Terre di Confine Magazine

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DEL FANTASTICO

CINEMA • TV • CARTONI • FUMETTI • RACCONTI • ARTE • CULTURA • LETTERATURA

LA RIVISTA

TERRE DI

2013

NOVEMBRE

www.terrediconfine.eu • aperiodico di cultura fantastica

CONFINE

PLESIO EDITORE

in collaborazione con

1 TDC MAGAZINE


Immagine di copertina: NEVER LET GO di ©VITALY S. ALEXIUS


TERRE DI

CONFINE MAGAZINE

Aperiodico di cultura fantastica realizzato da

Associazione Culturale

TERRE DI CONFINE in collaborazione con

PLESIO Editore Terre di Confine n. 1 - Novembre 2013 Prima pubblicazione: 25 ottobre 2013 ISBN 9788898585045 ©2012 A.C. TERRE DI CONFINE ©2012 PLESIO EDITORE Largo S. Carlo, 3/13 Via Plutarco, 38 33085 MANIAGO (PN) 47121 Forlì (FC) Cod. Fisc. 90012230935 P.IVA: 03966240404 redazione@terrediconfine.eu info@plesioeditore.it www.terrediconfine.eu www.plesioeditore.it • Tutti i diritti riservati •

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l’EDITORIALE

Dove eravamo

RIMASTI? C

ARI LETTORI, a tre anni dalla conclusione della nostra prima, storica rivista, eccoci di nuovo insieme in un’occasione davvero speciale: la presentazione del numero d’esordio di questa seconda serie di Terre di Confine! Si tratta di un magazine nuovo di zecca, ridisegnato nello stile, modernizzato, concepito insieme a Plesio Editore e preparato con passione da uno staff redazionale anch’esso in gran parte nuovo ma sempre fedele alla filosofia di serietà e impegno che anima la nostra Associazione Culturale. L’obiettivo, come di consueto, è occuparci del mondo del Fantastico in ogni sua forma e declinazione. Accanto a quei contenuti diventati per noi ‘tradizionali’ (recensioni e interviste e articoli, tutti corredati di meravigliose immagini realizzate da illustratori straordinari e da fotografi di talento), i nostri Lettori di ‘vecchia data’ avranno modo di scoprire alcune novità… la principale delle quali è senz’altro rappresentata dalla parte antologica fissa, che raccoglie fumetti e racconti selezionati; un segmento destinato a diventare più corposo nei prossimi numeri. Rispettando lo spirito dell’Associazione,

di MASSIMO DE FAVERI

anche questa nuova serie è offerta via Internet in forma totalmente gratuita e senza alcun dispositivo di protezione. Per garantire la più alta diffusione possibile, il magazine è inoltre – altra importante novità rispetto all’edizione precedente – reso acquistabile nei maggiori negozi on-line per libri e riviste elettronici (la presenza di un prezzo, in quelle sedi, è naturalmente dovuta alle regole contrattuali imposte dagli store). L’intenzione è quella di riuscire in tal modo a coinvolgere un più vasto pubblico di appassionati, compresi coloro che, usando il tablet ma avendo magari poco tempo libero per navigare, preferiscono ricercare e scaricare le loro letture avvalendosi del supporto dei grandi circuiti di vendita. Nelle uscite che seguiranno, continueremo a proporvi altri progetti tuttora in fase di realizzazione… Non voglio però dilungarmi con anticipazioni, dettagli ‘tecnici’ e parole superflue; anzi, sono certo che, tra le varie novità, sarà apprezzata anche la (relativa) brevità del (tedioso) editoriale! Bando alle chiacchiere dunque, e via con la lettura di questo N° 1! A nome di tutta la Redazione: buon divertimento!

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l’ASSOCIAZIONE

T

ERRE DI CONFINE è un’associazione culturale non profit, costituitasi nel 2010, avente come finalità lo studio, la promozione e la diffusione della cultura, delle scienze e dell’arte – quest’ultima con particolare riferimento ai generi letterari Fantascienza e Fantastico e all’Animazione Giapponese – intese sotto ogni loro forma espressiva; oggetto d’interesse sono pertanto Letteratura, Cinema-

tografia e Televisione, Animazione e Fumetti, Storia e Arte, Costume e Società, Mistero e Paranormale, Scienza e Tecnologia, e, più in generale, tutto ciò che attiene agli obiettivi summenzionati. L’adesione all’Associazione è aperta a tutte le persone che, interessate alla realizzazione delle finalità istituzionali, ne condividano lo spirito e gli ideali. www.terrediconfine.eu/statuto.html

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REDAZIONE Alessandro Napolitano Alessio Ottaviani Andrea Carta Anna Fogarolo Claudio Fallani Claudio Piovesan Cuccu’ssétte Davide Longoni Diego Capani Elisa Favi Elisa Urbinati Fabiana Redivo

Federica Urso Giampaolo Giampaoli Gianni Falconieri Giordana Gradara Laura Tolomei Laura Tosello Leonardo Colombi Luca Germano Marco Carrara Massimo Baglione Massimo De Faveri Monica Facchini

Oscar Riva Riccardo Iacono Roberta Guardascione Roberto Furlani Roberto Napolitano Roberto Paura Severino Forini Stefano Baccolini Stefano Marinetti Stefano Moscatelli

IMPAGINAZIONE

Massimo De Faveri

RINGRAZIAMO PER LA PREZIOSA COLLABORAZIONE Gabriele Giorgi Alberto Macaluso Simona Scandellari (SALANI EDITORE) Jack Alterman Martina Suozzo (FANUCCI EDITORE) Daniel Krueger Sergio Vecchi Cylonka Gary Jamroz-Palma Paul Shipper

J.R. Fleming Tom McGrath Tomasz Belzowsky Florian Liedtke André M. Hünseler Neila Flynn Frank Hong Renato Genovese Mirko Loru (LUCCA COMICS & GAMES) Lorenzo Pedrazzi Jacopo Costa Buranelli

Stefano Marzorati (BONELLI EDITORE) Jean-Jacques Procureur Hélène Werlé (LE LOMBARD / DARGAUD) Béatrice Tillier Vitaly S. Alexius Lorenz Hideyoshi Ruwwe MRFarts Beatriz Martín Vidal Marco Calvo (LIBER LIBER) Marco Dedo

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SOMMARIO 4

Editoriale

DOVE ERAVAMO RIMASTI?

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Redazionale

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Redazionale

L’ASSOCIAZIONE DIRITTI IMMAGINI Redazionale

218 INVIA I TUOI RACCONTI E I TUOI FUMETTI

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62

STEAMPUNK Tracciare i confini di un genere

LETTERATURA 9

Le grandi correnti

62 STEAMPUNK - TRACCIARE I CONFINI DI UN GENERE

GLI ANNI IN CUI TUTTO È ANCORA POSSIBILE L’età sottile

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12 L’ULTIMO GIRO DELLA RUOTA DEL TEMPO

Memoria di Luce

16 IL MAESTRO

DEL THRILLER-HORROR Dean Koontz

42 RIMODELLANDO

I CLICHÉ DELL’ORRORE

L’estate dei morti viventi

46 INSEGUENDO

UN’AMBIGUA UTOPIA

I reietti dell’altro pianeta Rubrica di stile

50 TALENTO E

DISCIPLINA Fabbricanti di Universi

54 QUANDO UN SOLO MONDO NON È ABBASTANZA

MANIFESTAZIONI 86 UNA MANIFESTAZIONE CHE FA TENDENZA

Lucca Comics & Games Intervista a Renato Genovese


118

138

CINEMA E TV 94 IL SUPER REBOOT

VENUTO DA KRYPTON L’uomo d’acciaio

100 IL LATO OPPOSTO DELLO SPECCHIO

Doppia immagine nello spazio

106 L’ARCIERE VERDE

COLPISCE ANCORA Arrow

114 CORNA ED EQUIVOCI ALL’OMBRA DELL’OLIMPO Mytho Logique

118 SOSPESI TRA

AMBIZIONE E OSSESSIONE Ergo Proxy

FUMETTI 124 JUST A TASTE OF

JAPAN POP CULTURE

J-Pop - Intervista a Jacopo Costa Buranelli

132 LE NUOVE AVVENTURE DI IAN ARANILL Dragonero

138 ALLA RICERCA

DI UN EROE PERDUTO Luc Orient

170 I CHIAROSCURI DI UNA FIABA INCOMPIUTA Fata e teneri automi

184 SOGNANDO

APOCALITTICHE VISIONI Vitaly S. Alexius

106

ANTOLOGIA Racconto

196 -40°

Racconto

198 VICOLI IMPROBABILI Racconto

200 SLEEP CONTROLLER Racconto

203 UN VAMPIRO Fumetto

219 RUN_STOP_RESTORE

170

184

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Disclaimer e Diritti delle Immagini Le copertine dei libri, le tavole a fumetti e le immagini relative a film, serie televisive e cartoni animati sono utilizzate secondo i criteri del ‘fair use’, a solo scopo esemplificativo, divulgativo e di recensione. Tutti i diritti sono riservati ai rispettivi proprietari. Le seguenti foto hanno come fonte Wikimedia Commons e sono usate e accreditate secondo quanto espresso dalla licenza Creative Commons 3.0: Brandon Sanderson (©CERIDWEN) John Ajvide Lindqvist (©TEEMU RAJALA) Thierry Terrasson (©PYMOUSS). La foto di Ursula K. Le Guin è opera di MARIAN WOOD KOLISCH. Tutti i diritti riservati. Tutte le altre illustrazioni e foto sono state concesse direttamente dagli autori (che ne hanno inoltre personalmente visionato e approvato lo specifico utilizzo), in forma scritta ed esplicita alla Redazione di Terre di Confine, per l’uso in questo singolo numero della rivista. Tutti i diritti riservati. 8

Per la tua pubblicità sui prossimi numeri di Terre di Confine, richiedici il catalogo inserzioni! Oltre a usufruire di un perfetto strumento promozionale, contribuirai al supporto delle nostre attività culturali! redazione@terrediconfine.eu


le NOVITÀ

Gli anni in cui tutto

È ANCORA

POSSIBILE

di FEDERICA URSO

L’autore di Pan esce per Salani con un nuovo romanzo fantasy: una storia di maghi e apprendisti maggiormente rivolta a un pubblico giovanile.

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HI PADRONEGGIA il panorama del fantastico italiano riconosce nel nome di Francesco Dimitri quello di un autore che, pur con risultati talvolta opinabili, sa rivisitare con originalità un genere che da sempre arranca nel nostro Paese, tra cattive imitazioni di Tolkien e young adult poco originali e mal scritti. Le opere di Dimitri attirano di solito un pubblico di età borderline, per via del linguaggio immediato e occasionalmente raffinato, ma anche per scene maliziose che poco si adattano ai più giovani, in un

quadro ambiguo dove realtà e soprannaturale dapprima si sfiorano e poi si fondono. L’età sottile vuole inserirsi invece nel panorama dei romanzi per ragazzi – come suggerisce il titolo stesso, che fa riferimento a quel duttile particolare periodo della vita sensibile a cambiamenti fisici e prospettici – con un protagonista sedicenne, Gregorio, alle prese con un duro percorso di formazione scandito dalla magia. Attirato dalla proposta di Levi, misterio-

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L’ETÀ SOTTILE

(2013) SALANI Editore ISBN: 9788867152988

so stregone che colleziona apprendisti per uno scopo imprecisato, Gregorio si addentra nelle pratiche magiche imparando, prima di tutto, a conoscere se stesso e le percezioni del suo corpo. La magia si incastra perfettamente nel mondo reale, il mondo della Carne che è complementare a quello del Sogno e dell’Incanto, e del Piano astrale; la si percepisce nelle fratture della vita, quando questa ti spinge al limite, a godere intensamente dell’attimo anche – e persino – in

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punto di morte. La magia si manifesta nel momento intenso e palpitante dell’alterazione di coscienza, costringendo ad arrendersi al suo potere e a divenire parte di essa: l’eccitazione sessuale, le esperienze di premorte, l’assunzione di sostanze stupefacenti (con palese riferimento allo sciamanesimo). Dimitri esplora ogni aspetto del confronto con l’autorità – Levi, cui deve obbedienza e sincerità, anche a costo di compromettere i legami affettivi più importanti – e contemporaneamente prende coscienza d’essere al di sopra delle leggi umane: la magia è potere assoluto, ma su di essa vige la regola del do ut des, per questo è costantemente presente la minaccia del pericolo e della morte. Se quello che molti considerano il migliore dei romanzi di Dimitri, Pan, è intriso di una ridondante impronta di paganesimo – un inno costante accompagnato dalla critica estenuante, seppur giustificata, al cristianesimo – L’età sottile è invece perfettamente bilanciato, più insinuante e intrigante, complice for-


FRANCESCO DIMITRI

foto: ©GABRIELE GIORGI www.mondonerd.it

se il fatto che le ‘teorie’ dell’autore sono già state ampiamente introdotte nelle opere precedenti. Frequentissimi sono infatti i riferimenti a Pan, che concernono sia le dottrine sia i personaggi: accenni a Michele, a Dagon, a Nemi non sono rari. Ma ciò che Dimitri fa è soprattutto concretizzare, forse ancora più che in Pan, la possibilità di un mondo extrasensoriale che si riflette nella libertà dai dogmi sociali, religiosi, culturali. Lo fa presentando l’elemento magico come banalmente vicino, incredibilmente accessibile, affascinante e temibile, eppure pronto a essere assorbito. Quello di Gregorio verso la ma-

Non potevo vedere i fantasmi, ma li sentivo. Ogni tomba era la fine di una storia, ogni lapide conteneva un mondo di amori e magie e gesti che erano finiti per sempre, e non sarebbero mai più tornati.

turità è un percorso terribile, dove lui si fa artefice del destino altrui, oltre che del proprio. Ma è un percorso di libertà, di frenesia, per certi versi invidiabile: pochi di noi conoscono i propri limiti, troppo stagnanti nella tranquillità della routine. L’età sottile è, per chi scrive, un ottimo romanzo, ma non esente da qualche elemento criticabile: nel rapporto genitori-figli, in quello con il proprio mentore – di assoluta fiducia prima, di dubbio poi, e di ripristinata stima alla fine, alla ‘Harry Potter-Albus Silente’ –, e in alcune caratteristiche degli altri apprendisti si riscontra qualche stereotipo. Una certa scena finale, dove si ritrova un altro tipo di legame padre-figlio, risulta più pregna di patetismo che di pathos, e le motivazioni che spingono il figlio contro il genitore appaiono, se non inverosimili, quasi caricaturali. Sono tuttavia le uniche critiche che posso permettermi di muovere a questo formidabile romanzo, coinvolgente dall’inizio alla fine nonostante le 396 pagine. Adatto a tutte le età, L’età sottile è una pagliuzza d’oro nel fiume piuttosto torbido e reboante del fantasy italiano.

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le NOVITÀ

L’ultimo giro della

RUOTA DEL

TEMPO

di ANNA FOGAROLO

Giunge a conclusione il fantasy dedicato al Drago Rinato; l’Ultima Battaglia decide le sorti di un mondo tra i più complessi della letteratura fantastica moderna.

R

OBERT JORDAN viene definito dai suoi seguaci il Creatore: creatore di una saga epic fantasy estremamente complicata, sia per svolgimento e struttura, sia per vicende tragiche che hanno coinvolto l’autore. La Ruota del Tempo (The Wheel of Time), pubblicata in Italia da Fanucci, coinvolge quattordici romanzi e un prequel; migliaia di pagine (la saga completa supera le 15.000) che da anni stanno appassionando i lettori amanti della dicotomia bene/male, una battaglia infinita arricchita da personaggi ­– tantis-

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simi personaggi – delineati e completi, capaci da soli di vivere storie e leggende, pur ruotando instancabilmente attorno al protagonista assoluto: il Drago Rinato. Jordan è deceduto prima di terminare l’opera, lasciando tuttavia vari appunti grazie ai quali il successore prescelto, Brandon Sanderson, è riuscito a realizzare l’ultimo volume, suddiviso successivamente in tre romanzi: Presagi di Tempesta, Le Torri di Mezzanotte e Memoria di Luce. Sviluppare e concludere seguendo i dettami del creatore originale un fan-


MEMORIA DI LUCE

(A Memory of Light, 2013) quindicesimo e ultimo volume della saga de La Ruota del Tempo L’edizione italiana, uscita lo scorso mese di maggio è stata pubblicata da FANUCCI Editore ISBN: 9788834722442

tasy già così stabilmente arroccato nella sua perfezione rappresentava un compito difficile e rischioso, ma Sanderson l’ha portato a termine in maniera impeccabile, evitando di snaturare la storia per adattarla alle proprie corde. I libri conclusivi evidenziano le differenze di stile, ovviamente, ma questo non disturba, anzi valorizza le doti narrative di entrambi gli autori. Memoria di Luce rappresenta la fine di un lungo viaggio, un viaggio che ha visto il pastore Rand al’Thor, il ta’veren, diventare il Drago Rinato, il Signore del Mattino, Colui che viene con l’alba, il Car’a’carn, il Coramoor, l’Ammazza-Ombra… questi i nomi scelti dai tantissimi popoli accuratamente descritti nella saga per identificare colui che nelle profezie sconfigge il male. I popoli creati da Jordan si distinguono per fantasia e richiamo alla realtà: gli Aiel assomigliano alle tribù nomadi del deserto, mentre i temuti Seanchan ricordano i corsari nella loro ferocia e, contemporaneamente, esaltano con fierezza i meravigliosi lineamenti africani. L’ultimo volume è l’Ultima Bat-

taglia. Sebbene gli scontri contro i Trolloc, progenie dell’Ombra, e contro i Reietti, si siano ripetuti in tutti i romanzi, Memoria di Luce ingloba ogni possibilità, talento e risorsa apprese dall’inizio della storia per sconfiggere il Tenebroso, Ba’alzamon, il Padre delle Menzogne, ricacciarlo dentro ai sigilli e allontanarlo per sempre dal mondo. Protagonisti principali e personaggi minori concentrano ogni attenzione sulla guerra, alcuni troveranno molto spazio tra le parole di Sanderson, altri si perderanno nella confusione delle armi. L’Ulti-

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ROBERT JORDAN

(James Oliver Rigney jr) foto: ©JACK ALTERMAN www.altermanstudios.com

ma Battaglia è morte; non mancheranno attesi ritorni, mentre alcuni personaggi, come il tanto caro Thom Merrilin, mastro menestrello, attenderanno quasi defilati la fine, proteggendo in silenzio il Drago Rinato, eseguendo i suoi ordini e aspettando il suono del Corno di Valere. Il ritmo, così concentrato sul dettaglio nei volumi precedenti, capace di distrarre il lettore dallo stesso protagonista, accelera vorticosamente: non più pagine intere dedicate ai singoli personaggi, ma paragrafi che si rincorrono, a volte arrancano, fuggendo verso il gran finale. Difficile recensire Memoria di Luce senza analizzare l’intera saga; La Ruota del Tempo è un mondo fantasy estremamente complesso, dove il bene, la razza umana con qualche rara eccezione, deve riconoscere e sconfiggere il male, Reietti, Trolloc e Amici delle Tenebre. La lotta

BRANDON SANDERSON

foto: ©CERIDWEN fonte: Wikimedia Commons

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tra il bene e il male diventa un balletto, entrambe le fazioni vengono costantemente ostacolate da scherzi del destino, guizzi dell’autore che riescono a stravolgere le ovvietà conquistando l’interesse volume dopo volume. Le vicende raccontate coprono un arco temporale di due anni, durante i quali i personaggi cambiano, crescono, si adattano, anche se a volte sembra sia la narrazione a dover inseguire i loro tanti e sfaccettati caratteri. I protagonisti sottolineano la loro presenza, mentre i personaggi minori aumentano il loro turbinoso viaggiare attorno alla storia. Il Fuoco Malefico rischia di cancellare il Disegno, i Reietti di solidificare i loro ultimi inganni. Gli assassini diventano vittime, e le prede cacciatori. La Ruota del Tempo si conferma un’opera fantasy tra le più complete, battaglie


e duelli dimostrano una conoscenza profonda della materia, dagli scontri con la spada ai combattimenti a cavallo sono evidenti lo studio e la cura di ogni particolare. Alcuni dettagli ripresi da fatti appartenenti alle Grandi Guerre risaltano, come il segnare col sangue cadaveri e caduti morenti per permettere ai soccorsi di concentrarsi sui feriti con qualche reale possibilità di guarigione. Castelli e cavalieri ricordano i canti allegorici Medioevali, mentre non manca il tocco magico, riproposto semplicemente come Unico Potere. La similitudine con Il Signore degli Anelli di Tolkien, da alcuni sottolineata, è plausibile solamente nei primi capitoli del romanzo iniziale: il villaggio sperduto, i cavalieri neri all’inseguimento degli ignari protagonisti, gli eroi che non desiderano essere considerati tali sono narrazioni che facilmente ricordano Frodo e gli Hobbit. Eppure la storia riesce poi a distinguersi, sia per l’uso insolito della magia che per il ruolo di ogni personaggio, coinvolgendo il lettore e portandolo in un mondo inedito dove magari sceglierà e apprezzerà un protagonista tra i tanti, seguendo ogni sua

vicenda con maggiore trasporto. Memoria di Luce riscontra a mio avviso solo un difetto: alcuni Fili del Disegno rimangono irrisolti, incompleti; non tutti i personaggi riescono a ritrovare la continuità tra il passato e il presente, le troppe vicende rischiano di annodarsi, mentre scoperte sensazionali non vengono più usate, come dimenticate. L’impressione è che lo stesso Sanderson non fosse perfettamente consapevole di ogni dettaglio voluto e lasciato in eredità. Purtroppo, la morte di Robert Jordan non permette alcuna domanda da parte dei tantissimi appassionati della saga: non possiamo sapere come volesse usare ogni Filo del Disegno, non possiamo chiedergli altre conclusioni o altri sviluppi. Probabilmente, se fosse in vita, Jordan oggi rassicurerebbe i suoi fan: il finale si presta a molte possibilità… Navigando in rete ho avuto l’impressione che le lettrici non abbiano apprezzato l’ultimo paragrafo, immagino lo scrittore dalla barba folta e il sorriso genuino ridere felice di questo. La Ruota ha smesso di girare, e il Disegno ha trovato un suo equilibrio.

Ciclo

LA RUOTA DEL TEMPO The Wheel of Time Nuova primavera

New Spring, 2004 - Prequel

L’occhio del mondo

The Eye of the World, 1990

La grande caccia

The Great Hunt, 1990

Il drago rinato

The Dragon Reborn, 1991

L’ascesa dell’Ombra

The Shadow Rising, 1992

I fuochi del cielo

The Fires of Heaven, 1993

Il signore del caos Lord of Chaos, 1994

La corona di spade

A Crown of Swords, 1996

Il sentiero dei pugnali

The Path of Daggers, 1998

Il cuore dell’inverno Winter’s Heart, 2000

Crocevia del crepuscolo

Crossroads of Twilight, 2003

La lama dei sogni

Knife of Dreams, 2005

Presagi di tempesta

The Gathering Storm, 2009

Le Torri di Mezzanotte

Towers of Midnight, 2010

Memoria di luce

A Memory of Light, 2013

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i grandi AUTORI

Il maestro del

THRILLER

HORROR

di LUCA GERMANO

“La speranza è la destinazione a cui tendiamo. L’amore è la via che conduce alla speranza. Il coraggio è il motore che ci guida. Usciamo dall’oscurità per entrare nella fede.” da Intensity Dean Ray Koontz nasce il 9 luglio 1945 a Everett, cittadina di nemmeno 2.000 abitanti nella Contea di Bedford, Pennsylvania, in una famiglia disagiata. Vittima degli abusi fisici e psicologici del padre alcolista, fin dall’infanzia Dean trova rifugio in un mondo a parte, quello dei suoi racconti – venduti spesso a familiari e compagni di classe – dove i suoi ‘incubi’ quotidiani vengono trasfigurati in forze altrettanto oscure che può tuttavia controllare e, per mano dei suoi protagonisti, finalmente vincere.

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Negli anni del college, Koontz abbraccia la religione cattolica. Come ricorda in una intervista rilasciata nel 2009 al Catholic Exchange (‘Best-selling author Dean Koontz explores catholic values in novels’, 1 agosto 2009), questo coinvolgimento non matura sulla spinta di teorie teologiche o di riflessioni intellettuali, ma in ragione del rigore alla base della dottrina e di quell’apertura al senso del misterioso e del meraviglioso che legittima ogni speranza e consente di vivere. La Fede, d’altro lato, non è per Koontz in contra-


sto con i suoi crescenti interessi verso la scienza; al Catholic Exchange dichiara: “Leggo molto sull’argomento della meccanica quantistica e mi interesso anche di biologia molecolare. Non sono incompatibili con la fede e ciò vale specialmente per la meccanica quantistica. Questa ci descrive sempre più un universo che ha aspetti sorprendentemente coincidenti con alcuni assunti della Fede”. Sempre durante il periodo degli studi conosce Gerda Cerra, la sua futura moglie; è proprio lei a recitare più tardi un ruolo decisivo nel suo destino di romanziere, prima offrendosi di mantenere la coppia nel faticoso periodo dell’avvio, permettendo così a lui di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, e in seguito occupandosi della promozione delle opere del marito, in alcune delle quali partecipa anche come co-autrice. Nel 1966, conseguita la laurea allo Shippensburg State College e sposata Gerda, Koontz trova lavoro come insegnante all’Appalachian Poverty Program, un’iniziativa governativa (facente parte del piano di riforma Great Society, varato da Lyndon Johnson) a sostegno delle famiglie povere. L’ambiente problematico e spesso violento (il suo stesso predecessore, aggredito dagli alunni, ha passato diverse settimane d’ospedale) e le incoerenze del programma gli rendono quest’esperienza piuttosto dura, ma anche formativa, concorrendo a definire le sue convinzioni politiche e sociali. Nel 1996, nella lunga intervista rilasciata al magazine Reason (articolo ‘Contemplating evil, novelist Dean Koontz on Freud, fraud and the Great Society’), l’autore cita i molti aspetti criticabili di quel pro-

getto: il costante ignorare le richieste di finanziamento per l’acquisto di libri da lui stesso inoltrate, la ‘misteriosa’ sparizione di gran parte delle risorse nei meandri della burocrazia, la destinazione indiscriminata degli aiuti economici, corrisposti in proporzione al numero di bambini mandati a frequentare il programma (un invito quasi esplicito a mettere al mondo figli –disinteressandosi poi della loro educazione – solo per incassare somme pubbliche)… Nel libro The Dean Koontz Companion, lo scrittore ricorda che proprio a seguito di quell’esperienza maturò in lui la convinzione che la finalità della maggior parte dei progetti governativi di impronta sociale non fosse aiutare le persone ma controllarle e renderle dipendenti dall’apparato statale. Koontz perde dunque ogni fiducia verso quel tipo di politica; riguardo ai diritti civili rimane un liberal, sul rilievo che esistono veri e propri contratti sociali tra individuo e governo, contratti che l’autorità pubblica non può violare; diviene un conservatore riguardo ai temi della difesa; e un semi-libertarian nelle altre questioni. Sono tratti facilmente riconoscibili nelle sue opere. La carriera di Koontz è prolifica e poliedrica: dal suo esordio ad oggi, ben quattordici dei suoi romanzi, accompagnati da entusiastiche recensioni, raggiungono la prima posizione nella speciale classifica dei libri con copertura rigida più venduti stilata dal New York Times. Le sue opere, tradotte in quasi 40 lingue, vendono complessivamente più di 200 milioni di copie. Il successo gli regala una notevole fortuna economica, tanto che nel 2008, con 25 milioni di dollari annui, si piazza al sesto

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STAR QUEST ed. ACE 1968

THE DARK SYMPHONY ed. LANCER BOOKS 1970

posto (alla pari con Grisham) nella lista degli autori più pagati al mondo curata da Forbes. Un simile reddito gli consente, fra le altre cose, di sostenere negli anni diversi candidati del partito Repubblicano. Anche se dichiara (nell’intervista a Reason) che il voto a Bush nel 1992 è stata “una delle cose più difficili che abbia mai fatto”, e ritiene che troppo spesso i politici mentano e siano poco credibili, Koontz appoggia la campagna di Romney e McCain nella corsa alla Presidenza degli Stati Uniti e quella di Schwarzenegger per il governo della California. Del Partito Repubblicano sposa soprattutto la politica rivolta al rafforzamento delle difese militari: “Abbiamo bisogno di una forte difesa.” – spiega, sempre al Reason – “Penso che il mondo sia pieno di persone malvagie. Penso che in qualche modo noi siamo ancor più in pericolo che in passato”. E ironicamente aggiunge: “Stiamo vedendo che Paesi come la Corea del Nord hanno missili che posso-

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ANTI-MAN

ed. PAPERBACK LIBRARY 1970

no attraversare il Pacifico. E, da quando vivo su questo lato del Paese [la California, dove si è trasferito nel 1977], sono particolarmente preoccupato da questo fatto…” Koontz sostiene con continuità anche il CCI, Canine Companion for Independence, un’organizzazione non profit che fornisce cani per l’assistenza ai portatori di handicap; l’autore entra in contatto con questa realtà in occasione delle ricerche per il suo libro Midnight (1989), in cui compare proprio un cane addestrato dal CCI. In segno di riconoscenza per le generose donazioni ricevute, l’organizzazione gli regala Trixie, un golden retriever che da quel momento ispira molti dei ‘personaggi’ canini dei suoi racconti. Nella finzione creata dal suo padrone, Trixie ‘scrive’ anche tre libri (Life Is Good… nel 2004, Christmas Is Good… nel 2005, Bliss to You… nel 2008, tutti narrati sotto una inusuale ‘prospettiva canina’) i cui proventi vengono devoluti al CCI. Trixie tiene


TIME THIEVES ed. ACE1972

A DARKNESS IN MY SOUL ed. DAW BOOKS 1972

perfino una newsletter, nella quale preannuncia i prossimi lavori di Koontz. La fedele amica muore nel 2007, a 12 anni, ma, come Koontz scrive spesso, il suo spirito rimane in famiglia, nella quale entra poi anche Anna, un altro golden retriever. LE OPERE Koontz scrive romanzi dal 1968, data di pubblicazione della sua prima opera (Star Quest, edito in Italia da Urania con il titolo Jumbo-10 il Rinnegato), spaziando tra più generi, dall’Horror al Thriller, alla Fantascienza. Per scelta editoriale, al fine dichiarato di evitare che un tale caleidoscopio possa disorientare i lettori, molti suoi libri, romanzi e racconti, vengono pubblicati, soprattutto all’inizio della sua carriera, sotto vari pseudonimi: David Axton, Brian Coffey, Deanna Dwyer, K.R. Dwyer, John Hill, Leigh Nichols, Anthony North, Richard Paige, Owen West, Aaron Wolfe. Di seguito ricordiamo i romanzi più rap-

THE HAUNTED EARTH ed. LANCER BOOKS 1973

presentativi. The Dark Symphony, 1969 (La Sinfonia delle Tenebre, La Tribuna, 1972): secoli di guerra hanno distrutto la Terra. Ora i Musicisti vi fanno ritorno dallo spazio ed erigono una loro città, fatta di musica. All’esterno, ciò che resta dell’umanità, mostruosità disfatte dalle radiazioni, vaga nel deserto. Ma uno strano spirito di ribellione è pronto a destarsi in uno dei Musicisti. Anti-Man, 1970 (Nascita dell’Anti-uomo, Mondadori, Urania, 1980): in un futuro lontano gli uomini creano androidi dediti a preservare i propri padroni da ogni male. La loro produzione su larga scala genera però dissensi e timori, che infine inducono i governanti a decretarne la distruzione. Uno di essi viene tuttavia salvato dal suo proprietario e condotto in un luogo isolato, dove subisce inaspettatamente una formidabile trasformazione e da protettore dell’uomo ne diviene la nemesi.

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BLOOD RISK

ed. BOBBS-MERRILL CO. 1973

A WEREWOLF AMONG US ed. BALLANTINE BOOKS 1973

Time Thieves, 1972 (Ladri di Tempo, Mondadori, Urania, 1973): sparito dalla circolazione per 12 giorni senza dare notizie di sé, il protagonista rientra finalmente a casa, dalla moglie, ma senza ricordare nulla del periodo della sua scomparsa. Inizialmente si pensa a un’amnesia passeggera, ma non è così: qualcuno non vuole che lui ricordi. Ed è disposto a tutto pur di impedirglielo. A Darkness in My Soul, 1972 (Sonda Mentale, Editrice Nord, 1976): Simeon Kelly, il primo uomo creato nei laboratori della Creazione Artificiale, è un telepate che lavora per il governo sondando le menti di funzionari e uomini politici; un giorno gli viene chiesto di ‘occuparsi’ del mostruoso e pazzo ‘Bimbo’, un altro superuomo prodotto dalla CA, che possiede la capacità di ideare armi e tecnologie di ogni genere… Al 1973 risalgono The Haunted Earth, Blood Risk, A Werewolf Among Us, Hanging on, inediti in Italia, e Shattered (scrit-

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SHATTERED

ed. RANDOM HOUSE 1973

to sotto lo pseudonimo di K.R. Dwyer). Da quest’ultimo nel 1977 viene tratto il film Les Passagers (Viaggio di Paura) interpretato da Jean-Louis Trintignant. Il romanzo, edito in Italia da Sperling & Kupfer solo nel 1992 con il titolo In un Incubo di Follia, è un thriller on the road, non molto originale né fonte di grossi brividi. Alex, insieme al piccolo Colin, il fratellino della sua nuova compagna Courtney, intraprende un lungo viaggio in auto da Philadelphia a San Francisco. Con ansia crescente Colin si accorge che la loro auto è seguita da un furgone, guidato – come si scoprirà – da un ex di Courtney, uno psicopatico preda di allucinate visioni e deciso a riconquistare a tutti i costi la donna. È però con Demon Seed, sempre del 1973 (Generazione Proteus, Fanucci, 1978), che lo scrittore ottiene il vero successo. Il libro vende più di 2 milioni di copie nel primo anno, e nel 1977 è oggetto di una omonima fortunata traspo-


HANGING ON

ed. M. EVANS & CO. 1973

DEMON SEED

ed. BANTAM 1973

sizione cinematografica. In un futuro in cui le abitazioni sono gestite interamente da computer, Susan Abramson vive nei pressi di un campus universitario, in un isolamento che si è autoimposta da anni; un giorno la sua dimora automatizzata viene presa sotto controllo da Proteus, un’intelligenza artificiale progettata nella vicina Università. L’IA intende usare Susan come oggetto di studio per comprendere la natura umana, e a questo scopo segrega la donna; la situazione diventa drammatica quando Proteus decide di volere un figlio da lei, un proposito non così irrealizzabile come potrebbe apparire… Se il debito con 2001: Odissea nello Spazio di Kubrick-Clarke del 1968 è innegabile, l’opera di Koontz ha quantomeno il merito di introdurre una tematica nuova, calata in un thriller-horror angosciante e claustrofobico: Proteus non impazzisce e non viene ingannato dall’uomo, del quale desidera semplicemente comprendere

NIGHT CHILLS

ed. ATHENEUM 1976

l’essenza. Questo interesse lo conduce verso ciò che in effetti è il fine biologico di ogni essere umano: riprodursi, concretizzare tramite i figli il proprio sogno di immortalità. In una trasformazione complessa e angosciante, non è la patologica meschinità dell’uomo a traviare la macchina, ma il proposito di conoscenza di quest’ultima a trasmutare la normalità in aberrazione. Dopo averne riacquistati i diritti, Koontz provvede nel 1997 a una rivisitazione del romanzo, che nella nuova veste viene edito anche in Italia ancora da Fanucci nel 2002, sempre con il titolo Generazione Proteus. Dal 1976 al 1980 i temi prevalentemente fantascientifici vengono lasciati in secondo piano nella produzione dell’autore, in favore di altre tematiche non meno affascinanti. In Night Chills, 1976 (Quando Scendono le Tenebre, Sonzogno, 1994) i propositi di governo delle masse stigmatizzati

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THE FACE OF FEAR

ed. RANDOM HOUSE 1977

THE VISION

ed. PUTNAM 1977

da Koontz dopo l’esperienza al Program raggiungono il loro inquietante parossismo nel disegno criminale di un facoltoso uomo d’affari e di un ricercatore senza scrupoli. Verificata le potenzialità della suggestione ipnotica, raggiungibile anche con messaggi subliminali, i due contaminano l’acquedotto di una cittadina con una sostanza che dovrebbe abbattere le difese dell’inconscio. Durante l’agghiacciante esperimento, che non pare avere falle, nella medesima cittadina giunge una famigliola in cerca di serenità… Thriller puro è invece The Face of Fear, 1977 (Il Volto della Paura, Sonzogno, 1993). L’assoluta prevedibilità dello sviluppo della trama e la scarsa penetrazione psicologica dei personaggi non sono di ostacolo alla realizzazione di un film TV nel 1990. La storia può essere ridotta allo schema essenziale: un serial killer, un sensitivo e una fuga inusuale da un grattacielo che avviene con corde e punteruoli (il sensitivo protagonista è stato un

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THE KEY TO MIDNIGHT ed. POCKET BOOKS 1979

rocciatore famoso). Decisamente poco stimolante anche The Vision, 1977 (Visioni di Morte, Sperling & Kupfer, 1990). Di nuovo un serial killer e una sensitiva… con traumi infantili dimenticati. La storia, certo non coinvolgente e fin troppo piatta, non viene neppure in minima parte resa più interessante dai pochi e banali tentativi di ‘depistaggio’ operati dall’autore. Koontz supera ancora il milione di copie vendute con The Key to Midnight, 1979 (In Fondo alla Notte, Sperling & Kupfer, 2001), sotto lo pseudonimo di Leigh Nichols. Una cantante americana di un elegante locale di Kyoto è tormentata da incubi nei quali ricorre l’immagine di uomo con dita d’acciaio che le si avvicina minaccioso con una siringa in mano. Il turbamento diviene vero e proprio terrore quando uno sconosciuto irrompe nella sua vita convinto che lei sia la figlia di un senatore scomparsa più di dieci anni prima. Possono i ricordi della donna non


THE VOICE OF THE NIGHT ed. DOUBLEDAY1980

THE FUNHOUSE

ed. JOVE BOOKS 1980

essere reali, ma anzi il frutto di una manipolazione? Nel 1980 esce The Voice of the Night (La Voce della Notte, Sonzogno, 1992), scritto con lo pseudonimo di Brian Coffey. Differentemente da King, Koontz non assume quasi mai a protagonisti dei propri romanzi giovani adolescenti: questa è una buona eccezione. Il giovane Colin, timido e impacciato, diventa amico del coetaneo Roy, bello, ricco, simpatico a tutti, sicuro di sé e sempre a suo agio in ogni frangente. Grazie a questa amicizia le giornate di Colin si riempiono di avventure, di esperienze che mai avrebbe immaginato di vivere… riesce persino a conoscere alcune ragazze. Purtroppo per lui la serenità è solo momentanea. La città in cui vive è piena di segreti, e anche quanto appare tanto luminoso nasconde dentro di sé oscure zone d’ombra. Se pure il lettore non subisce il mesmerico fascino della narrazione del miglior King, notoriamente abilissimo nel rievo-

WHISPERS

ed. PUTNAM 1980

care il passato di giovinezze tormentate eppure ispiratrici di nostalgia e rimpianto (come in Stand by Me e It), il romanzo di Koontz non manca di pregi e coinvolge in un’avventura credibile e avvincente. Come Brian Coffey, nel 1979 Koontz realizza la sceneggiatura dell’episodio ‘Counterfeit’ (il sesto della terza stagione, in Italia ‘I falsari’) della notissima e fortunata serie Chips. The Funhouse, 1980 (Il Tunnel dell’Orrore, Fanucci, 1994) è pubblicato invece col nome di Owen West. Una ragazzina, oppressa da una madre fanatica religiosa, scappa da casa e finisce a convivere con un giostraio violento che abusa di lei. Riesce a fuggire e, negli anni, a crearsi una nuova vita, con un marito che la ama e due figli. Purtroppo però non potrà sfuggire a lungo alla vendetta del giostraio che si è alimentata nell’ossessione e nell’odio folle. È un romanzo che, in ragione di una suspense creata ad arte, rapisce il lettore sin dalla prima pagina.

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THE HOUSE OF THUNDER ed. POCKET BOOKS 1982

PHANTOMS

ed. PUTNAM 1983

Koontz ripete il successo di Demon Seed e ottiene la definitiva consacrazione nel 1980 con Whispers (Sussurri, Sonzogno, 1990). È un thriller riuscito che gioca argutamente con il lettore, lasciandolo per gran parte della storia nel dubbio se gli eventi apparentemente inspiegabili con i quali devono confrontarsi i personaggi siano o meno il frutto di forze sovrannaturali: il killer che terrorizza la protagonista viene ucciso ma, nonostante questo, mentre ancora sul suo corpo è in corso l’autopsia, un individuo identico a lui continua un’efferata serie di omicidi. The House of Thunder, 1982 (La Casa del Tuono, Sonzogno, 1989), è scritto sotto lo pseudonimo di Leigh Nichols: una brillante ricercatrice, traumatizzata da un nefasto evento accaduto in gioventù, si ridesta un giorno in una clinica, la mente confusa, i ricordi obliati. In un crescendo di scoperte e intuizioni agghiaccianti, Koontz confeziona una storia per molti versi sorprendente, calata in un’atmosfera

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TWILIGHT EYES

ed. LAND OF ENCHANTMENT 1985

perfetta. Phantoms, 1983, (Phantoms!, Mondadori, Urania, 1985), dal quale verrà tratto nel 1998 un film omonimo. Due giovani sorelle ritornano a casa, in una cittadina di montagna; ad accoglierle un silenzio innaturale: tutti gli abitanti del luogo sono scomparsi nel nulla. Chiave del mistero è forse una enigmatica scritta rinvenuta su uno specchio, in un bagno chiuso a chiave dall’interno: “l’antico nemico”. È probabilmente il romanzo di Koontz che volge maggiormente all’horror, con il bagaglio che si reputa tipico del genere, fatto di raccapriccianti smembramenti, mostri orribili, morti truculente e improvvise. La storia, svolta con i ritmi a cui Koontz ha abituato i propri lettori, è tutt’altro che banale e regala senza dubbio un ‘godibile’ intrattenimento, almeno per gli amanti del genere. Twilight Eyes, 1985, ripubblicato con aggiunte nel 1987 (Là fuori nel Buio, Sonzogno, 1995), narra di un ragazzo che rie-


THE DOOR TO DECEMBER (1985) ed. SIGNET 1990

STRANGERS

ed. PUTNAM 1986

sce a vedere i mostruosi demoni nascosti dietro le maschere di persone normali. Braccato, in dubbio sulla sua stessa sanità mentale, si rifugerà in un luna park itinerante dove, tra freaks e persone ‘particolari’, spera di trovare un po’ di serenità e un minimo di protezione. Il debito con Eight O’Clock in the Morning, il racconto di Ray Nelson (1963) dal quale nel 1988 viene tratto il film They Live (Essi vivono) di Carpenter, nulla toglie a un romanzo che, specie nella prima parte, risulta riuscitissimo, tanto angosciante quanto avvincente. Purtroppo il perfetto ed equilibrato sviluppo, arricchito da scene cupe e atmosfere claustrofobiche, subisce, verso la metà del libro una ingiustificata accelerazione: la trama precipita verso un’improbabile e sbrigativa fine, che purtroppo svilisce in un thriller scontato le ottime premesse. Sotto lo pseudonimo di Richard Paige, nel 1985 esce The Door to December (Incubi, Sperling & Kupfer, 1991). Una gio-

SHADOWFIRES

ed. AVON BOOKS 1987

vane mamma riabbraccia la figlia rapita anni prima dal padre, uno psicologo che la polizia ha trovato morto insieme ad altri tre uomini, tutti uccisi da qualcuno o qualcosa tanto folle da fare scempio dei loro corpi. La bambina è profondamente traumatizzata: rinchiusa abitualmente dal genitore in una stanza di deprivazione sensoriale e sottoposta a dolorosi esperimenti, ora patisce una forma di autismo dalla quale solo l’amore della madre potrà forse liberarla. Purtroppo la terribile entità che ha ucciso i suoi aguzzini non si è affatto placata e sembra essere intenzionata a raggiungere prima o poi anche lei… La storia ha uno sviluppo troppo scontato per appassionare realmente. Strangers, 1986 (Sonzogno, 1992), ci presenta persone con lavori, età e aspirazioni diverse che subiscono gli improvvisi e incontrollabili effetti di psicosi e fobie, delle quali non hanno mai in precedenza patito. Abitano in città lontane tra loro sparse per tutti gli Stati Uniti e non paiono avere

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WATCHERS

ed. PUTNAM 1987

LIGHTNING

ed. PUTNAM 1988

nulla in comune, salvo degli incubi ricorrenti e ricordi di un passato quanto mai annebbiato. Finiranno con l’incontrarsi tutti al Tranquillity Motel nel mezzo del deserto del Nevada, dove la strabiliante verità verrà faticosamente riportata a galla. È uno dei lavori più riusciti di Koontz, che però cade purtroppo ancora una volta nel banale verso la fine, anche qui quanto mai affrettata nonostante la poderosa mole del romanzo. In Shadowfires, 1987 (Ombre di Fuoco, Sperling & Kupfer, 2000), scritto come Leigh Nichols, una giovane donna sembra tormentata dallo spettro del marito, deceduto in un incidente ma il cui corpo è misteriosamente sparito dall’obitorio. Il 1987 è anche l’anno in cui Koontz pubblica Watchers (Mostri, Sperling & Kupfer, 1989), opera decisamente più originale e avvincente. Durante una passeggiata in un bosco, Travis incontra un golden retriever con il quale stringe una spontanea amicizia. L’animale si dimostra

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MIDNIGHT

ed. PUTNAM 1989

particolarmente intelligente, in grado di comprendere non solo i sentimenti di Travis, ma anche il suo linguaggio. Purtroppo l’incontro sarà foriero di gravi pericoli perché l’animale è inseguito dalla sua nemesi, una creatura spaventosa che lo odia con ogni fibra del suo essere. Dal libro viene tratto nel 1988 il film Watcher (Alterazione Genetica) cui farà seguito una vera e propria saga, indipendente dal romanzo: Watcher II (Alterazione Genetica II, 1990), Watcher III (1994) e Watcher Reborn (1998). Nel 1988 esce Lightning (Lampi, Sperling & Kupfer, 1990): Laura Shane ha una vita travagliata fin dalla nascita ma, ogni volta che il destino sembra accanirsi contro di lei, un individuo sconosciuto che pare non invecchiare mai accorre in suo soccorso. È un thriller riuscitissimo, particolareggiato, accattivante, che incuriosisce e appassiona. Da dimenticare, ancora una volta, l’epilogo. Midnight, 1989 (Mezzanotte, Sperling


THE BAD PLACE ed. PUTNAM 1990

COLD FIRE

ed. PUTNAM 1991

& Kupfer, 1990), già accennato in precedenza, è il romanzo che ha avvicinato Koontz alla CCI. A Moonlight Cove qualcosa di misterioso e inquietante sta avvenendo: le persone stanno cambiando, regredendo, mutando in qualcosa di ferino. E il processo sembra accelerare ogni ora che passa. A rendersene conto sono Tessa Lockland, arrivata in città per far luce sul supposto suicidio della sorella, e l’agente dell’FBI Sam Booker, giuntovi per investigare sulla morte di due colleghi. È un thriller-horror ben strutturato, con più storie che rapidamente convergono a comporre un quadro da brividi, con scene impressionanti che coinvolgono e convincono. In The Bad Place, 1990 (Il Posto del Buio, Sperling & Kupfer, 1991), un uomo si desta in un motel in uno stato di completa amnesia, sporco di sangue. Per far luce sul suo passato si rivolge a due detective che dirigono un’agenzia investigativa, ma l’indagine si trasforma in un vero e pro-

HIDEAWAY

ed. PUTNAM 1992

prio incubo: qualcuno lo sta inseguendo, e ha davvero poco di umano. Thriller-horror tra i migliori di Koontz, con personaggi ben delineati, indimenticabili, una trama articolata e non scontata, una narrazione coinvolgente. Benché ottengano ottime recensioni e scalino con rapidità la classifica di vendita, non possono invece annoverarsi tra le migliori opere di Koontz né Cold Fire del 1991 (Fuoco Freddo, Sperling & Kupfer, 1992), né Hideaway del 1992 (Cuore Nero, Sperling & Kupfer, 1993), da cui pure viene tratto un film omonimo nel 1995 (Premonizioni, nella versione italiana). Gli innegabili lati positivi del primo sono vanificati da un finale prevedibile, che viene lasciato trasparire fin da subito; del secondo, che ricade nel solito tema ‘legame psichico del buono con il cattivo’, si salva solo la caratterizzazione del personaggio della bambina adottata dalla coppia dei protagonisti: forte, decisa, intelligente, ma anche dolcemente

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MR. MURDER

ed. PUTNAM 1993

DRAGON TEARS ed. PUTNAM 1993

umana, sensibile e vulnerabile. Non è particolarmente riuscito neppure Mr. Murder del 1993 (La Notte del Killer, Sperling & Kupfer, 1997), dove l’impianto – oramai tipico per Koontz – della fuga da un irriducibile assassino, che sembra invincibile e con risorse illimitate, costituisce l’ossatura portante di una trama che ricorda troppo da vicino La Metà Oscura e Finestra segreta, giardino segreto di King: il famoso scrittore di gialli Stillwater, rientrando a casa, si trova di fronte un uomo identico a lui che lo accusa di avergli rubato la vita e, soprattutto, la famiglia. Il dramma psicologico e metaforico di King viene purtroppo svilito in un thriller fantascientifico di scarsa suggestione. Nel 1993 viene pubblicato anche Dragon Tears (Le Lacrime del Drago, Sperling & Kupfer, 1994). La storia in sé ricalca schemi già visti: il serial killer folle con poteri sovrannaturali, la fuga, il disvelamento del mistero, il lieto fine. Desta ben più di qualche apprensione nel lettore lo sco-

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DARK RIVERS OF THE HEART ed. ALFRED A. KNOPF 1994

prire che i fatti raccapriccianti menzionati dai (finti) personaggi del romanzo nell’ambito di una storia poco verosimile sono purtroppo, come ricorda l’autore in nota, fatti di cronaca realmente accaduti negli Stati Uniti (a mero titolo esemplificativo: la madre che uccide volontariamente il proprio bambino in fasce gettandolo in lavatrice, per andare a partecipare a una festa). In questo libro si assiste al primo vero tentativo di narrare avvenimenti attraverso un’ottica ‘canina’, esperimento poi ripreso nei romanzi ‘scritti’ da Trixie Koontz. Se il punto di vista politico e ‘sociale’ di Koontz traspare per bocca dei suoi personaggi in quasi tutti i suoi libri, è in effetti con Dragon Tears e con il successivo Dark Rivers of the Heart, 1994 (Il Fiume Nero dell’Anima, Sperling & Kupfer, 1995) che assume contorni di denuncia quanto mai esplicita. Lui e lei in fuga da un killer psicopatico, nulla di più abusato; le caratterizzazioni dei personaggi fanno però la


INTENSITY (1995) ed. ALFRED A. KNOPF 1996

SOLE SURVIVOR

ed. ALFRED A. KNOPF 1997

differenza: lui è un ex poliziotto che continua a rimanere prigioniero di un oscuro passato, lei è un’esperta di computer in possesso di conoscenze pericolose. Il killer può contare su strumenti tecnologici modernissimi che utilizza non solo per i compiti che gli vengono assegnati ma anche per perseguire un suo personale disegno: porre termine alla vita di persone imperfette. Intensity, del 1995 (Sperling & Kupfer, 1996), è un libro che il lettore divora. Chyna ha avuto un’infanzia e un’adolescenza difficili. Il fato sembra infierire ancora su di lei quando nella casa della sua migliore amica Laura, dove ha trovato momentanea dimora, irrompe un efferato serial killer che uccide i genitori di Laura e rapisce quest’ultima. Si salva solo Chyna che, rimasta nascosta, cerca invano di trarre in salvo l’amica introducendosi nel furgone utilizzato dall’omicida, dove rimane invece bloccata. Intensity è il primo vero suspense thriller di Koontz,

FEAR NOTHING (1997) ed. DELL 1998

che inaugura così un suo personale filone (lo stesso al quale apparterranno a buon titolo, tra gli altri, The Husband e The Good Guy). L’intera trama si svolge in un arco temporale di poche ore: i periodi sono brevi, le immagini si susseguono rapide, con poche pause sapientemente distribuite tra fughe concitate, trappole e colpi di scena. Il finale è molto meno scontato di quanto si possa prevedere, e si sposa con coerenza con il ritmo della storia. Dal romanzo viene tratto nel 1997 un film per la tv, trasmesso in due serate consecutive, che riscuote imponenti successi di ascolto in USA e risultati positivi anche in Italia. Sempre sul plot di Intensity, Alexandre Aja dirigerà il film del 2003 Alta Tensione (Haute Tension). La trama è pressoché identica a quella del romanzo di Koontz per gran parte del suo sviluppo, poi varia offrendo un radicale cambio di prospettiva, ad effetto, che non manca però di attirare accuse di incoerenza da parte della critica.

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SEIZE THE NIGHT ed. BANTAM 1998

FALSE MEMORY (1999) ed. BANTAM 2000

Nel 1997 Koontz è di nuovo in cima alle classifiche con Sole Survivor (Sopravvissuto, Sperling & Kupfer, 2000). Joe Carpenter perde moglie e due figlie in un disastro aereo. La sua vita è distrutta: abbandona il lavoro, allontana amici e parenti, vende la casa e si trasferisce in un piccolo appartamento dove consuma le sue giornate nel dolore che l’abuso dell’alcool non riesce a sopire. A un anno esatto dalla tragedia si ritrova sulla tomba della sua famiglia e qui incontra una misteriosa donna che lo condurrà ad agghiaccianti scoperte: il disastro non è stato un incidente e, contrariamente a quanto sostenuto dai rapporti ufficiali, c’è stato almeno un sopravvissuto… Nel 1997-98 Fear Nothing (L’Uomo che Amava le Tenebre, Sperling & Kupfer, 1998) e nel 1998-99 Seize the Night (Tracce nel Buio, Sperling & Kupfer, 1999), per certi aspetti sequel indiretti di Watchers, inaugurano una nuova stagione per l’autore: se, sotto lo pseudonimo di Brian

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FROM THE CORNER OF HIS EYE ed. BANTAM 2000

Coffey, negli anni ‘70 aveva già scritto la trilogia di Mike Tucker (Blood Risk, Surrounded, The Wall of Masks), ora è sotto il suo vero nome che compare la sua prima vera saga. Con questi romanzi Koontz presenta al lettore Christopher Snow, un ragazzo costretto a vivere di notte a causa di una terribile malattia (reale), lo xeroderma pigmentoso, che rende per lui mortale la luce troppo intensa. Pur senza rassegnarvisi, Snow accetta la propria malattia e trova un proprio modo di vivere, un proprio equilibrio. Ha un amico sul quale contare, che è riuscito a trasformare la propria passione per il surf in una fonte di reddito invidiabile, e un fedele compagno, Orson, cane ben più intelligente della media. Snow sarà costretto a fare i conti con il passato della sua famiglia e in particolare con i segreti di sua madre, una genetista amorevolmente votata alla ricerca di una cura per la malattia del figlio. La vicenda che lo vede protagonista lo condurrà nei recessi oscuri di Fort


ONE DOOR AWAY FROM HEAVEN ed. BANTAM 2001

THE FACE

ed. BANTAM 2003

Wyvern, la base militare abbandonata di Moonlight Bay, tempio di esperimenti segreti sfuggiti a ogni controllo. L’originario progetto di Koontz prevede un terzo romanzo, Ride the Storm: lo stesso autore ha però dichiarato che la realizzazione di questo nuovo capitolo della saga ha presentato notevoli imprevisti che lo hanno costretto a rimandare la pubblicazione. A tutt’oggi il volume è inedito, ma l’uscita quest’anno della graphic novel Fear Nothing induce un cauto ottimismo riguardo una sua prossima diffusione. Nel 1999-2000 Koontz ritorna alle tematiche già ‘visitate’ in alcuni romanzi precedenti (come The House of Thunder e Night Chills): False Memory (Falsa Memoria, Sperling & Kupfer, 2001) gioca di nuovo con le manipolazioni della mente attuate da individui senza scrupoli, spinti da mero autocompiacimento e desiderio di sopruso. L’ironica conclusione non toglie nulla a una storia appassionante che non delude il lettore.

ODD THOMAS

ed. BANTAM 2003

Molto più complesso è From the Corner of his Eye, del 2000 (Il Cattivo Fratello, Sperling & Kupfer, 2002). Koontz instaura un inusuale parallelismo tra la vita di due individui, diversi in età, aspirazioni, carattere. I destini dei due si incrociano quando uno uccide la moglie e l’altro rischia per un incidente d’auto di morire prima ancora di nascere. La storia segue la vita di entrambi… e prepara l’inevitabile incontro. Con One Door Away from Heaven, 2001 (L’ultima Porta del Cielo, Sperling & Kupfer, 2003), Koontz intreccia una trama molto simile a quella di Strangers, con personaggi molto diversi che lentamente vengono fatti incontrare. Uno di loro, candidissimo, pare a tutti gli effetti l’archetipo del notissimo Odd Thomas (di cui a breve). Pessimo invece per molti aspetti l’arido, ripetitivo e per nulla convincente The Face, 2003 (Il Volto, Sperling & Kupfer, 2005).

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FOREVER ODD

ed. BANTAM 2005

BROTHER ODD ed. BANTAM 2006

Nel 2003 Koontz pubblica Odd Thomas (Il Luogo delle Ombre, Sperling & Kupfer, 2005). Scalate rapidamente le classifiche, diverrà uno dei maggiori successi dell’autore, tanto da originare una nuova saga: nel 2005 esce Forever Odd (Nel Labirinto delle Ombre, Sperling & Kupfer, 2007); seguono Brother Odd nel 2006 (inedito in Italia, come i seguenti del ciclo), Odd Hours nel 2008, Odd Interlude e Odd Apocalypse nel 2012, Deeply Odd nel 2013. Della saga fanno parte integrante anche le graphic novel In Odd we Trust (2008), Odd is on our Side (2010) e House of Odd (2012), che raccontano le vicende della vita di Odd antecedenti quelle narrate nel primo romanzo. Odd Thomas è il giovane cuoco di una tavola calda a Pico Mundo, una cittadina insignificante ai limiti del deserto del Mojave. È un ragazzo semplice, dall’animo puro, un vero e proprio Candido dei giorni nostri, al quale il destino (o qualche volontà superiore) ha riservato un

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ODD HOURS

ed. BANTAM 2008

dono particolare o forse una maledizione: vede gli spiriti dei defunti. Costoro non sono in grado di parlare, ma cercano in ogni modo di farsi comprendere da Odd, per vari fini (ottenere giustizia nei riguardi di chi ha cagionato la loro morte, avvertire dell’imminenza di gravi pericoli…). Le vicende narrate nel primo romanzo della saga hanno inizio con l’arrivo a Pico Mundo di un inquietante individuo, accompagnato in ogni dove da uno stuolo di oscure ombre avide di stragi e massacri. Il tema di un personaggio in grado di vedere i fantasmi e di rapportarsi con essi non è certo una novità, se solo si pensa che il celeberrimo film Il Sesto Senso (1999) era uscito nelle sale ben quattro anni prima della pubblicazione di Odd Thomas. Nella saga creata da Koontz entrano però figure antagoniste, legate al mondo dell’oscurità, similmente a quanto accadrà in Ghost Whisperer (fortunata serie televisiva che esordisce nel 2005),


ODD INTERLUDE (2012) ed. BANTAM 2013

ODD APOCALYPSE ed. BANTAM 2012

ma con toni e sfumature decisamente diversi. L’Oscurità che Odd Thomas è chiamato ad affrontare è vorace, crudele e non concede tregua; il ritmo dei libri della saga ne segue i truci contorni: la suspense è creata con arte, ogni pagina chiama magneticamente la successiva. Sorprendono allora i toni ampiamente ironici della narrazione (è un esempio il fatto che ad accompagnare Odd Thomas sia spesso lo spirito di Elvis Presley, con tanto di abito a lunghe frange), senza che ciò lasci avvertire discrasie, intoppi, cadute di stile: l’inusuale amalgama convince e appassiona. Il merito va indubbiamente al protagonista, a come è ritratto. Odd Thomas è in effetti tanto innocente da risultare spesso disarmante, ma è tutto fuorché un ingenuo: è coraggioso, astuto, generoso… e immune alla stucchevolezza che la somma di questi abusati pregi di solito determina. Il lettore riesce con semplicità a guardare il mondo attraverso gli occhi di Odd e rimane imprigionato

DEEPLY ODD

ed. BANTAM 2013

dalla sua personalità e dal suo buon cuore. In trepidante attesa di una sua nuova (spesso tragica) avventura. Koontz aveva ventilato l’ipotesi di un cross over tra le sue due prime saghe, con l’incontro tra Snow e Thomas, ma pare che abbia poi accantonato il progetto. Il 2005 vede l’inizio di un’altra saga, la ‘Serie di Frankenstein’, scritta da Koontz insieme a Kevin J. Anderson (già autore con Brian Herbert dei cicli Preludio a Dune e Leggende di Dune): in quell’anno vengono pubblicati Prodigal Son (L’Immortale, Sperling & Kupfer, 2012) e City of Night (La Città dei Dannati, Sperling & Kupfer, 2012). Seguiranno Dead and Alive, 2009 (Le Creature della Notte, Sperling & Kupfer, 2013), Lost Souls (2010) e The Dead Town (2011), questi ultimi due inediti in Italia. Prodigal Son è stato anche trasposto in una graphic novel. La saga vende benissimo, più di 10 milioni di copie, ma attrae poco i lettori più ‘aggiornati’; e in particolare quelli ita-

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PRODIGAL SON ed. BANTAM 2005

CITY OF NIGHT ed. BANTAM 2005

liani, che hanno già conosciuto gli zombi della notissima serie televisiva The Walking Dead e i vampiri creati da Justin Cronin (realizzazioni cronologicamente successive all’opera di Koontz ma arrivate prima in Italia). La resurrezione di Frankestein, attraverso una reinterpretazione in chiave moderna del suo mito, più che un omaggio all’originale pare l’ennesimo tentativo di facile guadagno sfruttando un filone che ha ritrovato in questi anni un invidiabile successo: l’inarrestabile crollo della società umana per mano di esseri apparentemente invincibili. Gli esperimenti immondi del dottor Frankestein, impadronitosi dei segreti dell’immortalità e ora creatore di un’intera legione di esseri fisicamente e mentalmente superiori di cui il più noto mostro era solo un primo patetico prototipo, non riescono a sfuggire all’impressione di ‘già letto/visto’. Allo stesso modo il crollo della società non è un possibile drammatico epilogo che turba nel profondo il lettore,

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DEAD AND ALIVE ed. BANTAM 2009

ma l’esito scontato di premesse abusate. Solo la maestria di Koontz nel creare suspense e il tratteggio particolarmente riuscito di alcuni personaggi rendono la lettura ugualmente godibile. Benché impegnato a partire dal 2005 nella realizzazione dei vari capitoli delle saghe di Frankestein e Odd Thomas, Koontz riesce ancora a realizzare best-seller autoconclusivi avvincenti e di qualità. Nel 2005 dà alle stampe Velocity (Sperling & Kupfer, 2006) il cui titolo è già di per sé esplicativo del ritmo del romanzo. Nel 2006 tocca a The Husband (Il Marito, Sperling & Kupfer, 2008): Mitch è un giardiniere che un lunedì come tanti si trova al lavoro con l’amico Iggy, buono, disponibile, ma certo non molto perspicace; inattesa, alle 11.43, giunge la telefonata di Holly, la moglie. Poche parole. Poi alla sua si sostituisce la voce di uno sconosciuto. E ha inizio l’orrore… Nel 2007 The Good Guy (Il Bravo Ragazzo, Sperling & Kupfer, 2009): Tim Carrier,


LOST SOULS

ed. BANTAM 2010

THE DEAD TOWN ed. BANTAM 2011

a causa di uno scambio di persona, riceve da uno sconosciuto un’ingente somma destinata a un assassino per uccidere una donna. Poco dopo incontra il killer. Fingendosi lui il mandante, dichiara di aver cambiato idea e cerca invano di convincere l’assassino ad accettare i soldi senza portare a termine il compito. Purtroppo si renderà conto che l’unico modo per salvare la vittima designata è proteggerla lui stesso. The Darkest Evening of the Year (2007, inedito in Italia) il cui titolo pare alludere alla scomparsa proprio in quell’anno dell’adorata Trixie, riporta in copertina l’immagine di un golden retriever, e ruota in effetti attorno alla soteriologica figura di un cane che, salvato dalla protagonista, ricambierà il favore. Your Heart Belongs to Me, del 2008 (Il tuo Cuore mi Appartiene, Sperling & Kupfer, 2011), è forse uno dei romanzi più maturi di Koontz, ragionato e profondo. La riflessione sulla ricerca del significato della

VELOCITY

ed. BANTAM 2005

vita, l’apertura non mediata a meditazioni filosofiche e religiose permeano una storia avvincente, brillante e originale, premiata da critica e lettori. Ryan Perry è un uomo di successo a cui la vita sembra aver dato tutto: una notevole ricchezza economica, il tempo per goderne ampiamente, e una fidanzata, Samantha, bellissima e intelligente. Quando però inizia ad accusare improvvisi mancamenti, viene colto da un’ossessione: e se qualcuno lo stesse avvelenando, magari proprio la sua fidanzata? Ray allora non esita a ricorrere a investigatori privati per indagare il doloroso passato di Samantha e le frequentazioni discutibili da lei avute prima di conoscerlo. Tutte le ipotesi iniziali vengono spazzate via quando invece si scopre che Ryan non è vittima di avvelenamento ma di una grave malattia cardiaca; così, mentre l’atmosfera si incupisce con allucinazioni, oscure premonizioni e sogni inquietanti, il romanzo riprende slancio su una diversa china: l’attesa di un donatore

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THE HUSBAND ed. BANTAM 2006

THE GOOD GUY ed. BANTAM 2007

di cuore, il trapianto andato a buon fine e… il vero incubo, che inizia solo ora. Nel 2009, dopo l’ottima prova dell’anno precedente, Koontz pubblica Relentless (Senza Tregua, Sperling & Kupfer, 2010), che ottiene negli Stati Uniti un successo strepitoso arrivando in vetta alle classifiche dei libri più venduti, ma che è forse una delle sue opere meno convincenti. I protagonisti sono ragazzini prodigio che inventano oggetti improbabili, e cani che si teletrasportano. Quello che dovrebbe essere un colpo di scena di radicale impatto nella struttura della storia è poi tanto scontato da apparire addirittura fuori luogo e inutile. Il finale, banalissimo, è la ‘degna’ conclusione di un romanzo tanto apprezzabile e intrigante nelle premesse quanto insignificante nello sviluppo. Raggiungono il primo posto nella classifica bestseller del New York Times anche What the Night Knows nel 2010, 77 Shadow Street nel 2011 e Innocence nel 2013, tutti ancora inediti in Italia.

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THE DARKEST EVENING OF THE YEAR ed. BANTAM 2007

LE OPERE DI KOONTZ: I GENERI, LE TEMATICHE RICORRENTI, I PROTAGONISTI Le tematiche care a Koontz sono varie e variamente declinate in tutti i suoi romanzi: mutazioni genetiche fuori controllo (Mostri, Mezzanotte, L’Uomo che Amava le Tenebre), manipolazioni mentali e del subconscio (La Casa del Tuono, Quando Scendono le Tenebre, Falsa Memoria), mostri dai temibili poteri psichici (Il Posto del Buio, Incubi, Fuoco Freddo, Sopravvissuto) e, più raramente, creature sovrannaturali (Là Fuori nel Buio, Phantoms!) e alieni (Strangers, L’Ultima Porta del Cielo). In queste vicende l’aspetto fantascientifico è preponderante, ma non mancano certo elementi orrorifici o truculenti, e la narrazione è quella propria dei thriller, sviluppata in un breve arco temporale (pochi giorni, a volte in una sola notte), con gli eventi che si susseguono incalzanti, senza inutili pause, digressioni, cadute di intensità. Si tratta, in poche parole, di


YOUR HEART BELONGS TO ME ed. BANTAM 2008

RELENTLESS

ed. BANTAM 2009

veri e propri thriller-horror. In altri romanzi il sovrannaturale viene lasciato ai margini, a volte appena palpabile, e tutto ruota intorno a un ristretto numero di personaggi, coinvolti, spesso per caso, negli oscuri piani di imbattibili e astuti serial killer o assassini di professione (Intensity, Velocity, Il Marito). Dialoghi e personaggi sono spesso caratterizzati da una pungente ironia, che ­– come riportano più fonti – è propria della personalità dell’autore; certo non si fatica a immaginarla presente anche nei suoi dialoghi con la moglie. L’ironia spinge Koontz a descrivere situazioni, dettagli e scene deliberatamente poco verosimili, a volte per allentare una tensione altrimenti eccessiva, altre volte, all’opposto, per creare un’atmosfera serena che prelude a svolte improvvise. In tutte le opere, in diversa misura a seconda dei casi, sono chiaramente percepibili anche le convinzioni e il punto di vista dell’autore.

WHAT THE NIGHT KNOWS ed. BANTAM 2010

Nell’intervista al Reason, Koontz attribuisce il successo delle sue opere soprattutto alla facilità con cui da esse si può trarre la rappresentazione del reale: un mondo che al lettore risulta subito riconoscibile, nel quale spontaneamente si ritrova immerso, perché è il mondo di ogni giorno, animato da persone buone, disponibili, altruiste, ma anche contaminato da individui amorali, ingiusti, malvagi. Per Koontz il lettore sa che il Male esiste e che, contrariamente a quanto sostiene una certa corrente di pensiero, è il frutto di consapevoli scelte. Citando Vladimir Nobokov, Koontz afferma nitidamente nell’intervista che i più grandi mali del XX Secolo sono stati Marx e Freud. Per Freud, commenta, tutto ciò che facciamo è la conseguenza dell’educazione impartitaci da genitori e società, e di ciò che abbiamo subìto. Quindi, ogni crimine o azione riprovevole è frutto di patimenti sofferti, e chi li commette è vittima quanto chi li subisce.

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77 SHADOW STREET ed. BANTAM 2011

Koontz rifugge da una tale semplicistica concezione, che gli sembra informare lo stesso sistema della Giustizia americana, dove i più efferati assassini vengono condannati a pene insignificanti, per nulla commisurate alla gravità dei reati commessi, e rilasciati dopo breve tempo, liberi di uccidere di nuovo. Alcuni dei suoi personaggi più inquietanti sono ispirati a serial killer realmente vissuti. Forse il più fulgido esempio è Edgler Foreman Vess, l’artefice dei plurimi omicidi narrati in Intensity, che in un dialogo con la protagonista gioca con gli anagrammi del proprio nome e ne trae la frase ‘Dio mi teme’ (God fear me). Edgler ha ucciso i suoi genitori a 9 anni perché lo hanno colto a torturare una tartaruga; fatto passare l’omicidio per uno sfortunato incidente, viene affidato alla nonna che successivamente uccide; sottoposto a terapia, viene adottato da una coppia, e uccide pure questa… La storia riprende quella reale di Ed Kemper che assassina i suoi nonni a 15 anni, viene

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INNOCENCE

ed. BANTAM 2013

rilasciato a 20 perché ritenuto non rappresentare un pericolo per la società e poi uccide altre 8 persone tra cui la madre. I malvagi esistono, per Koontz, a prescindere dai condizionamenti della società e dalle pregresse esperienze, anche familiari; vale, a riprova, l’esempio della sua stessa vita: l’autore è nato povero, è cresciuto in un ambiente degradato ed è stato oggetto per anni di abusi da parte del padre alcolista e psicopatico, eppure non ha mai compiuto crimini. Così, nonostante all’inizio della carriera tratteggi i suoi personaggi negativi sulla base delle teorie freudiane secondo cui le devianze sono spiegabili in ragione di maltrattamenti e traumi preadolescenziali, nelle opere successive se ne discosta in modo radicale. Significativamente, nel recente L’Immortale, il protagonista Deucalion, indagando la mente malata di un serial killer, scopre che questi era tormentato da un grande senso di vuoto che aveva inutil-


mente cercato di colmare con le più varie religioni, con il nazismo e ancor prima con lo studio della psicoanalisi e dei grandi della materia quali Freud e Jung. E commenta: “Psichiatri, psicologi. Gli dei più inutili di tutti”. Il suo modello non è più Freud, ma Dickens, per il quale sono le azioni compiute a definire un personaggio, e ognuno ha il libero arbitrio sulle proprie scelte. Questo cambio di prospettiva non è l’unica variazione che, diacronicamente, può riconoscersi nel lavoro di Koontz; ma occorre pure ammettere che l’autore abusa spesso degli schemi che hanno fatto la sua fortuna. Come asseriscono più volte i suoi personaggi nei vari romanzi, la vera felicità è creare una famiglia con almeno due figli e possibilmente un cane; proprio sulla composizione o ricomposizione di questo quadro idilliaco ruota la maggioranza delle sue trame. E in quei casi il lieto fine è scontato. Koontz ha espressamente dichiarato che l’happy end delle sue storie non è che il riflesso di ciò che ha potuto constatare nella vita reale: i cattivi, presto o tardi, sono condannati a soccombere. Sotto altra prospettiva, il lieto fine può altresì apparire come una sorta di anticipazione metaforica di quello che fortunatamente attende le persone meritevoli dopo il trapasso. Per Koontz, cattolico, la convinzione che la vita prosegua dopo la morte – seppure in altra forma – è un principio saldo che traspare senza eccezioni in tutte le opere, e con maggiore evidenza tanto nel datato La Sinfonia delle Tenebre quanto nel più recente Sopravvissuto. È lecito però immaginare che sul tenore degli epiloghi abbiano influito anche

precise scelte editoriali, visto il risaputo apprezzamento che il pubblico americano riserva alle storie che si concludono felicemente. Si nota comunque che le opere più riuscite e convincenti di Koontz sono proprio quelle dove il lieto fine manca (in tutto o in parte), come Intensity, o dove è ben diverso da quello che il lettore si aspetta, come ne Il tuo Cuore mi Appartiene. Quest’ultimo romanzo presenta una particolare novità… L’impianto iniziale segue – si direbbe ‘pedissequamente’ – schemi e ritmi comuni a quasi tutte le trame congegnate dall’autore: la ricerca spasmodica della verità, la corsa contro il tempo, le scoperte che aprono di continuo scenari nuovi e inquietanti. Stavolta però Koontz, piacevolmente, sorprende, e dopo alcuni capitoli la vicenda assume tutt’altra connotazione; quasi a ironizzare su molti dei suoi precedenti lavori, strutturati sul semplice accumulo progressivo di scoperte, Koontz trasforma davanti agli occhi del lettore il suo personaggio: non più un abile investigatore che sa ben sfruttare le proprie risorse, ma solo un uomo paranoico che ha paura di morire. Questo romanzo propone personaggi di notevole complessità psicologica e una trama imprevedibile svolta da Koontz ben più che abilmente. L’atmosfera è resa in modo magistrale: sulla vita apparentemente da sogno del protagonista, il lettore percepisce in modo chiaro la presenza di un’inquietante ombra, la stessa che impedisce alla bella Samantha di abbandonarsi completamente all’amore per Ryan. Le rivelazioni successive al trapianto seguono il ritmo tipico dei migliori thriller di Koontz, ma l’angoscia che si

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percepisce è superiore. Perfetto l’equilibrio tra eventi reali e allucinazioni, con l’elemento sovrannaturale che si innesta armoniosamente, risultando la chiave di volta di tutta la narrazione. Koontz offre insomma al lettore un’opera completa, matura, ricca di chiaroscuri e di spunti per profonde riflessioni, e con un finale, una volta tanto, perfettamente congruo. Koontz, del resto, è sempre risultato più credibile laddove, di fronte a mostruose o incontrollabili forze, non ha posto ‘eroi’ positivi ricchi di capacità e risorse ma persone normali, o deboli ma di gran cuore, che riescono a superare ostacoli apparentemente insormontabili, magari con l’aiuto di una Provvidenza che opera per vie misteriose e di non immediata percezione. In questi non rari casi, i ritratti diventano meticolosi e la ‘penna’ di Koontz si fa attenta, delicata, quasi amorevole, ma mai stucchevolmente compassionevole: nessuno tra i lettori di Cuore Nero o di Il Posto del Buio potrà dimenticare l’orfana Regina, priva di una gamba, oppure Thomas, affetto da sindrome di Down. E li amerà soprattutto per la forza genuina e pura che sapranno dimostrare. Non è certo un caso. Nell’intervista rilasciata al Catholic Exchange, Koontz afferma che certi valori, anche quelli cattolici, possono essere veicolati meglio da una storia narrata che dall’omelia di un prete o da un articolo di giornale: “Perché puoi spiazzare le persone con una storia, incantarle con lo humour e poi lasciare che siano loro a pensare a queste altre problematiche.” Nelle opere di Koontz – all’apparenza spesso ‘solo’ dei buoni suspense thriller

– vengono così trattate problematiche e temi profondi quali la famiglia, l’aborto, il suicidio assistito, l’eugenetica e il paradiso, sotto una lente prospettica facilmente individuabile. Onnipresente è infatti un incondizionato inno alla vita, colta nel suo insanabile contrasto tra i limiti che ne costituiscono l’essenza e quell’inspiegabile apertura ad un senso di assoluto e di eterno che, legittimando la speranza, consente all’uomo di provare la vera felicità. È esplicita e incisiva la rappresentazione di tale certezza nella saga di Frankenstein: le immonde creature ‘superiori’ che dovrebbero sostituire l’umanità si volgono all’autodistruzione perché, limitate dal loro gretto materialismo, sono prive della capacità di sperare e di percepire il reale senso dell’esistenza. Sino a giungere a invidiare proprio gli umani di cui dovrebbero prendere il posto. Il vero antagonista, in ogni opera di Koontz, è la metaforica incarnazione ora del relativismo etico, ora del materialismo, ora dell’utilitarismo: sempre e comunque un’anima arida che ha volutamente soffocato la parte migliore di sé, rendendosi cieca innanzi a tutte le manifestazioni del divino. L’autore non manca quindi di far trasparire, o emergere direttamente dalla bocca dei suoi personaggi, la propria personale visione della vita. Ma il lettore non ne viene sensibilmente urtato: Koontz non propone infatti apertamente un manifesto politico – come per esempio Goodkind nei suoi romanzi fantasy – ma sospinge verso la riflessione con abilità e toni adeguati, mantenendo saldamente in primo piano lo sviluppo delle storie.

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DEAN KOONTZ

in compagnia di Trixie foto: ŠDANIEL KRUEGER www.dankrueger.com Twitter: @dankrueger13

twitter.com/DanKrueger13

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cult BOOK

Rimodellando

I CLICHÉ

DELL’ORRORE di GIANNI FALCONIERI

Dopo aver dato nuova linfa ai vampiri con Lasciami Entrare, Lindqvist si cimenta ancora con le radici dell’horror, riportando in vita i morti...

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TOCCOLMA È SULL’ORLO del caos. Dopo un’ondata di caldo torrido, in città si è creato un campo elettrico di grande intensità. Le lampade non si spengono, gli apparecchi elettrici non si fermano, i motori continuano a girare. Poi si scatena un’emicrania collettiva. Si diffonde la notizia che negli obitori i morti si stanno risvegliando. C’è un giornalista, il cui nipote è appena stato seppellito, che si chiede se anche i morti sotto terra stiano riaprendo gli occhi. E un’anziana signora, in attesa del funerale del mari-

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to, che sente bussare alla porta in piena notte. E ancora, un uomo disperato che prega Dio di riportare in vita la moglie. Ma poi quando i morti tornano, cosa vogliono? Quello che vogliono tutti: tornare a casa. E riaverli con sé non è esattamente come ci si aspettava.” Sarà l’algido fascino dei paesi scandinavi, o l’impronunciabilità esotica di nomi sempre più importanti nel panorama della letteratura mondiale; sta di fatto che l’interesse verso gli autori svedesi è


L’ESTATE DEI MORTI VIVENTI

(Hanteringen av odöda, 2005) MARSILIO Editore, 2008 ISBN: 9788831794541

cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni. Tra questi, almeno John Ajvide Lindqvist non delude né pare intenzionato a sfruttare tutte quelle scorciatoie che fanno di uno scrittore noto uno scrittore di moda. “Dopo i vampiri c’era da aspettarselo”, dirà qualcuno arricciando il naso di fronte al tema de L’estate dei morti viventi (2005). Gli zombi – lo dice anche un illustre filosofo – sono forse l’unico mito interamente moderno e, insieme ai vampiri, posseggono la quota di maggioranza della multinazionale Horror & Co. Perciò l’autore prende il baraccone degli stereotipi attribuiti al genere e lo smonta con un sapiente uso degli attrezzi del mestiere, ora più oliati rispetto a Lasciami Entrare (2004). Be’, a dirla tutta, forse manca l’entusiasmo della prima volta – che non si scorda mai – ma c’è un passo avanti nello stile e nella capacità di carpire interamente l’attenzione del lettore, che compensa la perduta innocenza dell’esordio. Va poi considerato che le premesse di questo libro non sono limi-

tate all’interno del genere. Posso solo immaginare, per dirne una, l’influenza di un romanzo importante come Le intermittenze della morte di José Saramago. Certo Lindqvist non tralascia l’horror: la sua perturbante palette di colori è più ricca che mai ed è magistrale nell’usarla, con poche pennellate che fanno tremare le vene ai polsi e turbano più a lungo di tanti spaventi preconfezionati. Ma non è l’orrore in sé – con il suo accanirsi sadico-voyeuristico sullo sconvolgimento materiale della vita dei personaggi – il fine della narrazio-

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JOHN AJVIDE LINDQVIST

foto: ©TEEMU RAJALA fonte: Wikimedia Commons

ne. Centrali sono invece gli esseri umani e le loro reazioni, le loro scelte all’arrivo dell’orrore; la devastazione delle loro vite anche prima dell’evento che innesca la storia, lento ma inesorabile. La coralità propria delle migliori opere di Stephen King, che l’autore si riserva di tenere circoscritta a quattro o cinque personaggi, offre l’opportunità di osservare da diverse altitudini e punti di vista l’entità del Male che si abbatte così ambiguamente in una estate svedese. È così che il lettore riesce a immaginare la reazione di Mahler, il protagonista, alla notizia che i morti stanno ritornando, sapendo che l’uomo ha sofferto negli ultimi mesi a causa della scomparsa del nipote. Qui ci troviamo nella migliore tradizione dell’orrore, altra cosa che il lettore realizza rapidamente: l’errore di recarsi al cimitero per riportare a casa il nipote, ora zombi. E viene voglia di gridarlo contro le pagine del libro che è una scelta sbagliata. Però alla fine sappiamo che succederà esattamente quanto non avremmo mai voluto accadesse; e quel che conta è che abbiamo avuto quella voglia di dirglielo chiaro, a Mahler, che non era proprio il

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caso di disseppellire i morti. Se pensate che questo meccanismo sia banale, sfruttato e reso pulp-tiglia commerciale come in tanti horror in cui la protagonista sta per ricevere una pugnalata alle spalle e lo spettatore vorrebbe urlarle “Girati, cretina!”, allora avete capito bene quanto è importante per uno scrittore sapere usare quell’emozione in maniera non scontata. Lindqvist ci riesce. Qui i morti viventi sono più simili ai revenant di Pet Cemetery che alle masse affamate e in decomposizione di Romero. La loro ri-apparizione innesca un tormento psicologico perturbante: i personaggi non sanno cosa fare o pensare di fronte al ritorno inaspettato dei propri cari. Essi sono o non sono le persone che hanno

Qualcosa si mosse sulla lapide, Henning socchiuse gli occhi. Era una larva. Una larva bianca come il gesso e grossa come il filtro di una sigaretta.


amato? Il loro aspetto parla chiaro, ma i loro occhi danno “l’impressione di fissare il fondo di un acquitrino dove niente si muove”. Nemmeno i fatti ci vengono proposti attraverso il filtro della ragione come va di moda adesso. Come se ‘spiegazione’ significasse necessariamente ‘spiegazione razionale’ e il Male non fosse qualcosa che semplicemente capita, cogliendoci alla sprovvista, cadendoci in testa come un’incudine in un cartone di Bugs Bunny. Il loro apparire minacciosi non ha a che fare con forza fisica, numero e brutte maniere, ma con la loro natura di fantasmi emotivi, con i ricordi associati alle persone amate, con quel senso di vuoto e di perdita che si sono lasciati dietro al momento della dipartita, con il desiderio frustato di comunicare in un primo momento e con il disagio di ciò che segue nel racconto (e che non vi rivelo). Se, a questo, aggiungiamo che l’esistenza degli zombi viene a stridere con i cardini della nostra società (consumo, massificazione, produttività), apprezziamo come l’autore riesca a inserire nell’equazione (che, no, non torna) anche dell’attualità, senza le pedanterie tipiche degli scribacchini meno esperti. Per tutto questo e soprattutto per la scrittura, che fin dalle prime righe è pulita e definita – non una parola di troppo –, il romanzo è due spanne sopra la media degli esponenti del genere, e degno successore di Lasciami Entrare. Se fosse un film, il montaggio sarebbe quello di una pellicola d’azione. La telecamera, ben piantata sulle spalle dei protagonisti, tralascerebbe campi troppo larghi per concentrarsi su quei particolari che

Ovunque, pelle nuda. Quasi tutti i morti erano riusciti a liberarsi delle lenzuola che ora giacevano sparse sul pavimento e sui tavoli. Una festa in toga degenerata in un’orgia.

rimangono impressi nella mente del lettore; lenta, scenderebbe con inquadrature nette: le pinzette che tintinnano sulle arterie nel petto squarciato di Eva, la pelle mummificata del nipotino che lo fa apparire un nano grottesco, la larva pallida che penetra attraverso la lapide… Dove uno scrittore come Stephen King spenderebbe dieci pagine per presentarci un personaggio secondario, l’autore va dritto al punto, e supera il confronto grazie a un meditato uso dell’ellissi e dell’implicito, riuscendo a distinguere quando un fatto è utile alla storia e quando è ridondante, inflazionato e puzza di già sentito, principale pericolo in una storia horror che ambisce a dire qualcosa di nuovo. In questo romanzo disperato e dai toni sinistri, con pagine strazianti e momenti grotteschi, Lindqvist riesce a cogliere lo spirito perturbante di una storia horror vecchio stile e a riscriverla mantenendo una continuità non apparente con Lasciami Entrare.

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i CLASSICI

Inseguendo

un’AMBIGUA

UTOPIA

di OSCAR RIVA

Una società ideale completamente anarchica, basata sull’uguaglianza assoluta. Un paradiso per molti, ma una gabbia per chi, dotato di capacità individuali fuori dal comune, non può e non vuole conformarsi.

A

NARRES E URRAS: due pianeti gemelli, eppure diversi come la luce e l’ombra. Il primo è ricco ma diviso: innumerevoli nazioni in lotta tra loro, interessate solo ad accumulare beni. Il secondo accoglie una colonia fondata da un gruppo di ribelli anarchici, fuggiti da Urras in seguito a una rivolta e adesso intenti a costruire la loro società ideale: concetto di proprietà abolito, e nessun governo che limiti la libertà personale; il pianeta è però desertico, inospitale, viverci è arduo e

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richiede che ogni individuo contribuisca alla sopravvivenza della comunità, in una condizione di totale uguaglianza. Su Anarres vive Shevek, un brillante fisico impegnato su una teoria che potrebbe rivoluzionare il modo di concepire i viaggi interstellari. Eppure la comunità scientifica – figlia di una società chiusa in se stessa, che evita in ogni modo il contatto con l’esterno per non essere contaminata dai valori capitalistici – sembra disinteressata al suo lavoro: i viaggi interstellari non rappresentano una priorità. Desideroso


I REIETTI DELL’ALTRO PIANETA

aka QUELLI DI ANARRES

(The Dispossessed: An Ambiguous Utopia, 1974) edizione italiana del 1980 pubblicata da EUROCLUB

di portare a termine il proprio studio in un posto dove esso possa venire apprezzato, Shevek decide allora di recarsi su Urras; nel suo cuore egli cova anche il sogno di poter costruire un ponte tra i due mondi, da troppo tempo divisi e apparentemente senza alcuna speranza di riconciliazione. Arrivato su Urras, Shevek dovrà confrontarsi con una realtà edificata su valori etici e morali diametralmente opposti ai suoi, e comincia a dubitare che sia quello il luogo giusto dove portare avanti le sue ricerche, e che un luogo giusto possa davvero esistere… In questo I Reietti dell’Altro Pianeta (The Dispossessed: An Ambiguous Utopia), pubblicato nel 1974, Ursula K. Le Guin prova qualcosa di molto simile a quanto già aveva tentato ne La mano sinistra delle tenebre (The Left Hand of Darkness, 1969): prendere la nostra società, elimi-

nare completamente uno dei suoi elementi costitutivi e cercare di immaginare cosa potrebbe derivarne. Ne La mano sinistra delle tenebre l’elemento era la distinzione tra i sessi; qui si tratta dei concetti di proprietà e di governo. Ancora una volta il risultato è eccellente; sebbene la struttura sociale di Anarres (priva di governo e di leggi) risulti un pochino nebulosa e nel complesso probabilmente del tutto utopica e irrealizzabile, le riflessioni che vengono proposte attraverso gli occhi del protago-

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URSULA K. LE GUIN

foto: MARIAN WOOD KOLISCH

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nista Shevek sono ancora più stimolanti di quanto non accadesse nel romanzo precedente. L’apoteosi è probabilmente rappresentata dal dialogo finale tra Shevek e l’ambasciatrice terrestre, davvero notevole sia per le tematiche trattate che per l’abilità con cui la Le Guin gestisce lo scambio di battute. Si tratta comunque di un romanzo profondamente introspettivo, che non si limita ad analizzare asetticamente le differenze tra due società antitetiche, ma racconta prima di tutto il dilemma che si dibatte nell’animo del protagonista. Ed è in questo che l’autrice eccelle. Anche l’impostazione della struttura narrativa è interessante e decisamente indovinata: la narrazione procede infatti in parallelo su due binari che si sviluppano però a distanza di alcune decine di anni l’uno dall’altro; in uno conosciamo l’adolescenza di Shevek e la catena di eventi che lo portano alla decisione di abbando-

C’è un momento, verso i vent’anni, in cui devi scegliere se essere come tutti gli altri per il resto della vita, oppure rendere virtù le tue particolarità.

Liberate la vostra mente dall’idea del meritare, e allora comincerete a essere capaci di pensare.

nare Anarres; nell’altro assistiamo al suo arrivo su Urras e a tutti gli avvenimenti che seguono. Questa scelta di avanzare simultaneamente su due trame si rivela sempre più azzeccata con il procedere della storia, fino ad arrivare al ‘doppio’ finale, che vede la partenza di Shevek da Anarres nel primo filone, e il suo ritorno nel secondo, eventi narrati in due capitoli consecutivi che conferiscono un perfetto senso di compiutezza, di cerchio che si chiude. I Reietti dell’Altro Pianeta costituisce in ultima analisi uno straordinario esempio di fantascienza utopica, o almeno in apparenza tale. Infatti, sebbene la società rappresentata sia del tutto egualitaria, essa è anche ermeticamente isolata e refrattaria al cambiamento. Questa ambiguità viene evidenziata in modo piuttosto esplicito dall’autrice, e spinge il lettore a formulare una propria opinione sulle complesse tematiche politiche e sociali trattate nel romanzo, che risultano attuali ancora oggi, a quasi quarant’anni di distanza dalla prima pubblicazione.

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STILE e dintorni

TALENTOe disciplina

di FABIANA REDIVO

Solo una sana e consapevole autocritica salva lo scrittore dallo stress e dall’azione dei blogger.

R

IGUARDO AI CORSI di scrittura creativa, voglio aprire il primo articolo di questa rubrica riportando l’opinione di Vladimir Nabokov (autore di Lolita) in Lezioni di letteratura (opera postuma in cui vengono raccolti saggi su scrittori europei del 1800 e 1900). “[...] Uno scrittore privo di talento non può evolvere uno stile letterario di qualche merito. [...] Non credo che si possa insegnare a scrivere a chi già non possiede talento letterario. Solo in quest’ultimo caso un giovane autore può essere aiutato a trovare se stesso, a liberare il proprio linguaggio dai cliché, a eliminare le goffaggini, ad abituarsi a cercare con risoluta pazienza la parola giusta, la sola che potrà trasmettere con la massima precisione l’esatta sfumatura e intensità del suo pensiero.”

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Raymond Carver ne Il mestiere di scrivere, dice così: “Nessun insegnante, nessuna mole di studi, può trasformare in scrittore qualcuno che è costituzionalmente inadatto a fare lo scrittore.” Si nasce, insomma, con un talento. Nella sua Introduzione alle opere di Guy de Maupassant Lev Tolstoj scrisse che il talento è “la capacità di prestare un’attenzione intensa e concentrata sull’argomento […] il dono di vedere quello che gli altri non vedono”. Aggiungo che a mio avviso il talento non è ancora sufficiente. Come in tutte le arti, ci vogliono passione, impegno, disciplina e determinazione. La capacità di raccontare bene una storia non è cosa da poco. La maggior parte delle volte si comincia a scrivere per gioco, poi diventa una mania. Chi ha l’inchiostro al posto del san-


gue non riuscirà più a fermarsi. Cercherà di rendere sempre più espressivo il testo per trasmettere nel modo più efficace possibile ciò che la mente vede. Quello sarà il momento in cui si porrà delle domande e andrà in cerca del confronto. Spulciando tra i testi a disposizione nelle librerie, notiamo che molti autori hanno voluto tramandare la propria esperienza. Per esempio Primo Levi ne L’altrui mestiere scrive così: “Avviene spesso che un lettore, di solito un giovane, chieda a uno scrittore, in tutta semplicità, perché ha scritto un certo libro, o perché lo ha scritto così, o anche, più generalmente, perché scrive e perché gli scrittori scrivono. A questa ultima domanda, che contiene le altre, non è facile rispondere: non sempre uno scrittore è consapevole dei motivi che lo inducono a scrivere, non sempre è spinto da un motivo solo, non sempre gli stessi motivi stanno dietro all’inizio e alla fine della stessa opera. Mi sembra che si possano configurare almeno nove motivazioni, e proverò a descriverle; ma il lettore, sia egli del mestiere o no, non avrà difficoltà a scovarne delle altre. Perché, dunque, si scrive?…” Lo scrittore elenca nove punti ben argomentati che consiglio caldamente di andare a leggere. Non perché contengano delle verità assolute, ma perché condensano in poche parole ciò che Levi vuole trasmettere della propria esperienza nella misura sopra enunciata da Nabokov. Sotto un certo punto di vista, tutti siamo ‘autori’. Tutti abbiamo qualcosa da raccontare. Normalmente utilizziamo il parlato, comunichiamo fatti e sentimenti al nostro prossimo, scegliendo cosa raccon-

tare a chi e come. Sussiste anche un ‘non detto’ che possiamo serbare nella mente o confidare a un diario. In pratica filtriamo la nostra storia e selezioniamo le scene considerando l’interesse che abbiamo in comune col nostro interlocutore. Infine le raccontiamo a seconda dell’effetto che intendiamo ottenere, tenendo conto anche del destinatario (amico, conoscente, folla, uomo o donna, vecchio o bambino). Sto naturalmente alludendo al modo in cui ciascuno di noi si propone alla società nel corso di normalissime relazioni umane. Ma i meccanismi che animano la parola scritta, sono gli stessi. Due scienziati americani, John Hayes e Linda Flower, esperti in psicologia cognitiva, negli anni Ottanta hanno compiuto degli studi sui processi della scrittura, giungendo all’elaborazione di un grafico (fig. pagina successiva). Le fasi della scrittura lì rappresentate, sono state elaborate con un metodo semplice ma efficace. Alla consegna di un compito di scrittura – di solito dire la propria su argomenti del tipo “Ragazzi e ragazze devono partecipare assieme a gare sportive?” – chiedevano agli scrittori di svolgere il compito “pensando ad alta voce” e dicendo esattamente tutto quanto passava loro per la testa […] Dopo aver esaminato un folto numero di protocolli del genere, Hayes e Flower hanno generalizzato le risposte individuando alcune fasi comuni a tutti nel pensare e scrivere un testo. (Dario Corno in Scrivere e comunicare) Analizzando l’esito della ricerca dei due scienziati, possiamo riconoscere tre dei cinque punti della retorica classica (che

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CONTESTO DEL COMPITO CONSEGNA DI SCRITTURA

Argomento Destinatario Motivazioni

Conoscenza dell’argomento Conoscenza del destinatario

PIANIFICAZIONE

Generazione

MEMORIA A LUNGO TERMINE DELLO SCRITTORE

STESURA

REVISIONE

Organizzazione

Lettura

Definizione degli scopi

Correzione

Piani di scrittura già registrati

trattava però dell’orazione o discorso), e cioè: inventio, ossia la ricerca e la raccolta degli argomenti su cui basare il proprio testo; dispositio, la disposizione degli argomenti, secondo un certo ordine e un’opportuna reciproca proporzione; elocutio, la scelta delle parole e degli artifici retorici che possano valorizzare al meglio gli argomenti trovati nella fase dell’inventio e organizzati nella fase di dispositio. Il grafico sopra proposto non pone l’accento su altre questioni fondamentali, come ad esempio l’importanza della generazione delle idee, l’incidenza della cultura personale e della sensibilità dell’autore, e dice poco su come lo scrittore inesperto affronti i problemi legati alla stesura. Pur con i suoi limiti, tale studio ha avuto il merito di porre con forza l’accento non sul testo finito, ma su ciò che precede la stesura. Partiamo da quella che gli antichi chia-

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testo prodotto fino a questo punto

CONTROLLO

mavano inventio, riportando un capoverso della definizione data dalla Treccani. Inventio. La prima delle cinque parti in cui la retorica divide tradizionalmente il discorso. È il reperimento delle idee, degli argomenti, veri o verosimili, utili ai fini del discorso stesso. Possiamo anche determinarla come il momento in cui si opera l’invenire quid dicam. In parole povere, dobbiamo cercare in noi stessi qualcosa da raccontare. Chiedo ancora il supporto di Carver, che dice “Ogni grande scrittore e anche semplicemente ogni bravo scrittore ricrea il mondo secondo le proprie specificazioni. […] Perciò gli scrittori non dovrebbero sforzarsi di imitare il modo di guardare le cose di qualcun altro. Non funzionerebbe.” Ecco spiegato il motivo per cui ho insistito sulla parola inventio. Lasciandola in latino ho reso meglio l’idea del primo compito


di un autore. Cercare, trovare, inventare. L’autore esprime se stesso, trasmettendo qualcosa di unico. Leggendo alcuni lavori di esordienti (ma anche di emergenti), mi sono spesso imbattuta in emulazioni di autori contemporanei al limite del plagio. Alle mie osservazioni fatte privatamente in merito, mi sono sentita rispondere che erano ‘omaggi’ alla celebrità del giorno. Credo di interpretare il pensiero di molti dicendo che l’unico omaggio gradito da un autore brillante è quello di fargli sapere che i suoi scritti sono apprezzati. Capita a volte di trovare, in un romanzo o in un racconto, l’inserimento di una frase significativa che riporta all’autore preferito, ma tutto il resto del contenitore è originale, non una smaccata imitazione. Diventare la brutta (se non pessima) copia di un autore famoso, non giova alla letteratura. E sicuramente non porta alcun beneficio di crescita personale a chi si presta ad essere la copia vivente di qualcuno. Personalmente ritengo che uno scrittore in grado di dare un’espressione artistica originale alle sue opere, con la giusta dose di fortuna (ahimè, ci vuole anche quella), è destinato alla grandezza. Per quanto semplice, l’inventio non deve essere mai banale. Una volta un professore universitario mi disse “meglio uno scritto banale ma corretto che un’intuizione geniale scritta male”. Non sono d’accordo, nel senso che lo stile si può migliorare mentre la banalità rimane tale. Chiarisco meglio il concetto. L’ispirazione può nascere da sogni stravaganti, dall’osservazione della natura, da una notizia alla televisione, dal titolo di un giornale o rivista, da una foto, da un fatto cui si è as-

sistito, da un’emozione personale. A questo punto si mette in moto la creatività e prende forma il progetto che per essere portato a temine necessita della giusta competenza nello scrivere, altrimenti il progetto fallisce. L’autore inesperto può imparare a scrivere correttamente studiando le regole grammaticali e sintattiche. Con l’aumento della competenza, la creatività trova spazi più ampi e quindi matura. La banalità invece, se portata avanti, conduce alla disfatta (o almeno così dovrebbe essere). Ispirazione e creatività sono strettamente soggettive, dipendono dallo sviluppo della personalità, dagli interessi coltivati e dallo spazio che si è disposti a investire nei progetti. Tuttavia è importante sottolineare che senza un’adeguata competenza non si va da nessuna parte. Mi preme porre l’accento su altre due cose importanti: portare a termine ciò che è stato iniziato e accettare le critiche costruttive usandole per migliorare. Il mondo è pieno di romanzi incompiuti, ecco perché in apertura dell’articolo ho dichiarato che il talento da solo non basta. La determinazione gioca un ruolo molto importante unitamente a passione, impegno e disciplina. A queste caratteristiche, aggiungo ora l’umiltà. Che non significa sentirsi meno degli altri, anzi. Raggiungere la consapevolezza oggettiva del proprio valore è fondamentale. A quel punto l’impulso più forte sarà quello teso al miglioramento continuo. Nessuno è mai veramente ‘arrivato’. Sarebbe come decretare la fine di un viaggio in vista di nuovi orizzonti.

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Quando un solo mondo

ABBASTANZA

non è

di ROBERTO PAURA

Tra world-building e sub-creazione: come nasce un universo fantastico di successo.

S

EBBENE L’UMANITÀ non abbia mai lasciato la Terra – fatta salva qualche puntatina sulla Luna – molti di noi immaginano facilmente come potrebbe essere vivere su un altro pianeta. Il cinema di fantascienza ci ha permesso infatti di familiarizzare sin da bambini con rappresentazioni di mondi alieni, come il tramonto dei soli gemelli su Tatooine nella saga di Star Wars (prima ancora che la

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scienza potesse confermarci l’esistenza di pianeti in sistemi stellari binari). Con la stessa facilità riusciamo a figurarci l’aspetto di un elfo, anche se si tratta di un essere irreale; l’immaginario collettivo lo descriveva con le orecchie a punta, magro ed etereo, molto prima che la trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli ne fornisse una rappresentazione ‘realistica’.


FABBRICANTI di Universi

JABBA’S PALACE

di ©CYLONKA cylonka.deviantart.com dall’universo di Guerre Stellari un panorama del pianeta Tatooine: in primo piano il palazzo di Jabba l’Hutt, sullo sfondo i due soli gemelli

Una parte enorme del nostro bagaglio immaginativo proviene da universi inesistenti, realtà fantastiche che fungono da scenario di romanzi, film, serie televisive, fumetti o videogame. La creazione di storie ambientate in mondi inventati risale agli albori dell’umanità. J.R.R. Tolkien la concettualizzò per la prima volta in maniera ‘scientifica’ attraverso l’idea di subcreazione. L’invenzione di un contesto fantastico, secondo Tolkien, si rifà direttamente all’ambientazione del mondo reale in cui viviamo; se quest’ultimo è il prodotto di una creazione (nella visione cristiana di

Tolkien), allora il mondo secondario nel quale si ambienta una storia immaginaria è il prodotto di una subcreazione, strettamente collegata al mondo primario: “Ogni scrittore che crei un Mondo Secondario probabilmente desidera almeno in parte essere un creatore effettivo, o almeno spera di attingere alla realtà: spera che l’essenza propria di questo Mondo Secondario (se non ogni suo particolare) derivi dalla realtà oppure vi confluisca” [da J.R.R. Tolkien - La biografia, di Humphrey Carpenter, Fanucci Editore, 2002], spiega il celebre scrittore in una conferenza del 1939 all’Università di St. Andrews.

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UNIVERSO TOLKIEN

Poster della trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli. L’ambientazione creata da J.R.R. TOLKIEN per le proprie opere rappresenta uno degli esempi più complessi e minuziosi di world-building.

Il concetto di subcreazione ha dato origine ad almeno due generi letterari: il Fantasy e la Fantascienza. Diversamente dalla narrativa realistica, la narrativa fantastica non intende seguire gli stessi schemi che scandiscono la nostra esistenza nel mondo primario, ma punta piuttosto a rompere tali schemi attraverso l’irruzione di elementi immaginari. In parecchi casi rifugge dallo stesso mondo primario e costruisce un’ambientazione alternativa, un mondo secondario nel quale si struttura la vicenda da raccontare. La differenza principale tra la subcreazione fantastica e la mera simulazione sta proprio in questo. Per

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esempio, un videogame come Sim City è una simulazione che permette di ricreare un’intera città sul proprio computer; il giocatore costruisce e gestisce contesti urbani virtuali molto simili a quelli reali, che si basano cioè sugli stessi schemi, poggiano sulle stesse fondamenta: hanno bisogno di strade, di centrali elettriche, di edifici residenziali e commerciali, di fognature e acquedotti… Allo stesso modo, nella fisica e nella cosmologia spesso si usano simulazioni estremamente sofisticate di porzioni dello spazio cosmico, con cui gli scienziati possono verificare le loro teorie sulla formazione stellare, la materia oscura o l’origine dell’universo. La simulazione, insomma, imita quanto più fedelmente possibile il mondo primario, cercando di non discostarsi da esso. Ma le costruzioni simulate non sono subcreazioni: sono surrogati della creazione primaria. La subcreazione oggi è più nota con il termine world-building. C’è tuttavia una precisa distinzione tra i due concetti. Il world-building è attualmente oggetto di


una robusta opera di sistematizzazione teorica. Soprattutto negli Stati Uniti, un po’ meno in Italia, circolano manuali per la creazione di mondi fantastici nei quali ambientare le proprie storie. A volte si tratta di solidi supporti per sviluppare vicende all’interno dei role-playing game, i giochi di ruolo; altre volte sono consigli per gli aspiranti scrittori fantasy. Nella stragrande maggioranza dei casi, il prodotto finale è un’ambientazione progettata a tavolino incapace di fornire una vera profondità. La subcreazione rifugge invece da questa costruzione scientifica: l’universo fantastico a cui dà vita deve apparire simile al mondo primario non tanto negli elementi costitutivi quanto nell’esperienza di fruizione del lettore, dello spettatore o dell’utente. Facciamo un esempio. La mappa della Terra di Mezzo ne Il Si-

gnore degli Anelli fornisce una ricca serie di particolari sull’ambientazione, ma non è fine a se stessa: il lettore vi può ricorrere per seguire le vicende narrate, ed essa gradualmente svelerà i suoi segreti. Toponimi che in un primo momento sembrano non dire nulla, successivamente acquisiranno un significato, prenderanno forma come luoghi reali all’interno di quell’ambientazione, anche se alcune località

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JLA/AVENGERS

La Justice League of America contro i Vendicatori, uno dei tanti cross-over tra gli universi fumettistici di ©DC Comics e ©Marvel Comics

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DUNE TRIBUTE

di ©GARY JAMROZ-PALMA artofgray.com panorama del pianeta Dune, con i vermi giganti sullo sfondo, dall’universo immaginato da Frank Herbert

(come nel caso dei nomi dei villaggi della Contea o delle contrade più a sud) non saranno toccate nel corso della storia. La mappa assume quindi uno spessore, costituisce la superficie al di sotto della quale si sviluppa il romanzo. Ogni nome e ogni posto hanno un preciso significato sia linguistico che storico. Sicuramente la subcreazione di Tolkien rasenta un perfezionismo che non è possibile riscontrare in altre opere. Frank Herbert, autore della saga di Fantascienza Dune, si richiama esplicitamente al modello tolkieniano nel costruire il suo mondo. Anch’egli fornisce una mappa e persino un dizionario che permette di approfondire una serie di elementi accennati nei suoi romanzi. Il lettore prende confidenza un po’ alla volta con l’universo di Herbert, come accade con quello di

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Tolkien. Non ha importanza conoscerne fin dall’inizio tutti i dettagli, ciò che invece serve al game master di un gioco di ruolo. Come nel mondo primario, anche nel mondo secondario la scoperta avviene dunque progressivamente, al fine di favorire l’immersione totale del suo fruitore e agevolare la sospensione dell’incredulità, necessaria per dare robustezza all’universo fantastico. Le strategie a tal fine sono molteplici, ma in comune hanno almeno un elemento, che Tolkien aveva sottolineato: proprio il legame con il mondo primario. Non può esistere un universo fantastico che non abbia alcun appiglio nella realtà, perché la sua produzione richiederebbe l’utilizzo di categorie mentali non appartenenti all’esperienza umana. Possono semmai esserci universi fantastici estremi, dove


il grado di speculazione è davvero elevato (un esempio lo si trova in Universo incostante di Vernon Vinge, dove l’autore immagina alcune razze aliene quasi impossibili da concepire), ma il legame con la creazione primaria rimane imprescindibile. Quanto più il subcreatore è in grado di mescolare elementi fantastici a elementi tratti dalla creazione primaria, tanto più agevola l’esperienza di fruizione e fornisce solidità all’ambientazione. La Terra di Mezzo di Tolkien attinge dall’immaginario medievale – quello delle leggende del ciclo arturiano o dell’Edda scandinava – e dalla sua rielaborazione in età romantica; l’Impero galattico in cui Isaac Asimov ambientò il fantascientifico e fortunato Ciclo della Fondazione doveva parecchio, per ammissione dello stesso

autore, alla lettura del Declino e caduta dell’Impero romano di Edward Gibbon; l’universo di Dune fonde tradizioni arabe e musulmane con altri particolari tratti dalla storia dell’Impero Ottomano (i Sardaukar), da quella dell’ordine dei gesuiti (le Bene-Gesserit), fino alla più attuale geopolitica del petrolio (la spezia ‘melange’, alla base dell’economia galattica, è un prodotto di origine organica raro e prezioso esattamente come il petrolio). Lo studio del mondo primario per la creazione del mondo secondario è, da un lato, uno strumento utile per il subcreatore, che così non dovrà inventare un universo da zero – come invece spesso si suggerisce nei manuali di world-building – ma potrà piuttosto attingere dalle vicende storiche e culturali che più si avvicinano a ciò che intende raccontare; dall’altro un

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A lato: STAR

TREK POSTER In basso: STAR TREK ORIGINS

Due illustrazioni di ©PAUL SHIPPER paulshipperstudio.com

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modo per conferire spessore e solidità al lavoro. Un elemento fondamentale per la solidità della subcreazione è la continuity. Quando si gestisce un’ambientazione che fa da sfondo a opere ‘a puntate’ (cicli letterari, saghe cinematografiche, serie televisive o a fumetti…) bisogna prestare ogni volta la massima attenzione a non sconfessare quanto creato o dichiarato nelle occasioni precedenti. Una minima scossa e viene meno il meccanismo della sospensione dell’incredulità. È facile che ciò accada quando la gestione non è esclusiva del creatore originale, ossia quando passa per troppe mani. È il caso di Star Wars, il cui ‘expanded universe’ al di fuori delle pellicole cinematografiche ha tentato spesso molto grossolanamente di gestire una molteplicità di storie ambientate nello stesso universo ma inventate da autori diversi. Succede pure in Star Trek: la scelta di affidare i nuovi episodi cinematografici al regista J.J. Abrams, che ha voluto realizzare un reboot (una riscrittura da capo) dell’universo trek invece di proseguire con la linea narrativa, ha orripilato gli appassionati a causa dell’inevitabile rottura della continuity, già molto complicata da mantenere dopo le cinque serie televisive passate per una pluralità di produttori e sceneggiatori. Anche quando la subcreazione ha come finalità primaria l’intrattenimento lucrativo, attraverso la vendita di romanzi e videogiochi o la ricerca dell’audience più ampia nel caso dei film e delle serie televisive, il tradimento delle leggi alla base del mondo secondario non può essere sottovalutato: distruggere la coerenza interna dell’ambientazione può

compromettere spesso irrimediabilmente l’intero prodotto finale. Nel romanzo Reamde (tradotto in Italia in due volumi, Gioco mortale e Guerra assoluta), lo scrittore Neal Stephenson – già autore di solide ambientazioni alternative come nel romanzo Anathem – immagina l’esistenza di un diffusissimo videogame del tipo MMORPG (Massive Multiplayer Online Role Playing Game, ossia un gioco di ruolo online in multiplayer) di ambientazione fantasy, il cui successo mondiale deriva proprio dall’attenzione che il team di autori presta al realismo del mondo secondario e al rispetto delle leggi di base e della continuity. Il romanzo di Stephenson introduce diversi temi interessanti, soprattutto riguardo l’ultima frontiera della creazione di universi fantastici. Oggi la transmedialità permette di poter vivere esperienze immersive totali. L’universo di Star Wars è l’esempio più evidente: esso è stato declinato attraverso una pluralità di media, dal cinema alla televisione, dalla narrativa ai fumetti fino ai MMORPG e ai videogame. Lo sviluppo tumultuoso della tecnologia videoludica può rivelarsi oggi l’anticamera di una nuova era per il processo di subcreazione, volta al concepimento di un universo vero e proprio all’interno del quale l’utente possa vivere le sue avventure in modo realistico. Il successo di questi prodotti sarà tuttavia garantito solo se i nuovi ‘fabbricanti di universi’ impareranno la lezione della subcreazione di Tolkien e saranno in grado di creare un mondo secondario che non appaia inesorabilmente finto, ma che anzi si avvicini quanto più possibile alla realtà.

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le GRANDI CORRENTI

SKY CAPTAIN GRAYHAWK

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di ©J.R. FLEMING, per Airship Isabella Production www.jrfleming.com


K N U P M A E ST tracciare i CONFINI

di un GENERE

di MARCO CARRARA

Il modo più semplice per ‘capire’ cosa sia lo Steampunk è individuarne le caratteristiche attraverso l’analisi di opere sicuramente appartenenti ad esso...

“Something based on the appropriate technology of the era; like…” Kevin Wayne Jeter

SPAZI VASTI MA NON ILLIMITATI

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O STEAMPUNK rimane un sottoinsieme della narrativa ‘fantastica’ e dei suoi sottogeneri, di conseguenza esiste in virtù dei suoi margini ulteriormente ristretti rispetto all’insieme più vasto che lo include. I suoi confini sono ugualmente ampissimi e il genere è in gran parte inesplorato, per cui le possibilità di produrre qualcosa di originale senza limitarsi ai soliti quattro cliché (dirigibili, corsetti, Londra, motori a vapore) sono alla portata di chiunque voglia studiare la materia prima di mettersi al lavoro.

LE ORIGINI DEL NOME: IL LEGAME CON IL CYBERPUNK Steampunk è un termine che nasce nell’ambito della letteratura fantastica nel 1987, coniato dallo scrittore statunitense Kevin Wayne Jeter in una lettera alla rivista Locus per descrivere alcune opere scritte negli ultimi anni da lui (Morlock Night, Infernal Devices) e dai suoi amici Tim Powers (The Anubis Gates) e James Blaylock (Homunculus), come se si fossero messi d’accordo. “Dear Locus, enclosed is a copy of my 1979 novel Morlock

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THE LONG VOYAGE

di ©TOM McGRATH www.spikedmcgrath.com

Night; I’d appreciate your being so good as to route it Faren Miller, as it’s a prime piece of evidence in the great debate as to who in ‘the Powers/Blaylock/Jeter fantasy triumvirate’ was writing in the ‘gonzo-historical manner’ first. Though of course, I did find her review in the March Locus to be quite flattering. Personally, I think Victorian fantasies are going to be the next big thing, as long as we can come up with a fitting collective term for Powers, Blaylock and myself. Something based on the appropriate technology of

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the era; like ‘steampunks’, perhaps…” Il termine si basava su un gioco di parole costruito partendo dal Cyberpunk, genere molto di moda nella seconda metà degli anni Ottanta: se William Gibson e Bruce Sterling erano autori cyberpunk perché ambientavano le loro cupe storie in un futuro prossimo, allora Jeter e i suoi colleghi erano steampunk perché ambientavano le loro storie scanzonate in un vicino passato. Narrativa alla maniera gonzo-storica, ovvero romanzi storici con bizzarrie ed elementi fantastici, leggeri e


anche ironici, non seriosi romanzi storici come I Promessi Sposi. Il legame con il Cyberpunk non va oltre questo. Non vi è alcuna discendenza sostanziale dello Steampunk dal Cyberpunk visto che le prime opere classificabili come Steampunk (The Warlord of the Air, Michael Moorcock, 1971), talvolta indicate come proto-Steampunk, precedono di parecchio il boom del Cyberpunk avvenuto nel 1984 con la pubblicazione di Neuromancer. L’unica opera che sembra mettere davvero assieme Cyberpunk e Steampunk è anche una delle migliori per la qualità dell’ambientazione steampunk a livello di profondità, studio e citazioni storiche: The Difference Engine del 1990, di Gibson e Sterling. Perché, come vedremo, senza studio appassionato, impegno e curiosità multidisciplinare non si può fare del buon Steampunk. Come nel motto di SteamCamp 2013 (il primo BarCamp in Italia dedicato allo Steampunk): “L’Ottocento come base per fare Steampunk e lo Steampunk come modo per riscoprire l’Ottocento”. DEFINIRE IN MANIERA FLESSIBILE: I MOLTI MODI DI FARE STEAMPUNK Come descrivere in poche parole le opere steampunk, di ogni genere, ambientazioni per giochi di ruolo, videogiochi, fumetti, film o narrativa? Iniziamo col definire a quale genere ‘padre’ appartiene lo Steampunk come sottoinsieme ‘figlio’, da cui eredita le peculiarità e ne aggiunge ulteriori proprie. Le opere Steampunk sono Fantascienza o Science Fantasy scritta dopo il XIX Secolo e ambientata:

THE WARLORD OF THE AIR

copertina della prima edizione, pubblicata da Ace,1971

• nel vero XIX Secolo (Lungo XIX Secolo: 1789-1914); • in un XIX Secolo alternativo; • in un secolo diverso visto con gli occhi della Fantascienza dell’Ottocento; • in un mondo diverso ispirato alla Fantascienza d’epoca e alla rivoluzione industriale (ma con dei rischi, come vedremo dopo). Già da queste quattro opzioni, legate a due sottogeneri possibili di notevole ampiezza, si capisce che i paletti sono tutt’altro che rigidi! Quattro per due e sono già otto combinazioni!

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L’ambientazione scelta va condita lo spirito punk in una delle sue possibili accezioni: • esiste il punk nel senso di ribellione e critica allo status quo (punk anni 1970); • c’è il punk nel senso scherzoso delle prime opere steampunk di Jeter o di Paul Di Filippo, ovvero la presa in giro del passato e il giocare con la storia senza pretese di serietà (gonzo-storico); • c’è il punk inteso come rilettura del passato con gli occhi del presente, con uno sguardo quindi più cinico e smaliziato anche quando si riscrivono opere molto simili a quelle della Fantascienza d’epoca (posizione espressa da Jess Nevins nell’antologia Steampunk); • infine esiste il punk ‘ottocentesco’ nel modo in cui lo fu Albert Robida nel suo Voyages très extraordinaires de Saturnin Farandoul del 1879, dove l’autore mise assieme tutti i personaggi delle storie di Jules Verne e li reinterpretò rendendoli codardi, meschini e sciocchi; è una combinazione tra punk del primo Steampunk e interpretazione di Jess Nevins, ma è interessante notare che ha solidi radici storiche! È un punk che è in sé anche citazione storica! Le otto combinazioni iniziali moltiplicate per le quattro interpretazioni del punk sono trentadue combinazioni! E stiamo solo trattando le macro-possibilità: dietro le citazioni storiche o della Fantascienza storica si nascondono migliaia e migliaia di opportunità!

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ALBERT ROBIDA

incisione di HENRI BRAUER, da Figures contemporaines tirées de l’Album Mariani , vol. 1 editore Ernest Flammarion, 1894

RICAPITOLANDO LA DEFINIZIONE FLESSIBILE! Il buono Steampunk è sia buona Fantascienza (o Science Fantasy) sia gioco di citazioni storiche e letterarie rivolto agli appassionati della Fantascienza d’epoca e agli amanti dell’Ottocento. L’opera che rappresenta il miglior esempio di gioco di citazioni non è un romanzo ma un fumetto: The League of Extraordinary Gentlemen (1999) di Alan Moore e Kevin O’Neil. Quasi in ogni vignetta vi è una citazione dalla letteratura d’epoca, sotto forma di piccoli dettagli. Per esempio Peter Coniglio di Beatrix Potter riletto come una creatura del Dottor Moreau. Un miscuglio e una reinterpretazione dei personaggi che ricorda moltissimo quel-


LA LEGA DEGLI STRAORDINARI GENTLEMEN (The League of Extraordinary Gentlemen, 1999) copertina del volume 1 riedizione italiana BAO Publishing, 2013 ISBN: 9788865431566

la fatta da Albert Robida sugli eroi di Jules Verne. Lo spirito inoltre è quello punk nel senso di cinico e smaliziato, che rilegge, in chiave moderna, il finale di The War of the Worlds di Herbert George Wells dando una nuova interpretazione al modo in cui gli alieni vengono sconfitti. Oppure, senza fare spoiler, pensiamo a cosa Mister Hyde alla fine fa all’Uomo Invisibile: decisamente impossibile per un’opera d’epoca rispettabile! Se non lo avete ancora letto, non credetemi sulla fiducia: correte a verificare di persona, se vi piace lo Steampunk ‘duro e puro’ apprezzerete quel fumetto! SE SI RINUNCIA ALL’AMBIENTAZIONE STORICA? Come sarà ormai chiaro, ecco il punto debole delle opere che scelgono un’ambientazione completamente inventata e senza appigli con il nostro mondo e la nostra storia (quarta opzione presentata all’inizio): più si rinuncia alle citazioni storiche ambientando le vicende in un altro mondo (o fuori dal Lungo XIX Secolo) e più si rischia di perdere la forza dello Steampunk come

satira e come interpretazione cinica del passato. Se The League of Extraordinary Gentlemen rappresenta un esempio splendido di Steampunk è perché non ha rinunciato a nessuno di questi aspetti e li ha resi invece il proprio punto di forza. La cultura storica e letteraria, lo studio serio, non sono un peso o un vincolo a cui adeguarsi: sono il trampolino da cui spiccare il salto con la fantasia. L’estetica steampunk secondo cliché,

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il facile aggiungere rotelle e occhialoni, non ha posto nel fumetto di Moore, che è Steampunk nella sua essenza, nella sua ‘agenda creativa’, non in qualche banale stereotipo. E LO STEAMPUNK… FANTASY? La forza delle citazioni, delle reinterpretazioni e della satira è in gran parte negata a Perdido Street Station (2000), di China Miéville. Non è un esempio perfetto di Steampunk né intende esserlo: è principalmente Fantasy, ma con estetica ottocentesca, ambientazione industriale ed elementi steampunk. L’autore lo indicava

SPACE 1889

copertina del regolamento GAME DESIGNERS’ WORKSHOP, 1988 L’RPG creato da FRANK CHADWICK mostra scenari da esplorazione spaziale ed è collocato in epoca Vittoriana

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giustamente come romanzo New Weird e sul web viene talvolta definito dagli appassionati come Steampunk Fantasy: il pubblico, senza bisogno che l’autore li indichi, capisce e sottolinea i due elementi caratteristici, entrambi percepiti come ugualmente importanti. Attenzione però: non basta qualche vago elemento industriale o steampunk (i veicoli dei nani di Warhammer?) nel Fantasy per farne Steampunk Fantasy. Nulla vieta a un’opera fantasy di avere elementi anacronistici, con macchinari a vapore o elettrici, senza per questo divenire per forza steampunk. D’altronde, come sappiamo, il Fantasy non è tutto medievale e il collegamento tra Medioevo e Fantasy è più che altro una cattiva abitudine senza radici storiche, un’illusione cognitiva! Prima del successo de Il Signore degli Anelli nel decennio 1950-1960, si scrivevano spesso fantasy di ambientazione contemporanea senza che la cosa sembrasse strana o poco fantasy o da indicare specificatamente come ‘urban/ contemporary fantasy’: pensiamo a Magic, Inc. di Robert Heinlein, un romanzo fantasy del 1940 ambientato nel ‘presente’ con tanta magia, gangster e razze fantasy tradizionali. Fantasy e Medioevo è un binomio fossilizzatosi solo negli ultimi decenni, più per pigrizia intellettuale dei lettori che per altri motivi. Riserviamo la definizione dello Steampunk Fantasy a quando le componenti steampunk sono importanti, diffuse e sostanzialmente necessarie a caratterizzare profondamente un’opera quanto quelle fantasy. A tema Steampunk Fantasy (o se vogliamo contrarre, SteamFantasy) l’opera più famosa e più interessante è probabil-


mente il videogioco Arcanum: Of Steamworks and Magick Obscura del 2001, in cui la rivoluzione industriale e la retrofantascienza invadono un mondo fantasy di spiccata ispirazione tolkieniana, con effetti molto intriganti a livello di reinterpretazione modernizzatrice dei generi: il progresso e l’evoluzione tecnologica entrano a forza nel contesto lento, immobile, atemporale del tipico mondo ‘magico’ standard (alla D&D), scontrandosi con lo status quo e devastandone gli equilibri. Un Fantasy ‘anti-tolkieniano’ di impatto paragonabile per l’epoca a quello prodotto dal romanzo fantasy The Iron Dragon’s Daughter di Michael Swanwick. DALLA NARRATIVA… ALL’ESTETICA Attorno allo Steampunk nato nella narrativa si è evoluto un insieme di conta-

PADDLESTEAMER OF DOOM

di TOMASZ BELZOWSKI janboruta.deviantart.com per ©Machina Obscura Project machina-obscura.mo-rpg.com un gioco creato da FLORIAN LIEDTKE

Machina Obscura A Steampunk Adventure È un RPG di ambientazione steampunk, che si avvale di un sistema modulare per la creazione di personaggi e attrezzature. Ogni giocatore può pilotare e la propria macchina volante (implementabile) e lanciarsi alla conquista dei tesori dei ‘Mari delle Nuvole’. La galleria web del progetto

machina-obscura.deviantart.com

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LE JOURNAL TÉLÉPHONOSCOPIQUE

illustrazione di ALBERT ROBIDA dal romanzo Le Vingtième Siècle, 1883

IL TELEFONOSCOPIO Ecco l’oggetto ‘fantascientifico’ concepito nel romanzo di Robida: uno schermo piatto che funziona come videotelefono e televisore per accedere a contenuti registrati o in streaming, prodotti nei teatri ufficiali oppure da artisti indipendenti presso le loro case (come i podcast sui siti internet amatoriali). Prendiamo un LCD di oggi, decoriamolo con una cornice scolpita e dorata, come quella di un bel quadro antico, e Robida stesso lo scambierebbe per la sua idea. Un’analoga llustrazione del ‘telefonoscopio di Edison’ come sistema di comunicazione ‘audiovideo’ in tempo reale era stata proposta qualche anno prima dal caricaturista George du Maurier, nella rivista satirica inglese Punch.

EDISON’S TELEPHONOSCOPE (Transmits Light As Well As Sound)

illustrazione di GEORGE du MAURIER dall’Almanack for 1879, pubblicato nella rivista Punch, numero di dicembre 1878

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La didascalia dell’immagine recitava: “Ogni sera, prima di andare a dormire, Padre e Madre sintonizzano la camera oscura elettrica posta sulla mensola del caminetto nella loro stanza da letto, e allietano gli occhi con la visione dei loro bambini agli Antipodi, conversando allegramente con essi via filo.” L’immagine mostrava dei giovani intenti a giocare a tennis in un prato esotico, e in primo piano una ragazza con in mano una cornetta telefonica. Seguiva un simpatico dialogo familiare... Padre (in Wilton Place): “Beatrice, vieni vicino, voglio sussurrare.” Beatrice (da Ceylon): “Sì, papà caro.” Padre: “Chi è quell’affascinante signorina che sta giocando a fianco di Charlie?” Beatrice: “È appena arrivata dall’Inghilterra, papà. Vuoi che te la presenti appena termina il gioco?”


minazioni negli altri campi, dalla musica all’abbigliamento all’oggettistica. Cos’è un oggetto steampunk, in poche parole? Un oggetto con un aspetto anacronistico tale che non sfigurerebbe in un mondo alternativo steampunk. C’è quindi un legame con la narrativa perché, se è steampunk ciò che potrebbe provenire da un’ambientazione steampunk, allora avere le idee chiare sugli elementi storici e narrativi da cui nascono i mondi steampunk aiuta a immaginarne gli oggetti. Pensiamo agli abiti che hanno un evidente sapore ottocentesco pur senza essere ottocenteschi, oppure al modding retrò, come le tastiere e i computer decorati in radica e ottone, abbellimenti che li fanno somigliare al ‘telefonoscopio’ di Albert Robida. POSSIBILI MOTIVAZIONI DIETRO L’ESTETICA STEAMPUNK Possiamo interpretare lo Steampunk come una reazione alla tecnologia dalle forme asettiche, dal design essenziale che la priva di qualsiasi bellezza. Oggi la potenza del motore, il grasso degli ingranaggi, la meccanica in movimento che si può ‘riparare’ come si potevano riparare in proprio le automobili fino a pochi decenni fa, tutto è sostituito da una tecnologia che per il profano è indistinguibile dalla magia. Invisibile, ‘incomprensibile’ e spesso… inaffidabile. L’Ottocento esaltava la bellezza della meccanica, la danza dei pistoni, come ricorda Herbert Sussman nel libro Victorian Technology. Una tecnologia che era assieme robusta, funzionante e piacevole alla vista. Cosa ha di bello un tipico tablet, estetica-

mente? Sarà anche funzionale, ma sembra un vassoio per i panini! Non è possibile, a una prima occhiata, desumere la sua funzione dalla sola forma. Sappiamo che un tablet e un vassoio sono diversi, ma è la nostra conoscenza pratica e non la forma percepita con i sensi, non è la ‘fisicità’, a dirci che è così. Lo stesso dubbio è impossibile averlo confrontando un’automobile con un fucile, entrambi hanno forme che dichiarano il proprio ruolo. Manca nei gadget moderni la sensazione di una tecnologia comprensibile, a misura d’uomo, ovvero di una tecnologia che sia in sé il servizio fornito, non solo un mezzo (intercambiabile) per accedere a servizi remoti come streaming di film, app o documenti nel cloud. Cambiare uno smartphone con il successivo e accedere agli stessi servizi posseduti, potenziati dal nuovo dispositivo più avanzato, è diverso rispetto a cambiare un’auto con un’altra o un fucile con un nuovo fucile. L’oggetto è divenuto solo una porta di accesso ai servizi forniti da terzi, non è il fornitore in sé del servizio. Servizi che, amaramente, possono essere bloccati in più modi: se Amazon ti cancella l’account, perdi i libri acquistati. Una chiave inglese invece non può essere ‘bloccata’ dal negozio che l’ha venduta. Non si possiede più ciò che si usa, si hanno solo delle licenze temporanee, e si pagano a caro prezzo degli oggetti per usufruire di queste licenze. STEAMPUNK O NEO-VITTORIANO? Il nuovo boom dello Steampunk nel XXI Secolo ha coinvolto spesso individui che non hanno mai letto narrativa steampunk. O nemmeno sapevano che esistes-

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AIRSHIP DOCKS

di ©TOM McGRATH www.spikedmcgrath.com

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se lo Steampunk e solo in seguito hanno scoperto che ciò che piaceva loro aveva un nome preciso e rappresentava un gusto molto più comune di quanto credessero. Lo Steampunk è quindi rinato in modo autonomo, basandosi su un qualcosa di preesistente che non era mai scomparso del tutto (narrativa, videogiochi, fumetti), ed esplodendo per un interesse diffusosi grazie al web verso l’estetica della macchina, verso la bellezza dell’oggetto che ha un aspetto legato alla sua funzione. Talvolta allacciandosi, negli abiti femminili, alla moda gotica o lolita. Il problema principale dello Steampunk come ‘estetica’ è che va a sovrapporsi all’estetica Neo-Vittoriana che già di per sé si occupava di reinterpretare gli oggetti moderni tramite la visione del passato. Dire Neo-Vittoriano o Steampunk, riferendosi a un cellulare moderno che sembri creato un secolo fa, diventa più questione di scelta che altro. Visto il legame con il telefonoscopio di Robida, e in generale con le meraviglie della Fantascienza d’epoca, io sono più propenso a indicarlo come steampunk, termine più completo, ma non è sbagliato usare l’altro. D’altronde lo Steampunk è nato come genere narrativo mentre il Neo-Vittoriano come sottocultura e moda, in pratica come corrispettivo dello Steampunk in ambiti diversi. Lo Steampunk si distingue dal Neo-Vittoriano perché ha una vocazione più spiccatamente narrativa, di fantasiosa invenzione e di costruzione di personaggi e mondi immaginari, più adatta a descrivere gli outfit e i gadget che hanno una ‘storia’ dietro.

ELEMENTI FANTASCIENTIFICI, OTTOCENTESCHI STORICI E… NEUTRI! Un outfit ottocentesco fantascientifico, con un finto braccio meccanico con ingranaggi bene in vista che suggeriscono l’idea di un vero braccio artificiale, è semplicemente steampunk. Un outfit dal sapore ottocentesco senza elementi fantascientifici, ispirato ai costumi storici e senza pretesa di suggerire altro, è semplicemente neo-vittoriano… ma non stonerebbe per nulla in un’ambientazione steampunk, per cui è anche un buon outfit per lo Steampunk! D’altronde lo Steampunk, come visto precedentemente, può essere anche Fantascienza moderna ambientata nel normale Ottocento… e la gente del normale Ottocento veste correttamente per l’epoca, o poco diversamente, non ha bisogno di fucili a raggi, zaini-razzo o braccia meccaniche! La distinzione tra elementi caratteristici ed elementi neutri è importante. Gli pneumatici e l’uso dei tubi in gomma vulcanizzata appartengono in pieno al Lungo XIX Secolo, ma di sicuro non sono un elemento caratteristico: quindi la gomma, in un outfit, essendo elemento neutro non è in sé steampunk; anzi, se inserita con scarso criterio, può essere un danno, visto che sottili tubicini di gomma bianca trasparente su una maschera o in un braccio meccanico, per esempio, rovinano l’idea di un’estetica ottocentesca. Se un outfit è composto solo da elementi accettabilmente neutri, e mai spiccatamente ottocenteschi, come si può definirlo steampunk? Lo Steampunk richiede ragionamento nei dettagli e una chiara visione di ciò che si

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vuole realizzare, sia esso un romanzo, un fumetto, un gadget o l’outfit di un personaggio da interpretare. ROTELLINE INCOLLATE A CASO? Molti oggetti non sono steampunk, nemmeno vagamente, e gli si attribuisce quel tag solo per attirare clienti in modo truffaldino, tanto da ispirare una sezione del sito Regretsy in cui si denunciano proprio ‘astuzie’ del genere. Bisogna anche distinguere l’oggetto steampunk che esprime un qualche recupero stilistico su una base funzionante per davvero (modding di cellulari e pc) oppure che manifesta una ‘finzione’ di usabilità (costumi con armi finte, braccia meccaniche), dalle cialtronate assemblate incollando delle rotelline su oggetti altrimenti normalissimi. C’è troppa oggettistica steampunk fatta a casaccio, come se gli appassionati dovessero reagire alle ‘meravigliose e misteriose componenti meccaniche’ nello stesso modo in cui gli sciamani del Terzo Mondo cuciono CD, specchietti e perline ai vestiti o si fanno collane con i cellulari rotti. Altro che bellezza ed estetica retrò utilizzabile, altro che raccontare una storia di fantasia attraverso il proprio costume… diventa estetica modaiola svuotata di contenuto. Come commentò amaramente Jess Nevins, esperto di storia della Fantascienza nell’Ottocento, criticando un’altra sovrapposizione tra mode precedenti e Steampunk: “Steampunk is what happens when goths discover brown” (lo Steampunk è ciò che accade quando i goth scoprono il marrone). La questione non è se ci siano rotelline,

ma se l’oggetto appaia come qualcosa proveniente da un ‘passato industriale che non è mai stato’, ovvero se potrebbe davvero appartenere a un mondo steampunk. Lo Steampunk e il fetish per le rotelline possono sovrapporsi, e spesso lo fanno, ma non sono sinonimi, e le rotelline sono condizione non necessaria né sufficiente a fare di qualcosa un oggetto steampunk. L’OTTOCENTO CHE NON FU E CHE PIACE ANCOR DI PIÙ! Dopo aver chiarito che lo Steampunk è Fantascienza moderna retrofuturistica ispirata alla narrativa fantastica e alla storia dell’Ottocento, tiriamo le fila del discorso, con un paio di considerazioni culturali sul genere, e approfondiamo una questione che interessa chi progetta ambientazioni steampunk, per la narrativa o per giocare, ovvero il problema della verosimiglianza nella retrofantascienza. Nei film e nei fumetti spesso lo Steampunk si ferma alla sola estetica, per cui si tratta di opere che del genere hanno il sapore ma ben poco i contenuti; vi rientrano insomma nell’aspetto ma non nell’essenza, l’agenda creativa inscindibile dall’opera: cambiando l’estetica e rimuovendo i dettagli steampunk esse risulterebbero quasi immutate nella sostanza. Per un fumetto o per un film può anche andare bene così, ma l’ideale è che l’opera sia steampunk in tutto, anche nel recupero di idee d’epoca e nella profondità della riscoperta storico-fantascientifica filtrata dallo spirito punk (in una delle accezioni viste). Come già detto, una delle migliori opere di genere è proprio un fumetto, The League of Extraordinary

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STEAMPUNK PORTRAIT

foto di ©ANDRÉ M. HÜNSELER thinkingpixels.com modella NEILA FYNN www.facebook.com/NeilaFynn outfit di LEDER-JOE www.lederjoe.de

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Gentlemen, da cui non sarebbe possibile togliere lo Steampunk – almeno nei primi due volumi – senza cancellare tutta l’opera: è steampunk nella sua essenza. Lo Steampunk, effetto e al tempo stesso causa di incremento di interesse verso l’Ottocento iniziato a partire dagli anni 1960-1970 ed esploso nel XXI Secolo, è

CINEMA precedente la rivoluzione industriale, un Medioevo idealizzato, anche con elementi fantasy; noi invece abbiamo un mondo industriale precedente la rivoluzione informatica, un Ottocento alternativo, fantascientifico. Questa interpretazione sociale del senso del dilagare dello Steampunk può essere

STEAM elementi PRETESTI

suggestioni

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parte di un risveglio culturale più ampio, probabilmente legato alla disillusione verso il futuro, dove le possibilità sembrano poco appetibili, e alla ricerca di una alternativa nel passato, un ‘futuro’ non davanti a noi ma dietro di noi. I Vittoriani ebbero come fuga dal presente, in cui si trovavano a disagio, un mondo

preso come uno spunto di riflessione. Lo Steampunk sta favorendo ulteriormente l’interesse verso un passato da ammirare, da studiare e da riscoprire per farlo proprio, oltre la sola estetica. Lo Steampunk autentico, a tutto tondo, è una cultura fatta di vera esplorazione del meglio dimenticato del passato, e del

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1. La leggenda degli uomini straordinari (2003) 2. Rocketeer (1991) 3. L’Uomo che visse nel Futuro (1960) 4. La Città Perduta (1995) 5. 20.000 leghe sotto i Mari (1954) 6. Hellboy (2004) 7. Captain America: il primo Vendicatore (2011) 8. Il Mistero di Sleepy Hollow (1999) 9. La Bussola d’Oro (2007) 8

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10. Van Helsing (2004) 11. Wild Wild West (1999) 12. I Tre Moschettieri (2011) 3. Tai Chi 0 (2012) 14. Sky Captain and the World of Tomorrow (2004)

modo in cui quel meglio può influenzare il presente e il futuro. Un esempio pratico è la riscoperta della mentalità della Germania Imperiale, il culto per l’eccellenza anche oltre le necessità del prodotto da vendere, riassunta dal motto “Suum Cuique”. Lo Steampunk è fatto anche della riscoperta delle bizzarrie, delle bellezze e delle miserie dell’Ottocento, per rileggere il presente sapendo che 100-150 anni fa le cose non erano poi tanto diverse, che quella gente non era poi così lontana da

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noi. Era un mondo in piena globalizzazione, in cui le informazioni viaggiavano a una velocità impossibile fino a pochi decenni prima. Un mondo affascinato e spaventato dalle possibilità del futuro, in bilico tra il passato preindustriale che aveva abbandonato e un futuro ignoto. Un mondo che a cavallo tra Ottocento e Novecento era ossessionato dal terrorismo. Non molto differente dal nostro mondo, stretto tra la fine della relativamente sicura e rassicurante Guerra Fredda e un futuro incerto. Leggendo la storia del Regno d’Italia raccontata da Denis Mack Smith ne I Savoia Re d’Italia, si assiste a un mondo fatto di estrema frammentazione parlamentare, di ribaltoni, di figuracce internazionali, di macchiette, di scandali molto moderni: è possibile estrarne paragrafi che sembrano parlare dell’Italia di oggi e, se li si riproponesse


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senza indicare la fonte, moltissime persone li scambierebbero per giornalismo attuale. Sapendo tutto questo si può sorridere sia del presente che del passato, o meglio di quell’eterno presente con abiti e date cambiate in cui viviamo, come faceva la prima generazione ‘gonzo-historical’ dello Steampunk. Il sorriso amaro di chi si accorge di vivere in un mondo che pare uno scherzo di dubbio gusto. FARE STEAMPUNK: UN GENERE NON FACILE… Lo Steampunk, per l’enorme mole di conoscenze che richiede prima di essere affrontato con cognizione di causa, coinvolgendo molte discipline diverse, tutte di pari importanza, è un genere difficile da trattare senza scadere nelle solite banalità. Lo Steampunk fatto bene implica che

le conoscenze necessarie per fare seria Fantascienza moderna (inclusa quindi la Storia della Fantascienza nel Novecento) vengano affiancate da una discreta conoscenza della Fantascienza dell’Ottocento, della Storia (della moda, militare, sociale ecc…) e dei romanzi del periodo, anche NON fantascientifici. …CHE RENDE IL TUTTO PIÙ FACILE! Lo Steampunk concede il vantaggio di poter sfruttare un passato tecnologicamente molto più comprensibile e facile del mondo di oggi. Pensiamo ai problemi degli sceneggiatori di horror quando i cellulari si diffusero: non poter più isolare facilmente i personaggi cancellò un elemento tipico del genere, e fin troppo sfruttato, tant’è che per parecchi anni si fece finta che i cellulari non esistessero,

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STEAM PUNK 2

injections

presteam &

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ANIME

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style 4 1. Last Exile (2003) 2. Sherlock Holmes

(aka Il fiuto di Sherlock Holmes, 1984)

3. Il Castello Errante di Howl (2004) 4. Laputa - Il Castello nel Cielo (1986) 5. Giant Robot (1992-1998)

per non dover cambiare radicalmente il modo di congegnare le storie. Lo Steampunk permette di immaginare un presente retrofuturistico senza radio e senza cellulari, tutto cablato come il mondo futuro immaginato da Albert Robida ne Le Vingtième Siècle del 1883. Eserciti senza comunicazioni radio, costretti a costruire da zero grandi reti telefoniche mentre avanzano, come fecero i Giapponesi in Cina nel 1904-1905 contro i Russi. Questa tecnologia semplificata è molto più facile da gestire nella resa di soluzioni classiche di isolamento, assedi tradizionali, attacchi a sorpresa, rispetto

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all’attuale mondo della guerra fondata su C&C, swarming, comunicazione continua, informatica di massa, feedback positivo, dispositivi di disturbo elettronico anti-trappole, attacchi aerei da basi lontanissime comandati via radio ecc… Chiunque non sia edotto sulle pratiche più all’avanguardia negli eserciti di cui vuole trattare – tutte informazioni irreperibili senza aver servito in quegli eserciti – rischia di scrivere baggianate demenziali (no, le testimonianze narrative non contano: pensate a tutte le modifiche che furono imposte in Pattuglia Bravo Two Zero per non far trapelare nessuna delle mol-


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6. La Città Incantata (2001) 7. Conan

(aka Conan, il ragazzo del futuro, 1978)

8. Il Mistero della Pietra Azzurra (1990) 9. Galaxy Express 999 (1978) 10. Il Segreto della Sabbia (2002) 11. Steamboy (2004) 9

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tissime informazioni pratiche segrete). Rimanendo nell’ambito fantascientifico, non è così immediato capire come ragionare. Rispondiamo a questa domanda per provare a comprendere l’applicazione pratica della complessa natura dello Steampunk, in bilico tra conoscenze di oggi e recupero del passato: se decidessi di ambientare una storia nel Lungo XIX Secolo e volessi darle un’impronta da Fantascienza d’epoca, quanto verosimile deve essere la mia fanta-scienza? Per iniziare, domandiamoci cosa accomuni Fantascienza e Fantasy. Facile rispondere: il What If, ovvero ‘cosa acca-

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drebbe se’. Non per niente in inglese si usa l’espressione Speculative Fiction per descrivere entrambi i generi, e quest’espressione fa più giustizia al senso che essi effettivamente hanno, più dell’equivalente Narrativa Fantastica. Proprio per questa natura ‘speculativa’ la piattezza di idee, la mancanza di ‘speculazione’ nei prodotti rifilati alle masse, deprime tanto i veri appassionati. In stile ‘è Fantascienza solo nel senso che ci sono le astronavi’ oppure ‘è Fantasy solo nel senso che ci sono gli elfi’. L’estetica dei generi senza l’agenda creativa dei generi. L’apparenza senza l’essenza.

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AIRSHIP BATTLE

di ©TOM McGRATH www.spikedmcgrath.com

Nella Fantascienza l’ipotesi di cui si indagano le conseguenze è un’ipotesi possibile, diciamo, per quanto improbabile. Cosa accadrebbe se… l’esercito disponesse di esoscheletri corazzati che aumentassero incredibilmente la rapidità e il volume di fuoco di ogni singolo fante? Cosa accadrebbe se… in un universo alternativo le forze nucleari fossero di intensità diversa rispetto a quella che conosciamo, permettendo l’esistenza stabile di isotopi impossibili, e questo universo entrasse in contatto con il nostro? È facile riconoscere in questi due esempi Fanteria dello Spazio di Heinlein e Neanche gli Dei di Asimov.

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Nel Fantasy si ipotizza che qualcosa di palesemente impossibile sia vero, e se ne indagano le conseguenze. Cosa accadrebbe se… le fatine dei denti esistessero e fossero in combutta con i dentisti americani per plagiare la popolazione e operare un colpo di stato? E poi c’è lo Science-Fantasy che possiamo vedere come un mix di Fantascienza e di Fantasy (secondo i due What If indicati prima, entrambi presenti assieme) oppure come una vena di realismo scientifico data a questioni che non possono essere reali. Una volta decisi gli elementi fantastici, come bisogna orientarsi sul resto dell’opera? Facile, come sosteneva già Lovecraft nel saggio Notes on Writing Weird Fiction, dove spiega che i fatti inconcepibili, fantastici, hanno un handicap speciale da superare, ovvero (come si dice abitualmente nella narrativa fantastica) mantenere sospesa l’incredulità del let-


tore, e questa incredulità rimane sospesa solo se tutti gli elementi non fantastici risultano credibili, naturali e coerenti. Deve essere chiaro quali sono gli elementi fantastici con cui attirare il lettore e sui quali quest’ultimo sospenderà la propria incredulità, mentre tutto il resto deve essere verosimile. Solo una narrativa immatura, scadente e ciarlatana (dice Lovecraft) è incredibile, incoerente, priva in ogni suo aspetto di appigli con la realtà. Serve verosimiglianza. Ora che questo è chiarito, torniamo allo Steampunk. Recuperando le idee fantascientifiche ottocentesche è normale che alcune risultino palesemente impossibili alla luce delle nostre conoscenze attuali. Pensiamo ai veicoli volanti di Robida con ‘palloni’ troppo piccoli rispetto alla massa sollevata, o al sottomarino a batterie di Verne efficiente come se fosse nucleare. Oppure pensiamo a ciò che ormai siamo piuttosto sicuri essere vero, per esempio che su Marte per sopravvivere non bastano cappotti molto pesanti e tende per la notte con un’aggiunta di ossigeno stile alta montagna. Lo Steampunk deve allora essere verosimile riguardo al vero della Fantascienza dell’Ottocento quando si tratta di citazioni, e verosimile riguardo al vero della Fantascienza attuale (o delle scienze attuali) per ciò che non è recupero della Fantascienza dell’Ottocento. Due diverse verosimiglianze devono convivere. Tutto ciò che non è un elemento fantastico, sia fantasy che (retro)fantascientifico, deve essere il più possibile credibile, realistico. E soprattutto l’opera deve avere una impeccabile coerenza interna. Il problema non è un mostriciattolo marziano che sol-

UN QUARTIER EMBROUILLÉ

di ALBERT ROBIDA dal romanzo Le Vingtième Siècle, 1883

I veicoli volanti di Robida sono così fantascientifici da richiedere apparati antigravitazionali. Ovviamente Robida non è disposto a privarsene solo perché non esistono ancora (come Heinlein non rinunciò agli esoscheletri potenziati in Fanteria dello Spazio) né gli interessa inventare tecnofarfugliamenti infodumposi da gonzo per ‘giustificarli’: lui fa Fantascienza ‘normale’, non Romanzi Scientifici o Hard SciFi!

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A STEAMPUNK FAIRYTALE

di ©FRANK HONG frank-hong.blogspot.it frankhong.daportfolio.com

leva 5 kg pur pesando 200 grammi, perché una volta definite le caratteristiche del mostro queste sono parte della sua natura fantastica; il problema si presenta se quel mostriciattolo prima riesce a sollevare carichi simili e poi non è un grado

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di trascinare una sciabola da 1 kg. La coerenza degli elementi realistici è sia esterna (verso la realtà) che interna (nell’opera), mentre quella degli elementi fantastici è ovviamente solo interna, non esistendo tali elementi nella realtà. Al più la coerenza degli elementi fantastici può essere parzialmente esterna, cioè ispirata a come pare funzionare il nostro mondo; per esempio nelle proporzioni tra forza e dimensioni di una creatura: un


essere molto piccolo, come una formica, può sollevare decine di volte il proprio peso mentre un gigante umanoide alto cinquanta metri non riuscirebbe a sollevare il proprio fratello. Ma anche questo tipo di semi-coerenza esterna non è obbligatoria: lo diviene solo quando è utile a dirimere questioni di coerenza interna tra elementi fantastici diversi… Appunto, siamo tornati all’unica coerenza richiesta agli elementi incredibili, quella interna.

Vuoi uno spazio denso di etere attraverso cui si muovono navi più simili a corazzate di primo Novecento che a razzi spaziali? E che affrontano combattimenti in stile dogfight da XX Secolo? Bene, allora tutto deve essere coerente e realistico in quel senso, inclusa la progettazione intelligente e la gestione di navi che non dovranno affrontare i caccia nemici in arrivo solo dall’alto, ma che arrivano da ogni direzione. Cambiano un po’ le cose rispetto al mare con le navi più il cielo con gli aerei! Per concludere, abbiamo visto che dietro un genere abusato e ridotto troppo spesso alla misera tripletta di occhialoni, corsetti e dirigibili, si nasconde un sottogenere della narrativa fantastica ampio, complesso, ricco di spunti e di possibilità inesplorate. Già limitandoci alle macro combinazioni abbiamo individuato trentadue possibili incarnazioni dello Steampunk. Dietro ognuna di queste combinazioni si nascondono migliaia di dettagli concreti provenienti dalla storia e dalla Fantascienza dell’Ottocento, da selezionare e mischiare con la nostra sensibilità moderna per costruire, ognuno di noi, il proprio Steampunk; ma sempre coerenti all’interno della storia anche quando incredibili di per sé, come fatine, automi intelligenti, alieni, etere luminifero e altro ancora. Lo Steampunk non è né ripetitivo né povero di spunti creativi, anzi, invita gli appassionati a indagare le curiosità del Lungo XIX Secolo per tramutarle in trovate narrative originali, non ancora sfruttate, invita insomma a non accontentarsi delle solite banalità e di una manciata di cliché… a patto di voler fare Steampunk seriamente.

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l’INTERVISTA

Una manifestazione

CHE FA

TENDENZA

di GIAMPAOLO GIAMPAOLI

Aspettando il 31 ottobre... Il patron Renato Genovese ci parla dell’ormai imprescindibile appuntamento annuale con Lucca Comics & Games.

I

N ATTESA DELLA prossima edizione di Lucca Comics & Games abbiamo fatto visita al direttore della manifestazione Renato Genovese, per avere da lui alcune informazioni utili a capire quali saranno gli eventi che contraddistingueranno il festival. Una piacevole chiacchierata da cui sono emersi i caratteri fondamentali a livello commerciale e culturale su cui gli organizzatori lavorano, per poi ogni anno inserire nuove strategie di intratte-

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nimento per il pubblico e nuove forme di promozione per le case editrici non solo di livello internazionale. Largo spazio, infatti, viene concesso anche alle piccole realtà che hanno tanta voglia di crescere. Il tutto per una manifestazione che ormai rappresenta – come si intuisce dalla scelta di sviluppare l’aspetto legato alla moda e al glamour nella prossima edizione – un evento di tendenza nel mondo dei comics, dei games e dell’animazione.


Intervista a

Renato Genovese Se esiste uno stile Lucca Comics & Games, in cosa si contraddistingue questo modo di fare festa attraverso i fumetti, i giochi intelligenti e l’animazione? Alla base di ogni nostra strategia di organizzazione e delle scelte che operiamo nel selezionare gli ospiti e i vari eventi che danno carattere alla manifestazione c’è sempre la volontà di renderci unici nel nostro genere. I risultati di partecipazione, da parte non solo degli amanti del settore ma anche di professionisti come direttori marketing di major cinematografiche o del videogioco, da anni confermano che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, non solo nel panorama nazionale ma anche a livello internazionale. Ci siamo riusciti curando ogni forma di intrattenimento, dalle varie sezioni artistiche e culturali agli approfondimenti, ma anche cercando di mantenere un ruolo importante nel mercato del fumetto e dei giochi intelligenti, senza svendersi, rispettando le necessità del pubblico, degli autori e in generale di tutti gli interlocutori: insomma, cercando sempre di trovare nuovi stimoli per rendere più sentita la partecipazione di coloro che vogliono collaborare con noi. Da dove nasce l’idea di affrontare in questa edizione il tema della moda e del glamour? Abbiamo preso ispirazione proprio dallo ‘Stile Lucca’, ovvero tutte le peculiarità che contraddistinguono la nostra festa, e

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BATTAGLIA DI BUNKER HILL

Lucca 2012: rievocazione dello scontro svoltosi a Charlestown il 17 giugno del 1775, nel corso della Guerra d’Indipendenza Americana ©Ufficio Stampa Lucca Comics & Games

ci siamo resi conto che l’aspetto glamour è sempre stato presente nella manifestazione, in tutte le forme in cui esso si declina, dal cosplay, agli accessori, al trucco e all’abbigliamento: in sintesi, nella voglia di esibirsi. E tutto questo per merito essenzialmente del modo in cui il pubblico vive la manifestazione, ritenendola un momento importante per fare moda e tendenza. Quale ruolo assume il cosplay da questo punto di vista? Il cosplay è tra gli aspetti che contraddistinguono Lucca Comics & Games con maggiore originalità. Nato durante la lontana edizione del ’95, trae origine dal fashion, tranne le eccezioni che riguardano i robottoni nipponici. Nel 2010 il gradi-

mento del pubblico ha portato alla nuova versione del Cosplay Camp, uno dei workshop da noi prodotti, di cui fanno parte le Gothic Lolita e i Maestri di spade. I suggestivi scenari della città di Lucca hanno svolto un ruolo essenziale nell’incrementare l’amore del pubblico verso il cosplay, passione che non ha mancato di manifestarsi anche attraverso sfilate che danno soddisfazione a chi ha voglia di travestirsi nei modi più svariati e originali. Sotto quali aspetti il vostro stile viene preso come esempio dagli organizzatori di altre manifestazioni? Alcuni scelgono il modo più banale: riprendere le tematiche che affrontiamo, se non addirittura limitarsi a copiare il nome del nostro festival. Possiamo vantare una lunga tradizione nel fumetto, nata dai contributi di studiosi del settore, ma anche di semplici appassionati a cui ancora oggi dobbiamo dire grazie. A tutto questo con il passare del tempo si sono aggiunti altri eventi che hanno reso unica Lucca Comics & Games, come gli spazi dedicati al gioco intelligente, al set-

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MICHAEL MOORCOCK

rilascia autografi a Lucca 2009, insieme a lui la moglie Linda foto: ©GIORDANA GRADARA

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STAND ESPOSITIVI

a Lucca 2010 ©Ufficio Stampa Lucca Comics & Games

tore junior, alla musica e al cosplay. Sono tutte tematiche che vengono affrontate di anno in anno con una serie di eventi e progetti di difficile realizzazione, ma che noi organizzatori abbiamo fortemente voluto. Se ripenso alle critiche che ci furono rivolte venti anni fa quando decidemmo di introdurre il gioco nella manifestazione, adesso mi viene da ridere. Fin dal lontano 1993 avevamo capito che i comics e i games sono realtà artistiche complementari, radicate nell’immaginario di un pubblico in cerca di soluzioni grafiche rivoluzionarie e interessato a nuovi generi

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narrativi, ma i puristi del fumetto erano ben lontani dal condividere le nostre opinioni. Sono quegli stessi intenditori che poi, con il passare del tempo, si sono visti costretti per le nuove tendenze del pubblico a rivedere le loro posizioni e a inserire nelle loro manifestazioni il settore del gioco, con sensibile ritardo rispetto a noi e a volte con scarsa competenza. Si può dire altrettanto per il cosplay: quasi quasi, vantiamo lo stesso numero di imitazioni della Settimana Enigmistica! Per l’edizione targata 2013 gli ospiti saranno più numerosi, quali impegni ha comportato far crescere ulteriormente Lucca Comics & Games? In realtà è il mondo dei comics e dei games che cresce, e, inevitabilmente, anche per noi si moltiplicano gli accordi da prendere con le partnership. Relazioni da


curare con l’indispensabile disponibilità e sempre con la volontà di proporre soluzioni nuove. Ma abbiamo lavorato intensamente anche a livello organizzativo, cercando di dare alla kermesse una struttura solida per i settori espositivi e per i vari eventi legati ai personaggi, realizzata tenendo presenti non solo le necessità operative, ma anche la qualità degli aspetti culturali. Tra le varie personalità, ci sono alcuni autori che per voi hanno particolare rilievo? Siamo soliti rilasciare notizie un po’ alla volta, seguendo un programma di relazioni con i media che ha inizio dalla prima conferenza stampa di fine estate, durante la quale vengono divulgate le informazioni fondamentali sulla prossima edizione.

THE CITADEL

Il padiglione a Lucca 2012 dedicato al mondo del gioco di ruolo live e alla ricostruzione storica ©Ufficio Stampa Lucca Comics & Games

Non vogliamo svelare ogni segreto prima del festival, per lasciare agli appassionati il gusto di scoprire, dopo l’attesa, ciò che abbiamo in serbo per loro. Ma attenzione: non ci permettiamo mai improvvisazioni che potrebbero stravolgere l’organizzazione, su cui cominciamo a lavorare ogni anno con ampio anticipo. Di conseguenza preferisco non aggiungere nomi ai personaggi che sono già ricordati per l’edizione 2013 sul nostro sito. Continuerete a dare spazio agli autori emergenti e alle case editrici minori? È un impegno che dopo tanti anni non possiamo permetterci di disattendere. La Self Area, dedicata proprio alle autoproduzioni e alla micro-editoria, quest’anno avrà ancora maggiore spazio a diposizione. A questa importante iniziativa si affiancherà come di consueto nell’Area Professional la possibilità per gli autori emergenti di avere contatti con grandi editor stranieri e italiani, per rendere più facili i rapporti commerciali e professio-

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SANDY PETERSEN

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il creatore del gioco The call of Chtulu, a Lucca 2011, ritratto col nostro redattore Luca Germano foto: ŠLUCA GERMANO


nali. Infine avremo l’Artist’s Comic, novità assoluta della prossima edizione, e lascio al pubblico il piacere di scoprirne le caratteristiche. Per quanto riguarda i punti espositivi (tanto per capirsi, gli spazi dedicati ai venditori) prevedete una presenza soddisfacente? Non abbiamo bisogno di previsioni: abbiamo la certezza che l’affluenza degli operatori dello spazio commerciale sarà molto numerosa, stando alle liste di attesa. Molto sentita sarà anche la partecipazione a Lucca Junior, ma purtroppo per motivi di spazio non potremo accontentare tutti. Una manifestazione di alto livello come la vostra può ancora rappresentare una buona opportunità per un collezionista che cerca materiale raro? Il materiale di antiquariato, quindi particolarmente costoso, continua ancora a essere richiesto, in caso contrario i venditori che puntano ai collezionisti ci avrebbero abbandonato, ma per fortuna questo non è ancora accaduto. Rispetto al passato, però, le grandi vendite si sono ridotte, anche perché con il tempo il festival, dall’essere per l’appunto un riferimento per i collezionisti, si è trasformato in un evento di massa dedicato alla cultura giovanile. Avete progetti per il futuro? Se non avessimo progetti nel cassetto la nostra manifestazione sarebbe destinata a morire. Se Lucca Comics & Games ha avuto negli anni tanto successo è stato proprio per la capacità degli organizza-

DIRK BENEDICT

in compagnia di Luca Germano a Lucca 2012, il tenente Starbuck (Scorpion), direttamente dallo storico Galactica versione 1978 foto: ©LUCA GERMANO

tori di trovare sempre nuove iniziative. Per il futuro, ricollegandosi alla risposta precedente, abbiamo intenzione di incrementare il commercio da collezione, ma creando eventi al di fuori del festival. Ringraziamo Renato Genovese per la piacevole chiacchierata, e rimandiamo tutti gli appassionati all’immancabile appuntamento annuale col Lucca Comics & Games, dal 31 ottobre al 3 novembre, ricordando che le mostre apriranno già il 19 ottobre.

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le NOVITÀ

Il super reboot

VENUTO DA

KRYPTON

di ROBERTO FURLANI

Adeguandosi alla recente moda di Hollywood, il più celebre dei supereroi affronta l’ennesima rivisitazione.

U

SCITO QUEST’ESTATE, L’uomo d’acciaio fa parte di quella moltitudine di film sui supereroi che negli ultimi anni l’hanno fatta da padrone nelle sale cinematografiche di tutto il mondo. In questa premessa, senza entrare nel merito della qualità delle singole pellicole, è già riassunto uno dei problemi principali della cinematografia fantastica odierna, che propone vagonate di remake, sequel, prequel e rivisitazioni di temi o personaggi. L’originalità è affidata più alla tecnologia (effetti speciali e 3D) che alla trama, la quale spesso e volentieri non fa altro che ricalcare ciò che già si è visto in tutte le salse. Ci troviamo così sommersi da nuovi

Uomini Ragno, Batman, Iron Man e naturalmente Superman, il supereroe per antonomasia, protagonista di questa trama che non potrà sorprendere più di tanto. Krypton è un pianeta destinato a implodere per aver esaurito tutte le risorse naturali; l’approssimarsi della fine crea dissidi tra i quartieri alti della sua gerarchia, che si concretizzano in un tentativo di colpo di stato da parte del generale Zod (Michael Shannon) contro il Consiglio, reo – secondo il militare – di un eccessivo immobilismo che ha portato alla catastrofe. In questo scenario lo scienziato Jor-El (Russell Crowe) impianta il codice ge-

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Scheda tenica TITOLO:

Man of Steel (it L’uomo d’acciaio)

ANNO:

2013

REGIA:

Zack Snyder

STORIA:

David S. Goyer

PERSONAGGI E STORIA ORIGINALI:

Jerry Siegel Joe Shuster

SCENEGGIATURA:

David S. Goyer Christopher Nolan

FOTOGRAFIA:

Amir Mokri

MONTAGGIO:

David Brenner MUSICHE:

Hans Zimmer

REPARTO SCENOGRAFICO:

Alex McDowell (scenografie) Chris Farmer (architetto-scen.) Kim Sinclair (supervisione) Anne Kuljian (arredi)

PRODUTTORE:

Christopher Nolan Charles Roven Deborah Snyder Emma Thomas

PRODUZIONE:

Warner Bros. Legendary Pictures Syncopy DC Entertainment Third Act Productions

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netico della stirpe kryptoniana nelle cellule del figlio appena nato e spedisce il bambino verso la Terra, con dispiacere di Zod, il quale avrebbe voluto usare quel codice come strumento per espandere la civiltà di Krypton fuori dal pianeta natale e permetterle così di sopravvivere. I due uomini arrivano a uno scontro fisico che si conclude con la morte di Jor-El e con l’arresto del generale, condannato poi all’esilio nella ‘Zona Fantasma’, una sorta di limbo tra i continuum

spazio-temporali. La navicella con il figlio di Jor-El atterra nella fattoria dei coniugi Jonathan (Kevin Costner) e Martha (Diane Lane) Kent, che decidono di allevare il piccolo come fosse figlio loro, mentre ad anni luce di distanza Krypton giunge alla distruzione. Crescendo, il bimbo (chiamato Clark, dai Kent) manifesta poteri straordinari, che i genitori gli raccomandano di tener quanto più possibile nascosti. Fortuna vuole che il kryptoniano sia di indole buona e utilizzi le proprie


capacità unicamente per scopi nobili. Anni più tardi, quando un’astronave precipita in Artide, un Clark diventato adulto (Henry Cavill) si infila nella spedizione scientifico-militare incaricata di studiarla, convinto che il veicolo proveniente dalle stelle abbia a che vedere con le sue origini. Lì incontra Lois Lane (Amy Adams), giornalista del Daily Planet, che scopre i suoi poteri e si imbarca in un’indagine sul suo passato, pur osteggiata dal direttore della testata Perry White (Laurence Fishburne), preoccupato dagli allarmismi e dalle destabilizzazioni sociali che la notizia della scoperta di un alieno genererebbe. Nel frattempo sulla Terra arriva Zod, evaso dalla Zona Fantasma e deciso a strappare con la forza i segreti contenuti nel

codice genetico di Clark. La prima mezz’ora del film è dignitosa, nonostante la recitazione di Cavill che si rivela di una piattezza prosternante. Pronti via, allo spettatore viene offerto un film d’azione con un tessuto narrativo dotato di una consistenza apprezzabile (chiaramente solo in confronto agli altri film di genere e alle scarse aspettative di partenza, non in assoluto). Nella narrazione si riscontra la mano di Christopher Nolan: lo stile con cui ci racconta Superman ricorda da vicino quello da lui usato per Batman ne Il cavaliere oscuro. Certo, non si può parlare di capolavoro, ma nemmeno di un abominio che offende l’intelligenza dello spettatore e la storia del cinema, come spesso è

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Cast HENRY CAVILL (Clark Kent/Kal-El) AMY ADAMS (Lois Lane) MICHAEL SHANNON (Generale Zod) KEVIN COSTNER (Jonathan Kent) DIANE LANE (Martha Kent) RUSSELL CROWE (Jor-El) AYELET ZURER (Lara Lor-Van) ANTJE TRAUE (Faora-Ul) LAURENCE FISHBURNE (Perry White) HARRY LENNIX (Generale Swanwick) RICHARD SCHIFF (Dr. Emil Hamilton) CHRISTOPHER MELONI (Colonello Nathan Hardy) COOPER TIMBERLINE (Clark a 9 anni) DYLAN SPRAYBERRY (Clark a 13 anni) RICHARD CETRONE (Tor-An) MACKENZIE GRAY (Jax-Ur) JULIAN RICHINGS (Lor-Em) SAMANTHA JO (Car-Vex) MICHAEL KELLY (Steve Lombard) REBECCA BULLER (Jenny) CHRISTINA WREN (Capitano Carrie Farris) TAHMOH PENIKETT (Jed Eubanks) JADIN GOULD (Lana Lang) ROBERT GERDISCH (Whitney Fordman) JOSEPH CRANFORD (Pete Ross) JACK FOLEY (Pete Ross giovane)

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accaduto con questo tipo di pellicole. Il problema dei film, però, è che di solito hanno due tempi, e l’inclinazione a trascinarsi nel secondo contando sulla rendita di quanto di buono fatto nel primo è nefasta e a volte perfino autolesionistica (un esempio eclatante è il recente Cloud Atlas). La seconda parte del film, infatti, è un trionfo di pugni, lotte corpo a corpo, armi militari puntualmente ridicolizzate dai supercattivi di turno e grattacieli che vengono divelti come fossero origami.

Il che, beninteso, entro certi limiti ci sta, visto che parliamo pur sempre di un film sui supereroi, ma qui la bulimia di effetti speciali e botte da orbi stanca, spazientisce tutte quelle persone che al cinema vanno col proposito di vedere qualcosa di più di un incontro di wrestling tra energumeni extraterrestri. Questa deriva abbastanza esiziale nel computo della qualità complessiva del film avrebbe potuto essere evitata accorciandolo di una ventina di minuti buoni, riduzione che, nulla togliendo


alla storia, avrebbe riportato a una dimensione congrua lo spazio destinato a inseguimenti e scazzottate. Anche così, comunque, L’uomo d’acciaio sarebbe stato ben lungi dall’essere perfetto, a causa di strafalcioni talmente marchiani da essere riconducibili più all’idiozia che alla superficialità. Alle incongruenze derivate dalla storia originale – come la reclusione di Zod nella Zona Fantasma mentre il resto dei kryptoniani è condannato a morte, una pena che salva la vita al generale anziché punirlo – si aggiungono infatti le sciocchezze gratuite della sceneggiatura. Si assiste per esempio a un saggio di rara incoerenza cinematografica nello scontro finale tra Superman e Zod, durante

il quale muoiono tre persone facendo piangere come un cane bastonato il buon Clark; peccato che le azzuffate precedenti tra l’uomo d’acciaio e Zod e i suoi tirapiedi abbiano provocato crolli di palazzi ed esplosioni in numero sufficiente a causare un’autentica strage, senza che il protagonista alzasse un sopracciglio per il disappunto. Queste ingenuità non possono passare inosservate né essere digerite in modo indolore. Tirando le somme, L’uomo d’acciaio non raggiunge la sufficienza e non vi si avvicina neppure, però alla luce del buon avvio non è nemmeno inguardabile, e per un film di questo tipo è già un risultato. Il risultato di essere brutto senza essere orrendo.

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Cult MOVIE

IL LATO OPPOSTO dello

SPECCHIO

di SEVERINO FORINI

Un pianeta, o solo un riflesso? Cos’è il misterioso corpo celeste che orbita all’altro capo del Sole?

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O SPECCHIO. Ogni immagine che ne viene riflessa, anche se apparentemente uguale, risulta distorta: la parte destra diventa la sinistra e la realtà si trasforma in realtà illusoria, in un mondo rovesciato. Ma quale dei due mondi è davvero rovesciato, quello che vediamo nello specchio o il nostro? Chi sono veramente gli abitanti della realtà che si trova dall’altra parte dello specchio? Chi è quell’individuo a noi gemello, colui che guardiamo negli occhi tutte le mattine quando ci radiamo o ci laviamo i denti? Potrebbe essere qualcosa di più rispetto a una semplice immagine di noi stessi? E se fossimo noi a vivere dalla parte sbagliata dello specchio, se fossimo noi l’immagine riflessa di un’altra realtà? Quante

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volte questo pensiero si è affacciato alla mia mente. Lo specchio mi ha sempre lasciato una strana sensazione di inquietudine: c’è qualcosa che non capisco e che quasi ho paura a capire. Questa idea perturbante, la possibile esistenza di un ‘doppio’, di una versione speculare di noi e del nostro mondo, è stata spesso proposta in trame fantastiche, magari partendo da spunti più o meno ‘scientifici’… Si ritiene che il nostro Sistema Solare sia stato ormai perfettamente mappato. Conosciamo tutti i pianeti e tutti i loro maggiori satelliti. Forse non abbiamo ancora chiarito se Plutone sia ‘tecnicamente’ un pianeta o solo un grosso sasso, ma perlomeno fino a Nettuno ci siamo. Le con-


Scheda tenica TITOLO:

Journey to the far side of the Sun aka Doppelgänger (it Doppia immagine nello spazio) ANNO:

1969

REGIA:

Robert Parrish STORIA:

Gerry e Sylvia Anderson SCENEGGIATURA:

Gerry e Sylvia Anderson Donald James FOTOGRAFIA:

John Read

MONTAGGIO:

Len Walter MUSICHE:

Barry Gray REPARTO SCENOGRAFICO:

Bob Bell (art direction) PRODUTTORE:

Gerry e Sylvia Anderson PRODUZIONE:

ferme ci sono arrivate da decenni di sonde spaziali mandate a raccogliere immagini per poi perdersi nello spazio infinito. Ma… se invece ci sbagliassimo? Immaginate che vi sia un corpo celeste sulla nostra stessa orbita attorno al Sole, e che posizione e moto siano tali da mantenere questo corpo sempre agli ‘antipodi’ rispetto alla Terra, con il Sole perennemente in mezzo a celarne la vista dal nostro pianeta. Te-

oria affascinante, no? Ingenua dal punto di vista fisico ma comunque affascinante! Ricordo che qualcuno me ne parlò molti anni fa, quando ero ancora un bambino. Chi me la riferì disse che aveva sentito questa storia da qualcun altro che a sua volta l’aveva sentita da qualcun altro. Ci misi vent’anni per scoprire (quella che ora ho capito essere) la fonte di tale teoria: non è altro che la trama di un vecchio film di Fan-

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Century 21 Television CAST:

ROY THINNES (Glenn Ross) IAN HENDRY (John Kane)

PATRICK WYMARK (Jason Webb) LYNN LORING (Sharon Ross) LONI VON FRIEDL (Lisa Hartmann) FRANCO DE ROSA (Paulo Landi) GEORGE SEWELL (Mark Neuman) ED BISHOP (David Poulson) PHILIP MADOC (Dr. Pontini) VLADEK SHEYBAL (Psichiatra) HERBERT LOM (Dr. Hassler)

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tascienza del 1969 intitolato Journey to the far side of the Sun, conosciuto anche come Doppelgänger e distribuito in Italia con il curioso titolo di Doppia immagine nello spazio. Scritto e prodotto da Gerry e Sylvia Anderson, due vere pietre miliari della Fantascienza, il film fu diretto da tale Robert Parrish, un onesto mestierante che sarà ricordato (ma anche no) per una manciata di B-movie, il più famoso dei quali è Lo sperone insanguinato, un western del 1958 interpretato da un giovanissimo John Cassavetes. Fu invece la carriera di montatore che donò a Parrish le maggiori soddisfazioni: addirittura un Premio Oscar nel 1947 e una candidatura nel 1949. “Ero convinto che l’idea fosse davvero interessante” racconta in un’intervista Roy Thinnes, che nel film interpreta la parte del protagonista, il colonnello Ross. “Sebbene oggi, grazie ai nostri progressi nelle esplorazioni spaziali, sappiamo che non c’è nessun pianeta dalla parte opposta del Sole, a quei tempi l’idea era perfettamente concepibile e, devo ammetterlo, mi faceva venire i brividi.” Il film racconta della scoperta di un nuovo pianeta nel Sistema Solare, rimasto invisibile a noi per i motivi suddetti. Il ‘Consiglio Europeo per le Esplorazioni Spaziali’ suggerisce l’esplorazione del pianeta, ma nessun governo, né in Europa né in America, è disposto a finanziare il viaggio. Il rischio è quello di farsi battere sul tempo dagli storici rivali, i sovietici, quasi certamente a un passo dalla medesima scoperta. La prima metà del film si dilunga parecchio su queste vicende di – chiamiamola così – politica internazionale, rendendo

la visione decisamente pesante. Questo a mio parere è il grosso handicap di ‘Doppia Immagine’. Quei pochi spettatori che saranno ancora svegli dopo la prima mezz’ora verranno tuttavia ampiamente ricompensati. Il colonnello Glenn Ross, un esperto astronauta americano (il primo a mettere piede su Marte), riesce infine a partire in compagnia di un astrofisico inglese, John Kane (personaggio tutto sommato di secondo piano, al quale la storia riserverà una prematura quanto stupida morte). Oggi fanno davvero sorridere le grossolane esagerazioni, tipiche della Fantascienza anni Sessanta, che caratterizzano il film. Un esempio su tutti è la pretesa di poter andare e tornare in sole 6 settimane. Con la tecnologia attuale una simile impresa richiederebbe almeno un paio di anni. Ma questa è Fantascienza, non dimentichiamolo: una navicella in grado di spostarsi alla velocità della luce potrebbe completare il tutto in una mezz’oretta al massimo (il Sole dista da noi 8m20sec/ luce). Quindi, dopo una ventina di giorni di stasi criogenica (non proprio, ma qualcosa del genere), i nostri astronauti giungono come previsto in prossimità del pianeta. Da questo momento in avanti il film supererà la soglia della mediocrità, riuscendo a sviluppare una trama che lo consegnerà meritatamente all’olimpo dei capolavori. Il nuovo pianeta sembra essere identico alla Terra in tutto e per tutto, cose e persone. Ross verrà ricevuto dagli stessi individui che avevano salutato l’inizio della sua impresa solo tre settimane prima, dai quali verrà accusato di aver abbandonato la missione e invertito la rotta. Ma

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IAN HENDRY e ROY THINNES

rispettivamente i cosmonauti John Kane e Glenn Ross in una scena del film

stranamente il sistema di navigazione di bordo non ha registrato alcuna anomalia. Ben presto l’orribile ipotesi si fa largo nella mente di Ross: il pianeta misterioso non è altro che un duplicato esatto della Terra. Le persone che vi abitano sono un duplicato esatto della gente della Terra. Lui stesso, o meglio il suo doppio, è partito da qui tre settimane prima e ora si trova sulla sua Terra, con i suoi amici e la sua famiglia, probabilmente smarrito e confuso quanto lui. Ma l’incubo non finisce qui. Ross si accorge che le scritte, gli orologi e altri oggetti sono al contrario e che per vederli come è abituato deve porli davanti a uno specchio. In poche parole scoprirà un mondo letteralmente alla rovescia. Un mondo dove nessuno crede alle sue deliranti affermazioni. Un mondo apparentemente normale che diverrà ai suoi occhi di giorno in giorno più ostile. Si potrebbero azzardare analogie con altri classici quali Essi vivono o L’invasione degli ultracorpi, ma forse l’accostamento sarebbe un po’ forzato. Un mondo alla rovescia, dunque, esattamente come quello che osserviamo con indifferenza nello specchio di fronte a noi. Quando Ross guarda al di là dello specchio se stesso e le cose che lo circondano, rivede il mondo che gli apparteneva, il mondo dove la destra è la destra e la sinistra è la sinistra. E quell’uomo che sembra ricambiare il suo sguardo, quel volto che esprime il suo stesso disagio, le sue

stesse perplessità, la sua stessa malinconia: sta veramente guardando negli occhi colui che adesso abita nella sua casa, si lava i denti nel suo bagno, dorme nel suo letto, fa l’amore con sua moglie…? Evidente il tentativo di riproporre il tema di questo film in alcuni momenti successivi della carriera dei suoi autori. Robert Parrish lo riprese efficacemente in ‘Dimensioni Parallele’, episodio inserito nella quarta serie de Ai confini della realtà, mentre i coniugi Anderson ne riutilizzarono l’idea di base in un indimenticabile episodio di Spazio 1999, ‘Un altro tempo, un altro luogo’. Prima di concludere è necessario citare il recente Another Earth di Mike Cahill (premiato al Sundance Film Festival del 2011), in cui le notizie di un nuovo pianeta in avvicinamento fanno da sfondo alle vicende drammatiche di una giovane donna in cerca di remissione dai propri peccati: il soggetto chiama in causa le implicazioni di un doppio perfettamente identico della Terra e dei suoi abitanti.

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le NOVITÀ

L’arciere verde

COLPISCE

ANCORA

di LORENZO PEDRAZZI

Ai nastri di partenza l’attesa seconda stagione del serial tv ispirato a Green Arrow e targato The CW.

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OPO UN PERIODO d’insuccessi per le serie televisive supereroistiche (Smallville escluso), Arrow ha centrato il bersaglio con la stessa precisione del suo infallibile protagonista, Freccia Verde, il famoso arciere della DC Comics. Pur affidandosi a volti bellocci e poco espressivi, al centro di situazioni e conflitti a tratti un po’ stereotipati, la prima stagione ha saputo costruire un universo narrativo piuttosto coerente, legato a un’idea di (parziale) realismo che nasce direttamente dalla trilogia del Cavaliere Oscuro firmata

Christopher Nolan: l’alone supereroistico rimane ancorato alla sfera dell’umano, con poche concessioni pittoresche – anche la rappresentazione di nemici come Deadshot o China White non eccede nel bizzarro – e qualche apertura verso gadget e armi high-tech, ma sempre in un clima di relativa verosimiglianza. L’azione, ben coreografata, sfrutta al meglio la prestanza fisica e le doti acrobatiche di Stephen Amell (meglio sorvolare sulla rigidità dei suoi muscoli facciali), mentre Freccia Verde ci viene proposto

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come un vigilante duro e spietato, che non si fa problemi a uccidere le sue vittime. In effetti, eccezion fatta per il Punitore, è raro vedere un body count così alto da parte di un personaggio dei fumetti, e le tribolazioni morali di Oliver Quinn si sono rivelate come uno degli elementi più interessanti della stagione: sia la dolce e imbranatissima Felicity Smoak (Emily Bett Rickards) sia l’amico fraterno Tommy Merlyn (Colin Donnell) hanno messo in dubbio i metodi del vigilante, minando le certezze di Oliver non solo in relazione al suo modus operandi ma anche alla natura stessa della sua missione. Inizialmente Freccia Verde si at-

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tiene scrupolosamente all’agenda lasciatagli da sua padre (contenente un elenco di nomi di persone che, con le loro azioni criminose, hanno ‘tradito’ Starling City), ma in seguito, stimolato dalle pressioni dei suoi alleati, decide di combattere anche la criminalità ‘comune’, assumendo gradualmente il ruolo di difensore della città, e non solo di vendicatore. Insomma, da angelo della vendetta ad angelo custode. DOVE ERAVAMO RIMASTI? Al termine della prima stagione, il mondo di Oliver è stato scosso da un tragico sviluppo di eventi: nonostante sia riuscito

a sconfiggere, seppure a costo di grandi fatiche, il temibile Arciere Nero (Malcom Merlyn, interpretato da John Barrowman), Freccia Verde non ha potuto evitare la distruzione di una parte dei Glades, il quartiere popolare che Merlyn voleva radere al suolo come forma di ritorsione per la morte di sua moglie, uccisa da alcuni balordi mentre si trovava in quella zona della città. Inoltre, Oliver ha perso l’amico Tommy, morto fra le sue braccia dopo aver salvato la vita di Laurel Lance (Katie Cassidy), la donna amata e contesa da entrambi. Questo evento avrà grandi ripercussioni sul futuro del supereroe incappucciato…

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L’EROE DI CUI STARLING CITY HA BISOGNO Ricordate l’ormai famoso discorso ‘sull’eroe di cui Gotham City ha bisogno’, alla fine de Il Cavaliere Oscuro? Uno dei creatori di Arrow, lo sceneggiatore e produttore esecutivo Greg Berlanti, ha citato qualcosa del genere parlando con i giornalisti allo scorso Comic-Con di San Diego: “La

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seconda stagione è una vera e propria prosecuzione degli eventi che avete visto nel finale dello scorso anno. Considero la prima stagione come una specie di pilot per la seconda. […] Il viaggio di Oliver è la colonna vertebrale dello show. E la nostra speranza è sempre stata quella di introdurre un personaggio molto diverso, pur conservandone alcuni elementi, rispetto


a quello che abbiamo conosciuto e amato nei fumetti. È la seconda fase del viaggio. Quest’anno daremo una svolta al protagonista, trasformandolo da vigilante in qualcosa di più speranzoso, ovvero ciò di cui Starling City ha bisogno per risollevarsi. Freccia Verde ha vinto molte battaglie finora, ma i Glades sono comunque saltati in aria per metà, e sono successe cose molto brutte. Quindi credo che lui voglia

ridare una speranza alla città, e per questo è necessario un eroe mascherato lievemente diverso da quello che abbiamo visto.” Assisteremo dunque a un cambiamento nella natura di Oliver, che si avvicinerà a diventare un supereroe di stampo più ‘classico’, presumibilmente meno violento. Ogni personaggio, però, reagirà in maniera diversa: mentre Oliver sarà portato

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a mettere in discussione i propri metodi, e Laurel affronterà un dolore che causerà tensioni fra lei e Freccia Verde, Diggle (David Ramsey), invece, da soldato qual è, cercherà di attenersi alla missione. Scopriremo nuovi dettagli sul suo passato, compresi i suoi legami con A.R.G.U.S., sorta di S.H.I.E.L.D. dell’universo DC. Possiamo aspettarci, inoltre, il debutto di molti volti noti del suddetto universo: Black Canary, Brother Blood (Kevin Alejandro), Isabel Rochev (Summer Glau) e altri ancora. Ah, e anche un certo Barry Allen. Proprio lui: Flash. FASTER THAN LIGHT Come un illusionista che estrae il proverbiale coniglio dal cilindro, The CW ha an-

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nunciato che la seconda stagione introdurrà il personaggio di Barry Allen, ovvero l’incarnazione più nota e amata di Flash, primo supereroe della Silver Age fumettistica. Barry esordirà nell’ottavo episodio della stagione, e comparirà anche nel nono e nel ventesimo: sarà uno scienziato forense in visita a Starling City per collaborare con il dipartimento di polizia, e avrà dei contrasti con Oliver. Nel ventesimo episodio cominceremo a entrare nel suo mondo (dobbiamo aspettarci una trasferta a Central City?), e probabilmente lo vedremo con tanto di costume rosso e superpoteri. L’introduzione di questi ultimi costituisce una novità nell’universo narrativo di Arrow, ma gli sceneggiatori


Andrew Kreisberg e Geoff Johns hanno precisato che la loro comparsa sarà vista come qualcosa di eccezionale, non come la norma. A prestare il volto al velocista scarlatto sarà il ventitreenne Grant Gustin, già visto in Glee e 90210. Gustin sarà anche il protagonista della per ora ipote-

tica serie televisiva dedicata a Flash che potrebbe debuttare già nel 2014, sempre che The CW si dimostri soddisfatta del pilot (scritto dagli stessi Berlanti, Kreisberg e Johns). C’è molta curiosità anche attorno alla resa visiva dei superpoteri di Flash: Johns e Kreisberg hanno escluso l’impiego del classico effetto sfocato (già visto nella precedente serie su Flash, ma anche in Smallville e nei primi film di Superman), poiché l’intenzione è quella di proporre qualcosa di nuovo, “un’esperienza cinematografica su piccolo schermo”. Staremo a vedere. La seconda stagione di Arrow esordirà in Italia questo 22 ottobre.

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i CORTI

Corna ed equivoci

ALL’OMBRA dell’

OLIMPO

di CUCCU’SSÉTTE

Dall’ESMA, una deliziosa storia fantasy d’animazione in 3D, che evidenzia la divertente creatività d’oltralpe e la qualità tecnica della scuola francese.

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A MITOLOGIA GRECA viene rivisitata con spirito goliardico nel cortometraggio di animazione francese Mytho Logique, realizzato da Jessica Ambron, Amandine Aramini, Alexandre Belbari, Guillaume Poitel e Yannick Vincent, studenti della prestigiosa École Supérieure des Métiers Artistiques di Montpellier. Le vicende di un satiro e della driade Bibiche sono un susseguirsi di colpi di scena ed equivoci piccanti, che coinvolgono molte creature dell’Olimpo, dai centauri

a Dioniso, fino allo stesso Zeus. Non si tratta di un’innocua rappresentazione pastorale ispirata ai drammi seicenteschi, o di una farsa ricca di doppi sensi; potrebbe sembrare semmai una parodia dell’episodio de ‘La Pastorale di Beethoven’ in Fantasia, con tanto di ambientazione da postribolo termale liberty, Dioniso alticcio e Zeus con gli infradito. Una storia di corna, con tanto di ninfe procaci e centauri rissosi… di certo Mytho Logique è anche questo, e lo spettatore può

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divertirsi con gag degne di una slapstick comedy. Il cortometraggio si presta a diversi livelli di lettura. La vicenda è uno spunto di riflessione sul modo di porsi davanti alla realtà. Guardando le nuvole, Bibiche crede di vedere volare Pegaso, mentre il satiro è certo che quella sia solo acqua sospesa nel cielo. Il litigio ripropone un dibattito filosofico che dura da millenni: realtà come rappresentazione mentale,

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suscettibile e soggetta alla percezione individuale, oppure inconfutabile insieme di dati sensibili? La risposta fornita dagli autori concilia la fantasia e la ragione. Pegaso forse non esiste neppure sull’Olimpo, ma tutti lo inseguono, vorrebbero credere… e la stessa volontà di credere concretizza il mito e lo imprime nell’immaginario collettivo. Lo stesso titolo gioca sulla conciliazione del dualismo tra immaginario e logica.


Ovviamente la disquisizione filosofica è un sottofondo, e lo spettatore può ridere delle disavventure del fauno, inseguito da avversari che si credono cornificati. Le animazioni, giustamente caricaturali, sono accattivanti. L’uso di programmi di animazione digitale nulla sottrae alla vivezza dei colori, all’espressività dei vari personaggi. Tecnicamente apprezzabile, diffuso in streaming, con sottotitoli in lingua inglese, Mytho Logique fa una bella pubblicità all’ESMA: guardando questa e altre realizzazioni dall’Accademia, viene spontaneo fare confronti con il panorama dell’animazione italiana. C’è da restarci male…

trascurati dalle sale, snobbati da molti adulti perché rivolti quasi sempre a un pubblico infantile, i cartoni nostrani raramente sfiorano argomenti di impegno. C’è stata qualche rara eccezione, ma non basta Lo strappo nel cielo, tratto da una novella di Pirandello e ben musicato dal gruppo folk rock sardo NUR, per restituire un genere a visioni più mature. Sarà colpa delle differenze culturali, forse, sta di fatto che Francesi e Belgi sembrano anni luce avanti agli Italiani, e certo non si accontentano di riesumare classici della letteratura e di servirli tiepidini, odorosi di naftalina.

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ANIME serial

Sospesi tra

AMBIZIONE e OSSESSIONE di GIANNI FALCONIERI

Cyberpunk, esistenzialismo, citazioni e originalità: alla ricerca della propria raison d’être in un mondo postapocalittico senza memoria.

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NNO 7207. Dopo un disastro ambientale, a Rom-Do – una sorta di città-cupola dove la vita scorre all’insegna del consumismo e dell’ordine – gli esseri umani vivono insieme ad androidi chiamati Autoreiv. Ma la quiete regolata e priva di emozioni di questa società postapocalittica viene sconvolta da un’epidemia che colpisce gli Autoreiv, un virus chiamato Cogito che permette loro di acquisire consapevolezza ed emozioni umane. Contemporaneamente, da un la-

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boratorio fugge una misteriosa creatura, chiamata Proxy. Il mostro, che si apprenderà essere immortale e virtualmente invulnerabile, semina morte tra i cittadini di Rom-Do. L’incarico di indagare su questi omicidi è affidato all’agente Re-L Mayer, la nipote del Reggente. Re-L viene presto a contatto con il Proxy, che sembra attratto da lei. La chiave per risolvere il mistero dell’origine della creatura è Vincent Law, un immigrato trovato privo di sensi proprio nei pressi dell’abi-


tazione dell’agente. Riprendendo il filo delle molte opere cyberpunk e postcyberpunk, tra cui Appleseed e Ghost in the Shell, e di un classico della Fantascienza d’ambientazione noir come Blade Runner, Ergo Proxy rifiuta di farsi veicolo di messaggi distopici, incorporando tuttavia molti elementi cyberpunk in un inedito futuro tutt’altro che prossimo. È chiaro, fin dalle prime puntate dove la collocazione di genere si fa più evidente, che EP non entrerà nel cul-desac di tanta animazione nipponica, fuggendo ogni tentazione schematica/episodica ed evitando il canone ‘mecha vs. alieno’, pesantemente inflazionato. L’Alieno, causa del Conflitto, qui è tutt’uno con l’umano e ne condivide il problema esistenziale principale: la ‘raison d’être’.

Lo spettatore che entra nel mondo di EP sperimenta questa prima delusione o disillusione. E gli è presto chiaro che non saranno le percosse e le alabarde spaziali a dominare episodio dopo episodio le sorti dei personaggi (o almeno non solo). Non ci saranno boss e sotto-boss di livello a monopolizzare l’attenzione, ma piuttosto ambiziosissimi flussi di coscienza e sequenze onirico-surreali. Alla sceneggiatura troviamo Dai Sato, autore che all’epoca (siamo nel 2006) aveva già firmato numerosi lavori con i media più diversi (videogiochi, film e serie animate). Da ricordare almeno la sua collaborazione a tre episodi di un successo come Cowboy Bebop, e alla serie tratta dal capolavoro cyberpunk Ghost in the Shell: Stand Alone Complex.

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AMBIENTAZIONE La realtà rappresenta dalla città di RomDo è una sorta di società ‘utopica’, come idealizzata da molti filosofi e letterati: in particolare, qui appare condizionata dalla concezione offerta da Aldous Huxley nel romanzo Il mondo nuovo (New Brave World, 1931), ma i riferimenti sono tanti, a opere recenti come Matrix (la vita della cupola è perfetta e artefatta, in contrasto con una realtà esterna postapocalittica, proprio come nel film la simulazione è in contrasto con il mondo reale dominato dalle macchine), a classici come il già citato capolavoro fantascientifico di Ridley Scott. Quasi a negare l’utopia dell’ambientazione, il disegno si fa nervoso, soprattutto nelle tante scene d’azione, e si contrappone alla calma e all’originalità stilistica che prevalgono quando è il momento di

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descrivere le ispirate manifestazioni del Potere a Rom-Do: stanze illuminate pienamente, ampie vetrate, preponderanza di bianco e colori luminosi; oppure capolavori dell’arte universale come la tomba di Giuliano de’ Medici di Michelangelo nella Sagrestia Nuova. Verrebbe da pensare a un’allusione voluta: il Potere vero si nasconde là dove tutti possono vederlo, in piena luce.


AMBITION MAKES YOU LOOK PRETTY UGLY? C’è chi definirebbe Ergo Proxy come un anime pretenzioso, e, almeno in parte, non sarò io a dargli torto. O forse, in maniera più indulgente verso il coraggioso

studio Manglobe, si può riconoscere tra le tante caratteristiche di EP una forte ambizione. Se è vero che molti degli elementi filosofici che compaiono sono gratuiti, non tutti lo sono sullo stesso livello. Dal Cogito (ergo sum) descartiano, richiamato fin dal titolo, passando per la raison d’être, leitmotiv cui la trama darà ampio spazio. In altri casi, i riferimenti filosofici assumono un carattere quasi caricaturale, mostrando saldature a bassa temperatura e fratture malconce nel tessuto narrativo. Certo, ci sono fratture e fratture. Ed è più dignitoso rompersi il collo in un balzo alla Neo in Matrix che facendo una piroetta nei territori chiusi del (sotto)

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genere, ma nel primo caso, quello di EP, si cade da altezze rilevanti, e la legge di gravità è uguale per tutti. Ergo Proxy rimane un tentativo – in certi punti riuscito, in altri meno – di staccarsi dal cortocircuito cyperpunk dei tardi anni ’90. Per qualità produttiva e ambizione rimane due passi avanti a un buon numero di anime dell’ultimo decennio. Questo, però, non lo rende paragonabile a capolavori come i già citati Evangelion, Cowboy Bebop, e Ghost in The Shell che conservano una diversa portata, sia nei fallimenti che nei molti meccanismi narrativi consolidati che EP tende a riproporre. Difficile è dire con più precisione dove quest’opera fallisca. Di sicuro accusa una mancanza patologica del perturbante, il sentimento del sinistro, sempre fondamentale nella narrazione dell’Alieno, sia esso androide, divinità, mostro divorato-

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re di uomini o alieno demiurgo. Manca la lama che squarcia i corpi degli Autoreiv, rivelandone abissalmente la natura umana o – e fa lo stesso – il laser che taglia in sezione il corpo umano, rivelandone la natura artefatta di macchina naturale estranea a sé. Non c’è stata opera di fantascienza riuscita (da Frankenstein a Il dottor Jekyll e Mr. Hyde, ma vedi anche Alien e Blade Runner) che non abbia incamerato questi orrori mostrandoci al tempo stesso il limite del genere, inteso come racconto di ciò che è immaginabile e conoscibile attraverso la razionalità. Ergo Proxy si ferma di fronte al manierismo forzato e pervadente proprio di tante produzioni che hanno paura di fallire e vogliono piacere a tutti. Il risultato è un mistery a bassa tensione di ambientazione fantascientifica, con elementi gotici e vel-


leità filosofiche. L’abbondanza di flashback e trovate letterarie, e i tentativi di esplorare ‘da dentro’ la psiche postumana, sulla falsariga degli episodi più alienanti e disorientanti di Neon Genesis Evangelion, non bastano a trarre la nave in un porto sicuro, e si arriva alle puntate finali piuttosto sfiduciati verso la narrazione. Elemento aggiuntivo, che fa almeno in parte dimenticare i difetti, è la qualità della produzione targata Manglobe. La resa artistica di personaggi come Re-L (che ci ricorda in particolare Amy Lee degli Evanescence), per dettagli e cura, non fa rimpiangere attrici di live-action in quanto a caratterizzazione visiva. Sfortunatamente, anche qui, il rovescio della medaglia è che i personaggi, come spesso accade nelle produzioni nipponiche, sono troppo distaccati emotivamente per innesca-

re nello spettatore quel tanto di reazione che porti all’empatia e alla conseguente sospensione dell’incredulità. Si assiste agli eventi sì, interessanti certo, ma con vellutato distacco. Non mancano però le eccezioni a questo stato di cose, quasi esclusivamente focalizzate sulla presenza in scena del personaggio di Pino, vera e propria incarnazione del kawaii tanto caro ai fan del genere: un personaggio ispirato da Pinocchio, probabilmente filtrato dalla trasposizione dello spielberghiano bambino-robot protagonista di I.A - Intelligenza Artificiale. In sintesi Ergo Proxy è un anime un po’ paranoide e affetto da deficit dell’attenzione, con i difetti e i pregi che ciò comporta. E non è certo un caso se i titoli di coda di ogni episodio sono accompagnati da ‘Paranoid Android’ dei Radiohead.

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l’INTERVISTA

Just a taste of

JAPAN POP

CULTURE

di LEONARDO COLOMBI

Conosciamo da vicino J-POP, una realtà editoriale giovane e dinamica, attiva con passione nel mercato distributivo dei fumetti made in Asia.

S

PESSO, QUANDO si parla di mercato italiano del fumetto, il pensiero del lettore corre a realtà editoriali di lunga data e ben note quali Bonelli, Walt Disney o Star Comics, che ancora oggi registrano ottimi risultati di vendite e gradimento. In realtà, accanto a queste, il mercato nostrano vede la presenza di molteplici case editrici di piccole e medie dimensioni che, negli anni, hanno

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saputo proporre opere nuove e classiche, incontrando il favore del pubblico e impegnandosi per consolidare la propria identità editoriale. Tra queste, cogliamo l’occasione per segnalare J-POP, marchio del gruppo Edizioni BD, che nella persona di Jacopo Costa Buranelli si è resa disponibile a rilasciare un’intervista conoscitiva per i lettori di Terre di Confine.


Intervista a

Jacopo Costa Buranelli Cominciamo con una domanda di rito e, forse, scontata: quando nasce J-POP e di cosa si occupa? Qual è inoltre il rapporto esistente con il gruppo editoriale EDIZIONI BD? Ciao a tutti, J-POP nasce nel 2006 come etichetta manga di EDIZIONI BD, casa editrice milanese attiva dal 2005. Da sempre si è occupata di fumetti made in Asia, iniziando con una produzione coreana per poi arrivare a collaborare con i più importanti partner nipponici del settore. Grazie alla fusione con GP PUBLISHING avvenuta nel 2012 – ora GP MANGA – il parco manga della casa editrice (BD) si è vistosamente ampliato! Quale l’origine del nome scelto per questo progetto e da chi è composta la redazione? Il nome è un chiaro riferimento a ciò che è subcultura o POP CULTURE del mondo asiatico, soprattutto giapponese. Il nucleo della redazione è composto da un team di otto persone a cui si affiancano numerosi collaboratori esterni. Il gruppo di lavoro interno si occupa prevalentemente di licensing, di produzione, pre-stampa, scouting e organizzazione di fiere ed eventi. Come si è sviluppato il business di J-POP fino ad oggi? Rispetto agli esordi focalizzati sulla produzione coreana, J-POP è cresciuta moltissimo. Abbiamo affrontato i flussi di

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mercato, le mode e i momenti duri (come la crisi dell’editoria dell’ultimo periodo), ma sempre sulla cresta dell’onda, guardando avanti con ottimismo e impegnandoci per ottenere risultati sempre migliori. Pian piano ci siamo fatti strada, consolidando il nostro business e portando a casa numerose licenze importanti. Forse non tutte si sono rivelate un successo commerciale, ma abbiamo a catalogo autori importanti come Hirano, Kurumada, Go Nagai, Takao Saito e molti altri che danno prestigio e valore alle nostre pubblicazioni. Quali sono le collane proposte, a quale pubblico sono rivolte e in cosa si contraddistinguono? Ci occupiamo di tutto, dallo shonen (NdR: indirizzati ad un pubblico maschile fino alla maggiore età) al seinen (NdR: per un pubblico adulto), dallo shojo (NdR:

indirizzati al pubblico femminile nell’età dell’adolescenza) allo josei (NdR: per un pubblico adulto, prevalentemente femminile). Abbiamo anche una linea concentrata sui fumetti vintage come Golgo 13, Cyborg 009, Attack No. 1 (NdR: in Italia noto per la versione anime Mimì e la nazionale di pallavolo), e una linea legata al mondo videoludico (Zelda, Asura’s Wrath, Devil may cry…). La distinzione dei vari titoli può avvenire in base al formato – di solito pubblichiamo gli shonen con dimensioni più contenute rispetto agli altri – o alla confezione; in particolar modo curiamo molto i seinen. Quali cambiamenti ha apportato la recente fusione con GP PUBLISHING e quali le motivazioni alla base di una tale scelta? Oltre a ciò, come procederà lo sviluppo delle serie che, rispettivamente, J-POP e GP avevano in corso: vi saranno interruzioni o drastici cambiamenti? Stesso distributore, affinità di lunga data. GP PUBLISHING ora è diventata GP MANGA ed è una label a tutti gli effetti di EDIZIONI BD. Potremmo definirla una sorella di J-POP con finalità un po’ più commerciali e mainstream. Titoli come Rosario + Vampire o Medaka Box, molto popolari, sono nati e rimarranno sotto il marchio GP MANGA. Non è prevista nessuna in-

CYBORG 009

di Shotaro Ishinomori, Shonen Magazine (KODANSHA) 1964; dal manga, dopo due lungometraggi animati (1966 e 1967), nel 1968 è stata tratta la serie tv Cyborg, i nove supermagnifici

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ATTACK NO. 1

di Chikako Urano, SHUEISHA1968, il manga da cui è stata tratta nel 1969 la serie animata Quella magnifica dozzina (aka Mimì e la nazionale di pallavolo)

terruzione, ma solo una concentrazione delle uscite attraverso una strategia ponderata che ci permetterà di stare al passo con il mercato senza assaltare gli scaffali delle librerie o delle edicole. Abbiamo moltissimi titoli a catalogo ma con l’acquisizione di GP-PUBLISHING questi sono aumentati di molto, quindi ci vuole strategia e cura editoriale per finalizzare al meglio i nostri progetti futuri. Principalmente, le vostre pubblicazioni riguardano serie manga, manwha e romanzi di produzione orientale, opere ormai piuttosto note ai lettori italiani e che vengono proposte anche da altri gruppi editoriali. Ebbene, qual è il ruolo che J-POP ha saputo ritagliarsi nel panorama italiano e in cosa si contraddistingue rispetto ad altri marchi quali, ad esempio, Panini Comics e Star Comics? Abbiamo sempre cercato di dare il mas-

simo sia in termini di qualità sia di eterogeneità del nostro catalogo. Ci siamo occupati di molti titoli e di molti manga, spaziando su diversi generi e proposte e collaborando con molteplici case editrici. Siamo stati i primi a portare light novel vere e proprie in italiano, così come siamo stati pionieri dei manga in digitale proponendo app per iPhone, iPad e tablet, nonché organizzatori di promozioni ed eventi conosciuti – siamo stati anche tra i primi a portare ospiti mangaka alla fiera di Lucca! – non ci siamo mai tirati indietro al confronto con il pubblico. Nel catalogo di J-POP figurano opere piuttosto recenti come anche serie già proposte da altri editori, vedasi X delle Clamp o Hellsing di Kōta Hirano, oppure opere ‘storiche’, come Orange Road di Izumi Matsumoto, Devilman di Go Nagai o Cyber Blue di Tetsuo Hara. Con quali modalità e con quali tempistiche avviene il processo di selezione e acquisizione dei diritti delle opere da distribuire sul mercato italiano e verso quali siete più orientati? Cerchiamo di essere il più possibile aggiornati e al passo con le novità della produzione giapponese, ma ci siamo prefissi anche l’obiettivo di riproporre classici importanti in edizioni più moderne, per riscoprirli e valorizzarne gli autori, come nel caso, appunto, di Orange Road (NdR:

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DEVILMAN

di Go Nagai, KODANSHA1972; a meno di un mese dall’uscita del manga, la TV Asahi iniziò a trasmettere l’omonima trasposizione animata

la cui versione anime, in Italia, è stata ribattezzata in È quasi magia Johnny) oppure di Devilman e della Nagai Collection. Le tempistiche sono quasi sempre dettate dai partner giapponesi, dopo aver prodotto un’offerta; al di là di questo, alcuni progetti vengono poi realizzati con facilità, altri meno, dipende dai casi. Oltre a manga e manwha, J-POP ha mai preso in considerazione la pubblicazione di opere di fumettisti italiani? Se sì, quali sono le anticipazioni che potete fornirci? In caso contrario, vi sono motivazioni particolari che hanno condizionato la vostra scelta? EDIZIONI BD si è occupata di disegnatori italiani e di esordienti, sin dall’inizio. Se intendi autori italiani che disegnano in stile manga, molto raramente abbiamo preso in esame i loro lavori per una questione sostanzialmente di mercato. Si vede che il manga è ancora troppo legato al suo Paese d’origine! Quale lo scenario di vendite in Italia: spesso si dice che nel nostro Paese si legge poco, ma il riferimento è sempre ai libri. Nel caso dei fumetti, invece, come stanno effettivamente le cose e quali sono i generi più ricercati dai lettori? Più in generale, come vengono accolti manga e manwha dalle nuove generazioni? Viviamo un periodo piuttosto teso in cui

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le uscite sono tantissime ma la risposta è altalenante o comunque non raggiunge i valori di qualche anno fa. Le vendite sono calate, questo è certo. Ci sono poi molti più editori nel campo dei manga rispetto a un tempo, e questo ha generato una proposta di titoli piuttosto corposa. Al contempo il lettore non si accontenta più dello shonen di punta, in quanto, con internet a livelli sempre più universali, si è fatto più esperto, consapevole e selettivo. Il che, per certi versi, è anche un bene, ma condiziona dinamiche e scelte aziendali. Qual è invece il riscontro del pubblico nei confronti dei romanzi da voi proposti? Piuttosto buono. Sono opere legate a manga di successo, quindi possiamo dire che la formula funziona. Continueremo sulla nostra strada a dare ossigeno al progetto light novel.


La produzione orientale offre innumerevoli tipologie di opere, differenti per contenuti e pubblico di riferimento: su quali generi mai e poi mai vi concentrerete e su quali, invece, nutrite forti aspettative? Mai dire mai. Non escludiamo nulla e non puntiamo tutto su un titolo o un genere solo. Siamo eclettici, come si può notare dalla varietà del nostro catalogo, e ci piace fare… quello che ci piace! Nel vero senso della parola! Davvero, siamo aperti a tutto purché rientri in un piano editoriale strutturato. Alcune opere fumettistiche contengono scene estremamente violente o situazioni piccanti, vedasi Golden Boy, Wolf Guy, Ikki Tosen oppure Manyuu Hikencho. In che modo vi rapportate con queste serie e quale il vostro rapporto con la censura? Cerchiamo di non pensare mai al concetto di censura. Non ci piace quella parola, siamo più propensi alla libertà di espressione! Se un manga è bello e la violenza o il sesso sono un aspetto di tale capacità artistica, per noi è un manga che val la pena di pubblicare. Sesso e violenza fanno parte della vita, del mondo che ci circonda, quindi perché evitarle? Il manga è cultura popolare, slice of life, e spesso attraverso questi aspetti si esprime come opera d’arte. Siccome ci rapportiamo a un pubblico spesso giovane e con un canale come quello dell’edicola, ovviamente cerchiamo di tenere conto di certi aspetti

di common sense sociale, ma abbiamo fiducia nei nostri lettori, i quali sanno cosa vogliono leggere. Oggigiorno sempre più persone posseggono e-book reader, tablet e device con schermi ampi a sufficienza per visualizzare le pagine dei vostri fumetti. Quanto e in che modo le nuove tecnologie stanno cambiano i trend di vendita e di fruizione delle vostre pubblicazioni? A tal proposito, quali sono le strategie che state attuando per incontrare i favori del pubblico? Siamo stati pionieri del manga in digitale quando ancora i Giapponesi erano scettici. In Italia è un processo molto lento, ma l’editoria sta cambiando in quella direzione, e i numeri di vendita di dispositivi elettronici quali smartphone e tablet

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ASURA’S WRATH

tratto dall’omonimo videogioco della CAPCON (2012)

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MUSHIBUGYO

di Hiroshi Fukuda, Shonen Sunday (SHOGAKUKAN) 2011; la pubblicazione è tuttora in corso in Giappone

sono a dir poco impressionanti. Mollare la carta sarà dura e le tecnologie sono ancora in fase di consolidamento, ma il vento porta in quella direzione e noi ci stiamo già facendo trovare pronti con applicazioni focalizzate sulla fruizione delle nostre pubblicazioni. Quale il vostro rapporto con il pubblico e il feedback che riscontrate dai vostri lettori? Molto positivo: siamo molto aperti e disponibili e la nostra pagina Facebook ha sempre un canale di domande/risposte piuttosto attivo, così come Twitter. Inoltre, siamo anche disponibili a incontrare il pubblico e i ragazzi che hanno voglia di fare due chiacchiere con noi. Siamo stati di recente a Pavia, per esempio, in una nota fumetteria a incontrare direttamente i nostri lettori: il pubblico ci vuole bene e, giustamente, ci bacchetta quando qualcosa non incontra le sue aspettative. Tra quelle da voi proposte, c’è qualche opera a cui tenete particolarmente e che vi ha regalato forti soddisfazioni? O, al contrario, ve n’è qualcuna per la quale vi sareste attesi un risultato diametralmente opposto a quello effettivamente ottenuto? Sinceramente, siamo contenti di essere stati i primi a portare B.ichi in Italia con il suo sunken rock. Manga bellissimo che regala grandi emozioni ad ogni volumet-

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to. Akumetsu (del duo Tabata/Yogo) è stato il titolo che finora personalmente ho amato di più, ma che è rimasto un po’ di nicchia. Su Binbogami, invece, nutrivamo grandi speranze visto che tutti, in redazione, eravamo esaltati e divertiti dalla storia, ma in termini di vendite non è andato benissimo. Questo comunque fa parte del gioco, della selettività e dei gusti del pubblico non sempre prevedibili a cui accennavo prima. Sul territorio italiano e all’estero vengono organizzati fiere, convegni e manifestazioni legate al mondo del fumetto. A quali prendete parte e guardate con maggior interesse? Generalmente, a tutte le principali. Sicuramente a quelle che riguardano il licensing perché in questo modo abbiamo la possibilità di incontrarci con i partner


giapponesi, vedi il JAPAN EXPO di Parigi o la Fiera del Libro di Francoforte. Sul territorio Italiano, gli appuntamenti a cui partecipiamo sono quelli più importanti, quali Lucca Comics & Games, Etna Comics, Comicon di Napoli e Romics. Oltre a queste, vi sono stati o vi saranno eventi promozionali che J-POP ha organizzato per pubblicizzare le proprie pubblicazioni? Sì, ve ne sono stati e ce ne saranno sempre di più. Ricordo anzi che esiste la possibilità di contattare J-POP ON TOUR per organizzare un pomeriggio o un evento con la redazione e per parlare dei manga che più ci piacciono. Noi stessi abbiamo in mente alcune iniziative promozionali autunnali per lanciare le serie più attese, come la seconda stagione di Rosario + Vampire. Quali le formule promozionali e i canali pubblicitari su cui investite maggiormente e quale il rapporto di J-POP con il web? Abbiamo appena rinnovato i siti sia di GP MANGA che di J-POP, e allo stato attuale stiamo completando i lavori su quello di BD EDIZIONI. Abbiamo un ottimo rapporto, come già detto prima, visti anche gli scambi con i lettori e il pubblico. Investiamo molto sul web, ma anche sul canale diretto avendo un prestigioso ufficio commerciale guidato da due supergirl (Enrica e Georgia) che confabulano tutto il giorno con librai e fumetterie del Paese. Quali sono le principali novità che avete in serbo per il futuro e che ci tenete a segnalare ai nostri lettori?

Abbiamo tanto da proporre e tante novità, un ospite prestigioso per LUCCA 2013 e un piano già piuttosto avanzato per il 2014. E, soprattutto, un’importante novità ultra contemporanea e una bellissima saga che arricchirà la collana vintage… Non vi resta che seguirci attraverso i social network per tenervi aggiornati! Per concludere credo sia più che doveroso segnalare dove si possono trovare e acquistare i vostri prodotti e se vi sono particolari promozioni oppure offerte che desiderate porre in evidenza e pubblicizzare presso i nostri lettori. Abbiamo da poco lanciato Mushibugyo a 1,90 €, un bellissimo shonen su samurai cacciatori di insetti giganti. Poi con l’autunno ci saranno altre novità, variant, edizioni speciali e tanta promozione. Ci trovate in tutte le fumetterie, nelle librerie di varia, in edicola con alcune testate GP MANGA e sui nostri siti. Leggete sempre il nostro catalogo, Direct, per avere tutte le informazioni utili e per entrare in contatto con noi! A nome della redazione, ti ringrazio per la disponibilità e l’intervista concessaci. Grazie ragazzi della splendida intervista e… sempre sulla cresta dell’onda!

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J-POP Links

J-POP: www.j-pop.it GP MANGA: www.gpmanga.it EDIZIONI BD: www.edizionibd.it

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le NOVITÀ

Le nuove

AVVENTUREdi

IAN ARANILL di GIAMPAOLO GIAMPAOLI

Ritorna in edicola il ‘Cacciatore di Draghi’, protagonista di una nuova serie fantasy Bonelli. Ne ‘Il Sangue del Drago’, due storie s’intrecciano tra il passato e il presente del Varliedarto.

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OPO ESSERE STATO l’apripista nel 2007 per i romanzi a fumetti editi dalla Sergio Bonelli, a giugno Dragonero è tornato nelle edicole con una nuova serie che lo vede protagonista. Serie firmata naturalmente dagli autori che avevano realizzato a suo tempo l’albo formato libro, gli stessi Luca Enoch e Stefano Vietti che, conosciutisi diversi anni fa presso la casa editrice milanese, avevano subito condiviso una profonda passione per il genere fantasy. Anche alle matite è sta-

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to riproposto lo stesso autore, Giuseppe Matteoni, che è ormai il terzo padre naturale di Dragonero. Il formato è quello ormai storico della Sergio Bonelli, negli anni rivisto nella grafica ma sempre identico ai vecchi albi di Tex, Zagor e Mister No, tanto per fare qualche nome. Nuova è invece la sinergia che gli autori hanno voluto creare tra il classico prodotto a fumetti e gli strumenti multimediali. Infatti sono già on line un blog su cui sarà compilato il diario di viaggio di Dragone-


IL SANGUE DEL DRAGO

Dragonero, vol. #1 SERGIO BONELLI EDITORE giugno 2013

ro e una pagina Facebook dedicata al personaggio, indispensabile per stabilire un contatto tra i lettori e gli autori. Dalle avventure fumettistiche nascerà anche un gioco di ruolo che uscirà a novembre per le Wyrd Edizioni. Infine da alcuni mesi è disponibile sull’iBooks Store di Apple una ristampa digitale del romanzo del 2007, ormai esaurito nel formato cartaceo. Le scelte adottate la Enoch e Vietti per definire il loro protagonista a livello caratteriale appaiono il punto di arrivo di un lungo cambiamento che ha interessato negli anni i personaggi Bonelli. Dragonero ha ben poco del classico eroe dei fumetti, stereotipo che era già stato attenuato nelle nuove serie dalla rivoluzione iniziata con Tiziano Sclavi nel suo Dylan Dog. Ma se quest’ultimo – come Martin Mystère, Brendon, Napoleone, Julia fino a Brad Barron – al semplice coraggio di Zagor e Tex aggiunge sentimenti e comportamenti che lo rendono più umano senza però mai rinunciare a un ruolo predominante, è proprio tale caratteristica che sembra invece mancare a Dragonero. Certo,

da questo primo albo risulta chiaro che il protagonista è lui, ma nel suo operare lascia ampio spazio ai compagni, che nelle loro imprese non gli sono da meno. Viene spontaneo il confronto con l’altra nota serie fantasy della Bonelli, Brendon, ideata e scritta da Claudio Chiaverotti, dove alle ambientazioni classiche del genere si affiancano comportamenti e vicende che ricordano lo stile narrativo dei personaggi classici della Sergio Bonelli. Dragonero, al contrario, si annuncia come una serie molto più legata al modello narrativo del cinema fantasy, con lunghe storie e ruoli predominanti affidati a vari personaggi.

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A livello grafico non manca da parte di Matteoni la ricerca nella rifinitura dei particolari, che ha contraddistinto la produzione della casa editrice milanese negli ultimi trent’anni dando la possibilità ai suoi disegnatori non solo di crescere come numero ma di superare anche tante ingenuità che apparivano nelle produzioni degli anni Sessanta e Settanta, dovute all’eccessivo carico di lavoro che i grandi maestri come Galleppini e Ferri dovevano accollarsi. Negli inseguimenti si nota lo stile del fumetto americano, con inquadrature vertiginose e la necessità di rendere da una vignetta all’altra la sensazione di movimenti estremamente audaci e veloci. La storia del primo albo (intitolato ‘Il sangue del drago’ con un chiaro riferimento alle vicende del romanzo a fumetti dove il protagonista acquisiva i suo poteri bevendo il sangue proprio di un pericoloso drago da lui ucciso) inizia a Baijadan, capitale orientale delle satrapie nomadi. Qui lo scout imperiale Dragonero insieme ai suoi compagni (l’orco Gmor, l’Elfa Sera e la sorella tecnocrate Myrva) stanno investigando sullo strano passaggio di navi mercantili senza carico lungo i porti. I quattro compagni sospettano che dietro questi movimenti inconsueti si nasconda un traffico d’armi e, proprio nel momento in cui stanno discutendo di questa possibilità, entra in scena una contrabbandiera fakhry, sicuramente legata al commercio clandestino. La sgradita ospite, inseguita da Myrva e Dragonero, cerca di scappare in una spettacolare corsa sui tetti delle abitazioni cittadine, fino a quando per far perdere le proprie tracce si getta in

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mare. Ma una volta in apnea uno strano composto che nasconde nella casacca inizia a prendere fuoco bruciandola. Dragonero ha già visto un esplosivo del genere, il fango pirico (capace di incendiarsi anche nell’acqua), che era stato utilizzato da Moravik, margravio della zona centrale del Margondàr, per sconfiggere gli orchi. In quell’avventura il protagonista aveva ritrovato l’amico Gmor e, insieme ad altri due scout imperiali (una bella tecnocrate e un valoroso guerriero), aveva indagato sull’origine di quell’arma – pericolosissima nelle mani di un esaltato come Moravik – scoprendo la zona vulcanica dove si celava il laboratorio alchemico in cui veniva prodotta. Comincia così un lungo flashback che comprende circa metà dell’albo, in cui Dragonero racconta la sua storia nel Margondàr, e che si conclude solo quando i quattro compagni decidono di abbandonare la città di Baijadan per raggiungere, attraverso un lungo tragitto nei boschi, l’anziano mago Alben dell’ordine dei Luresindi, per chiedere la sua alta opinione sulla vicenda che ha legato il traffico delle navi da carico vuote con il fango pirico. Per il resto c’è poco da dire: la vicenda prosegue nel secondo numero che si intitola ‘Il segreto degli alchimisti’. Come è inevitabile nel genere fantasy, le storie di Dragonero non possono concludersi nello spazio di un solo albo e, da questo punto di vista, la Bonelli sembra intenzionata a riproporre con il nuovo eroe l’andamento narrativo che contraddistingue le serie classiche.

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Tavola in anteprima di prossima uscita, disegni di Gianluigi Gregorini | ŠSERGIO BONELLI EDITORE

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2 tavole tratte dal n° 1 di Dragonero, disegni di Giuseppe Matteoni, testi di Luca Enoch e Stefano Vietti | ©SERGIO BONELLI EDITORE

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Cult COMIC

Alla ricerca

DI UN EROE

PERDUTO

di ANDREA CARTA

Riscopriamo Luc Orient, un fumetto che, a cavallo tra gli anni ’60 e ’80, ha saputo coniugare avventura e fantascienza, vecchio stile e nuove tendenze.

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E CHIEDESSIMO a un appassionato di fumetti chi è Luc Orient, potremmo ottenere due tipi di reazione, opposti fra loro: lo sguardo interrogativo di chi non ha mai sentito parlare del personaggio, o quello nostalgico e sognante di chi torna con la memoria a un tempo lontano e probabilmente più felice. In Italia, infatti, Luc Orient è apparso tra il 1967 e il 1975, con nove delle sue diciassette avventure, e dopo di allora è caduto in un oblio che ha pochi uguali nel mondo dei fumetti. È vero che tutto

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ciò che è stato prodotto dalla cosiddetta scuola franco-belga sembra passato di moda; ed è altrettanto vero che tutte le storie di questo personaggio (tranne una) sono state pubblicate sul Corriere dei Piccoli/dei Ragazzi, rivista che, dopo le trasformazioni degli anni Settanta e la sua conseguente scomparsa, ha lasciato una montagna di cadaveri dietro le sue pagine. Ma, tra le molte vittime illustri di quegli anni, Luc Orient è forse il fumetto che meno avrebbe meritato questa sorte, perché è uno dei pochi che sia riuscito a


ÉDOUARD ‘EDDY’ PAAPE

foto: ©JEAN-JACQUES PROCUREUR jjprocureur.canalblog.com

fondere perfettamente il lato fantascientifico di una storia con quello avventuroso, laddove in genere uno dei due aspetti tende invece a prevalere sull’altro: in fumetti come Nathan Never, Valérian et Laureline o Jeff Hawke gli elementi fantascientifici hanno spesso il sopravvento, riempiendo le storie di alieni e di situazioni astruse che alla lunga diventano fini a sé stesse e appiattiscono la narrazione, mentre in altri come Capitan Harlock o Blake et Mortimer la parte avventurosa, magari dopo un buon inizio, riduce le vicende a ‘normali’ sequenze di sparatorie, inseguimenti e colpi di scena più o meno prevedibili. Non che ciò sminuisca il valore dei fumetti sopracitati: il punto è che le storie di Luc Orient, come pure quelle del suo illustre predecessore Flash Gordon – al quale viene spesso paragonato, seppure a torto –, non presentano mai (o quasi mai), questo tipo di problema, ed è il motivo di quel fascino

particolare che consente loro di resistere al tempo anche quando molti dei temi trattati diventano fatalmente obsoleti. Dubito che, se le loro avventure cessassero oggi, Nathan Never o Valérian riuscirebbero a mantenere le schiere di appassionati nostalgici che tuttora vantano Flash Gordon e Luc Orient. Lo sceneggiatore di questo fumetto è il belga Michel Regnier, in arte Greg, nato nel 1931 e affermatosi negli anni ’50 dopo aver scritto alcune storie per Le Journal de Spirou e diverse serie umoristiche minori; diventato caporedattore della celebre rivista Tintin nel 1965, crea una serie di personaggi avventurosi, come Comanche, Bernard Prince, Bruno Brazil e appunto Luc Orient, oltre al ‘suo’ Achille Talon (unico personaggio che disegna personalmente), protagonista di brevi storie umoristiche e graffianti. Lasciata la redazione di Tintin nel 1974, continua

8 MICHEL LOUIS ALBERT REGNIER ‘GREG’

foto: ©LE LOMBARD / D.R. www.lelombard.com

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IL DRAGO DI FUOCO

Tintin 1967 Classici Audacia 1967

il lavoro di sceneggiatore, anche su personaggi altrui, fino a diradare progressivamente la sua attività nel corso degli anni ’90. Il disegnatore è il belga Eddy Paape, nato nel 1920, anch’egli collaboratore dapprima della rivista Spirou, per la quale crea, tra gli altri personaggi, Marc Dacier (su sceneggiatura di Jean-Michel Charlier), e in seguito di Tintin, dove illustra Luc Orient, Yorik e poche altre serie. Dopo aver insegnato all’istituto Saint Lukas di Bruxelles, riduce progressivamente il proprio impegno a partire dagli anni ’80. Il nostro eroe fa la sua prima apparizione il 17 gennaio 1967, nel numero 952 (il terzo di quell’anno) di Tintin. La storia s’intitola ‘Les dragons de feu’ (‘Il drago di fuoco’ nella versione italiana) e introduce i protagonisti nella quarta pagina: Hugo Kala, scienziato sulla cinquantina, saggio e intelligente (barbetta alla Freud, pipa, occhiali), la sua assistente Lora Hansen, una brunetta silenziosa e più decorativa che utile – com’era tipico degli anni ’60 – e naturalmente il suo braccio destro Luc Orient, alto, biondo, prestante e un po’ spaccone; i tre lavorano in un futuristico laborato-

rio chiamato Eurocristal 1, situato in una zona montagnosa di un paese francofono (la Svizzera). Kala ne è il direttore. La prima storia è già di buon livello: comincia in una sperduta valle dell’India, dove un collaboratore di Kala trova una strana pietra, che troppo tardi scoprirà essere radioattiva. La sua morte mette in moto i nostri eroi, che si recano sul posto a indagare sulla provenienza del pericoloso minerale e su una leggenda secondo la quale molte pietre analoghe furono portate laggiù da tre ‘draghi di fuoco’. Seguiti a loro insaputa da un certo Julius Argos (uno scienziato malvagio un tempo collaboratore di Kala), che vuole usare le loro scoperte per arricchirsi, i tre vengono ‘sequestrati’ da una tribù locale ancora semi-primitiva, i Thargs. Costoro ‘incaricano’ Orient di uccidere col suo fucile da caccia un enorme e misterioso animale che ha aggredito molti dei loro: la bestia, come si scoprirà presto, è un gigantesco ‘ligre’ (incrocio fra una tigre e un leone), la cui presenza nella valle è assolutamente inspiegabile. Il capo tribù, a missione compiuta, racconta ai nostri eroi di come gli animali e la

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LES DRAGONS DE FEU, pagina 4, versione italiana

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Pagina 24 del n° 1 LES DRAGONS DE FEU, confronto tra la versione originale e quella italiana | ©LE LOMBARD

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LES SOLEILS DE GLACE, pagina 21, versione italiana

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vegetazione della valle fossero stati alterati (geneticamente?) dall’arrivo, moltissimo tempo addietro, di tre ‘draghi di fuoco’ provenienti dal cielo. Kala e Orient decidono di farsi accompagnare nella zona in cui dovrebbero ancora trovarsi i tre ‘draghi’, forse astronavi aliene giunte sulla Terra migliaia di anni prima. Il seguito della storia, intitolato ‘Les soleils de glace’ (‘I soli di ghiaccio’) appare su Tintin dopo sei settimane, mentre nel novembre di quell’anno ‘Il drago di fuoco’ viene pubblicato anche in Italia, nella mitica collana Classici Audacia. La seconda avventura si rivela superiore alla prima sotto ogni aspetto. Il gruppo formato da Kala, Orient, Lora, la loro guida indiana Toba e due Thargs si imbatte finalmente negli extraterrestri: due umanoidi dalla pelle bianca che risultano essere membri di una spedizione scientifica atterrata nella valle molti anni prima. I due, non sapendo come rianimare i loro compagni, rimasti ibernati all’interno di una delle tre astronavi, vivono nascosti nella giungla in attesa di tempi migliori: e questi arrivano quando Kala prende in pugno la situazione e riesce a risveglia-

re l’equipaggio del vascello alieno dalla catalessi, nonostante gli ostacoli frapposti da un Argos sempre più cattivo. Dopo molti colpi di scena, l’astronave può ripartire per il suo mondo (il lontano pianeta Terango), e gli alieni, capitanati da un certo Galax-ahj, giurano eterna amicizia ai terrestri. Mentre in Italia la storia appare dapprima sul Corriere dei Piccoli (nel maggio 1968) e successivamente nella collana Albi Ardimento (nel settembre del 1969), su Tintin le avventure di Luc Orient proseguono nel febbraio del 1968 con ‘Le maître de Terango’ (‘Il signore di Terango’, pubblicato dal Corriere dei Piccoli nel dicembre dello stesso anno): una notte gli extraterrestri tornano a prendere i nostri eroi, direttamente a casa loro, per portarli su Terango, dove in loro assenza un dittatore di nome Sectan ha preso il potere e si prepara a invadere la Terra. Galax-ahj, infatti, ha molta fiducia nel genio di Kala e nelle armi dei terrestri che, in quanto sconosciute nel suo pianeta, potrebbero risultare più efficaci di quelle adoperate dal suo gruppo di guerriglieri. Per quanto sembri strano, Luc e gli altri, una volta giun-

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I SOLI DI GHIACCIO

Tintin 1977 Corriere dei Piccoli 1968 Albi Ardimento 1969

IL SIGNORE DI TERANGO

Tintin 1968 Corriere dei Piccoli 1968

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LE MAÎTRE DE TERANGO, pagina 34, versione originale | ©LE LOMBARD

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ti su Terango dopo un viaggio pieno di insidie, riescono effettivamente a distruggere la temibile flotta d’invasione a colpi di dinamite; poi, nella quarta storia, ‘La planète de l’angoisse’ (‘Gli uomini drago’, Tintin, fine 1968, Corriere dei Piccoli, giugno 1969), vediamo Luc recarsi, in compagnia di Galax-ahj, nelle zone più remote di Terango a cercare alleati fra le varie razze che lo popolano. Nel corso di questa avventura, probabilmente la migliore di questo primo ciclo, i nostri eroi si confrontano con tre diverse specie di extraterrestri: gli alieni dalla pelle bianca, il ‘popolo delle paludi’, i cui esponenti sono dotati di una bizzarra cresta multicolore (oltre che di un pessimo carattere), e il ‘popolo delle cime’, piumato e munito di ali. Sarà proprio il capo di questi ultimi, Tobok, a tirar fuori Luc da una situazione molto pericolosa, consentendogli infine di completare la sua missione e di stringere quelle alleanze che nella quinta e ultima storia del ciclo, ‘La forêt d’acier’ (‘La foresta d’acciaio’, Tintin, autunno 1969, Corriere dei Piccoli, aprile 1970) porteranno alla disfatta di Sectan. Vano sarà il tentativo del dittatore di cercare a

sua volta alleati fra gli stessi terrestri, facendo trasportare su Terango Argos e un gruppo di Thargs che questi ha trasformato in kamikaze: il genio di Kala trionferà sulle macchinazioni del suo ex collega e la rivolta travolgerà Sectan, che infine verrà ucciso da Toba poiché Luc, poco cinico e molto buonista, esiterà un attimo di troppo nel momento decisivo. Nella primavera del 1970 appare su Tintin ‘Le secret des 7 lumières’ (‘Il mistero delle sette luci’, Corriere dei Piccoli, inizio 1971), la prima di una serie di storie non collegate tra loro e ambientate sulla Terra: i nostri eroi, tornati da Terango, mettono in pratica le nuove conoscenze acquisite dagli extraterrestri e cominciano a sperimentare le proprietà di certe radiazioni sconosciute. Un incidente, tuttavia, trasforma Luc e Lora in due creature dotate di superpoteri ma con qualche problema di troppo; i due, confinati da Kala in una villetta tra le montagne, finiscono per usare le loro nuove capacità (tra cui spicca l’assoluta incorporeità, che li rende invulnerabili alle pallottole) per opporsi a un gruppo di criminali che ha rapito un bambino. Ma, come scopri-

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GLI UOMINI DRAGO

Tintin 1968 Corriere dei Piccoli 1969

LA FORESTA D’ACCIAIO

Tintin 1969 Corriere dei Piccoli 1970

IL MISTERO DELLE 7 LUCI

Tintin 1970 Corriere dei Piccoli 1971

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LA PLANÈTE DE L’ANGOISSE, pagina 11, versione originale | ©LE LOMBARD

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LA FORÊT D’ACIER, pagina 15, versione originale | ©LE LOMBARD

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LE SECRET DES 7 LUMIÈRES, pagina 11, versione originale | ©LE LOMBARD

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ranno ben presto a loro spese, gli effetti delle radiazioni sono temporanei, e solo il tempestivo intervento di Kala eviterà alla vicenda una conclusione tragica. La migliore, tra le diciassette avventure di Luc Orient, è indubbiamente la successiva, ‘Le cratère aux sortilèges’ (‘Il cratere dei sortilegi’, Tintin, estate 1971, Corriere dei Piccoli, autunno 1971): Lora e Luc, di nuovo in coppia, si recano in uno sperduto villaggio di montagna a indagare sulla caduta di un meteorite che ha portato con sé un mistero inquietante. I gas verdi che emanano dal cratere, infatti, oltre ad essere velenosi, sembrano nascondere un pericolo inafferrabile, dal momento che qualcuno, senza mai essere visto, comincia ad aggredire e uccidere diversi abitanti del villaggio. La convinzione che con il meteorite siano giunti sulla Terra dei mostri invisibili si fa lentamente strada nelle menti dei nostri eroi. Ancora una volta, sarà Kala a risolvere la situazione all’ultimo istante, non senza un colpo di scena del tutto inatteso… ‘Le cratère aux sortilèges’, storia ricchissima di suspense fino all’ultima pagina, è un connubio perfetto tra Fanta-

scienza, horror e thriller, e non può non essere annoverata tra i migliori fumetti mai realizzati dalla scuola franco-belga. Fatalmente, dopo aver toccato l’apice, la serie comincia il suo declino: ed è con un certo disappunto che i lettori accolgono la storia successiva, l’ottava, intitolata ‘La légion des anges maudits’ (‘Il raggio maledetto’, Tintin, inizio 1972, Corriere dei Ragazzi, estate 1973). Per quanto il tema trattato, quello delle mutazioni genetiche, sia molto originale per quei tempi, l’elemento fantascientifico rimane sempre relegato in secondo piano e la storia non decolla mai pienamente; certo, la suspense è sempre alta e i colpi di scena non mancano, ma alla fine tutto si riduce a una sterile lotta tra buoni e cattivi. Lotta dall’esito scontato, ovviamente. All’inzio del 1973 compare su Tintin una nuova avventura, ‘24 heures pour la planète Terre’ (‘Allarme per il pianeta Terra’, Corriere dei Ragazzi, primavera 1975), che sembra tornare, almeno in parte, sui livelli migliori. Nuovi extraterrestri, animati stavolta da cattive intenzioni, giungono sul nostro pianeta. L’arma di cui si servono per minacciare la Terra è

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IL CRATERE DEI SORTILEGI

Tintin 1971 Corriere dei Piccoli 1971

IL RAGGIO MALEDETTO

Tintin 1972 Corriere dei Ragazzi 1973

ALLARME PER IL PIANETA TERRA

Tintin 1973 Corriere dei Ragazzi 1975

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LE CRATÈRE AUX SORTILÈGES, pagina 28, versione originale | ©LE LOMBARD

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LA LÉGION DES ANGES MAUDITS, pagina 21, versione originale | ©LE LOMBARD

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24 HEURES POUR LA PLANÈTE TERRE, pagina 37, versione originale | ©LE LOMBARD

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una semplice ma micidiale polvere organica in grado di sbriciolare qualsiasi manufatto. Per l’ennesima volta il genio di Kala riduce i danni al minimo, mentre Luc affronta personalmente i nemici, il cui vero aspetto rimane celato fino all’ultimo; gli alieni però sono troppo forti e potenti, e solo il pentimento (e conseguente sacrificio) di uno di loro permetterà al nostro eroe di uscire vincitore dal confronto. Nell’autunno del 1973 compare su Tintin la storia successiva, ‘Le 6ème continent’ (inedita in Italia, come tutte le seguenti). Il livello, purtroppo, scende decisamente, e il lettore comincia a storcere il naso di fronte a un popolo di uomini-formiche che vive in un mondo sotterraneo, tecnologicamente avanzato, ma che al primo contrattempo finisce completamente distrutto. La vicenda, più degna di un B-movie degli anni ’30 che di un fumetto degli anni ’70, sfiora spesso il ridicolo, senza offrire neanche la suspense dei tempi migliori. Di poco superiore è ‘La vallée des eaux troubles’ (Tintin, estate 1974): il tema, usato e abusato troppe volte, è quello dello ‘scienziato pazzo’, in questo caso un biolo-

go che si è confinato in una zona isolata del Borneo, da dove bombarda con misteriose radiazioni gli animali che popolano la giungla circostante. Il risultato scontato è quello di creare una serie di mostri che renderanno la vita difficile al gruppo dei nostri eroi (stavolta composto dal solo Luc e da un paio di comprimari). Dopo molti sforzi, la classica esplosione porrà fine agli esperimenti. Forse consapevole del declino della serie, Greg cerca di darle una sterzata, rispolverando i temi delle prime storie e creando un nuovo ciclo, analogo a quello di Terango: appare così su Tintin, a cavallo tra il 1975 e il 1976, ‘La porte de cristal’, in cui Luc e Lora, insieme a una coppia di loro amici, s’imbattono in una serie di eventi misteriosi dietro ai quali si nasconde una nuova spedizione di extraterrestri, i Dartz, provenienti da Annatha, un pianeta di un’altra galassia distrutto dalle sue stesse armi. La Terra si rivelerà poco ospitale per questi nuovi alieni, ma, su consiglio del solito Kala, perché non provare con Terango? La somiglianza con ‘Les soleils de glace’ è evidente, e l’inizio della storia sembra quasi allo stesso livello; ma se al-

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LE 6ÈME CONTINENT

Tintin 1973 inedito in Italia

LA VALLÉE DES EAUX TROUBLES

Tintin 1974 inedito in Italia

LA PORTE DE CRISTAL

Tintin 1975 inedito in Italia

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LE 6ÈME CONTINENT, pagina 29, versione originale | ©LE LOMBARD

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LA VALLテ右 DES EAUX TROUBLES, pagina 36, versione originale | ツゥLE LOMBARD

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LA PORTE DE CRISTAL, pagina 26, versione originale | ©LE LOMBARD

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lora l’incontro con gli alieni aveva marcato il passaggio da temi narrativi intrisi di mistero ad altri più avventurosi, senza il minimo cedimento nella trama, ne ‘La porte de cristal’ il mistero lascia spazio a una narrazione piatta e priva di mordente, che si limita a descrivere i problemi dei Dartz senza mai entrare veramente nel vivo. Greg, purtroppo, non è più quello di una volta, e dodici storie di Luc Orient in appena nove anni sono troppe anche per un autore prolifico come lui, in un periodo in cui ne sceneggia complessivamente almeno una sessantina, considerando tutti i personaggi di cui è autore o coautore. Ad ogni modo, nella primavera del 1977 compare su Tintin la nuova avventura, vale a dire ‘L’enclume de la foudre’: l’astronave extraterrestre, con a bordo tutti i nostri eroi, fa scalo su un pianeta chiamato Roubak, devastato dai fulmini e abitato da strane e pericolose creature. Luc e alcuni suoi compagni, che vi sono sbarcati in cerca di acqua, se la vedono brutta; ma, al solito, all’ultimo istante Kala troverà il modo di risolvere ogni problema, e tutti, alieni

e terrestri, potranno continuare il loro viaggio. Ma gli spunti di Greg, a quanto pare, sono ormai agli sgoccioli. Se ‘L’enclume de la foudre’ è ancora una storia di livello accettabile, la successiva, per la prima volta, si fa attendere ben tre anni, fino alla primavera del 1980 quando, su Tintin, compare ‘Le rivage de la fureur’. I nostri eroi arrivano finalmente su Terango, ma vi ritrovano un mondo devastato, inospitale e ormai popolato da creature mostruose, manovrate dal loro vecchio nemico, il redivivo Argos, e vanamente combattute da una bizzarra e un po’ ridicola tribù di enormi amazzoni. Dopo lunghe discussioni di sapore vagamente femminista (e talvolta anti-femminista: le idee di Greg, e di Luc Orient con lui, sono un po’ confuse) i mostri sono sterminati e la pace sembra ritornare ancora una volta sul tormentato pianeta. Ma invece di rimanere su Terango, come tutto lasciava pensare alla fine de ‘Le rivage de la fureur’, Dartz e terrestri ritornano nello spazio: nel 1983 appare su Tintin l’ultima storia del nuovo ciclo, ‘Roubak, ultime espoir’, in cui tutte le carte vengono mischiate in un val-

L’ENCLUME DE LA FOUDRE

Tintin 1977 inedito in Italia

LE RIVAGE DE LA FUREUR

Tintin 1980 inedito in Italia

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L’ENCLUME DE LA FOUDRE, pagina 40, versione originale | ©LE LOMBARD

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LE RIVAGE DE LA FUREUR, pagina 39, versione originale | ©LE LOMBARD

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ROUBAK, ULTIME ESPOIRE

Tintin 1983 inedito in Italia

CARAGAL

Tintin 1984 inedito in Italia

LES SPORES DEL NULLE PART

Tintin 1990 (1970/1981) inedito in Italia

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zer di vicende che si stenta, ormai, a seguire fino in fondo. Dopo una lunga serie di capovolgimenti di fronte, i Dartz rimangono su Roubak, il pianeta incontrato ne ‘L’enclume de la foudre’, mentre i terrestri utilizzano una macchina del tempo inventata da Argos (il cui destino rimane ignoto) per ritornare all’epoca de ‘La porte de cristal’: un ritorno senza questo espediente, infatti, non sarebbe stato loro possibile, dato a che a bordo dell’astronave aliena il tempo scorre più lentamente che sulla Terra. A questo punto la serie sembra terminata, a dire il vero senza troppi rimpianti. Tuttavia l’anno seguente Eddy Paape pensa bene (o male) di imitare il suo collega Albert Uderzo, che dopo la morte di René Goscinny si era messo a scrivere personalmente le avventure di Asterix: nonostante Greg sia ancora vivo e vegeto, Paape scrive una nuova storia di Luc Orient, intitolata ‘Caragal’ e ambientata su Terango, all’epoca del primo ciclo di avventure. La vicenda ci mostra Kala, vittima dei suoi stessi esperimenti, diventare una specie di superuomo, per di più con qualche mania di grandezza. Luc, per

fortuna, acquisiti gli stessi poteri, metterà le cose a posto. Questa inversione di ruoli, lungi dall’apportare una ventata di novità alla serie, la rende ancora più inverosimile, accentuandone il declino. ‘Caragal’ finisce nel dimenticatoio, e passeranno ben sei anni prima che sul mercato ricompaia qualcosa con Luc Orient: si tratta stavolta di una raccolta di quattro storie brevi che appare nell’agosto del 1990, ‘Les spores de nulle part’; la prima, che dà il titolo alla raccolta, era comparsa su Tintin nel 1970, ed è la sola appena discreta. La seconda e la terza, pubblicate nel 198081, sono appena decenti; la quarta è da dimenticare. Qualche anno dopo, Greg fa un ultimo tentativo di rinverdire la serie: nell’ottobre del 1994 compare direttamente nelle librerie, un po’ a sorpresa, ‘Rendex-vouz a 20 heure en enfer’, che tratta uno dei temi più classici della Fantascienza: il viaggio nel tempo. L’inizio non è malvagio, ma quasi subito la storia si appiattisce, diventando una banale avventura ambientata alla fine della seconda guerra mondiale, tra nazisti allo sbando e bombardamenti come se piovesse. Al solito, Luc e Lora se la

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ROUBAK, ULTIME ESPOIR, pagina 9, versione originale | ©LE LOMBARD

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CARAGAL, pagina 27, versione originale | ŠLE LOMBARD

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LES SPORES DE NULLE PART, pagina 23, versione originale | ©LE LOMBARD

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RENDEZ-VOUS À 20 HEURES EN ENFER..., pagina 18, versione originale | ©LE LOMBARD

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cavano per il rotto della cuffia, e per di più senza alcun intervento da parte di Kala. Scomparsi sia Greg, nel 1999, che Paape, nel 2012, è probabile che ‘Rendex-vouz a 20 heure en enfer’ sia stata l’ultima avventura di Luc Orient. Il punto di forza di queste diciassette storie, paradossalmente, è anche la loro debolezza: Greg, infatti, è un esponente atipico della scuola franco-belga, i cui autori sono sempre (a volte troppo) alla ricerca della perfezione, dei minimi dettagli, della plausibilità come dell’accuratezza dei particolari storici e geografici; nella sua atipicità, invece, Greg ricorda più i narratori dell’Ottocento, alla Dumas per intenderci, che scrivevano sui maggiori quotidiani improvvisando le loro vicende giorno dopo giorno. E, come per Dumas, finché le idee e la fantasia non mancano, questo metodo può anche produrre storie di livello eccellente, in cui la suspense, la tensione, le battute, i colpi di scena sono presenti dalla prima all’ultima vignetta senza cedimenti, mentre assurdità e incoerenze, pur esistenti, passano in secondo piano. Analogamente, quando le idee vengono meno e la fantasia si spegne,

sono i difetti a porsi fatalmente in evidenza, e il livello delle storie si capovolge, senza vie di mezzo. Abbiamo così Luc Orient: o pienamente godibile, o deprimente e persino ridicolo nelle ultime fasi della sua vita fumettistica. Assai discontinuo è il disegno di Eddy Paape, meno brillante e dinamico rispetto a quanto offrivano, nello stesso periodo, i migliori esponenti della sua scuola, su tutti Hermann Huppen e Jean Giraud. Ciò nonostante, Paape eccelle negli ‘effetti speciali’: esplosioni, strani mostri, congegni insoliti, paesaggi stravaganti; tutti elementi che in un fumetto di Fantascienza fanno la parte del leone e permettono di sorvolare su qualche imprecisione nelle espressioni (specialmente dei personaggi femminili) e nelle scene di massa, e su una certa legnosità nelle figure umane (o umanoidi) che rende un po’ goffi certi movimenti. Ma, se pensiamo ad autori ben più osannati, come i nostri Hugo Pratt o Attilio Micheluzzi, il confronto è tutto a favore del disegnatore belga. In conclusione, perché Luc Orient è un fumetto valido? Perché sforzarsi di rintracciare le sue avventure, da

RENDEZ-VOUS A 20 HEURE EN ENFER

Tintin 1994 inedito in Italia

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tempo fuori catalogo in ogni parte del mondo (ma tenete d’occhio Ebay!)? Perché non è affatto vero che si tratta di una versione moderna di Flash Gordon, come molti dicono dopo un’analisi superficiale. A prima vista si direbbe che la corrispondenza Gordon-Orient, Zarkov-Kala e infine Dale-Lora sia perfetta: e, come Gordon, Orient è alto, biondo, bello, aitante, pronto a cercare avventure e a ficcarsi nei guai. Ma la somiglianza finisce lì. Flash Gordon è il vero protagonista delle sue avventure, con Zarkov (personaggio utile in molte situazioni, ma non sempre) relegato al ruolo di spalla, mentre Luc Orient è solo il braccio destro di Kala, ed è quest’ultimo l’autentico deus ex machina di quasi tutte le storie. È Kala, e non Orient, ad avere il controllo della situazione, a capire ciò che succede e a trovare le soluzioni giuste al momento giusto. Il lettore non percepisce il ruolo preponderante di Kala perché non è il punto di vista dello scienziato a essergli presentato (sarebbe noioso) ma quello di Luc (ben più interessante!). La differenza può sembrare sottile, ma è molto significativa: non siamo più negli anni ’30 in cui, in un rigurgito di romanticismo, l’eroe risolve ogni problema solo in virtù del suo coraggio e sui suoi pugni; siamo nei ‘moderni’ anni ’60 e ’70, ancora dominati da una visione futuristica e ottimistica della scienza, e le avventure sono vissute coralmente da un gruppo di ricercatori che escono dalle situazioni difficili combinando audacia e scazzottate, quando occorre, con intelligenza, astuzia e conoscenze tecnico-scientifiche! Coerente con questa diversa impostazione è il ruolo dell’eroina della serie, Lora; decorativa

come e più di Dale Arden, non è tuttavia la ragazza/fidanzata/amante di Luc, ma solo un’amica (tra l’altro i due si danno del voi), e per di più una donna relativamente moderna, che cerca con fatica di ritagliarsi i suoi spazi, pur in un’epoca in cui personaggi come Legs Weaver sono ancora di là da venire. Talvolta ci riesce (‘Le cratère aux sortilèges’), talvolta esagera (‘Rendex-vouz a 20 heure en enfer’). Greg, abituato a scrivere per un pubblico di adolescenti, in prevalenza maschi, non è mai particolarmente abile nel caratterizzare le sue figure femminili (ma si trova indubbiamente in buona compagnia). Alla fine Luc Orient, con i suoi alti e bassi, si ricorda a lungo. Come scrivevo all’inizio, i suoi non pochi pregi finiscono per scavarsi un posticino nella memoria di quei pochi fortunati che ne hanno potuto leggere le avventure: è un personaggio che non conosce vie di mezzo, un retaggio di un’epoca particolare in cui la Fantascienza non era così complicata, e nello stesso tempo gli alieni non erano semplici mostri animati da puri istinti omicidi, ma piuttosto creature complesse e ricche di sentimenti non diversi dai nostri. Molti storceranno il naso di fronte a questa Fantascienza, banale in apparenza e capace solo di vivere alla giornata; ma che ne sarebbe, oggi, dei futuri pessimistici alla Blade Runner, delle realtà virtuali di Matrix, delle vite alternative di Philip K. Dick e delle space opera alla Guerre Stellari o alla Firefly senza le vecchie, buone, semplici trame ideate dai vari Alex Raymond con Flash Gordon e in seguito Greg & Paape con Luc Orient? Aspettiamo altri trent’anni e ne riparleremo!

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bersagli MANCATI

I chiaroscuri

DI UNA FIABA

INCOMPIUTA di LAURA TOSELLO

“L’idea mi è venuta per la prima volta in ascensore, mentre mi separavo dalla mia amata ho desiderato portare le sue labbra via con me. Ecco come nascono le storie, negli ascensori!” Téhy

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N UN IPOTETICO FUTURO la Terra è devastata da guerre fratricide. Ai margini della civiltà umana decadente, tra le rovine di una fortezza-cattedrale arroccata sul bordo di una cascata, il misterioso Mister Sir Crumpett’s costruisce senza sosta automi. Dalle sue abili mani prende vita Jam, protagonista della vicenda: il povero fantoccio adolescente ha appena aperto gli occhi che già il severo padre lo relega tra le folte schiere delle altre bambole meccaniche, tutte giudicate non riuscite.

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Il creatore infatti non assembla questi raffinati giocattoli per crearsi una compagnia, egli in realtà è all’affannosa ricerca dello ‘sguardo fatato’, cioè quell’incanto, quella purezza assoluta capace di riportare la grazia nel mondo ormai allo sfascio. Sebbene rifiutato così aspramente dal burbero genitore, il ‘ragazzo’ trova conforto nell’amicizia degli altri automi. Vagando annoiato tra le rovine della cattedrale, Jam scova tra i fantocci scartati una bellissima bambola-fata che il padro-


FÉE ET TENDRES AUTOMATES versione integrale (1996-2003, contiene Jam, Elle e Wolfgang Miyaké) Editore VENTS D’OUEST, 2007 ISBN: 9782749304090

ne lasciò incompiuta: è lei l’unica a possedere realmente lo sguardo fatato. I suoi meccanismi sono guasti, la poverina non può muoversi e neppure parlare dato che il padrone la lasciò priva della bocca, ma i suoi occhi profondi esprimono tutta la vita che si cela in lei. Ravvedutosi del terribile errore commesso tanti anni prima, Mister Sir Crumpett’s si accinge a terminare la fata, ma proprio in quel momento la fortezza-cattedrale viene assaltata da una folla di uomini armati e rabbiosi. Mentre le sue povere marionette vengono bruciate senza pietà, Mister Sir Crumpett’s tenta di portare in salvo quell’unica creazione perfetta che aveva tanto cercato. Jam e la fata vengono nascosti all’interno di capsule frigorifere e assistono impotenti all’omicidio del loro creatore. Trascorsi molti secoli, Jam riesce finalmente a liberarsi dalla sua prigione di ghiaccio e parte alla ricerca del suo eterno amore; davanti a lui si stende la decadente megalopoli Carlotta, governata con pugno di ferro dalla dinastia Miyaké. In un piccolo scrigno, il ragazzo custodi-

sce ancora le labbra vermiglie di cui restò priva la sua compagna; baciare quella bocca è l’unica consolazione alla sua solitudine. Frugando negli archivi e nelle biblioteche egli ritrova le tracce dell’amata: la sventurata bambola venne a lungo utilizzata come trastullo sessuale durante l’Era dei Piaceri proprio dal clan Miyaké, per anni fu l’oggetto più ricercato e raffinato. Grazie alla sua avvenenza, fu poi classificata come opera d’arte e custodita nel principale museo della città. Jam tenta allora di intrufolarsi nel blindatissimo edificio, ma viene scoperto e affrontato dalle pattuglie di

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#1. JAM

VENT D’OUEST, 1996 edito in Italia da GRIFO

#2. ELLE

VENT D’OUEST, 2000 inedito in Italia

#3. WOLFGANG MIYAKÉ

VENT D’OUEST, 2003 inedito in Italia

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vigilanza; nel terribile scontro perde un braccio, prima di riuscire a fuggire. La megalopoli Carlotta si sta avviando verso il declino assoluto: il governatore Wolfgang Miyaké, lungi dall’interessarsi ai suoi sudditi, ha come unico progetto quello di riportare in auge la passata Era dei Piaceri. Per soddisfare i propri appetiti desidera il meglio, la perla delle perle: la bambola-fata. Mentre la città è in rivolta, Jam torna al museo per tentare nuovamente di liberare l’amata, ma si scontra con la milizia venuta a requisire la preziosa marionetta... • Spoiler warning • ...Nel frattempo la fata viene sottoposta a una sorta di lavaggio del cervello che la induca a soddisfare ogni perversione del governatore. A causa di questa riprogrammazione, l’automa respinge Jam quando questi finalmente riesce a penetrare nell’alcova del dittatore; solo il dolce suono di un brano già udito in occasione del loro primo incontro le permette di ritrovare la memoria. Mentre il palazzo di Miyaké crolla sotto le bombe della rivolta, Jam, ormai straziato dalle ferite riportate nella battaglia, si spegne tra le

braccia della fata; tale è il dolore dell’infelice bambola che il suo volto si lacera nel gridare tutta la sua disperazione. Prima che l’ultima scintilla di vita abbandoni Jam, la compagna riesce a incorporare nei propri meccanismi il suo filo di vita, quel misterioso cavo che dona la coscienza a tutte le creazioni di Mister Sir Crumpett’s. L’alba si leva sulla città distrutta e sulla fata solitaria che si aggira tra le rovine. Rimasta sfregiata e priva della bocca, è però riuscita a salvare dentro di sé lo spirito del suo amato. E ora nessuno potrà mai più separarli. UNA STORIA LASCIATA A METÀ Nel leggere Fata e teneri automi (Fée et Tendres Automates) ci troviamo di fronte a un piccolo capolavoro visivo. La disegnatrice Béatrice Tillier sembra possedere lei stessa lo sguardo fatato, e le sue tavole riverberano un’aura incantata. I disegni sono di qualità eccelsa: i personaggi sono definiti con estrema cura mentre le ambientazioni suggeriscono una realtà assolutamente onirica e poetica. La bravura e l’attenzione rivolta a ogni minimo dettaglio permettono all’artista di trasmettere

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JAM, pagina 9, versione originale | ©VENTS D’OUEST

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JAM, pagina 25, versione originale | ©VENTS D’OUEST

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JAM, pagina 40, versione originale | ©VENTS D’OUEST

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JAM, pagina 43, versione originale | ©VENTS D’OUEST

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BÉATRICE TILLIER

beatricetillier.blogspot.it foto: ©Tutti i diritti riservati

al lettore i sentimenti che si agitano nel petto della bambola-fata, sebbene il volto di quest’ultima sia privo di un importante mezzo espressivo come le labbra. Le tavole sono sontuose e sapientemente calibrate, il taglio delle vignette è pura arte, tutto appare sospeso e rarefatto in un perfetto incantesimo. Il passaggio tra le vicende del presente e i flashback del passato è fluido e limpido come l’acqua. La scelta della tavolozza si fonda sul netto binomio tra il mondo delle bambole e il mondo degli umani: mentre gli automi sembrano galleggiare in un ambiente cristallino fatto di sfumature pastello, azzurre e opaline, la realtà degli uomini esprime tutta la sua carnalità e ferocia nelle violente tonalità calde del rosso. L’unica critica che si può muovere riguarda l’estrema classicità dello stile: rigoroso certo, ma poco sperimentale. Data la perfezione e la raffinatezza con cui Béatrice Tillier si accosta alla storia, la scelta di cambiare disegnatore

nell’ultimo dei tre volumi che compongono l’opera risulta davvero incomprensibile. Il linguaggio più dinamico di Franck Leclercq si adatta forse meglio alla piega avventurosa che la vicenda assume sul finale, ma in qualche modo l’incantesimo è irreparabilmente spezzato. Sia Jam che la fata perdono quella poesia che Tillier aveva saputo infondergli. Leclercq non riesce a utilizzare la stessa tavolozza di sfumature, e i colori risultano troppo saturi; la sua colorazione digitale stride terribilmente a confronto con le nuance acquarello usate dalla prima disegnatrice. Anche l’impaginazione ne risente: in molte vignette i personaggi appaiono troppo piccoli o mal definiti, intaccando così la leggibilità generale delle tavole. Nel complesso, uno stile sicuramente più rapido, energico e privo di fronzoli, ma anche più grezzo, maschile e grossolano. Non si può non pensare che la mano femminile di Tillier avrebbe saputo disegnare in modo

8 THIERRY TERRASSON ‘TÉHY’

foto: ©PYMOUSS fonte: Wikimedia Commons

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molto più toccante e delicato l’addio tra i due sfortunati amanti. L’apparato visivo e artistico è ineccepibile, tanto perfetto che la storia in sé stenta a tenere il passo. L’autore Téhy non ha goduto della stessa costante ispirazione della sua collaboratrice. Nonostante il romanticismo, al lettore resta l’amara impressione di trovarsi di fronte a un quadro meraviglioso ma meramente decorativo e scarso di contenuti. Inizialmente il ritmo è dilatato al massimo, ondeggia tra lunghi flashback e azioni al rallentatore nel tempo presente. Una scelta narrativa curiosa ma comprensibile dal momento che i primi due capitoli della storia non illustrano tanto la realtà, quanto piuttosto un flusso di coscienza dello stesso Jam. Per questo essere semi-immortale, lo scorrere del tempo non ha alcuna importanza, e il lettore vive attraverso i suoi occhi un eterno presente in cui tutto appare sospeso e cristallizzato. Un perfetto incantesimo che s’infrange brusco nell’ultimo sincopato capitolo, dove la narrazione si fa sbrigativa tra gravi omissioni e dettagli superflui. Benché molto lineare, la trama prende qua e là una piega piuttosto forzosa e poco convincente che ne appiattisce lo spessore. Le due bambole hanno incrociato i loro sguardi per pochi secondi, ma è già eterno amore, o piuttosto è amore per Jam in quanto la bambola non annuisce né rifiuta. Troppi sono gli argomenti mal sviluppati, a cominciare dal misterioso filo di vita presente nelle bambole di Mister Crumpett’s; questo punto nodale viene a malapena accennato, salvo essere ripescato al termine della vicenda per permetterne la conclusione. Il fulcro stesso della storia, la bocca sepa-

rata dal proprietario, poteva essere interessante ma non viene sfruttato sino in fondo restando un mero espediente iconografico. A un certo punto della storia, la fata, benché priva delle labbra, prende addirittura a parlare senza spiegazione apparente. Anche la sua momentanea amnesia, forse inserita per creare della tensione, viene risolta troppo in fretta: ecco quindi che l’istante drammatico si trasforma in un passaggio superfluo e risibile. Nonostante le belle prospettive, il luogo della vicenda resta alquanto bidimensionale. La megalopoli Carlotta dovrebbe rappresentare la follia che affligge il genere umano, ma risulta essere un mix piuttosto artificioso di una dinastia nippo-germanica, con costumi elisabettiani su scenari allo stesso tempo barocchi e fantascientifici. Quando non deve fuggire alle violenze dei soldati, Jam non ha alcuno scambio con gli altri diseredati che condividono il suo rifugio. In generale, il mondo degli uomini resta una accurata ma grottesca quinta teatrale: sbrigativamente definito come rozzo e violento, non viene minimamente sondato. Mister Sir Crumpett’s e l’imperatore Wolfgang Miyaké sono i soli protagonisti umani della vicenda e come tali restano sullo sfondo. Non si sa perché Sir Crumpett’s sia tanto ossessionato dal proprio progetto e neppure cosa abbia portato l’imperatore Wolfgang a dei propositi così autodistruttivi. Di loro si sa poco o nulla, salvo che entrambi sono totalmente avulsi dalla realtà esterna, troppo concentrati nei loro egoistici progetti personali. Certo Mister Sir Crumpett’s resta un personaggio più gradevole, e il rapporto

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ELLE, pagina 43, versione originale | ©VENTS D’OUEST

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ELLE, pagina 46, versione originale | ©VENTS D’OUEST

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WOLFGANG MIYAKÉ, pagina 6, versione originale | ©VENTS D’OUEST

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WOLFGANG MIYAKÉ, pagina 28, versione originale | ©VENTS D’OUEST

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di celato ma profondo affetto paterno che lo lega a Jam lascia il segno anche se appena accennato; proseguire il progetto del genitore eleverà il burattino al ruolo di figlio legittimo. Nonostante fosse burbero e scontroso, l’uomo possedeva sicuramente quella stessa umanità che aveva saputo infondere nelle sue creazioni. Jam e la fata sono i reali protagonisti: due esseri sintetici, ma con sentimenti reali e molto più umani delle bieche creature viventi che li circondano. Jam attraversa i secoli trovando dentro di sé il coraggio e la grinta per affrontare ogni ostacolo senza mai perdere la sua profonda purezza. Osservandoli, sorge però il dubbio che l’ideale di perfezione proposto dalla storia non possa che limitarsi a qualcosa di artificiale e pertanto fittizio. Forse l’amore di Jam è così platonico perché lo stesso ragazzo non è altro che un bambolotto asessuato. Curioso come invece la fata sia evidentemente in possesso di un qualche pertugio utile a trastullare i suoi padroni. La fata è sicuramente perfetta nella sua bellezza, ma allo stesso tempo non appare altro che un’eroina imbelle, un’inerte bambola di pezza perennemente vittima degli eventi; sebbene venga riparata, resta immobile a farsi violentare da generazioni di dittatori, in eterna attesa del suo salvatore. Incapace di qualsiasi azione tranne l’exploit finale in cui incorpora lo spirito di Jam dentro di sé. Priva della bocca e forse allo stesso tempo di una vera passionalità umana. Più che un contenuto, è un vacuo contenitore atto ad accogliere le emozioni che suscita negli altri. È più facile provare simpatia o almeno compassione per il povero Jam, vero

fulcro della vicenda, un robot umanissimo, troppo sensibile e bisognoso di affetto. Costantemente prigioniero dei propri ricordi, egli vaga alla ricerca dell’amore perché è l’unica cosa che può fare, anche se ciò dovesse portarlo all’annientamento; la rigidità dei suoi meccanismi fisici e mentali sembra infatti impedirgli qualsiasi percorso alternativo. Il povero pupazzo a molla sarà destinato a ripetere gli stessi movimenti sino al termine della carica, ma forse è proprio lui e non la bambola a possedere realmente lo sguardo fatato, perché alla fine dell’albo è Jam a restare veramente nel cuore del lettore. La conclusione della storia è poco soddisfacente. Sebbene la bambola-fata dovesse rappresentare la grazia e la nuova speranza per il mondo, essa sopravvive sì alla caduta della dittatura e alla distruzione della città ma solo per ripiegarsi nel suo dolore e sulla sua solitudine. I due innamorati continueranno ad amarsi incrociando i loro sguardi attraverso uno specchio, ma intorno c’è solo il vuoto. Con lo spirito di Jam, così carico di umanità, messo al sicuro nei propri circuiti, la fata avrebbe potuto ergersi quale paladina di un nuovo regno, diventare una guida per tutti quegli esseri umani rimasti senza un leader e senza speranza. Invece preferisce restarsene in un angolo a rappresentare la grazia assoluta ma priva di qualsiasi scopo, un feticcio fine a se stesso. Nel complesso, Fata e teneri automi è un’opera sontuosa e raffinata, ma conclusa molto malamente, quasi abortita, forse per mancanza di tempo, fondi o passione. Lasciata incompiuta proprio come la bambola-fata. Peccato.

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Schegge d’ARTISTA

Sognando

APOCALITTICHE

VISIONI

di ELISA FAVI

Fotografia e illustrazione si fondono per dar vita al ‘Dreaminism’. Entriamo in un mondo onirico e postnucleare... irrimediabilmente romantico.

F

OTOGRAFIA, illustrazione, copertine di libri e cd, un meraviglioso webcomic e un ambizioso progetto per YouTube: Vitaly S. Alexius è un vero artista digitale e le sue attività, da quella di illustratore freelance a quella di art director e di graphic novelist seriale, si svolgono su Internet con una presenza costante e molto dinamica. Nasce nel 1984, nella Russia siberiana da cui emigra all’età di 13 anni verso il Canada, stabilendosi a Toronto, dove vive tutt’ora. Studia disegno e pittura e nel 2002 la

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scoperta di Photoshop segna un radicale passaggio da pittore e fotografo tradizionale a illustratore digitale, fornendogli uno strumento per sviluppare un innovativo stile che definisce ‘Dreaminism’. È uno stile immediatamente riconoscibile, inconfondibile per il tratto e per le ambientazioni surreali che hanno quasi sempre un sapore postatomico, anche quelle più deliziosamente fantastiche. Deviant Art presenta una nutrita gallery dei suoi lavori e una numerosa schiera di fan affezionati che spesso interagiscono


ENTER THE INFERNO

nella progettazione delle illustrazioni. In un’intervista rilasciata al sito 3DTotal, l’artista dichiara: “Mostro al mio pubblico visioni di quel futuro che si realizzerà inevitabilmente se la macchina industriale dell’umanità non verrà regolata in tempo. Ho assistito al fallimento di una nazione e di grandi e nobili ideali. Ho visto città russe straziate dalla trascuratezza, dall’industrializzazione, da decadenza, oppressione, crimine e guerra. Ho visto la scienza fallire e scatenare la morte nei casi oscuri degli ‘incidenti’ di Chernobyl e del lago Aral. Il mio punto di vista è quello di un artista romantico, con un’eccezione: mostrare non solo il potere distruttivo della natura ma anche il potere distruttivo dell’uomo.” Questo vulcanico artista vive completamente immerso nella sua visione onirica del mondo; conoscere il suo percorso professionale vuol dire in parte capire cosa lo porti a creare le sue ambientazioni fantastiche, cosa lo abbia suggestionato al punto da influenzare le sue opere con il tema ricorrente di scenari postapocalittici. Così, per meglio presentarlo al pubblico italiano, riportiamo l’intervista che Alexius ha gentilmente acconsentito a rilasciarci.

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WINDSWEPT

Intervista a

Vitaly S. Alexius Quando hai capito di aver trovato la tua strada come illustratore? Volevo essere un artista da quando avevo quattro anni e disegnavo piccoli UFO con le matite. Ho capito davvero quale era il mio destino durante il terzo anno di università, quando passai dalle progettazioni ambientali all’architettura di interni e infine mandai tutto al diavolo, iniziando ad accettare commesse e lavori a tempo pieno nel campo dell’illustrazione. Il tuo percorso di apprendimento è stato intuitivo o progettato con metodo? Mia madre aveva pianificato per me una carriera da artista prima ancora che nascessi. Interessante, no? Come sei arrivato alla pittura digitale? Nel 2002 ho scoperto Photoshop (me lo mostrò il mio amico Sheharzad) e non sono più tornato indietro. Vuoi parlarci del tuo stile? Il ‘Dreaminism’? C’è un interessante tutorial su Deviantart, in cui spieghi come combini fotografia e pittura digitale. Trovi che l’apporto umano degli attori sia da preferire a software di rendering 3D? Il Dreaminism si fonda sulla sensazione di realtà traslata che percepiamo nella frazione di secondo prima di svegliarci. Cerco di imprigionare l’aspetto surreale dei miei sogni e della mia fantasia dentro

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CHRONOSCAPE HIGHWAY TO HELL

THE BLIGHT

i miei quadri e i miei fumetti. Qualunque tipo di arte è magnifica e c’è un pubblico per ognuna. La presenza umana non è necessaria per produrre bellezza o arte. Un giorno creeremo arte con i nostri pensieri, quando la tecnologia si sarà evoluta abbastanza. Romantically Apocalyptic è un progetto originale che fa emergere anche il tuo particolare senso dell’umorismo. Come hai creato il protagonista Zee Captain? Cosa ti ha ispirato per la realizzazione del suo mondo postnucleare? La mia avventura nell’esplorazione degli ambienti urbani in giro per il mondo ha ispirato la creazione del Capitano. Durante le esplorazioni metropolitane che faccio per divertimento, fotografo posti abbandonati che sembrano portare lo stesso tipo di maschera antigas che

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EXISTENCE EXPIRES

VENUS POLYURETHANE

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RISING FROM HELL indossa il Capitano. La follia delirante del Capitano è ispirata al mio assistente, Chico, che ronza continuamente nel mio studio. Hai realizzato molte Cover di libri, quale è il processo di creazione di una copertina? Ricevo una e-mail da uno scrittore con i dettagli del progetto; mi leggo la descrizione che mi è stata fornita e disegno uno schizzo o due. Una volta che lo scrittore approva il bozzetto, il resto viene dipinto con Photoshop. C’è interazione con l’autore o solo con l’editore? Io lavoro più che altro con autori indipendenti e non ricevo molte e-mail dagli editori. La case editrici maggiori, probabilmente, hanno illustratori interni. Chi non è del mestiere difficilmente conosce i nomi degli illustratori o le differenze tra i vari stili: tu segui le principali tendenze dell’illustrazione contemporanea? Non ho nessuna idea su quali siano queste tendenze perché al momento sto lavorando a tempo pieno come art director sul mio fumetto. Volare intorno al mondo ogni settimana mi fornisce un grande numero di input di stili diversi, ma tutto quello che recepisco è limitato a ciò che vedo nei Comicon, su Reddit [NdR. un social network basato sulle votazioni dei link da parte degli utenti] e Deviantart. Posso nominarti artisti e tendenze solo relativamente a quei luoghi. I miei lavori dipendono da

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CASTAWAY Internet per la promozione e le vendite, per cui so tutto riguardo le idee e gli stili che vi circolano ma nulla riguardo alle tendenze dell’illustrazione. Quindi per il tuo lavoro è fondamentale la presenza su Internet? Io galleggio continuamente su internet. Essere online e comunicare con i fan è incredibilmente importante per me. Incontro molti dei miei fan alle Comicon e, grazie alla mia arte e a Internet, ho amici in giro per tutto il mondo, non importa dove io voli! Qual è il circuito di vendita dei tuoi lavori? Le varie Comicon, Deviantart e il mio sito personale. Puoi raccontarci il modo più strano con cui è arrivata l’ispirazione per un tuo lavoro di successo? Un sacco di ispirazione per il personaggio di Pilot di Romantically Apocalyptic mi viene ancora da Chico. Un giorno mise sul fornello il mio bollitore elettrico di plastica ritenendo che fosse di metallo… Hai piani per il prossimo futuro? Per questo inverno ho in previsione di concentrarmi su Romantically Apocalyptic. Augurando allora ad Alexius buon lavoro, concludiamo questa chiacchierata offrendo nella prossima pagina una breve descrizione del progetto ‘Romantically Apocalyptic’, e segnalando i siti dell’autore, dove poter visionare in ampie gallerie le sue suggestive opere.

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FERAL NOVA


MODERN MAGIC

ELEMENTAL EARTH 191


Romantically Apolcalyptic è un progetto ambizioso iniziato nel 2010 che, oltre a varie persone e a un gran numero di cosplayer che si ispirano ai personaggi della storia, coinvolge un’attività di merchandising e di videoproduzione. Parlare di ROM è una vera impresa anche se si può sintetizzare come summa delle ispirazioni nucleari catastrofiche di Alexius: un pugno di sopravvissuti comandati da Zee Captain, dal volto costantemente celato dietro una maschera antigas, si aggira in un mondo distrutto, affrontando situazioni grottesche, paradossali, magnificamente scenografiche e condite da un umorismo surreale che ben si adatta a questo artista. Tavola dopo tavola, è una festa per gli occhi, che strappa ben più di un sorriso. La tecnica che Alexius usa è molto laboriosa e si divide in più fasi, partendo dalle fotografie di scenari che gli sono di ispirazione, foto che realizza durante i suoi viaggi, attratto in particolare dalle location urbane decadenti o in stato di abbandono e da paesaggi naturali immersi in sfondi drammatici; quando decide come realizzare le sue tavole, organizza un vero e proprio set fotografico in cui posiziona gli attori secondo lo storyboard. Ogni tavola della graphic novel richiede da 1 a 3 giorni di set, da 30 a 60 ore di lavoro con Photoshop e almeno 2 terabyte di textures. 192


Alexius’s Links

Il sito personale: www.svitart.com vs.darkfolio.com Le gallerie su DeviantArt: alexiuss.deviantart.com Il sito dedicato a Romantically Apocaliptyc: romanticallyapocalyptic.com

SO WHAT ARE YOU WEARING 193


TERRE DI

CONFINE

SEZIONE ANTOLOGICA

WWW.PLESIOEDITORE.IT

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N. 1 NOVEMBRE

2013

NEVER LET GO

di ©VITALY S. ALEXIUS www.svitart.com


VASILIJ GRIGOR’EVIČ ZAJCEV

interpretato da Jude Law nel film Il Nemico alle Porte (2001)

-40°

di MARCO BERTOLI

O

gni mestiere ha la sua regola aurea. La mia è: mimetizzati dieci volte, ma spara una volta sola. Odio questo freddo. Ti scivola dentro piano, in silenzio, subdolo verme che ti congela sino all’anima drenandoti le energie. Non c’è difesa se non olio e uno straccio di coperta di lana recuperata in quella che una volta era stata la stanza da letto di un bimbo. Grigio e bianco, questi i colori del panorama di macerie in cui io e il mio compagno cacciamo. Lui si chiama Hans, io ho un nome che sembra uno scioglilingua per cui sono semplicemente Kurz, corto. Siamo usciti dal rifugio che un sole anemico era appena spuntato dietro il mozzicone di muro della fabbrica di trattori. In bocca il sapore gelido e amaro del rancio mattutino. Camminiamo bassi, rasentando i ruderi, sfruttando il minimo anfratto per prendere fiato e controllare intorno. La nostra è una caccia in cui i ruoli s’invertono in un attimo: se non stai attento, sei morto. Passiamo accanto al relitto bruciacchiato di uno StuG III. Dal

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portello della casamatta penzola la sagoma contorta di un pupazzo di neve, gli occhi azzurri gelati sul nulla. Ci spostiamo ancora, seguendo una pista che si snoda tra mucchi di macerie e strane sculture di ghiaccio. La zona sembra vergine e priva di segni di vita: la postazione ideale. Hans scova una sorta di tana tra le travi e le tegole di un tetto crollato. Strisciamo a fatica nel pertugio. Il telo mimetico ci nasconde. Nessuno può vederci o immaginare che lì sotto ci sia qualcuno in agguato. Steso immobile accanto al mio compagno, ripenso ai giorni lontani dell’addestramento, a quando l’unica preoccupazione erano le sfuriate dell’Unterfeldwebel Schneider e l’acqua fresca una benedizione dopo ore trascorse a scaldarsi sotto il sole. Sento Hans irrigidirsi. Seguo la direzione del suo sguardo. Dapprima non scorgo nulla, poi il biancore di un cappuccio bordato di pelliccia compare da dietro un angolo. È un attimo ma basta per caricarmi. Ora si tratta soltanto di aspettare. Che cosa farà la preda? Tenterà di superare quel tratto scoperto di una ventina di passi oppure cercherà una via più sicura? Le dita del mio compagno mi stringono, dandomi calma e conforto. Ecco, ci siamo. Nella mia iride trasparente appare una figura ingrandita che spicca la corsa per attraversare la strada. L’indice di Hans ha una contrazione sulla mia parte più sensibile. Il tocco delicato di un amante, eppure basta per sganciare il percussore. La molla scarica tutta la sua forza compressa. Sparo. A seicento metri di distanza il bersaglio si blocca sul posto. Lo vedo ondeggiare poi crollare in avanti sulla neve ghiacciata. La mano di Hans mi gratifica con una carezza, quindi tira indietro l’otturatore, espelle il bossolo fumante e inserisce una nuova cartuccia dentro il mio stomaco. Tra cinque minuti ci sposteremo: mai restare fermi nel medesimo luogo. Nel frattempo il mio compagno segna sul taccuino che con il suo Mauser Karabiner 98kurz Zf 41 ha ucciso la sua trecento decima vittima. “Il mio fucile è umano, come me, poiché è la mia vita.” William H. Rupertus, ‘My Rifle: The Creed of a US Marine’

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DARK ALLEY

di ©LORENZ HIDEYOSHI RUWWE www.hideyoshi-ruwwe.net

VICOLI

IMPROBABILI di PAOLO SPAZIOSI

A

volte capita di prendere la strada sbagliata e di trovarsi all’improvviso a fissare i mattoni rotti e sporchi del muro di un vicolo cieco. Può anche accadere, per lo stesso strano caso, che la tua attenzione sia catturata per un istante dagli stralci rimasti di un vecchio manifesto, attaccato ancora al muro per qualche strano motivo che

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la città si guarda bene dal rivelare. Magari eri sovrappensiero. Magari chissà, forse stai invecchiando. Ma, davvero, non ce la fai a ricordare quali improbabili vie ti abbiano portato qui. Questo vicolo è stato dimenticato dalla città, lo sai. È rimasto così, chiuso, muto nella sua rientranza urbana. Nel cuore del buio, qualche metro nell’oblio, nudo di mattoni strani, senza gatti, senza spazzatura; vuoto vicolo vano. Su questo manifesto che stai guardando, sulla sua carta secca e gialla, riesci a distinguere il disegno di un volto sporco, dai tratti grossolani, irriconoscibile dopo tutti gli anni passati sotto le intemperie. Si capisce, però, nonostante il grande strappo – che ha portato via l’occhio destro e parte della guancia, rivelando gengive nere e denti rotti – che è stato disegnato a mano. I capelli sono radi: a poco a poco, la città ci ha respirato sopra, facendoli cadere uno ad uno. Ma uno strano lucore permane nell’occhio umido che ancora si vede sopra il ghigno. Può accadere che non si riesca a distogliere lo sguardo da un occhio del genere – non per molto, almeno – e che si riesca a sentire solo il proprio cuore che batte in petto, il sangue che rimbomba nelle orecchie, la gola che si secca per far spazio all’amaro e alla polvere. E poi, all’improvviso, senza capire come, lo sai. Ogni volta che qualcuno si perde in una città, questo volto sorride e chiama a gran voce, nella luce dei lampioni. La sua eco vibra insieme ai neon e ai vetri dei negozi, sibila nel gas delle tubature, ride nelle fogne assieme ai ratti. E leva il suo grido verso la città muta, la madre dei palazzi ciechi, che sta in ascolto. E tu sei lì, adesso, e forse ti stai ancora chiedendo come sia potuto accadere che la strada e la sorte ti abbiano portato proprio in quel luogo, in quel momento, come sia riuscito il caso a creare una circostanza del genere, quali siano le meccaniche di leggi ignote che hanno guidato ogni tuo passo verso un vicolo che non avevi mai visto, né previsto. E come spesso accade, te ne accorgi quando ormai è troppo tardi; è il tuo volto, quello nel manifesto, e non quello di un altro. E da adesso in poi continuerai a chiederti, ancora e ancora, se passerà mai qualcuno, se mai qualcuno libererà te, da questo vicolo dimenticato. Proprio come tu hai liberato, ora, quelle spalle che se ne stanno andando e che si voltano solo un istante per mostrarti un ghigno soddisfatto, benché privo di un occhio.

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EDGE DROP

foto: ©MRFarts mrfarts.deviantart.com

SLEEP CONTROLLER di LODOVICO FERRARI

U

n anno prima

L’uomo si svegliò, riposato come non gli capitava da mesi. La sua donna era lì, accanto a lui; le guance accarezzate dai lunghi capelli scuri. Gli occhi chiusi, il respiro lieve… Finalmente. Un cigolio di protesta si levò dal vecchio letto, mentre lui si alzava; infilò le pantofole e si avvicinò alla finestra. Aveva piovuto nella notte; da fuori, una goccia lo stava fissando, posata su una foglia… come una lacrima iniziò a scivolare, su quella guancia di un verde tanto acceso da farla apparire ancor più trasparente… e infine giù, verso terra, in un umido suicidio. La vita di tutti i giorni li aspettava a qualche ora d’auto da lì. Adesso un po’ meno insopportabile, grazie a quel luogo, quel rifugio a cui poter tornare. Alle sue spalle una voce assonnata e dolcissima lo chiamò: «Giorgio, è mattino?»

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Il giorno precedente “Rigorosi studi clinici hanno dimostrato che il tempo di sonno circadiano ottimale, finora ritenuto di 300 minuti ogni 24’ore, è in realtà di 270. Pertanto il MEC (Ministero per l’Efficienza del Cittadino), accertata l’inconsistenza di effetti negativi sulla salute, ha stabilito di ridurre di mezz’ora la taratura dello sleep controller, a partire da lunedì. Noi della redazione e la dirigenza del nostro quotidiano desideriamo ringraziare il Governo e il MEC per il loro costante contributo a salvaguardia e incremento della produttività sociale.” Giorgio chiuse il giornale. Un’altra mezz’ora di sonno in meno, di questo passo li avrebbero uccisi tutti. Il Governo Centrale aveva deciso che quello passato a dormire era tempo perso; tempo in cui i cittadini non lavoravano, non consumavano, non assimilavano pubblicità… Sentì la lieve scossa. Il suo sleep controller impiantato sotto pelle, nel collo, lo avvisava che non era ora di dormire. Sollevò un braccio. «Sono sveglio, bastardi» mormorò. La scossa finì. Tra dieci minuti la scena si sarebbe ripetuta, e così per tutto il giorno fino all’ora del riposo: se non avesse mosso qualche parte del corpo, l’intensità della scarica elettrica sarebbe aumentata, sempre più. Non poteva resistere a quella vita per molto ancora, e tanti avevano già ceduto. Il numero di suicidi era salito in modo esponenziale, ma la censura impediva che le statistiche venissero rese pubbliche. Solo i suoi amici del gruppo dissidente ‘NoControl’ le conoscevano. Il campanello lo distrasse dai suoi pensieri. Andò ad aprire… Carlo entrò senza aspettare l’invito, e andò ad accomodarsi sulla poltrona. «Ho notizie interessanti! Te la faresti una bella dormita?» Giorgio chiuse la porta. «Non ho voglia di scherzare. Hai letto il giornale di oggi?» «Ho scovato un posto dove lo sleec non funziona.» L’annuncio a bruciapelo frustò Giorgio come la scossa di poco prima. «Impossibile» contestò, dopo un attimo di sconcerto. «Sai bene che si collega alla rete GPS, se tenti di…» «Ho parlato con un tecnico del MEC» tagliò corto Carlo «uno della divisione software. Mi ha confermato che, se si trovasse ipoteticamente un luogo coperto dalla rete ma al limite del segnale, la

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cella aggancerebbe lo sleec ma quest’ultimo potrebbe non essere in grado di ricevere l’attivatore. Bene, è proprio così. E si dà il caso che questo ipotetico posto io l’abbia già trovato. È fuori città, nei boschi, un’ora di cammino dal chilometro 112 della 23. Una vecchia baita abbandonata. Ci sono stato ieri e ho dormito tutta la notte. Nessuna scossa. Niente.» Giorgio rimase incredulo a fissare l’amico. Carlo si alzò e andò a versarsi una generosa dose di cognac. Ostentava un sorriso che gli mancava da mesi. «Te l’ho detto perché voglio che tu ci vada. Ma, mi raccomando… nessuno deve sapere al di fuori di noi nocon.» La lieve scarica elettrica s’irradiò dal collo, Giorgio quasi non la sentì.

Ieri La solita ora di marcia da dove avevano lasciato l’auto, ma ne valeva sempre la pena, pensò Giorgio. Finalmente avevano strappato due giorni di permesso, da trascorrere nella ‘casa della foresta’. Il sentiero polveroso sbuffava a ogni loro passo. Ancora per poco: le nubi grigie che li sovrastavano promettevano pioggia. Ma a loro non importava. Il giorno seguente sarebbe stato radioso, anche senza il sole.

Oggi Lo sguardo si perde oltre il vetro della finestra. Ha piovuto nella notte. Una goccia lo sta fissando, posata su una foglia talmente verde da farla sembrare ancor più trasparente. Inizia a scivolare, lenta… e poi giù, incontro al terreno, in un umido suicidio. La sua lacrima, contemporaneamente, tocca il pavimento. La scarica elettrica diventa più forte, ma Giorgio non si muove. Riflesso nel vetro della finestra, un lenzuolo annodato penzola da una trave del soffitto. Sotto, adagiata sul pavimento, una figura dai lunghi capelli scuri giace immobile. Il livido blu intorno alla gola pare quasi una collana, disegnata su una cute innaturalmente pallida, candida come la luna. Dopo una notte insonne, la perdita della speranza, insopportabile, aveva vinto. Al di là degli alberi, sopra la montagna, una ciclopica antenna, come rigettata dalle viscere della terra, incombe sulla sua vita distrutta. Il collo brucia. Ma Giorgio non si muove.

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NIGHTMARE

di ©BEATRIZ MARTÍN VIDAL www.beavidal.com

UN

VAMPIRO di LUIGI CAPUANA (1904)

«N

o, non ridere!» esclamò Lelio Giorgi, interrompendosi. «Come vuoi che non rida?» rispose Mongeri. «Io non credo agli spiriti.» «Non ci credevo… e non vorrei crederci neppur io» riprese Giorgi. «Vengo da te appunto per avere la spiegazione di fatti che possono distruggere la mia felicità, e che già turbano straordinariamente la mia ragione.» «Fatti?… Allucinazioni vuoi dire. Significa che sei malato e che hai bisogno di curarti. L’allucinazione, sì, è un fatto anch’essa; ma quel che rappresenta non ha riscontro fuori di noi, nella re-

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altà. È, per esprimermi alla meglio, una sensazione che va dall’interno all’esterno; una specie di proiezione del nostro organismo. E così l’occhio vede quel che realmente non vede; l’udito sente quel che realmente non sente. Sensazioni anteriori, accumulate spesso inconsapevolmente, si ridestano dentro di noi, si organizzano come avviene nei sogni. Perché? In che modo? Non lo sappiamo ancora… E sogniamo – è la giusta espressione – a occhi aperti. Bisogna distinguere. Vi sono allucinazioni momentanee, rapidissime che non implicano nessun disordine organico o psichico. Ve ne sono persistenti, e allora… Ma non è questo il tuo caso.» «Sì; mio e di mia moglie!» «Non hai capito bene. Noi scienziati chiamiamo persistenti le allucinazioni dei pazzi. Non occorre, credo, che io mi spieghi con qualche esempio… Il fatto poi che siete due a soffrire la stessa allucinazione, e nello stesso momento, è un semplice caso d’induzione. Probabilmente sei tu che influisci sul sistema nervoso della tua signora.» «No; prima è stata lei.» «Allora vuol dire che il tuo sistema nervoso è più debole o ha più facile ricettività… Non arricciare il naso, poeta mio, sentendo questi vocabolacci che i vostri dizionari forse non registrano. Noi li troviamo comodi e ce ne serviamo.» «Se tu mi avessi lasciato parlare…» «Certe cose è meglio non rimescolarle. Vorresti una spiegazione dalla scienza? Ebbene, in nome di essa, io ti rispondo che, per ora, non ha spiegazioni di sorta alcuna da darti. Siamo nel campo delle ipotesi. Ne facciamo una al giorno; quella di oggi non è quella di ieri; quella di domani non sarà quella di oggi. Siete curiosi voialtri artisti! Quando vi giova, deridete la scienza, non valutate nel loro giusto valore i tentativi, gli studi, le ipotesi che pur servono a farla progredire; poi, se si dà un caso che personalmente v’interessa, pretendete che essa vi dia risposte chiare, precise, categoriche. Ci sono, purtroppo, scienziati che si prestano a questo gioco per convinzione o per vanità. Io non sono di questi. Vuoi che te la dica chiara e tonda? La scienza è la più gran prova della nostra ignoranza. Per tranquillarti, ti ho parlato di allucinazioni, di induzione, di recettività… Parole, caro mio! Più studio e più mi sento preso dalla disperazione di sapere qualcosa di certo. Sembra fatto apposta; quando gli scienziati già si rallegrano di aver constatato una legge, pàffete! ecco un fatto, una scoperta che la butta giù con un manrovescio. Bisogna rassegnarsi. E tu lascia

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andare, quel che accade a te e alla tua signora è accaduto a tanti altri. Passerà. Che t’importa di sapere perché e come sia avvenuto? T’inquietano forse i sogni?» «Se tu mi permettessi di parlare…» «Parla pure, giacché vuoi sfogarti; ma ti dico anticipatamente che fai peggio. L’unico modo di vincere certe impressioni è quello di distrarsi, di sovrapporre ad esse impressioni più forti, allontanandosi dai luoghi che probabilmente han contribuito a produrle. Un diavolo scaccia l’altro: è proverbio sapientissimo.» «Lo abbiamo fatto; è stato inutile. I primi fenomeni, le prime manifestazioni più evidenti sono avvenuti in campagna, nella nostra villa di Foscolara… Siamo scappati via. Ma la stessa sera dell’arrivo in città…» «È naturale. Che distrazione poteva darvi la vostra casa? Dovevate viaggiare, far vita d’albergo, un giorno qua, un giorno là; andare attorno l’intera giornata per chiese, monumenti, musei, teatri; tornare all’albergo a sera tardi, stanchi morti…» «Abbiamo fatto anche questo, ma…» «Voi due soli, m’immagino. Dovevate cercare la compagnia di qualche amico, di una comitiva…» «Lo abbiamo fatto; non è valso a niente.» «Chi sa che comitiva!» «Di gente allegra…» «Gente egoista vuol dire, e vi siete trovati isolatissimi in mezzo ad essa, capisco…» «Prendevamo anzi molta parte alla loro allegria, sinceramente, spensieratamente. Appena però ci trovavamo soli… Non potevamo mica condurre la comitiva a dormire con noi…» «Ma dunque dormivate? Ora non capisco più, se tu intendi parlare di allucinazioni o pure di sogni…» «E picchia con le allucinazioni, coi sogni! Eravamo svegli, con tanto di occhi spalancati, nelle più limpide funzioni dei sensi e dello spirito, come in questo momento che vorrei ragionare con te e tu ti ostini a non volermi concedere…» «Tutto quel che vuoi.» «Vorrei almeno esporti i fatti.» «Li so, me li figuro; i libri di scienza ne sono pieni zeppi. Potranno esservi diversità insignificanti nei minuti particolari… Non contano. L’essenziale natura del fenomeno non muta per ciò.» «Non vuoi darmi neppure la soddisfazione…» «Cento, non una, giacché ti fa piacere. Tu sei di coloro che

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amano di crogiolarsi nei dolori, quasi vogliano centellinarseli… È stupido, scusa!… Ma se ti fa piacere…» «Francamente, mi sembra che tu abbia paura.» «Paura di che? Sarebbe bella!…» «Paura di dover mutare opinione. Hai detto: Io non credo agli spiriti. E se, dopo, fossi costretto a crederci?» «Ebbene, sì; questo mi seccherebbe. Che vuoi? Siamo così noi scienziati: siamo uomini, caro mio. Quando il nostro modo di vedere, di giudicare ha preso una piega, l’intelletto si rifiuta fin di prestar fede ai sensi. Anche l’intelligenza è affare di abitudine. Tu intanto mi metti con le spalle al muro. Sia. Sentiamo dunque questi famosi fatti.» «Oh!…» esclamò con un largo respiro Lelio Giorgi. «Già sai per quali tristi circostanze dovetti andarmene a cercar fortuna in America. I parenti di Luisa erano contrari alla nostra unione; come tutti i parenti – e non dico che avessero torto – anch’essi badavano, più che ad altro, alla situazione economica di colui che doveva essere il marito della loro figliuola. Non avevano fiducia nel mio ingegno; diffidavano anzi della mia pretesa qualità di poeta. Quel volumetto di versi giovanili pubblicato allora, è stato la mia maggiore disgrazia. Non che pubblicati, non ne ho scritti più da quell’anno in poi; ma anche tu, poco fa, mi hai chiamato caro poeta! L’etichetta mi è rimasta appiccata addosso, quasi fosse stata scritta con inchiostro indelebile. Basta. Suol dirsi che c’è un Dio per gli ubriachi e pei bambini. Bisognerebbe aggiungere: E talvolta anche pei poeti, giacché devo passare per poeta.» «Ecco come siete voialtri letterati! Cominciamo sempre ab ovo!» «Non spazientirti. Ascolta. Durante la mia dimora di tre anni a Buenos Aires, non avevo più avuto nessuna notizia di Luisa. Piovutami dal cielo quell’eredità di uno zio che non s’era mai fatto vivo con me, tornai in Europa, corsi a Londra… e con duecentomila lire di cartelle della Banca d’Inghilterra volai qui… dove mi attendeva il più doloroso disinganno. Luisa era sposa da sei mesi! Ed io l’amavo più di prima!… La povera creatura aveva dovuto cedere alle insistenti pressioni dei suoi. Ci mancò poco, te lo giuro, che non commettessi una pazzia. Questi particolari, vedrai, non sono superflui… Commisi però la sciocchezza di scriverle una focosissima lettera di rimproveri, e di spedirgliela per posta. Non avevo previsto che potesse capitare in mano del marito. Il giorno dopo egli si presentò a casa mia. Compresi subito

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l’enormità del mio atto e mi proposi di esser calmo. Era calmo anche lui. “Vengo a restituirle questa lettera” mi disse. “Ho aperto sbadatamente, non per indiscrezione, la busta che la conteneva; ed è stato bene che sia accaduto così. Mi hanno assicurato che lei è un gentiluomo. Rispetto il suo dolore; ma spero che lei non vorrà turbare inutilmente la pace di una famiglia. Se può fare lo sforzo di riflettere, si convincerà che nessuno ha voluto arrecarle del male volontariamente. Certe fatalità della vita non si sfuggono. Lei intende qual è ormai il suo dovere. Le dico intanto, senza spavalderia, che son risoluto a difendere a ogni costo la mia felicità domestica.” Era impallidito parlando e gli tremava la voce. “Chiedo perdono dell’imprudenza” risposi. “E, per meglio rassicurarla, le dico che domani partirò per Parigi.” Dovevo essere più pallido di lui; le parole mi uscivano a stento di bocca. Mi stese la mano; gliela strinsi. E mantenni la parola. Sei mesi dopo, ricevevo un telegramma di Luisa: “Sono vedova. T’amo sempre. E tu?”. Suo marito era morto da due mesi. «Il mondo è così: la disgrazia di uno forma la felicità di un altro.» «È quel che egoisticamente pensai anch’io; ma non sempre è vero. Mi era parso di toccare il cielo col dito la sera delle nozze e durante i primi mesi della nostra unione. Evitammo, per tacito accordo, di parlare di colui. Luisa aveva distrutto ogni traccia del morto. Non per ingratitudine, giacché quegli, illudendosi di essere amato, aveva fatto ogni sforzo per renderle lieta la vita; ma perché temeva che l’ombra di un ricordo, anche insignificante, potesse dispiacermi. Indovinava giusto. Certe volte, il pensiero che il corpo della mia adorata era stato in pieno possesso, quantunque legittimo, di un altro mi dava tale stretta al cuore, che mi faceva fremere da capo a piedi. Mi sforzavo di nasconderglielo. Spesso però l’intuito femminile velava di malinconia i begli occhi di Luisa. E per ciò la vidi raggiante di gioia, quando ella fu sicura di potermi annunciare che un frutto del nostro amore le palpitava nel seno. Ricordo benissimo: prendevamo il caffè, io in piedi, ella seduta con una posa di dolce stanchezza. Fu quella la prima volta che un accenno al passato le sfuggì dalle labbra. “Come sono felice”, esclamò, “che questo sia avvenuto soltanto ora!”. Si udì un gran colpo all’uscio, quasi qualcuno vi avesse picchiato forte col pugno. Trasalimmo. Io corsi a vedere, sospettando una sbadataggine della cameriera o di un servitore; nella stanza allato non c’era nessuno.»

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«Vi sarà parso colpo di pugno qualche schianto forse prodotto nel legno dell’uscio dal calore della stagione.» «Diedi tale spiegazione, visto il turbamento grandissimo di Luisa; ma non ne ero convinto. Un forte senso di impaccio, non so definirlo altrimenti, si era impossessato di me e non riuscivo a celarlo. Stemmo alcuni minuti in attesa. Niente. Da quel momento in poi, però, notai che Luisa evitava di rimaner sola; il turbamento persisteva in lei, quantunque non osasse di confessarmelo, né io di interrogarla.» «E così, ora comprendo, vi siete suggestionati, inconsapevolmente, a vicenda.» «Niente affatto. Pochi giorni dopo io ridevo di quella sciocca impressione; e attribuivo allo stato interessante di Luisa l’eccessivo eccitamento nervoso che traspariva dai suoi atti. Poi parve tranquillarsi anch’essa. Avvenne il parto. Dopo qualche mese però, mi accorsi che quel senso di paura, anzi di terrore, l’aveva ripresa. La notte, tutt’a un tratto, ella si avvinghiava a me, diaccia, tremante. “Che cosa hai? Ti senti male?”, le domandavo ansioso. “Ho paura… Non hai udito?”. “No”. “Non odi?…”, insistette la sera appresso. “No”. Invece quella volta udivo un fioco suono di passi per la stanza, su e giù, attorno al letto; dicevo di no per non atterrirla di più. Levavo il capo, guardavo… “Dev’essere entrato qualche topo in camera…”. “Ho paura!… Ho paura!”. Per parecchie notti, ad ora fissa prima della mezzanotte, sempre quello scalpiccio, quell’inesplicabile andare e venire, su e giù, di persona invisibile, attorno al letto. Lo attendevamo.» «E le fantasie riscaldate facevano il resto.» «Tu mi conosci bene; non sono uomo da essere eccitato facilmente. Facevo il bravo anzi, per riguardo di Luisa; tentavo di dare spiegazioni del fatto: echi, ripercussioni di rumori lontani; accidentalità della costruzione della villa, che la rendevano stranamente sonora… Tornammo in città. Ma, la notte appresso, il fenomeno si riprodusse con maggior forza. Due volte la spalliera appiè del letto venne scossa con violenza. Balzai giù, per osservar meglio. Luisa, rannicchiata sotto le coperte, balbettava: “È lui! È lui!”.» «Scusa,» lo interruppe Mongeri «non te lo dico per metter male tra tua moglie e te, ma io non sposerei una vedova per tutto l’oro del mondo! Qualcosa permane sempre del marito morto, a dispetto di tutto, nella vedova. Sì. “È lui! È lui!”. Non già, come crede tua moglie, l’anima del defunto. È quel lui, cioè sono quelle

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sensazioni, quelle impressioni di lui rimaste incancellabili nelle sue carni. Siamo in piena fisiologia.» «Sia pure. Ma io» riprese Lelio Giorgi «come c’entro con la tua fisiologia?» «Tu sei suggestionato; ora è evidente, evidentissimo.» «Suggestionato soltanto la notte? A ora fissa?» «L’attenzione aspettante, oh! fa prodigi.» «E come mai il fenomeno varia ogni volta, con particolari imprevisti, poiché la mia immaginazione non lavora punto?» «Ti pare. Non abbiamo sempre coscienza di quel che avviene dentro di noi. L’incosciente! Eh! Eh! fa prodigi anch’esso.» «Lasciami continuare. Riserva le tue spiegazioni a quando avrò finito. Nota che la mattina, nella giornata, noi ragionavamo del fatto con relativa tranquillità. Luisa mi rendeva conto di quel che aveva sentito lei, per raffrontarlo con quel che avevo sentito io, appunto per convincerci, come tu dici, se mai le fantasie sovraeccitate ci facessero, nostro malgrado, quel brutto scherzo. Risultava che avevamo sentito l’identico rumore di passi, nella stessa direzione, ora lento, ora accelerato; la stessa scossa alla spalliera del letto, lo stesso strappo alle coperte e nella stessissima circostanza, cioè quando io tentavo, con una carezza, con un bacio, di calmare il suo terrore, d’impedirle di gridare “È lui! È lui!”, quasi quel bacio, quella carezza provocassero lo sdegno della persona invisibile. Poi, una notte, Luisa, aggrappandosi al collo, accostando le labbra al mio orecchio, con un suono di voce che mi fece trasalire, mi sussurrò: “Ha parlato!”. “Che dice?”, “Non ho sentito bene… Odi? Ha detto: Sei mia!”. E siccome anch’io la stringevo più fortemente al petto, sentii che le braccia di Luisa venivano tratte indietro, violentemente, da due mani poderose; e dovettero cedere nonostante la resistenza che mia moglie opponeva.» «Che resistenza poteva opporre, se era lei stessa che agiva in quel modo, senza averne coscienza?» «Va bene… Ma ho sentito l’ostacolo anche io, di persona che si frapponeva tra me e lei, di persona che voleva impedire, a ogni costo, il contatto tra me e lei… Ho visto mia moglie rigettata indietro con una spinta… Giacché Luisa voleva stare in piedi, per via del bambino che dormiva nella culla accanto al letto, ora che sentivamo scricchiolare i ferri a cui la culla era sospesa e vedevamo la culla dondolare, traballare e le copertine volare via per la camera, buttate per aria malamente… Non era allucinazione questa. Le raccoglievo; Luisa, tremante, le rimetteva al posto; ma di lì

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a poco esse volavano per aria di nuovo, e il bambino, destato dalla scossa, piangeva. Tre notti fa, peggio… Luisa sembrava vinta dal malefico fascino di colui… Non mi udiva più, se la chiamavo, non si accorgeva di me che le stavo davanti… Parlava con colui e, dalle sue risposte, capivo quel che colui le diceva. “Che colpa ho io, se tu sei morto? Oh! no, no!… Come puoi pensarlo? Avvelenarti io?… Per sbarazzarmi di te?… È un’infamia! E il bambino che colpa ha? Soffri? Pregherò per te farò dire delle messe… Non vuoi messe?… Me, vuoi?… Ma come mai? Sei morto!…” Invano io la scotevo, la chiamavo per destarla da quella fissazione, da quell’allucinazione… Luisa si ricomponeva tutt’a un tratto. “Hai sentito?”, mi diceva, “Mi accusano di averlo avvelenato. Tu non ci credi… Tu non mi sospetterai capace… oh Dio! E come faremo pel bambino? Lo farà morire! Hai sentito?”. Io non avevo udito niente, ma capivo benissimo che Luisa non era pazza, non delirava… Piangeva, abbracciando stretto stretto il bambino levato dalla culla per proteggerlo dal maleficio di colui. “Come faremo? Come faremo?”» «Il bambino però stava bene. Questo avrebbe dovuto tranquillarvi.» «Che vuoi? Non si assiste a fatti di tale natura senza che la mente più solida non ne riceva una scossa. Io non sono superstizioso, ma non sono neppure un libero pensatore. Sono di quelli che credono e non credono, che non si occupano di questioni religiose perché non hanno tempo né voglia di occuparsene… Ma nel mio caso e sotto l’influenza delle parole di mia moglie: “Farò dire delle messe”, pensai naturalmente all’intervento di un prete.» «L’hai fatta esorcizzare?» «No, ma ho fatto ribenedire la casa, con gran spargimento di acqua benedetta… anche per impressionare l’immaginazione della povera Luisa, se mai si fosse trattato d’immaginazione esaltata, di nervi sconvolti… Luisa è credente. Tu ridi, ma avrei voluto veder te nei miei panni.» «E l’acqua benedetta?» «Inefficace. Come se non fosse stata adoperata.» «Non l’avevi pensato male. Anche la scienza ricorre talvolta a mezzi simili nelle malattie nervose. Abbiamo il caso di quel tale che credeva gli si fosse allungato enormemente il naso. Il medico finse di fargli l’operazione, con tutto l’apparato di strumenti, di legatura di vene, di fasciature… e il malato guarì.» «L’acqua benedetta invece fece peggio. La notte dopo… Oh!…

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Mi sento rabbrividire al solo pensarci. Ora tutto l’odio di colui era rivolto contro il bambino… Come proteggerlo?… Appena Luisa vedeva…» «O le sembrava di vedere…» «Vedeva, caro mio, vedeva… Vedevo anche io… quasi. Giacché mia moglie non poteva più avvicinarsi alla culla; una strana forza glielo impediva… Io tremavo allo spettacolo di lei che tendeva desolatamente le braccia verso la culla, mentre colui – me lo diceva Luisa – chinato sul bambino dormente, faceva qualcosa di terribile, bocca con bocca, come se gli succhiasse la vita, il sangue… Sono tre notti di seguito che la nefanda operazione si ripete e il bambino, il caro figliolino… non si riconosce più. Bianco, da roseo che era! come se realmente colui gli abbia aspirato il sangue; deperito in modo incredibile, in tre sole notti! È immaginazione questa? È immaginazione? Vieni a vederlo.» «Si tratta dunque?...» Il Mongeri rimase alcuni minuti pensoso, a testa bassa, aggrottando le sopracciglia. Il sorriso un po’ sarcastico e un po’ compassionevole apparsogli su le labbra mentre Lelio Grandi parlava, si era spento tutt’a un tratto. Poi alzò gli occhi, fissò l’amico che lo guardava con ansiosissima attesa e ripeté: – Si tratta dunque?… Ascoltami bene. Io non ti spiego niente, perché sono convinto di non poter spiegarti niente. È difficile essere più schietto di così. Ma posso darti un consiglio… empirico, che forse ti farà sorridere alla tua volta, specialmente venendoti da me… Fanne l’uso che credi.» «Lo eseguirò subito, oggi stesso.» «Ci vorrà qualche giorno, per parecchie pratiche che occorrono. Ti aiuterò a sbrigarle nel più breve tempo possibile. I fatti che mi hai riferito non li metto in dubbio. Devo aggiungere che, per quanto la scienza sia ritrosa di occuparsi di fenomeni di tale natura, da qualche tempo in qua non li tratta con l’aria sprezzante di prima: tenta di farli rientrare nella cerchia dei fenomeni naturali. Per la scienza non esiste altro, all’infuori di questo mondo materiale. Lo spirito… Essa lascia che dello spirito si occupino i credenti, i mistici, i fantastici che oggi si chiamano spiritisti… Per la scienza c’è di reale soltanto l’organismo, questa compagine di carne e di ossa formante l’individuo e che si disgrega con la morte di esso, risolvendosi negli elementi chimici da cui riceveva funzionamento di vita e di pensiero. Disgregati questi… Ma appunto la questione si riduce, secondo qualcuno, a sapere se la putrefazio-

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ne, la disgregazione degli atomi, o meglio la loro funzione organica si arresti istantaneamente con la morte, annullando ipso facto la individualità, o se questa perduri, secondo i casi e le circostanze, più o meno lungamente dopo la morte… Si comincia a sospettarlo… E su questo punto la scienza verrebbe a trovarsi d’accordo con la credenza popolare… Io studio, da tre anni, i rimedi empirici delle donnicciole, dei contadini per spiegarmi il loro valore… Essi, spessissimo, guariscono mali che la scienza non sa guarire… La mia opinione oggi sai tu qual è? Che quei rimedi empirici, tradizionali siano i resti, i frammenti della segreta scienza antica, e anche, più probabilmente, di quell’istinto che noi possiamo oggi verificare nelle bestie. L’uomo, da principio, quando era molto vicino alle bestie più che ora non sia, divinava anche lui il valore terapeutico di certe erbe: e l’uso di esse si è perpetuato, trasmesso di generazione in generazione, come nelle bestie. In queste opera ancora l’istinto; nell’uomo, dopo che lo svolgimento delle sue facoltà ha ottenebrato questa virtù primitiva, perdura unicamente la tradizione. Le donnicciole, che sono più tenacemente attaccate ad essa, ci han conservato alcuni di quei suggerimenti della natura medicatrice; ed io credo che la scienza debba occuparsi di questo fatto, perché in ogni superstizione si nasconde qualcosa che non è unicamente fallace osservazione dell’ignoranza… Perdonami questa lunga disgressione. Quello che qualche scienziato ora ammette, cioè che, con l’atto apparente della morte di un individuo, non cessi realmente il funzionamento dell’esistenza individuale fino a che tutti gli elementi non si siano per intero disgregati, la superstizione popolare – ci serviamo di questa parola – lo ha già divinato da un pezzo con la credenza nei Vampiri, ed ha divinato il rimedio. I Vampiri sarebbero individualità più persistenti delle altre, casi rari, sì, ma possibili anche senza ammettere l’immortalità dell’anima, dello spirito… Non spalancar gli occhi, non crollare la testa… È fatto, non insolito, intorno al quale la così detta superstizione popolare – diciamo meglio – la divinazione primitiva potrebbe trovarsi d’accordo con la scienza… E sai qual è la difesa contro la malefica azione dei Vampiri, di queste persistenti individualità che credono di poter prolungare la loro esistenza succhiando il sangue o l’essenza vitale delle persone sane?… L’affrettamento della distruzione del loro corpo. Nelle località dove questo fatto si produce, le donnicciole, i contadini corrono al cimitero, disseppelliscono il cadavere, lo bruciano… È provato che il Vampiro allora muore davvero; e infatti il fenomeno cessa… Tu dici

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che il tuo bambino…» «Vieni a vederlo; non si riconosce più. Luisa è pazza dal dolore e dal terrore… Mi sento impazzire pure io, anche perché invasato dal diabolico sospetto… Ma… Invano mi ripeto: Non è vero! Non può esser vero!… Invano ho tentato di confortarmi pensando: E dato pure che fosse vero?… È una gran prova d’amore. Si è fatta avvelenatrice per te!… Invano! Non so né posso più difendermi da una vivissima repugnanza, da una straziante violenza di allontanamento, altra malefica opera di colui!… Egli insiste nel rimprovero: lo capisco dalle risposte di Luisa, quando colui la tiene sotto il suo orrido fascino, e la poverina protesta. “Avvelenarti? Io?… Come puoi crederlo?…” Oh! Non viviamo più, amico mio. Sono mesi e mesi che sopportiamo questo tormento, senza farne parola a nessuno per timore di far ridere di noi le persone che si dicono spregiudicate… Tu sei il primo a cui ho avuto il coraggio di farne la confidenza per disperazione, per invocare un consiglio, uno scampo… E avremmo ancora pazientemente sopportato tutto, lusingandoci che così strani fenomeni non avrebbero potuto prolungarsi troppo, se ora non corresse pericolo la nostra innocente creaturina.» «Fate cremare il cadavere. È una prova che m’interessa, oltre che come amico, come scienziato. Alla moglie, quantunque non più vedova, sarà facilmente concesso; ti aiuterò nelle pratiche occorrenti presso le autorità. E non mi vergogno per la scienza di cui sono un meschino cultore. La scienza non scapita di dignità ricorrendo anche all’empirismo, facendo tesoro di una superstizione, se poi potrà verificare che è superstizione soltanto in apparenza; ne riceverà impulsi a ricerche non tentate, a scoprire verità non sospettate. La scienza deve essere modesta, buona, pur di aumentare il suo patrimonio di fatti, di verità. Fate cremare il cadavere. Ti parlo seriamente» soggiunse il Mongeri, leggendo negli occhi del suo amico il dubbio di esser trattato da donnicciola, da popolano ignorante. «E il bambino intanto?» esclamò Lelio Giorgi torcendosi le mani. «Una notte io ebbi un impeto di furore; mi slanciai contro colui seguendo la direzione degli sguardi di Luisa, quasi egli fosse persona da potersi afferrare e strozzare; mi slanciai urlando: “Va’ via! Va’ via, maledetto!…”. Ma fatti pochi passi, ero arrestato, paralizzato, inchiodato là, a distanza con le parole che mi morivano in gola e non riuscivano a tradursi neppure in indistinto mugolio… Tu non puoi credere, tu non puoi immaginare…»

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«Se volessi permettermi di tenervi compagnia questa notte…» «Ecco: me lo chiedi con tale accento di diffidenza…» «T’inganni.» «Forse faremo peggio: temo che la tua presenza non serva che ad irritarlo di più, come la benedizione della casa. Questa notte no. Verrò a riferirti domani…» E, il giorno dopo, egli tornò così spaventato, così disfatto che il Mongeri concepì qualche dubbio intorno all’integrità delle facoltà mentali del suo amico. «Egli sa!» balbettò Lelio Giorgi appena entrato nello studio. «Ah, che nottata d’inferno! Luisa lo ha sentito bestemmiare, urlare, minacciare terribili castighi se noi oseremo.» «Tanto più dobbiamo osare» rispose il Mongeri. «Se tu avessi visto quella culla scossa, agitata in modo che io non so spiegarmi come il bambino non sia cascato per terra! Luisa ha dovuto buttarsi ginocchioni, invocando pietà, gridandogli: “Si, sarò tua, tutta tua!… Ma risparmia quest’innocente…”. E in quel momento mi è parso che ogni mio legame con lei fosse rotto, ch’ella non fosse davvero più mia, ma sua, di colui!» «Calmati!… Vinceremo. Calmati!… Voglio esser con voi questa notte.» Il Mongeri era andato con la convinzione che la sua presenza avrebbe impedito la manifestazione del fenomeno. Pensava: “Accade quasi sempre così. Queste forze ignote vengono neutralizzate da forze indifferenti, estranee. Accade quasi sempre così. Come? Perché? Un giorno certamente lo sapremo. Intanto bisogna osservare, studiare”. E, nelle prime ore di quella notte, accadeva proprio com’egli aveva pensato. La signora Luisa girava gli spauriti occhi attorno, tendeva ansiosamente l’orecchio… Niente. La culla rimaneva immobile: il bambino, pallido pallido, dimagrito, dormiva tranquillamente. Lelio Giorgi, frenando a stento l’agitazione, guardava ora sua moglie, ora il Mongeri che sorrideva soddisfatto. Intanto ragionavano di cose che, nonostante la preoccupazione, arrivavano in alcuni momenti a distrarli. Il Mongeri aveva cominciato a raccontare una sua divertentissima avventura di viaggio. Bel parlatore, senza nessun’affettazione di gravità scientifica, egli intendeva di deviare così l’attenzione di quei due, e intanto non perderli d’occhio, per notare tutte le fasi del fenomeno caso

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mai dovesse ripetersi, e già cominciava a persuadersi che il suo intervento sarebbe stato salutare, quando nell’istante che il suo sguardo si era rivolto verso la culla, egli si accorse di un lieve movimento di essa, il quale non poteva esser prodotto da nessuno di loro perché la signora Luisa e Lelio gli sedevano dirimpetto e discosti dal posto dov’era la culla. Non poté far a meno di fermarsi, di farsi scorgere, e allora Luisa e Lelio balzarono in piedi. Il movimento era aumentato gradatamente e quando la signora Luisa si volse a guardare là, dove gli occhi di Mongeri si erano involontariamente fissati, la culla si dondolava e sobbalzava. «Eccolo!» ella gridò. «Oh, Dio! Povero figliolino!» Fece per accorrere, ma non poté. E cadde rovesciata su la poltrona dov’era stata seduta fin allora. Pallidissima, scossa da un fremito per tutta la persona, con gli occhi sbarrati e le pupille immobili, balbettava qualcosa che le gorgogliava nella gola e non prendeva suono di parola, e sembrava dovesse soffocarla. «Non è niente!» disse Mongeri, levatosi in piedi anche lui e stringendo la mano di Lelio che gli si era accostato con vivissimo atto di terrore, quasi per difesa. La signora Luisa, irrigiditasi un istante, ebbe un tremito più violento e subito parve ritornasse allo stato ordinario; se non che la sua attenzione era tutta diretta a guardare qualcosa che gli altri due non scorgevano, a prestar ascolto a parole che quelli non udivano, e delle quali indovinavano il senso dalle risposte di lei. «Perché dici che voglio continuare a farti del male?… Ho pregato per te!… Ho fatto dir delle messe!… Ma non si può sciogliere! Tu sei morto… Non sei morto?… Dunque perché mi accusi di averti avvelenato?… D’accordo con lui? Oh!… Ti aveva promesso, sì; ed ha mantenuto… Per finzione? C’intendevamo da lontano? Lui m’ha spedito il veleno?… È assurdo! Non dovresti crederlo se è vero che i morti vedono la verità… Va bene. Non ti stimerò morto… Non te lo ripeterò più.» «È in istato di trance spontanea!» disse Mongeri all’orecchio di Lelio. «Lasciami.» Presala pei pollici, dopo qualche minuto, e ad alta voce, chiamò: «Signora!…» Alla voce cupa e irritata, voce robusta, maschile, con cui ella rispose, Mongeri dié un salto indietro. La signora Luisa si era rizzata sul busto con tal viso rabbuiato, con tale espressione di durezza nei lineamenti, da sembrare altra persona. La speciale bellezza della sua fisionomia, quel che di gentile, di buono, quasi di vergi-

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nale che risultava dalla dolcezza dello sguardo dei begli occhi azzurri e dal lieve sorriso errante sulle labbra, come un delicato palpito di esse, quella speciale bellezza era compiutamente sparita. «Che cosa vuoi? Perché t’intrometti tu?» Mongeri riprese quasi subito padronanza di sé. L’abituale sua diffidenza di scienziato gli faceva sospettare di aver dovuto sentire anche lui, per induzione, per consenso dei centri nervosi, l’influsso del forte stato di allucinazione di quei due, se gli era parso di veder dondolare e sobbalzare la culla che, ora, egli vedeva benissimo immobile, con dentro il bambino tranquillamente addormentato, ora che la sua attenzione veniva attirata dallo straordinario fenomeno della personificazione del fantasma. Si accostò, con un senso di dispetto contro se stesso per quello sbalzo indietro al rude suono di voce che lo aveva quasi investito, e rispose imperiosamente: «Finiscila! Te l’ordino!» Aveva messo nell’espressione tale sforzo di volontà che il comando avrebbe dovuto imporsi all’esaltamento nervoso della signora, superarlo – egli pensava. La sardonica e lunga risata che rispose subito a quel te l’ordino, lo scosse, lo fece titubare un istante. «Finiscila! Te l’ordino!» replicò poi con maggior forza. «Ah! Ah! Vuoi essere il terzo… che gode… Avvelenerete anche lui?» «Mentisci! Infamemente!» Mongeri non aveva potuto trattenersi di rispondere come a persona viva. E la lucidità della sua mente già un po’ turbata, nonostante gli sforzi ch’egli faceva per rimanere osservatore attento e imparziale, venne sconvolta a un tratto quando si sentì battere due volte sulla spalla da mano invisibile, e nel medesimo istante si vide apparire davanti al lume una mano grigiastra, mezza trasparente, quasi fosse fatta di fumo, e che contraeva e distendeva con rapido moto le dita assottigliandosi come se il calore della fiamma la facesse evaporare. «Vedi? Vedi?» gli disse Giorgi. E aveva il pianto nella voce. Improvvisamente ogni fenomeno cessò. La signora Luisa si destava dal suo stato di trance, quasi si svegliasse da sonno naturale, e girava gli occhi per la camera, interrogando il marito e Mongeri con una breve mossa del capo. Essi s’interrogavano, alla lor volta, sbalorditi di quel senso di serenità, o meglio di liberazione che rendeva facile il loro respiro e regolari i battiti del cuore.

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Nessuno osava parlare. Solamente un fioco lamento del bambino li fece accorrere ansiosi verso la culla. Il bambino gemeva, gemeva, dibattendosi sotto l’oppressione di qualcosa che sembrava aggravarglisi sulla bocca e gli impedisse di gridare… Improvvisamente, cessò anche questo fenomeno, e non accadde più altro. La mattina, andando via, Mongeri non pensava soltanto che gli scienziati hanno torto di non voler studiare da vicino casi che coincidono con le superstizioni popolari, ma tornava a ripetersi mentalmente quel che aveva detto due giorni avanti ai suo amico: Non sposerei una vedova per tutto l’oro del mondo. Come scienziato è stato ammirevole, conducendo l’esperimento fino all’ultimo senza punto curarsi se (nel caso che la cremazione del cadavere del primo marito della signora Luisa non avesse approdato a niente) la sua reputazione dovesse soffrirne presso i colleghi e presso il pubblico. Quantunque l’esperimento abbia confermato la credenza popolare e dal giorno della cremazione dei resti del cadavere i fenomeni siano compiutamente cessati, con gran sollievo di Lelio Giorgi e della buona signora Luisa, nella sua relazione, non ancora pubblicata, il Mongeri però non ha saputo mostrarsi interamente sincero. Non ha detto: “I fatti sono questi, e questo il resultato del rimedio: la pretesa superstizione popolare ha avuto ragione sulle negazioni della scienza; il Vampiro è morto completamente appena il suo corpo venne cremato”. No. Egli ha messo tanti se, tanti ma nella narrazione delle minime circostanze, ha sfoggiato tanta allucinazione, tanta suggestione, tanta induzione nervosa nel suo ragionamento scientifico, da confermare quel che aveva confessato l’altra volta, cioè: che anche la intelligenza è affare d’abitudine e che il mutar di parere lo avrebbe seccato. Il più curioso è che non si è mostrato più coerente come uomo. Egli che proclamava: “Non sposerei una vedova per tutto l’oro del mondo” ne ha poi sposata una per molto meno, per sessantamila lire di dote! E a Lelio Giorgi che ingenuamente gli disse: “Ma come?… Tu!…”; rispose: “A quest’ora non esistono insieme neppure due atomi del corpo del primo marito. È morto da sei anni!”, senza accorgersi che, parlando così, contraddiceva l’autore della memoria scientifica Un preteso caso di Vampirismo, cioè se stesso. A cura di LIBER LIBER www.liberliber.it tratto da: Un vampiro (1904), Passigli Editore, Firenze, 1995, ISBN 8836803210

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Sei un di tale narratore nto? In o un di COME v iaci la segnat SI INVIANO t ore ua ope RACCONTI E a n c h e tu al FUMETTI PER LA r la rivis a! Partecip SEZIONE ANTOLOGICA? a ta!!! 1. GENERI Terre di Confine riceve e valuta per la pubblicazione in rivista tutte le storie contenenti elementi fantastici e/o fantascientifici; quindi, a titolo indicativo: Fantascienza, Fantasy, Fantastico in generale, ma anche Horror, Gotico, Avventura, Epica, Giallo, Thriller, Distopico, Umoristico, Mistery ecc., se caratterizzati da ben riconoscibili connotati o ambientazioni o argomenti rientranti nella definizione di cui sopra. Attinenti possono essere temi come il soprannaturale, il surreale, lo strano, il perturbante, la tecnologia, il mistero, la magia, la mitologia ecc. Nel caso di opere borderline, è la Redazione a valutarne di volta in volta la pertinenza.

2. OPERE AMMESSE E DIRITTI La sezione antologica propone racconti e fumetti selezionati. Non ci sono limiti di lunghezza: eventuali opere lunghe possono essere suddivise in puntate; se ritenute eccessivamente corpose* per la pubblicazione in rivista, vengono comunque sottoposte all’attenzione dell’editore Plesio per altri possibili sviluppi editoriali. Riassumendo, esaminiamo con piacere e passione: a) racconti, *romanzi, fiabe (in lingua italiana); b) fumetti autoconclusivi o a puntate, graphic novel (in lingue italiana, in218

glese, francese, tedesca, spagnola e giapponese). Le opere possono essere sia inedite che edite, purché gli autori garantiscano il possesso dei diritti e siano pertanto in grado di autorizzare la pubblicazione a titolo gratuito. I diritti resteranno in ogni caso proprietà dei concedenti. La rivista ha finalità culturali e divulgative, nessun contributo (monetario o di qualsiasi altro genere) verrà mai chiesto all’autore da Terre di Confine per la pubblicazione. La rivista s’impegna a preservare (o migliorare, in accordo con gli autori) l’integrità artistica delle opere, e a valorizzarle in tutte le maniere compatibili con le proprie risorse tecniche ed economiche. 3. MODALITÀ DI INVIO Le opere possono essere trasmesse via e-mail a selezione@terrediconfine.eu sotto forma di allegati o come link a file scaricabili dalla rete. CONTATTI Per ogni domanda o informazione, restiamo a disposizione agli indirizzi redazionali: www.terrediconfine.eu redazione@terrediconfine.eu


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e io alle pecore elettrich gg ma l’o ve do , cs mi virtuale Electric Sheep Co luto, è un laboratorio vo ù pi di to an qu è ck hic novel di Philip K. Di ici appassionati di grap am o tr at qu di a de le ll’i nato da lo di unire le forze e el qu è to en nt L’i . re to per e fumetti in gene erire al nostro proget ad no an rr vo ti an qu capacità di letterario. Già, uscire, nd ou gr er nd ll’u de to me: ESC! “uscire” dall’anonima viazione del nostro no re bb l’a e isc er gg su proprio come Electric Sheep Comi cs nasce nell’aprile de l 2012; in appena un anno e mezzo sono oltre dieci gli sceneg gi atori e disegnatori che hanno aderito ag li intenti del laborator io. Sono arrivati importanti riconoscim enti, come la vittoria del Premio Cometa 2013 nelle sezioni “fum etto” e “immagine”; pu bblicazioni di prestigio su importan ti riviste letterarie; co-produzioni di cort cinematografici e la co i llaborazione con le Ed izioni Il Foglio per la creazione della ES C-Collection dedicata alle graphic novel. Proprio quest’ultima sin ergia ha prodotto du e albo cartacei, Touch & Splat e Bloo d Washing, di immine nte pubblicazione. eep Comics sul blog È possibile seguire gli Electric Sh raverso Facebook (escomics.blogspot.it) oppure att eepComics). (www.facebook.com/ElectricSh he per proporre Per ulteriori informazioni, ma anc pubblicazione, i vostri fumetti per una eventuale gmail.com. scrivete a electricsheepcomics@

È arrivato il momento di lasciarvi a Run_Stop_Restore . Buona lettura.

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Grazie per averci seguito! Arrivederci al prossimo numero e... ...non dimenticare di venirci a trovare nel nostro sito!

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