alla distribuzione ufficiale. Nell’introduzione dei video, la maggior parte dei fansubber indica le principali case distributrici di opere simili a quella sottotitolata, chiedendo di supportarle economicamente acquistandone i titoli in catalogo. È importante precisare che tutti i fansub sono e devono essere rigorosamente gratuiti, ma pure che, ciononostante, il fansub resta un’attività non legale. Non ha rilevanza che l’operazione venga compiuta solo su quei prodotti di cui non vi sia ancora stata acquisizione di licenza, e che perciò, all’atto pratico, non danneggi gli interessi di nessuno: il Diritto d’Autore, infatti, subordina qualsiasi sfruttamento diverso dalla fruizione

privata – consentita solo dietro acquisto del prodotto originale – alla concessione di un’apposita licenza. Non solo: a rigor di legge sarebbero proibite anche operazioni quali estrazione di video e audio da supporti originali (o da diffusioni autorizzate, ad esempio via etere) con la finalità di pubblico rilascio. La legge in vigore in Italia consente solo la copia privata per uso personale e senza fini commerciali, diretti o indiretti. A livello squisitamente giuridico, la situazione è a dir poco imbarazzante. Va tuttavia detto che, considerata la diffusione limitata dei file audio-video e il loro bitrate di qualità relativamente bassa, i legittimi detentori del copyright, vale a dire case produttrici e autori, salvo rarissimi casi – che sollevano però scalpore fra gli appassionati –, sembrano tollerare questo fenomeno, proprio perché un buon riscontro del fansub può facilitare la successiva importazione ufficiale del prodotto da parte di operatori commerciali. Questa forma di tolleranza, tuttavia, non mette al riparo dall’Autorità Giudiziaria, la quale, qualora ricevesse notizia del reato, sarebbe tenuta all’esercizio dell’azione penale obbligatoria: il fansub può “Ginga Tetsudo Monogatari” dunque non dar luogo a procediYukio Nishimoto, Hideo Aihara, Leiji Matsumoto, 2003 menti civili per risarcimento dei

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Cultura: I Fansub


ANIME danni, se chi di diritto non li richiede, ma a livello penale comporta sempre il rischio di subire una condanna, ai sensi delle normative vigenti. A tal proposito esiste una differenza tra la distribuzione dei già citati softsub (due file separati, l’audiovideo e i sottotitoli) e quella degli hardsub (il file video unico, sottotitolato): i primi potrebbero rientrare infatti tre le “libere utilizzazioni” ai sensi della già citata normativa sui diritti d’autore, a patto che il rilascio al pubblico coinvolga solo i file contenenti i sottotitoli. Proprio per queste ragioni, spesso i gruppi che fanno softsub distribuiscono solamente il testo tradotto e sincronizzato, rimandando alle capacità del fruitore il reperimento dell’altro “pezzo”. Nella categoria softsub rientrano anche i video che utilizzano un solo file ma si avvalgono di particolari contenitori multimediali, quali per esempio il Matroska (*.mkv) e l’OGG (*.ogg), in grado di ospitare al loro interno il sottotitolo in un flusso separato dal video, quindi facilmente rimovibile. Il fattore più interessante nell’uso di questi multimedia è quello di potervi inserire video compressi con il codec H.264, invece dell’mpeg4, ottenendo un video in HD, ossia alta definizione. Questa pratica, anche se attualmente poco diffusa tra i fansubber, sta sempre più prendendo piede. Fenomeno presente in Italia analogo al fansub, ma che da questo si discosta a livello – se vogliamo – “filosofico”, è quello della traduzione dei videogiochi per PC dall’inglese e/o – in misura minore – dal giapponese. Tipicamente, i giochi interessati appartengono ai generi RPG, azione, avventura; ossia quelli in cui i dialoghi risultano fondamentali nell’uso e nella comprensione. Per questi prodotti interattivi, il gruppo di traduzione rilascia in periodi successivi le cosiddette patch (pezze), dove vengono aggiunti i nuovi dialoghi in ordine alla trama principale, i dialoghi opzionali (ossia inerenti a quelle parti di gioco facoltative o nascoste) ed eventuali correzioni degli errori di battitura o riadattamenti che il gruppo sceglie di apportare. All’interno di queste patch sono contenute anche le traduzioni dei cartelli e dei nomi di eventuali oggetti; questo adeguamento alla lingua del giocatore, chiamato “localizzazione”, comporta un vero e proprio hacking del software di gioco ma, è bene precisare, della sola parte grafica. Le patch possono contenere anche modifiche essenziali alla trama o alla giocabilità, con l’aggiunta ad esempio di personaggi, o con l’attivazione di modalità di gioco prima non disponibili. Un fenomeno completamente staccato dal fansub,

“Oh! Mia Dea”, Hiroaki Goda, 2005 tratto da un manga di Kousuke Fujishima

ma che da quest’ultimo trae(va) vigore, è rappresentato dalla diffusione via internet di album musicali riguardanti titoli anime e, in misura minore, videogiochi e musica J-POP (Japanese-POP). Per contrastare questa diffusione, al limite della legalità, sono nati portali musicali e web radio (“Kawaii Radio” in primis, ma anche molte altre) dove si offre gratuitamente la possibilità ai visitatori di ascoltare – ma non di scaricare – musica tematica J-POP, Anime OST e Game OST (dove per OST s’intende “Original Sound Track”) e contestualmente di acquistare i CDAudio tramite portali di e-commerce quali Amazon. com o Play.com. L’importanza del Fansub, quindi, deve essere inquadrata anche e soprattutto in un’ottica promozionale, come strumento propedeutico alla diffusione commerciale di tutti questi citati prodotti. Emblematico è il caso della serie televisiva Nana, tratta dal manga omonimo di AI YAZAWA pubblicato sulla rivista “Cookie” edita dalla SHUeISHA, arrivata nel nostro paese tramite DYNAmIC ITALIA sull’onda del successo riscosso tra i fruitori del fansub, ormai ovviamente e giustamente ritirato. n Gianluca Francesco Signorotto

Cultura: I Fansub

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FANTASY

L’ESTATE DELLA PAURA

(Summer of Night - D. Simmons, 1991) di Cristina “Anjiin” Ristori

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nno 1960. Nella cittadina di Elm Haven, sperduta tra i campi di granturco dell’Illinois, sta per giungere l’inizio delle vacanze, il momento più atteso da tutti i ragazzi del mondo; Duane, Jim, Kevin, Mike e i fratelli Dale e Lawrence non fanno eccezione. Ancora non sanno che quella sarà un’estate molto particolare. Anche per la loro scuola, l’Old Central, edificio centenario e semi-abbandonato, è l’ultimo giorno prima dello smantellamento definitivo, ma al suo interno ci sono luoghi in cui qualcosa di oscuro si sta lentamente risvegliando. L’orrore è in agguato e saranno questi giovanissimi eroi a combatterlo, unendo ogni loro capacità. Chiunque conosca STEphEN KING non può non associare il libro di DAN SImmONS al capolavoro del re dell’horror, It. I temi narrativi sono gli stessi, ovvero protagonisti adolescenti che, nella diffidente incredulità degli adulti, si trovano ad affrontare qualcosa più grande di loro: il mostro divoratore aiutato da adepti diabolici, umani e non. Tuttavia, procedendo nella lettura, emergono differenze sostanziali tra i due autori e i due romanzi, che rendono difficile un paragone di qualità: It aggredisce il lettore fin dalle prime pagine, mentre L’Estate della Paura è pervaso da un’atmosfera nostalgica che in qualche modo accentua il realismo delle scene più crude. In sostanza, se entrambi gli autori inseriscono l’horror nella geografia della loro infanzia, King ci dona allucinazioni e schizzi di sangue, Simmons traccia un contesto più struggente e verosimile. Tuttavia la narrazione inciampa in alcuni aspetti basilari. Nella caratterizzazione

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Lettura: L’Estate della Paura


FANTASY dei protagonisti sembra che l’autore “faccia le preferenze”, privilegiandone alcuni a scapito di altri; indimenticabile il personaggio di Duane, agricoltore undicenne dal Q.I. di 160 modestamente celato dietro un corpo goffo, un atteggiamento schivo e le responsabilità di un adulto: lavoro nei campi, cura del padre alcolizzato, passione segreta per la scrittura. Gli altri invece appaiono più sfumati e a volte stereotipati, sebbene presentino a tratti punte narrative d’impatto. Mike è il tipico ragazzino cattolico di origine irlandese, e il suo personaggio si rianima nel rapporto con la nonna paralizzata, l’unica tra gli adulti capace di riconoscere l’avvicinarsi della Tempesta. Kevin e Jim “fanno gruppo”, Dale e Lawrence sono la classica coppia di fratelli: saggio il maggiore, terribile il minore. Infine, l’inquietante Cordie, unica ragazza del gruppo, sudicia e violenta, “diversa” fino all’eccesso da ogni altro coetaneo. Inoltre, la prima parte del romanzo appare descrittiva al punto da rasentare la prolissità e far desiderare una maggiore intraprendenza da parte del mostro di turno. Solo verso la conclusione il ritmo narrativo accelera in una sequenza convulsa che fagocita le differenze caratteriali dei giovani protagonisti, rendendo necessario un certo impegno per capire chi fa cosa. Alla fine il Bene vincerà, naturalmente, ma non senza vittime. L’Estate della Paura, premio Locus 1992, è un horror i cui connotati tradizionali sfiorano il mistery: l’origine del Male è molto antica, una vecchia campana dei Borgia corrotta da poteri esoterici dell’antico Egitto. Questo dettaglio stona con l’atmosfera “very american country” evocata dall’autore, portando il lettore a chiedersi se sia davvero necessario un espediente così estraneo all’habitat locale. Tuttavia Simmons ha spaziato dalla fantascienza, all’horror, al fantasy e all’hard-boiled mostrando una spiccata predilezione per la contaminazione di spunti narrativi, basti pensare a I Canti di Hyperion e alle saghe più recenti, Ilium e Olympus. Non mancano mai nelle sue opere accenni ai classici della letteratura più varia: in questo romanzo troviamo brani di Dickens, Crowley, Machiavelli, Shakespeare e un omaggio solenne a Edgar Allan Poe. Infatti la tragedia finale si compie mentre sul telone svolazzante del cinema all’aperto di Elm Haven continua la proiezione di una vecchia pellicola, “I Vivi e i Morti”, nell’atmosfera

Dan Simmons Official Site www.dansimmons.com

irreale di una piazza ormai deserta: una chiara analogia tra la scuola infestata – nonché coloro che in qualche modo ne hanno assecondato la maledizione – e Il Crollo della Casa degli Usher narrato nel suddetto film. Edifici che ospitano entrambi creature dell’aldilà e destinati all’olocausto finale. Se da una parte il romanzo di Simmons è un horror nel senso tradizionale del termine, dall’altra costituisce anche un viaggio a ritroso nei ricordi d’infanzia, nell’aria soffocante delle estati rurali americane, dove, tra baseball e corse in bicicletta, forse si desidera la comparsa del “mostro” per spezzare la monotonia di giornate sempre uguali. Del resto, l’estate come “stagione diversa”, in cui l’oscurità delle vicende prende il posto della luce del sole, è tema comune a molti autori, non necessariamente di genere fantastico. Inconscio sinonimo di istinti irrazionali in tumulto, i mesi di questo caldo – e a volte rovente – periodo dell’anno diventano spesso lo scenario favorito per narrare il passaggio dall’infanzia alla vita adulta. Tema, questo, rappresentato nel bildungsroman, il romanzo di formazione; restando in ambito moderno, oltre al già citato It, vengono in mente opere come Io non ho Paura di Niccolò Ammanniti, La Casa Dipinta di John Grisham, In Fondo alla Palude di Joe Lansdale e soprattutto l’insuperato capolavoro di Harper Lee, Il Buio oltre la Siepe: in ciascuna, i giovani protagonisti vedono la propria stagione d’infanzia spezzata dalla malvagità, sia essa rappresentata in un contesto reale o fantastico. E ogni racconto di questo tipo, nato non solo dalla fantasia ma anche dalle esperienze di vita dell’autore, ha un aspetto comune: dopo la vittoria, dopo che il Male è stato sconfitto, ciò che l’essere umano desidera è ricordare il proprio passato per riuscire a esorcizzarlo. n Cristina Ristori

Lettura: L’Estate della Paura

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FANTASY

L’INVERNO DELLA PAURA

(A Winter’s Haunting - D. Simmons, 2002) di Cristina “Anjiin” Ristori

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uarantun anni dopo che ero morto, nel corso di un inverno molto rigido, il mio amico Dale tornò alla fattoria dove ero stato assassinato”. Comincia così, senza alcun preambolo, L’inverno della paura: una voce narrante che i lettori del precedente L’Estate della Paura non pensavano certo di risentire. La sorte tragica del ragazzino Duane deve aver tuttavia lasciato l’amaro in bocca anche all’autore DAN SImmONS che, a distanza di dieci anni, ha ripreso in mano il suo personaggio offrendogli una sorta di seconda vita e, in qualche modo, la possibilità di una rivincita. Dale Stewart, poco più di cinquant’anni, è un uomo finito: niente più lavoro e niente più famiglia, entrambi persi a causa di una relazione extraconiugale miseramente fallita. Con un tentativo di suicidio alle spalle, spinto dal desiderio di fuga dal passato verso un posto dove rimettere insieme la propria vita e soprattutto sé stesso, decide di tornare nei luoghi della sua infanzia, e di affittare proprio la casa di Duane Mc Bride, da tempo abbandonata. Sebbene Dale abbia dimenticato i tragici avvenimenti di quell’estate del 1960, nella quale lui e i suoi giovanissimi compagni si erano scontrati con un Male antico, i legami con il suo eccezionale amico prematuramente scomparso sono tutt’altro che recisi. Dale è attirato dalla vecchia fattoria in mezzo ai campi, chiamata ironicamente “l’Angolo Allegro”, per motivi che lui stesso non comprende del tutto: desidera realizzare ciò che Duane aveva iniziato, e cioè scrivere un romanzo sulla loro adolescenza. Ma il passato è tutt’altro che spento. Nella vecchia cittadina di Elm Haven, ormai

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Lettura: L’Inverno della Paura


FANTASY una sorta di sbiadita ghost town, gli spiriti non riposano in pace e oscure malvagità ristagnano ancora tra le case vuote, le piazze deserte, i campi coperti di neve. Ciò che Dale cerca nel suo volontario isolamento è solo un po’ di pace, ma egli è tutt’altro che solo. I suoi demoni personali non lo hanno abbandonato, e attorno alla vecchia fattoria dei Mc Bride ruotano molte presenze: alcuni violenti skinhead locali – delle cui angherie diventa subito oggetto; vecchie conoscenze più o meno piacevoli che riaffiorano dal passato; strani cuccioli neri che scompaiono e riappaiono ogni volta più grossi. E, su tutti, la “voce” di Duane che si manifesta non attraverso un tavolino a tre gambe, ma con email scritte su un computer scollegato e musica diffusa da radio senza transistor. Duane non è un fantasma o un revenant della tradizione horror classica. Si definisce “qualcosa più di un ricordo e meno di una cosa viva”, rimasto nell’animo dell’amico Dale dopo la cauterizzazione di un trauma profondo. Una sorta di spirito protettore risvegliato da ricordi nascosti e incubi ricorrenti, che cerca di comunicare attraverso una strana miscela di idiomi, come se non ricordasse più – nella nuova dimensione in cui si trova – quale sia il linguaggio dei vivi. In questo contesto, le numerose citazioni colte che Simmons tanto ama, trovano una collocazione funzionale ai fini del pathos narrativo: Shakespeare, Proust, James, Milton, Scott. Ma anche Il Papiro di Ani e il Beowulf, naturalmente, nel cui inglese antico vengono rivelate le chiavi per la salvezza mentale e materiale di Dale. Cenni dal sapore oscuro ci rivelano ombre di mitologia remota, come già era accaduto nel romanzo precedente. Osiride è la divinità maligna contro la quale vengono invocati Anubi e i mastini infernali: il Dio e i Guardiani dei Morti, non solo psicopompi, ma entità la cui mansione è riportare indietro quelle anime che attraversano il confine dell’aldilà nel senso sbagliato. Dale e Duane riescono a incontrarsi su quel confine, stabilendo un’alleanza duratura. Se L’Estate della Paura è un romanzo corale, giocato sull’azione e svolto seguendo una narrazione lineare in crescendo di suspense, L’Inverno della Paura è un’avventura solitaria, concertata su un singolo profilo psicologico e sul suo specifico horror interiore. In un’atmosfera da Il Sesto Senso, il filo narrativo è spezzato da continui flashback, che rendono quanto mai precario il limite tra reale e irreale, tra presente e passato, tra vita e morte.

Dan Simmons - Bibliografia Ciclo “I Canti di Hyperion” Hyperion (Hyperion, 1989) La Caduta di Hyperion (The Fall of Hyperion, 1990) Endymion (Endymion, 1996) Il Risveglio di Endymion (The Rise of Endymion, 1997)

Ciclo “Ilium” L’Assedio / La Rivolta (Ilium, 2003) La Guerra degli Immortali / L’Attacco dei Voynix (Olympos, 2005)

Ciclo “Joe Kurtz” Hardcase - Un caso difficile (Hardcase, 2001) Hard Freeze - Un caso glaciale (Hard Freeze, 2002) Hard as Nails - Un caso d’acciaio (Hard as Nails, 2003)

Altri romanzi Il Canto di Kali (Song of Kali, 1985) Danza Macabra (Carrion Comfort, 1989) Phases of Gravity (1989) Lungo una strada pericolosa (Entropy’s Bed at Midnight, 1990) Prayers to Broken Stones (1990) L’estate della Paura (Summer of Night, 1991) I Figli della Paura (Children of the Night, 1992) Gli Uomini Vuoti (The Hollow Man, 1992) Summer Sketches (1992) Il Grande Amante (Lovedeath, 1993) Vulcano (Fires of Eden, 1995) The Crook Factory (1999) Lungo una Strada Pericolosa (Darwin’s Blade, 2000) L’inverno della Paura (A Winter’s Haunting, 2002) Worlds Enough & Time (2002) La Scomparsa dell’Erebus (The Terror, 2007)

Raccolte di racconti Prayers to Broken Stones (1990) Lovedeath (1993) Worlds Enough & Time (2002) In sostanza, Summer e Winter offrono un valido substrato l’uno all’altro, rendendo difficile stabilire quale sia il sequel e quale il prequel: entrambi confluiscono a plasmare un’unica affascinante storia circolare, in cui il passato e il presente sono inesorabilmente collegati. n Cristina Ristori

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FANTASY

ROMA FANTASTICA (a cura di G. De Turris, 2001) di Cristina “Anjiin” Ristori

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“…Nullus Locus Sine Genio” [Servio Mauro Onorato, Commento all’Eneide, 5, 95]

l nome di GIANFRANCO DE TURRIS è assai eloquente per chiunque abbia avvicinato il mondo del Fantastico, e particolarmente evocativa è la sua introduzione a quest’antologia, riproposta nel 2005 in versione ampliata rispetto alla precedente del 2001. Ideatore e curatore dell’opera, de Turris ci illustra i racconti di Roma Fantastica collegandosi a quella “voce del passato” che continua a manifestarsi attraverso il tempo: il Genius Loci, ovvero lo Spirito eterno e onnipresente legato ad un Luogo fisico, oggetto di culto e rispetto nell’antichità ma sepolto in una evirante dimensione favolistica dalla razionalità dei giorni nostri. In queste due parole dal sapore antico si cela l’ispirazione primaria di ogni autore del Fantastico: che si parli di fantasmi o astronavi, di apocalissi o mondi del mito, il denominatore comune è sempre questa entità soprannaturale che risiede in ogni luogo, reale o immaginario, e vi domina, nel bene e nel male. È il Vampiro che si annida nell’ombra, l’Alieno che si manifesta all’esploratore dello spazio, il Demone che evade dai confini della mente, la Spada Magica infissa nella roccia. Chi lo scopre e riesce a raccontarlo è un privilegiato: forse il Talento può darne una pallida descrizione, ma incontrare il Genio non è prerogativa di tutti, esso si svela raramente, donando un’impronta immortale. Questi sedici racconti, che spaziano dal Dark, all’Horror, alla Fantascienza, narrano lo Spirito di un Luogo particolare: la Roma dei secoli passati, presenti e futuri, l’Urbe che ha assorbito in ogni singola pietra l’impronta di coloro che l’hanno abitata durante migliaia di anni. Le leggende, i misteri, le fantasie che aleggiano nella Capitale sono la voce del Genius, e – non a caso – la maggior parte dei titoli di questa raccolta è in latino. Nella panoramica offerta, il Genius possiede mille volti, e da sempre si cela nel-

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FANTASY la “Roma Sotto”: città ctonia e oscura, separata dal Visibile non tanto per la barriera materiale del suolo quanto per la volubile capacità umana di percepire l’irrazionale. Entità benevola o malevola, impone una testimonianza tangibile di sé attraverso percezioni, apparizioni ectoplasmatiche e inquietanti deja vu, ma anche frantumando violentemente le strutture della città stessa, infestando le acque sotterranee fino ad erompere in superficie. L’elemento Acqua è spesso presente in questi racconti: a volte quella pura e cristallina delle fontane (Nella fontana di GIOVANNA MORINI), ma soprattutto quella torbida e oscura che scorre sotto terra, in condotti millenari e pozzi dimenticati. Acqua come veicolo di magia, e porta d’accesso per orrori senza nome (Specchi d’acqua di MARCO DE FRANChI). Acqua come minaccia, a causa di sconvolgimenti climatici provocati dall’uomo (Roma Renovata di GAbRIELE MARCONI), o come veicolo di alchimie mortali provocate dall’inquinamento (Agonia di ENRICO PASSARO); scenari fantascientifici, questi ultimi, ma non completamente improbabili. Come ogni divinità, il Genius di Roma è capace di manifestarsi fisicamente in molteplici avatar: mostruosità in puro stile Lovecraft (Vorago di MARIO FARNETI), divinità ancestrali “rivisitate” (Aeterna - Un’avventura di Martin Mistére di ANDREA CARLO CAppI e Lycaonia di CLAUDIO FOTI), ma anche figure femminili incantevoli e ingannevoli come sbuffi di fumo, capaci di testimoniare storie malinconiche e crudeli. L’associazione Amore-Morte costituisce un altro tema portante dell’antologia: Ai Giardini di Babilonia (LUIGI DE PASCALIS) ci riporta nei quartieri bassi di una Roma tardo-imperiale, dove la storia dolceamara di Scato e Fillide diventa tragedia, tra incantesimi di possessione e riti esoterici. Ricordi di Claudia (GIUSEppE MAGNARApA) racconta invece un dramma del passato che irrompe nel presente, dove fatalmente si conclude. A crudele manu rapta (FAbIO D’ANDREA) ha un finale più consolatorio: la vittima di una violenza antica torna dalla morte per salvare un’altra donna dallo stesso destino. Donne e amore, quindi, ma anche follia, suscitata in coloro che le hanno incontrate: La Lampada Eterna (MARCELLO DE ANGELIS), ha come protagonista la bellezza immota di una creatura senza nome (e solo apparentemente senza vita), capace di portare alla dannazione il più devoto dei credenti; oppure Delirio Cromatico (GIULIO LEONI), nel quale il rimpianto di un amore perduto è talmente ossessionante da spingere

Gli Autori Alda Teodorani, Andrea Carlo Cappi, Claudio Foti, Enrico Passaro, Fabio D’Andrea, Gabriele Marconi, Giovanna Morini, Giulio Leoni, Giuseppe Magnarapa, Luigi de Pascalis, Marcello de Angelis, Marco De Franchi, Marco Marino, Mario Farneti, Nicola Verde il protagonista a spalmare letteralmente su un muro il corpo dell’amata: carne, sangue e fluidi corporei riuniti a formare un affascinante quanto macabro ritratto. Ne Il Crocifisso Nero (ALDA TEODORANI) non c’è amore, ma solo follia: il risultato è un racconto squisitamente horror, ispirato a una leggenda romana del XIII secolo. A volte il richiamo del Mundus (il Regno del Sottosuolo) è solo una voce nell’ombra, seducente eppure fatale. In Mariantonia se ne va (NICOLA VERDE), la protagonista trova la sua storia d’amore in un ambito alquanto sovrannaturale: come narrano gli autori latini, esistono delle Porte, attraverso le quali gli abitanti degli Inferi possono non solo uscire tra i vivi, ma anche portarli “sotto” con sé. Tema, questo, comune a molte tradizioni, se pensiamo ai tumuli magici del folklore celtico. Anche Inseguimento Notturno (MARCO MARINO) è una storia sentimentale assai particolare, perchè il Genius se la ride delle moderne magie virtuali, di cui è comunque più potente. L’incontro reale tra “A” e “B”, iniziato su una chat erotica, non avverrà mai: sarà un’entità molto meno tecnologica a condurre il gioco. Il Cyberspazio, infatti, può costituire un pericoloso Ostium Orci: RObERTO GENOVESI, con il suo Inferi on net: hic sunt leones, ci racconta una storia fantascientifica d’ambientazione squisitamente “pontificia”. Il Demonio e le sue legioni trovano nella Rete un luogo ottimale per i loro agguati, e gli Esorcisti del Web li combattono, a colpi d’acqua santa e virus informatici, tra le rovine dei Fori Imperiali. Anche se oggi le Porte vengono chiamate Portali, il risultato non cambia, perchè il Genius muta con l’evoluzione (o l’involuzione) dell’uomo, mantiene le proprie caratteristiche ataviche ma s’impadronisce di ogni nuovo mattone, reale o virtuale, posato nel suo Locus. Sta all’umanità tentare di mantenerlo quiescente e, soprattutto, inoffensivo. n Cristina Ristori

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FANTASY

IL SEGRETO NELLA FIAMMA (Massimo Vassallo, 2007)

di Valentina “Vania” Summa

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l Segreto nella Fiamma di MASSImO VASSALLO per EDIZIONI XII è un romanzo in cui si respira aria d’altri tempi, una finestra che si apre su un momento difficile per l’Europa cristiana di fine del XII secolo, impegnata nelle aspre lotte contro i saraceni in Terra Santa. Siamo catturati nel limbo di un periodo di transizione: la cavalleria cortese di stampo arturiano, fatta di tornei e sfide da portarsi con onore, si sta trasformando in una forza a servizio esclusivo della lotta di religione contro l’infedele; ne è prova il sorgere di ordini monastici combattenti quali Templari e Teutonici. Gli eroi antichi sono Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. Quelli nuovi, Goffredo di Buglione e i suoi crociati. Vassallo si muove all’interno di questo contesto che non ha ancora trovato il proprio equilibrio, precariamente in bilico tra un passato già leggendario e il sanguinoso futuro. La storia inizia con l’arrivo di un cavaliere zuppo di pioggia al castello del Barone Carmick, la cui figlia Rosalba accoglie e accudisce l’inatteso viandante con l’ospitalità che si addice a una discendente di sangue nobile. La bellezza della ragazza strega immediatamente il cavaliere, un giovane il cui viso è invece deturpato dalla mancanza di un occhio, coperta indossando una benda nera. Egli si ammanta di mistero, rifiutandosi di fornire il proprio nome; più genericamente chiamato Cavaliere del Falco, è un principe destituito dal diritto di primogenitura a causa di un fratellastro saraceno comparso dal nulla. La storia del cavaliere è tormentata da esperienze che l’hanno segnato nel corpo e nello spirito, non ultima il servizio in qualità di membro dell’ordine templare ad Acri durante la presa della città col disonorevole massacro compiuto sui saraceni. In gio-

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FANTASY vinezza ha assistito a prodigi e magie che hanno poi accostato il suo destino a quello del grande Merlino: il mago della leggenda ha risvegliato in lui un potere che ancora non comprende. L’ospitalità del Barone si rivelerà fonte di gioie e dolori. Al forte sentimento che subito germoglia tra il cavaliere e Rosalba, si contrappone il mistero che avvolge in una morsa di mestizia e paura la famiglia Carmick. Nel castello sembra imperare il colore rosso, negli arredi e nelle vesti come nei nomi di Rosalba e degli altri figli del Barone: Carminio, Rosso e Malvina. Nei sotterranei si nascondono segreti innominabili e nemmeno il passato del signore del castello – che pure è un brav’uomo – è immacolato. In Terra Santa, al Barone è stato proposto un patto diabolico e ora i termini del contratto minano la vita stessa dei suoi figli, Rosalba compresa. Solo il maggiore, Carminio, sembra trovarsi a proprio agio in questo clima di mistero e inquietudine. Incapace di abbandonare all’indecifrabile minaccia la donna che ormai ama, il cavaliere decide di non ripartire. Proprio al castello, come evocata, gli si presenta l’occasione per risolvere le sue pericolose questioni dinastiche: il fratellastro saraceno Ferk, accecato da bramosie di conquista, giunge alla dimora del Barone alla testa di un nutrito esercito, e la pone sotto attacco. Il Cavaliere del Falco dovrà allora fare i conti con nemici interni ed esterni, imparando a usare la forza magica che nasconde in sé per opporsi a una setta di rosso vestita che opera magie immonde seguendo antichi riti diabolici. Ad affiancarlo in questa complicata e rischiosa situazione saranno il possente guerriero Turnball, suo amico di giovinezza, l’agile e arguto ser Dill e l’immancabile Rosalba, che nel cuore di fanciulla nasconde un coraggio inaspettato. Il romanzo di Vassallo, costruito con cura attorno a nozioni tecniche e parole ricercate, si può facilmente dividere in due parti. La prima, nella quale si impara a conoscere i misteri del castello dei Carmick, sembra uscire da un roman de geste di ChRÉTIEN DE TROYES, sia per immagini sia per successione degli avvenimenti. Amor cortese, cavalieri erranti, battute di caccia e sfide presuntuose si succedono con ritmi misurati, a volte anche troppo costruiti, con un vago sapore di autocompiacenza. I ricordi delle passate imprese del Cavaliere del Falco richiamano non poco le traversie di Lancillotto o di Perceval, un parallelo arturiano acuito dal rapporto del protagonista con Mago Merlino. Gli episodi di

caccia acquistano la valenza simbolica di iniziazione e prova; in uno di questi, la scelta del cavaliere di risparmiare una femmina di cinghiale gravida diventa simbolo della sua generosità d’animo. I combattimenti contro avversari pressoché immortali, il cervo che guida il cavaliere mentre cammina a fianco di Merlino, l’essere grottesco che nasconde più di quanto non appaia alla vista, riportano subito alla mente le storie del Mabinogion. Questo contesto dalle origini un po’ troppo palesi è ravvivato dalle prime avvisaglie dei misteri che avvolgono il castello e che lasciano presagire qualcosa di più elaborato rispetto alla semplice citazione dei modelli del romanzo cavalleresco francese e bretone. Giunti a metà della storia, la trama prende una piega del tutto diversa, i ritmi accelerano e perfino la parlata si fa più moderna, immediata. Non appena la guerra si affaccia alle porte del castello dei Carmick, lo scenario si spoglia dall’affettazione da romanzo cortese e ci si ritrova catapultati in mezzo al sangue e alla battaglia, descritta con minuzia di particolari, anche tecnici, degni di un HARRY TURTLEDOVE. Vassallo si è fatto puntiglio di descrivere con precisione tattiche, armamenti, macchine da guerra e accessori dei soldati, offrendo uno scorcio più che vivido degli scontri. Si passa infine alla lotta di religione, anche se l’identità dei saraceni in quanto nemici infedeli è mascherata dietro al presunto diritto al trono vantato da Ferk. Questa lotta ha un parallelo all’interno del maniero e, nel caso specifico, assume i tratti del combattimento contro le eretiche forze del Male, impersonate dai componenti della misteriosa setta rossa. I personaggi sembrano risvegliarsi dal torpore delle prime pagine per riscoprirsi pieni di determinazione, un coraggio ardente da affiancare alla fiamma magica che brucia nell’animo del Cavaliere del Falco. Il cavaliere Turnball e ser Dill incarnano la forza prorompente di questa seconda parte della storia, con le loro gesta intervallate da ironia e reazioni più vicine al modo di sentire odierno. Il desiderio di giungere al finale della vicenda per conoscere la sorte degli eroi si fa più stringente a mano a mano che ci si avvicina alle ultime battute. Il Segreto nella Fiamma piacerà agli appassionati del Medioevo e della cavalleria per la meticolosità e le non poche citazioni colte; e con un pizzico di impegno in lettura, risulterà godibile anche agli amanti del Fantasy più moderno. n Valentina Summa

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FANTASY

LA LAMA DEL DOLORE

Trilogia di Lothar Basler volume 1

(Marco Davide, 2004) di Cristina “Anjiin” Ristori

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no scenario cupo e fradicio di pioggia. Un uomo giunto alla fine di un lungo cammino nel fango e nei ricordi. Lothar Basler compare così nel prologo: solo, davanti alle mura della città di Lum, gravato da spettri ancora ignoti al lettore ma non per questo meno percepibili. Ai suoi occhi tutto sembra rimasto uguale, anche il palo degli impiccati, eretto frettolosamente fuori gli spalti: un sinistro ma abituale benvenuto. Ma lui, dopo sette anni di servizio nell’esercito dei Principati, è profondamente cambiato: la necessità di sconfiggere le ombre che lo perseguitano è più forte di qualsiasi cosa, tanto da costringerlo a tornare nella sua città natale. Come ogni eroe che si rispetti, trova alleati quanto mai eterogenei, con i quali, per un gioco assurdo di fatalità, combatterà nemici umani e sovrumani al servizio di malvagie forze occulte. Fulcro di questa dimensione arcana, peraltro avvolta da un fitto mistero, è una spada incantata che Lothar deve disseppellire assieme al proprio passato. Il Predestinato, la Compagnia di Amici, la Spada e il Nemico Oscuro: gli ingredienti per un fantasy classico, che rischia di sconfinare nello stereotipo, ci sarebbero tutti. Invece, il romanzo di MARCO DAVIDE esprime un’originalità che cattura l’interesse del lettore, focalizzandolo non tanto sul cosa viene narrato, ma sul come. L’ambientazione ci mostra un proto medioevo occidentale, in pieno sfacelo dopo

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FANTASY la caduta di un Impero. Di esso, sappiamo che la capitale è Amor (Roma), e che del suo grandioso passato conserva solo il ricordo. Pennellate teutoniche nei nomi e nei paesaggi fanno pensare a un’Europa centro settentrionale, dominata da una guerra infinita in stile Warhammer, nella quale le razze coinvolte mostrano connotati prevalentemente umani. Troviamo Alteani, Amoriani, Nordici, mentre le etnie tipicamente fantasy (nani e orchi) sono semplicemente popolazioni con caratteristiche differenti, amiche o nemiche secondo i casi. Ciò che rende interessante quest’ambientazione pseudostorica è un’atmosfera particolare, una rielaborazione goth che, fin dalle prime righe della storia, crea un velo livido su tutto il “mondo secondario” ideato dall’autore: nessuna concessione a quei paesaggi idilliaci e scenari maestosi tipici del Fantasy più tradizionale. Il mondo di Marco Davide è fatto di strade fangose e campagne allagate, di città sporche e vicoli malsani in cui si aggira un’umanità lercia e piagata, violenta e oggetto di violenza; visione distopica questa, che si riflette anche nella caratterizzazione dei personaggi. Thorval è un guerriero nordico che aspira a diventare soldato di ventura, giunge a Lum per mettere la propria spada al servizio del miglior offerente, e si trova coinvolto suo malgrado in vicende nient’affatto previste. Appena arrivato fa conoscenza con Rugni, un nano rissoso, provvisto d’ascia e ovviamente ottimo bevitore di birra. Nonostante le tipiche caratteristiche “naniche”, Rugni mostra solo in parte quella burbera simpatia a cui tanta letteratura ci ha abituati. Osando un paragone azzardato, la sua violenza condita di malignità ricorda più il “Petty Dwarf” de I Figli di Hurin che non il buon Gimli de Il Signore degli Anelli. Il loro incontro viene celebrato con una buona bevuta alla taverna “Il Boccale del Gioco”, dove compare un altro dei protagonisti: l’amoriano Simone detto Muzio, locandiere appassionato di dadi. In questo personaggio, il più positivo del gruppo, la generosità, il forte senso di solidarietà e l’amore sincero per la moglie si mescolano all’abilità del baro capace di cavarsela grazie all’astuzia. A loro si aggiunge l’inquietante Moonz, un mezz’orco ripudiato da tutti, capace di suscitare solo disgusto e pietà. Siamo quindi lontani dal personaggio “più eroico degli altri” per il suo essere ibrido e diverso: pur non apparendo ostile, la creatura viene raffigurata come una bestia, trascinata via a forza dalla sua

tana piena di rifiuti e dalla sola vita che conosce. Infine, il protagonista che coinvolge i compagni in un’avventura improvvisa quanto pericolosa: Lothar, l’uomo vestito di nero, possente nel fisico ma provato nell’animo, è l’anti-eroe solitario e “maledetto” che combatte una guerra tanto privata quanto drammatica in nome della vendetta personale, assumendo a malincuore il ruolo di capo. In sostanza, ne La Spada del Dolore, il gothic e il dark-fantasy si incontrano, ma assumono connotati che mischiano il vecchio e il nuovo. Se il new gothic di ANGELA CARTER e IAN MCEWAN esprime l’horror nelle perversità quotidiane, abbandonando castelli in rovina e cime tempestose, nel romanzo di Davide gli elementi tradizionali sopravvivono attraverso il fascino morboso dei cimiteri, l’attrazione per il mistero e il “magico”, l’amore perduto e i conflitti interiori. Altri autori hanno impostato il loro stile su questa particolare atmosfera, ma con scopi differenti. L’ambientazione di GIULIO LEONI ne La Crociata delle Tenebre – una Roma “guasta”, immersa nella ferocia e nella melma – denuncia la corruzione morale di un preciso momento storico attraverso lo sfacelo della natura e delle opere dell’uomo, mentre quella presente in questo primo volume del ciclo “Lothar Basler” riflette una visione più interiore: un gotico dell’anima, un’oppressione che trascina lo spirito umano verso il basso, nel fango e nell’angoscia. E qui sta la sua diversità rispetto ai canoni classici di genere: nessuna velleità di romanticismo. Anche gli atti di coraggio non sono vero eroismo. Nessuno scontro epico tra Bene e Male, bensì fughe sporche e sanguinose, agguati disonesti e duelli da strada. La componente tipicamente magica, preludio a un tono decisamente horror, si avverte sottopelle e non ruba mai la scena all’azione: una corrente sotterranea svelata a tratti e con cautela. Nonostante qualche rigidità di trama, qualche caduta di tensione narrativa in dialoghi e descrizioni, quello di Marco Davide è un libro particolare, forse non adatto a tutti i palati ma accreditato da una scelta espressiva esasperata fino al suo apice, senza cedimenti o perplessità: l’autore assume uno stile estremo e lo porta fino in fondo. Tutto questo dimostra un’ispirazione vissuta e metabolizzata, capace di far intuire una crescita ulteriore di personaggi e narrazione. n Cristina Ristori

Lettura: La Lama Del Dolore

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SCHEGGE DI MONDI INCANTATI (aa. vv. dal XIII Trofeo RiLL, 2007) di Stefano Baccolini

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l trofeo letterario RiLL (Riflessi di Luce Lunare), nato nel 1994, è divenuto nel corso degli anni uno dei concorsi più prestigiosi legati al fantastico. La selezione si presenta come un vero e proprio trampolino di lancio per giovani talenti; l’edizione di quest’anno, in tal senso, non si smentisce, offrendo racconti di buon livello e tra i giurati nomi illustri del calibro di Donato Altomare, Valerio Evengelisti, Mariangela Cerrino, Luca Trugemberger e Massimo Mongai. Tra le opere finaliste, colpisce particolarmente “I miracoli di Porta Metronia” di LUIGINA SGARRO, seconda classificata: una storia originale capace di donare un sorriso, che ha come unico elemento fantastico un fantomatico “miracolo”, in realtà, tale solo per certe sue manifestazioni folkloristiche. Quante volte la nostra società crea miti e divinità fasulle? In questa circostanza, potremmo dire, tali divinità hanno avuto una rappresentazione concreta nel mondo reale. Meno brillante lo scritto vincitore, “Codice Yetzirah”, opera a due mani di PAOLA URbANI ed EmANUELE VIOLA, madre e figlio. Troppo lento e “criptico” l’incipit del racconto, al punto che gli autori all’inizio hanno dovuto fornire, loro malgrado, eccessive informazioni, e si sa quanto ciò possa essere deleterio. La zampata finale, in ogni modo, risolve ogni cosa per il meglio, chiarificando tutte le ambiguità che il lettore potesse avere. Un po’ troppo intimistico è il racconto terzo classificato, “La mia bara” di ELVEZIO SCIALLIS: manca nella storia, consapevolmente, l’azione; ogni cosa viene trasmessa al lettore dagli occhi dell’indefinibile protagonista; tuttavia, anche in questo caso, i punti oscuri verranno risolti dal finale, a sorpresa fino un certo punto. La conclusione deputata a svelare ogni cosa è l’aspetto che accomuna tutti i racconti vincitori, e non fa eccezione nemmeno lo scritto quarto classificato di FAbRIZIO BONCI, “Dal taccuino di un carcerato”. Anche questa è un’opera la cui trama entrerebbe nella quotidianità, se non intervenisse il finale, questa volta davvero inatteso. I racconti dei giurati seguono quelli in concorso, e qui iniziano le note dolenti: per carità, sono tutte opere ben scritte, ma appaiono di norma decisamente inferiori alle precedenti, forse per via della mancanza di stimoli forniti da un vero e proprio agone.

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Lettura: Schegge di Mondi Incantati


FANTASY Quando poi – come nel caso di questi racconti – la sorpresa supera certi limiti, viene meno anche la “sospensione di incredulità”. Si rimane per esempio negativamente spiazzati dall’inatteso risvolto conclusivo del racconto di DONATO ALTOmARE, “Agnese, dolce Agnese”. Lo stesso può dirsi per “L’Attesa” di ANDREA ANGIOLINO, un vero e proprio ricettacolo di occasioni perdute: presenta, infatti, una serie di ingredienti che, seppur non originalissimi, avrebbero potuto essere sfruttati meglio: un impero in declino, barbari incombenti, una biblioteca come ultimo rifugio del sapere… Ma tutto ciò si perde, potremmo dire, nell’acqua, diluito in un finale oltremodo inconsistente, solo per la futile soddisfazione di voler stupire il lettore con qualcosa di non previsto. Anche MARIANGELA CERRINO, una delle più importanti scrittrici fantasy del nostro paese, ha nelle sue corde opere migliori di “Dono”: quando si descrive un mondo che ha come punto di forza un “custode del potere”, questo “potere” dovrebbe conservare una certa attinenza con la realtà descritta dall’autrice, un’influenza sulla sua quotidianità, invece salta fuori come il coniglio dal cilindro proprio nel finale, con l’inevitabile caduta di braccia… Nulla di inaspettato avviene, invece, nel racconto di GORDIANO LUpI, “La casa scomparsa nel bosco”: si gioca sul consueto e abusatissimo senso di scetticismo che anima il prossimo di fronte all’evento soprannaturale. Una cosa normale nella realtà, ma in letteratura questo espediente è stato usato davvero troppo spesso. Pollice verso anche nei confronti dell’opera di SERGIO VALZANIA “Ego Tami Spo”: bella l’idea di trasportare nel futuro la Guerra del Peloponneso e la battaglia di Egospotami che segnerà con la sconfitta ateniese la fine del conflitto, ma quando si spingono i parallelismi anche sul piano tecnologico, si rischia di cadere nel ridicolo o di alimentare l’incredulità del lettore. Scrivere Fantascienza necessita, attualmente, anche di un buon background tecnico-scientifico, e francamente questo bagaglio non traspare nel suddetto scritto. Svettano decisamente sulla mediocrità generale i racconti di MASSImO PIETROSELLI e di MASSImO MONGAI. Della “Fobia di Edgar Allan Poe” di Pietroselli si è particolarmente apprezzata la struttura: presentare un’opera quasi fosse un articolo scientifico denota un indubbio coraggio… e fiducia nel lettore, che per la noia potrebbe anche abbandonare il racconto prima che ne siano svelati gli esiti. Mongai è, invece, semplicemente un autore geniale e originalissimo, e lo dimostra ancora una volta con il suo “Simbionte” dai toni vagamente erotici. Decisamente buono è anche il racconto di GIULIO LEONI “Un delitto al tempo delle meraviglie”, che ci accompagna con sagacia in un mondo dove nuovi meccanismi e tecnologie sono in grado di svelare i crimini più cruenti. L’unico

appunto è, ancora una volta, legato alla “sospensione di incredulità”: i vaghi riferimenti all’astrologia rendono le cose leggermente inverosimili, ma è solo un accenno. Purtroppo, con “L’ultimo marinaio di Capo Horn” di FRANCO CUOmO, si ritorna in caduta libera. Nel valutare l’efficacia di un proprio racconto, a volte è bene farne un riassunto e domandarsi poi se anche in quella forma l’idea risulta efficace. Ebbene, se si dovesse riassumere in poche parole lo scritto di Cuomo, si potrebbe descriverlo così: la vicenda di un marinaio e della sua strana “camminata”. L’opera non offre molto di più. Ciò che lascia ad ogni modo perplessi riguardo questa edizione della raccolta è il fatto stesso di aver dato spazio alle opere di alcuni membri della giuria. Ci si chiede a che pro. Certo, tra loro sono compresi anche i vincitori dell’anno passato, ma sarebbe stato preferibile che fossero state messe in evidenza opere di altri partecipanti. Si partiva, nella XIII edizione, da ben 170 autori e da 206 scritti: tra tanta abbondanza, non era possibile offrire qualche altra primizia inedita meritevole? L’ultima parte di questa antologia presenta una sorta di sfida: sono proposti diversi racconti costruiti tutti su dei precisi personaggi anticipatamente scelti da alcuni giurati. Anche in questo caso, purtroppo, gli esiti non si sono rivelati sempre esaltanti. Evanescente l’opera di GIOVANNI BUZI, “Evangeline”, tutto sommato poco originale e priva di spessore. Leggermente meglio “Il cacciatore” di FAbIO MASSA, apprezzabile almeno per una sua trovata che non svelo, ma che definirei “elettrizzante”. Buono, decisamente buono, il racconto di ALbERTO CECON, imprevedibile per i suoi esiti, ma non al punto da irritare il lettore come nei casi prima menzionati. Senza infamia e senza lode, infine, il “Medaglione” di GRAAZ CALLIGARIS. Un accenno alla veste editoriale della raccolta mi sembra doveroso. La NexUS ha pubblicato un agile volume che sembra quasi un fumetto, dall’aspetto piacevole e frizzante; tuttavia, all’occhio del lettore sprovveduto, questa caratteristica può sminuirne l’autorevolezza e relegare la raccolta a “letteratura per ragazzi”. Anche il prezzo, 9,50 euro, è sicuramente popolare. Per concludere, ci si augura che in Italia venga meno quella diffusa cultura che considera con scetticismo le raccolte di racconti e, in genere, gli autori italiani; purtroppo però, in questo caso, certi pregiudizi appaiono avvalorati dalla forte impressione che diversi contributi fungano da mero riempitivo, impoverendo e svalutando le poche perle presenti. Non è un fattore positivo, soprattutto se si ha l’ambizione di propagandare la letteratura fantastica. n Stefano Baccolini

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FANTASY

I GIARDINI DELLA LUNA (Gardens of the Moon - S. Erikson, 1999) di Luca Germano

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l libro I Giardini della Luna, pubblicato da ARmeNIA nel 2004, è il primo della serie “La Caduta di Malazan”, tutt’altro che perfetta traduzione italiana dell’originale “Malazan Book of the Fallen”, letteralmente “Libro Malazan dei Caduti”, titolo che per volontà dello stesso autore richiama il libro ove Napoleone segnava il nome dei soldati caduti nelle campagne militari. L’autore è STEVEN ERIkSON, archeologo e antropologo di origine canadese. Nel suo disegno, la serie dovrebbe abbracciare i sette libri attualmente editi e altri tre già scritti in prima bozza. Come da lui stesso dichiarato in un’intervista del 2006 rilasciata alla scrittrice Edith Cohn che ha collaborato con lo Science Fiction Book Club, dei dieci volumi solo il primo, I Giardini della Luna appunto, ha dovuto essere riadattato alla serie così come nuovamente concepita all’indomani dell’accordo con la casa editrice BANTAm PReSS. Erikson si è comunque premurato di lasciar socchiusa qua e là qualche porta, al fine di non soffocare l’ispirazione del momento. Notevole influenza sull’impianto generale dell’opera hanno esercitato i suoi studi di antropologia e di storia. Constatare che ogni civiltà affonda le proprie radici in una precedente, ed è a sua volta il ceppo sul quale un’altra poi si innesterà, ha spinto l’autore a scrivere una vicenda che, pur aperta verso l’ignoto futuro, desse anche conto del più lontano (e altrettanto ignoto) passato. Fonti d’ispirazione, a dire dello stesso Erikson, sono stati autori di ogni epoca, da Omero a Donaldson, passando per i nostri Eco e Calvino. La storia narrata si svolge nel mondo dell’Impero Malazan, al quale Erikson ha dato vita negli anni Ottanta con l’amico IAN CAmERON ESSLEmONT, anche lui scrittore e antropologo canadese. L’Impero Malazan nasce come struttura portante per una versione modificata di Dungeons & Dragons. Fallito il tentativo di vedere trasposta in pellicola cinematografica una prima storia ambientata in questo mondo, Erikson lo riutilizza nei primi anni Novanta ne I Giardini della Luna, che sarà pubblicato però solo nel 1999,

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FANTASY quando l’autore riuscirà a strappare alla Bantam un contratto milionario: cinquecentomila sterline per una serie allora “scritta” nella sola mente del suo creatore. L’investimento si rivelerà però accorto. Di successo in successo, Erikson è divenuto uno dei più amati scrittori di Fantasy del mondo anglosassone: I Giardini della Luna è stato candidato per un “World Fantasy Award”, e il seguito, La Dimora Fantasma (2000), è stato votato come uno dei migliori dieci romanzi fantasy dell’anno. Sempre con la Bantam, l’amico Esslemont scriverà nel 2005 Night of Knives, inedito in Italia. L’ambientazione è la stessa della serie di Erikson; diversi sono gli eventi narrati, che cronologicamente si pongono dopo il prologo de I Giardini della Luna. È atteso per il 2008 (in ritardo sul programma) il secondo libro di Esslemont, Return of the Crimson Guard. Non vi è certezza riguardo il numero complessivo dei romanzi che questa nuova serie abbraccerà; è probabile che venga superato il numero di cinque previsto �������������������� in origine�. È poi per ora solo in stadio progettuale un’enciclopedia che dovrebbe essere scritta congiuntamente da Erikson e da Esslemont, relativa ad eventi, razze e personaggi della storia narrata nelle due saghe sorelle. Tale complessità di realizzazione rispecchia l’ardito impianto sottostante. Nei suoi tratti essenziali, la saga prevede tre filoni principali, alternati nei romanzi, con vari punti di contatto in grado di condurre progressivamente il lettore alla risoluzione finale. Il primo e terzo romanzo sono infatti ambientati nel continente di Genabackis e vedono l’esercito Malazan prima affrontare e poi legare ai propri scopi una variegata forza di resistenza, che spazia da nativi del luogo a creature leggendarie; il secondo e il quarto sono ambientati invece in un altro continente, Sette Città, dove la forza Malazan occupante deve far fronte a una spietata insurrezione. Nel quinto romanzo l’azione si sposta in un continente mai nominato in precedenza: qui si combatte una guerra prodigiosa tra la civiltà dei Letheri e quella non umana dei Tiste Edur. Dal sesto romanzo in poi i tre filoni vengono finalmente congiunti. Il disegno è quindi ambizioso e complesso. Il primo libro della saga Erikson ha un modo personale di introdurre al suo vario e per nulla scontato mondo: non spiega, non presenta, non riassume. Il lettore si trova d’improvviso sulle mura di una antica roccaforte, in una città della quale non sa praticamente nulla, mentre lontano si levano colonne di fumo e rumori di battaglia. Segue un

criptico scambio di battute tra il giovane Paran, di nobile origine, un veterano degli ignoti Arsori di Ponti, il cui nome non viene svelato, e una donna dalla presenza oscura che ha da poco modificato il proprio in Laseen, “padrona del trono”, benché altri, come si comprende, sia l’imperatore. Ascolta quanto viene detto, sorprendendosi dei tratti caratterizzanti l’uno o l’altro personaggio. Avverte la profondità profetica di alcune delle frasi pronunciate. Poi lo sguardo ritorna ai tumulti in città. L’ingenuità del giovane non copre, ma semmai sottolinea con forza l’atrocità del massacro che laggiù si sta compiendo. Con questa forte immagine si chiude quello che il lettore suppone essere il prologo. Subito dopo infatti la scena cambia. Sono passati sette anni. L’oscura donna della torre guida ora l’Impero Malazan, e non sono pochi i sospetti che proprio lei sia stata responsabile della prematura scomparsa del precedente imperatore. Il lettore cammina adesso su una strada fangosa… Ecco una giovane pescatrice, e una strega della cera. Un dialogo complesso, non facilmente decifrabile. Poi qualcuno libera orribili e potenti creature, i Segugi dell’Ombra, che massacrano un reggimento di cavalleria Malazan; e la giovane viene posseduta da una misteriosa figura che giura vendetta nei confronti dell’imperatrice. A indagare sul massacro viene inviato l’Aggiunto Lorn, una donna fredda e determinata che sceglie come aiutante Paran, arruolatosi per non seguire le orme del padre, mercante di vini, e divenuto ufficiale. Inizia così un inseguimento prodigioso, alla ricerca della giovane posseduta – la quale frattanto ha preso il nome di Dispiacere – che termina, due anni più tardi, nel continente di Genabackis, dove le forze Malazan hanno appena pagato un salato prezzo per la conquista della città di Pale: il corpo scelto degli Arsori di Ponti è stato decimato, due dei più potenti maghi Malazan sono morti e un terzo, Hairlock, giace agonizzante in un lago di sangue; in piedi a rimirare il massacro rimane solo la Maga Tattersail. Erikson presenta un’immagine forte, spiegata poi con un flashback che accenna ad un intricato piano dell’Arcimago Tayschrenn, e a una dura lotta con il Figlio dell’Oscurità, Anomander Rake, signore di una montagna volante chiamata Luna. Il giovane Paran giunge in questo contesto con l’ordine di prestare servizio proprio negli “Arsori”, ai quali nel frattempo, sotto il comando di Wiskeyjack (che il lettore riuscirà a riconoscere nel veterano che aveva parlato al giovane Paran sulla torre), si è legata anche Dispiacere. Sospettato, non a torto, di essere una

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Lettura FANTASY spia dell’Imperatrice, Paran viene ucciso dalla giovane, ma poi riportato in vita dal Dio Oponn. Soccorso da Tattersail, della quale si innamorerà ricambiato, Paran si accorge di avere nuovi poteri. E qui, dopo centocinquanta pagine, finisce quello che davvero il lettore sentirà come prologo, prima di tuffarsi negli intrighi di una nuova città, Darujhistan, e incontrare nuovi personaggi che non dimenticherà mai più! Riassumere la trama de I Giardini della Luna è insomma un tentativo vano. Erikson, che sfugge agli usuali schemi della narrativa moderna troppo spesso povera di sorprese e piatta, antepone l’effetto scenico alla rigida logica dello sviluppo lineare, ricorrendo a continui flashback che volutamente disorientano in un gioco ardito e pericoloso di cui egli è però sapiente maestro. Erikson in più, come anticipato, non spiega nulla al lettore, che viene lasciato precipitare all’interno di un mondo caotico dov’è difficile rintracciare linee guida, anche le più semplici, e arduo districarsi tra i molti personaggi: impossibile comprendere non tanto quali siano i buoni per i quali parteggiare e cattivi da avversare, ma, ben prima, se ve ne siano. Gli interventi esplicativi sono pochi e spesso occasione di nuovi dubbi, perché, nell’idea di Erikson, è lo sviluppo della storia a dover fornire gli indizi necessari per colmare i vuoti e risolvere le apparenti contraddizioni, e il lettore a doversi saper destreggiare tra accenni e false piste. Anche le brevi premesse ai capitoli, sotto questo profilo, sono poco illuminanti, fatta eccezione per le note iniziali, davvero indispensabili per comprendere il susseguirsi degli eventi. Solo in rare occasioni Erikson dà voce ai propri personaggi per dirimere i nodi troppo complessi, come capita per esempio quando il giovane ladro Crokus, parlando di leggende con il vecchio zio, apprende (e con lui il lettore) importanti informazioni su antiche razze fino a quel momento pressocché solo menzionate e delle quali nulla è stato spiegato. Il quadro complessivo, però, si ribadisce, non viene mai composto da un unico intervento risolutore: ogni singola pagina aggiunge un tassello ad un mosaico dalla complessità arditamente impressionante. Il lettore ha d’immediato il sospetto che la partita tra le forze in gioco si svolga su più piani contemporaneamente: quello degli uomini, quello delle creature magiche e delle razze antiche, quello degli dei. Se complessa è la trama, non da meno sono i personaggi. Erikson ne introduce nel solo primo volume più

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di trenta, ma sarebbe davvero lontanissimo dal vero pensare alla sterile, stanca riproduzione di doppioni e stereotipi abusati. Ogni personaggio ha una propria spiccata individualità e tratti caratterizzanti unici. Paran, il nobile che volontariamente ha scelto di rinunciare a tutti i privilegi del suo rango, si interroga su quale sia il fine della sua esistenza; ghermito da dubbi e dilemmi, non rimarrà però inerte, in attesa di un qualche segno rivelatore che potrebbe non arrivare mai. è perfettamente conscio di poter essere una pedina in un disegno molto più grande di lui, ma combatterà di volta in volta per quel che riterrà giusto, ribellandosi persino agli dei che sembrano essere dalla sua parte. La fredda Lorn, capace di affrontare un pericoloso viaggio in sola compagnia di un Non-morto, è tormentata da un oscuro passato. Lei però è l’Aggiunto, il braccio destro dell’Imperatrice, e a questo ruolo non vuole abdicare. Si innamora, ma troppo tardi comprende l’intensità e la ragione dei suoi sentimenti. Troppo tardi riesce finalmente a guardare dentro di sé. Accanto ai personaggi che pian piano il lettore riconosce come fondamentali, assumono poi rilievo tutti gli infiniti altri. Vi è Bellurdan, un mago dell’impero, innamorato di Nightchill, una delle vittime delle macchinazioni di Tayschrenn: vagherà per giorni nell’accampamento Malazan trascinando dietro di sé un sacco contenente le povere spoglie dell’amata; vi è il nobile Coll, al quale oscure trame di palazzo hanno sottratto ogni ricchezza e prestigio; vi è la giovane e ricca fanciulla D’Arle, di cui il ladruncolo Crokus si innamora, senza speranza, fino al punto di rischiare la vita per riconsegnarle il mal tolto. Come rilevato dallo stesso scrittore, i protagonisti della saga hanno una tale personalità che la storia si costruisce intorno a loro quasi spontaneamente. Ognuno gioca il proprio ruolo, sfrutta ed è sfruttato, in un equilibrio che Erikson riesce a mantenere per tutto il libro senza eccessi di sorta. E di questo gioco sottile, mai forzato, la storia si nutre avidamente, vivendo degli incontri apparentemente casuali come pure delle trame più sotterranee che l’autore fa emergere con parsimonia solo tramite radi indizi. Darujhistan ne è un esempio evidente, specchio delle trame in cui tutto il mondo Malazan è avvinto. I rapporti che legano le corporazioni di ladri e sicari ai nobili del Consiglio e ai Maghi paiono sostenere tutta la vita politica e sociale della città. Ma il mondo di Darujhistan è molto più ampio di quanto già di per sé appaia: comprende la misteriosa figura dell’Anguilla, chiave di un gioco ancora più complesso, e il dio della

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FANTASY sorte sceso direttamente in campo, e il Figlio dell’Oscurità che ha preso sotto la sua protezione la città, dopo essere stato sconfitto a Pale… Nelle vicinanze della città vi è anche la vera meta del viaggio intrapreso dall’Aggiunto Lorn: un tumulo, ritenuto dai più leggenda, nelle cui profondità si annida un’oscura minaccia che il passare di millenni non ha saputo cancellare. Sorprende come in tale complessità, a volte davvero sconcertante, Erikson riesca a mantenere vivi attenzione e coinvolgimento. Superate le aspre difficoltà delle prime cento pagine, ove la sovrabbondanza di flashback – della cui opportunità in alcuni casi si dubita – e l’eccessiva frequenza dei cambi di scena non consentono di tracciare linee di orientamento precise, il lettore viene poi immerso in modo più lento e accorto in una dimensione affascinante, piena e magica e al contempo tanto dinamica quanto realistica. I luoghi, vibranti di atmosfere, si animano di personaggi che ammaliano. I segreti vengono lentamente disvelati, con accorti richiami. Trama, personaggi e luoghi sono tutti punti di forza de I Giardini della Luna. Più discutibile la ricostruzione cronologica degli eventi. Erikson scende a volte nelle trame interne dell’azione; poi cambia visuale, ripresentando le medesime situazioni da un differente punto di vista, spesso colmando le volute lacune della prima narrazione, a volte ispessendone contorni e corpo. Nella maggioranza dei casi, il risultato è più che apprezzabile, ma, in alcuni, l’artificio appare specioso e di scarsa utilità. I Giardini della Luna sono un romanzo sostanzialmente introduttivo, che risente della sovrabbondanza di elementi. L’abilità di Erikson è tuttavia tale da trasformare anche quelli che appaiono difetti in tratti caratterizzanti sublimati nello sviluppo delle vicende. La fine nella quale la storia sfocia con vibrante tensione è forse troppo giocata sugli effetti scenici e richiama troppo da vicino le esagerazioni proprie delle avventure di un gioco di ruolo, piuttosto che i sofisticati equilibri del romanzo. Ma il lettore non rimane deluso; semmai si ripromette di andare avanti, e attende con ansia gli sviluppi nei libri successivi. Il mondo di Erikson e la magia La Magia, essenziale in un romanzo fantasy, è sempre percepita come elemento destabilizzante, se non contenuto entro severi limiti. Il rischio è infatti quello di eliminare ogni suspense, ogni effetto narrativo: rendendo possibile tutto, curare ferite letali, resu-

scitare i morti, annientare guerrieri invincibili, la magia minaccia di plasmare un mondo dove ogni risultato raggiunto può essere mutato o addirittura sovvertito, impedendo al lettore ogni partecipazione emotiva. Le effettive conseguenze di un avvenimento perderebbero qualsiasi reale valore nel momento in cui un fattore esterno potesse, a suo arbitrio, mutarne l’impatto sulla storia. Da qui il considerevole numero di artifizi con cui la narrativa fantastica ha saputo negli anni gestire l’elemento magico, contenendolo in confini logici e rigidi: leggi naturali che non possono essere violate; volontà superiori che non possono essere contraddette; voti, giuramenti, maledizioni. E così via. Anche sotto questo profilo Erikson è un innovatore. È vero che il mondo da lui creato è intriso di magia, vive di magia, pulsa di magia – non potrebbe certo essere diversamente, posto che gli dei e gli immortali camminano tra gli uomini – eppure è tutt’altro che privo di equilibrio. Semplicemente questo viene trovato nella giusta contrapposizione delle forze in campo, sospinte da disegni e fini propri, spesso in diretto attrito, a volte, più raramente, coincidenti. La magia è così imbrigliata dalla stessa trama e, lungi da trasformarsi in elemento erosivo, ne diviene parte caratterizzante e indefettibile, in misura e modalità uniche. Così ci sono montagne che volano, razze create dalla magia, popoli che sfruttano il potere degli avi, draghi che soffiano fiamme; demoni, mostri, mutaforma, maghi, alchimisti, streghe, libri e spade magici... Ed è possibile che gli dei intervengano a resuscitare i morti, i guaritori abbiano capacità miracolose, i maghi evochino creature dai poteri inimmaginabili e scaglino incantesimi di violenza inaudita. Giudizio finale Vibrante, imponente, convincente, di là del precipuo fine introduttivo, I Giardini della Luna è un libro senz’altro riuscito e appassionante, capace di legare insieme, senza cesure inappaganti, alti momenti di tensione, avventura, tragedia e rapita seduzione. La forte capacità espressiva e descrittiva di Erikson pone il lettore di fronte agli avvenimenti con metodo nuovo ed effetti sorprendenti. Perfetta l’atmosfera. Ottima la caratterizzazione dei personaggi. Appassionante la trama. Benché non esente da difetti, il libro è senz’altro da annoverare tra i migliori usciti nei tempi recenti. n Luca Germano

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MAREE DI MEZZANOTTE

(Midnight Tides - S. Erikson, 2004) di Cristina “Anjiin” Ristori

“Le maree vennero con la notte, vorticando attorno al gigante. Le maree vennero e l’annegarono nel sonno. E l’acqua infiltrò minerali nella sua carne finché non divenne pietra, un’escrescenza nodosa sulla spiaggia. Poi, ogni notte per migliaia di anni, le maree tornarono a eroderne la sagoma, rubandogli la forma. Ma non del tutto.” “Per riuscire a vederlo, oggi, bisogna guardare nell’oscurità. O socchiudere gli occhi alla luce splendente del sole: un’occhiata obliqua, oppure diretta ovunque tranne che sulla pietra stessa. Tra i doni di Padre Ombra ai suoi figli, questo si erge su tutti: guarda altrove, per vedere. Abbi fede, e sarai nell’Ombra, dove si nasconde ogni verità.” “Guarda altrove, per vedere. Ora.” [Maree di Mezzanotte - cap. 1]

L’

incontro con STEVEN ERIkSON non è dei più semplici. La maggioranza degli scrittori fantasy ci accompagna quasi per mano attraverso i propri sentieri narrativi, mentre ciò che offre questo archeologo/antropologo canadese è un’epopea che impatta senza alcuna gentilezza con il lettore: non spiega, non dice, non aiuta; ma pone faccia a faccia con un affresco tale da evocare il sense of wonder in chiunque pensasse di aver già visto tutto. La saga de “La Caduta di Malazan” prende il nome dall’omonimo regno, assolutista e decadente, le cui vicende campeggiano nei primi quattro volumi editi in Italia, tuttavia offre uno scenario assai vasto; l’intreccio di molteplici storie, legate tra loro attraverso dettagli spesso poco visibili, viene sviluppato con disinvoltura su più livelli: nel tempo e nello spazio, nel particolarismo di etnie inverosimili e divinità crudeli

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FANTASY quanto fallaci, che incrociano i loro destini tra magie complesse, intrighi spietati e guerre eterne. In sostanza, una visione dimensionale più vasta di quella normalmente incontrata nel Fantasy: prendiamo MARTIN e moltiplichiamolo per MIÈVILLE, i due autori attualmente più rappresentativi. La struttura classica e colossale del primo, unitamente alle visioni d’incubo del secondo, convergono e si dilatano con Erikson in un regno di orrori e meraviglie, scenari apocalittici e atmosfere cupe, passioni e violenza. Un universo multistrato dove i normali parametri di riferimento perdono il loro valore, ma anche un’analisi psicologica ricca di interrogativi etico-morali. Tuttavia, a differenza di Martin, l’epica di questo autore non si focalizza sulla celebrazione di caste elitarie, bensì integra con pari opportunità le “stanze del potere” e gli strati più bassi: nobiltà e feccia, figure leggendarie e soldataglia. Se l’idea dell’opera è nata da un progetto di Gioco di Ruolo, in collaborazione con J.C. ESSLEmONT, da questa base l’immaginazione dell’autore ha spiccato il volo, dando vita a qualcosa di assolutamente originale. Maree di Mezzanotte è il quinto pregevole atto di questa saga. Trama e Personaggi “…Ogni certezza è un trono vuoto.” Maree di Mezzanotte (edito in Italia da ARmeNIA nel gennaio 2008), costituisce un’evoluzione non solo narrativa ma anche di contenuti nell’ormai famosa saga. Un cambio netto di scenario accompagna questa diramazione inaspettata, che introduce personaggi nuovi, una terra finora sconosciuta, e riferimenti molto vicini al “nostro” mondo. Gli eventi narrati si collocano nel “1161 dal Sonno di Burn”, quindi più o meno contemporanei a quelli de I Giardini della Luna. A fronteggiarsi nell’ennesima guerra, due popoli confinanti ma di cultura opposta. Legati al culto della tradizione, gli umanoidi Tiste Edur sono rigidamente racchiusi in una società tribale statica e severa, in cui i codici di onore e fedeltà sono considerati valori assoluti. Quello dei Letherii, umani, è invece un regno aggressivo e decadente fondato sul profitto, sul potere dell’oro e sull’Indebitamento, meccanismo economico che coinvolge tutti gli strati sociali e può condurre alla perdita della libertà per generazioni. In questo tipo d’ottica il passo dal commercio alla conquista è breve: ogni territorio capace di offrire nuove risorse è visto

come una preda di cui impossessarsi, a qualunque costo. E il regno degli Edur costituisce una tentazione troppo forte, se non un passo obbligato. Lo scontro tra i due popoli può essere visto attraverso le vicende di due famiglie: Sengar, Tiste Edur della tribù dominante Hiroth, e Beddict, di Lether, entrambe legate, in un modo o nell’altro, alle rispettive casate reali. Un attacco degli Edur a navi corsare letherii – apparentemente una scaramuccia di confine – mette in moto un meccanismo le cui conseguenze nessuno, da ambo le parti, sa prevedere, fornendo al monarca assoluto dei clan Edur, il Re Stregone, l’opportunità di evocare forze antiche e terribili. Ne segue un massacro del nemico senza lotta e senza onore, che sconvolge i princìpi su cui la nobiltà Edur fonda il suo credo. Trull (già incontrato come il fratello terzogenito Binadas ne La Casa delle Catene) è l’unico dei Sengar a palesare dubbi, mentre il fratello Fear, Maestro delle Armi, trova forza nell’obbedienza cieca agli ordini; terribile e imprevista sarà inoltre la sorte/metamorfosi del minore, Rhulad. Parallelamente, a Lether, una strana profezia si avvicina al suo compimento: la “Settima Chiusura” porterà la fine di un regno e l’ascensione di un Imperatore. L’inquietudine legata a questo nuovo inizio viene percepita diversamente tra i personaggi vicini al trono: Hull Beddict, un tempo Sentinella del re, ha rigettato il proprio ruolo a favore dei popoli distrutti da Lether; Brys Beddict, Finnad e Campione del Re, retto e letale fino all’ultimo, è immerso suo malgrado negli intrighi di palazzo; ma soprattutto colpisce la raffigurazione Bugg-Theol Beddict, la coppia servo-padrone, presente in miriadi di storie – fantasy e non –, qui caratterizzata con un umorismo tale da diventare l’asse portante e la vera novità di questo romanzo. Theol, grande mago della finanza apparentemente in rovina, vive una voluta povertà assieme all’esilarante Bugg, servo dalle mille potenzialità. E trama per la distruzione economica del suo stesso Paese. Attorno a loro, altre figure che definire minori sarebbe riduttivo: Udinaas, schiavo letherii della famiglia Sengar, nella cui ombra vive lo spettro di un antico incantatore; la giovane Strega Piumata, veggente delle Mattonelle; Mayen, nobile sposa edur vittima delle sue stesse seduzioni. Ma non solo… Nel mondo cupo e sanguinario di Erikson ci sono molti stadi tra la vita e la morte, e altrettante sfumature a definirne i confini: gli dei stessi possono soffrire e morire, ascendere o precipitare, dominare o cadere in

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Lettura FANTASY catene. O nascondersi nei panni più insospettabili. Gli Spettri costituiscono formidabili eserciti e invincibili guardie del corpo. I Non Morti camminano per le strade e interagiscono con i vivi: come Kettle, bambina uccisa per ignoti motivi, e ora sanguinario guardiano della Fortezza dell’Azath; o Shurq Elalle, misera ladra condannata all’Annegamento e adesso al servizio di chi può restituirle un aspetto abbastanza attraente da soddisfare ancora qualche svago sessuale. E ancora, gli Acchiapparatti, misteriosa corporazione che domina le fogne e comanda (più che catturarle) orde di famelici roditori. Lo scontro finale tra Edur e Letherii avverrà ribaltando ogni previsione, con una deflagrazione apocalittica di magia e distruzione in cui il lettore avrà la sensazione di annegare. Niente sarà come previsto, e i sopravvissuti dovranno fare i conti con un futuro denso di cupe prospettive. Ambientazione Paesaggi spettrali. Albe livide e tramonti cremisi. Gli infiniti colori del ghiaccio e fiumi rosso sangue. Quello di Erikson è un mondo pieno di colori, anche nella descrizione dei personaggi: la pelle scura degli Edur, il pallore, per contrasto, dei Letherii, i mantelli dei grandi draghi Soletaken, grigio ferro, nero, bianco, oro. Colori, odori, visioni quasi tattili, magari ripugnanti nella loro crudezza e a volte ossessivamente ripetitive, ma capaci di una potenza evocativa travolgente. I riferimenti a realtà conosciute si svelano tra le pieghe dell’ambientazione: la struttura sociale Edur, le decorazioni tribali di ossa, conchiglie e perline nelle loro abitazioni, l’abbigliamento e i nomi delle loro etnie (Arapay, Hiroth, Merude) fanno pensare a un collage ancestrale di nativi americani calati nelle fredde regioni canadesi, che calzano mocassini e cacciano foche al confine dell’estremo Nord. È quindi evidente il significato della carnagione chiara dei Letherii, i conquistatori dal viso pallido, dotati di armi più avanzate e memorie di un Primo Impero oltremare da cui sarebbero fuggiti. Indiani buoni e yankees cattivi? La divisione netta tra positivo e negativo non esiste nell’opera di Erikson, ma è presente un’indiscutibile, umana coerenza, di situazioni e personaggi: il giusto e l’ingiusto si mescolano in un relativismo privo di figure dominanti. Il male è ovunque, nel desiderio di entrambe le fazioni, incarnato nel Potere donato dall’oro o dalla supremazia fisica, dalla magia o dallo scontro d’ideali, dall’astuzia

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o dal valore. Il bene lo affianca, nei piccoli gesti dei singoli e nelle conseguenze delle grandi azioni. La magia “…magic powerful enough to drive gods to their knees, soldier.” Il potere magico in Erikson non è un semplice strumento bensì un personaggio vero e proprio, anzi, il Protagonista: un’entità quasi autonoma che prevale su chi la usa, animando tutti gli infiniti rivoli della trama. Magia umana, non-umana e divina, capace di far viaggiare, attraverso tempo e spazio, nel proprio o in altri mondi; di mostrarsi fisicamente in Mazzi di Carte e Mattonelle; di confluire in luoghi tangibili come Case o Fortezze (abitazioni/prigioni di dei e creature a loro asservite); di generare molteplici Sentieri e Canali, ovvero flussi magici dalle infinite implicazioni concrete. Tuttavia non si abbassa mai al ruolo di deus ex machina, bensì costituisce un elemento primordiale contro la cui forza tutti devono venire a patti e spesso subirne le conseguenze. Le forze arcane che compaiono in Maree di Mezzanotte sono, rispetto ai volumi precedenti, più grezze e primordiali, sia per gli Edur che per i Letherii. Presso i Tiste Edur troviamo tracce del Kurald Emurlahn, il “Canale Antico dell’Ombra”, il “Canale Spezzato”, infranto durante antiche lotte, dalle cui schegge è ancora possibile attingere potere, che si manifesta per esempio tra i millenari alberi magici del palazzo-tempio del Re Stregone. Uno dei suoi frammenti forma addirittura un lontano, sconosciuto continente: il Nascent. La magia è profondamente diversa tra maschi e femmine di questa etnia: le donne possiedono conoscenze profonde, ma sembrano impotenti di fronte alla struttura patriarcale della tribù. Il loro intervento si limita a tessere incantesimi d’invisibilità attorno agli accampamenti oppure asservire spettri isolati attraverso rituali ingannevoli. Nel caso di Uruth, matriarca Sengar, la magia è tale da consentirle di sondare violentemente gli animi altrui alla ricerca di poteri ostili, o aprire Canali verso mondi demoniaci. Tra gli uomini Edur, Binadas è un mago tra i più forti, potente guaritore e capace di convogliare spettri-ombra nella lancia del fratello Trull. L’arte di lavorare i metalli è primitiva presso i Tiste Edur, ma essi possiedono il Legnonero, intessuto di magia e robusto come il ferro. Altre forze in gioco

Lettura: Maree di Mezzanotte


FANTASY

I Giardini della Luna Gardens of the Moon, 1999

Maree di Mezzanotte Midnight Tides, 2004

La Dimora Fantasma Deadhouse Gates, 2000

The Bonehunters, 2006 (inedito in Italia)

Memorie di Ghiaccio I e II Memories of Ice, 2001

Reaper’s Gale, 2007 (inedito in Italia)

La Casa delle Catene House Of Chains, 2002

Toll the Hounds, 2008 (inedito in Italia)

vengono evocate dal Re Stregone, il despota che ha riunito tutte le tribù Edur in un’alleanza coatta; i suoi apprendisti negromanti sono i K’risnan, servi e ostaggi allo stesso tempo, primogeniti di ogni capoclan soggiogato e legati con incantesimi di fedeltà assoluta. Anche i Letherii possiedono la magia, organizzata in modo più ordinato: Kuru Qan è il Ceda (Primo Mago), l’unico a vedere il destino del suo popolo tra le righe della Profezia della Settima Chiusura, nonché Custode e Lettore della Cedance, la stanza in cui si manifestano le simbologie dominanti. Se nei precedenti volumi le Carte e i loro Mazzi interpretavano le forze in gioco, in Maree di Mezzanotte lo stesso ruolo è affidato alle Mattonelle. Grandi come finestre o piccole da gettare come dadi, rivelano la scacchiera ultraumana a chi possiede il potere di leggerle: oltre al Ceda, la Strega Piumata, schiava letherii presso gli Edur. Le Mattonelle sono la voce delle Fortezze, torri senzienti create dall’Errante già nel Primo Impero, sorte laddove “il potere libero da ogni catena minaccia la vita”, che possono morire trasformandosi in altro; in sostanza, sono prigioni per gli dei. Una di queste, la morente Fortezza dell’Azath, si trova nel cuore della capitale letherii, solitaria e abbandonata da tutti tranne Kettle, che nutre la torre uccidendo “tante volte ottanta”. In mano al potere della magia, e non della spada, sarà anche l’ultimo atto: nella terribile battaglia finale non abbiamo scontri tra eserciti immensi, bandiere erette su cumuli di corpi straziati, lamenti di feriti, o sciacalli che violano i caduti. Tutto è pulito, chirurgico: ossa e metallo. Ciò che si abbatte su ogni cosa, senza alcuna discriminazione, ricorda armi reali e tristemente note. Nessun sangue e nessun onore. Tranne,

di prossima uscita: Dust of Dreams The Crippled God

Novelle Blood Follows, 2002 The Healthy Dead, 2004 The Lees of Laughter’s End, 2007

Saga

La Caduta di Malazan - Malazan Book of the Fallen

Romanzi

forse, per i vinti. “La magia era l’arma della battaglia prossima a scoppiare. Forse era il futuro di tutte le battaglie del mondo. Annientamento assurdo, la distruzione di un numero infinito di vite. La guerra come scontro di volontà, un conflitto indifferente ai costi, interessato solo a scoprire chi avrebbe battuto le palpebre per primo.” Dei e Ascendenti “Il bianco era il simbolo del male… lo splendore dell’osso, l’odiosa luce di Menandore all’alba.” Le “entità superiori” di Erikson sono fortemente zonali, ciascuna legata a un popolo, a un territorio, a un Canale. Di conseguenza, nel continente in cui si svolgono le vicende del quinto volume, troviamo entità per lo più sconosciute, che mantengono tuttavia la caratteristica di rispecchiare, nella potenza della loro magia, pregi e difetti umani. Le loro guerre vedono sconfitte e vittorie epocali, con divinità trionfanti nelle loro menzogne o sprofondate nelle viscere di oscure prigioni come angeli caduti. Gli dei mentono, ingannano e uccidono per conservare l’adorazione dei loro proseliti, senza la quale vengono dimenticati e perdono i loro troni. Maree di Mezzanotte mostra un pantheon semplificato rispetto a quello dei precedenti volumi, ma dominato da figure memorabili. Non compaiono solo Gods (Hood, presente in qualche imprecazione delle Guardie Cremisi, e il famigerato Dio Storpio, la presenza oscura che tesse mille trame e rappresenta quanto più si avvicina al male assoluto) ma anche Elder Gods: primo fra tutti, seppure ben nascosto, Mael, il Dio Antico

Lettura: Maree di Mezzanotte

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Lettura FANTASY del mare, figura di profondo spessore e fondamentale nella vicenda; solo una volta egli svelerà, per amicizia, il suo immenso potere, ma in quell’attimo “dall’altra parte del mondo, l’avevano sicuramente sentito. Le teste si erano girate di scatto e i cuori immortali avevano accelerato.” Le divinità Tiste sono Eleint Soletaken, ovvero mutantropi (soletaken) con duplice forma di uomo e drago (eleint). Silchas Ruin è Padre Oscurità dei Tiste Andii, sconfitto con tutto il suo popolo nelle ere antiche da Scabandari Occhio di Sangue (Padre Ombra) il dio supremo Edur. Venerata quanto temuta, la sua progenie: Menandore, L’Alba a cavallo del suo destriero di ossa bianche e fuoco dorato nella prima luce del mattino, avvolta in un candore accecante; Sheltatha Lore, la più amata, al cui potere è consacrata l’ora del Crepuscolo, il momento dell’Ombra “quando tutte le cose diventano incerte, sporcate dal ritirarsi della luce”, e a lei vanno le preghiere del tramonto, all’approssimarsi dell’Oscurità; infine, Sukul Ankhadu, detta Inganno o la Screziata, che si annida nelle infide chiazze di luce residua al calare del giorno. Una simbologia, quindi, che ribalta i cliché generalmente “solari” di molte dottrine religiose: queste divinità, o meglio Ascendenti secondo la classificazione di Erikson, interpretano gli archetipi Ombra, Luce e Oscurità mutandone il significato tradizionale. Nell’Ombra si nascondono tutte le verità: questo il fondamento del culto Edur. La notte è invece il regno dell’antico nemico Padre Oscurità, quindi da aborrire, ma solo fino al sorgere della Luna, capace di ristabilire l’equilibrio. Infatti l’Ombra necessita di Luce, ma la tenebra è la negazione di entrambe. Anche la Luce è odiata, e s’identifica nel bianco, il colore della morte: se viene temuto il momento del sorgere del sole, il tramonto è al contrario desiderato. Anche quest’aspetto della mitologia eriksoniana è retaggio di un’antica battaglia Edur contro un’altra stirpe Tiste: i Liosan, i Figli della Luce, il cui Padre è stato imprigionato nella Luna da Scabandari Occhio di Sangue. Accanto ai Draghi Tiste, in Maree di Mezzanotte troviamo altre divinità mutaforma come quella degli Jhek: questi feroci alleati degli Edur sono uomini-lupo, e quindi Soletaken, ma il loro dio è un D’ivers, ovvero una singola entità simil-umana capace di trasformarsi in più copie dello stesso animale (cat-lizards in questo caso), dando vita ad un branco o uno sciame. Oppure divinità riunite in “famiglie” come i cinque Sereghal

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del popolo Tarthenal, imprigionati (in buona compagnia) nella Fortezza dell’Azath, e non molto amati dai loro devoti. “Sai perchè preghiamo i Sereghal?... li preghiamo per farli stare lontani”, dice di loro il gigantesco Ublala Pung. Infine, L’Errante, il creatore delle Fortezze nell’era del Caos, che osserva lo svolgersi delle vicende dal suo posto insospettabile accanto al trono, “sotto gli occhi di chiunque avesse voluto vedere”. Considerando che questa già complessa cosmogonia costituisce solo un frammento del vasto panorama umano, alieno e divino presente nella Saga di Malazan, è comprensibile come l’autore stia lavorando ad una “Encyclopaedia Malazyca” per aiutare il lettore a districarsi tra nomi, soprannomi, etnie, genealogie eccetera. Conclusione I lettori di Steven Erikson sono ben allenati a improvvisi cambi di scena, flashback apparentemente slegati dal contesto, personaggi che rispuntano dopo centinaia di pagine, non necessariamente nello stesso volume e magari con un nome nuovo. Quindi, il quinto capitolo de “La Caduta di Malazan” non li coglie impreparati, anche se – almeno inizialmente – resta una certa curiosità insoddisfatta per le vicende precedenti. Tuttavia, questa sensazione dura poco. Il libro è affascinante, privo forse di personaggifulcro come lo sono stati Iktovian, Coltaine o Karsa Orlong nei volumi precedenti, ma dotato di un inaspettato sense of humor, graffiante come feroce è il contesto in cui si sviluppa, e di una sottile tristezza al pensiero di quanto facilmente possano essere spezzate piccole e grandi vite, nel gioco eterno della sorte. A differenza di altri nomi noti nel panorama letterario fantasy, Erikson sa bene dove e come vuole arrivare: ogni dettaglio ha un’utilità precisa, e il suo stile non abbassa mai la tensione narrativa, nonostante le nuove complessità di trama. Certo non gioca a suo favore la sconcertante traduzione, in cui si notano mani esperte poco amalgamate ad altre indubbiamente mediocri; e la copertina, totalmente priva di qualità estetiche, fa rimpiangere l’opera di altri eccellenti disegnatori. Tuttavia, alla casa editrice va riconosciuto il grande merito di aver colto la genialità di questo autore, permettendo ai lettori italiani di godere delle sue opere. Maree di Mezzanotte si dimostra in tutto e per tutto all’altezza delle aspettative. n Cristina Ristori

Lettura: Maree di Mezzanotte


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FANTASCIENZA

Kila Chombo Kwa Wimbile

(Donato Altomare, 2007 - Dalla raccolta Wakati Ujao, aa. vv. 2007) di Paolo Motta

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n’interessante iniziativa che coniuga fantascienza e solidarietà è stata quella lanciata da WebTrek Italia, sito amatoriale dedicato a Star Trek, in collaborazione con l’AMREF, l’Associazione Africana per la Medicina e la Ricerca: i gestori del sito hanno infatti pubblicato un’antologia di racconti fantascientifici ambientati in Africa, la cui vendita servirà per finanziare progetti umanitari. L’antologia, ordinabile on line, si intitola Wakati Ujao (Futuro Africano) e vi hanno partecipato autori come CLAUDIO ChILLEmI, ENRICO DI STEFANO, ANNA RITA PETRINO, ANGELICA TINTORI e MATTEO GAmbARO. Tra i vari racconti che compaiono in Wakati Ujao, uno particolarmente pregevole è Kila Chombo Kwa Wimbile di DONATO ALTOmARE. L’autore, vincitore di due premi Italia, un premio Urania e un premio Le Ali della Fantasia, è nato a Molfetta nel 1951 e si considera un “prestigiatore di parole e narratore di immagini”. Una definizione che si adatta ottimamente a chi ha saputo in questo caso offrirci una splendida commistione tra Sci-Fi e avventure marinare. Di sicuro Kila Chombo Kwa Wimbile non scontenterà chi ha apprezzato le precedenti opere di Altomare, quali Cuore di Ghiaccio, La Risata di Dio, Prodigia e Uno Spettro Probabilmente. Lo strano titolo riprende in lingua originale un proverbio africano: “ogni nave deve trovare le sue onde”. L’autore ammette che questa frase gli ha suggerito l’immagine di una nave che si muove in un deserto anziché sull’acqua. Protagonista del racconto è Jack La Bolina, un quindicenne italiano di un lontano futuro che, per sfuggire ad un matrimonio sbagliato, contratto al solo scopo di procreare figli, si imbarca sulla nave da guerra Aspera. Quest’ultima è un vero prodigio di tecno-

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Lettura: Kila Chombo Kwa Wimbile


FANTASCIENZA “Africa”, Elina Lawrie, 2005 bloodyannekidd.deviantart.com

logia, una “GlobalNave” capace non solo di navigare sulla superficie del mare come qualunque altra imbarcazione, ma anche di immergersi come un sottomarino e di spostarsi sulla terraferma grazie a un cuscinetto d’aria e a una particolare monorotaia. I membri del suo equipaggio appartengono alle razze più disparate e per comunicare fra loro nonostante le diversità linguistiche si servono di un traduttore simultaneo applicato tra la mascella e l’orecchio. Le conoscenze scientifiche e storiche possedute da Jack, stupefacenti considerando la sua giovane età, si rivelano molto utili alla Aspera per risolvere varie situazioni critiche, per esempio l’incontro con un temibile Incrociatore K nemico, o il viaggio verso una regione dell’entroterra africano dove non passa la monorotaia – problema risolto escogitando l’idea di transitare con il cuscinetto d’aria sopra una zona “vetrificata” dai combattimenti atomici. Quella di bordo sembrerebbe quindi una condizione da idillio per il nostro eroe in erba, ma le cose precipitano quando Jack si rende conto che la Aspera è in realtà una nave pirata che vive di saccheggi, in un mondo distrutto dove tutti sono in guerra contro tutti. Il giovane, dall’animo profondamente idealista, non può certo trovarsi a suo agio con ufficiali e marinai senza scrupoli, per i quali la vita umana vale meno di zero. Il capitano della Aspera ha inoltre in mente un progetto particolarmente losco: impossessarsi di un deposito di scorie radioattive (usate come fonte energetica) situato nel Kalahari, sterminando una pacifica tribù di indigeni che vi dimora sopra. Allo scopo, incarica proprio Jack di effettuare un giro in avanscoperta. Altomare, pur in termini avveniristici, ci fa respirare a pieni polmoni le atmosfere dei grandi autori d’avventura come Stevenson, Melville e Conrad. L’astuto

e beffardo marinaio Hotho, che accompagna Jack nella spedizione al villaggio degli indigeni, ricorda il Long John Silver de L’Isola del Tesoro, mentre lo stesso Jack riflette l’Ismaele di Moby Dick e come questi compie un viaggio iniziatico verso la maturità e la piena conoscenza di sé. Nonostante la tecnologia presente nel mondo descritto, resta la consapevolezza che l’uomo non è migliorato. Le più grandi scoperte scientifiche vengono impiegate per scopi bellici in un continuo homo homini lupus. Altomare, tuttavia, indica nell’educazione un qualcosa in grado di salvare gli esseri umani dal loro lato più egoistico e animalesco. Mette allora in risalto il legame tra Jack e il nonno misteriosamente scomparso, un vecchio che si adirava per le ingiustizie e che aveva fatto promettere al ragazzo di non rendersi mai responsabile della morte di un altro uomo. In questo si riflette forse il fatto che Altomare è un insegnante di lettere e sente quindi appieno l’onere di educare le nuove generazioni. Il finale del racconto, riguardo il futuro dell’Africa, appare ottimistico rispetto ad altre opere presenti nell’antologia, che usano tinte più cupe, purtroppo in sintonia con le tristi vicende di attualità. Per esempio nel racconto di ENRICO DI STEFANO, The Great Zimbabwe, come pure in quello di MAICO MORELLINI, Il Colore degli Dei, l’Africa diviene una superpotenza ma non certo migliore o meno assetata di potere di quelle odierne, lasciando il via libera a quel lato oscuro dell’uomo che Altomare alla fine pare esorcizzare. Ci auguriamo che, nonostante si tratti solo di una goccia nel mare, anche Wakati Ujao possa contribuire a far nascere una maggiore sensibilità nei confronti di questo martoriato continente. Come diceva Madre Teresa di Calcutta: “il mare non è lo stesso mare, se manca la mia goccia”. n Paolo Motta

Lettura: Kila Chombo Kwa Wimbile

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FANTASCIENZA

I PIRATI NERI DI BARSOOM

(Black Pirates of Barsoom - E.R. Burroughs, 1941) di Davide Mana

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arte, pianeta decadente e in agonia: facile immaginarlo, a cavallo fra XIX e XX secolo, quando le teorie scientifiche dominanti parlavano di un Sistema Solare aggregatosi per stadi, dall’esterno verso l’interno, con un Marte quindi più antico della Terra e un Venere più giovane. Venere coperto di foreste lussureggianti nelle quali scorrazzavano liberi dinosauri di tutte le taglie; Marte antico e stracco, con le sue acque sempre più scarse disperatamente incanalate nelle strutture identificate da Schiaparelli, la sua atmosfera rarefatta, la sua civiltà morente e imbarbarita. Sono perciò “vaste, antiche e spietate” le menti che ne La Guerra dei Mondi di HERbERT GEORGE WELLS (The War of the Worlds, 1897) osservano la terra dal Pianeta Rosso; creature parassite, adattate a vivere succhiando il sangue delle forme di vita inferiori, intrappolate in un vicolo cieco evolutivo e ambientale dal quale solo con la conquista interplanetaria si può sperare di uscire. Meno sopraffatto dall’angoscia è invece Barsoom, il Marte immaginato dall’ex rappresentante di temperamatite EDGAR RICE BURROUGhS, narratore straordinario che sulle tundre spugnose del Pianeta Rosso trasporta, insieme al battagliero John Carter, gran parte dell’immaginario avventuroso ottocentesco, dal quale nascerà la narrativa pulp delle riviste degli anni Venti. Barsoom è un meraviglioso luogo da visitare, non un granché come posto in cui vivere.

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Lettura: I Pirati Neri di Barsoom


FANTASCIENZA “Earth Astride Mars”, Adam Moore “Laemeur”, 2008 www.apocalyptek.com laemeur.deviantart.com

Tutte le donne sono fiere, avvenenti, seminude e ovipare; tutti gli uomini sono eroici, leali e testosteronici; tutti i malvagi sono di una turpitudine e di una meschinità senza uguali. L’arma bianca è lo strumento di comunicazione sociale d’elezione; la tecnologia è strana e ormai perduta – l’atmosfera è rarefatta e viene mantenuta artificialmente da impianti dei quali si è dimenticato il funzionamento; l’acqua è un bene prezioso. Sebbene le loro navi volanti solchino ancora i cieli, la civiltà degli uomini rossi sta lentamente ma inesorabilmente perdendo terreno davanti all’avanzata dei barbari Thark, che sono verdi, zannuti, con sei arti polivalenti, e gioiscono solo nell’infliggere dolore al prossimo. D’altra parte su Barsoom tutte le creature sono zannute e crudeli, dall’ulsio, colossale ratto a sei zampe, al calot, l’equivalente locale del volpino di Pomerania, un quintale di rettile-cane che può tuttavia dimostrarsi molto affettuoso, fino ai brutali thoat che gran parte degli indigeni usano come cavalcatura.

E crudeli e zannuti (per lo meno moralmente) sono gran parte degli abitanti senzienti del pianeta, come scoprirà il terrestre John Carter, eroe titolare della serie, ex ufficiale confederato giunto su Marte attraverso uno strano meccanismo di proiezione astrale, e protagonista del primo volume del ciclo, Under the Moons of Mars, noto anche come A Princess of Mars (1912, “Sotto le Lune di Marte” in Italia, nella raccolta John Carter di Marte). Nel successivo The Gods of Mars (1914, “Gli Dei di Marte” ancora in John Carter di Marte) la struttura concentrica delle razze marziane viene ampiamente disvelata. In questo secondo romanzo, il protagonista incontra i Pirati Neri, ne viene catturato, viene introdotto alla loro civiltà annidata sulle sponde del mare sotterraneo di Omean, fugge, ritorna in forze, perde la sua bella; poi nel terzo volume, Warlord of Mars (1918, “Il Signore della Guerra di Marte” in John Carter di Marte) la riconquista, sconfigge i malvagi, trionfa. Ma chi sono i Pirati Neri di Barsoom?

Lettura: I Pirati Neri di Barsoom

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Lettura FANTASCIENZA “I Primi Nati di Barsoom”, ci viene spiegato in un lungo monologo dal personaggio di Xodar, “sono la razza di uomini neri dei quali io sono Dator, o, come direbbero i barsoomiani inferiori, Principe. La mia razza è la più antica del pianeta. Tracciamo la nostra ascendenza, ininterrotta, direttamente all’Albero della Vita che fioriva al centro della Valle di Dor ventitré milioni di anni or sono. Per anni inenarrabili il frutto di questo albero subì i graduali cambiamenti dell’evoluzione…”: dal capitolo 7 di The Gods of Mars, che contiene una lunga, articolata descrizione dell’origine della vita su Barsoom, con un’immagine ingenua ma affascinante dell’evoluzione, acceso argomento di dibattito nell’America di inizio secolo. Si rincorrono non poche suggestioni pseudo-teosofiche nei romanzi marziani di Edgar Rice Burroughs, dal viaggio astrale del protagonista al succedersi e rimpiazzarsi di razze e civiltà – i rimasugli delle quali si trovano rintanati in località poco battute del pianeta. Quindi, seguendo a ritroso la storia di Barsoom, dopo i marziani verdi e i marziani rossi, incontriamo gli “Dei” di Marte – una crudele popolazione di pelle bianca precedente la civiltà degli uomini rossi – e i marziani neri, i Primi Nati o Primigeni (First Born), che manipolano crudelmente gli autoproclamati Dei in una beffa crudele. Questa concatenazione di razze che si susseguono è tipicamente di stampo blavatskyiano: nella dottrina teosofica sviluppata nella seconda metà dell’Ottocento da ELENA PETROVNA GAN (meglio conosciuta come Madame Blavatsky), riciclando la fantascienza razziale di EDWARD BULWER-LYTTON, si ritrova infatti quasi invariata l’ipotesi che l’evoluzione sul nostro pianeta sia stata il prodotto di un susseguirsi, in un continuo ciclo di dominanza-decadenza-sostituzione, di diverse “razze” (“root races”, descritte come vere e proprie specie differenti), inclusa una razza umanoide ovipara come i marziani rossi di Burroughs, e una primigenia razza di origine vegetale la cui storia è emulata dai pirati neri. Come i resti delle civiltà perdute di Barsoom, anche gli antichi della Blavatsky sopravvivrebbero in piccoli gruppi in località isolate e misteriose (il Tibet, il deserto del Gobi, il centro della Terra). E se il cliché razziale che anima i Pirati Neri di Barsoom – la popolazione più antica e più brutale, erede di oscure meraviglie magico-tecnologiche, ridotta però, per carenza di mezzi di sostentamento, a depredare le razze che considera inferiori – dimostra quali incubi possa generare la cattiva digestione delle teorie

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di Darwin da parte dei teosofi, sul piano dell’avventura i pirati neri di Barsoom rappresentano comunque un solido appiglio per la narrativa di Burroughs, un ingrediente che l’autore sfrutta e dosa con una certa maestria. Burroughs concede infatti ai Pirati Neri solo un’altra uscita, nella novella “Black Pirates of Barsoom”, parte del breve ciclo di quattro storie normalmente riunite sotto il titolo di Llana of Gathol (1948, Lhana di Gathol del Pianeta Marte), decimo volume della serie marziana, a detta di molti il migliore dell’intera saga dal punto di vista strettamente stilistico. La trama è abituale (eroi in fuga, malvagi in agguato, bellezze in pericolo), ma John Carter si sposta dal centro della scena per lasciare spazio al suo compagno d’avventure, lo spadaccino Pan Dan Chee, solitamente un comprimario . Sperduti su Barsoom, i due soccorrono la fascinosa Llana di Gathol. Quando il povero Pan Dan Chee, innamoratosene, le rivelerà di aver posto il proprio cuore ai suoi piedi, lei da perfetta donna marziana gli risponderà: “Raccoglilo, perché sono stanca e voglio dormire”. Nel corso delle loro disavventure – fra catacombe, città perdute e uomini invisibili – i tre protagonisti avranno anche il tempo di finire catturati dai Pirati Neri di Barsoom, essere venduti come schiavi, partecipare a ludi gladiatorii, sfuggire (nel caso di Llana) a un tentativo di stupro, e infine compilare una ideale lista di personaggi coi quali regolare i conti. Edgar Rice Burroughs, indubbiamente uno dei grandi narratori istintivi del secolo scorso, sviluppò fin dal suo primo lavoro (proprio Under the Moons of Mars) una formula affidabile e moderatamente elastica, che non abbandonò per il resto della propria carriera, e della quale esplorò ogni possibile variante. Sullo sfondo di un ambiente esotico, un eroe forte, affiancato da un amico leale, affronta un malvagio per soccorrere una donna fiera e bellissima, e ripristinare infine lo status quo. L’azione si sposta capitolo dopo capitolo da un personaggio all’altro, creando così una catena di cliffhanger che catturano il lettore e lo trascinano avanti. Il linguaggio alieno, da quello degli animali parlato da Tarzan – altro personaggio celeberrimo partorito dall’immaginazione di Burroughs – al barsoomiano, è complemento essenziale dell’ambientazione, che attraverso le vicende dei personaggi viene esplorata ed ampliata. Ogni avventura seriale getta luce su un nuovo set-

Lettura: I Pirati Neri di Barsoom


FANTASCIENZA “Green, Red men of Mars”, Adam Moore “Laemeur”, 2008 www.apocalyptek.com laemeur.deviantart.com

tore della mappa, aggiunge un elemento al mosaico della cultura aliena o dell’ambiente esotico, rinforza la statura dell’eroe. Di fatto, Burroughs racconta sempre la stessa storia, ma con una tale abilità di affabulazione da non lasciare al lettore il tempo di accorgersene, prima che l’ottovolante si sia fermato. Dopo aver terminato di leggere le opere di questo autore ci si sente sempre un po’ in imbarazzo. Ma fintanto che l’azione scorre sulla pagina, si ha altro a cui pensare, troppo presi dal divertimento. Mentre si approssima la versione cinematografica targata PIxAR del primo episodio della saga di John Carter, prevista per il 2009, i fan che finora hanno trascurato i deserti e le città in rovina di Barsoom farebbero bene a colmare la loro lacuna. L’importanza delle avventure marziane di Burroughs è molteplice, in parte per motivi storici,

in parte per motivi filologici: si tratta di romanzi vecchi di un secolo ma ancora freschi e coinvolgenti, e Barsoom non fu solo l’incubatrice della narrativa pulp, ma esercitò una influenza diretta su autori imprescindibili per la storia della narrativa fantastica e fantascientifica, quali RObERT ERWIN HOWARD, LEIGh BRACkETT, EDmOND HAmILTON. Più importante ancora è la qualità della narrativa di Burroughs, il quale dimostrò sempre un grande rispetto per il lettore e una grande cura per il linguaggio e le descrizioni, ciò che più tardi sarebbe stato chiamato il sense of wonder. Da questo punto di vista, l’autore resta essenziale nella formazione del gusto del pubblico, che difficilmente, letto John Carter o le altre sue saghe, si accontenterà poi della prosa sciatta e delle atmosfere di seconda mano di tanto Fantastico di dozzina. n Davide Mana

Lettura: I Pirati Neri di Barsoom

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Scienza

Scienza

FANTASCIENZA

I VELIERI di Valentina “Vania” Summa

La nostra è un’epoca di navi altamente “Europa”, 1911, tecnologiche e all’avanguardia, capaci di brigantino a tre alberi (OLA) raggiungere velocità elevate e di attraversawww.sailtraininginternational.org re impunemente gli oceani. Ciononostante ancora oggi i velieri, illustri antenati della moderna navigazione, suscitano un fascino indiscutibile. La nave a vela, nelle sue varie forme e dimensioni, ha solcato i mari dal tempo delle civiltà più antiche, passando per le grandi scoperte geografiche, le rotte mercantili che hanno reso ricchi gli imperi coloniali e l’era dell’industrializzazione, la quale, all’inizio del XX secolo, ha portato alla sostituzione del veliero con le navi a motore. Il primo veliero vero e proprio fu la COCCA, un’imbarcazione medievale utilizzata con funzioni allo stesso tempo mercantili e di trasporto passeggeri sia nelle acque del Mediterraneo sia nei mari del nord europeo. Lo scafo era rivestito di assi di legno, denominate fasciame, di norma sovrapposte bordo su bordo. Il ponte della nave presentava due parti rialzate, una a poppa (il fondo della nave) e una a prua (la parte frontale). Esse venivano chiamate castelli. Le vedette e gli arcieri che difendevano l’imbarcazione da eventuali attacchi prendevano posto sulle coffe, piattaforme protette da parapetti che si trovavano sugli alberi della nave. Inizialmente la cocca presentava un solo albero centrale, detto albero di maestra, con vela quadra. Successivamente vennero introdotti altri due alberi, uno sul castello di poppa e uno su quello di prua. Il primo si chiamava albero di mezzana; il secondo era l’albero di trinchetto. La vela quadra centrale forniva la spinta alla nave, mentre le altre due, spesso latine (cioè triangolari), assicuravano una maggiore manovrabilità. Le vele erano governate tramite il sartiame, una complicata serie di corde e carrucole. Le corde prese singolarmente venivano chiamate cime. Per aiutare la navigazione in caso di mancanza di vento, il veliero poteva essere governato via remo, e anche il timone (il cui scopo è dirigere l’imbarcazione) era dapprincipio costituito da due remi fissati ai lati della poppa. In epoca successiva, invece, venne sviluppato un timone centrale alla poppa, detto timone alla navaresca. La cocca poteva portare a bordo armi da fuoco pesanti e necessitava di un equipaggio di venti o trenta persone.

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FANTASCIENZA “Palinuro”, 1934, goletta a tre alberi, (ITA) e “Amerigo Vespucci”, 1931, vascello, (ITA) www.sailtraininginternational.org

L’erede della cocca fu la CARAVELLA, divenuta famosa per essere stata l’imbarcazione utilizzata da Cristoforo Colombo nei suoi viaggi verso le Americhe. Questo veliero nacque all’inizio del 1400 e la sua fortuna coincise con le grandi traversate oceaniche, per poi declinare verso il XVII secolo. La caravella era una nave inizialmente di piccole dimensioni, il cui tonnellaggio aumentò solo in seguito, dandole una forma più panciuta e tonda. Di norma presentava tre alberi, con vele quadre e latine che le conferivano una grande velocità e agilità di manovra. In aggiunta, l’albero di bompresso, che si prolungava in obliquo esternamente dalla prua, aveva una vela quadra chiamata civada. Questa velatura mista la rendeva in grado di gestire con maggiore facilità le diverse condizioni di vento. Le caravelle più grandi presentavano un cassero a poppa, vale a dire un castello sopraelevato rispetto a quello di prua. Erano pensate per accogliere un buon numero di pezzi d’artiglieria, che proprio in questo periodo iniziavano a essere oggetto di modifiche, innovazioni tecniche e largo uso. La potenza di fuoco della caravella era notevole, anche se non di grosso calibro, e necessitava di un equipaggio che si aggirasse tra i venti e i quaranta uomini.

Questo veliero, purtroppo, era soggetto a problemi strutturali (fragilità, poca protezione contro i parassiti) allo scafo e agli alberi, ma nel complesso si trattava della nave più affidabile e innovativa in circolazione, almeno fino all’avvento della CARACCA. Tale nuovo veliero, la cui fortuna durò dalla metà del XV alla metà del XVII secolo, ebbe origini prettamente mercantili. Di forma più tondeggiante rispetto alla cocca, presentava più ponti sovrapposti, castelli non sporgenti dallo scafo – di frequente costituiti a loro volta da più piattaforme – e una non disprezzabile capacità di artiglieria, per la prima volta disposta

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“Sørlandet”, 1927, vascello (NOR) www.sailtraininginternational.org

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Scienza FANTASCIENZA “Cuauhtemoc”, 1982, brigantino a palo (MEX) www.sailtraininginternational.org

dietro a pannelli scorrevoli nella tipica formazione a batteria, in file orizzontali sovrapposte lungo le fiancate della nave. La caracca era inizialmente utilizzata soprattutto dalla Lega Hanseatica, nell’Europa del Nord, e presentava una struttura velica e di sartiame piuttosto evoluta. Per sfruttare al meglio il vento, oltre alle grandi vele quadre e alla vela latina all’albero di trinchetto, potevano essere issate anche vele poste più in alto lungo gli alberi, denominate vele di gabbia. Un ulteriore aiuto era fornito dalla vela di civada e dalla velatura di un quarto albero a poppa, detto albero di contromezzana o bonaventura. Le cime venivano assicurate a ganci chiamati lande, i quali erano posti fuoribordo su una specifica piattaforma, il corridore. Grazie allo scafo accuratamente calatafato – cioè

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reso impermeabile – la caracca possedeva un’ottima resistenza alle intemperie, qualità che alla caravella mancava, e trasportava un maggiore carico di merci, armi e soldati, ragione per cui ebbe tanto successo nelle spedizioni intorno al mondo e sulle nuove rotte mercantili transoceaniche che fecero la fortuna degli imperi coloniali. Lo scafo era spesso rinforzato da parabordi che lo proteggevano dai contatti con altre navi o con gli scogli. L’imbarcazione necessitava di un equipaggio di norma attorno ai cento uomini. Le caracche più grandi, però, potevano annoverare una ciurma composta da trecento o quattrocento marinai. Benché la caracca costituisse un’evoluzione importante, la tecnica costruttiva non si fermò. Le rotte oceaniche erano impegnative, piene di pericoli e imprevisti, e tutto ciò che si poteva migliorare andava migliorato. Il risultato di queste costanti ricerche sulla manovrabilità e la solidità fu il GALEONE, una nave robusta sviluppata a partire dalla più antica galea, lunga e bassa imbarcazione a remi mediterranea.. Figlio del secolo del Manierismo prima e del Barocco poi, il galeone fu la prima nave a vela a presentare vere e proprie decorazioni lignee e pittoriche sui casseri di poppa e prua, curando anche il lato estetico dell’imbarcazione. I castelli si fecero molto alti, mentre a prua lo sperone – dapprima metallico e poi ligneo – della galea venne mantenuto e rinforzato, quale supporto per l’albero di bompresso. Con tali modifiche, il carico d’artiglieria aumentò considerevolmente e si poté piazzarlo su più ponti, compresi quelli del cassero di poppa. L’albero di trinchetto venne posto in posizione più vicina alla prua, spesso all’estremità stessa del veliero. Le vele di gabbia aumentarono di numero. Il galeone era costruito con proporzioni precise e dimensioni maggiori rispetto alla caracca. La larghezza dello scafo era il doppio dell’altezza e un terzo della lunghezza. Necessitava di un equipaggio di circa trecento uomini. Gli ufficiali alloggiavano all’interno dei ponti del cassero di poppa. Questi casseri così alti erano decorativi e capienti ma presentavano anche uno svantaggio: facevano resistenza al vento, frenando la velocità della nave. L’eccessiva ricerca estetica vanificò in parte le innovazioni tecniche introdotte, tanto che successivamente i casseri vennero ribassati per poter sfruttare al

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FANTASCIENZA da sinistra: “Shabab Oman”, 1971, goletta a tre alberi (OMAN); “Pelican of London”, 1948, goletta a tre alberi (UK) e “Mir”, 1987, vascello (RUS) www.sailtraininginternational.org

meglio la velatura. Il galeone è passato alla storia in quanto protagonista della battaglia navale tra la Invencible Armada spagnola e la Marina Britannica nel 1588, uno scontro epocale che segnò la fine delle velleità di espansione in Europa della Spagna di Filippo II e sancì l’ascesa del regno di Elisabetta d’Inghilterra. Era un galeone anche il Mayflower, il veliero che trasportò i Padri Pellegrini in America. A causa del massiccio impiego delle navi in operazioni belliche, vennero studiate tattiche e schieramenti precisi; i velieri vennero catalogati in classi in base alla loro velocità e capacità offensiva. Si condussero studi sulla forma dello scafo per migliorare le prestazioni, e l’utilizzo di legni dalle caratteristiche differenti per le varie parti del veliero divenne la regola. L’ossatura dello scafo era in rovere o in teak, il fasciame in quercia fissato con chiodi lignei (caviglie) e l’alberatura in abete. Il fasciame veniva montato in due strati, per offrire maggiore solidità e resistenza contro intemperie e incidenti. Lo scafo era spesso rivestito di metallo, mentre la carena (ossia la parte sommersa dello scafo) era spalmata con una miscela composta da zolfo, minio, sego, catrame e olio di pesce denominata pattume, impermeabile all’acqua e all’attacco dei parassiti; essa conferiva al legno un caratteristico colore nero.

Tali modifiche portarono alla creazione del VASCELLO, un veliero efficiente e ricco di decorazioni, anche in questo caso abbandonate in un secondo tempo a favore della funzionalità. Il più caratteristico di questi abbellimenti era la polena decorata, una scultura “Stad Amsterdam”, 2000, vascello (OLA) www.sailtraininginternational.org

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“Libertad”, 1960, vascello (ARG) www.sailtraininginternational.org

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lignea posta a prua il cui soggetto di norma richiamava il nome con cui la nave era stata battezzata. Sul vascello venne definitivamente adottato il timone comandato attraverso una ruota posta sul cassero di poppa, collegata allo strumento di navigazione tramite un sistema di cavi. Il design del castello di poppa subì

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“Jolie Brise”, 1913, cutter (UK)

un’evoluzione dalla forma quadrata a quella rotonda. Gli alberi vennero suddivisi in tre sezioni, chiamate albero maggiore, albero di gabbia e alberetto, tutte munite di vele quadre. Solo l’albero di mezzana portava una vela triangolare, poi divenuta trapezoidale e denominata vela aurica o randa. Più avanti ne vennero aggiunte altre, per aumentare la capacità del veliero di sfruttare il vento. All’albero di bompresso fu aggiunta l’asta di fiocco, un albero orizzontale con vele triangolari denominate fiocchi e controfiocchi. Altre vele triangolari – vele di straglio – furono posizionate fra un albero e l’altro. Il vascello possedeva sovente più di un’ancora, legata da solidi cavi, le gomene. Lo scafo era suddiviso generalmente in tre ponti, mentre il carico di artiglieria decretava la classe del veliero nella sua funzione militare. Sul vascello ci si servì per la prima volta della pompa per contrastare le infiltrazioni d’acqua a seguito di incidenti o falle. La nave necessitava di un equipaggio molto numeroso e continuò ad avere largo impiego fino alla fine del XVIII secolo. Il vascello fu protagonista della battaglia di Trafalgar tra la flotta inglese e quella franco-spagnola, nel 1805, che vide il trionfo dell’ammiraglio Nelson. Questa battaglia epocale segnò la fine delle velleità marittime di Napoleone, e la definitiva rinuncia da parte francese all’invasione della Gran Bretagna. Parallelamente, entrò in servizio un nuovo tipo di veliero chiamato FREGATA, che solcò i mari fino alla metà

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FANTASCIENZA del XIX secolo. La fregata era una nave mediterranea a due alberi che poteva essere mossa per mezzo dei remi e aveva funzioni principalmente mercantili. Nel nord dell’Europa venivano chiamate fregate le veloci navi corsare, ma i velieri che porteranno ufficialmente questo nome saranno navi mercantili e belliche di grande agilità di manovra. Alle vele del vascello se ne sommarono altre; sugli alberi si aggiunse una quarta vela quadra, il controvelaccio. Capace di manovre molto rapide, la fregata era molto utilizzata come scorta. Caricava a bordo un nuovo tipo di cannone, la carronata, che necessitava di soli tre uomini addetti al caricamento, permettendo di sparare più colpi in minor tempo. La maggior parte delle fregate aveva bisogno di un equipaggio che si aggirava attorno ai duecento uomini. Il più famoso di questi velieri è senza dubbio il Bounty, passato alla storia per l’ammutinamento del suo equipaggio. Il successo raggiunto nella ricerca della velocità massima spinse i costruttori alla creazione del CLIppER, il veliero protagonista indiscusso del XIX secolo, un’evoluzione del più piccolo bRIGANTINO, un veliero a due alberi con vele quadre e bompresso. Il suo nome deriva dal verbo inglese to clip, tagliare, ed è esplicativo del suo modo di fendere le onde alla massima velocità. In epoca industriale i tempi di percorrenza delle rotte oceaniche dovevano essere notevolmente ridotti e il clipper fu la risposta a questa necessità. Esso fu il primo veliero ad avere un’anima in metallo tra le due pareti di fasciame in teak che costituivano lo scafo: una scelta costruttiva non sempre adottata a causa della corrosione galvanica che si veniva a creare tra il metallo e il legno, ma un’utile sperimentazione verso la creazione delle navi moderne. Si ovviò al problema inserendo del caucciù tra un materiale e l’altro in maniera da impedire loro di reagire chimicamente. I clipper avevano uno scafo allungato, dalle linee filanti e aggraziate, con piccoli castelli a prua e a poppa. Gli alberi erano tre e montavano cinque vele quadre; quella di gabbia era divisa in due per facilitare le manovre. Questi velieri non avevano bisogno di un equipaggio numeroso, e gareggiavano tra loro nel trasporto del tè e dell’oppio dall’Oceano Indiano. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo il vapore soppiantò la navigazione a vela, ma per diversi anni si costruirono comunque imponenti navi fornite di alti alberi con una ricca velatura, in quanto la propulsione

“Alexander von Humboldt”, 1906, brigantino a tre alberi (GER) www.sailtraininginternational.org a vapore non era ancora perfezionata e in certi punti delle rotte transoceaniche era ancora necessario sfruttare i venti, alla vecchia maniera. Nonostante oggi gli unici velieri rimasti siano alcune imbarcazioni storiche, restaurate e conservate, o quelle costruite appositamente per diventare navi-scuola della Marina – come la nostra Amerigo Vespucci –, il fascino dell’antica nave a vela sopravvive nel mondo del modellismo, nelle pellicole cinematografiche e tra i cultori del tempo in cui prendere il mare costituiva sempre un’avventura. n Valentina Summa

Ringraziamo per la gentile concessione delle immagini

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WATERWORLD (Waterworld - Kevin Reynolds, Kevin Costner, 1995) di Romina “Lavinia” Perugini

“O

Quando i cavalli rideranno di noi

ceano: la massa d’acqua che occupa circa i due terzi del mondo destinato all’uomo, il quale peraltro non ha branchie”: lo disse lo scrittore AmbROSE BIERCE più di cento anni fa, con il sarcasmo che contraddistinse molte sue opere. Ci rifletté sopra KEVIN COSTNER nel 1995, con un’ironia inconsapevole, interpretando uno di quei film che “segnano” la storia del cinema e ancor più la carriera di chi vi prende parte. Lo spettatore fu l’unico a uscirne con le ossa non troppo malconce, perché i soldi del biglietto non furono niente in proporzione a quello che venne definito il progetto cinematografico fino ad allora più costoso mai realizzato. Quante cose si potrebbero fare con 175 milioni di dollari del 1995? Si potrebbe girare Apollo 13 per tre volte, di Strange Days ne potremmo realizzare benissimo tre e mezzo più un altro Balla coi Lupi e qualche milione d’avanzo. Questo per dire due cose: la prima che per creare un capolavoro non basta avere le tasche piene, la seconda che Costner lo preferivamo quando faceva l’indiano. A onor del vero, un flop di dimensioni bibliche non andrebbe imputato al solo nome di richiamo che lo rappresenta ma anche alle cattive compagnie di cui costui si circonda: c’è un regista, KEVIN REYNOLDS, e ci sono degli sceneggiatori che hanno contribuito col loro sigillo di professionalità. È però toccato al “bello di Hollywood” prendere in mano le redini della situazione quando il regista ha letteralmente piantato in asso la troupe prima del termine delle

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FANTASCIENZA Costumi: John Bloomfield Produttore: Kevin Costner, John Davis, Charles Gordon, Lawrence Gordon Premi • nomination 1 OSCAR 1996: Best Sound (Steve Maslow, Gregg Landaker, Keith A. Wester); • nomination 2 SATURN AWARD 1996: Best Science Fiction Film, Best Costumes (John Bloomfield)

riprese. E se la prima scena che immortala il protagonista lo vede sorseggiare la propria urina appena depurata, prima di assumersi un tale impegno ci si sarebbe dovuti accertare della sicurezza del porto verso il quale si stava navigando. La nave che fa acqua da tutte le parti è Waterworld, storia di un pianeta Terra proiettato nel futuro, sommerso a causa del disgelo delle calotte polari, abitato da brandelli di genere umano che tentano di sopravvivere: uno spunto – se ci si fermasse a questo – brillante e originale, un film postapocalittico fortemente voluto dal divo di Hollywood – da sempre amante del genere distopico – che ci mise molto più oltre alla faccia, dato il fatto che ne fu il produttore. Quando giunse in Italia, Waterworld si presentò come uno di quei film da non potersi assolutamente lasciar sfuggire: non perché la platea fosse richiamata dall’eco dell’enorme impiego di effetti speciali, ma più

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Titolo originale: Waterworld Produzione: USA, 1995, UNIVERSAL Pictures Durata: 136 minuti Regia: Kevin Reynolds, Kevin Costner Storia: Peter Rader, David Twohy Fotografia: Scott Fuller, Dean Semler Montaggio: Peter Boyle Scenografia: Dennis Gassner Musica originale: James Newton Howard, Artie Kane

per “vedere l’effetto che fa”. Il disastro preannunciato con largo anticipo dai media esteri fu l’unico amo esca in grado di evitare la desertificazione delle sale. E i curiosi vennero puntualmente serviti. Centoventi minuti di imprecisioni logiche, di errori di scena, di improbabilità, di assurdità improponibili persino in una pellicola di Fantascienza. Il tutto intervallato da ottime però sporadiche soluzioni rappresentative: l’immensa distesa azzurra parla da sola, ma se non fosse per il superbo lavoro scenografico non direbbe molto. Merita in effetti l’idea di riportare un’atmosfera medievale nei pochi atolli artificiali dove la razza umana sopravvive: complessi e accattivanti i movimenti di macchina che seguono corde, carrucole e ingranaggi, frammenti di obsoleta tecnologia sopravvissuti al disastro naturale. Entro questo spazio immenso, un oceano d’acqua

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che ha ingoiato ogni lembo di terra emersa, si sposta un navigatore solitario, senza nome e senza storia, che vive su un trimarano d’avanguardia, poggiando i piedi a terra – ma si fa per dire – solo occasionalmente. Di terraferma non ne è rimasta: le città sono leggenda e gli unici luoghi dove sopravvive ancora un barlume di società civile sono rappresentati da atolli artificiali popolati da uomini e donne imbarbariti dal-

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la natura matrigna. La collettività è retrocessa da uno stato di solidarietà organica a uno in cui vige la legge del più forte. Un po’ di potere deriva dal commercio, condotto prevalentemente sotto forma di baratto; proprio per questo motivo il marinaio senza nome, che per un momento fa il suo rientro in società, gode di grande rispetto quando al banco dei pegni mostra terra, terra vera, come pure tante altre cose stipate sulla sua barca: un vetro riflettente, lembi di carta… cimeli da museo per un mondo che non ha più memoria del proprio passato. L’unica àncora di salvezza dei popoli superstiti è la cieca speranza che la “leggenda di Dryland” un giorno si possa avverare: si dice che da qualche parte esista ancora un luogo dove crescano alberi e frutti. Gli abitanti dell’atollo, stupiti dagli straordinari oggetti posseduti dal misterioso uomo di mare, lo credono inizialmente un profeta di questo mito, per poi invece condannarlo alla forca dopo aver scoperto la sua essenza di mutante, di scherzo dell’evoluzione con tanto di branchie e piedi palmati. Quando la sua dipartita sembra ormai inevitabile, tutto l’atollo si schiera in assetto da difesa costretto a vedersela con il Diacono e i suoi pirati feroci che, armati fino ai denti, sferrano i propri attacchi cavalcando moto d’acqua. Questi predatori vengono denominati Smokers per la loro abitudine di commerciare in sigarette. La preda dell’ennesimo assalto è Enola, una bambina molto sveglia che sua madre adottiva Helen protegge con grande affetto. Il tatuaggio che la piccola

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porta sulla schiena sembra infatti essere l’ambita mappa per arrivare a Dryland. Mentre la battaglia infuria, le due donne stringono un patto col mutante prigioniero, promettendo di liberarlo a condizione che lui le prenda a bordo del suo trimarano portandole in salvo lontano dall’atollo. Fine del primo atto. Peccato che il resto del film non sia all’altezza di questi iniziali quaranta minuti, pieni di spunti apprezzabili, mai noiosi e che preannuncerebbero le performance di personaggi molto complessi. Nella seconda parte della pellicola la vicenda assume i toni dell’assurdo, a causa di una miriade di errori da imputare sia a una regia sbagliata, sia a una sceneggiatura ricca di contraddizioni. Si pensi all’inspiegabile avanzamento tecnologico degli Smokers: pare usufruiscano di scorte petrolifere immani e commercino in tabacco quando perfino la terra in un primo momento era venduta a peso d’oro; o al fatto che Helen sappia benissimo cosa sia uno specchio ma un attimo dopo lo chiami vetro riflettente; per non parlare di quando si immerge a centinaia di metri di profondità senza minimamente accusare i problemi della decompressione… Oltre a errori di logica, ci sono ingenuità narrative che vanno a ledere la caratterizzazione dei protagonisti. L’uomo pesce di Kevin Costner, che picchia la donna e getta a mare la bambina, è di un’antipatia inaccettabile tanto da domandarsi se il vero cattivo non sia lui piuttosto che il caricaturale Diacono di DENNIS HOppER. Quest’ultimo, tra tutti, è l’unico davvero in parte

grazie a un carattere del personaggio ben delineato e coerente. Da antologia la benedizione papale con la sigaretta, e il fulminante dialogo col medico che gli propone un improbabile occhio di vetro: “Potresti avere problemi a vedere da lontano”; e lui: “Tanto io la gente l’ammazzo da vicino!”. Daremmo volentieri un occhio affinché la scrittura delle due controparti femminili possedesse anche solo la metà dello spessore del cattivo di turno. La bambina viene bistrattata dal capitano del trimarano in una maniera tale che non basterebbero i servizi sociali per venirle in soccorso. Guarda caso, complice la paradossale cifra stilistica degli sceneggiatori, Enola finirà per adulare l’uomo-pesce. È ancor più esageratamente imbarazzante vedere Helen offrire il proprio corpo a un Costner riluttante, odiarlo a morte dopo il rifiuto e ancor di più dopo qualche pugno di troppo, salvo poi concedersi entrambi a un inspiegabile amplesso appena accennato, soli

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in mezzo all’oceano. Si ha l’impressione per l’appunto che la storia d’amore sia frutto della noia mortale sofferta dai due dopo il rapimento di Enola da parte degli Smokers. La stessa apatia ha ormai attanagliato pure lo spettatore più stoico, ormai colto dal sospetto d’essere incappato in un documentario su skipper e velisti, con i tre che alzano e abbassano vele e osservano l’immenso

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blu: era lampante che il dono della sintesi non fosse nelle corde di Reynolds e che non avrebbe dato ragione al generoso portafogli di Costner. Con l’affondamento del trimarano a opera dei pirati venuti per rapire la custode della preziosa mappa per Dryland, il secondo atto del film finisce in archivio. Il terzo e ultimo è semplicemente tutto da ridere. Spinto dal vero leit-motiv del film, ossia l’antinomia sempre e comunque, l’uomo dai piedi palmati, l’eroe senza macchia e senza paura, parte tutto solo per combattere i cattivi e salvare la bambina che qualche metro di pellicola prima tentava di affogare. Ovviamente l’intento andrà a buon fine e con una specie di abracadabra, insieme a Helen e ad altri sopravvissuti dalla distruzione dell’atollo, decifreranno il tatuaggio custodito da Enola, trovando la leggendaria Dryland immediatamente dopo. Terra, montagne verdi e folti boschi, sui quali il nostro eroe poggerà i propri piedi palmati giusto il tempo necessario per fare un saluto e tornare nel proprio habitat. L’autentico colpo di scena è riservato alla platea che fin qui non si è persa d’animo. È impressionante scoprire che l’essere vivente più intelligente del pianeta Terra è il cavallo. Mandrie di stalloni galoppano liberi sull’ultimo lembo di terra emersa. Dovrebbe venir naturale, in un mondo che piano piano sta annegando, ritirarsi in ciò che resta fuori dal pelo dell’acqua. Strano che ci abbiano pensato solo i cavalli! Scelte professionali del tutto sbagliate hanno rovinato un soggetto potenzialmente entusiasmante e ricco

Cinema: Waterworld


FANTASCIENZA Mariner Kevin Costner

Diacono Dennis Hopper

Solitario e mutante che vive libero solcando i mari sul suo trimarano. Si guadagna da vivere barattando oggetti rari e preziosi di un altro tempo. Catturato e condannato a morte, riuscirà a salvarsi grazie all’intervento di Helen.

Feroce capo della banda degli Smokers, pirati sanguinari armati fino ai denti. Alla guida dei suoi, è sempre impegnato a saccheggiare i pochi atolli rimasti. Con mezzi ancor meno leciti insegue come molti il sogno di trovare Dryland.

Helen Jeanne Tripplehorn

Enola Tina Majorino

Forte e determinata, pronta a sacrificarsi per la salvezza della piccola Enola. Dovrà tener testa al rude carattere del Mariner e confidare sulla sua protezione per sfuggire agli Smokers.

Coraggiosa custode di un segreto che fa gola a molti, è l’unica a non aver paura del mutante solitario. Catturata dagli Smokers, a nulla varranno i tentativi del Diacono di intimorirla.

Gregor Michael Jeter

Nord Gerard Murphy

Scienziato eccentrico, abitante dell’atollo e grande amico di Helen. Conosce il segreto della bambina, e sarà grazie alla sua macchina volante che Enola e gli altri giungeranno a Dryland.

Malvagio braccio destro del Diacono, avvicina Helen ed Enola fingendosi un amico. Sarà lui a indicare la presenza della piccola agli Smokers. Finirà però col fare i conti col Mariner.

Navigatore Kim Coates

Capo dell’atollo R.D. Call

Un altro vagabondo degli oceani che vive di baratto. Reso semi folle dalla solitudine, sfiderà il Mariner dopo aver contrattato i “favori” di Helen, ma andrà incontro a una brutta fine.

di spunti di riflessione. L’uomo che, retrocesso in una società arcaica, si rifugia nel mito è un tema mutuato all’antropologia; altro elemento della trama che non viene sviluppato a dovere, ma fatto solo assaggiare allo spettatore – lasciato poi a bocca asciutta – è l’accenno a una esasperata logica evoluzionista darwiniana: il corpo muta e sfrutta le proprie capacità di adattamento in funzione dell’ambiente. E Costner che si ripropone nelle vesti di outsider non ha del malvagio. È un attore adatto a ricoprire ruoli da antieroe, ma in questo caso esagera facendo il verso a Mad Max, pietra miliare del genere postapocalittico e al tempo stesso paragone decisamente ingombrante. Sarebbe stato più intelligente evitare il confronto diretto. Gli Smokers ricalcano palesemente i balordi della

Capo carismatico che amministra l’atollo. Suo malgrado, deve spesso ricorrere alle maniere forti per mantere l’ordine. Sarà uno dei pochi privilegiati che metteranno piede su Dryland.

pellicola che rese celebre MEL GIbSON, ma l’eccessiva enfatizzazione li rende una fotocopia ingiallita e prevedibile. Se Waterworld avesse osato l’umiltà di definirsi B-movie, oggi sarebbe un classico degno del miglior fuori sincrono di Ghezzi. Se gli sceneggiatori non avessero steso il copione dentro una fumeria d’oppio, il film potrebbe addirittura appartenere al genere fantascientifico piuttosto che a quello fantastico. Occhio alle definizioni però: non un Fantasy stile “Signore degli Anelli”, perché ciò che è davvero fantastico non è tanto la trama, quanto il protagonista mutante che vanta di avere i piedi palmati una scena sì e due no. Gli addetti al trucco devono aver preso il largo in compagnia del regista. n Romina Perugini

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I PIRATI DELLO SPAZIO

(The Ice Pirates - S. Raffill, 1984) di Davide Mana

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olto tempo dopo le grandi guerre interplanetarie, la galassia si è prosciugata. L’acqua è ormai diventata l’unica cosa che ancora abbia valore. I Malvagi Templari del pianeta Mithra hanno assunto il controllo di questa risorsa vitale. Il loro potere è assoluto, se si eccettuano pochi pirati ribelli che sopravvivono rubando il ghiaccio dalle grandi flotte templari.” La storia del cinema – e più in generale della narrativa – è costellata di opere eminentemente dimenticabili, e che tuttavia rimangono aggrappate alla nostra memoria per un singolo elemento notevole. Tutti noi possiamo stilare la nostra personale classifica di film, fumetti, romanzi, che potremmo anche dimenticarci, che magari vorremmo dimenticarci, se non fosse che… Il recensore, ad esempio, si libererebbe volentieri del ricordo tanto di Leviathan quanto di Space Vampires, ma i tentacoli appiccicosi della sua memoria continuano ad aggrapparsi disperatamente alle forme di Amanda Pays e Mathilda May, rispettivamente. Consideriamo per esempio I Pirati dello Spazio (The Ice Pirates), B-Movie del 1984 messo insieme da STEWART RAFFILL, regista e soggettista noto per uscite come il dignitoso The Philadelphia Experiment (1984, con Michael Paré e Nancy Allen) e il ben più dubbio Mac and Me (1988, una specie di E.T. L’extraterrestre di seconda classe), in questa occasione in combutta con lo sceneggiatore STANFORD ShERmAN,

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Cinema: I Pirati dello Spazio


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Scheda

principale responsabile del flop fantasy Krull (1983). Per nostra fortuna. I due sono artefici della sceneggiatura, mentre al La trama: Jason è un bonario e maldestro pirata solo Raffill si deve la regia di una pellicola che, di per spaziale che sbarca il lunario insieme alla sua ciurma sé debole, viene rimpolpata rubando qualche metro di di allegri cialtroni rubando e rivendendo ghiaccio, in girato da Rollerball e da La Fuga di Logan, e un effet- una galassia ridotta alla sete dalle speculazioni dei to sonoro da Tron. Templari Mithroidi. Distribuito dalla MGM, il film non lascia un’imCatturato con alcuni compagni dopo un goffo arpronta duratura sulla storia del cinema, e persino Leo rembaggio e un ancor più impacciato tentativo di rapiil Leone pare un po’ in imbarazzo mentre ruggisce pri- re la principessa Karina, il nostro eroe sfugge a un dema dei titoli. stino peggiore della morte solo accettando uno strano Difficile trovare un aggettivo che descriva I Pirati accordo offertogli proprio dalla sua presunta vittima e dello Spazio e che vada al di là di “sgangherato”. ora padrona. Sgangherato nella trama. La bella (ne dubitavate?) Karina è disposta a salSgangherato nel dialogo. varlo dalle ganasce del castratore meccanico con conSgangherato nella regia, negli effetti speciali, nel seguente vita di schiavitù in parrucca candida e tutina design dei set e dei costumi, questo film s’innesta nel tipo aerobica, se lui l’aiuterà a ritrovare suo padre, filone di fantascienza a basso costo endemica negli anni Ottanta. A voler essere clementi, la sceneggiatura poTitolo originale: The Ice Pirates trebbe passare per un episodio perduto del Buck Produzione: USA, 1984, Rogers con Gil Gerard, nell’offrirci un futuro Metro-Goldwyn-Mayer (MGM) visto attraverso gli occhi di quel periodo, con Durata: 91 minuti polpose principesse spaziali cotonate e vestite di Regia: Stewart Raffill lustrini, discoteche fitte di neon, robot imbranati, Storia: Stewart Raffill, Stanford Sherman computer con tutta la “potenza” di 64K di RAM, Fotografia: Matthew F. Leonetti battaglie spaziali fra modellini di plastica (e che Montaggio: Tom Walls sono di plastica lo si vede), dialoghi assolutamenScenografia: John M. Dwyer te inesistenti. Musica originale: Bruce Broughton Con una struttura del genere, con una tale scarCostumi: Daniel Paredes sità di mezzi, l’unica opzione è non prendersi sul Produttore: John Foreman serio, e di sicuro I Pirati dello Spazio non lo fa.

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scomparso da tempo (è stato rimpiazzato da un androide). È l’inizio di una lunga sarabanda costellata di improbabili capitomboli, con l’equipaggio di Jason sulle tracce del perduto genitore e i Templari sulle tracce dei pirati. Il padre di Karina è infatti l’unico a conoscere l’ubicazione esatta del leggendario Settimo Pianeta,

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l’ultimo luogo nella galassia dove l’acqua abbondi, situato, come scopriremo (colpo di scena!), oltre il time warp. Che non è il ballo col quale si apre il Rocky Horror Picture Show ma una “distorsione spazio-temporale”. Ci sono delle buone trovate, ne I Pirati dello Spazio. La miscela di tecnologia high e raccogliticcia con la quale sono equipaggiati i pirati, con laser e scimitarre, animali da cortile e robot, promette un’atmosfera molto meno asettica di tanta fantascienza di cassetta. MIChAEL D. RObERTS, veterano di diecimila serie e TV movie dei quali non è mai stato protagonista, è ancora una volta la spalla di turno: nel ruolo di Roscoe, braccio destro di colore di Jason e genio della robotica, riesce a dare quasi una piega postmoderna al personaggio, giustiziando senza pietà certi cliché razziali. “Perché lo hai fatto nero?”, gli chiede Jason nel vedergli ultimare l’assemblaggio di un robot. “Perché volevo che fosse perfetto”, risponde Roscoe. Ma è poco, e regista e sceneggiatori vi dedicano scarsa attenzione, preferendo lasciare spazio a trovate discutibili e… sì, avete indovinato, sgangherate: robot che sembrano uomini in costume da robot, pettorute amazzoni spaziali in groppa a unicorni, la Donna Rospo (sorvoliamo), il videogioco “Space Invaders” usato come interfaccia dei cannoni laser, una scena d’inseguimento nel deserto con una grande voglia di Interceptor (ma una struttura da commedia di Mac Sennett), il “robo-pimp” che adesca malcapitati fuori

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dalle discoteche, una testa senza corpo, e l’obbligatoria scena di sesso (molto castigata, in retrospettiva) con effetti speciali tipo tempesta e pioggia gelata (un lusso, in una galassia priva d’acqua). E, naturalmente, lo “space herpes”, sorta di variante a bassissima gradazione di Alien (esordisce esplodendo da un tacchino arrosto e finisce schiacciato sotto ad un tacco). Arrivati a due terzi della pellicola, ci si domanda come abbiano fatto attori come il pur bravino RObERT URICh (Spenser nell’omonimo telefilm e in una lunga serie di film per la TV) o – molto più grave – l’eccellente ANjELICA HOUSTON, a cascare in questo baraccone, per di più con addosso dei costumi che paiono scarti del guardaroba di Conan il Barbaro. Il resto del cast allo sbaraglio, oltre al già citato M.D. Roberts, include una particina per l’iconico JOhN CARRADINE, qui nei panni del vecchio e malato Comandante Supremo, un ruolo per un giovanissimo RON PERLmAN, molto lontano da ben più sofisticate interpretazioni successive, e l’opportunità per MARY CROSbY (figlia di Bing Crosby) per mettere in mostra le proprie grazie. Il resto è routine, solo sgangherata routine, con battute a doppio senso abbastanza fuori luogo, effetti speciali imbarazzanti e la snervante impressione che tutti – gli attori, i robot, persino lo space herpes – stiano insistentemente strizzando l’occhio alla macchina da presa, come a voler dire “Hey, ragazzi, stiamo scherzando!” E tuttavia, anche in questa pellicola piena di buchi

ed effettacci mediocri, c’è un’idea che non se ne vuole andare dalla memoria dello spettatore. Perché il Settimo Pianeta, motore e scopo di tutta la cerca, si trova appunto, come dicevamo, oltre il time warp. E, attraversando la distorsione, ecco che il tempo accelera in maniera imprevedibile: i protagonisti invecchiano a vista d’occhio, l’anziana tata della principessa incartapecorisce e si tramuta in uno scheletro, mentre barbe fluenti compaiono su menti precedentemente glabri, e gli abiti si sbrindellano per l’età. Non sarebbe nulla di non visto mille volte in altri film o in serie come Star Trek, se non fosse che tutto ciò accade mentre gli eroi e i loro antagonisti sono coinvolti in una battaglia frenetica, che si trascina per i corridoi dell’astronave fino a concludersi in una vasta stiva candida, citando tutti i cliché del più classico cinema di pirati. L’azione tuttavia procede a strappi, nell’erratico fluire del tempo, e ciò determina imprevisti ribalta-

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menti di situazione; il figlio di Jason e Karina, concepito durante la scena della doccia, ha il tempo di venire partorito in velocità in un angolo, svezzato, addestrato alla scherma, equipaggiato, e può infine scendere in campo, giovane aitante e di belle speranze, per salvare il proprio anziano genitore nel duello finale. Tutto in dieci minuti di caos assoluto, competentemente coreografato, nel quale neppure la povertà delle

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scenografie può ottundere il filo tagliente di quell’unica idea – una battaglia lunga una vita, incapsulata in pochi attimi frenetici; oppure pochi attimi di combattimento estesi, stirati come un elastico su tutta un’esistenza. Meraviglie dello spazio einstein-roseniano. Certo, i mezzi tecnici a disposizione del regista sono miserrimi, e la perizia stessa di Raffill non gli permette grandi giochi di macchina, o sottigliezze di montaggio che avrebbero reso quest’unico concetto veramente straordinario. Possiamo solo immaginare cosa avrebbe (o cos’ha?) fatto un regista visionario come Kubrik, con un’idea del genere. O anche solo un furbastro come Roger Corman. Invece, il destino ha voluto dietro la macchina da presa Stewart Raffill, inadeguato di fronte al solo spunto che la trama gli offrisse per diventare un grande regista; e il fatto che quella scena ci rimanga in mente tanto a lungo è più una testimonianza dell’originalità del concetto che non un tributo alla maestria del director. Quindi, un film mediocre, che spreca un cast più che dignitoso su uno script scassato, ma anche una pellicola in fondo divertente, che non si macchia del peccato mortale di prendersi sul serio, e che ci regala uno dei combattimenti finali più memorabili della storia del cinema di Serie B. Non si potrebbe chiedere di più, a un titolo come I Pirati dello Spazio. n Davide Mana

Cinema: I Pirati dello Spazio


FANTASCIENZA Jason Robert Urich

Principessa Karina Mary Crosby

Maldestro e sbruffone pirata spaziale, leader carismatico dei fuorilegge ed eroe riluttante della nostra avventura; è in fondo un ingenuo, ma pieno di faccia tosta. L’incontro con la principessa Karina gli sarà fonte di grossi problemi.

L’estemporaneo tentativo di rapirla da parte di Jason frutterà al pirata solo un mucchio di guai. L’indomita principessa deciderà infatti di servirsi proprio dell’equipaggio pirata per ritrovare suo padre, misteriosamente scomparso.

Roscoe Michael D. Roberts Meccanico dallo spirito rinascimentale specializzato in robotica; è la voce della coscienza (e della prudenza) di Jason, al quale si affianca fedelmente in ogni avventura. Sogna di costruire il robot perfetto, ovviamente di colore.

Zeno Ron Perlman Compagno di Maida (o così vagheggia lui) e artigliere di bordo dal carattere guascone. Durante un combattimento, in autentica atmosfera piratesca, gli viene mozzata una mano, che tuttavia gli verrà poi rigenerata.

Maida Anjelica Huston

Killjoy John Matuszak

Feroce donna pirata, pilota della nave spaziale di Jason; è lo spadaccino più formidabile tra i membri dell’equipaggio pirata: lo constaterà Patch dopo aver avuto l’ardire di importunarla.

Ricercato in fuga e pirata in prova, si unisce alla spedizione per mancanza di alternative. Possente nel fisico e coriaceo di carattere, si dimostrerà un validissimo aiuto per capitan Jason.

Zorn Jeremy West

Nanny Natalie Core

Il più potente fra i Templari, secondo solo al Supremo Comandante; ordisce la trama per sfruttare i pirati e scoprire per loro tramite l’ubicazione del Settimo Pianeta.

Lanky Nibs Robert Symonds

La tata pragmatica e imperturbabile, non intende permettere a un paio di pirati di impedirle di svolgere i propri compiti istituzionali. Muore nel Time Warp... ma non in modo definitivo.

Patch Rockne Tarkington

Viaggiò col padre di Karina fino al Settimo Pianeta; le poche informazioni che possiede non valgono lo sforzo compiuto per rintracciarlo, ma condurranno tuttavia i pirati fino a Wendon.

Infido capo della banda di fuorilegge che assale Jason e Karina durante la visita a Lanky Nibs. Già umiliato da Maida durante una rissa da saloon, nell’affrontare Jason gli andrà anche peggio.

Wendon Bruce Vilanch

Donna rana Marcia Lewis

Un cyborg dalla testa “smontabile”; lascia il proprio nascondiglio fra Amazzoni Spaziali e unicorni per condurre i pirati di Jason dal padre della Principessa Karina.

Originariamente creduta di sesso maschile, è un’aliena che possiede informazioni e mezzi essenziali per trovare Lanky Nibs; l’assistenza fornita a Jason le sarà fatale.

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Serie TV

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L’ISOLA DEL TESORO (Antonio Margheriti, 1987) di Cuccu’ssette

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cavallo tra gli anni Settanta e primi anni Ottanta, lo sceneggiato divenne uno dei momenti più attesi dei palinsesti televisivi serali, un rito collettivo consumato davanti ai teleschermi. In mancanza di videoregistratori, le puntate venivano “rivissute” nella memoria, rielaborate dalle chiacchiere della gente, fino a diventare un fenomeno di costume vero e proprio. Impossibile, per quanti siano cresciuti con questo tipo di spettacolo, non ricordarlo con grande affetto. Nella grande e coraggiosa varietà di tematiche e stili narrativi, ciascun spettatore poteva trovare personaggi in cui identificarsi e vicende appassionanti. Lo sceneggiato si era evoluto partendo dalle vecchie trasposizioni di romanzi famosi che erano state di moda nel decennio precedente: i teleromanzi. Rivisti oggi, magari su qualche canale satellitare a tardo orario, questi primi approcci alla narrazione televisiva paiono irrimediabilmente datati. Trasmissioni in bianco e nero sgranato, sceneggiature che imponevano ritmi lenti e fedeltà letterale ai testi trasposti, povertà di movimenti di macchina e montaggio essenziale; set tutti realizzati in interni, costumi, trucco e acconciature che interpretavano le diverse epoche con vistosa approssimazione, soggetti tratti da opere famose messi in scena con mezzi inadeguati alle pretese, attori importati dal teatro, seri professionisti magari un po’ impacciati nelle scene d’azione... C’è di che sorridere, eppure furono quelle ingenue riduzioni televisive di classici della letteratura mondiale a spianare la strada a successivi piccoli cult. Tra la metà degli anni Settanta e il decennio successivo le pretese dello spettatore, fattosi più smaliziato, crebbero, e le diverse produzioni dovettero sperimentare nuove strade. Nacquero così trasmissioni di vario genere che assorbivano, in parte, modi e forme proprie del cinema contemporaneo. Spesso erano coproduzioni realizzate dalla RAI insieme a TV di altre nazioni europee, interpretate da attori di prestigio; a volte

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SPAGHETTI SPACE OPERA L’Isola del Tesoro è uno di questi illustri dispersi della guerra dell’audience. È la trasposizione fantascientifica dell’omonimo capolavoro di Stevenson, realizzata nel 1987 da ANTONIO MARGhERITI, uno dei pochi autori italiani che si è dedicato a generi inconsueti, spesso usando lo pseudonimo anglosassone di ANThONY M. DAWSON. Questo sceneggiato comparve sui teleschermi in prima serata, in cinque puntate da 100 minuti l’una. Venne ben reclamizzato, con brevi spot precedenti e successivi ai telegiornali e alle trasmissioni più seguite, e ampi servizi giornalistici che ne rivelavano i “dietro le quinte”. Lo spettatore si trovò ad assistere a un esperimento ardito e costoso, realizzato forse sulla scia del successo della prima trilogia di Guerre Stellari. Dalla più celebre saga, la pellicola di Margheriti ereditava l’ambientazione avveniristica, la presenza di androidi, robot e alieni vari, le astronavi velocissime e un gusto per l’avventura quasi fantasy. Una “space opera”, ovvero Fantascienza che descrive mondi lontani, pervasa da un grande senso di meraviglia, dominata da una ferrea legge: nessuno pretende di spiegare i prodigi della tecnologia ricorrendo a pretesti scientifici o pseudo tali! Tuttavia lo sceneggiato non era completamente “space opera”: in esso confluivano la tradizione europea delle serie televisive, la voglia di riavvicinare giovani e meno giovani a un classico della Letteratura, la vocazione di trasporre le pagine con fedeltà rigorosa, i ritmi narrativi un po’ lenti, un cast internazionale.

Titolo originale: L’Isola del Tesoro Produzione: ITA/RFT, 1987, RAI, BAVARIA FILM, TF1 Films Productions Episodi: 5 da 100 minuti l’uno Regia: Antonio Margheriti Storia: Renato Castellani Tratto dal romando di: Robert Louis Stevenson Fotografia: Sandro Mancori Montaggio: Tullio Cordanti Effetti speciali: Antonio Margheriti, Edoardo Margheriti Musica originale: Gianfranco Plenizio

Scheda

sostenute da budget faraonici, offrivano un onesto e decoroso intrattenimento: Gesù di Nazareth, Ligabue, Michele Strogoff, Sandokan, Marco Polo… e moltissime altre. Riciclati come film – e in questo modo accorciati e inevitabilmente mutilati – hanno incontrato la allora nascente tecnologia del VHS e sono riapparsi, seppure nella forma destinata al grande schermo, in videocassetta. Alcuni di essi sono stati distribuiti solo in certe nazioni, e oggi si trovano sul web, ma in lingue generalmente poco conosciute, come il Cinese o il Giapponese. Altri attendono di essere recuperati da chissà quale archivio, oppure sono andati perduti. Il grosso delle produzioni che non hanno vissuto questa doppia vita sono scomparse e forse non le vedremo più, nemmeno in versione ridotta!

La vicenda si snodava proprio come quella narrata da Stevenson; unica differenza: la rivisitazione di ogni dettaglio in chiave fantascientifica. Non c’erano più galeoni, ma navi spaziali; non isole, ma pianeti, e così via. Margheriti ci fa immaginare che, in un futuro distante – ma neanche troppo – dal nostro presente, la tecnologia abbia permesso viaggi verso pianeti lontanissimi, e il cosmo sia percorso da commercianti, esploratori, contrabbandieri, pirati. Gimmi è un ragazzino, vive con la madre in una locanda malandata, nella piana di Siracusa, tra rovine di templi e veicoli polverosi lasciati ad arrugginire in uno spazioporto abbandonato. L’incontro con un moribondo pirata spaziale e il dono della mappa di un tesoro nascosto su un altro pianeta danno l’avvio all’avventura. Il giovane parte sull’astronave Hispaniola con a bordo un cuoco di nome Long John Silver, uomo dal passato misterioso e dal corpo tenuto insieme con protesi di ogni genere... il resto ve lo lascio immaginare… Secondo le intenzioni dell’Autore, ribadite in diverse interviste, non era importante la vicenda in sé, quanto la sua universale immortalità. Il presupposto era e rimane attualissimo: si tratta di dimostrare come i veri capolavori della Letteratura – e dell’Arte – facciano leva su emozioni e comportamenti così radicati nell’essere umano da trascendere epoche e culture. Cambiano gli ambienti, gli abiti, gli utensili, eppure i sentimenti delle persone restano più o meno inalterati; l’Arte è tale proprio perché sa cogliere ciò che permane nel tempo, e può restare attuale nonostante il trascorrere dei secoli e il susseguirsi delle civiltà. Di conseguenza, lo sceneggiato mescolava sen-

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za riserve l’antico e il postmoderno, rovine greche e spazioporti, Piazza Navona e grattacieli e monorotaie, guerre stellari, diavolerie tecnologiche, e sogni e speranze di un adolescente: Jim o, piuttosto, Gimmi. Come non dirsi d’accordo con la dichiarazione dello stesso Margheriti: “È molto più emozionante un mediocre modellino di astronave attaccato ai fili, che non un’intera città sospesa nel cielo, se si intuisce che è solo un disegno animato”! Una lezione che, soprattutto nella Fantascienza d’oltreoceano, viene dimenticata ogni volta in cui si crede che i prodigi delle tecniche digitali possano sopperire a carenze di idee o all’incapacità di emozionare mediante la finzione e la poesia. Non è un caso se gli effetti speciali erano all’avanguardia, rispetto agli standard televisivi dell’epoca, e per le tecnologie disponibili prima dell’avvento della grafica digitale. Soprattutto i modellini, ricostruiti da artigiani specializzati, parevano verosimili, almeno a uno sguardo non troppo viziato dai miracoli di Lucas. POTRANNO ESSER PRINCIPI, POTRANNO ESSER RE… ERA AMORE O UN CALESSE? Lo sceneggiato poteva essere suggestivo proprio per le sue caratteristiche ibride: ancora oggi una buona fetta di cinema insegue la contaminazione di generi,

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sconfinando talvolta nel pastiche più dozzinale, alla ricerca di soluzioni innovative. C’erano stati illustri precedenti. SERGIO LEONE aveva dimostrato come fosse possibile realizzare un western di successo girandolo in Europa, con tanto di citazioni da KUROSAWA. Lo stesso Maestro del Sol Levante, ambientò tragedie di ShAkESpEARE (Ran-Re Lear, Il trono di sangueMacbeth) nel Giapppone feudale. Pur nella differenza di mezzi, ideologia, scopi e risultati artistici, Margheriti tentava un’operazione analoga a quella di certi film di Pasolini, che propongono tragedie greche in location situate nel sud del Marocco e nelle piazze romane, al suono di danze della Transilvania arrangiate da un musicista italiano, o ambientano la vita di Cristo tra le cave e i sassi di Matera. Il pubblico della metà anni Ottanta era però impreparato a tanta sperimentazione, né era attratto da trasposizioni di testi famosi, preferendo novità. La Fantascienza era di moda, eppure, nonostante il successo di Guerre Stellari, non si poteva certo dire che piacesse a tutti. Se le sale si riempivano di appassionati, i sofà casalinghi si popolavano invece di persone di ogni età spesso annoiate dalla narrazione tipica dello sceneggiato, disinteressate ad astronavi e pirati, già orientate verso personaggi più vicini all’esperienza di ogni giorno. Come ebbe a scrivere Proietti nel sonetto “La fiction”: I marescialli, li preti e li dottori So’ i personaggi che piaceno de ppiù. Si ffai ‘n’antro mestiere, so’ dolori Quanno reciti un firme alla tivvù. Te chiedi, “‘nce sarebbe un muratore? Un pilota, un postino, un cameriere? Fateme fa’ un commesso viaggiatore”. Gnente: dottore, prete o carabbignere. Allora te fai scrive un polpettone E te proponi come primo attore: un brigadiere che ggià sta in penzione e che cià un fijo prete innamorato che nun se sposa perché lei je more pe’ ccorpa de un dottore arcolizzato. La vivace satira dell’arguto attore riflette le mutate esigenze del pubblico contemporaneo, quelle stesse che, proprio alla fine degli anni Ottanta, hanno decretato prima l’ascesa delle biografie dei Grandi – mostrati nelle loro umane debolezze – e in seguito l’invasione dei film televisivi ispirati a storie vere, fino alla calata di un’orda di eroi della porta accanto: carabinieri, sa-

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FANTASCIENZA cerdoti, medici, avvocati, nonni, tate… Si può essere d’accordo o meno con lo spettatore che cerca ed esige, sul piccolo schermo, personaggi rassicuranti. Magari sono protagonisti più onesti dei vari Carlomagno impegnati a lasciare Ermengarda come fossero in una telenovela. Certo è che un pubblico del genere fatica a identificarsi negli archetipi di Stevenson, o di Margheriti, o di chiunque altro proponga eroi sovrumani, universali e immortali, per quanto possa narrare bene le loro gesta. Se poco vengono ammirate le peripezie del ragazzo coinvolto nel viaggio di iniziazione che lo farà avventuriero e uomo, neppure nasce simpatia per la vecchia canaglia John Long Silver, ambiguo come si rivela. L’ambientazione fantastica acuisce poi il divario dalla tanto bramata quotidianità. Il bravo telespettatore si trova davanti un linguaggio che conosce poco o non apprezza (astronavi, laser, robot, alieni!), e un soggetto che rammenta letture “comandate” da insegnanti e professori. A volte ha la pazienza di cogliere, sotto la forma resa avveniristica e accattivante per i più giovani, contenuti maturi; spesso però vuole solo rilassarsi davanti alla TV, magari dopo una giornata stressante. Quindi si arma di telecomando e cambia canale. All’indomani della trasmissione, infuriarono polemiche. Critici televisivi e giornalisti mossero accuse di ogni genere alla produzione, ritenuta da molti superflua, lontana dal gusto popolare, costosa e piena di pretese. Forse fu una manovra diretta a relegare i lavori del registra nella cinematografia di serie B. Lo sceneggiato era stato funestato da drammi: la morte di un direttore di produzione, il gravissimo malore del regista, le critiche tese a demolire la pellicola, e non ultima la tragica scomparsa del ragazzo che interpretava Gimmi, annegato in Sardegna pochi anni dopo. Un vero e proprio film maledetto! E allora, se L’isola del Tesoro ha un simile alone, perché non si è originato lo stesso miracolo che ha trasformato Il Corvo da ennesima storia di superuomini e vendette a blockbuster? Perché è scomparso dal palinsesto televisivo. È stato distribuito in videocassetta, in forma di film – ridotto addirittura da otto ore a due! – solo in nazioni molto lontane dall’Italia, come il Giappone. Nessun passaggio su emittenti private, né su canali satellitari. Non è in commercio in VHS o DVD, né si trova “di contrabbando”, ovvero riesumato da qualche amatore e diffuso in barba alle leggi sul diritto d’autore. Oggi le produzioni televisive sfornano miniserie e telefilm con la consulenza di un gran numero di

esperti. Molti di loro non hanno alcuna competenza in linguaggio cinematografico o teatrale, mentre la sanno lunga su comunicazione e psicologia. Devono svolgere indagini di mercato, conoscere abitudini e preferenze dello spettatore medio e, sulla base di esse, riuscire a orientare le scelte di sceneggiatori e registi. Nel migliore dei casi, agevolano la continua rincorsa all’indice di ascolto più alto possibile; nel peggiore, e spero sia solo un futuristico incubo ispirato da Orwell, manipolano gusti e tendenze, inducendo mode, bisogni, costumi e modelli di vita. Senza nulla togliere all’interessante e delicato operato di questi specialisti, mi piace ricordare com’era la televisione tra gli anni Settanta e Ottanta: vulcanica, sperimentale, a volte naif nei suoi intenti dichiarati educativi. In una parola, creativa. Se la Disney ha realizzato il suo film di animazione Il Pianeta del Tesoro, un debito con Margheriti e la sua sfortunata creazione c’è, e attendo solo che qualcuno possa riconoscerlo pubblicamente. Lo sceneggiato ha dalla sua l’impossibilità di fare un confronto tra memoria e realtà: uno spettacolo rimosso senza dare il tempo di capire, con una seconda visione, se era amore, il mio, o un calesse. n Cuccu’ssette

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Animazione

Animazione

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IL PIANETA DEL TESORO

(Treasure Planet - R. Clements, J. Musker 2002) di Antonio Tripodi

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rodotto nel 2002, questo lungometraggio animato (o meglio digitalizzato) della WALT DISNeY offre una gradevole e riuscita trasposizione fantascientifica del celebre romanzo per ragazzi di R.L. STEVENSON L’Isola del Tesoro. Ricorrendo a un soggetto letterario non originale, gli autori tornano alla classica formula dei celebri film targati Disney: prendere una storia nota, rimaneggiarla ed edulcorarla per poi vestirla con quanto di meglio offra l’arte grafica disponibile al momento. E se tutto ciò non costituisce un passo avanti nella concezione disneyana di cosa debba essere un film di animazione, si può almeno tirare un sospiro di sollievo rivedendo scorrere sullo schermo una “storia animata” degna di questo nome. Questo film, infatti, esce in un periodo in cui la casa americana affolla il mercato home video di sequel di dubbio gusto (Lilli e il Vagabondo II, Cenerentola II, La Carica dei 101 II) o si affida per i prodotti di punta (Atlantis l’Impero Perduto, del 2001) a palesi citazioni di altri film animati e non, o, ancora, tralascia del tutto i disegni per costruire opere in computer grafica dalla prima all’ultima sequenza. Tanto meglio, quindi, godersi un buon vecchio classico dell’avventura, ammirando il superbo lavoro di integrazione tra la grafica tridimensionale e disegni vecchia maniera esaltati da animazioni fluidissime e da ambienti ricostruiti in modo cinematografico. La vena letteraria di Stevenson fornisce una storia avvincente, mentre al resto pensa lo staff della Disney: se lo spettatore adulto o distratto si annoia per qualche minuto, presagendo lo scontatissimo lieto fine, è sufficiente il livello raggiunto dai dettagli e dalle animazioni per convincerlo di non stare sprecando il proprio tempo. In Italia la distribuzione del film è stata sostenuta dalla martellante programma-

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Animazione: Il Pianeta del Tesoro


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zione radiofonica del brano “Ci sono anch’io”, tratto dalla colonna sonora e adattato per l’interpretazione di MAX PEZZALI. Trama Il film ricalca abbastanza fedelmente il romanzo originale: un vecchio pirata di nome Billy Bones, braccato dalla ciurma di Long John Silver, giunge alla locanda “Admiral Benbow” appena in tempo per consegnare al giovane Jim Hawkins la mappa che conduce al favoloso tesoro del leggendario pirata Flint. Sotto la tutela del dottor Doppler, il ragazzo si imbarca su un’astronave per raggiungere il Pianeta del Tesoro, ignaro del fatto che Silver sia già a bordo in veste di cuoco e che l’equipaggio aspetti solo un suo segnale per ammutinarsi. Dopo la rivolta, Jim fugge fortunosamente sul pianeta ormai vicino insieme a Doppler e al capitano Amelia, ma Silver riesce lo stesso a sottrargli la mappa e a ritrovare il tesoro di Flint. Le ricchezze tanto agognate sono però protette da una trappola mortale, e il finale si risolve in una rocambolesca fuga all’ultimo secondo dal pianeta in procinto di esplodere. Questa storia avventurosa fa da cornice a un altro sviluppo, nuovo rispetto al soggetto originario, ma ormai consueto nell’animazione disneyana, ovvero il viaggio di formazione del giovane protagonista. Jim infatti è cresciuto senza il padre, litiga continuamente con la madre e ha scarsa fiducia in sé stesso, mentre sulla nave spaziale il pirata Silver lo aiuta a crescere insegnandogli senso di responsabilità e autostima, e impartendogli dure lezioni di vita. Il ragazzo supera persino il trauma del tradimento da parte dello stesso Silver – che poi si riconcilia con lui rinunciando al tesoro – e “mette la testa a posto”, aprendosi con fiducia a un futuro pieno di promesse.

Commento Data la fedeltà alla storia originale, l’ambientazione fantascientifica è più che altro fine a sé stessa. La nave spaziale somiglia a un veliero seicentesco che si libra nel cielo siderale, dove venti solari ed esplosioni di supernove sostituiscono le brezze e i vortici marini; le armi sono di foggia antica ma sparano raggi laser; la mappa del tesoro proietta immagini luminescenti in tre dimensioni… Ironia della sorte, in un mondo in cui ogni attività umana è svolta con l’aiuto dell’alta tecnologia, al povero Jim tocca spazzare pavimenti e lavare piatti con i metodi più antiquati e tradizionali che si possano immaginare: evidentemente una lavastoviglie mal si abbina a una nave dotata di un generatore di gravità artificiale! Tuttavia questo singolare miscuglio di anacronismi, tecnologie futuristiche e viaggi spaziali non è affatto sgradevole. Alla raffigurazione di un ambiente coerente è stata preferita, con una scelta probabilmente azzeccata, una pittoresca e divertente varietà figurativa che coniuga le tecnologie futuristiche con l’eleganza delle linee di un antico veliero o delle uniformi d’epoca.

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Animazione FANTASCIENZA I classici animali parlanti dei film disneyani, simbolo di storie che si esprimono per metafore a un pubblico giovanissimo, sono sostituiti da strane razze aliene (solo Jim e sua madre sono completamente umani) che contribuiscono a spostare il target verso un pubblico di età adolescenziale. Il Pianeta del Tesoro prosegue quindi nel solco tracciato da Atlantis, in cui non ci sono bambini con ruoli importanti. Per allargare il contesto, possiamo comunque ricordare che la Disney aveva già cominciato da qualche tempo ad andare oltre le semplici storielle di animali: dopo il vertice raggiunto con Il Re Leone, probabilmente ineguagliabile nel suo genere, è arrivato Pocahontas, un lavoro con personaggi umani calati in un ben preciso contesto storico, anche se in netto ritardo rispetto a quelli che sono da decenni gli standard tematici dell’animazione giapponese, o al fenomeno de I Simpson. Proprio questi ultimi, nel loro recente lungometraggio, fanno il verso a scene di Bambi divenute emblema di storie animate graficamente perfette ma tematicamente povere. Negli ultimi anni, insomma, anche alla Disney si sono messi di buona lena a recuperare il “tempo perduto”, complice l’impulso decisivo arrivato in questo senso dalla concorrente DReAmwORKS. L’ultimo problema da affrontare, per come appare dai film prodotti, sembra essere quello di trovare un soggetto che si scosti dal repertorio favolistico; problema risolto, ne Il Pianeta del Tesoro, riproponendo una vecchia ma sempre efficace storia d’avventura, evitando il collage di film d’azione relativamente recenti proposto nel precedente Atlantis. Questo aggiornamento nel target di pubblico e nei contenuti è però condotto in modo leggermente stereotipato: Jim Hawkins non è il ragazzo obbediente del romanzo, né il monello dei racconti di Twain, né uno scavezzacollo senza pensieri come il leoncino Simba che canta per tutto il giorno “Hakuna Matata”. Jim è un adolescente capace di costruirsi da solo una specie di spazio-surf (come un ragazzo di oggi potrebbe truccare il motorino o assemblarsi il computer) ma incapace di prendere un voto decente a scuola, è pieno di qualità ma scostante e deluso dalla famiglia. Capelli a caschetto, orecchino, mani nelle tasche del giubbotto, sguardo imbronciato, afflizione per l’abbandono del padre: il suo personaggio è costruito per rappresentare una generazione di ragazzi dal cuore tenero ma insofferenti e disadattati, per i quali è subito pronta una

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FANTASCIENZA

ricetta infallibile che possa ricondurli felicemente nell’alveo della normalità e sulla strada del successo. A Jim saranno risparmiati gli squallidi vagabondaggi del giovane Holden; per lui è pronto il più classico percorso di formazione esaltato da secoli di letteratura, ovvero il viaggio, meglio se irto di difficoltà, con una meta difficile da raggiungere e, soprattutto, affrontato “senza arrendersi mai”. Ormai abituati alla tragicomica irriverenza di Bart Simpson, la proposta disneyana può apparire troppo conforme a standard sociali (legalità, benessere, successo personale) che non godono più dello status di dogmi assoluti, o, d’altra parte, eccessivamente buonista e utopistica. Questo film ha comunque il merito di presentare una vicenda che, al di là del suo valore come pietra di paragone della realtà, è coerente ed efficace all’interno della finzione narrativa. Durante il viaggio alla ricerca di sé, Jim dovrà sfuggire alla tentazione del vittimismo e mettere al servizio degli altri le sue doti, e lo farà in modo tutto sommato convincente, tra alti e bassi, senza illusioni e con molta concretezza. Il personaggio chiave di questo sviluppo è John Silver, elemento portante dell’intero film. Durante il viaggio assume il ruolo di un padre per Jim, e tra i due si instaura un sincero rapporto di fiducia. Dopo l’ammutinamento e il voltafaccia del pirata, il ragazzo precipita di nuovo nello sconforto e nella disillusione, che però non gli impediscono di adoperarsi in aiuto dei compagni in difficoltà. Infine, è grazie al ravvedimento di Silver e alla rinnovata fiducia che quest’ultimo ripone in lui che Jim può superare di slancio le sue paure. Il vecchio pirata funge quindi da riferimento per il ragazzo durante le fasi della sua crescita: all’inizio lo responsabilizza, poi lo costringe a una prova di te-

nacia con il suo tradimento e infine gli regala un nuovo avvenire. Con Silver, la trama abbandona anche il classico cliché del cattivo da battere a ogni costo, perché di fatto tutti i personaggi principali devono mettersi in gioco e crescere parallelamente a Jim, a cominciare proprio dal pirata che ha in realtà un cuore d’oro. Lo schema del romanzo di formazione è insomma applicato anche a Silver, che giunge infine a salvare il ragazzo rinunciando al tesoro di Flint, in ossequio al vecchio detto secondo cui un vero amico vale più dell’oro; davanti a una tale redenzione e a un simile tripudio di buoni sentimenti, la stretta applicazione della legge sarebbe quasi un delitto, perciò alla fine il pirata è lasciato libero di proseguire il suo vagare per l’universo. Silver è un personaggio singolare, composito e contraddittorio fin dal suo apparire in veste di cyborg: con la sua gamba artificiale e la sua cattiveria ricorda il celebre Gambadilegno dei fumetti, grazie al suo cappello a tricorno e al braccio robotico esprime bene il mix di antico e futuristico che caratterizza la veste grafica del lungometraggio. La sua riabilitazione può sembrare in qualche modo sdolcinata – e forse lo è –, dato che la complessità e le zone d’ombra del personaggio sono cancellate nel finale o retrocesse in secondo piano, al fine di assicurare un lieto fine aperto anche a lui (anzi a tutti). Viene però tracciato in questo modo un percorso di crescita parallelo che coinvolge idealmente tutti quei “grandi” dai quali dipende il futuro dei vari Jim a cui il film è diretto. Ragazzi e adulti maturano contemporaneamente e anche questo elemento, al di là del messaggio, arricchisce la storia. n Antonio Tripodi

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Storia

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FANTASY

I PIRATI IN EPOCA CLASSICA di Stefano Baccolini

Dioniso e Cesare: due rapimenti illustri Inno VII, 1-59 [VII secolo a.C. (?)] Testo tratto da: Omero, Inni omerici, a cura di F. Cassola, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1975 Dioniso, figlio di Semele gloriosa Io ricorderò: come egli apparve lungo la riva del limpido mare, su di un promontorio sporgente, simile a un giovanetto nella prima adolescenza; gli ondeggiavano intorno le belle chiome scure; sulle spalle vigorose aveva un mantello purpureo. E presto, nella solida nave, apparvero veloci, sul cupo mare, pirati tirreni: li portava la sorte funesta. Essi, al vederlo, si scambiavano segni Dioniso naviga su un battello circondato fra loro: rapidamente balzarono fuori, e subito da delfini, raffigurato in una kylix (un’antica afferrandolo, lo deposero nella loro nave, coppa da vino con anse su un piede) in pieni di gioia nel cuore. […] ceramica dipinta, risalente al 530 circa a.C. Ovidio, Metamorfosi, III, 572-700 (I secolo d.C.) Testo tratto da: Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, traduzione a cura di P. Bernardini Marzolla, Einaudi, Torino, 1994 […]Quand’ecco che alla fine Bacco (Bacco era infatti), come se il chiasso l’avesse ridestato dal suo sopore e sfumata l’ebbrezza ritornasse in sé: “Che fate? Che chiasso è questo? – dice. – Ditemi, marinai, com’è che mi ritrovo qui? Dove volete portarmi?” “Non aver paura, – risponde Proreo, – e di’ a che porto desideri arrivare. Sarai sbarcato nel posto che vorrai”. “Puntate su Nasso, – dice allora Bacco. – Là è la mia dimora, quella terra sarà ospitale con voi”. Quei manigoldi giurano per il mare e per tutti gli dèi che così sarà fatto, e mi ordinano di sciogliere le vele al dipinto naviglio. […]

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Stele di Lemno

l mito ci trasmette un episodio interessante, il rapimento di Dioniso (Bacco per i Romani) da parte di pirati tirreni, facendo affiorare due importanti questioni. Da un lato il fatto che si parli di Tirreni ci introduce nell’annoso problema dell’origine, della provenienza e dell’area d’espansione di questa misteriosa popolazione; dall’altro ci si chiede quanto fosse giustificata la loro fama di pirati efferati. I “Tirreni occidentali” o etruschi: un popolo dalle origini misteriose La parola “Tirreni” è indissolubilmente legata agli Etruschi per merito del racconto di Erodoto (I, 94) nel quale lo storico greco tramanda la migrazione di alcuni Lidi, guidati appunto da Tirreno, figlio di Atys, re del regno anatolico. Molti studiosi hanno visto in questo mito e nelle note propensioni marittime degli Etruschi un indizio della loro affiliazione ai famigerati “Popoli del Mare”, che attorno al XII secolo a.C. misero a ferro e fuoco il Medio Oriente. All’epoca di Ramses III (1197-1165 a.C.), infatti, gli Egiziani subirono una vera e propria invasione da parte di un coacervo di popolazioni, alcune di identificazione sicura (come gli Achei o i Filistei), altre discussa ma non improbabile (come i Siculi e i Sardi), e altre ancora solo ipotetica; tra quest’ultime vi sono i Trš.w. nei quali molti hanno individuato i Tyrsenòi, cioè appunto i Tirreni delle fonti greche. L’identificazione di questi popoli, resa ancor più difficile dalla forma che i singoli nomi hanno assunto nella lingua egiziana, è stata ed è tutt’oggi incerta: per i Trš.w., ad esempio, in luogo del collegamento con i Tyrsenòi si è preferito instaurare una relazione con i toponimi – sempre anatolici – di Tarso o di Torrebo. Se i Tirreni facevano parte dei Popoli del Mare ed erano di origine anatolica, come la tradizione erodotea ci porterebbe a pensare, come arrivarono in Etruria? Si potrebbe supporre che essi continuarono le loro peregrinazioni nel Mediterraneo e nell’Egeo (come fecero del resto anche i Sardi, i Siculi e i loro altri compagni di viaggio), colonizzando e occupando nuove terre fino ad arrivare nell’odierna Toscana attorno al X secolo a.C. La tesi di una provenienza transmarina dei Tirreni pare avvalorata da una stele funebre ritrovata nel 1885 sull’isola di Lemno, nella quale si distinguono la fi-

gura di un guerriero e due iscrizioni in caratteri dell’alfabeto greco ma in una lingua molto simile a quella etrusca. A Lemno, dunque, la popolazione pre-ellenica parlava in tempi storici (VIII-VII secolo a.C.) un idioma simile a quello etrusco. A questa ipotesi sulla nascita della civiltà etrusca se ne aggiungono altre due: quella dell’origine autoctona e quella della provenienza settentrionale. Gli “autoctonisti” ritengono che il popolo etrusco sia un frutto originale e spontaneo della penisola, nato dalla fusione tra le popolazioni dell’età del Bronzo che praticavano l’inumazione e Protoitalici apportatori di un diverso sistema di sepoltura, l’incinerazione. I primi avrebbero conservato la loro lingua d’origine acquisendo, tuttavia, questa nuova pratica funeraria. Nell’antichità, solo Dionigi di Alicarnasso (I, 25 ss.) ha sostenuto, in controtendenza rispetto a quasi tutti gli autori che conosciamo, la tesi dell’origine autoctona, ma per ragioni meramente ideologiche (se Roma, infatti, viene nobilitata da Dionigi che la considera una città greca, occorreva per contrasto che tutti gli altri popoli italici fossero indigeni). In età recente, invece, quest’ipotesi ha riscosso molto successo

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Storia FANTASY soprattutto tra i glottologi, che hanno individuato affinità linguistiche tra l’etrusco (una lingua, come sappiamo, non di ceppo indoeuropeo) e la parlata delle popolazioni pre-indoeuropee diffuse nel Mediterraneo, parlata che si conservò anche a Lemno e presso gli antichi abitatori della Rezia. La tesi autoctona, tuttavia, è definitivamente naufragata di fronte ad alcune difficoltà di carattere archeologico: da una parte, moderne letture dei culti funerari hanno messo in discussione il fatto che siano stati degli Italici o dei Protoitalici a introdurre il rito sepolcrale dell’incinerazione tra gli Etruschi; dall’altra, si deve osservare che solo verso la fine del periodo villanoviano (VII secolo a.C.) la civiltà etrusca si afferma con un’identità sua propria, non prima. E la stessa cultura villanoviana – che, ricordo, non è una civiltà in senso etnico ma una civiltà “materiale” (identificata, dunque, sulla base delle caratteristiche dei resti materiali che ci ha lasciato) – non solo si presenta molto diversa rispetto alla cultura terramaricola che l’ha preceduta, ma ha anche manifestazioni sue proprie in varie parti d’Italia, ed evidenzia un’area di diffusione ben più ampia dello stesso territorio etrusco. La tesi “settentrionale” deriva, invece, da un fraintendimento di un passo di Livio (V, 33); ma, se anche gli assertori di questa ipotesi concordano nel negare una migrazione in età storica, non si può certo escludere che questa migrazione sia avvenuta in età protostorica. Del resto legami tra la cultura villanoviana, caratterizzata dalla pratica dell’incinerazione, e la cultura dei campi delle urne diffusa nella zona danubiana è innegabile. Meno rivoluzionaria di quello che sembra è pertanto la tesi di Mario Alinei che ha di recente destato molto scalpore sui giornali. Alinei ha osservato notevoli comunanze tra la lingua etrusca e la lingua ungherese, ipotizzando per gli Etruschi una provenienza simile a quella degli Ungheresi. Ma come è possibile giustificare storicamente questi indizi offerti dalla linguistica? Sappiamo che i Magiari giunsero in Ungheria nell’alto Medioevo; prima di loro si erano stabiliti lì gli Unni di Attila. Tra questi e i primi Etruschi erano già passati quasi duemila anni di storia. Alinei, tuttavia, sostiene che la

“Dionysos and the Pirates”, William Fahey www.deathless-art.com

PUBLIO OVIDIO NASONE, Sec. I d.C., Metamorfosi, III, 572-700 Ecco che i servi tornano, tutti graffiati, e quando il loro sovrano chiede dov’è Bacco, rispondono che Bacco non l’hanno visto. «Però – dicono – abbiamo catturato questo suo seguace e inserviente», e spingono avanti un uomo con le mani legate dietro la schiena, un tirreno che si era messo al seguito del dio. Penteo lo squadra con occhi che l’ira rende tremendi, e benché smani dalla voglia di punirlo seduta stante, dice: «O tu che ora morirai e che con la tua morte servirai da esempio per gli altri, di’ come ti chiami e come si chiamano i tuoi genitori, e di dove sei, e perché segui questi riti di nuovo conio». Quello ri­sponde, per nulla intimorito: «Mi chiamo Acete, sono della Meònia, e i miei genitori erano povera gente. Mio padre non mi ha lasciato campi da lavorare con duri buoi, non mi ha lasciato greggi lanute, o insomma del bestiame. Era anche lui un poveraccio, e usava accalappiare col filo e con l’amo i pesci guizzanti, e tirarli su con la canna. Quel mestiere era tutta la sua ricchezza; tramandandolo a me, mi disse: “Prenditi, erede mio e mio successore nel lavoro, i beni che ho”, e morendo non mi lasciò nient’altro

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FANTASY migrazione abbia avuto luogo nel III millennio avanti Cristo, con la cosiddetta invasione dei kurgan, genti venute in Europa dalle steppe a nord del Mar Nero. Genti che l’autore definisce turche. In effetti la lingua ungherese ha moltissimi elementi turchi che la distinguono da tutte le altre del ceppo ugro-finnico a cui appartiene. L’ungherese è diverso dalle lingue vicine così come l’etrusco da quelle italiche. Per Alinei sono entrambe lingue di popoli non autoctoni ma invasori. A questa ipotesi, come all’ipotesi “settentrionale” in generale, possiamo opporre le solite argomentazioni di matrice archeologica: se escludiamo una migrazione in età storica, non potremmo in altro modo giustificare le enormi differenze che separano la cultura villanoviana da quelle precedenti dell’età del Rame e del Bronzo. Oltretutto il legame tra la cultura kurgan e l’etnia turca pare non sia così assodato. Poiché non possiamo pensare che lo sviluppo di una civiltà sia avulso da influenze esterne, personalmente sono propenso ancora a dare credito a Pallottino quando metteva in guardia dalle eccessive schematizzazioni. Lo studioso italiano riteneva sì che gli Etruschi fossero nati in Italia, ma che avessero comunque ricevuto numerose influenze dall’Oriente e forse anche dal centro Europa. Questa specie di contaminazione dall’esterno avrebbe portato alla nascita della civiltà etrusca, che già agli occhi dei contemporanei si presentava come una vera peculiarità in ambito italico. Non deve necessariamente essersi trattato di una migrazione in grande stile: un gruppo di Tirreni provenienti da Oriente potrebbe semplicemente essersi stabilito in Etruria e, a fronte della propria maggiore organizzazione politica ed economica, aver assimilato – non senza forti influenze da parte loro – i precedenti abitanti. I Tirreni “Orientali” o Pelasgi La presenza di Tirreni a Lemno, confermata, oltre che da fonti archeologiche, anche da numerose testimonianze negli autori antichi come Tucidide (IV, 109) ed Erodoto, che li chiama Pelasgi (V, 26), dimostra che essi avevano un’importante area di espansione anche a Oriente. L’etnico “Tyrsenòi” è attestato per la prima volta nella Teogonia di Esiodo e fa riferimento a un popolo proveniente da Occidente, forse gli Etruschi d’Italia. L’etnico “Pelasgi” invece viene localizzato nel Peloponneso, in Arcadia, regione menzionata anche da Ecateo di Mileto il quale, oltre a conoscere la

che le distese d’acqua. È questa l’unica cosa che posso dire di avere avuto da mio padre. Ora io, per non stare sempre attaccato agli stessi scogli, mi misi a imparare come si gira il timone di un’imbarcazione, regolandolo con la mano, e m’impressi bene negli occhi la costel­lazione piovosa della Capra Olenia, e Taigete e le Iadi e l’Orsa, e studiai le case dei venti e i porti adatti alle navi. Per caso, di­retto a Delo, approdo alle spiagge dell’isola di Chio, accosto con i remi di destra, spicco agilmente un salto e mi slancio sull’umida rena. Passata lì la notte, l’aurora ha appena cominciato a rosseggiare, che mi levo e comando agli altri di andare a prendere acqua fresca, indicando loro la via per trovarla. lo rimango a scrutare da un’altura che cosa mi prometta il vento, poi richiamo i compagni e torno alla nave.» «“Eccoci qui!” grida Ofelte venendo avanti agli altri, e trascina per la spiaggia un fanciullo, e pare una vergine, la preda – così lo chiama – che ha trovato in un campo deserto. Quello sembra barcollare, come stordito dal vino e dal sonno, e seguirlo a fatica. Io osservo l’abbigliamento, l’aspetto e il modo di camminare. Non ci vedo nulla che possa sembrare d’un mortale. Ho questa sensazione e dico ai compagni: “Non so quale dio si celi in questo corpo, ma in questo corpo si cela un dio. Chiunque tu sia, oh aiutaci e assistici nelle nostre fatiche! Perdona anche costoro!”» «“Per noi puoi risparmiarti di pregare”, dice Dicti, uno insuperabile per velocità nell’arrampicarsi fino in cima all’albero e nel riscivolare giù avvinghiato a una fune. Libi gli dà ragione, gli dà ragione il biondo Melanto, la vedetta di prua, gli dà ragione Alcimedonte, ed Epopeo, quello che incitava l’equipaggio e con la voce scandiva le pause e il ritmo della voga. Tutti quanti gli dànno ragione, tanto la preda li acceca di bramosia. “Ma io non permetterò che su questo legno sia empiamente imbarcato un essere sacro, grido; – chi comanda qui sono io! “ E mi pianto sulla passerella per sbarrare l’entrata.» «Chi s’infuria con più tracotanza di tutti è Licabante, un tale che espulso da una città tirrena scontava con l’esilio un feroce delitto. Costui, mentre mi oppongo, mi fracassa la gola con un pugno potente, e con quella botta mi avrebbe scaraventato in acqua se non mi fossi aggrappato, benché mezzo svenuto, a una gomena, che mi trattenne. L’empia ciurma applaude a quella prodezza. Quand’ecco che alla fine Bacco (Bacco era infatti), come se il chiasso l’avesse ridestato dal suo sopore e sfumata l’ebbrezza ritornasse in sé: “Che fate? Che chiasso è questo? – dice. – Ditemi, marinai, com’è che mi ritrovo qui? Dove volete portarmi?”» «“Non aver paura, – risponde Proreo, – e di’ a che porto desideri arrivare. Sarai sbarcato nel posto che vorrai”. “Puntate su Nasso, – dice allora Bacco. - Là è la mia dimora, quella terra sarà ospitale con voi”. Quei manigoldi giurano per il mare e per tutti gli dèi che così sarà fatto, e mi ordinano di sciogliere le vele al dipinto naviglio. Nasso era a destra, e io metto le vele per andare a destra. “Che fai, scemo? Quale pazzia...” mi dice Ofelte. Ognuno è in ansia per sé. “ Vai a sinistra” , cercano di farmi capire i più con cenni, altri mi sussurrano nell’orecchio che cosa vuol dire. lo rimango sbalordito e dico: “Che la nave la guidi un altro! “, e mi scarico di dosso e le mie responsabilità di comandante e la responsabilità del misfatto.» «Tutti m’inveiscono contro e un brontolio serpeggia per tutta la ciurma. Uno, Etalione, dice: “Credi proprio che la sicurezza di tutti noi dipenda da te solo?” e si fa avanti e prende il mio posto e lasciando perdere Nasso punta in

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Storia FANTASY un’altra direzione. Allora il dio, prendendoli in giro, come se solo in quel momento avesse capito che lo imbrogliavano, dall’alto della poppa ricurva guarda il mare e fa finta di piangere e dice: “Non è questa, marinai, la costa che mi avevate promesso, non è questa la terra dove chiedevo di andare. Che ho fatto per meritarmi questa punizione? Che prodezza è la vostra a ingannare, grandi come siete, un bambino, a ingannare in tanti uno solo?” Io già piangevo da un pezzo: l’empia schiera se la ride delle mie lacrime e batte l’acqua con remate ancor più frettolose. Ora io ti giuro proprio per quel dio (e infatti non ce n’è uno che sia più presente di lui) che quello che ti racconto è tanto vero quanto sembra incredibile. La nave si arrestò in mezzo al mare proprio come se fosse al secco in un cantiere. Quelli, stupefatti, insistono a battere coi remi, spiegano tutte le vele, e si sforzano di andare avanti, se non con un mezzo, con l’altro. Piante di edera inceppano i remi è serpeggiando in un intrico di volute vanno ad addobbare le vele di grossi festoni. Lui, il dio, con la fronte ricinta di tralci e di grappoli d’uva, agita un’asta fasciata di pampini, e intorno gli stanno accucciate tigri e vuoti fantasmi di linci e corpi felini di leopardi chiazzati.» «Gli uomini saltarono su, o per il terrore, o perché colpiti da follia, e per primo Medonte cominciò a nereggiare per il corpo e ad incurvarsi, poiché la spina dorsale gli s’inarcava. Licabante gli disse: “Che mostro stai diventando? “, ma mentre ancora parlava già aveva un muso largo e le narici schiacciate, e la pelle, indurita, gli diventava coriacea. Libi, mentre cerca di girare i remi bloccati, vede le proprie mani guizzare indietro e contrarsi, mani che ormai non sono più mani e già si possono chiamare pinne; un altro, volendo allungare le braccia verso le funi impigliate, si ritrova senza braccia e con uno scatto del corpo mutilo si lancia giù in acqua: ha all’estremo una coda a forma di falce, curva come la falce della luna nascente. Da tutte le parti si tuffano, levando grandi spruzzi, riemergono, tornano sott’acqua, e intrecciano una specie di danza dimenandosi voluttuosamente e soffiando via dalle larghe narici l’acqua marina aspirata. Di venti che eravamo poco prima (ché tanti ne portava quella nave), restavo io, io solo.» «Gelato dallo spavento, tutto tremante, quasi non connettevo, ma il dio mi confortò dicendomi: “Scaccia dal cuore la paura, e in rotta per Nasso!” Sbarcato lì, aderii al suo culto, e così seguo i riti di Bacco.» Testo tratto da: Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, traduzione a cura di Bernardini Marzolla P., Einaudi, Torino 1994 Fonte: ICONOS • www.iconos.it

tradizione della cacciata dei Pelasgi da Atene, cita pure la Tessaglia come sede di questa popolazione. I Tirreni vengono, poi, menzionati da Sofocle e da Ellanico. Il primo, nel dramma perduto Inachos, scrive: “Fluttuante Inaco, figlio del padre delle fonti, dell’Oceano, grandemente signoreggi le terre d’Argo e i colli di Hera e i Tirreni Pelasgi” (in Dionisio di

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Alicarnasso, Antichità romane, I, 25). Dal canto suo Ellanico, nel V secolo a.C., sembra ormai accettare l’identificazione tra i due etnici: “i Tirreni (Etruschi) prima si chiamavano Pelasgi, e presero il nome che ora hanno dopo essersi stanziati in Italia [...] dove occuparono quella che noi oggi chiamiamo Tirrenia” (Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 28). L’Attidografo Filocoro, vissuto tra il IV e il III secolo a.C., mostra di avere ormai del tutto recepito l’identificazione Pelasgi-Tirreni riportando un episodio noto come “mito Pelasgico” in questi termini: “Molti Tirreni (non Pelasgi, dunque, ndr) che avevano abitato per breve tempo ad Atene furono uccisi dagli Ateniesi. Altri fuggirono ed andarono ad abitare a Lemno e ad Imbro. Dopo un po’ di tempo, essi, che per questa ragione si sentivano disposti ostilmente verso gli Ateniesi, partirono dalle loro isole con le navi e, giunti a Brauron nell’Attica, rapirono le fanciulle che celebravano la Festa dell’Orso in onore di Artemide, e con queste si accoppiarono” (F.H.G., I, pag. 384-5 Schol. Lucian. Catapl., I). La situazione che ci si prospetta è la seguente: Esiodo sarebbe stato forse ignaro dell’identificazione delle due popolazioni attorno al VII secolo a.C., Erodoto stesso parla di Pelasgi e di Tirreni senza mettere in alcun rapporto queste due popolazioni. Lo storico greco ci racconta, infatti, da un lato la mitica migrazione dalla Lidia di alcuni uomini guidati da “Tirreno”, dall’altro il così detto mito Pelasgico, che avrebbe coinvolto i Pelasgi in alcune complesse vicende con gli Ateniesi di cui si è già brevemente riferito in una testimonianza. Dunque solo dopo il V secolo tale identificazione sarebbe considerata assodata (con l’eccezione di Erodoto che aveva forse necessità di distinguere le due genti). Possiamo supporre, altresì, che Esiodo ignorasse l’esistenza dei Tirreni orientali o Pelasgi e forse, nel VII secolo, i Tirreni si trovavano solo a occidente e tornarono in Grecia e nell’Egeo con una sorta di migrazione di ritorno (è possibile leggere questa tesi sul sito di Alberto Palmucci nella sua “Diaspora etrusca”, oltre a trovare questa ipotesi espressa in più riprese da De Simone). Più credibilmente, a mio parere, il legame tra Etruschi e Lemni è giustificabile per l’appartenenza di entrambe le popolazioni a un substrato comune, che potremmo definire pre-ellenico o forse pre-indoeuropeo: non potremmo, infatti, giustificare in altro modo i Reti etruscoidi.

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FANTASY Oltretutto l’archeologia non ci documenta alcun legame significativo tra Etruschi della penisola e Lemni, se non, appunto, uno linguistico. I pirati Tirreni Sappiamo che c’erano dei Tirreni in Oriente e che i due etnici, quello di Pelasgi e di Tirreni, tendono a sovrapporsi in questa zona, ma non esistono prove che i pirati del mito fossero appunto, dei “Tirreni Orientali”. È stato ipotizzato, infatti, che essi possano essere stati degli Etruschi impegnati in commerci ed azioni piratesche in Oriente. Il mito omerico non ci offre alcuna indicazione di tipo geografico, ma nella narrazione ovidiana è chiara l’identificazione tra pirati Tirreni ed Etruschi: il più violento dei pirati, Licabante, viene descritto come un esiliato da una città dell’Etruria. Questa, a mio parere, rimane però una prova non conclusiva. I Romani avevano, come ovvio, maggiore familiarità con gli Etruschi e non si ponevano gli stessi problemi etnografici dei moderni, tutt’altro. Possiamo, comunque, ragionevolmente supporre che l’episodio, se pur mitico, testimoni una situazione storica, cioè l’attività commerciale e piratesca dei Tirreni nell’Egeo. Se essi fossero, poi, Etruschi o Tirreni orientali non sembra possibile determinarlo con certezza anche se propenderei per la seconda ipotesi. La studiosa Giuffrida Ientile ha esaminato con accuratezza il fenomeno della pirateria tirrenica ripercorrendo i periodi che potrebbero essere stati caratterizzati da frizioni tra i Greci e questa popolazione. Il primo periodo corrisponderebbe all’epoca arcaica e avrebbe il suo culmine alla fine del VI secolo a.C., periodo in cui gli Ateniesi guidati da Milziade condussero una spedizione marittima che portò alla cacciata dei Tirreni da Lemno. La spedizione venne giustificata con il mito “Pelasgico” della cacciata da Atene dei Pelasgi/Tirreni, protagonisti di violenze nei confronti delle donne Ateniesi presso Brauron. Il secondo momento di tensione dove i miti anti tirrenici sulla pirateria ripresero piede è da farsi risalire al V secolo a.C. con il contrasto tra Siracusani ed Etruschi, contrasto che non coinvolge l’intero mondo greco e che gli stessi Siracusani, dopo la battaglia di Cuma (474-473 a.C.), si sforzano di riappianare (la cosa paradossale è che è probabile che gli stessi Siracusani attuassero azioni di pirateria nei confronti delle città etrusche essendo simili pratiche una consuetudine consolidata nel mondo antico). Vi è, infine, un’ultima coda nel III secolo a.C.

“Giulio Cesare”, Nicolas Coustou, 1696 Museo del Louvre, Parigi fonte: Wikipedia

dove, straordinariamente, troviamo nell’Egeo ancora pirati tirreni i quali, se originari dell’Etruria, appaiono, nonostante la sottomissione della loro patria, ancora attivi. Contro di essi combattono i Rodiesi che rappresentano l’unica vera potenza marittima dell’Egeo in età Ellenistica. Questa ultima propaggine di pirateria tirrenica lascerà poi spazio, a quella cilicia. Plutarco, Vita Caesaris, 1-5 2-8 Dopo che venne tenuto questo discorso contro di

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Storia FANTASY lui, a lungo Cesare si nascose errando nelle Sabine; in un secondo tempo, sceso in direzione della costa, tornò in barca in Bitinia presso il re Nicomede. E, trascorso non molto tempo presso quest’ultimo, fu catturato dai pirati presso Farmacomisi, sulla strada del ritorno per mare. I pirati, infatti, già allora controllavano il mare con grandi equipaggi ed enormi navi. All’inizio, dunque, quando venne chiesto da parte loro un riscatto di 20 talenti, ne rise, poiché non capivano chi avessero catturato, ed egli promise che ne avrebbe dati 50; in seguito, inviati gli uomini del suo seguito chi in una città chi in un’altra per procurarsi le ricchezze, rimasto tra le rozzissime genti cilicie con un amico e due consiglieri, si comportava tanto altezzosamente che, ogni qual volta andava a riposare, ordinava loro di tacere inviando un servo. Poi, trascorsi i 40 giorni mancanti, quasi non fosse sorvegliato ma piuttosto protetto da loro, con molta sfrontatezza faceva ginnastica e scherzava con loro; scrivendo poi poesie e discorsi, li faceva loro ascoltare e definiva barbari ed incolti quelli che non li apprezzavano, e spesso mettendosi a ridere minacciò di impiccarli; i pirati, poi, erano contenti di avere questo tipo di conversazione franca, con semplicità ed educazione. Quando dunque giunsero da Mileto i soldi del riscatto e poté ripartire dopo averli consegnati, una volta compiuto il viaggio per mare, immediatamente tornò verso i pirati dal porto di Mileto; assalite le barche di guardia tutt’attorno all’isola, ne catturò la maggior parte. Fece razzia delle loro ricchezze e impalò tutti gli uomini, come aveva preannunciato loro sull’isola, quando sembrava che scherzasse. Le guerre piratiche Molti anni separano le prime apparizioni dei Tirreni in Mediterraneo dal secondo rapimento “illustre”, cioè quello di Cesare, ma prima è bene fare una piccola premessa riguardante la pirateria nel suo complesso. Il fenomeno, che, come abbiamo detto, era connaturato al commercio in età antica, si affievolì quando si affermarono forti potenze marittime che avevano interesse a contrastarlo: Atene già nel V secolo a.C., Cartagine a occidente e Rodi in età ellenistica. Roma con la sua spregiudicata attività di conquista infranse questa sorta di ordine, distruggendo Cartagine nel 146 a.C. e cancellando di fatto la potenza marittima di Rodi, fortemente penalizzata nei suoi commerci con la creazione del porto franco di Delo (atto di ritorsione per la mancata partecipazione Rodiese alla III guerra macedonica del 171-168 a.C.).

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Il vuoto di potere che ne seguì favorì una decisa ripresa del fenomeno piratesco, che prese piede prevalentemente nelle coste della Cilicia, a sud dell’Asia Minore e a Creta. I pirati cilici e cretesi, con somma arroganza e sicurezza, non si limitavano a depredare le navi che passavano vicino alle loro coste, ma audacemente attaccavano tutti i porti del Mediterraneo impiegando piccole navi a vela e a remi chiamate hemiolia o myoparones. Cesare, stando a Svetonio, partecipò alla campagna piratica tra il 78 e il 75 a.C. – a fianco di un ex luogotenente di Silla, Servilio Vatia, che aveva il ruolo di proconsole di Panfilia – ma rimase per poco tempo in Oriente, tornando a Roma dopo aver saputo della morte di Silla. La campagna fu, dunque, per Cesare solo una brevissima parentesi, ma questo bastò al malizioso Svetonio per attribuirgli una relazione omosessuale con il re Nicomede di Bitinia. La campagna contro i Pirati, caratterizzata anche da operazioni terrestri, fu invece una guerra dura e furono necessari molti sforzi per ripulire le coste dalla proliferazione di basi che questi banditi vi avevano costruito. Servilio Vatia condusse le truppe romane all’interno del territorio Isaurico, non molto distante dalla Panfilia, dove i pirati avevano i loro covi, e uccise Zanicete, uno dei capi di questi bucanieri. Ma l’inutilità della sua campagna emerse in tutta la sua drammaticità con lo scoppio della terza guerra mitridatica (74-63 a.C.), quando i pirati riemersero dall’ombra offrendo aiuto navale al re del Ponto, nemico di Roma. Il mare era una strada aperta per questi predoni che crearono una fitta rete di alleanze con i principali nemici di Roma, come il mariano Sertorio in Spagna e il gladiatore fuggiasco Spartaco, minacciando seriamente il predominio romano nel Mediterraneo. Importante, all’interno del conflitto mitridatico, il successo ottenuto sulla flotta romana a Calcedonia nel 74 a.C. che fruttò ai pirati una momentanea egemonia marittima nel bacino orientale. Per far fronte a questi intrepidi e sfuggevoli nemici venne affidato a Marco Antonio Cretico, padre del futuro antagonista di Ottaviano, un comando tutto particolare, con una autorità pari a quella dei vari proconsoli delle regioni rivierasche coinvolte nel conflitto. Non conosciamo molto delle operazioni condotte da Antonio: sappiamo che intraprese la sua azione prima a Occidente, svolgendo campagne militari in Liguria e Sicilia (dove, per procurarsi le risorse di cui aveva bisogno, dovette ricorrere alle maniere forti con

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FANTASY Bibliografia indicativa:

AA.VV., Gli Etruschi (catalogo della mostra di Palazzo Grassi), Milano, 2000; M. Alinei, Etrusco: una forma arcaica di ungherese, Bologna, 2003; L. Banti, Il mondo degli Etruschi, Roma, 1969; G. Camporeale, Gli Etruschi. Storia e civiltà, Torino, 2000; M. Cristofani, Etruschi. Cultura e società, Novara, 1978; C. De Simone, I tirreni a Lemnos: evidenza linguistica e tradizioni storiche, Firenze, 1996; M. De Spagnolis, Il mito omerico di Dionysos ed i pirati tirreni in un documento da Nuceria Alfaterna, Roma, 2004; M. Giuffrida, La pirateria etrusca fino alla battaglia di Cuma, Kokalos, 1978, XXIV, pp.175-200; M. Giuffrida Ientile, La pirateria tirrenica. Momenti e fortuna, Roma, 1983; M. Gras, La piraterie tyrrhénienne en mer Égée. Mythe ou réalité?, Mélange Heurgon, 1976, pp. 341-369; J. Heurgon, Vita quotidiana degli Etruschi, Milano, 1973; M. Pallottino, Etruscologia, Milano, 1984; R. Romizi, Il mito di Dioniso e i pirati tirreni in epoca romana, Latomus, CXII, 2003, pp. 352-361; G. Semerano, Il Popolo che sconfisse la morte, Gli Etruschi e la loro lingua, Milano, 2003; R. Staccioli, Gli Etruschi. Mito e realtà, Roma, 1980; M. Torelli, Storia degli Etruschi, Roma-Bari, 1982; le comunità locali), poi nel 72 a.C. a Oriente, dove dovette far fronte agli altrettanto feroci pirati cretesi mentre il generale Lucullo era all’opera contro quelli cilici. Tuttavia, dopo qualche successo, nelle acque di Cidonia, Antonio venne sconfitto e catturato e fu costretto, attorno al 71 a.C., a firmare una pace umiliante. L’immobilismo romano nel settore anatolico favorì la ripresa della pirateria cilicia e cretese e il Senato dovette attivare persino il console Metello per ripulire l’isola egea una volta per tutte. La campagna ebbe successo, nonostante molte difficoltà, ma chi pose definitivamente fine al problema costituito da questi corsari fu Pompeo Magno, dopo che i pirati cilici avevano addirittura attaccato le coste italiane minacciando il rifornimento granario della capitale. Pompeo, come il suo predecessore Antonio, ricevette poteri straordinari per mezzo della lex Gabinia de piratis persequendis (67 a.C.) che, in pratica, gli concedeva autorità sull’intero bacino del Mediterraneo sotto il controllo di Roma. Al suo fianco operarono ben

P. Ducrey, Les Cyclades à l’époque hellénistique. La piraterie, symptôme d’un malaise économique et social, Les Cyclades, 1983, pp. 143-146; A. Giovannini-E. Grzybek, La lex de piratis persequendis, MH, XXXV, 1978, pp. 33-47; P. Janni, Il mare degli antichi, Bari, 1996; G. Marasco, Aspetti della pirateria cilicia nel I secolo a.C., GFF, X, 1987 , pp. 129-145; G. Marasco, Roma e la pirateria cilicia, RSI, XCIX, 1987, pp. 122-146; E. Maróti, La piraterie avant la guerre civile romaine, Budapest, 1972; F. Montevecchi, Il potere marittimo e le civiltà del Mediterraneo antico, Firenze, 1997; L. Pulci Doria Breglia, I legati di Pompeo durante la guerra piratica, AFLN, XIII, 1970-1971 pp. 47-66; S. Tramonti, Hostes communes omnium: la pirateria e la fine della Repubblica Romana (145-33 a.C.), Ferrara, 1994; A.M. Ward, Caesar and the pirates, CPh, LXX, 1975, pp. 267268.

Siti web:

www.archaeogate.org www.cronologia.it www.iconos.it web.tiscali.it/etruschi_tarquinia tredici legati, tutti senatori, ai quali vennero affidati diversi settori secondari. Le operazioni portarono innanzitutto all’apertura del Tirreno: la Sardegna e la Sicilia erano importanti fonti granarie per Roma, e tale rifornimento doveva a tutti i costi essere difeso. In seguito la campagna venne condotta a Oriente, con toni assai aspri, lasciando astutamente la Cilicia priva di controllo per dar modo alle ultime forze avversarie di riunirsi in quella sorta di enclave. La battaglia finale che venne condotta in questa regione fu molto dura, ma la fama di generosità che Pompeo si era conquistato permise al generale romano di ottenere, tutto sommato facilmente, la vittoria finale. Fu dunque Pompeo e non Cesare il vero artefice della sconfitta dei pirati in Oriente, come di altri importanti successi in quell’ambito, anche se nella loro lotta personale per l’ascesa al potere fu il secondo a prevalere alla fine, aprendo una nuova era del governo romano. n Stefano Baccolini

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PIRATERIA MEDITERRANEA NELL’ALTO MEDIOEVO di Francesco “Muspeling” Coppola

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iversi da quelli comunemente immaginati, i pirati del Mediterraneo nell’Alto Medioevo imperversarono all’interno di un mare chiuso ma tutt’altro che piccolo per quei tempi, e straordinariamente vario in numero di popoli, lingue, culture. In questo esteso specchio d’acqua eterogeneo e capriccioso, burrasche invernali e bonacce estive rendevano la navigazione un fatto eminentemente stagionale e costiero; raramente le navi dell’epoca, poco robuste, s’inoltravano in mare aperto. Erano imbarcazioni derivate da quelle dell’Impero Romano – per esempio, il dromone, la tipica nave da guerra del Mediterraneo utilizzata dall’VIII all’XI secolo, era affine alla romana liburna – e ricordavano le più note trireme (navi a tre ordini di rematori sistemati su tre ponti sovrapposti), lunghe e strette. La direzione veniva governata tramite due remi a poppa, e mancavano anche le più semplici strumentazioni di navigazione: per determinare la posizione della nave, i marinai si affidavano – navigando di cabotaggio (lungo le coste) – alla loro conoscenza delle linee costiere, delle correnti e dei venti. Dotate di un singolo albero a vela quadra, le imbarcazioni di quel periodo erano prive di ponte di coperta e quindi di riparo in caso di mal tempo o di attacco con armi da getto da parte dei nemici; i rematori indossavano appunto elmo e corazza, pronti a tramutarsi in guerrieri in caso di abbordaggio o di assalto alla costa. Gli equipaggi erano formati da uomini liberi, non da coscritti incatenati al remo. Spesso si trattava di contadini delle riviere pietrose della Liguria e della Provenza, oppure di quelle paludose della Toscana, che si imbarcavano Dromone bizantino

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“Genserico saccheggia Roma”, Karl Pavlovich Briullov

nei primi mesi dell’inverno e in quelli primaverili. Il mestiere di rematore era complesso e faticoso, ma garantiva ottimi pasti e buoni compensi, determinati anche in base alla posizione occupata nello scafo: i rematori di poppa e di prua erano coloro che avevano la maggiore esperienza e quindi paga migliore. A puntare unicamente sulla velatura erano invece le imbarcazioni destinate al commercio, e proprio quest’ultime, meno manovrabili e meno veloci (almeno sul breve tragitto), costituivano le prede più facili e ambite. In questa epoca non si può tuttavia parlare di veri e propri pirati, come quelli che – non riconoscendo bandiere né patrie – depredavano ogni nave incrociata; assomigliavano piuttosto a quella forma antica e primordiale di predoni dei mari, quella in cui erano intere popolazioni, abitanti in strette terre affacciate sul mare, a imbarcarsi periodicamente per andare ad assalire altre comunità in altre terre, più o meno lontane. I Vandali Il dissolversi dell’Impero Romano d’Occidente, durante il V secolo d.C., lasciò dietro di sé una situazione sfavorevole al commercio e ai traffici marittimi, e di conseguenza anche alla pirateria. Il sistema dell’Annona aveva convogliato (dalle coste della provincia d’Africa a Roma) grandi quantità di grano e altre derrate alimentari, e vasti latifondi erano stati concentrati nelle mani dei senatori di Roma, che conservavano una visione della proprietà e della ricchezza incentrata più sul possesso terriero che sul commercio via mare. Assai diverso il quadro per il

Mediterraneo orientale, su cui si affacciavano civiltà ancora più antiche, di precoce tradizione urbana e commerciale, senza un forte ceto senatoriale composto da grandi latifondisti capaci di bloccare – volendolo – i traffici di intere regioni. Questa situazione si sbloccò con l’irrompere delle popolazioni germaniche nello spazio mediterraneo, soprattutto del popolo dei Vandali che, guidato dal suo geniale sovrano Geiseric (GENSERICO), s’impadronì delle ricche province d’Africa, dopo avere imperversato nella Penisola Iberica. Conquistata nel 426 Cartagena – sede della più importante flotta imperiale della regione iberica – e accortosi che quelle terre erano troppo impoverite e affollate di altri popoli bellicosi, Geiseric guidò nel 429 il proprio popolo oltre lo stretto di Gibilterra, dando il via a una nuova, irresistibile serie di conquiste che lo portò a prendere Cartagine nel 439 e a fondare il Regno Vandalico sui resti delle Provincie annonarie di Roma. Ecco quindi, già dall’anno seguente, i Vandali compiere un primo assalto alla Sicilia, terra che conquisteranno solo ventotto anni dopo, dopo diversi tentativi falliti. Nel 467 s’impadronirono della Sardegna una prima volta, perduta e poi ripresa nel 482; e anche la Corsica (in data e per un periodo non noti con certezza) venne da loro occupata. Ogni anno, a primavera, le navi vandale prendevano il mare per condurre sistematiche azioni di devastazione e brigantaggio. Nelle loro incursioni a terra, questi predoni cercavano legname – per le esigenze della flotta – e persone da catturare e rivendere come

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Storia FANTASY schiavi, l’attività economica più stabile e duratura della pirateria per tutto il Medioevo e oltre. L’espansione Araba prima dell’anno Mille L’espansione vandala, che aveva interessato le coste occidentali del Mediterraneo, venne annullata nel 533 d.C. dalla riconquista a opera di GIUSTINIANO I, Imperatore d’Oriente. Per circa un secolo il Mediterraneo tornò a essere un luogo sicuro per la navigazione. Dalle sabbie d’Arabia giunse però nel 632 una tempesta tanto improvvisa e potente da rivoluzionare per sempre la geografia politica e culturale del Mediterraneo. In quell’anno, infatti, morì MAOmETTO, il Profeta dell’Islam, e iniziò la formidabile espansione del popolo arabo. Via mare, Cipro venne attaccata già nel 649 dal capoclan MU’AWIYA (futuro fondatore della dinastia califfale omayyade); la capitale dell’Impero d’Oriente, Costantinopoli, venne assalita per la prima volta nel 717, sempre dal mare, e si salvò solo grazie all’impiego del “Fuoco Greco”, la misteriosa miscela incendiaria che bruciava anche in acqua. Verso l’anno 890, i Saraceni sbarcarono in Provenza dove si allearono con i signori del luogo. Dalle loro basi fortificate a Fraxinetum (22 km a nordovest dell’odierna Saint Tropez), compirono scorrerie lungo le coste e zone adiacenti (come Marsiglia e Nizza) e verso l’entroterra, spingendosi fino alle Alpi e alla pianura piemontese, dove assalirono le carovane di pellegrini e di mercanti. Nel 906 saccheggiarono e distrussero l’Abbazia di Novalesa. Intorno al 935, corsari dell’Ifriqiya arrivarono a saccheggiare Genova. L’obiettivo era far bottino, il più facilmente e velocemente possibile; non solo furti ma anche rapimenti a scopo di riscatto, o rastrellamenti per il mercato degli schiavi del neonato, immenso, spazio musulmano. Talvolta le predazioni ripetute si tramutavano in

insediamenti stabili, piccoli emirati (come la stessa Fraxinetum e altri impiantati in Sardegna, in Puglia e in Campania) che serviranno in seguito come basi da cui lanciare nuovi attacchi. Poco si conosce delle imbarcazioni impiegate dai predoni saraceni, di come venivano costruite e armate. Ciò sia per l’epoca avara di fonti attendibili, sia per la proibizione musulmana alle raffigurazioni. Si trattava comunque di navi più grandi e lente rispetto a quelle bizantine, quindi costrette a seguire una tattica avvolgente per togliere mobilità alle imbarcazioni nemiche. Alcuni termini “marinari” di origine araba sono filtrati nelle lingue neolatine: amèras, con significato di “capo d’armata o governatore di provincia”, divenuto “almirante” in spagnolo e “ammiraglio” nella nostra lingua; dàr ar-sina, (stabilimento per l’allestimento di navi da guerra), passato sotto varie forme e parlate negli odierni arsenale e darsena. La Minaccia Vichinga Nell’anno 859 si manifestò una nuova minaccia per le rotte e le coste del Mediterraneo occidentale: la prima flotta di pirati normanni. Di questa loro prima spedizione conosciamo il percorso che – essendo i Normanni nuovi del nostro mare – ha dello sbalorditivo. Partito da una colonia normanna alla foce della Senna, questo gruppo di “navi lunghe” costeggiò la Bretagna, il Golfo di Biscaglia, la costa settentrionale della Penisola Iberica e, superato lo Stretto di Gibilterra, attaccò alcune località marocchine, per risalire poi a nord, arrembando le isole Baleari (allora in mano saracena) e devastando il Rossiglione e la Camargue. Stabilito un campo invernale alla foce del fiume Rodano, i pirati vichinghi ripartirono la primavera successiva saccheggiando alcune città provenzali, fra cui Arelate (Arles), spingendosi poi ancora più verso oriente, verso le coste italiane, attaccando Pisa, proseIl “fuoco greco”, illustrato nel manoscritto Madrid Skylitzes, Codex Græcus Matritensis Ioannis Skyllitzes (Skyllitzes Matritensis), realizzato in Sicilia nel XII secolo e conservato alla Biblioteca Nacional de España a Madrid, Spagna fonte: Wikipedia

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La nave di Gokstad, in mostra al Vikingskipshuset (Museo delle Navi Vichinghe) di Oslo, Norvegia autore: Karamell fonte: Wikipedia

guendo lungo l’Arno probabilmente sino a Fiesole e infine ritirandosi. L’anno successivo la flotta normanna riprese la rotta di casa, rientrando si ritiene nell’862. Quella spedizione fu un esempio lampante di quale capacità organizzativa avessero quei popoli del lontano nord. Se le scorrerie normanne, in questa fase e con queste modalità, non durarono oltre il 910, la loro eco fu ben più duratura. Tuttora basta dire “vichingo” per rievocare un’immagine di spietata ferocia piratesca. Un esempio di quale impressione sortissero simili attacchi agli occhi delle popolazioni europee del tempo viene fornito dalla Storia dei Miracoli e delle Traslazioni di San Filiberto, scritta fra l’840 e l’862 da ERmENTARIO, di cui si riporta un passo: “La cifra delle navi aumenta. La moltitudine dei Normanni non cessa di crescere, ovunque i Cristiani sono vittime di massacri, di saccheggi, di devasta-

zioni, di incendi, di cui resteranno evidenti le macerie finché durerà il mondo. Essi conquistano tutte le città che raggiungono senza che nessuno resista loro, prendono Bordeaux, Periguex, Limoges, Angoulém e Tolosa; Angérs, Tours, Orleans sono annientate, molte reliquie di santi sono rapite. Così, a poco a poco, si realizza la minaccia preferita dal Signore per mezzo del suo profeta: «un flagello venuto dal Nord si spanderà su tutti i popoli della terra [...]». Qualche anno dopo un numero incalcolabile di navi normanne risale il fiume Senna. Il male aumenta in questa regione. La città di Rouen è invasa, saccheggiata, incendiata; Parigi, Beauvoais e Meaux sono prese; la fortificata Mellun è devastata. Chartres è occupata. Evreux è saccheggiata come Bayeux e successivamente tutte le altre città. Non esiste quasi luogo, né monastero, che sia rispettato, tutti gli abitanti fuggono e rari sono quelli che osano dire: «restate, restate, resistete, combattete per il vostro paese, per i vostri figli, per la vo-

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Storia FANTASY “Pirati Norreni” Gordon Grant tarda e le uniche testimonianze scritte che li riguardano risalenti a quegli anni sono le cronache redatte dagli amanuensi di chiese e monasteri, peraltro le loro prede preferite. Possiamo ricavare qualche idea dell’organizzazione, disciplina e maestria marinara di questo popolo da un brano scritto in epoca appena posteriore. Trattasi di un testo del secolo XI, l’Encomio della Regina Emma, che descrive la flotta di Knùtr inn rìki (CANUTO IL GRANDE, 994-1035, sovrano di Danimarca, Norvegia e Inghilterra): “la flotta è ordinata, pronta a rispondere ai segnali, con gli acciai e le vele colorate risplendenti sotto il sole. La nave del re è al centro, le altre procedono in formazione accurata con le prue allineate; alcune navi hanno il compito delle esplorazioni; le tecniche di combattimento sono tutt’altro che improvvisate”.

stra famiglia». Nel loro torpore, in mezzo alle rivalità reciproche, essi riscattano con tributi ciò che avrebbero dovuto difendere con le armi e lasciano affondare il regno cristiano.” La ricerca storica ha lavorato alla migliore comprensione di queste popolazioni che, dalla Scandinavia, si sono proiettate nel vasto mondo, colonizzando territori che vanno dall’odierna Russia a est, all’Italia meridionale a sud, all’Islanda e Groenlandia a ovest. Erano davvero tanto terribili? Certamente essi seppero ben organizzarsi, spinti com’erano alla vita marinara. Basti pensare che i tumuli funerari dei Normanni più poveri erano ricoperti di pietre disposte in verticale a formare – da lontano – l’immagine di una nave di pietra, mentre i potenti, comandanti di navi e genti, si facevano seppellire con tutta la loro imbarcazione. I Normanni useranno la scrittura solo in epoca più

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Bisanzio L’impero greco fu profondamente scosso dall’espansione araba, che lo colse del tutto alla sprovvista. Si narra che l’imperatore ERACLIO, da poco tornato dalla trionfale vittoria contro l’impero iraniano dei Sasanidi, dopo aver perduto la Siria nel 636 contro gli Arabi ne fosse rimasto tanto segnato da rientrare nella capitale solo l’anno successivo, perso per i sentieri dello sconforto, e solo perché – nel frattempo – a Costantinopoli era un in corso un tentativo di usurpazione del trono. Le imprese di un Mu’awiya, spintosi sino all’assedio navale di Bisanzio del 717, dimostrano quanto poco gli eredi di Costantino I riuscissero a opporsi contro quei nemici. Inoltre l’Impero era alle prese già dal 612-626 con l’incontenibile invasione dei Balcani da parte dei popoli slavi, e si trovò dunque in quell’epoca accerchiato da molteplici forze ostili. Nel IX secolo la flotta bizantina, pur potenziata in uomini e mezzi, non fu più in grado di mantenere il predominio dei mari (e la sicurezza quindi, di rotte e coste mediterranee). La presa – da parte dei Saraceni – di isole come Creta, Malta e la Sicilia tagliò fuori il Mediterraneo occidentale da ogni possibilità di aiuto da parte bizantina.

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Nave variaga (Rus), “Ospiti d’Oltremare” di Nikolaj Konstantinovič Roerich, 1901, Galleria Tretyakov, Mosca, Russia

Nel X secolo Costantinopoli dovette inoltre fronteggiare l’assalto di un nuovo popolo che sarebbe divenuto un attore fondamentale della Storia: i primi razziatori Rus (allora ancora identificati come Normanni). Provenienti dalla Russia, attaccarono Bisanzio con una nutrita flotta composta da piccole imbarcazioni, una prima volta nell’anno 941 guidati da un “re” di nome INGER, e una seconda nel 1041 al comando del sovrano di Kiev VLADImIRO; pirati a tutti gli effetti, spinti verosimilmente da intenti di saccheggio più che di conquista. Genova e Pisa nei secoli X e XI Nel X secolo, la pressione normanna e saracena spinse alcune zone dell’Italia Tirrenica, dall’alta Toscana alla Provenza, con Pisa e Genova capifila, a organizzarsi in una sorta di lega delle comunità del Mediterraneo nord occidentale, un movimento spontaneo di piccole flottiglie composte principalmente da dromoni, ottime per la “guerra di corsa”. Queste comunità costiere iniziarono così ad assumere un ruolo attivo, che da difensivo divenne ben presto offensivo. Nel 1015-1016 le flotte guidate da Genovesi e Pisani scacciarono dalla Sardegna MUGhAID DI DENIA (già signore delle isole Baleari), che vi stava fondando uno stato musulmano. Al 1034 risale un attacco pisano contro la città africana di Bona (la fu Ippona del vescovo Agostino, nell’attuale Algeria), mentre fu del 1064 il saccheggio di una Palermo ancora in mano ai Saraceni; con quel bottino venne eretta l’attuale cattedrale in marmo bianco, in Piazza dei Miracoli. Nel 1087 le forze navali unite di questa lega

occuparono Madia (odierna Tunisia), nel 1092 si rivolsero contro la Spagna moresca, combattendo presso Tortosa. Indetta la Prima Crociata, Genova inviò in supporto una propria squadra navale già nel 1098, Pisa spedì una grande flotta l’anno seguente. Le rotte per l’Oriente si aprirono e con esse iniziò una nuova fase della storia del commercio; al dromone si sostituì la più moderna e resistente galea; i porti e i mari conobbero un traffico sempre crescente d’imbarcazioni e di merci, in quel Medioevo mancante di forti governi centrali capaci di dettare legge. Fu da questo momento che la figura del pirata si evolvé cominciando ad avvicinarsi ai canoni impressi nel nostro immaginario da libri come L’Isola del Tesoro o le avventure salgariane di Sandokan, quando la temuta “Fortuna di Mare” poteva ridurre in rovina i mercanti che trafficavano fra Oriente e Occidente, tramutandoli in spietati pirati; quando l’incerta fedeltà della nobiltà di terre rivierasche, induceva i casati nobiliari ribelli, ad armare galee ed equipaggi per depredare qualsiasi nave capitasse a tiro. n Francesco Coppola Bibliografia di riferimento: Marco Tangheroni, Commercio e Navigazione nel Medioevo, LaTerza, 1996; Carmine Donzelli, Storia Medievale, Manuali Donzelli, Donzelli editore, 1998; Georg A. Ostrogorsky, Storia dell’Impero Bizantino, Einaudi, 1968.

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LA PIRATERIA di Mario Veronesi sintesi e adattamento di Redazione TdC in collaborazione con Cronologia.it www.cronologia.it

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I CORSARI DI MALTA E I BARBARESCHI

pinti dalla fede e stimolati dalla possibilità di arricchirsi, dalla loro piccola isola i corsari di Malta capeggiarono la lotta contro i barbareschi, con la protezione dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni (o di Malta, o Ospitalieri), intraprendendo una campagna contro gli infedeli dell’Islam. Inizialmente fu forte la motivazione religiosa; con il passare del tempo prevalsero però gli interessi economici: l’Ordine continuò a finanziare e organizzare le scorrerie, ma per i Maltesi, i Corsi e i Francesi che componevano l’equipaggio delle galee, lo stimolo principale diventò il bottino. Nel 1565, all’assedio dell’isola da parte della flotta dell’Impero Ottomano, i Cavalieri resistettero asserragliati all’interno di una fortezza, sulle coste nord orientali: i Musulmani, in numero superiore non riuscirono a occupare Malta. Gli stati barbareschi erano città stato (Algeri, Tripoli e Tunisi) situate sulle coste africane del Mediterraneo, la cui principale attività era rappresentata dalla guerra marittima di corsa, soprattutto ai tempi delle Crociate. Con le loro navi agili e veloci, i corsari barbareschi attaccavano e speronavano le navi provenienti da Venezia e da Genova, in cerca di bottino e di uomini da vendere al mercato degli schiavi o da cui ricavare un riscatto. I più famosi corsari barbareschi erano temuti in tutto il Mediterraneo ed erano considerati eroi nel mondo islamico, in particolare due di essi, ORUÇ e KhAYR AD-DIN, che gli europei soprannominarono “fratelli BARbAROSSA” per via del colore della loro barba. Oruç fu ucciso in battaglia; suo fratello guidò la resistenza contro gli attacchi

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FANTASY spagnoli e fu poi nominato ammiraglio dell’Impero Ottomano. Morì nel 1546, rispettato anche dai nemici, il più celebre dei quali, l’ammiraglio ANDREA DORIA, lo impegnò in molte storiche battaglie navali. Nelle galee barbaresche il capitano, chiamato rais, era responsabile della navigazione, ma il comando spettava al capo dei giannizzeri, l’agha. Le condizioni di vita degli schiavi che remavano a bordo di queste navi erano durissime, molti morivano a causa della fame e delle percosse, prontamente rimpiazzati dalla continua cattura di altri prigionieri. Un destino analogo toccava tuttavia agli stessi corsari quando venivano a loro volta presi. FRANCIS VERNEY (1584-1615) fu uno di quegli europei che “si fecero turchi” e si unirono ai corsari barbareschi; dopo aver depredato alcune navi inglesi, finì catturato da una galea siciliana e trascorse due anni di schiavitù che fiaccarono il suo spirito: morì a soli 31 anni. LE LETTERE DI CORSA I corsari erano armatori privati che in tempo di guerra erano autorizzati dallo Stato, mediante lettere di corsa o di marca, ad attaccare e saccheggiare le navi nemiche, principalmente mercantili, per ostacolarne il commercio. La lettera di marca era una licenza di pirateria che assicurava vantaggi alle due parti: l’equipaggio della nave beneficiava del permesso di saccheggiare impunemente, e il re, oltre a ricevere una parte del bottino, poteva contare su una nave da guerra senza affrontare alcuna spesa. Fu Enrico III d’Inghilterra, nel XIII secolo, a emettere le prime lettere di marca conosciute. Ve n’erano di due differenti tipi: oltre a quella già menzionata, usata in tempo di guerra, i mercanti che avevano perso le navi o il carico per colpa di pirati potevano richiederne una anche in tempo di pace, che permetteva loro di attaccare vascelli appartenenti allo stato d’origine del pirata, per recuperare le perdite. Nel 1581, la regina Elisabetta I d’Inghilterra nominò cavaliere l’avventuriero e corsaro FRANCIS DRAkE (1540-1596), che chiamava “il mio pirata”. Le guerre di corsa di Drake assicurarono alle casse della corona inglese, un bottino ingentissimo. Il navigatore inglese WALTER RALEIGh (1552 ca1618) incoraggiava la pratica della guerra di corsa, riconoscendo che assicurava enormi guadagni al suo

Paese; promosse anche guerre corsare per proprio tornaconto, e armò navi nella speranza di poter finanziare, con il ricavato, una colonia nell’America Settentrionale. La guerra di corsa giovava non solo all’Inghilterra ma anche alla Francia. Uno dei più famosi corsari francesi, RENÉ DUGUAYTROUIN (1673-1736), nacque sulla costa bretone presso Saint-Malo, un porto che nel XVII secolo proprio con i profitti della guerra di corsa s’era tanto arricchito da concedere prestiti persino a re Luigi XIV. JEAN BART (1651-1702), depredava le navi nel Canale della Manica e nel Mar del Nord; un secolo più tardi, RObERT SURCOUF (1773-1827) praticò la guerra di corsa nell’Oceano Indiano dalla sua base all’isola Mauritius − allora proprietà francese − attaccando i mercantili inglesi in rotta verso l’India.

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Storia FANTASY I CORSARI DEL NUOVO MONDO I tesori del mar delle Antille lasciarono estasiati gli Europei del XVI secolo; l’esploratore e scrittore spagnolo Bernal Diaz si meravigliò alla vista di un disco d’oro fatto a forma di sole grande quanto la ruota di un carro. In effetti gli Spagnoli, che per primi giunsero in quelle terre, non si fecero scrupolo di saccheggiare tutto ciò che poterono, riducendo in schiavitù la popolazione indigena obbligandola a lavorare nelle miniere e nelle piantagioni. Le durissime condizioni di vita, le torture inflitte a coloro che tentavano di ribellarsi, e le malattie importate dall’Europa causarono la morte di moltissimi schiavi costringendo gli spagnoli a rifornirsi di manodopera in Africa e alimentare in tal modo un’altra lucrosa quanto immorale attività: la tratta degli schiavi. Ben presto anche i nemici della Spagna misero le

vele al vento e navigarono verso il mar delle Antille nella speranza di accaparrarsi una fetta di quel ricco bottino. Lo spettacolare successo delle loro spedizioni incoraggiò molti avventurieri a fare rotta verso questo mare; pronti a tutto pur di arricchirsi, furono molti coloro che valicarono la linea sottile che divide la corsa dalla pirateria, attaccando indistintamente navi di ogni provenienza. I Francesi furono i primi a depredare i galeoni spagnoli; il navigatore genovese GIOVANNI DA VERRAZZANO (1485 ca-1528 ca) in forza alla flotta francese e celebre per aver scoperto la baia di New York, riuscì a catturare, nel 1522, tre navi spagnole. Ben presto arrivarono anche gli Inglesi, tra cui gli avventurieri ThOmAS CAVENDISh (1560-1592), e JOhN HAWkINS (1532-1595), e il già citato Francis Drake. I galeoni carichi, costretti a dirigersi a nord dei Caraibi per trovare il vento favorevole per il viaggio di ritorno in Spagna, erano molto vulnerabili agli attacchi di questi corsari, che li aspettavano al varco. I primi corsari navigavano su piccoli velieri, come i brigantini da 50-100 tonnellate di stazza, con un equipaggio di 40-50 uomini. Più tardi si usarono navi fino a 300 tonnellate, che imbarcavano molti marinai di riserva utilizzati per governare i vascelli catturati. I tesori del Nuovo Mondo giungevano in Europa su galeoni spagnoli equipaggiati con circa duecento marinai e con un armamento che poteva comprendere fino a sessanta cannoni. Erano navi ben costruite, con uno scafo di legno robusto e un’ampia attrezzatura velica, tuttavia difficili da manovrare e spesso incapaci di competere con i più veloci e maneggevoli vascelli pirata. Come misura precauzionale, le navi che trasportavano i tesori attraverso l’Atlantico erano allora spesso costrette a viaggiare in convogli formati da decine di unità. I BUCANIERI Nel 1603 il re inglese Giacomo I aprì un capitolo sanguinoso nella storia del mar delle Antille. Per porre fine al caos causato dai saccheggi nei Caraibi, ritirò tutte le lettere di marca, provocando conseguenze disastrose. Ai corsari si sostituirono infatti i pirati veri e propri. I coloni di Hispaniola (l’odierna Haiti), chiamati bucanieri − generalmente Francesi, Olandesi e Inglesi che vivevano fornendo alle navi di pas-

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FANTASY saggio carne, grasso e pelli ricavati dal bestiame che si era riprodotto rapidamente nell’isola − spinti dalla povertà e dalla persecuzione da parte spagnola, si aggregarono in bande, cominciando ad attaccare prima piccole navi spagnole e poi prede sempre più grosse. Pregiudicati, fuorilegge, schiavi fuggiti, s’unirono ai bucanieri ubbidendo alle loro leggi e sottostando alla ferrea e crudele disciplina imposta dai capi. JEAN-DAVID NAU, detto L’OLONESE (1630 ca1671), il più crudele dei bucanieri, pare torturasse le sue vittime con macabra originalità. Non da meno era ROC BRASILIANO (probabile vero nome Gerrit Gerritszoon, 1630 ca), ubriacone pazzo e brutale. Sir HENRY MORGAN, gallese (1635-1688), aveva innate capacità di comando, e i suoi arditi attacchi ai possedimenti spagnoli, soprattutto a Panama, gli valsero la nomina a baronetto inglese, e il titolo di governatore della Giamaica. Durante le guerre del XVIII secolo, molti bucanieri si trasformarono in corsari; ma quando ritornò la pace non riuscirono a rinunciare a quella vita libera e avventurosa: la maggior parte riprese a compiere scorrerie, depredando navi d’ogni bandiera e lasciandosi dietro una scia di terrore. Sono questi gli anni di pirati come BARThOLOmEW RObERTS, detto BLACk BART (16821722), che in circa 3 anni catturò più di 450 navi. Terribile fu EDWARD TEACh (1680 ca-1718), detto BARbANERA, noto per i suoi atti di crudeltà. L’attività di questi bucanieri − in seguito chiamati anche filibustieri − rintanati in covi attrezzati come l’isola di Tortuga − dove amavano definirsi “Fratelli della Costa” −, o Port Royal (oggi sobborgo di Kingston, capitale della Giamaica), e successivamente Nassau, New Providence nelle Bahamas, Antigua e i porti delle Barbados, fiorì per tutto il XVII secolo. I PIRATI DELL’OCEANO INDIANO Quando il ricco raccolto del mar delle Antille cominciò a scarseggiare, molti pirati si spostarono a oriente, nelle acque dell’Oceano Indiano, attirati dalle flotte dei principati indiani e dalle grandi navi mercantili delle Compagnie delle Indie Orientali. Alcuni di loro trovarono un rifugio sicuro in Madagascar, la grande isola al largo delle coste orientali dell’Africa, che si trovava nella posizione ideale per controllare le rotte commerciali per le Indie e i pellegrinaggi dei

Musulmani verso la Mecca. Venne poi costruita una roccaforte anche sulla vicina isola di Sainte-Marie, facilmente difendibile in caso d’attacco. Dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, gli “East Indiaman” (grandi velieri europei che nei secoli XVII e XVIII facevano la spola tra l’Europa e l’Asia) per recarsi in India e in Cina dovevano scegliere rotte che passavano necessariamente a poche miglia di distanza dal Madagascar. Nel viaggio verso l’Asia erano carichi d’oro e d’argento, in quello di ritorno trasportavano porcellane cinesi, sete e spezie: si trattava delle prede favorite dei pirati. L’inglese HENRY AVERY (1653 ca) divenne famoso per aver catturato la nave del Gran Mogul indiano, la Ganj-i-Sawai, che trasportava pellegrini e tesori da Surat a La Mecca; il trattamento brutale che riservò ai

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Storia FANTASY passeggeri scatenò l’ira del Mogul, che chiese un indennizzo alle autorità inglesi. Un’altra celebrità fra i pirati fu l’americano ThOmAS TEW che venne ucciso nel 1695 durante una spedizione compiuta insieme ad Avery. A dare la caccia a questi fuorilegge fu inviato nell’Oceano Indiano WILLIAm KIDD (1645 ca-1701) uomo d’affari di New York d’origine scozzese, il quale tuttavia, convinto dall’equipaggio corrotto, commise parecchi atti di pirateria, e al suo ritorno in America fu impiccato. Quando i pirati catturavano una nave, spesso trovavano un carico d’umana sofferenza: nelle stive buie si accalcavano infatti centinaia di schiavi africani diretti alle colonie americane. Nel XVII e XVIII secolo, la tratta degli schiavi era un affare redditizio: i deportati dall’Africa erano rivenduti in America a 10 o anche

a 15 volte il prezzo pagato. Sedotti da questi grossi profitti, i pirati divennero a loro volta negrieri, oppure vendettero per proprio conto i carichi di schiavi catturati in mare. JOhN HAWkINS fu il primo corsaro inglese a rendersi conto delle “potenzialità” di questo commercio e, nel 1562, compì il primo di tre viaggi come negriero: dall’Inghilterra all’Africa occidentale, dove imbarcò 300 schiavi, e poi ai Caraibi dove vendette il suo carico umano nell’isola di Hispaniola. Le navi negriere erano solite partire dall’Inghilterra o dall’America colme di merci di poco valore che venivano utilizzate per acquistare gli schiavi dai capi tribù africani, poi proseguivano verso i Caraibi; questa parte del viaggio era chiamata “il passaggio di mezzo”. Sulle isole come la Giamaica gli schiavi erano poi barattati con merci come zucchero, melassa o legname, che venivano imbarcate per il viaggio di ritorno. Così, ogni fase della spedizione assicurava un profitto. I marinai di una nave negriera vivevano con la paura costante di una rivolta da parte degli schiavi, molto più numerosi di loro, pertanto qualsiasi accenno di ribellione durante la navigazione era represso selvaggiamente. Non venendo adottate misure igieniche, le malattie si diffondevano con rapidità, e la mortalità era alta; a volte i cadaveri rimanevano incatenati accanto ai vivi per giorni interi. Paragonato a queste sofferenze, arruolarsi su una nave pirata diventava una prospettiva allettante: per questo molti schiavi fuggiti chiedevano di prestar servizio sotto i capitani dei Caraibi, che li accettavano a bordo di buon grado. L’Inghilterra abolì la schiavitù nel 1833 e gli Stati Uniti d’America la seguirono trent’anni più tardi. I CORSARI AMERICANI La Rivoluzione Americana (1775-1783) mostrò l’efficacia dei corsari come poche altre guerre avevano fatto nei secoli precedenti. La piccola Marina Continentale americana combatté i dominatori inglesi con pochissime navi, ma una flotta di navi corsare, enormemente superiore per numero, attaccò i mercantili inglesi, ostacolandone il commercio. JOhN PAUL JONES (1747-1792) effettuò audaci scorrerie in terra britannica, meritandosi lì l’appellativo di “pirata” e in America quello di eroe

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FANTASY nazionale. JEAN LAFITTE (1776 ca-1826 ca), dichiarato fuorilegge per contrabbando di schiavi, ottenne la grazia per aver difeso la Louisiana dagli attacchi inglesi nella guerra del 1812. LA FINE DEI PIRATI Dopo aver prosperato per tre millenni, la pirateria organizzata e le guerre di corsa si conclusero nel XIX secolo. All’inizio del 1800 i corsari erano ancora un flagello pericoloso, sebbene ormai le marine delle grandi potenze non avessero più bisogno dell’aiuto di navi da guerra private. Nel XVIII secolo la marina britannica mise appunto delle navi da guerra, vere e proprie fortezze galleggianti, in grado di competere con qualsiasi nave pirata. Nel 1856 la maggior parte delle nazioni marittime firmò un trattato, la dichiarazione di Parigi, che bandiva le lettere di marca. Il XIX secolo segnava inoltre l’avvento del vapore, e le marine dell’Inghilterra e degli Stati Uniti costruirono navi capaci di andare ovunque anche in assenza di vento; i pirati, che facevano ancora affidamento sulla propulsione a vela, non poterono tenersi al passo. LE PUNIZIONI I pirati colti sul fatto e giudicati colpevoli rischiavano la forca. Tuttavia erano pochi coloro che finivano davanti alla giustizia e, tra questi, molti venivano comunque graziati. Per i corsari, la cattura significava più realisticamente il carcere; le prigioni erano però luoghi malsani dai quali era difficile uscire vivi. L’Inghilterra introdusse nel 1776 le prigioni galleggianti, situate sull’estuario del Tamigi, all’inizio erano ricavate da navi in disarmo, erano umide e affollatissime, ed esservi rinchiusi era la peggior punizione, dopo la morte. Per un pirata incarcerato, una cella “singola” sarebbe stata considerata una sistemazione di lusso. Le condanne a morte venivano eseguite per mezzo d’impiccagione pubblica. I pirati dovevano rispondere anche a un loro codice interno, che prevedeva punizioni molto dissuadenti. Chi derubava i propri compagni o disertava il combattimento veniva abbandonato su un’isola deserta, e quel luogo diventava per lui una prigione senza pareti: il mare impediva la fuga e le possibilità di venire avvi-

stati da una nave di passaggio erano quasi inesistenti. Ecco alcune regole, derivate dal libro sui pirati A General History of the Robberies and Murders of the most notorious Pyrates di Charles Johnson (1724): I . Ognuno ha il diritto di voto, ha diritto a provviste fresche e alla razione di liquore; II. Nessuno deve giocare a carte o a dadi per denaro; III. I lumi e le candele devono essere spenti alle otto di sera; IV. Tenere il proprio pezzo (moschetto), la pistola e la spada, puliti e pronti a essere usati; V. Non è consentito salire a bordo ai ragazzi e alle donne; V I . Chi diserta in battaglia è punito con la morte o con l’abbandono in mare aperto. La pena per violazioni minori era la tipica frusta

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Storia FANTASY che si usava in mare: il “gatto a nove code”. Lo stesso marinaio che doveva subire la punizione la preparava, srotolando una fune in tre parti, a loro volta suddivise in tre funicelle, e poi annodando ogni estremità. Un “gatto” era usato una volta sola perché le corde insanguinate, se riutilizzate, potevano infettare le ferite. LA VITA DEL PIRATA Per i pirati affamati, il menù non era molto vario, e quando c’era carne fresca di solito si trattava di tartarughe, abbondanti in tutte le isole dei Caraibi. Agili in mare, erano lente a terra e facili prede; a bordo della nave, il cuoco poteva tenerle vive nella stiva fino a quando arrivava il momento di cucinarle. Le loro uova erano poi una ghiottoneria molto apprezzata. Per rifornirsi d’uova e carne fresca, si trasportava anche pollame vivo. Quando il cibo scarseggiava e il pesce non abboccava, i pirati sopravvivevano con gal-

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lette o carne secca, che innaffiavano con birra o vino. A bordo di una nave la galletta era il cibo principale. Nei lunghi viaggi, una dieta povera poteva far ammalare i marinai di scorbuto, causato dalla mancanza di vitamina C; nel 1753 fu scoperto che mangiare frutta fresca, agrumi in particolare, preveniva questa malattia. Non si conoscevano metodi per conservare l’acqua, che diventava in poco tempo imbevibile, si preferiva quindi la birra: tutte le navi ne trasportavano grandi quantità, generalmente in barili e non in bottiglie. Quando i pirati abbordavano una nave, lo facevano con la speranza di trovare la stiva colma di tesori; se avevano fortuna, il bottino poteva far diventare l’intero equipaggio ricchissimo. La predazione della Ganj-i-Sawai da parte di Avery nel 1694 fruttò a ogni membro dell’equipaggio una ricompensa enorme: secondo il tenore di vita di quei tempi, tutti diventarono miliardari. Ma casi come questo erano estremamente rari. La maggior parte delle volte ci si divideva bottini assai più modesti, oppure, nei casi veramente sfortunati, si trovava una stiva con un carico ingombrante e di poco valore. Per rifarsi, i pirati derubavano allora i passeggeri. La spartizione del bottino doveva essere equa: considerando il valore di un’unità per la ricompensa del marinaio, il capitano riceveva 2,5, il chirurgo di bordo 1,5, il maestro d’ascia − che non aveva rischiato la vita nei combattimenti − solo tre quarti, i mozzi solo la metà. Pigiati per mesi in una nave maleodorante uno accanto all’altro, i marinai non potevano far altro che sognare la vita a terra, e, quando sbarcavano in un porto, molti erano abbastanza ricchi da soddisfare qualsiasi desiderio, così sperperavano il loro bottino nelle donne (durante le soste, le donne, normalmente bandite nelle navi pirata, salivano perfino a bordo), nel gioco e nel bere. Al posto del vetro, costoso e fragile, i tavernieri servivano le bevande in boccali di peltro, che ben sopportavano le notti di baldoria. Vista la loro facilità nello spendere grosse somme di denaro anche per oggetti di scarso valore, i pirati erano ben accetti in molti porti, e alleggeriti con gran velocità da abili giocatori bari. Port Royal, in Giamaica, rappresentava una specie di calamita per i pirati del XVII secolo in cerca di piacere e divertimento; quando,

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nel 1692, il porto fu distrutto da un terremoto, molti la giudicarono una punizione divina per la dissolutezza che lì regnava. La vita a terra non era però una festa ininterrotta: con le alghe e i cirripedi che s’attaccavano allo scafo, e i vermi che perforavano il legno, per tenere il mare senza troppi rischi d’affondamento le navi richiedevano una manutenzione costante. Il calafataggio era indispensabile per evitare infiltrazioni d’acqua, e comportava la riparazione delle giunture tra le tavole, che venivano pulite, riempite di stoppa e sigillate con pece bollente. I PIRATI NELLA LETTERATURA Molti scrittori circondarono di un alone romantico le avventure dei pirati, trasformandoli in veri e propri eroi. Alcune opere, come quelle di ALEXANDRE-OLIVIER EXQUEmELIN (1645 ca-1707 ca), raccontano la vera vita di questi avventurieri con dettagli spesso raccapriccianti. Ne L’Isola del Tesoro (1883) di RObERT LOUIS STEVENSON, Jim Hawkins e il losco Long John Silver fanno vela con la nave Hispaniola imbottita di pirati alla ricerca di un tesoro sepolto; i forzieri sepolti in isole deserte e ricolmi di ricchezze sono un classico dei racconti sui pirati, eccitano la curiosità dei lettori ma non hanno nessun riscontro con la realtà. Il poeta inglese GEORGE BYRON (1788- 1824) contribuì notevolmente a creare il mito del pirata romanti-

co, con il suo famoso poema Il Corsaro (1814). ChARLES ELLmS nel 1837 pubblicò The Pirates Own Book, un misto di leggende e storie vere che divenne molto presto un “best seller”. A General History of the Robberies and Murders of the Most Notorius Pyrates, del capitano ChARLES JOhNSON (ma la vera identità dell’autore è sconosciuta) fu pubblicato nel 1724 e descrive, a pochi anni dalla loro cattura o esecuzione, le gesta di pirati come Barbanera, Bartholomew Roberts, Mary Read e Anne Bonny. Migliaia di bambini, infine, hanno seguito le gesta di Peter Pan, il ragazzo che non voleva crescere creato da JAmES MATThEW BARRIE, e del suo avversario pirata Capitan Uncino. Famosissime sono anche i cicli pirateschi scritti da EmILIO SALGARI sui pirati della Malesia e sui corsari delle Antille. n Mario Veronesi Sintesi e adattamento dell’articolo Pirateria dai Romani fino all’Era Moderna, di Mario Veronesi presente su Cronologia.it di Franco Gonzato http://cronologia.leonardo.it Versione integrale: http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pirati1.htm le immagini presenti in questo articolo sono di Howard Pyle, tratte dal volume Howard Pyle’s Book of Pirates

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Pirati Famosi Redazione TdC

Klaus Störtebeker Nato intorno al 1360 a Wismar (Germania), una città che si affaccia sul Mar Baltico, fu uno dei più celebri pirati tedeschi, conosciuto anche come “Corsaro Rosso”, capo di una banda di corsari denominati “Vitalienbrüder” che operarono contro i Danesi durante la guerra tra Danimarca e Svezia. Kemal Reis Vero nome: Ahmed Kemaleddin; nacque a Gallipoli (Turchia) intorno al 1451, fu un corsaro turco, e ammiraglio dell’Impero Ottomano. Fu anche lo zio dell’ammiraglio cartografo Piri Reis. Comandò la flotta turca del governatore di Eubea, isola greca sotto il controllo Ottomano. Nel 1487, incaricato dal sultano Bayezid II di difendere i possedimenti del governatore di Granada, in Spagna, Kemal Reis occupò la città Malaga, e proseguì depredando gli insediamenti costieri della Corsica. Tra il 1490 e il 1492 trasportò fuori dalla Spagna profughi musulmani ed ebrei sbarcandoli nei territori ottomani. In quello stesso periodo, Kemal Reis tentò di bloccare l’avanzata spagnola bombardando i porti di Elche, Almerìa e Malaga. Tra il 1496 e il 1498 compì varie azioni contro vascelli e possedimenti dei Veneziani e dei cavalieri Ospitalieri. Nell’agosto del 1499, al comando della flotta Ottomana, batté i Veneziani nella Battaglia di Zonchio (I Battaglia di Lepanto), e bissò il successo nell’agosto del 1500 nella Battaglia di Modone (II Battaglia di Lepanto). Nel 1501 occupò l’isola di Pianosa, effettuò un’incursione in Sardegna e altre contro i

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Veneziani e gli Spagnoli, spingendosi poi nell’Atlantico fino alle Canarie. Nel 1502 occupò l’isola di Coo, nel Dodecaneso, e attaccò altri possedimenti veneziani e francesi. Ammalatosi sul finire del 1503, rimase inattivo fino alla primavera del 1505, quando, impegnato nuovamente contro gli Ospitalieri, assalì le coste di Rodi e di altre isole, e successivamente le coste della Sicilia, per poi, nel 1506, nuovamente bombardare Almerìa e Malaga, e assalire Leros e altre isole del Dodecaneso. Tra il 1507 e il 1509 fu ancora impegnato contro gli Ospitalieri e i Veneziani. Perse la vita all’inizio del 1511, quando un flotta di 27 vascelli da lui comandata fu sorpresa e affondata da una violenta tempesta nel Mediterraneo.

Lui e i suoi quattro fratelli divennero marinai e commercianti; successivamente, per contrastare le incursioni dei corsari Ospitalieri di Rodi, si dedicarono anch’essi alla corsa. Mentre uno dei fratelli, Ishak, morì giovane proprio in battaglia contro gli Ospitalieri, un altro, Oruç, acquistò una certa fama come comandante corsaro al servizio del principe ottomano Shehzade Korkud e del sultano Qansuh al-Ghawri. Nel 1503, Khayr ad-Din si unì al fratello Oruç Reis presso la base di quest’ultimo, all’isola di Gerba (Tunisia). Dal 1504 al 1515, i due − ai quali in seguito si unì anche il terzo fratello, Ishak − condussero azioni corsare contro vascelli papali, genovesi, spagnoli, inglesi, depredarono le coste della Calabria, della Liguria, della Sicilia, della Sardegna, dell’Andalusia, delle Baleari, e attaccarono città come Valencia, Alicante, Ceuta, Jijel, Mahdia, dedicandosi inoltre all’evacuazione dei profughi musulmani dalla Spagna cristiana. Nel 1516 i tre fratelli presero possesso di Algeri, cacciando gli Spagnoli. Nel 1517, Oruç Reis, per poterli meglio difendere, offrì i propri possedimenti (che nel frattempo si erano allargati nell’entroterra) come provincia all’Impero Ottomano, ottenendo la nomina a governatore. Nel 1518, Oruç e Ishak rimasero uccisi nel tentativo di difendere la città di Tlemcen, assediata dagli Spagnoli. Dal 1518 al 1532, Khayr ad-Din proseguì Khayr ad-Din le sue attività corsare, continuando a traKhayr ad-Din detto “Barbarossa” sportare musulmani della Spagna al Nord Vero nome: Yakupoðlu Hýzýr; nacque intorno Africa, depredando vascelli spagnoli, itaal 1470 a Midilli (attuale Lesbos, Grecia), figlio liani e francesi, saccheggiando città come di un cavaliere turco. Tolone, Crotone, Castignano, Reggio Calabria,

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FANTASY Messina, Marsiglia, Piombino, Tripoli, seminando panico nelle coste e nelle isole di tutto il Mediterraneo. Nel 1532, il sultano Solimano I lo nominò ammiraglio della marina ottomana e governatore dell’intero Nord Africa. Il 28 settembre del 1538, nella Battaglia di Prevesa (Grecia), la flotta ottomana comandata da Khayr ad-Din riportò una clamorosa vittoria contro quella della Lega Santa (Spagna, Repubbliche di Venezia e Genova, Papato e Cavalieri di Malta), allestita da Papa Paolo III e guidata da Andrea Doria. Nel 1540 Carlo V di Spagna tentò senza successo di portare Khayr ad-Din dalla propria parte offrendogli le stesse cariche che ricopriva per l’Impero Ottomano, e, dopo il rifiuto di Barbarossa, altrettanto inutilmente provò ad assediare Algeri inviando una flotta comandata da Andrea Doria. Nel 1543, dopo aver occupato Reggio Calabria, Khayr ad-Din giunse quasi a minacciare Roma, prima di proseguire e saccheggiare altre città tra cui Nizza, San Remo, Monaco e La Turbie, ottenendo inoltre il rilascio di vari prigionieri turchi, tra cui il corsaro e ammiraglio Torgut Reis. Nel 1545, si ritirò definitivamente dalle scene di guerra e andò a vivere a Costantinopoli, dove morì il 4 luglio del 1546. Nel 1492 sulle coste dell’Africa, si riversarono a centinaia di migliaia i mori di Spagna cacciati da Ferdinando e Isabella, nell’unificazione della Spagna, contribuendo senza saperlo, alla fondazione di quegli stati barbareschi che lottarono strenuamente contro la loro futura dominazione.

1564 e nel 1567, quest’ultimo insieme al cugino Francis Drake, non disdegnando di operare come corsaro, scontrandosi spesso con gli Spagnoli. Nel 1570 finse di partecipare al celebre “complotto Ridolfi” − una cospirazione per uccidere la regina Elisabetta I e rimpiazzarla con Maria Stuarda − contribuendo invece a sventarlo. Per questo aiuto, l’anno successivo venne fatto membro del Parlamento inglese. Dal 1573 al 1589 fu Tesoriere della Marina Reale, e apportò riforme finanziare e miglioramenti nella costruzione dei vascelli. Nel 1588, con il grado di Vice Ammiraglio a bordo della Victory, comandò insieme a Francis Drake e Martin Frobisher la flotta inglese nello scontro con l’Invincibile Armata spagnola, servizio che gli valse il titolo di cavaliere. Nel corso di un ennesimo viaggio compiuto con Francis Drake nel 1595, ambedue si ammalarono e morirono a Porto Rico. John Hawkins

John Hawkins Nacque a Plymouth (Inghilterra) nel 1532. Fu uno dei primi trafficanti ����������� inglesi di ��� ��������� schiavi, seguendo l’esempio di John Took e William Towerson. Formò addirittura un sindacato di negrieri per meglio investire nella lucrosa tratta. Fu il suo primo viaggio nel Nuovo Mondo, nel 1562, a indurre la Spagna a negare il permesso di commercio nelle Antille a tutti i vascelli inglesi. Hawkins compì altri due viaggi nel

Martin Frobisher Nato a Wakefield nello Yorkshire (Inghilterra), intorno al 1535, ultimo di cinque fratelli. Tra il 1553 e il 1559 compì vari viaggi in Africa, finendo anche in ostaggio di fuorilegge per alcuni mesi. Dal 1559 al 1562 si accompagnò con un pirata di nome Strangeways, e tra 1571 e il 1572 fu accusato egli stesso varie volte di pirateria, senza tuttavia finire mai in giudizio. Divenne invece famoso per i suoi tre viaggi nel Nuovo Mondo alla ricerca del Passaggio a

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Nord-Ovest, tra il 1576 e il 1578, il primo dei quali fu particolarmente avventuroso a causa di incontri non sempre amichevoli con i nativi. In Canada aprì inoltre diverse miniere d’oro, intorno alla Frobisher Bay, la baia che prese il suo nome. Operò anche come corsaro contro le navi francesi, e ricevette il titolo di cavaliere per il suo contributo contro la spedizione dell’Invincibile Armata spagnola nel 1588. Nel 1585, come comandante della Primrose, viaggiò nella flotta di Francis Drake. Morì il 22 novembre del 1594 a Plymouth, in seguito alle ferite riportate da un colpo di cannone durante l’assalto alla fortezza spagnola di Fort Crozon, nei pressi di Brest. Francis Drake Nacque nei pressi di Tavistock nel Devonshire (Inghilterra), intorno al 1540, figlio di un coltivatore e maggiore di 12 fratelli. Iniziò la sua vita da marinaio all’età di tredici anni, imbarcandosi in una nave mercantile. A vent’anni era già capitano. Navigò a lungo nel Mare del Nord, poi, insieme al cugino John Hawkins, veleggiò verso il Nuovo Mondo, dove ebbe occasione di depredare vari vascelli spagnoli. Nel marzo del 1573, riuscì a catturare un convoglio spagnolo nei pressi di Nombre de Dios (Panama) facendo un bottino tale da essere costretto a lasciarne una parte per non appesantire eccessivamente la sua nave. Nel 1575 Drake era presente durante il terribile massacro di Rathlin Island (Irlanda del Nord), perpetrato dalle truppe al comando di John Norrey (inviate dal Conte di Essex contro il clan McDonnell) che uccisero centinaia di persone già arresesi, in maggior parte donne e bambini. Francis Drake, a bordo della Falcon, era a capo della flotta che trasportava le truppe; al momento del massacro era impegnato a bloccare l’arrivo dei rinforzi navali scozzesi. Tra il 1577 e il 1580, in missione per la regina Elisabetta, compì con la Golden Hind la circumnavigazione del globo, attraversando lo stretto di Magellano, risalendo le coste americane nel Pacifico fin oltre la California − e

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Storia FANTASY attaccando colonie spagnole come Valparaíso −, veleggiando poi verso le Filippine, e l’Oceano Indiano, doppiando infine il capo di Buona Speranza e rientrando nell’Atlantico. Tornato in Inghilterra con le stive piene di spezie e merci preziose, fu accolto con tutti gli onori. Nel 1581, la regina lo nominò cavaliere. Nel 1585, allo scoppio della guerra tra Inghilterra e Spagna, Drake navigò nuovamente verso i Caraibi e attaccò i porti di Santo Domingo, Cartagena e Saint Augustine. Di ritorno, occupò la città di Cadice, distruggendo una ventina di vascelli spagnoli. Nel 1588, nominato vice ammiraglio della flotta inglese, sotto il comando di Lord Howard di Effingham, partecipò alla Battaglia di Gravelines e sconfisse l’Invincibile Armata spagnola inviata all’invasione dell’Inghilterra. La sua carriera di navigatore terminò dopo un fallito attacco al porto di San Juan (Porto Rico): il 27 gennaio 1595 morì per dissenteria a Portobelo (Panama). Francis Drake

Thomas Cavendish Nacque a Trimley St. Martin, vicino a Ipswich (Inghilterra) nel 1560. Nel 1585 comprò una nave, la Elizabeth, con la quale partecipò alla spedizione di Sir Richard Grenville in Virginia. Il 27 giugno 1586, a bordo del vascello Desire a capo di una piccola flotta, salpò col proposito di ripercorrere le orme di Francis Drake ed effettuare la circumnavigazione del globo. Durante il viaggio catturò una

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dozzina di navi spagnole e attaccò alcune città. Rientrò in Inghilterra il 9 settembre 1588 con la stiva colma di ricchezze. Nel 1591 compì una seconda spedizione a bordo della Lester, accompagnato da John Davis al comando della Desire, e insieme saccheggiarono il porto di Santos (Brasile). Cavendish morì durante il viaggio di ritorno, probabilmente nell’Isola dell’Ascensione. Christopher Newport Nacque nel 1561. Fu un corsaro inglese che operò nei Caraibi prevalentemente contro vascelli spagnoli. La sua carriera durò oltre vent’anni. Nell’agosto del 1592, mise a segno la cattura al largo delle Azzorre del Madre de Dios, un vascello portoghese carico di merci preziose. Nel 1606 fu ingaggiato dalla Virginia Company of London per trasportare coloni dall’Inghilterra alla Virginia. Salpò in dicembre al comando della Susan Constant, insieme ad altre due navi (la Godspeed e la Discovery), e approdò il 26 aprile del 1607 a Cape Henry. Nell’entroterra venne fondata la colonia di Jamestown, che fu il primo insediamento inglese in Nord America. Nei successivi 18 mesi, Newport effettuò altri tre viaggi trasportando approvvigionamenti dall’Inghilterra a Jamestown. L’ultimo, nel 1609, lo comandò a bordo del Sea Venture, come vice ammiraglio di una flotta di nove velieri. Il convoglio s’imbatté però in tre giorni di tempesta, e la Sea Venture, per evitare l’affondamento, fu fatta arenare nelle Bermuda, che dopo di allora divenne un insediamento stabile inglese. Dallo smantellamento del veliero vennero ricavate due imbarcazioni con le quali i naufraghi raggiunsero Jamestown, dove, nel frattempo, il mancato arrivo degli approvvigionamenti dall’Inghilterra aveva decimato i residenti. L’episodio del naufragio della Sea Venture − il cui resoconto fu fornito nel 1610 dallo scrittore William Strachey, che fu uno dei sopravvissuti − pare abbia ispirato a Shakespeare l’opera La Tempesta. Nel 1613, Newport navigò in Asia per la

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Compagnia delle Indie Orientali. Morì a Giava nel 1617. Jan Janszoon Nacque ad Haarlem intorno al 1570, operò come corsaro per la Spagna contro i ribelli olandesi durante la Guerra degli Ottant’anni, poi si trasferì nella Costa dei Barbari, dove da corsaro intraprese la più lucrosa carriera di pirata. Nel 1618 si accompagnò con Ivan Dirkie De Veenboer (Sulaiman Rais), un corsaro olandese convertito alla religione islamica, e fissò la sua base nel porto di Salè, che, sotto l’egida di un Consiglio di pirati di cui Janszoon divenne presidente, si dichiarò indipendente dal Sultanato del Marocco. Si converti anch’egli all’Islam e assunse il nome di Murat Rais. Nel 1627 assalì la città danese di Reykjavík (Islanda), catturando centinaia di uomini, venduti poi come schiavi ad Algeri o rilasciati dopo il pagamento di un riscatto. Durante il viaggio, non trascurò di assalire anche diversi vascelli. Nel 1631 ripeté la stessa razzia nelle coste inglesi e irlandesi, saccheggiando Baltimore, vicino a Cork (Irlanda). Intorno al 1635, Janszoon venne catturato dai Cavalieri di Malta, e rimase prigioniero fino alla sua fuga avvenuta nel 1640. Dopo il 1641 sparisce dalle cronache, probabilmente ritiratosi. Le sue vicende successive e la data della sua morte rimangono sconosciute. Piet Pieterszoon Hein Nacque il 25 novembre 1577 a Delfshaven (odierna Rotterdam), Olanda. Come figlio di un capitano, cominciò a navigare molto giovane, e, catturato, dovette prestare servizio anche su una nave negriera spagnola, prima di essere liberato. Tra il 1607 e il 1618 fu imbarcato in vari vascelli, principalmente in Asia, ottenendo i primi comandi. Tra il 1623 e il 1627, nominato vice-ammiraglio nella Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, compì vari raid, attaccando insediamenti portoghesi in Brasile e in Angola.


FANTASY Nel 1628, incaricato di intercettare la flotta spagnola che si occupava del trasporto di oro e argento dal Nuovo Mondo, riuscì a depredare una quindicina di vascelli. Sottratto loro il carico, le navi spagnole furono liberate e lasciate proseguire, con l’intero equipaggio; questo corretto modo di operare la guerra di corsa fu caratteristico di Hein. Durante tutto il suo servizio di corsaro per l’Olanda contro la Spagna, non operò mai azioni isolate e di pura pirateria. Nel 1629 divenne ammiraglio e comandante in capo della flotta confederata olandese. Morì in battaglia, il 18 giugno di quello stesso anno, durante una campagna contro i corsari di Dunkerque. Zheng Zhilong Nacque nel Fujian, una provincia costiera nel sud-est della Cina, intorno al 1601, figlio di un ufficiale governativo. Verso l’età di 17 anni, lasciò la famiglia e si trasferì a Macao, dove si convertì al Cristianesimo e assunse il nome di Nicolas Gaspard. In seguito trovò lavoro a Nagasaki, in Giappone, alle dipendenze del commerciante Li Dan, che lo utilizzò come interprete − e complice − per gli Olandesi, che in quel periodo miravano al monopolio del commercio tra Cina e Giappone non disdegnando di collaborare con i pirati. Alla morte di Li Dan, nel 1623, Zheng Zhilong ereditò le sue navi e si trasferì dapprima e Taiwan e poi su un’isola del litorale di Fujian, dove armò una grossa flotta pirata. Nominato ammiraglio dalla famiglia reale cinese, offrì i suoi servigi ai Ming per oltre un ventennio, accumulando enormi ricchezze, prima di ritirarsi. Morì nel 1661. Woodes Rogers Nacque intorno al 1619 a Bristol (Inghilterra). Fu corsaro inglese e, dopo la sua nomina nel 1718 a governatore delle Bahamas, divenne uno dei maggiori artefici della lotta alla pirateria nei Caraibi, da lui condotta sia militarmente che diplomaticamente (attraverso la concessione di amnistie).

Del suo periodo corsaro, un lungo viaggio intorno al mondo dal 1708 al 1711 al comando della Duke, fu pubblicato un ampio resoconto nel 1712, con il titolo A Cruising Voyage Round the World. Nel corso di quella spedizione, il 2 febbraio 1709, fu recuperato alle Isole Juan Fernández (al largo della costa del Cile), Alexander Selkirk, il marinaio scozzese abbandonato nell’ottobre del 1704 dal capitano Thomas Stradling della Cinque Ports, durante una precedente spedizione comandata da William Dampier (lo stesso Dampier era timoniere della Duke in quel 1709). Gli oltre quattro anni di vita da naufrago di Selkirk ispirarono poi il romanzo Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe. Woodes Rogers morì il 16 luglio 1732 a Nassau, Bahamas.

cato dagli Spagnoli, che massacrarono tutti i suoi compagni; egli, secondo i racconti, riuscì a salvarsi coprendosi di sangue e fingendosi morto sotto ai numerosi cadaveri. Nel 1666 fu uno dei filibustieri partecipanti alla spedizione che saccheggiò Maracaibo; mise poi a ferro e fuoco la cittadina di Gibraltar e depredò le coste del Lago Maracaibo e del Golfo del Venezuela. Le sue malefatte non risparmiarono nemmeno le coste del Nicaragua e dell’Honduras, a spese soprattutto di poveri villaggi di nativi, che potevano fruttare ben magri bottini. Una nuova, ambiziosa spedizione diretta in America Centrale terminò male: la nave dell’Olonese finì in secca nelle coste dell’Honduras, e l’equipaggio dovette difendersi per mesi dagli attacchi degli indigeni. I sopravvissuti tentarono di raggiungere i Caraibi con delle Jacob Collaart zattere ma, durante una delle varie soste, a Fu un ammiraglio Fiammingo che dal 1633 Panama nel 1671, l’Olonese morì, vittima di al 1637 operò come corsaro al servizio della un ennesimo attacco da parte dei nativi. Spagna durante la Rivolta Olandese. Nel 1635 riuscì a forzare con una piccola flotta il blocco Roc Brasiliano navale olandese a Dunkerque, e condusse una Il suo vero nome fu probabilmente Gerrit serie di raid che portarono alla cattura o alla Gerritszoon; nacque a Groningen (Olanda) distruzione di più di 150 pescherecci. La sua intorno al 1630, ma emigrò successivamente azione fu così incisiva che il Parlamento olan- in Brasile − da qui il suo soprannome − dove dese fu costretto a inviargli contro una flotta visse fino al 1654. militare, che tuttavia non riuscì a impedirgli il Fu corsaro in Brasile e successivamente a Port rientro a Dunkerque. Royal, e compì varie azioni piratesche in comIl 29 febbraio del 1636, Collaart fu intercetta- pagnia di altri celebri pirati come Henry Morgan to nei pressi di Dieppe (Francia) dal capitano e l’Olonese. Johan Evertsen, e catturato dopo una strenua Famoso per la sua spietatezza, si dice che battaglia. fosse quasi sempre ubriaco, e che si lasciasse Morì l’anno successivo a La Coruña (Spagna). prendere spesso la mano dal proprio sadismo infliggendo efferate torture ai suoi prigionieri. Francesco Nau detto “l’Olonese” Pare che in un’occasione abbia arrostito vivi Il suo vero nome era Jean-David Nau, nato a due coloni che avevano rifiutato di consegnarLes Sables-d’Olonne nella Vandea (Francia) gli i loro maiali. intorno a 1630; passò alla storia come uno Non si conoscono la data e le circostanze della dei pirati più feroci di ogni tempo, un aguzzi- sua morte. no abituato a torturare in modo orribile i suoi prigionieri. Henry Morgan Giunse nei Caraibi intorno al 1660, e si narra Nacque nel Monmouthshire (Galles) intorno che, nei primi anni della sua carriera, dopo es- al 1635, e fu uno dei più famosi bucanieri dei sere rimasto vittima di un naufragio nei pressi Caraibi. Come capitò a molti pirati, pare che la di Campeche (Messico), venne scovato e attac- sua carriera di fuorilegge fosse iniziata in se-

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Storia FANTASY guito al suo rapimento da parte dei bucanieri. Nel 1659 compì il suo primo saccheggio, a Santiago de los Caballeros (Repubblica Dominicana). Nel 1665 fu al comando una nave armata dal corsaro Edward Mansfield, in una spedizione contro gli Spagnoli nelle isole di Providence e Santa Catalina ordinata da Thomas Modyford, governatore della Giamaica. Quando Mansfield venne catturato e ucciso, i corsari elessero Morgan come loro ammiraglio. Nel 1667 venne inviato in missione di spionaggio a Cuba (era paventato un attacco spagnolo alla Giamaica, e il governatore necessitava di reperire informazioni), ma egli andò ben oltre il suo incarico: saccheggiò Port-au-Prince (Haiti), e assediò Portobelo (Panama) liberandola solo dopo pagamento di un lauto riscatto. Nel 1669 fu il turno di Maracaibo (Venezuela), anch’essa depredata. Nel 1670, Morgan riconquistò l’isola di Santa Catalina, in mano spagnola, ed espugnò la fortezza di San Lorenzo, nella costa di Panama, compiendo una strage tra i soldati; dopodiché risalì il Rio Chagres e depredò Panama City nel gennaio del 1671. Il raid non fu molto fruttuoso, perché gli Spagnoli avevano già provveduto a evacuare della città gran parte delle ricchezze, ma le conseguenze per Panama furono molto pesanti: la città dovette addirittura essere ricostruita. Poiché l’attacco avvenne mentre era in vigore un trattato di pace tra Spagna e Inghilterra, una volta tornato in Giamaica, Morgan venne arrestato e tradotto a Londra, dove tuttavia, anziché una punizione ricevette il titolo di cavaliere, e venne poi rispedito nei Caraibi con la carica di Governatore della Giamaica. Nel 1681 venne sostituito da Thomas Lynch, il quale riuscì poi a estrometterlo anche dal Consiglio della Colonia. Due anni più tardi venne pubblicato un libro di Alexandre Exquemelin sui bucanieri dei Caraibi, che compromise la reputazione di Morgan contribuendo a renderlo noto come uno dei più sanguinari pirati mai esistiti. Sir Henry Morgan morì a Port Royal il 25 ago-

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sto del 1688, probabilmente per tubercolosi, 1683. Nel 1685 fu la volta di Campeche. o per problemi al fegato dovuti all’eccessivo L’anno seguente finì quasi sicuramente vittima consumo di alcol. di un naufragio, poiché il suo vascello scomparve durante una tempesta mentre viaggiava William Kidd detto “Capitan Kidd” verso la Florida. Nacque in Scozia (si ritiene a Greenock, ma alcune ricerche recenti suggerirebbero Dundee) Jean Bart intorno al 1645. Operò come corsaro per il go- Nato il 21 ottobre del 1650 nella città di vernatore del Massachusetts contro i Francesi, Dunkerque (Olanda) − famosa per i suoi corcon una lettera di marca siglata personalmen- sari − in una famiglia che aveva annoverato te da re Guglielmo III. anche un ammiraglio al servizio della Spagna, Nel 1696, al comando della nave Adventure all’età di dodici anni s’imbarcò come mozzo in Galley, fece rotta per l’Oceano Indiano col pro- una nave di contrabbandieri. posito di dare la caccia ai pirati del Madagascar. Nel 1666, s’imbarcò come marinaio su una La spedizione subì però una serie di disavven- nave della flotta olandese delle Province ture (colera a bordo, diserzione, ammutina- Unite, e nel 1667 ottenne il comando di un mento, fallimenti nello scovare i pirati…) che brigantino. portatono l’Adventure a compiere atti di “corsa” Allo scoppio della Guerra d’Olanda (1672non del tutto ortodossi. Uno dei più controversi 1678) Jean Bart assunse la carica di primo fu l’attacco avvenuto nel 1968 al veliero arme- ufficiale a bordo del vascello corsaro francese no Cara Merchant, battente bandiera francese Alexandre, e nel 1674 fu al comando del Le ma comandato da un Inglese. Roi David, col quale intercettò con successo Al suo rientro in America, Kidd venne arresta- una decina di navi inglesi (il 17 febbraio del to, condotto a Londra e rinchiuso nella famige- 1674 l’Inghilterra aveva siglato la pace con le rata Newgate Prison. Riconosciuto colpevole Province Unite, alleate della Spagna e avverdi pirateria, venne impiccato pubblicamente sarie della Francia). il 23 maggio del 1701. Dopo la duplice esecu- Tra il 1676 e il 1678, come capitano su vazione − fu ripetuta due volte, poiché al primo rie navi (La Royale, Grand Louis, La Palme, tentativo la corda del cappio si spezzò −, il Dauphin), condusse con successo azioni contro cadavere, ricoperto di catrame per evitarne almeno un’altra cinquantina vascelli inglesi e la decomposizione, venne lasciato esposto, olandesi. appeso all’interno di una gabbia, lungo la riva Il Trattato di Nimègue (10 agosto 1678) pose del Tamigi. fine alla Guerra d’Olanda. Nel 1681, con La Vipère, Jean Bart guidò una Michel de Grammont spedizione contro i pirati barbareschi nel Nato a Parigi intorno al 1645, era figlio di un Mediterraneo. nobile francese. Dopo aver ucciso in duello Nel 1688 scoppiò la Guerra della Grande uno spasimante della sorella, poco più che Alleanza (Guerra dei Nove Anni); l’anno suctredicenne fu costretto e emigrare nell’isola di cessivo, Jean Bart insieme a Claude de Forbin, nel Hispaniola (odierna Haiti). tentativo di proteggere un convoglio francese, Operò come corsaro per la Francia. Nel 1678 attaccarono due navi da guerra inglesi, finenpartecipò a una sfortunata spedizione contro do catturati e reclusi a Plymouth, da dove però la colonia olandese di Curaçao, e a un’altra nei evasero dopo soli tre giorni di prigionia. territori spagnoli del Venezuela, da Maracaibo Nel 1691, Jean Bart riuscì a forzare il blocco a La Guaira, penetrando nell’entroterra fino inglese di Dunkerque con una piccola flotta a Trujillo. L’anno successivo prese le città di di otto vascelli, con i quali compì una serie Toulha, Puerto Cabello e Vera Cruz, in Messico, di ardite azioni corsare: catturò un convoglio quest’ultima saccheggiata nuovamente nel di quattro mercantili scortato da due navi da

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FANTASY guerra inglesi, poi una flottiglia di pescherecci di nuovo sotto scorta di un vascello inglese, e infine saccheggiò un castello e alcuni villaggi lungo le coste della Scozia. Questi successi gli valsero un invito ufficiale a Versailles da parte di Luigi XIV. Nel 1694, venne incaricato di recuperare un convoglio di oltre cento navi cariche di grano catturate dagli anglo-olandesi. L’azione ebbe pieno successo e salvò la Francia dalla fame. Jean Bart venne decorato da re Luigi XIV in persona. Il 17 giugno 1696, nella Battaglia di Dogger Bank, Jean Bart a bordo della Mature, al comando di una piccola flotta corsara, guidò con successo l’attacco contro un convoglio di oltre cento mercantili scortati da cinque vascelli olandesi, facendo 1200 prigionieri. La pace siglata col Trattato di Ryswik il 20 settembre e il 30 ottobre del 1697 pose fine alla guerra, e di fatto chiuse anche la carriera di Jean Bart. Il corsaro morì il 27 aprile del 1702.

del Perù. Tra il 1683 e il 1691 compì la sua prima circumnavigazione del mondo, imbarcato in un paio di navi corsare che, sotto i capitani John Cock e Charles Swan, compirono varie razzie nei possedimenti spagnoli in Perù, nelle Galapagos e nel Messico, e poi ancora nelle Indie. Quei viaggi stimolarono le sue attitudini di naturalista, e i suoi appunti vennero riuniti e pubblicati nel 1697 nel volume A New Voyage Round the World. Nel 1699 l’Ammiragliato Britannico, interessato ai suoi studi, lo mise al comando del vascello Roebuck commissionandogli un nuovo viaggio di esplorazione in Australia e Nuova Guinea. La spedizione fu poco fortunata nel ritorno, poiché il Roebuck affondò il 21 febbraio del 1701 nei pressi dell’Isola dell’Ascensione e l’equipaggio rimase naufrago per più di un mese. Rientrato in Inghilterra, Dampier dovette sostenere la corte marziale, accusato di crudeltà da un membro del suo equipaggio. Fu ritenuto colpevole e dovette dimettersi dalla marina inglese. Al comando della nave corsara St. George, compì dal 1703 al 1707 la sua seconda circumnavigazione, durante la quale catturò alcuni vascelli spagnoli. Il resoconto dei viaggi della Roebuck e della St. George vennero pubblicati da Dampier in due volumi: A Voyage to New Holland (1701) e A Continuation of a Voyage to New Holland (1709). Una terza circumnavigazione la portò a termine tra il 1708 e il 1711 come timoniere della Duke, la nave del corsaro Woodes Rogers. Dampier morì a Londra nel marzo del 1715.

William Dampier Henry Avery William Dampier Nacque a Plymouth intorno all’anno 1653, Nacque nel 1651 in Inghilterra, e divenne noto s’imbarcò giovanissimo prestando servizio in per aver cartografato parte della costa dell’Au- varie navi della marina britannica. Si dedicò stralia e della Nuova Guinea. Fu naturalista e principalmente alla tratta degli schiavi, che navigatore, e occasionalmente bucaniere. comprava nelle coste dell’Africa Occidentale e Nel 1679, fu membro dell’equipaggio di un va- rivendeva nelle Antille. scello pirata che catturò alcune navi spagnole Nel 1694 compì il suo unico, ma clamoroso press l’Istmo di Darien (Panama), e depredò viaggio piratesco, iniziato a La Coruña (Spagna) alcuni insediamenti spagnoli lungo le coste con il furto della nave Charles II − della quale

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era primo ufficiale −, ribattezzata Fancy. Veleggiò poi lungo la costa atlantica dell’Africa, doppiando il Capo di Buona Speranza e non disdegnando di assalire qualche nave durante il tragitto. Nell’agosto del 1694, raggiunto lo stretto di Bab al Mandab tra il Golfo di Aden e il Mar Rosso, s’imbattè nel Ganj-i-Sawai, il più grande vascello della flotta di Aurangzeb sovrano dell’Impero Mogul; la nave viaggiava scortata dal Fateh Muhammed, il vascello che il giorno precedente aveva battuto la Amity del pirata Thomas Tew (rimasto ucciso nello scontro). La Fancy non ci pensò un attimo ad attaccare il veliero di scorta, che, forse indebolito dalla battaglia contro la Amity, si arrese senza opporre grossa resistenza. Il bottino fu considerevole ma Avery, non contento, si lanciò all’inseguimento del Ganj-i-Sawai, una nave pesantemente armata che, nonostante ciò, fu abbordata e, dopo un furioso combattimento, catturata. Il trattamento riservato ai prigionieri fu atroce. E il bottino dei vincitori, in oro e pietre preziose, fu enorme. La cattura della Ganj-i-Sawai fu probabilmente l’impresa più redditizia della storia della pirateria. Dopo una tappa all’Isola della Riunione, la Fancy raggiunse Nassau, dove l’equipaggio si divise. Avery fece ritorno in Gran Bretagna, sbarcando in Irlanda, e da quel momento fece perdere ogni sua traccia. Fu uno dei pochissimi pirati famosi a evitare la forca o la morte in combattimento. Thomas Tew Pare sia nato in Inghilterra, ma non si conosce il luogo esatto né la data di nascita. Fu uno fra i più famosi corsari divenuti poi pirati. Operò nel Rhode Island, dove visse a lungo, e nel Mar Rosso con lettera di corsa concessa dal governatore delle Bermuda. A bordo del vascello Amity, salpò nel 1692 con l’incarico di contrastare i commerci francesi in Gambia. Le sue inclinazioni piratesche presero però il sopravvento, e lo indussero a depredare navi turche e indiane, riportando a Newport, nell’aprile del 1694, un notevole bottino. In no-

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Storia FANTASY vembre era già pronto a ripartire, forte di una nuova lettera di corsa firmatagli dall’amico Benjamin Fletcher, governatore di New York. Giunto nuovamente nel Mar Rosso nell’agosto 1695, Tew si consorziò con altri pirati del calibro di Henry Avery, ma la sua carriera terminò nel settembre di quello stesso anno: finì ucciso dai colpi di cannone della Fateh Muhammed, durante l’attacco a un convoglio navale turco.

Iniziò la sua carriera imbarcandosi nel 1689 sulla Trinité, una nave impegnata nella guerra di corsa contro inglesi e olandesi. Tra il 1691 − anno del suo primo comando − e il 1697 compì con successo varie azioni corsare, con una parentesi di qualche mese, nel 1694, quando venne catturato dagli Inglesi e rinchiuso a Plymouth (da dove riuscì tuttavia a fuggire). Durante la Guerra di Successione Spagnola (1701-1714), fu ufficiale nella marina francese, e fu partecipe di varie azioni corsare e di guerra, prima di venire spedito in Brasile dove, nel settembre del 1711, compì la sua impresa più celebre conquistando Rio de Janeiro. Negli anni successivi ottenne promozioni, onori e varie cariche di comando. Il suo ultimo incarico, nel 1731, fu la repressione dei corsari barbareschi di Tunisi. Morì a Parigi il 27 settembre del 1736.

Spagnola (1701-1714), durante la quale aveva prestato servizio a bordo di un vascello inglese. Nel 1716 fu tra i pirati che rifiutarono l’amnistia reale. Intorno al suo nome si sono creati aneddoti leggendari, che riportano episodi feroci o grotteschi, o di tale eccentricità da rasentare la follia, per buona parte messi in giro da Teach stesso che non nascondeva l’ambizione di voler cucire un mito sul proprio personaggio. La sua impresa più famosa fu l’assedio del porto di Charleston (Carolina del Sud, Stati Uniti), nel maggio del 1718. Prima di allora, aveva comunque già depredato decine di navi in “società” col collega pirata Benjamin Hornigold. La sua carriera e la sua vita terminarono il 21 novembre del 1718, nell’insenatura di Ocracoke (Carolina del Nord) durante una furiosa battaglia con la Pearl comandata dal tenente di vascello Robert Maynard.

Benjamin Hornigold Fu corsaro inglese durante la Guerra di Successione Spagnola, e in seguito pirata “gentiluomo”. Della sua ciurma fecero parte molti avventurieri che divennero poi a loro volta bucanieri famosi, come Edward Teach “Barbanera” e Samuel Bellamy. Nel 1718 quando Woodes Rogers divenne governatore delle Bahamas, Hornigold ottenne l’amnistia insieme all’incarico di perseguire i pirati. Scomparve poi nel 1719, presumibilmente vittima di un naufragio, mentre era impegnato in un viaggio commerciale in Messico.

Olivier Levasseur detto “La Bouche” Nacque intorno al 1680, a Calais (Francia). Tra il 1716 e il 1719 operò nei Caraibi insieme a pirati noti, come Benjamin Hornigold, Samuel Bellamy, Howell Davis, Thomas Cocklyn. Trasferì poi la sua base all’isola Sainte-Marie, di fronte alle coste del Madagascar, dove si associò col pirata John Taylor. Insieme, nel 1721, catturarono il Nossa Senhora do Cabo (poi rinominato Le Victorieux) con a bordo il viceré delle Indie Orientali Portoghesi e un lauto bottino. Fu impiccato il 7 luglio del 1730 a Saint-Paul (Isola della Riunione).

Edward Teach detto “Barbanera” Nacque intorno al 1680, probabilmente a Bristol; non si conosce molto riguardo la sua origine (il nome stesso Edward Teach potrebbe essere falso) ma, una volta intrapresa la carriera di pirata, le malefatte compiute nei Caraibi a bordo della sua Queen Anne’s Revenge René Duguay-Trouin lo fecero ricordare come uno dei fuorilegge più René Duguay-Trouin famigerati. Vero nome: René Trouin du Gué; nato a Saint- Iniziò a dedicarsi alla pirateria − seguenMalo (Francia) il 19 giugno del 1673, figlio di do l’esempio di molti corsari − dopo il ritiro un armatore. dell’Inghilterra dalla Guerra di Successione

Bartholomew Roberts detto “Black Bart” All’anagrafe John Roberts, nato a CasnewyddBach nel Pembrokeshire (Galles) il 17 maggio 1682; è stato un pirata gallese, tra i più famosi mai esistiti. Intorno al 1719, mentre era imbarcato su un vascello negriero lungo le coste del Ghana, venne fatto prigioniero dal pirata Howel Davis − anch’egli Gallese − e si unì alla sua ciurma; meno di due mesi più tardi, alla morte di Davis, era già stato eletto capitano.

Edward England Di origine irlandese, il suo vero nome era Edward Seegar. Iniziò la sua carriera di fuorilegge dopo essere stato catturato dal pirata Christopher Winter, nei Caraibi. Fu molto attivo nell’Oceano Indiano negli anni dal 1717 al 1720. Non era particolarmente brutale, anzi era noto per risparmiare la vita ai prigionieri catturati durante i suoi raid, magnanimità che infine gli costò il comando. Nell’occasione del suo ultimo atto di pirateria, il difficile attacco al mercantile britannico Cassandra, si rifiutò di ucciderne l’equipaggio e fu per questo deposto dai suoi uomini e poi abbandonato nelle isole Mauritius, lui insieme ad altri due pirati rimastigli fedeli. Con una zattera, i tre riuscirono a raggiungere il Madagascar, dove England morì intorno al 1721.

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FANTASY Nel 1720, assaltò due volte il porto di Saint Kitts. Poco più tardi catturò e “giustiziò” il governatore della Martinica. Svolse la sua attività di pirata dal Brasile ai Caraibi e lungo la rotta per le Indie; in poco più di due anni depredò più di 450 vascelli. Venne ucciso da un colpo di cannone a bordo della sua Royal Fortune, nei pressi di Capo Lopez (Gabon), durante un combattimento contro Chaloner Ogle capitano della nave da guerra britannica Swallow. Era il 10 febbraio 1722. Anche per questa azione, il capitano Ogle fu l’unico ufficiale della marina britannica a ricevere una specifica onorificenza per la lotta contro la pirateria. John Rackham detto “Calico Jack” Soprannominato “Calico” dal nome del tessuto calicò, del quale erano fatti i vestiti che amava indossare, nacque a Bristol (Inghilterra) il 21 dicembre 1682. I suoi primi atti di pirateria li compì a bordo della nave Neptune, sotto il comando di Charles Vane, al quale poi succedette in seguito a un ammutinamento. Divenne famoso per aver accolto a bordo del suo vascello due delle più note donne pirata della storia, la sua compagna Anne Bonny e Mary Read. Fu catturato insieme al suo equipaggio nell’ottobre del 1720, senza offrire grossa resistenza all’arresto, probabilmente perché la ciurma fu sorpresa ubriaca. Le cronache narrano che alla sua impiccagione, avvenuta il 18 novembre del 1720 a Santiago de la Vega (Giamaica), fosse presente Anne Bonny, la quale gli rimproverò la cattura con queste parole: “Se tu avessi combattuto da uomo, non moriresti impiccato come un cane!” Stede Bonnet Nato nella colonia inglese delle Barbados nel 1688, figlio di un proprietario terriero, beneficiò di una buona educazione e fu ufficiale nelle truppe coloniali britanniche. Si dedicò alla pirateria senza alcuna esperienza di navigazione − al tempo si disse che lo fece per fuggire dall’insopportabile moglie Mary Allamby − comprando, anziché rubarla, una

nave battezzata poi Revenge, pagando di tasca propria una ciurma riottosa che spesso gli si rivoltò contro, e affiliandosi poi al famigerato Edward Teach “Barbanera”. Catturato il 27 settembre del 1718 dal colonnello William Rhett al termine di una intensa battaglia all’estuario del fiume Cape Fear, fuggì di prigione ma venne ripreso e morì impiccato a Charleston il 10 dicembre del 1718. Samuel Bellamy detto “Black Sam” Nacque a Hittisleigh nel Devonshire (Inghilterra) il 23 febbraio 1689, ultimo di sei fratelli; la madre Elizabeth morì durante il parto. Chiamato “Black Sam” per via dei capelli neri che portava lunghi e legati con un laccio, cominciò a fare il marinaio molto giovane, a Cape Cod, dove conobbe Maria Hallet, che divenne sua moglie, e Paul Williams, col quale si mise in società per recuperare carichi affondati davanti alle coste della Florida. La sua carriera di fuorilegge iniziò arruolandosi insieme a Williams nella ciurma del pirata Benjamin Hornigold sulla nave Mary Anne, della quale prese poi il comando in seguito a un ammutinamento. Era il 1716. Nell’arco di un anno riuscì a catturare una cinquantina di vascelli, tra i quali la Whydah che divenne la sua nave. Fu un pirata atipico, noto per la pietà nei confronti degli equipaggi delle navi depredate: un esempio eclatante della sua generosità fu la concessione della sua ammiraglia, la Sultana, al capitano della Whydah, dopo avergli sequestrato la nave. Morì nei pressi di Wellfleet, Massachusetts, durante una tempesta che fece affondare tutta la sua flotta. Il relitto sommerso della Whydah fu recuperato dal cacciatore di tesori Barry Clifford nel 1984, il quale fondò poi a Provincetown (Massachusetts) il museo “Samuel Bellamy”. Mary Read Nacque a Plymouth (Inghilterra) intorno al 1690, e divenne famosa come una delle poche donne pirata della storia dei Caraibi. Fin da piccola venne abituata dalla madre a vestirsi da uomo, si narra che ciò servisse a ingannare la nonna paterna per questioni di eredità.

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Di carattere indipendente, sfruttò il suo mascheramento per arruolarsi nell’esercito inglese, e sposò in seguito un soldato fiammingo. Alla morte del marito, indossò di nuovo panni maschili ed emigrò nei Caraibi. Divenne fuorilegge nel 1718 scegliendo di unirsi ai pirati che avevano assaltato il battello sul quale viaggiava: si trattava della banda del famoso John “Calico Jack” Rackham. Il destino volle che, caso più unico che raro, con Rackham prestasse già servizio un’altra celebre donna pirata, Anne Bonny, la cui amicizia favorì l’integrazione di Mary Read nella ciurma, anche dopo che fu scoperto il suo sesso. Nel 1720, l’intero equipaggio agli ordini di Rackham venne catturato dalle truppe inglesi comandate da Jonathan Barnet, e finì giustiziato. L’esecuzione di Mary Read e Anne Bonny venne sospesa, perché le due donne aspettavano un bambino. Mary Read morì tuttavia qualche mese più tardi, nell’aprile del 1721, probabilmente a causa di complicazioni seguite al parto. Edward Low Nacque da genitori poveri a Westminster, Londra, intorno al 1690. Ancora giovane emigrò con la famiglia a Boston, nel Massachusetts, e cominciò a dedicarsi alla pirateria nel 1719, inizialmente in una piccola banda, poi affiliandosi al pirata George Lowther, e infine come capitano a bordo del Rebecca, la prima delle sue molte navi. Operò nelle coste del New England, nelle Azzorre e nei Caraibi. Fu un pirata particolarmente crudele e violento: aveva l’abitudine di torturare le sue vittime prima di ucciderle. Le circostanze della sua morte sono controverse. Alcune fonti indicano che morì in Brasile, altre che fu destituito durante un ammutinamento, e successivamente catturato e impiccato dai Francesi nella Martinica, nel 1724. Anne Bonny Nacque a Cork in Irlanda, intorno al 1698, figlia illegittima di un avvocato, William Cormac, e della sua governante. La famiglia emigrò a Charleston, nella Carolina del Sud, dove il pa-

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Storia FANTASY dre divenne mercante e proprietario terriero. Di carattere indipendente e audace, Anne sposò all’età di 16 anni un marinaio, James Bonny, e si trasferì nei Caraibi; lì iniziò la sua carriera di pirata unendosi − anche sentimentalmente − a John “Calico Jack” Rackham. Fu amica di un’altra famosa donna pirata, Mary Read, la quale, inizialmente scambiata per un maschio, venne anch’essa arruolata nella banda di Calico Jack. Nell’ottobre del 1720, il capitano Jonathan Barnet riuscì a catturare Rackham e la sua intera ciurma. Furono tutti condannati all’impiccagione, ma l’esecuzione di Anne Bonny e Mary Read venne sospesa perché entrambe le donne erano in stato di gravidanza. Le cronache riportano la morte in prigione di Mary, probabilmente per complicazioni seguite al parto, ma nulla dicono riguardo la sorte di Anne. Si ritiene che fu salvata dalla forca e liberata grazie all’influenza e alle manovre del padre, e che da quel momento riuscì a vivere da donna rispettabile.

Fames’ Revenge − depredò cinque vascelli lungo le coste del New England e della Carolina del Nord. Finì poi catturato e impiccato a Boston quello stesso anno, il 12 luglio del 1726: la sua carriera di fuorilegge era durata pochi mesi.

Samuel Mason Nacque nel 1739 a Norfolk, in Virginia, e divenne noto come il capo di una banda di pirati di fiume. Dalla sua base di Cave-in-Rock, dal 1797 al 1799, fu il terrore dei battelli che navigavano le acque del fiume Ohio (Kentucky). Mason e i suoi uomini furono arrestati da ufficiali spagnoli a New Madrid (Missouri) nel 1803, ma il pirata riuscì a fuggire insieme al complice John Sutton (in realtà Wiley “Little” Harpe, uno dei più noti fuorilegge e assassini di quel periodo) mentre stavano venendo tradotti presso il Governatore americano del Mississippi. Mason rimase ferito alla testa durante la fuga, e non è chiaro se morì per quella ferita o se venne in seguito ucciso proprio da Sutton. Christopher Condent Quel che è certo è che Sutton e un altro uomo Si sa che era Inglese, ma poco altro riguardo la si presentarono a reclamare la taglia prontasua gioventù. mente messa sulla testa del compagno, ma Lasciò New Providence dopo la nomina a go- fu riconosciuto, arrestato e infine impiccato a vernatore di Woodes Rogers nel 1717, facendo Greenville (Mississippi) nel 1804. rotta verso l’Oceano Indiano. Compì atti di pirateria lungo le coste africane, John Paul Jones ma il suo colpo più grosso lo mise a segno nei Nacque nei pressi di Kirkbean, nella Scozia mepressi di Bombay (India), depredando una ridionale, nel 1747. nave araba della potente Compagnia delle Dal 1759 al 1768 fu marinaio e poi ufficiale a Indie Orientali, che fruttò un bottino ingente. bordo di navi mercantili e negriere. Nel 1768, In seguito negoziò l’amnistia col governato- in Giamaica, disgustato dalla tratta degli re francese di Bourbon (l’odierna Isola della schiavi, cambiò il suo imbarco trovando un Riunione), ne sposò la sorella e si trasferì in passaggio per la Scozia, da dove poi riprese il Francia, dove divenne mercante e condusse mare sul brigantino John, di cui assunse il couna vita onesta fino alla sua morte, avvenuta mando dopo che il capitano e il primo ufficiale nel 1770. morirono di febbre gialla. L’ottima reputazione che si era guadagnato William Fly subì un contraccolpo nel 1770, quando uno dei Nacque in Inghilterra intorno al 1700, e il suo suoi marinai − che in seguito morì − lo accusò primo atto di pirateria fu l’ammutinamento a di crudeltà. bordo della Elizabeth, la nave su cui era im- Durante i successivi diciotto mesi comandò il barcato in viaggio dalla Giamaica all’Africa. Betsy, fino a quando (nel 1773) non ritenne Divenuto capitano del veliero − ribattezzato opportuno fuggire a Fredericksburg (Virginia)

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per evitare di comparire davanti alla Corte Marziale dopo aver ucciso − per legittima difesa, dichiarò in seguito − un membro della sua ciurma, a causa di una disputa riguardante l’ingaggio. Nel 1775 fu accolto nella Marina Continentale (la futura Marina degli Stati Uniti); nel 1776 gli venne assegnato il comando della Providence, e subito dopo quello della Alfred, con la quale venne inviato a liberare i prigionieri americani impiegati dagli Inglesi nelle miniere di carbone della Nuova Scozia, missione che ebbe successo e si concluse con l’inattesa cattura del Mellish, un vascello di grande importanza per gli approvvigionamenti britannici. Nel 1777, al comando della fregata Ranger, fu inviato in Francia a supportare la causa americana, e lì ebbe modo di stringere amicizia con Benjamin Franklin. Il trattato di alleanza tra Francia e America fu firmato l’anno successivo, e John Paul Jones salpò allora dal porto di Brest per dirigersi verso le coste britanniche, iniziando una rapida e ardita spedizione corsara che si concluse con la cattura del vascello inglese Drake. Nel 1779, assunse il comando del Bonhomme Richard, a bordo del quale guidò una piccola flotta in Inghilterra con l’incarico di creare un diversivo mentre una ben più imponente flotta franco-spagnola si stava avvicinando all’Isola. Compiendo raid in Irlanda e in Scozia, si trascinò all’inseguimento molte navi inglesi. Il 23 settembre del 1779, nel Mar del Nord lungo le coste dello Yorkshire, la sua flotta si scontrò con due vascelli britannici che scortavano un convoglio mercantile, in quella che rimase nota come la Battaglia di Flamborough Head, e che fruttò a John Paul Jones onori e fama in America e in Francia (ma il titolo di “pirata” in Inghilterra). Nel 1788, entrò al servizio dell’Imperatrice Caterina II di Russia e, al comando della Vladimir, partecipò a una campagna contro i Turchi nel Mar Nero. Nel 1790 si trasferì a Parigi, dove morì nel 1792, poco dopo esser stato nominato console americano.


FANTASY Robert Surcouf Nacque nel dicembre del 1773, a Binic in Bretagna (Francia), vicino a Saint-Malo; fu un corsaro francese, famoso per la sua galanteria, soprannominato “Re dei Corsari”. All’età di tredici anni fuggì dalla scuola gesuita presso cui studiava, e all’età di quindici viaggiò in India. Dopo essere stato imbarcato su navi negriere tra il 1789 e il 1791, nel 1792 partecipò come secondo ufficiale della fregata Cybelle alla difesa dell’Île de France (Mauritius) minacciata da due vascelli inglesi. Scoprì in quel momento la sua vocazione di corsaro, e successivamente riuscì a ottenere una lettera di marca. Tra il 1798 e il 1800, come capitano della Clarisse e della Confiance, riuscì a catturare una quindicina di navi inglesi, prima nell’Atlantico e poi nell’Oceano Indiano. Nel 1803 rifiutò il titolo di capitano e il comando di una flotta della marina francese nell’Oceano Indiano offertigli direttamente da Napoleone. Nel 1804 si mise in proprio, armando una piccola flotta corsara nell’Oceano Indiano, che tuttavia procurò scarsi introiti. Dopo alcuni anni di vita “tranquilla”, nel 1807 riprese il mare a bordo del veloce tre alberi Revenant, col quale catturò un’altra ventina di vascelli inglesi. Nel 1809, Surcouf venne ricevuto da Napoleone che gli conferì il titolo di Barone dell’Impero. Passò i restanti anni della sua vita come semplice armatore e uomo d’affari. Morì l’8 luglio del 1827 in una sua tenuta di campagna nei pressi di Saint-Servan, e fu sepolto a Saint-Malo.

tuale operò una pesante confisca nei depositi dei Lafitte, i quali continuarono poi ad avere guai legali che portarono all’arresto di Pierre. All’ingresso in guerra degli stati indipendenti contro l’Inghilterra, Lafitte negoziò con il generale Andrew Jackson (futuro presidente degli Stati Uniti) i propri servigi a favore degli Americani nella difesa della Louisiana, rifiutando le offerte concorrenti di re Giorgio III, e ottenendo in tal modo la revoca delle violazioni alle leggi fiscali che gli venivano contestate. Lettere di marca finirono anche a vari contrabbandieri che avevano lavorato con lui. L’apporto di Lafitte fu importante nella Battaglia di New Orleans, l’8 gennaio 1815. Sul finire del 1815, i fratelli Lafitte accettarono di divenire spie per la Spagna durante la Guerra d’Indipendenza Messicana, e Jean si trasferì a Galveston in Texas − base del corsaro filo-messicano Louis-Michel Aury − dove riprese le sue attività di contrabbando. Nel 1821, dopo l’attacco a un mercantile americano da parte di uno dei capitani di Lafitte, venne inviata a Galveston la USS Enterprise per rimuovere il contrabbandiere dal comando della colonia. Lafitte se ne andò senza opporre resistenza. In seguito installò una sua piccola base a Isla Mujeres, poco al largo della costa dello Yucatán. Non si conoscono le sue imprese successive; alcune fonti indicano che morì nel 1826, a causa di una febbre contratta nel villaggio indiano di Teljas. Jean Baptiste Lafitte

Jean Baptiste Lafitte Nato intorno al 1776, non è chiaro se in Francia o in una delle colonie francesi delle Antille o del Nord America. Praticò contrabbando, traffico di schiavi e pirateria nel Golfo del Messico; a New Orleans, insieme al fratello Pierre, aveva organizzato una società di corsari e negrieri, aprendo un negozio all’ingrosso per smistare i frutti del suo “commercio”. Il 16 novembre del 1812, il governo distret-

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Ching Shih Conosciuta anche col nome di Zheng Yi Sao, fu la più celebre donna pirata dell’Asia. Nacque intorno al 1785, e in giovane età fu prostituta presso un bordello cantonese, fino al suo matrimonio col cinese Zheng Yi, il quale, prima di morire nel 1807, riuscì a riunire una enorme coalizione di pirati che contava più di 400 navi, di cui Ching Shih divenne capo. Sotto il suo comando, la flotta pirata si ampliò ulteriormente; ������������������������������� Ching Shih riuscì �������������������� ad acquisire il controllo di molti villaggi costieri, mantenendo la disciplina − sia nei possedimenti sia internamente alla flotta stessa − grazie all’introduzione di un rigido codice di condotta. Nel 1808, il governo cinese tentò di porre un freno alle continue incursioni impegnando la flotta di Ching Shih in una serie di battaglie, perse, che servirono solo a rafforzare l’egemonia dei pirati offrendo anzi ulteriori vascelli da catturare. Nel 1810, beneficiando di un’amnistia concessale dal governo, ����������� Ching Shih ������������������ si ritirò aprendo una casa da gioco a Guangzhou, dove visse fino alla morte, avvenuta nel 1844. Louis-Michel Aury Nato a Parigi intorno al 1788, prestò servizio nella marina francese, prima di diventare corsaro. Operò nel Golfo del Messico e nei Caraibi, appoggiando le colonie spagnole dell’America Latina nella guerra per l’indipendenza dalla Spagna. Nell’aprile del 1813 risalì le coste della Carolina del Nord attaccando navi spagnole per conto della colonia del Venezuela. Operò anche per la colonia di Grenada (Colombia), e per Simón Bolívar. Nel 1816 accettò la carica di Governatore del Texas per conto della giovane Repubblica del Messico, e stabilì la sua base corsara a Galveston, città che in sua assenza finì poi sotto il controllo del corsaro Jean Lafitte. Nel 1817, Aury appoggiò l’avventuriero scozzese Gregor MacGregor in un attacco portato alla Florida spagnola. Nel 1818 occupò Old Providence Island, nei Caraibi, dove pare morì assassinato nel 1821. n

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L’ENIGMA DELLE MAPPE

(compendio de “I Misteri della Mappa di Piri Reis”) di Diego Cuoghi - www.diegocuoghi.com

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e carte geografiche cinquecentesche spesso si basavano su sistemi di rappresentazione simbolici, potevano collocare il nord in basso e il sud in alto, o Gerusalemme al centro del mondo, o enfatizzare la grandezza di una nazione a spese di altre meno importanti. In moltissimi casi, non derivavano da osservazioni dirette ma da altre mappe più o meno congeniali alle pretese di stati come Spagna e Portogallo, che si contendevano il dominio sulle terre di recente scoperta. Fino al 1507, inoltre, si riteneva che le terre toccate prima da Colombo e poi da Vespucci facessero parte dell’Asia, non di un nuovo continente, e per questo motivo certe mappe le univano all’Estremo Oriente, spesso con Una versione l’ulteriore aggiunta di “terre incognite” a sud, e luoghi di questo articolo è stata mitici come il “Regno del Prete Gianni”, l’isola di Brazil, pubblicata ne Gli enigmi della storia, il Paradiso Terrestre, la Torre di Babele o l’Isola di San Massimo Polidoro, Brandano… Edizioni Piemme, 2003 Non si dovrebbe dunque prendere per testimonianze geografiche assolutamente esatte e attendibili le antiche mappe di navigazione, redatte prima della scoperta di accurati metodi di rappresentazione cartografica e calcolo della Longitudine. Eppure, cercando in Internet la voce “Piri Reis map”, troverete una quantità di siti − più o meno dedicati ai “misteri” − in cui si afferma che questa carta, datata “anno islamico 919” (il nostro 1513), conterrebbe una rappresentazione precisa delle coste dell’Antartide, all’epoca ancora sconosciuta. Lo stesso dicasi per altre famose mappe: quelle di Orontius Finaeus del 1531 e di Philippe Buache del 1739. Secondo ChARLES HApGOOD, autore di Mappe degli antichi re del mare - Le prove di una civiltà avanzata nell’era glaciale, tutti questi documenti riprodurrebbero l’Antartide prima della glaciazione. Del medesimo parere sono ERICh VON DÄNIkEN in Chariots of Gods e FLAVIO BARbIERO in Una civiltà sotto ghiaccio. Chi però in anni recenti ha diffuso maggiormente queste teorie è GRAhAm HANCOCk nel suo best seller fanta-archeologico Impronte degli Dei. Secondo molti appassionati di misteri, le mappe vennero redatte sulla base di

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FANTASY La Mappa di Piri Reis, 1513 raffigurazioni antichissime, forse risalenti alla mitica Atlantide, o di vedute dall’alto ammissibili solo a bordo di aerei o astronavi extraterrestri, o vennero addirittura riprodotte da fotografie. Sia Hapgood che Hancock sostengono che la raffigurazione del continente antartico in queste mappe sarebbe precisissima e, indicando fiumi, laghi e montagne, farebbe supporre che la rilevazione cartografica originaria risalisse a 15.000 anni fa; ipotizzano inoltre che tale rilevazione implicherebbe l’utilizzo di un satellite sospeso ad altissima quota sopra… l’Egitto. Il solito Egitto dei misteri! La spiegazione, naturalmente, è molto più semplice. LA MAPPA DI PIRI REIS La carta dell’ammiraglio turco PIRI RE’IS (Hadji Muhiddin Piri Ibn Hadji Mehmed), scoperta nel 1929 quando il vecchio Palazzo Imperiale di Istanbul venne trasformato in museo, è solo una parte della mappa originale, che raffigurava l’intero mondo allora conosciuto (è datata, come accennato, 1513). In questa porzione superstite si vedono l’oceano Atlantico, le coste occidentali dell’Europa e dell’Africa e quelle orientali dell’America. Secondo quanto dichiarato dal suo stesso autore, fu redatta a partire da “venti carte più antiche e otto mappamondi”. È molto probabile che Reis si sia servito anche dei resoconti degli esploratori del Nuovo Mondo, soprattutto Portoghesi, perché costoro vengono continuamente citati nelle note presenti sulla mappa. Le note sono state trascritte per la prima volta dallo studioso turco BAY HASAN FEhmI, pubblicate da YUSUF AkÇURA nel saggio Piri Reis Haritasi (1935) e successivamente dalla studiosa turca Ayşe Afetinan in The oldest map of America (1954). È da notare che, pur essendo, questa e altre mappe, costellate di testi e di didascalie chiare e leggibilissime, gli “studiosi” che le usano come prove per le tesi fanta-archeologiche citano solo pochissime frasi. Nella carta di Piri Reis, l’unica area abbastanza particolareggiata dell’America del Sud è la costa dell’attuale Brasile, anche se, sovrapponendo le due linee costiere, quella reale e quella raffigurata, ci si

rende conto che la corrispondenza è solo apparente. Altre zone, che pure già erano state esplorate, appaiono invece disegnate in modo molto grossolano e con evidenti errori di proporzioni e orientamento. Laddove dovrebbero esserci i Caraibi, per esempio, viene riportata una grande isola disposta lungo l’asse nord-sud, che è difficilmente identificabile con Cuba anche ruotando la mappa. In realtà, anche senza essere esperti cartografi, basta osservare con attenzione quella parte per accorgersi che vi è rappresentata semplicemente la costa orientale dell’Asia come veniva immaginata e disegnata nelle carte del XV secolo probabilmente utilizzate da CRISTOFORO COLOmbO. La grande isola è identificabile con il Giappone (Cipango) così come è raffigurato nel mappamondo di MARTIN BEhAIm del 1492. In quell’epoca, infatti, si riteneva che la Terra fosse molto più piccola di come realmente è: l’Asia veniva collocata al di là dell’Oceano Atlantico, non

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Mistero FANTASY Il Giappone (Cipango) nel mappamondo di Martin Behaim, 1492

molto lontana dalle isole Azzorre e dalla leggendaria isola di San Brandano, che compare anche nella mappa di Reis pur non essendo mai esistita se non nei racconti sulle vite dei santi. L’America del Sud era già stata esplorata, prima da AmERIGO VESpUCCI e poi da BINOT PAULmIER DE GONNEVILLE, ma, anche dopo i viaggi di Vespucci, che per primo si rese conto di trovarsi in un nuovo continente e non in Asia, verrà denominata “America” solo quella del Sud. Per diversi anni si continuò infatti a ritenere che le nuove terre scoperte a nord dei Caraibi facessero parte dell’Asia, e che il Giappone si trovasse poco a ovest di Cuba, come possiamo osservare nei mappamondi del primo Cinquecento, ad esempio quelli di GIOVANNI MATTEO CONTARINI e FRANCESCO ROSSELLI. Il particolare che entusiasma gli appassionati del mistero è però l’estremità inferiore della carta, da loro identificata con l’Antartide. Molti affermano che sia possibile riconoscervi la Terra della Regina Maud e altri territori di quel continente che non sarebbero stati esplorati se non secoli più tardi. Purtroppo costoro − Hancock compreso − sostengono l’ipotesi senza nessuna verifica o confronto cartografico, solamente prendendo per buone le affermazioni di Charles Hapgood. Nessuno di loro, per esempio, spiega come mai, in una carta che ritengono essere tanto precisa, questa strana Antartide risulta attaccata al Brasile (in luogo dei 2000 chilometri di costa che vanno dal Brasile alla Terra del Fuoco, ossia tutta l’Argentina), anziché trovarsi più di 4000 chilometri a sud. È evidente che ciò che compare sulla carta è appunto la semplice costa sudamericana.

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La raffigurazione è deformata, piegata a destra, molto probabilmente per adattarsi alla particolare forma della pergamena. Occorre del resto ricordare che le carte geografiche in quell’epoca servivano anche come strumenti politici: disegnare una terra da una parte o dall’altra del meridiano chiamato “la Raya”, che faceva da confine tra le aree di influenza rispettivamente di Spagna e Portogallo, poteva servire ad accampare pretese di possesso da parte dell’una o dell’altra potenza marinara. Piri Reis, nelle note, cita continuamente le mappe dei Portoghesi, ai quali avrebbe fatto comodo che la costa dell’America del sud sotto il Brasile curvasse decisamente a est, verso l’Africa, in modo da rientrare nell’area assegnata al Portogallo dal Trattato di Tordesillas del 1494. Per identificare i luoghi descritti nella parte sud della mappa di Piri Reis, possiamo ruotare di 90 gradi in senso antiorario una carta del Sudamerica. Teniamo presente comunque che, mancando precisi strumenti di misurazione, il disegno di queste coste appena scoperte avveniva sulla base dei primi resoconti di viaggio, che parlavano di promontori, isole, estuari di fiumi, golfi… informazioni e riferimenti geografici non ancora correttamente misurati e messi in scala. Si riconoscono comunque nella carta di Piri Reis, pur deformati, alcuni particolari come il golfo San Matias e la penisola di Valdes, e la parte finale potrebbe essere la Terra del Fuoco. Volendo azzardare, si potrebbe perfino identificare l’imboccatura dello Stretto di Magellano, con il caratteristico piccolo golfo. L’estremità inferiore a destra reca il disegno di un serpente, e nella nota di Piri Reis si legge: “Questa terra è disabitata. Tutto è rovina e si dice che siano stati trovati grossi serpenti. Per questa ragione gli infedeli portoghesi non sono sbarcati in queste terre che si dice siano molto calde”. Certamente una descrizione del genere non ha niente a che fare con l’Antartide. Sempre in basso, compare un arcipelago con un’isola più grande delle altre, chiamata “il de Sare”. La didascalia recita: “Queste isole sono deserte ma la primavera qui dura a lungo”. Potrebbe trattarsi di una primitiva rappresentazione delle isole Falkland o Malvinas (la più grande delle quali si chiama Soledad); ciò può sembrare strano, perché il piccolo arcipelago venne “ufficialmente” scoperto nel 1592. Ma un gruppo di isole nella stessa posizione è visibile anche nella carta del Circolo Antartico di PEDRO REINEL, del 1522.

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Anche questa si trova a Istanbul, nella Biblioteca del Museo Topkapi. Isole al largo del 50° parallelo sono peraltro già presenti nella carta di MARTIN WALDSEEmÜLLER del 1507 (il primo documento in cui compare la parola “America”), derivata dalle esplorazioni di Vespucci e dai suoi resoconti. Nulla di “misterioso” dunque. LA CARTA DI ORONTIUS FINAEUS Dopo l’ultimo viaggio di Vespucci le spedizioni alla ricerca di un passaggio verso l’Asia si moltiplicarono, sempre con risultati negativi fino al 1520, anno in cui FERDINANDO MAGELLANO (Fernão de Magalhães) riuscì, con grandi difficoltà, ad attraversare lo stretto che da lui prese poi il nome. Il territorio più a sud veniva all’epoca ritenuto l’estremità settentrionale di quel grande continente che, secondo la tradizione tolemaica, doveva trovarsi attorno al polo australe per equilibrare la quantità di terre emerse nell’emisfero nord. “Terra Australis Incognita” è la dicitura che si legge in molte carte e planisferi di quel periodo. Una di queste mappe, anch’essa annoverata tra le presunte prove che l’Antartide fosse già conosciuta e cartografata secoli prima della sua effettiva esplorazione, è quella pubblicata nel 1531 da ORONCE FINE (chiamato Oronzio Fineo in italiano e Orontius Finaeus in latino), un importante matematico che disegnò carte

La Mappa di Oronce Fine, 1531

geografiche basate su studi geometrici dei diversi tipi di proiezione sferica o cordiforme. Pure in questo caso − anzi, soprattutto in questo caso − dovrebbe apparire molto evidente che questo continente, separato dall’America del Sud dallo stretto di Magellano, non è l’Antartide ma la rappresentazione della terra mitica, composta unendo le scarse informazioni reperibili sulle terre da poco raggiunte all’estremo sud del mondo conosciuto. La Terra Australis Incognita doveva esistere già secondo i filosofi greci, a partire da Pitagora. Essi avevano già immaginato che la Terra fosse sferica, ne avevano anche calcolato con buona approssimazione il diametro (Eratostene nel III secolo a.C.) e avevano postulato che, essendoci terre emerse a nord, altrettante dovessero essercene a sud, altrimenti il mondo sarebbe risultato sbilanciato. Dalle prime esplorazioni seguite alla scoperta dell’America, i navigatori portarono notizie su nuove terre a sud, e questo rafforzò l’idea che il continente mitico esistesse davvero, ragion per cui venne rappresentato in molte mappe cinquecentesche. Sul mito della Terra Australis sono stati scritti moltissimi libri; in tutti gli studi sulla storia della cartografia sono pubblicate le carte geografiche che raffigurano questo fantastico continente, che tuttavia, si ribadisce, non è “l’Antartide privo dei ghiacci” ma una terra immaginaria, un mito non diverso da quello del Paradiso Terrestre (anche questo compare spesso

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Mistero FANTASY 250 Years before Capt. Cook, Sydney, Pan, 1977). A quei tempi, i viaggi e le esplorazioni non venivano intrapresi per desiderio di conoscere ma per aprire nuove rotte e trovare terre sfruttabili, spezie, metalli preziosi. Quella “Terra Australis Recenter inventa sed nondum plene cognita” (come scritto nella mappa di Oronce Fine, ovvero “Terra Australe scoperta di recente ma non completamente esplorata”) rimase per molto tempo inviolata perché non offriva all’apparenza “altro che coste aride, abitate da pochi selvaggi in condizioni così arretrate che non era possibile intendersi con loro neppur vagamente” (da Storia delle Esplorazioni, di Ugo Dettore, De Agostini).

nelle carte medioevali) o del Regno del Prete Gianni (che nelle carte viene di solito localizzato nell’Africa Orientale) o dell’El Dorado. Oltretutto, come già ricordato, la vera Antartide non si trova a “diretto” contatto con l’America del Sud: a separarle non è lo stretto di Magellano ma i circa 650 chilometri del Canale di Drake. Il mappamondo di Finaeus è quindi una carta approssimativa, idealizzata, dove le terre solo intraviste o lambite dai navigatori vengono unite tra di loro fino a formare un grande continente australe. Una di queste è sicuramente la Terra del Fuoco; ma ve n’è un’altra che cominciava a essere visitata dai navigatori europei, soprattutto dai Portoghesi… Si tratta naturalmente dell’Australia, ubicata proprio a sud est delle isole di Giava e Timor, riconoscibili nella carta di Finaeus. Il grande golfo evidenziato nella Terra Australis può quindi essere una primitiva rappresentazione del Golfo di Bonaparte − caratterizzato dalla piccola baia di Darwin − oppure di quello più grande di Carpentaria. La costa nord dell’Australia, e in particolare la regione chiamata “Regio Patalis” è riconoscibile anche in molte carte della metà del Cinquecento, e certamente era stata raggiunta dai Portoghesi ben prima del noto viaggio dell’olandese AbEL JANSZOON TASmAN nel 1642 o della scoperta “ufficiale” da parte del capitano JAmES COOk. Su questo argomento sono stati pubblicati di recente diversi studi; tra i più conosciuti vi sono quelli di ROGER HERVÉ (Découverte fortuite de l’Australie et de la Nouvelle-Zélande par des navigateurs portugais et espagnols entre 1521 et 1528, Comité des travaux historiques et scientifiques, Paris, Bibliothèque Nationale, 1982) e di KENNETh GORDON MCINTYRE (The Secret Discovery of Australia: Portuguese Ventures

LA CARTA DI PHILIPPE BUACHE A sostegno delle sue tesi, Hancock prende in esame anche una terza mappa, quella di PhILIppE BUAChE, pubblicata sicuramente dopo il 1739 (Hancock invece riporta il 1737). In effetti la carta pare assai strana: il Polo Sud si trova al centro di un Mar Glaciale ed è circondato da due grandissime isole che formano un immenso continente australe. In questo caso però la somiglianza con l’Antartide è scarsissima. Ancora una volta la verità è molto più semplice e rivela il modo di operare di questi autori di best-sellers fanta-archeologici. Come nel caso della mappa di Piri Reis, Hancock (e Hapgood prima di lui) non si è minimamente curato della pur evidente quantità di testo, descrizioni, didascalie, note, presenti nel documento, le quali, se lette, spiegano chiaramente che cosa voleva rappresentare il cartografo. Inoltre tiene nascosta al lettore un’informazione molto importante: il fatto che di questa carta esistono due versioni. La prima contiene solo le indicazioni reali sulle nuove terre recentemente scoperte all’estremo sud del mondo: l’Australia, la Tasmania,

Timor

Golfo di Bonaparte Golfo di Carpentaria

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Mistero: L’Enigma delle Mappe


FANTASY Le due versione della Mappa di Philippe Buache, post 1739

la Nuova Zelanda, l’isola di Bouvet con il Capo della Circoncisione, un’altra terra a sud della Terra del Fuoco (forse una delle isole Shetland); nella seconda, invece, l’autore ha disegnato un continente immaginario − e ha scritto chiaramente conjecturée (ovvero congetturale, ipotetico) − unendo tra loro quelle poche parti di costa effettivamente esplorate o avvistate fino a quel periodo (disegnate in rosso), arrivando a creare così l’ultima erede della mitica Terra Australis Incognita. In particolare, Buache, nel tracciare la forma della Terra Australis, si è ispirato al Mappamondo di CORNELIUS DE JODE del 1593 e a quelli di AbRAhAm ORTELIUS, mentre alcune denominazioni (ad esempio la Terre Des Perroquets) derivano dal mappamondo di GERARD MERCATOR del 1541, che a sua volta, per nominare quelle terre sconosciute, citava i racconti di Marco Polo. La carta, nelle sue due versioni, è doviziosa di informazioni, tutte relative a viaggi compiuti all’estremo sud. In particolare viene citato il capitano BOUVET (Jean Baptiste Charles Bouvet de Lozier), che scoprì il 1° gennaio del 1739 un nuovo territorio a sud del Capo di Buona Speranza (Capo della Circoncisione) e lo descrisse parlando di una grande montagna di ghiaccio, aspra e inaccessibile. Ma anche lui, come già Magellano con la Terra del Fuoco, non si rese conto che si trattava di un’isola, pensò che fosse una parte settentrionale del mitico continente australe. Nelle carte di Buache il viaggio di Bouvet è segnato in modo preciso, con le date e la rotta seguita. Inoltre sono descritti gli iceberg spesso incontrati

in queste traversate, per cui era facile presumere che più a sud il mare fosse ghiacciato, come puntualmente congetturato nella mappa. A proposito di Charles Hapgood Tutte le leggende sulle “mappe misteriose” di Piri Reis, Finaeus, Buache hanno preso origine dal libro Maps of the ancient sea kings, pubblicato nel 1966 da Charles Hapgood. L’autore, nella prefazione, dichiarava di essersi però ispirato alle idee del capitano ARLINGTON MALLERY che scrisse nel 1951 Lost America: The Story of Iron-Age Civilization Prior to Columbus. Entrare nei dettagli dell’opera di Hapgood è superfluo, basti dire che, per poter dare il senso voluto a mappe come quella di Piri Reis − nella quale, come è stato ricordato, in caso di identificazione con l’Antartide sparirebbero lunghissimi tratti di costa e mancherebbe l’enorme spazio di mare tra la Terra del Fuoco e la Penisola di Palmer −, ne vengono ruotate alcune parti in un senso, altre nel senso inverso, cambiando scale, misure, distanze, inserendo “omission of coastline”, ignorando tutte le annotazioni “scomode”… Ci si stupisce di come uno studioso, per quanto “dilettante” in campo cartografico come lui stesso si definisce, possa presentare un lavoro così in apparenza meticoloso ma che si rivela invece estremamente superficiale e disinformato. n Diego Cuoghi Versione integrale: www.diegocuoghi.it/Piri_Reis/Piri_Reis.htm

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FANTASY

PETER PAN

(Peter Pan & Wendy - J.M. Barrie, 1911) di Cristina “Anjiin” Ristori

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hi ha paura di Peter Pan? Tutti noi amiamo l’affascinante personaggio, un po’ elfo e un po’ folletto che incarna con gioia malandrina il mito dell’eterna giovinezza. Eroe di mille avventure, perfette per il mondo incantato dei giochi infantili, il personaggio di SIR JAmES MATThEW BARRIE ha saputo come pochi altri imprimere la sua orma fiabesca nel mondo adulto. O forse, sarebbe meglio dire, la sua ombra. Il romanzo Peter Pan & Wendy vede la luce nel 1911, evoluzione di un primo racconto, The Little White Bird (1902) – divenuto poi Peter Pan e i Giardini di Kensington nel 1906 – e dell’opera teatrale Peter Pan (1904) che consegnò l’autore alla fama mondiale. La storia, narrata e rinarrata da film, canzoni, musical e seguiti autorizzati, è nota, ma il romanzo originale non possiede quell’aspetto solare magistralmente rappresentato dalla produzione disneyana, anzi, come ogni fiaba che si rispetti, mostra tra le righe caratteristiche assai poco infantili e molto inquietanti. Come la sua “creatura”, James Barrie è stato un adulto che non voleva crescere: nel fisico, brutto e sgraziato, non superava il metro e mezzo d’altezza; nella maturazione sessuale, infatti il matrimonio con l’attrice Mary Ansell non venne mai consumato; nella psiche, in quanto, nonostante la sua carriera di giornalista e scrittore, rimase un eterno adolescente. Peter è il ragazzo magico, fuggito da casa all’età di sette giorni, che vive tra fate, uccelli parlanti, sirene, indiani e pirati, nella terra immaginaria di ogni infanzia: Neverland, l’Isola Che Non C’è, luogo di giochi diurni e paure notturne. “È per questo che esistono i lumini da notte”, ci confida l’autore. Durante l’epoca tardo-vittoriana, la letteratura per ragazzi esaltava l’avventura. Elementi de L’Isola dei Coralli di R.M. BALLANTYNE e L’Isola del Tesoro di R.L. STEVENSON si ritrovano agevolmente nell’opera di Barrie, basti pensare che nel primo

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Lettura: Peter Pan


FANTASY si narrano le avventurose vicende di tre piccoli naufraghi su un’isola deserta e la trama del secondo è universalmente conosciuta: ancora un ragazzo protagonista, pirati cattivi, combattimenti e vicissitudini varie. Parallelamente, buona parte della letteratura a cavallo tra Ottocento e Novecento – attraverso romanzi, racconti e composizioni poetiche – celebrava un oscuro ritorno alle origini, riesumando la figura del dio Pan come simbolo nostalgico delle vecchie mitologie: esempi ne sono Arthur Machen (Il Grande Dio Pan), la meno conosciuta Dion Fortune (Il Dio dal Piede Caprino), Knut Hamsun (Pan), Stevenson (Il Flauto di Pan), James Stephens (Crock of Gold), G.K. Chesterton (The Man Who Was Thursday), Dunsany (The Blessing of Pan). Inoltre, Il Grande Antico Nodens è stato probabilmente ispirato a Lovecraft proprio dal Pan di Machen. E in questa produzione letteraria, la figura del dio caprino lascia il consesso degli antichi dei e irrompe nel moderno quotidiano come forza sovrannaturale e irrazionale, capace di interferire nella vita degli umani con tutto il suo carico d’ambiguità morale. Provocando, appunto, il panico. Tutto questo ebbe una notevole influenza sul mondo interiore di Barrie e sulla sua creatività – non a caso, nei primi racconti Peter cavalca una capra e in tutti suona uno zufolo di canna –, ma anche sulla sua immaturità, che lo portò a desiderare di trasformare le proprie fantasie in realtà. È cosa nota come l’ispirazione delle sue opere provenga direttamente dai traumi infantili, da un’adolescenza negata, da vicende biografiche capaci di illuderlo sulla veridicità delle sue invenzioni. Peter Pan nasce dall’esperienza con la famiglia Davies e relativi figli, bambini che trovarono in Barrie il condottiero indiscusso dei loro giochi, il realizzatore di ogni fantasia avventurosa. E nei giochi dei bambini non possono mancare i Pirati, o almeno ciò che di loro viene percepito dall’immaginario infantile. A Neverland troviamo il veliero che issa la Jolly Roger, bandiera con teschio e ossa, le canzoni corsare inneggianti a Davy Jones, lo spirito malvagio dei mari, e il bucaniere per eccellenza: James Hook, Capitan Uncino, eterno nemico di Peter Pan (“era il nostromo

Arthur Rackham, illustrazione da “Peter Pan in Kensington Gardens”, 1906

di Barbanera”, sussurra Gianni, “Ed è il peggiore di tutti!”). La descrizione fatta da Barrie di questo capitan Pirata è volutamente cupa, quasi demoniaca per certi versi: sangue giallastro, occhi punteggiati da bagliori rossi quando uccide, aspetto raffinato e decadente in boccoli neri e marsina. Malinconico nella sua ferocia, quel che non sopporta è l’impudenza di Peter, conseguenza diretta della sua giovinezza. Capitan Uncino sente il tempo scandito dal ticchettio del Coccodrillo – che ha ingoiato una sveglia – e pregusta con folle desiderio la distruzione del magico ragazzo eternamente giovane. Sigaro doppio e gancio tagliente, James Hook governa su una ciurma terrificante: Spugna, che uccide

Lettura: Peter Pan

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Lettura FANTASY Arthur Rackham, illustrazione da “Peter Pan in Kensington Gardens”, 1906

senza intenzione, Cecco l’Italiano evaso dalle prigioni di Goa, un gigantesco Negro il cui nome fa troppa paura, Denteduro della nave di Flint, Lanterna figlio di Morgan, e tanti altri. Tutti girano nell’Isola con lo scopo di trovare e uccidere i Bambini Perduti e il loro magico capo. L’arrivo dei tre fratelli Darling – Gianni, Michele e Wendy – turba molteplici equilibri, soprattutto Wendy: Peter e la sua banda la vogliono come figura materna, per accudirli e raccontare favole, ma gli elementi femminili, come Trilly e le Sirene, sono tutt’altro che felici della sua presenza, tanto da cercare continuamente di ucciderla. Peter la difende, quando se ne ricorda, perché anche lui desidera essere “figlio”. Non “compagno” né, tanto meno, “padre”. Tuttavia, anche Capitan Uncino ambisce “possedere” Wendy, per farne la mamma della sua ciurma. Fortunatamente, nessuno dei due riuscirà nel proprio intento. Peter Pan e Capitan Uncino sono i due aspetti che l’autore probabilmente percepiva di sé, le due immagini conflittuali che lo perseguitarono durante tutta la sua esistenza. Barrie è l’eterno fanciullo che rifiuta l’età matura e le sue costrizioni, che rende legge la propria fantasia, che non deve essere sfiorato da alcuna esperienza adulta. Che ha perso per sempre l’amore della madre, diventando un “incompleto” unico nel

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suo genere, un ladro di sentimenti e ammirazione, un demone affascinante dal potere enorme ma temporaneo, quello sulla fanciullezza. Tuttavia, lo scrittore è anche l’adulto corrotto dalle sue stesse esperienze, capace di avvertire con astio che il tempo passa, che i bambini crescono e non giocano più. Capitan Uncino, appunto. Questo personaggio non compare nei primi racconti di Peter Pan, ma fu aggiunto in occasione della pièce teatrale e in seguito trasferito nel romanzo, diventando la nemesi del protagonista: malinconico e crudele, raffinato e decadente, è consapevole della propria fine. Tutti sanno come si conclude la vicenda: il perfido capitano duella con Peter sul ponte della nave e viene gettato con un calcio in bocca al Coccodrillo, non senza pronunciare un’ultima frase significativa: “Brutte Maniere!”. La giovinezza prevale sempre, dunque, ma emerge la tristezza per la brutalità di questa vittoria. Peter Pan è un demone bambino, allegro e amorale ma solitario, il cui desiderio è possedere più che creare legami. Un tragic boy, lo definisce lo stesso Barrie. Può volare perché è senza peso, appare completamente asessuato e nessuno può toccarlo tranne le fate; non ha memoria di sé o di chi lo circonda. Del suo passato ha un solo, crudele ricordo: la finestra sbarrata della

Arthur Rackham, illustrazione da “Peter Pan in Kensington Gardens”, 1906

Lettura: Peter Pan


FANTASY Arthur Rackham, illustrazione da “Peter Pan in Kensington Gardens”, 1906

stanza da cui era volato via appena nato e, dietro di essa, la madre con un nuovo figlioletto. Il mondo secondario di Barrie convive con la morte. Infatti, i Bambini Perduti sono quelli che cadono dalle carrozzine per colpa di governanti sbadate e non vengono più cercati. Peter Pan li accompagna suonando il suo zufolo, fino all’Isola magica, dove vivono finché non diventano “troppo adulti”. Dopodiché, vengono “sfoltiti”. “Si diceva che Peter accompagnasse i bambini morti per non farli sentire soli”, ci racconta la signora Darling, ripescando alcune dimenticate memorie infantili. L’Isola Che Non C’è diviene teatro di lotte all’ultimo sangue, in cui anche i nuovi arrivati giudicano esaltante la morte dell’avversario. E questa congrega di giovanissimi selvaggi porta alla mente una situazione inquietante narrata in un altro libro, dove l’idea di

un’adolescenza solare è definitivamente tramontata: Il Signore delle Mosche di William Golding. A volte scoprire i denti non è sinonimo di sorriso. Sembra quasi che Barrie voglia, attraverso giochi sublimati in opere letterarie, impossessarsi dei giovani spettatori utilizzando il fascino ambiguo della paura. Nei suoi scritti traspare un sogghigno mascherato, nel quale si avvertono il sarcasmo e la capacità adulta di impressionare un animo bambino mediante una maturità che è ben presente seppure rinnegata. Complice di tutto questo, una consapevole alleanza con le caratteristiche dell’infanzia: il desiderio d’avventura a lieto fine, gli impulsi violenti sfogati nella distruzione dell’avversario, le fantasie d’ogni tipo capaci di realizzarsi, l’onnipresente rifugio nell’alone materno. Ovvero: “L’età gaia, innocente e senza cuore”. n Cristina Ristori

Lettura: Peter Pan

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FANTASY

LA CITTà DELLE NAVI

(The Scar - C. Miéville, 2002) di Mattia Pelli - La Leggera www.laleggera.it

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63 pagine di romanzo fantasy sui generis, che sono state definite da molti una vera novità e che hanno suscitato grande entusiasmo tra i critici e notevoli riconoscimenti all’autore, un giovane britannico, attivista di sinistra. Ma − va detto subito − scrivere qualcosa di nuovo nel genere Fantasy non è un granché difficile, dal momento che la produzione media da anni continua a riciclare le solite storie eroiche piene di spade e leggende dimenticate, magia e altre insulse stupidaggini. Questo genere vive male il confronto con il suo capostipite, l’ineguagliabile Il Signore degli Anelli, che pare aver esaurito − ancor prima che nascesse − tutte le potenzialità del Fantasy, destinato a restare un triste clone. ChINA MIÉVILLE, però, riesce a uscire dagli stereotipi lisi e noiosi del genere, reinventando un modo di scrivere fantasy: il mondo che crea, quello di New Crobuzon, potrebbe essere il nostro fra tremila anni, oppure emergere da un universo parallelo, popolato com’è da razze strane e sconosciute e retto da una scienza arcana, che mischia tecnologia e negromanzia. Niente di totalmente nuovo, certo, ma quello che convince del romanzo La Città delle Navi è il modo di raccontare questa strana realtà: Miéville utilizza un tono dimesso, come se stesse raccontando una qualsiasi avventura, senza stucchevoli e altisonanti toni eroici, dando così concretezza al mondo che crea. Insomma, leggendo La Città delle Navi viene in mente più Salgari o Verne che qualsiasi attuale scrittore di Fantasy. E forse il motivo sta anche nella storia raccontata nel libro: Bellis Coldwine, la protagonista, si imbarca su una nave che da New Crobuzon andrà fino a Nova

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Lettura: La Città delle Navi


FANTASY Esperium, una colonia della grande città. Non è chiaro il motivo di quella che, fin da subito, appare una vera e propria fuga misteriosa, le cui ragioni vengono sapientemente nascoste. Il Tersicoria subisce però un attacco da parte di una strana masnada di pirati, che − dopo un cruento combattimento − sequestrano la nave e tutti i passeggeri, portandoli ad Armada, la loro fantastica città sul mare. E qui Miéville dà il meglio di sé stesso, descrivendo una città straordinaria con fantasia ed eleganza: Armada è composta da migliaia di barche di ogni tipo e foggia sequestrate in centinaia di anni e collegate le une alle altre, fino a formare un’immensa città galleggiante che si sposta a seconda delle necessità sui mari di questo strano e pericoloso pianeta. Armada ha i suoi ristoranti, i suoi giardini e la sua enorme biblioteca, dove Bellis troverà lavoro: i pirati, infatti, non uccidono i passeggeri e danno loro la possibilità di integrarsi nella città. I cittadini sono di tutte le razze immaginabili, alcuni dei quali anfibi, altri invece Rifatti, prigionieri di New Crobuzon liberati, e la struttura sociale è piuttosto ugualitaria, alla maniera dei pirati: tutti hanno una casa e un lavoro in un’economia basata sul commercio ma soprattutto sulla depredazione delle navi nemiche. Armada è divisa in diversi quartieri, ognuno dei quali ha la sua propria struttura politica: Acqualuccio, quello dove vive Bellis, è retto dagli Amanti, un uomo e una donna che, durante l’amore, si sfregiano il viso a vicenda, tanto da avere una ragnatela di ferite sulla faccia. Bellis ha, dunque, un lavoro, ma non riesce a integrarsi: nutre odio per coloro che l’hanno rapita e soffre terribilmente per il fatto che non potrà mai più ritrovare New Crobuzon. Si lega quindi a un equivoco commerciante, catturato insieme a lei dai pirati, Silas Fennec, con il quale mette a punto un piano per cercare di tornare a casa, piano che si intersecherà con il grande progetto dei reggenti di Acqualuccio che hanno riunito scienziati da tutto il mondo per riuscire a trascinare Armada fino alla “cicatrice”, un luogo in un oceano lontano dove la legge delle probabilità è stata domata da un popolo antico e misterioso. In un crescendo di colpi di scena e avventure, di terribili battaglie e negromanzie, tradimenti e piani segreti, La Città delle Navi trascina senza noia il lettore verso un finale un po’ piatto. Miéville è molto bravo ed efficace nel descrivere il sistema economico e sociale di Armada, lo è di meno a costruire il dipanarsi

China Miéville - Bibliografia Romanzi King Rat (1998) Perdido Street Station (2000) La Città delle Navi (The Scar, 2002) The Tain (2002) Il Treno degli Dei (Iron Council, 2004) Un Lun Dun (2007)

Racconti Highway Sixty One Revisited (1986) Looking for Jake (1999) Different Skies (1999) An End to Hunger (2000) Details (2002) Familiar (2002) Buscard’s Murrain (2003) Reports of Certain Events in London (2004) A Room of One’s Own (2008) Hellblazer 250 (2008)

Raccolte Looking for Jake (2005)

Saggi Between Equal Rights: A Marxist Theory of International Law (2004) dell’intreccio, che a volte risulta un po’ artificioso, con dei passaggi poco chiari, che non spiegano ma nascondono. È spesso questa la cifra della letteratura fantasy: gli autori possono permettersi di non spiegare come avvengono determinati fatti, tirando in ballo la magia e non provando nemmeno a fare ipotesi. È la grande differenza che separa questo genere dalla Fantascienza, certamente molto più seria. L’autore, infatti, non mi pare credibile fino in fondo quando dipinge il suo strano mondo, in cui si mischiano scienza e taumaturgia e glissa un po’ su aspetti che sarebbe stato invece interessante approfondire. Con una metafora, si potrebbe paragonare l’andamento del racconto a un tamburo rullante di un circo pieno di esseri strani: all’inizio dello spettacolo il tamburo rulla pian pianino e poi, a mano a mano che le pagine corrono, il suo rullare si fa sempre più forte, finché diventa assordante quanto la suspense è massima. Miéville avrebbe però potuto aggiungere, nella sua orchestra da circo, qualche strumento in più. n Mattia Pelli

Lettura: La Città delle Navi

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FANTASY

I MERCANTI DI BORGOMAGO

(Liveship Traders Trilogy - R. Hobb, 1998/2000) di Karina Meerman - www.karinameerman.nl traduzione di Laura Tolomei adattamento e ampliamento: Redazione TdC

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Mercanti di Borgomago” (“Liveship Traders”) di Robin Hobb − pseudonimo con il quale la scrittrice californiana “MEGAN” LINDhOLm (all’anagrafe MARGARET ASTRID LINDhOLm OGDEN) ha scelto di firmare le sue opere posteriori al 1993 − è una saga fantasy ambientata nello stesso mondo già incorniciato dall’autrice nella “Trilogia dei Lungavista”. Le vicende ruotano però intorno a nuovi e numerosi protagonisti; vale la pena citarne in particolare tre: Kennit, quintessenza del pirata − estremamente ambizioso, forte e brutale ma anche intelligente, attraente ed elegante quando serve −, il sincero Brashen, un marinaio assuefatto all’alcol e alla droga, e Althea, figlia ribelle della rispettabile famiglia Vestrit. Proprio i Vestrit rappresentano uno degli elementi chiave di questa epopea, che inizia con il volume Ship of Magic, in Italia pubblicato in due parti: La Nave della Magia e La Nave in Fuga. La famiglia di Althea dimora nella città di Borgomago − centro di grandi scambi commerciali, situato non lontano dai Sei Ducati dove si era dipanata la precedente saga dei Lungavista − ed è proprietaria della “nave vivente” Vivacia. Le navi viventi sono vascelli molto particolari, vengono infatti costruiti con un legno magico in grado d’infondere loro una sorta di coscienza. Nessuno sa come ciò accada, ma la straordinaria caratteristica fa di queste imbarcazioni un bene di valore inestimabile, tanto che le case mercantili sono disposte a sacrificare l’impegno di generazioni per

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Lettura: I Mercanti di Borgomago


FANTASY Megan Lindholm/Robin Hobb - Romanzi “allevarle”. Alla morte di Ephron Vestrit, patriarca della famiglia, Vivacia finisce ereditata dalla sorella di Althea, Keffria, e da lei passa al marito Kyle, la cui intenzione è quella di ristabilire le fortune della casata nel peggior modo possibile, ossia entrando nella tratta degli schiavi, commercio al quale Althea è decisamente contraria, come del resto già lo era stato Ephron prima di lei. Solo coloro nelle cui vene scorre il sangue dei Vestrit sono in grado di controllare Vivacia, ma Kyle risolve il problema affidando il comando della nave al figlio Wintrow, strappandolo alla sua vocazione religiosa. Mentre Althea fa esperienza di vita marinara a bordo di Ophelia, un’altra nave vivente, Vivacia entra nelle mire dello spregiudicato capitan Kennit, che ambisce a diventare re dei pirati e a fare del vascello dei Vestrit la sua ammiraglia. Il capitolo successivo della saga, The Mad Ship (in Italia diviso in La Nave della Follia e La Nave della Pazzia), prosegue le vicende del precedente. A bordo di Paragon, una nave vivente impazzita (rimasta spiaggiata per lungo tempo dopo essersi resa responsabile della morte di un intero equipaggio) da loro acquistata, Althea e il marinaio Brashen salpano per riprendersi Vivacia, finita insieme a Wintrow e Kyle nelle mani di “Re” Kennit. L’impresa si conclude poi nel terzo e ultimo romanzo, The Destiny Ship, ancora inedito in Italia, che tirerà al pettine anche gli innumerevoli intrecci secondari, e i nodi dei personaggi coprotagonisti, prima fra tutti Malta, cadetta della famiglia Vestrit. Con questa sua seconda trilogia, accompagnandoci nuovamente nel suo mondo magico ma privo di maghi, e dai richiami “medieval-rinascimentali”, portandoci a volare con draghi e nuotare tra serpenti marini, facendoci irretire da giochi politici, azzuffare con i pirati e provare le fatiche della vita da marinaio, Robin Hobb conferma la sua vivacità narrativa e il suo talento nel creare personaggi “vivi”, facili da immaginare, raccontandone le vicende in modo prospettico attraverso i loro punti di vista soggettivi (con una conseguente contraddittoria, difficilmente individuabile distinzione tra bene e male), e calandoli in mondi ottimamente descritti, tanto nel paesaggio quanto nel loro vivere quotidiano. L’ambientazione dei Sei Ducati della trilogia Lungavista (che verrà poi riproposta nella successiva “Trilogia dell’Uomo Ambrato”), qui viene “richiamata”, ma in un contesto di cambiamenti importanti, sia economici sia sociali, esposti attraverso le vicissitudini che coinvolgono Borgomago e le regioni limitrofe,

The Ki and Vandien Quartet Harpy’s Flight (1983), The Windsingers (1984), The Limbreth Gate (1984), Luck of the Wheels (1989) Tillu and Kerlew The Reindeer People (1988), Wolf’s Brother (1988) Trilogia dei Lungavista L’Apprendista Assassino (Assassin’s Apprentice, 1995) L’Assassino di Corte (Royal Assassin, 1996) Il Viaggio dell’Assassino (Assassin’s Quest, 1997) I mercanti di Borgomago La Nave della Magia / La Nave in Fuga (Ship of Magic, 1998), La Nave dei Pirati / La Nave della Pazzia (Mad Ship, 1999), Ship of Destiny (2000) Trilogia dell’Uomo Ambrato Il Risveglio dell’Assassino (Fool’s Errand, 2007) La Furia dell’Assassino (Golden Fool, 2008) Il Destino dell’Assassino (Fool’s Fate, 2008) Soldier Son Trilogy Shaman’s Crossing (2005), Forest Mage (2006), Renegade’s Magic (2007) Altri Romanzi Wizard of the Pigeons (1985), Cloven Hooves (1991), Alien Earth (1992), The Gypsy (1992) come Jamailla, retta dai mercanti Satrap, o Chalced, patria di guerrafondai. È interessante notare, in questa epopea, quanto sia sottile a volte la linea di confine che separa i pirati dai mercanti. Entrambe le categorie (da sempre legate l’una all’altra) sono impegnate ad accumulare ricchezza − ognuna a proprio modo −, ma le differenze fra le due, come fra legalità e illegalità, fra etica e mancanza di scrupoli, spesso sono sfumate, e non è raro che le peculiarità s’invertano ponendoci davanti a pirati nobili che agiscono rispettosi di una forma di “principi”, e a mercanti disperati o spinti dall’avidità, che non esitano a perseguire i loro fini commerciali nel modo più cinico e indegno. La narrazione, data la sua complessità e la “pazienza” con cui vengono tessute le situazioni e introdotti i − peraltro molti − personaggi importanti, può risultare un po’ lenta per alcuni palati; coloro che tuttavia amano sia le letture fantasy che i romanzi d’avventura “marinareschi”, hanno qui il vantaggio di trovare i due generi coniugati, un’opera atipica che riserva molta cura ai dettagli delle navi e alla vivida descrizione della vita di bordo. Per la gioia, dunque, degli appassionati del mare. n Redazionale

Lettura: I Mercanti di Borgomago

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FANTASY

LA TOMBA SENZA NOME (P. Vallerga, 2007)

di Valentina “Vania” Summa

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e vi capitasse di incontrare un Nano riverso sulla spiaggia, senza chiari ricordi del suo passato e misteriosamente avvezzo alle arti alchemiche, il consiglio che vi darebbe Capitan Capitone sarebbe quello di lasciare il naufrago dove sta e farvi una sana dose di fatti vostri. Ci sono momenti in cui l’altruismo fa male. Fin dalle prime pagine de La Tomba Senza Nome, il povero Capitano percepisce misteriosamente che la sua buona azione gli porterà solo guai, e le sue vicissitudini successive non fanno che confermarlo a lui e a noi. Attacchi notturni, navi rubate, draghi con problemi di febbre, guaritori che usano aspirina e supposte giganti, briganti spaccaossa, corse di bighe truccate, elfe affascinanti… Per un pirata che soffre sia il mal di mare sia le vertigini, star dietro a quel Nano millantatore, con lo scopo di rubargli l’oro alchemico che dice di aver fabbricato, si rivela una fonte continua di nuovi e interessanti modi per incontrare la Signora Morte. E non per un saluto veloce. Se poi a questo si aggiungono le parole misteriose di un tanto noioso quanto insistente mostro notturno che rovina i sogni al Capitano forzandolo a cercare una misteriosa “tomba senza nome”, la frittata è fatta e ci si imbarca in un’avventura non richiesta e decisamente pericolosa. Il nuovo romanzo di PAOLO VALLERGA edito dalla BRADIpOLIbRI prende il via utilizzando le ambientazioni del gioco di ruolo ConQuest (vincitore del LuccaGames 2001 come miglior gioco italiano, e ad Acquicomics come miglior gioco autoprodotto) dopo

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Lettura: La Tomba senza Nome


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Le Saghe di ConQuest Home Page www.tempusdraconis.it

il primo romanzo, Il Congegno Traslante, edito dalla ROSe&POISON. Maggiori dettagli sull’autore sono celati, la biografia che viene offerta da Vallerga dimostra quanto a fondo si sia spinto nel mondo fantastico che ha creato. Di sé ci racconta solo le sue origini tarantine, dipingendosi come un viaggiatore della fantasia con un sempiterno dado da gioco in mano. ConQuest si basa su un mondo vergine e un po’ immaturo, ancora privo di una vera storia e di grandi eroi, in cui avventure a volte davvero semplici concorrono a creare legami facendo solo da preludio all’eventuale nascere di grandi cose. Proprio per questo l’umorismo la fa da padrone. Seguendo la scia del gioco di ruolo, il romanzo si ritrova a fare equilibrismo tra il Fantasy tradizionale tratto dalle quest e la novità di uno stile palesemente assurdo, comico e impostato sulla ricerca della gag. Il progredire della storia ricalca il tipico cammino di un’avventura giocata: incontri fatti al momento giusto, aggressioni di briganti, ricerca di luoghi e oggetti misteriosi, genti ostili o pronte a offrire cibo e cure. L’unica cosa certa è la sfortuna che perseguita i “nostri”. L’autore stesso ironizza sul fatto che i personaggi, mentre cavalcano sotto la pioggia, si chiedono se le loro disavventure non siano da imputare all’indifferente lancio di dado di qualche nume che non li ha in simpatia. La trovata però è vecchia e logorata dall’uso. I dialoghi, poi, sono incentrati su una parlata che ondeggia tra un volgare del quindicesimo secolo e una sfilza di termini riecheggianti espressioni gergali di dubbio gusto (per fare un esempio: il guaritore incontrato dal Capitano si chiama Erminchio…), sempre con lo scopo di strappare una risata. Di certo, giocare a ConQuest con l’obbligo di creare frasi arzigogolate e parecchio allusive ogni volta che si apre bocca scatena l’ilarità dell’intera compagnia, ma lo stesso elemento

trasportato in forma scritta perde di freschezza. Anzi, l’ostinazione nell’usare quel gergo rallenta la lettura e il procedere di una storia a conti fatti molto semplice. Il risultato di questo costante sforzo umoristico, purtroppo, non è sempre condivisibile. Usare la comicità nel Fantasy è un’arte difficile che, quando riesce, dà luogo a capolavori quali i romanzi di WALTER MOERS (Rumo e i Prodigi nell’Oscurità, Le Tredici Vite e mezzo del Capitano Orso Blu). Ne La Tomba Senza Nome, la perenne ricerca della gag finisce per stancare, e presto non fa più ridere. Peggio, annoia. La battuta riuscita diventa un piccolo lume di speranza che ogni tanto sfavilla brevemente. Inoltre, il testo è costellato di errori sintattici che avrebbero avuto bisogno di una revisione più accurata. Le illustrazioni a completamento del libro sono molto discutibili, sia dal punto di vista dell’utilità sia come valore artistico. Si tratta dei tipici schizzi che ogni giocatore appassionato crea. I disegni compaiono qua e là, ritraendo personaggi scontati e dal tratto incerto, del tutto superflui. In fondo al romanzo spuntano appendici riguardanti la scansione temporale e la stirpe dei Re, che forse intendevano essere una citazione comica degli allegati a Il Signore degli Anelli di Tolkien. È un “tocco in più” che in realtà non aggiunge nulla. In breve, per godersi la lettura di questo romanzo occorre essere sulla stessa lunghezza d’onda (parlando d’umorismo, è chiaro) dell’autore. Non è una storia che piacerà a tutti. Rappresenta comunque un modo facile e non impegnativo per trascorrere un pomeriggio noioso e fa venire voglia di tentare una sortita nel mondo di ConQuest. Vivendole, certe avventure sono molto più divertenti. n Valentina Summa

Lettura: La Tomba senza Nome

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LA MALEDIZIONE DELLA PRIMA LUNA

(Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl - G. Verbinski, 2003) di Cuccu’ssette

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Storia, Sogno & Bisogno

l secolo XVII assiste all’ascesa degli Stati Nazionali, Regni che si contendono il potere facendosi guerra sia nel vecchio continente sia nella conquista del Nuovo Mondo. Le esplorazioni mutano i delicati equilibri economici e sociali consolidati da secoli. Le conquiste coloniali che accompagnano l’aggiornarsi delle carte geografiche fanno affluire nuove ricchezze nelle casse dei Paesi affacciati sull’Atlantico, spesso ribaltando il destino di intere aree dell’Europa. Galeoni solcano l’Oceano carichi di enormi quantità d’oro e argento, depredati alle popolazioni sudamericane e destinati a pagare eserciti sempre più equipaggiati ed efficienti. La guerra di corsa diviene il naturale nuovo fronte dei conflitti già in essere. Fanno carriera i corsari, avventurieri autorizzati dagli stessi sovrani a rapinare le navi del nemico. Accanto a questi personaggi, spesso animati da un notevole senso di fedeltà alla Corona, si raduna nelle Antille una variopinta folla di individui in cerca di fortuna. Sono spesso figli cadetti di nobili, avvezzi al lusso ma relegati dal sistema di successione patrimoniale a una vita all’ombra degli ereditieri primogeniti. Ci sono schiavi scappati al loro triste destino, che sulle navi trovano rispetto senza discriminazione. Molti sono i marinai fuggiti da zone povere del nord Europa, aiutati da un coraggio

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Cinema: La Maledizione della Prima Luna


FANTASY Premi • nomination 5 OSCAR 2004: Best Actor in a Leading Role (Johnny Depp), Best Makeup (Martin Samuel, Ve Neill), Best Sound Editing (Christopher Boyes, George Watters II), Best Sound Mixing (Christopher Boyes, David E. Campbell, David Parker, Lee Orloff), Best Visual Effects (Charles Gibson, John Knoll, Hal T. Hickel, Terry D. Frazee); • vincitore 1 SATURN AWARD 2004: Best Costumes (Penny Rose); • nomination 9 SATURN AWARD 2004

spesso figlio della pancia vuota. Tra i pirati storicamente vissuti si trovano anche donne, talvolta con ruoli di primo piano, come Anne Bonny e Mary Read. Le ricostruzioni della vita marinara a cavallo tra il Seicento e il Settecento si basano su testimonianze dell’epoca e su documenti di ogni genere: lettere private, resoconti di palazzo, diari, oggetti d’uso comune o decorativi come insegne di pub ispirate a leggende marinaresche, polene di navi, quadri dipinti da dilettanti… Le isole del Golfo del Messico ospitano diversi piccoli musei, spesso alloggiati in suggestivi edifici del Seicento, dedicati alla raccolta di questo genere di reperti. È oggi possibile studiare il fenomeno della pirateria senza cadere in ingenuità. Purtroppo i tentativi di realizzare film rispettosi della realtà storica sull’epoca della guerra di corsa sono stati spesso ripagati da altrettanti costosi fallimenti; gran parte del pubblico, quando decide di assistere a un film sulla pirateria, cerca emozioni facili, divertimento istintivo, attori piacenti e disimpegno. Il cinema dedicato ai pirati aveva vissuto negli anni Cinquanta stagioni meravigliose con DOUGLAS FAIRbANkS o ERROL FLYNN, prima dell’inevitabile declino. I tentativi di rianimare il filone erano stati sporadici e deludenti. Corsari non aveva certo riempito le sale, e anche Pirati, diretto da ROmAN POLANSkY con maestria e disponibilità di mezzi, era stato accolto tiepidamente. Quanto al recente nostrano Cantando dietro i paraventi, è una pellicola destinata ad essere apprezzata

Scheda

Titolo originale: Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl Produzione: USA, 2003, Walt Disney Pictures Durata: 143 minuti Regia: Gore Verbinski Storia: Jay Wolpert, Stuart ��������������� Beattie, Ted Elliott, Terry Rossio Sceneggiatura: Ted Elliott, Terry Rossio Fotografia: Dariusz Wolski Montaggio: Arthur Schmidt, Craig Wood, Stephen E. Rivkin Scenografia: Brian Morris Costumi: Penny Rose Musica originale: Klaus Badelt Produttore: Jerry Bruckheimer

solo da intenditori del cinema d’autore, complice una ridotta distribuzione; i ritmi lenti e lirici di ERmANNO OLmI sono molto distanti da quelli solitamente chiesti a un film d’avventura. Dato che l’operazione di riproporre vicende piratesche con alle spalle sceneggiature tradizionali si era dimostrata poco proficua, per resuscitare il genere era forse inevitabile dover scendere a compromessi con le trasformazioni nel gusto del pubblico, assecondando

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Cinema FANTASY la forte voglia di novità. Le esigenze di mercato vengono interpretate al meglio da GORE VERbINSkY, che realizza forse il suo migliore film, dopo The Ring, versione occidentalizzata di un horror giapponese. Consapevole di dover prendere le distanze dal semplice concetto di remake, conscio della difficoltà di affrontare una ricostruzione verosimile ma divertente, Verbinsky sceglie la strada a lui più congeniale. Imbastisce una vicenda difficile da inquadrare in generi narrativi netti, tecnicamente ineccepibile, tutta azione, finalizzata allo svago spensierato dello spettatore. Si può non amare la mano del regista, che scende spesso a patti con le esigenze del botteghino, eppure, proprio il suo modo di dirigere salva La Maledizione della Prima Luna dai flop toccati ai predecessori, e rinnova l’attenzione per un genere che si poteva credere tramontato per sempre.

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Orfano, salvato da piccolo da un naufragio, il giovane Will si guadagna da vivere a Port Royal come abile costruttore di spade. Intanto al porto sbarca un eccentrico e sospetto individuo, fin troppo interessato alle navi militari ormeggiate. Si tratta di capitan Sparrow, il quale, una volta scoperto, è costretto a usare la bella Elizabeth come ostaggio. Ma la fuga è bloccata dal valente Will.

Catturate quel pirata!

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Tradizione? Innovazione? Contaminazione! La Maledizione della Prima Luna è una pellicola che va senza dubbio incontro alle esigenze del mercato, e fa del voler piacere un’arte sopraffina. Può apparire ingenua a prima vista, o banale; eppure si rivela pianificata fino al minimo dettaglio, ricca di richiami colti al vecchio cinema, all’immaginario marinaresco che spazia dalle leggende alle ballate romantiche, soddisfa gusti diversi e, pregio notevole, non stanca! La regia riesce nel suo intento, miscelando sequenze provenienti da vario cinema di genere, nessuno escluso, selezionate tra quelle ormai radicate nella memoria collettiva, dando vita a un cocktail esplosivo. Nell’immaginario di Hollywood, i porti coloniali sono sempre pieni di belle figliole di governatori (o di nobili in esilio, o di proprietari terrieri: pezzi grossi comunque), tanto per cambiare rapite dal solito cattivo; e sbucano sempre audaci giovanotti che vogliono salvarle. Le taverne e le galere traboccano di feroci pirati, di spacconi, di giovani avventurieri, di mappe, medaglioni, tesori. Verbinsky non lesina, dispiega l’intero il repertorio di luoghi comuni che popola da sempre i mari del Sud in technicolor: isole degne di un depliant turistico, blando erotismo fatto di sorrisi allusivi e sottovesti inzuppate dall’acqua, battaglie e avventure avvincenti, narrate con garbata ironia e gusto picaresco. Stavolta – trovata geniale, che riscatta la pellicola dalla fiera delle banalità – tutti gli aspetti più tradizionali vengono esasperati e fusi con inaspettati elementi horror, creando una vicenda accattivante, un pastiche che fila diretto al suo scopo ultimo: divertire. La vicenda narrata inizia in modo assai consueto, con il rapimento di Elizabeth, bella figlia del governatore di Port Royal, a opera di Barbossa, capitano di una nave pirata, la “Black Pearl”.

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Il vascello attracca e i fuorilegge mettono a ferro e fuoco il porto; sono alla ricerca di un medaglione posseduto dalla giovane. Il protagonista ci viene subito presentato: è Will Turner, un giovane fabbro che sa ben duellare con la spada, e che non esita a lanciarsi al soccorso della ragazza, per la quale spasima, magari con la prospettiva di sostituirsi al raffinato e noioso fidanzato di buona famiglia che le è destinato come sposo. Non manca l’aiutante di turno, il capitano Jack Sparrow, un pirata sbruffone e plateale, senza nave né ciurma, amante del buon rhum e con maniere degne di una drag queen. Costui è imprigionato per una lista infinita di crimini, in attesa di salire al patibolo, ma viene liberato dal fabbro dopo avergli promesso aiuto nella missione di recupero della bella. Insieme, i due rubano il più veloce dei velieri e salpano alla caccia dei rapitori, scoprendo ben presto che questi ultimi non sono esattamente… i soliti pirati. La ciurma criminale, infatti, nel corso delle ruberie si è imbattuta in un tesoro maledetto e, colpita da un oscuro incantesimo, è divenuta immortale, invincibile a suo modo. Il mistero che avvolge l’equipaggio della Black Pearl si svela alla luce della luna piena, quando i pirati si mostrano in un tripudio di ossa ingiallite e abiti stracciati. In battaglia, piombare sul nemico con una nave degna dell’Olandese Volante e un aspetto da cadavere animato è indubbiamente un vantaggio, nella vita di tutti i giorni, tuttavia, un corpo reso invulnera-

bile ma insensibile viene privato dei piaceri più elementari, tanto che i goderecci pirati non ne possono più di un’esistenza eternamente morigerata. Finché a che il tesoro maledetto (a suo tempo scialacquato in vizi e stravizi) non sarà ricomposto per intero, l’equipaggio della Black Pearl è condannato a rimanere nella sua avvilente condizione di zombie. L’ultima moneta da recuperare, di quella ricchez-

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Cinema FANTASY za dannata, è proprio il medaglione indossato da Elizabeth. In un susseguirsi di colpi di scena, con qualche sequenza di gusto horror e tanta ironia, la maledizione viene spezzata. Non manca ovviamente il lieto fine, che corona gli sforzi e le ambizioni d’amore del giovane Will, pur senza apparire melenso grazie al pungente sarcasmo di capitan Sparrow.

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Rapita dai pirati, Elizabeth viene portata al cospetto del terribile capitan Barbossa. Risoluto a partire in soccorso dell’amata, a Will non resta che liberare Sparrow e confidare nelle sue conoscenze di pirata per rintracciare Barbossa. Il piano di Sparrow è semplice: per prima cosa, occorre requisire una nave. E, per seconda, arruolare un equipaggio, a partire dal fedele Gibbs.

Liberate la donzella!

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Altroquando Sono passati cento anni e più dai tempi in cui EmILIO SALGARI tratteggiava immaginarie isole e misteriose terre d’Oriente, paesi che aveva visitato solo con la fantasia o tutt’al più leggendo qualche impreciso libro di viaggi. Ancora oggi, quanto affascina i lettori e gli spettatori è pressoché immutato. La Maledizione della Prima Luna fa propria l’esperienza di Salgari, vi aggiunge parecchia ironia, sfodera esotismo, attori famosi o emergenti, azione fluida che non concede tregua, il tutto sottolineato da una colonna sonora adeguata. Il miracolo che trasforma una pellicola di mestiere – a essere spietati, una pellicola banale e modaiola, buona per vendere chincaglierie da bancarella con le foto degli attori – in un piccolo classico avviene soprattutto grazie al “sense of wonder” che s’impossessa dello spettatore e lo trasporta in un’epoca e in un luogo imprecisati. Si rimane infatti con l’idea di un posto vago e lontano – le Antille assomigliano un po’ alla Malesia di Salgari – o di qualsiasi regno perduto che la fantasia ha generato, dall’Atlantide fino a Shangrilà. Ecco il prodigio: la pellicola acquista una suggestione tutta sua, che fa accettare a cuor leggero i parecchi stereotipi e facendoceli anzi amare. Del resto, oggigiorno è difficile riuscire a incantare ricorrendo a immagini esotiche, soprattutto se i luoghi rappresentati esistono davvero e non sono piuttosto rielaborazioni create dalla grafica digitale. Il turismo organizzato ha reso più accessibili le isole tropicali, i reportage propongono in continuazione mari cristallini, e le spiagge esotiche sono scenografie abituali per le pubblicità di oggetti d’uso comune. Per sbalordire e affascinare occorre allora offrire allo spettatore uno scenario mozzafiato che accompagni l’azione e ne esalti gli eventi, senza prendere mai il sopravvento su essi. Serve un biglietto di andata e ritorno per una terra di sogno, animata da attrazioni vistose e rocambolesche, che facciano leva direttamente sull’emotività, e lascino spazio limitatissimo alle riflessioni più razionali, come in una campagna di spot azzeccata. Non è quindi ingenuità la scelta di non datare gli eventi, né direttamente (con opportune didascalie) né indirettamente (selezionando gli oggetti di scena secondo rigidissimi criteri di datazione storica). Se, per esempio, gli

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abiti hanno qualcosa del primo Settecento mescolato con dettagli stile primo Ottocento, o se, come nel caso di Jack Sparrow, sono una liberissima interpretazione, niente di male, anzi… Avviene un po’come nelle illustrazioni delle fiabe, ambientate in un ipotetico Medioevo, ove convivono armature tardo gotiche milanesi e cappelli a punta fiamminghi in voga secoli prima, turbanti arabi e ca-

stelli stile Ludwig di Baviera, e nessuno storce il naso perché, appunto, si tratta di una fiaba, quindi in un altrove, in un altro… quando! Mina vagante a babordo! I film sui pirati sono ormai parte dell’immaginario collettivo, e anche per questa pellicola resistono stereotipi ereditati dalla narrazione di avventura, che si sono rafforzati in cento anni di Settima Arte. La Maledizione della Prima Luna risente di uno stile narrativo preesistente, lo fa suo assumendone pregi e carenze. La definizione del carattere dei personaggi ancora una volta non brilla per originalità, affidandosi alle poche battute di pur bravissimi caratteristi – come JONAThAN PRYCE (il governatore, padre di Elizabeth). I marinai riepilogano altrettante tipologie già incontrate; poco importa se li abbiamo conosciuti sull’Isola Che Non C’è o in un viaggio di Sindbad. Stessa cosa può dirsi per i soldati di Port Royal. Né rimediano i protagonisti, belli e prevedibili. Spesso, nel cinema di avventura, i “cattivi” sono assai interessanti, nel senso che godono di un tocco di introspezione in più rispetto alle loro controparti “buone”; in questo caso, l’adagio si conferma solo in parte. Barbossa è recitato con ottimo mestiere, ed è verosimile, nei limiti concessi da una vicenda che ha del sovrannaturale; purtroppo gli manca però l’originalità, e non per colpa del bravissimo GEOFFREY RUSh, quanto del copione a lui affidato, problema che affligge anche la bellissima Elizabeth interpretata da KEIRA

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La liberazione di Elizabeth ha successo, ma Sparrow resta nelle grinfie di Barbossa. Dopo molte vicissitudini, i capitani rivali giungono alla resa dei conti, ma non sarebbe una lotta ad armi pari senza uno Sparrow “protetto” dalla maledizione. La maledizione è spezzata, i pirati non possono far altro che arrendersi. Ma i guai, per capitan Sparrow, non finiscono mai...

Attenti alla maledizione!

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KNIGhTLEY: sono figure dimenticabili. Calma piatta sui personaggi, così tradizionali… tutti, escluso l’esuberante Jack Sparrow. Probabilmente il capitano donnaiolo e ambiguo, ubriacone ed esibizionista, non è proprio una novità dei sette mari. Le ballate popolari ricordano pirati sporcaccioni e spacconi, ma nel cinema di anni fa certe sfumature del carattere e certi comportamenti equivoci venivano fatti trapelare appena, fatti solo intuire oppure taciuti. L’interpretazione esagerata di JOhNNY DEpp mette invece in luce tutto ciò che un tempo veniva omesso – o rivelato, ma solo in racconti espliciti da osteria di porto di mare, tra adulti… navigati. Depp rende il suo personaggio innovativo e irresistibile, uno degli aspetti più validi della pellicola proprio in quanto inaspettato. In un mondo in cui la divisione tra buoni e cattivi è abbastanza netta, Sparrow non è mai del tutto schierato. Rispetto ai valori e allo stile di vita del candido Will Turner recitato da ORLANDO BLOOm, Jack Sparrow si dimostra trasgressivo, cinico, scanzonato, tutt’altro che insipido. A modo suo, è più verosimile e meglio riuscito l’ambiguo capitano piuttosto che l’innocente fabbro. Sarebbe semplicistico attribuire il merito unicamente all’interpretazione di Depp, un professionista con alle spalle una carriera artistica densa di ruoli importanti – mentre Bloom, lanciato da PETER JACkSON nella trilogia de Il Signore degli Anelli, fino a qualche tempo fa era un perfetto sconosciuto dal visetto grazioso. Will Turner si fa piccino essendo l’ennesima (re)incarnazione del ragazzo pieno d’inventiva, bravo e un po’ noioso, come Topolino. Tutti vogliono vederlo trionfare, e poi dimenticarlo, poiché, canterebbe Finardi, “mi sento come Will Coyote, cade ma non molla mai”. Sparrow è proprio come Will Coyote: non ruba la scena al protagonista, la ottiene dallo spettatore che s’identifica con le sue disavventure a volte tragicomiche. Dandy e zingaresco, si fa ricordare più del protagonista, qualcosa di analogo a ciò che avvenne nella saga di Guerre Stellari: l’eroe è Luke Skywalker, ma la gente rammenta la maschera nera di Darth Vader e le spacconate di Han Solo. Pollice alto Il film ha alle spalle una sceneggiatura progettata quanto un’operazione di marketing commissionata da un grande industriale. Le aspirazioni da blockbuster sono esplicite; nel momento in cui accettiamo di pagare il biglietto o comperare il dvd, già sappiamo quali siano gli obbiettivi commerciali del film, eppure li scordiamo alla prima sequenza rocambolesca. È una gran colpa essere una fiaba cinematografica studiata in ogni minimo dettaglio, al fine di ottimizzare spettacolarità e intrattenimento? Sì, se si ritiene che il cinema debba accollarsi un ruolo didattico, magari affiancandosi e talora

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sostituendosi ai libri di storia, ai musei, ai documentari; e anche se si pretende ad ogni costo l’impegno sociale diretto, l’analisi dei problemi calati nell’esperienza quotidiana, la riflessione su eventi comprovati, un po’come avveniva in certe trasmissioni con film e dossier tanto di moda negli anni Novanta. Se invece si chiede alla Settima Arte di assumere un ruolo diverso, che si presti a divertire senza trave-

stirsi da indagine giornalistica, che regali un paio d’ore di evasione e ammicchi ad altre forme artistiche senza farne copia, che sia consapevole dei suoi intenti e li proponga con onestà, allora La Maledizione della Prima Luna diventa un film godibilissimo, imperdibile. Non ha la pretesa di raccontare la vita dei pirati secondo criteri veritieri, da storici; semmai può stimolare lo spettatore a interessarsi alla letteratura marinaresca, alla storia della guerra di corsa e dei suoi protagonisti, alle leggende che si tramandano nei paesi di mare... O al vecchio cinema di cappa e spada, magari per scoprire che Verbinsky non ha inventato nulla, ha solo ripescato e amalgamato vecchi cliché, scene horror comprese. Alcune sequenze e passaggi narrativi sono prevedibili, il lieto fine poteva assumere tinte più fosche, e su tutto regnano atmosfere kitsch, quasi si fosse sul trenino di un parco a tema dove ogni attrazione è ricostruita in resina colorata e ci sfila davanti in una sorta di percorso a tappe. Si potrebbe sbadigliare, invece ci si diverte, a patto di lasciar fuori ogni intellettualismo. La scelta narrativa è chiara e non sussistono ambiguità tra reale e fiabesco. Verbinsky fa della contaminazione di elementi graditi al pubblico un manifesto esplicito, e ad esso si attiene dal primo all’ultimo fotogramma. Addirittura permette – forse inconsapevolmente, tanto sono radicati gli archetipi usati – diversi piani di lettura. È, la sua, una finzione lieve e “facile”, dissemi-

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Cinema FANTASY nata però di citazioni tributate a classici sia del cinema anni Cinquanta sia della letteratura gotica. Le immagini horror della nave e della ciurma affondano le radici nella Ballata del Vecchio Marinaio di COLERIDGE, nell’ultimo duello tra Achab e Moby Dick, nel misterioso incontro del bianco epilogo del Gordon Pym, e soprattutto nella leggenda dell’Olandese Volante. Le vele stracciate agitate dai venti e lo scafo sconquassato dalla tempesta richiamano le immagini de Il Vascello Fantasma, tramandate da quadri e dai bozzetti realizzati per l’opera di WAGNER. Il tema dell’uomo condannato a vagare per l’eterJack Sparrow Johnny Depp

Elizabeth Swann Keira Knightley

Pirata spaccone e irriverente. Il suo obbiettivo è recuperare la Black Pearl, il vascello di cui è stato capitano, sottrattogli dal secondo ufficiale Barbossa dopo un ammutinamento. Will Turner Orlando Bloom

Affascinante e volitiva figlia del governatore di Port Royal. Capitan Barbossa la rapisce, convinto di poter estinguere col sangue della ragazza la maledizione che grava su lui e la sua ciurma. Joshamee Gibbs Kevin McNally

Giovane fabbro, ignaro figlio del pirata “Sputafuoco” Turner. Per correre in soccorso della bella Elizabeth, di cui è innamorato, è costretto ad affidarsi all’aiuto dell’ambiguo capitan Sparrow. Barbossa Geoffrey Rush

Pirata, già marinaio per la Compagnia delle Indie, è il fidato braccio destro di Sparrow. Comanda la sgangherata ciurma messa insieme per governare la nave rubata dal capitano. Weatherby Swann Jonathan Pryce

Pirata traditore. “Secondo” di Sparrow al comando della Black Pearl, ha guidato l’ammutinamento contro il capitano. Lui e il suo equipaggio sono vittime di una terribile maledizione. Norrington Jack Davenport

Goverantore di Port Royal e padre di Elizabeth. Vorrebbe dare in sposa la figlia al rispettabile Norrington, ma cederà infine le armi di fronte all’evidente amore tra la giovane e Will Turner. Anamaria Zoe Saldana

Commodoro della Marina Inglese e acerrimo persecutore dei pirati. è il tipico nobil’uomo, coraggioso ma pieno di pregiudizi. Dimostrerà tuttavia un inaspettato senso dell’onore. Mullroy Angus Barnett

Piratessa; vittima di una delle tante truffe di Sparrow, si arruola nella ciurma del capitano per ottenere il giusto risarcimento. Sparrow le promette in saldo l’Interceptor. Ragetti Mackenzie Crook

Murtogg Giles New

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nità in quanto colpevole di qualche misfatto ha origine ancora più remota. La Genesi narra il delitto di Caino, che viene condannato a un’esistenza errante da Jahvé stesso, e marchiato in modo che le genti lo riconoscano. Elementi analoghi si ritrovano nella figura dell’Ebreo Errante, e dello stesso Ulisse, rivisitato secondo il pensiero medioevale. Sono temi che vengono suggeriti tra un’inquadratura e l’altra, quasi fossero merce di contrabbando. Sta alla sensibilità dello spettatore notarli oppure ignorarli. La Maledizione della Prima Luna è un film innovativo non solo per la contaminazione di generi e

Pintel Lee Arenberg

Cinema: La Maledizione della Prima Luna


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personaggi; è una realizzazione “anomala” della WALT DISNeY PICTUReS, la casa produttrice americana famosa, oltre che per gli splendidi lungometraggi di animazione, per i molti film di intrattenimento per famiglie. Le pellicole che escono dai suoi “Studios” sono impeccabili sotto il profilo tecnico, prive di linguaggio scurrile, volgarità e violenza, traboccanti ottimismo e insegnamenti morali, tanto espliciti da intaccare, talvolta, narrazioni verosimili, personaggi convincenti, colpi di scena e originalità. Se è vero che in molti casi le trovate trasgressive sono un povero mezzo per strappare emozioni, pure possono rendere plausibili alcuni contesti. Sarebbe ridicolo sentir parlare un marinaio con lo stesso vocabolario di un raffinato Lord. E quanto ai dettagli più crudi, basterebbe rivedere la disneyana battaglia finale delle Cronache di Narnia, priva com’è di sangue e orrore, o evocare il sadismo senza conseguenze di Tom & Jerry. Ne La Maledizione della Prima Luna, per la prima volta un film Disney abbandona la consueta rappresentazione edulcorata delle scene di azione, e introduce un personaggio trasgressivo in una trama che, per sua stessa natura, non può lasciare troppi sottintesi. È impossibile trasmettere l’idea di una nave maledetta e della sua ciurma macilenta senza offrirne un’immagine raccapricciante e ben comprensibile. Altrettanto improbabile è il ricorrere a scene in controluce per evitare di mostrare ossa o particolari ributtanti. Ecco allora che si ritarda quanto più possibile il

momento della verità, aumentando il pathos, ma alla fine… si fa vedere quanto occorre. È cinema, non teatro delle ombre thailandese! La grafica digitale interviene con maestria, senza eccessi, e si rivela decisiva nel dare vita alla Black Pearl e al suo equipaggio trasformato dal plenilunio. Si tratta pur sempre di un film diretto al grosso pubblico, quindi non immaginatevi sequenze splatter estreme, la censura americana lo ha vietato “solamente” ai minori di tredici anni, facendo scalpore perché, per tradizione, le pellicole targate Disney erano sempre state indirizzate a un pubblico di famiglie, giovanissimi inclusi. Non attendetevi un capolavoro, e godetevi invece un ottimo compromesso tra verosimiglianza, desiderio di novità e buon senso, con atmosfere romantiche ispirate dalla letteratura marinaresca. La voglia di contaminazione di generi, la regia divertita, la bella fotografia e l’esplosivo Depp rendono il film nettamente superiore a produzioni analoghe. La fusione di generi e sottogeneri – alcuni popolari, altri colti – che si affacciano con differente intensità, può affascinare spettatori di età e gusti anche molto diversi. A meno di essere irriducibili sostenitori della cinematografia d’essai, si ride, ci si diverte senza doversi vergognare di assistere a un bel film solo per svago; ci si lascia quasi ipnotizzare dalla vicenda, che è sorretta da un bel montaggio fluido e scandita da un ritmo che non conosce cedimenti. Compresi i titoli di coda. n Cuccu’ssette

Cinema: La Maledizione della Prima Luna

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LA MALEDIZIONE DEL FORZIERE FANTASMA

(Pirates of the Caribbean: Dead Man Chest G. Verbinski, 2006) di Rossella Martinelli

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i avevamo lasciati con un lieto finale: Elizabeth e Will pronti a trascorrere il resto della vita insieme, e il brillante pirata Jack Sparrow in fuga inseguito dalla marina britannica. Ma già si poteva intuire tra le righe che l’avventura non sarebbe finita lì… E così, a distanza di tre anni da La Maledizione della Prima Luna (2003) che apre la trilogia, approda sugli schermi La Maledizione del Forziere Fantasma, seconda puntata della fortunata disneyana storia de “I Pirati dei Caraibi”. La trama si complica; i protagonisti rimangono i medesimi ma appaiono nuovi e intriganti personaggi, tra cui spiccano Tia Dalma, la sacerdotessa voodoo che ci accoglie nella sua paludosa dimora tra serpenti e riti magici, e Davy Jones, il repellente uomo-polpo, proprietario del forziere menzionato nel titolo. Ritroviamo inoltre un irriconoscibile James Norrington, il commodoro della marina inglese – nonché spasimante di Elizabeth – ligio al dovere e simpaticamente inquadrato nella parte di nemico buono – che ne La Maledizione della Prima Luna ci aveva accompagnato alla caccia di Jack Sparrow. Senza dubbio la visione del primo film è d’aiuto allo spettatore nel ricomporre il puzzle delle vicende ma, nonostante alcuni riferimenti alla precedente produzione, questo secondo capitolo può benissimo essere letto come storia a sé stante. Le sventure, naturalmente, si susseguono a ritmo serrato sempre intorno al mondo crudo

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Cinema: La Maledizione del Forziere Fantasma


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Scheda

Titolo originale: Pirates of the Caribbean: Dead Man Chest Produzione: USA, 2006, Walt Disney Pictures Durata: 150 minuti Regia: Gore Verbinski Personaggi: Jay Wolpert, Stuart Beattie, Ted Elliott, Terry Rossio Sceneggiatura: Ted Elliott, Terry Rossio Fotografia: Dariusz Wolski Montaggio: Craig Wood, Stephen E. Rivkin Scenografia: Rick Heinrichs Costumi: Penny Rose Musica originale: Hans Zimmer Produttore: Jerry Bruckheimer

Hal T. Hickel, Charles Gibson, Allen Hall); • nomination 3 OSCAR 2007: Best Achievement in Art Direction (Rick Heinrichs, Cheryl Carasik), Best Achievement in Sound Editing (Christopher Boyes, George Watters II), Best Achievement in Sound Mixing (Paul Massey, Christopher Boyes, Lee Orloff); • vincitore 1 SATURN AWARD 2007: Best Special Effects (John Knoll, Hal T. Hickel, Charles Gibson, Allen Hall); • nomination 4 SATURN AWARD 2007: Best Fantasy Film, Best Supporting Actor (Bill Nighy), Best Costume (Penny Rose), Best Make-Up (Ve Neill, Joel Harlow) Premi • nomination 1 GOLDEN GLOBE 2007: • vincitore 1 OSCAR 2007: Best Performance by an Actor in a Motion Best Achievement in Visual Effects (John Knoll, Picture - Musical or Comedy (Johnny Depp) e spartano dei pirati, con l’atmosfera che odora di bagnato (e forse anche un po’ di sudicio) i velieri maestosi e gli scenari incantevoli da dipinto, scovati in location come le Bahamas, la Dominica, Saint Vincent, la California… La Maledizione del Forziere Fantasma non annoia insomma; i suoi 150 minuti divertono e appassionano, senza fretta di approdare al finale. Ogni scena è una foto che merita di essere messa a fuoco. La trama inizia con l’interruzione del matrimonio tra Elizabeth, la figlia del governatore, e Will, il fabbro abile e dolce. Entra infatti in scena un altro nuovo personaggio, Lord Cutler Beckett della Compagnia delle Indie Orientali, il quale notifica ai due innamorati la condanna a morte – loro e del dimessosi commodoro Norrington – per aver aiutato Jack Sparrow a fuggire. A Will viene promessa salvezza per sé e per l’amata solo se riuscirà a recuperare una misteriosa bussola in mano a Sparrow. Nel frattempo, a bordo della Perla Nera, in missione alla ricerca di una strana chiave, Jack riceve la visita di “Sputafuoco” Bill Turner – il padre di Will –, ex membro della sua ciurma (l’unico rimastogli fedele ai tempi dell’ammutinamento di Barbossa, accennato nel primo film). Il vecchio compagno è ora mutato in una sorta di uomo-crostaceo, e costretto a prestar servizio sul vascello fantasma Olandese Volante, comandato dal pirata maledetto Davy Jones. Il compito

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Cinema FANTASY di Sputafuoco è ricordare a Jack un debito risalente a tredici anni prima, quando il caleidoscopico capitano aveva venduto la propria anima a Jones in cambio del comando della Perla Nera. Ora è giunto il momento di saldare quel debito, pena l’essere divorato dal leggendario mostro marino Kraken. L’unico modo per sfuggire alla creatura gigante agli ordini di Jones è restare sulla terraferma; Sparrow fa allora arenare la nave sulla spiaggia dell’isola di Pelegosto, abitata però da cannibali che prendono prigioniero lui e la sua ciurma. In queste precarie condizioni lo trova Will, anch’egli capitato sull’isola. Liberatisi non senza colpi di scena, Will può finalmente raccontare a Jack del patto con Beckett. Il pirata acconsente a cedergli la sua contesa bussola in cambio di aiuto nel ritrovamento della famosa chiave. Chi permette all’avventura di prendere una rotta decisa è Tia Dalma, una sacerdotessa voodoo vecchia conoscenza di Sparrow, la quale spiega in toni fiabeschi che la chiave ambita dal capitano è quella in grado di aprire lo scrigno (il “forziere fantasma”, appunto) dove è custodito il cuore ancora pulsante e sofferente d’amore di Davy Jones, che il pirata maledetto si strappò dal petto dopo essere stato rifiutato dalla sua amata. La chiave è naturalmente nelle mani dello stesso

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Jones. L’intenzione di Jack è trovare il forziere e usarlo poi come “ostaggio” per aver salva l’anima. Prima, però, occorre recuperare la chiave… Intanto Elizabeth, fatta evadere dal padre, parte a sua volta alla ricerca di Will. Dopo mille peripezie, il finale vede i protagonisti – Jack, Elizabeth e Will, ai quali nel frattempo si è affiancato Norrington – finalmente riuniti, fronteggiare a bordo della Perla Nera il terribile Kraken. Sarà allora l’apparentemente fragile e indifesa Elizabeth, con un tradimento degno di capitan Sparrow, a salvare i compagni usando come esca proprio il malcapitato Jack… La Maledizione del Forziere Fantasma, premiato come miglior film agli MTV Movie Awards 2007, riconferma il talento lucido e innovativo del regista statunitense GORE VERbINSkY, già reduce dal successo di The Mexican (2000) e The Ring (2002). Ai personaggi stereotipati divisi in buoni e cattivi, tipici delle storie targate WALT DISNeY PICTUReS, si aggiungono finalmente presenze ambigue come Jack Sparrow, il quale, pur con la sua simpatia, non manca di ricalcare la figura del pirata rozzo e avido. Il capita-

no buca lo schermo per la sua bizzarria unica, rimane ancorato alla memoria dello spettatore per il suo carisma, la camminata, la genialità e l’imprevedibilità. Osannato dalle ragazzine e premiato dalla critica sotto i panni del pirata stranito, si cela il magistrale JOhNNY DEpp, anch’egli premiato agli MTV Movie Awards 2007. Intorno gli ruotano i due attori dalle facce angeliche che già avevano fatto capolino nel panorama internazionale con vari successi: ORLANDO BLOOm (la trilo-

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gia de Il Signore degli Anelli 2001-2003, Troy 2004) e KEIRA KNIGhTLEY (Sognando Beckham 2002, Orgoglio e Pregiudizio 2005). Buona anche la loro interpretazione. Il resto del cast fa la sua figura, impadronendosi dei rispettivi ruoli e interpretandoli con passione. Molto studiata la figura di Davy Jones, interpretato da BILL NIGhY, un personaggio ambivalente la cui cattiveria è causata e in un certo modo compensata da una sofferenza d’amore. Nighy ha girato le sue parti indossando appositi sensori per permettere il motion

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capture, la tecnica con cui si anima un personaggio generato al computer con i movimenti e le espressioni di un vero attore. I favolosi effetti speciali del film, nemmeno a dirlo, sono stati premiati con l’Oscar. Intrigante è Tia Dalma, dietro i cui panni si nasconde la bella NAOmIE HARRIS. La sacerdotessa voodoo si rivelerà la chiave di volta nel terzo capitolo, imprimendo un ulteriore pizzico di magia alla saga. Le musiche del film sono di HANS ZImmER, compositore della stravenduta colonna sonora de Il Gladiatore (2000) nonché di altri piccoli e grandi capolavori tra cui L’ultimo Samurai (2003) e Il Codice da Vinci (2006). La sonorità riporta alla mente grandi gesta di eroi con repentini cambiamenti di tono armonizzati ai ritmi delle scene; incalzanti le batterie di strumenti durante i duelli e il richiamo al fluttuare del mare. In conclusione, un film apprezzato sia dal pubblico che dalla critica; un’avventura dai sapori esotici, con un tocco horror che tuttavia non eccede in scene cruente, né splatter, assicurando anzi divertimento per l’intera famiglia, e chiudendosi con l’immancabile appuntamento per il successivo capitolo della saga. n Rossella Martinelli

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FANTASY Jack Sparrow Johnny Depp Per uscire dall’ennesimo guaio in cui si è cacciato, l’eccentrico pirata è questa volta alla ricerca di un forziere dal contenuto molto particolare!

Elizabeth Swann Keira Knightley La bella figlia del governatore smette definitivamente i panni della donzella indifesa per vestire quelli di ardita e pepata “piratessa”.

Davy Jones Bill Nighy Pirata maledetto al comando della famigerata nave fantasma Olandese Volante. A lui Jack ha avventatamente venduto l’anima.

Bill “Sputafuoco” Turner Stellan Skarsgård Il redivivo padre di Will, ex membro della ciurma di Sparrow e finito ora a “prestar servizio” sotto Davy Jones a bordo dell’Olandese Volante.

Ragetti Mackenzie Crook L’insicuro pirata dall’occhio finto, ex ammutinato al seguito di Capitan Barbossa, e ora nuovamente in forza all’equipaggio di Sparrow.

Weatherby Swann Jonathan Pryce L’esautorato governatore di Port Royal, padre di Elizabeth. Dopo aver favorito la fuga della figlia, finisce in manette al cospetto di Lord Beckett.

Tia Dalma Naomie Harris La misteriosa e un po’ inquietante sacerdotessa voodoo, preziosa “consulente” magica per Capitan Sparrow e i suoi pirati.

William Turner Orlando Bloom Sempre più impavido e sempre più innamorato della bella Elizabeth, il giovane Will ritrova in questo episodio il padre bucaniere.

Cutler Beckett Tom Hollander Ecco il nemico pubblico numero 1 dei pirati! Gode di pieni poteri nei Caraibi, tanto da esautorare lo stesso governatore Swann.

Norrington Jack Davenport L’ex commodoro è caduto in disgrazia, ridotto ad arruolarsi come mozzo nella ciurma di Sparrow! Alla ricerca della dignità perduta...

Joshamee Gibbs Kevin McNally Il fedele - ma fino a un certo, ragionevole punto - braccio destro di Capitan Sparrow, primo ufficiale della ciurma più scalcagnata dei Caraibi.

Pintel Lee Arenberg Il “compare più furbo” di Ragetti; insieme all’amico ha la sana abitudine di far vela dove tira il vento, soprattutto in fatto di capitani.

Mercer David Schofield Odioso e spietato tirapiedi di Lord Beckett, per il quale svolge gli incarichi più sporchi, compresi omicidi, ricatti e altre varie amenità.

Barbossa Geoffrey Rush Risorto per opera di Tia Dalma, l’ex defunto ammutinato della Perla Nera torna in scena, pronto guidare i pirati nella prossima avventura.

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PIRATI DEI CARAIBI Ai Confini del Mondo (Pirates of the Caribbean: at World’s End G. Verbinski, 2007) di Andrea Carta

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a visione di Pirati dei Caraibi - Ai Confini del Mondo ricorda molto quella de Il ritorno dello Jedi: pregi e difetti delle due pellicole − entrambe terze in un ciclo di film dall’enorme successo commerciale − sono essenzialmente gli stessi. Ambedue le saghe iniziano con un primo film bellissimo e “quasi” autoconclusivo (non c’è pellicola, a Hollywood, che non lasci una porta aperta a eventuali seguiti); dopo qualche anno arriva il secondo, con idee nuove e accenti più drammatici; infine il cerchio si chiude con un terzo capitolo pirotecnico, dove la carne al fuoco è tantissima e i filoni vengono riuniti più o meno a forza. Terminato il trittico, tutti quanti, dagli attori agli spettatori, possono rilassarsi e pensare ad altro; per continuare la serie c’è sempre tempo – e anche in questo caso il parallelo con Guerre Stellari salta subito all’occhio. Come si può intuire dalle considerazioni di cui sopra, capita a volte che un primo sequel sia migliore dell’originale; non capita mai che lo sia il secondo. Al di là del confronto con la saga di “Star Wars”, quali sono le debolezze di “Ai confini del mondo”? Il problema principale – e insolubile – sta nella necessità di dover chiudere gli eventi che ne La Maledizione del Forziere Fantasma erano rimasti in sospeso: Jack Sparrow morto, la sua nave distrutta, i cattivi di turno (Davy Jones e Lord Beckett) prossimi al trionfo e, ciò nonostante, Will, Elizabeth, Gibbs e l’equipaggio della Perla

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FANTASY Premi • nomination 2 OSCAR 2008: Best Achievement in Makeup (Ve Neill, Martin Samuel), Best Achievement in Visual Effects (John Knoll, Hal T. Hickel, Charlie Gibson, John Frazier) • vincitore 1 SATURN AWARD 2008: Best Make-Up (Ve Neill, Joel Harlow) • nomination 2 SATURN AWARD 2008: Best Fantasy Film, Best Costume (Penny Rose), Best Special Effects (John Knoll, Hal T. Hickel, Charles Gibson, John Frazier)

Nera pronti a rovesciare la situazione a loro favore grazie all’aiuto della sacerdotessa voodoo Tia Dalma e di un redivivo Barbossa… Se il secondo film rimaneva senza una conclusione definita – e già non è bene –, il terzo non poteva che presentarsi “senza testa” – il che è anche peggio –, con una serie di sottotrame, colpi di scena e capovolgimenti di fronte che finiscono per accavallarsi al punto da confondere lo spettatore. Chi sono i buoni? Chi i cattivi? Chi ci ha perso e chi ci ha guadagnato? Molte di queste domande, anche dopo il termine del film, rimarranno senza una risposta precisa. Fin dalle sequenze iniziali la trama mostra di voler percorrere strade nuove: dapprima ci mostra una serie di esecuzioni sommarie ordinate dallo spietato Beckett (scena piuttosto cruda per un film disneyano), quindi ci catapulta a Singapore, ben lontano dai Caraibi, dove cominciano le prime zuffe, tra i “nostri” da un lato (Will, Elizabeth, Barbossa), gli inglesi dall’altro, e in mezzo un terzo partito capeggiato da un nuovo personaggio, il pirata cinese Sao Feng (ChOW YUN-FAT, protagonista de La Tigre e il Dragone). Costui possiede un mappa che consentirebbe di recuperare Jack Sparrow dallo “scrigno” di Davy Jones, nel quale è finito rinchiuso per non avere saldato il suo debito col capitano dell’Olandese Volante. Sfuggiti come sempre per il rotto della cuffia, i nostri eroi ritrovano Jack in uno strano posto “ai confini del mondo” (vi si accede attraverso una cascata in mezzo all’oceano!), dal quale riescono

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Titolo originale: Pirates of the Caribbean: at World’s End Produzione: USA, 2007, Walt Disney Pictures Durata: 168 minuti Regia: Gore Verbinski Personaggi: Jay Wolpert, Stuart Beattie, Ted Elliott, Terry Rossio Sceneggiatura: Ted Elliott, Terry Rossio Fotografia: Dariusz Wolski Montaggio: Craig Wood, Stephen E. Rivkin Scenografia: Rick Heinrichs Costumi: Penny Rose Musica originale: Hans Zimmer Produttore: Jerry Bruckheimer

a evadere a bordo della Perla Nera. Dopodiché, un nuovo e importante personaggio entra in scena − o meglio, viene menzionato − rendendo la trama, già abbastanza complicata, quasi incomprensibile. È la dea Calypso in persona, una spe-

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cie di Nettuno al femminile in grado di controllare il mare, a suo tempo imprigionata in un corpo umano dal Supremo Consiglio dei Pirati (formato da nove membri, tra cui Jack, Barbossa e Sao Feng) perché troppo imprevedibile e pericolosa; come se non bastasse, è anche la stessa donna che ha fatto impazzire d’amore Davy Jones. A tirarla in ballo è Barbossa, che propone di liberarla per poterla “scatenare” contro la flotta inglese al

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comando di Beckett: infatti, dopo una lunga serie di tradimenti e colpi di scena − in cui, tra l’altro, vengono uccisi il governatore Swann, Norrington, sempre incerto tra le due fazioni in lotta, e lo stesso Sao Feng, che cede il suo posto nel Consiglio a Elizabeth − si avvicina il momento della resa dei conti. Ad affrontarsi saranno la flotta inglese, decisa a por termine alla pirateria una volta per tutte, e i pirati, litigiosi, indisciplinati e divisi, ma ciò nondimeno ancora liberi. Elizabeth, fatta eleggere a capo supremo del Consiglio dei Pirati dal furbo Jack, decide di combattere senza avvalersi di aiuti “soprannaturali”, ma Barbossa è di diverso avviso e libera Calypso, la quale − ulteriore colpo di scena − altri non era che Tia Dalma. La dea, giustamente furiosa dopo troppi anni passati in cattività, scatena una tempesta e un gigantesco gorgo a cornice dell’ultimo combattimento tra la Perla Nera e l’Olandese Volante che si conclude naturalmente con la vittoria dei “nostri”. Tuttavia Will, ferito a morte, viene “aiutato” da Jack a trafiggere il cuore di Davy Jones, ponendo così fine alla vita del pirata fantasma, ma condannando il giovane a prenderne il posto. Will riesce in questo modo a sopravvivere, ma la consolazione appare un po’ magra, considerando che adesso dovrà vagare per mare dieci lunghi anni, lasciando Elizabeth − con la quale si era sposato durante i combattimenti! − ad attenderlo. E per di più con tanto di prole al seguito, dato che la neo-sposa riesce a farsi mettere incinta proprio all’ultimo istante. E l’aggancio per eventuali seguiti? Nessun problema. Barbossa si impadronisce nuovamente della Perla Nera e parte alla ricerca della Fonte della Giovinezza; Jack, come già nel primo film, prende il largo su una barca. Nuove avventure e nuovi personaggi si intravedono all’orizzonte… Su questo finale, nulla da dire. Anzi, la sequenza che ci mostra (dopo i titoli di coda) Elizabeth che aspetta il ritorno di Will in compagnia del loro bambino è particolarmente suggestiva e ben si addice al termine di un ciclo. Peraltro, non mancano certo sequenze ugualmente coinvolgenti, a partire dalla scena iniziale (le impiccagioni in massa) per finire con quella che vede l’Olandese Volante e la Perla Nera rincorrersi all’interno del gigantesco gorgo creato da Calypso; e potremmo anche citare il cosiddetto “scrigno di Davy Jones”, una

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spiaggia sconfinata popolata da strani granchi, e dalla quale si esce capovolgendo – letteralmente – la nave nel momento in cui il sole scende sotto l’orizzonte. Ma era scontato che sulla bontà delle scenografie e degli effetti speciali non vi potesse essere nulla da eccepire: le produzioni hollywoodiane, almeno a questo livello, sono sempre all’altezza del compito. I difetti, come già si era accennato, sono altri: la carne al fuoco, in questo terzo film, è davvero troppa. C’era proprio bisogno di tirare in ballo la dea Calypso, che, sia detto senza peli sulla lingua, ha a che fare coi pirati come i classici cavoli a merenda? Non c’era alcun bisogno di dare un nome alla donna amata da Davy Jones, che avrebbe conservato maggior fascino se fosse rimasta una figura misteriosa; e in quanto alla “turbolenza” durante la battaglia finale perché non usare il Kraken? Analogamente, non si vede la necessità di introdurre il personaggio di Sao Feng che, diventato infatti troppo ingombrante, viene eliminato a circa metà del film: le informazioni in suo possesso potevano tranquillamente essere attribuite a Barbossa, espediente che avrebbe anche giustificato la sua resurrezione in modo più convincente (poiché, in fin dei conti, Barbossa serve solo a liberare Calypso). L’eccessiva complessità della trama è solo una faccia della medaglia: l’altra, inevitabilmente, è la scarsa attenzione che viene rivolta a un po’

tutti i personaggi, sui quali, nonostante la lunghezza del film (168 minuti, contro i 143 e 150 dei primi due), non ci si sofferma quanto sarebbe necessario. E così la partecipazione del governatore Swann è ridotta a un cameo; Lord Beckett diventa il solito cattivo stereotipato; Norrington, personaggio complesso e il cui ruolo era spesso decisivo, finisce eliminato dopo qualche scena, neanche memorabile. A parte Jack, trascinato dalla straripante personalità di JOhNNY DEpp, e forse Barbossa, a sua volta interpretato dal grande GEOFFREY RUSh, tutti gli altri, Will, Elizabeth, Gibbs, anche Davy Jones, risultano appannati, privi di spessore; si può quasi dire che vivano della rendita dei due film precedenti. In quanto al Kraken, diventato un po’ troppo diffi-

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cile da gestire, viene liquidato in poche battute a inizio film (Beckett ha ordinato a Davy Jones, di cui possiede il cuore, di eliminarlo). Un po’ strano per un mostro che sembrava invincibile e quasi invulnerabile! Per fortuna, il poco spazio dedicato ai personaggi principali giova a quelli secondari: dalla sempre esilarante coppia di pirati Pintel e Ragetti, all’altro duo formato dai due soldati inglesi Murtogg e Mullroy (spesso paragonati a Laurel & Hardy), qui ricomparsi dopo aver saltato il secondo film. Memorabile nella sua brevità, soprattutto, è la tanto attesa apparizione di

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KEITh RIChARDS: il suo ruolo, quello di custode del famoso “codice” dei pirati, sembra tagliato su misura per una leggenda vivente come certamente va considerato il chitarrista dei ROLLING STONeS. I pro e i contro, alla fine, tendono a bilanciarsi. La storia, di per sé, non è mai banale, e riesce ancora a sfruttare in pieno la geniale idea che ha reso così speciale il primo film: mischiare elementi fantasy − genere che oggi va molto di moda − alle più tradizionali storie di pirati, e condire il tutto con il giusto pizzico di umorismo. Finché questi elementi, gli attori e l’ineccepibile regia reggono, la storia funziona. Ma può un film di questo livello vivere di rendita sui fasti e sui meriti dei suoi predecessori? I produttori di Hollywood, da sempre, ne sono più che convinti; gli spettatori lo sono abbastanza, ma evidentemente non del tutto, dato che il film ha incassato meno del precedente. Noi, più modestamente, preferiremmo sceneggiature più solide, più coerenti, soprattutto più lineari; e, anche se questo andasse a scapito di qualche colpo di scena o qualche effetto speciale, ci guarderemmo bene dal lamentarci! n Andrea Carta

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FANTASY Jack Sparrow Johnny Depp Scampato allo scrigno di Davy Jones, l’estroso capitano dovrà ora vedersela con la Marina inglese, il Consiglio dei Pirati e la dea Calypso! Elizabeth Swann Keira Knightley Alla fine si decide: è Will l’uomo della sua vita, non Jack. E, tra colpi di spada ed elezioni piratesche, trova pure il tempo di sposarlo. Sao Feng Yun-Fat Chow Il capo dei pirati di Singapore, pittoresco quanto superfluo; se non altro si discosta dal solito cliché di “cinese cattivissimo” alla Fu-Manchu. Cutler Beckett Tom Hollander Ancora più spietato e odioso rispetto al secondo film. Per sua sfortuna, e fortuna nostra, fa parte dei personaggi che non rivedremo più! Joshamee Gibbs Kevin McNally “Fidato” braccio destro di Jack, simpatico e saggio come in tutta la saga. Impossibile anche solo pensare di poter fare a meno di lui. Pintel Lee Arenberg Lui e il suo inseparabile compare Ragetti, incomparabili come e più del solito, se non ci fossero bisognerebbe inventarli. Norrington Jack Davenport Poche scene, ma buone. Alla fine si decide: parteggia per Elizabeth e i suoi pirati, costi quel che costi. E infatti non lo rivedremo più. Weatherby Swann Jonathan Pryce La sua presenza, ridotta a un “cameo”, riesce comunque a far piangere Elizabeth: l’ultimo legame della “piratessa” con la sua vita precedente.

William Turner Orlando Bloom Tormentato dai dubbi riguardo Elizabeth, ferito a morte, condannato a vagare per i mari... ci mancava solo che morisse davvero! Barbossa Geoffrey Rush Meno cattivo e più simpatico rispetto a come lo conoscevamo, ancora non ha perso il pessimo vizio di rubare navi a pirati eccentrici. Davy Jones Bill Nighy Ha perso un po’ del suo “fascino” rispetto al capitolo precedente, ma come supercattivo di turno da affiancare a Beckett basta e avanza! Tia Dalma Naomie Harris La dea imprigionata in forma umana. Sostanzialmente inutile. D’accordo, ha resuscitato Barbossa, “ma qualcuno doveva pur farlo”! Tai Huang Reggie Lee Se Sao Feng era un personaggio inutile, che dire del suo braccio destro? Partecipa insieme ai nostri eroi alla surreale liberazione di Jack. Ragetti Mackenzie Crook Si scopre che il suo occhio finto, perso innumerevoli volte durante la saga, è nientemeno che indispensabile per resuscitare la dea Calypso. Mercer David Schofield Tutti i cattivi di “cervello”, alla Beckett, hanno sempre qualcuno che fa il lavoro sporco al posto loro. Mercer ne è l’esempio emblematico. Bill “Sputafuoco” Turner Stellan Skarsgård Occorre attendere l’ultima scena del film per vederlo finalmente ritornato tra i vivi e riunito all’amato figlio, ma ne valeva la pena!

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HOOK CAPITAN UNCINO (Hook - S. Spielberg, 1991) di Francesco Viegi

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eter Banning (RObIN WILLIAmS) è un orfano che con fatica è riuscito a costruirsi una brillante carriera da avvocato. Negli ultimi tempi, proprio a causa del lavoro, sta trascurando la moglie Moira (CAROLINE GOODALL) e i figli Jack (ChARLIE KORSmO) e Maggie (AmbER SCOTT). Durante una visita a Londra a nonna Wendy (MAGGIE SmITh), la donna che lo ha allevato, Jack e Maggie vengono misteriosamente rapiti. Gli unici indizi lasciati dai rapitori sono un coltello e una pittoresca pergamena firmata “Jas. Hook, Captain”. Wendy decide così di rivelare una sconcertante verità: il Capitan Uncino (DUSTIN HOFFmAN) della celebre fiaba di “Peter Pan” non è un nome di fantasia, si tratta veramente del pirata che dimora sull’Isola Che Non C’è, e il motivo per cui ha rapito i ragazzi è costringere Peter a tornare sull’isola per concludere il loro duello. Banning, che non ricorda assolutamente nulla del proprio passato, rifiuta l’idea di essere proprio lui Peter Pan. Non lo convince nemmeno la venuta di Campanellino (JULIA RObERTS), giunta dall’isola a chiedere il suo aiuto. Per amore di Peter e per salvare Jack e Maggie, alla fata non resta allora altra scelta che immobilizzarlo magicamente e trasportarlo in volo fino alle spiagge di Neverland, l’Isola Che Non C’è. Dopo un brutto risveglio, Banning tenta di intrufolarsi tra i pirati camuffandosi come uno di loro, e con un pizzico di fortuna riesce a individuare Jack e Maggie: le esche perfette per la trappola confezionata dal perfido Capitano. A quel punto l’avvocato esce allo scoperto rivelando la propria identità. Uncino non crede ai suoi occhi: la sua nemesi, il nemico con cui combatte da sempre, si è ridotto a un debole uomo di mezza età. Che fine ha fatto l’eterno ragazzo Peter Pan capace di tenere sulla corda un’intera ciurma di pirati? Deluso e disgustato da quella scoperta, il Capitano sembra sul punto di eliminare tutti e tre i prigionieri gettandoli in pasto ai pescecani, ma Campanellino riesce a risvegliare il suo “appetito” promettendogli di trasformare, in soli tre giorni, quel bolso avvocato nel Peter Pan

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FANTASY Kathleen Kennedy Premi • nomination 5 OSCAR 1992: Best Art Direction-Set Decoration (Norman Garwood, Garrett Lewis); Best Costume Design (Anthony Powell); Best Effects, Visual Effects (Eric Brevig, Harley Jessup, Mark Sullivan, Michael Lantieri); Best Makeup (Christina Smith, Monty Westmore, Greg Cannom); Best Music, Original Song (musica John Williams, testo Leslie Bricusse, per la canzone “When You’re Alone”)

che lui ricordava, e a prepararlo per il duello finale. Così Banning, dopo tanto tempo, si trova nuovamente in mezzo ai Bambini Sperduti che aveva a lungo comandato; in tre giorni di folle e duro lavoro dovrà superare la loro diffidenza, soprattutto quella del loro nuovo capo Rufio (DANTE BASCO), e recuperare lo smalto perso. Contemporaneamente sul Jolly Roger, il vascello di Uncino, il pirata Spugna (BOb HOSkINS) deve tenere a bada la depressione del Capitano nutrendo il suo ego con ogni sorta di sordida malvagità. Un’idea particolarmente perfida restituisce l’entusiasmo a Uncino: utilizzare quei tre giorni per minare la fiducia di Jack e Maggie nei confronti dei genitori, dell’amore che questi ultimi provano per loro, allo scopo di subentrare, lui, come guida, come padre putativo e unica persona veramente degna della loro devozione. Quale sconfitta più cocente di questa potrebbe mai sperare di infliggere al suo acerrimo nemico? Intanto, poco per volta, Peter recupera la memoria. I luoghi, gli odori, i suoni risvegliano in lui la consapevolezza di ciò che un tempo era stato. Nonostante gli sforzi profusi, l’avvocato fatica tuttavia a recuperare la sua antica capacità di volare. Ci riesce solo grazie a Campanellino, che gli ricorda che il segreto per staccarsi da terra è aggrapparsi a un “pensiero felice”. Banning riscopre quello che nella sua vita ha veramente importanza: Jack e Maggie, i suoi figli, sono loro il suo pensiero felice. Diventare padre è stata la sola ragione per cui ha deciso di lasciare Neverland. Aggrappato a questo pensiero, riacquista i suoi poteri. Bangarang! La battaglia ha

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Titolo originale: Hook Produzione: USA, 1991, TriStar Pictures Durata: 144 minuti Regia: Steven Spielberg Opera teatrale di James Matthew Barrie Soggetto: James V. Hart, Nick Castle Sceneggiatura: James V. Hart, Malia Scotch Marmo Fotografia: Dean Cundey Montaggio: Michael Kahn Scenografia: Norman Garwood Costumi: Anthony Powell Musica originale: John Williams Produttori: Frank Marshall, Gerald R. Molen,

inizio. Alla guida dei Bambini Sperduti, Peter Pan si lancia contro la ciurma di Uncino. Ma, mentre lui libera Jack e Maggie dalle grinfie del nemico, Rufio affronta il Capitano e viene ferito a morte. Spinto dalla rabbia e dalla consapevolezza che, finché avrà vita, Uncino non lo lascerà in pace, Peter affronta il rivale in un ultimo duello. Il Capitano, nemico di tutta una vita, viene sconfitto e “ingoiato” dall’enorme coccodrillo – ormai impagliato – che in gioventù gli aveva strappato una mano. La genesi del personaggio coincide con la sua fine: costringendolo a portare la protesi a forma di gancio, era stato lo stesso coccodrillo a trasformare in Uncino – sia “fisicamente”, sia in senso metaforico piegandone l’indole all’odio – un uomo in precedenza chiamato James. Conclusa la battaglia e riportato nel suo mondo, Banning si risveglia ai piedi della statua di Peter Pan nel bel mezzo di Kensington Garden. Ha appena il tempo di salutare Campanellino un’ultima struggente volta, prima di tornare finalmente dalla sua famiglia, con la piena consapevolezza di ciò nella sua vita ha davvero importanza.

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Il film, giudicato con durezza sia dagli esperti del genere che dalla critica, ha raccolto un ottimo consenso di pubblico incassando oltre trecento milioni di dollari in tutto il mondo e diventando uno dei blockbuster di maggior successo tra quelli girati da STEVEN SpIELbERG. Sul versante attori niente di memorabile, né da parte di Dustin Hoffman, né da quella di Robin Williams. La migliore recitazione è di Bob Hoskins, capace di caricare Spugna di una malvagità arguta e al contempo quasi volgare, di cui si perde invece traccia nella maggior parte delle altre trasposizioni cinematografiche. Stridente e delizioso il contrasto voluto dal produttore FRANk MARShALL – che la scelse anche per questo motivo – tra la Julia Roberts apparsa soltanto pochi mesi prima nelle sale cinematografiche nel ruolo di una prostituta avvolta da una succinta minigonna blu (Pretty Woman, 1990) e quella graziosa e minuta che veste i panni di Campanellino. Gli oltre settanta milioni di dollari di budget, in buona parte spesi in set, costumi, scenografie e roboanti effetti speciali, saltano all’occhio, sollevando il sospetto che il regista sia rimasto impigliato in quella rete di gigantismo spettacolare tipica della macchina cinema americana, perdendo parte di quella leggerezza che costituisce un ingrediente tanto essenziale quanto

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insostituibile in un film di questo tipo. Ricorrono ad ogni modo alcuni temi classici di Spielberg: il rapporto con il padre presente (Indiana Jones e l’Ultima Crociata) e quello con la madre lontana (E.T. l’Extraterrestre, I.A. Intelligenza Artificiale). Complessa e intrigante la dialettica tempo-sogno che si incarna (così come nel Peter Pan originale di sir JAmES MATThEW BARRIE) nell’Isola Che Non C’è, dove il divario tra la “crescita” biologica e quella emotiva risalta come sotto una lente d’ingrandimento. Che cos’è Neverland in fondo, se non l’Utopia dell’eterno ritorno? Tommaso Moro, ci insegna che Utopia significa Non Luogo. Neverland non è altro che questo: l’isola dei Non Luogo (di cui il nome inglese sembra quasi una traduzione letterale). Proprio in questo consiste l’intuizione geniale di Spielberg: soltanto la finzione cinematografica è in grado di raccontare un posto come Neverland. “Tutti i bambini crescono, meno uno”: è l’incipit del libro di Barrie. Pensiamo però alle parole con cui l’autore chiude il romanzo, quando una Wendy ventenne vede la figlia Jane volare via dalla finestra al fianco di Peter: “E mentre guardate Wendy potete vedere i suoi capelli diventare bianchi, perché tutto questo accadde molto tempo fa. Ora anche Jane è una donna qualunque, con una figlia che si chiama Margherita: e ogni primavera Peter viene a prendere Margherita per condurla all’Isola che non c’è. Quando Margherita crescerà avrà una figlia; e così via, per sempre, fin che i ragazzi saranno allegri, innocenti e senza cuore”. È questo l’eterno ritorno al Non Luogo, che prosegue una generazione dopo l’altra ma che si interrompe per il singolo individuo con il passaggio dall’infanzia a quell’età adulta che cancella la leggerezza del sogno. Lontani dall’infanzia trascorsa e dai molti pensieri felici che l’hanno popolata siamo tutti dei Peter Pan inchiodati a terra, ma attraverso il ricordo possiamo recuperare la nostra “leggerezza” e riuscire a volare perfino da adulti. Senza la memoria di sé stesso bambino, l’unico pensiero di Banning capace di sollevarlo da terra è quello dei figli, in cui riconoscere il fanciullo che è stato. Senza i ricordi d’infanzia nessun uomo può davvero dirsi adulto; senza la coscienza della propria Storia, nessun popolo può realmente progredire. Questo forse è il tema più caro e propriamente autentico del regista; lo stesso regista che, due anni più tardi, consegnerà Schindler’s List all’Olimpo del cinema, scolpendone per sempre le vicende nella memoria di tutti. n Francesco Viegi

Cinema: Hook - Capitan Uncino


FANTASY Peter Banning/Peter Pan Robin Williams Peter Pan, divenuto adulto, ha perduto memoria del magico bambino che era stato; per poter recuperare il ricordo del proprio passato e salvare i figli rapiti, deve tornare all’Isola Che Non C’è e affrontare un’ultima volta Capitan Uncino.

Moira Banning Caroline Goodall Moglie di Banning, in ansia per il deteriorarsi del rapporto tra i figli e il marito, di cui non sospetta la magica identità. Dopo il rapimento dei bambini, lei rappresenta il punto di contatto emotivo tra il mondo reale e l’Isola Che Non C’è.

Jack Banning Charlie Korsmo Il maggiore dei due figli dell’avvocato; in collera con il padre per le scarse attenzioni che gli dedica, subisce l’innegabile fascino del perfido Capitano, che cercherà di irretirlo.

Capitan Uncino Dustin Hoffman Da lungo tempo privato di un rivale degno di questo nome, il bieco capitano dei pirati rapisce i figli dell’avvocato Banning per costringere Peter Pan a tornare all’Isola Che Non C’è e riprendere il loro eterno duello.

Campanellino Julia Roberts La piccola fata, amica inseparabile di Peter Pan bambino. Riporta Banning all’Isola Che Non C’è, facendosi carico di istruirlo al ruolo dimenticato di leader dei Bambini Sperduti, preparandolo allo scontro finale con Capitan Uncino.

Maggie Banning Amber Scott La piccola di casa Banning; meno vulnerabile ai tentativi di plagio perpetrati da Capitan Uncino, pronuncia sentenze terribili con la serenità e semplicità di cui solo i bambini sono capaci.

Rufio Dante Basco

Spugna Bob Hoskins

Attuale leader dei Bambini Sperduti. Inizialmente esita ad accettare il ritorno di Peter, ma in seguito combatterà al suo fianco fino all’ultimo sacrificio, per liberare i bambini rapiti.

Carambola Raushan Hammond Impacciato e sovrappeso, tra i Bambini Sperduti è uno dei primi a riconoscere in Banning il capo scomparso. A lui Peter consegna la spada del comando, nominandolo suo successore.

Subdolo stratega e conoscitore del carattere di Uncino, dei cui intenti malvagi tesse le trame. Il suo scopo e soddisfare il Capitano traendo i massimi benefici con il minore rischio.

Nonna Wendy Maggie Smith La sola persona a non aver mai dimenticato il passato di Peter. Nel momento del bisogno, è lei a indicare a Banning, la strada per ritrovare la consapevolezza della sua vera identità.

Bambini Sperduti Dimenticati dal mondo e da Peter stesso, aiutano il loro capo a recuperare la memoria, per poi suonare la carica contro Uncino.

Tootles Arthur Malet Il fratello di Wendy. Molti anni prima volò al fianco di lei e di Peter Pan all’Isola Che Non C’è, ma i suoi ricordi di quell’esperienza sono offuscati dai molti anni trascorsi nel mondo reale.

Cinema: Hook - Capitan Uncino

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Cinema

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FANTASY

PETER PAN

(Peter Pan - P.J. Hogan, 2003) di Valentina “Vania” Summa

S

“Vivere può essere una grandiosa avventura”

ono state girate molte versioni della storia del bambino che non voleva diventare grande. La più recente e una delle più curate in quanto a scenografia, fotografia ed effetti speciali è Peter Pan di P.J. HOGAN, uscita nelle nostre sale nel 2004 per la UNIVeRSAL PICTUReS. La trama si ricollega al classico letterario di J.M. BARRIE. La giovane Wendy, giunta alla soglia della tanto temuta adolescenza, incontra Peter Pan, un bambino in grado di volare. Quest’ultimo ha scelto di vivere un’eterna giovinezza in un mondo di favola, l’Isola Che Non C’è, affiancato dalla fatina Trilli e da un gruppo di Bambini Sperduti. Rimasto incantato dalle fiabe narrate dalla ragazzina, Peter la convince ad abbandonare i genitori e la sua paura di crescere per seguirlo sull’Isola insieme ai due fratelli minori. L’Isola non è però tutta rose e fiori: Wendy e i suoi fratellini si ritrovano nel mezzo di una disputa agguerrita tra i Bambini Sperduti e i perfidi Pirati comandati dal subdolo Capitan Uncino, e dovranno aiutare Peter a vincere questa guerra. Il cast, come ovvio, è composto quasi interamente da bambini, rivelatisi all’altezza dei loro colleghi adulti. JEREmY SUmpTER, che interpreta il ruolo di Peter Pan, è stato in grado di conferire al personaggio quel giusto tocco di arroganza infantile e di voluta incoscienza. Al suo fianco c’è la fata Campanellino Trilli, LUDIVINE SAGNIER, compagna e complice delle avventure di Peter nonché possessiva garante della sua spensieratezza. La giovane RAChEL HURD-WOOD, nei panni di Wendy Darling, possiede la corretta dose di dolcezza femminile e la grinta che ci si aspetta da una fanciulla in grado di narrare e vivere cruente storie di pirati. La maggior maturità di Wendy rispetto alla

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Cinema: Peter Pan


FANTASY Musica originale: James Newton Howard Produttore: Lucy Fisher, Patrick McCormick, Douglas Wick Premi • vincitore 1 SATURN AWARD 2004: Best Performance by a Younger Actor (Jeremy Sumpter); • nomination 3 SATURN AWARD 2004 Best Fantasy Film; Best Costumes (Janet Patterson); Best Performance by a Younger Actor (Rachel Hurd-Wood)

sua controparte maschile – inconsapevolmente avviata quest’ultima verso quel “crescere” che tanto teme – è descritta molto bene. I fratellini John (HARRY NEWELL) e Michael (FREDDIE POppLEWELL) sono ospiti “a scrocco” di questo viaggio nella fantasia e se lo godono dall’inizio alla fine, ancora immersi in un’infanzia priva di responsabilità. I Bambini Sperduti chiudono la cornice infantile di questo piccolo gruppo; acerrimi nemici dei pirati di cui contestano cattiveria e maleducazione come se essi stessi fossero esempio di buone maniere, al termine della battaglia abbandoneranno l’avventura per ritrovare il calore dei genitori, di chi veramente possa occuparsi di loro. Gli adulti lasciati a Londra incarnano una famiglia molto normale, quasi noiosa, che certo non invoglia Wendy a uscire dall’infanzia. Il padre (JASON ISAACS, interprete ne Il Patriota, Sweet November e Dragonheart, oltre a recitare la parte di Lucius Malfoy nella saga di “Harry Potter”) è un dipendente di banca privo di carattere, di fantasia e di coraggio; per i figli rappresenta una delusione. La madre (OLIVIA WILLIAmS) è una donna stupenda che suscita ammirazione e affetto, ma ha la debolezza di essere troppo accondiscendente nei confronti del marito. La zia (LYNN REDGRAVE), che tanto vorrebbe preparare Wendy alla sua nuova vita da signorina, è una vecchia zitella, saputella e un po’ intrigante. Questa visione sconfortante dell’età matura trova riflesso sull’Isola, dove gli adulti rappresentano “il nemico” sotto forma dei pirati agli ordini dall’affascinante e crudele Capitan Uncino, impersonato dallo stesso attore che recita la parte di Mister Darling – sorprendente è l’enorme diversità tra i due personaggi e la

Scheda

Titolo originale: Peter Pan Produzione: USA/UK, 2003, UNIVERSAL Pictures Durata: 113 minuti Regia: P.J. Hogan Storia: J.M. Barrie Sceneggiatura: P.J. Hogan, Michael Goldenberg Fotografia: Donald McAlpine Montaggio: Garth Craven, Michael Kahn, Paul Rubell Scenografia: Roger Ford Costumi: Janet Patterson

capacità dell’attore di calarsi in entrambi. Tormentato dalla paura di invecchiare, il Capitano è affetto da una totale mancanza di fantasia, come e più del modesto Mister Darling; ciò lo spinge a cercare sfogo combattendo Peter Pan e commettendo azioni malvagie con zelo quasi maniacale. Spugna (RIChARD BRIERS) e gli altri pirati gli obbediscono senza farsi troppe domande – allo stesso modo dei Bambini Sperduti con Peter Pan –, lieti di mantenersi attivi su un’Isola che con tutta evidenza non è

Cinema: Peter Pan

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Cinema FANTASY

stata creata per loro e su cui rimangono oziosamente alla fonda, all’apparenza inutili anche a sé stessi. Se la “guerra” venisse vinta, quale futuro attenderebbe questa massa di scalcagnati e rognosi uomini di mare che da tempi immemori non fa che battersi contro bambini e fate? Quasi ci si augura che la lotta tra il Capitano e il bambino volante non abbia mai fine, cosicché alla

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ciurma sia evitato di guardare in faccia il proprio devastante vuoto d’intenti. I pirati sono sperduti anch’essi, uomini adulti senza una meta. La sceneggiatura ha ritagliato ampio spazio all’analisi dei rapporti tra i personaggi principali, in particolare sulle linee Peter Pan/Wendy, Capitan Uncino/Peter Pan e, inaspettatamente, Wendy/Capitan Uncino. Tra Wendy e Peter Pan nasce il primo amore e questo ci è noto già dal romanzo. Il film di Hogan, però, mette in luce un sentimento serio e profondo da parte di Wendy ma terrorizzante per Peter Pan, proiettando la “coppia” verso quella maturità che il bambino paventa. Per tema di guardare al futuro anziché solo al fanciullesco presente, Peter soffoca e nasconde a sé stesso l’amore che sente nascere per Wendy. È molto più maturo dei piccoli Bambini Sperduti, ma non vorrebbe esserlo. Peter Pan è un adolescente che si “finge” bambino, e Trilli lo aiuta a reggere la recita. Proprio per questo la fatina gelosa desidera eliminare Wendy dalla scena: sa che la giovane finirà col cambiare Peter, e diventare per lui fonte di pena. Il finale di questa favola sarà triste per forza di cose. Wendy, prima o poi, avrà bisogno accanto a sé di un uomo adulto. La piccola donna che è in lei prova per Capitan Uncino più attrazione che paura, nonostante ne riconosca la cattiveria. Il Capitano rappresenta per lei quella figura “eroica” che il padre non è in grado d’incarnare; e in lui vede anche quella sicurezza e galanteria che Peter non potrà mai darle. La frase con cui riesce a ferire profondamente Peter, dopo aver ricevuto la proposta di diventare ella stessa pirata, è: “Sei solo un bambino”. Il ruolo che il ragazzo ha scelto di interpretare e che doveva renderlo unico viene sminuito e ridicolizzato con poche parole. È scontato che Wendy, alla fine, decida di tornare a casa per vivere una vita normale. I suoi desideri sono già proiettati verso un futuro di cui Peter, nonostante l’affetto che prova per lei, non può e non vuole far parte. Proprio la coscienza delle scelte di vita che separano i due giovani fornirà a Capitan Uncino l’arma con cui colpire al cuore Peter, giungendo a un passo dal vincere il loro eterno scontro. È una lotta generazionale quella tra il ragazzo arrogante e l’uomo malvagio, l’uno lo specchio dell’altro, l’uno lo spauracchio dell’altro. Peter rappresenta quell’infanzia che Capitan Uncino ha rinnegato e seppellito, quei sogni che non

Cinema: Peter Pan


FANTASY

ricorda di aver mai sognato e quella fantasia di cui ha spazzato via anche l’ultimo briciolo. Distruggere Peter significa avere ragione di qualsiasi rimpianto. A sua volta, il Capitano è lo spettro del futuro che Peter sta cercando a tutti i costi di evitare, la forma adulta e cinica che lui disprezza e di cui ha paura. Battere Uncino equivale a rendere davvero eterna la spensierata giovinezza. Lo scontro finale tra i due è una scena di forte impatto emotivo, un alternarsi di luci e ombre in un combattimento aereo tra gli alberi del veliero (Uncino ha scoperto il segreto della polvere di fata in grado di consentire il volo anche a chi non possiede pensieri felici). Se il buio della notte incipiente rappresenta il pirata, la luce rosata di un tramonto triste è ciò che resta della spensieratezza di Peter. Il ragazzo è ormai cambiato. Il timore di perdere Wendy per sempre lo spingerà nella tenebra, privo di quei sogni e di quella gioia necessari a volare. Impotente e sconfitto nell’animo, riuscirà a rialzarsi e a battere Uncino solo ricevendo il Bacio Segreto di Wendy, il primo bacio d’amore che le favole ci hanno insegnato essere un’arma potentissima. La trama, comunque, lascia ampio spazio a scene divertenti e gioiose cui l’Isola fa da mirabile sfondo, come è giusto che sia in una storia in cui i bambini sono protagonisti. L’Isola Che Non C’è è l’incarnazione stessa della fantasia di Peter Pan e annovera tutto ciò che un bambino può desiderare. Il montaggio riesce a fondere in maniera magica

realtà e fantasia. Parti realmente girate vengono integrate da cieli e dettagli “pittorici”, in un mix entusiasmante, ricco fin quasi a traboccare dallo schermo. Le nuvole sono soffici masse che possono splendere di ogni colore; la vegetazione, un tripudio di piante e fiori abbaglianti. Tutto è stupefacente e vivido, pensato per

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Cinema FANTASY

imprimersi nella mente come un sogno a occhi aperti. C’è quasi un horror vacui che serpeggia lungo tutto il film. Una tale sensibilità nei colori e nell’armonia tra riprese e grafica è pari solo a quella ottenuta in pellicole come Al di là dei sogni di VINCENT WARD, tratto dall’omonimo romanzo di RIChARD MAThESON. In quest’Isola, così viva da risultare quasi un personaggio a sé, abitano fate come Campanellino Trilli, tanto fragili che basta non credere nella loro esistenza per ucciderle. L’attrice che interpreta il ruolo della fiabesca amica di Peter è stata filmata in solitario su blue screen e le sue riprese sono state poi montate e adattate alle scene finali, con l’aggiunta di effetti speciali per creare la luce e la polvere iridescente che Trilli lascia come una scia durante il volo. I suoi movimenti sono

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stati resi a scatti, meno morbidi di quelli “naturali”, per dare l’idea di una fervida attività motoria, di velocità superiore a quella umana. Per le Sirene sono state invece scelte attrici dai lineamenti orientali, sottoposte poi a speciali sedute di trucco. Il risultato rende bene l’inquietante e fascinosa bellezza delle creature acquatiche dell’Isola. Gli Indiani costituiscono forse la componente più “realistica”. La Principessa Giglio Tigrato è interpretata da CARSEN GRAY, una ragazzina della tribù Iroquis. I Pirati, grandi protagonisti della storia, sono l’incarnazione di ogni bruttura, fisica e morale, ma sotto sotto sono “bambini” anch’essi. Tra loro si possono trovare il Tatuato, l’uomo con le mani al contrario, l’attendente ubriacone e pavido... Il trucco ha fatto miracoli per rendere gli attori sgradevoli e sporchi, sciatti e rozzi come ci si aspetta da incalliti criminali dei mari. Durante le scene di volo, gli attori sono stati legati a un complicato sistema di cavi e contrappesi che potessero conferire alle movenze la naturalezza necessaria. Stando alle interviste rilasciate da Jeremy Sumpter e Ludivine Sagnier, non si è trattato di un lavoro facile, ma il risultato li ha ripagati degli sforzi. Grazie all’impegno e alla fantasia di coloro che hanno lavorato al progetto, la magia dell’Isola Che Non C’è è stata insomma portata sul grande schermo in tutta la sua luminosa magnificenza. n Valentina Summa

Cinema: Peter Pan


FANTASY Peter Pan Jeremy Sumpter

Capitan Uncino Jason Isaacs

Il ragazzino che sa volare e non vuole diventare grande. Al comando dei Bambini Sperduti, combatte contro i famigerati pirati che infestano l’Isola Che Non C’è, guidati dal bieco Capitan Uncino, suo acerrimo nemico.

Comandante dei Pirati alla fonda sull’Isola Che Non C’è. Combatte i Bambini Sperduti e odia a morte Peter Pan, responsabile di avergli staccato in duello la mano destra; ora al suo posto sfoggia un acuminato e inquietante uncino.

Wendy Darling Rachel Hurd-Wood

Campanellino Ludivine Sagnier

Ragazzina briosa e piena di fantasia, spaventata dall’idea di diventare donna. Incanta Peter Pan con le sue favole e lo segue sull’Isola Che Non C’è per fare da mamma ai Bambini Sperduti. I suoi sentimenti per Peter saranno fonte di guai.

Inseparabile compagna di Peter Pan, è una fatina dal carattere geloso e impulsivo, capace però di grandi slanci di generosità. La polvere delle sue ali permette a chi ne è cosparso di volare. Salverà la vita a Peter in un momento cruciale.

John Darling Harry Newell

Mr Darling Jason Isaacs

Secondogenito dei Darling, diviso tra l’affettata dignità del gentleman e la voglia di avventure di ogni bambino. Appassionato di Indiani, sull’Isola farà colpo sulla principessa Giglio Tigrato.

Padre dei fratelli Darling, impiegato di banca senza fantasia né carattere. Uomo comune abituato ad una vita spenta, è una delusione per i figli, ma dimostrerà loro quanto invece li ami.

Michael Darling Freddie Popplewell

Mrs Darling Olivia Williams

Il più giovane dei Darling, viaggia con la costante compagnia di un orsacchiotto di pezza. Un bambino senza alcun pensiero, a cui piace darsi all’avventura senza remore o responsabilità.

Madre di Wendy, John e Michael. Dolce e riservata, ama il marito e ne apprezza le doti nascoste. Possiede un Bacio Segreto all’angolo della bocca, incantesimo che ha trasmesso alla figlia.

Giglio Tigrato Carsen Gray

Spugna Richard Briers

Principessa degli Indiani che abitano l’Isola Che Non C’è. Ragazzina indipendente e orgogliosa, abituata a combattere i pirati. Dopo una rocambolesca avventura, si innamorerà di John.

Attendente di Uncino, è un pirata ubriacone ma di fine talento diplomatico; riesce a servire il suo capitano restando sempre incolume. Più che di un malvagio, si tratta di un abile opportunista.

Le Sirene Abitanti degli abissi, molto diverse dalla romantica immagine delle favole. I loro occhi ipnotici attirano verso una dolce morte, e solo Peter Pan riesce a governarle. Wendy rischierà di pagare cara la sua ammirazione per queste creature.

Zia Millicent Lynn Redgrave Zitella che sa tutto di tutti e non lesina consigli ai Darling per inserire la nipote nell’alta società. Pur animata da buoni sentimenti, provoca in Wendy il terrore di diventare donna.

Cinema: Peter Pan

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Cosplay

Cosplay

FANTASY

RYUCOSPLAY Pirati di Leonardo Colombi

I

l “cosplay” è una pratica che prevede di indossare in pubblico – normalmente in occasione di manifestazioni e fiere dedicate al fumetto, al fantasy, alla fantascienza – i panni di un personaggio di un film, di un cartone animato, di un videogioco eccetera, realizzandone in casa gli abiti e gli accessori. Qualcosa che ricorda il Carnevale, anche se i vestiti non si rifanno ad alcuna tradizione popolare né a specifici periodi storici. Il fenomeno del cosplay è nato in Giappone ed è particolarmente legato alla passione per i manga e gli anime; il termine deriva dalla fusione delle parole inglesi costume (“costume”) e play (“interpretare/recitare”) che rendono bene l’idea. Un passo all’interno di questo colorato mondo lo compiamo intervistando Laura, in rappresentanza del gruppo RyuCosplay che ha partecipato alla rassegna Lucca Comics & Games di quest’anno impersonando i protagonisti della fortunata serie “I Pirati dei Caraibi”.

B

envenuta, Laura. So che è un po’ scontata come domanda ma direi di partire da qui, ovvero… parlami un po’ di voi: chi siete, quanti siete, di dove siete? Io sono Laura e sono di Parma. Sono studentessa e ho 18 anni, però la maggior parte dei cosplayer si aggira sulla fascia dei 20-35 anni – per quanto ho avuto modo di vedere – e molti lavorano. In realtà dire esattamente quanti siamo è un po’ difficile: quello che si è riunito per la prima volta a Lucca non è un gruppo fisso, anche se dopo quell’evento abbiamo continuato a fare cosplay insieme. Veniamo un po’ da tutta Italia: nel gruppo annoveriamo gente da Parma, Torino, Roma, Milano… Le fiere del fumetto rappresentano per noi un’occasione perfetta per ritrovarci tutti insieme!

C 158

ome e quando siete entrati nel mondo del cosplay? È stato tutto merito di Alessia, mia amica e leader del gruppo dei Pirati che abbia-

Cosplay: RyuCosplay - Pirati


FANTASY

mo portato alla fiera di Lucca: lei faceva cosplay già da qualche anno, io mi sono incuriosita e ho voluto saperne di più. Così ho cominciato con qualche costume e ho preso a partecipare alle fiere del fumetto. Da allora non ho più smesso!

C

ome è nata l’idea di fondare un gruppo di appassionati di cosplay? Un “incidente di percorso” oppure una scelta ben ponderata? Come ho accennato poco fa, diventare cosplayer accade quasi sempre per caso. O almeno così è stato per me. All’inizio ci si avvicina a questo mondo per curiosità, poi si frequentano le fiere dedicate al fumetto e all’animazione, si prova a partecipare in cosplay insieme a qualche amico… e da un giorno all’altro si finisce col far parte di gruppi, anche molto numerosi! Nel nostro caso, la compagnia originaria alla quale noi dei “Pirati dei Caraibi” ci siamo aggregati “quel giorno” a Lucca è quello delle Leaguers, del quale Alessia è leader. È abbastanza frequente che più gruppi si fondano per poter partecipare alle fiere con un numero maggiore e più organizzato di cosplayers.

losie e antipatie che sfociano in invidia per il lavoro altrui; anche nel mondo dei cosplayers, come accade ovunque, ci sono aspetti positivi e altri meno!

A

vete ricevuto riconoscimenti o inviti di qualche sorta a seguito delle vostre partecipazioni a fiere? No, niente del genere per ora. Parlo per me, che mi ritengo ancora una novellina nel mondo del cosplay; so

Q

uali sono i rapporti del vostro con gli altri gruppi di cosplayer? Collaborate amichevolmente? Cospirate segretamente per eliminare la concorrenza? In pubblico fate finta di non tollerarvi mentre invece siete amici per la pelle? Normalmente si tende a cooperare, si ammira il lavoro degli altri cosplayer e all’occorrenza ci si aggrega per portare avanti qualche progetto comune. Questo accade di solito, diciamo. Purtroppo talvolta ci si imbatte in comportamenti poco costruttivi, dettati da ge-

Cosplay: RyuCosplay - Pirati

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Cosplay FANTASY in lui che mi attragga, qualcosa che i permetta di divertirmi imitandolo.

C

ome decidete i temi con cui partecipare alle fiere? Dipende sempre dall’estro del momento. Di solito prima si sceglie quale cosplay interpretare e successivamente si valuta a quale fiera poterlo presentare. Altre volte, invece, può capitare che qualcuno lanci l’idea di un’interpretazione di gruppo e, se la proposta piace, ci si comincia a organizzare per decidere “chi interpreterà chi” e dove e quando esibirci.

A

vete qualche aneddoto che ricordate in modo speciale? Magari qualche situazione imbarazzante o equivoca. Be’, per esempio, quando qualcuna si azzarda a vestire i panni succinti di qualche classica eroina manga particolarmente discinta, è inevitabile attirare i commenti o le attenzioni indesiderate del solito spiritoso di turno!

che ad alcuni qualche volta è capitato di venire chiamati per occasioni particolari, ad esempio per figurare in costume alla presentazione dei libri di Harry Potter o a manifestazioni del genere.

E

qualcuna di divertente? Stare a elencare tutti gli aneddoti divertenti che ho vissuto come cosplayer sarebbe troppo lungo: a una

V

estirsi da eroi dei manga, degli anime o dei film ha per voi un significato particolare? Tutte le volte che scelgo un personaggio per un cosplay lo faccio certamente perché il personaggio in questione ha per me un significato particolare. Può piacermi il suo stile e divertirmi l’idea d’interpretarlo per un giorno, oppure può trattarsi di un personaggio che proprio amo e ammiro.

Q

ual è stato il personaggio che più di tutti ti è piaciuto interpretare? Quale invece quello meno riuscito o di cui mai e poi mai indosseresti i panni? Il cosplay che preferisco è quello di Jack Sparrow, per affinità e amore per il personaggio oltre che per tutti i siparietti divertenti che mi permette di creare all’interno del gruppo. Uno di quelli che ho amato di meno è stato invece Bellatrix Lestrange (della saga di Harry Potter): nonostante l’iniziale interesse, non sono riuscita a calarmi nel personaggio e di conseguenza buona parte del gusto di indossarne il cosplay è sfumata. Per principio, non interpreterei mai un personaggio che non mi comunicasse nulla o che non mi piacesse esteticamente, dev’esserci sempre qualcosa

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Cosplay: RyuCosplay - Pirati


FANTASY

fiera cosplay di solito le giornate sono tutte molto spassose! C’è stata per esempio la volta in cui, trovandomi in costume da Jack Sparrow, due bambini mi chiesero l’autografo. Oppure quando, mentre ero vestita da Peter Pan, una signora mi scambiò per uno gnomo! Altre volte è capitato di andare perfino al cinema in cosplay, e le facce degli ignari passanti incrociati per la strada erano impagabili!

C

osa ne pensano “gli altri” di questa vostra passione? Dipende. Molti ci ritengono dei “depressi rimbambiti senza una vita sociale”; altri capiscono che una cosa semplice come travestirsi può essere molto divertente. Infatti il cosplay pretende solo di essere un bel gioco, piuttosto elaborato magari, ma nulla più. E vissuto in compagnia di tante persone con le quali poter poi stringere legami di vera amicizia.

Q

uanto tempo dedicate alla realizzazione degli abiti che indossate e alla preparazione per calarvi nei personaggi di cui vestite i panni? Anche in questo caso dipende dal personaggio e dalla complessità dell’abito da preparare: molti cosplayer sanno cucire e fabbricarsi da soli accessori

come armi e gioielli, altri si fanno aiutare da sarti o parenti. Io comincio a prepararmi con molto anticipo, cercando i materiali per un costume ben prima di sapere quando lo indosserò. In quanto all’interpretazione, anche questa varia da persona a persona: c’è chi non se ne preoccupa troppo, chi si sente subito affine al proprio personaggio e quindi lo imita senza fatica, e perfino chi si diverte a mettere in pratica il metodo Stanislavskij pur di calarsi perfettamente nella parte!

C

ara Laura, ti ringraziamo per la simpatica chiacchierata. Un’ultima domanda: puoi dare un consiglio a chi vorrebbe iniziare con questo hobby? Innanzi tutto, aspiranti cosplayer, per farvi un’idea vi suggerisco di visitare una fiera del fumetto: ce ne sono in tutte le grandi città: Lucca, Milano, Torino… Se decidete poi di lanciarvi e presentare il vostro primo cosplay, coinvolgete qualche amico o comunque partecipate in gruppo: oltre a essere più divertente, aiuta a rompere il ghiaccio. Durante le fiere, infine, non esitate a chiedere dritte agli altri cosplayer: vedrete che troverete molta disponibilità e avrete modo di instaurare molte amicizie. Fateci sapere com’è andata! n Leonardo Colombi

Cosplay: RyuCosplay - Pirati

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Serie TV

Serie TV

ANIME

CAPITAN HARLOCK (Uchuu Kaizoku Kyaputen Haarokku Rintaro, R. Matsumoto, 1978) di Elena Romanello

N

el 1978 la TOeI ANImATION s’interessò per la prima volta a REIjI MATSUmOTO realizzando una serie animata di 42 episodi tratti dal manga Capitan Harlock (Uchuu Kaizoku Kyaputen Haarokku) allora in corso di pubblicazione. Nonostante, negli anni successivi, Harlock sia poi tornato sullo schermo con altre storie (per lo più dei prequel), la serie del 1978 rappresenta ancora la “vera” storia del pirata dello spazio, quella che ha creato il mito di un eroe romantico e anticonformista, trasposizione del pirata letterario calato nello spazio siderale di un futuro remoto, dove gli oceani cosmici hanno sostituito quelli terrestri. “Tanto tempo fa, nel lontano 2977” − come evoca la voce narrante all’inizio del primo episodio − la popolazione della Terra, pacifica e unificata sotto l’egida del governo giapponese (nemmeno Matsumoto riesce a sottrarsi al nippocentrismo di tanti anime e manga fantascientifici), ha stabilito colonie su tutto il Sistema Solare. La classe dirigente però è ottusa, vive in un limbo di totale disimpegno, e al un buon tenore di vita raggiunto dalla popolazione fa da contraltare un’apatia generalizzata, incoraggiata da messaggi subliminali diffusi tramite la televisione, che inducono una indolente condizione di calma. I contrasti, che pure esistono, vengono taciuti; chi non accetta il nuovo ordine viene emarginato. Una delle rare voci di dissenso è quella di Harlock, un uomo che, non piegandosi al nuovo e distopico ordine costituito, si è messo in viaggio negli spazi con una ciurma di outsider, attaccando le flotte terrestri con la sua astronave pirata Alkadia (Arcadia). Tra i pochi altri che si oppongono alla placida esistenza senza scopi apprezzata sulla Terra c’è il professor Dayu. Assistito nelle sue ricerche dal figlio adolescente Tadashi, lo studioso è convinto che sul mondo incomba la minaccia di una potente

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Anime: Capitan Harlock


ANIME

Regia: Rintaro Progetto: Takeshi Tamiya, Youichi Kominato Soggetto e manga originale: Reiji Matsumoto Sceneggiatura: Haruya Yamazaki, Shozo Uehara Character design: Kazuo Komatsubara Direzione artistica: Takamura Mukuo Direzione animazione: Kazuo Komatsubara, Jiji Kikuchi, Takuo Noda, Masashi Kubota, Moriyasu Taniguchi, Toshio Mori Fondali: Tadao Kubota Fotografia: Takao Sato Montaggio: Yasuhiro Yoshikawa

Effetti speciali: Masayuki Nakajima Fonico: Kenji Ninomiya Effetti sonori: Michihiro Ito Musiche: Seiji Yokoyama Esecuzione musiche: Columbia Symphonic Orchestra Direzione musiche: Hiroshi Kumatani Sigla iniziale: “Capitan Harlock” cantata da Ichiro Mizuki musica di Masaaki Hirao testi di Yasushi Hotomi arrangiamenti di Seiji Yokoyama Sigla finale: “Warera no tabidachi” cantata da Ichiro Mizuki musica di Masaaki Hirao testi di Yasushi Hotomi arrangiamenti di Seiji Yokoyama

Scheda

Titolo originale: “Uchuu Kaizoku Kyaputen Haarokku” 宇宙海賊キャプテンハーロック Anno: 1978 - Episodi: 42 Prima trasmissione: dal 14 marzo 1978 al 13 febbraio 1979

Responsabile di produzione: Masahisa Saeki Produttore: Yoshiyaki Koizumi (TV Asahi) Produzione: TV Asahi, Toei Animation

e ostile forza aliena. Il pericolo si rivela presto reale: si tratta della spietata civiltà del pianeta Mazone, un popolo di donne “vegetali” guidato dalla implacabile regina Raflesia. Quando il professor Dayu tenta di avvertire le autorità del pericolo imminente, la sua voce rimane del tutto ignorata, e nemmeno il suo brutale assassinio a opera delle donne sicario di Mazone scuote la coscienza di chi sta al governo. La stessa sorte di Dayu tocca al suo illustre collega, professor Cuzco, che si era impegnato a proseguire l’opera di sensibilizzazione. Solo Capitan Harlock darà credito alle parole dei due sfortunati scienziati, e anzi prenderà sotto la sua ala protettiva il giovane Tadashi, il quale, a sua volta, sarà fermamente intenzionato a vendicare il padre; insieme, i due inizieranno una lotta cruenta contro la regina Raflesia e le armate mazoniane. A seguirli nell’impresa ci sarà l’apparentemente scalcagnata ma valorosa ciurma dell’Alkadia, tra cui spiccano la vicecomandante Yuki, figlia anche lei di uno scienziato morto in circostanze poco chiare, la misteriosa aliena Met (Mime nell’originale giapponese), l’ingegnere Yattaran, il capomacchinista e timoniere Maji, in cerca della figlia per metà mazoniana, il dottor Zero, medico di bordo, e l’acidula cuoca Masu-San. Ostacolarli in ogni modo sarà invece la missio-

ne del consigliere Kirita, braccio destro dell’inetto Primo Ministro, un militare autoritario e con pochi scrupoli, che al fine di catturare Harlock non esita a servirsi come ostaggio della piccola Mayu, figlia dei migliori amici del pirata: lo scomparso costruttore dell’Alkadia, Tokiro (Tochiro), e la piratessa Esmeralda (Emeralda). I peggiori avversari di Harlock non sono tuttavia né la regina Raflesia − la quale accetterà infine la sconfitta e si ritirerà − né Kirita − che si riscatterà addirittura unendosi al pirata e sacrificando la vita in difesa dell’Alkadia − quanto piuttosto nemici più astratti ma altrettanto pericolosi, come il conformismo, lo stesso che dilagava nella società nipponica degli anni Settanta. In quest’ottica, perfino le spietate Mazoniane, la cui natura disumana ma al tempo stesso fiera e indipendente è perfettamente incarnata nella figura di Raflesia, acquistano agli occhi di Harlock una dignità maggiore di quanta non ne abbiano conservata gli abulici Terrestri. Capitan Harlock incarna quella visione sentimentale dei pirati che non li vede come criminali assetati di sangue, o corsari al servizio di qualche sovrano, ma come spiriti indomiti, espressione di ideali quali il coraggio, l’anticonformismo, l’amicizia, la libertà. La

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Serie TV ANIME vendetta che muove un Emilio di Ventimiglia a diventare il Corsaro Nero non è così presente nelle motivazioni di Harlock, quanto piuttosto il bisogno − oltre che il desiderio − di mantenersi diverso da un’umanità pigra che ha ormai perso il gusto di vivere e il senso dell’avventura. Solo il rapimento di Miyu, ordinato controvoglia dalla regina Raflesia su consiglio di un suo generale, porrà Harlock in preda ai suoi sentimenti, in parte offuscando il suo codice d’onore. La malinconia, il suo amore per la libertà il cui prezzo è la solitudine, rende Harlock molto diverso anche dall’esuberante Jack Sparrow. L’Alkadia, la nave pirata, è un altro chiaro omaggio alle storie dei filibustieri classici, raffigurata come un vascello seicentesco che vola nell’atmosfera e nello spazio in totale disprezzo delle leggi fisiche. Da questa scelta stilistica emerge la passione di Reiji Matsumoto per il modellismo e la storia militare e nautica, impersonata nell’anime da Yattaran, l’esperto tecnico appas-

sionato di modellini. La ciurma è formata da persone che condividono gli ideali di Harlock, gente non adattatasi al nuovo vivere sociale imposto dal governo, e spesso protagonista di drammi personali precedenti che emergeranno nel corso della serie. Tuttavia, diversamente dal loro capitano, al termine della lotta questi raminghi sognatori dello spazio troveranno lo spirito necessario per ricominciare sulla Terra una vita nuova. Nessuna normalizzazione è invece possibile per il Capitano: assolto il suo compito morale di difendere la Terra, ripartirà per i cieli sconfinati in compagnia della sola fedele Met. Le successive serie e film di cui il pirata dello spazio sarà protagonista offriranno avventure nuove ma quasi sempre inferiori all’originale, senza mai riprenderne gli spunti, e a tutt’oggi non si sono visti né s’intravedono in futuro ulteriori – e forse auspicabili – incontri tra Capitan Harlock e Raflesia. n Elena Romanello

Episodi #01. Bandiera pirata nello spazio

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nno 2977: la Terra è divenuta un luogo apatico. I robot hanno sostituito l’uomo nel lavoro; la popolazione, incoraggiata dal governo e mantenuta quieta dalla diffusione via TV di radiazioni subliminali, si dedica a passatempi futili. La stessa classe politica trascura i propri doveri per “impegnarsi” solo nel divertimento. A questo generale clima di indolenza si sottrae il pirata Capitan Harlock che, con la sua ciurma a bordo dell’astronave Alkadia, vaga per il Sistema Solare assalendo e depredando i vascelli terrestri.

#02. Assalto dall’ignoto

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arlock viene incolpato della distruzione di una flotta di vascelli terrestri. Per catturarlo, il consigliere Kirita decide di servirsi della piccola orfana Mayu, figlia del migliore amico del pirata. Nel frattempo il professor Dayu, assistito dal figlio Tadashi, scopre l’esistenza nello spazio di una enorme sfera nera in rotta di collisione con la Terra. Convinto che si tratti di un attacco alieno, lo scienziato tenta invano di allertare l’abulico Primo Ministro. Harlock a sua volta, usando il potenziale di fuoco dell’Alkadia, prova a distruggere l’inquietante oggetto.

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ANIME #03. Una donna che brucia come carta

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a Sfera Nera è precipitata, provocando gravi distruzioni sul luogo dell’impatto. Il professor Dayu e il suo collega Cuzco sono entrambi convinti che l’oggetto sia un enorme “pennant”, una sorta di faro di segnalazione. Una misteriosa donna impedisce però a Dayu di proseguire la sua opera di ricerca, assassinandolo, e solo l’intervento di Harlock evita a Tadashi di fare la stessa fine. Colpita a morte, la donna viene avvolta da fiamme improvvise e s’incenerisce come fosse carta: non si tratta di un essere umano ma di una creatura aliena.

#04. Sotto la bandiera della libertà

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spitato da Harlock a bordo dell’Alkadia, Tadashi non si trova a proprio agio, sconcertato dall’apparente mancanza di disciplina dell’equipaggio. Decide quindi di sbarcare, ma viene arrestato con l’accusa d’essere complice dei pirati. Intanto, il professor Cuzco riesce a decifrare le enigmatiche iscrizioni presenti sul pennant, che confermano la natura aliena del manufatto e lasciano presagire l’incombente minaccia da parte del popolo delle Mazoniane. Ma anche Cuzco, così come Dayu, viene assassinato dai sicari extraterrestri.

#05. Ai confini delle stelle

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ipreso a bordo dell’Alkadia dopo essere stato liberato, Tadashi fatica ad adattarsi ai suoi nuovi compagni, ma durante i primi scontri con le astronavi mazoniane si rende conto che l’equipaggio di Harlock è assai più efficiente di quanto non gli fosse apparso in un primo momento. L’Alkadia prosegue anche la sua “attività” di nave pirata, e in occasione di una scorreria ai danni di un vascello che trasporta giocattoli, Capitan Harlock porta a bordo una bambola, senza immaginare che contiene un’arma predisposta da Kirita.

#06. La regina Raflesia

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all’interrogatorio di una prigioniera e dall’esame dei rottami di una nave nemica, Harlock cerca di acquisire maggiori informazioni sul misterioso nemico mazoniano. L’Alkadia viene messa alla fonda presso l’Isola dei Pirati, un asteroide cavo al cui interno è allestito un enorme ambiente artificiale, con tanto di boschi e laghi. La struttura è però già stata scoperta dalla regina Raflesia, che vi ha inviato una spia e un potente ordigno esplosivo. Ignara di ciò, la ciurma dell’Alkadia sbarca per godersi un meritato periodo di riposo.

#07. La piramide in fondo al mare

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nvestigando sull’origine di strani segnali radio, l’Alkadia s’immerge negli abissi del Triangolo delle Bermuda, sul fondo dei quali scopre una piramide che porta incisi gli stessi geroglifici presenti sul pennant. In una camera, all’interno dell’imponente costruzione, viene trovata una capsula contenente il corpo conservato ma senza vita di una Mazoniana. Ritenendolo un cimitero, Harlock decide di lasciare quel luogo intatto; Tadashi, al contrario, spinto dall’odio verso le Mazoniane, è intenzionato a distruggerlo.

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Serie TV ANIME #08. L’astuta tattica della Regina

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’Alkadia segue un segnale radio emesso dalla piramide sommersa che porta direttamente a una flotta mazoniana stanziata nello spazio. Prima di giungere in vista delle astronavi avversarie, Harlock riesce a catturare la mazoniana Hysterias, pilota in ricognizione, e a farsi confessare il vero scopo del nemico: attirare l’Alkadia presso una zona di spazio percorsa da vortici insidiosi. Dopo aver lasciato libera la prigioniera, e aver affrontato la flotta aliena, Harlock intuisce che lo scontro è un diversivo per tenerlo lontano dalla Terra.

#09. Le terribili piante umane

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l Dottor Zero, impegnato in ricerche sulla biologia mazoniana, informa Harlock che le aliene sono del tutto simili alle piante, e che la loro diffusione sulla Terra sembra concentrarsi nelle aree corrispondenti a siti archeologici. Dopo aver ottenuto ulteriori indizi di questa connessione analizzando un antico vaso conservato in un museo, Harlock dirige l’Alkadia in Sudamerica, per proseguire l’indagine presso i ruderi di un antico osservatorio astronomico maya. In mezzo alla giungla, il Capitano e Tadashi vengono attaccati dalle Mazoniane.

#10. Verso il pianeta segreto

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’ufficiale mazoniana Allergias chiede alla regina Raflesia il permesso di affrontare Harlock e vendicare in tal modo le compagne rimaste vittime dell’attacco pirata in Amazzonia. Tadashi partecipa alla battaglia a bordo di un caccia, ma perde il confronto diretto con la mazoniana Laura. Terminato il combattimento, il ragazzo intrattiene un colloquio con Yuki, durante il quale la vicecomandante lo mette in guardia dal pericoloso fascino esercitato delle mazoniane. Intanto l’Alkadia raggiunge Venere, presunta sede di una base nemica.

#11. Laura dagli occhi scintillanti

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a bellissima Laura viene catturata dall’equipaggio dell’Alkadia e affidata alla sorveglianza di Tadashi. L’aliena possiede però dei particolari poteri ipnotici, con i quali riesce a blandire il ragazzo apparendogli con le sembianze della madre, morta in un incidente spaziale. Dopo aver ottenuto da lui, ormai in suo completo potere, informazioni sull’Alkadia, lo spinge a rubare un velivolo e a farla evadere dall’astronave per poi sbarcarla su Venere. Harlock rimane sconcertato dalle inaspettate capacità mentali del nemico.

#12. Madre, in tua memoria!

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ll’interno di un cratere su Venere, Harlock rinviene reperti antichi di svariati milioni di anni. Subito dopo, l’Alkadia subisce l’attacco da parte di un’astronave mazoniana nascosta sulla superficie del pianeta. Tadashi decide di affrontare il nemico e riparare così al danno provocato dall’aver fornito informazioni a Laura. Nello scontro, si ritroverà di fronte ancora una volta la telepate mazoniana, i cui poteri evocheranno di nuovo nella sua mente l’amata madre. Stavolta, però, il ragazzo riuscirà a resistere al subdolo inganno.

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ANIME #13. Il castello stregato nel mare della morte

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n segnale proveniente dal Mar dei Sargassi induce Harlock a dirigere l’Alkadia sul luogo, dove però i pirati vengono attaccati da una flotta comandata da Kirita. Nello scontro s’intromette una nave da guerra risalente alla Seconda Guerra Mondiale misteriosamente emersa dagli abissi, che attacca entrambi i contendenti. Indagando sull’inspiegabile apparizione, l’Alkadia s’imbatte in una cupola sul fondo del mare, che si rivela essere la dimora di Aman, una strana creatura alleata della regina Raflesia.

#14. La lapide ai piedi della Sfinge

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irita rapisce Mayu e la porta in Egitto, nel luogo dove sorge la Sfinge, con il proposito di attirare Harlock in una trappola. Il pirata si mette al suo inseguimento, ma la traversata del deserto, sotto il sole infuocato, si rivela molto dura sia per il capitano, che rischia di morire di sete, che per il consigliere, punto da uno scorpione. Quando i due avversari si trovano faccia a faccia, Harlock scopre che la trappola predisposta da Kirita è costituita un’antichissima e potente arma mazoniana, nascosta da millenni proprio all’interno della Sfinge.

#15. L’aurora boreale

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’equipaggio dell’Alkadia osserva una strana aurora boreale e il fenomeno desta la preoccupazione di Met. L’aliena ricorda come, nel proprio pianeta, la comparsa di spettacolari aurore fosse stata il preludio alla mutazione delle piante. L’Alkadia atterra al Polo Nord e Harlock sbarca in perlustrazione, accompagnato da Met. Il loro mezzo viene però investito da una tormenta, anch’essa innaturale. Più tardi, Harlock giunge a una sorta di fiabesco castello di ghiaccio, dove viene catturato da una mazoniana d’aspetto molto insolito.

#16. La canzone del commiato

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ntenzionata a portare a compimento il lavoro del padre, scienziato prematuramente scomparso, Yuki sbarca dall’Alkadia. In visita alla tomba dei genitori, incontra in modo apparentemente casuale il suo ex fidanzato, Kasuya, il quale si dimostra ben disposto ad aiutarla nel suo proposito. In realtà Kasuya agisce al soldo delle Mazoniane: con la scusa di sottoporla a esperimenti scientifici, mira a estorcere alla ragazza preziose informazioni sull’Alkadia e sul suo equipaggio. Harlock interviene mettendo Yuki in guardia.

#17. Lo scheletro dei falchi spaziali

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a visita di Mayu sull’Alkadia rievoca tristi ricordi nel timoniere Maji, proprio nel momento in cui viene recuperata nello spazio una bottiglia contenente una richiesta di soccorso inviata dal suo ex comandante, Yamanaka. In passato, Maji era stato sposato con una spia Mazoniana dalla quale aveva avuto una figlia, Midori. A sua insaputa, era stato usato come copertura dalla donna, fino a quando proprio Yamanaka non l’aveva smascherata e uccisa. In seguito a quell’episodio, Maji era entrato a far parte dell’equipaggio dell’Alkadia.

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Serie TV ANIME #18. Le guerriere ombra

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bordo dell’Alkadia appare, sotto forma di proiezione olografica, una Mazoniana che Maji riconosce come sua figlia Midori, rapita anni addietro. Non esita allora a inseguirla, fino a giungere presso un pianeta popolato da piante, dove scopre che l’aliena, di nome Patrus, è effettivamente la piccola bambina figlia della spia Aki, ma che in lei non c’è alcuna traccia di amore filiale nei confronti del padre. La Mazoniana dimostra anzi che non può esserci traccia di sangue umano nelle sue vene, e che la paternità di Maji è frutto di un inganno.

# 19. Il tranello della regina Raflesia

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entre l’Alkadia prosegue il suo viaggio verso la nebulosa Collo di Cavallo, il comandante Akias tenta, per mezzo di un rilevatore telepatico, di scoprire l’identità del fantomatico “42°” membro dell’equipaggio, colui che ha salvato la nave più di una volta nelle occasioni in cui il resto della ciurma pareva invece in balìa delle Mazoniane. Il tentativo tuttavia non produce risultati. Le forze della regina sferrano allora, per mezzo di una cometa, un attacco contro Ombra di Morte, l’asteroide cavo che costituisce la base mobile dell’Alkadia.

#20. Yura, la stella disabitata

A

cconsentendo a una richiesta fattale da Met, Harlock conduce l’Alkadia su Yura, il pianeta dove l’aliena aveva abitato fino a quando, come conseguenza di una violenta guerra nucleare, le piante avevano subito mutazioni tali da renderle carnivore e quindi letali per i sopravvissuti. Appena sbarcata, Met si stupisce di ritrovare il suo mondo ricoperto da fiori innocui. Ben presto scopre però una sconcertante verità: la mutazione delle piante di Yura era stata deliberatamente indotta dalle Mazoniane, che ancora presidiano il pianeta.

#21. Goram!

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’Alkadia deve vedersela con un nuovo avversario, il capitano Zoru del pianeta Tobaga, obbligato a combattere per le Mazoniane dopo che queste hanno conquistato il suo mondo tenendone in ostaggio la popolazione. Nel confronto con Harlock, Zoru ha la peggio: viene ferito e catturato. Harlock, tuttavia, consapevole di trovarsi di fronte un guerriero leale e coraggioso, lo libera offrendogli la propria amicizia. Zoru decide allora di ribellarsi alle spietate conquistatrici venute da Mazone.

# 22. Il sepolcro dello spazio

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a regina Raflesia ordina il lancio di un secondo pennant contro Marte, al fine di attirarvi l’Alkadia. Harlock, invece, traccia la rotta di provenienza della sfera, e la “risale” in direzione della sua origine. Nel corso del viaggio, la nave rimane però intrappolata dall’enorme attrazione gravitazionale esercitata da un misterioso pianeta. La situazione appare senza via d’uscita, e le forze di Raflesia cercano di approfittarne lanciando un ennesimo attacco. Ma, improvvisamente, l’Alkadia prende a muoversi da sola...

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ANIME #23. Yattaran modellista poeta

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el corso di una battaglia contro la flotta mazoniana, Yattaran, lanciatosi all’inseguimento di un caccia nemico, viene preso prigioniero. Per far in modo che il provetto ingegnere, inconsapevolmente, riveli preziosi dettagli tecnici riguardanti l’astronave dei pirati, la Mazoniana Elza, fingendosi come lui appassionata di modellismo, lo sfida a una gara. L’ingenuo Yattaran, non sospettando l’inganno, si mette subito all’opera per assemblare un modellino in scala dell’Alkadia, identico in tutto e per tutto all’originale.

#24. Stella cadente

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’Alkadia cattura una piccola nave mazoniana, con a bordo due giovani innamorati. Si tratta del figlio di Zoru, Zolba, che ha disertato l’esercito di Raflesia, e di Rucha, una infermiera Mazoniana che ha voluto scappare con lui per amore. Raflesia ha dato ordine tassativo di riprenderli e, a tal fine, il comandante incaricato non esita a usare come ostaggio la madre di Zolba, e successivamente ad attaccare l’Alkadia. Per evitare che l’astronave di Harlock subisca perdite a causa loro, i due ribelli decidono di consegnarsi.

#25. La figlia del dottor Zero

I

l dottor Zero, stanco di restare nelle retrovie a curare feriti, si presenta sul ponte di comando dell’Alkadia in corazza da samurai, armato di tutto punto, chiedendo di poter partecipare al prossimo scontro con le Mazoniane. A questo scopo, affida la sua Myu, la gatta che ama come fosse una figlia, alle cure della cuoca Masu-San. Quando però arriva il momento della battaglia, Myu riesce in qualche modo a intrufolarsi nell’abitacolo del caccia pilotato da Zero, e sarà proprio grazie alla gatta che il dottore riuscirà a scampare a un agguato.

#26. Lungo viaggio verso la patria

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ravi dissidi interni stanno rischiando di minare l’unità delle forze di Raflesia: i civili, capeggiati dalla scienziata Tessius, prediletta consigliera della regina, cominciano a manifestare delle riserve in merito all’opportunità di proseguire l’esodo verso la Terra. La maggioranza dei militari è invece di parere esattamente opposto. Il comandante Katandra, addirittura, dimostra sul campo di battaglia di non avere scrupoli neppure quando si tratta di utilizzare le navi civili come scudo a protezione dei vascelli da guerra.

#27. La decisione dell’Alkadia

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aflesia scopre che il punto debole di Harlock è rappresentato da Mayu. Inizialmente è restia a servirsi di una bambina nei suoi giochi di guerra; ma, quando la situazione interna alla sua flotta rischia di precipitare, con i militari che, disobbedendo ai suoi ordini, non esitano a sacrificare i vascelli civili nei ripetuti attacchi all’Alkadia, decide di accogliere il suggerimento del generale Cleo e far rapire la piccola. Harlock si trova così di fronte a una difficile scelta: chiudere i conti con la flotta nemica ora in difficoltà, o correre in aiuto di Mayu?

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Serie TV ANIME #28. La nebulosa Ulisse

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aggiunta la nebulosa Ulisse per salvare Mayu, l’Alkadia inizia la ricerca della bambina dal pianeta Umano, un mondo incontaminato che è divenuto la casa di un piccolo gruppo di esuli terrestri, guidati da dottor Hane, vecchia conoscenza di Harlock. I pirati vengono accolti con cordialità, ma anche in questo Paradiso i pericoli non tardano a manifestarsi, sotto forma di una potente forza magnetica che imprigiona l’Alkadia e blocca le comunicazioni radio. Oltre a ciò, sul pianeta iniziano a verificarsi disastrosi fenomeni di maremoto.

#29. Scontro sul pianeta Arcobaleno

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nseguendo alcune navi mazoniane, con lo scopo di farsi catturare per scoprire dove viene tenuta prigioniera Mayu, Tadashi finisce per precipitare col suo caccia sul pianeta Arcobaleno. Qui viene soccorso da un gruppo di sedicenti civili mazoniane, le quali, sostenendo di aver bisogno di protezione contro Raflesia, chiedono di poter incontrare Harlock. Le Mazoniane sembrano sincere, e l’amicizia venutasi a creare con una bambina di nome Gorikan convince Tadashi della loro buona fede, nonostante la sua diffidenza iniziale.

#30. Amico mio, mia giovinezza

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a sosta presso l’Isola dei Pirati per le riparazioni dell’astronave dopo l’ultima battaglia, e il ritrovamento di un paio di occhiali appartenuti a Tokiro, sono l’occasione giusta per rievocare la figura del geniale costruttore dell’Alkadia. Harlock narra del suo primo incontro con l’amico e con Esmeralda, la donna pirata presentatasi a loro con l’intento di assoldarli per assaltare una miniera, e che poi finì per sposare Tokiro e dare alla luce la piccola Mayu. Tutto cominciò con una rissa in un saloon di frontiera...

#31. La costruzione segreta dell’Alkadia

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arlock prosegue il racconto delle imprese di Tokiro ed Esmeralda. Tokiro era divenuto leader di un gruppo di coloni stanziati sul pianeta Holg Melder, sotto la protezione dei pirati di Esmeralda. Il pianeta era però condannato a finire distrutto nella collisione con la stella Ganda, e solo lo straordinario genio ingegneristico di Tokiro era in grado di sottrarlo alla terribile sorte. Era tuttavia necessario l’uso del Plenium 3006, un minerale che Harlock si era incaricato di cercare sul pianeta Ghiaccio. Il tempo però stringeva...

#32. Musica dal pianeta Vento

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entre l’Alkadia è distante, ancora impegnata nella ricerca di Mayu presso la nebulosa Ulisse, le prime astronavi mazoniane raggiungono la Terra dando inizio agli attacchi. Nonostante l’equipaggio sia del parere di tornare indietro per combattere, l’Alkadia, guidata dal suono dell’ocarina di Mayu, punta autonomamente verso il pianeta Vento, dove però le Mazoniane hanno predisposto una trappola minata. La stessa figura di Mayu, che Harlock crede di vedere sul pianeta, è in realtà un robot costruito per ingannare i pirati.

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ANIME #33. Anche un solo cuore gentile

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on l’Alkadia assente, le forze mazoniane hanno buon gioco nell’attaccare indisturbate la Terra; l’unica persona ad avere acquisito consapevolezza della minaccia e a provare ad agire di conseguenza è il consigliere Kirita, ma i suoi tentativi di allertare il Primo Ministro cadono nel vuoto. Il militare trova aiuto solo nell’ex Ministro della Difesa, Otawara, rimosso a suo tempo dalla carica dopo essere stato accusato dell’omicidio della moglie. Quando il politico si era difeso affermando che la moglie era un’aliena, nessuno gli aveva creduto.

#34. La ninna nanna della galassia

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roseguendo nella ricerca di Mayu, l’Alkadia si pone suo malgrado nella condizione migliore per cadere nelle trappole tese dalla regina Raflesia. Una di queste è costituita da due Pianeti Gemelli, posta in mezzo ai quali l’astronave pirata si ritrova impossibilitata a manovrare e soggetta a un pesante attacco nemico. Harlock, tuttavia, non demorde, e con un’azione ardita riesce a individuare il luogo dove Mayu viene tenuta prigioniera, e a liberarla. La piccola, però, versa in un grave stato catatonico.

#35. L’essere misterioso

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’ambigua Namino Shizuka, segretaria personale del Primo Ministro, dopo essersi dimostrata sensibile agli avvertimenti di Kirita riguardo le Mazoniane, inaspettatamente tradisce il consigliere, fabbricando false prove di una sua connivenza con gli alieni e facendolo in tal modo arrestare. Kirita viene condannato a morte, ma è la stessa Namino a farlo evadere. Il suo scopo è carpire la fiducia del consigliere, nella convinzione che solo attraverso il suo aiuto sia possibile salire a bordo dell’Alkadia.

#36. Il computer vivente

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l comportamento di Namino a bordo dell’Alkadia desta i sospetti di Met, ma Harlock è ugualmente intenzionato a tenerla a bordo per mantenere la parola data al consigliere Kirita. Namino è effettivamente una spia infiltrata da Raflesia nelle fila dei suoi avversari per raccogliere ogni genere d’informazione possibile; in particolare, alla regina interessa sapere come ragiona Harlock, quali sono i suoi pensieri. Per adempiere al meglio alla propria missione, Namino cerca di sedurre il Capitano.

#37. L’astuccio vuoto

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n seguito ai suoi atti di sabotaggio, Namino viene a sua insaputa scoperta, e Harlock decide di porne sotto sorveglianza le mosse. Quando anche Raflesia comprende che la copertura del suo agente è ormai bruciata, Namino si ritrova abbandonata dalle Mazoniane ad affrontare sull’Alkadia le conseguenze del suo tradimento. Senza avere ormai più nulla da perdere, la spia smascherata fa irruzione nel ponte di comando, pistola in pugno, ma viene immediatamente neutralizzata dal personale in servizio.

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Serie TV ANIME #38. L’invisibile padre di Mayu

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pprofittando del rallentamento delle navi mazoniane, dipeso da perturbazioni spaziali di origine magnetica, l’Alkadia riesce a rientrare sulla Terra prima della flotta di Raflesia. Il problema è ora trovare un luogo sicuro per Mayu, poiché, con le Mazoniane alle porte, nemmeno la protezione del consigliere Kirita può essere più in grado di garantire l’incolumità della piccola. Harlock decide inoltre di rivelare alla bambina che l’anima di suo padre Tokiro è racchiusa nell’enorme computer che controlla l’Alkadia.

#39. Morte di Kirita

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arlock accoglie a bordo dell’Alkadia l’ex grande nemico Kirita, per consentirgli di partecipare alle successive battaglie contro la flotta di Mazone. L’occasione del pieno riscatto si presenta quanto l’Alkadia, nel corso di un massiccio attacco, subisce l’abbordaggio da parte di una schiera di agguerrite Mazoniane. La situazione è critica, molti membri dell’equipaggio perdono la vita, ma la strenua resistenza opposta dai pirati ha infine ragione sugli incursori, anche grazie all’eroico Kirita che si pone in difesa della sala computer.

#40. La nave del miraggio

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opo aver subito uno attacco nel quale le Mazoniane hanno spregevolmente usato come esca una delle loro navi ospedale, l’Alkadia si getta sul nemico pronta a ingaggiare battaglia, ma Harlock sospende l’azione quando si rende conto che il nemico intende usare una nave civile come scudo. A bordo del vascello ci sono profughi del pianeta Tobaga, tra i quali una donna che, essendo sul punto di partorire, viene immediatamente portata sull’Alkadia. Le altre navi civili si schierano allora a protezione del vascello di Harlock.

#41. Raflesia e Harlock: incontro ravvicinato

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l momento della resa dei conti con Raflesia pare finalmente arrivato: l’Alkadia si trova ormai faccia a faccia con la titanica astronave ammiraglia della flotta mazoniana, che accoglie al suo interno la regina. Mentre fuori la battaglia infuria, Harlock e i suoi uomini si lanciano all’abbordaggio, riuscendo a penetrare nel vascello nemico e a sparpagliarsi al suo interno. Yuki e Tadashi saranno impegnati contro le Mazoniane, il Capitano dovrà invece vedersela in duello con Raflesia in persona.

#42. Addio, pirata dello spazio!

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opo avere costretto Raflesia a ritirarsi, l’Alkadia fa ritorno sulla Terra, dove l’equipaggio si aspetta un’accoglienza con ogni onore. Il Primo Ministro, forte del fatto che ormai ogni pericolo appare scampato, e certo di non avere più bisogno della protezione dei pirati, impone a Harlock e alla sua ciurma di lasciare il pianeta, senza sospettare che il pennant sia ancora attivo. Quando l’oggetto inizia a “risvegliare” le Mazoniane presenti sulla Terra, l’ottuso individuo è costretto a supplicare nuovamente l’intervento del Capitano.

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ANIME Capitan Harlock

Tadashi Dayu (Tadashi Daiba)

Fuorilegge dallo spirito indomabile, che ha scelto la vita del pirata pur di non sottomettersi all’apatico ordine sociale imposto sulla Terra.

Figlio del professor Dayu. Decide di entrare nell’equipaggio dell’Alkadia dopo l’assassinio del padre, avvenuto per mano mazoniana.

Met (Mime)

Yuki Kei

Misteriosa aliena che si nutre di alcool ed è in grado di irradiare energia. Unica superstite del pianeta Yura, è stata salvata da Harlock.

Affascinante primo ufficiale dell’Alkadia, figlia di uno scienziato morto misteriosamente. Valida combattente e leale braccio destro di Harlock.

Consigliere Kirita (Kiruda) Militare consigliere del Primo Ministro e acerrimo nemico di Harlock. Alla fine si ricrederà sul conto del pirata e si unirà a lui contro Raflesia.

Mayu Oyama Figlia di Tokiro ed Esmeralda, i migliori amici di Harlock. Occupa un posto privilegiato nel cuore del pirata, che per lei rischia spesso la vita.

Yattaran

Maji

Formidabile ingegnere della ciurma di Harlock, impiegato spesso anche come timoniere. è un inguaribile appassionato di modellismo.

Macchinista e primo timoniere dell’Alkadia. Un soldato valoroso che in passato, agli ordini di Yamanaka, era stato avversario di Harlock.

Dottor Zero

Masu-San

Medico di bordo dell’Alkadia; è lui a scoprire la natura vegetale delle Mazoniane. Possiede una gatta di nome Myu, che adora come una figlia. Tokiro (Tochiro) Oyama L’amico defunto di Harlock. è il padre di Mayu, e il geniale ingegnere costruttore dell’Alkadia, il cui computer centrale ne racchiude l’anima.

Brontolona cuciniera dell’Alkadia, figlia di un pescatore. In gioventù ebbe una relazione con Otawara, poi divenuto Ministro della Difesa. Esmeralda (Emeralda) Bella piratessa, vecchia compagna di battaglie di Harlock e Tokiro. Diventata poi moglie di quest’ultimo, dal loro amore nascerà Mayu.

Regina Raflesia

Cleo

Sovrana assoluta del popolo di Mazone, lo guida con pugno di ferro in un esodo biblico verso la Terra, da esso considerato una seconda casa.

Braccio destro della regina Raflesia, comandante della Guardia Imperiale. Sul finire della guerra sarà lei a guidare gli attacchi all’Alkadia.

Professor Dayu (Daiba) Astrologo padre di Tadashi. è il primo a rendersi conto dell’imminente invasione aliena, e per questo viene assassinato dalle Mazoniane.

Professor Cuzco Altro astrologo di fama mondiale, amico del professor Dayu. Anch’egli tenta di avvisare le autorità del pericolo alieno, finendo assassinato.

Direttrice dell’orfanotrofio Dovrebbe proteggere i bambini posti sotto la sua tutela, invece concede tranquillamente a Kirita di usare più volte Mayu per i suoi scopi.

Primo Ministro Inetto e ottuso capo del Governo. Spende il suo tempo a giocare a golf, disinteressandosi totalmente della minaccia mazoniana.

Anime: Capitan Harlock

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Serie TV ANIME Namino Shizuka

Istitutrice

Spia mazoniana che riesce a infiltrarsi a bordo dell’Alkadia con lo scopo di acquisire informazioni sui pirati e sabotare l’astronave.

Subdola Mazoniana inviata sulla Terra sotto copertura. Lavora come istitutrice nell’orfanotrofio dove risiede la piccola Mayu Oyama.

Hashi

Nurene (Nurem)

Egiziano che allevò il consigliere Kirita. Quando le Mazoniane giungeranno sulla Terra, Harlock affiderà a lui la custodia di Mayu.

Comandante mazoniana catturata da Harlock nell’episodio 5. Si suicida facendosi esplodere, pur di non rivelare informazioni al nemico.

Hysterias

Allergias

Ufficiale mazoniana a cui Harlock, dopo averla catturata, concede la libertà. Tadashi, di propria iniziativa, insegue il suo caccia per abbatterlo.

Comandante mazoniana, chiede di poter affrontare Harlock per vendicare le compagne cadute in battaglia. è la diretta superiore di Laura.

Laura

Aman

A capo di un’unità speciale mazoniana, è dotata di impressionanti poteri telepatici, con i quali porrà Tadashi sotto controllo ipnotico.

La Sovrana del Mare, creatura aliena alleata di Raflesia, anch’essa dotata di poteri ipnotici. Dimora all’interno di una cupola sottomarina.

Snowla

Kasuya

Misteriosa Mazoniana che dimora in un fiabesco castello di ghiaccio. Riesce a catturare Harlock ma, innamoratasene, non riesce a ucciderlo.

Ex fidanzato di Yuki, al soldo della regina Raflesia. Fu lui a uccidere il padre di Yuki simulando un incidente, per appropriarsi del suo lavoro.

Saki

Midori/Patrus

Bambina mazoniana che Kasuya fa passare per sua sorella. In realtà è un agente di Raflesia incaricato di estorcere informazioni a Yuki.

Presunta figlia di Maji e di Aki. In realtà le Mazoniane non possono generare figli con gli umani.

Aki

Toshiro Yamanaka

Spia Mazoniana che s’infiltra tra i Terrestri sposando Maji e fingendo di dargli una figlia. Perirà nel tentativo di uccidere Yamanaka.

Comandante dei Falchi Spaziali. Fu lui a smascherare e uccidere la spia mazoniana Aki, che aveva sposato Maji come copertura.

Akias

Georgebell (Jozibel)

Comandante mazoniana incaricata di scoprire attraverso un rilevatore telepatico l’identità del fantomatico “42°” membro dell’Alkadia.

Mazoniana che, inviata sotto copertura sul pianeta Yura a fomentare la guerra, aveva assunto il nome di Fure, divenendo grande amica di Met.

Zoru

Elza e comandante

Valoroso guerriero del pianeta Tobaga. Costretto dalle Mazoniane, in un primo momento attacca Harlock, ma poi ne diventa amico e alleato.

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Mazoniane che catturano Yattaran nell’episodio 23, cercando poi di estorcergli notizie sull’Alkadia.

Anime: Capitan Harlock


ANIME Rucha

Zolba

Un’infermiera mazoniana, di stanza su una nave ospedale. Innamoratasi di Zolba, sceglie di fuggire insieme a lui dagli orrori della guerra.

Figlio di Zoru, anch’egli come il padre è un soldato di Tobaga. è ricercato dalle truppe Mazoniane, dopo aver disertato insieme a Rucha.

Comandante mazoniana Spietata comandante incaricata su ordine di Raflesia della ricerca dei disertori Rucha e Zolba. Torturerà fino alla morte la moglie di Zoru.

Moglie di Zoru è la madre di Zolba, una deportata del pianeta Tobaga. Le Mazoniane la usano come ostaggio per indurre Zolba e Rucha a consegnarsi.

Katandra

Tessius

Una delle più influenti comandanti di Raflesia. Spietata sia col nemico che con i civili mazoniani, non è mai stata sconfitta in battaglia.

Scienziata civile, braccio sinistro di Raflesia. Nonostante la sua predilezione per lei, la regina la condannerà a morte per tradimento.

Dottor Hane

Miyu

Vecchio amico di Harlock, è il capo del gruppo di Terrestri venuti ad abitare sull’incontaminato e accogliente pianeta Umano. Bina e Ikaru

Spia mazoniana infiltrata tra i coloni del pianeta Umano. Costringerà Hane a usare contro Harlock il macchinario per produrre cataclismi. Civile mazoniana e Gorikan

Gli unici superstiti dei maremoti che annientano la colonia terrestre sul pianeta Umano. Dick

Civili del pianeta Arcobaleno. Ingannano Tadashi per indurlo ad attirare Harlock in una trappola. Coloni di Holg Melder

Cowboy sbruffone. Attacca briga con Tokiro dopo aver perso una mano di poker contro Esmeralda, ma Harlock lo rimetterà al suo posto.

Gente senza speranze rifugiatasi sul pianeta Holg Melder sotto la protezione di Esmeralda. Tokiro restituisce loro la fiducia nel domani.

Dines

Kozo Otawara

Ufficiale mazoniano sotto il comando di Cleo. Congegna la trappola minata che dovrebbe distruggere l’Alkadia sul pianeta Vento.

Ex Ministro della Difesa, destituito perché colpevole dell’omicidio della moglie, la quale era invece un’infiltrata mazoniana.

Comandanti gemelle Le comandanti delle stazioni allestite sui Pianeti Gemelli, dalle quali riescono a produrre forze gravitazionali capaci di bloccare l’Alkadia.

Civili di Toga Sacrificabili secondo Raflesia e i militari, i civili vengono aiutati da Harlock nonostante siano nemici.

Tori-San e Myu

Militari Terrestri

Le mascotte dell’Alkadia: l’uccellaccio nero compagno di Harlock e l’amata gatta del dottor Zero.

I subordinati del consigliere Kirita, pavidi e apatici come la maggior parte dei Terrestri.

Anime: Capitan Harlock

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Cinema

Cinema

ANIME

L’ARCADIA DELLA MIA GIOVINEZZA

(Waga Seishun no Arukadeia - T. Katsumata, R. Matsumoto, 1982) di Antonio Tripodi

I

n un passato remoto, l’epoca degli intrepidi pionieri del volo, un pilota tenta in solitaria un’impresa tra le più ardue: la trasvolata di una montagna considerata invalicabile, tanto da essere soprannominata “la Strega Nera”. L’uomo sottopone sé stesso e il suo apparecchio a una sfida impari, in condizioni proibitive, avendo da opporre al destino beffardo nient’altro che la forza di volontà, gettandosi infine verso l’ignoto con un ultimo slancio. Phantom Harlock scompare nel cielo lasciando un diario e un nome: “Arcadia”. Così comincia la saga del pirata più famoso dei disegni animati, commemorando con brevi ed efficaci tratti l’eroica vicenda di un suo antenato: una storia che, pur lontanissima dal nostro tempo e distante interi “anni luce” dall’ipotetico futuro abitato da Capitan Harlock e dai suoi compagni, diviene un riferimento ideale, una pietra di fondazione e di paragone, una sintesi istantanea dei nuclei tematici che comporranno le successive due ore di animazione. La sfida che i protagonisti affronteranno sarà la stessa lanciata dall’aviatore alla montagna inviolata: trasformare una sconfitta in vittoria. Trama Phantom Harlock II, figlio dell’aviatore scomparso, combatte nella Seconda Guerra Mondiale come pilota da caccia dell’aeronautica tedesca. Costretto a un atterraggio di fortuna, si imbatte in Toshiro, un tecnico giapponese in fuga dalla guerra. Tra i due nasce l’amicizia spontanea, e il pilota si offre di aiutare il piccolo meccanico trasportandolo oltre il confine svizzero. Una volta condotto in salvo Toshiro, Harlock

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Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza


ANIME

Scheda

Titolo originale: “Waga Seishun no Arukadeia” わが青春のアルカディア Anno: 1982 (28 luglio) Durata: 130 minuti Regia: Tomoharu Katsumata Progetto: Ken Ariga, Yoshio Takami Soggetto, ideazione e adattamento: Reiji Matsumoto Sceneggiatura: Yoichi Onaka Mechanical design: Katsumi Itabashi Assistenti regia: Hiroyuki Ebata, Takao Yoshizawa Direzione artistica: Iwamitsu Ito, Kazuo Ebisawa (assistente) Direzione animazione: Kazuo Komatsubara, Mitsuru Aoyama (assistente) Animazione mecha: Koichi Tsunoda Disegni base: Akihiro Ogawa, Atsuko Ueno, Hideko Okimoto, Hiromi Iida, Hisaki Yaji, Kazuo Takada, Keichiro Hattori, Keiko Matsumura, Kenji Yokoyama, Kiyomi Miyagawa, Joji Yanagise, Ichiro Hattori, Isamu Tanaka, Noriko Ito, Noriko Takahashi, Osamu Nabejima, Shigenobu Nagasaki, Shin’ya Takahashi, Tadao Fukuda, Takashi Abe, Takayuki Sekiguchi, Takuo Noda, Tomoko, Suzuki, Toshio Mori, Yaoi Suzuki, Yoshiko

Kato, Yoshimi Imakawa, Yoshinori Kanada Controllo intercalazioni: Masumi Kameda, Yasuomi Umetsu Xerografie: Akio Hayashi, Tsutomu Tominaga Colori: Kiyomi Fujihashi, Mitsuko Goto Effetti speciali: Chiaki Hirao, Yoshiaki Okada Fondali: Yuji Ikeda, Etsuko Ikeda, Tadao Doi, Yoko Ichino, Yoshinari Kanehako Direzione della fotografia: Masaki Machida, Toshiharu Takei (assistente) Montaggio: Yutaka Chigura Musiche: Toshiyuki Kimori Direzione musiche: Hiroshi Kumagaya Esecuzione musiche: Shinsei Japan Philharmonic Orchestra Canzoni: “Taiyo wa Shinanai” (Il sole non morirà) “Aozora no last Song” (L’ultima canzone per un cielo azzurro) cantate da Maria Asahina “Waga Seishun no Arukadeia” (L’Arcadia della mia giovinezza) cantata da Teppei Shibuya musiche di Masaaki Irao testi di Keisuke Yamakawa arrangiamenti di Tatsumi Yano Responsabile di produzione: Yoshihiro Seki Supervisione produzione: Chiaki Imada Produzione: Toei Animation, Tokyu Agency

II decide di continuare a combattere nonostante il conflitto volga all’ormai inevitabile sconfitta tedesca. Prima di affrontare con coraggio il suo destino, consegna nelle mani dell’amico il suo fedele mirino C12-D, assieme alla promessa che un giorno si incontreranno di nuovo… Interi secoli sono passati, e l’ultimo discendente degli Harlock è capitano di un vascello spaziale della Federazione Solare, di ritorno sulla Terra occupata dagli Umanoidi dopo una guerra perduta. Sul pianeta devastato, alcuni Terrestri non si piegano alla dominazione, e la loro speranza è tenuta viva dalle trasmissioni radiofoniche clandestine di Maya, la donna di cui Harlock è innamorato e che egli tenta di rintracciare. All’atterraggio, l’ex capitano viene prelevato da Zoll e dal gruppo dei miliziani del pianeta Tokarga, i quali servono di malumore il governo Umanoide; in seguito fa la conoscenza di Toshiro, un ingegnere reduce di guerra che vive come un mendicante: l’ami-

cizia tra i due viene rinsaldata dalla scoperta, tratta dalla loro comune memoria biologica, del sodalizio esistito molto tempo prima tra i loro antenati. Intanto, Tokarga viene designato come prossimo obiettivo degli Umanoidi, e ciò convince Zoll e i suoi uomini a ribellarsi. Per difendere il pianeta, Toshiro affida al comando di Harlock un’astronave che ha costruito di nascosto, la potente Arcadia. Gli Umanoidi tentano di scongiurare l’intromissione dei ribelli nei loro piani catturando Maya ed Esmeralda (un’amica di vecchia data di Harlock, entrata in scena poco prima) minacciando poi di ucciderle; le due donne vengono però salvate da Zoll e i suoi. Il viaggio dell’Arcadia a Tokarga si dimostra comunque inutile perché gli abitanti del pianeta sono già stati sterminati: gli unici supersiti si sacrificano durante il viaggio di ritorno per consentire alla nave di Harlock di superare una tremenda perturbazione spaziale chiamata “Strega Grigia” – proprio come la montagna che

Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza

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Cinema ANIME fu fatale a Phantom Harlock. Giunto sulla Terra, il pirata trova Zoll ucciso; e Maya, gravemente ferita, spira tra le sue braccia. Harlock allora sfida apertamente Zeda, il comandante dell’esercito umanoide, dichiarando di non volersi sottomettere all’autorità degli invasori, al contrario della maggioranza dei Terrestri disposta ad asservirsi piuttosto che affrontare una difficile lotta per l’indipendenza. Zeda soccombe a Harlock durante un combattimento duro ma leale, e il pirata spaziale può così lasciare la Terra e andarsene libero per l’Universo. Arcadia Il nome “Arcadia” ha origine nell’antichità, indica una sorta di paradiso originario, un luogo sereno dove condurre un’esistenza pacifica e incorrotta, lontano dalla volgarità del mondo. L’astronave di Harlock può dunque essere vista come l’unico posto, in un Universo ormai in preda al caos, dove ancora resistono la fede nella giustizia e nell’amicizia. Per il pirata in perenne esilio rappresenta anche la sola vera patria ideale: “Arcadia”, difatti, è il soprannome con cui i suoi due antenati chiamavano l’amena residenza natale, situata in un luogo imprecisato della Germania meridionale e rievocata con nostalgia nei racconti di Phantom Harlock II. Già allora “Arcadia” indicava qualcosa di più, era simbolo di un modo eroico e disinteressato di intendere la vita, una sintesi di ideali, per mantenere vivi i quali, Phantom Harlock I battezza con quel nome il proprio aereo, e altrettanto fanno i due Toshiro col caccia tedesco e il maestoso vascello spaziale.

1. 2. 3.

Phantom Harlock I si dirige risoluto verso la terribile Stanley Mountain. La trasvolata è durissima, e il carburante è ormai agli sgoccioli. L’invalicabile Strega Nera sembra ridere del coraggioso aviatore.

La Strega Nera

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Struttura e temi portanti: rifiuto della resa, amicizia, speranza La leggendaria scomparsa di Phantom Harlock viene proposta in apertura, attraverso un doppio passaggio (come in un gioco di scatole cinesi): il narratore non è infatti l’Harlock “dello spazio” ma Phantom Harlock II, figlio dell’aviere e a sua volta pilota a bordo di un aereo da guerra − per il desiderio di volare e non per idee militariste. Questa sottotrama si conclude più avanti, in pieno futuro, mediante un flashback “estratto” dalla memoria biologica di Capitan Harlock grazie alle tecnologie della sua epoca: l’espediente delle due fasi di ricordo successive ha il merito di attualizzare la vicenda originaria senza eliminare brutalmente la distanza temporale che la separa dalla trama principale. In questo modo il filo conduttore che lega gli eventi risalta in tutta la sua lunghezza, le personalità sulla scena acquistano una vera e propria profondità storica e la continuità tra l’inizio e gli sviluppi successivi viene ribadita doppiamente ma non banalmente ripetuta: saldato al contributo già fornito dal prologo, l’incontro tra Phantom Harlock II e Toshiro nella Germania del 1945 introduce la tematica dell’amicizia leale e imperitura tra due persone che si trovano a condividere un sogno, un ideale.

Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza


ANIME Il tempo è cambiato, e con esso le sfide da vincere e i mezzi da impiegare, ma non è cambiata la risposta lasciata in eredità dal passato, per quanto lontano: il simbolo di un teschio (la vecchia bandiera dei pirati) e un nome (Arcadia) viaggiano attraverso le epoche per fare da collante tra le diverse vicende. Questo collegamento tra presente e passato è il pilastro che sorregge non solo la coerenza tematica e stilistica del lungometraggio, ma anche quella narrativa. Infatti, nonostante appaia a prima vista non coeso (separato in due parti inframmezzate al racconto nel futuro), il flashback sul passato asseconda la progressione narrativa: l’incipit sullo sperduto Phantom Harlock I, consapevole d’essere ormai condannato a una fine certa, precede l’arrivo sulla Terra dell’altrettanto solitario e sconfitto Capitan Harlock, mentre l’incontro tra Phantom Harlock II e Toshiro nel 1945, che si conclude con una promessa d’eterna amicizia affidata a tempi migliori, segue quello avvenuto tra i due fuggiaschi nel futuro, che muta il pirata da eroe solitario a bandiera di un movimento. Solitudine e rassegnazione da una parte, condivisione e speranza dall’altra. L’uniformità nello stile, nelle atmosfere descritte, è garantita dal parallelismo tra le tre storie narrate fino al ritorno dell’Arcadia sulla Terra: sono le storie di tre sconfitte, tre racconti crepuscolari dominati dall’ineluttabilità del destino avverso. L’aviatore scomparso, il pilota rimasto senza benzina e costretto a separarsi dall’amico, infine il ribelle alla deriva nella desolazione di Tokarga: tre perdenti, tre eroi che sono tali non nella vittoria ma nel titanismo romantico con cui affrontano fino in fondo la loro tragedia. La fiducia nel domani, la speranza nel riscatto, e il numero di personaggi disposti a credervi, seguono invece un’evoluzione più tortuosa e complessa, crescono proporzionalmente di scena in scena: Harlock stesso inizia la lotta ammettendo esplicitamente “siamo stati sconfitti”, mentre ricompare nel finale incarnando in prima persona questa idea di fede nel futuro. All’inizio la speranza non è che una voce, quella di una radio clandestina che esorta i Terrestri a non piegarsi (almeno nello spirito) alla dominazione degli Umanoidi; si potrebbe dire che nemmeno esiste, in concreto, finché non la si individua simboleggiata in una rosa e in una trasmittente. Da due oggetti si passa poi a una persona, quando la speranza si incarna in Maya, la donna di cui Harlock è innamorato e dalla quale riceverà il testimone: il pirata spaziale e la sua nuova Arcadia sono l’ultima e compiuta rappresentazione di questo tema portante. Il passaggio di consegne deve però avvenire gradualmente, e mediante un percorso non facile. La presenza della fiducia nel domani nelle storie dei suoi avi è come la voce clandestina udita da Harlock: niente più di un simbolo o di un’illusione. La capacità di tramutarla in concreto è un qualcosa che il protagonista non può limitarsi a ereditare, ma che deve conquistare con le proprie mani, attraverso le proprie imprese. Da notare come il concetto di speranza venga saldato ai

Un soldato sconfitto 1. 2. 3.

Harlock torna sulla Terra occupata, reduce da una guerra perduta. Gli Umanoidi tentano di portare Harlock dalla loro parte, ma l’ex capitano non ha alcuna intenzione di asservirsi. L’amicizia tra i loro antenati rivive nelle menti di Harlock e Toshiro.

Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza

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Cinema ANIME personaggi femminili (mentre gli altri temi ai personaggi maschili): Maya è la personificazione della speranza, colei dalla quale Harlock eredita il ruolo di bandiera e capo dei ribelli; Esmeralda è fin dal suo primo apparire una libera esploratrice degli spazi siderali; Lamine, un’aliena innamorata di Zoll, è inizialmente l’unica a collaborare con i Terrestri oppressi. Lo stesso simbolismo è mostrato, anche se in negativo (ma proprio per questo in modo accentuato), quando i superstiti di Tokarga si suicidano in seguito alla morte dell’ultima esponente femminile della loro razza, la sorellina di Zoll, Mira.

1. 2. 3.

Germania, 1945: il pilota di caccia Harlock II è costretto a un atterraggio di fortuna. Toshiro aiuta il nuovo amico a recuperare il prezioso mirino C12-D. Toshiro è in salvo, e Harlock II gli promette che prima o poi si incontreranno di nuovo.

Nasce un’amicizia

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L’Ambientazione Per quanto il comparto tecnico di questo lungometraggio si dimostri oggi datato, il risultato ottenuto va ben al di là di questo limite. Le scene d’azione sono in effetti stilizzate e un po’ caotiche, ma l’impianto sviluppa una storia avvincente e drammatica basandosi sull’ambientazione e sui personaggi, che non necessitano di animazioni all’ultimo grido per imporsi. La Terra su cui giunge Harlock durante la prima sequenza è un cumulo di rovine, con una popolazione stremata e soggiogata costretta in angusti rifugi, sotto un cielo notturno che sembra debba rimanere tale per sempre. Qui il futuro pirata percorre vicoli malsicuri per trovare una rosa (simbolo dell’amata) nascosta in uno scantinato; inconsapevole di quella che sarà la sua missione, si muove vagabondo spinto soltanto dal desiderio di rintracciare una persona cara, umanizzato e perfettamente assimilato alla desolazione senza ordine e senza luce, popolata da reietti allo sbando che vivono appesi a un filo sottile. Con il passaggio al centro di comando umanoide, la cappa di oppressione e di disfatta che aleggia sulla Terra si fa ancora più palpabile. La discesa nei bassifondi prosegue con la visita al locale frequentato dai reduci della guerra, vessati e scherniti dagli Umanoidi vincitori, dove gli sconfitti Harlock e Toshiro cominciano a stringere un legame di solidarietà. In questo passo, purtroppo, l’atmosfera cupa e notturna fin qui delineata con grande efficacia viene interrotta da un breve cedimento nel tono della narrazione, dato che la rissa scatenata da Harlock in difesa dell’amico degenera rapidamente in una farsa, perdendo ogni connotato drammatico. Dopo la pausa del flashback, l’ambientazione ritorna su tinte scure, in cui la vena tragica del lungometraggio viene soltanto a tratti intervallata da scene meno pessimistiche ma pur sempre crepuscolari e cariche di tensione. Il primo incontro tra Harlock e Maya, la tragica morte di Zoll, l’arrivo su Tokarga quando gli Umanoidi hanno già portato a termine la loro opera di distruzione, sono tutti momenti in cui i personaggi sconfitti sperimentano la loro impotenza; e, laddove una speranza si accende, collegata ai personaggi femminili, essa volge poi in negativo: dopo avere incontrato Harlock, Maya viene ferita; la rivolta scatenata per salvare Esmeralda si conclude con Zoll ucciso a tradimento; Lamine porta in salvo Mira solo per vederla morire durante il viaggio di ritorno verso la Terra.

Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza


ANIME Lo stesso varo della possente Arcadia, che è il primo sigillo e la prima sintesi dei sentimenti eroici, di amicizia e di speranza, non vale a salvare il pianeta amico da un destino che si è già compiuto; un crudele fato di inevitabile sconfitta si fa beffe perfino del tanto atteso vascello della riscossa. Anche in seguito, quando Harlock si risolve per una lotta senza quartiere, quando la mitica Arcadia comincia a superare con passo epico ogni ostacolo sulla sua rotta, il tono della vicenda rimane drammatico, sofferto, dominato dallo sforzo e dal costo che questa impresa richiede: pur vittorioso, Harlock non compie nessuna marcia trionfale su petali di rose, ma sale a fatica una via impervia lastricata di lacrime e sangue. Durante tutto il tempo, la regia fotografa il protagonista con un larghissimo uso di primi piani statici, e anche gli altri personaggi sono raramente impegnati in azione: l’atmosfera delle singole scene, il carisma delle personalità descritte e la mancanza di facile retorica nei dialoghi (ogni proclama in favore della libertà, lungi dall’essere banalmente enfatico, è pagato a caro prezzo) si combinano con questa scelta figurativa senza troppo risentire della carenza di sequenze “spericolate”. Ciò che conta, insomma, sono le scelte e la forza di volontà degli individui, non il numero di raggi laser che riescono a sparare in un minuto. Il tutto, poi, è valorizzato da un commento sonoro orchestrale sempre all’altezza di ogni scena.

La voce della Speranza 1. 2. 3.

Maya, anima della resistenza terrestre, è braccata dalla polizia umanoide. Gli innamorati Harlock e Maya sono presi in trappola; pur vicinissimi, restano separati dal feroce attacco dei soldati. Ferito a un occhio, Harlock è costretto a fuggire da solo.

Evoluzione di un eroe Tra i passi che segnano l’evoluzione di Harlock da reduce sconfitto a libero pirata simbolo di indipendenza e di rivincita, ve ne sono almeno tre che è opportuno descrivere. Il primo è quello che narra il sofferto incontro tra il protagonista e Maya: la speranza nel domani si presenta cioè di persona, dopo essere fugacemente apparsa sotto la forma di una voce e di una rosa; ma la polizia umanoide è sulle tracce della donna, e nello scontro a fuoco che ne consegue Harlock viene ferito all’occhio destro. è il primo vero momento di forte tensione del film: di notte, Harlock e Maya si trovano l’uno di fronte all’altra, nascosti in due angoli bui, senza poter percorrere la breve distanza che li separa perché illuminata e posta sotto tiro. Il contrasto molto forte tra luce ed ombra aumenta sensibilmente l’impatto delle immagini, che mostrano un Harlock, al punto più basso della sua parabola, ferito e respinto, ormai privo di un occhio, tendere disperatamente ma invano verso la meta della sua ricerca: Maya (che da ora diviene vero e proprio simbolo universale della lotta per la libertà, e non solo affetto personale di uno dei personaggi) rimane quindi l’unica cosa che può vedere, l’unica persona e l’unico scopo compresi nel suo orizzonte, e il passo che egli tenta di muovere è un passo dall’ombra alla luce. La seconda scena in rilievo è quella che vede l’Arcadia superare la “Strega dello Spazio”, uno strano agglomerato di materia incandescente che, attratta dall’energia degli esseri viven-

Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza

181


Cinema ANIME

1. 2. 3.

Maya ed Esmeralda vengono condannate a morte per attirare Harlock in trappola. L’Arcadia giunge a Tokarga troppo tardi: gli Umanoidi sono già arrivati. Il pianeta è distrutto, solo pochi superstiti vengono trovati ancora in vita.

La morte di un popolo

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ti, risucchia e brucia le astronavi. Il passaggio avviene durante il ritorno dalla fallimentare spedizione su Tokarga, il momento in cui la disfatta e la schiavitù incombono più minacciose che mai. La speranza di salvare il pianeta amico dall’annientamento si dimostra vana; l’Arcadia stessa, che doveva essere il vascello della rivincita, approda in uno scenario di morte e desolazione senza poter far altro che prendere atto della sconfitta e ritirarsi con i pochi superstiti. Il superamento della “Strega dello Spazio” è la sfida mediante la quale Harlock può cominciare a tracciare un percorso di rivincita: archiviato l’insuccesso di cui comunque non ha colpa, il novello pirata spaziale riparte dal punto in cui si era fermato il suo lontano antenato, con la barra del timone fissa verso l’ostacolo oppostogli dalla natura ostile. Il successo dell’impresa conclude positivamente il cerchio partito dal prologo: l’eroe e i suoi amici possono vincere la sfida e superare la furia degli elementi. L’Arcadia si guadagna così il diritto a percorrere gli spazi siderali, e Harlock mostra di poter essere un libero navigatore al pari di Esmeralda (l’unica ad avere già tentato lo stesso viaggio attraverso la spaventosa turbolenza spaziale). Ma in questo film non ci sono passeggiate piacevoli, né porte sfondate a spallate, e sulla prima vittoria cala in effetti il sipario di una tragedia: l’Arcadia può scavalcare il baratro solo grazie al sacrificio volontario di tutti i supersiti di Tokarga imbarcati; la distruzione totale e senza appello dello sfortunato pianeta e dei suoi abitanti è il sacrificio con cui Harlock e i suoi, gli unici ad essere accorsi in aiuto, possono ritornare indietro per impedire che drammi simili si ripetano in futuro. In questa scena assistiamo quindi alla fine definitiva della speranza di Tokarga, che corrisponde però alla nascita di una nuova speranza, quella rappresentata dall’Arcadia stessa; questa ambivalenza è rappresentata in sintesi dalla morte di Mira, la giovanissima sorella di Zoll. La terza sequenza importante mette in scena il duello tra Harlock e Zeda, comandante degli Umanoidi intenzionato a battersi lealmente contro un avversario che stima e rispetta per il suo coraggio e la sua tenacia. Sul protagonista pesa ancora l’iniziale status di sconfitto, ma la sua ribellione non si svolge come una fuga bensì come una riappropriazione della libertà: il nostro pirata non riparte come un fuggiasco braccato, ma come un esule che si guadagna il diritto di tracciare da solo la propria rotta. La sfida che Harlock raccoglie racchiude un doppio significato: da un lato rappresenta l’ennesimo scotto da pagare per l’indipendenza, dall’altro è la prima attestazione dei traguardi raggiunti dal protagonista nella sua evoluzione. Questa battaglia è l’ultima giocata sulla difensiva con il pirata costretto a dimostrare qualcosa, l’unica condotta ad armi pari in modo leale dagli Umanoidi, la prima impegnata da Harlock in qualità di simbolo di libertà (ruolo assunto definitivamente e consapevolmente con l’arruolamento di altri compagni prima del decollo, e sancito dall’ascolto dell’ultimo messaggio registrato da Maya),

Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza


ANIME ed è semplicemente epica. Le astronavi avversarie ribattono colpo su colpo senza badare ai danni subiti − nella seconda metà degli anni Settanta, le navi da battaglia create da Matsumoto, la Yamato (dall’anime Star Blazers) e appunto Arcadia, contendono ai “robottoni” il ruolo di protagonisti dei drammi spaziali − finché Harlock e Toshiro non volgono la giornata in loro favore concludendo idealmente la storia, rimasta in sospeso, dei loro antenati: il colpo decisivo viene esploso guidando i cannoni con un sistema di puntamento manuale, discendente del mirino C12-D, insostituibile compagno e infallibile “occhio” di Phantom Harlock II. A bordo della nuova Arcadia le vicende passate trovano quindi una risoluzione positiva, e il protagonista completa infine il suo percorso, ormai in grado di andare incontro a qualsiasi sfida. La scena successiva, ovvero lo sfondamento del blocco umanoide sopraggiunto all’inseguimento, può essere considerata quindi come la prima avventura di Capitan Harlock pirata spaziale. Il registro finale è di conseguenza completamente diverso, purtroppo meno convincente. La distruzione dell’ammiraglia umanoide non mostra più l’epicità e la tensione drammatica della lotta contro Zeda, il quale d’altronde è sostituito da un comandante nemico che definire meschino e insignificante è già molto; Harlock stesso si ritrova calato di punto in bianco nei panni di un eroe invincibile e sprezzante, al quale anche le leggi della Fisica si inchinano ossequiose. Questi pochi minuti sono del tutto eterogenei (e in definitiva nettamente inferiori), per lo stile e i contenuti, nel contesto di un lungometraggio altrimenti coeso e di alto livello: basta poco per far cadere ingenuamente il tono crepuscolare e sofferto della narrazione, proprio nel passaggio tra due momenti di spessore come la prima grande battaglia dell’Arcadia e il definitivo addio a Maya.

Sacrificio per la vittoria 1. 2. 3.

Mira è al sicuro a bordo dell’Arcadia, ma il suo destino è ormai segnato. L’astronave di Harlock sta per essere inghiottita dalla Strega dello Spazio, una tremenda onda di calore. Il pericolo è scampato e l’Arcadia si è salvata, ma a quale prezzo!

Commento Sarebbe riduttivo considerare questo Capitan Harlock L’Arcadia della mia Giovinezza del 1982 come un semplice prequel della celebrata serie televisiva Capitan Harlock del 1978, o come una visione alternativa priva di una sua originalità e di un’importanza autonoma. Va però ammesso che il lungometraggio ha una trama poco più che abbozzata: è evidente il presupposto che gli spettatori debbano già conoscere il protagonista, e che necessitino solo di qualche lume sul suo passato. All’interno del film non è raro vedere, di conseguenza, scene che brillano più per forza espressiva autonoma che per reciproca coesione logica. La vicenda forza le tappe verso un finale che sembra, da questo punto di vista, l’unico vero traguardo importante da raggiungere, rinunciando più volte a sviluppare con la necessaria cura gli antefatti, retrocessi a elementi secondari. In buona sostanza, lo spettatore dovrà rinunciare a vedere spiegati alcuni passaggi tanto banali

Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza

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Cinema ANIME

1. 2. 3.

Alla fine di una dolorosa lotta, Maya si spegne tra le braccia di Harlock. L’Arcadia, radunati i pochi coraggiosi, salpa libera per il cosmo. Zeda è sconfitto, ma rimane al suo posto fino all’ultimo, sul vascello in fiamme.

In nome della Libertà

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quanto trascurati: come si sono incontrati e innamorati Harlock e Maya? E chi è Esmeralda per conoscerli entrambi? Come ha fatto Toshiro a costruire un’astronave come l’Arcadia in clandestinità, su un pianeta ridotto alla fame? Insomma, la contestualizzazione del film come parte del più vasto (e mai risistemato, a dire il vero) mondo harlockiano diventa più che opportuna. Nonostante ciò, sarebbe miope declassare questa vicenda a mero antefatto delle successive avventure. Le sue tematiche portanti sono tanto consuete quanto universali e indipendenti da qualsiasi contesto specifico, la sua struttura ha la coerenza necessaria, l’ambientazione è magistralmente rappresentata senza bisogno di nessun supporto esterno, infine i personaggi hanno un carisma e una forza interiore che bastano a renderli presenze vive sullo schermo anche quando poco o nulla si sa sul loro conto. Non stiamo assistendo a un semplice prologo di più importanti storie a venire, non siamo di fronte a una catena di eventi monca, priva di un finale o di uno sviluppo a sé stanti, la cui unica chiave di lettura sia necessariamente ciò che succederà in seguito. Anzi, sbilanciandosi un po’ (ma non più di tanto), si potrebbe perfino affermare che la vera storia è quella raccontata qui. In due ore, Harlock percorre tutta la distanza che separa un reduce disonorato dalla disfatta, solo e alla deriva, da un libero battitore dello spazio, capo di una potente astronave, amico leale o avversario temuto e rispettato. Sconfitta e vittoria, amore e morte, tradimento e onore, amicizia e rivalità, resa al destino e tenacia indomabile, luce e buio, solitudine e solidarietà: i personaggi di questo film e le situazioni che affrontano vanno a coprire tutti questi temi e i relativi registri, in una storia che non può, quindi, che dirsi completa, arricchita da viaggi, duelli, flashback, disegni non perfetti ma sempre suggestivi. La saga dell’eroe è tutta qui, insomma: il perdente getta il cuore oltre l’ostacolo e ne esce vittorioso, si mette in viaggio senza confidare nel ritorno e dice addio alla vecchia vita. Non ci sono trionfalismo né facile retorica ad appesantire la prima grande impresa di Capitan Harlock. Il protagonista paga un prezzo molto salato per la sua ribellione, dal momento che perde un occhio, la donna amata e un compagno leale e stimato come Zoll − il quale è, nei suoi ultimi istanti, quasi un Harlock a cui la fortuna volta le spalle. La sfida lanciata dall’impavido Phantom Harlock è infine vinta, il nome “Arcadia” diventa il vessillo di libertà sotto cui combattere l’ingiustizia. Ma non c’è modo di compiacersi e di celebrare spensieratamente il traguardo raggiunto: la strada iniziata tra i vicoli bui della Terra sotto occupazione non è finita, porta al cosmo intero; il tortuoso percorso che conduce alla libertà viene tracciato tra le rovine, tra le tragedie, tra l’oscurità opprimente appena rischiarata dalla flebile luce della speranza. Né la prima vittoria del nostro pirata può essere annacquata dalla sensazio-

Cinema: L’Arcadia della mia Giovinezza


ANIME Capitan Harlock Soldato reduce della guerra persa dai Terrestri contro gli Umanoidi, rifiuterà di asservirsi ai vincitori, preferendo una vita da fuorilegge. Phantom Harlock II Figlio di Phantom Harlock e aviatore a sua volta, stringe fraterna amicizia con il giapponese Toshiro, aiutandolo a fuggire in Svizzera. Esmeralda (Emeraldas) Libera mercante degli spazi, amica di Harlock, giunge sulla Terra e si unisce alla lotta contro gli Umanoidi restando al fianco di Maya. Zoll

Toshiro (Tochiro) Oyama Costruita in segreto l’Arcadia, il piccolo ingegnere reduce di guerra incontra Harlock e affida l’astronave al comando del nuovo amico. Toshiro Oyama (1945) Ammiratore di Phantom Harlock, sogna di viaggiare fino alla Luna con Harlock II, che gli lascia in pegno d’amicizia l’ infallibile mirino C12-D. Maya La donna amata da Harlock, conduce la resistenza contro gli Umanoidi, infondendo fiducia ai Terrestri per mezzo di una radio clandestina. Lamine

Capo dei soldati di Tokarga, sopravvive collaborando con gli Umanoidi, finché non sceglie di sostenere la causa di Harlock e Maya. Comandante Zeda Il capo degli invasori Umanoidi sulla Terra; è un soldato duro ma leale, rispetta Harlock per il suo coraggio e lo affronta in un epico duello. Murgison Il secondo di Zeda; è un ufficiale arrivista e meschino, che non esita a ricorrere a brutalità e mosse sleali per soggiogare i terrestri. Phantom Harlock Indomito pioniere dei cieli, disperso durante una durissima trasvolata, lascia ai discendenti il diario di bordo del suo aereo Arcadia. ne di averla già vista tante volte quante sono le puntate di una serie tv. Il momento finale in cui la narrazione del lungometraggio comincia a sfociare in quella più tipica di una produzione televisiva è effettivamente soltanto un prologo, un assaggio frettoloso dell’Harlock che sarà − da questo punto di vista, anche l’uso della sigla dell’edizione italiana di Capitan Harlock come sottofondo degli ultimi minuti è una scelta di dubbio gusto −, e certamente un passaggio tra i meno felici (caratterizzato da espedienti eterogenei e da un tono più basso svuotato di pathos), ma per fortuna

Misteriosa aliena, sopravvissuta di un pianeta scomparso, riconcilia Zoll con Harlock e si unisce all’equipaggio ribelle dell’Arcadia. Soldato di Tokarga Decano della milizia di Zoll. Morta la sua patria, si sacrifica assieme ai pochi superstiti per consentire la fuga dalla Strega dello Spazio. Tritter Capo del governo collaborazionista terrestre, cerca invano di “arruolare” Harlock nelle sue fila. Uccide Zoll per impedire il salvataggio di Maya. Mira Sorellina di Zoll e ultima donna di Tokarga; trovata gravemente ferita sul suo pianeta distrutto, perirà durante viaggio verso la Terra. dura poco ed è seguito da uno dei momenti più intensi del film: presa sulle sue spalle (anzi a bordo della sua Arcadia), la responsabilità di assurgere a simbolo di libertà, Harlock può lasciare che Maya, Mira e Zoll proseguano per un altro viaggio, affidando alle profondità del mare di stelle il compito di custodire i loro corpi e la loro memoria. Un classico imperdibile, un dramma crepuscolare, una galleria di immagini dove un paio di nei non fanno che mettere in risalto volti e scene memorabili. n Antonio Tripodi

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Serie TV

Serie TV

ANIME

CAPITAN HARLOCK SSX (Waga Seishun no Arukadeia - Mugen Kidou SSX - T. Katsumata, R. Matsumoto, 1982) di Massimo “DeFa” De Faveri

T

rasmesso per la prima volta in Giappone a partire dell’ottobre del 1982, pochi mesi dopo l’uscita nelle sale de L’Arcadia della mia Giovinezza (che ne costituisce il pilot cinematografico), Capitan Harlock SSX riprende la storia del pirata spaziale dove il film l’aveva lasciata, ossia con il nostro eroe reduce di guerra e novello ribelle impegnato a sfuggire all’efficiente apparato militare degli Umanoidi, conquistatori della Terra. Di questa serie va subito corretto un equivoco: non si tratta di un prequel di quella storica del 1978, quanto semmai di una sua rivisitazione, o, per meglio dire, una rivisitazione dei suoi personaggi. Le trame delle due opere, del tutto diverse l’una dall’altra, mancano infatti di un legame davvero coerente che possa collocarle in una cronologia comune. Sia la storia generale che le vicende personali dei protagonisti, narrate in SSX, sono incompatibili con ciò che era stato raccontato nella serie classica; l’errata impressione di una continuità narrativa tra le due edizioni deriva semplicemente dall’aver utilizzo gli stessi − in apparenza − personaggi, ai quali invece è stato cambiato il vissuto e spesso modificate le peculiarità. Ci troviamo in un lontano futuro, nel quale i Terrestri, dopo un florido periodo di progresso che ha portato alla colonizzazione dello spazio, devono fare i conti con le conseguenza di una guerra galattica che li ha visti soccombere contro gli Umanoidi, alieni d’aspetto simile agli umani ma, evidentemente, più avanzati in campo bellico. La Terra è quindi sotto occupazione da parte di questi invasori, retta da un governo collaborazionista e pervasa da un generale senso di rassegnazione. Pochi individui tentano ancora di opporsi all’arrogante giogo degli Umanoidi; i più valorosi sono i fuorilegge Harlock, Toshiro ed Esmeralda, sulle cui teste pendono taglie vertiginose. Harlock e Toshiro, al comando di una ciurma di pirati agguerriti, solcano gli spazi a bordo dell’astronave Alkadia (Arcadia in originale), alla ricerca di ciò che essi chiamano “Pianeta Ideale”, una sorta di terra promessa di cui non si conosce l’ubicazione ma sulla quale, una volta trovata, si spera di poter ricominciare a vivere in pace.

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Serie TV: Capitan Harlock SSX


ANIME Capo designer: Iwamitsu Ito Supervisione animazione: Kazuo Komatsubara Direzione animazione: Kazuo Tomizawa, Shigenori Kageyama, Shingo Araki, Toshio Mori Direzione della fotografia: Hisao Shirai Scenografie: Yuji Ikeada e Kazuo Ebisawa Musiche: Shunsuke Kikuchi Produttori esecutivi: Tadashi Matsushima, Yoshio Takami Animazione: Toei Animation Produzione: Tokyu Agency e Toei Co. ltd

All’equipaggio iniziale, tra cui spicca l’aliena Lamine, si uniscono presto anche alcuni civili: il primo a imbarcarsi è il giovane Tadashi, un ragazzino orfano che, affrontando Harlock in duello per guadagnarsi la taglia, dimostra un coraggio tale da indurre il pirata ad arruolarlo; dopo di lui arrivano il “dottore” e Lidia, un medico e una bambina tratti in salvo da un’astronave assaltata da predoni spaziali; infine è la volta della bella Yuki, figlia di un giornalista indipendente che si oppone al regime umanoide, e depositaria − memorizzato con metodi subliminali nel suo subconscio − del segreto per rintracciare il Pianeta Ideale. Il peregrinare di questo eterogeneo gruppo di ribelli è costantemente minacciato dal nemico, di solito vascelli terrestri con equipaggio terrestre ridotti a prestar servizio agli ordini della flotta umanoide. Tra i collaborazionisti, un ruolo di particolare rilievo è ricoperto da Mister Zone, geniale tecnico che lavora presso gli Umanoidi come progettista di astronavi all’avanguardia capaci di contrastare l’Alkadia. Il Terrestre è mosso da un risentimento personale verso Harlock, secondo lui colpevole di ostruzionismo nei suoi confronti in tempo di guerra, quando si trovavano entrambi in forza alla flotta terrestre, l’uno come ingegnere e l’altro come comandante d’astronave. Sia nella disputa tra Umanoidi e ribelli, sia in quella “privata” tra Mister Zone e Harlock, s’intrometterà con prepotenza un terzo e misterioso incomodo, proveniente da una zona di spazio inesplorata: si manifesterà sotto forma di un distruttivo oggetto luminoso al quale alcuni popoli alieni − compreso quello di Lamine − hanno dato il nome di Dea Dorata. Sarà proprio questa misteriosa e potentissima entità a dimostrarsi il vero ago della bilancia in grado di far pendere il conflitto a favore dell’uno o dell’altro contendente. Dal punto di vista tecnico, questa serie è superiore alla precedente, con disegni più evoluti e un’animazione più fluida e curata. La trama è abbastanza con-

Scheda

Titolo originale: “Waga Seishun no Arukadeia - Mugen Kidou SSX” わが青春 のアルカディア・無限軌道SSX Prima tv: dal 13 ottobre 1982 al 30 marzo 1983 Episodi: 22 Regia: Tomoharu Katsumata, Masamitsu Sasaki Soggetto: Reiji Matsumoto Sceneggiatura: Reiji Matsumoto, Hiroyasu Yamaura, Hiroyuki Hoshiyama Character design: Kazuo Komatsubara Mecha design: Katsumi Itabashi

venzionale, ma ha il pregio di essere meno ripetitiva e più agile rispetto all’antesignana, anche per via della brevità: 22 episodi contro i 42 della prima serie. Rispetto al passato, però, fa rimpiangere un elemento fondamentale, quello che da solo riusciva a sopperire a tutte le contraddizioni e le ingenuità presenti nello script del 1978: l’atmosfera. È completamene assente in SSX quella vena surreale che caratterizzava il predecessore, quei tocchi inquietanti, a tratti gotici, di certe sequenze, quella evocazione di aspetti profondi della psiche che trasparivano dai tormentati silenzi di Harlock, dai misteri che avvolgevano Met, dalle lunghe e solitarie suonate di ocarina di Mayu, dall’accecante bramosia di vendetta di Tadashi… È stata inoltre rimossa l’ambientazione utopica − o distopica − che mostrava una società terrestre prigioniera della propria prosperità, resa inerte da un benessere divenuto universale ma − forse proprio per questo − piatto e demotivante, una società anestetizzata, indifferente perfino alla minaccia di un’invasione aliena; manca insomma questa visione esagerata e satirica, inverosimile ma “affascinante”. Così come pesa l’assenza delle seducenti Mazoniane, con le loro forme sinuose, le loro nudità e la loro spietatezza, qui sostituite dagli Umanoidi, più credibili ma del tutto anonimi. Privata di queste suggestioni quasi oniriche, la serie SSX diviene banale, nonostante la maggior ricchezza di mezzi produttivi e di spunti narrativi. Il paradigma si riflette sui personaggi protagonisti. Harlock mantiene le sue doti di uomo d’azione, mutando però da emarginato fuorilegge, nostalgico di un mondo che nessuno vuole più, a caldeggiato simbolo della lotta contro l’oppressione, da eroe anacronistico a paladino conclamato. Met, l’aliena senza bocca, qui cambia nome (Lamine), design (bionda e attillata) e rilevanza, perdendo gran parte del suo fascino, retrocedendo da enigmatica e devota concubina di Harlock a semplice membro dell’equipaggio. Tadashi resta solo un nome,

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Serie TV ANIME che appartiene ora a un ragazzino orfano, coraggioso e intraprendente ma privo di quei contrasti interiori che caratterizzavano il traumatizzato figlio del professor Daiba. Il dottor Zero viene rimpiazzato dal “dottore” (senza nome), meno caricaturale, più serioso. Il ruolo del nemico giurato passa da Raflesia a Mister Zone, quest’ultimo senz’altro più coerente della spesso incomprensibile regina mazoniana, ma anche incomparabilmente meno carismatico. Yuki rappresenta un caso a parte: identica nell’aspetto alla versione del 1978, è il personaggio che ha risentito meno del generale appiattimento dei caratteri; cambiano la sua posizione nell’organigramma della ciurma (l’ultima arrivata, non più il primo ufficiale) e il suo passato (figlia di un giornalista, non di uno scienziato), ma il personaggio mantiene o addirittura supera lo spessore di quello originale, rafforzato da alcuni elementi aggiunti, come un velato amore per Harlock, forse ricambiato. Questo sentimento è reso implicito dalla trama dell’episodio 20, nel quale Yuki viene catturata dal nemico, il Capitano si precipita da solo a salvarla

come un cavaliere d’altri tempi, e poco dopo lei riacquista la memoria di ciò che riguarda il Pianeta Ideale, ricordi impartiti ipnoticamente ai quali era “programmata” ad accedere solo dopo essersi innamorata. Spariscono invece il consigliere Kirita, Yattaran, Maji e Masu-san. Stessa sorte tocca a Mayu − l’emblema dell’atmosfera presente nella prima serie − sostituita dall’insipida Lidia, utile solo per favorire l’approfondimento su un personaggio secondario (il capitano Benzen, suo padre) comparso in un paio di episodi. Bilancia queste assenze il ritorno in pianta stabile di due personaggi ai quali la prima serie aveva ritagliato solo un cameo (sebbene lungo due puntate): Esmeralda, l’intrepida e solitaria donna pirata − forse più simile lei al primo Harlock di quanto lo sia qui Harlock stesso − e Toshiro, amico leale del Capitano, ingegnere formidabile, e uomo innamorato (di Esmeralda). In definitiva, SSX è una serie che ha molti pregi, vanificati però da un unico, enorme e inappellabile difetto: l’aver preteso di profanare un mito. n Massimo De Faveri

Episodi #01. La nave pirata

I

n un lontano futuro, la Terra e le sue molteplici colonie spaziali sono state conquistate dalla razza aliena degli Umanoidi, che ora governa con pugno di ferro con la complicità delle autorità terrestri collaborazioniste. Gli unici focolai di resistenza sono tenuti accesi dai pirati spaziali capeggiati da Capitan Harlock, Toshiro Oyama ed Esmeralda. La grossa taglia che il governo ha fatto pendere sulla loro testa fa gola a molti, compreso Tadashi, un intraprendente ragazzino che, armato solo di pistola e coraggio, decide di sfidare Harlock.

#02. La capitana

L

’Alkadia, la formidabile astronave da battaglia di Capitan Harlock e Toshiro, necessita di riparazioni: un componente del super reattore, fondamentale per il funzionamento del sistema di navigazione extradimensionale, è danneggiato e non sono disponibili pezzi di ricambio. Toshiro suggerisce quindi di far rotta verso il vicino pianeta Parta, dove risiede un esperto meccanico di nome Gastone. Su Parta, Harlock ha anche la sorpresa di trovare Leotard, una ex combattente sua vecchia compagna di battaglie.

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Serie TV: Capitan Harlock SSX


ANIME #03. L’orfanella

L

’Alkadia risponde a una richiesta di soccorso inviata da un’astronave attaccata dai “Lupi Spaziali”, malvagi predatori che percorrono lo spazio a bordo di piccole astronavi. Harlock riesce a mettere in fuga i fuorilegge, e a trarre in salvo gli unici due superstiti, un dottore e una bambina di nome Lidia, facendo poi rotta verso pianeta Kuklus per sbarcarli presso una colonia. Nel frattempo, sulle tracce dell’Alkadia si è messa la Ombra di Morte, la precedente astronave di Harlock, rimessa in sesto dagli Umanoidi e affidata al comandante Benzen.

#04. Val più la penna della spada

L

’Alkadia atterra sul pianeta P3 per rifornirsi, trovandolo però in stato di desolazione, con gli abitanti tutti morti, presumibilmente uccisi da un attacco con armi termiche. Sbarcati per indagare, Harlock, Toshiro e Tadashi s’imbattono in una pattuglia di Umanoidi che li impegna in un acceso scontro a fuoco. Il prosieguo delle indagini porta i pirati presso la stazione di informazione spaziale diretta dal professor Ten Kei e da sua figlia Yuki, a cercare informazioni riguardo una non meglio specificata “Isola del Tesoro”.

#05. La nave fantasma

L

’Alkadia s’imbatte nel relitto alla deriva di un’astronave, la Sell, a bordo della quale Capitan Harlock trova una misteriosa ragazza che sviene tra le sue braccia. Portata a bordo per essere curata, ci si rende conto che la giovane è una cyborg, e che le sue intenzioni sono di sabotare la nave pirata. La Sell è infatti una trappola preparata dagli Umanoidi, all’interno della quale si cela un’altra astronave perfettamente operativa, che non tarda a rivelarsi e ad attaccare l’Alkadia.

#06. L’oasi nello spazio

A

l fine di raggiungere un luogo sicuro dove poter attraccare per ricaricare le batterie dell’Alkadia, Toshiro è impegnato nella ricerca, tramite le strumentazioni di bordo, di quella che lui chiama la sua “Oasi”, un asteroide cavo, all’interno del quale è nascosta una stazione spaziale perfettamente attrezzata. Nel frattempo, nonostante non sia ancora pienamente collaudata, gli Umanoidi hanno deciso di impiegare in battaglia il Distruttore Dasmork I, una potente nave da guerra di nuova concezione progettata da Mister Zone.

#07. La vendetta

M

entre gli Umanoidi hanno ormai ultimato la costruzione del prototipo 2 del Distruttore Dasmork, l’Alkadia capta il segnale della nave di Esmeralda, proveniente dalla colonia SP7; Harlock, immaginando che l’amica possa trovarsi nei guai, fa rotta per raggiungerla. Accompagnato da Tadashi, Toshiro sbarca sulla colonia per rintracciare Esmeralda, ma s’imbatte invece in Grim Ismal, un Umanoide che nutre un profondo desiderio di vendetta nei confronti della piratessa e di Harlock, responsabili dell’uccisione di suo fratello.

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Serie TV ANIME #08. Il pianeta di ferro

S

ull’Alkadia si verifica una forte esplosione che distrugge i serbatoi dell’acqua, e Toshiro sospetta la presenza a bordo di un sabotatore umanoide. Per ripristinare le scorte idriche, Capitan Harlock è costretto a far rotta per la colonia RB414 sul Pianeta di Ferro, seguito da una flottiglia nemica che, stranamente, si mantiene a distanza senza attaccare. Presso la colonia, Harlock chiede assistenza ad Anita, una sua vecchia conoscenza. La donna, che gestisce una locanda, ha un figlio di nome Zack, appassionato di meccanica...

#09. Sabotaggio

L

a missione della misteriosa spia che si nasconde a bordo dell’Alkadia è quella di scoprire l’ubicazione del Pianeta Ideale, il luogo verso cui Harlock e i suoi uomini vorrebbero dirigersi per iniziare una nuova vita. Intanto, proseguono le azioni di sabotaggio, una delle quali danneggia l’astronave proprio nel momento in cui, per contrastare l’attrazione gravitazionale di una stella gigante, occorrerebbe tutta la potenza dei motori. Come se non bastasse, la ciurma inizia a manifestare una preoccupante sfiducia nei confronti del suo Capitano.

#10. L’ Ombra di Morte

M

anca poco a Natale e, a bordo dell’Alkadia, Tadashi e Lidia sono impegnati ad addobbare l’albero. L’astronave si trova nei pressi del pianeta Binga, nel settore Alfa 21, dove ha sede la base umanoide presso la quale l’astronave Ombra di Morte – che, al comando di Benzen, s’era scontrata con l’Alkadia subendo gravi danni – è stata ristrutturata e completamente automatizzata. Capitan Harlock dovrà quindi vedersela nuovamente con la sua vecchia nave, stavolta controllata da un computer.

#11. L’invasione

I

l Presidente del pianeta neutrale Asila, presso cui l’Alkadia è in sosta, riceve dagli Umanoidi l’ordine tassativo di espellere i pirati, nonostante i trattati interplanetari garantiscano al pianeta la piena autonomia come porto franco. Per evitare guai, Capitan Harlock decide allora di abbandonare Asila. Nel frattempo, il comandante delle forze di occupazione umanoidi sulla Terra viene destituito, e il nuovo generale che gli subentra è intenzionato ad attaccare Asila e sterminarne la popolazione nonostante l’ultimatum sia stato rispettato.

#12. La grande sfida

C

ostruita una nuova potente astronave da opporre all’Alkadia, Mister Zone sfida apertamente Capitan Harlock in un duello spaziale. L’abile ingegnere vendutosi agli Umanoidi ha motivi personali di rancore verso il Capitano, che anni addietro, durante l’aspra guerra tra Terrestri e alieni, aveva rifiutato di comandare un’astronave da lui progettata, ritenendola poco sicura: quel giudizio aveva pesato come un macigno sulla carriera di Mister Zone, pregiudicando ogni suo ulteriore impiego da parte dell’Alto Governo terrestre.

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Serie TV: Capitan Harlock SSX


ANIME #13. La dea dorata

M

entre Lamine – la quale, diversamente dal resto dell’equipaggio, non ha la necessità di dormire – sta espletando il “turno di notte” sulla plancia dell’Alkadia, le strumentazioni di bordo intercettano un colloquio via radio tra Mister Zone e una donna misteriosa; subito dopo, un oggetto luminoso compare sugli schermi della nave, mandando in corto le strumentazioni e facendo scattare l’allarme che sveglia immediatamente l’equipaggio. Quando Harlock e il personale raggiungono il ponte di comando, trovano Lamine sconvolta.

#14. La luce misteriosa

U

na flottiglia di astronavi degli Umanoidi, inviata a setacciare un’area di spazio alla ricerca dell’Alkadia, viene attaccata e annientata dal misterioso oggetto di luce che Lamine ha definito “dea dorata”. Capitan Harlock si reca sul posto, deciso a scoprire una volta per tutte cosa si nasconda dietro al misterioso fenomeno. Nel frattempo, recuperato da una nave umanoide dopo essere stato salvato dalla “luce”, Mister Zone contatta il Quartier Generale sulla Terra, chiedendo il permesso di assumere il comando del vascello.

#15. Il mare della morte

N

ei pressi del Pianeta del Mare della Morte, un mondo composto da un enorme oceano di acido solforico, l’Alkadia intercetta un satellite artificiale dall’interno del quale una voce femminile sta chiedendo soccorso. Harlock sospetta trattarsi di un inganno, ma Toshiro, non convinto di ciò, decide di entrare nella stazione per verificare di persona. La voce è effettivamente solo un’esca predisposta da Mister Zone per attirare i pirati in una trappola. Toshiro se la cava grazie all’intervento di Tadashi, ma l’Alkadia finisce sotto attacco...

#16. La spia

P

er approvvigionarsi di viveri, l’Alkadia effettua una breve sosta sul pianeta Verde, durante la quale Lidia trova un gattino, che poi porta di nascosto a bordo. Non si tratta però di un micio comune: nel suo corpo gli Umanoidi hanno impiantato una microspia, attraverso la quale sono in grado di conoscere in ogni momento la posizione dei pirati. Contravvenendo agli ordini impartiti da Mister Zone, che prevedevano di limitarsi per ora solo a un’azione di spionaggio, il vicecomandante Geran predispone un massiccio attacco contro l’Alkadia.

#17. Il tornado

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iocando, il gattino di Lidia distrugge inavvertitamente una radio che Toshiro aveva appena terminato di riparare; per sbollire la rabbia, il pirata prende un aereo e si allontana dall’Alkadia. Dopo un po’, preoccupati dal fatto che Toshiro non rientra, il dottore, Tadashi e Lidia decollano a loro volta per mettersi in sua ricerca. Atterrano su un pianeta dove vengono sorpresi da un improvviso tornado. Il fenomeno dura pochi istanti, ma tanto basta per ridurre il loro velivolo a un rottame inutilizzabile e bloccarli quindi a terra.

Serie TV: Capitan Harlock SSX

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Serie TV ANIME #18. Esmeralda è in pericolo

P

resso la Colonia 22 sta per essere eseguita l’impiccagione fasulla di due finti ribelli: si tratta di un piano ordito da Mister Zone per attirare in trappola Esmeralda e usarla poi come esca per prendere anche Capitan Harlock. La piratessa in effetti cade nel tranello, salvando i condannati e finendo poi da questi catturata. Si libera quasi subito, ma la sua nave sotto attacco da parte degli Umanoidi rischia la distruzione. Per correre in suo aiuto, Toshiro è disposto ad attraversare una zona di spazio satura di raggi gamma...

#19. Il computer ribelle

T

aitra è un gigantesco computer ribelle dotato di intelligenza artificiale e installato su un pianeta disabitato. Per procurarsi l’energia di cui si alimenta, ha l’abitudine di far schiantare sul suo mondo ogni astronave che gli capiti a tiro. Mister Zone progetta allora di servirsi proprio di questo insidioso congegno per eliminare definitivamente Capitan Harlock. In effetti, Taitra è in grado di prendere a distanza il controllo del computer dell’Alkadia, costituendo quindi un serio pericolo per l’incolumità dell’equipaggio.

#20. Il pianeta ideale

G

li effetti dei raggi gamma assorbiti da Toshiro cominciano a farsi sentire; il dottore è convinto che il pirata abbia contratto la “malattia dello spazio”, ma, per effettuare le opportune analisi di verifica, necessita di un particolare reagente chiamato “vitofornòl”. Saputa la notizia, Yuki prende un caccia e si dirige alla stazione spaziale più vicina per recuperare il farmaco. Gli Umanoidi riconoscono però il suo velivolo, e, dopo averla ferita, la catturano. Capitan Harlock è quindi costretto a precipitarsi in suo soccorso...

#21. Il segreto di Toshiro

I

n rotta verso il Pianeta Ideale, l’Alkadia s’imbatte in una misteriosa barriera posta innanzi a una zona di spazio inesplorata. Sullo schermo della nave compare l’immagine luminescente della Dea Dorata, la quale avvisa Capitan Harlock dell’esistenza, oltre quello sbarramento, di potenti presenze. Deciso come non mai a raggiungere la propria meta, l’equipaggio dell’Alkadia non si lascia intimorire e decide di andare avanti. Nel frattempo, Toshiro, che sente ormai imminente la fine, lavora senza posa sul computer di bordo.

#22. Il fuoco del cielo

L

’Alkadia atterra sul pianeta dove dimora la Dea Dorata. L’entità consente lo sbarco anche a Mister Zone, per mettere alla prova lui e Capitan Harlock consegnando a entrambi una potente fonte di energia chiamata “Fuoco del Cielo” e osservando il modo nel quale intendono utilizzarla. Mister Zone, appena entrato in possesso di quella che per lui è solo una nuova e formidabile arma, e dopo aver assunto con la forza il controllo della nave umanoide nella quale è imbarcato, si ribella apertamente al governo alieno...

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Serie TV: Capitan Harlock SSX


ANIME Capitan Harlock Braccato dal regime dei conquistatori Umanoidi, il nostro pirata vaga per lo spazio insieme alla sua ciurma alla ricerca del Pianeta Ideale.

Toshiro (Tochiro) Ex combattente e ora fedele compagno di avventure di Capitan Harlock, è il formidabile ingegnere che ha progettato l’Alkadia.

Tadashi

Lamine

Ragazzo intraprendente, affronta Harlock per incassarne la taglia. Il Capitano, colpito dal suo coraggio, lo arruola nella ciurma pirata. Yuki Kei

Ultima superstite di una razza aliena sterminata dagli Umanoidi. Prima di unirsi a Harlock ha lavorato sulla Terra per le forze di occupazione. Esmeralda (Emeraldas)

Figlia del giornalista Ten Kei divenuta fuorilegge alla morte del padre. Nel suo inconscio è nascosto il segreto per localizzare il Pianeta Ideale.

Affascinante donna pirata che si oppone come Harlock al regime dittatoriale degli Umanoidi. Di lei è perdutamente innamorato Toshiro.

Lidia

Dottore

Bambina orfana di madre, figlia di un capitano collaborazionista. Harlock la tiene a bordo dell’Alkadia proprio su preghiera di quest’ultimo.

Diventa medico dell’Alkadia dopo l’intervento di Capitan Harlock a salvare l’astronave in cui viaggiavano lui e Lidia, attaccata da predoni.

Mister Zone

Leotard

Abile ingegnere terrestre messosi al soldo degli Umanoidi. Ha motivi di rancore personali verso Capitan Harlock, conosciuto nel passato. Doscoy

Ex combattente, compagna d’armi di Harlock. Dopo la resa terrestre, è passata al servizio degli Umanoidi, e tenterà di catturare il Capitano. Capitano Benzen

Capo meccanico della ciurma di Capitan Harlock. Durante il periodo dei sabotaggi, Tadashi si ostina a sospettare ingiustamente lui come spia.

Il padre di Lidia. Alle dipendenze del governo collaborazionista terrestre, comanda l’Ombra di Morte, la precedente astronave di Harlock.

Anita

Alfa 1

Amica di vecchia data di Harlock, assiste il Capitano quando l’Alkadia è costretta a fermarsi presso il Pianeta di Ferro per rifornirsi d’acqua.

Ragazza dal corpo meccanico che i pirati trovano a bordo del relitto dell’astronave Sell. Si rivelerà essere un agente degli Umanoidi.

Ten Kei

Grim Ismal

Giornalista padre di Yuki. Dirige una stazione di informazione spaziale, ed è l’unico a conoscere il segreto sull’ubicazione del Pianeta Ideale. Reck

Umanoide che cova un implacabile desiderio di vendetta nei confronti di Esmeralda e di Capitan Harlock, rei di avere ucciso suo fratello. Ufficiali Umanoidi

Figlio del presidente di Asila, il pianeta posto sotto ultimatum da parte degli Umanoidi per aver concesso asilo all’Alkadia.

Al comando del Quartier Generale sulla Terra si alternano nel corso della serie due ufficiali; il vice di entrambi è il colonnello Geran.

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Serie OVA

Serie OVA

ANIME

HARLOCK SAGA

L’Anello dei Nibelunghi L’Oro del Reno

(Harlock Saga - Niiberungu no Yubiwa Y. Takeuchi e R. Matsumoto, 1999) di Andrea Carta

D

are una valutazione non del tutto negativa a quel pasticcio noto come Harlock Saga - L’anello dei Nibelunghi (Harlock Saga Niiberungu no Yubiwa) è francamente un compito difficile; d’altra parte, è anche giusto riconoscere al leggendario LEIjI MATSUmOTO la volontà di non fossilizzarsi nella produzione di seguiti via via più scadenti, come quasi tutti i fumettisti avrebbero certamente fatto dopo aver realizzato un’opera di indubbio valore come Uchuu Kaizoku Kyaputen Haarokku (1978, da noi conosciuta semplicemente col titolo di Capitan Harlock). Uno dei motivi per cui la produzione di manga e anime è tanto vasta e diversificata è proprio la riluttanza degli autori giapponesi a ripercorrere strade già battute: anche se l’originalità non basta da sola a garantire un’elevata qualità, la continua produzione di seguiti, “mania” tipicamente occidentale, è il modo più sicuro per non garantirla. Matsumoto esplora allora, col suo personaggio, una terza via, la più difficile: quella di reinventare ogni volta la storia originale, cambiando luoghi, scenari, ruolo dei personaggi e così via. Lo fa una prima volta con la serie Captain Harlock SSX - Rotta verso l’Infinito (Waga Seishun no Arukadeia - Mugenkidou SSX), realizzata nel 1982, quindi una seconda, dopo anni di quasi oblio, appunto con la “Harlock Saga” (1999),

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Serie OVA: Harlock Saga


ANIME

Creazione originale e supervisione generale: Reiji Matsumoto Regia: Yoshio Takeuchi Regia episodi: Yoshio Takeuchi, Minoru Chara, Yuji Himaki Assistente regia: Yuji Himaki, Tomori Kobayashi Progetto: Shigeru Watanabe (Bandai Visual) Michiyoshi Minamisawa (81 Produce) Assistente Progetto: Ryota Morishige (Shichosha) Soggetto: Megumi Hiyoshi Storyboard: Masaharu Okuwaki, Yuji Himaki, Yoshio Takeuchi Character design e direzione dell’animazione: Hideyuki Motohashi Direzione animazione personaggi: Hideyuki Motohashi (ep. #1-2-3-4-6), Hideo Maru (ep. #5) Mecha design: Toshiyuki Horii Mecha design originale: Katsumi Itabashi Direzione animazione mecha: Eiji Ishimoto, Takashi Yamamoto, Ideaki Sakaguchi, Masakazu Okuda Animazione: Atsushi Tamura, Atsushi Tsukamoto, Futoshi Onami, Hideo Maru, Hiromasa Yonemori, Hiroto Yokote, Hiroyuki Mizumura, Kenji Takeguchi, Kenji Yokoyama, Koji Sugimoto, Masaaki Kudo, Masahiro Ando, Masaya Kobayashi, Minoru Kato, Miya

Scheda

Titolo originale: “Harlock Saga Niiberungu no Yubiwa” HARLOCK SAGA ニーベルングの指環 Anno: 1999 - Episodi: 6

Yamamoto, Naoki Mishiba, Naoki Ohira, Noboru Minohara, Osamu Okubo, Saizo Toma, Soichiro Matsuda, Takahiro Ishiguro, Takenori Mihara, Taichiro Kohara, Takeshi Suzuki, Tamotsu Ogawa, Tetsuya Sato, Toshiya Washida, Wataru Abe, Yoshiharu Shimizu, Yoshihiro Nagamori, Yosuke Yabumoto, Studio Z5, Studio Last House, MI Studio, Wakabata Elekindek, Paku Productions, Studio Live Direzione artistica: Osamu Honda Direzione fotografia: Takashi Azuhata Fotografia: Akiko Nishikawa, Atsuo Tsukioka, Kazuyoshi Takahashi, Shinichi Sasano, Azuhata Productions Direzione colori: Hidemi Nakama Fondali: Masao Ichigaya, Mitsuyoshi Kosugi Effetti visivi: Masaharu Arai, Group Joy, Yoshimi Hayashi, Takashi Maekawa Effetti sonori: Junichi Sasaki (Anime Sound) Supervisione suono: Enpei Hirano Produttore effetti sonori: Takeshi Nishina Direzione musiche: Kaoru Wada Musiche originali: Richard Wagner Sigle di chiusura: “Aurifera Yakusoku no Chi He” “Druid, Kashiwa no ki no Kenja” cantate da Nozomu Odagi musica, testo e arrangiamenti di Akira Inoue Produzione musiche: Kuniyasu Ichikawa Produttore esecutivo: Kazumi Kawashiro Produttori: Jinichiro Koyama (Bandai Visual) Toru Nakano (81 Produce) Produzione: Bandai Visual, 81 Produce

infine una terza con Space Pirate Captain Herlock The Endless Odyssey (2002), ad oggi la più simile a un seguito vero e proprio. Purtroppo la serie originale era così pregevole che ben difficilmente ogni tentativo di mischiare le carte in tavola avrebbe potuto migliorarne i risultati: il peggio viene raggiunto – non a caso – proprio con la “Harlock Saga”, che stravolge l’ambientazione al punto di far dubitare al lettore/spettatore di avere davvero a che fare con lo stesso personaggio che venti anni prima aveva combattuto contro le Mazoniane. D’altronde, l’idea di prendere “L’Anello dei

Nibelunghi” di RIChARD WAGNER e farlo diventare un fumetto prima e una serie animata poi, sia pure riveduti e corretti, appare eccessiva anche per un autore geniale come il maestro giapponese: il mondo di Wagner è governato dal destino, in un’ottica quasi pagana del cosmo, quello di Harlock è in decadenza, terra di conquista e di gloria per i pochi eroi rimasti. Ma, soprattutto, Harlock non è Sigfrido: cosa ha in comune l’eroe wagneriano, ottimista, solare, impulsivo, col pirata di Matsumoto, cupo, indecifrabile, riflessivo e calcolatore? La trama dell’opera viene stravolta e adattata alla

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Serie OVA ANIME

“visione cosmologica” di Matsumoto: Mime, che nella serie classica era una profuga aliena accolta da Harlock a bordo dell’astronave Arcadia come amica devota, nella “Saga” diventa un’esponente dell’antica stirpe dei Nibelunghi, sorella del folle e ambizioso Alberich, nonché navigatrice nel vascello del Capitano e suonatrice di uno dei due organi – l’altro è suonato dalla dea Freia sul Walhalla, un pianeta al centro dell’universo – che mantengono ordine ed equilibrio nel cosmo e consentono agli Dei stessi di restare immortali. Come faccia Mime – la quale, a differenza dell’originale del 1978, ha adesso un normale aspetto umano – a essere contemporaneamente navigatrice sull’Arcadia e suonatrice di un organo che si trova sul remoto pianeta Reno, non è chiaro. Il cattivo di turno è Alberich, che, deciso a vendicarsi di Wotan, Signore degli Dei e reo di aver ridotto in schiavitù la stirpe dei Nibelunghi, si reca su Reno e ruba l’oro custodito da tre fanciulle, una grossa pepita dotata di misteriosi poteri. Portato sulla Terra e modellato in forma di anello da Tadashi, figlio del dottor Daiba (un astronomo nella serie originale, un ex pirata dell’equipaggio di Harlock nella “Saga”), l’oro dovrebbe fornire ad Alberich il potere necessario a sconfiggere gli Dei. Ma a guastargli i piani interviene Harlock, deciso

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a impedire la distruzione dell’universo – che sarebbe conseguente a quella del Walhalla. Spalleggiato dai giganti Fafner e Fasolt, innamorati di Freia, il Capitano riesce ad avere la meglio sul Nibelungo e a recuperare l’anello… Dopo di che, con grande sorpresa e delusione del-

Serie OVA: Harlock Saga


ANIME lo spettatore, la “Saga” s’interrompe proprio nel momento in cui una nuova insidia, “l’umore del drago” fuoriuscito dalla fortezza dei giganti durante la lotta finale con Alberich, si spande per l’universo minacciando di causare guai ancora peggiori. Il lettore della versione manga, invece, può “gioire” ancora a lungo, grazie a viaggi nel passato che coinvolgono un nuovo personaggio (Brunhilde) e il padre di Harlock, ad altre battaglie titaniche, alla minaccia dei “Metanoidi”… ma alla fine, anche in questo caso, l’autore conclude l’opera lasciando la storia in sospeso. Probabilmente, resosi conto che il suo ginepraio non lo avrebbe portato da nessuna parte, Matsumoto ha deciso di buttare tutto alle ortiche per dedicarsi a una storia più tradizionale e più simile a un seguito classico: la successiva – e senz’altro migliore – “Endless Odyssey”. È proprio la trama, dunque, il punto debole di questa “Saga”; al di là delle ovvie considerazioni sull’inopportunità di forzare l’opera di Wagner nell’universo di Capitan Harlock, la storia avrebbe potuto reggere soltanto se coerente, serrata e ricca di veri colpi di scena. Viceversa, la confusione regna sovrana, e rimangono solo la fatica che deve compiere lo spettatore per capire cosa stia succedendo, lo spreco di certi personaggi buttati nel calderone e poi fatti sparire (Emeraldas e Maetel – la Maisha di Galaxy Express 999 – su tutti), il continuo ripetersi d’interminabili resoconti su vicende remote e incomprensibili – nel tentativo di spiegare allo spettatore almeno i punti essenziali della “Saga” – e per finire una mancanza di azione quasi imbarazzante, con Harlock che rimane spettatore passivo per quasi tutto il tempo. Gli altri protagonisti sono reinventati e mescolati senza attenzione né rispetto per i ruoli ricoperti sino alla serie precedente: Mime, fascinosa e indecifrabile nella serie classica, ridotta a fanciulla piagnucolante e tremebonda; Tadashi, avventato ma indomito nel 1978, diventato un ragazzino stupido e sostanzialmente inutile; Yattaran, l’intraprendente timoniere dell’Arcadia, trasformato in semplice esecutore di ordini. Quasi ridicoli i personaggi creati appositamente per la “Saga”: da Alberich, cattivo così stereotipato da non sapere far altro che ripetere “adesso mi vendicherò grazie al potere dell’anello”, a Wotan, altro malvagio la cui frase preferita è “come osano sfidarmi Alberich e questi miseri umani?”, a Freia, brutta copia di Mime. Ma, come accennato, è soprattutto Harlock a deludere. Harlock, personaggio tra i più complessi e affascinanti dell’intera produzione giapponese, qui appare totalmente inerte di fronte agli eventi. Solo quando la situazione sta precipitando e la “Saga” volge al suo termine, il pirata, in un estremo sussulto, sembra uscire dal suo torpore per passare finalmente all’azione. Ma è questione di un attimo: un solo colpo di pistola contro Alberich dopo l’ennesima discussione (“Dammi l’anello!”, “No!”, “Ho detto: dammi l’anello!”, “No”), e il pirata rientra alla base vittorioso. Missione compiuta. Paradossalmente, ben più interessante è il personaggio di

Serie OVA: Harlock Saga

La saga si “rinnova” 1.

2.

3.

La mitica astronave Arcadia. Nel primo episodio è stata disegnata in computer graphic: una scelta dai risultati discutibili, subito abbandonata. Dopo essere scampato fortunosamente alla morte per mano di Alberich, il giovane Tadashi Daiba entra a far parte della ciurma di Capitan Harlock. La navetta con a bordo Tochiro in una pericolosa missione esplorativa.

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Serie OVA ANIME

1.

2. 3.

Il sommo Wotan e sua moglie Fricka si accertano che i Giganti Fafner e Fasolt completino i lavori di costruzione delle loro fortezze prima dell’arrivo di Alberich. La Dea Freia e la Nibelunga Mime, le due suonatrici dell’Organo degli Dei la cui melodia preserva l’ordine dell’Universo. Unico guizzo d’azione per Capitan Harlock: il duello finale contro Alberich.

Scacco agli Dei

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Tochiro, la cui precoce eliminazione dalla serie classica dev’essere fonte di grandi rimpianti per Matsumoto; per tale motivo l’autore non perde occasione per riproporcelo, a costo di snaturarne la malinconica, suggestiva immagine originale. Nella “Saga” Tochiro diventa il vero protagonista, uomo di azione, di scienza e, se necessario, fine umorista e buffone di corte. Che importa se il “vero” Tochiro è solo un pallido ricordo e se tutti quelli che lo accompagnano in missione, a partire da Emeraldas, sono ridotti al ruolo di comparse? Sarebbe stato interessante assistere finalmente allo svilupparsi della relazione tra Emeraldas e Tochiro, come pure esplorare le differenze tra la “nuova” Mime e quella classica. Ma l’aliena dai capelli non più azzurri ha un solo momento di gloria, quando, in assenza di Harlock, pilota personalmente l’Arcadia per sfuggire all’attacco dell’astronave di Alberich. Anche le musiche di Wagner, ridotte a mero accompagnamento di eventi francamente noiosi, finiscono per risultare svuotate di ogni tono epico. Una sola, formidabile eccezione ce la offre la sequenza dell’attacco di Alberich alle fortezze di Wotan, unica scena (oltre a quella dell’apparizione di Maetel e del suo Galaxy Express – e stavolta è la vera “Maisha”, figura enigmatica quanto materna e premurosa) in tutta la “Saga” che vale la pena di salvare e che, accompagnata dalla mitica “Cavalcata delle Valchirie”, riesce, per pochi istanti, a illudere lo spettatore e a donargli una fugace immagine di ciò che Matsumoto avrebbe voluto realizzare: uno spettacolo coinvolgente, contornato da una musica grandiosa, con i destini dell’universo nelle mani di pochi eroi decisi a tutto. Il disegno, abile nel cambiare i piani sequenza al momento giusto e nel proporci inquadrature suggestive delle astronavi che manovrano e si combattono sullo sfondo dell’universo, accentua la delusione dello spettatore invece di mitigarla. Il fallimento di Matsumoto lascia insomma l’amaro in bocca; il suo progetto, probabilmente, era troppo audace non solo per il maestro giapponese, ma per qualsiasi altro autore. Harlock verrà ricordato dai suoi fan per la prima, ineguagliabile serie, e per la lotta senza tregua contro le Mazoniane. Tadashi, Yuki, Yattaran, lo stesso fantasma di Tochiro sono personaggi unici, tanto vivi e presenti allora, quanto spenti o assenti nella “Saga”. Perché, viene da chiedersi, Matsumoto non si convince a scrivere un seguito tradizionale? Neppure l’Harlock del successivo “Endless Odyssey” – che, come già ricordato, è quanto di più simile a un vero seguito abbia realizzato Matsumoto – assomiglia a quello “autentico”; non più di quanto lo sia quello della “Saga”. Tanto vale, allora, cancellare tutto. E lasciare che l’ultimo ricordo dell’eroe immortale sia l’immagine dell’Arcadia, a pezzi e con Mime al timone, che si allontana nel tramonto. Per non tornare mai più. n Andrea Carta

Serie OVA: Harlock Saga


ANIME Capitan Harlock

Tochiro

Il celeberrimo pirata spaziale. Qui nella Saga, purtroppo, se ne rimane alla finestra a guardare gli altri che si danno da fare al posto suo. La spenta dissacrazione di un mito.

Un sorriso a 64 denti. Un cappello che neanche Indiana Jones... Braccio destro di Harlock, eroe, pistolero, scienziato, buffone di corte... Ma questa è la Harlock Saga o la Tochiro Saga?

Emeraldas

Mime

L’affascinante piratessa, compagna di Tochiro e preziosa alleata di Harlock. Viene anch’essa relegata a un ruolo secondario, all’ombra di Tochiro, sparendo dalla scena dopo i primi episodi.

Protagonista della Saga nella parte della “fanciulla in pericolo”. La Mime della serie originale era un personaggio di ben altro spessore, che nella Saga viene invece del tutto snaturato.

Tadashi Daiba

Maeter

Figlio di un pirata ex compagno di Harlock, è il “fabbro” che forgia per Alberich il magico anello. Un personaggio inconsistente che esaurisce il suo ruolo attivo nello spazio di qualche minuto.

Materna, protettiva, coraggiosa e saggia. è forse il personaggio che meno fa rimpiangere la versione originale. Ma compare in un’unica scena, dove contatta Tadashi per conto di Harlock.

Alberich

Wotan

La prima volta che gli sentiamo dire “mi vendicherò grazie all’anello”, pensiamo al classico cattivo; la decima sbadigliamo. E, sotto la maschera, non ha neppure un aspetto mostruoso!

“Come osano sfidarmi?”: ecco la frase preferita dal Dio supremo del Walhalla che dovrebbe contendere ad Alberich il ruolo del cattivo. Il guaio è che ripete solo quella durante tutta la Saga.

Freia

Fricka

Dea del Walhalla, fotocopia di Mime; ambedue suonatrici degli Organi che mantengono l’equilibrio nell’Universo. Per amor suo i Giganti Fafner e Fasolt si ribelleranno a Wotan.

La Dea moglie di Wotan, con il quale governa il Walhalla. Tutti gli Dei, mantenuti giovani e immortali dalla musica dell’Organo, iniziano a invecchiare quando Mime cessa di suonarlo.

Fafner e Fasolt

Erda

I Giganti ingegneri al servizio di Wotan. Per amore di Freia, accettano di allearsi con Harlock contro gli Dei.

La profetessa degli Dei del Walhalla. Personaggio tanto sinistro e fascinoso nell’opera wagneriana, quanto superfluo e incomprensibile nel pasticcio di Matsumoto.

Yattaran

Comandante

L’uomo dei modellini: intrepido timoniere dell’Arcadia, incline al gioco e allo scherzo ma pronto a tornare serio quando il gioco si fa duro. Peccato nella Saga sia solo una copia sbiadita.

Il comandante di una pattuglia spaziale che incrocia Tochiro ed Emeraldas nel primo episodio. L’intera pattuglia è femminile, un omaggio alle sempre rimpiante Mazoniane.

Serie OVA: Harlock Saga

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Serie OVA

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ANIME

SPACE PIRATE CAPTAIN HERLOCK

The Endless Odyssey Outside Legend

(Space Pirate Captain Herlock - The Endless Odyssey - Rintaro e R. Matsumoto, 2002) di Massimo “DeFa” De Faveri

“Q

uando vago da sola in questo sconfinato spazio, vengo assalita dall’indescrivibile paura che il vuoto possa inghiottirmi interamente. Soltanto chi fuggì nello spazio rifiutando il sistema che era venuto a costituirsi la conosce. È trascorso molto tempo, e l’unico vero uomo in grado di sopportare un simile vuoto è ormai scomparso.” Con queste parole, poco prima di finire catturata al comando dell’ultima nave pirata ancora in attività, l’affascinante Yuki Kei ricorda l’uomo che per anni aveva sfidato l’oppressivo e iniquo ordine costituito, ergendosi a vessillo di un’esistenza fiera, libera da ogni condizionamento: il suo nome è Capitan Herlock, di lui si sono perse le tracce da molto tempo. L’annuncio dell’arresto di Yuki è destinato così a spegnere le ultime fievoli braci della pirateria spaziale; le leggendarie imprese compiute da Herlock a bordo della sua astronave Arcadia sono un ricordo rimasto vivo solo nell’animo di nostalgici ex pirati, sbiadito invece nella memoria dei più. Sembra essere questo il momento del definitivo trionfo per il “Dipartimento per la Preservazione della Quiete Spaziale”, le cui galere − il satellite carcerario Panopticon − “ospitano” miseramente i resti di un’epopea ormai giunta al tramonto: criminali,

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ANIME

Storia originale: Reiji Matsumoto Regia generale: Rintaro Regia episodi: Katsuyuki Kodera (#1, 2, 4, 8), Yasuhito Kikuchi (#3, 5), Koji Kikuchi (#6), Hiroyuki Tanaka (#7, 9, 12), Shingo Kaneko (#10), Takuji Endo (#11), Rintaro #13) Sceneggiatura: Sadayuki Murai Storyboard: Rintaro (#1, 10, 13), Toshio Hirata (#2, 6, 9, 10, 12), Gisaburo Sugii (#3), Katsuyuki Kodera (#4, 5), Masayuki Kojima (#7, 8), Yoshiaki Kawajiri (#11) Character design: Nobuteru Yuuki (generale), Akiko Asaki, Katsuya Yamada, Shuichi Shimamura, Takao Abo (episodi) Direzione dell’animazione personaggi: Nobuteru Yuuki Direzione dell’animazione: Nobuteru Yuuki (#1, 2), Shuichi Shinamura (#3, 6, 11), Takao Abo (#4, 8), Norimoto Tokura (#5), Katsuya Yamada (#7, 9, 13), Akiko Asaki (#10, 12) Mechanichal design: Masami Ozone, Katsuya Yamada Direzione animazioni mecha: Masami Ozone Art director: Hisashi Ikeda Direzione fotografia: Hitoshi Yamaguchi Capo CG design: Takaharu Ozaki

Scheda

Titolo originale: “Space Pirate Captain Herlock - The Endless Odyssey” Anno: 2002 - Episodi: 13

CG design: Noriko Furiya Layout design: Masami Ozone (#2), Norimoto Takura (#3, 6, 13), Futoshi Fujikawa (#4, 8, 10, 11), Masaki Endo (#7, 9, 12), Noriko Tokura (#11) Art design generale: Hidetoshi Kaneko Art design: Katsuya Yamada, Masami Ozone, Noriko Tokura Montaggio: Hiroyuki Kasahara Supervisione delle animazioni: Akiko Oshima, Sakiko Watanabe Scelta colori: Takao Suzuki Controllo colorazioni: Satoko Shiho, Takahiro Mogi (assistente) Direzione del suono: Masafumi Miya Effetti sonori: Shizuo Kurahashi (Sound Box) Tecnico del suono, effetti sonori: Shin Sumiya (Tokyo TV Center) Musiche: Tadayuki Hattori Sigla di apertura: “The Endless Odyssey” Sigla di chiusura: “Nameless Lonely Blue”, eseguita da Tia (Vap) Produzione delle musiche: Korefumi Seki, in collaborazione con Be Stack Produttori esecutivi: Masao Maruyama, Mitsuru Oshima Produttori: Manabu Tamura, Satoki Toyaota Collaborazione alla produzione: Kobunsha Coordinatori di produzione: Hideki Takamura, Hitoshi Simura, Kosuke Miki Produzione animazioni: Mad House Produzione: NTV, Vap Video

ribelli, pirati, ivi compresa gran parte dell’ex ciurma dell’Arcadia. Tuttavia, estirpata un’erbaccia, subito ne spunta un’altra. Un misterioso avvertimento, trasmesso da una fonte sconosciuta localizzata presso il pianeta Cumulo di Rifiuti, raggiunge il Primo Osservatorio di Panopticon. Il messaggio recita: “Il demone dello spazio profondo è tornato in vita. Gli esseri umani hanno toccato qualcosa che non avrebbero mai dovuto toccare! La Terra è in pericolo.” La Terra… un pianeta abitato solo da vecchi e malati, che ha perso da tempo ogni importanza rispetto ai mondi di nuova colonizzazione. Eppure l’allarme si dimostra veritiero: all’improv-

viso, inspiegabilmente, la Terra svanisce nel nulla! Le registrazioni indicano che è stata colpita da un misterioso raggio di energia, emesso da una nave spaziale identificata come la Fata Morgana, un relitto in disuso rubato dai depositi governativi. Fatto ancor più inquietante: i cadaveri di quattro ricercatori che, alcuni anni prima, a bordo di quella stessa nave, avevano trovato la morte in circostanze non chiare durante una spedizione scientifica, si sono incredibilmente rianimati, fuggendo via. Come se non bastasse, gira voce che Capitan Herlock si sia rifatto vivo proprio su Cumulo di Rifiuti, e che stia cercando di arruolare un nuovo equipaggio. In concomitanza, sempre su quel pianeta, viene assas-

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Serie OVA ANIME

sinato il professor Daiba, il quinto scienziato e unico superstite del team di ricerca perito a bordo della Fata Morgana. Al direttore del Dipartimento, Irita, spetta dunque un duplice gravoso incarico: catturare Herlock e scoprire quale mistero si celi dietro la sparizione della Terra. Commento Nel 2002, a ventiquattro anni di distanza dalla prima apparizione televisiva di Capitan Harlock, da lui diretta, RINTARO si cimenta nuovamente nella regia del celebre pirata spaziale, in questa serie OVA di 13 episodi che storpia una vocale al nome del personaggio ma riesce a restituirgli quel fascino cupo che le rivisitazioni precedenti, poco attinenti all’originale (come Capitan Harlock SSX) o del tutto sconclusionate (come Harlock Saga), avevano decisamente appannato. Ancora una volta ci troviamo di fronte a una versione alternativa: in questo caso, più propriamente, a una libera interpretazione da parte di Rintaro del manga originale di REIjI MATSUmOTO, come lo stesso Matsumoto ha tenuto a precisare nella dedica che precede la sigla degli episodi. Diversamente dalle altre rivisitazioni, però, Endless Odyssey, pur variando l’am-

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bientazione, recupera un’atmosfera consona al personaggio di Harlock prima maniera, riproponendoci finalmente il pirata come lo ricordavamo nella storica serie del 1978: un eroe solitario e disadattato, simbolo indomabile di un concetto di “libertà” che quasi sconfina in quello di “anarchia”. Rispetto alla prima serie, il contesto vira decisamente verso l’horror, presentandoci un’umanità minacciata non più dalle algide eppur seducenti Mazoniane ma niente meno che dall’essenza stessa del Male, un’entità primigenia chiamata Noo (con pronuncia “nuu”), la cui nascita addirittura precede il primissimo istante di vita dell’universo. Questo nuovo e terrorizzante nemico si serve della paura connaturata nell’animo umano come chiave per assumere il controllo delle menti; è facile intuire quanto il tema della “libertà”, caratteristico in tutte le versioni di Capitan Harlock, qui venga perfino sublimato e assuma contorni metafisici: Noo contro Herlock, ovvero la paura − la più grande catena tra tutte quelle che imprigionano l’uomo − e la riduzione in schiavitù contrapposti alla speranza e alla più distillata personificazione di ciò che chiamasi libero arbitrio, ossia l’uomo-artefice-del-proprio-destino per antonomasia. Complici di Rintaro nel ridare lustro in modo così fedele al mito del pirata spaziale sono lo sceneggiatore SADAYUkI MURAI, che contribuisce a tratteggiare situazioni cariche di magnetismo e tensione, e TAkAYUkI HATTORI, con le sue suggestioni musicali che spaziano dall’epica al blues. Spettacolare anche l’apporto di NObUTERU YUkI, il cui character design preserva la linea grafica definita da KAZUO KOmATSUbARA nella prima serie, attualizzando senza stravolgerlo lo stile di Matsumoto: il risultato è stupendo. Oltre al Capitano più autentico, in The Endless Odyssey ritroviamo infatti tutti i protagonisti del 1978, modernizzati nel carattere e nel disegno ma perfettamente sovrapponibili agli originali: Mime (Met), eterea e misteriosa come la si sarebbe sempre voluta vedere; l’affascinante Yuki, ora divenuta comandante d’astronave e sensuale più che mai; il serafico e geniale Yattaran, qui primo ufficiale dell’Arcadia e capo dei detenuti di Panopticon; il saggio dottor Zero, che aggiunge alle sue competenze mediche una parentesi da

Serie OVA: The Endless Odyssey


ANIME gestore di un bar; la lunatica Masu e l’ingegnere capo Maji, quest’ultimo sempre più caricaturale come alterego di Matsumoto; il professor Daiba, il cui assassinio questa volta avverrà per mano di qualcuno decisamente “al di sopra di ogni sospetto”; il Primo Ministro, arrivista e irritante come al solito, lui e la sua inseparabile mazza da golf; e infine Tadashi, se possibile ancor più ribelle di come lo ricordavamo. Compare perfino Mayu, in un cameo. L’unico a mancare all’appello è il Consigliere Kirita, ma si fa solo per dire, dal momento che a sostituirlo è un personaggio a lui molto simile, sia nelle mansioni che nel nome: il direttore Irita, capo dell’organismo militare che presiede alla sicurezza della navigazione spaziale. Per quanto riguarda l’entità che in questa serie ha il non facile compito di rimpiazzare Raflesia e le sue Mazoniane, viene raffigurata tramite i quattro scienziati-cadaveri da essa posseduti; non solo il numero ma anche la sostanza richiamano in modo quasi manifesto i quattro demoni della serie Berserk, anch’essi espressione lovecraftiana di un Male primordiale e ineluttabile che governa il Destino degli uomini e riduce il loro libero arbitrio a una mera illusione. Il professor Daiba descrive con molta efficacia la natura di Noo: “Diavoli, dei del peccato, demoni, spiriti maligni: anche se con nomi e sembianze differenti, esseri così sono presenti nell’immaginario di ogni civiltà. Rappresentazioni del dominatore dello spazio, che risalgono a un passato ormai lontanissimo.” La mancanza di un nemico inquadrabile nella classica forza di invasione aliena toglie un po’ di spazio a un altro degli aspetti caratteristici delle opere su Harlock, quello delle battaglie spaziali. Le torrette dell’Arcadia hanno in effetti poche occasioni per rendersi protagoniste, e i combattimenti veri e propri si limitano a quelli ingaggiati tra loro dai vascelli della flotta terrestre, nelle colonie colpite dalla follia paranoide indotta da Noo. Alle scene dentro e fuori le astronavi si affianca comunque una gran varietà di ambientazioni: vicoli notturni e mal frequentati nelle metropoli tecnologiche, locande dal sapore western in assolati e polverosi luoghi di frontiera, biblioteche olografiche, allucinazioni kafkiane, discariche “archeologiche”… Queste atmosfere sono il vero punto di forza di The Endless Odyssey, diversamente dalla trama che invece denuncia qualche limite. In particolare, non è del tutto convincente il modo con cui si è tentato di integrare contenuti fantastici in quella che, per ragioni strutturali, avrebbe funzionato meglio come opera di

pura Fantascienza. Il risultato è l’inserimento di una fila di ostiche spiegazioni “scientifiche” delle quali, a meno di non riascoltarle più volte, si stenta a distinguere il capo e la coda. Scomodare il Tempo di Planck e il Gatto di Schrödinger per spiegare le dinamiche esistenziali di Noo è più un esercizio di retorica che di dialettica. Non ci si trova, naturalmente, ai pessimi livelli di Harlock Saga, dove l’intero piano di lavoro aveva poggiato su fondamenta narrative incoerenti, ma resta comunque l’impressione che, relativamente a questo aspetto dell’opera, si sarebbe potuto fare di meglio. Conseguenza diretta di questo difetto è un fisiologico cedimento di credibilità nel finale, quando, entrati nella dimensione di Noo, da un contesto inizialmente onirico costruito su mirate citazioni (dalla Divina Commedia alle leggende giapponesi), si scivola poi in una sorta di brutta copia del “nexus” (Star Trek: Generazioni). Entra in scena infatti un redivivo − o “redimorto” − Tochiro, il quale, nella sua casetta ovoidale uscita dal “Giardino delle Delizie” di Bosch, attrezzato di tutto punto neanche si trovasse in villeggiatura anziché nell’aldilà, realizza un proiettile a “matrice di densità” con cui riesce a liberare la Terra dall’universo parallelo facendo leva sul suo “spin immaginario instabile”. Traduzione: spara un colpo di pistola in aria e il pianeta azzurro magicamente − non si può certo dire “scientificamente” − ricompare. L’infelice chiusura non cancella comunque i pregi di quest’opera, che merita un elogio per il suo impatto visivo. Sono numerose anche le sequenze concepite in omaggio alla serie del 1978, spesso vere e proprie scene remake, altre volte semplici − ma evidentissimi − richiami; tra questi ultimi è possibile citare per esempio la piramide sulla Luna, che ricalca quella di fattura mazoniana scoperta sul fondo dell’oceano nell’originale Capitan Harlock, o la pietosa uccisione del cammello nel deserto, sequenza che, seppure in circostanze differenti, compare sia nell’OVA (episodio 2) che nella serie classica (episodio 14). Queste deliberate corrispondenze rappresentano bene la misura della serie, che ha voluto proporre una storia diversa rispetto ai canoni di Matsumoto, ma facendo attenzione a preservare l’essenza dei personaggi originali. Non si può dire che The Endless Odyssey rispetti la continuity di Capitan Harlock, − del resto nessuno dei sequel l’ha mai fatto − ma è certamente la migliore rivisitazione tra tutte quelle finora realizzate. n Massimo De Faveri

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Serie OVA ANIME

Episodi #01. Il blues del Cumulo di Rifiuti

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uki Kei, l’ultima dei membri ancora in libertà dell’ex equipaggio dell’astronave fuorilegge Arcadia è stata catturata dal “Dipartimento per la preservazione della quiete spaziale”: l’era dei pirati è definitivamente volta al termine. Nel frattempo, proveniente dal pianeta Cumulo di Rifiuti, un inquietante messaggio compare sugli schermi del Primo Osservatorio di Panopticon: “il demone dello spazio profondo è tornato in vita; gli esseri umani hanno toccato qualcosa che non avrebbero mai dovuto toccare: la Terra è in pericolo”.

#02. Per chi dorme l’amico

I

l leggendario predone spaziale Capitan Herlock è ricomparso: pare che qualcuno l’abbia visto entrare in un anonimo bar nel pianeta Cumulo di Rifiuti. L’incaricato delle indagini, Onizuka, torchiando senza tanti complimenti i testimoni del fatto, è riuscito a farsi rivelare il luogo presso il quale il fuorilegge ha dato appuntamento ai nuovi aspiranti pirati che hanno chiesto di unirsi a lui. Il Capitano attende qualcuno in particolare: il giovane Tadashi Daiba, figlio del professor Daiba morto per mano di ignoti assassini la notte precedente.

#03. La voce che grida Noo da lontano

L

a Terra non c’è più! Improvvisamente la sua immagine è sparita da ogni trasmissione warp. Nessun segno di catastrofe cosmica, nessun malfunzionamento delle strumentazioni: il pianeta è semplicemente... scomparso nel nulla! Il direttore del satellite penitenziario di Panopticon, Irita, viene incaricato dal Primo Ministro di dirigersi urgentemente nel Sistema Solare per far luce sull’incredibile mistero, ed è costretto pertanto ad affidare al suo sottoposto l’operazione già pianificata per catturare Capitan Herlock.

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Serie OVA: The Endless Odyssey


ANIME #04. La scommessa dei 30 secondi di Yattaran

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el satellite prigione di Panopticon la trappola per la cattura di Capitan Herlock è pronta: tutti gli ex membri dell’equipaggio dell’Arcadia sono stati condannati a morte, e l’esecuzione è stata fissata per le prossime ore. Si attende dunque che il pirata spaziale raccolga la sfida e tenti di liberare i suoi compagni. Intanto, giunto nel Sistema Solare alla caccia della Fata Morgana, l’astronave presunta responsabile della sparizione della Terra, il direttore Irita scopre che tutte le colonie del sistema sono insorte le une contro le altre.

#05. Il campo di battaglia sul pianeta della lapide

I

l raid di Capitan Herlock ha avuto successo: i compagni sono stati liberati e ora l’Arcadia dispone nuovamente di un equipaggio. Tadashi tuttavia fatica a integrarsi col resto della ciurma, che ai suoi occhi appare indisciplinata e lavativa. Mentre l’Arcadia è in rotta verso un Sistema Solare che appare sempre più in preda a una sorta di follia collettiva, la flotta comandata dal direttore Irita ingaggia la sua prima battaglia contro la Fata Morgana, nei pressi del pianeta Plutone. La pazzia, però, s’impossessa anche del suo equipaggio...

# 06. Un sorriso gentile sul teschio del ricordo

L

a flotta del direttore Irita è stata annientata; la Fata Morgana, dotata di incredibili capacità rigenerative, non ha subito alcun danno. Raggiunto il teatro dello scontro, l’Arcadia si ritrova avvolta in uno scenario di distruzione, in mezzo a relitti di ogni genere, bersagliata dalle bordate delle poche unità ancora in grado di combattere ma il cui equipaggio ha perso totalmente la ragione. Con l’arrivo di Capitan Herlock, le quattro sub-entità dell’essere chiamato Noo presumono di poter avere un nuovo giocattolo con cui divertirsi...

# 07. La luna aspetta nel luogo della promessa

I

l direttore Irita è l’unico superstite della flotta terrestre; mentre vaga per lo spazio dopo aver fallito il suo velleitario attacco a Capitan Herlock, viene fortunosamente avvistato e raccolto dalla camionista spaziale Tomiko. Intanto l’Arcadia giunge in vista della Luna. Il satellite è ancora al proprio “posto”, nonostante la Terra sia scomparsa e con essa l’attrazione gravitazionale che determinava l’orbita lunare. Improvvisamente, una voce misteriosa echeggia nella plancia della nave, invitando i pirati a sbarcare sulla Luna.

#08. Il castello maligno del Pianeta degli Estinti

D

opo il grave ferimento di Yuki, gli invasati catturano Tadashi e, poco più tardi, anche Maji, l’ex macchinista dell’Arcadia che si era stabilito sul pianeta minerario lavorando come capo cantiere. A bordo dell’astronave, il dottor Zero fa del suo meglio per rianimare Yuki; la ferita viene curata, ma la ragazza rimane in stato di coma. Hassan-Noo, intanto, sfida Herlock ad affrontarlo. Mentre ciò accade, il direttore Irita, ancora ospite nel camion spaziale di Tomiko, si dirige verso Neo Terra, un pianeta ai limiti del territorio colonizzato.

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Serie OVA ANIME #09. Amico mio, alla fine dei meandri oscuri dell’anima

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assan-Noo affronta Capitan Herlock ma, come già accaduto a Leni-Noo, non riesce a instillare la paura nel cuore dell’umano e anzi subisce la sua incrollabile determinazione, restandone distrutto. Dopo aver dato pietosamente la morte a quel che resta di Tokematsu, il minatore rimasto vittima di Noo e trasformato in un mostro orribile, Capitan Herlock, Maji e Tadashi rientrano sull’Arcadia. Ora che anche il capo ingegnere e Masu sono a bordo, il vecchio e glorioso equipaggio pirata è finalmente tornato al completo.

#10. Kei-illusione

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entre Yuki è in coma e la sua coscienza è imprigionata insieme alla Terra nella dimensione di Noo, l’entità Paek-Noo abbandona il corpo del defunto professor Paek e s’impossessa di quello della ragazza, usandolo per aggredire l’equipaggio e tentare di far esplodere l’Arcadia. Nella dimensione di Noo, la vera Yuki incontra le anime dei quattro archeologi del team del professor Daiba, coloro che a bordo della Fata Morgana ��������� si erano spinti ������� fino alla Nebulosa Clessidra alla ricerca delle origini di un’antica civiltà.

#11. L’Universo che trema

L

’Arcadia è in viaggio alla volta della Nebulosa Clessidra, all’inseguimento della Fata Morgana, quando improvvisamente, sul ponte di comando, davanti a Capitan Herlock e al resto del personale, compare l’immagine spettrale di Hiltz-Noo, l’ultimo rimasto dei corpi dei quattro archeologi posseduti da Noo. L’entità, stupita del fatto che Herlock sia finora risultato immune al senso di terrore da essa indotto per asservire e rendere folli gli esseri umani, è apparsa con l’intento di sfidare il pirata a un duello da tenersi sul pianeta Neo Terra.

#12. L’anima va alla deriva agli estremi confini, senza alcuna parola d’addio

D

al sottosuolo del sito megalitico su Neo Terra emerge un colossale manufatto alieno, il “distruttore di civiltà”, costruito in un remoto passato dai servi di Noo; la sua presenza genera delle onde di disturbo capaci di mettere fuori uso il computer dell’Arcadia. Mentre l’astronave pirata si trova inoltre bloccata all’interno di un enorme crepaccio, il direttore Irita decide di lanciarsi a bordo di un caccia in un attacco suicida contro la Fata Morgana.

#13. ...Confini

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imasto solo a bordo dopo aver sbarcato l’equipaggio, Capitan Herlock ha volontariamente esposto l’Arcadia agli effetti del cannone a matrice di densità della Fata Morgana, per poter essere trasferito nella dimensione che tuttora imprigiona la Terra. In questa sorta di Aldilà, dove dimorano le anime dei defunti, il pirata si mette alla ricerca del suo vecchio amico Tochiro. Solo il genio del formidabile ingegnere progettista dell’Arcadia, infatti, è in grado di costruire un congegno che possa liberare il pianeta dalla sua surreale prigione.

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Serie OVA: The Endless Odyssey


ANIME Capitan Herlock

Tadashi Daiba

Pirata spaziale divenuto leggendario. Assente da lungo tempo, riappare per mantenere una promessa fatta al professor Daiba.

Il figlio scapestrato del professor Daiba. Dopo la morte del padre, decide di arruolarsi nella ciurma di Capitan Herlock per poterlo vendicare.

Yuki Kei

Professor Daiba

L’ultima dei fuorilegge dell’Arcadia rimasta in libertà. Al comando dell’astronave Fluorite, emula le gesta piratesche di Capitan Herlock.

L’unico superstite di una spedizione archeologica in cerca delle origini della civiltà ma imbattutasi in una creatura primigenia e malvagia.

Mime

Yattaran

Affascinante creatura aliena che si nutre di alcol. Ha votato la propria vita a Capitan Herlock, divenendone amica fedele e inseparabile.

Primo ufficiale dell’Arcadia, capo dei detenuti di Panopticon, provetto ingegnere e appassionato di modellismo. è lui a scoprire la natura di Noo.

Yukihiko Irita

Yasu e Sabu

Ufficiale direttore dell’osservatorio di Panopticon e uomo di fiducia del Primo Ministro. A lui è affidata la lotta contro la pirateria spaziale.

Pirati della Fluorite, leali seguaci della “signorina” Yuki, e in seguito membri della ciurma di Herlock.

Dottor Zero

Masu

Medico di bordo dell’Arcadia, e ora gestore, sul pianeta Cumulo di Rifiuti, di un bar che porta lo stesso nome della gloriosa astronave.

La bellicosa cuoca dell’Arcadia, ritiratasi su un pianeta minerario dove ha aperto una locanda, prima di tornare a bordo della nave pirata.

Namino Shizuka

Maji

è un’intelligenza artificiale, segretaria personale del professor Daiba. Vive “virtualmente” nell’Accademia del Sapere Universale.

Ex capo macchinista dell’Arcadia. Vive sullo stesso pianeta di Masu, dove si guadagna da vivere come responsabile di cantiere in una miniera.

Ufficiale di Panopticon Vicecomandante dell’Osservatorio di Panopticon. Quando il direttore Irita è costretto a occuparsi di Noo, delega a lui la cattura di Herlock .

Sorelle aliene Sono la Regina delle Rovine e la Principessa della Luna; assistono Herlock nella lotta contro Noo.

Tomiko e Ichiro

Tochiro Oyama

Madre e figlio. Salvano il direttore Irita dopo la disastrosa battaglia contro la Fata Morgana.

Il defunto e geniale progettista costruttore dell’Arcadia, amico fraterno di Herlock. Il Capitano lo ritroverà nella dimensione di Noo.

I quattro fisici archeologi: Hiltz, Leni, Paek e Hassan Il team di scienziati, di cui faceva parte il professor Daiba, inviato nella Nebulosa Clessidra a studiare le origini di un’antica civiltà. Durante la missione, provocano senza volerlo il risveglio di Noo.

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Cinema

Cinema

ANIME

GLI ALLEGRI PIRATI dell’ISOLA del TESORO (Doubutsu Takarajima - H. Ikeda, 1971) di Davide Mana

C

aratteristica fondamentale della produzione cinematografica di HAYAO MIYAZAkI – l’ormai universalmente riconosciuto maestro dell’animazione nipponica – è certamente la levità. I film dell’autore giapponese sono caratterizzati da una leggerezza inarrivabile, leggerezza intesa non come superficialità o mancanza di contenuti, ma come stato etereo. Lievissime sono le storie, che rimangono meravigliosamente delicate anche quando virano al melodrammatico; lievissima è l’azione, coreografata come un balletto o un’esibizione di nuoto sincronizzato; lievissima è l’animazione, fluida, senza strappi, senza forzature. Questi elementi stilistici compaiono in Doubutsu Takarajima (letteralmente “L’isola del tesoro degli animali”, in italiano Gli allegri pirati dell’Isola del Tesoro), il film del 1971 diretto da HIROShI IkEDA e prodotto da HIROShI OkAWA in occasione del ventesimo anniversario della TOeI ANImATION; la cosa non deve sorprendere, dal momento che l’allora trentenne Miyazaki figura come designer principale di personaggi e scenari, storyboarder e animatore. Alcune fonti lo segnalano pure come consulente per la sceneggiatura, probabilmente nel ruolo di “script doctor” già rivestito in casa Toei fin dal 1965. La storia è molto liberamente ispirata al romanzo di RObERT LOUIS STEVENSON: in un mondo nel quale esseri umani e animali antropomorfi coesistono, il giovane Jim lavora nella locanda Bembo. Venuto in possesso di una mappa del tesoro appartenuta al pirata Flint, il ragazzo, in compagnia del suo amico Gran (un topo miope), rimane invischiato in un’avventura che lo vedrà in rotta verso l’Isola del Tesoro, al fianco della nipote dello stesso Flint, a bordo della nave del pirata Capitan Uncino (un maiale). Dopo una buona dose di avventure, inseguimenti, naufragi, doppi giochi e duel-

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Cinema: Gli Allegri Pirati dell’Isola del Tesoro


ANIME

Regia: Hiroshi Ikeda Script: Hiroshi Ikeda, Takashi Iijima Liberamente ispirato al romanzo: L’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson Direzione artistica: Isamu Dota Direzione animazioni: Yasuji Mori

Consulenza generale e scene design: Hayao Miyazaki Animazione: Akemi Ota, Hayao Miyazaki, Katsunari Oda, Koichi Tsunoda, Michihiro Kaneyama, Norio Hikone, Reiko Okuyama, Shigeo Matoba, Takao Kanishi, Takashi Abe, Takuo Kikuchi, Tatsuji Kino, Youichi Otabe Musica: Naozumi Yamamoto Produttore esecutivo: Hiroshi Okawa Produzione: Toei Company

li, l’equipaggio pirata di Uncino si ravvede, il bieco Capitano viene punito e i ragazzi recuperano il tesoro. I nomi dei personaggi e dei luoghi, oltre alla famosa scena del barile di mele, sono in effetti gli unici riferimenti diretti al romanzo originale. Il resto è intrattenimento puro, calibrato per un pubblico dai cinque ai dieci anni, per quanto la pellicola sia comunque abbastanza breve (settantotto minuti) e incisiva da non tediare un pubblico più “adulto” e sofisticato. Se i richiami a Stevenson scarseggiano, molti sono invece, come si accennava, gli elementi distintivi del “tocco” di Miyazaki che compaiono nel film, sebbene in forma embrionale. A parte la levità stilistica – appena smussata dalla regia di Ikeda – è impossibile non riconoscere nella volitiva Kathy Flint, coi suoi corti capelli rosso-castani e la sua tunichetta blu, il prototipo di tutte le protagoniste femminili di Miyazaki per trent’anni a venire; così come, dal canto suo, Uncino richiama per morfologia e colori il molto più tardo Porco Rosso. Il sorcio miope

Scheda

Titolo originale: “Doubutsu Takarajima” どうぶつ宝島 Anno: 1971 (20 marzo) Durata: 78 minuti

Gran è certamente un parente benestante del più smagrito topastro che accompagna il protagonista in Alì Baba e i 40 Ladroni, sempre del 1971, e il meccanismo finale che elimina il cattivo e disvela il nascondiglio del tesoro verrà riproposto ne Il Castello di Cagliostro. La sequenza dei titoli di testa, con gli animali che ballano, sarà ripresa – su un ritmo di marcetta quasi identico – per i titoli di testa di Tonari no Totoro. Pur non mancando di utilizzare tutti i trucchi del mestiere per rendere la storia avvincente impiegando il minimo di risorse, Gli allegri pirati dell’Isola del

Cinema: Gli Allegri Pirati dell’Isola del Tesoro

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Cinema ANIME Jim

Capitan Uncino (Silver)

Coraggioso ragazzino amante dell’avventura, nelle cui mani capita per caso la mappa del favoloso tesoro nascosto dal pirata Flint. Kathy

Gran

La nipote del pirata Flint; dopo una iniziale diffidenza, si allea con Jim per tenere a bada i perfidi pirati che mirano a rubare la mappa del tesoro. Bubu

Il fedele topolino, inseparabile compagno di avventure di Jim. Grazie al suo prezioso aiuto, il nostro eroe riuscirà a evadere da una prigione. Otto

Dispettoso fratellino che Jim si ritrova suo malgrado appresso nella caccia al tesoro. Il suo divertimento preferito è stuzzicare Barone. Barone

Il più simpatico e bonario tra i pirati, l’unico che si schiera dalla parte di Jim. è particolarmente affezionato a Bubu, che tiene sempre con sé. Scimmia

L’astuto membro della ciurma di Uncino che per primo scopre la mappa in possesso di Jim. Riesce perfino a sottrargliela... ma non per molto. Ippopotamo e gorilla Gli altri pirati agli ordini di Uncino; prepotenti e opportunisti, alla fine preferiranno allearsi con Jim. Marinaio Il misterioso tizio che giunge una notte alla locanda Bembo, inseguito da loschi individui. è lui ad affidare a Jim la mappa del tesoro. Tesoro resta una pellicola di alto profilo; Miyazaki comunica all’intero progetto un carattere vagamente onirico, e la produzione non può che assecondare questa suggestione, a partire dagli sfondi, curati maniacalmente ma vagamente surreali proprio per sottolineare il carattere di “confine tra fantasia e realtà” dei luoghi in cui l’azione prende vita. La musica è sapientemente intonata ai ritmi delle vicende. Di particolare interesse è infine l’uso che viene fatto degli animali antropomorfi. Oltre all’ovvio appeal esercitato sul pubblico giovanile, un cast composto in larga parte da animali ha permesso a sceneggiatore e regista di comunicare, in maniera quasi stenografica, i caratteri dei personaggi secondari (il lupo col monocolo, il cuoco-tricheco e così via), rendendo la misce-

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Subdolo capitano dei pirati, disposto a tutto pur di mettere le mani sul favoloso tesoro di Flint; ma deve prima fare i conti con Jim.

Maligno compare di Uncino, è il solo a non passare con Jim quando le cose si metteranno male; ragion per cui non vedrà un quattrino. Cane Il cuoco dell’equipaggio pirata. Passerà un brutto quarto d’ora quando, confondendo i bicchieri, consegnerà a Uncino un drink al sonnifero. Mercante di Schiavi Gigantesco individuo al quale finiscono venduti Jim e Gram. Sarà nella sua prigione che i nostri eroi incontreranno l’indomita Kathy. la più ricca ed efficace senza dover “telefonare” certe caratteristiche tramite dialoghi o scene superflui. Una splendida dimostrazione di quanto Walt Disney abbia fatto scuola nel mondo. Discutibile forse il doppiaggio in italiano, che appiccica sui personaggi secondari delle voci con inflessioni dialettali “umoristiche” − in base alla vecchia e mai provata teoria che un personaggio comico sia più comico se ridicolizzato. Avventura ingenua ma non infantile ambientata in un mondo di buoni, Gli allegri pirati dell’Isola del Tesoro merita il titolo di classico per la maestria tecnica che dimostra, per la serietà e il rispetto con cui tratta il suo giovane pubblico, e per il puro divertimento che è in grado di offrire. n Davide Mana

Cinema: Gli Allegri Pirati dell’Isola del Tesoro


ANIME

U

n misterioso marinaio con una benda su un occhio e una gamba di legno giunge alla Bembo, la locanda che il giovane Jim gestisce assistito dal topo Gran. Nel frattempo, ombre furtive si aggirano tra i vicoli del porto, assassini in nero alle calcagna proprio del nuovo arrivato. Non ci mettono molto a scoprire dove lo straniero ha preso alloggio, e ad assaltare la locanda. Cercano la mappa di un favoloso tesoro, contenuta in un cofanetto che il marinaio decide di affidare a Jim.

P

artiti in cerca del tesoro a bordo di una “botte a vapore”, Jim, Gran e il piccolo Bubu vengono catturati dal bieco pirata Capitan Uncino e finiscono a prestare servizio con il resto della ciurma a bordo della sua nave. Raggiunta l’Isola dei Pirati, Jim e Gran vengono venduti a un mercante di schiavi, ma riescono a fuggire insieme a un’altra prigioniera, Kathy, che si rivela essere la nipote del pirata Flint, il proprietario del tesoro. Nel frattempo, il furbo pirata Barone si è impossessato della mappa.

K

athy stipula con Uncino una precaria alleanza per poter utilizzare la nave pirata nella caccia al tesoro. Grazie anche all’aiuto di Jim, la giovane riesce a rintuzzare i tentativi di tradimento del Capitano, che le prova tutte pur di sottrarre la mappa alla legittima proprietaria. La situazione precipita quando la nave subisce l’arrembaggio da parte di un secondo agguerrito vascello pirata. Uncino e soci se la cavano per il rotto della cuffia, ma subito dopo devono affrontare una furiosa tempesta.

G

iunti separatamente sull’isola dove Flint ha nascosto il tesoro, per i protagonisti è giunto il momento della resa dei conti. Mentre Uncino prosegue la caccia portandosi dietro Kathy prigioniera, la ciurma ingaggia con Jim, Gran e il pirata ravveduto Otto una furibonda sparatoria presso un piccolo forte. I fuorilegge, incalzati a colpi di cannone, finiscono per arrendersi, e Jim si precipita allora a salvare Kathy, impegnando Capitan Uncino in un duello serrato sul ciglio di un vulcano.

P

er salvare Jim, Kathy rivela a Uncino il segreto per riportare alla luce il tesoro, ma un’ultima trappola predisposta da Flint coglie il pirata impreparato: l’acqua che colma il cratere del vulcano spazza via lui e la sua scimmia aiutante. Una volta svuotato, il cratere svela ai nostri eroi le ricchezze che custodisce. Kathy e Jim possono allora arraffare il tesoro e, con gli allegri pirati ora al loro servizio, salpare per altri lidi. Al beffato Uncino non resta altro da fare che inseguirli a cavallo di un barile!

Cinema: Gli Allegri Pirati dell’Isola del Tesoro

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Serie TV

Serie TV

ANIME

L’ISOLA DEL TESORO (Takarajima - O. Dezaki, 1978) di Diego Altobelli

J

im Hawkins, orfano di padre, vive con la madre e il suo fidato cucciolo di leopardo Benbow nella Admiral Benbow Inn, locanda per marinai e viaggiatori che egli aiuta con entusiasmo e buona volontà a gestire. La vita per lui procede tranquilla, tra le varie faccende domestiche, ma una sera un enigmatico figuro, un pirata di nome Billy Bones, si presenta alla porta della locanda trascinando con sé un misterioso forziere e tanti sospetti. Malgrado la diffidenza iniziale, il piccolo Jim stringe con Billy un rapporto di fiducia, venendo col tempo a conoscenza dei segreti dell’uomo: Billy Bones sta scappando da un pirata con una gamba sola che vuole impossessarsi della mappa di un tesoro sigillata nel forziere. Quando il fuggiasco, braccato dai seguaci del misterioso bucaniere, verrà ucciso, Jim si ritroverà tra le mani la chiave del forziere e la mappa in esso contenuta. È l’inizio del suo viaggio alla ricerca del leggendario tesoro appartenuto al pirata Flint. A seguirlo nella caccia vi sarà un manipolo di loschi figuri, un capitano coraggioso, due nobili inglesi e l’ambiguo cuoco Long John Silver, che cammina aiutandosi con una gruccia... Nel 1883 l’autore scozzese RObERT LOUIS STEVENSON scrisse quello che è divenuto uno dei più famosi classici della letteratura per ragazzi: L’Isola del Tesoro. Narrato in prima persona, dalla prosa attenta, descrittiva ma mai troppo prolissa, questo romanzo, con i suoi personaggi pirateschi e la sua natura epica e votata all’avventura, è certamente il più famoso mai scritto sui pirati. Anche grazie a una serie lunghissima di versioni cinematografiche – interpretate, tra gli altri, da attori del calibro di Orson Welles, Kirk Douglas, Danny De Vito, Christian Bale – il mito dell’isola del tesoro e del bottino che questa nasconde si è perpetuato nel tempo.

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Serie TV: L’Isola del Tesoro


ANIME

Scheda

Titolo originale: “Takarajima” 宝島 Anno: 1978 - Episodi: 26 Prima trasmissione: dall’8 ottobre 1978 al 1° aprile 1979

Direzione del suono: Etsuji Yamada Effetti sonori: Yozo Kataoka Dialoghi: Kazuyuki Honma Animazione delle sigle: Manabu Ohashi Musiche: Kentaro Haneda Dal romanzo di Roberto Louis Stevenson Sigle: Progetto: Akira Yoshikawa “Takarajima” (L’Isola del Tesoro) Regia: Osamu Dezaki “Chiisana Funanori” (Il poccolo marinaio) Script: Haruya Yamazaki, Yoshimi Shinozaki cantate da Yoshito Machida Regia episodi: Hideo Takayashiki, Yoshio con il coro Columbia Yurikago-kai Takeuchi musica di Kentaro Haneda Direzione animazione e character design: testi di Tokiko Kishitani Akio Sugino Animazione: Tokyo Movie Shinsha, Mad House Direzione artistica e fondali: Shichiro Responsabile di produzione: Shunzo Kato Kobayashi Produttori: Seiichi Gin’ya, Keishi Yamazaki Fotografia: Hirokata Takahashi Produzione: Tokyo Movie Shihsha co. Ltd Quasi cento anni dopo, nel 1978, OSAmU DEZAkI, lo stesso regista di fortunate serie animate quali Rocky Joe, Jenny la tennista e Lady Oscar, decise di trasporre il capolavoro di Stevenson in animazione confezionando – per conto della casa di produzione TMS, insieme agli sceneggiatori HARUYA YAmAZAkI e YOShImI ShINOZAkI, e contando sulla direzione artistica del grande AkIO SUGINO – una serie TV dall’identico titolo, L’Isola del Tesoro (Takarajima), che ripercorre il viaggio d’avventura del giovane Jim Hawkins e della sua combriccola di pirati. Leggendo il libro e guardando la serie ci si accorge subito che Osamu Dezaki decise di porsi su un piano diverso rispetto al romanzo, assumendo cioè un atteggiamento più nozionistico rispetto e approfondendo – persino inventando a tratti – il viaggio e gli incontri del piccolo Jim. Appare evidente così l’origine “animata” del cucciolo di leopardo Benbow che accompagna il protagonista – utilizzato per spezzare la drammaticità di talune situazioni –, come pure molti passaggi tra cui i più eclatanti sono sicuramente la tappa intermedia fatta dalla nave Hispaniola presso un porto delle “Indie Occidentali” nel corso del viaggio verso l’isola del tesoro e, soprattutto, l’enigma finale la cui risoluzione porta al ritrovamento dell’eredità del pirata Flint. Osamu Dezaki, insomma, tralasciando l’ipotesi di seguire pedissequamente lo scritto originale, scelse piuttosto di usarlo come traccia su cui poggiare le solide basi dei vari

capitoli che formano la serie, ventisei episodi che si possono suddividere in cinque blocchi narrativi evidenti: la preparazione al viaggio, la navigazione in mare e la conoscenza dell’equipaggio dell’Hispaniola, la permanenza sull’isola e nel fortino; la caccia vera e propria al tesoro di Flint, e infine il ritorno a casa con l’epilogo sui protagonisti. Malgrado ciò che si potrebbe pensare, tale suddivisione segue comunque l’ordine logico-narrativo del romanzo di Stevenson che, quindi, continua a dettare tacitamente i momenti più importanti della trama. Nonostante l’abilità con cui Osamu Dezaki cambi spesso il punto di vista – spostando per esempio l’attenzione dello spettatore da personaggi secondari come Billy Bones a oggetti come il famoso barile di mele –, a ben vedere tutte le parti che compongono l’opera animata sono collegate da un unico tema narrativo portante: il rapporto d’amicizia tra Jim e il pirata John Silver. Su questo argomento, che nel libro era in fondo

Serie TV: L’Isola del Tesoro

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Serie TV ANIME

appena accennato, Dezaki punta tutto, elevando il legame tra i due antagonisti – eternamente oscillante tra stima e rivalità – a messaggio universale di amicizia, rispetto e onore. Quello che l’autore fa è insomma trasformare il racconto della scoperta di un tesoro nel cuore di un’isola misteriosa in un romanzo di formazione con protagonisti due pirati senza tempo e senza età: Jim Hawkins e Long John Silver. A prova di questo vi è lo sguardo finale che l’uomo divenuto vecchio concede al bambino divenuto uomo, un’occhiata soddisfatta e malinconica rivolta al “domani” e alla libertà del vivere, che manifesta in pieno la poetica della serie. Non contento del gioiello narrativo, caratterizzato da una regia cinematografica fatta di campi lunghi, panoramiche e una suggestiva attenzione al corpo e alla mimica dei personaggi, Osamu Dezaki decise, anni

dopo, di tornare a parlare di quei due protagonisti, e lo fece sceneggiando e dirigendo un episodio conclusivo dal titolo Un uomo chiamato Bonaccia, pubblicato in Italia come “extra” de L’Isola del Tesoro nella versione home video, ma mai trasmesso in TV. La serie televisiva invece andò in onda trasmessa dalla RAI nel 1982, e replicata due volte nel 1983 e nel 1986, con la sigla iniziale in spirito piratesco cantata da Lino Toffolo. A oggi, L’isola del Tesoro rimane uno degli anime più riusciti, se non il più riuscito, nella storia d’animazione giapponese avente come scenario il mondo dei pirati. Un capolavoro da cui lo spettatore non può che rimanere affascinato. Magari accorgendosi di intonare soprappensiero il motivetto “Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto!”. n Diego Altobelli

Episodi #01. Billy il terribile

O

rfano di padre, il tredicenne Jim Hawkins vive con la madre Karen gestendo “L’Admiral Benbow”, una piccola locanda in un villaggio di mare. Un giorno si presenta a chiedere alloggio “il Capitano”, uno straniero dall’aria poco rassicurante che porta appresso come unico bagaglio un grosso forziere. Il cliente si dimostra subito molto scomodo: perennemente attaccato a una bottiglia di rum, ha la tendenza a ubriacarsi e a molestare gli altri avventori. Presto inizia a circolare il sospetto che si tratti di un pirata.

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Serie TV: L’Isola del Tesoro


ANIME #02. Chi è Black Dog?

I

l mistero intorno alla vera identità del Capitano e al fantomatico “uomo senza una gamba” da cui egli sembra in fuga si infittisce quando all’Admiral Benbow giunge un altro tizio poco raccomandabile, di nome Black Dog, in cerca proprio del nuovo ospite, o meglio di qualcosa contenuto nel suo forziere. Quando i due si ritrovano faccia a faccia, ne scaturisce un violento scontro che mette a dura prova il cuore del Capitano, indebolito dall’eccessivo consumo di alcol, tanto da richiedere l’immediato intervento da parte del dottor Livesey.

#03. Il marinaio con la gruccia

F

ermato per strada da un vecchio cieco, Jim si trova costretto a condurlo alla locanda. Il brutto ceffo si chiama Dark Pew, ed è stato incaricato di consegnare al Capitano il “cerchio nero”, un simbolo piratesco che sancisce la condanna a morte di un bucaniere da parte dei suoi compagni. La tensione, per il cuore malato, è troppa: il Capitano viene colto da un malore e spira tra le braccia di Jim. Prima di andarsene, però, ha il tempo di rivelare al ragazzo l’esistenza di un prezioso documento messo sotto chiave nel suo baule.

#04. La mappa del tesoro

C

apeggiati dai perfidi Dark Pew e Black Dog, i pirati irrompono all’Admiral Benbow e, scoperto il corpo senza vita del Capitano, mettono a soqquadro la locanda alla ricerca del misterioso documento. Nonostante gli abitanti del villaggio neghino a lui e a sua madre ogni aiuto, Jim non si perde d’animo e torna alla locanda pronto a difenderla a ogni costo. Quando la situazione sta per precipitare, i pirati vengono messi in fuga dall’arrivo improvviso dei soldati.

#05. Mamma, io partirò!

I

l misterioso documento gelosamente custodito da Billy Bones ha tutta l’aria di essere la mappa che conduce alle ricchezze nascoste del leggendario capitano Flint; ormai ne sono convinti anche il dottor Livesey e il signor Trelawney, che si stanno già occupando dei preparativi per allestire a Bristol una nave con la quale salpare alla volta dell’Isola del Tesoro. Jim è fermamente intenzionato a partecipare alla spedizione, ma prima sarà necessario convincere sua madre e lo stesso restio signor Trelawney.

#06. John Silver: amico o nemico?

I

l vascello a tre alberi Hispaniola è ormai pronto a salpare. Jim si reca quindi a Bristol, dove apprende che, per i vari preparativi della spedizione, Trelawney si è affidato all’assistenza di un taverniere locale, un certo John Silver, che parteciperà anch’egli al viaggio come cuoco. Il fatto che Silver abbia una gamba sola insospettisce però il ragazzo, che ha ancora ben presenti gli avvertimenti di Billy Bones. Jim allora decide di verificare di persona se il sedicente cuoco e terribile fuorilegge che terrorizzava il Capitano siano lo stesso uomo...

Serie TV: L’Isola del Tesoro

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Serie TV ANIME #07. John Silver amico di Jim

L

a Hispaniola ha levato l’ancora e l’avventuroso viaggio verso l’Isola del Tesoro ha avuto inizio. Jim è entusiasta, ma non si può dire lo stesso per il dottor Livesey e il signor Trelawney, che devono vedersela col mal di mare e con l’inflessibile capitano della nave, il signor Smollett. Intanto il rapporto di amicizia venutosi a creare tra Jim e Silver diventa sempre più saldo. Durante una bonaccia, i due approfittano per calare una scialuppa e andare a pesca, e sarà un’occasione per conoscersi meglio.

#08. La nave fantasma

D

i ritorno dalla pesca, Jim e Silver hanno la sorpresa di trovare il ponte della Hispaniola deserto: l’intero equipaggio è radunato fuori dalla cabina di Smollett, e sta assistendo a un tentativo di ammutinamento da parte del signor Arrow, il capitano in seconda. Con un’azione temeraria, Silver interviene e riesce a disarmare l’ufficiale, il quale viene comunque perdonato da Smollett. Quella sera stessa, tuttavia, Arrow rimane vittima di uno strano incidente, probabilmente causato dall’alcol. Ma non tutti la pensano così...

#09. I mercanti di schiavi

T

rascorso ormai un mese di navigazione, la Hispaniola fa sosta presso un porto per approvvigionarsi di viveri e acqua. Il compito di scendere a terra e acquistare le provviste viene affidato a Silver, accompagnato da Jim. L’affascinante dalla vitalità dei porti di mare, con i loro mercati e l’andirivieni di gente di ogni razza, nasconde anche molte insidie, e Jim se ne rende conto quando, persosi in mezzo alla confusione generata da un improvviso temporale, finisce nelle mani di un paio di spietati mercanti di schiavi.

#10. Un barile pieno di mele

M

esso sull’avviso da Papi, uno dei mozzi della nave, Jim viene a conoscenza di misteriosi raduni che coinvolgono nottetempo alcuni marinai. Convito che possa trattarsi del preludio a un ammutinamento, il ragazzo avverte subito Silver, e i due decidono insieme di indagare. La notte successiva, scoprono di nascosto che l’equipaggio è in realtà coinvolto in una innocua bisca clandestina dove si scommette sulle “corse” delle tartarughe. Jim si tranquillizza, finché casualmente non si trova ad assistere a una ben altra riunione...

#11. Cosa c’è di sospetto nell’Isola del Tesoro?

L

a Hispaniola giunge in vista dell’Isola del Tesoro proprio nell’attimo in cui Jim scopre il tradimento di Silver. Il ragazzo avverte prontamente il dottor Livesey, il signor Trelawney e il capitano Smollett; la situazione appare molto delicata: la maggior parte dell’equipaggio è stata ingaggiata su indicazioni dello stesso Silver, ed è presumibilmente in combutta col pirata. I soli marinai di cui Trelawney si può fidare sono quelli assunti da lui personalmente: il suo maggiordomo Redruth e i fratelli Hunter e Joyce.

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Serie TV: L’Isola del Tesoro


ANIME #12. Il fortino

S

barcato per spiare i pirati, Jim viene scoperto e costretto a una precipitosa fuga, durante la quale s’imbatte in Ben Gunn, un ex marinaio di Flint abbandonato sull’isola alcuni anni prima. Nel frattempo, a bordo della Hispaniola, Smollett espone ai compagni il suo piano d’azione, che prevede di attestarsi con munizioni e viveri presso un fortino indicato sulla mappa. Per far ciò, occorre prima far prigionieri i pirati rimasti sulla nave agli ordini di Hans. L’impresa pare fallire, ma inaspettatamente interviene il marinaio Gray...

#13. La campanella di Redruth

C

on estrema difficoltà, il gruppo comandato da Smollett riesce infine a barricarsi all’interno del fortino. Al “jolly roger”, la bandiera pirata che ormai fa mostra di sé sul pennone della Hispaniola, i nostri eroi rispondono facendo sventolare sul forte la “union jack” inglese, e mantenendola issata nonostante rappresenti un facile bersaglio per i cannoni del vascello. Calata la notte, Silver tenta di assaltare il fortino. L’attacco a sorpresa ha luogo durante il turno di guardia di Jim e Redruth.

#14. Amici, questa è la vita

N

onostante i ripetuti tentativi, Silver non è riuscito a espugnare il forte, e si trova ora a dover affrontare un ulteriore insidioso nemico contro il quale non c’è difesa: è la malaria, che ha già fatto ammalare tre dei suoi uomini. Il pirata decide allora di ricorrere a un trucco: non potendo trasportare i pesanti cannoni fino a uno scosceso dirupo alle spalle del forte, ne piazza al loro posto uno finto, con il quale cerca d’intimidire Smollett per indurlo alla resa. Non ha però fatto i conti con l’intraprendenza di Jim...

#15. Le condizioni di resa di Silver

G

li occupanti del fortino sono rimasti senz’acqua: Silver ha avvelenato il pozzo e sorveglia ora il fiume impedendo ogni rifornimento. Nel frattempo, il capitano Smollett, ferito da una pallottola il giorno precedente, necessita di essere operato con urgenza, e Gray suggerisce allora al dottor Livesey un metodo per farlo senza utilizzare l’acqua. L’intervento riesce, il capitano si riprende e poco dopo un insperato temporale ripristina le scorte idriche. Sul campo di Silver, al contrario, la situazione si aggrava: due degli ammalati muoiono.

#16. Jim diventa un uomo

U

sando le scialuppe per rimorchiarla, Silver ha fatto superare alla Hispaniola la barriera corallina, avvicinandola maggiormente all’isola. Dalla nuova posizione, il pirata è in grado di cannoneggiare con maggior efficacia il fortino. La situazione per il gruppo di Smollett si fa critica, e Jim ritiene che l’unico modo per salvare i compagni sia tagliare la corda dell’ancora della Hispaniola, in modo da mandare la nave alla deriva. Ma prima occorre raggiungerla, eludendo la guardia al forte e attraversando la baia infestata dagli squali.

Serie TV: L’Isola del Tesoro

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Serie TV ANIME #17. Non sono un bambino!

C

omplice una notte di nebbia fitta, il tentativo di sabotaggio da parte di Jim riesce, e la Hispaniola, senza più l’ancora, inizia a muoversi alla deriva. Il piano tuttavia funziona a metà, perché quasi subito la nave si incaglia. Nel frattempo, qualcosa di sinistro sta capitando ai quattro marinai rimasti a bordo, i quali, a causa del consumo di rum e suggestionati dalla notte tenebrosa, perdono la testa cominciando a uccidersi l’un l’altro. Bloccato sul vascello, Jim non può far altro che assistere impotente alla follia dei pirati.

#18. Hans, il redivivo

P

resagendo che qualcosa di strano si sta verificando sulla Hispaniola, Silver la raggiunge con una scialuppa; salito a bordo, scopre la strage. Nel frattempo scoppia una tempesta, e la nave, in completa balia delle onde, rischia di rovesciarsi da un momento all’altro. Jim e Silver, loro malgrado, devono unire le proprie forze per governare il vascello e per riparare le falle apertesi sullo scafo. Quando il peggio sembra passato, i due si ritrovano a dover affrontare Hans, ancora vivo ma ormai completamente folle.

#19. L’immortale Silver

L

a tempesta è finita, i marinai sono tutti morti e Silver è finito in mare. Jim, il solo rimasto a bordo della Hispaniola, porta la nave a incagliarsi lungo la costa dell’isola, poi si precipita a raggiungere i compagni. Arrivato al fortino, ha però la sgradita sorpresa di trovarlo nelle mani dei pirati: durante la sua assenza, il gruppo di Smollett ha negoziato una tregua, consegnando la mappa e arrendendosi. Preso prigioniero, Jim viene costretto a battersi in duello con George, uno degli ammutinati più pericolosi.

#20. I pirati si ribellano

I

nsofferenti della protezione che Silver continua a garantire a Jim, i pirati si ribellano al loro capo, istigati da George e Morgan. Ma la rivolta dura poco: dopo una notte trascorsa all’aperto, legato a una croce, Silver convince gli uomini a liberarlo. Intanto le condizioni di Anderson, il marinaio colpito da malaria, peggiorano, e Silver decide di mandare Jim a chiamare il dottor Livesey. Riunitosi ai compagni, il ragazzo viene a sapere che la mappa del tesoro consegnata ai pirati racchiude delle indicazioni scritte con inchiostro simpatico.

#21. Alla ricerca del tesoro

R

ipristinata la propria autorità e ottenuta finalmente la mappa, Silver inizia la ricerca del tesoro di Flint, spiati da lontano dal gruppo di Smollett, preoccupato per la sorte di Jim. Calata la notte, Grey decide di intrufolarsi nell’accampamento dei pirati per liberare il ragazzo, ma, scoperto da Silver e battuto in duello, fallisce nel suo proposito. Il giorno successivo, la ricerca del tesoro riprende; Silver e i suoi pirati giungono sul luogo esatto indicato sulla mappa, e iniziano a scavare...

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Serie TV: L’Isola del Tesoro


ANIME #22. Il forziere è vuoto!

A

ll’interno del forziere che avrebbe dovuto contenere il tesoro di Flint, i pirati rinvengono solo un teschio. Silver però non demorde, convinto che l’enigma dell’ubicazione del tesoro sia ancora da decifrare. Jim rifiuta di fornire le informazioni in suo possesso, ma il pirata riesce ugualmente a scoprire indicazioni utili interpretando un simbolo inciso sul teschio, che lo indirizza su un’isolotto al centro della baia. Quando gli ammutinati si rimettono in marcia, Jim approfitta di un attimo di distrazione e fugge.

#23. In una notte di luna piena...

F

erito da un colpo di fucile esploso da Morgan all’isolotto del teschio, Silver si salva grazie alle cure del dottor Livesey. Persi tutti i suoi uomini a eccezione di Papi, catturato come lui, il pirata è costretto a giungere a patti con i rivali. Trelawney e compagni, dal canto loro, hanno bisogno del suo aiuto per poter risolvere l’indovinello che Flint ha celato sulla mappa con l’inchiostro simpatico. In un’atmosfera di reciproco sospetto, Silver e il gruppo di Smollett riprendono dunque insieme la caccia al tesoro.

#24. La casa dello squalo

G

razie alle cure prestate dal dottor Livesey e da Jim, e al fiore di loto procurato da Papi, Silver si è quasi rimesso dalla ferita e dalla malaria. Mancando solo due giorni alla prossima luna piena menzionata nella mappa, il pirata suggerisce di formare due gruppi separati per accelerare la perlustrazione dell’isola in cerca di indizi utili a risolvere l’indovinello; Jim si unisce al gruppo formato dal pirata stesso, da Papi, da Hunter e da Grey. Silver inizia però a manifestare una certa insofferenza nei confronti di Grey, che lo controlla a vista...

#25. Saremo di nuovo amici?

T

rovato il favoloso tesoro di Flint, i nostri eroi ripartono sulla Hispaniola, abbandonando inconsapevolmente sull’isola Morgan e Abraham, gli unici due pirati superstiti, ai quali il destino in questo modo assegna la giusta punizione per le malefatte commesse. A bordo c’è ancora indecisione sul trattamento da riservare a Silver, che provvisoriamente viene rinchiuso nella stiva. Conscio del fatto che a Bristol lo attende la forca, il pirata sembra intanto aver perso tutto il suo spirito combattivo...

#26. Flint non sa più volare

L

a notizia del ritrovamento del tesoro di Flint si è già sparsa in tutta l’Inghilterra, e l’arrivo a Bristol della Hispaniola è accolto da una folla entusiasta. Il tesoro viene consegnato alla corona, e i nostri eroi ricevono un compenso di mille sterline a testa, oltre a un titolo nobiliare e a tutti gli onori del caso. Per Jim giunge poi l’agognato momento di far ritorno al villaggio natale e riabbracciare la madre. Dieci anni più tardi, il ragazzino è ormai diventato uomo, un forte marinaio il cui nome è conosciuto in tutti i porti del Regno...

Serie TV: L’Isola del Tesoro

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Serie TV ANIME Jim Hawkins

John Silver

Tredicenne orfano di padre, vive con la madre gestendo una locanda nel villaggio inglese di Black Hill. La mappa del tesoro ereditata dal pirata Bones lo coinvolgerà in mille avventure.

Dottor Livesey

Ex timoniere della ciurma del pirata Flint, formidabile combattente nonostante abbia perso una gamba. è un capo carismatico, ma privo di scrupoli; l’incontro con Jim però lo cambierà.

Capitano Smollett

Medico e giudice di Black Hill, per Jim rappresenta un saggio mentore. è un uomo equilibrato che, durante la caccia al tesoro, riesce a mantenere la calma anche nelle situazioni critiche.

Autoritario comandante della Hispaniola. Di carattere inflessibile ma onesto, non ha alcun interesse per il tesoro, e la sua unica preoccupazione è svolgere al meglio il ruolo di capitano.

Trelawney

Gray

Facoltoso e pingue signorotto amico di Livesey e di Jim. è lui a organizzare la spedizione all’Isola del Tesoro, impiegando i suoi quattrini per armare la Hispaniola e arruolare l’equipaggio.

Indomito avventuriero irlandese, abilissimo nell’uso del coltello. Durante l’ammutinamento dei pirati, scegli di schierarsi dalla parte di Smollett, risultando tra tutti il combattente più valido.

Billy Bones

Hans

Braccio destro del celebre capitano Flint e depositario della mappa che conduce al favoloso tesoro del pirata. In fuga dai suoi ex compagni, prende alloggio nella locanda di Jim.

Il timoniere della Hispaniola; a lui viene affidato il compito di governare la nave mentre il resto della ciurma di Silver sbarca sull’isola del tesoro. Farà una brutta fine durante una crisi di follia.

Black Dog

George

Uno dei pirati incaricati da Silver di rintracciare Billy Bones; è proprio lui a scovare il Capitano presso la “Admiral Benbow”, e a tentare una prima volta di sottrargli la mappa del tesoro.

Il più riottoso e spietato tra tutti gli ammutinati. Tenta varie volte di mettersi contro lo stesso Silver per prenderne il posto, giungendo addirittura a fargli consegnare il “cerchio nero”.

Dark Pew

Morgan

Vecchio pirata cieco, ex compagno di Billy Bones sotto gli ordini di Flint. è lui a consegnare al Capitano il “cerchio nero” e, più tardi, a mettere a soqquadro la locanda in cerca della mappa.

Uno degli ammutinati più pericolosi, a suo tempo membro della bieca ciurma del capitano Flint. è un tipo infido e traditore, ripetutamente in combutta con George per far fuori Silver.

Hunter

Joyce

Insieme al fratello Joyce, lavora alle dipendenze del signor Trelawney, seguendolo fedelmente anche nella caccia al tesoro. Si dimostrerà un valido aiuto contro la ciurma di Silver.

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Anch’egli, come il fratello Hunter, è un leale dipendente di Trelawney, e non esita a schierarsi dalla parte del padrone contro i pirati, sacrificando la vita in difesa del fortino.

Serie TV: L’Isola del Tesoro


ANIME Papi

Ben Gunn

Il più giovane marinaio imbarcato sulla Hispaniola. Sceglie di schierarsi con Silver durante l’ammutinamento, cambiando poi fronte dopo essere stato catturato dal gruppo di Smollett.

Un povero disgraziato, ex membro dell’equipaggio di Flint, abbandonato sull’Isola del Tesoro dai pirati. Da tre anni vive in totale solitudine. Si unirà al gruppo del capitano Smollett.

Redruth

Anderson

Il vecchio e leale maggiordomo di Trelawney; segue il suo padrone nel viaggio alla ricerca del tesoro, e si schiera con lui contro gli ammutinati, ma perde la vita durante un assalto al fortino.

Pirata della combriccola di Silver, a bordo della Hispaniola svolge la mansione di capo della ciurma. Sarà uno degli sfortunati ad ammalarsi di malaria sull’Isola del Tesoro.

Red Hat

Capitano Arrow

Uno dei quattro pirati incaricati da Silver di rimanere a guardia della Hispaniola. Durante una tetra notte di nebbia, finisce ucciso da un compagno per futili motivi.

Capitano in seconda della Hispaniola ma dalle dubbie capacità di comando. Sovente ubriaco, in seguito a un rimprovero ricevuto da Smollett tenta senza successo di ammutinarsi.

Skinny Dog

Sam

Pirata della ciurma di Silver. è il primo a impazzire a bordo della Hispaniola: dopo aver accoltellato Red Hat senza motivo, aggredisce anche Hans, finendo ucciso proprio da quest’ultimo.

Il quarto dei pirati lasciati da Silver a governare la Hispaniola alla fonda davanti all’Isola del Tesoro. Ubriacatosi durante la notte di follia a bordo, anche lui perde la testa e finisce ucciso.

Karen Hawkins

Lily

La madre di Jim, gestisce la locanda lasciatale dal defunto marito. Conoscendo il desiderio di avventura del figlio, non si oppone alla sua decisione di partire con Livesey e Trelawney.

La cuginetta e amica del cuore di Jim, che diverrà sua promessa sposa dieci anni dopo la caccia al tesoro. Vive anch’ella nel villaggio di Black Hill, in compagnia del nonno pastore.

Sea Goblin

Moglie di Silver

Mastodontico e ottuso marinaio che, dopo l’ammutinamento, ha la sconsiderata idea di sfidare Silver per prendere il comando della ciurma pirata. Il duello col capo gli sarà fatale.

Bellissima ed esotica venditrice divenuta la moglie di Silver. Il pirata la ritroverà al ritorno dall’Isola del Tesoro, e scapperà con lei dopo essersi preso la sua parte di bottino.

Benbow

Flint

Il vispo cucciolo di leopardo, inseparabile compagno di Jim. Nonostante le sue piccole dimensioni, non esita ad affrontare qualsiasi pericolo per difendere il suo padroncino.

Pappagallo bicentenario fido amico di Silver. Porta lo stesso nome del celebre pirata Flint, e ha la tendenza a ripetere frasi sentite pronunciare, ma non sempre al momento opportuno.

Serie TV: L’Isola del Tesoro

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Manga

Manga

ANIME

ONE PIECE

(Wan Piisu - Eiichiro Oda, 1997) di Leonardo Colombi

C

’era una volta un uomo che conquistò ricchezza, fama e potere, insomma tutto ciò che si può desiderare in questo mondo. Si chiamava Gold Roger, il re pirata. Le sue parole in punto di morte spinsero la gente verso il mare: “I miei tesori? Se li volete, sono vostri… Cercateli. Ho lasciato tutto in un certo posto.” E così in tutto il mondo iniziò l’era dei pirati.

Comincia così il primo numero del manga One Piece, edito per l’Italia da STAR COmICS. 140 milioni di copie vendute in Giappone per i primi 46 volumi, più di 350 episodi per la serie animata realizzata dalla TOeI ANImATION – manga e anime sono tuttora in corso – e ben 9 lungometraggi: forse nemmeno l’autore EIIChIRO ODA, alle prese con la sua prima opera “lunga”, si aspettava un tale successo! La trama ha inizio con l’esecuzione di Gol D. Roger, conosciuto come Gold Roger, il Re dei Pirati. Alla sua morte, in molti scelgono di calcare le sue orme e solcare i mari alla ricerca delle sue ricchezze tra cui il misterioso e non meglio specificato “One Piece”. Anche il piccolo Monkey D. Rufy, vivacissimo bambino cresciuto in uno sperduto villaggio di mare, coltiva il sogno di diventare un pirata, anzi, di divenire il re dei pirati. Desiderio alimentato dalla presenza, sull’isola in cui vive, di una vera ciurma di bucanieri che lì ha ormeggiato la propria nave. Inutile dire che Rufy tenta in ogni modo di farsi “arruolare”, ma inutilmente. Il misterioso capitano Shanks il Rosso, pur avendo a cuore il piccolo – tanto da perdere addirittura un braccio per difenderlo da un enorme mostro marino –, lo invita ad aspettare d’essere cresciuto prima di cercarsi una propria strada e una propria ciurma con

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Manga: One Piece


ANIME la quale, magari, sfidarlo sulla Rotta Maggiore dove stazionano i pirati più feroci e potenti del mondo. Trascorrono gli anni… Rufy “Cappello di Paglia”, chiamato così per via dell’inseparabile copricapo donatogli da Shanks il Rosso in persona, è ormai diciassettenne. Spavaldo, e forte dei poteri del frutto del diavolo Gom Gom che conferisce al suo corpo l’elasticità della gomma, il giovane “s’imbarca” su una zattera e salpa per il mare aperto, con tutto l’entusiasmo di chi rincorre il proprio sogno. Durante il viaggio, incontrerà numerosi nemici, via via più forti e, come lui, dotati di straordinari poteri derivati dall’ingestione di frutti del diavolo; ma, soprattutto, radunerà attorno a sé un manipolo di fedeli compagni, anch’essi all’inseguimento di un loro desiderio personale. Sembra infatti che la forza delle nuove generazioni di pirati nate dopo la morte di Gold Roger risieda nella grande motivazione, nell’avere un obiettivo da perseguire per il quale lottare e sacrificare ogni cosa: l’abile spadaccino Roronoa Zoro, capace di utilizzare tre spade contemporaneamente, sogna di diventare il più forte combattente del mondo; Nami, tanto scaltra come ladra quanto capace come navigatrice, mira a tracciare la carta nautica più completa che sia mai stata concepita; l’ottimo cuoco Sanji, inguaribile cascamorto con le ragazze, desidera raggiungere il “cuore dei mari”, il luogo in cui poter pescare e cucinare ogni specie di pesce. A questo gruppetto si aggiungeranno poi altri membri: Usop, bugiardo e pavido ma al contempo ingegnoso inventore, carpentiere competente e infallibile cecchino; Tony Tony Chopper, la renna medico che ha ingerito il frutto del diavolo Homo Homo acquisendo la capacità di tramutarsi in un essere antropomorfo; Nico Robin, bella e misteriosa archeologa che sogna di riscoprire la storia antica, dotata dei poteri del frutto del diavolo Fleur Fleur, che le consente di far “fiorire” arti su qualsiasi superficie. Per ultimo viene arruolato il cyborg Frankie, un tempo discepolo del grande carpentiere Tom – costruttore della nave di Gold Roger e non solo quella – che punta a realizzare un vascello in grado di solcare ogni mare; a questo scopo fabbrica la Thousand Sunny, il brigantino che la ciurma di Rufy utilizzerà dopo aver

perduto la nave precedente, la Going Merry. Con questo equipaggio, Rufy non esiterà a gettarsi sulla Rotta Maggiore, travolgendo letteralmente chiunque incrocerà la sua strada: giganti, schiere di pirati, ammiragli della marina, membri della Flotta dei Sette o del CP9, i servizi segreti del governo mondiale… nessuno verrà risparmiato in un crescendo tanto di azione quanto di “berry” sulla taglia, sua e dei suoi amici (i berry sono la moneta del manga)! Di isola in isola La storia si articola in “saghe”. Ogni tappa del lungo viaggio di Rufy e della sua ciurma tocca un’isola sulla quale si svolgono una serie di eventi, per lo più incontri e scontri, narrati in uno o più numeri del man-

Manga: One Piece

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Manga ANIME Puffing Tom, il treno in grado di muoversi su rotaie a pelo d’acqua; ad Alabasta, città del deserto, i trasporti sono affidati a granchi giganti e struzzi; a Skypiea, città aerea nella quale convivono etnie differenti in lotta tra loro, i mezzi di locomozione sono progettati per sfruttare la “consistenza” di nuvole e vento . Ma, più che alla caratterizzazione delle isole, è l’approfondimento e le dinamiche degli innumerevoli personaggi ciò a cui l’autore presta maggior attenzione. Ricorrono personaggi di indubbio fascino, secondari ma necessari, che l’autore recupera di tanto in tanto orchestrando sapientemente la storia. Ecco allora apparire Portoguese D. Ace, fratello di Rufy e capitano di una delle flotte del grande Barbabianca; Drakul Mihawk, straordinario spadaccino appartenente alla Flotta dei Sette, capace di sconfiggere Roronoa Zoro col solo uso di un pugnale; l’ammiraglio Aokiji, intenzionato a eliminare Nico Robin; lo stesso Shanks il Rosso, che in realtà è uno dei “4 imperatori”, ossia un pirata di immani capacità incaricato di vegliare sul comportamento degli altri pirati… L’elenco potrebbe proseguire all’infinito, o quasi.

ga. Questo modo di procedere si accorda con l’uso dei Log Pose, misteriosi marchingegni simili a bussole, necessari per seguire la Rotta Maggiore ma continuamente bisognosi di “stabilizzarsi” attraverso appunto un certo periodo di sosta sulle isole . Grazie all’espediente, Oda può sfogare la sua portentosa fantasia riuscendo a sfornare di numero in numero una gran quantità di situazioni, personaggi e sfumature. Ogni isola su cui Rufy e la sua ciurma approdano possiede un’ambientazione particolare, e ospita una cultura con usanze e tecnologie differenti. A Water Seven, di fatto una Venezia in versione manga, la popolazione indossa maschere e si sposta su agili imbarcazioni lungo i canali che attraversano la città, o sul

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La devastante potenza di One Piece Gli eterogenei elementi della trama, la varietà di locazioni e il numero considerevole di personaggi contribuiscono al successo di One Piece, ma la sua forza risiede principalmente nella dinamicità dell’azione, nella “epicità” di scontri sovrumani e di situazioni al limite del possibile, emozioni immediate da sperimentare. Tutte caratteristiche che ben si sposano con lo stile di disegno di Oda, semplice, pulito e vivace; non troppo elaborato e artistico come ad esempio quello di Takehiko Inoue in Vagabond, né semplicistico o approssimativo come quello di Go Nagai (Devilman) o di Masami Kurumada (I Cavalieri dello Zodiaco): una giusta via di mezzo, che ricorda Akira Toriyama (Dragon Ball), tuttavia molto più movimentato, vario e particolareggiato. Anche il taglio delle vignette, con scene dirompenti che si sviluppano su più pagine, contribuisce al dinamismo della narrazione, rendendo la lettura più coinvolgente e immediata, mai piatta o noiosa, anche

Manga: One Piece


ANIME grazie a siparietti comici inseriti qua e là, non solo nei momenti di pausa tra uno scontro e l’altro ma spesso anche nei duelli all’ultimo sangue. Altra particolarità che brilla in One Piece è il sorriso dei personaggi: illumina il loro volto nei momenti topici, siano questi la liberazione di un amico, la partenza per una nuova tappa del viaggio o uno scontro all’ultimo sangue. È il sorriso di chi affronta la vita con entusiasmo, di chi lotta sempre e comunque per raggiungere quegli obbiettivi verso cui naviga. Un sorriso nato dal dolore che tutti i personaggi, senza esclusioni, hanno conosciuto in un modo o nell’altro nel loro passato; sembra comparire anche nei momenti di angoscia, con i volti stravolti dall’emozione, gli occhi gonfi di lacrime e la bocca spalancata con i denti bene in vista. È quel piccolo dettaglio che rende i personaggi forti, indistruttibili, capaci di rialzarsi sempre, proprio come Oda immagina dovessero essere i veri pirati: uomini indomiti e coraggiosi, in grado di affrontare il mare aperto e i suoi pericoli, ma cantando e bevendo come se ogni giorno fosse di festa. Non importa quanto potenti possano essere gli avversari, disperate le situazioni o profonde le ferite: i veri pirati sanno dare il meglio di sé e sorridere alla vita. Forse, chi può dirlo, il vero tesoro di Gol D. Roger – il quale, poco prima di venir giustiziato, stava proprio sorridendo – consiste in questo. Forse lo One Piece tanto cercato non è un bene materiale o un tesoro dorato, nemmeno un frutto del diavolo dai poteri misteriosi. Magari è semplicemente il raggiungimento di un obbiettivo, un viaggio al di là di sé stessi e dei propri limiti, alla ricerca dello spirito del vero pirata. La ricerca dello One Piece rimanda addirittura a un cambio generazionale, come appare evidente in più punti del manga, quando Rufy e la sua ciurma devono vedersela con pirati “vecchia maniera”, arroganti criminali bramosi solamente di potere e ricchezze.

Eiichiro Oda evita invece di fornirci unicamente quest’aspetto della vita dei bucanieri: anzi, proprio grazie a Rufy e compagni riesce a farci percepire il pirata non come una figura “criminale” ma come qualcosa di più nobile e positivo. Certo, anche Cappello di Paglia e la sua ciurma non esitano a “prendere a prestito a tempo indeterminato” ricchezze altrui, tuttavia ciò che muove le loro azioni è la volontà di assaporare la vita mettendosi alla prova, godendosi la promessa di totale libertà che il mare mantiene, senza vincoli. Di isola in isola, i pirati di One Piece scoprono il mondo e affrontano sé stessi. n Leonardo Colombi

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- novembre 2008

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