Rivista elettronica aperiodica redatta dal gruppo FantasyStory/FantasyRPG/AccP - www.crepuscolo.it - n. 3 /marzo 2006
Anno II - numero 2
Fantascienza, Fantasy, Anime
SCIENZA
I viaggi nel Tempo
INTERVISTA
Shin Vision
CINEMA
The time machine
FUMETTO
Gea
STORIA
I Cavalieri
ANIME
Cowboy Bebop
N. 003
Anno II - numero 2
Un progetto FantasyStory/FantasyRPG/AccP
Le foto in copertina Immagini d’anteprima tratte da: “The time machine”; “Gea” n.4, copertina Bonelli Edizioni; “Cowboy Bebop”. L’immagine del “Cavaliere” è © Luca Terlazzi http://www.lucatarlazzi.com/
Sommario
TERRE DI CONFINE REDAZIONE EDITORIALE REDAZIONE STAFF
FANTASCIENZA
5 234 PIN-UP: SAMANTHA MUMBA
LETTURA LA MACCHINA DEL TEMPO LETTURA TIMELINE RIFLESSIONI PER PARTITO PRESO... CINEMA L’UOMO VENUTO DALL’IMPOSSIBILE CINEMA L’UOMO CHE VISSE NEL FUTURO CINEMA THE TIME MACHINE SCIENZA E TECNOLOGIA RELATIVITÀ E VIAGGI NEL TEMPO SCIENZA E TECNOLOGIA CRONONAUTI FUMETTO V FOR VENDETTA RACCONTO VITTORIA IN 2 DIMENSIONI
FANTASY
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PIN-UP: ZIYI ZHANG
LETTURA/CINEMA LA STORIA INFINITA LETTURA MANUALE DI ZOOLOGIA FANTASTICA CINEMA I CAVALIERI CHE FECERO L’IMPRESA STORIA E CULTURA CAVALLERIA MEDIEVALE STORIA E CULTURA CAVALLERIA E LETTERATURA GDR I CAVALIERI DEL TEMPIO CINEMA ORIENTLE LA TIGRE E IL DRAGONE FUMETTO GEA
74 86 90 104 110 128 130 136
PIN-UP: FAYE VALENTNE
ANIME SERIE OVA BLUE SUBMARINE NO. 6 SERIE TV COWBOY BEBOP INTERVISTA SHIN VISION ANIME 3D MAZINGA Z TDC N.3 - MARZO 2006
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Continuum, rivista elettronica gratuita di Fantascienza. Presto on-line il n. 22. http://continuum.altervista.org/
Editoriale
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ensire tutti i tipi di “Macchine del Tempo” letterarie e cinematografico-televisive del XX secolo è una vera e propria impresa. Sono una moltitudine. Cabine telefoniche, poltrone, automobili, tempeste sul Pacifico, astronavi, lampade magiche, tunnel, buchi neri, anomalie spaziali, pozzi, specchi, caverne, gadget tascabili… Insomma, abbastanza da soddisfare anche i gusti più eccentrici. Nell’intento di rendere meno inverosimili le loro trovate, molti autori si sono ingegnati per arginare gli ormai celeberrimi “paradossi temporali” che accompagnerebbero eventuali “viaggi nel passato” (o ritorni da “viaggi nel futuro”), e per piegare teorie scientifiche e conoscenze tecniche alle esigenze imposte dalla finzione scenica. In alcuni casi i risultati sono stati perfino “quasi plausibili”. Nella fretta di risolvere il problema “tempo”, però, la stragrande maggioranza dei suddetti autori ha finito per scordarsi del tutto il problema “spazio”. Eppure, come ricorda sovente il buon dottor Emmett Brown, lo spazio-tempo rappresenta un continuum, e in relazione ad esso occorre predisporsi a “pensare quadridimensionalmente”. Si potrebbe immaginare che ogni spostamento nello spazio implichi un viaggio nel tempo. Supponendo di transitare attraverso un ipotetico Stargate, trasferendoci istantaneamente da un punto all’altro dello spazio distanti fra loro 100 anni luce, ci troveremmo nella condizione di non poter smentire, per esempio, l’eventualità di avere viaggiato non per un istante ma per 100 anni alla velocità della luce, muovendoci contestualmente indietro nel tempo di altri 100 anni. Nel caso di un autore di Fantascienza che volesse mettere in scena un viaggio nel tempo, l’equazione da far quadrare sarebbe ribaltata: egli dovrebbe tenere presente che ogni viaggio “temporale” deve, per forza di logica, risultare nello stesso momento anche un viaggio “spaziale”. Nell’impagabile trilogia di Ritorno al Futuro incontriamo una sequenza in cui la DeLorean sfreccia verso un cartellone pubblicitario che, alla velocità di 88 mph, gli sparisce davanti per lasciare spazio al paesaggio spoglio del 1885. Il cambio di scena parrebbe perfettamente “logico” in rapporto a quello d’epoca… ma lo è davvero? Siamo correttamente portati a giustificare l’assenza del cartellone col fatto che nell’anno d’arrivo l’oggetto non esiste(va). Per essere precisi, i suoi componenti esistono anche nel 1885, ma si trovano in altri luoghi o sotto altre forme, o ambedue le cose insieme. Il legno destinato a formarlo, per esempio, nel 1885 può esistere sotto forma di albero in Europa. Lo stesso principio applicato al cartellone deve necessariamente valere per tutti gli elementi dello scenario nel quale Marty McFly si ritrova catapultato, quindi sabbia, cactus, terreno, cielo, montagne… e la stessa Terra. Ci si domanda allora perché la DeLorean, che può impostare sul suo computer di bordo solo una “data” ma non un “luogo”, sparisca davanti a un deserto e ricompaia in America davanti al medesimo, anziché per esempio in Europa di fronte all’albero che in futuro sarà il cartellone pubblicitario. Difficile immaginare cosa, nel cambio di tempo, possa mantenere ancorata la DeLorean in un luogo fisso della Terra (ma in movimento rispetto al continuum). “Luogo” dovrebbe essere una precisa combinazione di coordinate spaziali e temporali. Per trovarsi in quello scenario d’ar-
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TERRE DI CONFINE rivo, allora, la DeLorean avrebbe dovuto spostarsi, oltre che nel tempo, anche di milioni di miglia nello spazio. Il “paradosso” è più chiaro cambiando lo scenario: impostiamo il timer della DeLorean (visto che Marty solo quello può regolare) a 10 minuti nel passato (rispetto quindi al tempo “proprio” del viaggiatore), e lanciamola lungo la pista di atterraggio di una portaerei in navigazione. In quel caso l’auto riappare ancora sulla portaerei ma in anticipo di 10 minuti? o piuttosto in acqua perché nei 10 minuti precedenti non c’era stata alcuna portaerei in quel punto dell’oceano? O addirittura sulla terraferma perché, 10 minuti di rotazione terrestre prima, lì c’era stato un atollo? Nella citata sequenza di Ritorno al Futuro, succede che la logica assenza di ciò che manca (cioè il cartellone) svii l’attenzione dall’incongruenza di ciò che invece è presente (ossia tutto il resto). Se, infatti, un Marty McFly avesse realmente a disposizione oggi una DeLorean con cui tornare indietro di 100 anni nel passato, ma senza potersi spostare “spazialmente” dal punto in cui si trova, e si mettesse così a percorrere a 88 miglia orarie una qualsiasi strada del mondo, dovrebbe premunirsi d’indossare una tuta spaziale. Si ritroverebbe infatti proiettato in pieno vuoto cosmico, dato che nel 1906 la posizione della Terra (sia relativa che assoluta) nel continuum era ben “lontana” dall’attuale. Così come quella del Sole, del suo Sistema, della Galassia, dell’Ammasso Locale, e dell’Universo intero. Al contrario, per restare fissa nel paese americano dal quale parte (come accade nel film), la DeLorean dovrebbe poter computare precise coordinate spaziali oltreché temporali (anche se è un po’ arduo stabilire rispetto a quale sistema di riferimento). Ciò contraddice il vincolo arbitrario imposto dagli autori (presente anche in The Time Machine, e in mille altre opere analoghe), ossia l’impossibilità del veicolo di spostarsi dal luogo d’origine. Una macchina del tempo incapace di muoversi nello spazio è una contraddizione in termini. Essendo in grado di trasferirsi sulla Terra tra 100 anni, a maggior ragione deve poter compiere tragitti minori, per esempio Marte tra 1 secondo (in barba ai limiti fisici quali la “velocità della luce”); deve cioè essere un’astronave a tutti gli effetti, una macchina “dello spazio”, non solo “del tempo”. Una “macchina dello spazio-tempo”.
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d ogni modo, pure pensando “quadridimensionalmente” resta intatta la seduzione che la prospettiva di viaggiare nel tempo esercita su di noi. Essa supera nel nostro immaginario qualsiasi paradosso, o limiti fisico, o impedimento tecnologico. Ci affascina irresistibilmente, forse perché si accompagna a quell’idea di “seconda possibilità” che tutti, per un motivo o per l’altro, vorremmo poter avere. L’idea di andare indietro nel passato, o tornare al presente dal futuro, ci lascia l’illusione di poter soddisfare un nostro grande desiderio, quello di riuscire a vivere la vita col senno di poi. Purtroppo, al momento, neppure la fantasia ha ancora contemplato una macchina del tempo capace di ringiovanire il viaggiatore, o togliergli il rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato. Nell’attesa che una simile meraviglia sia inventata, non resta che stare accorti e cercare (casomai dipendesse da noi) di non commettere errori tanto grossi da rendere poi necessario un “viaggio nel tempo” per poterli riparare.
MASSIMO “DEFA” DE FAVERI
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AREA
FANTASCIENZA “Ho detto che hai sbattuto testa. E che sei... sei uno stupido errante.”
Mara da “The time machine” 2002
FILMOGRAFIA 04. Boy Eats Girl (2005) 03. Johnny Was (2005) 02. Spin the Bottle (2003) 01. The Time Machine (2002
fonte: www.imdb.com
Samantha Mumba
FANTASCIENZA
LETTURA
LA MACCHINA DEL TEMPO [The time machine) di HERBERT. GEORGE WELLS (1895)
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he time machine è probabilmente il primo romanzo in cui il viaggio del tempo venga giustificato con una terminologia pseudoscientifica, piuttosto che mistica o genericamente soprannaturale. L’invenzione di Wells è ormai talmente radicata nella cultura popolare che è difficile immaginare un momento in cui la macchina del tempo, i timidi Eloi e i perfidi Morlock non fossero ancora stati inventati. Dalla radio ai fumetti al cinema non esiste forse media che non abbia fornito la propria versione, spesso riveduta secondo una sensibilità personale, di questa storia. Tutti conoscono la vicenda: un inventore – siamo in epoca vittoriana – concepisce una macchina per viaggiare nel futuro. Raggiunge un’epoca in cui la razza umana si è divisa in due stirpi: i mostruosi Morlock e gli Eloi. Questi ultimi sono sostanzialmente identici agli umani della nostra epoca, ma vivono in un apatico benessere e vengono allevati dai Morlock come bestiame L’eroe sconfigge i Morlock, vive una storia d’amo- con cui si possa più facilmente solidarizzare. In questo modo gli Eloi diventano l’umanità minacciata dai more con una splendida Eloi e tutto finisce bene. stri. Se da un lato questo aiuta a costruire una struttuMa è davvero cosi? ra narrativa solida, dall’altro tradisce profondamente il pensiero di Wells, introducendo una possibilità di DISCENDENTI DELL’UMANITÀ MA NON UMANI. riscatto che nel libro, semplicemente, è assente. Gli a prima grossa sorpresa, leggendo il romanzo, Eloi del libro, alti poco più di un metro, sono la verla si trova nella descrizione fisica degli Eloi. sione sminuita dell’umanità, tanto nel corpo quanto Normalmente, nelle varie trasposizioni di questa sto- nella mente. Attirano la simpatia del lettore e dell’anoria, li si rappresenta come esseri umani diversi da nimo protagonista, ma non c’è dubbio che la civiltà quelli attuali solo per il loro temperamento più inge- umana abbia ormai raggiunto un punto di non ritorno. nuo. Questo non solamente nei film, che hanno ovvi Ovviamente, anche una storia d’amore del protagoniproblemi di budget per gli effetti speciali, ma anche sta con una Eloi è inconcepibile. Weena, che il viagnelle occasioni in cui, per esempio in un fumetto, si giatore salva dall’annegamento, sarà sua compagna desidera citare i personaggi di Wells. La scelta è pro- per tutta l’avventura, ma non appartiene alla stessa babilmente legata al desiderio di avere dei personaggi specie.
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LETTURA: TIMELINE
LA MACCHINA DEL TEMPO L’EVOLUZIONE, IL DECLINO INEVITABILE DELL’UMANITÀ E LA MORTE ENTROPICA.
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erché il romanzo è di un pessimismo straordinario. Non tanto per la descrizione di un mondo in rovina e di un’umanità ridotta a una condizione orribile. Un futuro distopico può includere in sé i semi del riscatto o essere un monito di disastri possibili. Wells immagina per la civiltà un declino irreparabile e assoluto. Partendo dalle sue convinzioni socialiste, immagina il suo mondo futuro come la forma più estrema di lotta di classe. Gli operai, osserva già al suo tempo, lavorano spesso in condizioni così estreme da vedere raramente la luce del sole. In futuro la cosa si estremizzerà ulteriormente: la parte produttiva della società cacciata sottoterra mentre i ricchi vivono alla luce del sole in una società dell’inutile, fatta di rituali sempre più sofisticati. E così, separati sia fisicamente che culturalmente, eliminata qualsiasi forma di mobilità sociale, nelle centinaia di migliaia di anni, le due classi sociali si evolvono in specie distinte. I Morlock, sotterranei, che non sopportano la luce, e gli Eloi, che in assenza di qualsiasi forma di sfida hanno atrofizzato il proprio corpo e la propria mente riducendosi a imbelli con corpi da bambino. Perché, osserva sempre il protagonista del romanzo, in assenza di una necessità, la forza non è più un vantaggio ma un difetto che tormenta chi ne è dotato e non sa come sfogare le proprie energie. La caduta dell’umanità è quindi implicita nella grandezza delle sue scoperte. Raggiunta la compiutezza tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, senza più nulla da scoprire (la crisi della fisica classica verrà solo in seguito e nell’ottocento questa era effettivamente l’opinione diffusa) non può esserci che una spinta alle comodità. E dalle comodità discende un inevitabile declino. Ma Wells non si ferma qui. Quando il protagonista riesce finalmente a recuperare la sua macchina dai Morlock, fuggendo, spinge la leva in avanti. E nel farlo offre a noi lettori alcuni scorci di un futuro ancora più remoto e ancora più desolato. Oramai nulla che assomigli all’umanità ne fa più parte. La Terra, illuminata da un sole rosso, ha ormai smesso persino di ruotare su sé stessa e si avvicina gradualmente alla morte.
LETTURA: TIMELINE
CONSIDERAZIONI STILISTICHE: QUALCOSA DI VECCHIO, QUALCOSA DI NUOVO.
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l romanzo si presenta come la trascrizione del racconto del viaggiatore temporale, destinato a rimanere anonimo, fatto a un gruppo di amici ospiti abituali a casa sua. Costoro sono dapprima increduli e poi man mano, chi più chi meno, convinti dalle parole e dalle prove presentate dal viaggiatore: alcuni fiori bizzarri, un esperimento con un minuscolo prototipo della macchina. È una struttura tutt’altro che insolita per i romanzi dell’epoca, soprattutto per quelli che presentano eventi bizzarri e incredibili. Il narratore, presentandosi come una persona qualunque, avanza nei confronti del protagonista i dubbi che si suppone si agitino nella mente del lettore. Quando poi le prove dell’autenticità dei fatti convincono il personaggio, anche il lettore viene portato a sospendere la propria incredulità. A quel punto, inizia la storia vera e propria, con il narratore che sostiene di riferire semplicemente le parole del protagonista. Ma se la struttura del racconto ha poco di originale, e le rovine ciclopiche incontrate nel futuro appartengono a un immaginario ben radicato dal Romanticismo in poi, le descrizioni del viaggio stesso sono invece molto interessanti. Sembrerebbe quasi che Wells abbia veramente usato la sua macchina del tempo per visionare i film tratti dalla sua opera e riportarne la descrizione, tanto questa è visiva e cinematografica. Il sole e la luna accelerano la loro corsa fino a diventare indistinguibili, solo una striscia bianca nel cielo. La cameriera sfreccia a velocità soprannaturale attraverso la stanza. Insomma, la descrizione di un film proiettato a velocità accelerata. Il romanzo è del 1895 e questa raffigurazione, a seconda che si voglia credere o meno a un’eventuale influenza dei primi film muti che potrebbero avere offerto uno spunto, è come minimo innovativa e come massimo genialmente visionaria.
* OMINO VERDE
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FANTASCIENZA
LETTURA
TIMELINE (Timeline) di MICHAEL CHRICHTON (1999)
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’esplorazione di quella che ormai è definita la “quarta dimensione” è un’idea che ha attratto da sempre l’umanità, ma è divenuta un tema ricorrente in epoca moderna, con il genere fantascientifico. I viaggi nel tempo hanno uno strano fascino: il crononauta si trova in una situazione aliena ma, dotato di una tecnologia superiore o in netta inferiorità di fronte a culture più progredite, immerso nel mondo antico o catapultato in scenari post-atomici, trova il suo eroismo proprio nell’affrontare la diversità da ciò che lo circonda. Timeline di M.CRICHTON riprende questa ispirazione, cercando di fornire al lettore un minuzioso supporto scientifico capace di rendere verosimile la storia, e, contemporaneamente, rispondere all’eterna domanda di com’era il passato e di come potrebbe essere il futuro: laddove Poul Anderson ne L’uomo venuto troppo presto precipitava il suo protagonista tra le tribù vichinghe semplicemente mediante lo scoppio ravvicinato di un fulmine, qui abbiamo macchine e tecnologia, universi paralleli e meccanica quantistica. Il risultato è una strana commistione di “ritorno al passato” e “salto verso il futuro”, in effetti un po’ spiazzante. La storia è semplice, la trama tutto sommato esile: in un futuro prossimo in cui la tecnologia ha compiuto passi da gigante e i computer quantici sono una realtà, uno scienziato-manager brillante e spregiudicato realizza il sogno segreto di rendere possibili i viaggi nel tempo. Lo scopo è quello non solo di offrire al mercato annoiato l’ennesimo divertimento (tema questo già affrontato da Crichton in Jurassic Park), ma, più subdolamente, di poter controllare a proprio piacere il passato per dominare il futuro. Il tutto è reso possibile da una sofisticata tecnologia chiamata CTC (Closed Timelike Curve), ovvero “Curva chiusa simil-temporale”. La “scenografia” prescelta per questo particola-
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rissimo tipo di viaggio è costituita dai resti di un antico borgo medievale sul fiume Dordogna, la cui ricostruzione vede impegnato un gruppo di storici, scienziati e archeologi, tutti d’alto livello ma all’oscuro del vero obiettivo del loro lavoro. E soprattutto delle ambizioni segrete che animano il loro mecenate, a cui in realtà interessa ben poco lo studio accademico della storia antica. Qualcosa però non funziona durante gli esperimenti, e dettagli inquietanti cominciano a sfuggire al controllo dell’ITC Research, l’organizzazione che gestisce il tutto in una sperduta località del New Mexico. Gli incidenti vengono tenuti più o meno sotto silenzio, fino al giorno in cui un eminente Professore di
LETTURA: TIMELINE
TIMELINE archeologia sparisce, e tre dei suoi migliori assistenti sono “volontariamente costretti” ad andare a recuperarlo. Trasportati attraverso complicati apparecchi nel caos bellico di un castello sotto assedio, si trovano a dover affrontare l’atmosfera tutt’altro che cavalleresca del quattordicesimo secolo francese, tra lotte sanguinose e intrighi di palazzo. L’impressione generale offerta da questa storia – per altro ben congegnata – è di una certa atmosfera disomogenea, in cui i personaggi si muovono abbastanza stereotipati ed in qualche modo prevedibili: abbiamo il “bel seduttore” dal passato travagliato, in crisi pseudo-esistenziale per il suo inappagante rapporto con le donne; lo storico medievale muscoloso come un cavaliere di re Artù e già perfettamente pronto per immergersi nel passato, quasi avesse sempre saputo di esservi predestinato; la scienziata atletica, esperta di roccia e free-climbing ma ovviamente bionda e attraente. Già dai primi capitoli ci si immagina come il tutto andrà a finire, anche se il romanzo si sforza di creare un mondo medievale realistico e tutto sommato lontano dalle atmosfere romantico-nostalgiche di un certo tipo di letteratura. Attorno ai protagonisti ruotano numerosi personaggi la cui psicologia è descritta in modo abbastanza grezzo; il ragazzino sconosciuto che si muove nella foresta come un piccolo Tarzan e si rivela poi una meravigliosa fanciulla, esiste già dai tempi de La Freccia Nera di STEVENSON. Come anche le figure dei due nobili in lotta tra loro per il possesso della regione: il legittimo signore è scioccamente cattivo e riesce a prendere invariabilmente la decisione sbagliata, e l’altrettanto perfido aggressore ripresenta la figura del monaco spretato e vagamente pazzoide la cui arma preferita è la violenza e la crudeltà. Nessuno dei personaggi della vicenda riesce peraltro a suscitare molta simpatia, e il motivo forse risiede nella scarsa integrazione dei due aspetti chiave della narrazione: lo sforzo di descrivere un Medioevo realistico e la volontà di giustificare la trama con basi scientificamente dimostrate tolgono la possibilità di approfondire e “umanizzare” entrambi gli aspetti, lasciandoli a livello di una buona esposizione di informazioni mancante però del necessario fascino. Si ha quasi l’impressione che Crichton abbia avuto troppa
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fretta di concludere il romanzo, impostando un discreto schema storico e scientifico, senza però aggiungere un pathos azzeccato, una scintilla di vitalità che animi il tutto con l’emozione necessaria a catturare l’interesse del lettore. A questo si aggiungono imprecisioni (un luogo turistico affollato di visitatori alle sei del mattino è un po’ inverosimile…), se non errori grossolani di traduzione: il 1357, anno in cui vengono catapultati i viaggiatori, è più volte indicato come XVI sec (errore di stampa?), mentre s’inverte tranquillamente il significato di Alto e Basso Medioevo (terminologia che nella cultura anglosassone ha un significato opposto rispetto al nostro) nel corso di una lunga e pedissequa spiegazione. Con i complimenti del caso agli editors italiani. Le teorie che in questo secolo hanno in qualche modo supportato la possibilità di viaggiare nel tempo sono spiegate in modo minuzioso: secondo quella di HUGH EVERETT, “se qualcosa può fisicamente accadere, allora in qualche universo accade. La realtà è formata da un numero infinito di universi possibili, indicato come multiverso”. Tra questi mondi paralleli, in cui le realtà possono essere simili o completamente differenti dalla nostra, ma mai uguali, il tempo scorrerebbe diversamente, perciò spostandosi dall’uno all’altro il crononauta si troverebbe inevitabilmente in un’epoca diversa da quella di partenza. La teoria della meccanica quantistica è affascinante, e a tutt’oggi presenta delle implicazioni che sconfinano nella fantascienza, ma che forse è azzardato voler affrontare in modo razionale in un romanzo di questo tipo: per accettare la teoria dei quanti, è necessario infatti un drastico cambiamento di mentalità ed un modo diverso di rapportarsi con il mondo fisico. E l’eccessiva scientificità e la fatica che questo comporta, in un certo modo si scontra con il desiderio d’evasione che, nonostante tutto, accompagna questo genere di lettura. Un conto è la Scienza, un conto è la Fantascienza… e se questi due “settori” si prendono troppo sul serio, quello che si ottiene è una sorta di Finta-Scienza. È più interessante immaginare qualcosa d’inverosimile, destinato magari a verificarsi in un lontano futuro, piuttosto che utilizzare dati verificati per supportare teorie effettivamente assurde: nel film omonimo (pe-
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FANTASCIENZA raltro di serie B) la macchina del tempo viene inventata per sbaglio, e risulta molto più plausibile della schiuma quantica riveduta e corretta da Crichton. Il problema del paradosso che si collega invariabilmente agli spostamenti temporali, in Timeline viene evitato con decisione: l’effetto “farfalla” delle ucronie è qui accuratamente scansato a priori proibendo ai protagonisti qualsiasi contaminazione storica. Naturalmente, il funzionamento delle “gabbie”, le cronomacchine che effettuano il trasporto, è affidato alle cosiddette “technobubble” (fantasie tecnologiche), e si basa su un’improbabile legge fisica capace di rendere possibile il passaggio della materia attraverso i whormhole, ovvero i varchi spaziotemporali ipotizzati dal principio di indeterminazione di Heisenberg. I tre studiosi si ritrovano indietro di 500 anni senza alcun aiuto tecnologico se si eccettua qualche dispositivo necessario per il ritorno (invariabilmente rotto o perduto all’arrivo) e con meno probabilità di sopravvivenza dei loro nuovi contemporanei, data la scarsa esperienza della dura realtà dell’epoca. I nostri eroi commettono naturalmente numerosi sbagli comportamentali e vengono travolti dalle sanguinose dispute locali, con un contorno di fascinose dame senza scrupoli, cavalieri iracondi e un enigma alla Ellis Peters che colora la storia di giallo. Contemporaneamente, un’esplosione distrugge la “stanza di trasmissione” dell’ITC, il cui presidente-scienziato-cattivo decide di abbandonare i viaggiatori nel XIV secolo per evitare, al loro ritorno, la diffusione di notizie dannose per il suo progetto. Grazie all’aiuto di un quarto collega rimasto provvidenzialmente a casa, viene però fortunosamente organizzato il rientro per il Professore e due dei suoi salvatori. Il terzo assistente, il medievalista enciclopedico (attraverso il quale Crichton ci rivela una gran quantità d’informazioni d’epoca), un po’ per necessità un po’ per segreta inclinazione decide di restare nel passato. E nel finale, i reduci dal viaggio (piuttosto seccati) e i collaboratori dell’ITC (improvvisamente pentiti) decidono di spedire, senza tanti complimenti, il loro presidente un po’ troppo disinvolto nel passato, ma nel bel mezzo della Peste Nera. Punizione che, nonostante tutto, suona eccessiva e non adeguatamente preparata nel corso nella narrazione.
LETTURA: TIMELINE
MICHAEL CRICHTON
La conclusione di Timeline non è una sorpresa, ma il problema non è certo questo: non sono poche le opere narrative in cui il finale è intuibile dall’inizio, ma che sono capaci di creare comunque un piacevole senso d’aspettativa. È il “come”, la strada che l’autore percorre per arrivarvi a fare la differenza, e in questo caso si ha una sensazione generale di incompletezza intervallata da momenti di autentica noia per le lunghe spiegazioni. Il romanzo non risponde in modo soddisfacente alla sua stessa domanda di base: saranno mai possibili i viaggi nel tempo? La risposta migliore è forse quella del geniale fisico bulgaro STEFAN MARINOV, che invece di enunciare troppa teoria, preferiva dire: ”Do it boy, do it!”. Sottintendendo probabilmente: “If you can…”
* ANJIIN
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PER PARTITO PRESO...
RIFLESSIONI
QUANDO UN FILM PUÒ CAMBIARTI LA VITA... O COMPLICARTELA! Per partito preso, il profondo quanto assurdo legame tra una trilogia impeccabile e lo spettatore comune
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nalizzare una pellicola è più o meno quello che fa una donna la domenica quando guarda, o meglio “squadra” le sue simili nel falsissimo intento di una passeggiata rilassante: l’occhio bieco di chi la sa lunga, un filo di oggettività per non sentirsi troppo in colpa e un pelo di cattiveria che non guasta. Ed è proprio per quest’ultimo motivo che oggi le critiche stanno a zero, perché di cattiveria con un cult come quello di Zemeckis non se ne può spendere a cuor leggero. E del resto far dietrologia su un classico ha lo stesso sapore delle repliche di studio aperto alle due di notte. Già visto, già sentito. Potremmo mettere qualche buona parola sulla performance degli attori… visto e sentito vero?!… Movimenti di macchina? Mmh, no. Regimi narrativi? Neppure! Non so se è più per l’ovazione mondiale che la trilogia di Ritorno al futuro si tira dietro da più di venti anni, o per l’imbarazzo davanti ad un’impresa che mi pare così mastodontica, ma scansionare le gesta di Marty McFly da una posizione neutrale è l’ultima delle cose che intendo fare. C’è però una cosa di cui vorrei raccontarvi: del mio primo videoregistratore. Brutto, è l’unico aggettivo veramente consono all’argomento, il mio primo vhs era brutto. Ce lo
MICHAEL J. FOX regalò mia zia quando avevo 6 anni, ma la marca era francese così al posto di una pulsantiera con scritto Play, Stop… c’era Lecture, Marche… Provate poi a spiegare al resto del mondo per quale assurdo motivo in ambito audio-visivo ragionate con una semiotica a parte! Dopo non pochi tumulti familiari, corredati dallo sventolio di un manuale utente anche lui in francese come giusto, ai piedi di questa macchina-aliena con le palle degli occhi in posizione semi-veneratoria, ecco la prima registrazione da canale Ritorno al futuro! A volte provo a porre mente su cosa possa significare di riflesso quello che per me è successo a quel tempo, e sinceramente non so se le nuove leve si ricorderanno un giorno, del loro primo illegalissimo
RIFLESSIONI: PER PARTITO PRESO...
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FANTASCIENZA
RIFLESSIONI
divx fatto girare nel lettore comperato in saldo alla Coop. Io però ricordo che la mattina seguente quella storica registrazione domandai ad una mamma impacciata ma volenterosa “posso guardare il film sul divano? Mi metti la cassetta?”. Vedendola oggi, incapace perfino di cambiare suoneria al telefonino, mi domando come sia riuscita ad infilare il supporto magnetico A nella fessura B… e premere “Lecture” (Play). Capita a volte che l’amigdala, una ghiandola del nostro cervello primordiale prenda il sopravvento e ci renda capaci di azioni sovraumane, di cui in seguito perdiamo coscienza. Fatto sta che tutto cominciò con un genitore posseduto e un film davvero assurdo per la mente labile di chi ancora gioca col pongo e con le lego. Potrei spendere qualche parola per il secondo film entrato in famiglia, ma non credo sia questa la sede adatta per qualche pettegolezzo sulle mie scappatelle con un discreto Superfantozzi. Non smisi di giocare col pongo, ma iniziai ad ammonire scherzosamente chi mi infastidiva indovinate con quale frase?! “….ehi tu porco toglimi le mani di dosso !” Per non parlare delle gite in auto, ottantotto miglia orarie a grande richiesta. E se non riuscite a capire di cosa parlo significa semplicemente che non state pensando quadrimensionalmente e capisco bene che vi riesca difficile, ma che volete farci se poi vi regalano un gattino e lo chiamate Einstein, se la festa paesana dell’agnello arrosto diventa il ballo incanto sotto il mare, se quando vi danno del fifone ve la legate al dito. I leit motiv resistono nel tempo, anche se i gattini se ne vanno e dalle sagre di paese è bene salvaguardarsi. Quello che di certo non può resistere in eterno è un brutto vhs e un nastro tanto amato quanto usurato. Entrambi ci lasciarono un bel mattino d’inverno durante l’ennesima riproduzione. Un rumore sinistro preannunciò l’infausto evento, poi fu il buio sullo schermo, e si sa, il buio è il cancro del cinema. La mamma e la sua provvidenziale amigdala nulla poterono, forse un miracolo avrebbe potuto capovolgere le sorti della situazione, di certo
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non quel cacciavite killer infilato nella fessura dell’apparecchio. Cominciai a pensare che il discorso leva-fulcro venisse troppo spesso sopravvalutato. Lo dico semplicemente perché da quel giorno la pulsantiera assunse connotati prettamente mondiali, e altrettanto felice fu la scoperta di una nuova metodica nello stilare i manuali utente: multilingua. Riguardo alla videocassetta abbiamo optato per una
manutenzione non troppo ortodossa ma, come si suol dire, funzionale alla bisogna: ricongiungere i due lembi del nastro strappato con un sottile pezzetto di scotch. Decisamente da sconsigliare ai meno
RIFLESSIONI: PER PARTITO PRESO...
PER PARTITO PRESO... sulla torta la pretendo, e non riesco ad immaginare come sarebbe stato senza. Dire che i film ci fanno crescere suona legnoso e scontato, dire che ci cambiano la vita una buffonata. O forse no?! Magari ci rendono diversi, ci regalano un commento alternativo ad una realtà uniformata. Nessuno suonava per me Power of love mentre correvo a scuola, eppure mi capitava di sentirlo in sottofondo qualche volta. Se non avete mai visto una DeLorean e i suoi tempo circuiti, quello che sporadicamente capitava a me, a voi non accadrà mai. Ero all’estero quando MICHAEL J. FOX annunciò di avere il parkinson, e ricordo vividamente il momento in cui lessi la notizia su una testata che titolava “Le Drame Du Michael”… in effetti cominciai a domandarmi perché diavolo i francesi ci mettessero sempre del loro sull’argomento “viaggi nel tempo” della mia vita. Non piansi per Lady Diana, ma McFly è sempre stato uno di casa. Ho solo una vagonata di ricordi concatenati quando penso a questo emblema degli anni ottanta, una marea di attimi che hanno corredato un vissuto infantile lontano anni luce dallo sporcarsi minimamente con cose da grandi come “il film è poco credibile, si basa su un paradosso…”. E non voglio che mi si pari davanti un piccolo principe alla Saint-Exupéry e mi accusi di parlare come i grandi. Ora ho i dvd, la cassetta giace in pace nel paradiso dei vhs, ma tranne la tecnologia, il risultato è sempre e comunque identico, il legame immutato. Una cosa è cambiata: la mamma si è volontariamente esclusa dal mondo dei supporti ottici dopo vari intoppi, basti dire che il terrore nei suoi occhi si palesa al solo apparire del menu lingue. Ed ecco riecheggiare in lontananza una vocina che ti intima “…metper l’immagine si ringrazia timelo in modo che basta che premo “Play”. A titolo http://www.geocities.com/back2fut/delorean.htm informativo, è ovvio che lei di viaggi nel tempo non ne ha mai voluto sapere, chissà se quando corre al interiore alla riscoperta delle sue effettive capacità lavoro in sottofondo i suoi neuroni si sintonizzano nello spietato mondo del bricolage. sulle note di Love Story… che tristezza! Ora non vorrei dire che senza flusso canalizzatore non si possa vivere, ma di certo io la mia ciliegina
esperti, il segreto è mandare avanti veloce quando si arriva a quel punto del film. È dura fare a meno di Marty che domanda una pepsi senza (“…se intendi senza pagare hai sbagliato porta”), ma capita che la vita ci riservi sorprese crudeli. Un palinsesto amico e un nuovo supporto furono medicina santa. Il cacciavite fece ritorno nel proprio cassetto e la mamma intraprese un profondo viaggio
ROMINA “LAVINIA” PERUGINI RIFLESSIONI: PER PARTITO PRESO...
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L’uomo venuto dall’impossibile Chiunque iniziasse la visione de L’uomo venuto dall’impossibile (Time after time, 1979) avrebbe senza dubbio l’impressione di trovarsi di fronte a una terza versione del famoso romanzo di H.G. WELLS La macchina del tempo (The time machine, 1895), portata sugli schermi nel 1960 da George Pal e nel 2002 dal pronipote dello scrittore, Simon Wells. Il film, infatti (a parte i cinque minuti iniziali su cui ritorneremo a breve), comincia con la solita scena in cui il viaggiato-
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re del tempo (un insolito MALCOLM MCDOWELL) annuncia a un ristretto gruppo di amici l’invenzione della famosa macchina e il suo progetto di visitare il futuro, nel quale nutre grandi, se non utopistiche, speranze. Ma quasi subito gli eventi prendono una direzione completamente diversa da quella ampiamente conosciuta: la polizia bussa alla porta dello scienziato (che in questo film è lo stesso Wells) in cerca di Jack lo squartatore, che ha da
poco compiuto un nuovo omicidio in quello stesso quartiere. Nei cinque minuti iniziali, infatti, era stato mostrato allo spettatore, in soggettiva, l’omicidio in questione, pur senza rivelare l’identità di chi lo stava commettendo. Questa, comunque, viene subito svelata dai poliziotti giunti in casa di Wells: nella borsa di uno dei suoi ospiti, lo stimato chirurgo John Stevenson (un inquietante DAVID WARNER), vengono trovati indumenti sporchi di sangue. La caccia all’uomo, che ha subito inizio, sembra destinata a una rapida conclusione. Invece, tra la sorpresa generale (anche se lo spettatore ha già capito come andrà a finire), Stevenson non viene rintracciato, nonostante porte e finestre siano strettamente sorvegliate: sarà solo dopo che tutti, polizia e ospiti, se ne saranno andati, che Wells, recatosi in
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L’uomo venuto dall’impossibile cantina, noterà la scomparsa della macchina del tempo. Lo “squartatore” è dunque fuggito per sempre? No, perché lo scienziato, avendo previsto un’eventualità del genere (rimanere bloccato in un’epoca per colpa di qualcuno che si fosse impadronito della macchina) ha munito la sua invenzione di un dispositivo di sicurezza: una chiavetta senza la quale la macchina torna automaticamente all’epoca di partenza. Dopo una lunga attesa (la sua “velocità” è di “due anni per minuto”) questa ricompare: il “segnatempo”, rimasto bloccato sulla destinazione, indica il novembre 1979. Convinto di essere responsabile, sebbene indirettamente, della fuga di un pericoloso assassino, Wells raccoglie denaro e gioielli (anche quelli della sua governante!) e segue Stevenson nel futuro. Verrà catapultato a San Francisco, poiché è lì che la sua macchina si troverà, nel 1979, all’interno di un museo che ospita una mostra dedicata proprio a lui e alle sue opere. Dopo lo smarrimento iniziale, e tra lo stupore di visitatori e guardiani che non capiscono come abbia fatto lo strampalato individuo a superare i cordoni che limitano l’accesso alla macchina (che tut-
ti credono un prototipo non funzionante), Wells esce dal museo e inizia a girare per San Francisco, stupendosi di tutto ciò che vede e prendendo appunti con diligenza: tra le novità che più lo colpiscono ci sono i fast-food, col loro assortimento di cibi strani e clienti dai modi spicci. Ma ben presto lo scienziato si trova ad affrontare i problemi derivanti dalla mancanza
di soldi e documenti: le banconote che ha con sé valgono pochi dollari, mentre i gioielli sono troppo preziosi e suscitano i sospetti dei gioiellieri ai quali vengono offerti. Dopo aver passato la notte su una panchina, Wells deve svenderli a un decimo del loro valore. I suoi giri per le banche di San Francisco, tuttavia, gli fanno intuire che anche Stevenson deve esservisi recato:
Pag. a sinistra: Wells annuncia agli amici la sua scoperta. In alto: 1) Wells (M.McDowell) mostra la “Macchina del Tempo); 2) Wells e Stevenson (D. Warner) impegnati in una partita a scacchi. A destra: la polizia trova i guanti insanguinati di Stevenson.
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dopo lunghe ricerche, finisce per scoprire che il suo “compagno di viaggio” ha cambiato i propri soldi nella Banca di Londra. L’impiegata addetta al cambio (una deliziosa MARY STEENBURGEN) gli indica l’al-
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bergo dove alloggia il pericoloso individuo, albergo che lei stessa gli aveva consigliato. Wells, un po’ troppo ottimista, vi si reca immediatamente. Una volta trovato Stevenson, cerca di
convincerlo a tornare indietro con lui, “per affrontare le conseguenze delle sue azioni”, ma questi lo irride, mostrandogli in televisione come la violenza di quel mondo sia diventata “superiore alla sua” e come lui, lo “squartatore”, lì si “senta a casa”. Lo scienziato ne rimane sconvolto, e Stevenson ne approfitta per aggredirlo, cercando d’impossessarsi della chiave che impedisce alla macchina del tempo di tornare indietro: solo l’intervento di una cameriera consente all’ingenuo Wells di cavarsela. Inseguito a piedi dallo scienziato, lo squartatore fugge per le strade di San Francisco finché non viene investito da un’auto. All’ospedale, un’infermiera non molto cortese riferisce a Wells che un paziente registrato come “John Doe” (il nome usato in America per una persona di cui non si conosce l’identità) è morto per le lesioni interne riportate in un incidente; dalla descrizione sembra proprio Stevenson. Sarà davvero lui?
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Pag. a sinistra dall’alto: 1) Wells scopre che Stevenson è fuggito con la “Macchina”, che riappare solo grazie al dispositivo di ritorno automatico (2); 3) Wells segue Stevenson nel futuro. A destra: 1) stupefacente 1979; 2) tentativo di cambiare gioielli con valuta corrente. In basso: Wells incontra Amy (M. Steenburgen).
Convinto che lo sia, il nostro eroe decide di “svagarsi” un po’, e torna da Amy (l’impiegata della banca conosciuta in precedenza), la quale da subito, colpita dai suoi modi di fare antiquati ma gentili, si era messa a flirtare con lui. Da cosa nasce cosa: una colazione, un giro per San Francisco (durante il quale Wells cerca invano di dissimulare la propria ignoranza della storia recente), poi in un parco e infine a casa di Amy per la cena… il resto lo si può facilmente immaginare. Sfortunatamente, non era Stevenson il “John Doe” morto all’ospedale: mentre Amy è impegnata a “violentare” Wells – tra lo stupore di costui che, benché sostenitore del libero amore, proviene pur sempre dalla Londra vittoriana – lo “squartatore” torna a colpire. Preoccupato della piega che stanno prendendo gli avvenimenti, lo scienziato rivela alla ragazza una mezza verità, sostenendo di essere stato inviato da Scotland Yard sulle tracce dell’assassino. Solo dopo che Stevenson, intuito il ruolo avuto da Amy, comincia a minacciare anche lei, Wells si reca finalmente alla polizia per raccontare la sua
storia. Come prevedibile non viene creduto, tanto più che, non volendo rivelare il suo vero nome, afferma di chiamarsi… Sherlock Holmes! La stessa Amy resta dubbiosa, e neanche una visita al museo, dove pure sono esposte alcune fotografie di Wells, riesce a convincerla del tutto. Solo un viaggetto sulla macchina del tempo e la lettura di un giornale di tre giorni dopo le consentono di superare le ultime dif-
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fidenze. Tanto più che sul giornale in questione è riportata una notizia agghiacciante, e di certo non inventata sul momento: la morte della stessa Amy per mano dello “squartatore”! A questo punto la storia scivola nei classici cliché dei thriller all’americana: i due protagonisti, invece di darsela a gambe in un’altra epoca (cosa che, a dire il vero, Amy consiglia) o di avvertire ano-
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1) Seguendo le indicazioni di Amy, Wells trova Stevenson. 2) Fuggendo da Wells, Stevenson viene investito da un’auto. 3) Un equivoco in ospedale fa ritenere a Wells che Stevenson sia morto... 4) ...lo scienziato può quindi godersi il suo viaggio nel tempo... Pag. a destra: 1) ...ospite di Amy. 2) Ma lo “squartatore è vivo e vegeto, come Amy ha modo di constatare.
nimamente la polizia, decidono di occuparsi personalmente della cattura dell’assassino; il giornale, infatti, riporta la notizia di un altro omicidio, precedente a quello di Amy, e Wells spera di poter sorprendere Stevenson poco prima che lo commetta. Come sempre in questi casi, tutto va storto e il paradosso temporale non si verifica: complice una foratura in un luogo isolato (e la scarsa dimestichezza dello scienziato coi telefoni) i due arrivano sul luogo del delitto troppo tardi, e possono solo assistere al ritrovamento del cadavere da parte della polizia. Non avendo ancora imparato la lezione, Wells ed Amy persistono in altri errori: invece di lasciare subito l’abitazione della ragazza (dove sanno che verrà uccisa), si attardano a fare progetti su come evitare l’inevitabile. Mentre Wells, sempre più agitato, esce per comprare una pistola, Amy prende dei sonniferi per vincere il terrore che le impedisce di dormire a dispetto della notte passata in bianco. Il risultato di tante sciocchezze è disa-
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stroso: lo scienziato, sospettato di essere lui stesso lo “squartatore”, viene arrestato e, a causa dell’arma trovatagli addosso, finisce in isolamento senza poter neanche avvertire la ragazza; questa, dal canto suo, dorme sino all’ora fatale, quando Stevenson, infuriato per non avere ancora recuperato la famosa chiave, entra in casa sua… Sembra proprio che in questo film non ci sia posto per i paradossi: quando il povero Wells, dopo ore di interrogatorio, convince la polizia a mandare degli agenti a casa di Amy, è troppo tardi. Della ragazza non resta che un cadavere orrendamente sfigurato e mutilato.
Rilasciato con tante scuse, lo scienziato, distrutto, vaga senza meta in un parco; ma all’improvviso gli si para davanti Stevenson, che tiene Amy in ostaggio: ad essere uccisa al posto della ragazza era stata una sua amica, invitata a cena qualche giorno prima e scambiata per lei dalla polizia (il giornale, quindi, riportava una notizia parzialmente falsa e destinata ad essere smentita, come nel famoso film Accadde domani). Lo “squartatore”, una volta soddisfatta la sua sete di sangue, aveva deciso di tenere in ostaggio Amy, sperando così di farsi consegnare da Wells la famosa chiave. Questi cede al ricatto, ma Ste-
venson conduce Amy con sé al museo, insensibile alle suppliche di Wells e risoluto a ucciderla prima di fuggire nuovamente nel futuro. In un convulso finale, la ragazza riesce a liberarsi e lo “squartatore” viene spedito, senza la macchina, in un lontano futuro, dove “il male non esiste”. Questo grazie a un altro, stavolta improbabile, dispositivo di sicurezza che sembra studiato su misura per arrivare a una felice conclusione. E questa non potrebbe essere migliore: Amy, ormai follemente innamorata dello scienziato, decide, in barba alle sue convinzioni femministe, di seguirlo nel viaggio di ritorno. E, come ci conferma la didascalia finale, una certa Amy Robbins ha davvero sposato Herbert George Wells nel 1895! Grazie al fatto che ben pochi conoscono il nome della moglie dello scrittore, il regista, abilmente, ci gioca sopra fino all’ultima scena. Ma chi è il regista? Si tratta del
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1) Su pressione di Amy, Wells si reca dalla polizia, ma la sua storia non è convincente; 2) anche Amy dubita di lui, è occorrono una visita alla stanza del museo dedicata a Wells in persona, e poi un breve viaggio nel tempo, per persuaderla. 3) Nel futuro prossimo Amy legge della sua morte. 4) Atto finale: Wells e Stevenson a confronto, e Amy in ostaggio. Pag. a destra: terminata la sua “missione”, Well fa ritorno al proprio tempo, e porta Amy con sé, la sua futura moglie.
celebre scrittore NICHOLAS MEYER, autore de La soluzione sette per cento, senza dubbio il romanzo più famoso tra quelli dedicati a Sherlock Holmes dopo l’epoca di Conan Doyle. Meyer, nato a New York nel 1945, è anche famoso per essersi occupato, come regista o sceneggiatore, di alcuni tra i migliori film della serie di Star Trek (e precisamente il secondo, il quarto e il sesto), e la sua mano rigorosa, poco incline alla spettacolarità gratuita, è chiaramente visibile in Time after time, forse il miglior film di fantascienza dedicato al tema del viaggio nel tempo. Praticamente privo di contraddizioni, abilissimo nello sfuggire al problema dei paradossi e nel giocare con la suspence senza tuttavia indulgere nelle scene d’azione, il film scorre dalla prima all’ultima scena senza cedimenti o compromessi; e anche se certi cliché, come già si è osservato, sono sempre presenti, si tratta di ben poca cosa rispetto alle assurdità e
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alle ridicolaggini di film più recenti e, purtroppo, più osannati. D’altra parte, evitare i paradossi non significa evitare le domande che prima o poi finiscono per farsi gli spettatori: molti di loro potrebbero trovare quanto mai strano il comportamento dello scienziato che, invece di usare la macchina del tempo per anticipare le mosse del suo avversario, se ne dimentica per tutto il film e preferisce invece emulare Sherlock Holmes pur non essendone affatto capace. Né mancano, fatalmente, contesti e battute scontate, in genere legate all’imbarazzo di Wells di fronte a situazioni e oggetti strani e misteriosi dal suo punto di vista: automobili, televisori, aerei, sette come gli Hare Krishna o “ristoranti” come McDonald sono facilmente, e prevedibilmente, presi di mira. Per fortuna non mancano neanche battute folgoranti e situazioni originali, come nella scena in cui Stevenson illustra a Wells la violenza del nostro mondo: sullo schermo
del televisore, accanto a immagini prevedibili (guerre, manifestazioni represse nel sangue, terrorismo) appaiono quelle di un concerto rock e di un cartoon della Warner Brothers. O come nella scena in cui Amy seduce il riluttante Wells che, fino all’ultimo, cerca di mantenere un atteggiamento da “gentiluomo” pur mostrandosi compiaciuto di quanto sta accadendo. Discreta la prova degli attori, su tutti un McDowell pienamente a suo agio in un ruolo di eroe positivo, forse il più importante tra i pochi che gli è riuscito di interpretare. Un po’ svagata Mary Steenburgen, che durante le riprese del film si innamorerà veramente di McDowell, mentre David Warner riesce molto convincente nella sua interpretazione dello “squartatore”, personaggio sinistro ma raffinato al tempo stesso. Nominato per l’Hugo (nel 1980), e vincitore di ben tre Saturn (gli Oscar della fantascienza), Time after time, pur senza essere un ca-
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polavoro assoluto nel suo genere, è comunque una pietra miliare per chiunque s’interessi ai viaggi del tempo. È effettivamente il migliore tra i film che trattano questo tema? Difficile rispondere. Solo Ritorno al futuro potrebbe essergli superiore, mentre rimangono molto al di sotto film abbastanza famosi come Philadelphia Experiment o Time bandits. Certo, i film che affrontano questo tema senza divagare troppo (cosa che si verifica, ad esempio, nei due “Time Machine” oppure in Terminator) sono ben pochi: a Nicholas Meyer va dato il merito di averci provato, e con risultati, una volta tanto, di prim’ordine. Ma erano altri tempi, quelli: gli anni di Star Wars, di “Close encounters”, del primo Star Trek… bei tempi!
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ANDREA CARTA
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Malcolm McDowell (H. G. Wells):
inventore di sani principi, che non esita a inseguire il feroce criminale della cui fuga si sente responsabile. Filmografia fantascienza/fantastico: Shadow Realm (TV), Fantasy Island (TV), Firestarter (TV), L’ultimo guerriero, St. Patrick: The Irish Legend (TV), Mamma io vengo da un altro pianeta?, Fantasy Island (TV), Beings (The Fairy King of Ar), Lexx: The Dark Zone (mini), 2103: The Deadly Wake(Hydrosphere), La stirpe di fuoco, Fist of the North Star (1995/I), Tank Girl, I ragazzi della Tavola Rotonda, Star Trek: Generazioni, Cyborg 3: The Recycler, Classe 1999, Moon 44 Attacco alla fortezza, Arthur the King (TV), Il Bacio della Pantera, Arancia Meccanica.
Mary Steenburgen (Amy Robbins):
l’intraprendente cassiera di banca che aiuta Wells nella caccia, e diverrà infine sua moglie. Filmografia fantascienza/fantastico: Elf, Joan of Arcadia (TV), Living with the Dead (mini), Noah’s Ark (TV), I viaggi di Gulliver (TV), Un Incontro Straordinario con un altro essere, Amore e Magia, Ritorno al futuro 3, Un magico Natale.
David Warner (John Leslie Stevenson Jack lo Squartatore):
il celeberrimo killer che non fu mai trovato perché... fuggì avanti nel tempo. Filmografia fantascienza/fantastico: Avatar, Back to the Secret Garden, Il Pianeta delle Scimmie, In Principio Era (TV), The Secret Adventures of Jules Verne (TV), Wing Commander Attacco alla Terra, Il ritorno del Banshee, The Little Unicorn, Beastmaster: The Eye of Braxus (TV), Final Equinox, Il seme della follia, Corpi Estranei (TV), Wild Palms (mini), L’Oeil qui ment, I cavalieri Delta, Il mondo perduto, Return to the Lost World, Star Trek VI: Rotta verso l’ignoto, Star Trek V: L’ultima frontiera, Hansel and Gretel, A Christmas Carol (TV), In Compagnia dei Lupi, Ho perso la testa per un cervello, Tron, I Banditi del Tempo, La bottega che vendeva la morte, Sogno di una notte di mezza estate.
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SCHEDA TECNICA Titolo: L’UOMO VENUTO DALL’IMPOSSIBILE Tit. originale: TIME AFTER TIME Anno: 1979 Durata: 112 minuti Paese: USA Produzione: Herb Jaffe Distribuzione: WARNER BROS. Regia: Nicholas Meyer (The day after, Star Trek II - L’ira di Khan, Star Trek IV - Rotta verso la Terra) Soggetto: Karl Alexander, Steve Hayes Sceneggiatura: Nicholas Meyer Fotografia: Paul Lohmann Musiche: Miklos Rozsa Montaggio: Donn Cambern Scenografia: Edward C. Carfagno Effetti speciali: Jim Blount, Larry L. Fuentes, Kevin Pike Costumi: Sal Anthony, Yvonne Kubis Note: Vincitore SATURN AWARD 1980, “Best Actress” (M. Steenburgen ), “Best Music” (M. Rózsa), “Best Writing” (N. Meyer); Nomination SATURN AWARD 1980, “Best Actor” (M. McDowell),“Best Costumes” (S. Anthony, Y. Kubis), “Best Director” (N. Meyer), “Best Science Fiction Film”, “Best Supporting Actor” (D. Warner); Vincitore “Gran Premio” AVORIAZ FANTASTIC FILM FESTIVAL 1980 (N. Meyer); Nomination HUGO AWARD 1980, “Best Dramatic Presentation”; Nomination EDGAR ALLAN POE AWARD 1980, “Best Motion Picture” (N. Meyer).
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Cast: Malcolm McDowell (H. G. Wells), David Warner (Jack Lo Squartatore - John Leslie Stevenson), Mary Steenburgen (Amy Robbins), Charles Cioffi, Kent Williams, Andonia Katsaros, Patti D’Arbanville, James Garrett, Leo Lewis, Keith McConnell, Byron Webster, Karin Mary Shea, Geraldine Baron, Laurie Main, Joseph Maher, Michael Evans, Ray Reinhardt, Bob Shaw, Stu Klitsner, Larry J. Blake, Nicholas Shields, Gene Hartline, Clement St. George, Shirley Marchant, Antonie Becker, Hilda Haynes, Read Morgan, Mike Gainey, Jim Haynie, Wayne Storm, Lou Felder, John Colton, Corey Feldman, James Cranna, Earl Nichols, Bill Bradley, Clete Roberts, Rita Conde, Gail Hyatt, Shelley Hack, Dan Leegant, Regina V. Waldron, Liz Roberson, Anthony Gordon, Doug Morrisson, Glenn Carlson.
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(The Time Machine)
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L‘UOMO CHE VISSE NEL FUTURO
T.A.R.D.I.S del Doctor Who, al Tunnel di Kronos, alle sofisticate apparecchiature di Timeline o de L’Esercito l tema del viaggio nel tempo è stato spesso sfruttato delle Dodici Scimmie, di Quantum Leap o di Termidalla letteratura e dal cinema, anche se con moda- nator, fino alla magica clessidra di Hermione Granger lità ed esiti assai diversi. I viaggi avvengono trami- in Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban... Oppure te apposite strumentazioni, come le varie “macchine attraverso tecniche di meditazione, come l’auto-ipnosi del tempo”: dall’automobile di Ritorno al Futuro al del protagonista di Ovunque nel Tempo, le droghe e la deprivazione sensoriale di The Jacket, la visione ipotetica e stralunata di Donnie Darko o quella romantica e struggente de Il Ritratto di Jeannie. Molte opere trattano l’argomento come pretesto per imbastire commedie in cui l’umorismo si basa sugli equivoci che nascono dalla contrapposizione tra usi e abiti mentali di oggi, di ieri e di domani. Altre partono con presupposti “seri”, salvo poi risentire di
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A sinistra: George (R.Taylor) giunge in condizioni “inquietanti” all’appuntamento con gli amici. Pag. a destra, in senso orario: 1) George racconta la sua storia, a partire da cinque giorni prima (2). 3) il collaudo della “Macchina del Tempo”; 4) prima fermata temporale, George incontra il figlio di David.
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sceneggiature banalizzanti e superficiali. In quei casi i paradossi temporali vengono affrontati solo perché di moda o in quanto furbo sistema per poter riciclare set e teatri di posa già predisposti per produzioni più ricche. Ciò avveniva soprattutto nel passato antecedente l’uso delle animazioni computerizzate. Oggi la grafica può fare miracoli a costi più ridotti e la necessità di adattare la sceneggiatura al budget è meno impellente. Ci sono stati film e telefilm che hanno invece fatto un uso intelligente del tema dei viaggi nel tempo, abbinando di volta in volta all’azione e all’avventura riflessioni sull’uomo e sul suo destino, sulla possibilità d’essere o meno artefici di sé stessi e della propria sorte, sul ruolo dell’arte e della memoria, sul senso della legge e il ruolo della morale nel formarsi delle civiltà, sull’evoluzione della specie, sul rapporto tra classi sociali...
IL PRECEDENTE LETTERARIO
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’uomo che visse nel futuro è un film del 1960; ha alle spalle il romanzo breve di Wells, The Time Machine, scritto nel 1895. Wells è stato uno dei Padri della Fantascienza e in particolare di quella corrente che, cento anni dopo la sua nascita, sarebbe stata catalogata come “Steampunk”. Nelle opere di questo sottogenere, il futuro viene caratterizzato dalla presenza di macchine straordinarie, mosse dal vapore o da altri carburanti, grandiose come nelle fabbriche della Rivoluzione Industriale. Si respira-
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e divulgatori delle teorie evoluzionistiche, tra i quali HUXLEY. Le valide esperienze stimolarono la sua immaginazione portandola a concepire utopie, anche politiche, dotate di basi scientifiche convincenti. L’opera di Wells ha dato vita di volta in volta a sogni e incubi Pag. a sinistra, in senso oraio: 1) terza, brusca fermadell’uomo moderno, sfruttando temi universali ed anta; 2) un tempio misterioso di fronte alla “Macchina del cora oggi attualissimi. Oltre a La Macchina del TemTempo”; 3) segni pacifici di civiltà. po, suoi sono L’isola del Dottor Moreau, L’uomo invisibile e parecchi titoli non tutti tradotti in italiano. Sua no atmosfere vittoriane, espresse dall’abbigliamen- è anche La Guerra dei Mondi: prima di far da soggetto to che rivisita finanziere, tabarri, camicie accollate a due grandi omonimi film, venne resa alla radio dal e pizzi; dalle decorazioni di utensili, armi e quanto giovane ORSON WELLS, che riuscì a spaventare mezza altro; dall’arredamento delle case, molto spesso edi- America grazie alla sua geniale trasposizione. fici antichi o neogotici; fino al comportamento dei personaggi, misurato e nel caso dei protagonisti mai THE TIME MACHINE - L’UOMO CHE VISSE volgare, spesso pronto ad abbandonarsi al sentimento. NEL FUTURO Le diverse opere possono essere state scritte in epoca vittoriana-edwardiana, o costituire un’interpretazione ’uomo che visse nel futuro è l’adattamento cinemoderna delle caratteristiche attribuite a quel periodo matografico del romanzo breve The Time Machistorico. Gli elementi tipici compaiono, anche se non ne. Oltre cento anni fa, un giovane inventore crea un è una produzione “genuina” – un po’ come il cartoon congegno capace di portarlo avanti o indietro nel temAtlantis o ne La Leggenda degli Uomini Straordinari. po. La macchina assomiglia ad una specie di elegante Lo scrittore inglese Wells è vissuto proprio a ca- slitta o sidecar, con sedile in pelle e rifiniture d’epoca, vallo tra ’800 e ‘900, aveva ricevuto un’educazione e riporta sul cruscotto “manifactured by H.G. Wells”. scolastica di tipo tecnico-scientifico, discontinua a L’inventore è un dilettante, un giovane scienziato socausa delle modeste condizioni economiche della gnatore, delle cui idee dubitano spesso anche i suoi sua famiglia. Nonostante le ristrettezze e gli anni di più fidati amici. Stanco della sua epoca, sceglie di avscuola persi poiché doveva lavorare per mantenersi, venturarsi nel futuro, in una sera di Capodanno di fine riuscì a divenire prima insegnante e poi scrittore a secolo. Il domani in cui il nostro scienziato si ritrova è tempo pieno. Aveva conosciuto di persona esponenti poco roseo. Vede infatti gli effetti dei bombardamenIn alto: seconda fermata, ancora col figlio di David mentre un’espolosione nucleare incombe. A destra: la lava seppellisce per millenni il luogo dove George abitava.
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ti della Guerra Mondiale, poi una catastrofe nucleare, fino allo sconvolgente, lontanissimo futuro. Millenni dopo, l’umanità sopravvissuta all’atomo ha ritrovato un apparente equilibrio nell’ecosistema, ma si è divisa in due fazioni. Ci sono i bruti Morlock di aspetto scimmiesco, mangiatori di carne, vulnerabili alla luce solare. Sono la progenie albina di quanti si rifugiarono nei bunker sotterranei durante il disastro. Dispongono di una tecnologia rudimentale e vivono allevando e divorando i pacifici, inetti Eloi, tutti giovani e umani, discendenti di coloro che scelsero invece di continuare l’esistenza in superficie. Gli Eloi vivono senza istruzione, in un eterno presente fatto di giornate trascorse all’aperto, nell’ignoranza di cosa voglia dire invecchiare o lavorare. Sono infantili ma, a differenza dei bambini, si dimostrano molto passivi, incapaci di prendere decisioni. A tutto per loro pensano i Morlock, che gli forniscono il necessario per vivere (affinché divengano ottima carne), e li controllano inculcandogli alcuni riflessi condizionati; così alla sera, per esempio, il suono di una sirena sospinge gli Eloi a riposare nei ruderi di un edificio. Serve tutto l’impegno del protagonista per convincere gli Eloi a ribellarsi ai loro grotteschi “allevatori”. Alla fine, l’intelligenza ed il coraggio dello scienziato vengono premiati. Egli vorrebbe restare nel futuro, ma un incidente – rimane bloccato con la macchina nell’antro dei Morlock, dietro una parete franata – l’obbliga a far ritorno nel presente. Ricompare allora davanti agli amici,
racconta la sua fantastica avventura, tra l’incredulità e la meraviglia. Infine sposta la macchina del tempo, la trascina lontano da dove nel futuro sorgerà l’edificio Morlock, e scompare di nuovo. Prima di ripartire per costruirsi un nuovo futuro, prende con sé tre libri, il cui titolo è lasciato all’immaginazione dello spettatore.
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a vicenda, pur basandosi su un presupposto al momento irrealizzabile, ovvero la costruzione di una macchina per viaggiare nel tempo, riesce a mantenere una certa coerenza senza scadere in soluzioni troppo
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A sinistra, dall’alto: 1) alla ricerca di segni di vita nel nuovo Paradiso: incontro con gli Eloi; 2) e 3) Gorge salva Weena (Y. Mimieux) nell’indifferenza generale. Pagina a destra, in senso orario: 1) George apprende con sconcerto l’apatico stile di vita degli Eloi; 2) la “Macchina del Tempo” è scomparsa, trascinata all’interno del misterioso tempio. 3) Weena mostra a George i pozzi dei Morlock.
comode e banali, e seduce grazie alle atmosfere ricche di senso di meraviglia. La macchina viene presentata senza lunghi preamboli, si sorvola sull’esatto funzionamento e sui passaggi necessari alla sua costruzione. Viene evidenziato un dettaglio assai poco ingenuo: chi viaggia nel tempo può spostarsi solo d’epoca, ma resta ancorato nello spazio. Se il viaggiatore usasse la macchina a Parigi sotto la Tour Eiffel, potrebbe approdare nella città ai tempi della Rivoluzione Francese e non vedere il monumento perché ancora da costruire, o a quelli dei Mondiali di calcio e trovarsi nella piazza invasa dai tifosi. Sempre rimarrebbe nella città e nel punto preciso che occupava al momento della partenza. La sceneggiatura risparmia allo spettatore assurde storielle di gente che va a spasso nel passato e nel futuro finendo chissà come mai per incontrare sempre e solo i soliti personaggi famosi, in posti celebri, agghindati come li vediamo nei ritratti del sussidiario della scuola elementare. Cesare, Carlo Magno, Napoleone… nemmeno i nostri baldi crononauti si fossero materializzati in una casa di cura per malati mentali, di quelle che le barzellette sui “matti” hanno reso celebri malgrado la loro tragica realtà. Trovata assai conveniente, quella di ambientare l’azione esclusivamente nel futuro: ognuno è libero d’immaginarsi il mondo del domani come meglio crede. Lo scenografo può rappresentarlo ricorrendo a tutti gli elementi che trova utili, senza cadere in contraddizioni o in rielaborazioni imprecise, senza essere obbligato a spese necessarie o approssimazioni inevitabili. Viene così evitato il clima naif da ricostruzioni prive di precise competenze storiche o del danaro sufficiente a ricreare scenografie attendibili, con i gladiatori in
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slip, orologio e calzini e le ballerine in calzamaglia color carne, come vedette di avanspettacolo… Quanto ai nemici, i Morlock non hanno una singola identità, nel senso che sono tutti più o meno della medesima corporatura e identico trucco. Si evita la tentazione di creare un villain di eccezione, e con maggiore realismo si mostrano invece parecchi aguzzini privi di nome. Negli aspetti più esteriori L’uomo che visse nel futuro dimostra gli anni trascorsi, ma nella sostanza è ancora attuale, più moderno del remake realizzato pochi anni fa. Quest’ultimo è un film spettacolare, purtroppo abusa di stereotipi e, artificioso come appare, fa preferire la vecchia versione, anche perché essa, pur priva degli espedienti digitali, evita effetti speciali rozzi o gratuiti. Si vede come, per l’epoca in cui venne girato, le tecnologie impiegate erano quanto di meglio a disposizione. Il trascorrere del tempo viene reso mostrando fiori che sbocciano, lancette che si muovono, oppure alternando rapidamente il buio e la luce, e un manichino di un negozio di abbigliamento femminile cambia i capi indossati a seconda della moda. I Morlock sono attori truccati, scelta obbligata in un’epoca in cui non ci si poteva avvalere di ritocchi digitali. Vengono inquadrati poco, senza indugiare in descrizioni minuziose del loro aspetto; lo stesso si può dire delle caverne in cui vivono, che probabilmente non farebbero paura nemmeno a un ragazzino. L’uomo che visse nel futuro non è perfetto, ma la qualità complessiva è alta, gli interpreti sono abba-
stanza convincenti, ed è un classico che si lascia vedere e rivedere, senza stancare. LIBRO E FILM
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onostante la presenza dalla grande invenzione della Macchina, che ASIMOV stesso riconobbe come assoluta novità, il testo letterario rientra nella tradizione britannica del viaggio utopico alla scoperta di civiltà che riflettono la nostra in modo distorto. Sospeso com’è tra avventura, satira e utopia, il viaggio nel tempo assomiglia più alle disavventure di Gulliver che non a una storia di esplorazioni spaziali. Rispetto alla pagina scritta, nel film ci sono
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compromessi, volti soprattutto a rendere più spettacolare la trama, adeguandola al gusto degli spettatori. Prevedibilmente, sul grande schermo le idee politiche dell’uomo Wells sono state blandite o eliminate. La scelta è dovuta al fatto che nei film dalle propensioni di blockbuster, a prescindere dal genere, si tende ad evitare ogni schieramento netto, che possa fare propaganda ideologica. Ovviamente un regista vive in una società, e se è abile potrà comunicare le sue idee in modo meno scoperto; oppure rinuncerà alla Gloria con l’$ maiuscola e si dedicherà a produzioni indipendenti, che gli permetteranno di esprimersi con minori limitazioni e minori incassi. Wells era socialista (di una sinistra diversa da quella marxista leninista) e sognava l’abbattimento delle barriere tra stati. In The Time Machine i ricchi capitalisti divengono gli Eloi, mentre il popolo abbrutito dalla fatica si trasforma nei Morlock. L’ambiente terrestre viene sì migliorato dall’opera umana, ma nel contempo l’uomo tecnologico si snatura, o diviene inetto o cannibale, senza apparente possibilità di conciliare progresso estremo e umanità. Nel caso particolare de L’uomo che visse nel futuro, le interessanti riflessioni del racconto originale sono difficili da rendere senza rallentare gli elementi di azione e avventura che lo spettatore medio ricerca in un film di questo tipo. Di conseguenza, il libro è stato adattato. Lo svolgimento del viaggio introduce dettagli che “attualizzano” la narrazione letteraria, pur senza stravolgerla. Gli incontri del protagonista durante il viaggio sono pretesto per mostrare la guerra mondiale e l’incubo atomico, temi cari alla fantascienza del periodo. Queste sequenze, pur inventate di sana pianta, non nuocciono all’insieme della vicenda, in quanto restano accennate, e comunque non riguardano personaggi famosi quanto gente verosimile colta nella propria quotidianità. A sinistra, dall’alto: 1) Weena mostra a George gli anelli parlanti; 2) La sirena dei Morlock raduna gli Eloi; 3) nell’antro dei Morlock l’unica difesa è la luce. Pag. a destra, in senso orario: 1) George affronta i Morlock; 2) temporanea fuga verso il passato; 3) David “interpreta” i segni del trascinamento lasciati sul terreno, e capisce che George se n’è andato per sempre.
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Il rapporto tra il protagonista e la ragazza Eloi, Weena, è stato enfatizzato rispetto al romanzo, in esso era narrato non tanto per dare spazio a una storia d’amore, quanto per mostrare come fossero immaturi gli Eloi, sia nella tecnologia che nei sentimenti. Weena nel film è imbelle, come tante altre ragazze presentate nelle pellicole di avventura del periodo, ma non è proprio come una bambina, e matura in fretta, per esigenza di copione. La trasformazione del personaggio è una scelta discutibile, dal punto di vista artistico, comprensibile solamente se si considera che, nel cinema d’intrattenimento, alcuni ingredienti (tra cui un bel protagonista un po’ stazzonato e leggermente ferito e una ragazza bella e bionda con abiti succinti o a brandelli!) venivano ritenuti essenziali per la riuscita commerciale del prodotto. Peraltro le pagine del libro non dicono se lo scienziato torni nel futuro per riabbracciare Weena, ragazza minuta nel corpo e infantile d’intelletto, o se prosegua il viaggio per desiderio di conoscenza, o ancora torni al mondo degli Eloi per farsene leader e liberatore. Il film lascia invece pensare a motivazioni sentimentali; ma poteva andare peggio: narrando i dettagli della vita futura del nostro eroe, e snaturandone così il personaggio in nome di una conclusione rasserenante. Il lieto fine c’è, dà spazio alla fantasia dello spettatore ed evita sia toni trionfalistici, tipo “lo scienziato mostra la sua invenzione e diventa eroe nazionale”, sia tristi rientri nella vita di tutti i giorni con “la macchina che si rompe irreparabilmente al rientro del vaggiato-
re, ma non importa, tanto è stata una bella avventura o tutto un eccitante sogno”. Vediamo partire il protagonista verso il futuro, ma senza sapere cosa troverà. Il suo racconto può avere modificato gli eventi. Forse il compagno morto nel conflitto mondiale ha potuto evitare il suo destino… Così il domani che attende lo scienziato potrebbe anche non essere popolato da Morlock ed Eloi. La trovata narrativa lascia libertà d’immaginazione. Suggestivo anche l’incognita sui tre libri che lo scienziato porta via quando riparte. Lo spettatore può immaginare i titoli che preferisce. Una certa “vaghezza” accresce il fascino e la poesia di questo film, che può conquistare non solo un pubblico riflessivo, ma anche quello più giovane.
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Rod Taylor (George - H.G. Wells):
lo scienziato inventore che relizza la “Macchina del Tempo”, e nel lontano futuro libererà gli Eloi dall’oppressione dei Morlock. Filmografia fantascienza/fantastico: The Warlord: Battle for the Galaxy (TV), Outlaws (TV), Gli uccelli, La Regina delle Amazzoni, Mondo senza fine.
Yvette Mimieux (Weena):
la bella Eloi che, salvata da Gorge, si risveglierà per prima dall’apatia degli Eloi.
Filmografia fantascienza/fantastico: Il cane infernale, The Black Hole - Il Buco Nero, L’Odissea del Neptune nell’Impero Sommerso, La morte in vacanza (TV), Avventura nella fantasia.
Whit Bissel (Walter Kemp):
altro burbero e scettico amico di George.
Filmografia fantascienza/fantastico: Aliens from another planet (TV), The time machine (1978) (TV), 2022: i sopravvissuti, La città degli acquanauti (TV), Và e uccidi, Ricerche diaboliche, La strage di Frankenstein, I was a teenage werewolf (1957), L’Invasione degli ultracorpi, Miracolo nella 34a strada (TV), Atomicofollia, Obiettivo Terra, Il mostro della Laguna Nera, Il continente scomparso, Si può entrare?, Sherlock Holmes e l’arma segreta.
Tom Helmore (Anthony Bridewell):
il meno scostante (Filby a parte) dei compagni con cui George si confida. Filmografia fantascienza/fantastico: The scarecrow (TV).
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Alan Young (David/James Filby):
il fedele amico di George, l’unico a credere verametne alle sue avventure. Filmografia fantascienza/ fantastico: The time machine (2002), Earth Angel (TV), Il gatto venuto dallo spazio, Mister Ed (TV), Le meravigliose avventure di Pollicino.
Sebastian Cabot (Philip Hillyer):
uno dei quattro amici a cui George confida la propria scoperta. Filmografia fantascienza/fantastico: Miracolo nella 34a strada (TV), Mantelli e spade insanguinate, Uno straniero tra gli angeli, I cavalieri della regina, Dick Barton strikes back.
Bob Barran (ragazzo Eloi):
tipico esponente della sua razza; apatico e indifferente fino a quando George non lo “sveglierà”. Filmografia fantascienza/fantastico: nessuno.
Doris Lloyd (Mrs. Watchett):
la premurosa governante di George. Filmografia fantascienza/fantastico: Mary Poppins, I viaggi di Gulliver, Sogni proibiti, La rivincita dell‘Uomo Invisibile, Frankenstein contro l’uomo lupo, Il fantasma di Frankenstein, L’uomo lupo, Il Dottor Jekyll e Mr. Hyde.
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SCHEDA TECNICA Titolo: L’UOMO CHE VISSE NEL FUTURO Tit. originale: THE TIME MACHINE Anno: 1960 Durata: 145 minuti Paese: USA Produzione: Gerorge Pal, GALAXY FILMS Distribuzione: METRO GOLDWYN MAYER, WARNER BROS. Regia: George Pal (Atlantide, continente perduto) Soggetto: H.G.Wells (racconto) Sceneggiatura: David Duncan Fotografia: Paul C. Vogel Musiche: Russel Garcia Montaggio: George Tomasini Scenografia: F. Keogh Gleason, Henry Grace Effetti speciali: Wah Chang, Gene Warren, Tim Baar Make-up: Sydney Guilaroff, William Tuttle Note: Vincitore OSCAR 1961 “Best Effects, Special Effects” (Gene Warren, Tim Baar); nomination HUGO AWARD “Best Dramatic Presentation”.
Per le immagini in B/N qui sopra si ringrazia http://www.sciflicks.com/
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The time machine Il destino è quel che è Non c’è scampo più per me!
te, si capisce che è un rampollo di buona famiglia, non deve preoccuparsi del proprio sostentamenlexander Hartdegen è uno to e può dedicarsi indisturbato a scienziato ed inventore ogni genere di attività. Invece che di fine ‘800. La vita pare emulare Edison ovvero procurarsi sorridergli: è bello, giovane. Vive fama e tanti dollari sonanti grazie in una casa lussuosa a New York, a brevetti d’ogni genere, insegna indossa abiti eleganti e frequenta all’Università è un gran sognatore. gente colta. Dalle maniere raffina- È convinto di poter inventare un mezzo per viaggiare a suo piacimento nel tempo, al fine di modifiAlexander (Guy Pearce) è un care il corso degli eventi a proprio inventore pieno di idee, e, vantaggio. Qualcuno lo considera come tutti gli inventori dei film, un eccentrico, e a lui non importa, difficilmente riesce a staccarsi dal suo lavoro o anche solo ripoiché ha la sua cerchia di amicizie cordare gli appuntamenti. e ha trovato l’anima gemella.
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A differenza del grosso dei “colleghi” inventori misogini che la letteratura di fantascienza ci ha fatto conoscere, Hartdegen ha una vita sentimentale invidiabile. Sta per fidanzarsi ufficialmente con Emma, una delle rare persone che lo capiscono e lo apprezzano per quello che é. La giovane condivide i suoi interessi per la scienza, e dimostra interesse autentico per lui, non solo per il presumibilmente lungo conto in banca. Cosa che mai guasta: è una ragazza di bell’aspetto. Purtroppo per il nostro protagonista, il destino è in agguato, e non è benevolo. Emma viene uccisa da un rapinatore la sera stessa in cui Alexander si è deciso a chiederne la mano. Hartdegen si chiude nel suo laboratorio e abbandona il mondo, anche quello accademico, liquidando con un “Ho dovuto lavorare” i sempre più rari amici che lo vengono a trovare.
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The Time Machine Nei quattro anni seguenti si dedica alla costruzione della fatidica macchina del tempo. Il marchingegno che all’inizio pareva una fantasia irrealizzabile si concretizza in una struttura che assomiglia a una scultura di gusto post moderno. L’inventore impiega la macchina del tempo per tornare alla sera della disgrazia, cercare d’impedire che accada il peggio e vivere felice con la sua anima gemella. Purtroppo il tentativo di modificare la realtà fallisce ad ogni prova. La ragazza muore in modo diverso, stavolta non più per una pallottola, ma investita da una carrozza trainata da cavalli imbizzarriti, o per altri motivi banali, senza che l’inventore possa fare niente per salvarla. Hartdegen comprende allora come sia impossibile cambiare il passato, e sconvolto si getta verso il futuro. Prima si ferma agli albori del terzo millennio... In questa età inizia la colonizzazione della Luna. La cultura è affidata alle enciclopedie virtuali, e ci sono biblioteche multimediali con bibliotecari olografici pronti a soddisfare le richieste dei visitatori. Ad uno di essi il nostro eroe pone domande sulla sua macchina del tempo, ma nessuna notizia gli vie-
ne comunicata, tranne qualche riferimento letterario sugli autori che hanno trattato l’argomento nei libri di fantascienza o nei film. La sua invenzione ufficialmente non esiste, tanto che viene scambiata per un distributore automatico di cappuccini e lui stesso viene minacciato di subire un ritocco del Dna, appena la gente si accorge che ha qualcosa di strano. Assai frustrato, riparte e appro-
da nell’apocalittico 2037. L’umanità va verso l’autodistruzione, e la Luna si sta sgretolando proprio a causa dei troppi insediamenti umani sulla sua superficie. L’inventore fa del suo meglio per trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato: finisce in mezzo a una pioggia di detriti lunari, il satellite sta cadendo sulla Terra. Ferito, riattiva la macchina del tempo e sviene, cavalcando così
1) Finalmente la proposta di matrimonio è fatta: Alexander ed Emma (Sienna Guillory) due si sposeranno. 2) Ma il destino ha in serbo un dramma: l’incontro con un rapinatore... 3) ...che uccide Emma.
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senza controllo verso al futuro, addirittura fino a ottocentomila anni dopo. Scopre di trovarsi nella Terra del domani, un pianeta verde im-
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maginato secondo il gusto New Age e popolato da gente primitiva ma assai libera: gli Eloi. Queste persone vivono a contatto con la natura ed in armonia perfetta con
essa, in villaggi costruiti sugli alberi o abbarbicati a rocce a strapiombo su canyon. Hanno una tecnologia primitiva e venerano le Rocce (i resti della “nostra” New York), con quelle scritte che magari nemmeno sanno decifrare ma rappresentano, per loro, la magia e il sovrannaturale. Il problema di questo mondo idilliaco è che gli Eloi non sono soli: sotto la superficie vivono i mostruosi Morlock. Si cibano di carne umana, sono fortissimi e ciascuno di essi è esperto in una sua specifica competenza – come le catene di montaggio? I Morlock sono guidati da un intelligentissimo te1) Per Alexander il lavoro diventa un’ossessione. Il suo obiettivo è realizzare una “Macchina del Tempo” (2). 3) Con essa torna nel passato, e cerca di salvare Emma portandola lontano dal parco dove è stata uccisa prima che l’evento accada.
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1) A quanto pare, il passato non si può cambiare; Emma muore ugualmente, anche se in modo diverso: viene travolta da una carrozza. 2) Cos’è che impedisce al viaggiatore del tempo di mutare il passato? Nel presente nessuno può rispondere alla domanda, ma forse nel futuro...
usando l’energia della macchina lepate albino, che li controlla con per uccidere i pericolosi Morlock, sacrificando però l’invenzione. poteri extrasensoriali. Hartdegen perde il suo mezzo Prima di mostrarci il pericolo che incombe sugli Eloi, la sce- di trasporto e non potrà più tornare neggiatura sviluppa un attimo il indietro, ma si consolerà nel monrapporto tra essi e lo scienziato. do idilliaco, tra gli Eloi, con la sua Hartdegen viene trovato da que- aborigena. sti buoni selvaggi, si fa amico la Ottime letture, buon giovane e bella Mara e il fratellino Kalen, vive con loro mesi e cinema e intrattenimento contemporaneo mesi, scoprendo a poco a poco l’esistenza dei cacciatori Morlock. i tratta dell’ennesimo remake Un giorno Mara viene catturata e a di una pellicola di fantascienza quel punto il nostro scienziato si deche ebbe successo molti anni cide a scendere nel sottosuolo. Dopo fa. È tratto dall’omonimo romanzo ovvi combattimenti riesce a salvare la ragazza, sconfiggendo l’albino e di H.G.WELLS e non per caso è sta-
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to diretto da SIMON WELLS, parente del grande scrittore di fantascienza. Il film è stato però completato con l’aiuto di GORE VERBINSKY, che ha sostituito Simon Wells a metà dell’opera e forse ha ritoccato a modo suo la vicenda, sfumandone le riflessioni politiche e sociali ed esasperando la pura spettacolarità. Rispetto al romanzo, e alla sua più famosa versione cinematografica, ovvero “L’uomo che visse nel futuro”, le modifiche sono tantissime. Alcune di esse attualizzano il film senza niente aggiungere o togliere; altre sono assai funzionali alla resa degli effetti speciali,
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1) Alexander riattiva la macchina e parte per un nuovo “viaggio. 2) Il futuro! Sicuramente qui qualcuno può rispondere alle sue domande. 3) L’onnisciente assistente olografico della biblioteca afferma che il “viaggio nel tempo” è irrealizzabile. La scoperta di Alexander pare destinata a restare sconosciuta. 4) Occorre spingersi ancora più aventi nel tempo. Ma la fermata successiva rivela un mondo impazzito... e una Luna che sta per frantumarsi!
altre infine stravolgono la vicenda, non sempre migliorando la forza espressiva delle pagine. Gli adattamenti mirano a fornire occasioni agli strabilianti effetti speciali. E tendono a rassicurare lo spettatore. O a irritarlo. Il protagonista risente in pieno della trasformazione. Esiste un abisso tra il misogino eccentrico vittoriano del romanzo – lo strambo e aristocratico George – e l’atletico Hartdegen. Nelle pagine c’è un avventuroso esploratore a metà tra Gulliver e Richard Burton – il viaggiatore che esplorò l’Africa e tradusse il Kamasutra. Nel primo film troviamo un uomo insoddisfatto dalla propria epoca, anche se non sappiamo la motivazione precisa della sua frustrazione. Nella pellicola del 2002, invece, il protagonista è perfettamente a suo agio nel mondo che lo circonda. Ciò che lo spinge a partire è il dolore per la perdita dell’amata, non la curiosità che anima
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re le Colonne d’Ercole, è solo un 1) Durante una delle violente povero Romeo che ha perso la sua esplosioni, Alexander perde Giulietta, e senza il dramma proconoscenza, e la macchina babilmente non si sarebbe mosso “corre” per centinaia di midalla sua cittadina, dal suo comodo gliaia di anni. laboratorio, dalla sua cattedra uni2) Nel futuro lontanissimo la Terra è rinata e dove prima sorversitaria. geva New York, adesso vive a Emma è un personaggio creato contatto con la natura un poper il film più recente, non esiste polo chiamato Eloi. nel romanzo e nemmeno nella versione cinematografica anni ‘60. Se il buon George. non fosse per la splendida fotograIl viaggio nel tempo, preceduto fia, le sue morti sarebbero ridicole, dall’evento drammatico, assume verrebbe da pensare a Fantozzi o a tutt’altro valore: il protagonista Kenny, personaggio della sboccata non è un novello Marco Polo né serie a cartoni animati South Park un Odisseo che vuole oltrepassa- – il bambino povero che muore in
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ogni puntata, per il divertimento degli spettatori. Se conoscete la serie, guardate pure le sequenze ripetendo a voi stessi: “Oh, God, they’ve killed Ken... ops, Emma! You bastards!” La scelta di riproporre alcune delle stesse immagini della sequenza iniziale non pesa molto sulla narrazione grazie all’estrema eleganza formale, i colori della neve e del sangue e dell’abito compongono una scena che mantiene realismo senza scadere nello splatter. Il futuro più vicino a noi ha in serbo qualche buona trovata, i dialoghi in biblioteca ci ricordano Star Trek e i computer del mondo dell’Enterprise, mentre le disavventure della Luna possono ammiccare a Spazio 1999. Sono episodi inventati di sana pianta, che attualizzano le altrettanto apocrife due fermate già previste nel vecchio film. Gli abitanti della Terra futura sono quanto di più distante dai personaggi del romanzo fosse possibile
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mettere in scena. Non troviamo più la minuscola popolazione di creature messe all’ingrasso, né il gruppo di prosperosi giovani apatici del primo film: troviamo al loro posto esseri umani per nulla cambiati da secoli di evoluzione! E sì che con le conquiste della grafica digitale e i miracoli delle protesi si sarebbero potuti creare esseri mutanti verosimili! Invece, immaginate di vedere una folla multirazziale con 1) Alexander ferito viene soccorso da Mara (Samantha Mumba), che lo accoglie nella sua dimora. 2) Durante la permanenza fra gli Eloi, Alexander ha modo di condividere anche i loro incubi.
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tratti -Celtici? Afro? Orientali?non chiaramente riconducibili a etnie distinte. Pensate alle foto di Oliviero Toscani per Benetton, provvedete solo a vestire i modelli di abiti in pelle tagliati sulla falsariga degli abiti trendy di oggi. Va la New Age con tanto di sedicenti sciamani indiani d’America nati anche loro per caso in via Gluck? Allora ecco case su piattaforme in un canyon, e tende per pareti: avrete gli Eloi versione 2002. Parlano un Inglese degno di una matricola di Cambridge quando a noi sono bastati 2000 anni per dimenticare il Latino. Eloi, brava gente che di quella animalità voluta da H.G.Wells ha ben pochi tratti, cittadini del futuro che né sono passivi
e inetti come quelli voluti dalla prima versione cinematografica. Sono paragonabili a persone dell’età del bronzo, epoca in cui la tecnologia era agli albori ma avvennero grandi scoperte decisive per il progresso, chiaro segno che i cervelli di un tempo non erano meno brillanti di quelli di oggi, nonostante alle spalle avessero tecnologie più elementari. Che dire di Mara? Bene, benissimo, se vogliamo parlare di belle ragazze poco vestite. Ma se vogliamo dire qualcosa del suo personaggio o dell’interpretazione… Wells probabilmente ancora si rivolta nella tomba al pensiero della procace bellezza aborigena, con tanto di fratellino e legami di clan, che sostituisce l’infantile creatura nata dalla sua penna (Weena). Mara non è affatto impacciata, e sa esprimersi con sentimenti adulti e compiuti, e così tutto il suo variopinto villaggio. Inoltre la storia d’amore è un ricamo che lo scrittore aveva voluto esplicitamente evitare! Per scelta dell’Autore, Weena si affeziona allo scien-
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The Time Machine ziato con i modi e la maturità di un animaletto domestico; serve per mettere in discussione il mito del buon selvaggio. Ve lo figurate un fior di professore universitario, che fino a qualche anno prima desiderava una donna intellettuale, a sbavare come un brufoloso nerd dietro a una simile creatura? Cambiata di aspetto, di ruolo, di nome, Mara è qualcosa di opposto a quanto Wells aveva immaginato. O piuttosto, è la solita bellezza discinta da andare a salvare, come la troviamo nei videogiochi degli anni ‘80! Se mai c’è stato, si conclude presto l’omaggio al Wells politico e utopista. Spunta un’americanata più imperdonabile di altre, ovvero arrivano i Morlock. La produzione sceglie di creare un “cattivo” di eccezione, un leader albino dal fascino letale e dai terribili poteri telepatici. JEREMY IRONS è attore meraviglioso, affascinante in maniera anticonvenzionale, ed è un professionista bravissimo. Il suo personaggio, anche se recitato al meglio, mi pare tuttavia un regresso rispetto alle astrazioni del film precedente. In quest’ultimo non esisteva un capo dei carnivori del sottosuolo; c’erano invece parecchie creature simili tra loro. Alexander scende giù, e di tante specie che potevano essersi evolute nel corso dei secoli, trova immediatamente i Morlock e
addirittura il loro capo, che prima di lottare si premura di fargli da guida turistica, come facevano i “cattivi” dei film sull’Agente 007, negli anni ‘60. Si cerca di rendere plausibile l’incontro spiegando che è l’albino stesso a “organizzarlo”, dopo aver percepito telepaticamente l’arrivo della macchina del tempo e del suo occupante. Il risultato è naif, un po’ come se si dovesse narrare la storia di un soldato del-
le truppe napoleoniche che va in guerra: forse andrà in Egitto e in Russia, potrebbe anche darsi che non veda mai Napoleone, ma se si narra la storia a un bambino o a un pubblico ingenuo, chi ascolta o legge vorrà per forza vedere il condottiero! La battaglia risolutiva accontenta forse ragazzini di città, pantofolai, che mai hanno giocato a “indiani contro cowboy”. Tra
1) Mara mostra ad Alexander la fonte della conoscenza Eloi. 2) E vuole che il giovane fugga da quel tempo 3) I Morlock non sono una fantasia da bambini.
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Morlock ed Eloi volano dardi, ci si scambiano colpi e la gente non si fa nulla, anzi continua a girare in tondo come se le comparse non sapessero più che fare dopo aver
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recitato la loro parte. Il finale purtroppo conferma il tono scontato della la vicenda, che presenta cedimenti già a partire dal primo incontro del protagoni-
sta con gli Eloi. In particolare, gli ultimi cinque minuti sono strazianti per quanti amano l’avventura. Il crollo del pathos è colpa della sceneggiatura, che tende a semplificare le scelte narrative e a rassicurare ad ogni costo lo spettatore. Fuga del prigioniero o del disertore?
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i sono persone che cercano nel cinema un paio d’ore di svago, altre preferiscono film artistici o di attualità, e altre vorrebbero trovare sullo schermo sogni intelligenti, per liberarsi per un poco dalla quotidianità apprezzandone una rilettura in chiave 1) Sbucando dal terreno i cacciatori Morlock si rivelano dei nemici temibili. 2) Alexander e Kalen (Omero Mumba), il fratello di Mara, si salvano a stento. 3) Mara, però, viene rapita.
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1) Alexander s’imbatte in una “vecchia” conoscenza, incredibilmente “sopravvissuta” dal lontanissimo passato. 2) La proiezione fotonica spiega come raggiungere la tana dei mostri. 3) Un luogo orribile già visto in sogno.
fantastica, pur evitando pellicole angoscianti o di difficile comprensione. Un film fatto bene dovrebbe poter accontentare a pieno almeno una di queste tipologie di fruitori, e rivolgersi ad essa in modo chiaro, senza indecisioni, così che ciascuno possa trovare la pellicola più adatta a sé e all’umore del momento. Voler divertire – ed essere divertiti – senza pretese, non è certo un delitto: tutti abbiamo bisogno di alternare momenti impegnati ad altri di relax. Non è facile trovare un compromesso tra sva-
go e riflessione, e spesso occorre rinunciare a uno dei due, ben venga quindi anche il cinema di solo intrattenimento, purché il medesimo tono pervada dal primo all’ultimo fotogramma, e il fine di
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svago non rappresenti una scialba rinuncia al poter approfondire migliori potenzialità di un’opera. Per dare vita a un blockbuster avventuroso o fantastico occorre scegliere un testo che sia adatto allo scopo,
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leggero e ben congegnato, di buon ritmo, con personaggi collaudati, meglio se famoso, e con diritti d’autore scaduti da qualche anno. Forse Simon Wells ha diretto
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la sua pellicola seguendo criteri analoghi, tuttavia ha ottenuto un semplice remake del celebre film L’uomo che visse nel futuro ispirato al romanzo breve The Time
Machine, anziché una propria personale interpretazione dell’opera dell’antenato. Il libro unisce azione e ideologia. Wells e Verbinsky pare che nemmeno siano stati accarezzati dall’idea di rendere con fedeltà il difficile e scomodo capolavoro. Ne hanno saccheggiato qualche idea fondendola con elementi importati direttamente dal repertorio del cinema di avventura e del fantastico. Le varie modifiche semplificano il testo scritto e lo propongono in formato “per famiglie e giovani”, purgandolo da gran parte delle teorie politiche. Purtroppo per gli sceneggiatori, H.G. Wells voleva far riflettere sulla società, non gli interessava far sognare una serie di improbabili mondi futuri. Nelle sue pagine ci 1) Nell’antro dei Morlock. 2) L’orribile rivelazione su ciò che succede agli Eloi rapiti. 3) Alexander viene catturato
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1) Alexander ritrova la bella Mara. 2) E conosce l’orrido capo dei Morlock. 3) Grazie ai suoi poteri mentali, l’essere fa vivere al giovane un possibile futuro con Emma.
sono moltissimi riferimenti alle idee socialiste che sosteneva, e sono così radicati che non è possibile estirparli del tutto. Quanto resta è solo qualche piccolo spunto di riflessione, che lieve affiora, e quando riemerge crea disagio, restando un accenno e mai sviluppato fino in fondo. Ne nasce un rifacimento che, pur garantendo due ore spensierate e intrattenimento di buona qualità, forse non accontenterà a pieno nessuno. Gli sforzi produttivi sono diretti più alla forma (è impeccabile) che alla sostanza (è assai scontata). La trama, notissima, si avvia con un tono che poteva far sperare in
un remake interessante, e invece finisce per arrancare tra i luoghi comuni del cinema di genere: l’eroe stazzonato e malconcio ma sempre bello, la procace ragazza che lo soccorre, la bella rapita dai mostri,
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la catastrofe, l’inseguimento nella giungla, i combattimenti impacciati e tanto prevedibili. L’introspezione è quasi assente. Si fa presto a etichettare Alexander come “buono”: certo è animato
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1) Ad Alexander viene ordinato di andarsene. 2) Ma il giovane si rifiuta di abbandonare Mara al suo destino. 3) La battaglia che segue col capo Morlock è dura. 4) Fino all’orribile morte del mostro.
dalle più nobili intenzioni, ma agisce senza minimanente riflettere sulle probabili implicazioni morali del correggere la realtà a suo vantaggio. Per quanto possiamo saperne, proprio mentre il protagonista evita il borseggio all’amata e la vede morire in altro modo, il delinquente può aver rapinato la banca, e ucciso due o tre persone! O, peggio, può aver innescato una serie di eventi destinati magari a scatenare una guerra con migliaia di morti. Dal punto di vista narrativo, è inverosimile che tornando indietro nel tempo non si possano modificare gli eventi passati creando un nuovo domani – e magari provocando danni assai più gravi di quelli sventati! Forse la legge che impone l’immutabilità degli eventi passati potrebbe rappresentare una motivazione più profonda alla scelta di spedire il nostro eroe solo avanti nel tempo, ma l’argomento viene appena accennato. I registi evitano di far balenare anche questa possibilità di “effetto farfalla” allo spettatore, che invece si immedesima nel dolore dello scienziato e accetta ogni evento successivo, fosse anche degno del tema di ragazzino delle scuole elementari. Emma e Mara sono due prete-
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1) Alexander scopre che senza la guida del loro capo, i Morlock nel futuro distruggeranno ogni cosa. 2) Quindi decide di tornare indietro per salvare Mara e sabotare la “Macchina del Tempo”. 3) L’esplosione è devastante.
La colonna sonora è di routine, cinque minuti, di un attore protagonista celebre anche se non famoso e se prendete i temi musicali di diequanto l’acclamato divo, di una o ci film di avventura, otto avranno più belle ragazze, più qualche sfi- un sottofondo di questo genere, anzioso comprimario... che se stavolta è di qualità.
sti, la prima un motivo posticcio per scatenare l’inventiva folle, la seconda, un “premio” per l’eroe, nel senso più stereotipato del termine. Mi trattengo a stento dall’insultare un finale conformista e cucito a misura di famiglia, un happy ending che dubito Wells scrittore avrebbe apprezzato. Gli attori se la cavano, chi meglio (Irons) chi alla meno peggio (l’aborigena, e il fratellino, che da solo farebbe venir voglia di innalzare un monumento a Erode.). Forse è inutile pretendere performance artistiche quando esplicite pressioni commerciali esigono la presenza di un divo in un cameo di
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Gli effetti speciali sono l’aspetto migliore del film: usati con mestiere vanno a valorizzare le inquadrature ogni volta nella maniera più adatta. Danno vita a mondi
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alieni, e almeno in casi come que- era realizzata con dispendio di sto si rivelano ausili preziosi che mezzi, si sente che manca qualcosa niente tolgono alla sceneggiatu- (ma solo sotto questo unico punto ra. Se guardiamo in confronto la di vista). Anche se ben fatto, il trucversione del film anni ‘60, che pure co artigianale non si fondeva con naturalezza con le altre sequenze, rimaneva un po’ freddo, o inserito in momenti meno felici. Nel remake il ritocco digitale, forse proprio perché assai sofisticato e usato con gran maestria, riesce a inserirsi e trasmettere senso di meraviglia. Fonde alla perfezione attori in carne e ossa e creazioni digitali, tanto che a stento si distingue il confine tra quanto è reale e quanto è postproduzione. La macchina da presa ha i movimenti rapidi delle produzioni contemporanee, anche se non si eccede con montaggi indiavolati. 1-2-3) Lo scoppio della “macchina del Tempo” pone fine una volta per tutte alla minaccia dei Morlock.
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1) Gli Eloi sono finalmente liberi. 2) Distrutta la “Maccina del Tempo”, Alexander ricorda la casa alla quale ormai non potrà più far ritorno. 3) I suoi cari gli augurano buona fortuna ovunque egli sia...
C’è un insegnamento morale, un generico invito a godere la vita momento per momento, cogliendo a ogni stagione i suoi frutti, senza desiderio di primizie o appetito per piatti già assaporati. Un invito che per risultare efficace avrebbe dovuto svilupparsi durante l’intera pellicola, non con interventi sporadici così espliciti. Portato allo spettatore in questa forma, rischia di tradursi in leggerezza di sentimenti, in fatalismi o in scelte obbligate di valori che forse non sono quelli che ci esaltano, ma semmai quelli che possiamo realizzare con minore fatica. E allo stesso tempo la morale della favola vuole che si guardi sempre avanti, senza pretendere di riparare gli errori commessi in passato. D’altra parte, gli stimoli della satira sociale vengono sopiti e restano in primo piano messaggi ambigui, indecisi tra il voler impartire una lezione etica secondo un galateo puritano, e il voler far da miccia per temi assai più universali – come quelli che sono presenti nel libro, socialista quasi bolscevico. Si sprecano preziose occasioni per riflettere sulla natura del destino del singolo e della società, sull’abbrutimento e sulla grazia, sulla
purezza originaria e la forza della tecnica. Ma del resto, come si è detto, questa è una pellicola di puro svago e tale vuole rimanere, senza profondi intenti di riflessione. “Tutti abbiamo le nostre macchine del tempo: i ricordi, che ci portano nel passato; i sogni, che ci spingono in avanti”: forse è questo
l’unico dialogo da salvare, in un film piacevole e leggero, da guardare tutto di un fiato, in compagnia, con bibite e tanto pop corn.
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FANTASCIENZA Guy Pearce (Alexander Hartdegen):
sognatore e inventore della “Macchina del Tempo”; a condurlo nel futuro è la frustrazio per non poter cambiare il passato. Filmografia fantascienza/fantastico: nessuno.
Sienna Guillory (Emma):
la sfortunata fidanzata di Alexander. Neppure ripetuti viaggi nel tempo del giovano potranno cambiare il di lei destino. Filmografia fantascienza/fantastico: Silence becomes you, Resident Evil: Apocalypse.
Mark Addy (David Filby):
l’unico amico del giovane inventore, anche se non può comprenderne e condividerne le idee, per lui assurde. Filmografia fantascienza/fantastico: Il destino di un cavaliere, Ritorno dal paradiso, Jack Frost.
Jeremy Irons (Über-Morlock):
il perfido signore dei Morlock; possiede incredibili poteri telepatici con i quali controlla i mostri... e non è l’unico della sua razza. Filmografia fantascienza/fantastico: Dungeons & Dragons, Kafka.
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Samantha Mumba (Mara):
la bella Eloi che cura Alexander al suo arrivo nella terra del futuro; rapita dai Morlock, verrà salvata da Alexander, a costo della Macchina del Tempo. Filmografia fantascienza/fantastico: nessuno.
Omero Mumba (Kalen):
il fratellino di Mara; Alexander riesce a salvarlo in extremis dalla cattura, ma i Morlock finiranno per prendere al suo posto proprio la sorella. Filmografia fantascienza/fantastico: nessuno.
Phyllida Law (Mrs. Watchett):
la governante di Alexander, quasi una madre per lui... Senza di lei il giovane si scorderebbe perfino di mangiare. Filmografia fantascienza/ fantastico: Mia Sarah, Nanny McPhee, Tooth, Stig of the Dump (TV), Magiche leggende (TV), Junior.
Orlando Jones (Vox):
la proiezione fotonica che tiene memoria di tutto il sapere del mondo; sarà affidato a lui il compito di rieducare gli Eloi. Filmografia fantascienza/fantastico: Evolution, Indiavolato.
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Scheda Tecnica Titolo: THE TIME MACHINE Tit. originale: THE TIME MACHINE Anno: 2002 Durata: 95 minuti Paese: USA Produzione: Walter F. Parkes, David Valdes Distribuzione: WARNER BROS. Regia: Simon Wells Soggetto: da un romanzo di H.G. Wells Sceneggiatura: John Logan, David Duncan Fotografia: Donald M. McAlpine Musiche: Klaus Badelt Montaggio: Wayne Wahrman Scenografia: Oliver School, Deena Appel Make-up: John M. Elliott Jr., Barbara Lorenz Costumi: Bob Ringwood Note: Nomination OSCAR 2003, “Best Make-up” (John M. Elliott Jr., Barbara Lorenz); Vincitore WORLD SOUNDTRACK AWARD 2002, “Discovery of the Year” (Klaus Badelt). Resto del Cast: Laura Kirk, Josh Stamberg, John W.
Momrow, Max Baker, Jeffrey M. Meyer, Alan Young, Myndy Crist, Connie Ray, Lennie Loftin, Thomas Corey Robinson, Yancey Arias, Richard Cetrone, Edward Conna, Chris Sayour, Jeremy Fitzgerald, Craig Davis, Grady Holder, Bryan Friday, Clint Lilley, Mark Kubr, Jeff Podgurski, Dan McCann, Bryon Weiss, Steve Upton, Doug Jones, Joey Anaya, Jacob Chambers, Dorian Kingi, Kevin McTurk, Michael Chaturantabut, Jonathan Eusebio, Roel Failma, Yoshio Iizuka, Diana Lee Inosanto, Chona Jason, Hiro Koda, John Koyama, Gail Monian, R.C. Ormond, Maro Uo Richmond, Petra Sprecher, Gary Toy, Jon Valera, Denise Ellison, Paul Oliver, Danny Swerdlow, Vanessa Viola.
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RELATIVITÀ E MACCHINE DEL TEMPO L
a teoria della Relatività, il cui valore si accompagna ad una assoluta eleganza e bellezza, rappresenta indubbiamente uno dei vertici del pensiero scientifico. Altrettanto indubbio è che il fascino esercitato dalla Relatività si estende ben oltre la ristretta cerchia degli “addetti ai lavori”, essendo tale teoria – lo si può ben dire – entrata a far parte dell’immaginario collettivo. La semplice menzione del termine “Relatività” è sufficiente a evocare un mondo in cui idee “fantascientifiche” (basti pensare alla “fusione di tempo e spazio”, o alla “curvatura spaziotemporale”, ai “buchi neri” e altri simili arcani) trovano piena accoglienza in una descrizione scientifica con tutti i crismi, nella quale il rigore non toglie spazio – anzi! – alla visione fantastica… Certo, al fascino esercitato da questa teoria contribuisce non poco la persona del suo ideatore, ALBERT EINSTEIN, divenuto egli stesso una vera e propria icona dell’immaginario collettivo. Il genio creativo di Einstein e la sua capacità di pensiero autonomo dagli schemi consolidati possono dirsi fedelmente rispecchiati nella sua opera. Di fatto, con la Relatività è stata aperta una nuova via, ampia ed entusiasmante da percorrere: tale è la ricchezza della teoria che lungo il cammino incontriamo
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diramazioni sempre nuove, tutte da scoprire. Di queste diramazioni noi seguiremo una in particolare, senza naturalmente addentrarci nelle complessità matematiche ma cercando di illustrare un po’ il paesaggio in cui questo nostro sentiero si inoltra. Scopriremo così quello che delle “macchine del tempo” siamo oggi in grado di dire, basandoci sulla teoria della Relatività. Per cominciare, va precisato che due sono in realtà le suddivisioni della teoria: vi è una “Relatività Speciale”, enunciata in forma compiuta da Einstein nel 1905, e una “Relatività Generale”, che ad essa fece seguito, nel 1916. Noi ci occuperemo di entrambe, in relazione al nostro argomento di discussione; per il momento, focalizziamo la nostra attenzione sulla Relatività Speciale, e sulle sue implicazioni per quel che riguarda i viaggi nel tempo. La visione dello spazio e del tempo nella fisica prerelativistica era esattamente quella con cui abbiamo a che fare nell’esperienza quotidiana: esiste uno spazio a tre dimensioni, descritto dalla geometria euclidea, e un tempo “universale”, valido qui come ovunque (i fusi orari non c’entrano, stiamo parlando di un tempo che scorre con ritmo universale, identico in ogni luogo e per ogni osservatore). L’intervallo di tempo che
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I Viaggi nel Tempo intercorre tra due eventi è un invariante, non dipende cioè dal particolare osservatore che lo misura; di conseguenza, se due eventi sono simultanei per un osservatore, saranno tali anche per qualsiasi altro: la simultaneità è un dato su cui tutti i possibili osservatori concorderanno. Allo stesso modo, anche la lunghezza di un intervallo spaziale possiede questa caratteristica di invarianza: sulla lunghezza di un oggetto (o sull’estensione della sua superficie, o del suo volume) non possono che concordare tutti quanti. È questo che dice l’esperienza comune, e parrebbe assurdo fosse altrimenti… Ma stanno davvero così le cose? Tutto sta nei limiti che sono imposti dal concetto di “esperienza comune”. Il fatto è che nella nostra vita quotidiana non abbiamo a che fare con oggetti che si muovono a velocità paragonabili a quella della luce (osservazione: in genere, parlando di “velocità della luce” s’intende la velocità della luce nel vuoto, indicata usualmente con la lettera c; le misurazioni dicono che c = 299.997 km/sec). Per le velocità ordinarie valgono le regole di composizione “galileiane”: supponiamo di avere due osservatori, O1 e O2, e supponiamo che O1 si muova con velocità v (la notazione in grassetto denota la grandezza vettoriale) rispetto a O2. Se un oggetto si muove con velocità v1 rispetto a O1, la sua velocità misurata da O2 risulterà v2 = v1+v. Cosa succederebbe allora se l’oggetto in questione fosse un raggio di luce? Ovvio, troveremmo che la velocità della luce differirebbe da osservatore a osservatore (un comportamento analogo a quello delle onde sonore, dunque); alle velocità v ordinarie le differenze sarebbero comunque minime, e noi semplicemente non ce accorgeremmo – salvo il caso in cui compissimo misure molto accurate. Ebbene, nel 1881 due studiosi, MICHELSON e MORLEY,
condussero un famoso esperimento a tale riguardo, il quale diede un risultato del tutto inaspettato: la velocità della luce era sempre la stessa, c, sia per O1 che per O2. Fu a partire da questo dato sperimentale che si avviò un processo di revisione critica delle “certezze” della fisica, il cui esito fu l’enunciazione di una nuova teoria, la Relatività Speciale appunto. I cardini della Relatività Speciale sono semplici da enunciare: invarianza della velocità della luce c; invarianza del “quadriintervallo spaziotemporale”; invarianza delle leggi della fisica per trasformazioni inerziali. Come si può intuire, è una teoria che attribuisce un certo rilievo all’idea di invarianza… Di che cosa si tratta, di preciso? Per quel che riguarda l’invarianza di c, ne abbiamo già parlato: è semplicemente il risultato, incontrovertibile, dell’esperimento. Per quel che riguarda l’argomento relativo ai sistemi inerziali, si tratta – non entriamo qui nei dettagli – di una generalizzazione che permette di includere nell’invarianza anche le equazioni di MAXWELL (ovvero la teoria dell’elettromagnetismo classico, grande conquista della fisica del XIX secolo). Quello che
Albert Einstein (Ulma, Baden-Württemberg, Germania, 14 marzo 1879 - Princeton, New Jersey, USA, 18 aprile 1955), premio Nobel per la Fisica 1921.
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Le leggi di trasformazione galileiane, valide 3 per la fisica prerelativistica, vengono sostituite da nuove regole, le famose “trasformazioni di Lorentz”. In base ad esse, la lunghezza degli 2 1 intervalli – tanto spaziali quanto temporali – perde la proprietà di 4 invarianza che era parsa tanto “ovvia” in precedenza; non esiste più un tempo “universale”, e neppure la simultaneità di due eventi è più un concetto assoluto: due eventi possono accade5 re contemporaneamente secondo un osservaUn interferometro Michelson. tore, ma non secondo L’esperimento originale Michelson-Morley utilizzò più specchi di quelli mostrati, la un altro. Cominciamo luce veniva riflessa avanti e indietro diverse volte prima di ricombinarsi. (Wikipedia) a intravedere uno spaImmagine: zio per le macchine del http://brainflux.org/Physics/Special_Relativity/Michelson_Morley/ tempo… Come premessa, ha maggiore impatto sull’immaginario è certamente però l’introduzione del concetto di “spaziotempo”, un dobbiamo innanzitutto precisare che ciascuno di noi, mondo a quattro dimensioni in cui né lo spazio né il così come qualsiasi cosa attorno a noi, sta viaggiantempo hanno un’esistenza a sé stante, ma sono perce- do nel tempo. Quand’anche ce ne stessimo immobili zioni individuali, diverse da osservatore a osservatore. in un medesimo luogo, ci troveremmo comunque a Affermare l’esistenza di una dimensione aggiuntiva percorrere un cammino, una “linea di universo”, nelrispetto a quelle comunemente percepite costituisce lo spazio quadridimensionale, e tale linea di universo già di per sé una rivoluzione non da poco: basti pen- è sempre diretta verso il proprio futuro locale. Ogni sare alla storia narrata dal Quadrato di Flatlandia. Ma osservatore reca con sé, più o meno consapevolmenqui ci troviamo di fronte a qualcosa che è persino più te, un proprio orologio, ovvero un misuratore dello rivoluzionario di quel che possiamo leggere nel suo scorrere del tempo proprio (l’orologio “biologico”, ad celebre trattato Dalla Flatlandia alla Thoughtlandia. esempio, anche se il termine suona improprio se apIl continuo spaziotemporale ha infatti una geometria plicato a una particella), e tale orologio non si arresta che, pur rimanendo piatta, non è più quella euclidea; mai, né tantomeno inverte la sua marcia. Non è possil’unico intervallo invariante – sulla misura del quale bile percorrere a ritroso il viaggio nel tempo proprio: cioè tutti gli osservatori si troveranno d’accordo – è non c’è una macchina del tempo per ringiovanire; poquello che separa due punti (propriamente, “eventi”) trebbe tuttavia esistere una macchina del tempo per di questo strano, nuovo mondo a quattro dimensioni. viaggiare nel proprio passato. Su questo argomento 1: fonte di luce coerente; 2: specchio semi-riflettente; 3 e 4: specchi; 5: rilevatore.
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I Viaggi nel Tempo torneremo più avanti. In base alle trasformazioni di Lorentz, un orologio in moto visto da un osservatore fermo appare rallentare il proprio ritmo (“dilatazione dei tempi”) – così come, del resto, un regolo in moto apparirà al medesimo osservatore schiacciato nella direzione del moto stesso (“contrazione delle lunghezze”). Concentriamo la nostra attenzione sul primo fenomeno: immaginiamo due gemelli – due orologi identici – uno dei quali decida di compiere un bel viaggio di andata e ritorno a bordo di un’astronave relativistica (in grado cioè di muoversi a velocità prossime a c), mentre l’altro rimane a terra ad aspettarlo. Questo secondo gemello Trasformazioni di Lorentz. vedrà l’orologio del primo rallenDilatazione temporale: l’orologio scorre più lentamente quanto più si tare rispetto al proprio; quando il approssima alla velocità della luce. gemello astronauta farà ritorno alla Immagine: base, troverà il gemello “terrestre” e http://abyss.uoregon.edu/~js/ tutto il suo mondo decisamente invecchiati. Il tempo sulla Terra è trafici tradizionali… L’idea che vi possano essere partiscorso più rapidamente, e il ritorno dell’astronauta si celle superluminali non è affatto in contrasto – come configura a tutti gli effetti come un viaggio nel futu- pure usualmente si crede – con la teoria della Relatiro. È sufficiente muoversi a velocità relativistiche per vità. I tachioni sono particelle assolutamente lecite, in percorrere in un breve intervallo di tempo proprio un linea di principio. Ciò che invece non è ammissibile è lungo intervallo di tempo di un altro osservatore. Ecco la possibilità di attraversare la barriera imposta dalla dunque un modo semplice, anche se per il momento di velocità della luce. Vediamo di chiarire. In base alla difficile praticabilità, per viaggiare nel futuro di qual- teoria, la velocità c è una velocità limite – e non la cun altro: farsi un giretto a velocità relativistiche su di massima possibile. Possono esistere solo tre classi di una macchina adeguata – una DeLorean, magari. Lo particelle: quelle che si muovono sempre a velocità svantaggio di questo giochetto, naturalmente, è che inferiori a c, quelle che si muovono solo alla velocità non si può fare marcia indietro nel passato: non si può c, e quelle che si muovono sempre a velocità maggiori invertire il procedimento per ritrovare alla fine il pro- di c. Alle prime due categorie appartengono tutte le prio gemello, rimasto a terra, più giovane. Il viaggio particelle conosciute, da quelle costituenti la materia nel futuro è ammesso; il ritorno al passato, no. ai fotoni, le particelle di luce; alla terza categoria corLa possibilità per un osservatore di interagire con rispondono i tachioni. Non è possibile un oggetto che il passato di un altro – o anche con il proprio – sarebbe faccia il “salto di categoria” (e dunque non è possibile fornita dall’esistenza di ipotetiche particelle superlu- che un’astronave venga accelerata alla superluminale minali, i cosiddetti tachioni. In effetti, il viaggio “più “velocità smodata”, nonostante gli ordini di Lord Caveloce della luce” è uno degli espedienti fantascienti- sco). Se anche i tachioni sono ammissibili dalla teoria,
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Sir Arthur Stanley Eddington (28 dicembre 1882, Kendalll, Inghilterra - 22 novembre 1944, Cambridge). Immagine Smithsonian Institution Libraries: http://www.sil.si.edu/
questo non significa tuttavia che la loro esistenza ne consegua di necessità; vi sono in realtà alcuni buoni motivi per ritenere che per essi nell’Universo non vi sia in effetti spazio alcuno. Innanzitutto, se fossero possibili comunicazioni per via tachionica si potrebbe influire dal futuro sul proprio passato, violando il principio di causalità (che ammette solo l’influenza inversa). È possibile poi dimostrare che l’esistenza dei tachioni violerebbe la positività dell’energia; inoltre, un universo contenente tachioni risulterebbe instabile. A queste controindicazioni va aggiunto infine il non trascurabile dettaglio che nessun tachione è mai stato osservato. Tutto ciò porta all’ipotesi conservativa che i tachioni, in realtà, non esistano proprio.
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Fin qui ci siamo mossi nell’ambito della Relatività Speciale; vediamo ora di ampliare la nostra inchiesta al mondo più vasto della Relatività Generale – nel quale, come vedremo, c’è anche maggior spazio per i viaggi nel tempo. Se con la prima teoria si era introdotta la nozione di un continuo quadridimensionale in cui spazio e tempo perdono le loro identità separate per fondersi nello “spaziotempo”, geometricamente piatto, con la Relatività Generale assistiamo ad un nuovo mutamento nelle basi della scienza: lo spaziotempo quadridimensionale non è in realtà piatto, ma curvo, e la sua curvatura è determinata dalla distribuzione di massa-energia presente nell’Universo. A superamento della consolidata visione newtoniana, viene ora affermato che la gravitazione non è una forza, ma semplicemente la manifestazione della curvatura spaziotemporale. Le traiettorie dei corpi in presenza di gravitazione sono curve semplicemente perché seguono il cammino più naturale in uno spaziotempo curvo. Da notare, in particolare, un’altra novità: anche i fotoni – che pure hanno massa nulla, e dunque non sarebbero accoppiati alla gravità in base alla teoria newtoniana – rispondono alla curvatura spaziotemporale; una sorgente gravitazionale deflette i raggi luminosi. Questa predizione della teoria venne spettacolarmente confermata dalle osservazioni compiute da EDDINGTON in occasione di un’eclissi solare avvenuta nel 1919; fu questa conferma sperimentale che consacrò definitivamente la fama di Einstein, elevando – letteralmente – ad astra la sua teoria. L’interesse per il comportamento della luce è più che comprensibile, sulla base di quanto abbiamo detto poco sopra. La velocità massima a cui si può propagare un’informazione (stabilendo così un nesso di tipo causale tra due eventi) è c; la luce rappresenta lo strumento più diretto per indagare la struttura dello spaziotempo. Laddove un’elevata curvatura gravitazionale riesce a intrappolare anche i fotoni, impedendo loro di sfuggire, ci troviamo di fronte a una zona buia dalla quale nessuna informazione trapela: un vero e proprio “buco nero”. E proprio i buchi neri sono tra gli oggetti più attraenti (in più di un senso!) descritti dalla
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I Viaggi nel Tempo teoria della Relatività; vale la pena dedicargli qui un po’ di attenzione, perché al loro interno scopriremo delle cose piuttosto interessanti. Innanzitutto dobbiamo premettere un’osservazione che si scontra con le convinzioni comuni: l’idea di un oggetto capace di non far sfuggire dalla sua presa gravitazionale neanche la luce non è una “creazione” della Relatività. È infatti noto che per ogni pianeta esiste una velocità di fuga, che rappresenta la velocità minima necessaria affinché un corpo, partendo dalla superficie, possa riuscire a vincere l’attrazione gravitazionale del pianeta stesso; nel caso della Terra, ad esempio, tale velocità è circa pari a 11,2 km/sec. La velocità di fuga cresce all’aumentare della massa del pianeta e al diminuire del suo raggio; un oggetto sufficientemente massiccio e compatto potrebbe dunque esser tale che la velocità di fuga da esso risulti superiore a c. In tal caso, è evidente, neppure la luce potrebbe sfuggire, e l’oggetto in questione avrebbe buon diritto alla qualifica di “nero”. Non occorre la Relatività per consentirlo – e infatti un tale oggetto era stato previsto già alla fine del Settecento da Laplace, nell’ambito della fisica newtoniana. L’ingrediente essenziale è che la velocità della luce sia finita (e non già infinita, come pure un tempo si era creduto); ma questo era un fatto ben noto, tanto che RÖMER era stato in grado di misurala, e con ottima precisione, già nel 1676. Altra concezione diffusa, ed errata, è quella secondo cui un buco nero è una specie di gigantesco aspirapolvere cosmico che risucchia inesorabilmente tutto ciò che si trova alla sua portata. A parte il fatto che un buco nero non necessariamente è gigantesco – anzi, possono esservene di microscopici, e sono proprio quelli da cui è bene tenersi lontani – l’attrazione gravitazionale esercitata su di un corpo esterno da parte di un buco nero è del tutto analoga a quella esercitata da una stella di pari massa. Il fatto che esistano buchi neri supermassicci (parliamo di milioni o miliardi di masse solari) al centro di molte galassie – compresa la nostra – non implica certo che tali galassie vengano inghiottite e scompaiano nel nulla… tanto è vero che esistono e continuano ad esistere: questi buchi neri se ne stanno tranquilli, “quiescenti”, danno il loro contributo alla dinamica galattica e non si comportano
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Una delle fotografie di Eddington dell’eclissi del 1919 scattate per verificare le predizioni di Einstein riguardo la curvatura della luce intorno al Sole, presentate in un articolo del 1920 (“A Determination of the Deflection of Light by the Sun’s Gravitational Field, from Observations Made at the Total Eclipse of May 29, 1919”, F. W. Dyson, A. S. Eddington, C. Davidson). (Wikipedia) Immagine: http://www.wikipedia.com
affatto come mostri distruttori. Sfatati questi luoghi comuni, precisiamo che secondo la Relatività Generale un buco nero è un oggetto completamente racchiuso da una superficie, generata da raggi di luce, con caratteristiche di membrana semipermeabile: si lascia attraversare in un verso, ma non permette a nulla di attraversarla nel verso opposto. Stiamo parlando del cosiddetto “orizzonte degli eventi”, che costituisce la superficie virtuale del buco nero; attraversandolo nell’unica direzione permessa (ossia verso l’interno), non incontreremmo alcunché
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SCIENZA
Karl Schwarzschild (Francoforte sul Meno, Germania, 9 ottobre 1873 - Potsdam, Germania, 11 maggio 1916). Immagine Astrophysical Institute of Potsdam: http://www.aip.de/
di solido: non c’è materia ma solo geometria, curvatura gravitazionale che raggiunge al centro della configurazione un valore infinito. Il buco nero è dunque una “singolarità di curvatura” mascherata da un orizzonte degli eventi. Di per sé, le singolarità di curvatura, le regioni cioè ove la curvatura diverge (e che, propriamente, non appartengono allo spaziotempo, ma ne marcano i confini), possono esistere indipendentemente dalla presenza di un orizzonte degli eventi che le racchiuda: parliamo in tal caso di “singolarità nude”. Ora, avendo a disposizione una singolarità nuda sarebbe possibile indagare direttamente regioni di spaziotempo in cui l’enorme curvatura è origine di fenomeni decisamente esotici, tipo – paradossalmente
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– manifestazioni di antigravità, o violazioni della cronologia (un “tempo circolare”). La perplessità di fronte a simili strani oggetti ha portato all’ipotesi che nella realtà le singolarità nude non esistano, ossia che tutte le singolarità eventualmente esistenti nell’Universo debbano trovarsi rigorosamente avvolte da un orizzonte degli eventi che le sottragga totalmente all’osservazione diretta. La loro “nudità” dev’essere pudicamente protetta da sguardi indiscreti, per così dire; tanto è vero che quest’ipotesi, formulata da PENROSE nel 1969, va sotto il nome di “postulato del censore cosmico”. Ora, tenendo presente che di un’ipotesi si tratta, e non di un teorema dimostrato, bisogna riconoscere l’esistenza di indizi che la rendono plausibile: ad esempio, pare non esser possibile distruggere un orizzonte per mettere a nudo la singolarità celata al suo interno. Va d’altra parte osservato che, almeno a livello classico, una singolarità senza orizzonte dovrebbe pur esistere: parliamo ovviamente del cosiddetto “Big Bang”, l’origine dell’Universo. E potrebbero esistere singolarità tali da poterci passare arbitrariamente vicino, senza per questo esser poi costretti a caderci irrimediabilmente dentro. In realtà, oggetti di questo tipo sono effettivamente previsti dalla Relatività Generale, e in relazione ad essi possono trovarsi associate – guarda caso – delle macchine del tempo. Facciamo un passo indietro. Le equazioni di Einstein (così si chiamano le equazioni fondamentali della Relatività Generale) ci permettono di calcolare come lo spaziotempo si incurva in presenza di una data distribuzione di massa-energia. Possiamo così ad esempio determinare la struttura dello spaziotempo all’esterno di una stella sferica, e scoprire che quella stessa soluzione prevede anche l’esistenza di corpi collassati in una singolarità puntiforme, sempre schermata da un orizzonte: i famosi “buchi neri di Schwarzschild”. Il problema della singolarità nuda qui non si pone: l’orizzonte c’è sempre, e impedisce a qualsiasi tipo di informazione di sfuggire dal buco nero. Un osservatore curioso – e decisamente imprudente – potrebbe tuttavia decidere di entrare attraverso l’orizzonte, per rendersi conto di persona di quel
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I Viaggi nel Tempo che c’è all’interno. Lo può fare, senza impedimenti; naturalmente, si tratterebbe di un viaggio di sola andata… Comunque, se lo facesse scoprirebbe una cosa davvero “fantascientifica”: scoprirebbe di poter entrare in contatto causale (scambiare informazioni, cioè) con un altro universo! In effetti, la soluzione di Schwarzschild estesa descrive un sistema di due universi paralleli, distinti ma identici, connessi da un cunicolo spaziotemporale (il termine tecnico è wormhole, o “ponte di Einstein-Rosen”). Questo tunnel non è però attraversabile, non si può cioè passare da un universo all’altro: se uno ci prova, il cunicolo si strozza. L’esistenza di wormholes non è però proprietà esclusiva dello spaziotempo di Schwarzschild, tutt’altro. E questi varchi spaziotemporali potrebbero essere otUn “buco Nero” in un’illustrazione di H.K. Wimmer (copertina “Physics Today”, time macchine del tempo, se gennaio 1971, “Introducing the black hole”). non fosse che… Vediamo un po’ di chiarire come stanno organizzare le cose in modo da sbucar fuori dal tunnel le cose. ad un valore di tempo coordinato (di un osservatore Un cunicolo spaziotemporale è un ponte tra due esterno) antecedente a quello di ingresso, ossia utiuniversi, ma può connettere anche due regioni lonta- lizzare il wormhole per viaggiare indietro nel tempo ne di uno stesso universo. Infilarsi in un cunicolo per (naturalmente, non per ringiovanire: il tempo proprio sbucarne all’altro capo potrebbe equivalere a “pren- avanza sempre). Tutto ciò è estremamente suggestivo, dere una scorciatoia” nello spaziotempo, dato che la tanto più che questi tunnel non sono creazioni della distanza attraverso il tunnel potrebbe essere molto fantasia, ma saltano fuori dalle equazioni… Allora, più breve della distanza che separa le due entrate del tutto sistemato? Abbiamo finalmente trovato la nostra tunnel nella regione esterna. Ci si potrebbe insomma macchina del tempo? In effetti, c’è un inghippo: come spostare di molto, in un tempo molto breve (un po’ abbiamo già visto nel caso di Schwarzschild, i varchi come avviene nei film di fantascienza con il “salto spaziotemporali hanno la brutta abitudine di chiudersi nell’iperspazio”). Sarebbe anzi addirittura possibile non appena uno tenta di attraversarli. L’unico modo
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a quanto pare, la Natura si rifiuterebbe comunque di concedere il nullaosta a questo tipo di viaggi. Lo stesso inconveniente, legato alla necessità di disporre di energia negativa, lo si incontra quando si prendono in esame i “motori di curvatura”. Anche in questo caso, un’idea “fantascientifica” – quella cioè di poter viaggiare racchiusi in una bolla di spaziotempo opportunamente distorto, a velocità che appaiono superluminali nell’universo esterno – trova una descrizione rigorosa nell’ambito della Relatività Generale. Vale la pena di sottolineare che questo tipo di viaggi non violerebbe comunque il postulato relativistico in base al quale la velocità della luce non può essere superata (in effetti, nemmeno raggiunta, se non nel caso di massa nulla) da alcun oggetto reale. Lo scopo della distorsione spaziotemporale è infatti quello di far sì Diagramma che mostra la connessione tra due universi attraverso un ponte di Einstein-Rosen. che all’interno della bolla la velocità locale sia sempre Immagine: minore di c, pur permettendo velocità apparentemente http://sfhs.sbmc.org/Classrooms%20&%20Programs/ superluminali rispetto a un osservatore esterno. Il moScience/Black%20Holes/blackholesth.htm tore di curvatura crea nello spaziotempo, distorcendolo, una scorciatoia che può essere percorsa con effetti analoghi a quelli del cammino attraverso un wormhole. Ma anche in questo caso, come preannunciato, il problema è sempre lo stesso: se vogliamo ottenere la bolla di curvatura, l’energia negativa – tanta, ed estremamente concentrata – è condizione indispensabile. Con quello che ne segue, per quel che riguarda la realizzabilità… Insomma, wormholes no, motori di curvatura no, tachioni neanche a parlarne… Ma non c’è proprio nessun modo per riuscire a farci un giretto nel passato? Diagramma che mostra un ponte di Einstein-Rosen Be’… Ricordate quello che avevamo detto sopra, connettere due diverse parti di uno stesso univerriguardo alle singolarità e agli orizzonti degli eventi? so. Il “censore cosmico” e i buchi neri di Schwarzschild? Immagine: Ebbene, esistono altre soluzioni esatte delle equazioni http://sfhs.sbmc.org/Classrooms%20&%20Programs/ Science/Black%20Holes/blackholesth.htm di Einstein, e tra di esse ce n’è una che ci coinvolge direttamente. Si tratta della cosiddetta “soluzione di per renderli praticabili sarebbe quello di impiegare Kerr”. Tale soluzione descrive lo spaziotempo geneun’opportuna distribuzione di energia negativa: solo rato da un oggetto con simmetria assiale: ad esempio, così si potrebbe impedire al tunnel di collassare. Ora, da una stella sferica che ruota (la soluzione di Schwaral di là del fatto che il concetto stesso di “energia ne- zschild corrisponderebbe in tal caso ad una stella fergativa” è piuttosto esotico, la densità di energia nega- ma). Come nel caso di Schwarzschild, anche in quello tiva richiesta sarebbe talmente elevata, e bisognereb- di Kerr è prevista la possibilità che esistano buchi neri be riuscire a confinarla in regioni talmente ridotte che, – ruotanti, in questo caso – e quindi la presenza di
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I Viaggi nel Tempo un orizzonte degli eventi che ricopra completamente (come richiesto dal censore cosmico) la singolarità centrale. Se però in Schwarzschild l’orizzonte esiste sempre, e la singolarità è puntiforme, in Kerr le cose non stanno affatto così: se la sorgente ruota abbastanza raL’osservatore esterno vede le lancette dell’orologio in caduta verso il buco pidamente, può accadere che nero rallentare, fino a bloccarsi appena sopra l’orizzonte degli eventi. l’orizzonte non esista, e la sinImmagine: golarità sia dunque “visibile”; http://abyss.uoregon.edu/~js/ in più, tale singolarità non è un punto, ma un anello. E un anello lo si può attraversare… Cosa succede dunque? Innanzitutto, che ci si può avvicinare arbitrariamente alla singolarità senza per forza finirci dentro: per evitarlo, è sufficiente scostarsi dal piano equatoriale, dove tale singolaAl contrario, l’osservatore che sta precipitando verso il buco nero vede l’unirità giace. Scopriamo poi che, verso accelerare, e osserverà la fine dei tempi poco prima di oltrepassare l’orizzonte degli eventi. avvicinandoci all’anello, l’atImmagine: trazione gravitazionale decrehttp://abyss.uoregon.edu/~js/ sce, al contrario di quanto sarebbe stato “logico” aspettarsi. Giunti al centro dell’anello, tro, sempre nella regione vicina all’anello. Questi due scopriamo che nulla ci impedisce di attraversarlo; mondi paralleli hanno influsso diretto l’uno sull’altro, attraversiamolo, dunque: che mai ci potrà capitare? e interagiscono apertamente – non come in SchwarzSemplicemente, che ci troveremo proiettati in un altro schild, dove devono nascondersi sotto l’orizzonte per universo! Un universo curioso, per di più: un mon- farlo. do del tutto simile a quello da cui proveniamo, con la Tutto ciò è indubbiamente curioso e suggestivo; trascurabile differenza che qui la gravitazione risulta ma per i nostri viaggi nel tempo, come la mettiamo? repulsiva! E il bello è che questi due universi paral- Be’, la mettiamo così: una volta attraversato l’anello leli, quello “fuori” e quello “dentro” l’anello di Kerr, ed entrati nell’altro universo, scopriamo che in esso non sono distinti come i due universi di Schwarzschi- vi sono delle regioni, molto prossime alla singolarità, ld, ma si compenetrano… Ricordate il fatto curioso nelle quali è possibile l’ “inversione del cono di luce” che avevamo registrato, avvicinandoci all’anello dal rispetto ad un osservatore lontano. Cosa significa quenostro universo? Il fatto cioè che la gravità andava st’espressione? Significa che se un osservatore riesce stranamente indebolendosi? Ebbene, questa altro non ad entrare in una di queste regioni, il suo orologio perera che una manifestazione dell’influenza esercita- sonale risulterà viaggiare all’indietro rispetto a quello ta dall’universo repulsivo sul nostro; il quale, a sua che accade fuori, nel resto dell’universo. Questo non volta, causa un’indebolimento dell’antigravità nell’al- vuol ovviamente dire che il nostro osservatore abbia
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Star Trek, Deep Space 9 (© 2005 Paramount Pictures): il “tunnel spaziale”.
scoperto la fonte dell’eterna giovinezza: il suo tempo proprio continua ad avanzare, come avevamo già notato in precedenza; il fatto è che qui avanza in direzione opposta a quella del tempo proprio di qualsiasi osservatore esterno. Ma questo, ora, non vi suggerisce qualcosa? Immaginiamo che un giorno degli astronomi scoprano una singolarità di Kerr nuda; un astronauta potrebbe allora salpare per dirigersi verso di essa, attraversarla ed entrare così nell’universo parallelo. A questo punto, individuata la regione di inversione temporale, non gli resterebbe che parcheggiare – letteralmente – la sua astronave lì dentro: in tal modo potrà percorrere delle orbite spaziotemporali che, rispetto ad un osservatore esterno, risulteranno svolgersi all’indietro nel tempo. Dopo una sosta adeguata, l’astronauta potrebbe uscire da tale regione e poi dall’universo parallelo attraverso l’anello di singolarità, per rientrare nell’universo di partenza e far infine ritorno alla base. Lì potrebbe scoprire che – se la sua permanenza nella regione di inversione temporale si è protratta sufficientemente a lungo – gli orologi della base segnano un tempo antecedente a quello segnato
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al momento della partenza. Durante il viaggio, il tempo dell’astronauta è trascorso normalmente; egli ritorna dunque a terra invecchiato, e si ritrova in un mondo più giovane (esattamente l’inverso di ciò che capitava al gemello astronauta della Relatività Speciale, ricordate?): per il nostro astronauta il viaggio compiuto ha le caratteristiche di un “ritorno al passato”. La regione di inversione temporale nell’universo repulsivo è dunque il generatore della macchina del tempo che cercavamo. Resta ora da chiederci se un dispositivo del tipo di quello che abbiamo illustrato possa davvero esistere in Natura. La principale obiezione all’esistenza delle singolarità nude – quella che ha condotto all’ipotesi del censore cosmico – è la possibile violazione del principio di causalità. Sostanzialmente, l’obiezione è questa: se fosse possibile viaggiare nel passato, sarebbe anche possibile interferire con esso, scombinando la catena degli eventi in maniera tale da poter alterare, anche drasticamente, la struttura stessa del presente. Immaginate ad esempio un Edipo dei tempi moderni che, viaggiando nel passato, sia condotto lì a compiere il suo destino di parricida, uccidendo Laio prima di essere da lui generato: un tale atto porterebbe all’impossibilità dell’esistenza stessa di Edipo – e dunque di quel viaggio da cui un tale absurdum avrebbe avuto origine. L’obiezione è, come si vede, assai ben fondata. Non rimane nessuna speranza, allora? È necessario compiere una distinzione tra violazione della causalità e violazione della cronologia. Quest’ultima avviene, come abbiamo già detto sopra, quando è possibile avere un “tempo circolare” – esattamente quello che accade nelle regioni di inversione temporale previste dalla soluzione di Kerr. Tuttavia, si può dimostrare che la violazione della cronologia non implica la violazione della causalità; anzi, laddove è possibile violare la cronologia, la Natura impedisce
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I Viaggi nel Tempo comunque di violare la causalità: le traiettorie spaziotemporali permesse sono comunque “autoconsistenti”, tali cioè da evitare paradossi del tipo di quello che abbiamo illustrato. A quanto pare, dunque, l’obiezione causale è già stata prevista, e superata, dalla Natura stessa; le macchine del tempo di Kerr non sono, insomma, delle eresie logiche. L’esistenza di tali macchine del tempo dipende però da quella delle singolarità nude; sappiamo qualcosa a riguardo? Bisogna innanzitutto dire che l’esistenza delle singolarità nude potrebbe non trovarsi in contrasto con l’ipotesi del censore cosmico, seppure in una sua formulazione più debole: quella, cioè, secondo cui le singolarità nude possono tranquillamente esistere, a patto però di non essere osservabili. Ciò che importa, ai nostri fini, è infatti poter accedere alle regioni vicine alla singolarità, non alla singolarità in sé: vogliamo poterci infilare attraverso l’anello, non andare a sbatterci contro (guai!). Se le cose stanno effettivamente così, se cioè la Natura prevede questo tipo di censura cosmica, ne conseguirebbe anche che l’esistenza di singolarità nude nell’Universo non avrebbe necessariamente effetti catastrofici, anzi potrebbero starsene tranquille, un po’ come i buchi neri galattici di cui abbiamo parlato. Di fatto, la dinamica gravitazionale attorno a una singolarità nuda non si discosterebbe sostanzialmente da quella attorno a un buco nero; a distinguere queste due sorgenti potrebbero essere solo i fenomeni peculiari – manifestazioni di antigravità e di violazione della cronologia – associabili al primo tipo di oggetti, e non al secondo. Sotto quali forme tali fenomeni possano concretizzarsi, ancora non lo sappiamo: non abbiamo a disposizione una teoria che ci permetta di associare un dato fenomeno celeste all’esistenza di una singolarità nuda. Per il momento, quello che possiamo dire è che non sembrano esserci ostacoli logici alla realizzabilità effettiva, in Natura, di quella che è comunque una predizione della teoria. In assenza di tali ostacoli, e con il consenso della Natura, non sarebbe dunque vietato pensare di organizzarci, nel futuro, un bel viaggio nel passato… Un’ultima annotazione, prima di concludere: noi ci siamo sempre mantenuti nell’ambito di una teoria classica, quale è la Relatività einsteiniana; non abbia-
Bibliografia: Edwin A. Abbot, Flatlandia, Adelphi, Milano (1966). Fernando de Felice, Gli incerti confini del cosmo, Bruno Mondadori, Milano (2000). Lawrence H. Ford e Thomas A. Roman, in Fisica estrema – dall’energia negativa al teletrasporto quantistico, Frontiere Le Scienze n.11, Roma (2006). James B. Hartle, Gravity. An Introduction to Einstein’s General Relativity, Addison Wesley, San Francisco (2003). Abraham Pais, “Sottile è il Signore…”. La scienza e la vita di Albert Einstein, Bollati Boringhieri, Torino (1986). Roman Sexl e Herbert K. Schmidt, Spaziotempo, Boringhieri, Torino (1980). Robert M. Wald, Teoria del big bang e buchi neri, Boringhieri, Torino (1980).
mo cioè fatto riferimento alcuno ai fenomeni di natura quantistica che possono aver luogo in spaziotempi curvi. In effetti, quando tiriamo in ballo la meccanica quantistica è pressoché garantito che qualcosa di curioso debba sempre saltar fuori; nello specifico, ad esempio, che i buchi neri “non sono poi così neri”, tant’è vero che emettono radiazione e finiscono, prima o poi, per evaporare del tutto; o che al di sotto della scala di Planck (10-33 centimetri) la struttura stessa dello spaziotempo viene alterata da fluttuazioni che la rendono simile a una schiuma ribollente… Tutto ciò potrebbe avere consistenti implicazioni sul nostro modo di vedere le cose, anche in relazione alle macchine del tempo. Dico “potrebbe” perché, in effetti, una teoria quantistica della gravità non esiste, e quindi si tratta di un mondo tutto da scoprire. Ma questa è un’altra storia…
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GIOVANNI PRETI SCIENZA: VIAGGI NEL TEMPO
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Crononauti Introduzione
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’idea di poter viaggiare nel tempo ha sempre affascinato l’umanità; nel 1895 H. G. WELLS pubblicava La macchina del tempo in cui veniva descritto un vero e proprio viaggio nel passato e nel futuro remoti. Solo dieci anni più tardi, nel 1905, ALBERT EINSTEIN pubblicava la Teoria della Relatività Speciale – basata sul concetto di insuperabilità della velocità della luce – spiegando come il tempo possa trascorrere in modi diversi a seconda della velocità di un osservatore (è la fine quindi del concetto di contemporaneità). Nel 1915 viene invece pubblicata la Teoria Generale della Relatività in cui si dimostra – tra le tante altre cose – che il tempo viene rallentato dalla forza gravitazionale. Nel 1948 KURT GODEL prova che un universo rotante può permettere i viaggi nel tempo, e nel 1957 Paul Charles William Davies (Londra 1946). JOHN WHEELER congettura l’esistenza di cunicoli spaHa insegnato nelle università di Cambridge, Lonzio-temporali. dra, Newcastle upon Tyne e Adelaide. Attualmente è titolare della cattedra di Filosofia Nel 1976 FRANK TIPLER dimostra che il viaggio nel Naturale (appositamente creata per lui) presso tempo è possibile nelle vicinanze di cilindri infiniti in l’Australian Centre of Astrobiology dell’Università rotazione. Macquarie di Sidney. Nel 1989 KIP THORNE inizia lo studio di macchine del tempo basate sui cunicoli, mentre nel 1991 J. ca 300.000 Km/s) oppure sfruttando l’accelerazione RICHARD GOTT III propone una macchina del tempo temporale data nello spazio dalla mancanza di gravibasata sulle corde cosmiche. tà. Infatti sia la velocità che la gravità distorcono il tempo. Esperimenti su particelle chiamate “muoni” han1) Viaggi nel futuro no dimostrato la realtà della dilatazione temporale dovuta alla velocità (ad una velocità pari a metà di er quanto riguarda la possibilità di viaggiare nel quella della luce il tempo risulta esser rallentato del futuro, essa è realizzabile muovendosi ad alta 13%), mentre è stata misurata la distorsione temporavelocità (prossima o in una frazione apprezzabile di le tra la cima di una torre (alta 22,5 metri) e il terrequella della luce nel vuoto, indicata con “c”, cioè cir- no: 0,000000000000257%. Si calcola che utilizzando
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Crononauti NASA’s Astrobiology Science Conference 2002: lo scrittore di Fantascienza Ben Bova (in piedi) commenta il libro di Paul Davies (seduto) “How to Build a Time Machine”. Immagine: http://lmethot.bol.ucla.edu/NAItrip/index.htm
un’astronave che viaggi al 99,99999% della velocità della luce occorrerebbero meno di sei mesi per giungere dal 2006 al 3000.
2) Viaggi nel passato
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l concetto è quello di alterare il tessuto del continuum spazio-temporale (cronotopo), principalmente mediante intensissime forze gravitazionali. P. DAVIES fornisce addirittura un progetto pratico costituito da quattro elementi. I) Il collisore. Serve a creare un cunicolo spazio-temporale, che è in pratica una scorciatoia nello spazio per raggiungere immediatamente luoghi anche molto distanti. Vi sarebbero diversi modi per creare un cunicolo, alcuni poco pratici (come quello di utilizzare un buco nero), altri più agevoli per la nostra attuale tecnologia: per esempio avvalendoci della meccanica quantistica. Infatti lo spazio-tempo non è una superficie “piatta” e levigata come una semplicistica rappresentazione ci farebbe supporre, bensì è solcata da strutture spugnose (“schiuma”) che sono l’effetto della meccanica quantistica sulla struttura della gravità. I cunicoli spazio-temporali quantistici compaiono e scompaiono in continuazione. La tecnica di Davies prevede l’utilizzo un acceleratore per ioni pesanti allo scopo di creare una bolla di “plasma quark-gluoni”. II) Dispositivo di implosione. Occorre ora dare energia alla bolla creata, ad esem-
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pio facendola implodere tramite una serie di bombe termonucleari disposte a configurazione sferica. Il risultato sarebbe quello di generare un minuscolo buco nero o un cunicolo spazio-temporale. III) Il dilatatore. Successivamente è necessario ingrandire il cunicolo tramite energia negativa, generata ad esempio dal vuoto quantistico (il cosiddetto “effetto Casimir”). IV) Il differenziatore. Infine occorre generare una sorta di “differenza di potenziale temporale” tra gli estremi del cunicolo ingrandito. Si può quindi utilizzare come differenziatore sia un campo gravitazionale che un acceleratore di particelle, per creare – tramite la velocità o la gravitazione – una differenza temporale tra l’ingresso e l’uscita. È chiaro però che il viaggio nel futuro/passato avrà come date di inizio e fine quelle relative al differenziale temporale creato agli estremi del cunicolo. In pratica, se si creasse oggi (tempo zero) il cunicolo, occorrerebbe aspettare x anni per portare un’estremità
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3) I paradossi
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gni qual volta si effettuassero viaggi nel passato si creerebbero – inevitabilmente – dei paradossi, dovuti alla potenziale violazione del “principio di causalità”, che afferma che la causa deve sempre precedere l’effetto. Supponiamo, per esempio, che Alberto decida di utilizzare una macchina del tempo per tornare a fare visita a suo nonno Amilcare, nel passato, trovandolo giovane e non ancora sposato con quella che diventerà in seguito sua nonna. Ebbene, mentre Alberto sbalordisce il nonno con particolari familiari che solo lui può conoscere, Amilcare, che è un chiacchierone e si distrae facilmente, si dimentica di un appuntamento con la sua futura moglie. La signorina, indispettita dal comportamento del giovanotto, non lo vuole più vedere. Ed ecco che per colpa di Alberto il nonno Amilcare non si sposerà più e di conseguenza lo stesso Alberto non potrà più nascere. Questo tipo di paradosso è detto di “coerenza”. Insomma, una situazione obiettivamente complicata. Al di là della storiella, come ci dobbiamo comportare con i paradossi temporali? Alcuni scienziati, come STEPHEN HAWKING o ROGER PENROSE (tra i più famosi cosmologi viventi), ritengono che, qualora Alberto tentasse in qualche modo di fare qualcosa che mutasse significativamente il passato, una sorta di “censura cosmica” interverrebbe per impedirlo, preservando in tal modo le relazioni causali. Ad esempio, la voce di Albero potrebbe “misteriosamente” affievolirsi e così la conversazione col potenziale (a questo punto) nonno potrebbe finire prima, cosicché Amilca-
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re giungerebbe puntuale all’appuntamento. Tuttavia che ne sarebbe del libero arbitrio? E poi in che modo questa censura agirebbe? Cioè come farebbe l’universo ad “accorgersi” che qualcosa non va, che un piccolo crono-vandalo è in procinto di provocare seri guai alla storia futura? Un’altra variante del paradosso è quella proposta dal filosofo MICHAEL DUMMETT. Un critico d’arte torna nel passato per conoscere colui che diventerà il più famoso pittore del futuro. Ebbene, questo pittore, quando incontra il critico fa quadri in verità molto mediocri, ben lontani dai capolavori che il futuro potrebbe (?) riservargli. Ecco quindi che il critico d’arte, una persona accorta, gli mostra delle stampe dei futuri capolavori. Il pittore ne è talmente entusiasta che glieli sottrae e li va a ricopiare. Nel frattempo, il critico d’arte si deve reimbarcare nella macchina del tempo per tornare alla sua epoca e lascia quindi le copie nel passato. A questo punto si è creato un “valore” dal nulla, cioè: chi ha fatto lo sforzo creativo per dipingere i capolavori? Questo paradosso è detto di “conoscenza”. Per evitare la bizzarra “censura cosmica” si è utilizzata una teoria quantistica nota come “teoria a molti mondi” che fu proposta nel 1957 da HUGH EVERETT III. Questa teoria sostiene che esistono tante copie del nostro mondo quante sono le possibili variazioni quantistiche delle particelle che lo compongono. Quindi un numero altissimo. Per chiarirci le idee pensiamo a un elettrone che ruota intorno a un protone nell’atomo di idrogeno. Secondo la meccanica quantistica, l’energia di tale elettrone non ha un valore ben determinato, si può solo dire che sarà contenuta in un certo set di valori con una certa probabilità. L’impredicibilità della natura a livello quantistico è una caratteristica intrinseca. Ebbene, secondo la “teoria a molti mondi”, per ogni energia dell’elettrone esisterebbe un differente universo, e così per tutte le altre particelle. Quindi ci sarebbero mondi in cui il nonno Amilcare si sposa con la nonna di Albero, e mondi in cui questo fatto non avviene più. Alberto, nel suo viaggio nel tempo, qualora facesse perdere l’appuntamento al nonno, si troverebbe in realtà “atterrato” in un mondo variante in cui lui non
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Image copyright © 2000 Jeffrey S. Lee. Ricostruzione digitale dello Stargate e della “gate room”, dalla serie televisiva Stargate SG-1 (© MetroGoldwyn-Mayer Studios Inc.). Immagine: http://lmethot.bol.ucla.edu/NAItrip/index.htm
sarebbe destinato a nascere, e pertanto le sue azioni non genererebbero alcun paradosso temporale. Ovviamente resta da spiegare quale principio (e quali forze!) di carattere generale interverrebbero per far scegliere ad Alberto l’universo “giusto”; comunque – in questo caso – sia il libero arbitrio che il principio di causalità sono salvi.
Bibliografia Paul Davies, Come costruire una macchina del tempo, Mondatori, Milano, 2003; David Deutsch, Franck Lockwood, La fisica quantistica del viaggio nel tempo, in Le Scienze n. 309, maggio 1994; Marcus Chown, The Universe Next Door, Review, London, 2003.
GIUSEPPE VATINNO SCIENZA: CRONONAUTI
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FUMETTO
for Vendetta
empo fa, volendo convincere una persona che i fumetti non sono solo avventura o divertimento per bambini, le ho offerto questo volumetto. Le è piaciuto ma, restituendomelo, ha tenuto a precisare che non era un fumetto: per lei era un romanzo sperimentale (l’esperimento consisteva appunto nell’essere fumetto anziché romanzo)! Con tanti saluti a chi crede che basti l’evidenza dei fatti per far cambiare idea a una persona.
- La Trama - V for vendetta è una miniserie usci-
me secondarie di alcuni funzionari e delle loro mogli. Tutti variamente impegnati a dare la caccia a V, o a complottare l’uno contro l’altro. Entrare nei particolari sottrarrebbe qualcosa al piacere della lettura, perché V for vendetta è soprattutto V; il resto è solo sfondo. Evey è l’interlocutrice privilegiata che discute col protagonista e viene costretta a riviverne le esperienze così da poterlo comprendere. La dittatura è vile, priva di ogni grandiosità, perchè possa invece meglio risaltare la grandiosità di V. Raramente è capitato di vedere un’opera così incentrata sul carisma di un unico personaggio. Ancora più raro poi è il caso di un personaggio in grado di reggere una simile attenzione senza scadere nel ridicolo. V riesce in questa impresa quasi miracolosa. Il suo modo di esprimersi è colto, ironico, riflessivo, ricco di sfumature e allusioni. Le sue idee sono radicate e convincenti, la sua presentazione è affascinante. Ma c’è sempre, sotto le righe, una sostanza troppo estrema perché la si possa accettare del tutto, nel modo semplicistico in cui si fa solitamente con le idee di un eroe dei fumetti. V assurge a qualcosa di più che umano. “Sotto questa cappa non ci sono nè carne nè sangue da uccidere, c’è solo un’idea”, dice, confrontandosi finalmente con il detective che lo ricercava. Rappresenta l’elemento destinato a infrangere la realtà usuale per istituire una nuova realtà. E come svolge questo compito a livello nazionale, attraverso i suoi attentati, così lo svolge anche a un livello più personale con Evey, riforgiandone la psiche attraverso una serie di traumi, fino a farle raggiungere un’illuminazione che la trasformerà nella prossima V.
ta nei primi anni ottanta, e ambientata nel 1997/98 (all’epoca il futuro prossimo), in un’alternativa Gran Bretagna retta da una dittatura fascista che opera attraverso organizzazioni i cui nomi s’ispirano alle parti del corpo: l’occhio, il naso, il dito, la testa. Le minoranze etniche e gli omosessuali sono state sterminate. L’arte non esiste più. L’autorità viene esercitata con brutalità meschina. Un misterioso personaggio mascherato salva una ragazza, Evey, dalle forze di polizia e la porta nel suo rifugio. Si fa chiamare V. La sua maschera riproduce GUY FAWKES, personaggio famoso nella storia britannica per avere tentato di fare esplodere il Parlamento. Di V veniamo a sapere che è stato imprigionato e usato come cavia per testare alcune droghe, e che gli esperimenti lo hanno in qualche modo cambiato rendendolo più… “carismatico”. Non vediamo mai il suo volto né scopriamo per quale ragione fosse stato arrestato. Sappiamo solo che è in cerca di vendetta per i soprusi patiti. Ascoltiamo i suoi discorsi in cui esalta l’anarchia, distinguendola dal caos e dalla legge del più forte (ciò che lui definisce “la terra di prendiarraffa”). Attorno alla storia principale, che è quella di V e - L’autore - Alan Moore nasce nel 1953 in Gran del suo bizzarro e perverso ruolo di pigmalione nei Bretagna. A partire dai primi anni ottanta ha portato confronti di Evey, la narrazione si snoda lungo le tra- nei fumetti una visione adulta e sperimentale che pa-
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FUMETTO: V FOR VENDETTA
V for Vendetta recchio è servita per rinnovare il genere, in particolare nell’ambito del fumetto supereroistico, da lui rivoluzionato con opere revisioniste: da Swamp thing al capolavoro Watchman, alla più recente e ironica serie di Top Ten, ambientata in una società in cui i superpoteri sono la norma. Recentemente i suoi fumetti sembrano avere attirato l’attenzione di Hollywood: From Hell è tratto da una sua miniserie dedicata a Jack lo squartatore, e La lega degli uomini straordinari’, con molte libertà, da un’altra sua miniserie in cui si sforza di collegare il maggior numero possibile di personaggi della letteratura vittoriana. Si è parlato per qualche tempo di Terry Gilliam per un possibile adattamento di Watchmen (il progetto è poi passato in altre mani e la situazione rimane piuttosto nebulosa). Il film tratto da V for vendetta è il prodotto più recente di questa tendenza e si avvale del talento dei fratelli Wachowski, che però si limitano a firmarne la sceneggiatura.
- V è il nuovo Neo? - Sapendo che i Wachowsky
si sono interessati a questo fumetto, viene naturale il confronto con l’opera più famosa del duo registico, ovvero, per chi fosse sbarcato solo adesso su questo pianeta, Matrix. Nulla che meriti di prendere particolarmente sul serio, beninteso. Poco più di un gioco. Ci sono elementi in comune tra V e Neo: entrambi sono personaggi carismatici, capaci di percezioni ben al di là dell’uomo comune. Troviamo in V una tendenza alle allusioni colte e sibilline che ben si apparenta con il linguaggio che la trilogia di Matrix ha usato per dare un’impressione di profondità. In questo senso, V può essere accostato sia a Neo che all’oracolo, essendo tanto elemento attivo nella rifondazione della società quanto guida iniziatica nei confronti di Evey. Un altro elemento in comune tra le due opere è il sovrapporsi di livelli diversi di realtà: nettissimo nel caso di quella virtuale della matrice, più sottile e variegato in V. Anche qui, infatti, troviamo una sorta di realtà vir-
tuale, se si assume per questo termine la definizione alquanto ampia di inganno dei sensi. C’è l’inganno con cui V fa rivivere a Evey la sua prigionia, c’è la propaganda di regime che, a suo modo, genera anch’essa una sorta di inganno, c’è una sequenza vissuta attraverso droghe allucinogene... Abbiamo infine V stesso. Sappiamo che è stato una cavia per droghe sperimentali e che la sua mente è in qualche modo diversa. La realtà stessa, di cui V ci fornisce la sua interpretazione, è quindi naturalmente un po’ distorta. Un po’ come l’interpretazione della persona di cui parlavo all’inizio, secondo cui un fumetto ben scritto non può essere un fumetto.
OMINO VERDE FUMETTO: V FOR VENDETTA
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area FANTASY “Se il pugno è chiuso la mano è vuota. Solo se la mano è aperta puoi possedere tutto”. Li Mu Bai da La Tigre e il Dragone 2000
Filmografia 14. Memoirs of a Geisha (2005) 13. Operetta tanuki goten (2005) 12. Mo li hua kai (2004) - Jasmine Flower 11. 2046 (2004) 10. Shi mian mai fu (2004) - House of flying daggers 09. Jopog manura 2: Dolaon jeonseol (2003) - My wife is a gangster 2 08. Zi hudie (2003) - Purple butterfly 07. Ying xiong (2002) - Hero 06. Musa (2001) - The warriors 05. Shu shan zheng zhuan (2001) - The legend of Zu 04. Rush Hour 2 (2001) 03. Wo hu cang long (2000) - Crouching tiger, hidden dragon 02. Wo de fu qin mu qin (1999) - The road home 01. Xing xing dian deng (1996) fonte: www.imdb.com
Ziyi Zhang
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Cinema e Lettura
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pesso, il titolo La Storia Infinita evoca il ricordo sbiadito dell’omonimo film per ragazzi e pre-adolescenti, proiettato nel periodo natalizio di molti anni fa. Era uno spettacolo pieno di effetti speciali favolosi per il lontano anno di produzione, e oggi superati, con una bella colonna sonora, scenografie vistose... e ben poco d’altro di memorabile. 1) La Torre d’Avorio. 2) Il piccolo Bastian (Barret Oliver) alle prese con i bulli.
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È un vero peccato che non si pensi piuttosto al libro, poiché il film ne rappresenta una versione hollywoodiana semplicistica, destinata senza mezzi termini a un pubblico giovanissimo. Sebbene come pellicola non sia disprezzabile di per sé, può apparire assai irritante a quanti hanno la possibilità di fare un debito confronto con la pagina scritta. Spesso le realizzazioni cinematografiche di romanzi non sono all’altezza delle aspettative di critica e fan; in questo caso però, la divergenza è immensa. Die Unendliche Geschichte – questo il
titolo originale – è un romanzo meraviglioso, e per nulla infantile, di cui possono essere date tante interpretazioni diverse. Male s’inquadra in categorie e generi predefiniti, a meno che per genere non si intendano il “fantastico” in ogni sua accezione o i “libri scritti bene”. BASTIANO BRUTTO ANATROCCOLO, NON ASPIRANTE CIGNO
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ia libro che film partono raccontando la stessa storia, quella del piccolo e goffo orfano Bastiano Baldassarre Bucci, oggetto di bullismo da parte dei compagni di scuola, che s’impadronisce di un libro magico e, grazie ad esso, entra in un regno oltre la nostra dimensione, e là vive avventure meravigliose, coinvolto dalle vicende del coetaneo fantastico, Atreyu. Questo è l’unico elemento comune.
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La storia infinita Già dai primi capitoli, si può scoprire quanto diverso sia l’approccio di ENDE rispetto a quanto ci vorrebbe far credere il regista PETERSEN. Bastiano nella pagina scritta è un piccolo sconfitto e triste, perché ha vissuto il dramma della morte della madre, e non solo. Privo di grandi capacità utili a farsi largo nella vita, non si distingue in modo negativo ma nemmeno brilla per simpatia o personalità. È oppresso da una scuola fatta a misura di adolescente assai concreto e spigliato, poco creativo e poco sognatore. Bastiano male si adegua a quel modello.. Disfatta anche nella vita sociale: è incompreso dai compagni, dediti ad attività e giochi sportivi in cui lui riesce male, ed è sempre discriminato, scelto per ultimo quando proprio non se ne può fare a meno. In famiglia va anche peggio: Bastiano è ignorato dal padre, che ancora vive il dolore dalla morte della moglie e non pensa a curarsi del piccolo come dovrebbe. A differenza del film, dove Bastiano è perdente perché poco s’impegna, è pigro e sfiduciato, nel libro oltre a ciò il ragazzo è un brutto anatroccolo nato anatroccolo, privo di ogni talento. La sua unica arma è la fantasia, ma un’arma a doppio taglio, perché pur consentendogli di sop-
za far capire d’essersene accorto). Il ragazzo si rifugia in un’aula abbandonata della scuola e inizia a leggere. È un libro dalle pagine verdi e bordeaux, con i capolettera miniati, simile a quello che il lettore ha tra le mani, ammesso che IL MAGICO LIBRO stia leggendo la versione originale e non una ristampa economica. n giorno, Bastiano riesce a Una volta tanto, vi consiglio di sottrarre il libro da un antispendere qualche soldino in più e quario (che si lascia derubare senacquistare l’edizione in copertina portare meglio la sua condizione, è forse anche uno dei motivi per cui i coetanei lo irridono e i professori lo trattano da innocuo idiota della classe.
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1) Incontro con l’antiquario (Thomas Hill). 2) Il rifugio di Bastian. 3) Il popolo si accroge che Fantàsia è in pericolo..
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rigida, che replica il tomo magico, sia all’interno che all’esterno. Infatti è stampata con inchiostro rosso scuro quando la vicenda è ambientata nel nostro mondo, in
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verde quando si passa nel Regno di Fantasia. Sulla copertina rosso cupo è impresso un oroburos, ovvero un disegno con serpenti che si mordono la coda, antico simbolo di
completamento ed eternità, usato da molte antiche civiltà indoeuropee per indicare l’Infinito, l’eterno ciclo delle stagioni, l’Oceano... e da stregoni e alchimisti di età rinascimentale, che ne fecero l’emblema della trasformazione ciclica. In Ende l’oroburos rappresenta i caratteri di completamento: ovvero una realtà che può essere vissuta appieno solo se viene illuminata dalla Fantasia, dal Sogno, dalla Speranza; e una Fantasia che può rinnovarsi e uscire da una piatta stereotipia solo se riceve stimoli dalla Realtà. Ricordo che Ende è nato e vissuto in una famiglia d’intellettuali tedeschi, che finiro1) Il prode guerriero Atreyu (Noah Hathaway) arriva per salvare il regno di Fantàsia dal Nulla. 2-3) Atreyu e Artax vagano per Fantàsia alla ricerca di una soluzione.
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La storia infinita 1) Artax il cavallo compagno di Atreyu muore abbandonandosi alla tristezza nelle perfide paludi. 2) Neppure la saggia Morla conosce il modo per sconfiggere il Nulla. Suggerisce allora ad Atreyu di recarsi dall’Oracolo del Sud. 3) Atreyu viene salvato da Falkor il Fortunadrago.
no in esilio a causa del Nazismo, non perché Ebrei ma perché artisti che si opponevano alle norme estetiche del Terzo Reich. Il padre di Michael Ende, Edgar, era un pittore surrealista e la sua arte venne condannata e in gran parte distrutta poiché considerata “degenerata”. Creava quadri ispirati alla psicanalisi e interessati all’occulto, inteso come sorgente di simboli collettivi appartenenti all’intera umanità e non certo solo alla Germania o ai popoli europei. Allegorie, richiami magici e
alchemici la fanno così da padrone nelle pagine del figlio Michael. Nel film ogni riferimento esoterico va a sfumarsi, e il ciondolo Auryn – formato da due serpenti uno bianco e uno nero – passa a diventare
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non certo qualcosa di analogo al Tao, quanto un mero stemma, un bel ciondolo che molti appassionati fantasy porterebbero volentieri al collo. Pure altri ammiccamenti del genere vengono smorzati:
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come i simboli legati allo specchio che compaiono nell’avventura di Atreyu dall’Oracolo, e in altre occasioni rispuntano; o il senso delle spirali che si concretizzano nel-
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la Torre d’Avorio, nella scala che conduce al Veggente, i significati attribuiti a forme o animali, i labirinti....
AVVENTURA FILOSOFICA.
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l carattere di complementarità tra reale e fantastico nel film resta a livello di una generale empatia tra quanto accade nelle pagine e ciò che vive Bastiano: temporali quando è triste, fame quando ha fame Atreyu, animali impagliati illuminati da lampi quando nel racconto compaiono personaggi del genere. Di solito nei romanzi fantastici ci sono scontri tra Bene e Male o, a voler strafare, tra Ordine e Caos, con schieramenti netti e interessanti eroi che si muovono in bilico tra 1) La Porta delle Sfingi... solo chi crede in se potrà passare illeso. 2) La Porta dello Specchio Magico dove Atreyu deve affrontare il suo io interiore. 3) Infine l’Oracolo del Sud che darà al guerriero importanti informazioni.
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La storia infinita 1) Atreyu e Falkor cercano i confini di Fantàsia... 2) ...Ma vengono fermati dal Nulla.
essi. Nel libro si va oltre, la battaglia assume toni filosofici, la lotta è tra l’Essere e il Non-Essere. Il Nulla che minaccia il regno di Fantàsia non corrisponde al Male, quanto al Vuoto, all’Assenza, al Non-Essere. Non c’è alcuna concretizzazione in nubi cupe o vortici, in mostri orribili o crudeli. Pur opposti, Bene e Male sono a loro modo realizzazioni dell’Essere, mentre il Nulla è un’altra cosa. In questo caso è assenza di capacità immaginativa, che uccide i personaggi buoni così come i cattivi, nella stessa maniera: quando non si sa più immaginare, non si può dar vita ad alcun personaggio, positivo o negativo che sia, resta solo una realtà sciatta e degradante. Il magico libro narra le peripezie di Atreyu, giovane pelleverde (sorta di indiano d’America versione fantasy) che deve salvare il regno di Fantàsia, pur essendo un ragazzino solo e disarmato. Il Regno di Fantàsia è minacciato dal
Nulla; per salvarlo occorre portarvi qualcuno da oltre confine, una persona capace di dare un nuovo nome all’Imperatrice Bambina. C’è un solo grosso problema, che scopriamo dopo molte avventure: Fantàsia non ha confini, e nemmeno una geografia fissa e immutabile. Solo la fede nei sogni e nella fantasia permette a Bastiano di entrare in Fantàsia. Il piccolo lettore grida il nome della madre, e in quell’attimo i confini dei mondi si abbattono, spalancandogli il Regno dei Sogni e dei Desideri. Là compirà imprese – dice la voce narrante nel film – ma quelle sono riassunte nelle poche scene di Bastiano sul Drago della Fortuna intento a prendersi rivincite virtuali sui compagni, tra i titoli di coda. FANTASIA E RITORNO.
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astiano infatti entra in Fantàsia e dona il nuovo nome all’Imperatrice Bambina, dando inizio alla nuova vita del Regno. Si ritrova a poter realizzare i suoi desideri, grazie alla magia dell’Auryn, a lui affidato. E povero ragazzo, con tutti i fallimenti subiti nella vita “reale”, di sogni da vivere è pieno. Si libera prima del suo corpo, sostituendolo con quello di una specie di giovane ed atletico principe indiano; desidera poi dimostrare coraggio, avere un’arma soprannaturale, volare sul drago, essere un campione di torneo cavalleresco, e un grande scrittore, e un benefattore, sconfiggere un nemico tremendo, essere saggio e illuminato, e così via fino all’unico desiderio che dovrebbe restare proibito: sostituirsi alla stessa Imperatrice. Bastiano non si accorge per tempo di un’implacabile legge che governa Fantàsia e l’Auryn: ad ogni desiderio che esprime e realizza, perde qualcosa dell’esistenza precedente, un ricordo. A volte dimentica fatti tristi o spiacevoli, o eventi di minore importanza; pian piano, però, inizia a scordare anche le cose belle. Solo spogliandosi poco a poco dei suoi desideri futili potrà far ritorno al mondo rea-
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1) Atreyu giunge in un luogo misterioso... 2) ...dove rivive tutte le sue peripezie
le più maturo e consapevole, pronto a migliorare la sua vita e quella di chi gli sta vicino. È un cammino lento e doloroso, che alla fine poco ha a spartire con atmosfere epiche che bene figurano sullo schermo. Niente gran finale in tripudio, niente battaglie o magie esorbitanti. Gli ultimi capitoli ci mostrano Bastiano che un po’ alla volta si priva di ogni suo sogno realizzato, cercan-
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sia, la quale aiuta a vivere meglio ma non può sostituirsi alla vita e tanto meno diventare una consolazione o un surrogato di quello che non possiamo avere. La morale è “fai ciò che vuoi senza sfogare inutili capricci”. Lo scrittore invita a conoscersi, a scoprire cosa davvero si desidera, a scegliere con consapevolezza di sé e dei propri valori, senza condido di recuperare sé stesso per poter zionamenti morali esterni, ad agire tornare alla realtà. sapendo che ci possono essere conseguenze, a volte spiacevoli. Con MORALE SENZA una coerenza lucida, viene mostraMORALISMO. to che anche desideri espressi con le migliori intenzioni e ideali di astiano in Fantàsia finisce per bontà (come trasformare le creacomprendere a sue spese che ture più orride e tristi in ridanciatutto può essere desiderato ma tutto ni clown) possono creare guai (in ha un prezzo, e ogni scelta produce quel caso lasciare a secco una città una conseguenza non sempre preche sorge su un lago formato dalle vedibile. Si tratta di un messaggio lacrime delle infelici creature). trasmesso nelle pagine senza morali già stabilite o leziosaggini. In AMORE PER LA LETTURA. fondo ciascuno – Bastiano, suo padre, i compagni bulli, il lettore – oggettivamente difficile traha un desiderio vero e deve provare smettere insegnamenti filoa realizzarlo, non solo nella fanta-
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sofici con un film commerciale, e così pure esaltare il magnifico senso di magia che è presente in ogni libro, e non solo in quelli fantasy. Ogni narrazione, secondo Ende, ci spalanca più di una porta da cui entrare in Fantàsia, solo che non ci si fa caso. Leggiamo senza piacere, perché dobbiamo leggere o perché non sappiamo come impiegare meglio il tempo. Così passiamo davanti alle porte e nemmeno le vediamo! La pagina scritta aggiunge tantissimi personaggi, luoghi e situazioni che completano il mondo e lo rendono vicino a ogni creatura umana. La descrizione di questi elementi non è mai fine a sé stes-
sa, non è inserita per stupire o fare scenografia: vuole ribadire come la fantasia sia qualcosa di comune all’intera umanità, e vuole stimolare il lettore a crearsi i suoi sequel. Il Regno di Fantàsia accoglie e mescola volutamente simboli e personaggi che provengono dalla fantasia e dal folclore di ogni popolo, di ogni credo ed epoca. Troll e Centauri, Elfi e Mordiroccia, Incubi e Cavalieri Medievali, Streghe e Lupi e qualsiasi creatura sia mai uscita dal pensiero di un essere umano si ritrovano in Fantàsia, sottomessi al potere di un’Imperatrice che, lungi dall’essere una Lolita yankee som-
mersa di pizzi e merletti candidi, è un’eterea creatura giovane e vecchia, eterna nel suo dover costantemente rinnovarsi tramutandosi nei nuovi nomi. SCEMPIO E NECESSITÀ COMMERCIALE.
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on Bastiano in volo sulla città reale termina il film, che rende con decorosa approssimazione la prima parte dell’opera, e magari può appassionare i più piccoli. Inutile dire che una simile conclusione inevitabilmente mutila il romanzo. Peggio ancora cercare fedeltà alla
1) Fino a scontrarsi con Mork emissario del Nulla deciso a fermarlo. 2) Ormai per Fantàsia è la fine, Atreyu non ha trovato il modo di salvarla.
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sidera che quando uscì questo film non esistevano programmi di grafica per creare mondi e personaggi a costo accettabile. Né gli spettatori erano abituati a film della lunghezza di due ore e mezza o più. E si potrebbe da maligni aggiungere che Petersen è lo stesso disgraziato che ha macellato allegramente l’Iliade, nel Troy di qualche anno dopo. Ma allora, si potrebbe obiettare, male fecero a non trasporre La Storia Inpagina scritta negli orribili sequel finita in un cartone animato, come cinematografici, che hanno usato qualcuno aveva proposto. A ben qualche elemento del romanzo per vedere nemmeno così la resa poprodurre favolette filmiche scialbe teva funzionare appieno, dato che e moraliste. Può darsi che non si in Occidente il cartone animato è potesse fare di meglio per concilia- considerato ancor oggi tecnica per re trama filosofeggiante ed esigen- bambini. Di certo era difficile renze produttive, soprattutto se si con- dere i simbolismi sullo schermo, e
farli digerire a un pubblico ampio, magari abituato a vicende realistiche o di fantasia ma tradizionali, con attori in carne ed ossa. All’uscita del film, Michael Ende provò a fare causa alla produzione, perché almeno togliessero il suo nome dai titoli, ma purtroppo perse, e quindi molti giovani hanno davvero creduto che quel film traducesse il libro in modo fedele. E magari hanno evitato il romanzo temendo di trovare atmosfere zuccherose o edificanti: un vero peccato, poiché il viaggio di Bastiano in Fantàsia è quanto di più lontano esista dalla legge hollywoodiana del voler piacere a tutti, a qualsiasi costo, senza turbare nessuno. Comprendo il disappunto del1-2) L’Imperatrice Bambina consola il guerriero, che è riuscito nell’impresa anche se non lo sa. 2) Finalmente Bastian adempie al suo incarico: dare un nuovo nome all’Imperatrice.
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La storia infinita 1) Adesso a Bastian non resta che ricreare Fantàsia, esprimendo tutti i desideri che vuole. 2) Uno di questi è riportare in vita Atreyu e Artax. 3) E prendersi una piccola rivincita sui suoi perfidi rivali.
l’Autore nel vedere la sua opera trasformata e troncata a quel modo, anche se non mi sento di dire che la pellicola sia un obbrobrio inguardabile. Ende doveva immaginare lo scempio, conoscendo Hollywood e le leggi del mercato, e avrebbe potuto negare l’utilizzo del soggetto; così non è stato. Sarebbe facile cedere alla tentazione di paragonare il film al libro e torcere il naso, ma pretendere che un film costoso – e quindi desideroso di un grosso rientro commerciale – eviti compromessi è quasi impossibile. Così, più che accanirmi a sparare sulle inadeguatezze della pellicola, o protestare perché non vengono rappresentati tutti gli eventi e i personaggi del libro, preferisco invitare a leggere il romanzo, lasciando il film a una visione separata e libera da imbarazzanti confronti.
GLI EREDI DI FANTÀSIA.
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che dire delle storie iniziate e non concluse che “scappano” dalla vicenda principale? A loro volta potrebbero diventare racconti meravigliosi e generare altre storie. Questo suggerisce l’Autore: che nessuna storia sia compiuta in sé, ma che tutte diano la possibilità di generare infiniti “spin-off”.
Dalla trama portante vengono lasciate incompiute migliaia di vicende secondarie, che potrebbero originare interessanti sequel paralleli (e questi generarne altri, all’infinito), se qualche autore ritenesse conveniente puntarvi l’attenzione. In Germania oggi esistono gruppi di appassionati di Fantàsia che, a livello di abili dilettanti, stanno cercando di costituire raccolte di racconti ambientati nell’universo di Ende. Si vocifera che presto i gruppi tedeschi cercheranno di estendersi ai paesi di lingua inglese… Potrebbe allora essere più facile avere fan anche in Italia.
* CUCCU’SSETTE
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Barret Oliver (Bastian Bux): il bambino che dovrà salvare l’Imperatrice e tutta Fantàsia dall’avvento del Nulla.
Filmografia fantascienza/ fantastico: Cocoon: il ritorno, D.A.R.Y.L., Cocoon - L’energia dell’Universo, Invitation to Hell (TV).
Gerald McRaney (Burney Bux): il padre
di Bastian. Cerca di convincere il figlio a smettere di sognare e impegnarsi a scuola. Filmografia fantascienza/fantastico: Hansel & Gretel, Forza aliena (TV), The Brain Machine.
Tami Stronach (l’Imperatrice):
Noah Hathaway (Atreyu):
si ammala insieme a Fantàsia e solo un nuovo nome, dato da un bambino terrestre, può salvarla.
il prode guerriero incaricato di trovare un modo per sconfiggere il Nulla. Filmografia fantascienza/ fantastico: Quest, Troll, Galactica (TV).
Filmografia fantascienza/ fantastico: nessuno.
Thomas Hill (l’antiquario): dona a Bastian il libro che lo porterà a Fantàsia. Filmografia fantascienza/ fantastico: Visitors 2 (TV), Firefox - Volpe di fuoco, La storia infinita 2, Quintet.
Patricia Hayes (Urgl)
Sidney Bromley (???)
Tilo Prückner (Elfo della Notte)
Deep Roy (Teeny Weeny)
Moses Gunn (Carion)
La lumaca da corsa
Il pipistrello gigante
Falkor
Artax
Mordiroccia
Morla
Gmork
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La storia infinita SCHEDA TECNICA Titolo: LA STORIA INFINITA Tit. originale: DIE UNENDLICHE GESCHICHTE Anno: 1984 Durata: 94 minuti Paese: Germania Produzione: Bernd Eichinger, Dieter Geissler, NEUE CONSTANTIN FILM PRODUKTION, WARNER BROS. Distribuzione: WARNER BROS. Regia: Wolfgang Petersen (Il mio nemico, Nel centro del mirino, Virus letale, Air Force One, La tempesta perfetta, Troy) Soggetto: Michael Ende Sceneggiatura: Wolfgang Petersen, Herman Weigel Fotografia: Jost Vacano Musiche: Klaus Doldinger, Giorgio Moroder, Limahl Montaggio: Jane Seitz Scenografia: Rolf Zehetbauer Effetti speciali: Uwe Bendixen, Brian Johnson, INDUSTRIAL LIGHT & MAGIC (ILM) Costumi: Diemut Remy Note: Vincitore SATURN AWARD 1985, “Best
Cast:
Performance by a Younger Actor” (Noah Hathaway); vincitore BAVARIAN FILM AWARD 1985, “Produzentenpreis” (migliore produzione: Bernd Eichinger, Dieter Geissler, Günter Rohrbach); vincitore FILM AWARD IN GOLD 1985, “Outstanding Individual Achievement: Production Design” (Rolf Zehetbauer); vincitore GOLDEN SCREEN 1984. Barret Oliver (Bastian Bux), Gerald McRaney (Barney Bux), Drum Garrett, Darryl Cooksey, Nicholas Gilbert, Thomas Hill (l’antiquario), Deep Roy (Teeny Weeny), Tilo Prückner (Night Hob) Moses Gunn (Cairon), Noah Hathaway (Atreyu), Sydney Bromley (Engywook), Patricia Hayes (Urgl), Tami Stronach (L’Imperatrice Bambina), Silvia Seidel (fata).
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ZOOLOGIA FANTASTICA E DINTORNI: BORGES, ENDE E LE CREATURE DEL MITO dal
Manuale di zoologia fantastica (Manual de zoologia fantastica) di J.L. BORGES e M. GUERRERO (1895)
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li animali fantastici sono universalmente presenti nella tradizione popolare, e costituiscono uno degli esempi più precoci di come l’uomo cerchi sempre e comunque di trasformare, attraverso la propria mente, la realtà che lo circonda. In parte Mostro, in parte Meraviglia, la creatura “di là del possibile” popola l’immaginario umano dalle origini, e trova nelle varie mitologie il suo habitat naturale. Il Manuale di Zoologia fantastica, scritto da J.L. BORGES e dalla sua assistente M. GUERRERO, compie un piccolo e apparentemente semplice excursus in questa terra favolosa, esaminando quasi con discrezione un certo numero di “esemplari” incontrati durante le numerose ed eclettiche letture dell’autore: OMERO e il Talmud, le Mille e Una Notte e la Bibbia, Il Milione, ERODOTO e PLINIO. D’altra parte, lo stesso Borges, parlando della figura del Drago, ci dice: “C’è qualcosa, nella sua immagine, che s’accorda con l’immaginazione degli uomini; e così esso sorge in epoche e latitudini diverse”.
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Al di là di quella che potrebbe sembrare un’architettura fin troppo semplice per un autore immenso come Borges, si nasconde un percorso più profondo e carico di significato perché, come lui stesso indica nella sua prefazione: “La zoologia dei sogni è più povera di quella di Dio”. E di conseguenza, gli animali fantastici sono in sostanza molti meno di quelli nati ad
Lettura: Manuale di Zoologia Fantastica
MANUALE DI ZOOLOGIA... opera della Creazione. Una breve raccolta di creature immaginarie, dalle più classiche alle meno conosciute, costituisce uno spunto per assemblare mitologia e realtà, possibile e impossibile. Accanto ad esseri quasi metafisici, la galleria di Borges presenta veri e propri ibridi mostruosi, creature dell’aria, dell’acqua e della terra in cui l’immaginazione umana sembra aver raggiunto il suo apice: la Chimera e la Manticora, il Grifone e il Drago, il Garuda e il Centauro si ritrovano nelle tradizioni classiche e orientali, e altri esseri ancora scaturiscono dalla creatività di autori come KAFKA, POE, C.S. LEWIS. Accanto a questi, senza altro ordine che quello alfabetico, troviamo esseri a metà tra il mondo vegetale e animale: la ben nota Mandragora il cui urlo porta la pazzia quando viene estratta dalla terra, e il Borametz, simile ad un agnello e divorato dai lupi, che produce un succo del colore del sangue. Continuando questa visionaria esposizione, appaiono anche immagini di straordinaria bellezza, come le Sirene e i loro incanti, o la levità dei Draghi cinesi, divinità dell’aria, e anche il Simurg, la cui leggenda ricorda quella della Fenice. Ma non solo. Rappresentando con una mirabile grafia fantastica il pensiero del filosofo GEORGE BERKLEY (secondo il quale non c’è realtà materiale, e il mondo sensibile è solo Idea che esiste fino a quando è percepita) Borges, quasi nascondendosi dietro queste creature meravigliosamente mostruose, illustra come la realtà sia fallace, e le coordinate statiche sulle quali facciamo fondamento siano in realtà illusorie: uno Specchio nello Specchio, e qui il collegamento con un autore surrealista come MICHAEL ENDE è evidente per la dialettica drammatica tra reale e irreale, tra sogno e veglia. Il Labirinto, l’Infinito, gli Specchi. E il Tempo, non lo spazio, visto come l’unica possibile dimensione. Questi temi onnipresenti nella produzione letteraria di Borges vengono individuati e rappresentati metaforicamente nel “Bestiario” dello scrittore, poeta e saggista argentino, e rivelano nella morfologia comportamentale delle creature illustrate la loro onnipresenza nell’universo. Il labirinto si ritrova abilmente nascosto tra i ritrat-
ti delle creature di questo libro: basta infatti provare a seguire gli indizi che per ciascuno di essi ci vengono indicati, e subito si aprono nuovi livelli di lettura, sempre più profondi, sempre più introspettivi. Alla fine dei quali si potrebbe approdare senza alcun ostacolo proprio alle realtà onirico-surreali del già citato Ende: il Minotauro nel labirinto, in altre parole la paura dell’ignoto (che si rivela poi quella dei nostri lati più oscuri, nascosti nell’ombra e pronti a rivendicare la loro esistenza), è, come dice lo stesso Borges “un abitante mostruoso adatto ad una casa mostruosa”. Sia nella tradizione mitologica narrata nel Manuale, che nella creatura-Hor di Ende, la figura del Minotauro assume il significato di quanto sia solitaria e scura la psiche umana, al punto che la stessa coscienza la rifugge. O meglio “è l’ombra di altri sogni ancora più orribili”. Hor è il Minotauro della nostra mente. Secondo Borges il Labirinto è anche la metafora del libro, il luogo in cui ci si smarrisce per entrare in un mondo invertito, fatto di mistero e verità superiori. Leggere è un atto creativo quanto lo è scrivere. Il libro esiste nel momento in cui il lettore lo apre e si perde in esso, come la creatura fuggevole che abita la prima stanza della sua esposizione: il ABaoAQu nella Torre di Chitor, vive e si forma se qualcuno si avvicina, si spegne in una forma vaga quando il visitatore si allontana. E non a caso, il giovane Bastian non si limita a leggere La Storia Infinita, ma entra letteralmente nel romanzo fino a diventarne protagonista, una storia nella storia. Ancora Ende, quindi, che senza dubbio è vicino a Borges anche nella creazione della sua personale zoologia fantastica: Ygramul, detta anche Le Molte, assume svariati aspetti fino a diventare un volto con un solo occhio. Uguale ad essa è il Badlanders di Borges, definito un mostro nel tempo, si trasforma in molte cose e in molti esseri. E ancora, il leone Graogràman, la Morte Multicolore, che produce il nulla e brucia qualsiasi cosa gli si avvicini, è molto simile al Basilisco, che vive nel deserto e crea il deserto con il suo venefico sguardo. Una presenza più inquietante e sinistra è costituita dagli Animali degli Specchi: la leggenda, originaria della mitologia cinese parla di creature incarcerate negli specchi dalla magia del leggendario Imperatore
Lettura: Manuale di Zoologia Fantastica
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Lettura
Giallo, e condannate a ripetere all’infinito tutti gli atti il vento soffocante in una nebbia. Il fondamento della degli uomini. Ma queste imago, in realtà i nostri spettri nebbia s’ignora. e fobie interiori, un giorno si riscuoteranno da questo Le creature della galleria di Borges appaiono nella limbo, e invaderanno sanguinosamente la terra. loro estraneità terribilmente reali e, soprattutto, vive. “Il primo a svegliarsi sarà il Pesce. Nel fondo La narrazione costantemente al presente crea la sendello specchio sorgerà una linea sottile[…], poi ver- sazione di eternità per questi fantasmagorici abitanti ranno svegliandosi le altre forme. Gradualmente, dif- del mito, ad esempio l’Idra di Lernia uccisa da Ercole, feriranno da noi. Gradualmente, non ci imiteranno. la cui ultima testa immortale sta ancora sepolta sotRomperanno le barriere di vetro e di metallo, e questa to una grande pietra, “odiando e sognando”. Questo probabilmente perché nell’unica dimensione possibivolta non saranno vinte.[…] Prima dell’invasione, udremo nel fondo degli le secondo l’autore, il tempo, ogni cosa vive finché specchi il rumore delle armi.”. è presente nella memoria degli uomini, e scompare quando essa termina. Altri animali, del resto, abitano Molti degli animali (animagi sarebbe meglio dire) il tempo di là dalle leggi fisiche: le tre teste di Cerbero, proposti da Borges richiamano costantemente la visio- il cane Infernale, rappresentano il passato, il presente ne dell’infinito: l’Ouroboros, il serpente che si morde e il futuro. Altri ancora consentono i viaggi attraverso la coda rappresenta la circonferenza in cui il princi- il tempo: il Burak, cavalcatura celeste di Maometto, pio, secondo Eraclito, coincide con la fine, e quindi accompagna il Profeta nel suo volo presso l’Unico è l’immagine che più rappresenta questo concetto. E Dio, e nel farlo rovescia una giara. Al ritorno, da essa forse non a caso, l’Auryn di Atreiu è un perfetto ovale, non si è ancora versata una sola goccia. Nell’ultima stanza troviamo un animale apparenformato da due serpenti legati in un intreccio senza fine. La circolarità in sé esprime la perfezione e l’il- temente sconosciuto: lo Zaratàn, un’isola animale, o lusorietà delle dimensioni: esistono nell’immaginario un’enorme balena, che inganna i naviganti e li trascina umano creature prive di punti di riferimento, come con sè nelle profondità degli abissi. Possiede valli e l’Anfesibena, (doble andadora nelle Antille), uno dei piante verdi, ma è malvagio e astuto: rappresenta l’ilserpenti immaginari descritti nella Pharsalia di Luca- lusorietà dei sensi, e il Male che si perpetua nel tempo, no, rappresentata con due teste sprizzanti veleno, gli come del resto ogni cosa. Secondo Borges infatti, queocchi come candele. Anphisbaena in greco significa sta speciale dimensione è come un fiume che scorre “che va in due direzioni”: simbolo dell’inconsistenza in tutte le direzioni, e il presente è solo l’attimo in cui della dimensione spazio perché possiede due estremi- passato e futuro s’incontrano. E tutti i quadri della sua tà anteriori. Oppure gli Animali Sferici il cui massi- esposizione fantastica nuotano in questo fiume, assiemo rappresentante è la Terra stessa, vista da Keplero me a chi li osserva, in ogni tempo e ad ogni latitudine. come un’enorme massa vivente, il cui respiro produce Sirene, Gorgoni e Ippogrifi forse non potranno più esil flusso e riflusso delle maree. Ma se la terra e i pia- sere considerati con lo stesso distacco dopo aver letto neti sono il simbolo dell’infinito circolare, il Bahamut, questo Manuale, in quanto possiedono un tacito invito enorme pesce “immenso e risplendente” esprime que- a non fermarsi mai al piano superficiale dell’evidenza. sto concetto nella sua veste più totale: l’impossibilità Perché, come dice lo stesso autore: dell’infinito di essere percepito nella sua completezza “Abbiamo sognato il mondo. L’abbiamo sognato dalla scienza umana. resistente, misterioso, visibile, onnipresente nello spaAltri dichiarano che la terra ha il suo fondamen- zio e fisso nel tempo; ma abbiamo consentito nella sua to nell’acqua; l’acqua nella montagna; la montagna architettura tenui ed eterni interstizi di assurdo per nella nuca del toro; il toro in un letto di sabbia; la sapere che è falso”. sabbia in Bahamut; Bahamut in un vento soffocante;
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Lettura: Manuale di Zoologia Fantastica
MANUALE DI ZOOLOGIA...
“Antecorn”, Boris Vallejo, 1981
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Cinema
I cavalieri che fecero l’impresa LA CERCA DEL SACRO LENZUOLO Basilica di St. Denis, anno dopo il 1271. Proprio nel corso dell’inverno di quell’anno in Tunisia morì di peste il re Luigi IX e fallì la settima Crociata. Davanti al sarcofago di pietra che custodisce i resti del re, un anziano sacerdote, Giovanni da Cantalupo, racconta alle statue di pietra, o meglio a sé stesso, il ricordo dell’Impresa, ovvero la scoperta e il recupero della Sindone ad opera di alcuni Cavalieri. Immerso nella penombra dell’imponente coro illuminato da una lanterna, il Giovanni racconta la storia dei cavalieri al Re morto.
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religioso presta voce alla memoria e fa riviere i cinque valorosi, le cui voci ancora riecheggiano nel ricordo. Si tratta di persone diversissime tra loro per storia personale, per carattere, aspirazioni e speranze. Uno è un ex fabbro che sa forgiare armi invincibili, con l’aiuto di forze diaboliche con cui avrebbe stretto un patto (all’inizio è un servo, ma verrà investito in seguito); un altro è uno dei testimoni della morte del re; uno è figlio di un ufficiale del seguito del re; ci sono poi un nobile dal bel blasone ma dalle tasche vuote, e un sicario mercenario che è poco più di un bandito da strada, vero pendaglio da forca. Di nobiltà di sangue, di condotta irreprensibile e ideali virtuosi, ge-
nerosità, liberalità, coraggio, educazione e tutto quanto distingue un Cavaliere senza terra da un guerriero di ricca famiglia, almeno all’inizio, non vi è traccia evidente. I cinque giovani si uniscono, mossi dal sogno di poter ritrovare il Sacro Lenzuolo, decisi a realizzare qualcosa di grande, tutti insieme, a non far naufragare del tutto le attese della fallita Crociata. Appreso da un documento segreto che la Sindone è custodita senza permesso in Grecia, intraprendono un lungo viaggio, che li porta dall’Appennino Tosco Emiliano fino ad Otranto, e dalla Puglia fino a Tebe, in Grecia. Là un gruppo di traditori ha nascosto la preziosa reliquia, conservandola appesa a rovescio e usandola per riti innominabili. Il cammino è lungo, pieno di pericoli e di avventure; esse vengono narrate con realismo a volte crudo, che non risparmia descrizioni esplicite di violenza, ferite atroci e usi molto distanti dalla sensibilità dell’uomo del terzo millennio. Pure nel rispetto di una certa verosimiglianza, gli aspetti più ripu-
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I cavalieri che fecero l’impresa gnanti sono sempre alleviati da atmosfere liriche e a tratti mistiche. Non a caso i cavalieri stanno compiendo una Cerca, proprio come i personaggi del ciclo di Re Artù che vagavano per il mondo sognando di raggiungere il Sacro Graal; e la Cerca, per essere tale, deve unire una missione religiosa e guerresca a un cammino di scoperta interiore del senso stesso della vita. I cavalieri, prima d’intraprendere la missione, non sono certo “stinchi di santo” e nemmeno “senza macchia e paura”. Tutti nascondono pecche, problemi, a volte drammi ed esperienze sconvolgenti alle spalle; ma nel corso del viaggio superano le loro meschinità, i loro vizi, le debolezze – uno di loro addirittura verrà esorcizzato! Le fatiche e i pericoli portano i protagonisti ad una maturazione spirituale, almeno secondo i canoni di un uomo medioevale pio e devoto. Si distaccano sempre più dalla rozza materialità, per diventare davvero Cavalieri secondo i dettami guerreschi e spirituali, tanto da credersi invincibili eroi protetti da forze divine. Proprio per evidenziare il senso della trasformazione interiore e del pellegrinaggio, s’insiste più sulle disavventure del percorso che sull’atto del ritrova-
mento. L’avventura a Tebe in verità farebbe sorridere qualsiasi giocatore di ruolo o qualsiasi lettore incallito di romanzi d’avventura. Può essere una delusione: lo spettatore attende un aumento del coinvolgimento emotivo nella seconda parte dell’opera, provocato da eventi più spettacolari, invece si trova un episodio avventuroso narrato con toni più sommessi di quanto forse fosse logico attendersi. Poco sap-
piamo degli avversari dei nostri eroi, e manca un villain ben caratterizzato che si contrapponga alle loro intenzioni. Oltre a risolversi in poche sequenze, il recupero della reliquia mostra ingenuità impensabili soprattutto dopo un’ora e mezza di ricostruzione curatissima e credibile. Probabilmente è stato realizzato in quella maniera per evidenziare la maggiore importanza del cammino rispetto al giubilo
1) Il Signore di Bisanzio sa come trovare il sudario. 2) Simon di Clarendon, il primo cavaliere inviato dal padre presso il Re di Francia. 3) Ma il Re muore prima di ricevere la sua missiva.
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dell’aver raggiunto la meta. Forse per questa ragione i protagonisti se ne vanno tranquilli in giro per cunicoli in armatura e con torce, e nessuno li scopre! Il fatto in sé
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è improbabile; sottratto al contesto basterebbe a rendere ridicolo qualsiasi film o romanzo, ma in questo caso serve a rafforzare il senso di santità che avvolge i cin-
que eroi, e prepara indirettamente alla conclusione, assai amara. Nell’animo, i nostri prodi divengono davvero Cavalieri perfetti, tanto che il misticismo e la fede incondizionata nel soprannaturale prendono in loro il sopravvento portandoli a confrontarsi con intrighi e nemici più grandi di loro. Tornano in patria, si recano dal signore di Cherny per restituire la reliquia, ma vengono attaccati. La Sindone scomparirà dalla storia e verrà esposta solo dopo molti anni dal tragico epilogo. 1) Jean de Cent Acres, il secondo cavaliere. Giovanni scopre che sarà lui il predestinato a trovare il sudario. 2) Giacomo di Altogiovanni, ancora semplice servo, vende l’anima al diavolo in cambio dell’abilità di forgiare una spada indistruttibile. 3) Il suo maestro viene catturato mentre Giacomo si nasconde.
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I cavalieri che fecero l’impresa 1) Ranieri di Panico e Vanni delle Rondini si allenano, non sanno di essere destinati a una grande impresa. 2) Vanni salva Giacomo come pagamento della sua magnifica spada e lo fa suo scudiero. 3) Ranieri incontra Simon e ruba la lettera destinata al Re.
SCELTE DI ÉLITE?
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a narrazione ha un incipit da brivido, con la presentazione del narratore e la descrizione della morte del Re. Pupi Avati fa davvero sognare quell’epoca lontana, tra la meraviglia per quel mondo e il raccapriccio per il diverso rapporto dell’uomo con la vita e con la morte. Dà subito vita a un universo ove le distanze geografiche paiono misurate da intenti e il tempo pare scandito da eventi spirituali. Sulle prime ogni det-
taglio parrebbe ricordare da vicino l’altra bella opera del regista, Magnificat. L’ atmosfera estatica tuttavia dura poco, si passa assai presto a un clima avventuroso e fantasy. Si potrebbe gioire, assisten-
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do ad una delle rarissime pellicole di genere italiane che non replicano modelli d’oltreoceano. Il fantastico entra a far parte della vita delle persone, sotto forma di miracoli piccoli e grandi, dei pericoli del
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1) Ranieri cerca di convincere Vanni a cercare il sudario. 2) Simon seppur ferito vuole riprendere la lettera. 3) I due cavalieri e lo scudiero cercano rifugio in un monastero, ma vengono scoperti e l’ex fabbro arrestato. 4) Simon supplica Ranieri di restituirgli la missiva.
Maligno, del senso di attesa dell’inaspettato che violi le leggi della natura. Si sottintende che quanto oggi etichettiamo come ‘fantasia’ poteva avere in quei secoli lontani ben altro senso: a parte alcuni scettici, la gente credeva ai prodigi, ai miracoli e alle reliquie, il cui potere sconfinava nella magia. Una concezione del mondo che viene presentata introducendo elementi sovrannaturali sotto tono, più suggeriti che mostrati, e mai esibiti. Il viaggio si dipana in una galleria di episodi, non sempre omogenei per stile e tono, che ricordano (con altro sapore) L’armata Brancaleone. Si ride, ci si emoziona, ci si disgusta, ci si commuove, seguendo i nostri nell’Avventura, in questo “on the road” sui generis. Fino al dolorosissimo finale, che personalmente ho trovato bello e coerente con una delle chiavi di lettura del film, ma insopportabile se considerato da tutti gli altri punti di vista. La tragica battaglia, peraltro ricca di pathos e filmata con tecnica notevole, funziona alla perfezione se tutta la vicenda viene letta come una metafora del
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terreno, attraverso un’esperienza di fede e prove materiali, l’uomo abbandona la concretezza. Va a staccarsi da essa e finisce per trovare 2) Nella fuga Jean viene cattuuna dimensione tutta spirituale. In rato ma i cavalieri intervengoquesta prospettiva l’epilogo è amano. ro, e necessario compimento di un percorso di iniziazione che vede percorso di vita del vero Cavaliere. convivere sbudellamenti e traL’estasi spirituale guida il cam- scendenza, e che eleva la persona. mino dell’uomo, pone uno scopo Toccati dall’esperienza al limite del che si può riassumere anche come sovrannaturale (ed uno degli eroi è “Cerca”. Perseguire uno scopo già morto e risorto), i nostri non trasforma il cavaliere, lo sublima, possono più tornare indietro, e proprio come avviene alle sostanze affrontano lo scontro finale quaimmesse nell’alambicco dell’al- si con gioia estatica, benché dal chimista. Dall’amore per quanto è punto di vista razionale di un 1) Vanni e Giacomo stanno per essere arsi sul rogo ma gli altri li salvano.
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uomo di oggi sia pura follia battersi in cinque contro un esercito. Dal punto di vista artistico il finale è giustificato, ma conferma un’ambiguità che perdura fin dal primo tempo, e che nuoce poiché non si risolve mai del tutto. Cosa deve attendersi lo spettatore, un film di intrattenimento avventuroso e fantastico, un film storico, o storia recitata? Non solo: si crea un equivoco sulla fruizione del film stesso, ovvero: a quale tipo di spettatore piace, o vorrebbe piacere? L’impatto emotivo della tragedia finale è presentato non in un previo contesto dichiaratamente cupo e pieno di presagi, ma gettato davanti agli occhi dopo l’innesco di meccanismi narrativi degni di un film di avventura e l’uso di modelli importati dall’epica: il tema della cerca, le peregrinazioni, la spada e la magia (di Satana o di Dio...). A peggiorare la reazione, va considerato che, a parte i cinefili che s’interessano al titolo perché conoscono l’autore o perché cer-
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cano film anticonvenzionali, lo spettatore medio in un film come questo è probabilmente alla ricerca di un paio d’ore di avventura seguite da un finale liberatorio. Potrebbe allora non apprezzare il
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miscuglio di generi e sottotrame – che pure oggi pare di moda (Il Gladiatore) – o deridere alcuni dettagli, come il voler mettere in piedi un’imboscata arrivando con torce accese e bagagli, o appunto preten-
dere di battersi in cinque contro un esercito. L’amante della storia “seria” sorride vedendo il misticismo da racconto popolare, la sottotrama fantasy che va a contaminare il tono della narrazione e forse riesce a guastare un continuo tra l’inizio e il finale. Chi ama il buon cinema senza predilezioni di genere si trova un film quasi sempre meraviglioso e fuori dagli schemi, purché sia disposto ad accettare momenti ‘forti’. Lo spettatore che ama il genere fantasy, si gode ottimi duelli verosimili, magia poco appariscente ma tenebrosa, una sana dose di avven1) Finalmente liberi i cavalieri decidono di proseguire insieme. 2) Per raggiungere l’unico che può portarli in Terra Santa. 2) Un vecchio malato sembra fornire un nuovo indizio.
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I cavalieri che fecero l’impresa 1) La nave di Delfinello da Coverzano deve essere riparata prima di partire. 2) Durante la traversata il gruppo decide di liberare Giacomo dal demonio. 3) Arrivati a destinazione i cavalieri salvano un greco che sembra volerli aiutare.
di Artù, alla fine del Regno di Camelot sopravvivono alcuni catura; però, abituato a questo tipo di valieri e lo stesso Lancillotto (che atmosfera con i suoi clichè, troverà muore anni dopo, trascorrendo assurdo e orribile il finale. una vecchiaia come monaco) e A poco serve ricordare l’idea resta la speranza che un giorno di se stessi che i cinque protagonisti avevano: credersi direttamente alle dipendenze di Dio. È rara eccezione che un fantasy termini con la morte di tutti gli eroi: e quando pure dovesse accadere, l’autore ha preparato da subito il terreno alla tragedia finale. Più spesso, per fornire realismo, un paio di personaggi fanno una brutta fine, ma non tutti. Rimane sempre qualcuno. Anche nel mito
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Artù possa tornare dalle Isole dell’Occidente. Nel film di Pupi Avati, niente di tutto ciò. Si chiude con un dramma che la Storia non ha documentato, anzi. E al patito del genere fantasy, può non piacere!
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LUCI E OMBRE
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solo per premiare un titolo italiano (italo-francese, a dire il vero) proratto dal romanzo scritto dallo dotto con gusto diverso da quello stesso Pupi Avati, nonostante che sta dietro alla solita leggera i punti deboli e le discontinuità, il comicità o alla consueta argomenfilm merita la visione, fosse anche tazione sociale o d’attualità. Senza
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niente togliere alle opere che interpretano fatti del nostro secolo o della storia recente, è triste che esse rappresentino spesso l’unica alternativa (a parte film d’arte o poche altre eccezioni) a un panorama di pellicole prodotte a misura di passaggio televisivo. I Cavalieri che fecero l’Impresa è uno dei rari esempi di cinema in costume che mette in scena il Medioevo occidentale rivisitandolo a modo proprio, lontano da schematismi di Hollywood o toni seriosi da documentario. È stato realizzato con mezzi abbondanti, tanto da poter dare libertà al regista di esprimere 1) ...ma alla fine anche questa si rivelerà una trappola. 2) È il momento di premiare Giacomo per tutto l’aiuto fornito. 3) L’indizio fornito dal vecchio si rivela fondato con l’arrivo della principessa.
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I cavalieri che fecero l’impresa 1) Il gruppo segue la Principessa all’interno delle gallerie segrete. 2) Fino a trovare il tanto agoniato tesoro. 3) gli amici tornano alla nave vittoriosi.
un quadro insolito del periodo, senza dover ripiegare su attrezzature ed utensili riciclati da produzioni più ricche e amalgamati alla meno peggio, o lesinare sui necessari effetti speciali o sulle location. Si può approvare o discutere la rappresentazione fatta da Pupi Avati: forse è corretta dal punto di vista storico, e forse è un’interpretazione piena di estro poetico. In ogni caso, quello che vediamo in scena è quanto il regista ha deciso di mostrarci. Ha cercato di ricreare l’ambiente attraverso armi ed oggetti ricostruiti da abili artigiani umbri, ha scelto adeguate compagnie di rievocazione storica
per metter a punto le varie battaglie, ha stabilito le location adatte alla vicenda, ma soprattutto ha voluto trasmetter l’idea di come gli uomini medioevali concepissero il loro vivere quotidiano e la
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prospettiva dell’aldilà. Ne emerge un Medioevo sospeso tra luce spirituale e barbarie materiale. Non a caso, il film è vietato ai minori di quattordici anni: è adatto ad uno spettatore adulto o co-
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munque guidato nella comprensione da una buona conoscenza del periodo, o almeno da una curiosità matura che non conosca pregiudizi. Ci sono infatti scene di guerra cruente – o, piuttosto, realistiche, dato che i personaggi brandiscono grosse spade e asce! – che possono apparire splatter gratuito se si estrapolano dal contesto del film stesso. Ci sono sequenze raccapriccianti: gente arsa viva, sventrata, amputazioni... Possono essere accettate appieno solo da chi ama la Storia ed è preparato a esaminare abitudini e usi delle varie epoche e società, senza preten-
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dere di ritrovarvi i propri, peggio ancora, di dare un giudizio affidandosi ai valori del terzo millennio. Come se non bastasse, il film può essere letto a vari livelli, e per un giovanissimo potrebbe risultare un’accozzaglia di fatti ributtanti o spettacolari paragonabili a quelli propri di un film dell’orrore.. Gli attori se la cavano decorosamente, anche Raul Bova: temevo che il suo ruolo fosse quello di uno specchietto per richiamare nel cinema signore e signorine, invece dà vita a un personaggio interessante, taciturno e “maledetto”. I protagonisti hanno una buona in-
trospezione, anche se in certi momenti sembrano meno convincenti, forse per colpa del montaggio un po’ affrettato. I comprimari appaiono più bravi dei protagonisti, sono attori dalla lunga carriera. D’altra parte, non è facile trovare attori conosciuti e adatti a parti che richiedano anche prestazioni “fisiche”. Ovvero che possano cavalcare, saltare, combattere con armi in metallo senza dover ricorrere continuamente a controfigure, che sappiano fare fronte a parti recitate, siano piacevoli di aspetto e siano a quel punto della loro carriera in cui non si disdice un film d’autore – anche se forse sarà un flop al botteghino. Il compromesso pare quasi inevitabile, e 1) Tornati in patria i cavalieri cercano aiuto per consegnare la reliquia alla Francia. 2) Coloro che avevano rubato il sudario tornano per riaverlo.
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I cavalieri che fecero l’impresa 1) Di nuovo traditi, i cavalieri sono costretti a consegnare il sudario. 2) Ma ai traditori non basta: i cavalieri devono morire. 3) Giovanni conclude il racconto al proprio Re pregandolo di ricordare quei giovani eroi... e per incanto nella chiesa risuonano le ultime parole di quei cavalieri.
cuni passaggi utili a comprenderla meglio. Nel passaggio tra un “episodio” e l’altro, si ha quasi l’iml’abilità del regista sta anche nel pressione che qualcosa non venga costruire personaggi adatti al ma- spiegato. È difficile mescolare storia e teriale umano che ha tra le mani. A parte il discutibile finale, forse invenzione, dare atmosfere sognanil più grande problema del film è ti in cui la vita di ogni giorno pare il montaggio: a tratti sembra pre- sospesa e rivista in luce fantastica, sentare alcune incertezze – anche senza scivolare in episodi di gusto se modeste – che penalizzano la fantasy. Anche perché di solito la narrazione, forse escludendone al- realtà non è spettacolare né mistica.
In Magnificat, Avati ci aveva narrato i fatti della settimana Santa in un feudo dell’Appennino. In quella pellicola sul Medioevo, il regista era stato assai lontano dal poter portare avanti cliché di genere avventuroso o “storico” in senso tradizionale: ottenne un film coerente e mistico per un pubblico forse non vasto, ma consapevole e maturo. I Cavalieri che fecero l’Impresa ha il difetto di partire con lo stesso tono di Magnificat, proseguire come un fantasy moderato negli effetti speciali e senza grosse magie, e finire come un dramma di Shakespeare. Nonostante i difetti, è un tentativo di dare vita a una narrazione di genere nuovo, rivisitato all’italiana. Non è un capolavoro, è un esperimento riuscito a metà, ma almeno dimostra che il cinema italiano può cimentarsi in qualsiasi genere e non è condannato a sfornare solo innocue volgarità o serie storie di indagine sociale. Siamo solo partiti in ritardo, c’è da augurarsi che s’intraprendano ancora Imprese coraggiose come questa.
* CUCCU’SSETTE
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F. Murray Abraham (Delfinello da Coverzano): il solo in grado di portare i cavalieri in Terra Santa. Durante il tragitto “guarisce” Giacomo compiendo su di lui un esorcismo.
Filmografia fantascienza/fantastico: I tredici spettri, The darkling, I Muppets venuti dallo spazio, L’Arca di Noè (TV), Star Trek: l’insurrezione, Mimic, Last action hero - L’ultimo grande eroe, Viaggio al centro della Terra (TV), Tramonto di un eroe, Slipstream.
Stanislas Merhar (Jean de Cent Acres):
giovane cavaliere destinato a toccare il santo sudario. Filmografia fantascienza/ fantastico: Furia
Edward Furlong (Simon di Clarendon):
deve portare al Re di Francia una missiva che lo informa su chi tiene nascosto il sudario di Gesù.
Filmografia fantascienza/fantastico: The Crow: Wicked Prayer, Brainscan - il gioco della morte, Terminator 2 - Il giorno del giudizio.
Romuald Andrzej Klos (monaco cieco):
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apprendista fabbro di un piccolo villaggio, crea la spada per Vanni delle Rondini, ma per farlo è costretto a fare un patto col Diavolo. Filmografia fantascienza/fantastico: Alien Vs. Predator, Rewind, Il quarto Re.
Marco Leonardi (Ranieri di Panico):
cavaliere sbandato e violento in cerca di redenzione.
Filmografia fantascienza/ fantastico: nessuno.
Thomas Kretschmann (Vanni delle Rondini):
salva il Giacomo e fuggendo da chi li vuole uccidere si unisce all’Impresa. Filmografia fantascienza/fantastico: Frankenstein, Resident Evil: Apocalypse, Immortal - Ad vitam, La principessa e il povero, il mistero del Principe Valiant, Total Reality.
Carlo Delle Piane (Giovanni da Cantalupo):
il prete cieco che scopre la dannazione di Giacomo. Filmografia fantascienza/ fantastico: nessuno.
Raoul Bova (Giacomo di Altogiovanni):
fedele alla promessa fatta al Re di Francia spende la sua vita alla ricerca del sudario.
Filmografia fantascienza/fantastico: nessuno.
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I cavalieri che fecero l’impresa
Scheda Tecnica Titolo: I CAVALIERI CHE FECERO L’IMPRESA Tit. originale: id. Anno: 2001 Durata: 147 minuti Paese: Italia Produzione: Antonio Avati, Tarak Ben Ammar, Mark Lombardo Distribuzione: 20TH CENTURY FOX Regia: Pupi Avati (La casa dalle finestre che ridono) Soggetto: Pupi Avati Sceneggiatura: Pupi Avati Fotografia: Pasquale Rachini Musiche: Riz Ortolani Montaggio: Amedeo Salfa Scenografia: Giuseppe Pirrotta Effetti speciali: Renato Agostini, Danilo Bollettini Costumi: Nanà Cecchi Note: Nomination DAVID DI DONATELLO 2002,
“Miglior Costumista” (N. Cecchi); Nomination NASTRO D’ARGENTO 2001, “Migliore Fotografia” (P. Rachini), “Migliori Costumi” (N. Cecchi), “Migliore Scenografia” (G. Pirrotta).
Resto del Cast: Raoul Bova (Giacomo di Altogiovanni), Edward
Furlong (Simon di Clarendon), Marco Leonardi (Ranieri di Panico), Stanislas Merhar (Jean de Cent Acres), Thomas Kretschmann (Vanni delle Rondini), F. Murray Abraham (Delfinello da Coverzano), Enzo Andronico, Franco Bagnasco, Giovanni Capalbo (Benoit), Dino Cassio, Gigliola Cinquetti (Madre superiora), Cesare Cremonini, Leslie Csuth (Pastore), Carlo Delle Piane (Giovanni da Cantalupo), Luca Forcina (monaco magro), Romuald Andrzej Klos (abate cieco), Loris Loddi (Jannot de Plume), Sarah Maestri (Odilia), Romano Malaspina (Amaury de la Roche), Edmund Purdom (Ugo di Clarendon), Renzo Rinaldi, Franco Trevisi (Rolando da Gesso), Yorgo Voyagis (Isacco Sathas).
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Il regista: Pupi Avati Filmografia fantascienza/ fantastico/storica: I cavalieri che fecero l’Impresa (2001), L’arcano incantatore (!996), Magnificat (1993), Zeder (1983), Le strelle nel foso (1979), La casa dalle finestre che ridono (1976), Balsamus, l’uomo di Satana (1970), Thomas e gli indemoniati (1970).
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Storia e cultura
Particolari dall’Arazzo di Bayeux, Musée de la Reine Mathilde, Bayeux (Francia). Immagine: http://rubens.anu.edu.au/
Cavalleria Medievale Introduzione Alcuni accenni preliminari sulla Cavalleria Medievale La cavalleria nel medioevo è un argomento indubbiamente affascinante, uno di quegli aspetti più evidenti della vita di secoli addietro che attira le simpatie di animi più o meno romantici, lo stesso si può dire per i castelli e le leggende da Mille e una notte. Per contro animi più pragmatici possono provare fastidio per i tronfi guerrieri rivestiti di latta che andavano (apparentemente) spadroneggiando per l’Europa; di solito costoro condividono l’idea di
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un medioevo come età oscura. La ricerca storica ha confutato entrambe queste idee, tanto la romantica, quanto la pragmatica. Studiare la storia, di qualsiasi periodo, non risponde solo al desiderio di “evadere” dalla realtà che ci circonda, significa, invece, studiare l’umanità per come si è comportata nel passato, quali sfide ha dovuto affrontare, come l’ha fatto e con quali esiti. Viviamo in un periodo difficile, in un’età in cui è ancora forte la voce di chi ci vuol far credere che fra gli esseri umani contano più le differenze che le somiglianze; abitiamo anche in quel villaggio globale squassato da rancori e rivendicazioni etniche, mentre grandi masse di popolazioni vengono fra noi a cercare condizioni di vita più umane e si sente per-
Storia e cultura: Cavalleria Medievale
Cavalleria Medievale ciò un gran bisogno di Storia, di guardare alle no- guerra mondiale, guerra in cui sono famose le caristre radici per cercare di capire meglio chi siamo e che suicide della cavalleria polacca contro i panzer da dove originano i problemi che ci assediano. Per tedeschi; anche l’esercito italiano – durante il medequesto è bene avvicinarsi ad un tema come quello simo conflitto - usò unità di cavalleria. ora in esame, armati del riCavaliere del XIII secolo, da sultato delle ricerche storiche - Fino al XIII secolo al“Arms and Armour of the Medieval Knight”, di – campo in cui si sono avuti meno, il cavaliere era David Edge e John Miles Paddock. grossi cambiamenti duinnanzitutto un guerriero rante il secolo scorso – ed di professione, che graevitare preconcetti sia in zie ad un lungo addestramento era in grado positivo che in negativo. di combattere a cavallo. Riassunto tematico In origine, faceva parte della cavalleria chiunque - Il termine “cavallericeveva in donazione ria” indica sia l’insieda un potente il costoso equipaggiamento militare me dei cavalieri quanto il e l’ancor più prezioso casistema di valori e ideali vallo da combattimento, tipici dei cavalieri. Difatti o chiunque poteva acquiguerrieri a cavallo sono starli grazie al possesso esistiti sin da quando gl’indoeuropei addomedi consistenti beni. sticarono i primi cavalli I documenti del tempo, sino al XII secolo, intorno al 2000 a.C. Gli non ci menzionano cavaEgiziani conobbero questo tipo di guerrieri già lieri, ma milites (soldati), dal XVIII secolo a.C., ciò non implica che non in seguito all’invasione vi fossero cavalieri prima del popolo degli Hyksos. del 1100, solo che il loro L’impero persiano, i ruolo in guerra non era Greci e i Romani conoancora ben distinguibile scevano ed utilizzavano da quello dei fanti, dei la cavalleria come arma quali avevano la stessa dei loro eserciti e la sfrutarmatura e quasi le stestavano in battaglia, sia pure come truppe ausiliarie se tecniche di combattimento. Difatti i Franchi, del vero fulcro dei loro eserciti, la fanteria. anche all’epoca di Carlo Magno, combattevano Quest’ultima continuerà ad avere la preminenza preferibilmente appiedati (fu così che sconfissero anche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oc- i razziatori a cavallo arabi nel 732 a Poitiers sotto cidente, sino al IX secolo, quando comincerà un la guida di Carlo Martello; fu così che affrontarolungo processo che porterà alla nascita della “ca- no, a Roncisvalle e agli ordini del conte palatino valleria medievale”. Pur perdendo tale preminenza Rolando, i baschi inferociti a causa della distruziotattica dal XV secolo la cavalleria in quanto corpo ne della loro città, Pamplona), anche se usavano il d’arma di un esercito, permarrà sino alla seconda cavallo per spostarsi velocemente verso il campo di
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Cavalleria Medievale battaglia. Il famoso Arazzo di Bayeux (conservato più potenti e la netta superiorità dei cavalieri rispettuttora nel Museo della Regina Matilde nell’omo- to alla gran massa della popolazione, propagandata nimo paese della Normandia) ci raffigura gli ante- attraverso la produzione letteraria delle chansons de fatti, i preparativi e lo svolgimento della conquista geste e della prima letteratura romanza (ma anche normanna dell’Inghilterra anglosassone; è un do- dagli scritti satirici contro i rustici ed i laboratores cumento importante questo, in generale) fece con il temche getta una luce su partipo sviluppare l’idea che gli colari che le fonti narrative uomini di umile nascita non o documentarie tacciono. dovessero accedere alla caSappiamo quindi che ancora valleria. Sempre più spesso, nel 1066 cavalieri e fanti non solo chi è nato da famiglia si differenziano negli armadi cavalieri, era ammesso menti e quasi per niente nelle all’addobbamento. Con il tecniche di combattimento. termine “addobbamento” La cavalleria nobiliare s’indicava il cerimoniale dei secoli XII-XV scaturisce con cui un uomo diveniva a da una trasformazione della tutti gli effetti un cavaliere. società nel suo complesso. La Su questa evoluzione dei valori cavallereschi influì ancristianità guidata da Carlo Magno e dai suoi discendenche la letteratura in volgare, ti, infatti, era molto diversa con l’esaltazione dell’amor da quella che nel 1095 si precortese e della dedizione del cavaliere ad una dama. parava alla sfida della prima Per contro, ignorate dalla crociata; fra l’888 (data deltradizione letteraria, le cola morte di Carlo il Grosso munità contadine non erano e conseguente estinzione Carlo Magno, statuetta equestre in bronzo, del tutto inermi nei confrondella dinastia carolingia) Louvre, Parigi. ti dei nobili e dei cavalieri e il 1095 vi è una serie di Immagine: http://fr.encarta.msn.com/ trasformazioni generalizzache li taglieggiavano, c’è te che sono vitali per capire tutta una storia della formala nascita e lo sviluppo della cavalleria, come della zione di comunità rurali capaci di mettere alle strette, quando le condizioni generali lo permettevano società tutta. certo, il nobile e costringerlo a venire a patti. I comuni cittadini si sviluppano, in Italia centro- Dal XII al XIII secolo, combattere a cavallo divenne sempre più prerogativa di pochi, un indi- settentrionale soprattutto, creando soggetti politici zio di preminenza sociale. Cavalieri erano titolari di nuovi e dal glorioso avvenire. Questo è anche il pesignorie rurali e cavalieri erano anche i guerrieri che riodo del “risveglio delle città”, come pure dell’araiutavano i signori ad esercitare i propri diritti. La chitettura e scultura romanica, che segna un netto comunanza di valori e di stile di vita con i personaggi miglioramento delle tecniche costruttive.
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A sinistra: Vittore Carpaccio, “Ritratto di un cavaliere”, 1510, tempera su tela, Collezione Thyssen-Bornemisza, Madrid. Immagine: www.wga.hu.
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- Il rito dell’addobbamento, pubblico e celebrato in forme sempre più solenni, consisteva sostanzialmente nella consegna delle armi e in un colpo
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inferto simbolicamente col piatto della spada (“collata”). Doveva essere obbligatoriamente officiato da un personaggio già insignito della cavalleria. Il rituale e in generale tutti gli ideali connessi alla cavalleria andarono evolvendosi anche per influsso della Chiesa, che elaborò l’immagine del cavaliere ideale, pronto a difendere le chiese, i poveri, le vedove e gli orfani. Al duraturo prestigio della cavalleria, infine, contribuì anche la nascita di ordini militari, come l’Ordine Teutonico e quello di S. Giovanni (o dell’ospedale e poi di Rodi e di Malta). Si trattava di ordini religiosi di nuovo genere, nati durante la I crociata, che imponevano come voto ai membri la difesa con le armi dei pellegrini e la lotta ai musulmani. Oggetto di generale ammirazione e di continue donazioni, divennero dal XII secolo istituzioni potentissime, dotate di grandi ricchezze e d’influenza politica in tutta Europa. Il messaggio cristiano originario, però, era profondamente pacifista, dobbiamo quindi guardare anche alla profonda trasformazione che porterà la Chiesa, nell’XI secolo, a diventare definitivamente “romana” (dopo lo scisma con la Chiesa orientale guidata dalla vecchia rivale del vescovato romano: Costantinopoli), ingaggiare la sua lotta contro le influenze dei potenti laici e sviluppare bramosie (già presenti da secoli) per affermare un potere teocratico universale.
A destra: Albrecht Altdorfer, “La battagla di Alessandro”, 1529, legno, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera. Immagine: www.wga.hu.
Crecy, combattuta il 26 agosto del 1346, durante la Guerra dei Cento Anni) il ruolo preminente di questo corpo d’arma non sarà messo in discussione, nonostante la sconfitta di Legnano non sia stata certo l’unica subita dalle cavallerie occidentali prima del 1346. Intanto si ha la ripresa delle città e dei traffici commerciali, così come s’accresce l’accentramento del potere nelle mani di pochi principi. I regni ed i principati d’Europa cominciano a sviluppare un’articolata corte, nucleo iniziale della nascente burocrazia. Queste corti ed uffici statali costituiranno vie di affermazione alternative alla guerra, per le famiglie aristocratiche, in un crescendo progressivo. Durante il ‘300 arrivano le sconfitte che cominceranno a scardinare i vecchi ordinamenti militari, con l’affermazione delle fanterie, mercenarie (come i quadrati di picchieri svizzeri) o meno (come le formazioni di arcieri inglesi). Pur continuando ad utilizzare forti squadroni di cavalleria, i nascenti stati nazionali, nel ‘400 metteranno in campo formazioni di fanti (arruolati ed equipaggiati direttamente dallo stato) in cui gli ufficiali – di solito nobili – saranno costretti a comandare appiedati anziché dal proprio cavallo, per l’esigenza nuovamente dominante di avere formazioni di fanteria disciplinate (tornate ad - Dal XIII secolo, in Europa Occidentale, inessere il vero fulcro degli eserciti). Ciò perché la cominciano ad affermarsi poteri centralizzati storia passata aveva dimostrato che le fanterie disu aree sempre più vaste. L’aristocrazia territoriale sciplinate e ben equipaggiate potevano tenere testa trova spazi sempre minori d’autonomia e la cavala qualsiasi carica di cavalleria pesante. leria comincia a subire le prime sconfitte sul campo Non sarà la fine della nobiltà e nemmeno della di battaglia. Già nel 1176, durante la Battaglia di cavalleria in quanto tale, ma il titolo nobiliare di caLegnano, truppe di fanteria erano riuscite a sconvaliere diverrà sempre più un titolo onorifico e, con figgere l’avanguardia composta da cavalieri di esso, gli antichi ideali elaborati dai letterati laici ed Federico Barbarossa, imperatore del Sacro Romano ecclesiastici dall’XI al XIII secolo divennero legImpero. Quella sconfitta, avvenuta in quel che è genda da rimpiangere. ritenuto il periodo d’oro della cavalleria medievale, serve per sfatare il mito d’invincibilità che pare continua nel prossimo numero… ancora persistere attorno al cavaliere. Ancora per parecchio tempo (all’incirca sino alla battaglia di
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“Le donne, i cavalier, l ’arme, gli amori…” Jean Auguste Dominique Ingres, “Ruggero e Angelica” (“Orlando furioso”), 1819, olio su tela, Museo Louvre, Parigi.
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uale partenza migliore per parlare del legame tra letteratura e cavalleria se non il primo verso dell’Orlando Furioso, mirabile sunto di tutto ciò che ruota attorno a tale universo. La struttura chiasmatica è rivelatrice della grande ripartizione materiale della tradizione cavalleresca: gli elementi centrali mettono in risalto la rudezza e la valorosità militare, quelli estremi riassumono la declinazione cortese di tale esperienza. Ma, la letteratura cavalleresca, come ogni prodotto dell’uomo, andrebbe studiata innanzi tutto in termini puramente storici ed empirici, partendo da cosa significò materialmente la cavalleria militare sul campo di battaglia e nella società. Tuttavia, ciò che in questo ristretto ambito si cerca di proporre è qualcosa di diverso: si tenterà, infatti, di enucleare la visione che del cavaliere (nella sua essenza) e dell’intero mondo che attorno a tal concetto ruota si è assunta in diversi periodi letterari. Si esamineranno i primi poemi eroici elaborati in un’area nord-europea abbastanza vasta ed eterogenea: seppur non si possa ancora parlare di cavalieri, si potrà riscontrare l’esistenza dei loro “antenati”, quantomeno dal punto di vista ideologico. Successivamente, si potrà osservare l’influenza che tali componimenti hanno avuto su una buona fetta della storia letteraria europea, soprattutto con riferimento a due “sottogeneri” particolari: carolingio e romanzesco. Nel primo caso si porrà l’attenzione sul forte dualismo cristiani/pagani e sulla figura ideologicamente centrale di Carlo Magno; più oltre, si potrà constatare come la forma metrica della geste si riempirà di nuovo materiale, più fresco e accattivante. Amore, magia, senso del mistero e dell’incredibile dominano la scena europea coestensivamente al fiorire della civiltà cortese; è il massimo splendore della saga arturiana, con tutte le sue storie collaterali, e della corte Estense di Ferrara in cui vedrà la luce una risistemazione immortale della saga di Orlando, vedremo come il forte valore cristiano della moralità sia lentamente penetrato anche nella lonta-
na cultura anglosassone e, quasi in controcanto, la spiccata verve romanzesca di CHRÉTIEN DE TROYES. L’età post-rinascimentale, tuttavia, porterà con sé i primi germi della decadenza cavalleresca, o almeno di una sua profonda ristrutturazione. I princìpi scaturiti dal Concilio di Trento, infatti, saranno linee guida talmente forti che anche l’ambiente culturale dovrà adeguarsi ad essi. L’esperienza di Tasso, pur riprendendo in vario modo la dicotomia “pagano/ cristiano” in un periodo in cui era ancora molto sentita, ne è esemplare: i personaggi, come Goffredo di Buglione, sono modellati ricalcando pedissequamente i dettami della politica culturale propugnata dal ceto ecclesiastico più elevato. Infine, la grande e millenaria epopea del cavaliere troverà il suo tramonto sullo sfondo letterario di tutti i tempi nell’opera di MIGUEL DE CERVANTES, vera e propria antitesi della grande letteratura eroico-cavalleresca: ironia e senso del ridicolo si rincorrono nell’animo di un povero hidalgo che si autoproclama paladino della giustizia in un mondo che di lui non ha assolutamente bisogno. Tuttavia, ciò che in questo primo approccio ad una materia tanto sconfinata vorrei tentare di esplicitare, sono le motivazioni attraverso le quali si è sviluppato un simile fenomeno. Ora, indubbiamente uno dei desideri più pressanti dell’uomo è sempre stato quello di poter travalicare i limiti in cui la naturale evoluzione millenaria lo ha da sempre posto. Tale desiderio è riassumibile sotto il nome di “perfettibilità”: l’elemento costitutivo che rende l’essere umano in sé una creatura unica al mondo. Alcuni limiti, a volte superati e a volte no, sono posti da leggi fisiche: fino a qualche secolo fa era inconcepibile che l’uomo potesse librarsi nei cieli come gli uccelli, e gli studi di Leonardo testimoniano tale interesse. Altri limiti, tuttavia, sono posti (anzi, presupposti) dalla stessa natura fisiologica umana. Alcune notevoli eccezioni, frutto più della chimica che di impegno, mostrano individui dall’apparato muscolare notevolmente sovradimensionato; in altri casi si può assistere ad un vero e proprio controllo della mente sull’apparato nervoso, come nei fachiri indiani. Ma,
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proprio il fatto che tali esempi siano “eccezioni”, come la vicenda del Bastiano fantastico che asci riconduce al punto originario: l’uomo è ingabbia- sume tutti i poteri che quello reale non potrà mai avere. to in limiti fisici e fisiologici incontrovertibili. Fin dai poemi più antichi si registra una simiA mio parere, date tali premesse, l’avvento di una letteratura eroico-cale presa di posizione: è in valleresca, o in ogni caso questo modo che si giunge di un immaginario collettiad eroi che sfidano gli dei, sconfiggono mostri terrifivo che la sottenda, fa capo canti, compiono imprese proprio a tali limiti, verso memorabili destinate a ricui l’uomo si è sempre posto in posizione di conflitmanere scolpite nella stotualità. Egli, difatti, nella ria. sua estrema arroganza e Per comprendere l’importanza letteraria della camiopia, non è mai riuscito a capire perché anche per valleria, quindi, bisogna tener ben presente il concetlui, per certi versi il padrone del mondo, dovessero to presupposto di “eroe”. valere alcune limitazioni. L’eroe, generalmente, è il modello del popolo che Se tramite la tecnologia rappresenta, ne costituialcune di esse sono state sce l’essenza fondamenabbattute, altre non è stato possibile oltrepassarle. È a tale e il prototipo ideale. questo punto che ha fatto Inoltre, relativamente alla ricorso a quello splendido maggior parte dei poemi più antichi, è necessario dono di cui è provvisto, tener presente che la data avvertito purtroppo il più delle volte come un peso: di composizione non corril’immaginazione. Se il sponde affatto a quella di mondo reale costringe alle stesura, il che implica che sue ferree leggi, in quello siano stati oggetto di vari Girolamo Pozzo, “Cloridano e Medoro“ immaginario è l’uomo ad rimaneggiamenti, fino alla (“Orlando furioso”), incisione su rame. assumere il ruolo di semiconsacrazione della scritdemiurgo, di “sub-creatotura. Unendo questi fattori, re”, per citare un termine coniato da Tolkien. Ed si potrebbe trarre una tesi parzialmente differente è quindi ovvio che si passi da una situazione con- da quella suesposta, ma in ogni caso integrativa di tingente fortemente limitativa ad una realtà ideale essa. Se si ammette che la figura dell’eroe rapprein cui le catene naturali vengono ad essere delibe- senta il popolo in toto, o meglio, il suo punto d’oriratamente infrante. La figura di un uomo fuori del gine (si pensi ad Enea per i Romani, a Beowulf per comune, dotato di una forza psicofisica speciale gli Anglosassoni), e che i componimenti relativi ad grazie alla quale poter compiere valorose imprese esso erano inizialmente tramandati oralmente, non viene a raffigurare la modalità speculare dell’uomo è difficile credere che molti episodi siano frutto di reale. Parafrasando l’opera più conosciuta di Ende, una volontaria esagerazione. Usanza, questa, a dir La Storia Infinita, tutto ciò si potrebbe riassumere la verità, ripresa dalla letteratura latina, seppur a fini
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Cavalleria e Letteratura politici: Cesare non si pose poi così tanti problemi ad innalzare artificiosamente la potenza dei nemici nel De Bello Gallico tanto da ammantare se stesso e il suo esercito di una gloria e una valorosità che potrebbero essere smentite dai fatti. Stesso ragionamento, secondo me, andrebbe applicato ad una gran massa di episodi che nei poemi più antichi potrebbero apparire estremamente lontani dalla verosimiglianza; leggendo in quest’ottica uccisioni di draghi immensi e duelli interminabili, si comprende come si sia in evidente presenza di iperboli tese a rafforzare l’unità e l’identità di un popolo. Motivazioni, quindi, fortemente antropologiche, quelle legate al mito dell’eroe, ben esplicate in diverse opere letterarie. In ultima analisi, il passaggio che deve essere menzionato è la crescente importanza assunta dalla figura del cavaliere. Tralasciando momentaneamente un discorso storico, che sarà affrontato in altro contesto, è importante evidenziare la sovrapposizione che si instaurò (ovviamente a livello di immaginario, dal carattere quindi squisitamente concettuale) tra eroe e cavaliere. Quando il combattente a cavallo assumerà il massimo prestigio e il valore di exemplum, di logica non potrà che appoggiarsi su quello preesistente di “eroe”, con la differenza che se quest’ultimo è nella maggior parte dei casi libero da vincoli particolari, il “cavaliere” è stretto in una rete comportamentale molto più puntuale. Il cavaliere deve obbedienza al sovrano in maniera incondizionata; deve rispettare le norme (tipicamente consuetudinarie) del codice d’onore cavalleresco, una sorta di parallelo del Bushido adottato dai Samurai; in epoca più tarda dovrà rispettare anche tutti i precetti ecclesiastici. Insomma, se l’eroe primigenio al più può rappresentare il popolo in una posizione in ogni modo di superiorità, il cavaliere è calato in una vera e propria casta, dotata di particolari caratteristiche e regole precise che devono essere rispettate per farvi parte. È indubbio che il cavaliere finì per rappresentare nell’immaginario popolare la figura di riferimento. Vuoi per motivi tattici, vuoi per motivi religiosi, il cavaliere è stato il simbolo di
un grande tratto di storia, ed è stato inevitabile che la letteratura lo abbia posto come proprio principale referente. Questo, ovviamente, non perché gli autori fossero anche a quel tempo attenti alle logiche di mercato, ma perché erano in ogni caso appartenenti al popolo; se per il popolo il cavaliere divenne un emblema della propria epoca, va da sé che ciò doveva valere anche per l’autore (anche se sarebbe più preciso parlare, relativamente alle opere più antiche, di coralità nella produzione). La grande epopea cavalleresca che si va ad esaminare più nel dettaglio, quindi, è a mio parere fondata su questa sostanziale “sovrapposizione di concetti”, operazione dal sapore tipicamente antropologico. Non c’è opezra che si andrà ad analizzare a farne difetto: dall’antico Beowulf al Don Chisciotte, dalle rudezze della chanson de geste carolingia all’introspezione dell’opera di Chrétien de Troyes, tutte paiono fondate su questo particolare elemento che funge da filo conduttore.
Cavalieri e letteratura tra guerra e mito. Origini storiche e ideologiche
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e origini di una letteratura che sceglie di porre come centro ideologico la figura del cavaliere si devono far risalire, per forza di cose, a mentalità guerresche intrise di concetti similari all’aristeia omerica. È in esse, infatti, che si forma la figura di un individuo dotato di virtù fisiche fuori del comune, mediante le quali compiere imprese mirabili e destinate ad essere tramandate dalla storia. Tra il IV e il V d.C. c’era un Impero Romano oramai agonizzante e ben lontano dai fasti di cui si ammantava secoli prima, mentre ai confini settentrionali la rudezza e la voglia di rivincita delle genti nordiche esplodevano sotto il peso delle innumerevoli vessazioni operate dalla pubblica amministrazione statale. L’incontro tra questi due mondi completamente opposti fornisce il substrato del grande
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filone epico-cavalleresco medievale, se non nella materia, quantomeno nello spirito che lo anima. Inizialmente, ci fu una produzione di brevi canzoni eroiche la cui definitiva riorganizzazione si deve ad epoche successive. Ciò è evidente, ad esempio, per quanto concerne la stesura del “Canto dei Nibelunghi”, databile al 1200 ma comprendente personaggi (Attila, Teodorico) e avvenimenti propri di vari secoli prima. In genere i poemi che si considerano “tradizionalmente” germanici, antesignani del poema cavalleresco medievale, sono anonimi; opera della collettività, nei quali la guerra è sentita come elemento fondamentale dell’esistenza di un individuo, e il cantarne le gesta è motivo di fierezza e orgoglio.
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Le tre fonti primigenie
tre poemi che a buon diritto possono essere ritenuti “fonti ideali” del genere eroico cavalleresco sono il Beowulf, il Canto dei Nibelunghi, l’Edda poetica, conosciuta anche come Edda antica. Considerando ispirazione e contenuto, il più vicino al mondo germanico è l’Edda poetica, un insieme di canti norreni composti all’incirca tra l’800 e il 1200 e tramandati alla maniera della poesia omerica, il cui primo manoscritto fu ritrovato solo nel 1643. Tale corpus può essere considerato l’opera più vasta e significativa dell’antica stirpe germanica, espressione del modo di intendere la vita e le tradizioni eroiche dei popoli scandinavi. Ad interessarci, sul versante dell’eziologia cavalleresca, sono soprattutto i cosiddetti “carmi eroici”, incentrati su personaggi che concettualmente precorrono il moderno cavaliere: ci riferiamo al “ciclo di Sigurdh” e a quello dedicato all’eroe Helgi. Sigurdh è l’eroe per eccellenza dell’epica nordica: forte, leale, generoso, di origine franca. Le sue gesta saranno riprese nel successivo poema Il Canto dei Nibelunghi; tra tutte, spicca quella che lo vede contrapposto al drago Fàfnir, in aiuto dell’amico nano Regin, che si rivelerà essere un traditore. È necessario, a questo punto, considerare un par-
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ticolare elemento che tende a smorzare i contorni barbari e “guerrafondai” che possono assumere alcuni componimenti in questo periodo: la sempre più massiccia penetrazione del Cristianesimo nelle terre del Nord. Se si può tranquillamente affermare che l’Edda racchiude i poemi più genuini perché meno avvolti dai precetti religiosi, il resto risente, quantomeno in parte, di tale predicazione. Nel Canto dei Nibelunghi, considerato il poema nazionale tedesco, si registra una prima presenza di valori cristiani, seppur a livello superficiale e formale: le chiese, le cattedrali, le messe celebrate sembrano elementi estranei alla mentalità dei personaggi, i quali assumono una visione del tutto pagana della vita. Sono ancora primitivi e violenti: non si preoccupano che della guerra, la legge che li governa è la vendetta. Tuttavia, ci sono alcuni personaggi in cui si iniziano ad intravedere accenni della futura “cortesia”: ad esempio il più forte e valoroso dei guerrieri Burgundi, Hagen, è il simbolo della più devota fedeltà al signore di cui è vassallo. Pur essendo cronologicamente più antico del Canto dei Nibelunghi, il Beowulf (VIII secolo d.C.) è il poema più impregnato di principi ideologici cristiani. Ciò è presto spiegato se si accetta la tesi secondo la quale il suo creatore fu un britanno convertitosi ai principi cristiani, ma ancora legato ai valori pagani, di cui il poema vorrebbe essere un’eco. Esso offre una sintesi abbastanza indicativa dei costumi dell’antico mondo germanico, ma la grande distanza con gli altri poemi citati risiede nel fatto di illustrare un’umanità già cosciente degli alti ideali di dovere e fedeltà alla patria. In tal senso va letta l’esaltazione del principe goto Beowulf, eroe germanico ideale che unisce la generosità al coraggio, il rispetto e l’amore per la patria allo sprezzo del pericolo. Nella lotta non dà sfogo ad un cieco furore guerriero, ma affronta i pericoli con la coscienza di un sovrano che sente il dovere di proteggere i suoi sudditi. L’eroe inizia ad avere in sé qualcosa che lo avvicina al “paladino” medievale della letteratura cavalleresca successiva.
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violenza, dopo il Mille si ritenne necessario normalizzare tale condizione. La Chiesa stessa, intimorita dalle continue scorribande di questi guerrieri, spinse verso l’instaurazione di un’etica cavalleresca ispirata al servizio in difesa della religione e dei poveri; è da questa base che nacque la figura del cavaliere crociato, contrapposto a quello saraceno, dicotomia che tanta fortuna avrà nell’epica cavalleresca rinascimentale. La riduzione delle occasioni di guerra, tuttavia, causò un’ulteriore trasformazione di tale classe, spingendo molti cavalieri a riversarsi nelle corti dei grandi signori per ottenerne in cambio sicurezza economica e posizione sociale. È in questo modo che “dall’etica feudale basata sul vassallaggio si passò ad una fondata sulla cortesia” secondo lo
Primo folio e frammento del “Beowulf” in un manoscritto del IX secolo, British Museum, Londra.
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Evoluzione in Europa
n altre zone d’Europa, più precisamente nell’area continentale meridionale, la materia cavalleresca contenuta in nuce nei poemi nordici si sviluppò e dispiegò in maniera più ampia, data anche la maggior importanza assunta dal feudalesimo prima e dal particolarismo cortigiano poi. Tra il XII e il XIII secolo, infatti, la figura del cavaliere è altamente prestigiosa nell’immaginario letterario e artistico. Se, all’epoca della Chanson de Rolande, il cavaliere era ancora uno strumento dei grandi signori, bisognosi di armati disposti a commettere ogni genere di
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studioso tedesco KOHLER, il tenza letterario è la Chanson de quale inoltre mette in evidenza Rolande, risalente all’XI secolo, che “l’origine sociale cortese è al centro della quale si staglia basata su un preciso valore sula lotta tra Cristiani e Saraceni: premo, rappresentato non più per certi versi s’intravedono le dalla guerra ma dall’amore; il linee fondamentali del grande riconoscimento del proprio vapoema cavalleresco ferrarese, il lore non è più dato solamente quale immensa fortuna riscuoteed esclusivamente dal possesso rà nel Rinascimento cortigiano. della terra, ma anche dalle virtù Le chanson de geste, tra le quali personali e dalla nobiltà d’anisi fa rientrare anche la già citata mo. La stessa cortesia divenne Chanson de Rolande, sono marben presto una barriera sociale, cate da due elementi fortemencon la quale l’aristocrazia intete caratterizzanti: innanzi tutto, se difendersi dalla minacciosa sono imbevute di una fortissima ascesa della società urbana e epicità, giacché narrano il grancomunale”. de scontro di civiltà e di fede tra Questa cultura laica e mondaOriente e Occidente; in secondo na, però, mal si conciliò con l’inluogo sono estremamente attuavestitura religiosa ottenuta dai li rispetto al loro tempo, fiorencavalieri, e le conseguenti condo nel pieno delle Crociate e traddizioni tra amore e religione delle lotte antimusulmane. In Frammento 42 del manoscritto non tardarono a sopraggiungeparticolare, per quanto concerdella Chanson de Rolande. re. Si affermò così la tendenza a ne la Chanson de Rolande, nel coniugare la componente cortese sovrano Carlo Magno è riposto ad un’impostazione mistica, come dimostrano alcu- l’ideale dell’impero per il quale la virtù cavallereni romanzi di CHRÈTIEN DE TROYES; ciò non può che sca (e quindi il cavaliere) funge da braccio armato, essere interpretato come il declino della funzione seppur al servizio della religione. All’indomani delstorica del cavaliere. l’assedio musulmano di Costantinopoli, infatti, era La grande distanza tra cavaliere-guerriero e ca- logico che un poema eroico dividesse nettamente i valiere-cortese è mantenuta dalla duplice riparti- Franchi, i campioni della cristianità, da quei granzione della materia eroico-cavalleresca, la quale fu di idolatri che dovevano apparire i Saraceni. In tal tramandata attraverso due diverse tradizioni, l’una modo, l’epica cavalleresca francese, quantomeno distinta dall’altra: da un lato ci fu il filone epico-ca- quella delle origini, esaudisce prima di tutto i valori rolingio, dall’altro quello romanzesco-arturiano. religiosi e morali che costituiscono il tessuto connettivo degli altri valori eroici e nazionali in ogni caso sottesi. 1) Filone Epico-Carolingio. Come detto, il testo di riferimento di tale inlimiti temporali di tale tradizione vanno all’in- dirizzo è la Chanson de Rolande, conservata da un circa dal 1080 al 1270 ed è evidente il legame manoscritto di Oxford anteriore al 1080: il valore indissolubile di tale tradizione alla figura di CARLO di cui gode all’interno del filone epico-carolingio MAGNO; pertanto il contenuto è definito dagli stu- le è derivato dall’essere l’esempio più tipico della diosi anche “materia di Francia”. Il punto di par- letteratura cavalleresca in lingua d’oil, un poemet-
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Cavalleria e Letteratura to cantato da un jongleur (ioculator) e narrante la 2) Filone Romazesco-Arturiano. geste (storia leggendaria) di un eroe. L’argomento della Chanson abbellisce con l’alone della leggeniù avanti nel tempo, pur rispettando il modello da un fatto storico: il massacro della retroguardia formale della chanson de geste, si delinea l’indell’esercito carolingio (guerra di Spagna, 778) troduzione di un contenuto oramai romanzesco; ofcompiuto dai Saraceni al passo di Roncisvalle (Pi- fuscatasi la visione eroica del passato, infatti, prenrenei). de corpo la voglia di allargare il mondo conosciuto Il legame con la letteratura nordica precedente- anche nella direzione del fantastico. È in tal modo mente esaminata è evidente, essendo presente l’an- che prende corpo il secondo grande filone della lettica idea di “eroe” trasfigurata nel “cavaliere”, la teratura cavalleresca, quello romanzesco arturiano. figura divenuta ormai di riferimento per l’epoca; di Alla base vi è l’interesse per le tradizioni e i miti più, la predilezione dei popoli germanici per i fat- celtici, il quale si sviluppò quando i Normanni, inti luttuosi, intesa quale vera misura della grandez- torno al 913, ottennero la sovranità sulle Bretagne e za umana, riappare anche in questo componimen- nel 1066 conquistarono l’Inghilterra; con la lingua to: quello che fu un semplice episodio nel corso di d’oil furono gli unificatori di tutto quanto presentauna campagna militare è, per il suo va il misterioso fascino della poesia esito, elevato a simbolo del valore celtica. nazionale e del sacrificio per la fede I primi accenni alla materia brecristiana. Sono, questi, valori tipici tone si trovano nell’opera di WACE ed esemplari del cavaliere. (1110 - 1175), canonico nativo delLa fine di Orlando, il perfetto l’isola di Jersey, che rimaneggiò la modello di cavaliere, è narrata con Historia Britonum di GOFFREDO DI lenta ampiezza, per accentuare gli MONMOUTH: proprio in tale opera si effetti patetici e portare ad esempio ha la prima menzione della Tavola le sue virtù: è singolare come muoia Rotonda e un accenno preciso alla non in battaglia ma per la troppa credenza del ritorno di Artù dall’isoviolenza con cui suona l’Olifante, il la fatata di Avalon. Tale piacevole dicorno magico con il quale aveva riversivo alle chanson de geste trovò cevuto l’incarico di richiamare l’atcompimento quando dal sud giunse tenzione delle truppe di Carlo Mail soffio della poesia trovadorica, gno, affinché intervenissero. con la fusione di fantasia celtica, Ci si rende perfettamente conto idealità cavalleresche e misticismo come sia ingiusto accostare le gecristiano. La figura più rappresentaste alle ricche opere omeriche, dal tiva di tale indirizzo è CHRÈTIEN DE cui confronto le prime uscirebbero TROYES. Egli fu probabilmente oriperdenti su tutti i fronti; il trascorginario della Champagne e compì rere degli anni del basso Medioevo la sua attività per molti anni presso non è un evento da sottovalutare. la corte di Maria di Champagne, Ogni prodotto umano è figlio di figlia di Luigi VII di Francia, la Albrecht Dürer, “Imperatore una fattispecie unica e irripetiquale amava essere circondata Carlomagno”, bile nel tempo, dotata di proprie da poeti e letterati. Egli scrisse c. 1512, olio, Germanisches caratteristiche costitutive che ne cinque romanzi cavallereschi di Nationalmuseum, Nuremberg. determinano l’identità. materia bretone, tra il 1160 e il
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nel quale si delinea un particolare tipo di cavaliere. Paersifal, infatti, mostra fin da subito un’impronta anti-erotica, quasi ascetica, che doveva logicamente trovare compimento nel misticismo del Graal, assecondando una tematica già apparsa nei Mabinogion. In seguito, tuttavia, anche Paersifal cadde in qualche piccolo peccato, e la scena di “cavaliere della fede” gli fu rubata da Galahad, figlio illegittimo di Lancillotto, cavaliere vergine ed esempio di castità assoluta. Egli rappresenta il punto estremo dell’evoluzione della figura cavalleresca in senso misticoascetico Ludovico Ariosto, “Orlando Furioso”, Venice: Vicenzo Valgrisi, 1562, Collezione Rosenwald. 1190, incentrati su due argomenti: l’amore e l’avventura. Da questi elementi ben s�intuisce come la figura del cavaliere non sia più quella del guerriero teso alla battaglia e al valore, ma sia caratterizzata da una propria singolare sensibilità; si assiste, cioè, al mutamento dal binomio cavaliere-guerra a quello cavaliere-corte. La differenza fondamentale con i modelli precedenti, soprattutto con l’epica carolingia, risiede nell’accezione più intimistica che tali componimenti rivelano: non è più l’orda di cavalieri ad entrare in scena, ma uno solo impegnato in una ricerca (quete) e in numerose peripezie e prove di audacia che dovrà superare per ottenere ciò che desidera e insieme scovare la sua vera identità. Idealmente, questo tipo di romanzo traccia la formazione dell’aristocrazia feudale. Tale formazione può avere un’accentuazione più religiosa e misticheggiante, come nel Perceval,
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Ricezione in Italia
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a diffusione in Italia del genere cavalleresco avvenne soprattutto tramite i corridoi commerciali della Pianura Padana, ma un forte contributo lo diede anche l’ambiente culturale toscano del Trecento grazie ai romanzi di ANDREA DA BARBERINO, con il quale s’inaugurò la tendenza alla contaminazione: non si può parlare, infatti, di produzione romanzesca a pieno titolo, ma di adattamento della materia romanzesca alla forma della chanson carolingia. Vengono a mancare i caratteri e i valori propri dell’epica (la guerra santa, il senso della collettività) mentre è ben presente la materia avventurosa. Quando la letteratura cortese penetrò in Italia, si legò strettamente alla nascente civiltà comunale, perdendo gran parte delle sue virtù più nobili. Il Luperini non manca di osservare che “ben presto, la cortesia, quel particolare valore che caratterizzava la società e la cultura cavalleresca e feudale, divenne un vezzo e quasi una moda nella società
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Cavalleria e Letteratura comunale italiana, soprattutto nell’Italia setten- e nostalgia. Egli tentò di rifarsi a modelli di vita trionale e centrale”. Il titolo di cavaliere era estre- trovadorici e cavallereschi adottando il blazer, una mamente ambito, anche se la dignità cavalleresca linea letteraria provenzale destinata a rievocare una situazione piacevole: non si tratta quindi di un semcomunale era una semplice distinzione sociale. plice recupero letterario o Per quanto riguarriferimento retorico. da il periodo a cavallo tra Nel sonetto Di GenDuecento e Trecento, è nenaio, ad esempio, rievoca cessario ricordare innanzi un mondo irreale di piaceri tutto l’esperienza letteraria senza ombre, incentrato su di FOLGORE DA S.GIMIGNANO. di una corte che avvolge la Il suo vero nome era IACOPO “brigata franca” tra le sue DI MICHELE, soprannominato mura e la difenda dai gelidi “Folgore” relativamente alle venti invernali, stuzzicandosue capacità poetiche. Egli la con sfrenati giochi sulla visse tra il 1270 e il 1332, ai neve con le damigelle del primordi della letteratura itapalazzo. liana in volgare, ma ciò che La forte componente di più ci interessa di lui è che realismo presente nell’opera fu nominato cavaliere. Egli di Folgore si spiega con la può rappresentare, quindi, volontà dell’autore di fissare una voce degna di stima ritutto ciò che per egli ha un guardo al modo in cui le virqualche valore nella memotù cavalleresche erano perria. cepite in quel determinato Egli evidentemente parperiodo. tecipa dell’esperienza delSiamo oramai in età cola poesia “comica”, per il munale, e manca poco allo carattere laico e mondano, sboccio della novellistica per la rappresentazione delboccaccesca modellata sul la quotidianità; tuttavia, le nuovo ceto emergente della motivazioni che sottendono borghesia mercantile, “emla sua arte lo distinguono blematizzata” dalla figura nettamente dal riso sguaiato di Andreuccio da Perugia. È Martin Wiegand, “Parzifal”, 1934, olio e giullaresco di CECCO ANevidente come i valori della su tela, Londra. GIOLIERI e dei suoi seguaci, i furbizia, dell’intraprendenmassimi rappresentanti della za, del gusto del risparmio contrastino con quelli cortesi e cavallereschi: è in poesia “comica” in volgare. Per contrasto, bisogna accennare alla figura tale contesto che si deve inserire l’opera di Folgore da S.Gimignano e l’idem sentire verso la figura del di BRUNETTO LATINI. Egli visse in un arco di temcavaliere. Nei suoi versi si respira una forte mitizza- po compreso all’incirca tra il 1220 e il 1294, e per zione di valori oramai in declino e quasi scomparsi vario tempo risedette in Francia, poiché la fazione nella società, quali la liberalità e generosità signo- guelfa cui egli apparteneva era stata esiliata da Firile, causata proprio da tale sentimento di perdita renze dopo la battaglia di Montaperti.
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invita a non riporre fiducia nel potere personale ma nelle leggi del Comune. La base del romanzo cavalleresco, quindi, è sfruttata per formare ed educare la nuova borghesia comunale.
Ridimensionamento “sostanziale” e nascita di un mito.
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el Cinquecento l’età d’oro della cavalleria inizia a tramontare. L’avanzare incessante della tecnologia, da cui discende l’estrema importanza sul campo di battaglia di archibugieri e artiglieria, minò sempre più alla base l’efficace utilizzo del cavaliere. Poter colpire e neutralizzare un nemico a distanza, senza nemmeno doversi avvicinare per ingaggiare un duello, comportava ovviamente una drastica diminuzione di perdite. Con ciò, però, veniva a macchiarsi e addirittura annullarsi il vecchio codice d’onore guerresco, dato che l’esito della guerra non era più frutto della prodezza dei combattenti, né fonte di prestigio personale: da ciò deriva la condanna delle armi da fuoco di due degli autori più grandi che si sono occupati di materia cavalleresca, ARIOSTO e CERVANTES. Paradossalmente, però, ad una perdita d’importanza “sostanziale”, in epoca rinascimentale e postChrétien de Troyes, “Le Chevalier de la rinascimentale si assiste ad uno sfrenato interesse e Charrette” (Lancillotto), ca. 1295, recupero della figura del cavaliere. Oltre ai grandi Princeton University Library . autori, dei quali quelli sopra citati possono essere un Immagine: http://www.princeton.edu/main/ esempio significativo, anche quelli minori o in ogni caso meno conosciuti si cimentano in opere che preIl nucleo ideologico più interessante è la media- sentano nel loro nucleo tematico la figura del cavazione che attua in una sua opera, Il Tesoretto, tra liere. Per tutti, valga l’Amadigi di Gaula, comparso rievocazione delle virtù cavalleresche e nuovi para- per la prima volta a Saragozza nel 1508. Il cavaliere diviene un’immagine di potere e divertimento spetmetri ideologici della borghesia comunale. tacolare che evoca valori di cortesia e prodezza. Egli predilige uno schema allegorico basato su Se da un lato, quindi, il mito dell’eroe a cavallo un viaggio a carattere autobiografico (l’eco di Dante rimbomba) in cui le quattro virtù cavalleresche, veniva sgretolandosi sotto i colpi della modernità cioè Cortesia, Leanza (lealtà), Prodezza (coraggio) e dell’innovazione tecnologica, d’altra parte contie Larghezza (generosità), rivolgono i loro precetti nuava ad agire immutato nell’immaginario di miad un cavaliere. Ovviamente, si respingono i loro gliaia di nobili, funzionari, intellettuali. significati feudali, per cui ad esempio la Prodezza
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Cavalleria e Letteratura L’immaginario italiano nel Rinascimento maturo
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a figura ideale del cavaliere, in epoca rinascimentale, appare legata non più al motivo guerresco ma all’ambiente cortese. A riprova di ciò basti considerare che in Italia il mito cavalleresco fu rilanciato inizialmente da BOIARDO, immerso nella corte estense di Ferrara, e non già da un intellettuale come PULCI, operante in un ambiente prettamente borghese, quale quello fiorentino. Il cavaliere, in questo frangente, diviene colui che insegue l’amore per una dama; in tal modo si dà adito al recupero, nella letteratura cavalleresca, di uno dei generi caratteristici della cultura cortese: la lirica d’amore. Nell’Orlando Innamorato, è il cavaliere omonimo a dichiarare che le armi sono il “primo onore” di un cavaliere ma un ruolo fondamentale nella formazione lo hanno anche le “lettere”; il cavaliere condivide quindi i valori del mondo cortigiano. Nell’opera di Ariosto, poi, i duelli si risolvono in spettacolo e intrattenimento per i lettori, annullando ogni valore militare alla scena. Ma d’altra parte, non sono da escludere riferimenti polemici con la vita di corte. Sempre ArioMatteo Maria Boiardo, “Orlando sto, ad esempio, rappresenta due mori (e quindi Innamorato” edizione aggiornata da Francesco infedeli), Cloridano e Medoro, animati da una ferBerni. Immagine: www.library.nd.edu rea devozione verso il loro signore e da un eroismo che i cortigiani, ipocriti e opportunisti, ignorano. La figura letteraria del cavaliere, dunque, agisce alimentato dagli stessi Estensi che avevano allestito come mito, esempio morale e atto d’accusa verso la una delle biblioteche più fornite di romanzi francesi e poemi franco-veneti. Ciò denota l’adozione di una società contemporanea. precisa politica culturale, in cui l’esaltazione della cortesia e della nobiltà doveva avvenire tramite le Tradizione cavalleresca ferrarese. avventure cavalleresche; e, di più, si pensava che a corte estense di Ferrara, una delle più alte e ciò potesse favorire l’instaurazione di ottimi rapconcrete realtà del mondo feudale padano, era porti tra il duca Ercole I e la piccola nobiltà feudale luogo strategico e culturale di estrema importanza; da cui era circondato. Da ciò deriva un gusto cavalleresco cortigiano una gemma incastonata tra gli Stati di Milano, Venezia e Mantova a Nord e quello fiorentino a Sud. fine e raffinato, l’ambiente ideale per le opere di Oltre a ciò, Ferrara fu anche un solidissimo punto di Boiardo e Ariosto. riferimento per la tradizione cavalleresca, carattere
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Matteo Maria Boiardo (1441 - 1494) Conosciuto dai più per la stesura del poema Orlando Innamorato, in qualche modo precursore del “Furioso” ariostesco, Boiardo apparteneva alla piccola nobiltà feudale, essendo conte dell’esiguo territorio di Scandiano. Il poema vide la luce all’inizio del soggiorno ferrarese, sotto la spinta decisiva dello stesso duca Ercole d’Este, ma restò poi monco in seguito alla scesa di Carlo VII in Italia, latore del grande periodo di decadenza della penisola. Boiardo operò una contaminazione tra materia carolingia e componenti arturiane, conformemente al gusto di una corte come quella di Ferrara. È ovvia l’influenza della letteratura epica francese e dei cantari, anche se egli stesso dichiarò più volte di rifarsi ad un libro di TURPINO, un vescovo cui si attribuiva una Vita di Carlo Magno; sembra, però, dal tono scherzoso, che ciò valesse solo ad allargare i confini fiabeschi della narrazione. La maggior parte dei critici è concorde nel ritenere che la poetica boiardesca si fondi sulla superiorità del mondo cavalleresco bretone rispetto all’universo carolingio, dal che deriva l’accentuazione per il tema amoroso (presente fin dal titolo), sulla nostalgia del mondo cavalleresco di cui alcuni valori si ritengono ancora ben presenti, sul motivo encomiastico, che nella narrativa in ottave segnò il passaggio definitivo al poema cavalleresco d’impronta umanistico cortigiana. Una precisa esemplificazione dell’idea che Boiardo, e l’intero ambiente culturale di cui è permeata la sua opera, dovessero avere della figura del cavaliere, si ritrova nel canto XVIII del primo libro, più precisamente tra le ottave 37 e 55. Nel bel mezzo di uno dei tantissimi duelli di cui è costellato il poema, Orlando e Agricane, re di Tartaria, vengono sorpresi dalla notte incombente. È a questo punto che, “come fosse tra loro antica pace”, decidono d’interrompere lo scontro; si sdraiano su un prato e danno corso ad una civilissima conversazione. Oggetto di tale discussione è quale sia l’educazione migliore, quella interamente dedicata alle
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Tiziano, “Ritratto di uomo” (Ariosto), 1508, olio su tela, National Gallery, Londra. armi (come è per Agricane, per il quale vale il detto “tanto saccio quanto mi conviene”), oppure quella che riesce a mediare tra quest’ultima e i valori della cultura (perché “…l’arme son de l’omo il primo onore… ma il saper lo adorna come un prato il fiore…”). A differenza dei paladini carolingi, infatti, i cavalieri rinascimentali uniscono al valore militare l’interesse per i valori della cultura e dell’amore. Boiardo, se da un lato chiude definitivamente e per sempre l’esperienza del romanzo cavalleresco medievale, dall’altro apre la strada ad un modello di poema cavalleresco che troverà la sua punta di diamante nell’opera di Ariosto Ludovico Ariosto (1474 - 1533) In Ariosto si è spesso individuata la rappresentazione più emblematica e riuscita dello spirito ri-
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Cavalleria e Letteratura nascimentale, visto come momento di equilibrio e di armonia. A differenza dei più grandi poeti della letteratura precedente, dalle grandiose esperienze di vita (Dante, Petrarca), la figura di Ariosto sembra piuttosto comune e lontana da pose letterarie e autocelebrative. Egli non ha illusioni circa il potere e il prestigio dell’intellettuale, ridotti ormai al lumicino in quanto assorbiti dalla civiltà delle corti. Il suo capolavoro, universalmente riconosciuto, è l’Orlando Furioso”, ideale continuazione dell’opera boiardesca. Ariosto si adeguò alla strutturazione in ottave, tendenza inaugurata dal suo predecessore, ma i motivi sottesi vanno sicuramente più in là del semplice intrattenimento. Il poema, infatti, segue tre linee fondamentali: la guerra tra cristiani e saraceni, l’amore del paladino cristiano Orlando per la bella e spietata Angelica, il motivo encomiastico sotteso dall’amore tra Ruggiero (mitico capostipite degli Estensi) e Bradamante. È indicativo dell’ideologia ariostesca il fallimento di tutte le ricerche e i desideri dei protagonisti: la complessità del reale e le sue multiformi apparizioni possono essere contrastate, pur se solo parzialmente, solo con la serenità e il distacco. Insomma, se il Furioso si ricollega ai valori cortigiani-cavallereschi, tuttavia esprime la presa di coscienza di una crisi incontrovertibile, di una rottura dell’equilibrio. È proprio essa che spinge Ariosto a rappresentare i suoi cavalieri come individui protesi al raggiungimento del loro massimo utile, ben lontani da quegli alti valori presenti nelle opere precedenti: per il Furioso si potrebbe a ragione parlare di umorismo nei confronti del cavaliere. Fin dal primo canto, infatti, la guerra santa ricopre uno spazio veramente marginale. I cavalieri, distogliendosi dalla battaglia, vengono meno al loro dovere: proprio in questo senso si intravede la rappresentazione di un “realistico individualismo cortigiano” (Luperini). La guerra tra fedeli e infedeli, l’essere “di fè diversi” non ha alcuna importanza nel poema ariostesco, come dimostra l’accordo tra Rinaldo e Ferraù. Non contano più le grandi opposizioni dell’epica carolingia, ma la comune appar-
tenenza a una casta feudale, quella dei cavalieri; la condivisione del codice di comportamento cavalleresco assume un valore specifico. L’accordo tra esponenti di fedi ed eserciti diversi, insomma, vale come modello per il ceto cortigiano cinquecentesco.
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Tradizione cavalleresca fiorentina
a grande differenza che intercorreva tra l’ambiente fiorentino e quello ferrarese risiedeva fondamentalmente in quella che, in termini odierni, è definibile forma di Stato. A Ferrara era presente una stabile e solida corte, sostenuta dal potere degli Estensi; a Firenze, invece, vigeva una tradizione fortemente borghese, basata sul Comune prima e sulla Signoria medicea poi. Questo elemento è fondamentale per capire l’ottica in cui è visto il cavaliere in questo importante centro culturale italiano. Il pioniere del gusto cavalleresco fu ANTONIO PUCCI (1310 - 1388), il quale aveva contaminato il cantare medievale con un gusto fiabesco, onde renderlo adatto alle esigenze di intrattenimento del pubblico borghese. Questa prima esperienza, tuttavia, pare ancora molto simile al destino che il cantare ebbe nel contesto culturale cortese padano. La radicale trasformazione del cantare in poema cavalleresco si legò all’instaurazione della Signoria medicea, e fu opera soprattutto di LUIGI PULCI (1461 - 1484). Fu egli un autore abbastanza affermato all’interno della casata dei Medici, benvoluto soprattutto dalla madre di Lorenzo, Lucrezia Tornabuoni. La rivoluzione che Pulci portò all’interno del genere cavalleresco fu assoluta rispetto al passato, alla tradizione carolingia: la sua opera si dipinse di tratti spiccatamente comici e parodici, in modo da risultare adeguata all’intrattenimento della brigata medicea. L’opera di cui si parla è il Morgante, il cui titolo si è imposto in conseguenza dell’immenso gradimento popolare per il gigante omonimo, anche se va incontro alla morte appena nel XX canto. Il vero protagonista è Orlando (è chiara qui una ripresa formale della materia carolingia), il quale nel
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liberare un’abbazia uccide due giganti mentre il terzo, Morgante appunto, convertitosi alla religione cristiana, diviene il suo scudiero. La matrice comica si rinviene in svariati elementi: ad esempio, nell’arma utilizzata da Morgante, un batacchio prelevato da una campana; nella morte di Margutte, un mezzo gigante che accompagna Morgante, causata dal troppo ridere nel vedere una scimmia infilarsi i suoi stivali; nella morte dello stesso Morgante, ucciso dal morso di un semplice granchietto. Pur risentendo la narrazione di un andamento discontinuo, sorretto da miracoli ed avvenimenti magici, l’importanza di quest’opera risiede nell’aver portato alle estreme conseguenze i tratti umoristici contenuti in nuce nell’opera ariostesca ed essersi posta come il principale referente per successive opere le quali guardano alla figura del cavaliere nella medesima direzione: basti pensare al Baldus di FOLENGO, o i successivi Gargantua e Pantagruele di
RABELAIS e il Don Chisciotte di CERVANTES. L’epica carolingia, infatti, in questi poemi fu illuminata nei suoi termini più bassi e grezzi, propri della prospettiva borghese. L’intento parodico non fu organicamente ricercato, piuttosto è da notare la rilevanza di ironia e simpatia che si alternano verso il mondo cavalleresco. La comicità è prodotta, in questo periodo, dalla deviazione dalla normalità, dal gusto per l’eccessivo e l’iperbolico, piuttosto che da una polemica verso il mondo cavalleresco. Un mutamento fondamentale, diretto in tal senso, è da ricercare nella scelta dei personaggi: il gigante occupa il posto dell’orco rinascimentale, con un deciso cambio di segno assiologico. Se l’orco era destinato ad essere sconfitto dal cavaliere-eroe, il gigante è protagonista di una nuova epopea, quasi una parodia dell’avventura cavalleresca. L’eredità di Pulci fu raccolta da TEOFILO FOLENGO (1491 - 1544), autore mantovano, abbastanza conosciuto ma artisticamente ben lontano dal suo illustre predecessore latino. Nel Baldus egli focalizzò la narrazione attorno ad un mondo rusticano abbastanza realistico, a cui assimilò gli aspetti carnevaleschi della cultura popolare; nello stesso tempo, tale mondo dominato dalla violenza e dall’eccesso, è contrapposto a situazioni tradizionali dell’epica classica, continuamente accennate. A riprova di ciò, basti considerare che il cavaliere Baldus è accompagnato dal gigante Cingar (modellato sul Morgante di Pulci) e da un essere mezzo uomo e mezzo cane. Con la fusione di epico e burlesco, insomma, Folengo tentò di costituire un anti-modello rispetto all’impianto classicheggiante del modello ariostesco.
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Miquel de Cervantes.
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Il cavaliere della Controriforma
n parziale ritorno all’ordine fu dovuto all’atmosfera di rigida austerità che scaturì dal Concilio di Trento (1545 - 1563). L’affermazione della riforma luterana e le frequenti accuse contro la corruzione della Chiesa avevano indotto questo
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Cavalleria e Letteratura immenso riordino, sul piano sia organizzativo sia dottrinale. La Chiesa tentò, spesso di comune accordo con il potere politico, di attuare un’organizzazione capillare atta a controllare ideologicamente il popolo, uniformarlo e omogeneizzarlo secondo non solo regole e dottrine, ma soprattutto modelli di vita e condotta. Nelle alte sfere del potere ecclesiastico si sentiva, infatti, la forte necessità di offrire modelli di comportamento che fossero ben riconoscibili nella vita di ogni giorno, tali da assumere il valore di riferimenti religiosi capaci di sostituire la vecchia visione pagana del mondo. Considerando tutto ciò, ben si può intuire come la locuzione “cavaliere della fede” sia la più appropriata per descrivere la rappresentazione che di tale figura propone TASSO. Il grande poeta sorrentino (1544 - 1595) sviluppa la sua opera più rappresentativa e conosciuta, la Gerusalemme Liberata, all’interno dei rapporti che per vario tempo lo legarono alla corte estense di Ferrara. Argomento del poema è la prima crociata, bandita da Urbano II nel 1095 e conclusasi nel 1099 sotto la guida militare di Goffredo di Buglione. Il successo dell’esercito cristiano aveva permesso ai crociati di espugnare Gerusalemme e riconquistare il Santo Sepolcro ma, al di là del semplice fatto storico, ad ogni personaggio Tasso dona una caratteristica tale da rappresentare un modello, positivo o negativo, nei contorni della politica culturale attuata dalla Chiesa per mezzo dei gesuiti. Goffredo di Buglione, ad esempio, è l’emblema più calzante del guerriero santo secondo l’etica controriformistica. Ma l’uomo della controriforma che non ha dimenticato e rimpiange i vecchi valori laici e mondani è rappresentato da tutti gli altri cavalieri: in loro c’è la continua scissione tra la ricerca di un piacere individuale e il dovere di obbedire ad un ordine collettivo. Il cavaliere della fede è il totale capovolgimento, ideologico e assiologico, del cavaliere cortigiano di Ariosto. A Rinaldo, ritenuto fondatore della casa d’Este, si collega l’intento encomiastico; è un personaggio
Honoré Daumier, “Don Chisciotte e Ronzinante”, olio su tela, Neue Pinakothek, Monaco di Baviera. più strettamente legato alla tradizione cavalleresca e cortese. La fonte di minaccia morale è rappresentata dal desiderio di onore e gloria, capace di fuorviarlo dagli obiettivi religiosi della guerra. Tancredi, pur essendo un guerriero cristiano, è l’antitesi di Rinaldo; suggestionato dalla propria interiorità malinconica e stregato dall’amore per la bella guerriera pagana Clorinda, subisce l’influsso di tali sentimenti fino all’autodistruzione, causando inconsapevolmente la morte in un duello proprio
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la presenza del meraviglioso. Esso non è più inteso come elemento totalmente inverosimile, alla maniera rinascimentale, bensì come manifestazione delle forze celesti e infernali, simbolo dunque della lotta tra bene e male. Il racconto si ammanta così di un significato religioso. Un esempio può essere il seguente: mentre l’esercito attende in Libano la fine dell’inverno, appare a Goffredo l’arcangelo Gabriele che lo esorta ad assumere il comando delle truppe e a sferrare l’attacco determinante a Gerusalemme. I cristiani, dopo aver ascoltato la narrazione del sogno, accettano di eleggere Goffredo loro capo. A conclusione, mi pare utile citare un ampio brano del Luperini, il quale esamina il “Furioso” seguendo schemi concettuali prettamente psicoanalitici: “La coscienza è uno spazio in cui si annida una tensione tra forze e valori moralmente positivi ed altri connotati negativamente. È a questa zona oscura che si oppone l’eroismo dei cavalieri. E ciò vale tanto per quelli cristiani che per gli infedeli, con l’unica differenza che questi ultimi sono destinati a perdere tale lotta, essendo loro preclusa la sublimazione dei valori cristiani; è questa la profonda disperazione di cui sono portatori gli eroi infedeli. Soltanto la religione indica un itinerario di salvezza per preser“Die Seiten der Nibelungen”, antico manoscritto, vare identità ed equilibrio. Ma è l’unione di Badische Landesbibliothek Karlsruhe. eroismo e religione che può realizzare la vera Immagine: http://www.landesmuseum.de/ attribuzione di senso alle cose. Proprio la necessità di vivere in modo agonistico e tormendella sua amata. tato la vita religiosa ne costituisce il carattere I pagani paiono portatori di un’istanza ancora sofferto e tormentato. L’eroismo serve a forzare la primitiva di eroismo, legata ai principi più elemen- realtà vincendone l’insensatezza, la religiosità a tari della tradizione cavalleresca. È proprio questa entrare in contatto con le forze inquietanti della caratterizzazione umana a rendere la loro fine anco- natura senza esserne divorati: solo i due atteggiara più tragica. menti uniti garantiscono la possibilità di trovare un Oltre all’analisi dei personaggi, un ulteriore ele- valore solido ed autentico”. mento che permette d’intendere fino a che punto la cavalleria fosse posta sotto una lente “religiosa” è
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Cavalleria e Letteratura I
L’ultimo cavaliere
n Spagna la materia cavalleresca conobbe un successo almeno pari a quello riscosso nella penisola italiana, con l’unica differenza del privilegio dato alla prosa piuttosto che alla poesia. La prima stampa dell’Amadigi di Gaula di GARCIA RODRIGUEZ DE MONTALVO risale al 1508. Si tratta della storia d’amore tra il cavaliere Amadigi e Oriana, intessuta di varie peripezie, magie e incantesimi: elementi caratteristici del romanzo cavalleresco. Con tale poema, Montalvo intese celebrare una cavalleria ormai totalmente allo sbando, sulla via definitiva del tramonto: tale contesto avvolge l’opera dell’ultimo grande autore che pose al centro della narrazione un cavaliere, MIGUEL DE CERVANTES. L’aspetto della decadenza reale è qualificante del Don Chisciotte, nel quale si inserisce un processo di dissolvimento irreversibile che trova compimento agli inizi del Seicento. L’elaborazione del poema si staglia sullo sfondo della grande crisi che investì la Spagna tra il 1598 e il 1620, in quel particolare arco temporale a cavallo tra Rinascimento maturo e Barocco definito Manierismo. La vicenda narra di un povero hidalgo di provincia, di circa cinquant’anni. La sua mania, o sarebbe meglio definirla ossessione, è rappresentata dallo sfrenato interesse per i romanzi cavallereschi, divorati giorno e notte; ma con ciò egli giunge ad inaridirsi il cervello, a “perdere il giudizio”, tanto che si definisce cavaliere errante, completamente immerso nel suo mondo fantastico. Don Chisciotte è legato non solo ad un’ideologia tramontata ma ad un intero stile di vita di cui non è più partecipe. Crede di combattere per il bene e la giustizia, come nell’episodio in cui scambia per giganti feroci dei mulini a vento, in un mondo che in realtà non ha più bisogno di lui. Le folli avventure partorite dalla sua fantasia servono innanzi tutto ad ovviare ad una realtà modesta e triste. Dopo aver affrontato le peripezie più strambe, in punto di morte, rinnega tutto ciò cui era stato legato, affermando di chiamarsi “…Alonso Quijiano, a cui
i costumi meritano il nome di Buono…”, e rinnega tutte le “…squallide letture dei detestabili libri cavallereschi…”. La letteratura lo converte ad una vita devota, cosi che gli è concesso morire in maniera più serena. Si concretizzano, in tal maniera, i principi controrifomistici già operanti in Tasso. La follia di Don Chisciotte risiede nella lettura dei libri cavallereschi, contro i quali sembra che si scagli l’accusa di Cervantes. La vera critica si scaglia, invece, contro l’utilizzo che di questi si fa. In buona sostanza, l’autore biasima l’identificazione tra vita reale e vita ideale, il voler adeguare i principi e i valori di quest’ultima alla prima. L’originalità dell’opera cervantina va ricercata nell’aver fondato il romanzo moderno adottando paradossalmente principi e materia dei libri di cavalleria. L’utilizzo di essi, però, si confonde con una sottile ironia, con effetti parodici e umoristici vicini a quelli proposti da Pulci e Folengo. È il tramonto definitivo del Rinascimento maturo e del suo prodotto più famoso e consistente, la cavalleria.
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Avvertenze
n queste pagine si è cercato di passare brevemente in rassegna i nodi principali attraverso cui si è dipanato il concetto di cavaliere nell’arco dei vari secoli, dalla sua genesi fino al declino. Per ognuno di essi si è presa in considerazione una precisa opera, generalmente molto conosciuta ed affermata, in modo tale da non entrare in tecnicismi che alla lunga sarebbero potuti risultare estenuanti a chi si fosse accostato alla materia per semplice curiosità. Il dovere di completezza impone di avvertire che questo articolo inerisce solo alla spuma della materia cavalleresca; le opere che potrebbero essere oggetto di uno studio più approfondito sono numerosissime, pur se in larga parte riconducibili ai punti qui trattati.
* ELFWINE
Storia e cultura: Cavalleria e letteratura
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FANTASY
GDR
I Cavalieri del Tempio I
cavalieri Templari, hanno sempre avuto un fascino particolare. Attorno a loro ci sono misteri che hanno ispirato decine di scrittori, storici e soprattutto giocatori di ruolo. I Cavalieri del Tempio, creato nel 1990 da A. ANGIOLINO, G. BOSCHI, A. CAROCCI, M. CASA e L. GIULIANO, è un gioco di ruolo tutto italiano. Molto semplice come sistema di gioco (del quale parleremo più avanti), ha un’interessante ambientazione, o meglio, ha un’interessante idea di base dato che non c’è una vera e propria ambientazione. Nel gioco interpretiamo dei Templari, ordine cavalleresco formato intorno al 1118 d.C. da due nobili cavalieri: Ugo di Payns e Goffredo di Saint-Omer, che con altri sette compagni si presentarono al Re di Gerusalemme chiedendo l’autorizzazione per fondare una milizia incaricata di sorvegliare le strade percorse dai pellegrini in Terra Santa. Nasce così l’Ordine della Milizia del Tempio che circa nove anni dopo viene riconosciuto ufficialmente come Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone. Ugo di Payns ne viene eletto Gran Maestro. Negli anni a seguire i cavalieri aumentano la loro potenza costruendo una forte rete di castelli e piazzeforti, mentre in Occidente vengono create le “magioni” del Tempio. Centinaia di giovani cadetti delle famiglie nobili chiedono di farne parte arrivando da tutta Europa per rafforzare le fila dei cavalieri e, grazie all’obbligo di cedere tutti i possedimenti all’Ordine, la potenza militare, economica e tecnologica dei Templari diviene presto leggendaria. Essi arrivano persino a prestare soldi ai Re… e sarà questo a mettere fine all’Ordine.
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LA COPERTINA DELLA SECONDA EDIZIONE DEL GIOCO.
Nel 1300 il Re di Francia Filippo il Bello, fortemente indebitato con i banchieri italiani e con i Templari, decide di impadronirsi dei possedimenti di questi ultimi. Per farlo dà inizio ad una perfida campagna denigratoria che sfocia – si narra un venerdì 13 del 1307 (per questo si dice che porti sfortuna) – nell’ar-
GDR: I Cavalieri del Tempio
I Cavalieri del Tempio resto e incarcerazione dei Templari con le accuse di: eresia, sodomia, sacrilegio, infanticidio e corruzione. Il 19 marzo 1314, Giacomo Molay, l’allora Gran Maestro, e Goffredo di Charney, Precettore di Normandia, vengono messi al rogo e l’Ordine dei Templari si scioglie trasformandosi in alcuni paesi in altri ordini. Dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone non si sarebbe dovuto più parlare per l’eternità. Fin qui sembra un gioco storico ambientato al tempo dei cavalieri, ma non è del tutto vero... I Cavalieri del Tempio parte dall’ipotesi che l’organizzazione dei Templari, dopo il suo tragico scioglimento, si sia trasformata in un associazione segreta grazie all’impegno di un gruppo di fedeli cavalieri, con il fine di salvaguardare i segreti e i tesori dell’Ordine e di portare la condizione umana ad uno stadio di equilibrio ideale. Si presuppone quindi che i Templari siano “un’organizzazione sovranazionale e sovratemporale” ma soprattutto esoterica. È sull’esoterismo che si basa l’idea del gioco, nel presupposto che l’uomo sia composto da tre stati: la parte fisica, l’anima e il corpo astrale, la capacità quest’ultima di estendere il proprio essere al di là del tempo e dello spazio. Grazie a questa capacità, i giocatori avranno la possibilità d’incarnarsi, di avventura in avventura, in personaggi di varie epoche in maniera che “I Signori del Tempo”, i veri capi dei Templari – entità astrali che governano l’organizzazione da un luogo situato al di là del tempo e dello spazio – possano manipolare il destino della razza umana. Come si può notare il gioco non ha un’ambientazione fissa: il giorno prima si può essere un cavaliere del 1300, il giorno dopo un poliziotto della metà dell’ottocento, quello dopo ancora un impiegato dei giorni nostri... Ovunque ci siano misteri nella Storia, forse c’è lo zampino dei Templari. Nel gioco si utilizzano semplicemente dei dadi a sei facce, da usare nel momento in cui il giocatore impegna le sue abilità (acquisite alla creazione del personaggio) per azioni rilevanti (spostarsi a cavallo da un punto a un altro non necessita tiri di dado, farlo in piena corsa e inseguiti, o mentre si combatte, sì).
Esistono quattro gradi di difficoltà nel compiere un’azione (nel manuale è presente una lista di azioni con il loro livello di difficoltà): facile (3 dadi), difficile (4), molto difficile (5) ed estrema (6). Per la riuscita di un’azione, la somma dei punteggi dei dadi lanciati deve essere uguale o inferiore al valore numerico dell’abilità del giocatore nella caratteristica correlata all’azione. Ad esempio: se il giocatore ha un’abilità di arrampicarsi pari a 16, e vuole salire lungo una superficie accidentata e ripida (azione facile), deve tirare tre dadi e ottenere un punteggio uguale o inferiore al al valore 16; se la superficie fosse liscia e a picco (azione estrema) i dadi da lanciare sarebbero sei e la cosa si farebbe molto complicata e pericolosa. Oltre al rigoroso addestramento fisico, i Templari possono contare sui loro poteri esoterici. Il calcolo dei punti esoterici (e quindi dei poteri) a disposizione dei cavalieri è legato in parte al segno zodiacale del giocatore e in parte alla fortuna. Viene infatti generato casualmente il simbolo del corpo astrale (Saturno, Luna, Mercurio, Sole e il Sigillo di Salomone) che, incrociato su una tabella al segno zodiacale del giocatore, ne determina i punti esoterici a disposizione, che il giocatore stesso impiegherà poi per acquistare i propri poteri, cioè capacità magiche – simili a quelle di qualsiasi gioco fantasy. Possiamo avere telecinesi, psicometria, bilocazione... quindici “incantesimi” divisi in due ranghi, più tre poteri collettivi (cioè eseguibili da tutti i membri del gruppo di comune accordo). Naturalmente, a seconda della data storica, i giocatori dovranno stare ben attenti all’utilizzo delle loro doti: ci vuole molto poco ad attirare l’attenzione dell’Inquisizione nel 1300. In definitiva I Cavalieri del Tempio è un buon gioco per i neofiti non interessati a combattere contro draghi, ma è necessario un arbitro (Gran Maestro nel gioco) ben preparato in storia per rendere le ambientazioni che si susseguono realistiche e ben curate.
* CROM
GDR: I Cavalieri del Tempio
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Cinema
La Tigre e il Dragone
In un’altra epoca, in un luogo lontano... un’avventura epica sta per prendere forma. E se anche venissi esiliato nell’angolo più buio della terra, l’amore che è in me non lascerà che diventi uno spirito solitario. Avventura epica o storia di sentimenti e di passioni, che tocca le corde più intime dell’animo? Conoscendo Ang Lee e le sue opere sarebbe facile propendere più per la seconda lettura. La tigre e il dragone è e rimane comunque un film d’azione, costruito pagando un contributo al culto popolare e alla spettacolarità, con mirabolanti giravolte nell’aria, combattimenti a volte cruenti a volte no, sempre ricchi di evoluzioni e di esercizi marziali, secondo lo stile della cinematografia di Hong Kong. Perché è a questa che il regista si è ispirato nel congegnare la sua pellicola, dando vita a «una Cina dei miei sogni, una Cina che probabilmente non è mai esistita se
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La Tigre e il Dragone
non nelle fantasie della mia infanzia taiwanese». Se poi alle fantasie di un ragazzo si aggiunge l’ispirata sensibilità di un uomo che ama scavare dentro le emozioni dei propri personaggi (emozioni che possono essere l’amore e l’odio, la paura e la morte, senza mai dimenticare gli ingredienti fondanti di qualsiasi film d’azione orientale: il codice d’onore, la lealtà, la giustizia, la tradizione), non poteva uscirne che La tigre e il dragone. Con un’incursione nel retaggio culturale della Cina classica, Ang Lee fa incrociare ai suoi personag-
gi le spade e le lance da combattimento portandoli a esprimere l’essenza intima della dottrina taoista, pur senza menzionarla apertamente, lasciando che siano le azioni e i
gesti, gli scontri, i calci e i pugni, le passeggiate a mezz’aria a rivelare a chi li vuol cogliere i segreti dell’esercizio fisico e del pensiero taoisti, espressi attraverso le arti
Pagina a sinistra, dall’alto: un intenso primo piano di Jen; Shun Lien consegna il Destino Verde al signor Thiè; Shun Lien sfodera la spada. Sopra: Li Mu Bai si esercita nell’arte della spada. A destra: il ladro della Destino Verde; Li Mu Bai e Shun Lien indagano su Volpe di Giada.
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A sinistra, dall’alto: Jen e Lo nel deserto; il corteo nuziale di Jen; Jen nei panni di guerriera errante; Shun Lien affronta Jen in duello. Pagina a destra, dall’alto: Li Mu Bai e Jen si affrontano sui bambù; Li Mu Bai muore tra le braccia di Shun Lien; Jen e Lo si ritrovano a Vudan.
marziali. È possibile così vedere emergere figure eroiche e valorose come Li Mu Bai che, avendo dedicato la sua esistenza a combattere il male, ora vive attanagliato da conflitti interiori e contraddizioni che sembrano cozzare contro la sua rettitudine morale. Profondamente ed essenzialmente umano in questo, senza apparire rassegnato e quanto mai lungi dall’abusare della sua posizione di maestro di spada, Li Mu Bai saprà additare alla sua allieva Shu Lien e, più tardi, alla ribelle Jen Yu, il cammino verso la ricerca dell’armonia. Non pago di ciò, Lee ha voluto aggiungere un ulteriore tocco personale al suo film, attribuendo i ruoli guida a personaggi femminili: per prima Shu Lien che raccoglie – oltre che fisicamente (attraverso la spada destino verde) anche idealmente – l’eredità di Li Mu Bai, il quale ha deciso di abbandonare la vita del guerriero errante per entrare nell’età matura seguendo la via del Tao alla meditazione. Innamorati da sempre l’uno dell’altra, ma troppo riservati e troppo ritrosi per dichiararsi reciprocamente, il loro rapporto sembra di fatto trascendere la fisicità per sublimarsi nella spiritualità assoluta, coadiuvati in
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La Tigre e il Dragone
questo dalla perenne lotta contro il male, impersonato dalla perfida Volpe di Giada, che li ha tenuti sì divisi, ma ha così contribuito a rinsaldare il loro legame, fino al sa-
crificio estremo di Li Mu Bai che dona la propria vita, mentre uccide Volpe di Giada, per salvare Shu Lien e la giovane Jen Yu. Attorno a quest’ultima si dipa-
na l’altro racconto, fatto di passioni travolgenti e di contese, animato da fughe e inseguimenti, da corse a cavallo attraverso il deserto, che trova spazio accanto alla storia di Shu Lien e Li Mu Bai: è Jen Yu infatti a innescare, rubando destino verde, il motore della lotta all’ultimo sangue tra Volpe di Giada (sua maestra e mentore) e i guerrieri erranti. Troppo fredda e insensibile per capire la differenza tra lealtà e amore e troppo irruente nel vivere la sua avventura con Lo, il capo dei predoni che l’ha rapita, Jen Yu saprà riscattarsi alla fine seguendo gli insegnamenti di Li Mu Bai, affidandosi al cuore nelle sue scelte amorose e gettandosi nel vuoto dall’alto della montagna, nella fanciullesca aspirazione di vedere realizzato il desiderio di unirsi per sempre a Lo e di tornare a correre con lui sulle sterminate distese dello Xinjiang.
* SEVERINO FACCIN
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Yun-Fat Chow (Maestro Li Mu Bai):
monaco guerriero, maestro nell’uso della spada, s’interroga sulla sua vita divisa tra l’ascesi e l’amore per Shun Lien. Filmografia fantascienza/ fantastico: nessuno.
Chen Chang (Lo “Dark Cloud”/Luo Xiao Hu): capo di una banda di predoni nel Xijan, rapisce Jen e se ne innamora. Filmografia fantascienza/ fantastico: nessuno.
Pei-pei Cheng (Volpe di Giada): mae-
stra di Jen, uccise il maestro di Mu Bai per rubargli i segreti dell’arte marziale. Filmografia fantascienza/ fantastico: Shui yue dong tian (TV), Lavender, Magic of Spell, Dragon Swamp.
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Michelle Yeoh (Yu Shu Lien): guerriera
errante compagna di Mu Bai, lo ama ricambiata ma non sa dichiararsi. Filmografia fantascienza/ fantastico: The Heroic Trio, Heroic Trio 2: Executioners, Butterfly and Sword.
Ziyi Zhang
(Jen Yu): allieva di Volpe
di Giada, ruba la Destino Verde per mettersi alla prova; Mu Bai le indicherà la via verso la serenità interiore. Filmografia fantascienza/ fantastico: The Legend of Zu.
Sihung Lung (Sir Te):
vecchio amico di Shun Lien e Li Mu Bai, diventa il custode del Destino Verde quando questi decide di cambiare vita. Filmografia fantascienza/ fantastico: nessuno.
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La Tigre e il Dragone
Scheda Tecnica Titolo: WO HU CANG LONG Tit. originale: LA TIGRE E IL DRAGONE Anno: 2000 Durata: 120 minuti Paese: Taiwan/Cina/Hong Kong/USA Produzione: Li-Kong Hsu, William Kong, Ang Lee Distribuzione: COLUMBIA TRISTAR, WARNER BROS. Regia: Ang Lee (Hulk) Da un libro di: Du Lu Wang Sceneggiatura: Hui-Ling Wang, James Schamus, Kuo Jung Tsai Fotografia: Peter Pau Musiche: Tan Dun, Jorge Calandrelli, Yong King Montaggio: Tim Squyres Scenografia: Timmy Yip Coreografia: Youen Wo Ping Costumi: Timmy Yip Note: vincitore OSCAR 2001 “Best Art Direction-
Set Decoration” (T.. Yip); “Best Cinematography” (P. Pau); “Best Foreign Language Film”, “Best Music, Original Score” (Dun Tan); vincitore ASCAP AWARD 2002 “Top Box Office Films” (Dun Tan); vincitore SATURN AWARD 2001 “Best Action/Adventure/Thriller Film”; vincitore GRAMMY AWARD 2002 “Best Score Soundtrack Album For A Motion Picture, Television Or Other Visual Media” (Dun Tan); vincitore GOLDEN GLOBE 2001 “Best Director - Motion Picture” (A. Lee), “Best Foreign Language Film”; vincitore GOLDEN TRAILER AWARD 2001 “Best Art and Commerce”, “Best Romance”; vincitore MTV MOVIE AWARD 2001 “Best Fight” (Z. Zhang); vincitore NEBULA AWARD 2002 “Best Script” (James Schamus, Kuo Jung Tsai, HuiLing Wang); vincitore HUGO AWARD 2001 “Best Dramatic Presentation”; vincitore YOUNG ARTIST AWARD 2001, “Best Young Actress in an International Film” (Ziyi Zhang).
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Il regista: Ang Lee Filmografia: I segreti di Brokeback Mountain (2005), Hulk (2003), Cosen (2001), La tigre e il dragone (2000), Cavalcando col diavolo (1999), Tempesta di ghiaccio (1997), Ragione e sentimento (1995), Mangiare bere uomo donna (1994), Il banchetto di nozze (1993), Tui shou (1992).
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uando nel maggio 1999 SERGIO BONELLI e LUCA ENOCH annunciarono la nascita di Gea, in una conferenza stampa tenuta nel corso dell’allora prestigiosa mostra ExpoCartoon, molti “addetti ai lavori” restarono, se non del tutto perplessi, quantomeno stupiti da questa iniziativa. Cosa avevano a che fare Luca Enoch, autore notoriamente dedito a fumetti di forte impegno sociale e politico, nonché tipico esponente di una gioventù milanese legata al “Leoncavallo” e all’attivismo dei cosiddetti “centri sociali”, e Sergio Bonelli, da sempre editore e autore di fumetti esclusivamente avventurosi, legati a logiche commerciali di tipo quasi americano (se un personaggio va bene le sue storie si moltiplicano; se va male scompare) e caratterizzati da precisi standard nelle trame e nei disegni? Tuttavia, a guardare con maggiore attenzione l’incontro di questi due personaggi, si scopre facilmente che le differenze appena rimarcate non sono troppo profonde, e che i punti in comune, tutto sommato, non sono poi così pochi. Tex, ad esempio, non è da sempre un fumetto schierato dalla parte dei più deboli, e questo fin da un’epoca in cui “i soli indiani buoni erano quelli morti”? Martin Mystere e Dylan Dog non passano buona parte del loro tempo a combattere il “sistema”, si tratti degli “uomini in nero” che ricorrono frequentemente nelle avventure del primo, o di mostri che altro non sono che metafore
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dei nostri lati oscuri e che il cosiddetto “Investigatore dell’incubo” elimina sistematicamente? E non definiremmo dei ribelli, dei disadattati quasi, personaggi come Mister No o Nathan Never? La lista potrebbe continuare. Certamente non è un caso che Luca Enoch, dopo l’insuccesso della sua graffitara Sprayliz, passata incautamente dalle pagine dell’Intrepido a quelle di un piccolo, ma ahimè esclusivo, albo da edicola, si sia rifatto una carriera proprio con Bonelli, realizzando qualche storia di Legs Weaver e facendosi apprezzare per la brillantezza del disegno – un po’ insolito per lo standard bonelliano, ma indubbiamente superiore alla sua media – e per dei testi molto curati e non privi di umorismo. La distanza tra Luca Enoch, nato a Milano nel 1962 e arrivato tardi al successo (nel 1990 con Eliah, storia fantasy molto cupa, e nel 1992 con Sprayliz) e Sergio Bonelli, pure milanese, ma di trent’anni più vecchio, non è quindi enorme. E così, quando quest’ultimo propone al suo più giovane concittadino di realizzare un suo personaggio, col quale, purché una certa dose di avventura sia sempre presente, sia possibile tornare ad esplorare le tematiche sociali, Enoch non ci pensa due volte e rispolvera una sua vecchia idea, Gea, accantonata qualche anno prima per far posto a Sprayliz. Per di più Bonelli lascia al suo autore il totale controllo sul personaggio: Enoch, da sempre molto geloso delle sue creazioni, rimarrà dunque il solo sceneggiatore
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la conclusione delle vicende si avvicina; gli episodi lenti, quasi autoconclusivi che avevano caratterizzato i primi 7-8 numeri lasciano spazio a storie ricche di combattimenti, che si evolvono velocemente finendo con l’emarginare i comprimari, l’umorismo e quell’impegno politico e sociale tanto caro all’autore.
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a chi è Gea, esattamente? Come è possibile fondere avventura “bonelliana” e politica nella stessa storia? Come termineranno le avventure di questa ragazza? A prima vista Gea è una comune ragazzina bionda, magra, di circa 14 anni, che vive da sola in un palazzo abbandonato, ma ben tenuto, alla periferia di una grande metropoli (indubbiamente americana, anche se molto italiana per certi aspetti sui quali varrà la pena di tornare); i suoi genitori, a quanto lei stessa racconta, “sono sempre in giro”. Questo non le impedisce di vivere tranquillamente, di frequentare una scuola (una specie di liceo), d’intrattenere delle amici-
e disegnatore di Gea dall’inizio alla fine, caso assolutamente unico nella storia della casa editrice, che da sempre gestisce “all’americana” (cioè utilizzando molti autori diversi su ogni personaggio) le sue testate. Naturalmente il prezzo da pagare è alto: le storie di Gea escono con cadenza semestrale (è il massimo che Enoch riesce a fare) e il successo non è strepitoso come quello degli altri “cavalli” della “scuderia” Bonelli; alle 200.000 e rotte copie di Tex e Dylan Dog e alle 100.000 di Julia e Nathan Never si contrappongono le misere 30.000 della nostra eroina (solo due personaggi come Mister No e Nick Raider, ormai alla frutta, vendono meno), le cui tematiche sociali, oltretutto, non riescono troppo gradite ai lettori bonelliani “medi”. Giunge inevitabile la decisione di fermare Gea, il cui orizzonte era ancora indefinito nel 1999, dopo soli 20 numeri, da poco diventati 18 (si vedano le dichiarazioni di Enoch su http://www.ayaaaak.net/ sito/articolo.asp?t=3. Il ritmo delle storie, di conseguenza, si fa sempre più frenetico a mano a mano che
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zie, organizzare festicciole, suonare il basso, ascoltare musica… ma è tutto oro quello che luccica? Fin dalla prima uscita, Il baluardo (giugno 1999), il lettore si rende conto, attraverso alcuni sogni – o forse incubi – della protagonista, che i suoi genitori sono morti da molto tempo in uno strano incidente stradale e che un misterioso personaggio, in punto di morte, le ha trasmesso “qualcosa”. La storia non è ancora terminata che già il vero ruolo di Gea risulta chiaro: la ragazzina è un “baluardo”, vale a dire un essere umano dotato di poteri particolari, incaricato dai misteriosi “superni” (angeli, probabilmente) di vigilare sull’integrità del nostro mondo, continuamente minacciato da entità malvagie le quali, sebbene sconfitte moltissimo tempo addietro e ricacciate nella dimensione da cui erano Gea #l: “Il baluardo”. A sinistra: l’incidente in cui sono morti i genitori di Gea, e a lei è successo “qualcosa”. In alto: 1) il primo mostro di Gea; 2) la Ardat-Lili, nel suo aspetto umano e con le sue vere sembianze.
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venute, cercano in ogni modo di tornare sulla Terra portando con sé caos, terrore e ogni sorta di creature più o meno mostruose. Queste entità malvage sono aiutate dalla “Triade”: tre creature demoniache, in grado di assumere sembianze umane, che vivono tra di noi sotto falso nome; una di loro, che diventerà la nemesi di Gea, è la cosiddetta “Ardat-Lili”, che gli umani conoscono come “la Diva”, una famosa stilista di moda: il grattacielo in cui vive in compagnia di un “Rakshasa”, un demone particolarmente pericoloso che le fa da guardia del corpo, è in realtà una specie di “antenna” che le permette di comunicare con altre dimensioni. In questa prima storia il lettore fa dunque la conoscenza di Gea, del luogo in cui vive, e delle strane creature che l’accompagnano: un gatto (Cagliostro) sulla cui fronte appare una stella bianca ogni volta che un’entità aliena entra nel nostro mondo; tre curiosi folletti che tengono in ordine la sua casa, ma senza farsi notare troppo; e infine un misterioso “zio” che
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do chiamato “Limbo” per mezzo di una “soglia” che può essere aperta roteando la spada. Infatti non tutti gli “intrusi” sono pericolosi, e le vicende vissute da Gea ricordano spesso quelle di Men in black: come nel film di Sonnenfeld si incontrano persino alieni che vengono “tollerati”, e a cui la ragazza consente di rifarsi una vita nel nostro mondo. Tra questi, i più curiosi sono probabilmente i “blemi”, privi di testa (ne indossano una finta, altra citazione da Men in black) ma sempre pronti a fornire a “sua eccellenza” (così chiamano Gea) informazioni utili al suo difficile compito. Insomma, già in partenza la carne al fuoco è molta, e vengono introdotti diversi personaggi che in seguito torneranno più volte: come Paula, compagna di classe di Gea, o Luciana, assistente sociale non troppo convinta delle frottole che le racconta la ragazzina. Soprattutto compare per la prima volta Frank Diderot alias Diddly, agente di una certa “Intelligent Secret Service” a metà strada tra CIA ed FBI, convinto che
Gea #2: “Il Corteo di Dioniso”. In basso: gli inizi di Leo e Sigfrido. Gea #3: “Storie di Spettri”. Pag. a destra in basso: un Blemo.
comunica con la nostra eroina per telefono e posta… pneumatica! Questo “zio”, che non si vede mai, sembra il “superiore” di Gea, forse un “superno” o un altro “baluardo”. È lui che le affida incarichi particolari e che le fa arrivare i soldi necessari alle spese di tutti i giorni. Gea, curiosamente, non sembra mai troppo preoccupata o spaventata dai mostri che deve affrontare: armata di una spada dai grandi poteri (che dissimula all’interno del suo basso), la vediamo spesso girare nottetempo col suo motorino e fare letteralmente a pezzi i demoni più cattivi; se invece incontra delle entità non malvagie, le spedisce in un mon-
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Gea corteo di Dioniso: più leggera della prima, ci presenta un gruppo di… satiri (proprio quelli della mitologia greca!) che si dedica a rapire ragazze da mettere incinte. Gea risolve la faccenda convertendo i feti caprini, frutto della violenza, in normali feti umani, dopo di che spedisce nel Limbo gli ingombranti “visitatori”, sulle cui tracce, tuttavia, si è messo anche Diddly: questi, sul punto di documentare l’esistenza dei satiri, viene aggredito da un orso e finisce per smarrire le prove raccolte. Il corteo di Dioniso è importante soprattutto per l’introduzione di due nuovi personaggi che acquisteranno grande importanza nella serie: Leonardo (Leo), un giovane paralizzato dalla vita in giù, destinato a diventare amico/ragazzo/amante di Gea, e il di lui amico e accompagnatore Sigfrido, omosessuale dichiarato (e orgoglioso), giocatore di hockey, sempre calmo e imperturbabile anche nelle situazioni più difficili o imbarazzanti. Il rapporto fra Gea e Leo si approfondisce nel terzo episodio (Storie di spettri,
mostri e demoni che affollano la serie siano degli alieni provenienti dallo spazio, e sempre indaffarato a cercarne inutilmente le prove, come Mulder in XFiles. Purtroppo per lui, in questa serie non c’è l’equivalente di Scully. Nel primo episodio i “grandi” temi (soprattutto lo scontro tra Bene e Male) vengono appena accennati, ma in compenso fanno subito capolino gli argomenti sociali tanto cari ad Enoch: la pena di morte, applicata nei confronti di uno straniero (in realtà un alieno) che non ha commesso l’omicidio di cui è accusato, è aspramente criticata dall’autore e dai suoi personaggi; il cinismo del governatore, che chiede “quanto ci mette a schiattare?”, dopo che quattro scariche elettriche non sono bastate (ce ne vorranno dieci), è effettivamente rivoltante. Per la gioia dei lettori il coriaceo Slag (questo il suo soprannome) sopravvivrà a ben due esecuzioni e verrà infine spedito da Gea nel Limbo. Nel novembre 1999 appare la seconda storia, Il
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Ardat-Lili e l’esarca da lei custodito continueranno in segreto a tessere le loro trame malvagie. In compenso due nuovi personaggi appaiono sulla scena: il poliziotto Ahmad, a sua volta immigrato libanese,
giugno 2000), quando quest’ultimo, ad insaputa della ragazza, la vede levitare in una stanza. I poteri di Gea, infatti, tendono ad aumentare col tempo, e per la prima volta altri baluardi le chiedono di impegnarsi con loro in un combattimento all’ultimo sangue, dal momento che la Ardat-Lili, nel tentativo di rigenerare dalla decomposizione un malconcio “esarca” (un demone immensamente malvagio) che custodisce nel suo palazzo, ha aperto un varco dimensionale dal quale mostri di ogni tipo, per giunta più pericolosi del solito, cercano di irrompere nel nostro mondo. Gea e gli altri li respingeranno, non senza difficoltà. Nel novembre 2000 esce il quarto episodio, Madre di violenza, molto più crudo e violento dei precedenti: i temi sociali tornano in primo piano, per via di un improvvisato gruppo di “vigilantes” che si dedica a raid punitivi contro immigrati di ogni razza e colore. Ma quando una delle loro vittime si rivela un’aliena dal brutto carattere, le cose per loro finiscono male. Gea, stavolta, farà ben poco, mentre a sua insaputa la
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Gea che nel corso delle indagini sui vigilantes avrà modo d’intravedere la nostra eroina in piena azione, e Tara, misteriosa creatura dalle molte braccia che diventerà per Gea una sorta di consigliere spirituale. Con ogni probabilità l’episodio migliore della serie è il successivo, La via del nero (giugno 2001): per la prima volta compare un baluardo “cattivo”, che agisce per interesse personale e non per devozione alla missione affidatagli. Mentre i poteri di Gea, grazie anche all’uso di certi funghi allucinogeni consigliati da Tara, aumentano ancora (adesso può teletrasportarsi e proteggersi con schermi di energia), il baluardo rinnegato continua a mietere vittime finché i suoi colleghi non mandano un “pesante” (cioè un baluardo specializzato in missioni in cui bisogna solo “menare”) a prendersi cura di lui. Questo personaggio, palesemente ispirato a JOHN BELUSHI sia nell’aspetto che nel carattere, diventa il vero protagonista dell’avventura, che si concluderà con la morte del baluardo “cattivo” e uno scontro fuori programma col Rakshasa, il
demone che fa da guardia del corpo alla Ardat-Lili. Nel frattempo Leo continua a scoprire troppe cose sul conto di Gea, e il momento della verità giunge nell’episodio successivo, L’orco (novembre 2001). Gea racconta all’amico di sé e della guerra condotta contro i demoni fin dalla notte dei tempi, spiegandogli le ragioni dei conflitti passati e della difficile situazione presente. Ma a farla da padrone, nella storia, sono nuovamente le tematiche sociali: protagonista in negativo è un anziano medico dedito all’espianto di organi da bambini-cavie, da lui tenuti prigionieri in un lugubre scantinato. Diddly, Ahmad e Gea si ritroveranno, in compagnia di un mostro “buono”, nel covo di questo “orco”, destinato ovviamente a fare una brutta fine. Nella settima storia, La crociata di Clive (giugno 2002), il protagonista è un ex-militare, specializzato in Gea #4: “Madre di Violenza”. Pag a sinistra, in alto: prima apparizione di Tara; in basso: razzismo piu’ leghista che americano. A destra: moralismo un po’ pedante, per bocca di Leo.
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torture e interrogatori, e ossessionato dal suo passato (soprattutto dal ricordo di una ragazza che ha fatto “desaparecire”) fino al punto d’impazzire. Convinto, e ovviamente non senza ragione, che il palazzo della “Diva” sia un covo di demoni, vi si presenta armato fino ai denti e riesce a compiere una strage prima di venire ucciso. Gea, a sua volta entrata nel palazzo in cerca dell’esarca, approfitta della confusione per ucciderlo nel sonno, lasciando la Ardat-Lili nella disperazione: verrà punita ed espulsa dalla Triade? O peggio? Il dubbio viene risolto nell’episodio seguente, Dove scorre l’acqua (novembre 2002): la Ardat-Lili viene degradata dagli altri due membri della Triade e ne diventa il meno importante, “Lilitu”; come vedremo, troverà presto il modo di riscattarsi. In questa storia, tuttavia, sono i temi sociali (o meglio ecologici) a tornare in primo piano: l’abbattimento di alcune piante abitate da una comunità di ninfe (le Naiadi), per far posto allo svincolo di un’autostrada, scatena
un pandemonio a cui Gea dovrà porre rimedio. Il suo rapporto con Leo intanto diviene sempre più intenso ed intimo, fino a farle scoprire i piaceri sessuali (nonostante il compagno, per via della propria condizione, sia impotente). Ciò accresce ulteriormente i suoi
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Gea dal proprietario, si esibiscono in una “freak parade”. Ma una delle creature è un “arconte”, vale a dire un demone ancor più potente dell’esarca ormai defunto; la “Diva”, scopertane la presenza, lo “risveglia” e lo conduce con sé, riconquistando il favore degli altri due componenti della Triade infernale e recuperando il suo rango di Ardat-Lili. Vanamente, stavolta, Gea ed altri baluardi (tra i quali il “pesante” de La via del nero) cercheranno di ostacolare i loro piani: la conseguente carneficina si concluderà con la morte di uno di loro, mentre i “freak” superstiti finiranno nel Limbo. L’intruso, del novembre 2003, vede l’incontro fra Ahmad e Diddly, che alla fine di una storia ricca di sorprese, specialmente per il primo, cominceranno a collaborare. L’intruso del titolo è un mostro un po’ particolare che, analogamente a quanto avviene ne L’alieno (film citato esplicitamente da Diddly), può introdursi all’interno di un cadavere facendolo resuscitare (ma solo in apparenza). In realtà il mostro, che
poteri, che ora le permettono di viaggiare tra diversi piani dell’esistenza, talvolta portandovi anche Leo; quest’ultimo, tuttavia, scoperto dagli altri baluardi, rischia di venire ucciso perché a conoscenza del suo segreto. Ad eseguire l’ingrato compito viene addirittura mandato un “eliminatore” (chiaro riferimento a Nikita di LUC BESSON); ma Gea, decidendo di “assumere” ufficialmente Leo come proprio aiutante-schiavo, gli salva la vita. Si giunge così, nel giugno 2003, al nono episodio, Il figlio del tuono, indubbiamente uno dei migliori: al centro della storia vi è un piccolo circo, dove creature di ogni specie, accudite con fare quasi paterno Gea #5: “La Via del Nero”. Pag a sinistra, 1): il Pesante emulo di John Belushi. Gea #6: “L’Orco”. Pag a sinistra, 2): Gea comincia a spiegare tutto a Leo. Gea #7: “La Crociata di Clive”. A destra: Gea si accinge a uccidere l’Esarca.
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Gea spedirà nel Limbo, non è affatto cattivo: i veri mostri sono degli spacciatori di droga che sfruttano gli emarginati di un quartiere nero, e fanno la consueta brutta fine. La storia, che curiosamente alterna momenti di umorismo surreale ad altri decisamente “splatter”, vede Gea e Leo avere il primo rapporto sessuale completo (forse perché qualcuno ha ricordato a Enoch che un paraplegico non è impotente), e infine recarsi nel “Limbo” in compagnia di Sigfrido –che a sua volta ha scoperto quasi tutto sul conto di Gea – e di un suo amico malato di AIDS, che in questo modo può morire serenamente. A partire dall’episodio seguente, Il baluardo impazzito (giugno 2004), gli eventi cominciano a precipitare e la trama a incupirsi, mentre l’umorismo si fa più raro. Il baluardo del titolo non è affatto impazzito: è solo uno che ha scelto di non combattere più le entità aliene; altri baluardi, dopo aver preso Gea con loro, decidono pertanto di eliminarlo. Nascono qui i primi dubbi, le prime avvisaglie di qualcosa che “non
va”: è proprio vero che i baluardi servono il bene e che gli “intrusi” sono tutti cattivi? Dal comportamento dei colleghi di Gea, anche se non tutti, si direbbe il contrario; e a mano a mano che i poteri della ragazza aumentano, cominciano ad apparirle in sogno (o in trance) strane visioni di un passato remoto, che forse nascondono una verità diversa. In qualche modo la frattura viene ricomposta, ma non senza che certe vecchie ruggini siano tornate a galla: è interessante scoprire, in questa occasione, che le molte streghe finite sul rogo per mano dell’Inquisizione altro non erano che baluardi donne, ritenute, dai loro spietati colleghi di sesso maschile, troppo indulgenti con le entità intrusive e per questo accusate di venire a patti col demonio. Nel frattempo la situazione si complica anche per Diddly ed Ahmad: il primo scopre di essere egli stesso un alieno (ecco l’inconscio motivo della sua ossessione), e mette il secondo al corrente della sua
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Gea libro (quello a cui fa riferimento il titolo) che rivela il luogo in cui dorme il “Leviatano”, un essere mostruoso di incredibile potenza che solo l’arconte può ridestare. Vanamente Gea, un po’ aiutata, un po’ ostacolata da Ahmad e Diddly (ormai diventato un pezzo grosso dell’ISS dopo aver trovato e “venduto” ai suoi superiori altri alieni simili a lui), cerca d’impedire che il libro finisca nelle mani sbagliate. Intanto, dei temi sociali e dell’umorismo sempre presenti nelle prime storie non c’è quasi più traccia; persino Leo, ormai ridotto a “schiavo sessuale” della ragazza, non ha più l’importanza di prima. Sigfrido, Paula e gli altri comprimari sono diventati solo delle comparse. La tendenza si accentua ancora nel tredicesimo episodio, La rottura del sigillo (giugno 2005), in cui l’arconte riesce a compiere la sua missione e liberare il Leviatano, una specie di verme gigante che si trovava sepolto nell’Antartide. Prima di ciò, a casa di Gea si riuniscono moltissimi baluardi, “pesanti” compresi, sotto la guida degli “scalzi”, degli esseri incap-
agghiacciante scoperta: la presenza di un “fratello” che ogni tanto gli esce dalla pancia (citazione dal film Atto di forza). Contemporaneamente, l’arconte trovato dalla Ardat-Lili nel nono episodio comincia la sua maturazione… Che la decisione di chiudere Gea col ventesimo numero sia già stata presa? In ogni modo è chiaro che Enoch si sta muovendo in questa direzione. Nel dodicesimo episodio, Il libro dei segreti svelati (novembre 2004), è in effetti evidente che la storia di Gea si sta avvicinando al momento culminante: l’arconte, ormai maturo, viene attaccato invano da tre baluardi, due dei quali rimangono uccisi, mentre la Ardat-Lili e il Rakshasa riescono a impadronirsi di un Gea #8: “Dove scorre l’Acqua”. Pag a sinistra: Leo, scoperto, rischia grosso. Gea #9: “Il Figlio del Tuono”. Pag a sinistra: Gea comunica con lo Zio per mezzo di un vecchio telefono.
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mentre i suoi accompagnatori tengono a bada i mostri che hanno invaso i dintorni del “portale” (un vulcano in eruzione), la ragazza raggiunge l’arconte e lo uccide. Intanto Diddly e Ahmad cercano faticosamente di seguire gli avvenimenti da una portaerei in navigazione, ma il comandante in seconda (un baluardo “in sonno” che non sembra molto in sintonia con i colleghi) lancia un attacco missilistico contro l’Antartide, attirando su di sé la vendetta di un demone particolarmente cattivo. Recuperata dai “pesanti” una
pucciati e spietati che organizzano un attacco contro la Triade: il Rakshasa verrà ucciso a mani nude dalla stessa Gea, mentre gli scalzi cattureranno e uccideranno, dopo averla torturata, la “Lilu”, il demone a capo della Triade. Ma ormai, rotto il “sigillo” che teneva rinchiuso il Leviatano, la situazione volge al peggio: Gea, i cui poteri sono diventati immensi, viene scelta per recarsi con la sola scorta di due “pesanti” (uno dei due è sempre il “Belushi” apparso per la prima volta ne La via del Nero) in Antartide, allo scopo di chiudere il “portale” apertosi con la liberazione dell’enorme mostro; sarà una missione suicida? Mentre Diddly e Ahmad, che si sono vagamente resi conto di cosa sta succedendo, si dirigono a loro volta verso il Polo Sud, creature di ogni genere, non più controllate dai baluardi, invadono il mondo… Da poco (novembre 2005) è uscito il quattordicesimo e quintultimo episodio della serie, Il crollo del portale: Gea e i due “pesanti” che la accompagnano raggiungono l’Antartide a cavalcioni di un grifone e,
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Gea sociali, politici ed ecologici delle storie iniziali si sono sostituiti scontri apocalittici, massacri, cataclismi e chi più ne ha più ne metta. E, a ben guardare, questa schizofrenia è il vero problema che affligge la serie: i contenuti sociali cari ad Enoch convivono con un’ambientazione fantasy straordinariamente ricca di particolari, ma senza mai fondersi pienamente in una trama coerente e appassionante. Ogni volta assistiamo così al dipanarsi di quelle che sembrano due storie in una, con pochi o nessun elemento di contatto, e con la protagonista che, quasi risentendo in prima persona di una trama così lacerata, appare totalmente indifferente agli eventi che la circondano. E così questa quattordicenne tormentata da un senso di inferiorità fisica (si lamenta continuamente di essere “piatta”), e ciò nonostante sessualmente scatenata, mutila, tortura, uccide e disintegra senza problemi uomini, alieni, demoni, amici e nemici. Le sue reazioni si riducono a un “keskifo” – come quando, in una scena dall’umorismo macabro e surreale, cerca di recuperare un or-
Gea più morta che viva, restano ancora milioni (!) di mostri da eliminare prima di risolvere la situazione una volta per tutte…
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ncora due anni e sapremo se le vicende di questa ragazzina fotofobica (come tutti i baluardi) si concluderanno con l’inevitabile carneficina su scala planetaria, o se qualche colpo di scena dell’ultimo momento ci serberà una conclusione inattesa. Valutare la serie, in questa fase intermedia, non è cosa semplice; tanto più che ai toni leggeri della prima parte, all’umorismo surreale e ai temi Gea #10: “L’Intruso”. Pag a sinistra, sopra: lo “splatter”, il massimo che scappa detto a Gea e’ “ke skifo”; sotto: dopo lo “splatter”, l’umorismo (notare l’eccellenza e l’occhio pesto del mostriciattolo). Gea #11: “Il Baluardo impazzito”. A destra: Diddly e il suo mostro (nell’ultima vignetta, Ahmad.
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nizzate. È vero che talvolta sembra avere dei dubbi, che gli “scalzi” de La rottura del sigillo sono da lei paragonati ai nazgul tolkieniani, che ne Il baluardo impazzito cerca di opporsi alla follia omicida di alcuni suoi colleghi, e infine che non uccide mai senza motivo e preferisce spedire gli intrusi nel Limbo piuttosto che sopprimerli, ma tutto questo suona sempre artificioso, forzato, così come artificiosi sono i temi sociali che appaiono inseriti a forza all’interno di vicende con cui non hanno nulla in comune e che, traboccanti moralismo da ogni pagina e spesso scontati nelle conclusioni, diventano più fastidiosi che coinvolgenti. E ancora schizofrenica, come se non bastasse il resto, è l’ambientazione della serie: come già accaduto con Sprayliz, Enoch non ha il coraggio di usare l’Italia come sfondo delle sue storie, e preferisce far vivere Gea in una generica metropoli americana. C’è la pena di morte, ci sono governatori e servizi segreti, ma tutto il resto trasuda Italia (e Milano in particolare) dalla
ribile mostro insettiforme (L’intruso) dall’interno di un corpo umano ridotto a brandelli – o, al massimo, al vomitare la colazione (facendo notare ai colleghi i cornflakes che aveva mangiato) dopo aver ridotto il Rakshasa a una poltiglia di ossa sanguinanti e carbo-
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bravo autore, intendiamoci – non abbia ancora trovato la sua strada e non riesca a integrarsi pienamente – ma neanche a rifiutarlo – nel mondo del fumetto all’italiana, dominato da sempre da temi strettamenGea #13: “La rottura del Sigillo”. te avventurosi, in cui umorismo, politica e donne in In alto a sinistra: il Rakshasa ridotto in poltiglia; Gea vomiruoli importanti faticano a vendere e a fare scuola. ta la colazione; Quello che emerge dalla lettura di Gea è invece un in alto a sinistra: la Lilu massacrata e uccisa dagli Scalzi. autore quasi “alla francese”, abile nel documentarsi, pignolo fino alla pedanteria nell’esporre i dettagli prima all’ultima vignetta, dai nomi dei protagonisti delle sue trame, dotato di immaginazione e capace di (Gea, Leonardo, Sigfrido, Luciana), dall’aspetto dei pensare in grande come pochi, ma ciò nonostante non palazzi e delle strade, dal latino insegnato in quello ancora maturo e quindi incapace di sfruttare al meglio che dovrebbe essere un “liceo” americano, dagli on- le sue capacità nella realizzazione di storie complesse nipresenti centri sociali, dalla nazionalità degli immi- e avvincenti. Umorista fine, forse troppo per i palati grati (rigorosamente slavi o nordafricani piuttosto che nostrani, appare da un lato sprecato per una testata cinesi o messicani), fino alle ideologie dei vigilantes bonelliana, ma dall’altro troppo sopra le righe nel (che sanno più di Lega che di Ku-Klux-Klan). volgere continuamente in grottesco certe situazioni: L’impressione che si ricava da questo incredibile rimane comunque un disegnatore eccezionale, molto miscuglio di idee e personaggi è che Luca Enoch – un al di sopra della media, assolutamente non incline alla Gea #12: “Il Libro dei Segreti Svelati”. Pag a sinistra: l’Arconte ridotto a mal partito dall’attacco dei Baluardi.
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fretta e ai compromessi, espressivo e dinamico come pochissimi, padrone del bianco e nero, abilissimo con la grafica computerizzata e con l’uso dei retini (che utilizza, retini e PC, per disegnare sfondi). In conclusione? Tra vent’anni, senza dubbio, nessuno ricorderà Gea. Non si tratta di un fumetto destinato a segnare un’epoca, non rinverdirà i fasti di Martin Mystere e tanto meno quelli di Tex o Dylan Dog. C’è ancora, tuttavia, la possibilità che riesca almeno a tracciare una strada, ad aprire il campo a temi fantasy che raramente vengono esplorati, qui da noi, e che pure avrebbero molto da dire e molto materiale a cui attingere. Per non parlare dell’impegno (politico, sociale, ecologico) che caratterizza tutti i fumetti di Enoch, e che in Italia non ha mai attecchito seriamente, se escludiamo le nicchie in cui sono rinchiusi Gea #14: “Il crollo del Portale”. A destra: Gea, trasfigurata, sta per uccidere l’Arconte.
autori come Altan o Staino. È un impegno di cui ci sarebbe un gran bisogno, in un’epoca che considera il ‘68 una specie di leggenda metropolitana e in cui si va a votare sempre di meno; forse la casa editrice Bonelli non è lo stagno più adatto, ma intanto il sasso è stato gettato. Quattro numeri ancora, ventidue mesi scarsi (da quando questo articolo vedrà la luce): come diceva Dumas, non ci resta che attendere e sperare.
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ANDREA CARTA
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Alcuni link su Luca Enoch e il suo personaggio: Il blog di Luca Enoch: http://lucaenoch.ilcannocchiale.it/ Gea, dal sito della Bonelli: http://www.sergiobonellieditore.it/auto/cpers_index?pers=gea Gea e la disabilità: un’iniziativa dell’università “Ca’ Foscari” di Venezia: http://www.superabile.it/Superabile/Societa/Fumetto_universita’_Venezia.htm Gea, dal sito dell’uBC Fumetti: http://www.ubcfumetti.com/gea/ Recensione di Gea su Leonardo.it: http://fumetto.leonardo.it/articoli/2005/08/09/gea.626409.php Recensione di Gea su prospettiva Globale: http://www.prospettivaglobale.com/Articolo.asp?Id=46&sez=3 Intervista a Enoch (centrata su Gea) su prospettiva Globale: http://www.prospettivaglobale.com/Articolo.asp?Id=44&sez=3
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XI secolo: la sovrappopolazione e lo scriteriato sfruttamento delle risorse naturali hanno messo a rischio la sopravvivenza dell’umanità. Sotto la direzione del geniale biologo marino Jung Zorndyke, viene allora varato il progetto “Blu”, finalizzato alla protezione ambientale, alla co-
lonizzazione delle distese oceaniche, e alla bonifica e sfruttamento delle aree polari e desertiche. In seguito a un tragico lutto familiare, tuttavia, gli intenti di Zorndyke improvvisamente si ribaltano. Dopo essersi impossessato della Stream Base (l’habitat modulare mobile che dovrebbe rappresentare la speranza di rinascita per la Terra) e dell’impianto di smantellamento delle armi nucleari, ambedue situati al Polo Sud, lo scienziato utilizza le nuove tecnologie di controllo climatico, da egli stesso ideate, per incrementare l’effetto serra, causando il parziale scioglimento delle calotte polari. Tre anni dopo, il pianeta è con l’acqua alla gola. Il livello dei mari è notevolmente salito, sommergendo parte delle vecchie terre emerse, mentre gli oceani sono divenuti dominio delle ostili razze ibride create in laboratorio dall’ormai folle Zorndyke. A contrastare la minaccia da esse rappresentata è la Flotta Blu, organismo militare sovranazionale istituito per mantenere la sicurezza nei mari.
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1) Katsuma Nonaka nella capsula di contenimento, orribilmente mutato. 2) La plancia e l’equipaggio del Blue numero 6.
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Mayumi Kino, 18 anni, ufficiale, attualmente assegnata all’unità da guerra Blue 6. Il suo compito: rintracciare e riportare in servizio Tetsu Hayami, esploratore sottomarino, ex-militare, un asso nel suo mestiere. Hayami vive in un fatiscente palazzo nel porto di Shinju-ku Bay (Tokyo), un’area urbana ormai in sfacelo semi-sommersa dalle acque. Il degrado che lo circonda dev’essergli penentrato anche in corpo, magari dalla siringa che Kino calpesta prima di uscire a mani vuote dal suo “appartamento”. Trovarlo infatti è stato facile, convincerlo a tornare al “Numero 6” lo è molto meno. Ci riesce solo un improvviso attacco al porto da parte delle forze di Zorndyke, che costringe Hayami a intervenire in salvataggio di Kino. Suo
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Blue Submarine no. 6 malgrado, l’esploratore si trova nuovamente coinvolto in quella guerra che, tempo prima, aveva scelto di abbandonare. A bordo del Kogame, il grampus (sottomarino leggero) di Kino, Hayami partecipa alla battaglia, affondando diverse unità nemiche. Eppure in lui manca il desiderio di vendetta che divora invece i marinai della Flotta (Mayumi Kino compresa), e nell’apatico fatalismo che riempie il suo cuore c’è ancora posto per la pietà umana: prima di risalire a bordo del N. 6, soccorre uno dei piloti avversari, una femmina di ibrido myutio. Nella battaglia, il Blue Submarine 6 respinge l’attacco e “affonda” un muska (enorme cetaceo biomeccanico) nemico.
MISSION II: PILOTS. Grazie al sacrificio del sommergibile di appoggio Narushio, il Blue 6 scampa a un nuovo attacco portato dalla “Nave Fantasma”, l’ammiraglia della flotta di Zorndyke. L’obbiettivo di Berg, spietato comandante dell’armata nemica, potrebbe però essere più sottile: del materiale organico si attacca infatti allo scafo del sottomarino, seminando una scia facilmente rintracciabile... Ignaro d’essere seguito, il N. 6 raggiunge il Blue Dome, Quartier Generale della Flotta Blu, trascinandosi dietro l’armata di Berg. La battaglia che segue è disastrosa: il Dome viene distrutto e la Flotta Blu patisce ingenti perdite. Hayami risulta fra i dispersi. I precedenti piani del Comando di Flotta miravano a un’offensiva in grande stile contro le forze di Zorndyke al Polo Sud, allo scopo di prevenire l’insana intenzione dello scienziato di provocare un “pole shift”, una brusca inversione dei poli magnetici terrestri. Se ciò avvenisse, la naturale presenza del campo magnetico del pianeta verrebbe compromessa, con esiti catastrofici. Perso il Dome, alle unità super-
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stiti della Flotta Blu, sparse per i mari, non resta che attenersi a quei piani e procedere al rendez-vous nell’Antartico. Obiettivo: atomizzare la Stream Base.
MISSION III: HEARTS. Katsuma Nonaka: l’ex-caposquadra di Hayami. Insieme, avevano costituito una formidabile coppia di esploratori sottomarini, fino a quando, inviati dal Direttivo Blu a trattare la pace con Zorndyke, erano stati intercettati prima di poter raggiungere la Stream Base, e Katsuma era stato catturato, sottoposto a esperimenti genetici e infine restituito orribilmente mutato alla Flotta Blu. Ora si trova a bordo del Blue 6, prigioniero in una capsula di contenimento… Sbalzato dal canotto di salvataggio, in balia delle onde nel mare in tempesta, Hayami ricorda quella tragica missione. Sul punto di affogare, viene soccorso dalla myutio salvata nel primo episodio, e in seguito preso “a bordo” da un muska senziente. Proprio grazie all’altruismo dell’enorme ibrido, che si lascia colpire e uccidere dai siluri dell’ignaro N. 6 pur di avvicinarglisi a sufficienza per riportarvi Hayami, il pilota può far ritorno al sommergibile. Dal muska, Hayami ha appreso notizie importanti: il nemico ha previsto con largo anticipo l’attacco alla Stream Base, e sta già aspettando in forze l’arrivo della Flotta Blu. Intanto, in avvicinamento al Polo Sud, il Blue 6 ha recuperato uno scafo Typhoon nascosto, contenente testate nucleari e in grado di lanciare un attacco missilistico.
MISSION IV: NEL PROFONDO. 1) Nello squallore della città in rovina, la vita decadente Tetsu Hayami dopo aver lasciato la Flotta Blu. 2) e 3) L’attacco a Shinju-ku Bay.
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Hayami riesce a convincere il comandante Iga a la-
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sciargli liberare Katsuma e a tentare una nuova missione di pace. A bordo del Kogame, raggiunge insieme a Kino la Stream Base, divenuta un’isola lussureggiante popolata da mutanti. Scortati al cospetto Zorndyke, i due si trovano di fronte un uomo disilluso, stanco e malato, che ha finito per odiare la propria condizione di essere umano al punto da condurre esperimenti devastanti perfino su se stesso. Lo scienziato mostra infatti il petto cavo dal quale il cuore è stato espiantato. Quel cuore è adesso il fulcro di controllo del macchinario che dovrà scatenare il “pole shift”. Zorndyke rivela una sconcertante verità: non dispone della quantità di energia necessaria a innescare la reazione distruttiva, e a fornirgliela sarà allora proprio l’attacco atomico... se la Flotta lo sferrerà. Il destino della Terra, dunque, dipende esclusivamente dall’Uomo. Rimessa in altre mani ogni responsabilità, lo scienziato aspira semplicemente alla grazia della morte, ed è ciò che, su sua stessa preghiera, il riluttante Hayami gli concede. Nel frattempo la Flotta Blu vince la battaglia decisiva, e il N. 6 riesce addirittura ad affondare la potente Nave Fantasma. A pochi istanti dal lancio dei missili nucleari, la voce di Kino irrompe nelle cuffie dell’addetto alle comunicazioni del sommergibile e blocca il conto alla rovescia; il nemico ha accettato si sospendere le ostilità, a condizione che venga rispettata la sua sovranità sulla Stream Base. La minaccia è sventata e la Terra è salva. In un ultimo, drammatico confronto con Berg in persona, Hayami capisce che l’unica opzione di sopravvivenza è il reciproco rispetto tra le razze. Berg gli risparmia la vita ma ostinatamente rifiuta quest’ideale di fratellanza; anzi, ben deciso a non avere più rapporti con gli umani, si strappa il collare che gli consente di tradurre in parole i suoi inintelligibili grugniti, e sparisce in mare tra le braccia della myutio “occhi rossi”. La myutio e Hayami: sono loro i primi ad aver su-
1) La myutio “Occhi Rossi” annaspa in cerca d’acqua. 2) Mayumi Kino vorrebbe ucciderla. 3) Hayami invece la salva riportandola al mare.
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perato le barriere razziali. Nello sguardo d’amicizia e affetto che si scambiano, prima di lasciarsi, è racchiusa la vera speranza per il futuro.
COMMENTO.
1) Un enorme muska. 2) Combattimento sottomarino a Shinju-ku Bay. 3) La “Nave Fantasma” colpita da un missile del Narushio.
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Ao no roku go, datato 1998, costituisce uno dei primi tentativi di fondere insieme animazione tradizionale e grafica computerizzata. Si può quindi definire un’opera sperimentale, con tutti i vantaggi e gli svantaggi della categoria, in particolare quelli derivanti dall’uso di tecnologie digitali giovani (rispetto all’epoca di impiego) e ancora da affinare. Per questo motivo, le scene “artificiali” risultano fatalmente ben distinguibili da quelle “disegnate”, dando l’impressione d’essere eccessivamente invasive. Tutte le sequenze sottomarine, per esempio, esplodono in un tripudio di “effetti speciali” molto ostentati: siluramenti, deflagrazioni e scie di bollicine lasciate da sommergibili che sfrecciano nell’elemento liquido come se si trovassero nell’aria; facile allora che questa continua girandola d’azione in 3D in alcuni punti finisca per disorientare un po’ lo spettatore. Ad ogni modo, nevrotico e disomogeneo quanto si vuole, l’esito rimane spettacolare. Del resto, a partire dall’attacco a Shinju-ku Bay, minuto numero 9, diviene chiaro quali siano le priorità di quest’opera: non sarà certo la trama, piuttosto essenziale e prevedibile (nel 2000, forse molto meno negli anni 60 quando fu redatto il manga originale), a costituirne il punto di forza. Si parte da un cliché, quello dello scienziato folle e malvagio impegnato a pianificare lo sterminio dell’umanità, per arrivare alla variante, a sua volta diventata cliché, del folle e malvagio che non è poi così folle né così malvagio. Qui però il passaggio dall’uno all’altro ha un raccordo molto esile. Lo Zorndyke che la sceneggiatura ambirebbe creare, padre di una generazione di ibridi immacolati da
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contrapporre alla corrotta umanità, è da scartare a priori perché gli ibridi in questione sono l’esatta replica di vizi (Berg e la grottesca combriccola dei suoi sottoposti) e virtù (la myutio “occhi rossi” e il muska senziente) umani; mentre lo Zorndyke aspirante alla convivenza fraterna tra uomini e mutanti, proposto nel finale, è in palese contraddizione col suo ruolo fin lì ricoperto, cioè di colui che ha scatenato la guerra. In definitiva, l’unico Zorndyke credibile fino alla fine è proprio quello iniziale: lo scienziato magari non del tutto malvagio ma folle senz’altro, e neanche poco. Pure lo spunto scientifico che fa da sfondo alla vicenda – la minaccia d’inversione dei poli magnetici con “conseguente” scomparsa della fascia di Van Halen ed estinzione dell’umanità a favore delle razze ibride – presenta qualche incongruità. Si può assecondare la finzione scenica e dar per buono che un eventuale capovolgimento della polarità della Terra (evento ricorrente nella storia del nostro pianeta) possa stavolta comportare la perdita della magnetosfera; ma logica vorrebbe che, nella stessa finzione, gli effetti del fenomeno venissero considerati nocivi tanto agli umani quanto agli ibridi (e alla vegetazione). A meno che i secondi – ma non lo si dice e niente lo fa pensare – “respirino aria cosmica” o siano un “miracolo di elettronica”. Accanto a queste lacune nella trama, si segnalano poi almeno un paio di errori di sceneggiatura. Il primo riguarda la myutio “occhi rossi”: nella sua apparizione iniziale parrebbe acquatica (tant’è che Hayami la salva dal soffocamento riportandola al mare), ma nelle successive si dimostra perfettamente anfibia; il secondo concerne la trovata finale, che pone Zorndyke nell’impossibilità (non intenzionale) di scatenare da solo il “pole shift”, subordinando l’innesco del fenomeno all’uso delle bombe della Flotta Blu, senza tenere quindi conto del fatto che più volte è stato menzionato e perfino mostrato un arsenale atomico anche in campo ibrido. Si tratta però di dettagli, perché i veri punti forti di
1) Il prof. Marunami illustra i cambiamenti dell’atmosfera terrestre. 2) Un branco di myutio minaccia Hayami e la “Occhi Rossi”. 3) Ma il muska senziente intercede in loro favore.
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1) e 2) Il muska senziente si sacrifica per riportare Hayami a bordo del Blue 6; il sottomarino, infatti, credendolo un nemico, lo silura 3) Hayami e Kino sbarcano nella verde Stream Base.
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questa serie sono altri: la spettacolarità, come anticipato, e l’atmosfera. L’opera originaria del disegnatore SATORU OZAWA è uno shonen manga, un fumetto dedicato a un pubblico maschile di bambini o adolescenti; è stato quindi molto prezioso il lavoro di adattamento da parte del regista, MAHIRO MAEDA, che ne ha tratto un anime meno ingenuo riferito a spettatori decisamente più adulti, rivisitando sia il primo manga degli anni 60 che Shin ao no roku go, il nuovo, realizzato sempre da Ozawa in contemporanea con la lavorazione degli OVA. Dal lato tecnico, gli splendidi colori, accesi e brillanti, creano un suggestivo gioco di contrasti nelle ambientazioni. Si rincorrono infatti i cieli tersi e i tramonti infuocati a illuminare la decadenza delle città semisommerse, o i mari azzurri e liberi nei quali cavitano gli angusti scafi dei sommergibili, o ancora le giungle rigogliose della Stream Base (novella “Isola del dr. Moreau”) nascoste dalle cupe nebbie della spiaggia. L’animazione è molto fluida, e il design dei personaggi (RANGE MURATA per gli umani, e TAKUHITO KUSANAGI per gli ibridi) elegante e delicato. La parte da leone la fanno come accennato gli “effetti speciali”, e determinante è il ruolo autonomo e creativo di SUSUMU FUKUSHI e di AKIRA SUZUKI alla direzione della grafica computerizzata. I protagonisti ai quali è dedicato un certo approfondimento psicologico sono i quattro principali (Hayami, Kino, Zorndyke e Berg), gli altri restano comprimari o semplici comparse. Ma la misura è adeguata, perché in una serie OVA di soli 150 minuti complessivi una sovrabbondanza di caratterizzazioni avrebbe generato più che altro confusione. Peccato solo per il personaggio di Katsuma, che sembrerebbe ideato per sostenere un ruolo importante, ma che in ultima analisi viene invece relegato a una breve apparizione. Nel mulinello delle scene d’azione se ne inseriscono alcune più riflessive e drammatiche, ben costruite e di grande effetto; vale la pena ricordare quella in cui Hayami restituisce la myutio “occhi rossi” al mare, e
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la sequenza del Muska senziente che, dopo aver salvato Hayami ed essere stato ripagato col siluramento da parte dell’ignaro N. 6, muore inabissandosi nell’oceano rosso del suo sangue. Esiste una morale antimilitarista e antirazzista che si sviluppa in queste e in diverse altre scene, soffusa ma tenace lungo tutta l’opera. Racchiude una constatazione di filosofico cinismo purtroppo attuale e destinata a restarlo chissà ancora per quanto: quando la guerra ha ormai accumulato un tale retaggio di odio e rancore da rendere superflui torti o ragioni e incompatibili fra loro i contendenti, parlare di pace perde semplicemente significato. I conflitti, pare ammonire questa serie, tendono a “elevarsi” a uno stato “perfetto”, autoalimentato, orientandosi verso un punto di non ritorno oltrepassato il quale divengono irreversibili. E allora l’unico modo per chiuderli è che qualcuno, chiunque, li vinca (o li perda). Il concetto aberrante si sintetizza in modo esplicito nelle inquietanti parole di Iga, il comandante del Blue Submarine: “La brama reciproca di sangue è troppa ormai, ci rimane una sola via, o noi o loro.” In conclusione, si tratta di un anime costruito molto sull’impatto visivo, che alterna ritmi da videogame a momenti più posati e “cerebrali”, non del tutto risolto nella trama ma interessante in rapporto alle finalità tecniche che si proponeva. A confronto con anime più recenti, specialmente cinematografici, potrà forse far storcere il naso l’integrazione ancora sofferta tra 2D, 3D e disegni presenti in Blue Submarine no. 6, ma occorre riconoscere a questa serie una funzione di precursore, pur con i suoi difetti (alcuni dei quali, però, per essere obiettivi fino in fondo, con un po’ più di attenzione e criterio avrebbero potuto essere eliminati).
* MASSIMO “DEFA” DE FAVERI
1) e 2) In cima a un promontorio, Zorndike risponde alle accuse di Hayami e Kino, e mostra il petto senza più il cuore. 3) Confronto finale tra Hayami e Berg.
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Tetsu Hayami
Mayumi Kino
Tokuhiro Iga
Jung Zorndyke
Berg
Myutio “occhi rossi”
Amm. N’GDull Gilford
Katsuma Nonaka
Comandante del Narushio
Prof. Heihachi Marunami
Cydra Deadson
Yuri Hayakovski
Mei Ling Huang
Frieda Velasco
Koichi Nakamura
Makio Yamada
Yoko Gusk
Myong Hea Yun
Akihiro Okawa
Hugh W. Cornwell
Tutte le immagini presenti in questo articolo sono
© SATORU OZAWA/BANDAI VISUAL CO., LTD. - TOSHIBA EMI LTD. - GONZO
Jean Jacques Bernard
Alessandro David Cekeros
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Figlia di Zorndyke
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SCHEDA TECNICA TITOLO ORIGINALE: “Ao no roku go” 青の6号 ANNO: 1998-2000 PROGETTO: Kazumi Kawashiro, Kazumi Harasawa REGIA GENERALE: Mahiro Maeda REGIA: Koichi Chigira SCENEGGIATURA: Hiroshi Yamaguchi DAL FUMETTO DI: Satoru Ozawa CHARACTER DESIGN ORIGINALE: Range Murata, Takuhito Kusanagi CHARACTER DESIGN: Toshiharu Murata, Koichi Arai, Takeshi Honda MECHA DESIGN: Shoji Kawamori, Takuhito Kusanagi, Mahiro Maeda, Ikuto Yamahita, Seiji Kio, Kanetake Ebikawa, Range Murata STORYBOARD: Mahiro Maeda (#1, 2, 4), Koichi Chigira (#2), Kazuya Tsurumaki (#3) DIREZIONE CG 2D: Susumu Fukushi DIREZIONE CG 3D: Akira Suzuki DIREZIONE DEI FONDALI: Yota Tsuruoka (#1), Masanori Kikuchi (#2, 3, 4) DIREZIONE DEL SUONO: Yota Tsuruoka (#2, 3, 4) COORDINATRICE VIDEO: Eriko Murata DIREZIONE ANIMAZIONI: Toshiharu Murata (#1), Koichi Arai (#2), Takeshi Honda (#3) MUSICHE: THE THRILL SIGLA FINALE: “Minasoko Ni Nemure” (Dormite tutti lì); composta e cantata da: Yukarie PRODUTTORI ESECUTIVE: Shigeru Watanabe, Fuminori Shishido, Shoji Murahama PRODUZIONE: BANDAI VISUAL, TOSHIBA - EMI, GONZO © 1998 SATORU OZAWA / BANDAI VISUAL - TOSHIBA - EMI - GONZO © 2000/2004 DYNAMIC ITALIA per la versione italiana
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COWBOY BEBOP Introduzione.
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filano varchi in cui raggiungono la velocità della luce. È questo l’incipit di Cowboy Bebop, saga di western e ote di un’armonica risuonano ancora nel fantascienza a tempo di blues. 2071 come lungo il Missisippi, mentre astroE “Bebop” è proprio il nome che compare sulla navi che sfrecciano da un pianeta all’altro in- fiancata di una di queste astronavi, in procinto di uscire dal varco e… pagare il casello! A buon diritto Cowboy Bebop occupa un posto di rilievo tra gli anime degli anni ’90, agli occhi dei critici non meno che degli appassionati. Non soltanto per la regia, per la sceneggiatura, per la colonna sonora o i disegni, né per la molteplicità delle mai banali citazioni, quanto piuttosto per l’insieme formato da tutti questi elementi, per il gioco di incastri e accostamenti che formano un’atmosfera unica nel suo genere. La struttura della serie è basata su episodi indipendenti, e la gamma di situazioni e personaggi messi in scena è tra le più vaste, ciononostante l’insieme è coerente (più di quanto possa sembrare ad un primo sguardo) e vari episodi ne rappresentano delle vere e proprie descrizioni in sintesi. A partire dal primo, che funziona un po’ come il trailer di un film, o meglio come un singolo che viene estratto da un disco e anticipato dalle radio: sparatorie nei saloon, bande criminali in guerra tra loro, cittadine dove chi non è troppo vecchio è solo di passaggio, e un anziano sciamano che interroga la polvere di questa frontiera del futuro. Gli ingredienti principali della serie le conferiscono, fin dal primo assaggio, il suo sapore inconfondibile. Per quanto riguarda i personaggi
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COWBOY BEBOP e la trama, ecco come si presenta il protagonista: “Ma io sono già morto – dice Spike con aria annoiata – e anche quella volta era una donna”. È una vecchia storia, dunque, si sa già come va a finire. Non poteva esserci frase migliore per introdurre le peripezie di personaggi in crisi con il loro passato e che vivono in un mondo dove la realtà e l’illusione non sono mai così ben separate e storie e leggende camminano sempre fianco a fianco. Episodio dopo episodio, viene definito un universo che guarda a se stesso con stupore e autoironia. L’opera nel suo complesso doveva in qualche modo essere già chiara nelle intenzioni degli autori, i quali sembrano presto rendersi conto dell’originalità di quanto si andava sviluppando, come ben testimonia la frase che si può leggere a metà del diciottesimo episodio: The bounty hunters who are gathering in spaceship “BEBOP” will play freely without fear of risky things. They must create new dreams and films by breaking traditional styles. The work wich becomes a new genre itself, will be called “Cowboy Bebop”. Esattamente come fecero, nella prima metà degli anni ’40, i musicisti che si ritrovavano la sera in un locale newyorkese ad Harlem: dalle loro ispirate jam sessions il jazz uscì arricchito di un nuovo stile, di una musica che nessuno prima aveva mai ascoltato: il “Bebop”.
La musica.
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’uso della musica è forse la cosa che maggiormente contraddistingue questa serie animata. Altri lavori possono certo contare su colonne sonore altrettanto ricche, ma la sensazione che si ha guardando Cowboy Bebop è che la musica sia come un altro personaggio, e per giunta protagonista. A cominciare dal titolo stesso della serie, che riprende il nome di uno stile jazzistico lanciato tra gli altri da CHARLIE PARKER (citato da Jet in Honky Tonk Women). I temi musicali non sono dei banali accompa-
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Le Canzoni Commentare in dettaglio la colonna sonora meriterebbe le competenze e gli spazi adeguati, ma vorrei lo stesso citare qualche pezzo: • Forever Broke è un blues di chitarra acustica e armonica che accompagna vari momenti di passaggio negli episodi, quasi sempre in relazione al personaggio di Spike (specialmente nel primo e ultimo episodio); • altri bellissimi blues di armonica sono Spokey Doodey e l’indimenticabile Digging my Potato, il lungo e struggente respiro della disperata armonica di Wen in Sympathy for the Devil; • Road to West è un lento malinconico che sottolinea scene drammatiche ma di largo respiro, come il finale del primo episodio o l’attacco al Bebop; • Rush è un pezzo veloce basato sui fiati e le percussioni, che accompagna spesso le scazzottate di Spike e altre scene movimentate; • Elm è un pezzo acustico d’atmosfera, distinto da una voce calda accompagnata da un arpeggio di chitarra e un sottofondo appena accennato; sottolinea scene di caccia dal sapore malinconico come negli episodi Asteroid Blues e Ganymede Elegy; • Too Good, Too Bad è un pezzo molto movimentato eseguito dai soli fiati e batteria, che accompagna spericolate piroette spaziali in Gateway Shuffle e Wild Horses; • Rain si basa sull’atmosfera creata dall’organo per accompagnare (con un testo pure appropriato) le scene nella chiesa di Ballad of Fallen Angels, a cui segue Green Bird, coro di voci che si rincorrono nella scena dei ricordi di Spike;
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ANIME • Live in Baghdad è un pezzo in stile hard rock, dal ritmo veloce e con un suono comunque contaminato, che segna l’atmosfera di Heavy Metal Queen (impossibile chiedere un pezzo veramente “metal” a Cowboy Bebop senza tradirne le premesse, meglio così dunque); • Words that we couldn’t Say è una ballata romantica e triste che compare in Jupiter Jazz, mentre la sigla di coda è qui sostituita da Space Lion, un lento che è anche la colonna sonora portante dell’episodio; • Chicken Bone con il suo ritmo pulsante, i suoi effetti sonori e la sua voce delicata (un mix eterogeneo ma che funziona), dà il tempo (assieme a Mushroom Hunting) alle strampalate imprese di Ed in Mushroom Samba; • Adieu è una delicata ballata pianistica, appena sostenuta dalla batteria, che apre episodi malinconici come Speak like a Child e The Real Folk Blues; • Go Go, Cactus Man è un chiaro riferimento ai pezzi western di ENNIO MORRICONE (autore ben noto in Giappone), con tanto di fischio e scacciapensieri ma con la chitarra al posto della tromba: inutile dirlo, questo pezzo accompagna le peripezie di Andy in Cowboy Funk; • Call me, call me, altra ballata romantica pop-rock, sottolinea in maniera superba le bellissime immagini finali di Hard Luck Woman; • Blue è il pezzo che scorre sui titoli di coda, una canzone tanto intensa quanto le ultime scene dell’anime. • La sigla di testa funziona da vero e proprio manifesto della serie, a partire dall’immagine di Spike che si accende una sigaretta (immagine ricorrente in tutti gli episodi). Silhouette dei personaggi si muovono danzando frenetiche sulle veloci note di Tank, mentre disegni delle navette e delle armi scorrono sul contrasto di colori vivaci e sfondo nero. • Al contrario, la sigla di coda è fatta di immagini statiche, nelle tonalità tenui del blu e del grigio, con penombre e luci soffuse. La storia dei giorni felici di Spike e Julia scorre sul ritmo sostenuto e sulle parole malinconiche di The Real Folk Blues.
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Serie tv gnamenti, ma concorrono alla capacità espressiva degli episodi tanto quanto i colori, o i dialoghi. Non a caso compaiono due personaggi musicisti (Wen, il terribile virtuoso dell’armonica, e Glen, sassofonista), e molte volte si gioca sui vari significati della parola “blue”, nella sua variante “blues”: un colore, uno stile di musica ma anche uno stato d’animo; così ad esempio abbiamo il “Blue Harp”, il “Blue Crow” e via dicendo, pure Spike è quasi sempre visto in tenuta blu. Come l’universo dei personaggi è vasto e variegato, così sono i temi musicali, che riproducono tutta la gamma di tonalità dei colori o dei dialoghi: infatti si passa da brani lenti a pezzi ritmati, da ballate malinconiche a singoli più veloci e orecchiabili. I cambi di tempo e stile nella narrazione si fondono con il ritmo variabile della musica, che copre all’incirca i generi dal jazz, al blues, al country, al pop e al funk, spesso contaminandoli. I pezzi sono composti e arrangiati da YOKO KANNO (Macross Plus, Escaflowne, Wolf’s Rain), ed eseguiti dai Seatbelts (di cui la Kanno è produttrice, arrangiatrice e tastierista). L’interprete che canta la maggior parte delle canzoni è MAI YAMANE. I Seatbelts sono una jazzband dalla line-up variabile, composta da musicisti di vari paesi, che spaziano come già detto sulle varianti del Jazz. Per ribadire il ruolo centrale della musica in questo anime basterà ricordare che i titoli degli episodi sono spesso tratti (o comunque sempre ispirati) dal mondo musicale: Honky Tonk Women, Sympathy for the Devil e Wild Horses sono pezzi rock-blues dei Rolling Stones (l’ultima una ballata acustica) e Jamming with Edward un disco blues sempre degli Stones. Il resto spazia dagli AEROSMITH di Toys int the Attic al jazz di HERBIE HANCOCK in Speak like a Child, dai QUEEN di Bohemien Rhapsody al classico My Funny Velentine di CHET BAKER (suonato tra gli altri anche da KEITH JARRET), infine Hard Luck Woman, un pezzo pop-rock ripreso da vari interpeti in stili diversi (è stato eseguito pure dai KISS).
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COWBOY BEBOP Altre note tecniche.
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er quanto riguarda il disegno dei personaggi, il lavoro è senz’altro di alto livello. La figura di Spike riprende in qualche modo quella di Lupin III, con la cravatta perennemente annodata e il suo incedere dinoccolato a mani in tasca. Il disegno delle astronavi (e il mechanical design in generale) deve qualcosa alla saga di Guerre Stellari per quanto riguarda lo “Swordfish” e mostra la sua accuratezza nella riproduzione dello shuttle; accuratezza che si trova pure nel disegno delle armi: le pistole di Jet, Spike e Faye sono tutte fedeli riproduzioni di modelli realmente esistenti (gli interessati troveranno una messe di informazioni sul web). Ma ancora più importanti sono le ricostruzioni degli ambienti. Gli interni sono dei generi più vari: dagli eleganti casinò, ad una chiesa in rovina, ai bar; tutti descritti con cura nei particolari (come la casa di Glen per esempio) e popolati dai personaggi che meglio li caratterizzano. Naturalmente l’ambiente interno che compare più spesso è quello del Bebop, soprattutto il suo spazio centrale ripreso di volta in volta da varie angolazioni. In Toys in the Attic gli interni dell’astronave diventano poi i veri protagonisti dell’episodio, trasformati in un labirinto di spazi oscuri e insidiosi, ancora inesplorati. Gli ambienti esterni variano dalle lande desolate dei pianeti alle loro caotiche città e soprattutto al cielo in tutta la sua immensità. La cosa che colpisce maggiormente degli ambienti interni o esterni sono le colorazioni, scelte in modo da essere sempre intonate alle scene e alla storia dell’episodio. Si va dal blu brillante dei cieli diurni al rosso intenso dei tramonti, dalla terra bruciata dei deserti al nero dello spazio profondo. Oppure le tonalità passano da
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vivaci a tenui, dense di luce soffusa come alla fine di Waltz for Venus, o grigie di neve e pioggia come in Jupiter Jazz e The Real Folk Blues. L’ottimo lavoro grafico è messo in risalto da una regia sempre attenta. I primi piani non sono molti, ma per questo più intensi, e i campi lunghi regalano visioni d’insieme molto belle. Gli scorci delle città e degli interni sono sempre efficaci nel creare le atmosfere giuste, un esempio su tutti la resa degli ambienti in Pierrot le Fou. In Cowboy Bebop si fa anche largo uso di prospettive inusuali quasi a volere ottenere scenari diversi a partire dagli stessi luoghi, ad esempio la sala centrale del Bebop è vista di volta in volta dalla scala d’accesso, dalla cucina di Jet, dal basso attraverso gli occhi
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di Spike sdraiato sul divano o dall’alto attraverso le pale del ventilatore. Non sono neanche rare le inquadrature dei personaggi ottenute a distanza, come per Spike e il Pierrot al momento del loro incontro; o viceversa inquadrature molto ravvicinate che danno origine a prospettive aberrate, come nelle immagini di Faye sdraiata sotto il sole in Ganymede Elegy e nella vasca da bagno in Toys in the Attic. Allo stesso modo la regia riesce a gestire altrettanto bene sia tempi brevi richiesti dagli episodi singoli, che quelli lunghi su cui si sviluppano i protagonisti e la storia principale, variando i ritmi al tempo della colonna sonora. L’uso della grafica tridimensionale sostiene le animazioni soprattutto nelle scene in cui le astronavi
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05 #01 ASTEROID BLUES. 1) il gate, 2) saloon “di frontiera”, 3) Asimov e Katerina fuggono in cerca di un futuro. #02 STRAY DOG STRUT. 4) Jet Black, 5) il gestore del “Animal Tresor” apre la valigetta con dentro Ein.
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COWBOY BEBOP giungono sui vari pianeti, integrando i disegni al punto giusto e senza eccessi. La sceneggiatura tiene il passo, forse non è proprio il fiore all’occhiello della serie ma solo perché la musica e lo sviluppo dei personaggi s’impongono prepotentemente sulla scena. Dai dialoghi più intensi dei momenti cruciali, alle spensierate filastrocche senza senso di Ed, dal confuso bla-bla della televisione al delirio visionario di Londes, è difficile trovare una battuta fuori posto (forse le frasi di Vicious sono un po’ troppo sostenute rispetto al tono generale, anche se caratterizzano bene il personaggio). Bellissima la scena di Jet che parla con Ein come se fosse un uomo, ringraziandolo per avere messo a tacere la petulante Faye in Wild Horses. Nota: alla fine di ogni episodio compare la frase di commiato “See you space Cowboy”, le poche frasi differenti sono specificate.
Session 01: Asteroid Blues.
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bordo del Bebop ci sono due cacciatori di taglie: Jet, alle prese con la magra cena e con gli avvisi dei ricercati, e Spike, impegnato a sgranchirsi i muscoli. E fischiettando un’aria malinconica il nostro cowboy delle stelle sale a cavallo, su una navetta chiamata “Swordfish”, sulle tracce del criminale di turno. Questo losco individuo è in procinto di vendere una grossa partita di droga, per rifarsi una vita su Marte assieme alla sua compagna. Ma è l’ora del duello: Spike, in divisa da pistolero con poncho e sombrero, si para davanti al cattivo; quella che segue è una scazzottata a ritmo di jazz, altro marchio inconfondibile dell’anime, prima del classico inseguimento e del tragico epilogo.
Session 02: Stray Dog Strut.
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ntra in scena un nuovo personaggio, che prenderà dimora stabile sull’astronave di Jet: un ca-
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Il mito della Frontiera “Ora potremo lasciarci finalmente alle spalle questa terra dimenticata. Su Marte noi potremo essere felici”: questa frase l’abbiamo sentita molte volte nei western, se al posto di Marte mettiamo l’Ovest, o il Messico, o la California. È quello che si potrebbe chiamare “il mito della frontiera”. Un posto lontano da quello in cui si vive, un posto dove il passato non conta, un posto dove tutti hanno la possibilità di essere felici, il posto che inseguono i disperati come Asimov e la sua compagna, e tanti altri personaggi di questa serie. Fuggire, a rischio della vita, per inseguire un sogno e una promessa di avvenire. “Noi non andremo su Marte, noi moriremo qui.” Non a tutti è dato di raggiungere la tanto agognata “frontiera”, di liberarsi dalla propria vita e dal proprio passato: un cacciatore di taglie tenace può incrociare la tua strada e costringerti a rinunciare. Se la dura realtà spegne le speranze, la frontiera rimane un mito irraggiungibile, un’idea per cui si spende la vita senza mai arrivare a realizzarla, una meta verso cui molti partono ma pochi arrivano. Ci sono poi altri per cui quello della frontiera è un mito del passato, un racconto, un ricordo di qualcosa che non c’è più. I vecchi seduti al tavolo che spendono inutilmente i loro ultimi anni parlano continuamente dei giorni in cui costruivano i varchi spaziali e dissodavano i pianeti ancora disabitati, dei giorni in cui i pionieri costruivano con le loro mani un mondo nuovo, giorni in cui vecchi disillusi e rimbambiti erano lavoratori instancabili alla frontiera. Un mondo passato, a cui è subentrata una civiltà corrotta, un mondo la cui eco è rimasta nelle chiacchie-
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ANIME re senza senso di tre vecchi brontoloni. E infine c’è la frontiera di chi è ancora in viaggio, di chi vivacchia ai margini delle strade, dei criminali e della gente comune, di chi s’inventa la vita nel caos del Sistema Solare colonizzato. Una frontiera che non è né mito né sogno, né luogo da raggiungere né realtà passata, è semplicemente la vita di ogni giorno con le sue gioie e dolori (“È vero che su Marte sono tutti felici? – Quelli che hanno i soldi sì”), frontiera spesso cinica e vissuta a stomaco vuoto. Quella del mito è la frontiera che Spike contempla da dietro l’oblò del Bebop, in cui è sempre il riflesso della sua faccia a restituire lo sguardo della frontiera reale, fatta di una mezza sigaretta e una misera cena. Ma esiste davvero questo posto, questa “frontiera”? Uno dei temi portanti di Cowboy Bebop (della serie televisiva come del lungometraggio) è il passaggio da realtà a illusione a seconda del punto di vista adottato. L’astronave che entra nel gate viaggia in un iperspazio fatto di luce e velocità, ma il mondo “reale” è fatto di caselli e pedaggi. E il primo “cattivo” della serie, Asimov (omaggio al padre della fantascienza moderna?), vive in un mondo stravolto, un mondo di violenza del colore del sangue, un mondo artefatto ottenuto direttamente “drogandosi”. Proprio sulle fiale della potente droga, ribattezzata “succo di pomodoro” questo tragico criminale fonda la sua speranza di fuga, il suo sogno della frontiera. Ma il mondo che sogna di raggiungere è tanto diverso da quello reale, e da quello verso cui sta andando, quanto uno stupefacente lo è dal pomodoro; la sua compagna non porta in grembo una nuova vita, ma una realtà diversa dalle tinte fosche della morte, la speranza in un altro futuro è ingannata tanto quanto gli occhi di Asimov coperti di collirio. E anche la frontiera di cui parlano i vecchi sfaccendati molto probabilmente non è mai esistita. Un orizzonte ideale verso cui fuggire esisteva allora come adesso, ma è sempre stato fatto di duro lavoro e fatiche mai ripagate; ciò che invece sopravvive nei racconti dei tre brontoloni è il rimpianto dei loro giorni migliori, l’invenzione di un mito inafferrabile posto in un passato immaginario. In una scena del lungometraggio, Jet e un suo ex-collega discutono della corruzione dilagante ai vertici della polizia, mentre davanti a loro, sullo schermo di un drive-in semideserto, scorrono le immagini in bianco e nero di un vecchio western, un mondo in cui i buoni affrontavano i cattivi a viso aperto, e lo sceriffo faceva giustizia a colpi di pistola. Un mondo perduto, un mondo mai esistito.
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gnolino di nome Ein. Il ladro di turno lo ha sottratto ad un laboratorio di ricerca che usava l’animale come cavia, e dopo un rocambolesco inseguimento Spike si ritrova in mano il cane anziché la taglia (cosa che capiterà spesso nel corso degli episodi). In questa puntata compare anche un’altra presenza fissa della serie, ovvero il buffo notiziario degli avvisi di taglia “Big Shot - for the bounty hunters”, che sulle note di un saltellante banjo aggiorna quotidianamente i cacciatori sulle taglie più ghiotte in circolazione.
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d ecco l’affascinante e sensuale Faye Valentine, che ammicca da dietro gli occhiali scuri, tra il fumo di un sigaro e di una mitraglietta. Indebitata con il padrone di un casinò, viene costretta a lavorare come croupier in una sala da gioco spaziale. Qui la raggiungono Spike e Jet, anche loro in cerca di fortuna in uno dei luoghi comuni dell’epopea western, pianobar in sottofondo e un vecchio film sui “veri samurai” del bel tempo che fu. Mentre Jet accumula gettoni in santa pace, Spike si mette nei guai con Faye e prende a pugni qualche buttafuori (in questi momenti non può non tornare alla mente la coppia Spencer-Hill), venendo casualmente in possesso di una fiche contenente un microchip che
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#03 HONKY TONK WOMEN. 6) Faye Valentine croupier al casinò. 7) Faye catturata da Jet e Spike. 8) Spike e la fiche “milionaria”. #04 GATEWAY SHUFFLE. 9) Spike gioca col virus.
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“Io vivo in un sogno da cui non riesco a svegliarmi”, dice Spike, e in effetti l’intero episodio è come avvolto da un senso di irrealtà, ed è popolato da personaggi che somigliano più a fantasmi che ad esseri umani. Una signora invecchiata troppo presto, che si distrugge con l’alcool, definisce Spike un “cadavere ambulante”, mentre i due parlano di un morto: il cadavere compare accanto a Faye, con il collo orribilmente squarciato, nell’oscurità di un palco dell’opera, la stessa oscurità da cui emerge Vicious, una specie di diavolo venuto dall’inferno con il suo fido uccello presago di sventure. Una mano, quella del cantante, si leva nel buio del teatro, anelante verso una luce che cade dall’alto su di essa sola, lasciando nel buio le anime irredente che siedono in galleria. Lo scontro tra Vicious, il maledetto, e Spike in cerca di vendetta, avviene in una chiesa in vago stile gotico, una chiesa abbandonata, tetra e deserta. Il luogo prescelto per incontrare Dio è diventato una facciata vuota, un monito pietrificato che irride la fallace speranza degli uomini, dove vetrate rosse e azzurre filtrano la luce confondendo il colore del cielo con quello dell’inferno. E nel buio si muovono, appena distinguibili, pistoleri in palandrana nera, finché Spike e Vicious non si ritrovano a tu per tu, spada contro pistola, sotto l’immenso rosone della chiesa: il cerchio perfetto, la porta
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ANIME verso la luce. E da tale altezza cadono entrambi, mentre immagini sghembe di sparatorie, amori e giorni di pioggia, immagini sfuocate della vita passata di Spike, si confondono in una soave ninna nanna. Sembra che il cowboy debba restare sempre in quell’abbraccio, ma al suo risveglio ha in mano il “Black Jack”, la carta di Faye. E proprio Faye appare come l’unica presenza “viva” nel mondo decaduto di questo episodio. È lei con la sua sfacciataggine a rompere il silenzio iniziale tra Spike e Jet; e mentre più tardi Spike prepara l’arsenale per la sua impresa di morte e vendetta, fa capolino dallo schermo riempiendo di parole il laconico scambio di battute tra i due uomini, provocante e incosciente come suo solito. È una presenza esuberante e sensuale, un vero e proprio richiamo alla vita in un mondo di morti. Nell’oscurità della chiesa, tra gli uomini in nero decisi ad uccidere, emerge la sua sinuosa figura, il bianco del suo corpo e il rosso del suo vestito che sfuggono per miracolo a tutte le pallottole. L’irrequietezza di Faye risalta per contrasto se confrontata con l’apatia di Spike, la presenza concreta della sua femminilità stride accanto all’indifferenza con cui lui sfoglia indolente una rivista per adulti.
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il padrone del casinò avrebbe pagato a caro prezzo. Big Shot non fa in tempo a trasmettere la notizia della taglia esistente su Faye, che i due cowboy si scontrano con quelli del locale, mentre la bella zingara vagabonda fugge via a bordo della sua navetta. Easy come, easy go…
Session 04: Gateway Shuffle.
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aye si riunisce al gruppo del Bebop, comodamente ammanettata ad una scaletta, mentre Jet e Spike catturano la leader di un gruppo di ecoterroristi, che ricattano il governo di Ganimede (una delle lune di Giove) minacciando di spargere un virus che trasforma gli uomini in scimmie. I due sono costretti a rilasciarla, ma solo per gettarsi nuovamente sulla preda quando l’organizzazione sparge il virus da un’astronave nascosta nell’iperspazio. Il gate viene così sigillato, e il virus sparso accidentalmente tra i terroristi: rimane un universo parallelo popolato da scimmie.
Session 05: Ballad of Fallen Angels.
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l capo di un clan criminale viene ucciso nel corso di una faida interna, e morendo chiama il nome
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COWBOY BEBOP Il gioco dei contrasti # 06
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10) Lo “Swordfish” in azione. #05 BALLAD OF FALLEN ANGELS. 11) Faye Valentine catturata al concerto. 12) Faye liberata dall’intervento di Spike. 13) Spike e Viciuos combattono ferendosi a vicenda.
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“Ho rubato l’anima e la fiducia di molti uomini” cantavano i Rolling Stones nella canzone che dà il titolo all’episodio, e il verso ben si adatta al bambino demoniaco che sfrutta i suoi “padri”. “Non lasciarti ingannare dalle apparenze”: questo è un episodio di contrasti. Faye costretta a mangiare il cibo per cani mentre un cacciatore di taglie obeso s’ingozza di dolci, criminali che lottano per riscattarsi e “bimbi” che uccidono a sangue freddo, occhi d’angelo sullo sfondo del fuoco dell’inferno, musica celestiale, in grado di fare sognare (il Blues è la “musica dell’anima”), suonata da un assassino senza cuore. E la dicotomia si risolve e si ribalta nel finale: l’anima nera che abitava in un corpo leggiadro si trasforma e vola via, libera come le note dell’armonica, da un corpo divenuto all’improvviso stanco e rinsecchito. Un’armonica da cui Spike non trae che un soffio di aria, quasi come se la musica che ne usciva fosse in realtà il tormentato spirito del musicista sospeso tra il cielo e l’inferno. Nel blues di questo episodio ritroviamo, riassunto e al tempo stesso esteso, il tema della frontiera: “Quando l’uomo abbandonò le sabbiose pianure del pianeta Terra, quel giorno io ero già lì a guardarlo”. C’era un tempo in cui il Sistema Solare era la “frontiera” inesplorata, vergine, verso cui si emigrava in cerca di fortuna e in cui tutto era da costruire. Questa frase ci riporta ad almeno due episodi delle Cronache Marziane di R. BRADBURY: nell’uno, due donne emigranti sognano i razzi spaziali paragonati ai vecchi carri coperti dei cowboy, nell’altro dei lavoratori di colore si incamminano verso il loro razzo per andare incontro alla libertà, al suono dei loro spirituals, dei loro blues (esiste pure un racconto di Bradbury che parla di un bambino che non invecchia mai e passa ospite da una famiglia all’altra). E l’ultima frontiera altro non è se non lo “spazio a differenza di fase”, l’universo parallelo ormai domato da cui proviene la maledizione del ragazzo.
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di Spike. Subito dopo vediamo l’uomo sul computer del Bebop, accanto all’ingente cifra della sua taglia. Il passato di Spike si affaccia così nella nostra storia, preceduto dal ghigno del suo vecchio nemico Vicious e dalla voce stridula di un corvo. Tra i due cowboy c’è un silenzio gelido, ma Faye provvede subito a complicare la situazione, finendo dritta nella tana del lupo. Jet e Spike spendono le prime parole sul loro passato, quando Faye svela di essere caduta in trappola e Spike viene così a conoscenza del luogo in cui si trova Vicious; ma la resa dei conti deve essere rimandata.
Session 06: Simpathy for the Devil. 16
14) Preoccupato, Jet cura i suoi bonsai. 15) Spike precipita dal rosone della chiesa. #06 SYMPATHY FOR THE DEVIL. 16) Wen si esibisce in uno dei suoi concerti. 17) La pallottola di Spike centra Wen in piena fronte.
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attoni rossi, un bicchiere, le struggenti note di un’armonica… Siamo al “Blues Harp”, il locale favorito di Jet. Chi ascolta la musica, Spike, vive in un limbo di incubi ad occhi aperti; chi suona, un ragazzino dal viso angelico chiamato Wen, è un’altra anima perduta che viene da un mondo simile: ha tanti giorni e tanta violenza alle spalle da essere nauseato della vita. Verdi gli occhi del bambino, verde il prato della Terra in cui suonò per la prima volta l’armonica, verde la strana luce che lo investì dallo spazio, trasformando la prateria in un deserto pietroso e il piccolo angelo in un demonio, che fissa lo sguardo gelido
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COWBOY BEBOP nella metà oscura dell’universo. E solo un altro mezzo fantasma come Spike, aiutato da uno strano minerale, può rendergli la pace.
Session 07: Heavy Metal Queen.
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tavolta per le autostrade dello spazio vediamo scorrazzare i camionisti del futuro, a bordo dei loro variopinti articolati, e dalle note del blues passiamo a quelle del metal. Sulle tracce di uno di questi trasportatori, su cui pende una taglia, Spike e Faye s’imbattono in una donna-camionista che tiene nascosto a tutti il suo vero nome, e che si unisce a loro nella caccia. Camionisti e cacciatori di taglie, gente solidale e gente in competizione, ma anche strano matrimonio che a volte può funzionare.
Session 08: Waltz for Venus.
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enere è un pianeta di cieli colore dell’oro, di piante rigogliose e di cupole orientali. Qui Spike incontra Rocco, un ragazzo che rimane ammirato dal suo modo di combattere, e che sta rischiando la vita per guarire sua sorella Stella dalla cecità causatale dalla vegetazione del pianeta. Mentre Faye insegue la nuova preda nei bassifondi della città, Spike rimane coinvolto nel tentativo di Rocco di rubare una preziosa pianta al capo della sua banda. Cosa hanno in comune questo giovanotto incosciente e il disincantato cacciatore di taglie? Qualcosa di difficile a vedersi, qualcosa che può essere meglio colto solo da una ragazza cieca, qualcosa di puro in fondo al cuore. E per quanto Spike sia scettico al riguardo, sentendo tutta l’amarezza di una vita di violenza, non rimane insensibile di fronte al sacrificio di Rocco per la sorella. Stella vive all’interno della carcassa di un vecchio shuttle, una navetta usata dalle prime spedizioni che giunsero a colonizzare il pianeta Venere; passa il tempo ricamando dei fazzoletti con ago e
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La solitudine è una brutta bestia # 09
Come dice Spike nel corso dell’episodio, forse anche Ed si sentiva sola e per questo si è scelta dei compagni di viaggio. La Terra che ci viene mostrata è un pianeta desertico, continuamente bombardata da frammenti lunari che piovono su di essa fin dai tempi dell’incidente al gate. La gente rimasta si è trasferita in colonie sotterranee, dove comunica prevalentemente per via informatica. Un pianeta dai “souvenir inutili”, che conserva la vita al suo interno, come se si fosse ritirato su se stesso dopo aver colonizzato il Sistema Solare. Visto da fuori, sembra un pianeta isolato, popolato da gente di cui non si sa niente (“un moccioso ciccione alto due metri, ex giocatore di basket” e hacker per giunta!), ritiratasi sotto la superficie inospitale, insomma un luogo adatto ad essere popolato dagli “extra-terrestri” (“un extraterrestre dell’altra sponda”). Il pianeta del passato vive ancora nella memoria del satellite spia ribattezzato “N+”. Il programma di controllo del satellite viene visualizzato da Ed in forma simile ai neuroni del cervello, come a sottolineare il fatto che è in grado di elaborare ciò che vede e prendere decisioni da solo. Triste per la sua solitudine, questo programma decide di rivedere sulla Terra i disegni di un tempo. Di fatto, lancia un segnale per comunicare, e grazie a questo viene in contatto con Ed. Agli inizi dell’episodio, una trasmissione televisiva rilancia la domanda sull’esistenza degli extraterrestri a cui l’esplorazione del Sistema Solare non ha ancora dato risposta. La storia del satellite pone il quesito in termini di solitudine e di comunicazione: N+ ha visto i disegni
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ANIME e li ha interpretati come un messaggio, messaggio che restituisce per comunicare con qualcuno, come a dire che i disegni potrebbero essere stati eseguiti indifferentemente da esseri extraterrestri o da Terrestri; ciò che conta è che chi li ha lasciati lo ha fatto per cercare qualcun altro, per superare la solitudine. Solitudine che gli esseri umani non hanno ancora vinto, nemmeno con l’allargarsi del loro orizzonte, come ben testimoniano diverse battute nell’episodio. Ma questo bisogno può essere provato anche da altri all’infuori di Ed, ovvero da N+. E infatti è di nuovo la televisione, sul finire dell’episodio, a spostare la questione degli extraterrestri su un altro terreno, quello della definizione stessa di una forma di vita “autonoma” alternativa a quella terrestre. Il satellite che si sente solo e comunica è “vivo”? E questa “vita” cos’è? La pista indicata per cercare la risposta non è quella dell’origine dell’essere “vivente” (biologica, bio-meccanica, etc.), ma piuttosto del suo grado di comunicazione con gli altri: quando Ed battezza il satellite N+, dandogli un nome, in un certo senso lo rende vivo.
Introspezione, ovvero personaggi in cerca di una casa # 13
La prima parte dell’episodio è caratterizzata da poche scene di azione, ma da una serie di immagini e battute che riescono in modo sorprendente a restituire il profilo dei personaggi sullo sfondo di un’atmosfera a tratti torbida, a tratti aspra, e sempre affascinante. Si parte dal diverbio tra Spike e Jet (come sempre quando Spike si mette sulle tracce del suo passato), che termina con un vero e proprio monologo in cui Jet offre una grande prova d’attore (se è lecito parlare in questi termini), affrontando il tema dell’incomprensibilità dei sentimenti umani e della difficoltà nel conoscere un’altra persona, aggiungendo l’ultimo tocco al suo personaggio. E infatti poco dopo l’ex-poliziotto verrà scambiato per un ricercato, e il suo universo rimesso in discussione un’altra volta. Vicious si identifica a sua volta, calandosi nei panni del perfetto cattivo. Spietato, cinico e ambizioso, sono i sui stessi capi a bollarlo come un “serpente”.
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Serie tv filo, prende il tè in eleganti tazzine, suo fratello le ha regalato un carillon meccanico: il ritratto di un mondo passato, che non esiste più, che quasi non si vuole aprire verso l’esterno perché comunque in quel mondo non manca il calore dell’affetto delle altre persone.
Session 09: Jamming with Edward.
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a squadra del Bebop acquista l’ultimo componente, Edward, una ragazzina dal passato incerto in grado di fare magie con il computer; o, per essere più corretti, è Ed a rintracciare il Bebop e a farsi prendere a bordo. Un altro personaggio dai contorni ambigui: anzitutto per quanto riguarda il suo sesso (che forse non sarebbe così bene identificabile se non fosse esplicitamente dichiarato), poi perché spesso parla ripetendo le cose che gli vengono dette, perché si muove danzando o facendo esercizi di contorsionismo e sembra che passi più tempo immersa nel mare delle connessioni informatiche che nel mondo “reale” (è spesso inquadrata con indosso i suoi occhiali da realtà virtuale). L’occasione dell’incontro è data dal contatto di Ed con un satellite che, rielaborando autonomamente i dati in memoria, usa il suo raggio laser per disegnare incisioni sulla superficie terrestre. I disegni sono quelli oggi esistenti nell’America del Sud, ed è proprio in quest’area che vengono ridisegnati (si immagina che nel futuro tali disegni siano andati perduti). Una nota sul “jamming”: è un’azione di disturbo sulle telecomunicazioni, come avviene tra Ed, il satellite, il Bebop e la polizia. Ma la jam-session è anche, nel gergo musicale, un momento in cui musicisti di diverse band (anche con strumenti diversi) danno vita momentaneamente ad un complesso nuovo, a volte sfidandosi, come accadeva agli albori del Bebop: paragone opportuno quindi, nell’episodio in cui Ed si mette in comunicazione col satellite e con il Bebop e poi sale a bordo di quest’ultimo, diventando un membro della “band”.
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COWBOY BEBOP Session 10: Ganymede Elegy.
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l passato di Jet riaffiora mentre il Bebop si avvicina a Ganimede, il suo luogo natale, riportando alla luce i capelli bianchi di un ex-collega della polizia e il nome della donna che Jet amava: Alisa. Pescatori che rammendano le reti sulle barche, le grida dei gabbiani: anche qui un mondo che non c’è più, uno scorcio di passato riprodotto nel futuro. E in effetti il tempo su Ganimede è fermo, come le lancette dell’orologio che Jet conserva da quando se ne andò in preda allo sconforto. Alla malinconia di Jet nel ritrovare il vecchio amore fanno da contrasto lo splendore del sole e l’azzurro del cielo e del mare; ai suoi rimorsi il pragmatismo di Spike e il cinismo di Faye, sfolgorante di bellezza specie se confrontata con la dimessa barista (nonostante in fondo siano entrambe piene di debiti). Un’altra coppia in fuga, stavolta inseguita da Jet (splendidi gli inseguimenti e le capriole delle navette) “Black Dog, il mastino che azzanna e non molla la preda”, che si assume tutta la responsabilità di fare i conti con una metà del proprio passato, quella che riguarda la sua vita privata. Nel vano tentativo di fermarlo, Alisa svela a Jet i motivi che la spinsero a lasciarlo e lui, nel dirle definitivamente addio, si assicura che il suo futuro continui a scorrere.
Session 11: Toys in the Attic.
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alma piatta sul Bebop: Spike gioca con la fiamma ossidrica e Faye imbroglia Jet ai dadi. Ma una misteriosa creatura striscia non vista per gli angoli più remoti dell’astronave e attacca i membri dell’equipaggio, uno alla volta, causando loro una strana ferita. Mentre Jet ingurgita tisane nauseabonde e Spike cerca di capirci qualcosa, Ed evoca divertita “il terrore dallo spazio profondo” e promette di difendersi con la sua “spada laser”. Insomma, un episodio costruito su citazioni (Alien) e tenuto comunque in piedi da una sapiente regia.
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In quanto a Faye, le immagini ce la restituiscono intenta in una sorta di gioco di seduzione: conscia del proprio fascino, è ben lieta di disprezzare la marmaglia del pianeta, mentre s’impegna a fondo per avere Glen ai suoi piedi. In una città popolata solo da uomini, il suo orgoglio non può tollerare che l’unico tra loro bello e gentile non provi desiderio per lei, e così comincia a provocarlo fin dal primo momento, con le parole e con i gesti. È proprio Glen, invece, a mostrare il suo dominio su Faye (pur senza approfittarne), mettendola di fronte a ciò che si agita nel suo animo, ovvero tanta reticenza a fidarsi delle altre persone per paura di essere tradita. E nel momento in cui Faye lo assale armata, mentre è sotto la doccia, cioè nel momento in cui dovrebbe essere più indifeso e vulnerabile, la soggezione che la ragazza ha di lui si trasforma in vera e propria paura. Insomma, in questo episodio le maschere dietro cui si celano i personaggi cominciano a cadere, lasciando intravedere lati oscuri della loro personalità. La stessa scena su cui si muovono è intrisa di strani contrasti, tra le luci rosse soffuse del jazz-club e la tormenta di neve dell’esterno, in cui si aggirano travestiti e strani banditi incapaci. Un mondo ambiguo e insidioso, fatto di nomi falsi e identità incerte, in cui il banale cliché del western è sospeso nel momento in cui Jet fa spegnere il televisore che trasmette “Big Shot”. La parte più riflessiva e complessa dell’episodio è spezzata dalla battuta di Jet che ritrova Faye a casa di Glen, quando la sottile ambiguità dei dialoghi intessuti finora si trasforma in ironia sulla ricercatezza di certe pratiche erotiche, quasi a sdrammatizzare la stravagan-
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ANIME za di un pianeta popolato da uomini spesso omosessuali. La seconda parte offre una possibile chiave di lettura di questo lungo episodio, posto non a caso proprio al centro della serie: quando Jet propone a Spike di catturare Glen per “tornare a casa” sul Bebop, sappiamo che in realtà Spike cerca le tracce di Julia per tornare ad un’altra casa, il luogo perduto della sua felicità, e le due prospettive vengono a sovrapporsi grazie all’equivoco che dura fin dall’inizio della prima parte, da quando “Julia” ha trasmesso per errore un messaggio al Bebop. La lunga sortita dei cowboy su Callisto, fatta di immagini quasi oniriche e di personaggi dall’identità inafferrabile, in una città di luoghi “blu” (il “Blue Crow”, il “Palazzo blu”, secondo una sinestesia che accosta spazi, musica e colori), è un’anticipazione di quanto verrà sviluppato poi nel finale, ovvero il tentativo dei personaggi di tornare verso la loro “casa”. Casa che viene inseguita sulla sola pista del nome “Julia”, che è di volta in volta lo pseudonimo di Glen, il nome di un brano musicale, quello di un travestito, il nome della donna di Spike; ovvero una traccia multiforme e ingannevole, e che non condurrà dove sperato. Per il momento infatti la casa a cui tornare è il Bebop: la fine dell’episodio mostra Faye adagiata sul divano a leggere una rivista di moda mentre Ed le smalta le unghie, vera e propria incarnazione di femminilità e agio casalingo, mentre Spike atterra sul ponte. Nel finale della serie la casa sarà il luogo del passato di Spike e Faye, ma già da ora la vera meta del ritorno, il vero orizzonte finale dei personaggi è prefigurato quando il cerchio si chiude attorno al fuoco dello sciamano: l’immensità dello spazio, la frontiera in tutta la sua vastità, l’aldilà forse, sono la vera casa dei nostri cowboy erranti. Tutto questo, sommato allo sviluppo del riuscito personaggio di Glen, può essere reso nel breve spazio di quaranta minuti grazie ad una regia in grado d’intrecciare abilmente, qui ancora meglio che in altri episodi, immagini, parole e musica. E forse non è un caso che proprio negli intermezzi di questi due episodi sia posta per la prima volta la frase un po’ autocelebrativa: “L’opera che diventa essa stessa un nuovo genere, sarà chiamata Cowboy Bebop”.
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#07 HEAVY METAL QUEEN. 18) Spike in contatto con V.T. cercando Dekkar. 19) V.T. al comando del suo cargo. 20) Lo “Swordfish” e la “Heavy Metal Queen”. #08 WALTZ FOR VENUS. 21) La “casa” di Rocco e Stella.
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COWBOY BEBOP La tensione sale, e Spike rimane da solo contro il mostro. Infine, i nostri eroi addormentati fluttuano con eleganza sulle note di un valzer, mentre il “mostro” abbandona il Bebop tra piroette e scie luminose. The End
Session 12: Jupiter Jazz I.
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’anziano sciamano recita il commiato per una “triste anima costretta a vagare lontano dai pascoli del Grande Spirito“, un guerriero la cui ultima lacrima solca il volto del cielo come una stella cadente. “Sembriamo degli zombie” è il commento di Spike mentre sta per incontrare una sua vecchia conoscenza: Vicious si reca su Callisto per comprare del Red-Eye, mentre già trama qualcosa contro i capi della sua organizzazione (il Red Dragon). E proprio da Callisto qualcuno contatta il Bebop dietro lo pseudonimo di “Julia”, la donna che Spike non vede da tanto tempo. Callisto è un posto freddo e coperto di ghiaccio, una Siberia con tanto di insegne in caratteri cirillici (la frontiera del “Far East”), popolato soltanto da uomini. Qui si trova pure l’avventata Faye, scappata dal Bebop dopo averne ripulito la cassaforte. La ragazza s’imbatte in Glen, un sassofonista di bell’aspetto e dai modi gentili. Ed è sulle dolci note
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Io chi sono? # 15
Faye Valentine è giunta nell’universo colonizzato direttamente dal XX secolo, un regalo di quell’epoca ormai tramontata tenuto “in fresco” apposta per il Bebop. Un personaggio senza memoria, in questo diametralmente opposto a Spike che vive in un limbo di ricordi interrotti, molto diversa anche da Jet che sembra non avere dubbi su di sé, diversa anche da Ed che è troppo giovane per preoccuparsi del passato. Il suo stesso nome le viene regalato quasi per caso, in omaggio a una canzone. Insomma Faye si risveglia in un mondo che non è il suo, attorniata da oggetti dall’aspetto strano e piena di debiti, ovvero con il futuro già ipotecato. L’unica persona che sembra aiutarla è in realtà uno spudorato bugiardo, un truffatore, e tutto questo episodio si basa su continui cambi di prospettiva, su menzogne svelate, come ben riassume la scena iniziale tra Jet ed Ed: un contenitore che reca la scritta “veleni” contiene in realtà pesci congelati, i quali a loro volta sono effettivamente avariati, nonostante Ed li addenti con gusto. La cinica Faye che sembra compiere un gesto disinteressato, un bugiardo che inventa storie con voce suadente e occhi supplichevoli, poliziotti e dottori che non sono tali, una taglia sbagliata di ben dieci volte da un Jet stranamente distratto, Spike che parla di fiducia nel futuro, e infine Ein con un paio di sopracciglia (finte, naturalmente). Il tema delle domande esistenziali (“Chi sono, da dove vengo, dove vado?”) è appena accennato che già si perde nell’ennesima girandola di rivelazioni fasulle, dove verità e bugie hanno contorni sfumati. Dispersa senza identità in un mondo assurdo, Faye vive come se la sua esistenza non la riguardi, sempre in bilico tra un azzardo e l’altro, sempre sfidando la fortuna e senza mai fidarsi di nessuno, memore del fatto di essere stata tradita. L’arrivo sul Bebop segna però l’inizio di una minima stabilità e di relazioni con altre persone che man mano diventano più importanti, come testimonia ad esempio il dialogo con Jet alla fine di Jupiter Jazz, o il fatto che Spike in questo episodio senta il suo racconto e poi la insegua.
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Serie tv di un sassofono che Faye e Spike incontrano un incubo. To be continued…
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Session 13: Jupiter jazz II.
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ome pure Spike, anche Glen era amico e compagno d’armi di Vicious, prima di essere da lui tradito e cadere in una spirale di droghe e depressione: tre personaggi legati dal nome “Julia”, che risuona nella calda melodia che Vicious ha lasciato a Glen tramite un piccolo carillon. Di nuovo svenuto, Spike sogna del suo passato, e al suo risveglio vede un corvo, venuto lì sperando di beccare la sua carcassa. “Guarda che non sono morto”, dice il cowboy all’animale, parlando in realtà a se stesso. La resa dei conti con Vicious deve ancora una volta essere rimandata, mentre Spike e Glen scoprono un intimo legame tra loro, nell’odio che portano per chi li ha traditi e nell’amore che provano verso chi ha illuminato le loro vite: Julia. Prossimo alla fine, l’ultimo viaggio che Glen vuole compiere è verso Titan, il luogo dove in passato balenò per lui la speranza di avere un amico, e verso quella luna è spinta la sua navetta, ultima dimora del guerriero la cui stella si spegne. Do you have a comrade?
Session 14: Bohemian Rhapsody.
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U 22) Spike si reca dalla sorella di Rocco, e scopre che è cieca. 23) Rocco nei guai, scovato da Piccaro e i suoi scagnozzi. 24) Stella, grazie al sacrificio del fratello può finalmente recuperare la vista.
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na truffa informatica è organizzata ai danni della società che gestisce i gate. La mente del complotto sembra giocare con i nostri cowboy una specie di partita a scacchi: infatti si tratta di Hex, Maestro di scacchi e già programmatore del sistema di controllo dei gate. La sua vendetta contro la società, che lo aveva licenziato senza motivo, arriva con 50 anni di ritardo attraverso dei pezzi da gioco. Mentre Ed sfida Hex sulla scacchiera virtuale, gli altri si mettono sulle sue tracce, finché non lo rintracciano in una strana colonia di barboni e hippies accampati nei pressi di
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COWBOY BEBOP un gate in disuso. Il vecchio Hex ha del tutto perso la memoria, e anche i suoi strani compagni vivono totalmente dimentichi del mondo civile: per loro la vita è tutta uno strano gioco, ferma al capolinea di un’autostrada dimenticata. In Ed il vecchio trova finalmente un avversario all’altezza, e può quindi ripartire per il suo ultimo viaggio.
Session 15: My Funny Valentine.
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n vena di confessioni, Faye si confida con Ein: veniamo a sapere che, vittima di un incidente all’età di 20 anni, è stata ibernata e poi risvegliata all’epoca della nostra storia. Non potendo pagare la tariffa della clinica di ibernazione fugge via, aiutata da un avvocato, Whitney, che la rende felice per qualche tempo, prima di abbandonarla lasciandole in eredità i suoi debiti. Faye lo crede morto a causa sua, ma ora, dopo tre anni, è proprio questo sedicente uomo di legge l’ultimo ricercato sulla lista di Jet: Faye lo rivede sul Bebop e scopre la verità, ma inaspettatamente fugge insieme a lui per ottenere qualche informazione sul suo passato. E invece Faye, la truffatrice, scopre solo di essere stata anche lei vittima di una truffa. Sleeping beast.
Session 16: Black Dog Serenade.
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u una nave-prigione i galeotti si ribellano e uccidono i guardiani: il più pericoloso tra loro è Udai, un killer spietato e infallibile con cui Jet si è già scontrato e, proprio nel tentativo di arrestarlo, ha perso il braccio sinistro. Rintracciato da Fad, un ex-collega, Jet si lascia convincere ad aiutare ancora una volta la polizia. Immagini del passato riemergono nei ricordi dell’ex-poliziotto mentre questi ritorna sulle tracce del suo vecchio nemico (la sfida è tanto importante che Jet affida i suoi bonsai a Ed, la quale non percepisce affatto la gravità del momento e danza spensierata canterellando), e nel-
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Lo sceriffo, il fuoriglegge e il cacciatore di taglie # 16
“È un tipo vecchio stampo, uno di quelli che avrebbero dovuto nascere un secolo fa” dice Jet riferendosi al suo rivale, e l’affermazione s adatta benissimo anche a lui; preda e cacciatore, lupo e cane da caccia, criminale e poliziotto sono uniti dallo stesso destino, finché la resa dei conti non decida chi tra loro debba uscire vincitore e chi vinto. Un po’ come, in un vecchio western, uno sceriffo non ha pace fino a quando non ha avuto ragione del bandito, perché entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro. E ciò non solo per tenere in piedi la finzione narrativa, non solo cioè per fare vivere i personaggi di “buono” e “cattivo” (che in quanto tali hanno bisogno della controparte con cui entrare in conflitto), ma anche e soprattutto perché in questo caso in essi sopravvive un modo di esistere che ormai è andato perduto. Jet e Udai sono i superstiti di una “frontiera” ideale in cui lo sceriffo insegue e cattura il bandito, o comunque si scontra con lui senza inganni, ma vengono divisi nel momento della prima resa dei conti da un tradimento, da un qualcosa che quindi è estraneo a questo modo di concepire la propria missione (buona o cattiva che sia) e che catapulta Jet in un mondo “reale”, un mondo in cui si cerca solo di sopravvivere. In questo mondo l’identità stessa del poliziotto buono entra in crisi, e si trasforma in qualcosa di più ambiguo, nel personaggio del cacciatore di taglie (più simile forse a un irregolare che a un tutore della legge) che non è esente da un certo malessere nel percepire la propria condizione. “Questo braccio è il mio braccio!” dice ancora Jet all’inizio dell’episodio riferendosi al suo arto mec-
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ANIME canico, un braccio che non cerca più vendetta ma dà una mano a vivere in un mondo difficile. Il malessere di Jet nell’avere perso una parte del suo corpo naturale e nell’avere lasciato la polizia è stato come sepolto da anni di vita dura e disillusione, e nella sostituzione della parte biologica con quella meccanica si può in effetti vedere un simbolo della crisi di identità vissuta dal personaggio. Come per Spike, questa crisi non deriva tanto dal cambiamento materiale nel modo di vivere, quanto piuttosto dal fatto che questo cambiamento è stato determinato da un tradimento (reale o supposto), dall’avere perso un amico, un affetto, un ideale in cui credere. D’altronde Jet ammette davanti ad Udai che proprio il suo braccio “smaniava” per regolare il conto una volta per tutte, il vecchio poliziotto voleva rivivere ancora una volta al posto del cacciatore di taglie. Jet e Udai non hanno nemmeno compagni all’altezza dei loro personaggi, anzi sono ambedue affiancati da poliziotti corrotti: l’uno tra i reclusi ribelli, l’altro ancora in servizio e con manie da “pistolero” (e incapace persino di stringere la mano all’ex-collega). Ma riappropriarsi del passato vuol dire, per Jet, fare i conti con il collega che l’ha tradito prima ancora che sconfiggere il suo vecchio rivale, e infatti lo scontro con Udai viene interrotto un’altra volta, e definitivamente, per lasciare spazio al confronto con Fad. Un confronto a cui Fad si presenta con un senso di colpa e una stanchezza che gli derivano dall’essersi sempre sentito inferiore rispetto a Jet, incapace, a differenza di lui, di fare scelte radicali pur di rimanere onesto. Jet, dal canto suo, riconsegna questa triste storia al passato ma senza giudicare, lasciando così cadere per sempre a terra la sua ideale “stella di latta”.
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#09 JAMMING WITH EDWARD. 25) Edward Wong Hau Pepelu Tivrusky 4th. #10 GANYMEDE ELEGY. 26) Jet ritrova la sua vecchia fiamma Alisa. #11 TOYS IN THE ATTIC. 27-28) Faye viene morsa dall’intruso, come Jet.
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COWBOY BEBOP l’affrontarlo definitivamente Jet scopre il vero responsabile della perdita del suo braccio.
Session 17: Mushroom Samba.
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ul Bebop mancano il cibo e la benzina, quando l’astronave viene tamponata e spinta ad atterrare. Il luogo dell’atterraggio di fortuna è un deserto molto simile a quelli del Nordamerica, con tanto di cactus e montagne che ricordano la celebre “Valle della morte”, e in più un cartello che recita esplicitamente: ”sviluppo delle terre a Ovest”; nel vicino paese c’è pure uno strano tizio che cammina trascinandosi dietro una bara, oltre ai soliti tre vecchietti: insomma siamo di nuovo nel Far West più tradizionale e al tempo stesso più strampalato. “A forza di ridere è morto torcendosi le budella!”: l’intero episodio, specie se confrontato con il precedente e il successivo, sembra una sorta di diversivo, uno stacchetto all’insegna dell’humour, con Ed che insegue disperata, ballando e cantando filastrocche, qualcosa da mettere sotto i denti, circondata da personaggi comici e paradossali: il ricercato “giamaicano”, la fatalona, il poliziotto distratto e il damerino con la cassa da morto. Buffo a vedersi, l’equipaggio del Bebop è in preda alle allucinazioni, ma non c’è da stupirsene, visto che siamo in una terra di miraggi. Life is but a dream
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Tracce di un passato, tracce di un personaggio Alla fine di questo episodio, il personaggio di Faye si colora di una luce del tutto nuova. La cinica ladra e accanita giocatrice d’azzardo ci riappare com’era da adolescente, una ragazzina carina e un po’ timida, piena di fiducia nell’avvenire. Il suo videomessaggio registrato era destinato ad essere visto dopo 10 anni, ma per Faye il tempo si è fermato a causa dell’ibernazione: come sapendolo, la videocassetta si è perduta (a causa dell’incidente al gate lunare) e ha aspettato il tempo esatto per ricomparire quando l’età della ragazza fosse aumentata di quei 10 anni prefissati. Un elemento molto importante di questo episodio è una sorta di “passione archeologica” per la nostra epoca, riscontrabile anche in altre serie animate. Ad esempio, la scena dell’appassionato di “anticaglie” che guarda un vecchio telefilm (cioè un telefilm degli anni ‘90) in videocassetta fa venire in mente una scena analoga del quarto episodio di Ghost in the Shell, dove un appassionato guarda estasiato un film del XX secolo. Tra gli anni ’90 e il tempo in cui vivono i nostri personaggi, comunque, c’è come una distanza doppia: quando Jet e Spike recuperano un videoregistratore VHS su un luogo abbandonato della Terra, quello stesso luogo è a sua volta un museo (curiosamente, la città in cui si recano è individuata su una mappa che riporta l’arcipelago giapponese capovolto). La Terra da cui proviene Faye è prima tramontata gradualmente trasformandosi in qualcos’altro, tanto da fare esporre un VHS in un museo, e poi ha subito un cambiamento improvviso che la ha ulteriormente mutata nel mondo descritto nel nono episodio, consegnando perfino un museo all’oblio e alla rovina. I due cowboy impegnati in questa singolare “caccia al tesoro” somigliano in qualche modo ad una coppia di moderni Indiana Jones, due archeologi d’assalto sulle tracce di un reperto inestimabile. La stessa videocassetta Beta viene definita ad un certo punto da Jet una “reliquia” proveniente da “un’epoca d’oro”: ormai la Terra è diventata un pianeta che custodisce la memoria incerta di un pas-
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ANIME sato mitico, proprio come succede nei film dove gli archeologi dell’avventura sono alla ricerca di qualche civiltà favolosa. Sappiamo bene che in realtà la Terra di ieri e l’universo di oggi non sono poi così diversi, anzi il mondo del Bebop sembra somigliare non poco ad una specie di selvaggio West piuttosto che all’apice del universo civilizzato; la Terra del passato viene fatta rientrare nel mito della “frontiera del passato”, quando lo strano collezionista parla entusiasta di quei “pionieri” che registravano suoni e immagini come segnali analogici. Ma quando dal videotape riemergono le immagini di un aeroplano, di ragazzine in divisa scolastica, di un pianoforte e di una trapunta a pieghe, non si può fare a meno di indugiare con lo sguardo su queste semplici cose: la regia è così abile da farci immedesimare in Faye e immaginare d’essere seduti sul divano del Bebop a guardare ammirati questi oggetti. Assieme al documentario sui luoghi perduti, dal nastro della videocassetta esce un nuovo personaggio, una Faye giovanissima che si rivolge a se stessa con un candore e una sincerità veramente commoventi. Nel vuoto che accompagna la ragazza fin dal suo risveglio si accende una piccola luce, un piccolo sassolino sulla strada di casa: nonostante Faye non ricordi nulla, è da lei stessa che viene interpellata. Lo scrigno del tesoro che le giunge dal passato è una proposta di identità. Fondamentalmente, Faye “non sa” chi è perché non ha memoria di ciò che ha vissuto, delle esperienze e dei rapporti che hanno formato il suo essere; per questo vive lasciando che tutto le scivoli addosso, senza fermarsi in nessun luogo, senza avere cura di niente, senza affezionarsi a nessuno, senza lavoro fisso. Non possedendo un passato, no sul futuro non conta nemmeperché non ha da immaginare niente per se, se non un continuo vagabondare in mezzo ad avventure che riempiono i giorni senza però arricchirli di significato.
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#12-13 JUPITER JAZZ. 29) Faye sorprende Glen sotto la doccia e scopre la sua vera “natura”. 30) Spike incontra Vicious e Lin. 31) Confronto tra Glen e Vicious. 32) Morente, Glen parte per il suo ultimo viaggio.
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uella che vi sto raccontando è una favola del passato” esordisce Jet, mentre Spike e Faye fanno i conti con l’amarezza della vita quotidiana. E proprio una “favola” dal passato viene recapitata a Faye sotto forma di una vecchia videocassetta. Ma nel mondo futuristico dei nostri personaggi, un videotape custodisce tanto gelosamente il suo contenuto quanto il misterioso scrigno della storia di Jet, semplicemente per la mancanza di videoregistratori. Jet e Spike si recano sulla Terra per trovare un videoregistratore Betamax, e Faye (di nuovo in fuga) un po’ si rattrista quando scopre che i due sono andati così “lontano” senza di lei. Dopo avere faticosamente recuperato un videoregistratore sbagliato, i cowboy ne ricevono uno direttamente “dal cielo”, e la videocassetta può essere finalmente visionata per intero. Davanti agli occhi dell’attonita Faye compare il suo viso di ragazzina che le lascia un messaggio di fiducia nella vita.
Session 19: Wild Horses.
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entre Jet e Faye sono impegnati in una caccia (o piuttosto “pesca” in questo caso), Spike è costretto ad un atterraggio di fortuna, con il suo
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I pionieri del cielo. Un deserto bruciato dal calore, un ragazzo di colore appassionato del baseball, un solitario “stalliere” che accudisce i suoi “cavalli meccanici”: l’ambientazione esterna è simile a quella di Mushroom Samba, e i personaggi ci riportano ancora alla frontiera del West. La partita di baseball, che dà il benvenuto a Spike attraverso un vecchio autoradio, ci dice subito che stiamo visitando un’altra fetta di mondo perduto. Il capannone del meccanico assomiglia più ad un museo che a una rimessa di mezzi efficienti; nel film vedremo addirittura, in analogia a questo episodio, alzarsi in volo dei vecchissimi biplani di inizio ‘900. Per tornare al discorso sulla frontiera, la puntata ci riporta al tempo in cui l’orizzonte ideale era ancora il cielo, o comunque il volo spaziale, e i primi astronauti erano dei veri e propri “pionieri”. Così come in Speak like a Child le videocassette vengono citate come “l’avanguardia” della tecnologia del tempo dei pionieri, così ora un vecchio shuttle ci ricorda di quando il volo spaziale costituiva l’apice della tecnica umana e dell’impiego di risorse scientifiche. La sensazione è ancora quella del ritorno al mito della “frontiera perduta”. Le prime immagini dell’episodio ci trasmettono con efficacia la noia ed il fastidio con cui Spike e gli altri sembrano spesso vivere la loro vita di cacciatori di taglie spaziali, finché questa apatia non viene spezzata dalla loquacità dell’aiuto-meccanico. Di fronte alla disillusione e all’indifferenza con cui i nostri moderni cowboy vanno alla deriva, le emozioni e la tenacia di un tifoso senza speranza sono una vera e propria boccata d’aria fresca, nonostante possano apparire anche patetiche se considerate in sé. Di fronte a tanta gente che attraversa i gate senza un motivo, appare un vecchio che si prende cura di un antico shuttle, memoria del tempo in cui un viaggio nello spazio era un’impresa degna di nota: un’epoca, insomma, dove era lecito gioire per cose che poi sono diventate la normale routine, l’epoca dei pionieri e della vecchia frontiera, appunto. Eppure, forse qualcosa di quello spirito non è morto: come il ragazzo rimane attaccato alla sua squadra del
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ANIME cuore, così Spike rimane affezionato alla sua vecchia navetta; e nel finale l’azione decisiva è condotta senza l’ausilio del computer, ma solo con la capacità umana. Non a caso vediamo come il Bebop possa essere ridotto all’immobilità da un virus informatico, vittima quindi della sua stessa eccessiva automatizzazione, mentre i nostri contrattaccano con una trasmittente sintonizzata sulla partita di baseball, ovvero sulle emozioni genuine dei bei tempi che furono; e proprio sintonizzandosi “con il passato” la richiesta d’aiuto dei cowboy può essere ascoltata. Le scene finali sorprendono Spike a calcolare un’orbita addirittura incidendo tacche di riferimento sul vetro con un punteruolo, prima di essere tratto in salvo da uno shuttle che riesce persino a decollare in orizzontale. Il progresso può sgretolare i sogni, e ogni orizzonte conquistato può segnare la perdita di una sfida, ma l’uomo rimane tale e non cambia mai: ha dentro di sé la possibilità di rinunciare alle sue conquiste e ricominciare daccapo.
Il regno delle illusioni. # 20
Il personaggio del Pierrot sembra ricordare Joker e Pinguino, i celebri avversari di Batman, per la sua carica grottesca e per il suo aspetto; le stesse atmosfere decisamente noir dell’episodio, con frequenti vedute dall’alto, rimandano in qualche modo alla celebre ed oscura Gotham City (lo scontro finale nel Luna Park può ben rifarsi al lungometraggio animato La maschera del fantasma). Ma a parte queste considerazioni, il Pierrot si presenta come una figura fortemente drammatica e ambivalente: omicida dal sorriso imperturbabile, definisce “feste” le sue scorribande di morte. Macabro clown danzatore, sembra avere esorcizzato in se stesso la morte e la pazzia con un perenne riso, allestendo per sé (e per le sue vittime) un parco dei divertimenti immaginario che non chiude mai, un luogo dove la morte arriva preceduta dal cigolio di giostre maledette e ha dipinta sulla faccia una risata isterica. Spike si reca a combatterlo sul suo stesso terreno, ovvero nella realtà immaginaria e farsesca di un Luna
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Swordfish, su una landa deserta della Terra. Qui vive un anziano meccanico in grado di riparare le navette vecchie come la sua. Rimesso in sesto lo Swordfish, Spike si riunisce al gruppo per ritentare la cattura dei criminali di turno; ma qualcosa va storto e Spike rischia di bruciare nell’atmosfera terrestre con la sua monoposto. Jet non può fare niente, ma dal pianeta si alza in volo uno shuttle in missione di recupero.
Session 20: Pierrot le Fou.
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ccompagnato da una serie di sgraziati cigolii e suoni distorti entra in scena Pierrot, un assassino dal ghigno sardonico e dalla mira infallibile. Usato come cavia per un esperimento fallito, quest’uomo è stato stravolto dai farmaci fino a diventare una macchina da guerra dalla mente contorta, che si muove in quello che per lui è un gioco, una giostra crudele che uccide inesorabilmente le sue vittime. Spike si scontra due volte con questo mostro, riuscendo infine, con un po’ di fortuna, ad averne ragione.
Session 21: Boogie Woogie Feng Shui.
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ome alle pagine di un diario, Jet ci racconta una strana avventura. Un’e-mail sibillina lo
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COWBOY BEBOP Park, proprio mentre Ed risale alla storia dello sfortunato pazzoide nel “luogo” non meno irreale dei dati informatici. La triste vicenda del Pierrot è narrata da immagini asettiche, prospettive distorte e suoni sintetici, ed è connessa al presente da una scia di sangue e dalla presenza inquietante di un gatto. La vita e la morte si confondono in una grottesca commedia, dove le proporzioni “reali” di ciò che accade sono irrimediabilmente distorte: così una strana fatina esorta Spike a scegliere un luogo “meno pericoloso” per “giocare”, Faye compare a suon di mitragliatrici e viene accolta dai saluti insensati di un pupazzo parlante, l’invincibile Pierrot si affligge disperato per una ferita di poco conto, innocenti peluche giganti si trasformano in oggetti d’odio degni di essere distrutti a colpi di pistola, o diventano essi stessi altrettanto letali. Space Land, ovvero “Lo Spazio”, un gigantesco parco di divertimenti dove le persone si agitano come i pupazzi sulle note pacchiane di una fanfara, visione rovesciata dei vicoli scuri dove corrono in modo altrettanto insensato illudendosi di sfuggire alla morte. Poco prima dello sviluppo finale della storia, questo episodio ci anticipa che la vita è come una partita di biliardo, dove le palle si incontrano, si scontrano e spariscono nel buio delle buche una dopo l’altra. E la morte è spietata e innocente come un assassino con il cervello di un bimbo, che si può incontrare per caso all’uscita di un bar.
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#14 BOHEMIAN RHAPSODY. 33) Hecks, il “maestro di scacchi”. 34) Escursione nello spazio per Spike e Faye. 35) Ed sfida Hecks #15 MY FUNNY VALENTINE. 36) Il risveglio di Faye.
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Un bivio In effetti, questo episodio un po’ si discosta dalle atmosfere consuete della serie. A cominciare dal tono diaristico con cui è introdotta la vicenda e proseguendo con il tema delle energie mistiche che presiedono all’ordine del cosmo, per passare poi all’identificazione di strani animali nelle figure degli edifici di Marte, ”folletti” e “sette nani”, allo stesso spazio del gate che si scopre contenere un’altra dimensione. Apparentemente l’intera vicenda si risolve nel fatto che Pao, conscio di avere causato problemi alla sua famiglia a causa delle sue conoscenze, ha voluto tentare di riconciliarsi con la figlia: gente in grado di prevedere il futuro, insomma (molto distanti in questo dai nostri protagonisti che vivono un eterno presente), deve ammettere di avere fatto scelte sbagliate e si trova a fare conti con il passato. D’altronde ci sono degli indizi che ci fanno capire che ormai siamo avviati verso la soluzione della nostra vicenda: a metà episodio, il consueto stacco mostra un cartello con due frecce divergenti accanto alle parole “cowboy” e ”Bebop”, come a dire che la storia è a un bivio, che qualche cowboy lascerà l’astronave, o che comunque ci sarà una svolta. Inoltre Jet, per riguardo alla sua ospite, estende momentaneamente al Bebop il divieto di fumare che perseguita i nostri personaggi in quasi tutti posti in cui mettono piede, e per questo momento quindi la nave non è più un porto franco per Spike e Faye. E infine, niente cambia tranne il fatto che Jet rinuncerà all’oroscopo: inutile cercare di prevedere dove volgerà la prua della sua nave, sarà il vento dello spazio a trasportarla.
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mette sulle tracce di Pao, un suo vecchio conoscente apparentemente morto. Nella sua ricerca, Jet incontra la figlia di Pao, che è erede di un’arte che le permette di leggere il futuro usando una strana tavola (il “Feng Shui” è una tecnica divinatoria orientale). Diventa presto chiaro che la traccia da seguire per arrivare a Pao è la “Pietra del Sole”, ovvero un frammento lunare liberato dal famoso incidente del gate. E in effetti è per mezzo di tale pietra che Jet e la ragazza lo rintracciano nello spazio in cui è rimasto confinato per un incidente, ossia una distorsione spazio-temporale all’interno dello spazio a differenza di fase, ma l’unica cosa che possono fare è dargli l’ultimo saluto.
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COWBOY BEBOP Il tramonto del cowboy. # 22
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37-38-39) Faye viene assistita da Witney, ma le intenzioni di quest’ultimo sono tutt’altro che disinteressate. 40) Il dottor Bakkar e l’infermiera Manrie. #17 BLACK DOG SERENADE. 41) Jet incontra l’amico ed ex-collega Fad.
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Come sarebbe questa serie animata se si sostituisse il “funk” al “Bebop”? Chi avremmo al posto del disincantato Spike? L’episodio dà una risposta implicita a queste domande. L’approccio seguito è quello di estrarre un elemento determinato dall’insieme di riferimenti a cui attinge lo stile di Cowboy Bebop, in questo caso l’elemento “frontiera e cowboy” tradizionalmente inteso, e di estremizzarlo mettendone infine in luce l’aspetto grottesco e caricaturale. “In questa epoca non si giudica più nessuno dalla sua faccia”, perché le facce possono essere apparenze ingannevoli. Variazioni di identità, contaminazione delle appartenenze e ambiguità delle situazioni sono caratteri portanti di questa serie animata, in cui i generi sono mescolati ed ogni tentativo di imprimere etichette precise viene ironicamente portato alle estreme conseguenze. Così, ad esempio, il cinismo di Faye nel pensare solo ai soldi viene continuamente irriso dal fatto che le taglie sono più spesso perse che guadagnate, il richiamo alle storie dei cowboy viene rivisto in chiave umoristica, ancor prima che con Andy, dal demenziale Big Shot, e infine di Spike viene proposto un alter ego simile a lui in tutto tranne che nella mancanza di pudore. Lo stesso Jet, ex-poliziotto dal braccio meccanico, viene trasformato in un hippy amante delle droghe, e teneri orsacchiotti si trasformano in bombe letali. Gli unici che si presentano al ballo in maschera senza travestimenti sono proprio Andy e Spike: il primo perché è egli stesso una caricatura, il secondo perché in fondo è uguale a lui. Così come lo stesso Spike non ha un’identità sua, perché ne è ancora alla ricerca da quando in passato è stato tradito, così anche la sua controparte, nel protestare un’appartenenza esagerata e grottesca, risulta capace di cambiare volto con insospettata rapidità. Con Andy, il volto mitico della “frontiera” viene completamente stravolto in due sensi opposti. Anzitutto la sua buffa mascherata mette in ridicolo un mondo edulcorato, finto, il mondo di plastica di “Big Shot”,
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ANIME che non è mai esistito perché il West reale era ben altro. Chi crede in questo sogno risulta un originale che ha perso il contatto con la realtà, e più Andy s’impegna con entusiasmo nella sua messinscena, tanto più si rende ridicolo. D’altra parte, abbiamo imparato che in Cowboy Bebop quella che può apparire come “realtà” va in ogni caso letta su diversi piani, e può alla fine presentare contrasti e volti diversi. Quando Andy si dichiara vinto nel duello con Spike (a torto, penseremmo noi), quando cioè la sua carnevalata giunge al termine ed egli rinuncia a impersonare oltre quel ruolo, emerge la sensazione che forse non era lui l’unico a fingere. Anche il mondo che sperimentano i nostri personaggi si rivela, ben più di una volta, essere un palcoscenico di attori mascherati e scenografie multiformi; in fondo la genuina passione con cui Andy segue il suo stile di vita è più vera e sincera degli inganni e dei sotterfugi che popolano il “vero” quotidiano. “La vita ti insegna tante cose, anche a cambiare vita”, basta che rimanga sempre all’orizzonte un sogno da inseguire. Paradossalmente è proprio Andy, attore di una assurda commedia, a mostrarsi in grado di superare quello in cui crede e ricominciare da capo con un’altra favola, mentre personaggi all’apparenza in grado di distinguere “la realtà” finiscono poi, come Spike, prigionieri dei loro rimorsi e incapaci di mettersi in discussione. Se quindi il mito della frontiera è impietosamente demolito, la realtà stessa viene comunque messa in discussione perché ad ogni modo di miti si nutre continuamente. Il ridicolo di cui si copre Andy nel suo estremismo è insomma il ridicolo della vita stessa, o è comunque in grado di svelare cioè che nella realtà c’è di grottesco e insensato, in un gioco di capovolgimento delle prospettive. “Avesse detto almeno – vestito da samurai!”, ridono Faye e Jet ironizzando sulla credibilità di questi modelli, il samurai e il cowboy (il samurai rimanda direttamente ad una scena di Honky Tonk Women). Eppure Andy, o meglio l’ideale che rappresenta, rinasce incarnato in una nuova forma, lungi dall’essere stato sconfitto dalla concretezza e dal cinismo di cui appunto Faye e Jet si fanno portatori. Questo per separare ancora di più un ideale puramente simbolico da ogni pretesa verosimiglianza, ma anche per dimostrare che il mito è tanto indispensabile quanto la realtà stessa. Non a caso
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lle prese con uno strano criminale che si fa chiamare “Teddy Bommer” (si pronuncia come “l’orsetto bombarolo”!), Spike s’imbatte in Andy, un esaltato a cavallo vestito come un cowboy ad un rodeo, che fischietta arie in stile spaghettiwestern e crede di essere nientemeno che Wyatt Earp: per calarsi meglio nella parte, questo strano personaggio che non scende mai di sella parla usando continuamente parole inglesi. Teddy è a un ballo in maschera, dove si presentano anche i nostri cacciatori nella speranza di sorprenderlo, ma arriva anche Andy e la situazione precipita; a casa sua Faye può assistere ad una dimostrazione di cattivo gusto
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42) Il gruppo degli evasi. 43) Fad sulle tracce di Udai. 44) Ed si “prende cura” dei bonsai di Jet. #17 MUSHROOM SAMBA. 45) Ed assiste al confronto tra Domino e Shaft. 46) Ed ed Ein assetati e affamati nel deserto.
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all’Andy-cowboy sono assegnati i due nomi di “Wyatt Earp” e “Buffalo Bill”, che non furono soltanto due protagonisti dell’epopea americana, ma che contribuirono anche alla sua trasformazione in leggenda. Buffalo Bill infatti fondò un circo (il “Wild West Show”) che portò nel mondo lo “spettacolo” della frontiera; e al funerale di Wyatt Earp erano presenti molti attori del nascente cinema western, a testimoniare il passaggio di consegne tra pionieri reali ed eroi del mito. Da ultimo, vale la pena spendere qualche parola su Teddy. La sua maniacale ricerca di attenzione ironizza in qualche modo sul fatto che spesso i criminali di questa serie (a parte Vicious) sembrano più dei pretesti per chiamare in causa i protagonisti, più che personaggi autonomi. Ma anche Spike e Andy, con le loro manie di protagonismo e i guai che combinano, non sono poi così diversi dallo strano dinamitardo; anzi la rivelazione finale di Teddy, in cui egli si associa ad un “vecchio pioniere (un cowboy)” che “prende la giustizia nelle sue mani (un cacciatore di taglie)”, lo identifica ancora più fortemente con i due, finendo per fare idealmente coincidere la figura del cacciatore e del bandito, del buono e del cattivo, nel fatto che entrambi vivono di ideali e non di compromessi. Queste parole vogliono forse indicarci che l’unico modo in cui il mito della frontiera può essere ripreso è proprio quello del “mito trascorso”, a cui è subentrata una civiltà corrotta. Andy veste pur sempre i panni di guerrieri del passato, Spike è un eroe irrimediabilmente ambiguo, e Teddy resta pur sempre un criminale, arrestato senza troppi scrupoli dalla solita Faye: l’ultima versione (cronologicamente) dell’idealismo anticapitalista viene messa alla berlina nella figura del finto hippy capace solo di ripetere “love and peace” come un disco rotto. Non ritengo che ci sia bisogno d’individuare a tutti i costi un messaggio morale negli episodi di Cowboy Bebop, episodi in cui si gioca continuamente nel rielaborare i generi e nel presentare paradossi, ma ho comunque l’impressione che qui (come forse nel primo episodio) la speranza di una vita spesa all’insegna di un sogno ceda il passo a considerazioni più disincantate sulla società di oggi (perché è di essa che parla Teddy), e che venga relegata alla cavalcata solitaria di eroi sen-
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Serie tv e sfacciataggine senza paragoni. Di nuovo entrambi sulle tracce di Teddy, Spike e Andy si sfidano infine a duello, finché il secondo si dichiara sconfitto. “Il vecchio cowboy si ritira” dice andandosene a cavallo contro il sole, come nel più classico dei western, ripetendo il commiato dei nostri episodi (“See you space cowboy”). E contro il sole lo vediamo riapparire, non più “Wyatt Earp” bensì “Musashi”, un samurai con tanto di kimono e katana. See you space samurai…
Verso un altro mondo. # 23
In questo episodio vengono affrontati, direttamente e senza la mediazione di qualche metafora, i problemi di una possibile “realtà virtuale” a sé stante e della ricerca umana di una dimensione religiosa della vita. Stavolta il mondo alternativo in cui si muovono i personaggi non è quello dei miti e delle storie, ma quello creato dai mezzi di comunicazione; tanto reale perché radicato nella società di un ben determinato momento, della quale stimola e risponde ai bisogni, quanto fittizio perché costituito da immagini, suoni e messaggi realizzati per un fine specifico, per trasmettere un messaggio, per proporre insomma una realtà sua propria ottenuta manipolando le situazioni e filtrando il “reale” attraverso le informazioni. Non a caso i primi minuti di questa puntata sono interamente costituiti dal delirante spot pubblicitario degli Scratch e da spezzoni di telegiornali, talk-show e pubblicità. Viene mostrato cioè un mondo autonomo in cui ogni cosa si muove in accordo a ragioni sue proprie, e vive autonomamente per i pochi minuti concessi, senza essere necessariamente legata a riscontri nel mondo “reale”, come ad esempio nel caso della personalità artificiale della donna affranta nel talk-show: un corpo vero, un viso cancellato e una voce distorta, tuttavia una presenza. La regia ci porta man mano da un livello di esperienza ad un altro mediante alcuni passaggi. Prima assistiamo al messaggio di Londes, in cui racconta del suo paradiso e di come ottenerlo, finché la comparsa dell’indirizzo web degli Scratch non realizza il pas-
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Session 23: Brain Scratch.
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a setta dei “Migranti elettronici Scratch” propugna la liberazione delle anime dai desideri e dalle corruzioni del corpo, mediante l’uso di un software in grado di copiare le onde cerebrali e farle vivere autonomamente nella rete. Dopo una serie di suicidi di massa viene posta una taglia sul capo della setta, Londes, e Faye si infiltra tra gli affiliati ma cade in trappola. Gli altri si mettono in cerca di Londes ognuno a suo modo, finché Spike non si reca in soccorso della ragazza e Jet non prova ad entrare direttamente nello spazio virtuale della setta Scratch. Il congegno usato dagli adepti è in grado effettivamente di controllarne il cervello, ma Ed riesce a decrittare il programma e a scoprire da dove arriva il segnale, giungendo così a neutralizzarlo.
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47) Cofie interrogata dall’agente Tibbs. 48) Ed cattura Domino Walker. 49) Faye in preda alle allucinazioni dopo aver mangiato i funghi di Domino. 50) La “frontiera” in una sua arroventatat rappresentazione.
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saggio dal messaggio in sé al mezzo con cui è trasmesso, ovvero la TV; da qui, attraverso i telegiornali e i talk-show passiamo gradualmente all’esterno, come in un gioco di scatole cinesi. Rimangono comunque la parte iniziale del messaggio della setta e gli spot a confermarci come il media possa creare un livello di esistenza suo proprio di cose, persone e desideri. Un livello di esistenza che conosce la nascita e la morte. Si potrebbe dire che in questo episodio “muore” un personaggio, il nostro caro “Big Shot”, assieme ai suoi strampalati conduttori: il Far West fasullo ma rassicurante della finzione televisiva, che mischia avvisi di taglia terribilmente concreti con scenette semplicemente ridicole, viene mandato in soffitta perché la gente non ha voglia di vederlo, o equivalentemente perché non si vuole più farlo vedere. Messi da parte i vecchi miti dei cowboy e dei samurai, tocca alla televisione creare altre leggende a cui credere e affezionarsi (nonostante questi stessi “miti” siano tali solo grazie al fatto di essere stati filtrati e riproposti da libri e film): questo fanno ad un primo livello i vari imbonitori che offrono miracoli pubblicitari e, ad un livello ulteriore, il fantomatico Londes. Passando poi dalla soddisfazione dei bisogni materiali a quelli spirituali, ecco che ai media è assegnato pure il compito di ricreare un orizzonte ultraterreno, sostituendosi ai “vecchi credi”, e qui entra in gioco l’universo etereo e vastissimo della “grande rete” delle connessioni informatiche. Il gioco di scatole cinesi continua, proponendo in questo scenario un’altra realtà a sé stante, una setta, che è per definizione chiusa e riserva i suoi segreti agli adepti, nonostante la sua vera tendenza sia quella (come la TV) di attirare le persone e uniformare a sé l’esterno. Più volte in questa serie l’orizzonte finale della morte è stato sfiorato dai personaggi (o raggiunto, nel caso di Glen), ma solo ora viene posto il problema del “dopo”, un quesito a cui le varie religioni rispondono in varia maniera. Nel momento in cui i personaggi si avviano verso scelte definitive, viene presentata la possibilità di un mondo radicalmente diverso. Il credo della realtà virtuale, o realtà alternativa della rete, propone l’immortalità effettiva della mente umana staccata dal corpo. Se si può (o si potrà) tradurre in dati informatici
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ANIME i segnali che provengono dal cervello umano, allora salvandoli si potrà assicurare la vita indefinita di una personalità nell’universo telematico, che potrà essere percepito come “vero” senza difficoltà. Questioni di questo tipo rimandano direttamente a Ghost ih the Shell di OSHI, solo per citare il rimando più evidente nell’ambito dell’animazione giapponese. Ma di fronte alla promessa dell’immortalità virtuale emerge il lato oscuro e la contraddizione della proposta. Anzitutto perché lo stesso Londes, il profeta della speranza e della purificazione, non è tale. La sua è un’identità pensata e creata “a tavolino” da una mente che, venuto meno il corpo, ha scelto questo modo per sopravvivere, eppure riesce difficile bollarlo come “inesistente”, dal momento che lancia messaggi e chiede addirittura di essere risparmiato. Forse si può dire che nella rete non esiste il concetto stesso di “identità”, o meglio di identità univoca. Londes è una maschera, gli Scratch non sono essi stessi padroni dei loro cervelli, Jet entra nella setta come “Maresciallo Banana” mentre Ed dice divertita: “Dati?! Bugie, bugie!”. L’immortalità insomma costa la perdita di qualcosa: non solo dei desideri, ma della mente. L’unica cosa vera, nella farsa di Londes, è la sincerità della risposta che suscita, la forza che in definitiva tiene in piedi tutto, ovvero la volontà di credere nella finzione (concetto esteso pure alle religioni tradizionali); nata per evitare la morte, questa figura risponde allo stesso desiderio di altre persone. Il nuovo ponte tra Terra e Cielo è una specie di piramide fatta di televisori. Il messaggio che da essa emana, cioè il mondo che propone, è smontato pezzo per pezzo fino a svelarne il freddo scheletro numerico, in cui alla morte di una “persona” corrisponde un messaggio di errore che interrompe il flusso dei bit. Eppure, se i neuroni del cervello percorrono anch’essi strade non troppo diverse, è lecito interrompere questo sogno?
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Session 24: Hard Luck Woman.
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aye studia la sua videocassetta e dirotta il Bebop sulla Terra, nel tentativo di rintracciare i suoi luoghi d’origine. Ed si offre di farle da guida, ma in realtà si dirige verso l’orfanotrofio dove era stata allevata, e dove tra l’altro riceve una foto di suo padre. Faye raggiunge poi la sua città e incontra una vecchina che si rivela essere una sua ex compagna di scuola; dopo un breve rientro sul Bebop la ragazza decide di tornare definitivamente sulla Terra, alla sua vecchia casa di cui ora ricorda l’ubicazione. Intanto anche Ed decide di riunirsi al padre, e per farlo fa credere a Jet e Spike che su di lui ci sia una grossa taglia. Faye ritrova la sua casa ridotta ad un cumulo di macerie: mentre anche Ed ed Ein lasciano il Bebop, si sdraia malinconica per terra lì dove una volta c’era la sua stanza. See you cowgirl, someday, somewhere!
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icious tenta un colpo di mano per assumere il controllo del Red Dragon, ma viene scoperto e imprigionato. Questo significa anche che l’orga-
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#18 SPEAK LIKE A CHILD. 51) Al “Bebop” ormeggiato giunge un pacco. 52) Tentativo di visionare la videocassetta. 53) Spike e Jet cercano nei bassifondi abbandonati un videoregistratore compatibile. 54) Il passatto di Faye registrato su nastro.
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Questo è l’episodio in cui, anche se con esiti diversi, Ed e Faye fanno ritorno alle loro case, mentre Jet e Spike sembrano più la vecchia coppia degli inizi. Il ritorno delle due donne al nido avviene in due movimenti successivi. Il primo passo sulla strada di casa le conduce ad una tappa intermedia, l’orfanotrofio di Ed e la città di Faye. La piccola era cresciuta in una casa per trovatelli, in un povero paesino sorto nel cratere di un meteorite e circondato da cumuli di spazzatura. Dalla stessa suora che si era presa cura di lei, Ed viene definita un ”gatto randagio”: sembra simile, in quanto a stranezza, agli altri bambini, ma rispetto a loro è una vera girovaga. I bambini che giocano nella spazzatura vivono ai margini del mondo civile, e il loro orizzonte si chiude sul ciglio del cratere da dove i camion gettano l’immondizia; non così per Ed, che danza libera per l’universo, e che torna a salutare i vecchi compagni solo per assicurarsi un pasto (proprio come un gatto). Nonostante ciò, in quel posto di oggetti smarriti, qualcuno è venuto a cercarla e le ha lasciato una traccia. Riguardo a Faye, è ricondotta su un prato verde in mezzo alle maestose rovine della vecchia Terra, e anche lei ha l’occasione di incontrare una vecchia compagna di scuola. Nella sua mente si fanno strada frammenti in bianco e nero, come tante foto sbiadite della sua vita passata. Il contrasto tra le due situazioni è molto forte: Ed è cresciuta nella spazzatura, Faye in mezzo a tutti gli agi, la prima ritrova compagni straccioni e squinternati, la seconda una distinta vecchietta con la graziosa nipote; eppure il mondo di Ed è reale, è vivo ed esuberante come lei, mentre Faye si considera scomparsa, viene scambiata per “uno di quegli spiriti che ritornano sul luogo dove sono vissuti” e si presenta da se stessa come “un fantasma”. Ed cammina verso qualcosa di vero, insomma, mentre Faye è sulle tracce di un mondo a cui si sente estranea. Per la prima volta, la sicurezza di Faye vacilla. Ora che ha le prove che la fanciulla della videocassetta è proprio lei, perché è le sua stessa memoria a rammentarlo, deve scegliere se tornare verso le sue origini o continuare a vivere nel mondo che ha trovato al suo risveglio. Faye sente che tutta la sua vita, per come la conosce, è una menzogna. Le bellissime immagini di metà episodio ci restituiscono il dramma della ragazza che scopre di apparte-
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ANIME nere ad un altro tempo e ad un altro luogo, del fantasma che scopre finalmente chi era in vita. Mentre Jet e Spike, con i loro rimbrotti, le rammentano di essere un membro dell’equipaggio, Faye si sente già altrove, “è sulla luna”, come il distratto Spike che legge un libricino con quel titolo (“Walking on the Moon”). Sotto la doccia avviene “l’epifania” del personaggio, come se nell’acqua che le bagna il viso la ragazza riconosca quella che scendeva dalla fontana del suo giardino. Richiamati dall’elemento liquido, i ricordi della vita passata di Faye si affacciano nitidi (a colori, stavolta) alla sua memoria. Sulla Terra le persone si concedevano volentieri l’emozione di un volo verso la Luna, e anche Faye non aveva saputo resistere al fascino dell’avventura spaziale; ma per lei il viaggio verso il futuro, verso il nuovo orizzonte, si era interrotto bruscamente, con un’immagine della Luna in frantumi negli occhi (un’immagine simile, con i frammenti del pianeta Terra che si separano verticalmente, è nella sigla di apertura di X-1999). Ironia della sorte, Faye si risveglierà catapultata nel caos del Sistema Solare, le verrà concesso il futuro ma solo dopo averle tolto il passato. L’elemento comico di questo episodio è rappresentato dal padre di Ed, un tipo veramente bizzarro, una persona inafferrabile che racchiude un paradosso: è del tutto incapace di ricordare i nomi delle persone, siano esse il suo strano assistente o la sua stessa figlia (che scambia addirittura per un figlio), e al tempo stesso è ossessionato dal sapere come è fatta la Terra. Questo strano topografo mangiatore di uova (i pulcini sono il principale souvenir della Terra) insegue il sogno di fare una mappa del pianeta martoriato dai meteoriti, e corre da un cratere all’altro illudendosi di venire un giorno a capo del suo disegno. Ovvero, non riuscirà mai a descrivere e memorizzare la forma della Terra, così come non è capace di ricordare un nome. Nella figura di questo simpatico esaltato, il sogno del pioniere è distrutto, dal momento che nessuno riuscirà mai a civilizzare e portare l’ordine nella frontiera, nessuno riuscirà a conoscere veramente il variegato, ambiguo e mutevole spazio di Cowboy Bebop, come nessun cartografo riuscirà a mappare una terra che cambia forma ogni ora. Il cielo si colora del rosso di uno stupendo tramonto, quando le nostre ragazze imboccano il sentiero che deve condurle a casa, compiendo il secondo passo. Memore di quanto le ha detto Faye, cioè che “i nostri affetti sono l’ultima cosa bella che ci rimane”, Ed s’incammina per seguire il padre, e pure Ein sembra avere capito la lezio-
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nizzazione dà il via al definitivo regolamento dei conti con Spike e Julia. I cowboy sono sorpresi dai sicari del Red Dragon in un bar: Jet è ferito ad una gamba, e Spike fugge grazie all’aiuto di Shin, una sua vecchia conoscenza dell’organizzazione (il quale avvisa anche Julia di mettersi in salvo). Intanto Faye s’imbatte per caso in Julia, anche lei in fuga dall’organizzazione, e l’aiuta a salvarsi, ricevendo un messaggio da portare a Spike. Il Bebop è attaccato dagli uomini del Red Dragon, ma Spike e Faye hanno buon gioco nel respingerli a bordo delle loro navette, mentre Vicious mette in atto la sua contromossa e uccide gli Anziani, diventando capo dell’organizzazione. Spike e
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#19 WILD HORSES. 55-58) Il vecchio shuttle soccorre il “Bebop”. 56) Spike attende le riparazioni. 57) Doohan e Miles in missione. 59) Il “Columbia” prende “a bordo” lo “Swordfish” di Spike .
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ne. Le immagini, la musica e i dialoghi di quest’ultima parte dell’episodio coinvolgono più che mai lo spettatore nella vicenda dei due personaggi. Faye corre sul viale di casa come già la bambina e poi la ragazza di un tempo, ma solo per essere accolta da uno spiazzo deserto coperto di macerie, senza trovare anima viva. Ma la volontà di “essere a casa”, la volontà di riottenere il proprio mondo e la propria vita, è più forte del vuoto: nel momento in cui Faye traccia con un bastone il contorno del suo letto, definisce sulla terra uno spazio suo, definisce la sua identità. Nonostante le storie di Ed e Faye si fondano al ritmo di una ballata, nella malinconia e nel rosso del cielo della sera, c’è una differenza tra le due che non deve passare inosservata. Ed ed Ein si voltano ripetutamente verso il Bebop, lei vi lascia un giocattolo e un messaggio d’addio, mentre il cane è addirittura sul punto di tornare da Jet; ma una volta fuori, le immagini si chiudono su Ed che corre, che è in movimento per raggiungere la sua famiglia errante. Faye invece corre verso casa (una villa da sogno emblema della stabilità stessa), senza curarsi di ciò che si lascia alle spalle, ma una volta resasi conto della sua solitudine non può fare altro che fermarsi, e giacere a terra. La corsa di Ed continua verso il futuro, quella di Faye si ferma in un passato che è perduto nel momento stesso in cui viene ritrovato. Forse è lecito dire che né l’una né l’altra avranno mai una vera casa. Quando il premuroso Jet si sporge dalla cambusa per annunciare la cena, sta implicitamente affermando che la sua nave è la “casa” dove ci si sente una “famiglia”. I due cacciatori si ritrovano soli come nel primo episodio, anche se stavolta hanno un pasto a disposizione: proprio mangiando assieme allo stesso tavolo, Jet e Spike creano un legame. Apparentemente si ingozzano senza preoccuparsi di niente, ma Jet ha messo in tavola quattro scodelle, non due, perché di questo legame fanno parte anche Ed e Faye. La ragazzina esce di scena solo quando Spike allunga
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La fine dei sogni. # 25
Dopo il rosso dei tramonti di Hard Luck Woman, l’episodio si apre all’insegna del blu e del grigio, dei toni freddi e sfumati, per finire poi in uno spettacolo rutilante di sangue e luce. Dopo tante citazioni musicali, il titolo di questa puntata è un’autocitazione. A cominciare dalla prima inquadratura: l’insegna di un locale (“Il bar dei perdenti”, nome che basterebbe da solo a scrivere il riassunto dell’episodio e l’atmosfera di cui è carico) vista ribaltata in una pozza d’acqua, riprende la sigla di coda, ma soprattutto dichiara ancora una volta l’irriducibile ambiguità della realtà e i cambiamenti di punti di vista a cui può essere sottoposta. Immagini al contrario e riflessi cominciano già nel primo episodio, quando Spike fissa la Galassia dall’oblò del Bebop, per poi proseguire in Speak Like a Child nell’arcipelago giapponese visto a testa in giù. The Real Folk Blues riprende il filo di un discorso tra Spike e Julia interrotto tre anni prima: la cavalcata del Bebop scolora in lontananza, mentre il sogno della vita con Julia riemerge dal passato acquistando concretezza ed invadendo la dimensione quotidiana dei personaggi. Le prime immagini che mostrano il congedo di Spike dall’amata sono il preludio e al tempo stesso il finale della storia, mentre i dialoghi riassumono nella loro ambivalenza l’intero senso del lungo viaggio dei cowboy erranti: “metterò in scena la mia morte”, dice Spike, e ancora “ti aspetterò al cimitero, vivo e vegeto”. L’ossimoro del vivere in un cimitero va avanti dall’inizio, da quando Spike si muove “vivo” in un mondo che per lui è “morto”, e si risolve alla fine quando muore per cogliere in pieno la sua vita. Sulla teatralità della morte vale bene la pena di citare la scena del primo attacco di Vicious agli Anziani, dove egli viene apostrofato quale “clown” (un pupazzo malvagio e infernale, con tanto di corvo) e i tre, di rimando, sono definiti “cadaveri”, oltre al rimando obbligato che è costituito dal Pierrot e dal suo Luna Park. Per meglio chiudere il cerchio, Spike torna ad essere solo: il sodalizio con Jet viene momentaneamente sospeso dalla ferita che l’ex-poliziotto riceve ad una gamba. Il rapporto tra Spike e Jet si approfondisce fino
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Julia si incontrano di nuovo, sulle lente note di un carillon, lei ha in mano una pistola e lui una rosa. To be continued...
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ulia svela a Spike il ricatto a cui era stata sottoposta anni prima, ma a lui non basta avere ritrovato la sua dolce metà ed è deciso a chiudere il conto con Vicious. La fuga di Julia è breve, e la donna cade sotto i colpi dei sicari; intanto Jet è sulle tracce del partner. Come nel primo episodio, la sabbia scende dalle mani del vecchio sciamano, per predire ancora una volta la morte di Spike. Ma ormai è l’ora del congedo: Jet lo saluta con una cena e una risata, Faye con una confessione dolorosa e con colpi di pistola, come sulla tomba di un soldato caduto. E sulle note della sigla di coda, Spike conclude lo spettacolo come lo aveva iniziato, annunciando la sua dipartita. You’re gonna carry that weight
Spike, Glen e Vicious. Il doppio finale di Real Folk Blues riprende e conclude ciò che era stato anticipato dal doppio snodo
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#20 PIERROT LE FOU. 60) Pierrot per poco non elimina Spike. 61) L’incontro col folle lascia Spike piuttosto malconcio. 62) I folli esperimenti su Mad Pierrot. 63) Spike nel mortale Luna Park di Pierrot.
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alla fine e termina con una dichiarazione d’amicizia resa dalle immagini ancor più che dalle parole, ma solo dopo che Spike ritorna sulla nave a dare il suo addio. Faye è colei che, riscrivendo totalmente il proprio personaggio, rimette in contatto tra di loro i protagonisti e agisce altruisticamente tornando sul Bebop per assistere Jet. È lei che porta il messaggio di un’enigmatica Julia, nascosta dietro i suoi occhiali scuri, ed è lei che convince Jet a correre sulle tracce dell’amico. Nel diverbio tra Jet e Faye, c’è un momento in cui i due si voltano le spalle e nemmeno si guardano in faccia, arrivando a sentirsi estranei l’uno all’altra; ma un attimo dopo raggiungono l’intesa più profonda, sentendosi parte di un unico equipaggio. Nella prima parte di questo finale Jet racconta una storia, riferendola a Spike e pregandolo di non fare come il protagonista, ripiegato sul suo passato e incapace di pensare un mondo nuovo per se stesso. La storia riassunta è un racconto di E. HEMINGWAY, Le nevi del Kilimangiaro, di cui Jet riporta per esteso l’ultima frase. La cancrena alla gamba che affligge il protagonista si associa esteriormente alla ferita di Jet, ma è usata per indicare il tormento che consuma Spike giorno dopo giorno. Nelle ore di attesa nella tenda, il personaggio e la sua compagna ripensano agli errori che hanno costellato la loro vita e li hanno resi infelici: il safari che hanno intrapreso rappresentava l’ultima fuga dalla monotonia, un modo per sentirsi vivi, ma si conclude male. Nei suoi pensieri, l’uomo non riesce più a credere alle parole di lei che gli promette che guarirà e che torneranno ad essere felici insieme, ma si predispone man mano ad accettare la sua morte come fine inevitabile di una vita sbagliata, unico rimedio per cessare le sue sofferenze. L’aereo di soccorso arriva troppo tardi, e il volo verso l’ospedale si trasforma, nella mente del ferito, nel volo verso il Kilimangiaro, visto per un attimo dal finestrino. La vetta della montagna è descritta in modo tanto vivido che diventa il simbolo del paradiso verso cui l’eroe sconfitto sta finalmente volando; realtà e sogno si sovrappongono, nelle ultime fasi del racconto, proprio come negli ultimi momenti della vita di Spike, confondendo la morte dei personaggi con il loro viaggio verso casa. A questa storia Spike risponderà raccontandone
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ANIME un’altra, la storia di un gatto dalle nove vite che ama una sola persona al mondo, e per lei è disposto a rinunciare a tutto, e nonostante entrambi i narratori odino i proprio racconti, in essi c’è riassunta tutta la storia di Spike. Il ritmo di questi due episodi è scandito, proprio come in un blues, da continui cambi di tempo: dai sofferti dialoghi tra i personaggi alla violenza delle varie sparatorie e scene di sangue. Lo stacco a metà della prima parte porta il nome dell’anime sullo sfondo in bianco e nero di un vetro rotto: riferimento ai colpi di pistola che vengono esplosi in quantità, ma anche forse al fatto che la trama sta volgendo rapidamente alla fine. Viene da chiedersi, ad un certo punto, perché Spike non ascolti il consiglio di Jet e lasci perdere tutto. Non lo fa per non dovere continuare a vivere fuggendo, per riappropriarsi infine del proprio passato, della propria vita, del proprio sogno di felicità. Continuando a scappare ha potuto rimandare la resa dei conti, ma ora che è Vicious stesso a cercarlo non si tira più indietro. E d’altronde, se di un we-
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stern si tratta (per quanto atipico, certamente), l’ora del duello deve infine arrivare. La persona chiave degli ultimi fatti, Julia, è anch’essa un personaggio che racchiude in sé dei contrasti: “un demone dietro il volto di un angelo, o forse una angelo dietro alla maschera di un demone”, per descriverla con le parole di Faye. Per salvare Spike lo condanna a vagare per lo spazio con la sola speranza di incontrarla ancora, solo dopo la sua morte Spike sarà definitivamente libero di chiudere i conti e spendere la sua vita. Sviluppare un personaggio nel breve spazio di due episodi non è mai facile, ma si ha l’impressione che, nel caso di Julia, le cose non siano andate bene come con Glen. Forse troppo costretta nel suo ruolo, la bella Julia non va molto al di là di una figura funzionale alla trama, un’idea che tiene assieme altre situazioni e altri personaggi ma fatica a vivere di vita propria. E di nuovo, il cerchio si chiude davanti all’anziano sciamano: stavolta c’è Jet ad ascoltare la seconda predizione della morte del compagno. “Io non vado a morire, ma solo a provare a me stesso se sono realmente vivo” è il motto con cui Spike percorre tutti i ventisei episodi, in un mondo che non è mai quello visto dagli altri: “non sempre ciò che è visibile corrisponde alla realtà”, dice ancora l’uomo dai due occhi. E la morte di Julia, come poco dopo la sua, avviene come ha detto il vecchio indiano: un abbraccio, una calda sensazione di pace. Realtà, sogno o finzione, ora Spike sa di avere vissuto la vita: “tutto è più chiaro ora, la vita è solo un sogno, lo sai, che non avrà mai fine. Sto salendo”, recita la canzone su cui scorrono i titoli di coda (Blue). E la stella di Spike si spegne.
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COWBOY BEBOP di Jupiter Jazz. Così ad esempio la scena tra Faye e Spike, quando lei vorrebbe impedirgli di partire, ricalca da vicino la corrispondente scena tra Faye e Glen. La ragazza si presenta con la pistola spianata davanti ai due uomini che stanno per incontrare Vicious, ed entrambi hanno buon gioco nel fare vacillare la sua sicurezza e dissuaderla dai suoi propositi, andando poi incontro alla morte proprio per mano di Vicious. In effetti Spike e Glen hanno molto in comune, e lo svelano proprio in queste occasioni. Spike vive con un occhio nel presente ed uno fisso al passato, Glen dal canto suo si circonda di foto che lo ritraggono soldato su Titan, quando anche lui combatteva spalla a spalla con Vicious; anche lui vive per metà nel passato quindi. Come Spike, anche Glen vive del ricordo di Julia, e la morte dei due ha pure dei tratti in comune. Glen sceglie di essere abbandonato sulla sua navetta, alla deriva incontro a Titan, in un ideale viaggio verso il suo paradiso; e anche Spike, una volta accettato il proprio destino, vola verso il confine tra realtà e finzione, tra sonno e veglia, vola verso la frontiera dello spazio sconfinato. “I’m ascending” sono le parole della canzone di coda, che accompagna il graduale passaggio dell’inquadratura dalla città in cui Spike muore al cielo blu e allo spazio nero. Due stelle si spengono mentre gli spiriti di Spike e Glen si innalzano verso le vastità siderali, liberi finalmente dalla loro maledizione come il bambino di Simpathy for the Devil. In un ideale passaggio di consegne, Glen affida a Spike il ricordo di Julia, mentre il cowboy lascia la vita senza neanche più questo rimpianto. Ma c’è dell’altro: questi due personaggi sono entrambi ambigui e difficilmente definibili. Spike ha due occhi diversi, Glen addirittura ha due identità, una maschile e una femminile. In quanto a Vicious, non è che la metà oscura di entrambi: Spike e Glen devono al suo tradimento la loro vita di rimorsi e fughe dal passato. Accompagnato da un corvo nero e armato di una spada, anche Vicious appartiene ad un altro mondo e vaga per la frontiera spargendo morte, uomo che non crede in
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#21 BOOGIE WOOGIE FENG SHUI. 64) Jet e Meifa cercano indizi sullo scomparso Pao. 65) Ed incuriosita studia a suo modo la giovane Meifa, ospitata da Jet a bordo del “Bebop”. 66) Ed gioca con la tavola di Meifa.
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nulla tranne che nella sua brama di potere. Lo scambio di armi tra lui e Spike nell’ultimo duello sta ad indicare che i due possono trasformarsi l’uno nell’altro, due facce della stessa medaglia, come la Luna e il suo lato oscuro: solo la costante ricerca di Julia ha fatto sì che Spike cavalcasse su una pista diversa dal suo nemico. In un duello dove è più l’arma che altro a distinguere i contendenti, la restituzione reciproca di spada e pistola un attimo prima del colpo finale è come una ridefinizione delle identità personali e dei rispettivi ruoli.
Storie (quasi) romantiche.
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67) Meifa davanti alla tomba di Pao. #22 COWBOY FUNK. 68) Spike cattura senza troppi riguardi il bombarolo Bower. 69) Faye e Andy in ascensore con limmancabile cavallo.
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a trama di Cowboy Bebop gioca sulla sessualità dei personaggi in modo ironico e intelligente, distruggendo diversi luoghi comuni e convogliando varie situazioni nella storia d’amore tra Spike e Julia. Cominciando da Ed, non si può immaginare niente di più diverso dalle classiche ragazzine della sua età che solitamente popolano i cartoni animati giapponesi: esperta di computer e maestra di scacchi, i disegnatori la spogliano di qualsiasi connotato esteriore di femminilità. Ed diventa una “bambina” solo mentendo spudoratamente, a fianco di Jet, in Brain Scratch. Riguardo a Faye poi, fino a Jupiter Jazz forse si cala nel ruolo della pin-up, ma poi acquista uno spessore che la porta ben oltre il cliché della bella del gruppo. Tra Hard Luck Women e The Real Folk Blues la vediamo trasformata in una persona sconvolta e in ansia per il prossimo (memorabili le due scene con Spike, prima chiede scusa all’uscita dalla doccia e poi addirittura piange). La galleria di personaggi sessualmente ambigui è vasta, a cominciare dal travestito che compare in Stray Dog Strut, per continuare poi con la camionista Victoria Tersicore in Heavy metal Queen (quando Faye protesta il suo “essere donna” di fronte all’idea di trasportare esplosivo con la navetta), e finire con lo sfortunato Glen.
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COWBOY BEBOP La ricerca del passato da parte di Spike e Jet avviene sempre sulle tracce di una donna. Ma mentre per Jet il problema non è quello di tornare indietro, ma solo di capire cosa è successo, la storia di Spike è più complessa, tanto da costituire uno snodo della trama. Il modo in cui Julia lo ha abbandonato ricorda in qualche misura la storia di Casablanca, con lei che manca al fatidico appuntamento, anche se poi si viene a sapere che lo aveva fatto per proteggerlo. Negli episodi che segnano gli incontri tra Spike e Vicious, il rapporto del primo con la donna amata è sempre descritto indirettamente mediante il personaggio di Faye; o meglio, le situazioni che affrontano Spike e la sua collega sono tali da potere essere considerate versioni “alternative” e stravolte della storia d’amore più convenzionale che riprenderà il sopravvento nel finale. In Ballad of Fallen Angels Spike comincia incontrando appunto una donna, la sua vecchia amica Anastasia. Nel commento relativo all’episodio, ho già messo in evidenza l’importanza di questa figura e di quella di Faye nel costruire una situazione provocatoria, che rimarca il vuoto nel cuore di Spike causato dall’avere perso la sua metà. Nella chiesa, di fronte al pericolo corso dalla bella Faye, l’unica preoccupazione di Spike è prendere la mira: salvare la ragazza è una conseguenza fortunata ma secondaria dell’uccidere gli uomini di Vicious. In Jupiter Jazz lo stravolgimento del classico copione romantico è ancora più forte: quando Spike chiede di Julia, gli si presentano un travestito e un sassofonista ambiguo. È ancora Faye a mettere in moto una situazione paradossale: il suo incontro con Glen, dal jazz club alla sua doccia, sembra seguire la strada più scontata di questo genere di storie, per terminare però con una rivelazione sconcertante. La ricerca da parte dei personaggi della loro avventura d’amore viene infine distrutta e ridicolizzata quando Jet trova Faye ammanettata sul letto di Glen. Ma tra le anticipazioni che vengono fatte sul finale, ve n’è una che vale la pena ricordare, ed è legata al sesso incerto di Glen: quando Spike lo assiste morente, sta assistendo una donna (ovvero Julia), ma anche un
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70) Faye nella scombinata dimora di Andy. 71) Spike e Andy faccia a faccia; dietro di loro Bower non viene minimamente considerato. 72) Andy si dichiara battuto e cede il campo a Spike, andandosene al tramonto nella migliore tradizione western.
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uomo (vale a dire se stesso), prefigurando cioè quanto accadrà poi. Spike può affrontare finalmente Vicious solo dopo avere recuperato il suo legame con Julia: il passaggio del testimone tra Faye e la bionda avviene durante le scene dell’inseguimento in automobile. Coppia maledetta come quella del primo episodio, la storia di Spike e Julia si conclude in modo tragico e forse inaspettato, ma le parole di lei portano ancora una volta al consueto ribaltamento delle prospettive. Quale è il vero “brutto sogno?”: le scene oscure e torbide di Ballad of Fallen Angels e Jupiter Jazz o l’amarezza di perdere l’amore appena ritrovato?
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#23 BRAIN SCRATCH. 73) I “Migranti elettronici Scratch”. 74) Jet sperimenta la realtà visrtuale degli Scratch, e scopre come Londes riesce a plagiare i suoi adepti. 75) Jet ed Ed si fingono padre e figlia.
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na costante degli ultimi episodi è il duplice movimento di allontanamento e riavvicinamento al Bebop. Durante gli episodi, i personaggi si costruiscono un modo di vivere sull’astronave, trovando un equilibrio con gli altri e l’ambiente. Questo vale anche per Spike, che deve di volta in volta imparare a convivere con cani, bambini e donne che non sopporta, e per Faye, che tra una fuga e l’altra torna sempre sulla nave. Nel finale questo mondo collassa, perché gli eventi non consentono più ai protagonisti di sentirlo come proprio. È quanto avviene per Ed e per Spike: la prima perché ritrova la sua famiglia, il secondo perché, morta Julia, non ha più un motivo per continuare ad esistere evitando la vendetta (“nessuno di noi alla fine ha dove far ritorno, come degli aquiloni dai fili spezzati”, dice la sua amica Anastasia in punto di morte). Per Faye invece c’è un ulteriore movimento di ritorno, innescato proprio dalla notizia che Jet è solo e ferito, e confermato da un’esplicita confessione a Spike (“ormai l’unica casa che ho è questa”); anche in questo caso, nel momento della massima comprensione tra i personaggi, i due sono troppo coinvolti per guardarsi negli occhi. Il loro dialogo descrive l’abbandono della casa come un “risveglio”: Spike prende coscienza che il suo sogno d’amore è perso,
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COWBOY BEBOP quindi abbandona questa “casa” ideale (ancor prima che concreta) e se ne va dal Bebop in cerca della dimora eterna; Faye al contrario prende coscienza che la sua memoria l’ha condotta solo su luoghi deserti, e abbandona la sua casa in rovina per stare nella casa adottiva che è il Bebop. Insomma, il ritorno verso casa prefigurato in Jupiter Jazz infine si compie, e sia per Spike che per Faye si tratta di un ritorno con la consueta inversione di prospettiva: il primo perde Julia invece di ritrovarla, la seconda riconosce che la sua nuova vita è l’unica che le appartiene. E la battaglia che i due affrontano all’unisono aiutando Jet in difesa del Bebop è un momento veramente epico. Prima che Spike se ne vada, l’equipaggio dei cacciatori è unito per l’ultima volta a salvaguardia di quella che per ventisei episodi è stata la loro casa, il luogo a cui tornare sapendo di trovarvi qualcuno a preparare la cena, un punto di riferimento nell’immensità dello spazio. La scena rimanda in qualche modo alle grandi battaglie per mare nei film di guerra, con le navette di Spike e Faye a difendere la loro “portaerei” dai “caccia” nemici. E solo dopo avere messo al sicuro la nave di Jet, il vecchio Bebop, Spike va “a riprendersi il passato”.
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vari elementi che confluiscono nella storia, nei personaggi, negli ambienti e nelle musiche, sono mescolati con abilità in un insieme che prende man mano forma e sembra acquistare nel corso degli episodi una sua consapevolezza. Infatti, sebbene sia lecito dire che la storia è in qualche modo “circolare”, è anche vero che l’ultimo episodio segna un punto di arrivo. Cowboy Bebop è come un giro di giostra, ma dal quale si scende diversi; è una sarabanda di situazioni prese in prestito altrove, ma è al tempo stesso originale; è un discorso che comincia lontano, ma che esprime un messaggio autonomo. Capita raramente di vedere una serie animata tanto attenta e tanto consapevole del rapporto che si in-
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76) Faye plagiata da Londes. 77) Londes è in realtà Ronny Soangen, un giovane hacker in coma. #24 HARD LUCK WOMEN. 78) Alla ricerca del loro passato, Ed e Faye giungono all’orfanotrofio di suor Clara.
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79) Faye ritrova una vecchia compagna. 80) Ed lascia il Bebop. #25-26 THE REAL FOLK BLUES. 81) Jet ferito a una gamba dagli uomini dell’Organizzazione, viene curato dal fido dottore amico di Spike.
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staura tra la sua storia e lo spettacolo che offre. Questo senza arrivare a rompere totalmente gli schemi narrativi, come accade ad esempio in Neon Genesis Evangelion, ma mantenendo il discorso sui binari iniziali. Più volte, per esempio, viene ripreso il tema della televisione e dei mezzi di comunicazione, fino ad affrontarlo direttamente nel ventitreesimo episodio, ben sapendo che proprio sulla televisione va in onda la serie. A volte i personaggi danno la netta sensazione di “sapere” che stanno recitando un ruolo, che sono parte di uno spettacolo: Spike già nel primo episodio, Jet sicuramente nel dodicesimo, fino all’incredibile gesto di Spike prima della sua morte, il dito puntato contro i suoi avversari a mimare una pistola; gesto già visto in altri momenti della serie (in particolare alla fine degli episodi di Big Shot), con il quale il personaggio di Spike assume coscienza di sé nella storia ma anche al di fuori di essa, dando il commiato al pubblico come un “vero cowboy” in un “vero film western”. In modo analogo l’ammiccante valletta di Big Shot, protagonista consapevole di un finto Far West, saluta il pubblico televisivo sperando che apprezzi la scenetta. La finzione, insomma, rivendica il suo ruolo nella realtà, e tra personaggio (o attore) e pubblico viene ribadito l’implicito accordo che esiste tra chi recita (o chi dirige l’opera) e chi assiste: l’accordo a rappresentare una finzione e ad accettarla. Ma Big Shot si basava anche su un altro accordo: trasmettere notizie vere a veri cacciatori; e così la serie animata non si esime dal creare una sua propria dimensione reale, dal rivendicare a se stessa il diritto di esistere in quanto tale, sperando che lo spettatore vi possa riconoscere, seppure rielaborati e liberamente combinati, frammenti di quella realtà da cui l’opera stessa trae origine. I personaggi di Cowboy Bebop sembrano anche consapevoli che la loro esistenza è effimera e dipende dallo spettatore. Così è per Teddy, disperatamente in cerca di qualcuno che lo stia a sentire e lo metta al centro dell’attenzione: nelle sue parole, pure la serie
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COWBOY BEBOP televisiva di cui è parte diventa una “verità” che “i media ci vomitano addosso” e deve essere giustamente smascherata e relativizzata. La prima parte di Jupiter Jazz sviluppa questa idea applicandola dapprima a quella caricatura in piccolo di Cowboy Bebop che è “Big Shot”, quando Jet chiede di spegnere la televisione, stanco di essere “assordato” dalle chiacchiere dello show. L’insistenza degli sviluppatori nell’attingere a diversi generi di spettacolo (generi cinematografici, narrativi, musicali, grafici) e mescolarli tra loro non è solo funzionale alla riuscita dell’insieme o al particolare stile da conferire all’anime: è parte della consapevolezza, trasmessa nei dialoghi della serie, che sempre di spettacolo si tratta. Uno stile fisso, ad esempio quello del western (inteso in modo tradizionale), a lungo andare rischia di raccontare storie che sono “vere” finché sono sullo schermo, e che l’attimo dopo sono già del tutto “finte”. Mescolando tra loro i riferimenti si ottiene il risultato (oltre a quello di essere più liberi nel modificare i canoni) di creare uno “spettacolo” a tutti gli effetti, capace di fondere la realtà con le sue immagini proposte dal media, e di usare poi queste ultime in modo da rivelarle per quello che sono. Da sempre il mondo dell’animazione ha tra i suoi riferimenti il cinema e la televisione, ma forse Cowboy Bebop è il primo anime (o comunque uno dei pochi) ad integrare le citazioni, specie quelle musicali, in maniera tanto organica da potersi in effetti proporre come stile alternativo. Il suo finale chiuso, che non ammette proseguimenti, contribuisce ulteriormente a porre questa serie come punto fisso ed imprescindibile termine di paragone nel genere dell’animazione.
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82) Julia muore, colpita da un proiettile durante una sparatoria. 83) La resa dei conti tra Spike e Vicious. 84) Dopo aver ucciso il rivale, Spike, colpito a sua volta, si accascia al suolo. See you space cowboy...
ANTONIO TRIPODI
serie tv: COWBOY BEBOP
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ANIME
Serie tv
Spike Spiegel
Faye Valentine
Jet Black
“Ed”Tivrusky
Ein
Julia
Vicious
Dottore
Anastasia
Bob
Asimov Solensan
Katerina
Abdul Hakim
Gestorte negozio di animali
Ladro
Goton
Twinkle Maria Murdock
Giraffe
Wen
Fatty
V.T.
Cameriera
Dekkar
Otto
Calvino Piccaro
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serie tv: COWBOY BEBOP
COWBOY BEBOP
Rocco Bonaro
Sella Bonaro
Alisa
Lint
Donery
Baker Ponchorero
Glen
Lin
Hecks
Jonathan
Funzionario Gate Corp.
Witney Hargas Matsumoto
Dr. Bakkas
Infermiera Manrie
Fad
Udai Taksim
1° Evaso
Dig
Elroy
Black
Cofie
Shaft
Domino Walker
Agente Tibbs
Venditore di angurie
serie tv: COWBOY BEBOP
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ANIME
Serie tv
Il trio dei vecchietti
I presentatori del “Big Shot”
Sciamano
Negoziante Video
Miles
Doohan
Leiji
Harman
Ruth
George
Mad Pierrot
Pao
Meifa
Andy Von De Oniate
Ted Bower
Appledely Sinis Hesap Liutfen
Suor Clara
Sally Yun
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Dr. Londes/Ronny Soangen
Assistente di Liuften
Shin
serie tv: COWBOY BEBOP
COWBOY BEBOP SCHEDA TECNICA TITOLO ORIGINALE: “Kaubooi Bibappu” カウボーイビバップ ANNO: 1998 Prima messa in onda in Giappone: dal 3 aprile 1998 al 26 giugno 1998 IDEAZIONE: Hajime Yatate REGIA GENERALE: Shin’ichiro Watanabe SCENEGGIATURA: Keiko Nobumoto SCRIPT: Keiko Nobumoto (#1,3,6,12,13,15, 22,25,26), Michiko Yokote, Ryota Yamaguchi, Sadayuki Murai, Shinichiro Watanabe, Dai Sato, Akihiko Inari, Aya Yoshinaga (#18), Shoji Kawamori (#18) CHARACTER DESIGN: Toshihiro Kawamoto MECHA DESIGN: Kimitoshi Yamane DESIGN AMBIENTI: Isamu Imakake STORYBOARD: Shinichiro Watanabe (#1, 2, 5, 9, 17, 25, 26), Tensai Okamura (#6, 7, 12, 13, 15, 22, 24), Junichi Sato (#18), Kazuki Akane (#3), Kunihiro Mori (#11), Ranta Ushio (#21), Shigeyasu Yamauchi (#16), Toshiyuki Tsuru (#14), Umanosuke Iida (#19), Yoshiyuki Takei (#4, 20, 23) DIREZIONE DEI FONDALI: Jun’ichi Higashi MUSICHE: Yoko Kanno SIGLA INIZIALE: “Tank” cantate dai The Seatbelts SIGLA FINALE: “The real folk blues” (ed. Victor Enterteinment) cantata da Mai Yamane PRODUTTORI: Masahiko Minami, Kazuhiko Ikeguchi PRODUZIONE: SUNRISE INC. BANDAI VISUAL CO. LTD. © 1998 SUNRISE INC. © 2005 SHIN VISION Srl per la versione italiana
serie tv: COWBOY BEBOP
Episodi. SESSION 01: Asteroid blues SESSION 02: Stray dog strut SESSION 03: Honky tonk women SESSION 04: Gateway shuffle SESSION 05: Ballad of fallen angels SESSION 06: Sympathy for the devil SESSION 07: Heavy Metal Queen SESSION 08: Waltz for venus SESSION 09: Jamming with Edward SESSION 10: Ganymede elegy SESSION 11: Toys in the attic SESSION 12: Jupiter jazz (I parte) SESSION 13: Jupiter jazz (II parte) SESSION 14: Bohemian rhapsody SESSION 15: My funny Valentine SESSION 16: Black dog serenade SESSION 17: Mushroom samba SESSION 18: Speak like a child SESSION 19: Wild horses SESSION 20: Pierrot le fou SESSION 21: Boogie woogie feng shui SESSION 22: Cowboy funk SESSION 23: Brain scratch SESSION 24: Hard luck women SESSION 25: The real folk blues (I parte) SESSION 26: The real folk blues (II parte)
* Tutte le immagini presenti in questo articolo sono
© SUNRISE Inc. All rights reserved
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ANIME
Intervista
BREVE PROFILO. La SHIN VISION, società nata nel settembre del 2002 con sede legale a Roma e operativa a Bologna, opera nel settore della localizzazione di anime e manga, svolgendo attività di TV licensing, produzione e distribuzione home-video, pubblicazione di fumetti, merchandising e musica. Pur anagraficamente giovane, si avvale di un’esperienza consolidata, riunendo professionisti di lungo corso che hanno attraversato attivamente, tracciandole, tutte le tappe del secondo anime boom in Italia.
L’INTERViSta La Shin Vision di recente sembra aver moltiplicato (con gran delizia da parte del pubblico) il proprio impegno distributivo nel “mercato” degli anime in Italia. Considerando la corrispondenza tra alcune vostre serie e altre appartenute nel recente passato a una vostra particolare concorrente, sorge quasi lo “scabroso” dubbio che si siano (ri)allacciati legami, commerciali o collaborativi, con Dynit! Fantagossip a parte, come si articola la vostra sinergia con altri esponenti del settore (per esempio Mondo e DeAgostini), che un tempo avrebbero potuto definirsi “competitori”?
COWBOY BEBOP (Complete Edition - Cofanetto) © SUNRISE Inc.
mics hanno organizzato un evento legato agli universi di Gundam, ad esempio. Per quanto riguarda il rapporto tra De Agostini e Shin Vision, non si può parlare di concorrenza, perché le due ditte lavorano su due mercati completamente diversi. Il pubblico che acquista I wish you were here - Vorrei tu fossi qui in edicola non è lo stesso che ne compra la versione deluxe nei negozi; quello delle edicole è un acquirente anche casuale, non necessa- Secondo noi le collaborazioni tra edito- riamente un appassionato e cultore: uno che magari ri sono importanti e utili, e aiutano a far conoscere ha notato la serie su MTV e l’ha comprata al volo meglio i rispettivi titoli a un pubblico più ampio. Ad intravedendola sugli scaffali. Semmai la presenza di un anime in edicola spinge esempio, non è detto che l’acquirente del DVD di One Piece - All’arrembaggio conosca anche il fumetto, e il pubblico a comprare l’edizione da fumetteria, non viceversa. È in quest’ottica che Shin Vision e Star Co- è concorrenza.
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INTERVISTA: SHIN VISION
SHIN vision
La collaborazione con Mondo Home Entertainment invece riguarda la distribuzione, non la produzione dei DVD. Per quanto riguarda i titoli precedentemente appartenuti ad altri editori (come Cowboy Bebop e Trigun), semplicemente erano nuovamente liberi per l’Italia. >>> “Shin Vision” è un nome dall’etimologia particolare... Chi ama gli anime sa che il fonema “shin”, tra le altre cose, nei titoli originali introduce di solito una seconda stagione di una serie edita, o una sua riproposizione in forma di remake. Sotto questa luce, la “Nuova Visione” sembra quasi riflettersi nella strategia di rieditare in cofanetto alcune opere già uscite in Italia, come appunto Cowboy Bebop e Trigun. In una logica puramente commerciale, l’operazione potrebbe risultare rischiosa, escludendo potenzialmente dal parco-acquirenti molti di coloro che già possiedono queste opere in DVD. Qual è la ragione che vi ha spinti a riacquistarne i diritti nonostante fossero già stati “sfruttati”? - Shin Vision ritiene Cowboy Bebop e Trigun due titoli importanti nel campo dell’animazione, per questo ha scelto di rieditarli in DVD per il pubblico italiano. Le “Complete Edition” sono un esperimento per proporre a un pubblico più vasto l’intera serie e farla conoscere anche a chi solitamente non segue animazione ma è interessato al cinema o ai telefilm. Verranno comunque editate anche delle versioni per collezionisti, particolarmente curate, con caratteristiche audio-video superiori e con vari extra. Crediamo che la strada giusta per imporsi in un mercato stratificato e complesso come quello italiano sia quella della diversificazione dei prodotti. Su questo punto anche le scelte distributive vengono differenziate: la Collector’s Edition è per il pubblico delle fumetterie e delle librerie specializzate, mentre la Complete Edition potrà raggiungere la grande distribuzione, andando in vendita anche nelle videoteche e nei centri commerciali.
INTERVISTA: SHIN VISION
TRIGUN (Complete Edition - Cofanetto) © & ® 1998 Yasuhiro Nightow/Shonen GahoshaTokuma Shoten-JVC. All rights reserved.
>>> Sempre in tema di strategie commerciali, la Shin Vision dimostra di tenere in grande considerazione il mercato televisivo, sia come fonte di guadagno autonoma che come essenziale traino per il lancio delle edizioni in DVD. Quanto ritenete importante nel settore degli anime il rapporto con le televisioni? - Il passaggio televisivo è fondamentale: prima di tutto perché gli anime seriali sono pensati in origine proprio per una diffusione televisiva, quindi sarebbe un peccato non poterli fruire anche in Italia
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GUNDAM WING (Vol. #1) © Sotsu Agency - Sunrise
Intervista
WOLF’S RAIN (Vol. #5) © BONES · KEIKO NOBUMOTO / BV All rights reserved
- Fin dalle origini Shin Vision si è posta nei confronti delle opere che andava a presentare col massimo rispetto della loro integrità. Le traduzioni e gli adattamenti vogliono essere il più possibile fedeli all’opera originale, rispettando gli intenti degli autori. Per questo le edizioni in DVD di Shin Vision sono sempre integrali: quando richiesto esplicitamente dalle emittenti televisive vengono effettuati dei doppiaggi >>> “meno forti” apposta per la messa in onda TV, quindi Come vi schierate rispetto all’annosa questione del- si possono trovare sul DVD due tracce italiane, una la censura e dell’adattamento “indiscriminato” a cui televisiva e l’altra senza alcuna censura (come avvespesso in passato (ma anche tutt’oggi) sono stati sot- nuto per Wolf’s Rain e Ken il guerriero - La trilogia). toposti gli anime durante i passaggi TV? Rispetto alla >>> trasmissione televisiva delle vostre serie esiste questo problema? alla stessa maniera. In seconda istanza è indubbio che la messa in onda TV permette di raggiungere un pubblico estremamente vasto e di far conoscere così l’opera anche al di fuori della cerchia dei soli appassionati. Per questo mantenere un rapporto continuo con le reti televisive è indispensabile al giorno d’oggi.
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INTERVISTA: SHIN VISION
SHIN vision
I non “addetti ai lavori” si chiedono spesso cosa influisca maggiormente sui costi di edizione: l’acquisizione dei diritti, il doppiaggio, i materiali, la distribuzione… In che proporzioni concorrono effettivamente questi elementi nel determinare il prezzo di una serie? E, di conseguenza, quali sono quegli aspetti di un’edizione l’aver curato i quali diventa prova di reale impegno (meritevoli quindi d’essere apprezzati più di altri dal pubblico)?
[ndr]) fin dai suoi esordi in Granata Press; è stato lui a creare il fenomeno del divismo attorno ai doppiatori dell’animazione, e ancora oggi supervisiona la selezione degli attori chiamati a dare vita ai personaggi Shin Vision. Il doppiaggio secondo noi è un elemento fondamentale, un cast scelto male o diretto pedestremente compromette irrimediabilmente l’identificazione con i personaggi e la partecipazione emotiva all’azione. La voce del doppiatore è l’aggancio empatico principale tra lo spettatore e il personaggio, in quanto fatto- I costi sono indubbiamente determinati re umano che dà corpo e anima a una figura disegnata dal prezzo dei diritti di una serie, a cui va sommato il e stilizzata. doppiaggio e la qualità audio/video della replicazioPensate al lavoro fatto da Massimo De Ambrone, che più sono curati e più costano. Naturalmente i prezzi devono però rimanere entro precisi standard: questo vuol dire che i costi devono essere ammortizABENOBASHI - Il Quartiere Commerciale di Magia (Vol. #3) zati sul tipo di edizione e suddivisione in volumi. Per © GAINAX / ABENOBASHI PROJECT All Rights Reserved fare un esempio, le Complete Edition sono possibili per serie “vecchie” che non hanno un costo vivo di doppiaggio, perché possiedono già un doppiaggio precedente. La scelta dei doppiatori e la cura per ogni singolo aspetto della produzione del DVD, dal master video alle tracce sonore, fanno la differenza sul prodotto finale, e chiaramente comportano un investimento notevole, anche da punto di vista dei tempi realizzativi. >>> Parlando in particolare del doppiaggio. Le vostre produzioni, sotto questo aspetto, rappresentano il top. Oltre al rigore e alla professionalità nell’adattamento degli script originali, è corretto se affermiamo che anche la ricerca delle corrispondenze di timbro nelle voci tra l’edizione giapponese e quella italiana, della corretta interpretazione espressiva e vocale dei personaggi nei dialoghi, siano fondamentali per preservare la fedeltà e rispettare il valore artistico dell’opera originale? E che in tal senso il vostro impegno è massimo? - Il doppiaggio è uno dei pallini di Francesco Di Sanzo (amministratore unico Shin Vision
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Intervista stata un altro tour de force, visti i ritmi scatenati del dialogo e la quantità di personaggi che spesso parlano e urlano in contemporanea. Un’anticipazione: per il doppiaggio di Hellsing è stata scelta una delle voci più fascinose ed inquietanti di oggi, che per il momento non vi sveliamo. Preparatevi a una bella sorpresa… Tra l’altro è nostra intenzione effettuare una serie di focus sui doppiatori delle nostre serie: abbiamo iniziato con Perla Liberatori, che risponde alle nostre domande al link www.shinvision.com/news/news_vox.cfm?NewsID=571. >>> Spesso molte opere di cui viene annunciata l’uscita, o addirittura alcune già uscite, subiscono un improvviso rallentamento della distribuzione. Capita anche ad alcune delle vostre serie; ce ne spiegate i motivi?
I WISH YOU WERE HERE - Vorrei che tu fossi qui (Complete Edition - Cofanetto) © 2001 GONZO / project-i
sis sul reverendo Wolfwood di Trigun, all’ironia e alle sfumature che riesce a dargli, alla brillantezza e al ritmo dei dialoghi tra lui e Simone Mori-Vash the Stampede, oppure alla verve travolgente di Perla Liberatori, che riesce a reinventare continuamente il personaggio di Kaname nelle due serie di Full Metal Panic? Fumoffu. Un altro esempio a cui teniamo particolarmente è Abenobashi - Il quartiere commerciale di magia, in assoluto la nostra serie più difficile da rendere in italiano. Gualtiero Cannarsi ha fatto un lavoro mastodontico di adattamento dei dialoghi per ricreare un equivalente in italiano della parlata dialettale giapponese dei protagonisti. La direzione del doppiaggio è
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- Il mercato italiano è ormai vicino alla saturazione, diversi editori lavorano in questo settore, e sono tutti agguerritissimi. Per questo motivo ogni uscita va ponderata con calma, non si possono mettere in commercio troppi titoli contemporaneamente, il rischio è di farsi concorrenza da soli. Spesso capita che la situazione muti improvvisamente, e che si debbano rivedere all’ultimo i tempi d’uscita di serie già programmate e imminenti. Inoltre, la lavorazione di un DVD è molto più lunga e laboriosa rispetto a quella di una VHS, e presenta oltretutto un rischio di incidenti ed errori di lavorazione molto più ampio. Spesso un check disc va ricontrollato più volte per essere sicuri che non insorgano problemi nei vari passaggi di lavorazione, nei menu, e/o nei sottotitoli, che fanno slittare in avanti l’uscita di un DVD anche più di una volta. Quanto alle serie già avviate, ai problemi già elencati si possono aggiungere altre incidenze, come il cambio di un responsabile degli adattamenti, o lo slittamento nella programmazione televisiva di una serie. Un adattatore non può essere sostituito immediatamente, bisogna trovare una persona all’altezza, che deve studiarsi il lavoro del predecessore per con-
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SHIN vision
tinuare sulla stessa linea e rendere impercettibile il cambiamento allo spettatore. Se un dato personaggio parlava in un certo modo, con dei tormentoni fissi, lo stile va mantenuto, pena la disaffezione dei fan. Ultimamente a Shin Vision ci stiamo dando da fare per migliorare la puntualità e gestire meglio la comunicazione delle uscite imminenti: dovreste vedere i primi risultati a partire da primavera. >>> Una cosa poco nota, e che interessa più di qualche fan, è sapere in che modo si svolgono le trattative per l’acquisizione delle licenze. E, in particolare, quali requisiti esigono i titolari nipponici dei diritti dai distributori degli altri Paesi. Vengono richieste garanzie principalmente di carattere commerciale ed economico, o si privilegia l’aspetto artistico? Al di là delle giuste pretese da parte dei singoli autori, è sentita, in Giappone, l’esigenza di far rispettare all’estero l’integrità “artistica” delle opere anime e manga? - Mmmh… domanda interessante ma un po’ spinosa… direi che dipende da caso a caso. I Giapponesi sono in generale molto scrupolosi e precisi, e nei contratti mettono sempre delle clausole specifiche, in cui richiedono particolari accorgimenti nell’utilizzo delle immagini o nell’adattamento dei loghi. Ad esempio, nell’edizione italiana di Full Metal Panic? Fumoffu siamo tenuti a mettere in copertina il logo originale in giapponese della serie, mentre lo studio Bones chiede di utilizzare integralmente le immagini di Wolf’s Rain che ci vengono fornite, senza scontornarle o modificarle in alcun modo. Comunque ogni edizione, copertina e/o gadget che viene prodotto, va inviato in Giappone per l’approvazione, e solo in seguito ufficializzato e replicato in serie. >>> Ultimamente il vostro catalogo si è aperto anche ai film non animati e live-action, non solo giapponesi ma orientali in generale. È certamente un settore tut-
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NIGHTWARRIORS - DARKSTALKERS’ REVENGE (Collector’s Edition - Vol. #1) © Capcom / TOSHIBA ENTERTAINMENT. Licensed by Capcom Inc. Italian edition © 2005 Shin Vision Srl. Under license from Toshiba Entertainment.
to da esplorare, che in Italia vanta un numero sempre crescente di appassionati. Puntate molto su di esso? - Crediamo moltissimo nel settore LiveAction, abbiamo molti progetti in serbo, e puntiamo ad ampliarlo molto in futuro. È un buon momento per il cinema orientale, i film vincono i festival e piacciono al pubblico, la gente fa la fila per vedere i film di Kitano, Park Chan-wook e Kim Ki-duk e segue Volcano High e Bichunmoo su MTV. C’è molta richiesta, e l’interesse sembra in continuo aumento.
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Intervista film italiano molto duro e innovativo ambientato a Bologna. Siamo molto curiosi di vedere come reagirà il nostro pubblico… >>> Sbirciando i vostri titoli, notiamo una mancanza: ci sarà spazio nel prossimo futuro per la riedizione delle serie meno recenti, quelle celeberrime degli anni 70 e 80?
SLAYERS (Vol. #5) © 1995 H. KANZAKA/R. ARAIZUMI • KADOKAWA • TV TOKYO • MEDIANET • MARUBENI - All right reserved.
A marzo esce a noleggio Volcano High, seguiranno subito dopo la Regular Edition, la DTS Edition ed una Collector’s Edition zeppa di extra. Stesso identico iter spetterà a Bichunmoo, più avanti. In futuro faremo uscire il giapponese Azumi, un action ferocissimo con protagonista una spadaccina mozzafiato, diretto dal regista cult Kitamura Ryuhei, e altri due titoli nipponici ancora top secret, i cui trailer troverete in anteprima tra gli extra della versione noleggio di Volcano High.
- Beh, abbiamo in progetto di rieditare Charlotte in DVD con il nuovo doppiaggio; una serie molto amata dai nostalgici, ma ha conquistato il cuore anche dei bambini di oggi, che l’hanno vista prima su Italian Teen Television e poi su Italia 1 dove è diventata la hit della mattina. È uno di quei titoli immortali che non invecchiano mai, vogliamo farne un’edizione coi fiocchi. L’altro titolo d’annata importante è Il mio amico Patrasche, un anime commovente e molto richiesto dal nostro pubblico. Entrambi fanno parte del nostro progetto diretto ai più piccoli, che ha come serie di punta la superstar di Italia 1 SpongeBob e i Vampiriani - Vampiri vegetariani. Sono tutti titoli adatti (e amati) anche agli adulti, ma ci permettono di catturare nuove ed ampie fasce di pubblico prestandosi ad essere distribuiti in un bacino molto più ampio di negozi, compresi centri commerciali e librerie, frequentati dalle famiglie. >>> I fan ci chiedono quando appronterete una newsletter sottoscrivibile dal web, e cosa ci riserverà il 2006, in DVD e in televisione. Noi, dopo la recensione inserita nel n.1 di TdC, aggiungiamo una domanda col cuore in mano (“e quindi con i polsini insanguinati” come specificherebbe un noto comico teatrale): a quando l’uscita di Giant Robot?
Oltre ai film orientali, cercheremo anche di espanderci in altri settori e sperimentare nuove vie: ad - La newsletter sembra finalmente in diritesempio, presto uscirà il DVD de Il vento, di sera, un tura d’arrivo, entro primavera dovrebbe essere attiva.
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SHIN vision
FULL METAL PANIC? FUMOFFU (Vol. #2) © Gato Shoji•Shikidoji/Jindai High School Student Committee
Quanto alla televisione, vi posso dire soltanto che ci sono grosse novità imminenti, ancora top secret. Giant Robot? Ci sono ben due progetti importanti riguardanti questa serie… ovviamente top secret! Speriamo di riuscire a riportarla alla luce entro l’anno. Usciranno sicuramente anche Hellsing e Lei l’arma finale, due dei titoli più amati di MTV Anime Week, e a primavera ritorneranno alla grande RahXephon e Hunter x Hunter.
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FULL METAL PANIC! (Compl. Ed. Cofanetto) © Shouji Gatou - Shikidouji / MITHRIL
TdC ringrazia l’Ufficio Stampa Shin Vision per la disponibilità nel concedere questa intervista, e in particolare Luca Della Casa per il lavoro di coordinazione svolto.
Le informazioni sulle produzioni Shin Vision sono reperibili on-line nel sito di riferimento: WWW.SHINVISION.COM
MASSIMO DE FAVERI
INTERVISTA: SHIN VISION
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ANIME IN 3D
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ANIME IN 3D: MAZINGA Z
Mazinga Z DIMENSIONI. Vertici: 49188; poligoni: 48287. La sola testa ha vertici: 7736; poligoni: 5131. MODELLAZIONE. Il petto, la vita, il bacino e le gambe sono state modellate per metanurbs, le braccia sono semplici cilindri smussati. La testa è stata modellata vertice per vertice abbozzando i volumi principali e aumentandone il dettaglio gradualmente. Sfruttando l’uv mapping di Lightwave è stato un attimo aggiungere pannelli e graffi a tutte le parti del corpo. E pensare che per le texture della sola vita, create quando Lightwave non supportava l’uv mapping ci è voluta una vita. IL PROBLEMA PIÙ GRANDE. Sebbene sia piuttosto facile da modellare, Mazinga nasconde alcune insidie. Oltre a dover prestare la
Sebbene sia piuttosto facile da modellare, Mazinga nasconde alcune insidie.
massima attenzione ad ogni giuntura mobile del corpo (cosa comune a tutti i robot degli anni 70-80 per evitare sovrapposizioni di solidi o, peggio, il distaccamento delle parti) la zona blu del volto è piuttosto complessa. All’apparenza sembra composta da facce piane ma in realtà ogni singola superficie deve essere leggermente curvata per ottenere una vista di tre quarti il più possibile simile al cartone animato.
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azinga Z è stato il mio secondo modello 3d di un robot. Sono passati anni dalla sua modellazione, la geometria è abbastanza
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ANIME
ANIME IN 3D se semplici sono piene di sentimento e di colpi di scena. I personaggi hanno una forte caratterizzazione e comportamenti coerenti. E poi MazingaZ è l’inizio di una saga che passando per Il Grande Mazinga giunge fino al recente Mazinkaiser. Modellare un robot di tale fama è un impegno notevole, soprattutto se ci si pone l’obiettivo di essere fedeli all’originale. Tutti lo conoscono e noterebbero i miei errori. Le forme sono semplici, cilindri smussati per gli arti, sfere defor-
MazingaZ è il robot gigante per antonomasia, eroico, eccentrico e potentissimo.
schematica, i materiali hanno una risoluzione piuttosto bassa ma nonostante questo è sicuramente il mio modello più apprezzato. La ragione risiede sicuramente nel suo alter ego televisivo, ci sono eserciti di fan, principalmente del Sudamerica, che vorrebbero acquistare questo modello o che si accontenterebbero di un poster gigante dello stesso. MazingaZ è il robot gigante per antonomasia, eroico, eccentrico e potentissimo. Le sue storie anche
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La titolazione nelle 2 mate per torace e bacino. Anche la testa non è che un insieme di solisigle originali. di giustapposti. Mai come in que- le forme. Il cartone presuppone che sto modello la complessità è nelle tutto si deformi come se fosse di proporzioni egli elementi piuttosto che nelle loro realizzazioni singole. Creato uno schema di base con i solidi abbozzati, ho corretto le proMai come in questo porzioni fino ad ottenere un robot modello la complessinon molto slanciato ma non goffo. tà è nelle proporzioni Il cartone non aiuta perché in molegli elementi piuttosto te inquadrature Mazinga risulta distorto e inguardabile (a causa dei che nelle loro realizzadisegni non perfetti eseguiti dagli zioni singole. intercalatori). Ho dovuto anche trovare il modo per rendere credibili le giunture del robot senza snaturarne
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gomma ma l’effetto in 3d sarebbe poco credibile. Qualcosa è stato risolto (gomiti e ginocchia) qualcosa no (il bacino). Impostate le forme e curate le giunture, le gerarchie, i limiti delle rotazioni, sono passato ad affinare il tutto fino al risultato che vedete. In rete c’è una quantità notevole di modelli 3d di MazingaZ (quasi tutti di pessima fattura però), e per differenziare il mio ho deciso di modellarlo come appare negli ultimi episodi de Il Grande Mazinga, quando viene richiamato “in servizio” per sconfiggere la minaccia dell’Imperatore delle Tenebre.
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ANIME IN 3D
La nuca blu, i numerosi giunti metallici e il Jet Pilder al posto dell’Hover Pilder sono i segni che lo differenziano dal primo Mazinga. La testa è sicuramente l’elemento più delicato. Ha una forma che non può essere spiegata, nulla è come sembra. Le superfici che nel cartone sembrano piane in realtà devono essere curvate (le guance ad esempio), altre che sembrano circolari sono in realtà curvilinee (ad esempio la nuca). È un continuo effetto ottico che, se non curato, dà risultati pietosi (bocche lunghe, oc-
Le superfici che nel cartone sembrano piane in realtà devono essere curvate...
chi da pesce, corone giganti ecc). I più attenti si saranno accorti che il Jet Pilder (il veicolo rosso arancio sulla testa) non è completo. Infatti ho curato solo le parti visibili quando è innestato sulla testa. Un giorno vedrò di finirlo per poterlo mostrare anche in volo. Le immagini presenti in questo articolo sono © TOEI DOGA/GO NAGAI (originali) © GIANNI SOLDATI (3D)
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Grandi
AUTORI “Con gli anni la moralità in genere migliora, quel che lascia a desiderare è l’immoralità.” Herbert George Wells (1866 - 1946)
Bibliografia scelta La Visita Meravigliosa (The wonderful visit, 1895) La macchina del tempo (The Time Machine, 1895) The Stolen Bacillus and Other Incidents (1895) L’Isola del Dottor Moreau (The Island of Dr. Moreau, 1896) Herbert George WellsThe Wheels of Chance (1896) L’Uomo Invisibile (The Invisible Man, 1897) La Guerra dei Mondi (The War of the Worlds, 1897) Quando il Dormiente si Sveglierà (When the Sleeper Wakes, 1899) Love and Mr. Lewisham (1900) I Primi Uomini sulla Luna (The First Men in the Moon, 1901) Mankind in the Making (1903) The Scepticism of the Instrument (1903) L’alimento Divino (The Food of the Gods and How It Came to Earth, 1904) Kipps (1905) A Modern Utopia (1905) Nei Giorni della Cometa (In the Days of the Comet, 1906) La Guerra nell’Aria (The War in the Air, 1908) First and Last Things (1908) Ann Veronica (1909) Tono-Bungay (1909) The History of Mr. Polly (1910) The New Machiavelli (1911) The Country of the Blind and Other Stories (1911) The Sleeper Awakes (1911) - Edizione rivista di When the Sleeper Wakes Floor Games (1911) Marriage (1912) Little Wars (1913) La Liberazione del Mondo (The World Set Free, 1914) The Research Magnificent (1915) God the Invisible King (1917) War and the Future (1917) The Soul of a Bishop (1917) The Outline of History I, II 1920, 1931, 1940 (1949, 1956, 1961, 1971) The Secret Places of the Heart (1922)
Uomini come Dei (Men Like Gods, 1923) The World of William Clissold (1926) Meanwhile (1927) Mr Blettsworthy on Rampole Island (1928) The Open Conspiracy (1928) The Shape of Things to Come (1933) Gli Astrigeni (Star Begotten, 1937) Crux Ansata (1943)
Herbert George Wells
FANTASCIENZA
RACCONTO
VITTORIA IN DUE DIMENSIONI
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na crociera esplorativa di un nostro CantZ506 ci avvertì della presenza di un grosso convoglio inglese, scortato da numerose navi avversarie, cacciatorpediniere e una portaerei. Il ricognitore, lento e vulnerabile, era riuscito a tornare pressoché indenne nonostante il violento fuoco della contraerea e la caccia di alcuni Sea Hurricane. Era un’occasione ghiotta, da non sprecare. Eravamo tutti molto ansiosi ed emozionati di entrare in azione, dopo un’inattività che durava mesi. Ci sentivamo inutili, coperti di polvere quasi come le dune che ci circondavano. Quella tensione si allontanò magicamente una volta accesi i motori. Ci alzammo in volo in quattro, i soliti quattro gatti, con una scorta ridicola. Procedevamo in formazione compatta per permettere ai nostri caccia un’adeguata copertura. Il pilota e il copilota del mio Savoia Marchetti ridevano tra di loro raccontandosi storielle e freddure. «Starace ai bagni pubblici…» disse il primo. «La conosco…» rispose il secondo. «No aspetta, vedrai: beh scorge in un vespasiano la scritta “Starace chi legge”. Se ne esce inferocito dal bagno e risponde offeso: “Starace chi scrive, invece!» Una risata generale chiosò il racconto. Io, che insieme ad altri avevo abbandonato la mia postazione alle armi laterali e mi ero unito all’allegra compagine, tirai fuori una rima in voga tra gli alpini della Pusteria durante la Guerra d’Etiopia: Si scopron le trombe, si levano i morti, i nostri gerarchi sono tutti risorti. Finché noi pugnammo fiorivan negli orti
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Ma or che la pugna diventa pugnetta i nostri gerarchi accorrono in fretta. Se spira il più lieve sussurro di vento chiedono e ottengono medaglia d’argento Persino Starace, di tutti il più stronzo, rimedia anche lui medaglia di bronzo. Vien fuori medaglia, vien fuori ch’è l’ora vien fuori medaglia, medaglia al valor… «Ehi, guardate un po’ là» ci interruppe il pilota. «Oh siur! visto che ben di dio?» osservò il copilota. Sotto di noi procedeva in fila indiana una formazione assai coesa: all’esterno si trovano le navi militari di scorta, all’interno alcuni piroscafi e una petroliera. I siluri rendevano goffi e lenti gli aerei e, dopo essere stati avvistati, fummo oggetto di un violento fuoco di sbarramento. I caccia di scorta, biplani Cr 42, iniziarono a caracollare in splendide evoluzioni. Erano straordinariamente manovrabili e in un altro contesto amici e nemici ne avrebbero ammirato le eleganti volute. Ora si esibivano solo a vantaggio dei primi, mentre i secondi con accanimento cercavano di abbatterli. Uno di questi venne colpito o forse il suo motore andò in stallo. Sbandò terribilmente prima di cadere in mare con un enorme schianto. Rimanemmo in silenzio: non avevamo visto nessun paracadute aprirsi. «Preparatevi ragazzi” ci disse il pilota. «Ora si va.» La procedura era complessa: dovevamo scendere a velocità costante, evitando il fuoco della contraerea e nello stesso tempo fare in modo che i siluri si armassero.
RACCONTO: VITTORIA IN 2 DIMENSIONI
VITTORIA IN DUE DIMENSIONI
Attorno a noi c’erano proiettili e frammenti ovunque: era come entrare all’inferno. Sentimmo la debole struttura di tela del nostro aereo venire bucherellata più volte e ci furono i primi feriti, per fortuna niente di grave. Continuammo in quella lenta discesa fino alla quota di lancio prescritta, raggiunta la quale lasciammo cadere un siluro, ma l’altro rimase ostinatamente impigliato alla pancia dell’aereo. «Porca puttana, uno non si è staccato» urlò il pilota. Ancora appesantiti da quell’ingombro, risalimmo il più velocemente possibile e fu in quel momento che imboccammo un denso banco di nubi, usciti dal quale ci accorgemmo di essere soli…
«Abbia pazienza, ci sono quasi. Lei piuttosto sta ancora registrando?» Il giornalista alzò un braccio indicando la luce accesa del piccolo registratore che teneva in mano. «Ah bene. Dove eravamo?» «Stavate risalendo con l’aereo…» «Certamente, salimmo di quota e ci accorgemmo di aver smarrito i nostri compagni: nessun Savoia all’orizzonte, nemmeno un caccia in vista, nostro o inglese…»
«Dove diavolo siamo finiti?» domandai, ma nessuno sembrò conoscere la risposta. Abbassai lo sguardo e… …sotto di noi, al posto dell’immensa distesa azzurra, c’era una massa ribollente dal colore sanguigno Il giornalista sbuffò visibilmente, non era certo e un’enorme creatura, con le braccia simili a tentacoli venuto lì per ascoltare storie di guerra e certi riferi- che si dibatteva con violenza cercando di raggiungermenti al passato, di questi tempi, sarebbero stati diffi- ci. cilmente pubblicabili. Lo stupore ci paralizzò e fu il pilota a interrompe«Veniamo al dunque» esortò, infine. re quell’attimo di indecisione
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FANTASCIENZA
RACCONTO
«Da dove è uscita quella…cosa?» Oriani aprì il portello delle mitragliatrici laterali per osservala meglio. Proprio allora l’essere rivolse il suo sguardo su di noi. Non saprei descrivere bene ciò che accadde, ma Oriani iniziò a urlare come in preda a un attacco epilettico, fintanto che cadde con un lunghissimo grido… «Lo sogno ancora, sa, quel grido. Mai avevo sentito un suono simile erompere dalla bocca di un uomo.» «Potrebbe descrivermi meglio quella creatura?» domandò il giornalista, improvvisamente interessato. «Beh, posso dirle soltanto che svettava tra quel liquido rossiccio per il suo colore bluastro e che era dotato di tentacoli, nient’altro.» «Non possiamo atterrare con un siluro in pancia, proviamo a liberarcene e a vendicare Oriani» disse il pilota con ferocia. «Ma dove pensi di atterrare, di grazia? Per quel che ne sappiamo possiamo essere finiti all’inferno» gli rispose il copilota sarcastico. «Se hai proposte migliori, sono pronto ad ascoltarti…» «Vada per l’attacco, allora. Nella peggiore delle ipotesi, San Pietro ce ne renderà merito.» «Attenzione!» urlai in preda al panico. Dalle fauci di quel mostro era uscita una specie di cometa verdastra che evitammo per un soffio. «Avanti allora» disse infine il pilota. Ci abbassammo ancora ripetendo nuovamente la procedura di attacco e, con nostra grande gioia e meraviglia, il siluro questa volta si staccò. Mentre risalivamo nuovamente, osservammo la lunga scia bianca dell’ordigno dirigersi come una lama verso il mostro. Poi un’esplosione e un grido…un lungo e disumano grido di dolore. Cercammo nuovamente il riparo delle nuvole, nel timore di un nuovo attacco da parte della creatura, ma quando ne uscimmo tutto era tornato come prima e vedemmo in lontananza una grossa petroliera inglese affondare.
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«Ricevemmo una medaglia per quell’azione, chissà se San Pietro ne ha in serbo un’altra per noi» concluse l’uomo, ridendo. Alcuni giorni dopo, il mensile “Storia e Misteri” uscì con un altisonante titolo: “1942. Vittoria in due dimensioni.”
STEFANO BACCOLINI “Il merito principale dell’autore è, a mio parere, di aver rivolto l’attenzione ad una particolare fattispecie propria della storia italiana, definendola nei più minuziosi particolari (i modelli degli aerei, la canzone degli Alpini). Non è un universo sconosciuto, un paesaggio indistinto da cui sorge una bestia altrettanto anonima; il tasso di “italianità” è molto forte in questo racconto, il che contribuisce a renderlo più vicino alla nostra mentalità e ai nostri ricordi. Il tono asciutto e semplice del reduce, così come la rigidità del regime fascista, contrastano molto efficacemente con il risvolto “sovrannaturale” che investe la seconda parte. Come in un grande gioco di specchi, le parole del reduce si riflettono nel giornalista, così come, si potrebbe azzardare, la petroliera si rifrange, nella mente dei soldati nemici, in una grande bestia mortifera.”
ELFWINE “Con Vittoria in due dimensioni, l’autore ha fatto un rapido flash attorno al mondo delle ucronie, offrendoci un racconto diretto e quasi scarno, strutturato in modo particolarmente efficace nella sua brevità. Molto realistico con piacevoli sfumature umoristiche, il racconto associa la concretezza dei dettagli all’irrealtà fantastica del mostro sconosciuto: un effetto “stile Matheson”, si potrebbe dire, che cattura immediatamente l’attenzione del lettore e lo conduce dentro la storia fin dalle prime frasi.”
ANJIIN
RACCONTO: VITTORIA IN 2 DIMENSIONI
TERRE DI CONFINE 002 FANTASCIENZA (Lettura) Io, robot (Cinema) Io, robot (Cinema) L’uomo bicentenario (Cinema) Il mondo dei robot (Cinema) I.A. intelligenza artificiale (Lettura) Ma gli androidi sognano... (Scienza e tec.) Introduzione all’I.A. (Fumetto) Luc Orient FANTASY (Miti e leggende) Il mito di Orfeo (Intervista) Ucronia e didattica storica (G. Stocco) (Storia e cultura) I Celti e la letteratura fantastica (Storia e cultura) I Celti tra storia e leggenda (Intervista) C. Recagno e G. Pueroni (Gdr) Warhammer (Gdr) Warhammer - The Dying of the Light (Gdr) Storia del Mud (racconto) Murtag e la Lorelei ANIME (Cinema) La città incantata (Serie Tv) Alexander (Anime 3D) Hayabusa ver. GS
TERRE DI CONFINE 001 FANTASCIENZA (Intervista) DuneItalia (Lettura) Dune (Scienza e tec.) Rischio impatto (Lettura) Incontro con Rama (Cinema) Armageddon (Cinema) Meteor (Cinema) Deep Impact FANTASY (Lettura) Il Cavaliere del Sole Nero (Miti e Leggende) I Giganti (Storia e cultura) Ucronie (Cinema) Ladyhawke (Storia e cultura) Eclissi (Intervista) Lingalad ANIME (Serie OVA) Giant Robot (Intervista) Gianni Soldati (Anime 3D) Jeeg
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Staff
TERRE DI CONFINE
COPERTINA SOMMARIO EDITORIALE AREA FANTASCIENZA - S. MUMBA LA MACCHINA DEL TEMPO TIMELINE PER PARTITO PRESO... L’UOMO VENUTO DALL’IMPOSSIBILE L’UOMO CHE VISSE NEL FUTURO THE TIME MACHINE RELATIVITÀ E VIAGGI NEL TEMPO CRONONAUTI V FOR VENDETTA AREA FANTASY - ZIYI ZHANG LA STORIA INFINITA MANUALE DI ZOOLOGIA FANTASTICA I CAVALIERI CHE FECERO L’IMPRESA CAVALLERIA MEDIEVALE CAVALLERIA E LETTERATURA I CAVALIERI DEL TEMPIO LA TIGRE E IL DRAGONE GEA AREA ANIME - FAYE VALENTINE BLUE SUBMARINE NO. 6 COWBOY BEBOP SHIN VISION MAZINGA Z VITTORIA IN 2 DIMENSIONI STAFF
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AUTORE IMPAGINAZIONE CROM CROM MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA CROM CROM OMINO DEFA ANJIIN DEFA ROMINA “LAVINIA” PERUGINI DEFA ANDREA CARTA DEFA CUCCU’SSÉTTE DEFA CUCCU’SSÉTTE CROM GIOVANNI PRETI DEFA GIUSEPPE VATINNO DEFA OMINO DEFA CROM CROM CUCCU’SSÉTTE CROM ANJIIN DEFA CUCCU’SSÉTTE CROM FRANCESCO “MUSPELING” COPPOLA JUMA ELFWINE JUMA CROM CROM SEVERINO FACCIN DEFA ANDREA CARTA JUMA CROM CROM MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA ANTONIO TRIPODI DEFA MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA GIANNI SOLDATI DEFA STEFANO BACCOLINI DEFA MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA TDC N.3 - MARZO 2006
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Anno II - numero 2
Un progetto FantasyStory/FantasyRPG/AccP
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Ha collaborato:
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i grandi autori
© CIRUELO CABRAL - shadow moon