Terre di Confine #4

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Rivista elettronica aperiodica redatta dal gruppo FantasyStory/FantasyRPG/AccP - www.crepuscolo.it - n. 4 /maggio 2006

Anno II - numero 3

Fantascienza, Fantasy, Anime

CULTURA Cyberpunk

INTERVISTE

Alessandro Vietti HokutoNoKen.it

CINEMA

Blade Runner

da CONTINUUM Akira

STORIA

I Cavalieri II

ANIME

Ghost in the Shell


N. 004

Anno II - numero 3

Un progetto FantasyStory/FantasyRPG/AccP

La foto in copertina “Mona Lisa Engine” © Terrace, http://heaven4d.babu.com/ - The use in TdC is authorized by the author -

Immagini d’anteprima tratte da: dvd “Blade Runner”; “Akira” di Katsuhiro Otomo ; dipinto “The Accolade” di Blair Leighton; Playstation “Ghost in the Shell” di Masamune Shirow


Fantasy Story

www.crepuscolo.it/fantasystory/

ANIME MUNDI www.animemundi.net/

FantasyRPG

www.terrediconďŹ ne.net/fantasyrpg/


Sommario

TERRE DI CONFINE

“Labyrinth 9”

© 2004 Jeremy R. Reston

- the use in TdC is authorized by the author -

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TDC N.4 - MAGGIO 2006


REDAZIONE EDITORIALE REDAZIONE STAFF

FANTASCIENZA

6 188 PIN-UP: SEAN YOUNG

LETTURA PERDIDO STREET STATION LETTURA L’INTRIGO WETWARE INTERVISTA ALESSANDRO VIETTI LETTURA CYBERWORLD LETTURA NEUROMANTE CINEMA EXISTENZ CINEMA JOHNNY MNEMONIC CINEMA BLADE RUNNER DIBATTITO IL CYBERPUNK È MORTO? CULTURA E SOCIETÀ CYBERCULTURA GDR CYBERPUNK 2020

FANTASY STORIA E CULTURA CINEMA CINEMA LETTURA FUMETTO

PIN-UP: BIBI ANDERSSON

CAVALLERIA MEDIEVALE - PARTE II IL SETTIMO SIGILLO IL 13° GUERRIERO IL CICLO DEL GHIACCIO E DEL FUOCO DILLINGER - DERRINGER EP. 1/A

82 98 108 114 176

PIN-UP: MOTOKO KUSANAGI

ANIME MANGA DAL WEB CINEMA MANGA MANGA ITALIANO

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AKIRA HOKUTONOKEN.IT GHOST IN THE SHELL CHOBITS JEANETTE DARC

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Editoriale G

ran parte di questo 4° numero di TdC è dedicata al “Cyberpunk”, un genere di Fantascienza sviluppatosi nei primi anni 80. Chi ne fosse ancora a digiuno, nelle prossime pagine avrà opportunità di conoscerlo, scoprendo chi sono stati i suoi ambasciatori, quali i temi che ha proposto e le caratteristiche che l’hanno contraddistinto dalla Fantascienza precedente. Tra le sue tante particolarità, ve n’è una che possiamo “giocare” a interpretare in chiave filosofica, e che allora apparirà come un totale ribaltamento del “normale” rapporto che lega Fantasia e Realtà. Se la Fantascienza in generale mira a descrivere un domani nel quale la fantasia (più o meno verosimile) immaginata oggi diventa realtà, il Cyberpunk introduce al contrario scenari futuri in cui è ciò che oggi chiamiamo realtà a scoprirsi poter essere solo fantasia. È un’inversione di prospettiva; o forse il termine appropriato è “riforma”, perché – assecondando questa nostra speciale esegesi – sembra esserci qualcosa di speculativamente rivoluzionario in questa visione, qualcosa che pare quasi riesumarsi dal relativismo di PROTAGORA, per puntare diritto a ridefinire il significato stesso di “realtà”, allineandolo istintivamente ad alcuni principi universali come la relatività di EINSTEIN o l’indeterminatezza di HEISENBERG. Tutto ruota appunto intorno a questo termine, “realtà”, che col Cyberpunk assume un’accezione decisamente ambigua. Vissuta magari come allucinata alterazione prodotta da droghe, o sperimentata attraverso sofisticate (e sempre più attuali) tecnologie di simulazione sensoriale, prende infatti nome una realtà di diverso tipo, quella “virtuale”. Prende nome, non nasce, poiché la “realtà virtuale” – un neologismo, ma che interpreta una condizione connaturata al pensiero umano – esiste da sempre. La definizione esatta del termine (virtual reality) escogitato nel 1989 da Jaron Lanier – fondatore della VPL (Virtual Programming Langua-

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ges) Research – si colloca ovviamente in contesti elettronici e informatici, però la dualità su cui fa perno ci è innata. Contrapponendosi al concetto di “realtà effettiva”, va a distinguere artificialmente due stati che in Natura sono uno solo, indivisibile. Potremmo definire “realtà virtuale” ciò che provavano i nostri antenati raccolti la notte intorno al fuoco, mentre ascoltavano storie di caccia e di eroi, la stessa dimensione che ci avvolge quando veniamo rapiti dalle suggestioni di un romanzo; o le situazioni che ogni notte ci visitano in sogno… Ma significherebbe compiere una sineddoche concettuale, descrivendo l’Intero per mezzo di una sua parte. “Realtà virtuale”, infatti, altro non è che il codice stesso sul quale opera il pensiero umano. Oggi le applicazioni della Tecnologia stanno stimolando la nostra attenzione verso il “virtuale”, come esperienza alternativa, e paradossalmente così facendo ne dissimulano la proprietà di corrispondenza rispetto a ciò che chiamiamo “reale”. Prendiamo un fiore, e due modi di osservarlo: trovandoci in un prato o attraverso il monitor di un computer. Alla prima esperienza ci viene spontaneo attribuire la qualifica di “reale”, alla seconda quella di “virtuale”. Ma siamo poi in grado di fornire davvero una base logica a questa distinzione? L’immagine del “fiore”, catturata dall’occhio o da una telecamera, rimane in ambo i casi la stessa combinazione di radiazioni elettromagnetiche. E identiche restano le informazioni che porta con sé dell’oggetto che l’ha riflessa, quale che sia il terminale preposto a interpretarle (il cervello o un computer). Certo, d’impulso potremmo dire: “in uno dei casi il fiore è lì, è reale, se ne può sentire il profumo, cogliendo al contempo sensazioni dall’ambiente che lo circonda, come il vento che accarezza il prato, o il cinguettio degli uccelli… l’altro caso rappresenta invece, al confronto, un’esperienza incompleta, surrogata, simulata”. Ma neppure stando in loco la nostra percezio-

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ne potrebbe dirsi davvero completa: ignoriamo lo spettro ultravioletto della luce solare, non possiamo udire il ronzare ultrasonico di certi insetti, né sentire il polline soffiato dal vento… Se, quindi, può adempiere a una logica il chiamare “virtuale” la seconda esperienza, il punto è: perché definire “reale” la prima? La dialettica della spiegazione sfuma ulteriormente se immaginiamo di osservare quel fiore sempre in modo “diretto” ma un po’ più da lontano, diciamo con un binocolo dalla finestra di un appartamento; e contrapponiamo a quella un’altra visuale, ottenuta per mezzo un computer in grado d’interfacciarsi fisicamente col nostro sistema nervoso e trasmettere nel cervello l’intero e fedele “contesto sensoriale del prato”, vento e uccelli compresi. Tra le due, quale sarà l’immagine più vera e completa? La differenza tra “reale” e “virtuale”, a questo punto, scivola su un piano puramente soggettivo: è reale ciò che noi percepiamo come tale, sapendo che ogni nostra percezione è semplice elaborazione mentale degli stimoli a cui sono sottoposti i nostri (peraltro limitati) sensi. Proiettandoci in una finzione romanzata in cui esiste un’ambientazione virtuale – una “matrice”, un “cyberspazio”, un “metaverso” – potenzialmente indistinguibile dalla realtà, il Cyberpunk riporta all’evidenza questo assioma: la “realtà effettiva” non esiste. Quella da noi conosciuta è solo una particolare “realtà virtuale”, una delle tante. Il concetto dovrebbe già esserci familiare, perché a ribadirlo sono tutti i nostri modelli culturali. Se chiediamo a un religioso cos’è la Vita, egli risponderà che trattasi di una condizione transitoria, imperfetta e limitata, regolata entro qualcosa d’incomparabilmente più vasto. Ci dirà in altre parole che l’Aldilà è la realtà “effettiva”, mentre quella che percepiamo vivendo è solo “virtuale”. Ponendo la stessa domanda a un filosofo, o a uno scienziato, otterremmo di nuovo la descrizione di una “realtà effettiva” molteplice, infinita e fuori portata rispetto all’umana limitatezza, così da ridurre ancora al misero rango di “realtà virtuale” il nostro vivere quotidiano. Riprodurre il “reale”, dopo averlo interpretato a modo proprio, è ciò che in effetti il nostro cer-

vello fa perennemente, ogni singolo istante della vita; l’unica realtà di cui possiamo avere esperienza è pertanto simulata. Questo è appunto il fatidico capovolgimento di visuale, l’inversione assoluta tra Realtà e Fantasia: la Fantasia – che potremmo considerare un eterogeneo insieme di infinite “realtà virtuali” – non può più considerarsi un sottoprodotto della Realtà, ma è semmai la Realtà, in quanto sempre “virtuale”, a doversi ritenere una piccola, parziale, marginale parte della Fantasia. Ci ritroveremo a valutare questo concetto tra qualche tempo, quando la virtual reality di Lanier, quella simulata dai computer, entrerà stabilmente nella nostra vita. Già la s’intravede. Certo non siamo ai livelli descritti dai mirrorshades, ma ci stiamo avvicinando. È una rincorsa che cominciò già nel lontano 1962, con MORTON HEILIG e il suo “cinemacchinario” Sensorama, proseguita poi da SUTHERLAND e SPROULL nel 1968 col visore “Spada di Damocle”, prima che arrivasse l’Aspen Movie Map del MIT (e correva l’anno 1978)… Insomma, la scalata verso il “ponte ologrammi” dell’Enterprise prosegue già da un po’, e tutto lascia pensare che la vetta non sia così lontana. Intanto di una cosa possiamo già essere certi: si può discutere sulla natura della “realtà” che le produce, ma le esperienze, quelle, sono e saranno sempre, tutte, inevitabilmente “reali”.

http://www.hypertrek.info/

L’accenno all’holodeck – e a quello che a tutt’oggi resta il più seducente, ingegnoso e improbabile esempio di “realtà virtuale” mai transitato sugli schermi – non è casuale; vorrei infatti cogliere l’opportunità dell’uscita del “numero 4” per ricordare che proprio in queste settimane è in corso di aggiornamento il glorioso (e gratuito) Hypertrek, per antonomasia il Database italiano on-line su Star Trek, ora rinnovato in PHP e MySQL. Ad esso TdC ha piacere di augurare: “live long and prosper”… MASSIMO “DEFA” DE FAVERI

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AREA

FANTASCIENZA

“Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare... Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire...” Roy Batty (Rutger Hauer) da “Blade Runner” 1982 Fonte: Internet Movie Database www.imdb.com

FILMOGRAFIA Living the Dream (2006) - Brenda The Drop (2006) - Ivy Esenin (2005 tv) - Isadora Duncan Home for the Holidays (2005 tv) - Martha McCarthy Headspace (2005) - Madre Third Man Out (2005 tv) Ghosts Never Sleep (2005) - Rebecca The Garden (2005) - Miss Chapman Reno 911! (2004 tv) ep: Department Investigation: Part 2 - Deputato Wendy Kelton Until the Night (2004) - Cosma A Killer Within (2004) - Rebecca “Becky” Terrill In the Shadow of the Cobra (2004) - Samantha Boston Public (2003 tv) ep: Chapter Sixty-Nine - Candy Sobell The King and Queen of Moonlight Bay (2003 tv) - Sandy Bateman 1st to Die (2003 tv) - Joanna Wade Kingpin (2003 tv) - Lorelei Klein Russkie v Gorode Angelov (2003 tv) - Rachael Somov Before I Say Goodbye (2003 tv) - Nell MacDermott Cauliff Third Watch (2002 tv) ep: Crime and Punishment: Part 2, ep: Lights Up - Nancy Threat of Exposure (2002) - Dr. Daryl Sheleigh The House Next Door (2002) - Monica

Aftermath (2002) - Rachel Anderson Mockingbird Don’t Sing (2001) - Dr. Judy Bingham Sugar & Spice (2001) - Mrs. Hill Night Class (2001) - Claire Sherwood The Amati Girls (2000) - Christine Poor White Trash (2000) - Linda Bronco Secret Cutting (2000 tv) - Joyce Cottrell Motel Blue (1999) - Lana Hawking Special Delivery (1999) Out of Control (1998) - Lena The Cowboy and the Movie Star (1998 tv) - Sean Livingston Men (1997) - Stella James The Invader (1997) - Annie Neilsen Gun (1997 tv) ep: All the President’s Women - Paula Exception to the Rule (1997) - Angela Bayer Everything to Gain (1996 tv) - Mallory Ashton Jordan Keswick The Proprietor (1996) - Virginia Kelly/”Call me French” Sally Evil Has a Face (1996 tv) - Gwen McGerrall Dr. Jekyll and Ms. Hyde (1995) - Helen Hyde Mirage (1995) - Jennifer Gale Model by Day (1994 tv) - Mercedes Witness to the Execution (1994 tv) - Jessica Traynor Ace Ventura: Pet Detective (1994) - Lt. Lois Einhorn/Ray Finkel

Bolt (1994) - Patty Deerheart Fatal Instinct (1993) - Lola Cain Even Cowgirls Get the Blues (1993) - Marie Barth Hold Me, Thrill Me, Kiss Me (1993) - Twinkle Blue Ice (1992) - Stacy Mansdorf Sketch Artist (1992 tv) - Rayanne Whitfield Once Upon a Crime... (1992) - Phoebe Love Crimes (1992) - Dana Greenway Forever (1992) - Mary Miles Minter A Kiss Before Dying (1991) - Ellen/Dorothy Carlsson Fire Birds (1990) - Billie Lee Guthrie Cousins (1989) - Tish Kozinski The Boost (1988) - Linda Brown Arena Brains (1988) - Artist at Party Wall Street (1987) - Kate Gekko No Way Out (1987) - Susan Atwell Under the Biltmore Clock (1986 tv) - Myra Blood & Orchids (1986 tv) - Leonore Bergman Tender Is the Night (1985 tv) - Rosemary Hoyt Baby: Secret of the Lost Legend (1985) - Susan Matthews-Loomis Dune (1984) - Chani Young Doctors in Love (1982) - Dr. Stephanie Brody Blade Runner (1982) - Rachael Stripes (1981) - Louise Cooper Jane Austen in Manhattan (1980) - Ariadne Charlton


Sean Young


FANTASCIENZA

LETTURA

PERDIDO STREET STATION [Perdido Street Station) di CHINA MIÉVILLE (2000) “…. Middle Earth meets Dickensian London on really good acid. “ [Lou Anders]

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l mondo di China Mièville non è propriamente quello che ci si augura nei nostri sogni più segreti. È stato detto di lui, a ragione: “Non è il vostro produttore tipico di fantasia”. Si potrebbe dire piuttosto che questo giovane autore londinese sia un perfetto creatore di allucinazioni. L’universo del fantasy ormai resta stretto nei confini delle sue definizioni, ed i vecchi cliché assumono sempre più l’aspetto di vestiti troppo usati in cui le cuciture cedono. E quello che vediamo uscire da questi strappi sempre più profondi non sono certo gli omini blu della nostra infanzia, ma un genere nuovo definito New Weird Fiction, oscillante tra la fantascienza, il fantasy e l’horror, di cui Perdido Street Station costituisce un esempio illuminante. La vicenda si svolge a New Crobuzon, una Londra parallela vista attraverso uno specchio deformante da luna-park, dove le più impensabili forme di vita, umane e non, si accalcano nel formicaio di detriti, ciminiere, fiumi contaminati, organizzano rivolte contro l’ordine costituito, danno sfogo alle loro ossessioni. O forse, più semplicemente, sopravvivono, schiacciate tra organizza-

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zioni criminali da una parte e autorità repressive dall’altra. Governata brutalmente dal Parlamento e dalla sua Milizia, la città brulica come un formicaio nei suoi infiniti quartieri-ghetto, pieni di artisti, criminali, maghi, vampiri, prostitute e straccioni, appartenenti alle razze più eterogenee, divise da odi di casta e conflitti razziali. A New Crobuzon vive Isaac, umano e scienziato, emarginato a causa del proprio approccio non esattamente convenzionale al mondo accademico del sapere, assieme alla sua compagna Lin, artista khepri e ibrido donna-scarafaggio. Nella loro vita improvvisamente compare Yagharek, un essere proveniente da molto lontano, in cerca di aiuto e

LETTURA: PERDIDO STREET STATION


PERDIDO STREET STATION di riscatto. Nella sua terra si è reso colpevole di un crimine gravissimo, il “furto di libertà di scelta di secondo grado con assoluta mancanza di rispetto”, ed è stato condannato alla pena più severa per un uomo volante: il taglio delle ali. Yagharek si rivolge all’equivoco scienziato perché sa che è l’unico capace di cambiare le caratteristiche della materia e ridargli la capacità perduta. Isaac accetta l’incarico, per noia e per soldi, innescando un meccanismo dagli effetti collaterali devastanti e liberando esseri la cui magia è dirompente e ingovernabile. Ma anche Lin riceve una proposta, di quelle che probabilmente non si possono rifiutare: per entrambi inizierà una discesa a spirale in avvenimenti sempre più incalzanti e privi di controllo, che si concluderanno tragicamente nel luogo dove forse tutto è cominciato, la Stazione di Perdido Street. Se è vero che ogni libro è una porta su un altro mondo, leggendo questo romanzo si ha l’impressione non di entrare in una nuova dimensione ma di precipitarvi dentro, ritrovandosi alla fine del tunnel in un futuro parallelo in cui la realtà è un brutto sogno, e quello che lo rende tale è la presenza di regole da incubo perfettamente verosimili. Calarsi impreparati nel magma in ebollizione di China Mièville ha un effetto destabilizzante per tutte quelle che sono le tradizionali concezioni legate non solo al fantasy, ma a tutta la letteratura fantastica in generale. Non una delle regole a cui siamo abituati viene rispettata, anche se i richiami a varie mitologie, classiche o meno, emergono continuamente durante la narrazione. Non uno dei temi tradizionali, che il lettore pregusta con un certo desiderio inconscio di rassicurazione, rimane integro. A partire dai due protagonisti principali ogni schema viene rovesciato: un umano dall’aspetto decisamente poco accattivante ed una khepri con elitre e antenne al posto della testa sono sicuramente lontani dai canoni standard dei personaggi “belli e buoni”, eppure la loro vita, i loro sentimenti e i loro accoppiamenti vengono narrati con una normalità sconcertante, anche se vagamente disgustosa. Entrambi sono dei paria,

esclusi dalla società e dai rispettivi ceppi etnici per le loro scelte di vita, esempio di una contaminazione inarrestabile tra razze e culture del Bas Lag (il “mondo secondario” di Mièville), considerata con malcelato disprezzo dagli onnipresenti “benpensanti”. Nel Bas Lag coabitano varie specie di ibridi denominati genericamente Xeniani, tra cui cactus deambulanti, creature anfibie, insetti umanoidi, oltre a vari esseri mostruosi e diabolici che mescolano i temi dei cartoni horror giapponesi con l’allegoria tradizionale del vampiro. Ma affiorano in modo più o meno evidente anche richiami alla mitologia, come i garuda alati delle tradizioni orientali, e al folklore popolare: Il Rifatto Jack Mezza-Preghiera altro non è che la versione di Robin Hood riveduta e corretta alla maniera di Mièville. E attorno a loro vive (il termine è esatto) New Crobuzon, città pantagruelica e tentacolare come l’intreccio del romanzo, che penetra violentemente nella vicenda, interagisce con i personaggi e sembra crescere parallelamente alle loro convulse ricerche e alle loro frenetiche fughe. Definire con precisione il genere di appartenenza di questo romanzo non è semplice, perché il panorama che esso offre richiama continuamente altri generi: cyber-fantascienza e steamfantasy, il cui spessore narrativo viene aumentato dalla curiosità di antropologo con cui l’autore plasma, analizza e manovra tutte le sue creature. Rovesciando un noto slogan della cultura steampunk, si potrebbe dire, a proposito di questo romanzo “come sarebbe il futuro se il passato fosse accaduto dopo?”. Perché il mondo di Mièville riesce ad essere contemporaneamente gotico-vittoriano e moderno-futuristico, come se le cupe atmosfere londinesi di Dickens fossero state trasportate nella città del domani di Nathan Never, con la differenza che qui la linea di demarcazione tra i “buoni”e i “cattivi” è spesso molto ambigua. Non ci si chiede perché si è arrivati a questo o cosa lo abbia prodotto, si parte direttamente dicendo: “Questa è la realtà e dovete sopravviverci”. Eppure il lettore non sente la necessità di ulteriori spiegazioni,

LETTURA: PERDIDO STREET STATION

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FANTASCIENZA

LETTURA

consapevole di fluttuare nel pozzo senza fondo della straripante creatività dell’autore. Quello che ci viene offerto da Mièville è quindi un tipo di fantastico ibrido e decisamente non convenzionale, una New Weird-novel aggressiva e violenta per il messaggio culturale, sociale e politico che impone: la potenza narrativa è notevole e trascina in una specie di trip senza bisogno di mescalina, non fa sconti e non perdona. E neppure offre alcun tipo di consolazione, infatti l’autore stesso dice della sua opera: “Se qualcuno legge un libro per vedere i buoni ricompensati e i cattivi puniti, ciò che vuole è una favola”. O meglio, in un mondo medievalistico post-tolkien, uno scrittore che descrive un goblin come brutto, sporco e cattivo, dice la verità. Nel mondo di China Mieville, probabilmente è un razzista. Frutto di numerose diramazioni di genere, Perdido Street Station rappresenta l’evoluzione più nuova di una certa narrativa fantastica “di rottura” che alla brutalità anti-schema associa lampi di lirismo classico e sovrappone alle radici cyberpunk i tratti più gotici dello steamfantasy: la steam-technology è l’energia ufficiale che anima New Crobuzon, aziona i pistoni giganteschi di macchine sotterranee e anima gli alambicchi di Isaac durante le sue ricerche sulla “energia di crisi”, fuma via in vapori tossici dalle infinite ciminiere e si scioglie nel labirinto dei canali inquinati. Eppure, qui i protagonisti sono degli esclusi che vivono ai margini della società in un distopico scenario urbano, hanno rapporti borderline con il mondo criminale e usano la loro conoscenza magico-scientifica per se stessi di là dalla legge costituita. Certo, al posto del Web e degli apparati informatici abbiamo congegni a vapore e aerostati, e la realtà descritta è sicuramente poco virtuale anche se rivestita da una spessa patina di ambientazione post-moderna. Eppure, tra scorie e rifiuti degni delle periferie degradate di qualsiasi città (ottocentesca e non), si osserva la nascita di una nuova forma di Rete, che avrà non poco peso nell’evoluzione e nella conclusione della storia: appaiono innocui congegni meccanici che si tra-

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sformano in ibridi senzienti, dotati di mente collettiva ma capaci di avere coscienza di sé. E di agire di conseguenza. Il potere multimediale del Web, che anima la produzione cyberpunk classica, nel Bas Lag di Mièville è ancora nell’ombra, s’insinua nella città come un ragno che tesse la sua tela informatica grazie a virus “taumaturgici” che nel brodo primordiale delle discariche infettano gli scarti della civiltà cittadina, e creano la prima Matrice: il Dio-Macchina di una corte di Golem robotizzati, il cui potere senz’anima sarà l’unico capace di battersi con le Falene Estinguitrici che si nutrono di psiche umana. Perché, dopotutto, le macchine non sognano. E sarà grazie a questo (non certo disinteressato) aiuto che Isaac e il suo piccolo gruppo ormai fuorilegge riusciranno a portare a termine il loro difficile compito. Il concetto fondamentale del New Weird è che la mescolanza tra ogni genere letterario sia necessaria, e che i limiti e le definizioni vadano sempre e comunque oltrepassate. Mièville stesso dice attraverso uno dei suoi personaggi più criminali, il Boss-Rifatto Motley: “È questo che crea il mondo: la transizione. Il punto in cui una cosa diventa un’altra. E questo è il soggetto che mi interessa. La zona in cui ciò che è disparato diventa parte del tutto. La zona ibrida.” Quindi perché non usare, anche in modo brutale, tutti gli ingredienti che il fantastico offre per denunciare i vizi e gli inganni della società reale? Science-fantasy no-global, si potrebbe dire, in cui è il sistema d’insieme ad essere sbagliato e contro il quale è arrivato il momento di reagire con ogni mezzo. Il culto della Merrie England, presente in letteratura dal medioevo al novecento, trova qui la sua sepoltura definitiva, iniziata con autori come MERVYN PEAKE e la sua Gormenghast, o come MICHAEL MOORCOCK e le badlands del suo Captain Oswald: lo scenario che ci accoglie è piuttosto una Dark England, molto barocca e noir. La Città-Mostro fagocita in sé uno dei temi tipici del fantasy, il Viaggio dell’eroe, sostituen-

LETTURA: PERDIDO STREET STATION


PERDIDO STREET STATION dolo con una discesa nei suoi cunicoli invasi dalle macerie, dentro le sue strutture di metallo che svettano su fangosi cantieri e fogne a cielo aperto, lungo le sue sopraelevate che corrono tra ciminiere e sprazzi di natura selvaggia. E il punto nodale, il cuore pulsante e alieno di quest’entità bio-tecnologica è Perdido Street, dove tutto si incrocia e dove chiunque, almeno una volta nella vita, è destinato ad entrare. Eppure l’elemento arcano esiste, ed è forte, con regole precise che lo rendono una conoscenza codificata e rigorosa. Nel Bas Lag di Mièville il magico non è il deus ex machina da usare quando ogni altra soluzione è impossibile, bensì una particolare forma di energia ben radicata nella realtà. Esiste una magia ufficiale (la Taumaturgia, esasperata nei romanzi successivi nella Stregocrazia), asservita al Potere, che con ferocia esemplare viene utilizzata nella punizione dei crimini, innestando nei corpi dei colpevoli parti aliene e meccaniche ad imperitura memoria della loro colpa. Oppure, semplicemente per creare artefatti viventi adibiti ai compiti più disparati: il finto garuda con ali meccaniche esibito nel circo, o la prostituta molto ben equipaggiata per la sua professione. I Rifatti sono ibridi, come la maggior parte degli abitanti, ma nascono dalla commistione dell’occulto con altre scienze più o meno esatte quali l’alchimia, la fisica, la biologia. E la meccanica: gli arti metallici e le caldaie innestati su corpi originariamente biologici rendono questi esseri in parte artificiali dei nuovi, grotteschi androidi. E accanto a tutto ciò, la capacità arcana che affiora nei voydanoi delle acque, il vortice distruttivo delle terribili Falene Estinguitrici, la magia malsana delle ossa “preistoriche” di Leviatano che affiorano nel bel mezzo della città come un monito perenne del passato. E, aliena come nessun’altra, l’arte macabra del Tessitore: creatura multi-dimensionale e senza regole, il cui unico desiderio è tessere complicati arabeschi magici sulla “tela del mondo” (la visione globale che lega tutte le creature dell’universo) e di riparane gli strappi di là da ogni regola morale. In sostanza, quello che viene offerto è una sor-

ta di “realismo magico” le cui caratteristiche forse non sono possibili, ma appaiono sicuramente plausibili. In un mondo dove la meccanica quantistica s’interfaccia con l’alchimia e le fotografie si chiamano eliotipi, sarà New Crobuzon l’unica protagonista ad uscire, tutto sommato, indenne e apparentemente immutata da tutta la vicenda, grottescamente insensibile al dramma che si svolge nelle sue viscere. Dalla Città-Mostro si può solo fuggire, lasciando indietro chi non ce l’ha fatta. Il nobile Yagharek non riavrà le sue ali, perché, alla fine, Isaac verrà a sapere quanto abbia meritato la sua condanna e lo abbandonerà sparendo per sempre con la sua preziosa scoperta e con quel che rimane della sua amata Lin. Del resto, ciascuno dei protagonisti, inesorabilmente (e anche inconsciamente, a volte) provocherà cose orribili ai suoi simili per arrivare allo scopo desiderato; e il momento di pagare per le proprie azioni sopraggiungerà per tutti, perché qui, come nella realtà, ogni obiettivo ha un costo molto doloroso sia in termini fisici che psicologici che umani. E nonostante questo, l’unico a non chinare la testa davanti al proprio destino sarà il nobile Garuda del Cymek: il romanzo si chiude sulla ribellione a ciò che è stata la sua vita; con un’ultima crudele automutilazione, egli rinnega il suo passato ormai irraggiungibile, e si prepara ad affrontare, da uomo, il mondo degli uomini. L’uscita dal tunnel di questo libro lascia sconcertati e con un notevole senso di saturazione. Eccessivo, caotico, straniante, potrebbero essere gli aggettivi dettati dal primo impulso dopo la lettura. Eppure, capace di un’attrazione magari un po’ perversa ma irresistibile, scaturita dalla combinazione di una trama avvincente ed una potenza espressiva sicuramente sopra le righe. C’è molta passionalità in questo romanzo. E l’accesso è libero a tutti, a proprio rischio e pericolo, naturalmente. Benvenuti nell’incubo, quindi. Benvenuti a New Crobuzon.

LETTURA: PERDIDO STREET STATION

CRISTINA “ANJIIN” RISTORI

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FANTASCIENZA

LETTURA

L’INTRIGO WETWARE [Vacuum Flowers) di MICHAEL SWANWICK (1987)

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stato considerato per anni uno dei capisaldi della letteratura cyberpunk, a cominciare dal ruolo della protagonista Rebel, un nome che è un programma, e anche il busillis dell’intero libro. Rebel è una personalità che viene impiantata su un’altra, un uso comune nel mondo che Swanwick ci descrive. Un uso che serve ad aumentare le proprie capacità e a provare, anche per pochi giorni, cosa si prova a essere qualcun altro, oppure a integrare in una sinergia le due personalità. Alcuni si prestano a pagamento a svolgere questo compito, ed è il caso di Eucrasia Walsh, che si ritrova con Rebel nella propria mente. E tra Eucrasia e Rebel nasce un rapporto complesso, dove la personalità più forte e non a caso innovativa e sperimentale – Rebel – tende a reprimere l’altra, che comunque pare gradire a tratti la situazione, al punto che la nuova sinergia Rebel-Eucrasia decide di fare di testa propria e fugge. Ecco che dunque Rebel/Eucrasia si ritrova al centro di un colossale intrigo – di qui il titolo – dove sono in gioco enormi interessi economici, ambizioni politiche, il futuro stesso dell’umanità o di qualsivoglia concetto che a quello di umanità potrebbe sostituirsi. Consapevolezza e fuga: la protagonista finisce dunque per andare fuori schema e per cercare disperatamente la propria identità. Una sorta di Odissea futuribile, tutta giocata sul concetto di

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“wetware”. Qui ci basterà dire che per wetware l’autore intende un’interazione tra tecnologia e cervello umano, che crea un qualcosa di nuovo, una nuova interfaccia in parte umana e in parte cibernetica. A questo punto, è chiaro, il solo limite è l’immaginazione. Un’immaginazione che porta a descrivere, come fa Swanwick ripercorrendo le tracce di STERLING e GIBSON, gli scenari prossimi venturi, con creature a metà fra gli esseri umani e l’intelligenza artificiale, o addirittura nuove forme di vita che sono una sinergia fra i due estremi.

LETTURA: L’INTRIGO WETWARE


L’INTRIGO WETWARE È tuttavia destino che certi romanzi non riescano a fare presa su tutti. L’intrigo wetware è ricco, troppo ricco di tecnicismi che appesantiscono la narrazione: questa è come un fiume inizialmente impetuoso che ahimé, a poco a poco, finisce per insabbiarsi in tanti rivoli carsici, e il lettore è costretto a faticare per riprendere il filo del discorso e della trama. Tutto troppo onirico, e nello stesso tempo troppo farraginoso e allusivo: il lettore va in un certo qual modo facilitato, e non, sempre, e sistematicamente scoraggiato. È come se l’autore si divertisse a depistare. In passato, il sito di Intercom ha dedicato un saggio (http://www.intercom.publinet.it/1999/vacuum.htm) incredibilmente approfondito a L’Intrigo Wetware. Qui ci troviamo di fronte al modo in cui alcuni ritengono di dover affrontare una scrittura del genere: metafore, costruzioni filosofiche e allegorie. A mio avviso, invece, sia pure nel fascino che suscita in me un’analisi del genere, prima di paragonare Swanwick a Omero bisogna far sedimentare un po’ di più i giudizi e valutare anche l’impatto “nazionalpopolare” che può avere la lettura di un romanzo di fantascienza. In questo campo, comunemente si dice che il lettore si aspetta “sense of wonder”, insomma, deve sentirsi incentivato ad andare avanti da una storia avvincente. Difficile dire ciò de L’Intrigo Wetware, dove l’azione sembra essere più frutto di allusione che di descrizione vera e propria, e dove spesso si deve tornare indietro perché durante la lettura si finisce per distrarsi e pensare ad altro. E dire che la vicenda avrebbe potuto lasciare spazio da una parte a una protagonista indimenticabile, la ribelle di nome e di fatto, dall’altra alla Terra dominata dalla Comprise, un ordinamento assolutamente monolitico, in cui ogni iniziativa individuale è inesistente: stiamo infatti parlando di una sorta di alveare, in cui non ha senso parlare di singole menti, ma di unità simili a singoli processori collegati tutti insieme in batteria per servire a un’unica, gigantesca, mente collettiva. Un po’ quello che accade in The Matrix, insomma. Lotta dell’io, dunque, di Rebel per affermare

Michael Swanwick se stessa ricercandosi e trovandosi e, grazie a ciò, affermazione di una vera democrazia, dove democrazia è il governo di una collettività fatta di singoli individui e non di una melma indifferente. Che tipo di melma Swanwick descriva sembra essere evidente: la Comprise è il modello di vita americano che livella e spersonalizza, un’allegoria del mercato lasciato a se stesso e del marketing che vediamo oggi, la pubblicità che ci bombarda con le sue immagini rilassanti o adrenaliniche. E noi siamo presi in questo dualismo al punto che crediamo si risolva tutto fra questi due estremi. Come noi oggi, Rebel lotta contro il mondo e la filosofia che impone all’uomo lo schiacciamento su una linea retta compresa fra eccitazione e riposo, insomma l’uomo a una dimensione teorizzato da HERBERT MARCUSE. Lettura complessa, si diceva, quella de L’Intrigo Wetware, e insieme un’occasione perduta per “volgarizzare” uno dei saggi fondamentali della filosofia contemporanea, una teoria che ancora oggi muove masse di no global verso il rifiuto dell’omologazione e dell’appiattimento culturale.

LETTURA: L’INTRIGO WETWARE

GIAMPIETRO STOCCO

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FANTASCIENZA

INTERVISTA

Giampietro Stocco intervista

ALESSANDRO VIETTI 1 C

Che tipo di scrittore è Alessandro Vietti?

redo che in Alessandro Vietti convivano molte tipologie di scrittore. Tra tutte ritengo venga privilegiata l’anima dello scrittore tecnoscientifico, ovvero colui che utilizza la narrativa come filtro per l’analisi dei rapporti tra l’uomo e gli aspetti tecnologico-scientifici della realtà in cui vive. Del resto, se ai tempi della sua età d’oro la fantascienza poteva a buon diritto essere considerata una narrativa di anticipazione, oggi l’innovazione scientifica e tecnologica ha raggiunto velocità talmente vertiginose da rendere quantomai arduo alla letteratura fantascientifica il compito di “anticipare”. Questo tuttavia non implica la fine della fantascienza, come indicato da molti, bensì a mio avviso prelude a una sua evoluzione che dovrebbe portare a una sua affermazione e a un suo consolidamento, facendola diventare l’unico strumento letterario davvero capace di catturare e sottolineare le implicazioni, le minacce, le ansie e le contraddizioni di una società ormai soggiogata dalla scienza e dalla tecnologia, e le conseguenze che scienza e tecnologia hanno o potranno avere sulla vita, le abitudini, la cultura, il comportamento e lo spirito degli esseri umani. È altresì evidente che, pur in questo contesto, la fantascienza non può rinnegare le sue radici popolari e deve rimanere fedele a uno degli scopi istituzionali della narrativa di genere, che è quello di saper anche creare intrattenimento. Per questo,

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in seconda battuta, Alessandro Vietti è anche uno scrittore cui piace indugiare sulla contaminazione con altri generi, il mistery e il thriller innanzitutto. E non bisogna sottovalutare questo aspetto che, invece di sminuire la fantascienza, la rende una delle letterature potenzialmente di più forte impatto all’interno dell’intero panorama della narrativa, perché le consente di coniugare il puro divertimento del lettore allo stimolo di riflessioni inedite sulla realtà e sulle prospettive del mondo in cui viviamo, analisi che, per sua natura, solo la fantascienza consente di fare. E scusate se è poco.

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Tu hai cominciato con un botto, il premio Cosmo nel ‘96 e uno splendido romanzo, Cyberworld, molto più bello di altri classici del cyberpunk d’oltreoceano. Hai avuto dei modelli o si è trattato di un’elaborazione autonoma?

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evo dire che, per le modalità con cui avvenne, la genesi di Cyberworld fu un’esperienza molto particolare. Ai tempi della scrittura del romanzo non avevo letto molto cyberpunk, né potevo considerarmi un esperto del genere, almeno dal punto di vista della narrativa. Anzi… Ammetto che, paradossalmente, non avevo amato affatto Neuromante di Gibson. Ne avevo apprezzato gli aspetti puramente letterari e stilistici, ma nel complesso il romanzo mi aveva lasciato perplesso. Anche per questo

INTERVISTA: A. VIETTI


ALESSANDRO VIETTI motivo, avendo deciso di scrivere un romanzo che si svolgesse interamente all’interno di una realtà virtuale, volli cercare una strada che sfuggisse agli stereotipi consolidati del cyberpunk. Insomma, non era nelle mie intenzioni scrivere un romanzo cyberpunk e, in effetti, per molti versi Cyberworld sfugge alla catalogazione classica del genere. Innanzitutto Cyberworld è un mondo virtuale che, per lo meno nelle intenzioni, aspira a essere organizzato e regolamentato, contrariamente al cyberspazio “classico”, dipinto invece come una sorta di far-west privo di leggi. In secondo luogo Cyberworld vede l’assenza sostanziale di multinazionali o di organizzazioni criminali che tramano nell’ombra a discapito dei protagonisti. Infine l’integrazione dell’uomo con la tecnologia non è così radicata e profonda come quella raccontata da Gibson e soci, e per questo, a mio avviso, la tecnologia di Cyberworld finisce per essere più realistica, per lo meno nell’ottica di un futuro ravvicinato. D’altro canto la trama di Cyberworld nasce dall’integrazione di forti elementi di rivendicazione sociale, su tutti la contrapposizione tra realisti e virtualisti, e da aspetti umanistici che partono dalla presunzione dell’uomo nei confronti della propria tecnologia, rispetto alla quale egli si sente onnipotente, per giungere a sfiorare temi più profondi come il senso della realtà e il ruolo del divino. Da questi punti di vista Cyberworld nacque come un’elaborazione assolutamente autonoma, aiutata dalla lettura di una granq quantità di saggi sul tema della realtà virtuale. Se poi, nonostante ciò, il romanzo venne etichettato comunque come cyberpunk, credo sia da imputare a due fattori non trascurabili. Innanzitutto il titolo scelto dall’editore proprio nell’ottica più squisitamente commerciale di voler far rientrare il romanzo nel filone narrativo cyberpunk, titolo che dunque non corrisponde al primo titolo originale da me proposto che era Mondi senza ombre, e in secondo luogo lo stile. Scrissi il romanzo nella versione pressoché definitiva in soli tre mesi, in uno stato mentale quasi di stream of consciousness. Ero appena

INTERVISTA: A. VIETTI

laureato e disoccupato a tutti gli effetti. E anche grazie a questa libertà mentale riuscii a “entrare” nella storia in un modo che aveva qualcosa di stupefacente. Fu qualcosa di simile a una cavalcata letteraria ipnotica e psichedelica (e sono molti i riferimenti di questo “stato” all’interno del testo). In questo contesto creativo molto coinvolgente adottai un linguaggio rapido, evocativo, spesso gergale e tecnico che meglio si adattava per descrivere le sensazioni ambientali di una realtà informatica totalizzante, ma che nel complesso riavvicinò suo malgrado il libro al genere cyberpunk, per lo meno dal punto di vista dello stile.

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Secondo te ha ancora senso parlare di cyberpunk?

uasi paradossalmente, la bolla del cyberpunk è scoppiata nello stesso momento in cui ha visto profilarsi all’orizzonte la realizzazione di certi aspetti da esso stesso evidenziati, su tutti la globalizzazione e la rivoluzione informatica globale, con la digitalizzazione della conoscenza e la nascita di Internet. Questo non deve sorprendere, perché di fronte alla prospettiva della realizzazione di tecnologie capaci di rivoluzionare la vita dell’uomo come non succedeva forse dall’epoca dell’invenzione del telefono o del motore a scoppio, il cyberpunk era riuscito a costruire intorno a sé una potente mitologia culturale, un movimento, un punto di vista, una sorta di ecologia mentale capace di contaminare diversi aspetti dell’area della creatività, narrativa, saggistica, fumetti, musica, cinema. Ma giacché ogni mitologia trae gran parte della sua linfa vitale dalla suggestione immaginativa dell’elemento ignoto o comunque non direttamente tangibile, quando gli ingredienti fondanti del cyberpunk cominciarono ad affacciarsi realmente nella vita di tutti giorni, persero gran parte della loro carica stimolatrice. Da questo punto di vista, tuttavia non credo che il cyberpunk non esista più. Probabilmente si è solo trasformato in qualcosa di diverso, essendosi libe-

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FANTASCIENZA rato dal fardello di vincoli tematici e stilistici che si era autoimposto. A questo proposito mi viene in mente il romanzo Uno di noi di MICHEAL MARSHALL SMITH, in cui il lavoro del protagonista è di fungere da contenitore temporaneo di ricordi altrui. Le premesse non sono molto diverse da Johnny Mnemonic. Eppure il romanzo di Smith non può essere più considerato cyberpunk. È qualcosa che va oltre, un esempio azzeccato di quello in cui, a mio avviso, il cyberpunk si è trasformato.

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Tu sei ligure. Esiste secondo te una via regionale alla fantascienza?

ebbene in effetti esistano numerosi esponenti, almeno qui in Liguria, che si occupano di fantascienza ad alto livello – penso a MILENA DEBENEDETTI, ROBERTO QUAGLIA, CLAUDIO ASCIUTI, DOMENICO GALLO – non esistono elementi locali che possano giustificare una via privilegiata regionale alla narrativa fantastica. Non esiste una scuola, né una tradizione. Non esiste in Liguria, come non esiste in alcun altra regione italiana. Del resto è già difficile pensare a una via nazionale alla fantascienza, figuriamoci regionale. Le diverse esperienze autoriali sono sempre state soggettive e può essere solo frutto del caso che molti autori si siano ritrovati riuniti in un ristretto ambito territoriale. Tuttavia, volendo rintracciare una matrice comune, almeno per quanto riguarda la fantascienza in Liguria, mi piace pensare che la presenza del mare con il suo orizzonte senza confini, le sue profondità scure e perennemente nascoste, il suo impeto di fronte al quale l’uomo si vede impotente, e il suo intenso potenziale evocativo, possa aver contribuito a stimolare le sensibilità predisposte verso un’immaginazione di tipo fantastico. Non è certo un caso che nel lontano passato la nascita di miti e leggende, precursori orali della letteratura fantastica, sia stata promossa proprio dalle suggestioni di quella distesa d’acqua senza confini, dai suoi

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INTERVISTA

abissi profondi e inconoscibili popolati di creature sfuggenti e per questo misteriose, cui era difficile attribuire contorni, dai suoi pericoli, dalle sue insidie. Del resto, lo spazio, che è sempre stato uno dei topos privilegiati della fantascienza, ha molti più aspetti in comune con il mare di quanti si possa immaginare.

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A cosa stai lavorando adesso?

a qualche mese ho terminato il mio terzo romanzo, sul quale ho lavorato per quasi cinque anni, e che è attualmente in giro in cerca di un editore. Si tratta di una vicenda costruita sull’incastro di più trame dai contorni mistery e thriller, alla quale fa da sfondo l’accostamento tra i due luoghi che, come dicevamo prima, più di tutti hanno forgiato l’immaginazione e lo spirito dell’uomo: il mare e il spazio. Visti come metafore dell’infinito e del mistero, ma anche del cambiamento, del sogno, della libertà e dell’origine della vita, il mare e lo spazio accompagnano così i protagonisti, umani, robot e alieni, in una crociera che non è solo un viaggio fisico, ma anche, e soprattutto, un’esperienza che cambierà per sempre ciascuno di loro. Per questo motivo è senza dubbio il libro che più di ogni altro finora mi ha emozionato scrivere e al quale, da ligure e amante incondizionato del mare, tengo di più. Ma per adesso non posso dire altro. Per il resto ora sto svolgendo alcune ricerche tecniche di supporto per un altro romanzo breve che dovrebbe essere pronto entro l’anno. Parlerà di una missione su Marte. Ma sarà una missione condita da alcuni elementi inediti molto particolari e insospettabilmente molto attuali…

* GIAMPIETRO STOCCO INTERVISTA: A. VIETTI


ALESSANDRO VIETTI “Cyberpunk 2020: Ravengers”

18” x 30” Oil on Paper on Masonite © 1994 Donato Giancola

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LETTURA

CYBERWORLD [Cyberworld) di ALESSANDRO VIETTI (1996)

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on questo romanzo il cyberpunk italiano riceve forse la sua consacrazione più alta, arrivando a prestigiosi premi, come il Concorso Letterario Nord nel 1995 e al Premio Cosmo l’anno dopo. L’autore è genovese ed è nato nel 1969. È forse per questo che ripercorre binari che sarebbero piuttosto aspri con una levità tutta particolare e con quel senso dell’humour che è tipico della città della Lanterna. Siamo in un mondo in cui l’uscita dai corpi fisici è ormai diventata una prassi, grazie agli impianti per la realtà virtuale. Una realtà che è sempre più vivida e per alcuni preferibile a quanto realmente accade, se è vero che la madre della protagonista è una drogata di quelli che oggi chiameremmo “reality show” in una forma ancora più perversa, con le immagini che vengono impresse sulla retina e non lasciano spazio ad altro se non a fugaci sortite al bagno e a una vita passata in poltrona. Satira sociale già nel ’96, perciò, ben prima delle Isole dei Famosi e di altri prodotti consimili. Tecnologia che serve per imparare, sì, ma anche per mistificare a proprio piacimento, e quindi soprattutto come lavaggio del cervello per le coscienze. Vietti attualissimo dunque nonostante il romanzo risalga a più di dieci anni fa e all’epoca fosse stato scritto da un promettente autore di ventisei anni. Intrigante lo sviluppo di alcune idee, viste col senno di poi: la homespace che è l’erede della homepage, lo spazio virtuale, il nickname che oggi sembra così necessario, tra pc, telefonini e altro. L’alter ego virtuale si proietta all’interno di CyberWorld, il mondo che ha ereditato Internet con simulazio-

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ni sempre più sofisticate. Solo in queste finzioni tecnologiche riesce ad avere rapporti significativi, anche se effimeri: una cyberrelazione, scrive Vietti, dura in media quattro mesi. Un mondo insieme estremamente affollato ed estremamente solitario: passeggi per un prato, scrive Vietti, e puoi stare sicuro che l’insetto che ti ronza davanti al naso può essere l’avatar di un guardone. Tutti sanno chi sei e quali siano i tuoi gusti, tu non sai chi detiene il potere che queste informazioni significano. Solitudine, perché nella realtà tu conosci soltanto la sigla di tuo padre e nemmeno il nome, e tua madre ha comprato il seme a un’olovendita per dare un fratellino a sua

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CYBERWORLD figlia. Righe semplici nella loro terribile denuncia di quello che potrebbe essere, non domani, ma forse dopodomani, uno dei possibili mondi che ci aspetta. Viene in mente l’aristocrazia genetica di Gattaca e il genoismo contro chi non è nato dalla provetta. Non a caso, in questo mondo descritto da Vietti, è dopodomani, cioè il 2079, e si oppongono due fazioni: virtualisti e realisti. Una guerra che scorre su un sottofondo che l’autore rende piacevole e scorrevole, tra software di ricerca che assomigliano a segugi, e virus che si tramutano in fastidiosi insetti; citazioni da Neuromante, con l’I. A. di nome Case che ci si presenta come un cowboy in omaggio all’omonima creatura di GIBSON. E visto che ci siamo, il cow-boy ci pare proprio l’allegoria di una cavalcata attraverso tutte le possibili fasi di una vita che fa sempre più fatica a distinguere il reale dal virtuale, anche se qualcosina ci sussurra, alla fine del percorso: così come gran parte dei personaggi in gioco nel libro di Vietti sembrano essere allegorie della stessa persona, il nostro stesso percorso nella vita reale è costellato da tentativi di identificarci negli altri. Un po’ come quando, a distanza di anni, misteriose somiglianze affiorano sui volti degli amici, come se un tratto familiare e a noi gradevole avesse attraversato il tempo, passando di fattezza in fattezza. Un mondo, insomma, che nello stesso tempo finisce per essere piccolo e grande. Mondo Cyber e Mondo reale, sembra dirci Vietti, sono più simili fra loro di quanto non potremmo pensare. Lo dimostra il controllo che entrambe le fazioni vogliono esercitare su Cyber World, lo dimostra il Codice di comportamento, o Cyber Code, che dovrebbe essere rispettato per evitare la più totale anarchia virtuale. Vietti ha insomma questo pregio: ci dipinge nello stesso tempo un dualismo e un’analogia, uno e zero in fondo sono equivalenti, reale e virtuale si sovrappongono, alludono l’uno all’altro. In passato l’autore è stato criticato per un certo approccio lieve a tematiche che altrove furono affrontate in maniera ben più cupa e torva. A noi pare che questo sia un pregio e non un difetto. L’umorismo

LETTURA: CYBERWORLD

Alessandro Vietti giova alla prosa di Vietti e rende le atmosfere più credibili anche quando ci troviamo di fronte un papero blu con la S di software sul petto. È stato anche detto che Vietti amerebbe gli stereotipi, dalle allegorie che utilizza per bachi e utilità di scandaglio, fino ai giornalisti, immancabilmente immorali. In parte può starci. Attenzione però a considerare l’Italia del 1996: informatizzazione a livello embrionale, uno scenario estremamente diverso rispetto a quello che ci troviamo di fronte ora. Che l’autore abbia voluto essere lieve anche nelle sue metafore va dunque tutto a suo merito, come è sempre grazie a lui che alla fine di Cyber World il lettore stacca gli occhi da un romanzo che è filato via liscio come l’olio. Un flusso di scrittura naturale come pochi, per descrivere un passo inquietante della nostra esistenza: un po’ come il moto sempre diverso di quel mare che si avverte sempre presente sotto la superficie lieve della prosa di Alessandro Vietti.

GIAMPIETRO STOCCO

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LETTURA

NEUROMANTE [Neuromancer) di WILLIAM GIBSON (1984) L’IMPAGABILE EREDITÀ DI UNO SCRITTORE SENZA CUORE

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vete mai letto l’Ulisse di Joyce? Chi già l’ha fatto mi ha decisamente sconsigliato di provarci, salvo soffrire di manie autolesionistiche. Ebbene, sappiate che, da qualche anno a questa parte, assieme al romanzo trovate allegata una guida alla lettura, per smorzare i toni cupi dell’ardimentosa impresa ai coraggiosi che vi si accingono, o forse per incoraggiare i reticenti (quale la sottoscritta stessa ammette di essere). Tutto questo per arrivare dove? Semplicemente al fatto che ancora non è stata pubblicata una guida alla lettura di Neuromante. Il romanzo di WILLIAM GIBSON, considerato il manifesto del movimento Cyberpunk, ce lo vendono senza foglietto illustrativo. Non che trovi troppo corretto il concetto di “instradare” le menti vergini prossime ai riti di iniziazione di questo sottogenere fantascientifico, ma una cosa è certa: non è fatto di colori vividi e luci stroboscopiche, né di luoghi fatiscenti e futuri criminosi il mondo in cui stiamo per immergerci. O per lo meno, non si tratta solo di questo. L’ignoranza non paga, e mea culpa se al padre di quella che scherzosamente chiameremo “generazione smanettona” non ho attribuito il giusto peso dando invece per scontato che leggere l’Antico Testamento del Cyberpunk avrebbe significato tenere tra le mani trecento pagine di grafica astrusa stile Il tagliaerbe, filosofia new age di matrixiana memoria e violenza alla Johnny Mnemonic. Pensare che questo neonato filone letterario fosse riconducibile unicamente ad un moderno imma-

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ginario fortemente collettivizzato ed influenzato è un passo falso in fin dei conti comprensibile. Per penetrare lo scenario irreale disegnato da Gibson bisogna armarsi di mastodontica fantasia e altrettanta dose di flessibilità mentale. Neuromante non è quello che gli altri ci hanno fatto vedere in questi ultimi vent’anni: colori e acrobazie informatiche sono solo il fascinoso involucro al cui interno è celato un gioco di scatole cinesi e problematiche attuali, oggi più di ieri. Ridurlo a visioni postume indotteci da altri significherebbe sintetizzare un’opera di una complessità tale, invece, da costringere ad una lettura a passo di gambero e richiedere un’immedesimazione elevatissima e doti empatiche superlative.

LETTURA: NEUROMANTE


NEUROMANTE Ha compiuto ormai ventidue anni, ma li porta davvero alla grande, complice l’arte con la quale Gibson ha saputo trasformare il concetto di realtà virtuale in pagine di elevato valore stilistico; e sopra ogni cosa, l’aver dato i natali a quelle atmosfere grigie e antiutopiche comunemente identificate col nome di città post-moderne, dominate – per meglio dire tiranneggiate – dalla tecnologia. Non è un caso il fatto che si parli di tirannia, perché la vera storia da raccontare, dentro la quale Gibson catapulta il cow-boy informatico Case, è quella di una guerra ad armi impari, una faida il cui epilogo è implicito nella “natura” stessa dei contendenti: l’uomo e la tecnologia. Il primo è lo schiavo consapevole, tutto il resto è la droga che lo appaga e al tempo stesso lo sottomette al proprio giogo. Il mestiere di Case rappresenta l’apoteosi di questa convivenza deviata: collegare il proprio cervello direttamente alla rete e rubare le informazioni per poi rivenderle. Non di rado si vede costretto a far fronte a dolorose crisi di astinenza; rimanere scollegato per troppe ore di seguito lo fa sudare freddo, e sono incubi e non sogni a popolare i pochi attimi di riposo. Giungono a soccorrerlo altre droghe, questa volta nella corrente accezione del termine: le anfetamine gli stanno logorando il fisico. Il che rappresenta un problema alquanto relativo, perché nel mondo di Case i corpi sono solo macchine, e quando un pezzo si guasta basta sostituirlo. Lo sa bene la sua enigmatica complice, Molly, un’arma vivente, corredata di innesti sottocutanei micidiali e occhi bionici. Ed ecco palesarsi una delle tante chiavi di lettura del romanzo: il corpo, l’unica parte del mondo in grado di cambiare… visto che tutti gli attori in scena sembrano agire sfiorandosi reciprocamente senza mai mutare la realtà che li ospita (…o che di loro si fa beffe) e ancor di più senza apportare nulla nella vita dell’altro. È paradossale quanto quella di Gibson in Neuromante sia una prosa dell’inerzia, dalla quale trasuda un’avidità emozionale difficile da sopportare. Non a caso le parole a supporto della carat-

LETTURA: NEUROMANTE

terizzazione di questi che, più che protagonisti, potremmo definire zombie, si contano sulle dita di una mano. Ne deriva un’ironica immotilità “Beckettiana” come se tutti stessero aspettando un Godot che non arriverà mai. Alla fine ogni attante si ritrova esattamente al punto di partenza, le mutazioni sopravvenute nel tempo non lo sfiorano o, se lo fanno, incidono in parte irrisoria nel suo vivere quotidiano, regalando al tutto un senso di circolarità, dai toni decisamente negativi. Questo cane che si morde la coda rappresenta solo un lato della medaglia: la vera vita di questi anti-eroi del futuro assume un significato tangibile solo quando si trovano dentro la rete… giù all’inferno dove Case lotta senza riserve contro chi lo vuole morto, contro i fantasmi del passato capaci perfino di donargli un memorabile amplesso, nel tentativo di carpire il nome di quel demone che lo fronteggia, poiché “per evocare un demone devi imparare il suo nome”! Neuromante: l’intelligenza artificiale che ha preso coscienza delle proprie potenzialità, capace di evocare i morti quanto un negromante, di richiamarli illusoriamente alla vita e al tempo stesso di “percorrere i sentieri d’argento dei nerv”i. Esso si mostra a Case solo durante le ultime battute (dopo averlo ingannato e manipolato in tempi non sospetti) antropomorfizzandosi per meglio celarsi ai suoi occhi. E in questo gioco dell’oca dove gli eroi sono solo pedine, l’epilogo per loro coincide col punto di partenza: abbandonati a se stessi e schiavi coscienti della propria condizione. “Non ho bisogno di te”! sono le ultime parole del cowboy d’interfaccia, nell’estremo tentativo di imporre se stesso rispetto ad una realtà, quella virtuale, che lo ha reso succube, o rifiutando rabbiosamente quel rapporto “intimamente professionale” avuto con Molly, divenuto ormai parte di un passato recente. L’interpretazione rimane aperta, anche se l’ampiezza di respiro del finale, più che essere filosofica, ha il sapore di un Gibson che svogliatamente si rapporta col mondo dei vivi. Forse è lui

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LETTURA

neurali. La maestria con il vero Negromante. la quale ha saputo fotoSe dissertare di emozioni non sembra il passagrafare un futuro lucido tempo preferito dell’aue vivido nella sua mente tore, al contrario, quando per poi riproporlo con imè il futuro a divenire copagabile solerzia al lettolonna portante della narre, senza farsi tentare da istrionismi di facile conrazione, è una cascata di sumo, gli attribuiscono parole e neologismi, di uno stile di poco lontano frasi ad effetto e descridal neorealismo, dove tra zioni interminabili, che ci la verità e la sua traspositravolgono e fanno incetta di qualsiasi brandello zione non vengono posti di cognizione logica che filtri di alcun genere. Che avevamo della realtà. È poi la verità dimori nelil festival dell’inconsapela mente dello scrittore è William Gibson volezza tra ICE, matrici, tutt’altra storia. Flatline, Deck… Lungi dal mostrare Ma Gibson ama i suoi mondi e non i suoi letto- l’immagine di un narratore spietato che non prova ri: non è il suo mestiere quello di chiarire al letto- pena né per i propri protagonisti e tanto meno per re in mezzo a quale habitat si trovi ad annaspare. i propri lettori, mi preme riportare alla memoria Perché del resto Case e Molly non hanno bisogno quando in tempi passati, a sostegno di una tesi di alcuna spiegazione del motivo per il quale si che trovava la prosa gibsoniana povera di controvino a lottare contro delle intelligenze artifi- cetti e problematiche, si è scoperchiata la tomba ciali in città decadenti dominate dalla mafia, è il dove giaceva PHILIP DICK. Un confronto privo di loro mestiere. Abbandonato a se stesso, il lettore fondamenta e quindi a torto, data l’appartenenza è l’interprete senza vocabolario, che ad un nuovo a concezioni diverse di letteratura. Forse chi ha lessico impregnato di un futuro che dal lontano osato tanto pretendeva di raccontarci il sapore 1984, anno di pubblicazione del romanzo, è ormai della nutella senza aver neppure aperto il barattodivenuto presente, deve dare un qualche barlume lo. Neuromante non lo si può raccontare, e neppudi significato logico. re leggerlo, va sentito, è questo l’unico modo per E da qui il motivo di una lettura che spesso ci rendere tangibili mondi tanto estranei al nostro, riporta allo start, alla disperata ricerca di un qual- così lontani e al tempo stesso così vicini. Compliche indizio che ci aiuti nello sbrogliare l’intricata ce il grande merito di aver per primo dato forma matassa. Operazione decisamente noiosa, il più alle paure, ai dilemmi e alle possibili conseguenze delle volte infruttuosa, ma più importante di tutto: di questo nostro presente. inutile. La trama non snocciola alcuna definizione Colui che in diverse interviste ha raccontato e l’unica appendice che avremmo auspicato trova- di essere una vera frana al computer, oggi è senza re in fondo al libro potrà essere solo un parto della ombra di dubbio il primo autore ad aver dato nomi fantasia. Ne scaturisce una bassa intelligibilità, e rilevanza ad una delle possibili strade aperteci e non a caso Gibson ha fatto della fantascienza dalla terza rivoluzione industriale. Forse adesso il proprio mestiere: se la linearità e la chiarezza possiamo disquisire sul sapore della nutella! fossero state le sue mire primarie avremmo letto i suoi trattati di matematica e non di impianti

ROMINA “LAVINIA” PERUGINI

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CINEMA

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eXistenZ Quando lo spettatore diviene attore… Elogio di un cinema dell’interpretazione

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n un presente parallelo, dove giocare ai videogame significa immergersi in una realtà virtuale tramite un connettore spinale, Allegra Geller è considerata una delle migliori game designer sulla piazza. Accade però che durante la presentazione della sua ultima creazione, “eXistenZ”, una cellula ribelle sostenitrice del “movimento realista”, attenta alla sua vita. Sarà l’ignaro addetto alle pubbliche relazioni, Ted Pikul, che di realtà virtuale è totalmente a digiuno, a portare in salvo la donna ferita e l’unica copia del gioco, anch’esso lesionato a seguito dell’azione criminale. La sola maniera per assicurarsi della sua integrità sarà quella di dare inizio ad una partita…

Entrare nel gioco sarà poi come entrare nella mente di CRONENBERG, fronteggiare quelli che da sempre sono i suoi feticci, perdersi, ritrovarsi per poi perdersi nuovamente tra i piccoli indizi che il regista canadese dissemina qua e là nello sviscerarsi della trama. Tanto che quella che all’inizio sembra una partita a due, un’esclusiva dei soli protagonisti, finisce poi per coinvolgere lo spettatore, quale vero interprete delle sfumature che l’intreccio filmico assume col succedersi di ogni sequenza. È questo estremo slittare da un piano del significato ad uno del significante, questo regalarsi ad un simbolismo estremo per lasciare che sia poi il destinatario ad inventarsi nuovi sensi

A fianco: l’attentatore minaccia la protagonista al grido di “morte al demone Allegra Geller”; impugna un’arma fatta di ossa che spara denti umani.

CINEMA: EXISTENZ

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della realtà, che rendono l’intero film un’opera interattiva a più livelli. Nonostante il soggetto non spicchi in quanto ad originalità, fatta eccezione per alcuni momenti decisamente gustosi, il tutto muove da un concetto immenso quanto affascinante: l’estrema difficoltà nel discernere ciò che è reale da ciò che non lo è. Il gioco, la realtà virtuale, è solo uno specchio per le allodole, un espediente del regista per palesare il vero concept da cogliere, nel quale immergersi. Il senso metaforico che vi è celato sembra rimandare indirettamente ad un antenato del regista, il drammaturgo De La Barca, che si divertiva nel guardare il suo protagonista dilaniarsi nel perpetuo domandarsi se la vita fosse sogno.

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Nessuno me ne voglia per l’ardito confronto tra cinema e teatro, che poi tanto azzardato non è se si pensa che il vero comune denominatore di entrambi gli artisti, così lontani nel tempo l’uno dall’altro, è l’illusione! A sottolinearlo il quesito ricorrente che troviamo nei dialoghi del film “Siamo ancora nel gioco?”, una domanda ben scandita sempre e comunque, quasi rivolta in macchina, un velato ammiccamento che il regista rivolge al pubblico, rafforzando quell’idea di interattività che solo pellicole dai toni fortemente intimisti e psicanalitici possono permettersi. Tuttavia, come sottile è la linea di demarcazione tra realtà ed illusione, anche il salto tra una chiave di lettura interiore ed una molto più viscerale è breve.

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eXistenZ Pag. a sinistra, dall’alto: 1) Ted alle prese con l’impianto della sua bio-porta ad opera di un benzinaio poco ortodosso; 2) Allegra trova rifugio presso un amico di vecchia data; 3) i protagonisti, entrano nel gioco e s’imbattono in uno strano personaggio. Questa pagina, dall’alto: 1) Ted si accinge a penetrare la bio-porta di Allegra con un minipod; 2) i due si ritrovano catapultati a sviscerare animali mutanti in una fabbrica di gamepod; 3) di nuovo l’arma: è l’ingrediente principe della zuppa che Ted ha dovuto ingurgitare; 4) Allegra incontra Nourish.

Se l’illustre collega LYNCH, fautore di un cinema molto vicino a quello cronenberghiano, ha sempre prediletto uno stile prettamente visionario, il regista canadese sfrutta canoni molto più empirici. Nessuna esitazione nel mostrare carni dilaniate, animali squartati e sangue, tanto e rosso. Perché è vero sì che il sangue è rosso, ma quello di Cronenberg, come direbbe Orwell, è più rosso degli altri! Ogni ferita pretende e ottiene il proprio primo piano, ed il liquido ematico, quasi come un vecchio attore di indubbia fama, gigioneggia davanti alla macchina da presa, si mostra senza remora nel costante tentativo di evidenziare un’etica del corpo come specchio della fragilità umana. Paure, insicurezze, dolori fisici e psicologici, timore dell’ignoto e terrore del reale: Ted Pikul è l’incarnazione impressa su celluloide di tutto questo, col suo continuo muovere incerti passi in avanti, col fare di chi è convinto che prima o poi incontrerà un crepaccio. E sul ciglio del burrone si trova affiancato da una nemica-amica – del resto ogni gioco è sinonimo di competitività – che lo spinge verso il vuoto e lo afferra per il rotto della cuffia ad un tempo. Binomio contrastante di una personalità complessa che trova nell’interpretazione di JENNIFER JASON LEIGH, algida e imperscrutabile, l’immagine perfetta della donna moderna, forte e consapevole. In secondo piano un JUDE LAW che avremmo desiderato un filo più sorpreso del mondo che gli sta sfuggendo di mano. Del resto dovrebbe essere non poco singolare scoprirsi

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assassini navigati, o esperti conoscitori di ingegneria genetica. Quest’ultima tematica svolge un ruolo non indifferente nel dar spessore al film. Cronenberg ha pensato bene che parlare di realtà virtuale avrebbe traghettato il pensiero direttamente verso la sfera informatica, cosa che si guarda bene dal fare inserendo nel piano narrativo un tratto di inconfondibile originalità: il gamepod. Tramite un cavo, simile ad un cordone ombelicale, inserito nella spina dorsale, questo dispositivo costituito da materiale semiorganico invia impulsi direttamente al cervello. Con un agile balzo egli scavalca l’idea ormai di seconda mano, rappresentata dalle intelligen-

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ze artificiali, per riportare l’uomo verso se stesso anche se attraverso un’ottica decisamente futuristica: i gamepod sono strabilianti prodotti dell’ingegneria genetica. Senza un ponte, senza una linea di demarcazione capace di dividere l’uomo dall’esperienza alternativa, il gioco diviene un tutt’uno col giocatore e l’esperienza ludica è vita quanto la vita stessa rappresenti un gioco. Il tutto per merito di un foro alla base della schiena che in ogni inquadratura mostra se stesso con divertita tracotanza, conscio del ruolo sotteso che l’estroso regista intende attribuirgli. SesIn questa pagina, dall’alto: 1) Nourish aiuta i protagonisti a cogliere le sfumature della trama di eXistenZ; 2) spinta da un irrefrenabile impulso provocato dal gioco, Allegra si collega a un pod malato. Pagina a destra, dall’alto: 1) Ted e Allegra escono dal gioco, ritrovandosi nella loro camera, convinti di aver perso; 2) in realtà i due sono ancora in eXistenZ e dovranno fronteggiare una guerriglia scatenata dai realisti; 3) tutti i personaggi si “risvegliano” in una chiesa, al termine del gioco transCendenZ; 4) dopo essersi complimentati con l’inventore, Allegra e Ted si accingono a sparargli al grido di “Morte al demone transCendenZ”.

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suale ovviamente, e non poteva essere altrimenti alla luce dei precedenti lavori: ogni momento in cui i protagonisti volgono attenzioni alle proprie “bioporte”, questo il nome degli impianti spinali, li troviamo eccitati, frementi, anche spaventati ma indubbiamente in balia di una forza superiore che li richiama a sé… che poi nella realtà filmica si tratti di gioco e non di sesso è solo questione di grande attitudine nel mediare le percezioni umane, arte che Cronenberg svolge con gran mestiere. Maggiore onore al merito quando si pensa alle sue scelte formali, che lo collocano in quel girone infernale di questi tempi decisamente desolato, dove trovano posto i sostenitori di un cinema dell’assenza. Perché l’arte non ha bisogno tanto di mostrare, quanto di dimostrare: l’effetto speciale è un ospite poco gradito all’interno delle inquadrature che si succedono in eXistenZ, perfino le scene in automobile sfruttano il vecchio trucco dello sfondo in movimento. Un’economia dei mezzi che lascia spazio ad una ricchezza di contenuti, una supremazia di quest’ultimi sui primi chiaramente voluta, atta a creare una linea gerarchica anacronistica visti i tempi che corrono. Tempi bui per chi come HITCHCOCK trova inutile mostrare una porta quando potrebbe benissimo limitarsi a mostrare una maniglia con risultati decisamente più esaltanti. Nell’attesa di un nuovo avvento del parziale gustiamoci questa lezione di cinematografia old style, che al di là di tutti i pregi che le sono propri, sia formali che intratestuali, trova nel rispetto

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verso lo spettatore il suo punto di forza più marcato. Rendere il fruitore parte attiva e debitrice di senso all’intreccio filmico, significa permettergli di abbandonare un ruolo che lo relegava ad una posizione di subordinata passività. David Cronenberg si dimostra capace di far sì che lo spettatore si alzi dalla propria poltrona per protendersi verso tutto ciò che il cinema può essere in grado di esprimere. Pochi cineasti oggi possono dirsi capaci dello stesso miracolo.

ROMINA “LAVINIA” PERUGINI

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TED PIKUL (Jude Law): il timido protagonista di un complesso gioco al massacro, virtuale.

ALLEGRA GELLER (Jennifer Jason Leigh): game designer di punta dell’Antenna Reserch.

GAS (Willem Dafoe): benzinaio fanatico di RV e impiantista di bioporte illegali.

YEVGENY NOURISH (Don McKellar): attivista del movimento realista, e creatore di transCendenZ.

CAMERIERE (Oscar Hsu): il camerire che serve a Ted un’indimenticabile e letale zuppa.

KIRI VINOKUR (Ian Holm): vecchio amico di Allegra, ospita i protagonisti durante il gioco.

D’ARCY NADER (Robert A. Silverman): punto di riferimento per Ted e Allegra nel gioco.

HUGO CARLAW (Callum Keith Rennie): goffo impiegato, ma con attitudini... sbalorditive.

CAPO del SEMINARIO (Christopher Eccleston): spetta a lui presentare eXistenZ al gruppo di tester.

MERLE (Sarah Polley): raccoglie le testimonianze sul nuovo gioco transCendenZ.

NOEL DICHTER (Kris Lemche): l’attentatore di Allegra, le spara un... dente umano.

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RESTO DEL CAST: Vik Sahay (assistente uomo), Kirsten Johnson (assistente donna), James Kirchner (Landry), Balázs Koós (volontaior uomo), Stephanie Belding (volontario donna), Gerry Quigley (operaio dell’allevamento di trote).

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eXistenZ

ScheDa tEcnicA Tit. originale: Anno: Durata: Paese: Produzione:

EXISTENZ 1999 96 minuti USA David Cronenberg, András Hámori, Robert Lantos Regia: David Cronenberg Sceneggiatura: David Cronenberg Fotografia: Peter Suschitzky Musiche: Howard Shore Montaggio: Ronald Sanders Scenografia: Carol Spier Costumi: Denise Cronenberg Premi: 1 nomination SATURN AWARD 2000, Best Science Fiction Film; vincitore SILVER SCREAM Amsterdam Fantastic Film Festival, 1999 (David Cronenberg); vincitore ORSO D’ARGENTO Festival di Berlino1999, Outstanding Artistic Achievement (David Cronenberg), nomination ORSO D’ORO 1999 (David Cronenberg).

DAVID CRONENBERG FILMOGRAFIA: A History of Violence (2005), Spider (2002), Camera (2000), eXistenZ (1999), Crash (1996), M. Butterfly (1993), Naked Lunch (1991), Dead Ringers (1988), The Fly (1986), The Dead Zone (1983), Videodrome (1983), Scanners (1981), The Brood (1979), Fast Company (1979), Rabid (1977), Shivers (1975), Crimes of the Future (1970), Stereo (1969), From the Drain (1967), Transfer (1966)

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Johnny

MNEMONIC (DISTURBO

DA ATTENUAZIONE DEL SISTEMA NERVOSO)

stallare nel cervello il potente chip che gli consente di guadagnarsi un alto tenore di vita. Di norma TEMPO FUTURO PRESENTE è ignaro del contenuto dei dati che traffica, non se resto le persone potranno impiantare nel ne cura. Il suo unico obbiettivo è incassare le laute cervello sofisticati microchip, e immagazzi- ricompense per i suoi servizi, e sottrarsi così alla nare dati riservati da trasportare clandestinamente miseria – e forse alla noia – che attanaglia invece per tutto il globo, al fine di rivenderli a compratori buona parte della popolazione. più o meno disonesti. È questo il futuribile preCi troviamo in una Terra coperta da immense supposto del film Johnny Mnemonic, ambientato città, divise in quartieri agiati dai grattacieli scinnel vicinissimo domani. tillanti, e sconfinati bassifondi, spesso sotterranei, Johnny è un trentacinquenne corriere informa- simili a bolgie dantesche popolate da poveri e tico. Ha sacrificato i ricordi dell’infanzia pur d’in- disperati, o da gente che per scelta personale ne prende le difese. La rete di Internet è sviluppata e onnipresente nella vita quotidiana; le grosse corporazioni multinazionali vengono contestate ricorrendo proprio ai mezzi informatici, accessibili a chiunque. La

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A fianco:

il lavoro del corriere mnemonico è pericoloso, a volte il carico di dati eccede la memoria disponibile, imponendo un rigido metodo di autocontrollo per reggere lo stress.

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JOHNNY MNEMONIC violenza è pane quotidiano e molte persone ricorrono alle strabilianti applicazioni della scienza pur di migliorare le prestazioni fisiche o intellettive, nonostante i grandi rischi che ciò comporta, primo tra tutti la nuova “peste” chiamata NAS (Disturbo da Attenuazione del Sistema Nervoso), una malattia incurabile da cui è affetta oltre la metà del genere umano. Sono preoccupazioni, queste, che sfiorano appena la coscienza di Johnny. Raggiunta ormai la sicurezza economica, il corriere è pronto a ritirarsi e a godersi i risparmi accumulati, recuperando inoltre quanto (per far posto al chip) ha dovuto dimenticare del proprio passato. Il suo agente, Ralfi, lo convince ad accettare un ultimo incarico, per un compenso stratosferico. Johnny si reca a Pechino, dove due ex-dipendenti di una multinazionale farmaceutica svizzera, la Pharmakon, gli caricano di dati fino all’inverosimile il microchip cerebrale. È una vera overdose, che gli impone di liberarsi del carico entro ventiquattr’ore, o addio cervello. Completato il trasferimento, però, nello stabile irrompono membri della Yakuza, la mafia giapponese, guidati dal torvo Shinji. Ne segue una strage a cui Johnny riesce a scampare per pura fortuna. Il corriere si reca in tutta fretta a Newark, dove scopre che Ralfi lo ha tradito, e che il boss locale della Yakuza, Takahashi, vuole la sua testa, in senso letterale: le informazioni preziosissime contenute nel chip possono infatti venire recuperate anche se il proprietario... non è presente “per intero”. Dall’alto: Solo l’intervento di Jane, agguerrita guardia 1-2) Jane, guardia del corpo senza lavoro... del corpo, salva Johnny dalla decapitazione. Jane, trova impiego “presso” Johnny; contagiata dal NAS, e spinta forse dalla voglia di 3) sono necessari contatti in “rete” per scavendetta o dalla speranza di ricevere un compenso ricare i file che stanno mandando in pezzi il con cui pagarsi cure adeguate (sebbene non risocervello di Johnny. lutive), accetta l’incarico di scortare Johnny nei bassifondi della città, e riesce a metterlo in contatto con Spider, un ex-medico che si occupa di NAS, tenuto segreta dalle multinazionali farmaun centro clandestino per pazienti terminali. È lui ceutiche per speculare sulla pelle dei tanti contail destinatario dei dati immessi nel chip di John- giati vendendo farmaci inefficaci. Johnny raggiunge il Paradiso, sorta di rifugio ny, che contengono niente meno che la cura per il

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fortificato dove il bizzarro J-bone guida i Low-Techs, un gruppo di hacker ribelli che vedono nella manipolazione informatica il mezzo per combattere il regime. Nel frattempo il boss della Yakuza gli sguinzaglia dietro il Predicatore, un fanatico killer religioso…

un thriller di tipo tradizionale. Lo scontento può essere giustificato solo in parte, in quanto credo sia impossibile condensare tanti contenuti innovativi in un film che deve offrire intrattenimento a spettatori ignari di cosa sia il cyberpunk. Grazie agli adattamenti più o meno necessari, la pellicola è realizzata con garbato mestiere e riesce a piacere anche al pubblico non specializzato, che si CYBERCOMPROMESSI interessa alle storie narrate con buona mano e non l soggetto del film e la conseguente sceneggia- pretende di trovare omaggi riverenti al proprio tura sono stati tratti da racconti brevi di WILLIAM scrittore preferito. La sceneggiatura ha un ritmo serrato, non GIBSON, il padre del Cyberpunk. Ma i più fedeli lettori dell’Autore sono rimasti delusi dalla regia brilla per originalità, ma è piena di richiami alla di ROBERT LONGO, a causa delle semplificazioni spy-story e al cinema di azione. Tali citazioni da che tradiscono la pagina scritta e l’avvicinano a un lato rischiano di rendere la pellicola un ibrido che non è né carne né pesce, dall’altro aiutano lo spettatore a seguire le disavventure del corriere informatico in un contesto di lettura non sempre immediata, riproponendogli situazioni che già conosce attraverso film e libri “hard boiler”, stavolta mescolate con elementi futuristici.

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A fianco: Takahashi (che ha perso la figlia a causa del N.A.S) non riesce a credere alla malafede della Pharmakom.

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JOHNNY MNEMONIC Gli effetti speciali sono ben curati e inseriti quando effettivamente occorre, senza parsimonia e con buon senso. Ovviamente risentono dell’introduzione delle tecniche digitali. Caso raro, la caratterizzazione del protagonista è efficace ed approfondita a dispetto degli stereotipi e dell’essenzialità tributata agli altri personaggi. Johnny è un uomo che di eroico ha ben poco, lo vediamo trascinarsi e crollare sempre più prostrato da una sequenza all’altra, scampa ai killer più per fortuna che per abilità. La debolezza fisica non è che l’inizio. Johnny ha rinunciato ad essere sé stesso pur di esercitare una professione ai limiti della legge, tanto da non avere né cognome né storia personale, almeno non alla portata della sua memoria. Ha in sé il segreto che può risparmiare migliaia di vite, ma fino all’ultimo fotogramma lo vediamo agire per salvare la propria pelle, la propria identità e magari anche il proprio conto in banca. Johnny accorre a Pechino richiamato dal danaro e accetta di farsi inserire nel cervello trecento gigabyte d’informazioni quando sa bene che non potrebbe immagazzinarne più della metà. Agisce sempre per lo stesso prosaico motivo: i soldi, averne tanti, permettersi gli alberghi di lusso e le camicie di bucato e le lenzuola di seta… Dimentichiamoci pure gli eroi altruisti e godiamoci un protagonista egoista e fragile, maledettamente verosimile. Altrettanto umana è Jane, la guardia del corpo mercenaria. Aiuta il nostro eroe, sperando in una ricompensa, o solo perché ha intuito che questi nasconde qualcosa di scottante, e forse appoggiando la sua causa potrebbe nuocere a quella di Dall’alto: 1) la creatrice della Pharmakom, usa Johnny gente che possiede tutto quello che a lei manca, per portare importantissimi file ai Lotek. vendicandosi. Il regista ha il buonsenso di evitare 2-3) Johnny e Jane sono costretti ad affrontadi far sbocciare un’improbabile love story. Sarebre il Predicatore, un assassino superpotenziabe stata deleteria, sia perché tanto breve è il lasso to al soldo della Pharmakom. di tempo che i due trascorrono insieme, sia perché avrebbe regalato il sogno o l’illusione di una vita migliore a due personaggi che comunque devono NO, attore e regista di grande sensibilità, capace di rappresentare la più efferata violenza in un conteriflettere la disperazione del loro mondo. Meno approfonditi sono gli avversari di John- sto di poesia priva di retorica e ricca di sentimenti ny, nonostante la partecipazione di TAKESHI KITA- autentici. Kitano è un artista, Longo... un bravo

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professionista. DOLPH LUNDGREN interpreta il Predicatore: un personaggio che rivisitato col gusto di oggi pare la caricatura di un wrestler. Di Lundgren si può dire che è sempre stato un attore assai “fisico” e quanto ha ottenuto nel mondo dello spettacolo se lo è guadagnato sfoggiando muscoli guizzanti. Questo è forse il film più impegnato in cui è comparso. L’ambientazione è quella classica cyberpunk, e riesce a dare una visione pessimistica del nostro oggi. I problemi del mondo futuro sono fondamentalmente gli stessi comuni al nostro inizio millennio. Oltre le armi sorprendenti, gli abiti sgargianti o minimali, i mezzi di trasporto, i cyber delfini e le diavolerie della tecnologia, troviamo gli stessi mali odierni, amplificati. Abbiamo un’umanità solitaria ed egoista, che bada al proprio tornaconto e che, se solidarizza, lo fa per portare avanti le proprie personali necessità. E che dire di quanti appaiono “buoni”? Si fanno tribuni della plebe per ansia di giustizia o piuttosto per sfogare bisogni di protagonismo? I dubbi rimangono e divengono più forti ad ogni successiva visione. Un mondo privo di elementi naturali, tanto

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che neppure agli esseri umani e gli animali vengono risparmiati impianti bionici e modifiche che ne ridisegnano la biologia. Ci sono sterminate periferie degradate al cui confronto le “banlieue” divengono alberghi a cinque stelle. Grandi multinazionali governate da organizzazioni mafiose sopranazionali. Violenza diffusa ed emarginazione. Forse per queste tematiche così cupe ed attuali – oltre che per una buona dose di violenza – in molti paesi il film è stato riservato ad un pubblico adulto. Lo spettatore non trova sequenze splatter estreme, non più di quanto incontra in certi tv movie americani; ma ogni atto brutale va ad inserirsi in un contesto di forte impatto emotivo. D’altra parte non credo sia possibile rappresentare il mondo cyberpunk senza ricorrere a temi cupi, che caratterizzano lo stesso stile narrativo, sarebbe un po’ come pretendere che Philip Marlowe si sostituisca a Miss Marple e scopra i colpevoli frequentando salotti eleganti e tè delle cinque. La veste fantascientifica ha permesso e consente di affrontare tematiche “serie” con una dose di leggerezza che distanzia lo spettatore da quanto vede rappresentato, e al contempo lo stimola a riflettere sui problemi che vede rispecchiati.

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JOHNNY MNEMONIC CYBERPUNK FOR DUMMIES

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difficile spiegare al vasto pubblico in cosa consiste la corrente artistica detta Cyberpunk, nel tempo ristretto di una pellicola. La gente al cinema cerca divertimento e azione, non vuole assistere a uno spettacolo rallentato da lezioni sugli sviluppi della narrativa noir che abbraccia la fantascienza. La “Settima Arte” più della altre forme espressive si basa sul coinvolgimento emotivo, e riuscire a unire esigenze didattiche a risposte empatiche predisposte è un compito arduo. Ce la fece RIDLEY SCOTT nel capolavoro Blade Runner o forse TERRY GILLIAM nello struggente Brazil. Impedibili sono anche il primo capitolo di Matrix, il coraggioso Nirvana, o l’interessante Strange Days… Pellicole simili rappresentano però delle rarità, capolavori indiscussi o capisaldi del cinema di genere. È perciò inutile e dannoso cercare di portare avanti paragoni tra Johnny Mnemonic e questi grandi classici della fantascienza e del cyberpunk, oppure attendersi una spiegazione di tipo filologico su un fenomeno artistico, magari inserita tra una sparatoria Yakuza e un inseguimento. Nel necessario compromesso tra esigenze commerciali e resa narrativa del testo scritto, la regia cerca di mostrare gli aspetti più eclatanti dell’ambientazione facendoli emergere poco alla volta: le megalopoli, i fortissimi contrasti sociali, la diffusione estrema dell’informatica e della relativa pirateria, il culto per oggetti del passato, le applicazioni estreme della bionica, le armi esotiche diffuse dalla globalizzazione, le atmosfere fumose degne di un romanzo di CHANDLER. Il mondo del domani cyberpunk dona poco spazio all’ottimismo, e per molti aspetti può sembrare futuribile, visto che molte delle sue mirabolanti tecnologie sono attualmente già state realizzate – almeno in via sperimentale – o sono in fase di studio. Mentre le invenzioni di VERNE erano opera di fantasia lungimirante e talvolta visionaria, lo spettatore del Cyberpunk può guardarsi attorno e riflettere sulle possibili con-

Dall’alto: 1-2) Johnny può finalmente scaricare le informazioni e salvarsi la mente.

seguenze di fenomeni sociali oggi agli albori. La veste fantascientifica consente di affrontare temi “seri” con una dose di leggerezza, che distacca lo spettatore dall’incombenza dei problemi presentati, ma al contempo lo stimola a rifletterci su. La pellicola di Longo è di buon livello. Forse non mantiene tutte le aspettative, e a tratti scivola in atmosfere melodrammatiche, ma è di certo un bel film, che diverte e, partendo dai racconti di Gibson, qualche spunto di approfondimento lo fornisce. Chi volesse sapere di più sul futuro postmoderno potrà scoprire qui un autore innovativo; altrimenti riuscirà lo stesso a godersi un film d’azione, magari rimandando riflessioni più profonde alla visione di cult-movie come Blade Runner - Director’s Cut.

CUCCU’SSETTE CINEMA: JOHNNY MNEMONIC

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SCHEDA TECNICA Tit. originale: Anno: Durata: Paese: Produzione: Regia: Da un racconto di: Sceneggiatura: Fotografia:

JOHNNY MNEMONIC 1995 94 minuti Canada/USA Don Carmody Robert Longo William Gibson William Gibson François Protat

Musiche: Bono, Mychael Danna, Brad Fiedel, Sascha Konietzko, Henry Rollins, Page Hamilton Montaggio: Ronald Sanders Scenografia: Nilo Rodis-Jamero Costumi: Olga Dimitrov Premi: vincitore GOLDEN REEL 1996 (Don Carmody) Cast: Keanu Reeves, Dina Meyer, Ice-T, Takeshi Kitano, Dennis Akayama, Dolph Lundgren, Henry Rollins, Barbara Sukowa, Udo Kier, Tracy Tweed, Falconer Abraham, Don Francks, Diego Chambers, Sherry Miller, Arthur Eng, Von Flores, Victoria Tengelis, Warren Sulatycky, Celina Wu, Gene Mack, Jamie Elman, Simon Sinn, Caitlin Carmody, Erin Carmody, Douglas O’Keeffe, Marlow Vella, Howard Szafer, Paul Brogren, Arthi Sambasivan, Michael A. Miranda, Coyote Shivers, Lynne Adams, Michael Shearer, Susan Tsagkaris, Christopher Comrie, Robin Crosby, Glenn Bang, Athena Bistolas.

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JOHNNY (Keanu Reeves) Dura la vita per un corriere mnemonico, la memoria non basta mai.

IL PREDICATORE (Dolph Lundgren) La Yakuza non riesce a prendere Johnny, così chiama l’artiglieria pesante.

JANE (Dina Meyer) Bella e letale. Una guardia del corpo adeguatamente potenziata.

SPIDER (Henry Rollins) Una fusione fra un medico e un meccanico.

J-BONE (Ice-T) Il capo dei Lotek, un gruppo che combatte contro le megacorporazioni.

RALFI (Udo Kier) Procura lavori a Johnny, e ha i contatti che servono per rendergli la memoria.

TAKAHASHI (Takeshi Kitano) Uno dei capi della Pharmakom, ha perso la figlia a causa della malattia.

ANNA KALMANN (Barbara Sukowa) Un fantasma nella rete. Vuole fare arrivare la cura per il N.A.S. ai Lotek.

SHINJI (Dennis Akayama) Il capo degli Yakuza incaricati di recuperare Johnny, o almeno la sua testa.

JONES Un delfino modificato dalla Marina, dotato di sofisticate attrezzature e pessimo carattere.

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bLdeB runner L storia Una città in notturno, i grattacieli come macchie scure perforati da miriadi di luci crepuscolari. Improvvise vampate che si alzano con aliena normalità ed esplodono nel cielo nero. Questa è Los Angeles, vista in un futuro più o meno prossimo attraverso gli occhi di RIDLEY SCOTT, immersa nel buio, nel fumo e nella pioggia. Così si apre Blade Runner, film ormai divenuto un cult-movie per gli appassionati del genere noir-fantascientifico, attraverso l’immediato scenario di un futuro distopico molto più simile ad un inferno che alla “Città degli Angeli”. La storia è nota: Rick Deckard (un tormentato HARRISON FORD) è un ex poliziotto del L.A.P.D. (Los Angeles Police Department) richiamato forzatamente in servizio quando un gruppo di sofisticati androidi Nexus 6 fugge dalle colonie Extra-Mondo e torna clandestinamente sulla Terra. Quello che essi cercano è il loro costruttore, “colpevole” di averli dotati di un aspetto umano e capacità fisiche superiori, ma

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di una vita molto breve. La caccia di Deckard sarà violenta e serrata, resa più complessa dalla presenza di Rachael, un particolarissimo tipo sperimentale di replicante, femminile quanto e forse più di una donna autentica. Non senza fatica e sofferenza, i Nexus 6 saranno “ ritirati” uno dopo l’altro (ma si potrebbe anche dire “terminati”) fino allo scontro finale tra il poliziotto e l’elemento alfa del gruppo, l’angelico demone Roy Batty. Ma c’e da chiedersi chi sia a questo punto il vero vincitore: il poliziotto ferito e nauseato dal suo compito, che deciderà di fuggire con Rachael verso un futuro quantomeno diverso, o il replicante, che prima gioca con la vittima come il gatto col topo, ma poi, sentendo arrivare il momento della sua fine “naturale”, decide di risparmiargli la vita? l’ambientazione “Blade runner” significa “colui che corre sul filo del rasoio”, ma questa definizione assume nel film vari livelli di significato. Indica inizialmente il poliziotto di una squadra speciale, ma poi “il filo del rasoio” si rivela essere ben altro: una sottile linea di confine che lentamente si disgrega, aprendo il passaggio dall’apparenza alla dimensione, più oscura, di una realtà parallela che preme per venire alla luce. Non a caso si ripetono durante tutto il film, gli accenni simbolici all’occhio e allo sguardo, come l’iride azzurra che compare due volte nella prima sequenza, (un riferimento trasversale al finale di 2001 di KUBRIK?), i primi

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piani dei protagonisti, lo stesso test Voigt-Kampff utilizzato per identificare gli androidi attraverso sottili alterazioni della retina, e Chew, il personaggio “creatore di occhi”. Nonché il modo in cui avviene la cruenta uccisione, da parte di Roy, dell’odiato/amato padre-creatore. E il colore degli occhi, le improvvise sfumature arancione che appaiono a tratti nelle iridi dei replicanti, zoomorfi o antropomorfi che siano. Completamente artificiale è la luce che viene mostrata nel film: che sia l’interno fumoso e azzurrino in cui si svolge la scena iniziale, o il lampeggiare martellante dei neon pubblicitari nello spazio affollato lungo e sopra le strade, in questa città del futuro perforata ovunque da bagliori artificiali, sembra non esistere più nulla che si possa definire “naturale”. Solo ai vertici, nelle “stanze dei bottoni”, è possibile vedere ancora la luce del sole. Neppure i protagonisti si salvano da quest’aura di equivoca ambiguità, come l’enigmatica figura di Gaff, l’aspirante “blade runner” che sembra sapere e dire tutto attraverso i suoi allusivi origami; o lo stesso Deckard che scopre in sé emozioni fino a poco prima impensabili verso quelli che sono cinicamente definiti “lavori in pelle”. E tanto meno la città stessa, una megalopoli alienante e multietnica che affianca alla sua sviluppata tecnologia un senso di decadente banlieue. La Los Angeles del 2019 si mostra attraverso una rappresentazione verticale dello spazio, con ambienti di pieno e vuoto in netto contrasto tra loro: gli interni volutamente barocchi di immensi edifici in rovina, e gli esterni sovraffollati dal sottosuolo al cielo. Nel fondo, ai piedi dei grattacieli, le strade sono infestate da una caotica e noncurante umanità che parla il city lingo (uno slang degno dello “Sprawl” di GIBSON) e fa uso

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Pagina a sinistra, in basso: Deckard nelle strade di una Los Angles del futuro. Sopra, in senso orario: 1) notturno dalla aeronavetta, in atterraggio presso il Dipartimento di Polizia; 2) Bryant nel suo ufficio attende Deckard prelevato da Gaff (3). Sotto: Pris va a intercettare Sebastian.

di congegni a microchip su bancarelle da mercato medievale. Le aeronavette della polizia solcano l’aria sopra i vicoli e tra le cime di palazzi a mille piani, mentre robo-mostri pubblicitari e cartelloni di geishe-girls lanciano tra la più assoluta indifferenza dei passanti i loro metodici messaggi in un perfetto, rassicurante english. E sopra tutto questo domina la piramide-ziggurat della Tyrell Corporation, la reggia linda e asettica del Potere, dove si crea il business: “More human than human” è il motto della fabbrica di replicanti. Una tecnologia Oltre l’Umano, quindi, oltre qualsiasi confine che l’uomo stesso possa immaginare. Non siamo ancora in uno scenario completa-

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mente post-apocalittico, ma tutto ci avverte che, con un po’ di pazienza, ci arriveremo: si può dire, riecheggiando il tema iniziale, che questo film possiede The Look, un collegamento evocativo immediato che mescola il quotidiano con l’alieno, il reale con ciò che in futuro potrà essere il probabilmente possibile. Il film e i personaggi Chiudendo gli occhi sulle scene dark-futuristiche dei titoli di testa, lo spettatore potrebbe pen-

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sare ad un film tratto da uno dei noir di DASHIELL HAMMETT o RAYMOND CHANDLER: Rick Dekard è, almeno esteriormente, molto simile a Sam Spade o al Philip Marlowe cinematografico, e l’abbigliamento di Rachael è quello della femme fatale degli anni quaranta. L’ufficio di Bryant, il poliziotto capo in maniche di camicia, richiama immediatamente decine di altri scenari simili in cui il detective hard boiled si scontra con l’ordine costituito. Il climax potrebbe essere quello del giallo tradizionale appena in bilico verso un prossimo futuro, se non fosse per alcuni sconcertanti dettagli che si sovrappongono alla prima, illusoria impressione. Più che a cliché di personaggi già ampiamente visitati, siamo davanti ad una galleria di allusioni verso un certo tipo di cinema dal quale Blade Runner contemporaneamente trae le sue origini e le rinnega, inserendo continui elementi di contrasto: all’impermeabile classico di Deckard si affianca il pittoresco abbigliamento da guappo di Gaff, e in quello che potrebbe essere uno dei quartieriformicaio di Chinatown, corrono struzzi sintetici e staziona un’avveniristica aeronavetta spaziale. Citazioni, quindi, che popolano il film con il loro simbolismo e che rendono ancora più stridente la comparsa della controparte aliena, il nemico da combattere, il nuovo ribelle che minaccia l’umanità: il Replicante.

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Leon, Zhora, Pris e Roy sono replicanti, appunto. Tuttavia pensano, dunque sono, come dice una seducente Pris allo sconcertato Sebastian, il servo-collaboratore del capo supremo Tyrell. E si ribellano al potere che li sfrutta, uccidono, fuggono, ma soprattutto lottano per prolungare la loro esistenza, qualsiasi essa sia. Questi sofisticati congegni bio-tecnologici sono talmente perfetti da travalicare le intenzioni dei loro ideatori, sviluppando una capacità auto-cosciente prettamente “umana”: grave difetto, questo, neutralizzato da una vita “a tempo definito” di soli quattro anni. I Nexus 6 sono intelligenti almeno quanto i loro creatori e fisicamente superiori agli umani, che vengono presentati in certo qual modo “deteriorati”: Sebastian è affetto da senilità precoce, Gaff zoppica sul suo bastone, Tyrell sfoggia un paio di mostruosi occhiali, Deckard stesso presenta una condizione psicologica disillusa e senza più ideali. Questo contrasto è uno dei tanti elementi che introducono l’interrogativo di fondo del film, su

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Pagina a sinistra, dall’alto: 1) inizia la caccia: Deckard alla Tyrell Corporation; 2) il primo interrogatorio nelle strade della “Città degli Angeli”; 3) l’incontro-scontro con Leon, dopo la morte di Zhora. Sopra: 1) Rachael spara a Leon per salvare Deckard, poi segue il “blade runner” a casa sua; Sotto: tra i due nasce un sentimento.

quale sia, in effetti, il confine tra l’essere umani e il non esserlo. O meglio su cosa sia, tutto sommato, preferibile. E i replicanti, in qualche modo, ci appaiono i più giustificabili nelle loro azioni e reazioni: in fin dei conti, quello che vogliono è Vivere, a qualsiasi costo, ma vivere. A differenza del messaggio presente in D.A.D.O.E.S. di DICK (da cui il film è stato tratto), qui gli androidi non rappresentano più il pericolo oscuro che si nasconde sotto il velo labile della realtà percepibile, ma diventano vittime di un disumano artefice: fac-simili perfetti di un’entità per sua natura imperfetta,

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vagano in una specie di limbo animati da quella minima soglia di autocoscienza che permette loro di capire la labilità della propria condizione, e di averne paura. versione director’s cut “Director’s cut” è la versione del film uscita nel 1992, dieci anni dopo quella indicata come “Production cut”. Nella sua veste del 1982, il film non ha avuto un grosso successo di pubblico, ma si è creato un contorno di appassionati estimatori

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per la diversità rispetto ai modelli fantascientifici tradizionali e per l’anticipazione di un certo genere “di rottura”, che poco dopo sarà indicato come cyberpunk. Comunque, che il “Director’s cut” sia la versione originale voluta dal regista, poi modificata per esigenze commerciali dalla produzione, o che rappresenti un escamotage della produzione per rinverdire un film dal successo non eclatante, forse non ha molta importanza. In ogni caso le differenze non sono moltissime, ma estremamente indicative: sparisce la voce fuori campo, quella del protagonista che narra la vicenda; sparisce l’happy-end hollywoodiano, in cui Deckard e Rachael si allontanano nei verdi prati della speranza; viene inserita la “scena dell’unicorno”, elemento inquietante che associato all’ultimo origami di Gaff dimostrerebbe la natura di replicante di Deckard: se l’ambiguo aiutante di Bryant conosce i sogni del “blade runner”, allora significa che sono impiantati artificialmente come quelli di Rachael. Il risultato è un effetto, se possibile, ancora più noir, e maggiormente fedele di sicuro al concetto di realtà “in toto” presente in D.A.D.O.E.S.: meno consolatoria ma di sicuro più rivelatrice, anche se una certa generazione di spettatori considera inesorabilmente la versione del 1982 come quella “vera”. Molto si è detto sulla congruenza Deckard =

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bLde runner replicante, sintomo questo dell’interesse suscitato dal film al di là di una diatriba che gli estranei al settore potrebbero definire inutile e oziosa. Lo stesso Scott è ambiguo su questo, ma l’impressione che soddisfa maggiormente dopo la visione di Blade Runner Director’s Cut è che sia Giusto che il protagonista sia un replicante: al di là di ogni logica probabilmente, ma anche supportato da un certo tipo di logica che la pellicola del ’92 propone. Forse proprio un cyborg può essere il miglior cacciatore dei suoi simili. cyberpunk o cyborg-punk? Il termine cyberpunk compare per la prima volta nel 1980 come titolo di una short-story di BRUCE BETHKE che parla di hacker e punk, della Pagina a sinistra, dall’alto: commistione tra high-tech e ribellione al sistema. 1) la caccia va incontro al suo epilogo; 2-3) SebaAltra cosa è il genere cyberpunk, che vede la luce stian è ormai intrappolato nella rete di Pris e Roy. ufficialmente pochi anni dopo, con autori quali Sopra: 1-2) La civetta-cyborg assiste all’incontro WILLIAM GIBSON, BRUCE STERLING, JOHN SHIRLEY tra Roy e il suo “creatore” Tyrell, e all’esecuzione di ed altri. Se punk significa controcultura nichiliquest’ultimo; sta di ribellione al sistema e cyber si riferisce a sotto: Deckard alla ricerca di Pris, tra i giocattoli di tutto ciò che viene prodotto da sofisticate tecnoSebastian. logie informatiche, il risultato non è necessariamente uguale alla somma di questi due termini, necessariamente li supera. Ridley Scott presenta la prima versione del ma un’idea generale che, per definizione stessa di Bruce Sterling, “non ha pazienza con i confini” e suo film due anni prima dell’uscita di Neuroman-

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cer, segno che qualcosa di nuovo stava ribollendo sotto la superficie della Sci-Fi tradizionale e cercava la sue espressioni per venire alla luce. Gibson stesso specifica che il cyberpunk “è una tendenza letteraria, non propriamente un movimento”. Piuttosto un sottogenere quindi, in cui tuttavia le tematiche caratterizzanti emergono con violenza inequivocabile: tecnologia e degrado, fusione della materia vivente con l’inanimato, invasione di un nuovo multiverso, quello della rete. Sulle caratteristiche cyberpunk di Blade Runner si è parlato molto: se anche il film non costituisce

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un esempio puro di questa tendenza che negli anni ottanta ha sconvolto la fantascienza classica, di sicuro ne rappresenta molti degli aspetti di fondo, centrandone il particolare substrato culturale che le è caratteristico. Il film presenta l’ambientazione degradata e minacciosamente possibile tipica del c-world, in cui una realtà quotidiana che potrebbe essere la nostra viene impiantata in un futuro postmoderno. La tecnologia ha sostituito i sistemi ambientali, provocando ciò che il critico TAMA LEAVER chiama “ecocidio”. Se in Blade Runner abbiamo gufi e serpenti artificiali, Gibson in Neuromancer rivela con indifferenza la totale estinzione di forme animali e vegetali. Se la Los Angles del 2019 appare perennemente immersa in una pioggia battente (sicuramente acida), il cowboy Case guarda le onde di plastica in un mare contaminato e morto. E questo è solo il contorno. Addentrandosi nelle tematiche del film, tra annunci paradisiaci sulle Colonie Extra-Mondo che trovano il loro eco per-

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bLde runner Pagina a sinistra, in alto: 1-2-3) Roy e Pris, l’ultimo saluto. Pagina a sinistra in basso, e in questa pagina a destra: 1-2) l’ultima caccia, preda e predatore si scambiano i ruoli; sotto: 1) Roy lotta con Deckard ma all’ultimo momento lo risparmia; 2) l’origami dell’unicorno, lasciato da Gaff a casa di Deckard.

fetto in Gibson con “Freeside, perché aspettare?”, spunta la minaccia del crimine organizzato in tentacolari multinazionali. Alla Yakuza che domina sulle tecno-city cyberpunk (il BAMA), si affianca la Tyrell Corporation, subdola zaibatsu post-moderna di Scott. Ma soprattutto emerge con forza il nuovo rapporto organico con la tecnologia che consente di superare i limiti posti dal corpo umano. In Blade Runner questo si concretizza attraverso la creazione del cyborg, che tuttavia fa paura; nella letteratura cyberpunk si va oltre: la fuga dalla “prigione della carne” attraverso il volo nell’infinito del cyberspazio è l’unica vera liberazione. E proprio questo aspetto costituisce la caratteristica che rende il film di Scott piuttosto un precursore del cyberpunk che una sua espressione compiuta. La guerra privata del “blade runner” si combatte ancora nelle strade, quella del cowboy informatico nella Matrice, il far-west virtuale dove le battaglie sono virtualmente ma estremamente reali. Entrambi questi prototipi di personaggi si collocano ai margini della società, entrambi lottano (più che altro per se stessi) contro un sistema criminale istituzionalizzato o quantomeno guasto, ma il primo ha davanti i replicanti, il secondo tutti i possibili costrutti creati dalla rete. In Blade Runner il cyborg è il diverso, l’alieno. In Gibson, Sterling e tutti gli autori Mirrorshades, la quotidianità dell’uomo prevede già innesti metallici e impianti neurali al di fuori della genetica standard: il normale è cyber e l’alieno è un’AI divenuta autocosciente. Con il film di Scott siamo ancora al cyborg, sicuramente diverso da quello di Terminator, ma comunque cyborg (e così vicino ai Syn di RAYMOND JONES), anche se la pellicola ha

già fatto del c-world il suo ambiente naturale. Si tratta, in conclusione, di un’opera cinematografica che ha sempre diviso la critica e l’opinione pubblica dei suoi spettatori per gli interrogativi che suscita, per le scene simboliche che si prestano a più angolature di lettura, per i sentimenti contrastanti suscitati dai suoi protagonisti. E le domande che pone restano senza una risposta definitiva, probabilmente perché la soluzione all’interrogativo “qual è il confine dell’essere umani?” è ancora al di fuori della nostra portata. In ogni caso, è un film che di sicuro va visto almeno tre volte: la prima per goderselo, la seconda per capirlo e la terza per recuperare quello che ci si è perso.

* CRISTINA “ANJIIN” RISTORI

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RICK DECKARD (Harrison Ford): il “Blade Runner, il cacciatore di androidi.

ROY BATTY (Rutger Hauer): capo indiscusso dei replicanti.

RACHAEL (Sean Young): replicante sperimentale, “more woman than woman”.

PRIS (Daryl Hannah): replicante da “intrattenimento”, è la compagna di Roy.

ZHORA (Joanna Cassidy): replicante combattente, lavora in un locale, con un pitone!

LEON KOWALSKI (Brion James): il primo replicante individuato, viene ucciso da Rachael.

BRYANT (M. Emmet Walsh): capo del L.A.P.D. che richiama Deckard in servizio.

GAFF (Edward James Olmos) enigmatico aiuto-blade runner, controlla Deckard.

J.F. SEBASTIAN (William Sanderson): impiegato della Tyrell Corp. sfruttato dai Nexus 6.

HOLDEN (Morgan Paull): il blade runner che smaschera Leon con il test Voigt-Kampf.

ELDON TYRELL (Joe Turkel): presidente della fabbrica di Androidi.

HANNIBAL CHEW (James Hong): il fabbricante di occhi, la prima vittima di Roy.

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bLde runner Scheda Tecnica Tit. originale: Anno: Durata: Paese: Produzione: Regia: Da un racconto di: Sceneggiatura:

BLADE RUNNER 1982 112 minuti USA Michael Deeley Ridley Scott

Philip K. Dick Hampton Fancher, David Webb Peoples Fotografia: Jordan Cronenweth Musiche: Vangelis

Montaggio: Les Healey (director’s cut), Marsha Nakashima, Terry Rawlings Scenografia: Lawrence G. Paull, Peter J. Hampton Costumi: Michael Kaplan, Charles Knode, Jean Giraud Effetti visivi: Douglas Trumbull Premi: 2 nomination OSCAR 1983, Best Art Direction-Set Decoration (Lawrence G. Paull, David L. Snyder, Linda DeScenna), Best Effects, Visual Effects (Douglas Trumbull, Richard Yuricich David Dryer); 1 nomination SATURN AWARD 1994 (Director’s cut), Best Genre Video Release; 4 nomination SATURN AWARD 1983, Best Director (Ridley Scott ), Best Science Fiction Film, Best Special Effects (Douglas Trumbull Richard Yuricich), Best Supporting Actor (Rutger Hauer); 1 nomination GOLDEN GLOBE 1983, Best Original Score - Motion Picture (Vangelis); vincitore HUGO AWARD 1983, Best Dramatic Presentation.

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RIDLEY SCOTT FILMOGRAFIA: All the Invisible Children (2005), Kingdom of Heaven (2005), Matchstick Men (2003), Black Hawk Down (2001), Hannibal (2001), Gladiator (2000), G.I. Jane (1997), White Squall (1996), 1492: Conquest of Paradise (1992), Thelma & Louise (1991), Black Rain (1989), Someone to Watch Over Me (1987), Legend (1985), Blade Runner (1982), Alien (1979), The Duellists (1977).

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QUALCUNO DICE CHE IL CYBERPUNK È MORTO N

avigando in rete, oramai un po’ di tempo addietro, ho trovato il sito di Librinuovi. Scartabellando qua e là ho scaricato un documento che ha attirato la mia attenzione, mi incuriosiva: Cyberpunk ne “Gli speciali on line”. Prima di iniziare a parlare di questo argomento, e di questo testo in particolare, voglio fare una premessa: a me piace il cyberpunk; e quindi scrivo questa forma di libero pensiero, non per difendere tutto il genere in questione, ma per difenderne le fondamenta e le colonne portan-

ti dalle critiche pesanti che gli aggiunge un pizzico di fascino vengono mosse dagli autori del estetico a tutte quelle già date documento. è quella attributa (sempre negli anni ‘80) agli scrittori del genere, nnanzi tutto credo sia op- che vengono definiti dei mirrorportuno spiegare cos’è il cy- shades (letteralmente: occhiali a berpunk. Il termine vero e pro- specchio), in quanto il loro modo prio sembra nasca nel 1986 da di scrivere non fa trapelare quali GARDNER DOZOIS, il curatore della sono i loro reali sentimenti: essi “Isaac Asimov’s Science Fiction rappresentano l’imperscrutabiMagazine”. La “De Agostini” lità, ma soprattutto riflettono la nel vocabolario on-line del suo realtà (od il futuro) delle cose, sito (http://www.sapere.it/) lo esattamente come gli occhiali a definisce: “moderna tenden- specchio, che tra l’altro sono un za di cultura alternativa fanta- oggetto ricorrente nei racconti. scientifica che, raccogliendo in parte la carica protestataria del assando al documento summovimento punk, la tramenzionato: nel primo casferisce sul piano della pitolo, “Morte e trasfigurazione realtà virtuale parallela del cyberpunk”, MELANIA GATTO creata dalle reti telema- (colei che ha curato l’opera e tiche”. Il genere inoltre che pare evidentemente avversa deriva direttamente dalla all’argomento senza, secondo “New Wave” britannica me, averlo approfondito più di che ne ha influenzato no- tanto) parte in quarta per un attevolmente lo sviluppo tacco frontale. Descrive il cyber(come da diretta ammis- punk (CP come lo definisce lei) sione di W. GIBSON e di B. “...una cometa che ha transitato STERLING, due degli autori nel cielo della narrativa di spepiù famosi che hanno fat- culazione [...] Ancora per molto to di questo genere la loro tempo navigheremo tra i suoi luicona). minosi detriti”. Una definizione che Qui inizio in realtà il mio

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pensiero... Tanto per cominciare, se i detriti sono luminosi, forse così cometa o facente parte dell’universo speculativo non é... altrimenti i frammenti si sarebbero già spenti al passare della moda. Un’altra osservazione iniziale: una meteora scompare in pochi istanti... dal Blade Runner di RIDLEY SCOTT (che effettivamente non è un film cyberpunk in quanto tratto da un racconto di P.K. DICK definito fantascientifico, ma le sue atmosfere cupe,

la sua collocazione nel neo-realismo ed il fatto che parla di corporazioni che per il profitto giocano sulla vita di “creature viventi”, lo fanno rientrare a pieno titolo nel genere cyberpunk), al primo Matrix (inteso come il primo dei tre film della serie cinematografica) amato in tutto il mondo sono passati 17 anni. Qualcosa di più di pochi attimi. Io ho inoltre il vizio di ritenere speculativo un qualcosa che nasce, cresce e muore seguendo gli andamenti di un mercato voglioso di danaro facile. In questo non riesco a capire come possa un prodotto che detiene una piccola nicchia di mercato – basta passare per una qualsiasi libreria o biblioteca per capire che il genere cyberpunk detiene una percentuale infinitesimale dello spazio complessivo – essere considerato speculativo. Se si vuole parlare di speculazione nel campo dell’editoria si devono ricercare altri soggetti; a mio avviso vi è molta più speculazione su nomi come Crichton, Grisham o Clancy che fanno uscire un numero spropositato di libri e che da soli occupano lo stesso spazio

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dedicato alla fantascienza nelle librerie, o sulle sequele dei libri pubblicati da comici di vario genere e stampo, che non su nomi come Gibson o Sterling che pubblicano libri col contagocce.

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l genere cyberpunk nasce alla fine degli anni ‘70 - inizi anni ‘80, uno dei primi racconti, nato ancor prima della definizione del movimento stesso, è Frammenti di una rosa olografica di W. Gibson (1977, pubblicato in Italia nella raccolta di

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racconti La notte che bruciammo Chrome). Il racconto non accenna né al cyberspazio né ad hacker impazziti, è sicuramente legato all’evoluzione tecnologica, come già specifica il titolo, ma al contrario della fantascienza più tradizionale la vede in un futuro molto vicino. In questo scarto temporale si articola una delle due differenze tra cyberpunk e fantascienza: spesso la fantascienza è ambientata in un possibile futuro molto

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distante nel tempo, mentre il cyberpunk si sviluppa generalmente in un futuro prossimo. Il nome stesso, comunque, fa rientrare a pieno titolo questo filone sotto la fantascienza, vi compare infatti il prefisso cyber, che l’enciclopedia “De Agostani” definisce così: “Cyber-: (o ciber). Prefisso usato in termini composti di formazione moderna che indica attinenza con la cibernetica o con l’informatica.” Sempre la “De Agostini” a proposito della fantascienza classica riporta: “(dall’inglese science-fiction) genere narrativo che riflette ipotesi fantastiche o verosimili fondate su un certo tipo di predizioni scientifiche proiettate sull’avvenire del mondo. Vengono considerati precursori della fantascienza Cyrano de Bergerac, J. Swift, M. Shelley, E. Poe, ma la letteratura fantascientifica vera e propria nasce negli anni Venti. J. Verne, H. G. Wells ne sono i padri riconosciuti; ai loro modelli si rifanno la fantascienza di anticipazione tecnologica e la fantascienza avventurosa (il filone più tradizionale e più co-

nosciuto è quello delle astronavi e dei mostri extraterrestri). Negli ultimi decenni il dominio della fantascienza si è esteso, sviluppando nuove tendenze (fantascienza sociologica, fantapolitica ecc.). I generi tradizionali si sono rinnovati: anche la tipica avventura spaziale tende a complicarsi di risvolti inizialmente assenti, come dimostrano le parabole esemplari di E. Hamilton e J. Williamson. Esistono due filoni principali: il più conosciuto e imitato è quello anglosassone,

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specialmente americano, diffuso in tutta Europa (I. Asimov, R. Bradbury, R. Sheckley, C. D. Simak, A. E. Van Vogt), e quello sovietico, meno conosciuto ma estremamente interessante, il cui scrittore più noto in Italia è I. A. Efremov”. Viene precisato che “...i generi tradizionali si sono rinnovati...”, e pare evidente quindi l’introduzione sulla scena fantascientifica di altre correnti (tra cui appunto il cyberpunk). La seconda differenza è sen-

za ombra di dubbio lo stile di scrittura. La fantascienza più classica ha sempre usato toni abbastanza equilibrati, figlia del contesto culturale e sociale che l’ha vista nascere (ricordiamo che fino alla prima/seconda guerra mondiale l’Europa era quasi interamente di ispirazione monarchica), se lo scrittore fantascientifico doveva fare osservazioni e/o critiche alle istituzioni lo faceva in modo pacato o con metafore. Sta di fatto che la carica protestataria degli anni ‘60 sfocia a suo modo nella vita di tutti i giorni, forse nasce nella musica giovanile con il movimento punk, ma poi si trasferisce in altri settori della vita sociale... anche nella letteratura! Alla fine degli anni ‘70 vari scrittori tendono a rivedere la fantascienza, troppo lontana dal reale con le sue astronavi ed i suoi robot; narrando un futuro più vicino dove lo sviluppo tecnologico è quello previsto per i prossimi trent’anni o poco più, introducendo un sempre maggiore divario sociale tra ricchi e poveri, nel contesto di una col-

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lettività sottoposta allo stretto controllo di grandi aziende (che chiameranno corporazioni, un termine ripreso oggi nella vita reale)... Forse un sociologo potrebbe dire che spostano le problematiche della vita sociale in un possibile futuro prossimo. Questo riflette la trilogia dello “Sprawl” di W.Gibson (altro commento negativo all’opera di Melania Gatto è che considera certi libri fini a se stessi, mentre fanno parte di una saga o di una visione più allargata e comune):

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un mondo cupo, dove l’essere umano è una semplice marionetta sfruttata nelle mani di aziende gigantesche. Da questo punto di partenza il cyberpunk si allarga, diventa un universo senza confini definiti... ma con due elementi comuni a quasi tutti i suoi autori: il primo è come detto sopra il linguaggio di protesta, il secondo è il cosiddetto cyberspazio. Il cyberspazio è la rete telematica, una specie di mondo nel mondo. Da qui nasce la filosofia

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degli hacker, pirati che riescono ad introdursi nel flusso di informazioni che viaggiano da un punto all’altro del globo. Anche questa ambientazione è una visione futuristica, si deve infatti ricordare che già nel 1981 venivano pubblicati racconti dove il protagonista riusciva a collegare il proprio cervello al cyberspazio come noi oggi colleghiamo il computer ad internet, oppure dove lo stesso protagonista poteva diventare un contrabbandiere o correre di informazioni... inserendole nel cervello, come noi carichiamo un floppy disk nel pc (il primo riferimento è a La notte che bruciammo Chrome, il secondo a Jonny mnemonico – da cui è stato tratto l’omonimo film alla fine degli anni ‘90, interpretato da K. Reeves – entrambi di W. Gibson). In molti di questi racconti o romanzi, in cui è citato il cyerspazio, gli scrittori definiscono la rete telematica anche con il nome di “matrice”; anzi nel libro Giù nel cyberspazio di W. Gibson la parola matrice è usata più spesso del suo sinonimo cyberspazio e soprattutto inserita nei momenti più topici.

Il termine diverrà poi nel 1999 il titolo di un film: Matrix.

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iassumendo, possiamo distinguere questi tre punti fis-

1) il cyberpunk è un’appendice della fantascienza, ma “cammina con le proprie gambe”; 2) il genere non è stato una bolla speculativa ma piuttosto una forma di protesta letteraria alla civiltà; 3) gli scrittori cyberpunk

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hanno creato un diverso punto di punk è contemporaneamente vivo e morto. Morto in quanto vista sulla fantascienza. è stato Bruce Sterling a sancire d ora siete pronti per una la fine del movimento letterario, negazione di quello che ho in un articolo apparso nel 1991 detto all’inizio?! Il cyberpunk è sul numero 48 della rivista inmorto! In questo Melania Gatto glese Interzone con il titolo “Il aveva una base di ragione, “Ma cyberpunk negli anni Novanta”. come! Ha appena detto che il Il motivo non è ben chiaro, forse cyberpunk è un ramo della fan- riteneva che le “previsioni” deltascienza che cammina con le la fine degli anni ‘70 prospettaproprie gambe ed ora sostiene te dai primi “cyberpunkiani” si che è morto?!” penserete voi! fossero avverate, forse credeva Diciamo che in realtà il cyber- che il movimento si fosse esaurito, chissà... Tuttavia, pur essendo “ufficialmente” morto, il cyberpunk gode di discreta salute, perché altri scrittori (anche di un certo rilievo) hanno continuato l’opera e scrivono romanzi e racconti seguendo lo stesso filone, lo stesso W. Gibson ha fatto uscire una serie di libri dopo l’articolo di Sterling (la seconda trilogia composta da Luce virtuale, Aidoru ed American acropolis, e preceduta dal racconto La stanza di Skinner). Il cyberpunk può ritenersi “ucciso” inoltre dallo scarso numerodi libri di genere pubblicati in Italia e reperibili nelle librerie, ma al tempo stesso rimane

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vivo perché fino a che anche un solo scontrino verrà battutto, e lettori e scrittori ne leggeranno e scriveranno, non lo si potrà considerare morto.

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n ultimo appunto lo devo fare a Melania Gatto... A pagina 38 (secondo l’indice) o a pagina 40 (secondo la numerazione delle pagine del suo documento) titola: “Fuori tempo massimo: lo steampunk”. Lo Steampunk nasce da un libro nemmeno recensito dalla

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Gatto: La macchina della realtà di Bruce Sterling, che esce nel 1990, solo pochi mesi prima che lo stesso Sterling dichiarasse la morte del cyberpunk... che non sia un caso? Del genere non ho trovato definizioni sulle enciclopedie, e quindi lo devo descrivere con parole mie: “Il punk a vapore (traduzione letteraria) è ambientato in un’epoca vittoriana mai vista nella realtà. La tecnologia è molto più avanzata rispetto al periodo storico descritto, alcu-

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ne invenzioni paiono giungere direttamente dalla fantascienza mentre molte macchine si muovono ancora col vapore, il clima della ribellione punk si ritrova nelle parole di chi scrive, mentre si possono intravedere sullo sfondo importanti personaggi storici”. Il genere non è quindi una sottospecie del cyberpunk, anche se proviene dagli stessi autori, ma è più facilmente un genere affiancato, lo si potrebbe definire un fratello minore. Lo steampunk è però stato un piccolo fallimento; già sacrificato nelle librerie era il cyberpunk, poco spazio rimaneva quindi per lo steampunk (e per altri rami della fantascienza poco commercializzati). Quindi più che fuori tempo massimo io mi permetterei di dire che il genere è andato fuori spazio massimo, fuori cioè dallo spazio che le librerie possono dedicare alla fantascienza.

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el finire voglio dire che non contesto né le idee né i gusti di chi non ama il cyberpunk, o che proprio lo disprezza (i gusti sono sempre personali). Ho scritto queste pagine per due

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motivi: difendere un genere che a mio avviso è stato attaccato in maniera troppo vistosa e crudele, nonché inutile, senza peraltro essere degnamente spiegato; e per spiegarlo appunto a tutti quelli che non lo conoscono.

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n ultimo vi lascio un breve elenco di libri e film (nel caso qualcuno, non volendosi lanciare nella lettura, abbia comunque interesse a capirne di più) che a mio sindacabile avviso rientrano appieno nel genere cyberpunk:

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LIBRI Storia del romanzo di fantascienza libro di saggistica che spiega degnamente la fantascienza e suggerisce un centinaio di libri per la lettura, a cura di Giovannini e Minicangeli; la trilogia dello Sprawl di W. Gibson (inizia con il racconto Johnny mnemonico e segue con i libri Neuromante, Giù nel cyberspazio, Monna Lisa Cyberpunk);

La notte che bruciammo Chrome di W. Gibson (contiene tra gli altri Jonny mnemonico, Frammenti di una rosa olografica, New Rose Hotel); le raccolte L’universo Cyber 1, L’universo Cyber 2, L’universo Cyber 3, edite dalla Editrice Nord (all’interno del primo numero è contenuta La stanza di Skinner di W. Gibson); Snow Crash di Neal Stephenson; Cavalieri elettrici raccolta di racconti; Mind Players di Pat Cardigan; La matrice spezzata di Bruce Sterling; Blade Runner 2 di Rudy Rucker; FILM Nirvana di Salvatores, l’ho messo al primo posto perché a mio avviso è uno dei film che meglio interpreta (nella visione cyberpunk) la discesa nel cyberspazio e gli impianti cybernetici applicati agli uomini;

Matrix; Blade Runner; Robocop, Robocop 2; Johnny Mnemonic (tratto dal racconto Johnny mnemonico di W. Gibson); New Rose Hotel (tratto dal racconto New Rose Hotel di W. Gibson); Detective Stone.

* ENRICO GRADELLINI

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Risposta all’articolo: QUALCUNO DICE CHE IL CYBERPUNK È MORTO M

i scuso per l’intrusione, ma approfitto della disponibilità dei gestori del sito www.pennadoca.net per provare a fornire qualche breve spiegazione e chiarimento in merito all’articolo Qualcuno dice che il cyberpunk è morto, comparso nello spazio battezzato “Curiosità”. Nell’articolo veniva presentato e commentato lo speciale sul Cyberpunk da me curato (Morte e trasfigurazione del Cyberpunk) e apparso nel sito della rivista LN - LibriNuovi (www.arpanet.it/cs) Le accuse a mio carico, si possono così schematicamente riassumere:

va del mio amore per il genere è la raccolta di recensioni e interventi che la rivista ha pubblicato in rete. Sarei davvero un tipo curioso se dedicassi una quarantina di pagine e una trentina di recensioni solo per dichiarare ostilità a un genere letterario. Una scrollata di spalle e il silenzio sarebbero sufficienti. - Che il cyberpunk sia stato una meteora, perlomeno secondo il metro dei movimenti letterari e culturali, è innegabile. Feconda, potente, brillante, questo sì, ma (ahimé) anche breve. Sicuramente tale nella coscienza che i suoi fondatori e autori avevano del fenomeno. A decretar1) di detestare e disprezzare il cyberpunk; ne la morte, infatti, è stato proprio uno dei suoi 2) di avere affermato che il cyberpunk è stato padri, BRUCE STERLING. Che poi, come è accaduto una “cometa” che ha “transitato nel cielo della spesso, tra la morte dichiarata e la morte effettiva possano passare decenni è un fenomeno tipico narrativa di speculazione”; dell’universo culturale e letterario. Come cerco di 3) di avere affermato che il cyberpunk è morto, definitivamente morto, irreversibilmente spiegare nel mio testo, sono convinta che il cyberpunk sia sopravvissuto “trasfigurandosi”, dimorto; 4) di non aver messo sufficientemente in evivenendo un elemento ormai irrinunciabile per chi denza i legami tra romanzi apparsi in tempi voglia abbozzare una riflessione in forma narratidiversi in Italia. va sulla realtà che ci circonda. In quanto all’uso dell’aggettivo “speculativo”, l’ho inteso e impieA scriverle così, una dietro l’altra viene da gato nella sua accezione letteraria di “narrativa chiedersi come mai l’autore dell’articolo mi ab- speculativa”, ovvero che “specula”. Una narrativa bia risparmiato l’invio dei suoi padrini. C’è di che che riflette, elabora, investiga, studia, ricerca (digiustiziarmi sul posto, senza aspettare l’alba... zionario Garzanti della lingua italiana), categoria Ma visto che mi è stato dato lo spazio per una alla quale si possono ricondurre il romanzo di difesa, non perdo tempo. fantascienza (speculazione scientifica), di specu- Non detesto né disprezzo il cyberpunk. Anzi, lazione storica, filosofica, o teoretica. Nulla a che la ritengo una delle forme narrative più inno- vedere con la “speculazione” nel suo significato vative e interessanti comparse di recente. La pro- economico di “frode, sfruttamento, strozzinag-

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Immagini di città futuristiche tratte da: “Star Wars - L’attacco dei cloni”

gio” (ibidem). Sono convinta che il seguito della lettura del mio lavoro avrebbe potuto dissipare ogni dubbio in proposito, ma, evidentemente, non è stato così. - A questa accusa ho già parzialmente risposto in precedenza. Aggiungo soltanto che una “morte definitiva” di un genere o di una forma artistica non si è praticamente mai vista. L’arte – qualsiasi arte – procede per accumulazione, per aggiunta e modifica. - È vero, lo ammetto. A mia discolpa posso solo fare presente che lo “speciale Cyberpunk” apparso sul sito di LN - LibriNuovi è stato ottenuto “cucendo” interventi e recensioni comparsi in una decina di numeri della rivista. Uno specialepatchwork che non pretende di essere una trattazione definitiva e completa del genere, soltanto un “invito” a leggerne ed apprezzarlo. - Non c’era un’accusa 5? Non è vero. Non chiaramente espressa, ma c’era. E io vorrei rispondere anche a questa. È normale, quando si vuole perorare una causa, cercare nei dintorni un antagonista. Se, purtroppo, gli antagonisti latitano (in Italia si è parlato poco di cyberpunk e gli interventi “teorici” sono scarsi o poco sistematici) può andare bene quasi qualunque cosa. Io sono stata, per l’autore dell’articolo comparso su www. pennadoca.net il qualcosa che mancava, l’occasione di testimoniare tutto il suo amore per il cyberpunk. Credo che l’accusa numero 5 non sia da rivolgere a me ma al mondo letterario italiano che ha dimostrato e dimostra così scarsa attenzione per le letterature di genere. E, in questo caso,

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Luis Royo Black Scorpion and the Raiders of the Doom

non posso che associarmi e chiedere: “perché così poca attenzione per un genere letterario tanto ricco, fecondo e vivo?”. Ringrazio vivamente per lo spazio concessomi. I migliori saluti a tutti i lettori .

MELANIA GATTO

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Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto.

C U L T U R A William Gibson - Neuromante

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RIVOLUZIO NE D EI 100 A N N I Uno sguardo nel passato, non per avere le risposte ai quesiti di oggi, ma per tentare di conoscere le domande di domani.

ETIMOLOGIA

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orreva l’anno 1980 e BRUCE BETHKE era impegnato nel trovare un titolo adatto al suo nuovo racconto: un gruppo di ragazzini dediti a compiere atti vandalici con i loro computer portatili sarebbero divenuti i rappresentanti della nuova generazione che parlava il linguaggio del computer. Mescolando una serie di radici fino a trovare una parola composta che suonasse bene, Bethke volle coniare così un nome per identificare quella nuova generazione che andava formandosi in quegli anni. Era nata la parola cyberpunk. Anche se Bethke si attribuisce la paternità del termine, viene lasciato a GIBSON il merito di aver scritto con Neuromante l’espressione massima del movimento letterario. Non a caso Gibson, insieme ai suoi compagni del movimento, verranno ribattezzati neuromantici. Appassionati di fantascienza e con il pallino della letteratura, iniziarono a scrivere racconti sul genere, scambiandosi opinioni sulle loro opere. Nomi come WILLIAM GIBSON appunto, ma anche JAMES PATRICK KELLY, CONNIE WILLIS, JOHN KESSEL, KIM STANLEY ROBINSON, sarebbero diventati i pionieri della nuova fantascienza. Nei loro scritti nasceva la nuova linfa vitale di un genere che oramai veniva considerato “morto” perché privo di novità. Il movimento letterario “Radical Hard Science Fiction” che fondarono, fu la dimostrazione che nei loro scritti non c’era solamente un aspetto ludo-romanzesco. Il movimento dimostrò tutta la propria orginalità nella pubblicazione dei primi manifesti e proclami, gettando le basi di un nuovo filone : il cyberpunk appunto.

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SOLO LIBRI

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l cyberpunk non è solamente letteratura, ma rappresenta il frutto di 50 anni di storia. Proviamo a ripercorrerne le tappe. È il 1964 e dalle pagine della rivista di fantascienza New Worlds, diretta da MICHAEL MOORCOCK (l’autore del filone fantasy Elric di Melnibonè), nasce la New Wave. La Nuova Onda si pone in rottura con la fantascienza tradizionale, abituata a distanziare di anni luce il progresso tecnologico reale. La nuova tendenza segue di pari passo le scoperte e la società del momento. Si comincia così a parlare di argomenti tabù come sesso, imperialismo economico e culturale, incesto, ateismo. Sono tutte problematiche presenti nella società di quel tempo, in cui si punta ad esplorare i meandri della mente umana, sfruttando l’introspezione e la scienza della psicologia, introdotti da Freud 30 anni prima. Il “mare mosso” che ne viene fuori promette di spazzare via il mondo “normale”, quello dove gli adulti, i “grandi”, prendono le decisioni. Molti giovani fuggono da questo “sistema” seguendo la nuova corrente, ma senza sapere dove li stia portando. Il “moto ondoso” genera fra di loro smarCon una certa simpatica analogia, il termine cyberspace nasce come quello cyberpunk. Come Sterling, anche Gibson ammette di aver voluto coniare un termine d’effetto, che suonasse bene. No Maps for These Territories

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l’informazione e la conoscenrimento e depressione, che attraverso l’abuso di droghe peza non deve essere tenuta in Right! Now ha, ha, poche mani ma distribuita a santi porta ai suicidi. Questa I am an antichrist pioggia su tutti gli uomini. È necessità di alienarsi staccanI am an anarchist un messaggio rivoluzionario dosi dal mondo si diffonde, Don’t know what I want che investe l’intero globo. diventa “comune”, e trova il But I know how to get it L’olocausto, la fine del suo spunto nella contestazioI wanna destroy the passerby mondo, l’estinzione del gene delle regole imposte, non ‘Cause I wanna be Anarchy nere umano, un secondo “Big più riconosciute ed accettate. Bang” che distruggerà l’uniIl fenomeno ha una risonanza Sex Pistols verso, sono le nuove paure talmente ampia che nascono Anarchy In The U.K. dell’uomo moderno. Non si delle comunità autogestite, in (1977) cui le regole vengono detertratta di fantascienza, le testaminate dalla comunità stessa, te nucleari a Cuba, lo scudo piuttosto che imposte da un’élite ristretta che de- missilistico, sono reali. Il mondo può veramentiene il potere di legiferare. L’estremizzarsi della te scomparire in un istante. Il timore di una tercontestazione contro l’imposizione di regole por- za guerra mondiale nucleare è talmente forte che ta alla nascita dell’anarchia, che si pone in net- proietta le menti delle persone in un futuro apocata contrapposizione con l’assolutismo del potere littico dove la ragione dell’uomo lascia spazio al regresso della società, (ne sono alcuni esempi il istituzionale. Mentre arrivano gli anni ‘70, dopo aver vin- manga noto in Italia come Ken Il Guerriero, o la to la forza di gravità sbarcando sulla luna (1969) serie cinematografica di “Mad Max”) l’uomo vuole compiere un viaggio ancora più Ed improvvisamente arrivano gli anni ‘80. estremo: vuole oltrepassare le porte (The Doors) Mentre l’incidente di Chernobyl riporta alla mendella percezione, intraprendendo un Trip (viag- te spettri del passato come Hiroshima, Nagasaki gio) a braccetto con Lucy In Un Cielo di Diamanti e la Guerra Fredda, gli adolescenti degli anni ’60 (The Beatles - Lucy in the Sky with Diamonds: il diventano adulti. Dopo aver bighellonando per titolo della canzone richiama l’acronimo LSD). il paese, storditi dagli acidi e dal rock’n’roll, si È in questi anni che prende corpo la denun- svegliano con uno schiaffo in faccia, ritrovandosi cia contro una tecnologia al servizio del capitali- accanto robot, computer e razzi. È lo shock del smo, e contro il consumismo futuro, che rende l’uomo tecprofessato dai mass media. no-dipendente. Il Chaos Computer Club è Volantini, manifesti, riviste Il digitale rende il World uno storico gruppo di hacker di autoprodotte, trovano nella Wide Web la nuova dimenAmburgo. fotocopiatrice il loro mezzo sione da esplorare, sostituenSe conoscete il tedesco, podi diffusione per eccellendola a quella psichedelica tete fare una capatina sul loro za, ampliando il concetto di degli anni ‘60. Mentre la sito http://www.ccc.de/. “copia”: adesso è possibile “comunità” degli “hippy” si In alternativa con un po’ di (teoricamente) ottenere un allarga diventando “globale”, “spirito di ricerca” è possibiinfinito numero di copie feil personal computer diventa le trovare una videozine della deli all’originale, consentenla droga del nuovo millennio Edizioni Shake in cui viene indone l’accesso a chiunque. (la stessa definizione “pertervistato Wau Holland, espoIl “messaggio” che questo sonal” richiama in un certo nente del CCC. fenomeno contiene è che modo la dose personale),

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CyberCultura In senso grottesco i pc, che attraverso Internet diventeranno l’elettrodomestico per la diffusione globale dell’informazione, si trasformano nello strumento per combattere lo spettro dell’egemonia sul controllo dei media. È in questo contesto che nascono gli hacker, impegnati in una lotta continua per accedere ai database (banche dati) protetti e diffonderne il contenuto, secondo il principio del libero accesso, per tutte le persone, a qualsiasi tipo di informazione o tecnologia. Il computer diventa così strumento di liberazione ed espressione de “l’uomo utente”, una cassa di risonanza che amplifica l’eco del meltin’ pot che ha dato origine al cyberpunk. The New Science Fiction è considerato il manifesto del movimento letterario che poi verrà chiamato cyberpunk. Fu pubblicato per la prima volta sulla fanzine portoricana Warhoon e successivamente su Interzone dal fantomatico Vincent Omniaveritas, alias Bruce Sterling. In Italia possiamo trovarne una traduzione a cura di Antonio Canova sul primo numero della rivista Alphaville, uscito nel luglio del 1992, edito dalla Telemaco.

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a allora cos’è veramente il cyberpunk? Storicamente la cultura scientifica e quella umanistica sono sempre state scisse l’una dall’altra. Il cyberpunk è il risultato della loro unione, un connubio fra letteratura e tecnologia, che si fondono insieme e interagiscono l’una con l’altra. Da una parte il mondo cyber, bianco, pulito, asettico e inumano, dall’altra quello punk, nomade, sporco, del sobborgo, della denuncia sociale. Ma due fattori così diversi e distanti fra loro, perché adesso dovrebbero essere uniti insieme? L’influenza dello sviluppo della tecnologia è determinante sul mondo moderno, ridefinendo lo stile di vita dell’uomo, non solo il suo “oggi”, ma anche il suo “domani”. La tecnologia si insidia nella quotidianità delle persone, nei molteplici aspetti della loro vita, oramai dati per scontati. Viene così sancita la dipendenza dell’uomo dalla tecnologia, in una nuova società postindustriale, o per meglio dire post-tecnologica. L’uomo cyberpunk usa la macchina come estensione di sé stesso, integrando microprocessori nel cervello e sostituendo gli arti con protesi cibernetiche. Tutti dispositivi tecnologicamente avanzati che gli permettono di superare i limiti

[1960] - Dopo il Regno Unito, anche la Francia [1967] - Scoppia la “Guerra dei Sei Giorni”: Israele lancia un attacco preventivo contro fa detonare la sua prima bomba atomica. l’Egitto ed i suoi alleati. [1961] - Jurij Gagarin compie a bordo della Vostok il primo volo dell’uomo nello spazio. [1968] - Nasce in Francia il “movimento del 22 marzo”. La violenza della polizia nella represViene eretto il Muro di Berlino. sione delle manifestazioni degli studenti porta [1962] - Gli USA attuano il blocco di Cuba ad unirsi alla protesta 10 milioni di operai. contro la minaccia delle testate nucleari instal[1969] - John Lennon e Yoko Ono trasmettolate sull’isola dall’Unione Sovietica. no in tutto il mondo il loro messaggio di pace [1966] - Aumenta la forza del movimento stu- “bed-in”. Armstrong pronuncia le famose parodentesco contro la guerra del Vietnam. Nascono le: “Un piccolo passo per un uomo, un gigantesco balzo per l’umanità”. le “Pantere Nere”.

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insiti nella sua natura stessa, espandendo il suo momento, lo stesso contesto in cui vive anche il sistema neurale, il suo ego, il suo “io”. lettore. La narrativa innanzitutto ma anche la teMa il cyberpunk rispecchia la società in cui levisione, con i film, e la pubblicità, la musica, i l’uomo vive e ne crea una proiezione a breve ter- termini tecnici e scientifici, lo slang della strada, mine, riportandovi le luci e le ombre di oggi, ne gli elettrodomestici, i luoghi comuni, gli eventi discute gli aspetti, e prende coscienza degli effetti storici: è uno scorcio del mix usato dallo scrittocollaterali. Non si parla più quindi di un futuro im- re, un cocktail ben noto al lettore, che lo beve, possibile, fatto di teletrasporti, raggi laser e navi lo trangugia ogni giorno, lo “usa” sino all’ultima goccia. È il punto di vista che spaziali, ma di un domani reale, con i network televisivi, il Nirvana, il nuovo gioco di Jimi cambia: lo scrittore tenta di rock’n’roll, la droga, la guerra, Ambientato nelle periferie del- avere una visione globale del momento, spingendo il lettore la violenza, il sesso, Internet, l’agglomerato la globalizzazione. Direttamente nelle vostre teste ad aprire gli occhi. È come se Ecco la nuova rivoluzione, Dalla Okosama Star Games gli stesse dicendo: “ehi amico, che sancisce la rinascita della guarda che quello che stai butfantascienza. Nirvana – Gabriele Salvatores tando giù è nitroglicerina allo In perfetta linea con la culstato puro!” tura pop, il cyberpunk marcia in controtendenza Il cyberpunk “tocca” nel nostro cervello i rialla letteratura “classica”, sull’impulso creativo cordi, le esperienze, il “vissuto” di ognuno di di giovani scrittori sbandati, drogati, senza radici noi, e spara direttamente nelle nostre teste delle o famiglia, un underground anticristo dei letterati immagini vivide, definite, ricche di particolari e in giacca e cravatta, con alle spalle anni di studio significati, in alta risoluzione per giunta. È un po’ e vita morigerata. I nuovi autori abbandonano la come il click del mouse che all’apertura di un file struttura piramidale con diffusione dall’alto verso fa “esplodere” del codice binario trasformandoil basso, ed espandono la loro narrativa in senso lo in una stimolazione visiva. Dal computer alla orizzontale, sullo stesso livello del lettore, come mente, dall’esterno all’interno. Ora, guardatevi intorno e ditemi: ancora non una macchia d’olio. Lo scrittore trae spunto dalla sua vita, dagli avvenimenti e le influenze del sapete cosa è il cyberpunk? [1970] - Il Fronte Popolare per la Liberazione trasforma la rete ARPAnet in Internet. della Palestina mette in atto i primi dirottamenti [1975] - In Cambogia Pol Pot proclama l’“anno di aerei di linea. zero”, abolendo moneta e proprietà privata. La [1972] - L’Ulster si trasforma in uno scenario brutalità del regime comunista uccide circa due di guerra. Nella “domenica di sangue” le truppe milioni di cambogiani. britanniche aprono il fuoco su 30 mila dimo[1976] - Sulla scia di un sentimento nostalgico, stranti cattolici. in netta contrapposizione con anarchici e punk, [1973] - Augusto Pinochet mette a segno un tornano in auge i “teddy boy” inglesi degli anni colpo di stato in Cile, instaurando un governo ‘50. militare estremamente repressivo. [1977] - Al MIT viene creato il primo sistema [1974] - Il nuovo protocollo di trasmissione dati virtuale: l’Aspen Movie Map.

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CyberCultura L’ E R E D I T À D E L CYBERPUNK

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d oggi? Oggi è interessante notare come in un secolo l’umanità abbia potuto vivere contemporaneamente un nuovo rinascimento e una nuova rivoluzione industriale (meglio definibile come Tecnologica). Che esista quindi un meccanismo di ciclicità degli eventi e dei periodi storici? Ci aspetta forse un nuovo medioevo? Dobbiamo quindi temere veramente uno scenario post-apocalittico al quale farà seguito un’età della pietra? Oggi il cyberpunk è morto. O per meglio dire, si è contestualizzato. Giorno dopo giorno sta diventando la nostra realtà quotidiana. Il cambiamento, la trasformazione della società dovuta alla dipendenza dell’uomo dalla tecnologia, in una simbiosi sempre più stretta che porta ad una sovrapposizione fra umano e tecnologico, sino a fonderli e creare il binomio uomo-macchina, sempre più pressante, opprimente, è un “sintomo dell’influenza di cui tutti ci siamo ammalati”. La rivoluzione continua sulle ceneri del cyberpunk. Una trasformazione. Una mutazione. Ed è globale. Si tratta di un fenomeno che si espande in

“Il nostro posto nell’universo è fondamentalmente accidentale. In questo contesto, l’idea che la Natura Umana sia in qualche modo destinata a prevalere contro la Grande Macchina è semplicemente stupida. Il convincimento antiumanista nel Cyberpunk non è semplice ostentazione letteraria per oltraggiare i borghesi. È un fatto oggettivo che riguarda la cultura nel tardo ventesimo secolo. Il Cyberpunk non ha inventato nessuno scenario; lo ha solo riflesso.” Bruce Sterling: Cyberpunk negli anni Novanta (edizione italiana della rivista Isaac Asimov S. F. M., giugno ‘94). ogni direzione, in ogni ambito, con ritmi sempre più serrati, in una accelerazione continua. L’uomo penetra all’interno della sua sfera vitale, fino a raggiungerne il nocciolo, origine della vita, manipolandolo per il controllo della procreazione, verso le sue origini primordiali ed al tempo stesso ne espande i confini, verso lo spazio profondo, alla ricerca di nuovi pianeti da colonizzare, verso il futuro. Gli interrogativi proposti dal cyberpunk e ripresi dal transrealismo sono quelli di oggi. L’uomo

[1978] - Il reverendo Jim Jones, alla guida della [1982] - Colpo di stato in Polonia: viene instausetta “Il tempio del popolo”, ordina alla popola- rata la legge marziale. zione di Jonestown (Guyana), circa 900 persone, La Philips annuncia l’uscita del compact disc. il suicidio di massa con cianuro e fucilazioni. [1984] - A Bhopal (India) una nube tossica [1979] - Direttamente dal fumetto, Christopher fuoriesce da un impianto chimico: 2.500 morReeve vola nel cinema con i panni di ti, quasi 50 mila abitanti contraggono malattie Superman. causate dall’esposizione ai gas. Attentato dell’IRA al Grand Hotel di Brighton in Inghilterra: [1980] - Nasce la CNN. l’esplosione distrugge quattro piani centrali, la Thatcher si salva per miracolo. [1981] - Viene identificato il virus di una nuova malattia: l’AIDS. La IBM annuncia il lancio dei [1985] - “Live Aid”: due concerti in contempopersonal computer. ranea di 16 ore riuniscono le rockstar più im-

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dopo aver imparato da Freud a capire chi è e dove sta andando, aspetta di comprendere dove andrà portanti del mondo, e raccolgono più di 200 domani, cosciente del fatto di non poter determimilioni di dollari. nare in modo univoco il suo domani. La dimensione infinita dello spazio, il limite di [1986] - Esplode il reattore numero 4 deltolleranza della natura alle mutazioni genetiche, la centrale nucleare di Chernobyl. Nubi sono solo alcuni dei fattori che danno all’uomo la tossiche si estendono verso l’Europa e la sensazione di non poter comprendere e controllaScandinavia. re tutti gli eventi di questo universo. Figuriamoci di quelli paralleli. [1987] - Nel “lunedì nero” delle borse monCosì le nanotecnologie, promessa di immordiali, l’indice Dow Jones perde 508 puntalità, diventano le piramidi egiziane del nuovo ti, trascinando nel disastro gli altri mercati millennio, il ponte di collegamento verso la postmondiali. vita. L’ intervenendo sul ciclo di nascita-crescitamorte, pietra miliare di “madre natura” mette in [1989] - I carri armati entrano in piazza Tien pausa il “loop universale” “nulla si crea, nulla si An Men e reprimono nel sangue le manifedistrugge, tutto si trasforma” stazioni degli studenti cinesi. L’uomo è combattuto fra l’estasi e il terrore di Cade il muro di Berlino. vivere in un domani senza una nascita, senza una morte, il capo e la coda del ciclo fondamentale [1991] - 100 mila dimostranti marciano verdella vita. Un dio, un postulato scientifico, la closo Mosca, contro la violenta repressione che nazione, ogni essere umano attribuisce un “volto” il Cremino applica ai danni dei movimenti diverso a quel “fattore che regola, controlla e gesecessionisti. stisce tutte le cose”, ma per tutti quanti è una polaroid che si sbiadisce, perde colore e definizione. Smarrito nel suo tempo, timoroso di prendere alla ricerca di una mappa per questi territori, che in mano le redini della sua estinzione, l’uomo è non esiste. Il pericolo del passato era che gli uomini divenissero schiavi. Il pericolo del futuro è che gli uomini diventino robot. Erich Fromm La società sana, 1955

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CyberCultura [1992] - Los Angeles: protesta furiosa dei neri contro il pestaggio da parte della polizia, ripreso in video, di Rodney King. Intervento della guardia nazionale. Si contano più di duemila feriti, 12 mila persone arrestate e danni per oltre un miliardo di dollari. [1993] - Sarajevo viene sottoposta a pesanti bombardamenti da parte dei Serbi. Le persone infette dall’HIV arrivano a 47 milioni. [1995] - L’edificio federale di Oklahoma City viene divelto da un attacco terroristico dinamitardo. [1996] - Nasce la pecora Dolly, primo mammifero clonato. [1997] - Il Deep Blue della IBM batte il campione di scacchi Garry Kasparov. Ad Hong Kong oltre un miliardo di polli vengono uccisi per scongiurare una potenziale epidemia mortale. [1998] - La guerra civile in Sudan fra cristiani-animisti e musulmani causa l’uccisione di oltre un milione e mezzo di persone. [1999] - Nasce ufficialmente l’Euro. Nasce il movimento no-global “popolo di Seattle”. [2000] – Inizia il nostro millennio.

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C O R S A È F I N I TA

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bbiamo spaziato lungo la storia del nostro secolo, seguendo la nostra necessità di etichettare, catalogare, scomporre in numeri primi, capire, assimilare, rielaborare e ricomporre. Eppure abbiamo tutto sotto gli occhi. Noi siamo i figli del cyberpunk. Noi siamo cyberpunk. Ma forse ancora non ce ne siamo accorti.

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atz si stava occupando del bar; il suo braccio meccanico si muoveva con scatti automatici sempre uguali mentre riempiva alla spina un vassoio di bicchieri di kirin. Vide Case e sorrise. I suoi denti erano un mosaico di acciaio dell’Europa orientale e di carie. […] l sorriso del barista si allargò ancora di più. La sua bruttezza era leggendaria. In un’epoca in cui la bellezza era alla portata di tutte le tasche, c’era qualcosa di araldico nel fatto che a lui mancasse. Quel braccio meccanico cigolò quando si tese a prendere un altro boccale. Era una protesi militare russa, o un manipolatore a sette funzioni, con relativo feedback, racchiuso in un robusto involucro di plastica rosa.

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Neuromante - William Gibson

CREDITI L’immagine di apertura: L’immagine di chiusura: Digital Tragedy di Bartosz Grabowski Alt - Netrunning di pho3nix-bf © 2004-2006

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GABRIELE “IXION” FILIPPI CULTURA: CYBERCULTURA

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Cy b e r p u n k L’Anima del

[ Dj Food - Sunvibes ] «Nello sprawl girano molte voci. Molti sono convinti che si tratti delle solite leggende metropolitane.» Striker si accese una sigaretta. La stanza ricordava una tipica sala da gioco, con i tavoli da poker disposti alla rinfusa e le luci appese a campana che proiettavano un cono di luce giallognola sul tavolo verde consumato. Uno sbuffo di fumo attraversò il cono di luce, e appena si diradò ebbi modo di vedere che stava indossando degli occhiali da sole Pensai: “Occhiali da sole al buio? È proprio un tipo strano. Cosa cavolo vedrà poi?” «Ad esempio?» chiesi Mi rispose Jakal, un indiano alto 2 metri per 90 chili di muscoli. Se ne stava in piedi di fianco al tavolo, indossava un paio di pantaloni con i peneri ed un corpetto in kevlar aperto che lasciava intravedere un torace scolpito dai muscoli e dalle miriadi di cicatrici, come a comporre un unico tatuaggio rituale che avvolgeva tutto il corpo. Rimase per tutta la sera in piedi, a braccia conserte. Praticamente parlai tutto il tempo con il suo addome. «Cose del tipo, persone che afferrano proiettili al volo, tizi che sollevano autovetture a mani nude, o che aprono come scatolette mezzi blindati indossando esoscheletri potenziati, o ancora, bande di booster completamente cromati da capo a piedi, modelle dai corpi perfetti con il volto di un felino, decine di sosia di Kennedy o Elvis, cow-boy della strada che sparano con due UZI-Miniauto caricati con proiettili API, imbecilli di turno che sparano con una Malorian senza arti cibernetici per ritrovarsi il braccio con una serie di fratture multiple, tizi sventrati da quarantacinque centimetri di di-

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2020. Night City. Popolazione censita: cinque milioni di abitanti. Lo sprawl: una città nella città, una città intorno alla città.

gitolame piantate nel ventre con un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco, gente che impazzisce perché dopo essersi impiantata due cyberbracci accessoriati come dei coltellini svizzeri, due cybergambe, coprocessori per gestire qualsiasi tipo di congegno, e le immancabili cyberottiche Kyroshi, è stata colpita da cyberpsicosi, o perché si è sparata una dose di troppo, furbacchioni che si divertono a correre sui tetti, saltando di palazzo in palazzo con le loro splendide cybergambe potenziate per poi sfondare un soffitto pericolante, ed il solaio del piano inferiore, e quello inferiore, e quello inferiore, fino a spiaccicarsi al piano terra...» «E ti assicuro che non si tratta di leggende metropolitane. Io tutte queste cose le ho viste con i miei occhi» aggiunse Striker. «Porca troia!» esclamai. Striker iniziò a dondolarsi sulla sedia, incrociando due braccia dietro la nuca. Con il terzo, continuava a fumare la sigaretta. E con il quarto si teneva al tavolo, per evitare di cadere all’indietro. Tre braccia cibernetiche, tutte e tre sul lato destro. “Ma questo tizio cosa è? Un polipo?!” pensai. «Lo so, lo so, fa un po’ effetto. Anche io ho avuto bisogno di un po’ di tempo per abituarmici. Vederlo all’opera mi è stato di grande aiuto in questo. Se non altro sono utili.» Striker soffiò il fumo della sua sigaretta verso l’indiano. «Sempre gentile Jakal.» La televisione continuava a trasmettere immagini. Un residuato degli anni passati che chiamavano “antiquariato moderno”. Per me era solo un

GDR: CYBERPUNK 2020


Cyberpunk 2020 Alcuni titoli di questo articolo riportano il nome di un brano musicale, consigliato per conferire “atmosfera” alla lettura.

“Beatrice Kiddo”

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FANTASCIENZA cesso di televisione alla fine della sua carriera mediatica: le immagini erano così scolorite che sembravano in bianco e nero. Anni novanta direi. Certo, la pena che mi suscitava quella tivù era niente in confronto allo sgabello su cui poggiava: quattro esili zampe coniche, rastremate verso la parte finale, con la vernice mangiucchiata dalla ruggine e delle asole forate per un sedile che non esisteva più. Un residuato dell’artdéco degli anni sessanta. Il tocco di classe: l’antenna. Una parabola miniaturizzata PSS (Perfect Satellite Signal) con illuminatore in cristallo suborbitale Psiberstuff. Lo stato dell’arte dell’high-tech del 2020. Costava più l’antenna di tutto il ciarpame che c’era in quella stanza. Osservai il trabiccolo per qualche secondo, cercando di vederlo più come un singolo oggetto, che come una accozzaglia posticcia. E prese forma, definendosi. Acquisendo un senso, un significato. Un’opera d’arte, ecco cos’era! Altro che ciarpame! Una finestra su quasi un secolo di storia. Le stronzate idealiste socio-politiche degli anni sessanta, gettate in discarica per far largo al consumismo mediatico spinto dalla rivoluzione elettronica degli anni novanta, per arrivare all’era cybertecnologica del duemilaventi. Mentre Jakal e Striker si voltarono straniti, cercando di capire cosa stessi fissando, si aprì la porta, attirando l’attenzione di tutti. Un tizio dalla corporatura minuta, magrolino, sguardo assente. Lineamenti europei, capelli neri,

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trasandati. Se non fosse stato per il coordinato della Tanaka, in puro stile high-fashion corporativo, poteva essere un qualsiasi disperato dello sprawl che dorme in una cubobara quando gli capita la notte fortunata. Striker e Jakal lo salutarono: «Ciao Spinotto.» “Spinotto? Un corporativo che si chiama Spinotto?” Mi unii alla risata sommessa accennata dai due ragazzoni. Credo fosse di origini Italiane perché si offese subito, e con tono acido e stizzito chiese: «Lui chi è?» «È nuovo» gli rispose Jakal. «Vuoi dire “vergine”?» «No, voglio dire nuovo, altrimenti avrei detto vergine.» «Dillo come ti pare ma a me sembra un pivello.» «Sai, mi ricorda qualcuno» la battuta pungente fece segno un’altra volta. «Dai su, tutti hanno bisogno di ambientarsi all’inizio.» La tensione del momento fu rotta nuovamente dall’ingresso di una persona. Entrò con passo spedito dirigendosi verso il nostro tavolo. Tutti lo osservarono incuriositi in silenzio, cercando di capire cosa stesse facendo. Era un ragazzo giovane. Anzi, un ragazzone tutto in salute, vista la stazza. Direi una venticinquina di anni. Bruttino di viso, non solo per la profonda cicatrice che gli scendeva dalla guancia sinistra lungo il collo. Cappello alla texana e giaccone lungo neri, e una t-shirt grigia con la scritta T-Racer Team. Una cinghia nero argentato passava in dia-

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Cyberpunk 2020 gonale sul petto sopra al giaccone, fino ad arrivare alla spalla destra, da cui svettava il manico di una spada, una katana direi a giudicare dall’impugnatura. “E questo da dove sbuca? Dal manicomio?” Si tolse lo zainetto che aveva in spalla, ed iniziò a tirarne fuori delle tazze, mettendole in fila sul tavolo, una accanto all’altra. «Scusa Chiave ma cosa vorresti fare? Offrirci il tè?» La domanda di Spinotto rimase senza risposta. Il tizio continuò a tirare fuori le sue tazze. Mi sporsi leggermente sul tavolo per sbirciare cosa ci fosse dentro. «Porca troia! Ma questo è C6!» mi alzai di scatto ed iniziai ad indietreggiare per allontanarmi dal tavolo. «Per essere precisi C6, bulloni e dadi. Il tè non è il mio forte.» Mentre camminavo lentamente all’indietro osservavo la scena: un tavolo da poker, 15 tazze esplosive, un branco di pazzi furiosi e la preoccupazione per le tazze passò subito in secondo piano quando mi resi conto che la risposta di Chiave aveva rasserenato i volti dei suoi compagni. Indietreggiando arrivai fino al biliardo. Era al margine della stanza, al buio, con sopra quello che doveva essere un grosso telo per coprirlo, raggomitolato per lungo sopra di esso. Appoggiai le mani sul biliardo, sollevandomi da terra, e mi sedetti sul bordo. Sentii un fruscio alle mie spalle. Vicino. Molto vicino. Mi voltai lentamente. Una frazione di secondo. La mia guancia stava strusciando sulla moquette del piano del biliardo, con la polvere depositata sopra che mi si infilava su per il naso... disagi trascurabili, soprattutto quando sull’altra guancia senti il freddo della canna di un fucile. Un maledettissimo amplificatore di riflessi. Roba da Solitario. Come il gingillo che mi stava puntando addosso. La bocca di fuoco mi infossava la guancia den-

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tro la bocca, impedendomi di chiudere i denti. Ebbi così modo di saggiarne le dimensioni. Non era la mia giornata fortunata. Se fosse stato un piccolo calibro, al massimo mi sarei ritrovato con un foro nella guancia e qualche dente scheggiato, cavandomela con un buon dentista e qualche ritocco di syntepelle. Invece probabilmente si trattava di un calibro 7,62. Brutta storia. Un colpo a bruciapelo in quel modo, e la mia testa si sarebbe trasformata in un quadro post-moderno dipinto sul tappeto verde del biliardo. Il dentista non sarebbe bastato. Mi sentivo come un salame. Ero sdraiato su un fianco, sopra il mio braccio destro, con il suo anfibio che mi teneva in trazione il gomito sinistro, e la canna del fucile sulla faccia. «Fermo, fermo, fermo!» Tutti quanti si animarono subito, cercando di dissuadere il tizio dal farmi la festa. «Fermo Sergè, non gli sparare!» Cercai di girare la testa, per poter guadagnare i pochi centimetri necessari a vederlo. Grugnì digrignando i denti. Riuscivo a vederlo con la coda dell’occhio. Capelli lunghi e trasandati, con la barba incolta, indossava un poncho da combattimento lacerato e consunto. O si trattava di un invasato magari afflitto da cyberpsicosi, oppure era un veterano delle guerre centro-americane. Non so cosa potesse essere peggio. Attivai il mio sensore termografico. Lo disattivai subito. Aveva un braccio cibernetico. Meglio non farlo innervosire più di così. «Odio le persone che mi svegliano quando dormo.» Furono le uniche parole che pronunciò mentre il suo fucile spariva nuovamente sotto il suo poncho. Mentre mi stavo massaggiando la mascella entrò un’altra persona. Ebbi come l’impressione che tutti si fossero messi sugli attenti. Come se fosse entrato uno che conta, qualcosa come “il capo”. «Buonasera Freeman» come dei bravi cadetti,

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FANTASCIENZA tutti quanti salutarono in coro. «Salve a tutti.» «Benvenuto al Forlorn Hope, altrimenti conosciuto come il Bar delle Speranze Perdute. Spero che i tuoi nuovi amici ti abbiano spiegato che qui dentro ci sono delle regole da rispettare. Se sgarri sei fuori. Se non ti trovi un lavoro, se non ti rendi utile, sei fuori. Se mi crei problemi, sei fuori.» Il tono era risoluto, di quello che comanda, di quello che fa il bello ed il cattivo tempo. «Mi sei simpatico a pelle. Di solito non mi sbaglio mai. Ti darò una dritta. Se cerchi delle possibilità, sei nella città giusta. Non so proprio cosa vorrai combinare ora che sei qua, ma ti assicuro che non sei l’unico che ci vuole provare. Competizione, concorrenza spietata. Mi dispiacerebbe sapere che stai lasciando la città con i piedi in avanti.» La conversazione proseguì per tutta la serata in tono amichevole. Come usa fra vecchi compagni del passato. Storie di strada raccontate davanti ad un bicchiere di “Blade Runner” (un cocktail a base di Chooh2 e champagne). Si fece tardi. Decisi che era l’ora di andarsene a dormire. Uscii fuori. Pioveva. Alzai il colletto del mio impermeabile in nylon. Attraversai la strada e mi fermai in mezzo, sopra la linea bianca fra le due corsie. La strada era illuminata solo su un lato. Una linea al centro. Luce da un lato. Oscurità dall’altro. Mi tornarono in mente le parole di Freeman. «Sei pronto a correre sul filo del rasoio? Quella sottile line che separa il bene dal male, la vita dalla morte, il genio dalla pazzia, in un precario e delicato equilibrio; cadere in disgrazia, impazzire, morire. Perdi l’equilibrio e sei spacciato!» Sotto la pioggia, in piedi, in mezzo alla strada, osservavo quella linea. E le parole di Freeman continuavano a ripetersi nella mia testa. Inserii il chip di memoria nel lettore. Il processore di base attivò l’interfaccia e accese

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il mio Times Square, proiettando nel campo visivo della mia cyberottica il menu di gestione. Traccia numero tredici. “Johnny Silverhand - Essere un Vero Cyberpunk” Play. Quella notte iniziai a correre lungo la linea bianca. Quella notte inizia a correre lungo il filo del rasoio. Quella notte decisi di essere un vero Cyberpunk! Corri, corri! Corri sotto la pioggia, pioggia di piombo. Corri nella rete, pioggia di bit. Corri sul filo del rasoio,pioggia di morte. Sii un vero Cyberpunk! Johnny Silverhand “Essere un Vero Cyberpunk”

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Cyberpunk 2020

d i r e t t a mente dallo I

l genere cyberpunk rappresenta una realtà molto vicina a noi, a differenza della fantascienza “classica”, tipica per esempio dei romanzi di Asimov, che narrano di un futuro molto distante da noi. Il futuro del cyberpunk è invece “prossimo”, incombente. Idealizza una proiezione futura della società odierna, in un futuro distante da noi di circa cinquanta anni, in cui gli aspetti negativi odierni sono amplificati. Lo sviluppo tecnologico avvenuto in questi cinquanta anni è stato esponenziale. Protesi robotizzate, collegate direttamente al sistema nervoso umano consentono di sostituire un arto umano con un braccio cibernetico, occhi bionici, processori al silicio con funzioni specifiche sono innestati direttamente sulla corteccia cerebrale. La rete informatica oggi nota come Internet ha subito una trasformazione radicale, diventando la Matrice o Cyberspazio. Una realtà virtuale nella quale è possibile entrare “virtualmente” grazie ad un collegamento diretto mente-macchina-RV (realtà virtuale). Un flusso continuo di dati dove spazio e tempo si uniformano all’unità di misura della virtualità. Le atmosfere sono nettamente “gotiche”. Le odierne multinazionali si sono espanse ulteriormente, trasformandosi in Corporazioni, acquisendo potere in ogni ambito, manipolando i politici come burattini, influenzando le masse, con l’obbiettivo di arricchirsi senza il minimo scrupolo. La mancanza di certezze, di prospettive e aspettative per un domani migliore, amplifica il tentativo di ogni uomo di sopravvivere, isolandosi da tutto e da tutti per il timore di rimanere fregato quando meno te lo aspetti. È una vita frenetica, che spinge a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, tentando di rima-

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Sprawl

nere in equilibro su un filo di rasoio. La profonda caratterizzazione che troviamo nell’ambientazione è stata mantenuta in ogni aspetto del gioco. Ecco quindi che fra le classi da interpretare troviamo: Rocker: un leader carismatico capace d’infiammare gli animi delle masse e denunciare con le sue canzoni il disagio della società ed i soprusi delle corporazioni; Solitario: che si tratti di un ex-veterano delle guerre centro americane, o di una guardia del corpo addestrata, o di un killer freelance che uccide per il miglior offerente, siamo sempre davanti ad uno specialista di armi e combattimento, non solo di tipo balistico; Netrunner: sono gli hacker del 2020, capaci di entrare ed agire nella Rete come in una realtà virtuale, con un computer per collegarsi installato dentro il proprio organismo congiunto direttamente al cervello; Tecnico: si occupa di costruire, smontare, modificare, riparare qualunque cosa, rilevatori, veicoli, serrature, esplosivi, armi… non conosce limiti; Tecnomedico: il loro pane quotidiano? implantare congegni e arti cibernetici, ricucire un buco nello stomaco largo quindici centimetri, ritoccare il brutto muso di qualcuno per migliorare il suo fascino, sintetizzare droghe, per salvare o far perdere la vita a qualcuno; Reporter: è disposto a tutto pur di arrivare a scoprire la verità delle cose, non importa quanto sia scomoda, non importa quali saranno le conseguenze, l’importante è denunciare il fatto, a favore della libertà e della giustizia, e magari anche del proprio portafoglio; Poliziotto: sia che faccia parte del NCPD (Ni-

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FANTASCIENZA ght City Police Department) o di qualche polizia corporativa, il suo ruolo è applicare la legge, più o meno alla lettera, investigare, stanare il cattivo di turno, e sbatterlo dentro, oppure fargli un buco in fronte e mandarlo al creatore, l’importante è toglierne un altro dalla strada. Corporativo: potere ... il potere di prendere delle decisioni importanti, e per farlo bisogna scalare i vertici, per fare carriera ci vuole spina dorsale, non è importante il prezzo da pagare, in termini di vite umane, di soldi, ecc., l’importante è raggiungere l’obiettivo, il suo, la sua bravura sta nel farlo coincidere con quello della sua corporazione; Ricettatore: è capace di procurare qualsiasi cosa, è solo una questione di prezzo, certo magari il numero di serie sarà limato, magari avrà qualche graffio di troppo o qualche schizzo di sangue, o magari ci sarà ancora attaccata una mano, magari la garanzia sarà scaduta, ma funzionerà! Nomade: la strada è la sua casa, la moto la sua migliore amica, legato a principi di vita rurale e comunitaria, spesso si trova in diretto contrasto con le corporazioni per conflitto di interesse. La meccanica di gioco di Cyberpunk 2020 è

“Lo Shock del Futuro: storia dell’Era Cibernetica”, cronologia tratta dal supplemento “Hardware”. [2000] I “Culti del Millennio”, nella notte di San Silvestro, si lasciano andare ad un’orgia di sfrenate violenze e suicidi. Inizio della costruzione della stazione orbitale Crystal Palace, al livello orbitale L-5. [2002] Crisi alimentare: virus mutanti distruggono i raccolti in Canada e Russia. Gli USA vengono accusati di aggressione biologica.

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semplice, dinamica ed al tempo stesso garantisce un adeguato livello di realismo. Ogni personaggio ha una serie di caratteristiche: Intelligenza, Riflessi, Freddezza, Tecnologia, Fortuna, Fascino, Movimento, Empatia, Costituzione. A queste si aggiungono una serie di abilità, fra cui spicca l’abilità speciale, diversa per ogni classe, che determina in gioco la peculiarità della classe scelta. Ecco quindi che il Rocker avrà come abilità speciale Leadership carismatica, che determina la possibilità di incitare le folle a compiere qualsiasi tipo di azione, come ad esempio far scoppiare una sommossa, mentre le Risorse di un Corporativo gli consentiranno di sfruttare i mezzi della corporazione per i suoi scopi, e ancora l’Autorità di un Poliziotto, gli permetterà di intimidire i manigoldi, oppure ottenere aiuti dal Dipartimento, come ad esempio un mandato o dei rinforzi dalla centrale per eseguire un blitz. Oltre alle abilità speciali ne esistono molte altre, che il personaggio potrà acquisire sia in fase di creazione, sia nel corso del gioco, tramite l’assegnazione dei Punti Incremento spendibili per aumentare le abilità già conosciute o acquistarne sulla Prima Guerra Centro Americana. [2004] Sviluppo di tessuti clonati in laboratorio, delle tecnologie di microsutura e dei campi sterilizzanti. [2005] Invenzione del cybermodem. Solitari della EBM attaccano a Tokyo l’ufficio della Kenjiri Technologies. [2006] Primo clone umano cresciuto in provetta. È privo di cervello e sopravvive per appena 6 ore.

[2007] [2003] Seconda guerra delle corporazioni: numerose compagnie, Seconda Guerra Centro Americana. La reporter Tesla tra cui la Petrochem, si contendono i campi di petrolio nel Johanneson rivela documenti segreti del Governo Federale Mar della Cina Meridionale. Invenzione della Braindance.

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Cyberpunk 2020 di nuove. Tutte le abilità si basano su una caratteristica (intelligenza, riflessi, ecc). Ad ogni azione che il giocatore vuole compiere, il Master applica una difficoltà: Facile, Normale, Difficile, Molto Difficile, Quasi Impossibile. Ad ogni grado di difficoltà corrisponde un punteggio che deve essere eguagliato o superato tramite un test di abilità, effettuato lanciano 1D10, sommando il punteggio della propria abilità ed il punteggio della caratteristica su cui si basa l’abilità. Lo stesso tipo di test viene applicato nel combattimento. Nel caso di armi balistiche, la difficoltà del test viene determinata dalla distanza del bersaglio e dalla gittata dell’arma, mentre l’abilità di riferimento sarà quella dell’arma usata. Nel caso in cui il colpo vada a segno, si dovrà determinare la parte del corpo colpita, tramite il lancio di 1D10: testa, torace, braccia, gambe. Determinata la locazione del colpo, le varie protezioni indossate concorreranno alla riduzione del danno subito. Se sarete fortunati, il vostro giubbotto antiproiettile fermerà il colpo, in caso contrario, il danno residuo che le vostre protezioni non saranno state in grado di fermare, peggiorerà la vostra salute, iniziando la vostra corsa lungo una “morte per gradi”. Ogni quattro punti ferita, passerete da un livello di salute all’altro, partendo da Lieve,

Edizione inglese del manuale di regole del gioco. edito dalla R. Talsorian Games Inc.

poi Grave, Critica, Mortale 0, fino a Mortale 6. Alla fine di ogni round, dovrete effettuare un Tiro Salvezza contro lo stordimento se il vostro livello di salute sarà Critico o inferiore, contro la Morte se sarà Mortale 0 o superiore. Ogni livello di salute comporta dei malus alle proprie caratteristiche

[2008] Canale 54 controlla il 62% delle trasmissioni radiotelevisiAttacco degli Stati Uniti alla piattaforma orbitale russa ve negli Stati Uniti. MIR XIII. La colonia di Tycho lancia un macigno su Colorado [2012] Springs distruggendola. Bio epidemia a Chicago: 1.700 morti. A Night City, dopo un [2009] concerto, scoppia una rivolta che distrugge il palazzo della Gli USA attaccano Crystal Palace. L’ESA, per rappresaglia, Arasaka. scaglia un macigno da 12 tonnellate su Washington. [2013] [2010] Fondazione della Netwatch. Creazione della prima vera Intelligenza Artificiale nei laboratori della Microtech. Fine della Seconda Guerra Centro Americana.

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[2014] Scoperta delle Metamorfosi di Ihara-Grubb. [2016] Terza Guerra delle Corporazioni, combattuta nella rete: ogni compagnia attacca le fortezza telematiche delle concorrenti.

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Gibson è stato capace di contestualizzare delle visioni personali, e questo gioco vi permette di metterle in atto ed interpretarle, scrivendo con la vostra fantasia il vostro romanzo Cyberpunk. E questo grazie anche al fatto che un qualsiasi Gioco di Ruolo, è un Ruolo da interpretare Giocando. Buon divertimento.

[2017] Creazione del primo clone umano pensante. [2019] Rivolta della colonia orbitale del livello L-3 [2020] Oggi... ed al Tiro Salvezza che deve essere superato per evitare di essere stordito o addirittura morire. Non esistono quindi livelli attraverso i quali il personaggio aumenta le proprie potenzialità o addirittura i punti ferita. Tutto questo a favore di un realismo che non appartiene ai giochi di ruolo storici del tipo D&D e successivi. Cyberpunk 2020 è un gioco di ruolo che potrà dare i suoi migliori frutti in mano a dei giocatori maturi. L’ambientazione di gioco permette di mettere in scena situazioni, emozioni, sentimenti, come la paura, la morte, la sofferenza, il tradimento, riportandoli in un mondo non troppo distante dai giorni nostri, con quella giusta dose di innovazione tecnologica che gli appassionati della fantascienza apprezzeranno sicuramente. Tendenzialmente, il cultore del genere di fantascienza gioca al GdR del film/libro preferito. Nel caso di Cyberpunk 2020 invece, si verificherà l’effetto contrario. Una volta che vi sarete appassionati al gioco, andrete a leggervi i libri di Gibson. Perché vorrete assaporare il gusto dolce-amaro dei quella radice dalla quale questo gioco trae ogni goccia di ispirazione.

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a cibernetica nel 2020 ha trovato applicaL’esistenza delle Psicosquadre dimostra quanzione del mercato di consumo comune, to sia diffuso questo morbo. Il loro compito è ricome per l’elettronica nel secolo precedente. muovere questi tumori della società, tentando di Chip di memoria che suggeriscono al cervello limitare i danni collaterali. la mossa giusta per far vincere a tennis il capo, spinotti di interfaccia per usare armi intelligenti o per collegarsi al sistema di guida della propria C’è chi lo fa per moda, chi per necessità, fuoriserie e condurla senza dover muovere un chi per piacere, chi per lavoro. dito, occhi con all’interno microtelecamere, lenti In ogni caso sono veramente poche policrome, intensificatore di luce o sensore termole persone che nel 2020 non hanno almeno un paio di grafico, amplificatori di riflessi per aumentare la congegni cibernetici impiantati. velocità di reazione di poche frazioni di secondo, quanto basta per sparare per primo, arti cibernetiSocietà Moderna ci con armi nascoste all’interno, sono solo alcuni (rotocalco edito da NetworkNews 54) esempi di quello che si può trovare sul mercato. Al centro commerciale ovviamente. Tutto ha un prezzo però. In termini di Eurodollari, ed in termini di sanità mentale. La Cyberpsicosi amplifica il disagio sociale del soggetto, che tende ad allinearsi ed isolarsi dalla società. Eccedere nell’installazione di implanti cibernetici spinge il soggetto ad affidarsi sempre più alle macchine, allontanandosi anche dagli affetti più cari (come coniugi, parenti ed amici) in un crescente senso di disagio alla presenza di altre persone tale da portare in casi estremi all’omicidio.

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> Benvenuto nel cyberspazio… [ Massive Attack - Angel ] «Gli algoritmi Ihara-Grubb hanno consentito di rappresentare la rete come uno spazio aperto, con una corrispondenza spaziale con il mondo reale. Ogni volta che viene collegato un dispositivo presente nel mondo reale, la rete si espande fino al suo punto di ingresso. Qualsiasi cosa si trovi all’interno della rete viene raffigurata con una icona, sia che si tratti di un Netrunner interfacciato (nel gergo dello Sprawl, collegato), sia che si tratti di un programma o una fortezza telematica. Ma per poter decifrare gli input forniti dalla Rete, il cervello ha bisogno di due cose: una Interfaccia ed un Cyberdeck. L’Interfaccia è il firmware che traduce le informazioni ricevute in modo da poter essere interpretate dal cervello umano. Il Cyberdeck è un computer con modem integrato, che consente l’esecuzione dell’Interfaccia e dei programmi necessari alle incursioni, ottimizzato per queste operazioni, con protezioni e schermature per difendere il Netrunner da eventuali attacchi diretti.» «Ok, la teoria può andare. Adesso vediamo la pratica.» La cover del deck era in plastica. Al centro aveva una parte più consumata, mentre il bordo della fessura per i chip era completamente scolorita. “Mi raccomando bello, non abbandonarmi proprio stavolta, dobbiamo fare bella figura.” Tirai fuori i miei cavi a bassa impedenza. Inserii gli spinotti. Come un loop messo in sottofondo prima di un concerto, compivo movimenti ormai automatici, dettati dall’abitudine. Power-ON. Boot del sistema.

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Log-ON Una flash di luce. Una pioggia di bit rettangolari con la superficie formata da migliaia di cluster verdi pulsanti rallentava nella sua caduta fino a sospendersi a mezz’aria, unendosi fra di loro a formare una superficie curva. La mia icona stava prendendo forma. Un corpo di un uomo, coperto completamente di cluster verdi. “Mi sono sempre piaciute le cose semplici. Adoro la mia icona.” Ancora una volta ero nel cyberspazio. La rete pulsava intorno a me, piena di vita, flussi di dati in ogni direzione, fasci di luce, strutture, icone, luci al neon. “La rete è vita. La rete è la mia vita.” «Allora ragazzo, quando hai finito di guardare il panorama, avvicinati al quella CLS davanti a te.» Feci un respiro profondo, ed il petto della mia icona si espanse, i cluster si distanziarono leggermente, lasciando intravedere il vuoto oltre quella superficie di puri dati. Trattenni il respiro, ed inizia la mia corsa, scendendo a volo d’angelo verso la CLS. Arrestai la mia discesa, ed attivai quello che mi piace chiamare “il mio Angelo Custode”. Un programma di classe Demone, una Succube a cui avevo modificato l’icona rendendola decisamente più angelica: una donna con un corpo statuario perfetto, ali piumate, completamente dorata. La succube attivò uno dei suoi sottoprogrammi che le avevo caricato. Filamenti di codici alfanumerici si materializzarono dalla sua mano, iniziando ad attorcigliarsi fra di loro, dando forma ad una Spada, un programma anti-operatore. Una

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Cyberpunk 2020 piccola precauzione contro imprevisti. E gli imprevisti non tardarono a farsi vivi. Un Killer, un programma anti-IC, credo di classe IV, si lanciò addosso alla mia Succube, trafiggendole il petto con i suoi lunghi artigli digitali. Microscopici frammenti di bit color oro si dispersero come una nebulosa. Ai margini del mio campo visivo, un pulviscolo color cremisi si espandeva avvolgendomi lentamente, rilasciato dagli zampilli di un dardo fiammeggiante conficcato nel mio fianco. Un urlo di dolore, duplice, reale e virtuale. Con il respiro affannato, tentai il tutto per tutto. Una scarica elettrica color verde acido si scatenò dal pavimento, avviluppando la sagoma umanoide nero onice, deformandola nella sua morsa. Mentre la mia frusta cerebrale toglieva di mezzo il mio antagonista, osservavo il volto della sua icona che si deformava allungandosi e contorcendosi, fino a scomparire insieme al suo Killer. Fuori dalla realtà, fredda e squallida, limitata dall’uomo stesso, riflettevo su come la morte virtuale potesse essere cosi reale. Realtà o virtualità forse non sarebbe cambiato niente. Quel dolore virtuale era stato cosi reale. La mia morte virtuale sarebbe stata cosi reale. Reale e virtuale. Non c’era distinzione. In una unica commistione, non riuscivo più a distinguere le due realtà. Entrambe esistevano, ed esistevo in entrambe. Ero seduto in quella squallida stanza, con Rache che continuava a ripetermi “Bravo ragazzo, sei stato grande!”, mentre mi copriva con una vecchia coperta. Ero un flusso di dati che pulsava di vita propria nella Rete, smarrito, privo di identità, una icona fra tante, un semplice aggregato di bit.

CREDITI. Le immagini di sfondo dei titoli “L’Anima del Cyberpunk” e “Direttamente dallo Sprawl” sono tratte dal clip video En apesenteur (http://www.sp6men.com/); i disegni alle pagine 70, 72, 76, 77 sono tratti da “Cyberpunk 2020 sul filo del rasoio”, edizione “ultimate”, edito da Counter srl su licenza R. Talsorian Games.inc.. L’immagine di sfondo del titolo “Cyberware”: Molly Million di pho3nix-bf; l’immagine del capitolo “Benvenuto nel cyberspazio”: AcidBurn Vision of CyberSpace di Ilaria “Haruka” Di Camillo - the use in TdC is authorized by the authors -

GABRIELE “IXION” FILIPPI GDR: CYBERPUNK 2020

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Antonius Block: “Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli. Lo chiamo nelle tenebre, ma a volte è come se non esistesse.” La Morte: “Forse non esiste.” Antonius Block: “Allora la vita è un assurdo errore. Nessuno può vivere con la Morte davanti agli occhi sapendo che tutto è nulla.” da Il Settimo Sigillo 1957

Filmografia The Return of the Dancing Master (2004 tv) - Elsa Berggren The Lost Prince (2003 tv) - Regina Alexandra Elina - Som om jag inte fanns (2002) - Tora Holm Anna (2000/I) - Annas Mor Det blir aldrig som man tänkt sig (2000) - Solveig Olsson Längtans blåa blomma (1998 tv) - Mrs. Tidrén Drømspel (1994) - Victoria Il Sogno della farfalla (1994) - Madre Blank päls och starka tassar (1992 tv) - Birgitta Thorell Till Julia (1991 tv) - Gloria Haute tension - Secret de famille (1990 tv) Fordringsägare (1988) - Tekla Måsen (1988 tv) - Arkadina Babettes gæstebud (1987) Svart gryning (1987) - Marie-Louise Wallén Pobre mariposa (1986) - Gertrud Huomenna (1986) - Cantante Wallenberg: A Hero’s Story (1985 tv) - Maj von Dardel Sista leken (1984) - Moglie di Viktor Berget på månens baksida (1983) - Ann-Charlotte Leffler Svarta fåglar (1983) - Simone Cambral Exposed (1983) - Margaret Savannen (1983 tv) - Lydia Linje lusta (1981 tv) - Blanch DuBois Jag rodnar (1981) - Siv Andersson L’Oiseau bleu (1981 tv) - La Lumière Marmeladupproret (1980) - Anna-Berit Barnförbjudet (1979) - La Madre The Concorde: Airport ‘79 (1979) - Francine Twee vrouwen (1979) - Laura Quintet (1979) - Ambrosia

Fonte: Internet Movie Database www.imdb.com L’Amour en question (1978) - Catherine Dumais An Enemy of the People (1978) - Catherine Stockmann I Never Promised You a Rose Garden (1977) - Dr. Fried En Dåres försvarstal (1976 tv) - Siri von Essen Il pleut sur Santiago (1976) - Monique Calvé Germicide (1976) - Patricia Tauling After the Fall (1974 tv) - Holga La Rivale (1974) - Blanche Huysman Afskedens time (1973) - Elsa Jacobsen Scener ur ett äktenskap (1973) - Katarina Makt på spel (1973 tv) Chelovek s drugoy storony (1972) - Britt Stagnelius Beröringen (1971) - Karin Vergerus Storia di una donna (1970) - Karin Ullman The Kremlin Letter (1970) - Erika (Beck) Kosnov, Prostituta/Moglie di Kosnov Fröken Julie (1969 tv) - Julie En Passion (1969) - Eva Vergerus Tænk på et tal (1969) - Jane Merrild Svarta palmkronor (1968) - Elin Pappila Flickorna (1968) - Liz Lindstrand Le Viol (1968) - Marianne Severin Violenza al sole (1968) - Margit Lindmark Trettondagsafton (1967 tv) - Viola Scusi, lei è favorevole o contrario? (1967) - Ingrid Persona (1966) - Alma Duel at Diablo (1966) - Ellen Grange Syskonbädd 1782 (1966) - Charlotte O lyubvi (1966) Ön (1966) - Marianne Juninatt (1965) - Britt

För att inte tala om alla dessa kvinnor (1964) - Humlan Kort är sommaren (1962) - Edvarda Älskarinnan (1962) - The Girl Ljuva ungdomstid (1961 tv) - Muriel McComber, la figlia di David Lustgården (1961) - Anna, la figlia di Fanny Det låter som ett hjärta (1961 tv) - Mia Karneval (1961) - Monika Square of Violence (1961) - Maria Djävulens öga (1960) - Britt-Marie Bröllopsdagen (1960) - Sylvia Blom Kära leken, Den (1959) - Lena Lilith (1959 tv) - Una figlia di Tailor Ansiktet (1958) - Sara Rabies (1958 tv) - Eivor Nära livet (1958) - Hjördis Petterson Du är mitt äventyr (1958) - Christina Blom Smultronstället (1957) - Sara Sommarnöje sökes (1957) - Mona Dahlström Herr Sleeman kommer (1957 tv) - Anne-Marie Det Sjunde inseglet (1957) - Mia Sista paret ut (1956) - Kerstin Egen ingång (1956) - Karin Johansson Sommarnattens leende (1955) - Attrice Flickan i regnet (1955) - Lilly En Natt på Glimmingehus (1954) - Maj Månsson Herr Arnes penningar (1954) - Berghild Dum-Bom (1953) - Elvira Vingslag i natten (1953) - Studentessa al party di Tornelius Ubåt 39 (1952) (uncredited) - Ragazza sul treno Fröken Julie (1951) (uncredited) - Ballerina


Bibi Andersson


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Cavalleria Medievale parte II

Le origini (secoli X e XI) I Un altro mondo

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a parabola di quella particolare categoria di combattenti che va comunemente sotto il nome di “cavalleria medievale” o che – con maggior precisione – potremmo definire “cavalleria di rito”, ha inizio durante il IX secolo in quell’area del mondo che era la parte occidentale della cristianità, soprattutto nel Regnum fondato da Carlo Magno re del popolo franco. Fu nei capitolari1 di re Carlo e dei regnanti suoi discendenti che si cominciò a richiedere che i convocati nelle grandi adunanze dell’esercito, si presentassero già dotati di cavallo e di una corazza più pesante di quella in uso precedentemente. Ciò per meglio sostenere le spedizioni militari che si spinsero sino al regno degli Avari – popolazione che occupava territori fra l’odierna Croazia orientale e l’Ungheria – e contrastare le incursioni di Saraceni e Normanni che compivano veloci attacchi e fughe. L’Europa Occidentale, allora, era un luogo molto diverso da quello che conosciamo oggi, con una società votata esclusivamente all’agricoltura, e la proprietà terriera come unica forma di ricchezAGOSTINO CORNACCHINI, Statua Equestre di Carlo Magno, bronzo, 1725, Basilica di San Pietro, Roma

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za. La popolazione si distingueva principalmente fra uomini liberi e servi, fra potentes e humiliores. Metodi di lavorazione della terra (come la rotazione triennale delle coltivazioni e l’uso dell’aratro pesante, il recupero del mulino ad acqua ecc.) si stavano diffondendo in quegli anni. Diverso era il modo di combattere rispetto alla piena età imperiale e al periodo immediatamente successivo a questa. Era un’epoca in cui interi popoli si scontravano in campo aperto, e le sorti di un regno venivano spesso decise da una sola, grande, battaglia; si combatteva principalmente a piedi e con metodi che ricordavano le tecniche di combattimento romane, soprattutto per la preminente importanza che ancora aveva la fanteria sulla cavalleria. Pare che la vittoria ottenuta da Carlo Martello sui saraceni (montati a cavallo) venne determinata dalla saldezza dei quadrati di fanteria contro cui gli assalti dei cavalieri musulmani si rivelarono impotenti. La staffa in metallo si stava diffondendo a macchia di leopardo, ma

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RAFFAELLO SANZIO, affresco, Incontre tra Leone il Grande e Attila, 1514, Stanza di Elidoro, Palazzi Pontifici, Roma non è certo ad essa – come a volte ancora capita invece di sentir dire – che si doveva il gran numero di vittorie ottenute dagli eserciti guidati da Carlo Magno. La Cristianità – nonostante scossoni e dispute interne – non aveva ancora conosciuto scismi permanenti e già erano sorti i primi monasteri (la regola monastica più famosa che ci proviene da quei tempi è quella fondata da San Benedetto da Norcia). Si credeva che i monaci, che si definivano “milites Christi” (milizia di Cristo, in conCapitolare/i: con questo termine gli storici designano tutti i provvedimenti di carattere normativo e legislativo emanati dai sovrani franchi. Erano editti, prescrizioni, ordinanze organizzati appunto per capitoli. 1

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FANTASY trapposizione netta ai guerrieri laici, i quali, agli ordini di un re o di un signore, facevano scorrere il sangue d’altri cristiani) lottassero contro le forze oscure del maligno, e le loro preghiere fossero rivolte alla salvezza delle anime della comunità, che ricambiava offrendo donazioni, soprattutto in terra. Era pertanto un segno di favore popolare, e di buona fama, la ricchezza di cui potevano godere alcuni conventi di quei tempi. Il commercio per mare e a lungo raggio era condotto solo dai Bizantini o dalle comunità ebraiche. Non si erano ancora verificati fenomeni socio-economici caratteristici della società altomedievale, come l’incastellamento, (diffuso in vaste aree dell’Europa Occidentale); le città, seppur mai abbandonate del tutto (particolarmente in Italia e nella Francia mediterranea) erano sottopopolate, tanto che spesso le antiche mura romane (in rovina) racchiudevano case abitate e campi coltivati, pascoli per il bestiame in mezzo ai quali si ergevano come scheletri incomprensibili e misteriosi i resti monumentali della precedente civiltà roma-

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na. Nelle campagne erano diffuse le curtis (dirette discendenti delle villae romane) che erano la base della grande proprietà agricola dell’epoca. Circolava un’unica moneta, che manteneva il nome datole dal suo ideatore (Costantino I), il “Solidus” (da cui vengono a noi termini come “soldo”, “soldato”, “soldataglia” ed altri), moneta di metallo la cui svalutazione era visibilmente percepibile, poiché col passaggio di mano in mano diminuiva di peso e dimensione. Lo stato era il Regnum unificato nella persona di Carlo Magno (già divisosi in più regna con i suoi primi discendenti), suddiviso in comitati (le contee erano ancora di là dal venire) retti da comiti, ufficiali regi che riunivano in sé le funzioni civili e militari ed erano chiamati a collaborare strettamente con la locale autorità ecclesiastica. I comiti erano legati al re tramite il vincolo del vasArazzo di Bayeux (particolari), IX secolo, Museo della Regina Matilde, Bayeux. FONTE: http://rubens.anu.edu.au

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Cavalleria Medievale sallaggio2. Il comite di un’area era scelto all’interno di essa, fra i principali proprietari terrieri, e gli veniva concesso un certo quantitativo di terre come retribuzione, detta beneficium. È proprio con Carlo Magno che si associò più frequentemente un beneficium ad un atto di vassallaggio, che serviva anche al comite stesso per vincolare a sé i personaggi più influenti del comitatus e crearsi a sua volta una clientela a lui legata da giuramenti di “retrovassallaggio” (termine più preciso della vecchia distinzione fra “vassalli, valvassini e valvassori”). In breve la società era connessa insieme da questo collante: si era tutti asserviti a qualcun altro di più potente (il patronus della tradizione tardoromana), in una gerarchia sociale che conosceva sia legami dall’alto in basso (fra signore e vassallo) che orizzontale (cioè fra compagni di un signore). Grazie al sistema del vassallaggio, si affermò un nuovo ordine sociale in cui le posizioni gerarchiche erano legittimate dai giuramenti, che si svolgevano con tempi e modi sicuramente più

spicci di quelli che si affermeranno nei secoli XII e XIII, ma già formalmente suggestivi e carichi di pathos. Va comunque precisato che per i comites il maggiore deterrente a tutela degli impegni presi nei confronti del monarca, nonché il vero elemento di coesione sociale fra i clienti del re – e la cosa è ovviamente estensibile a tutti i legami di questo tipo – non era rappresentato solo dal rispetto e timore reverenziale verso la promessa e la parola data, ma anche dal tornaconto privato. Non esisteva ancora una nobiltà come classe sociale, bensì una singola persona – un potente – poteva essere definita nelle cronache dell’epoca “nobiles” per temperamento, atti, meriti morali… Vassallaggio: tipo di clientela armata utilizzato da Franchi (i Longobardi avevano qualcosa di simile nella figura del Gasindi) fin dal loro primo insediarsi in Gallia. In queste clientele confluiscono la tradizione romana dei guerrieri privati (buccellarii; buccella è la galletta) e quella germanica del comitatus in cui i comiti combattono volontariamente per un capo. 2

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E, ovviamente, non esisteva ancora una cavalleria di rito. Questo dunque era il mondo che divenne teatro dell’aggressione da parte di “nuovi” popoli: Saraceni, Normanni ed Ungari.

(ma colpirono, durante il secolo IX, anche a Luni e a Pisa!), per poi insediarsi stabilmente in Irlanda, Scozia, Islanda, Groenlandia e Normandia. Come i Saraceni, questo popolo non era cristiano e prendeva di mira facilmente i ricchi, isolati e, a quel tempo, spesso poco difesi monasteri, procurandosi la tetra fama data loro dai cronisti del tempo (che II erano tutti ecclesiastici). Al primo periodo di saccheggi e predazioni veloci, seguì il lento insediaSecolo X mento dei Normanni in alcune zone dell’odierna La chiave ungara Normandia, sotto la guida di un loro capo, Hrolfr, che occupò Rouen e in seguito si convertì conve3 Saraceni occupavano dall’anno 711 la gran nientemente al Cristianesimo, assumendo il nome parte della penisola iberica e, sebbene bloccati latinizzato di Rollone. dai sovrani carolingi nella loro avanzata via terMentre accadevano questi fatti, il capo del ra fra Aquitania e Catalogna, dal IX secolo essi rinnovarono l’assalto all’Occidente ma optando “nuovo” popolo ungaro, Arpad, guidava i suoi per nuove tattiche: bande di predoni – che inizial- nella penisola Pannonica, usata come base da cui mente operavano senza l’appoggio delle grandi portare attacchi nei territori circostanti. formazioni politiche musulmane – arrivavano dal Pare che gli Ungari, sicuramente grandi commare, sbarcando nelle vicinanze di un obiettivo da battenti a cavallo6, discendessero da una mescorazziare rapidamente per poi darsi alla fuga (così lanza di popoli slavi ed ugro-finnici, oltre che fu clamorosamente saccheggiata, nell’anno 846, dagli Avari, discendenti dei temuti Unni (stando almeno alla testimonianza del cronista longobarla basilica di S. Pietro). Cominciarono ad occupare la Sicilia (conqui- do Paolo Diacono), il cui nucleo originario provesta completata nel 902 con la presa dell’ultima niva probabilmente dal medio corso del Volga. roccaforte bizantina sull’isola, in Tauromenion/ Prime sporadiche incursioni di Ungari in terTaormina), e crearono delle vere e proprie domi- ritorio carolingio risalgono all’anno 862, quannazioni politiche anche in altre zone dell’Italia do questo popolo – allora ignoto agli occidentali meridionale, come gli emirati di Bari e di Taranto4, – dimorava ancora oltre il fiume Dnepr. Ma l’inda cui partirono per nuovi attacchi in territori an- tensificarsi degli attacchi si ebbe solo dopo che cora più interni d’Europa. Si tenga presente che i alcune loro bande vennero arruolate come merceSaraceni arrivarono persino nell’attuale Svizzera! nari per la guerra che oppose Arnolfo di Corinzia I Normanni5 depredarono, incendiarono e (colui che nell’887 aveva costretto all’abdicaziocommerciarono con le coste del Mare del Nord ne Carlo il Grosso, l’ultimo discendente diretto di

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Nome con cui sono indicati generalmente i popoli di varia origine etnica situati lungo le coste e le isole del Mediterraneo, accomunati dalla conversione all’Islam. 4 Formazioni di breve durata, dall’840 all’871 la seconda e dall’847 all’871 la prima. 5 Termine con cui i cronisti del tempo indicavano predatori scandinavi provenienti principalmente dalla Danimarca e dalla Norvegia; voleva dire “Uomini del 3

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Nord”, e le fonti di origine inglesi e frisone li indicano col nome di “Vichinghi”, cioè “pirati”. 6 Non per niente, durante l’invasione che l’Europa orientale subì da parte della potenza mongola (il cui esercito aveva schiacciato la Cina settentrionale ed aveva sconfitto il fior fiore della cavalleria occidentale), i generali invasori si preoccupavano principalmente – e forse unicamente – di abbattere i cavalieri del re ungherese Bela IV.

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Carlo Magno) al Re di Moravia; fu in questa occasione che gli Ungari poterono conoscere le ricchezze d’Occidente e valutare forza e debolezza degli abitanti dei territori che avrebbero in seguito depredato. Nell’anno 898 (oramai pratici delle tecniche di combattimento usate nel Regnum) piombarono nella Pianura Padana con un esercito di cavalleggeri organizzati ed armati come quelli dei popoli delle steppe, temibili arcieri a cavallo che puntavano tutto sulla loro grande mobilità e sull’effetto sorpresa. Allora l’Italia centro-settentrionale aveva un suo re, Berengario I, che provò ad affrontare questi sconosciuti invasori con un esercito (probabilmente composto in gran parte da fanti, che si spostavano verso il campo di battaglia a cavallo per poi combattere a piedi), incontrando però una disastrosa sconfitta lungo il corso del fiume Brenta. In seguito a questa vittoria, gli Ungari distrus-

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MIHÁLY MUNKÁCSY, dettaglio di re Arpad, Honfoglalás, olio su tela, 1893, Parlamento, Budapest sero e depredarono il monastero di Nonantola e scorrazzarono liberamente per la Pianura Padana, disperdendosi in piccoli gruppi, cavalcando velocemente da un punto all’altro, razziando luoghi poco o per nulla difesi, spargendo terrore e lasciando l’impressione di essere in numero ben maggiore di quanto in effetti non furono. Re Berengario, sopravvissuto alla battaglia e ritenendosi incapace di debellarli con la forza, pensò bene di arruolarli come mercenari per impiegarli nelle sue lotte per il trono (la corona d’Italia fu molto contesa e non rimase mai a lungo nelle mani di un singolo regnante, almeno sino alla venuta di Ottone I). Il raggio d’azione delle incursioni ungare, durate una cinquantina d’anni, si allargò a dismi-

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ÁRPÁD FESZTY, Conquista (dettaglio Principe Arpád e i suoi ufficiali), dipinto panoramico, National Historical Memorial Site, Ópusztaszer sura. Le cronache del tempo riportano attacchi di cavalieri magiari in Campania, come in Francia settentrionale e lungo i Pirenei! All’anno 900 risale una vittoria navale di Pietro Tribuno, uno dei primi dogi veneziani di cui si abbia notizia, riportata contro una flotta di Ungari, spintisi persino sul mare! Il loro caso offre la possibilità di mostrare la debolezza del sistema politico e militare europeo rispetto alla sfida costituita dai nuovi popoli che si approcciavano all’Europa in modo così virulento. Politicamente l’Europa tutta era impegnata in lotte intestine in cui la grande aristocrazia cercava di strappare pezzi più o meno grossi di terri-

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torio ad un controllo centrale. In questo tentativo coinvolgevano l’intera società di allora, legata da rapporti di vassallaggio; il signore si affidava alla propria clientela armata che combatteva con e per lui: i grandi vassalli che impiegavano in battaglia il proprio comitatus di leali di minor lignaggio, e questi ultimi a loro volta andavano in battaglia assistiti e scortati da un gruppo di uomini a loro fedeli. Presto l’esempio dei “grandi” del Regnum fu imitato in contesti sempre più locali, in tutto il territorio. Gli ufficiali regi cercavano di strappare gli attributi e i privilegi della loro carica al governante, e patrimonializzarli rendendoli ereditari; contemporaneamente anche i grandi proprietari terrieri (i “ricchi” del tempo), senza alcun legame con l’apparato statale, cominciavano a pretendere di esercitare diritti e autorità “statale” nei loro territori. Questi signori, continuamente bisognosi

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Cavalleria Medievale di terre e ricchezze da elargire ai propri uomini in cambio del loro servizio armato, si spinsero a strappare terre anche alle chiese e ai monasteri. Per ostacolare l’aggressività centrifuga dei signori locali, i regnanti del X secolo cominciarono ad affidare ai monasteri e vescovati più importanti delle “immunità”7, la base per la formazione di future signorie locali ecclesiastiche. Si venne così a creare una diffusione dei conflitti che mobilitava tutti gli strati sociali, determinando una grande occasione di “elevazione sociale tramite la guerra”. Contemporaneamente mutarono le esigenze belliche. Le incursioni di Saraceni, Ungari e Normanni dimostrarono l’inadeguatezza dei vecchi istituti militari e l’importanza della cavalleria, la quale divenne l’élite (anche a causa del costo d’acquisto/mantenimento dei cavalli e delle armi del mestiere) e il perno delle nuove formazioni marziali. Portatori di quella mentalità di popolo a cavallo nato nelle steppe, imperversando come predoni e mercenari in mezza Europa, è possibile che siano stati proprio gli Ungari a trasmettere (o “ricordare”) ai cavallerizzi occidentali quei valori d’amore per la forza, per l’estetica degli atti, per il coraggio e l’avventura? Secondo lo storico Franco Cardini, Istituto creato dai sovrani merovingi (i primi del popolo franco dall’insediamento oltre il Reno). Dapprima volto alla tutela degli enti ecclesiastici, con i sovrani carolingi divenne poi anche strumento di loro potenziamento. Si tratta di un privilegio concesso ad un ecclesiastico come ad un laico per tutelare i suoi beni immobiliari. L’immunità vieta l’ingresso di funzionari pubblici nelle terre del tutelato, poiché poste sotto la diretta tutela del re. L’immunità contribuisce al definirsi di una sorta d’isole giurisdizionali. E rappresenta un modello di costituzione di una signoria territoriale circoscritta ed omogenea, sgombra da competitori. 7

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ÁRPÁD FESZTY Cavaliere ungaro, pastello, Museo di Storia Militare, Budapest questo merito dovrebbe essere ascritto ai popoli germanici che migrarono nei territori dell’antico Impero Romano d’Occidente, i quali a loro volta avevano appreso tale patrimonio di valori da Unni, Alani ed in genere dai popoli delle steppe che prima di loro avevano migrato verso ovest. Ma allora come spiegare il ritardo con cui i combattenti a cavallo cominciarono quel cammi-

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HARMENSZOON VAN RIJN REMBRANDT, Cavaliere polacco, olio su tela, Collezione Frick, New York no che li porterà a divenire la famosa “cavalleria di rito”, rispetto alle migrazioni dei popoli germanici in occidente risalente a secoli V e VI? In ogni caso, con la seconda metà del X secolo si esaurirono man mano le incursioni di Normanni, Saraceni ed Ungari, ma non le ferventi trasformazioni della società che anticipano fenomeni come “il risveglio delle città”. I primi grandi casati discendenti da originari

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ufficiali regi consolidarono le proprie basi di potere locale, favorendo un moto emulativo che, coinvolgendo casati di minore lignaggio, porterà alla formazione di una “nobiltà” ramificata capace di vantare il controllo giuridico-economico diretto nei propri territori. Le comunità contadine non avevano ancora finito di esalare un sospiro di sollievo per le cessate incursioni, che si trovarono costrette ad assoggettarsi al potere sempre più sfrenato dei signorotti locali, pur di difendersi dalle loro angherie. La forza bruta e smodata non rappresentava da sola un valido strumento per mantenere il potere a lungo: i nuovi signori feudali necessitavano di una

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Cavalleria Medievale ratificazione formale, con la quale avallare i provilegi accumulati, consolidare le proprie conquiste e accattivarsi in parte il favore della popolazione sottomessa. Tale legittimazione morale fu ottenuta a fronte di laute donazioni agli enti ecclesiastici, in gran parte devolute alla promozione e fondazione di interi monasteri, nei quali, per scongiurare la dispersione dei beni e dei diritti precedentemente acquisiti, i nobili feudatari, dai più potenti ai meno, pensarono bene di immettere i propri figli. Ciò portò a un controllo sull’elezione di vescovi ed abati da parte delle famiglie aristocratiche, il potere delle quali arrivò persino ad influenzare pesantemente l’elezione papale, che divenne una lotta di potere interno al patriziato romano, almeno sino all’intervento dell’imperatore germanico Enrico III (che nel 1046 destituì a Sutri tre papi eletti nello stesso periodo ed impegnati in una lotta intestina con tanto di scomuniche reciproche). Intanto, gli specialisti della guerra a cavallo si sentirono autorizzati ad attaccare e depredare anche le comunità che, teoricamente, avrebbero dovuto proteggere. Il clima di grande insicurezza spinse la Chiesa (anch’essa colpita nei propri possedimenti materiali) a chiedere sempre più insistentemente una “regolamentazione della violenza”: alla fine di questo secolo si cominciò a parlare di “Paci di Dio” e le cronache iniziarono ad annoverare le gesta di “nobili guerrieri”, esaltando quelle poche figure di combattenti che si comportavano in modo morigerato e “giusto” nell’esercizio della violenza. Stava prendendo forma quel modello di “pio cavaliere, difensore dei poveri, delle vedove, degli orfani e dei chierici” che tanta fama otterrà in seguito.

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EUGÈNE DELACROIX, Attila e le sue orde in Italia (dettaglio), olio e cera su intonaco, Bibiolteca di Palazzo Bourbon, Parigi

III Secolo XI L’affermazione di un nuovo ordine

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l 10 agosto 955, a Lechfeld (vicino Augusta), gli Ungari furono sconfitti dall’imperatore Ottone I. Prima ancora (forse nel 937) un contingente di Ungari, spintisi a depredare Roma e più a sud anche la Campania, durante il percorso di ritorno lungo l’Appennino – appesantiti dal botti-

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quista, da parte di Ottone I, della corona d’Italia, ma non si tradusse in una maggiore presenza di un potere centrale nella nostra penisola, nemmeno in quei territori centro-settentrionali che erano stati il Regno d’Italia sotto i Longobardi prima e i Franchi dopo. La dinastia degli Ottonidi non poté fare nulla di più che tentare di limitare il potere dei signori locali attraverso la concessione di immunità a potenti vescovadi o monasteri situati nello stesso territorio di pertinenza dell’ufficiale regio. Ma i re Ottonidi (e gl’imperatori germanici che li seguirono) si trovarono sovente impotenti di fronte agli atti d’insubordinazione e alle pretese dei nobili feudatari, sempre più riottosi ed esigenti; quando il resto dei vassalli gilelo consentivano, potevano sì tentare una dimostrazione di forza scendendo in guerra contro i ribelli, ma i risultati non sempre erano apprezzabili. Tutto ciò contribuì a favorire la nascita dei particolarismi locali, e i Comuni affacciatisi lungo gli approdi delle rotte navali per Bisanzio (il mercato più ricco e lo stato più progredito di quel tempo), cominciarono ad acquisire spazi di sempre maggiore autonomia. Già dalla fine del X secolo le città dell’alto Tirreno, insieme con altre, poste più ad occidente (come ad esempio Marsiglia) si allearono assieme Antico Gallo. per organizzare flotte che difendessero le proprie Illustrazione di A. DE NEUVILLE, pag. 66 vol. I, coste dalle incursioni saracene, anche se nell’ar“A Popular History of France From The Earliest co di poco tempo le città passarono dalla difesa Times” FRANCOIS PIERRE GUILLAUME GUIZOT. all’attacco. Il saccheggio di Palermo (1064) – allora città no e forse troppo sicuri di sé – furono sorpresi in ancora in mano agli Arabi – fornirà i mezzi per una stretta gola dagli abitanti della Marsica, che iniziare la costruzione di una nuova cattedrale a inflissero loro una severa punizione. Se ce ne fos- Pisa, quella che tuttora viene ammirata e visitata se ancora bisogno, ecco un altro e precoce caso da milioni di turisti. in cui uomini appiedati poterono sconfiggere dei Attraverso le immunità concesse ai propri veguerrieri montati a cavallo. scovi, diversi comuni cittadini cominciarono a La vittoria del 955 favorì sicuramente la con- svincolarsi da tutele esterne e a fare politica auto-

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Cavalleria Medievale noma a raggio sempre più ampio. Alla fine dell’XI secolo, città come Genova, Pisa e Venezia, già indipendenti e vitali, pronte e preparate ad assumere un ruolo di primo piano nell’allora centrale scacchiere mediterraneo, furono allettate dalle molteplici possibilità di bottino che la Terrasanta offriva agli aggressori crociati. In altre realtà geografiche, come la Francia, la Germania, ma anche nelle numerose zone d’Italia lontane dalle coste e dalle rotte commerciali – e dai comuni che si andavano sviluppando come centri nevralgici delle stesse – l’aristocrazia affermò il proprio Ordine Signorile, in cui ogni signore era re della propria terra. In realtà, la distribuzione dei poteri e delle prerogative era più articolata e complessa di quanto siamo soliti immaginare, ma qui basti dire che – legittimamente o meno – nuovi casati signorili avevano saldamente conquistato il potere giudiziario e politico-fiscale, esercitando quello di amministrare la giustizia, convocare gli uomini abili alle armi e tassare gli abitanti delle zone dove riuscivano a imporre la propria influenza. In tale contesto si colloca il ruolo importantissimo assolto dalle compagnie di armati, che circondavano piccoli e grandi signori: sono costoro i milites che nel secolo successivo cominceranno ad essere chiamati nelle cronache col titolo di chevalier. Essi sono stati il braccio armato e la leva con cui i poteri intermedi riuscirono a scardinare il vecchio sistema statale ed acquisire nuovi terreni, se non addirittura diritti signorili. Se la costruzione di pievi o monasteri costituì uno stratagemma di legittimazione del potere, si rivelò essere uno strumento parimenti efficace – oltreché nuovo pretesto per imporre corvèes (prestazioni gratuite) agli abitanti dei territori limitrofi – anche la costruzione di castelli, in cui potevano risiedere i signori con i loro fedeli e i

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Gli Unni alla Battaglia di Chalons. Illustrazione di A. DE NEUVILLE, pag. 135 vol. I, “A Popular History of France From The Earliest Times” FRANCOIS PIERRE GUILLAUME GUIZOT. servi alle dirette dipendenze (cioè alle dipendenze del mansio – da cui deriva il termine di masnada). Castelli cominciarono a sorgere anche vicino alle foreste – che venivano abbattute per fare sempre più spazio ai nuovi campi – o a quei luoghi più rocciosi che le nuove tecniche produttive in agri-

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I Normanni alle porte di Parigi. Illustrazione di A. DE NEUVILLE, pag. 260 vol. I, “A Popular History of France From The Earliest Times” FRANCOIS PIERRE GUILLAUME GUIZOT. coltura rendevano coltivabili. Si costruirono luoghi fortificati vicino ai ponti, o lungo strade trafficate, che furono utilizzati non come abitazioni signorili, bensì come luoghi di pedaggio costruiti per conto dei rappresentanti della corona, oppure da parte di potenti privati, comunità ed ecclesiastici.

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Già dal secolo X e più ancora nell’XI l’insistenza del potere ecclesiastico nel controllo e nella riduzione delle violenze generalizzate tentava di fornire un ideale di condotta di vita ai milites ed ai signori loro committenti, allo scopo di aggiungere, ai già presenti e citati valori guerreschi, anche altri principi di stampo morale, come quello di difendere le vedove, gli orfani, i poveri e gli ecclesiastici. Quanto abbiano avuto successo questi tentativi di formare e forgiare lo spirito morale della cavalleria non è dato sapere: a noi sono rimasti esclusivamente i modelli di indottrinamento che la Chiesa cercò loro d’imporre. Intanto durante l’XI secolo inizia la produzione della letteratura cavalleresca con la composizione della Chanson de Rolànd, che sarà la prima delle Chansons de Gèste. La letteratura cavalleresca – prodotta da e per la nuova classe di potenti e i loro militi, i cavalieri – mirava a dilettare e a formare una coscienza di classe alternativa, separata e migliore di quel mondo contadino da cui, solo un secolo prima, i guerrieri a cavallo provenivano. Da notare, infatti, che coevi alle produzioni cavalleresche ed altrettanto diffusi, furono i componimenti contro i “rustici”, che venivano descritti come dei pagani semi selvaggi, esseri bestiali e rozzi, nel migliore dei casi persone dedite unicamente al lavoro. Tali generi letterari nacquero con l’intento di propagandare il nuovo modello sociale, riassunto con la famigerata triade Oratores, Bellatores, Laboratores, in base alla quale i figli di coloro che non erano riusciti ad elevarsi socialmente nei secoli precedenti come gli altri – attraverso la rapina, l’estorsione e la violenta usurpazione di terre altrui – erano rimasti contadini. A queste produzioni letterarie non erano alieni (anzi) quegli ecclesiastici di famiglia nobile che condividevano con i propri parenti laici la commistione di ideali

Storia Cavalleria Medievale


Cavalleria Medievale e le ambizioni. La società che aveva preceduto il mutamento avviatosi nel corso del secolo X non prevedeva simili aree di privilegio. V’era invece un legame fra i sovrani e la popolazione di piccoli proprietari terrieri, detti i liberi del Re (nell’Italia longobarda erano chiamati Arimanni), che costituivano il nerbo dell’esercito, e gli ufficiali regi non possedevano titoli (con le proprietà ed i poteri connessi) per tutta la vita né potevano trasmetterli in eredità. Come abbiamo visto, gli eventi successivi alla formazione del Regnum fondato da Carlo Magno portarono ad un nuovo assetto sociale, in cui spina dorsale dell’esercito divennero quelle élite che potevano permettersi di partecipare a lunghe campagne militari lontani dai campi, che potevano permettersi un cavallo, armi ed una corazza migliore. Lo stato giuridico dei contadini liberi decrebbe sino a confondersi (ma non ad identificarsi) con quello servile. Nell’XI secolo gli ambienti aristocratici potevano anche formulare la loro tripartizione in “Oratores, Bellatores et Laboratores”, ciò non implica però che i diretti interessati – la maggior parte della popolazione, i Laboratores – accettassero di buon grado questi cambiamenti. A tal proposito ed a titolo esemplificativo, si riporta di seguito una preghiera del XV secolo: “Ab insidiis diaboli et signoria de villano/ Et a furore rusticorum libera nos Domine”.

Cerimoniale dell’Investitura. Illustrazione di A. DE NEUVILLE, pag. 324 vol. I, “A Popular History of France From The Earliest Times” FRANCOIS PIERRE GUILLAUME GUIZOT.

Così i militi, prima ancora di essere definiti chevalièr nelle cronache documentarie del secolo XII, si riunirono attorno ai signori in cerca di occasioni d’elevazione sociale. Udirono la Chansons de Rolànd coloro che si preparavano alla spedizione del duca normanno, Guglielmo il Bastardo, nel regno degli Angli. Quegli uomini combatte-

vano a cavallo con lance, un’armatura a maglie e un armamento non dissimili da quelli dei fanti. Potevano portare lunghi scudi, atti a coprire interamente un fianco, ma che impacciavano i movimenti. In battaglia, ancora ad Hastings (1066), si comportarono più o meno come dei fanti che combattevano a cavallo, tranne per la lancia tenuta

Storia Cavalleria Medievale

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FANTASY

Storia e cultura

arruolare in una cerchia come vassalli di un signore o come mercenari partecipavano ai cicli di giostre che si tenevano un po’ ovunque a quei tempi. Nell’XI secolo – e sino al XIV – i tornei erano delle vere e proprie simulazioni di guerra, in cui fanteria e cavalleria si esercitavano insieme in scontri campali, imboscate, ritirate, assalti, assedi, simili agli odierni grandi raduni di gdrv8. Durante questi eventi, peraltro notevolmente rischiosi, si formavano legami fra cavalieri e signori, fra cavalieri di una regione geografica e quelli di un’altra, anche distante o tradizionalmente ostile. Fu in queste prime giostre che cominciò a crearsi quello spirito di corpo, o di casta se vogliamo, che porterà in seguito a risparmiare la vita dei cavalieri e dei nobili catturati durante i veri scontri armati, preferendo la richiesta di un riscatto alla deliberata uccisione. Non così fortunati saranno i semplici fanti provenienti dalle campagne e privi di antenati illustri nel proprio albero genealogico. GdrV: acronimo per Giochi di Ruolo dal Vivo, attività ludica in costume che prevede diverse “ambientazioni”; quelle di stampo Fantasy si richiamano a scenari ispirati al medioevo dell’Europa Occidentale. Durante l’anno vengono organizzati grandi raduni che possono coinvolgere migliaia di appassionati provenienti da diverse nazioni europee. Uno dei primi e più conosciuti di questi raduni è il Gathering organizzato dall’associazione Lorien’s Trust. 8

Guglielmo il Conquistatore. Illustrazione di A. DE NEUVILLE, pag. 357 vol. I, “A Popular History of France From The Earliest Times” FRANCOIS PIERRE GUILLAUME GUIZOT. sotto l’ascella ma priva di qualsiasi meccanismo di blocco (la resta per l’appunto, che comparirà solo successivamente). Già in questi anni i militi che volevano farsi

* FRANCESCO “MUSPELING” COPPOLA

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Storia Cavalleria Medievale


Cavalleria Medievale

BLAIR LEIGHTON, “The Accolade” , olio su tela.

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FANTASY Det Sjunde Inseglet

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“…E quando l’agnello aprì il settimo sigillo, si fece nel cielo un silenzio di circa mezz’ora. E vidi i sette angeli che stavano dinanzi a Dio, e furon loro date sette trombe…” [ Apocalisse di Giovanni]

dei migliori, perchè ad attenderlo sulla spiaggia trova la Morte, che gli comunica di essere venuta a prenderlo: il suo tempo è ormai scaduto. Ma Block sente di avere ancora qualcosa in sospeso, una domanda che smorza la sua fede: esiste davvero un Ente Supremo che dia un senso alla vita? Per guadagnare tempo e cercare la risposta, il ca“… E allora tutti compresero e riconobbero la valiere propone alla Morte un memorabile conpresenza…” fronto a scacchi. La Morte accetta. [E. A. Poe - La Maschera della Morte Rossa] Durante la partita, Block e Jons possono riprendere il viaggio verso il castello del cavaliere, vezia, XIV secolo. Il cavaliere crociato in una terra flagellata dalla pestilenza. Antonius Block torna in patria dopo dieLa Morte li segue, ripresentandosi talvolta ci anni, assieme al suo scudiero Jons che sotto mentite spoglie per carpire a Block le sue lo ha accompagnato in guerra. L’impatto non è prossime mosse. Intanto altri personaggi incrociano i viaggiatori: un pittore che sta eseguendo un affresco sul tema della “Danza Macabra”; una giovane donna accusata di essere la strega responsabile della peste, già torturata da monaci e soldati, e fatta oggetto di riti superstiziosi nell’attesa del rogo; una ragazza muta che Jons salva dall’aggressione del ladro Raval, sciacallo di cadaveri, nel quale Jons stesso riconosce il dotto teologo che, dieci anni prima, aveva convinto il suo padrone a par-

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A sinistra: la Morte si manifesta sulla spiaggia.

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Il Settimo Sigillo A destra, dall’alto: 1) Antonius Block vede l’inquietante figura in nero; 2) inizia la partita a scacchi con la Morte; 3) alla ricerca della fede perduta, nella chiesa del villaggio. tire per le crociate in nome della sacralità dell’impresa; una piccola comitiva di saltimbanchi (Jof e Mia con il loro bimbo, e Skat) la serenità e l’affetto dei quali regalano al cavaliere il suo primo vero momento di pace. E ancora altri personaggi: flagellanti in processione guidati da un sacerdote che pronuncia frasi deliranti sulla fine del mondo; il fabbro Plog e la moglie, che prima lo tradisce con Skat e poi, una volta scoperta, incita il marito ad ucciderlo. Le vicende s’intrecciano, mentre la partita con la Morte prosegue, e il suo prezzo sale: essa avverte il cavaliere che, quando avrà vinto, porterà con sé anche tutti gli altri. Intanto continua a mietere le sue vittime: l’attore Skat, la strega che viene bruciata nella foresta, Raval colpito dalla peste. A questo punto Antonius Block è costretto a piegarsi al proprio destino: desideroso di salvare i suoi nuovi e indifesi amici, distrae per un attimo la temibile avversaria facendo cadere i pezzi dalla scacchiera, e consentendo così a Jof, Mia e il loro bimbo di fuggire e mettersi in salvo. La Morte fa la sua ultima mossa e vince la partita. Ormai al sicuro sulla spiaggia, Jof vede in lontananza Block e i suoi compagni che si allontanano, trascinati dalla nera figura con la falce in un ultimo grottesco ballo verso l’ignoto. ’oscurità. La peste. La paura della morte. Questi sono i fantasmi che aleggiano più o meno realisticamente attorno a quell’età così complessa e piena di contraddizioni indicata come Medio Evo. E probabilmente tali sentimenti hanno permeato a fondo l’animo di coloro che il Medioevo l’hanno vissuto in prima persona: li

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FANTASY

ritroviamo nell’Ankou, la figura scheletrica che danza la farandola sui muri delle chiese, assieme a giovani, vecchi, umili e potenti, a rappresentare nel modo più crudo la paura mai esorcizzata della caducità dell’uomo. O vengono sfogati nei roghi delle streghe, nei cortei dei flagellanti, nelle rappresentazioni popolari in cui la Morte è regina del ballo, nelle Danze Macabre che fioriscono negli spazi consacrati di tutta Europa. E tutto questo sembra confluire in un unico concetto, martellante e onnipresente: “Nessuna carne verrà risparmiata” [Vangelo di Marco - apocrifo] Perché quindi, in pieno neorealismo, questo film così apparentemente anacronistico in cui il senso del concreto scivola nell’allegoria e nel

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simbolismo attraverso il tema del Medio Evo e dei riferimenti biblici all’Apocalisse di Giovanni? Se, nel passato, l’ossessivo memento mori derivava sia spontaneamente dalla precarietà della vita, sia forzatamente dalla Chiesa che tentava di frenare la tendenza emotiva al carpe diem con i registri della paura, nel film di Bergman tutto ciò serve per realizzare una rappresentazione scenica di attori e figuranti che recitano un copione già assegnato da tempo: Il Cavaliere, lo Scudiero, il Giullare, La Strega e la Morte, legati insieme nell’eterno giro intorno alla Scacchiera. E con la scelta di questa ambientazione meta-storica, Bergman vuole esprimere una condizione estremamente moderna e figlia dei nostri tempi: la Fine nel suo senso più totale, non solo la morte dell’uomo, ma quella di Dio. Le note del Dies Irae sfumano su una spiaggia sassosa battuta dalle onde, e una voce fuori campo recita quasi con gentilezza i versi dell’Apocalisse di Giovanni; un falco, immobile come un presaIn alto, da sinistra: 1) lo scudiero Jons e Albertus Pictor davanti all’affresco della danza macabra; 2) il cavaliere Block e la confessione ingannevole; A sinistra: la strega alla gogna nel cortile della chiesa.

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Il Settimo Sigillo A destra dall’alto: 1) Raval, da religioso a saccheggiatore di cadaveri; 2) la rappresentazione dei saltimbanchi Jof, Mia e Skat. gio, sovrasta la figura quasi inanimata del cavaliere Antonius Block, di ritorno dalle Crociate dopo dieci lunghi anni. Lo accompagna il fido scudiero Jons, ma ciò che li accoglie è una terra devastata dalla pestilenza e dall’abbrutimento, in cui povere figure a metà tra il tragico e il grottesco si agitano tra i loro bassi istinti e le loro violente paure. Il film inizia dalla fine di ogni possibile storia. La fine del viaggio dell’eroe che torna a casa, cambiato nel volto e nell’animo, la fine della fede e la fine della sua vita perché chi lo aspetta, su quella spiaggia di un bianco e nero abbagliante, è la Morte. Una morte dall’aspetto quasi clownesco, così diversa dalle raffigurazioni che nel corso del film appaiono ovunque, sui muri delle chiese, nelle maschere dei saltimbanchi, sul volto dei mor-

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ti di peste. E per questo più reale e credibile. La Mietitrice è ironica ed enigmatica nelle sue vesti maschili, si rivela astuta e subdola e non possiede le risposte che il cavaliere cerca, perché questo non è il suo compito. “A me non serve sapere” dice crudelmente, alle ultime angosciose domande che il cavaliere le rivolge. Ed è con la Morte che Antonius Block inizia un’inverosimile partita

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a scacchi, l’ultima disperata richiesta di tempo per dare una risposta al suo interrogativo esistenziale: una prova, tangibile e concreta in tutto l’orrore che ha visto e che ancora lo accompagna, dell’esistenza di Dio. Non c’è paura, ma quasi esaltazione per una sfida che gli permetterà forse di vivere ancora un tempo sufficiente per dare un significato alla

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sua vita e per trovare l’impronta dell’Essere Supremo, in mezzo al disfacimento che lo circonda. Il cavaliere Block e lo scudiero Jons (all’oscuro della sfida del suo padrone ma consapevole dei dubbi che lo tormentano), si incamminano lungo quella che è l’ultima tappa del loro viaggio. Figure speculari una dell’altra, ascetismo e cinico materialismo, si completano a vicenda: da una parte lo scudiero che ride della morte, di Dio e di sé stesso, con un suo codice ironico e discutibile, ma a suo modo generoso e concreto; dall’altra, il cavaliere che sempre più si estrania da ciò che lo circonda, inesorabilmente sprofondato nella sua segreta partita: anche di fronte alla strega, torturata e già persa nella follia della paura, quello che prova è un’ansiosa curiosità. La domanda che le pone è infatti ancora una conferma di ciò che sta cercando, conferma che se non può venire da Dio In alto e a sinistra: I flagellanti, tra follia e martirio.

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stesso, allora venga pure dal Demonio. Questa è l’esigenza primaria del cavaliere, appena temperata dall’orrore compassionevole del supplizio imminente. Attorno a loro si raccoglie un gruppo eterogeneo di personaggi, ciascuno rappresentativo di una debolezza umana: la fanciulla muta salvata da uno stupro, la moglie infedele e il marito sciocco, il teologo delle Crociate divenuto ladro e violento, il pittore che illustra fede e superstizione sui muri di una chiesa deserta. E in tutto questo, la probabile risposta arriverà in modo quasi subliminale, attraverso l’incontro con la famiglia di Saltimbanchi, una sorta di pagana natività, che offre allo spirito esausto del cavaliere un’oasi inaspettata di pace. Non a caso, assieme a questa ingenua Trinità compare sempre, splendente, la luce del sole. La scena, o meglio il rituale, delle “wild strawberries”, in cui tutti consumano nell’erba fragole selvatiche e latte, costituisce una tregua inaspettata e mistica nel vortice degli avvenimenti che corrono verso

la loro conclusione. La prova che il cavaliere insegue si manifesta proprio a chi non la cerca, ma la accetta senza domande: al fanciullesco Jof, l’attore girovago capace di scorgere nel suo quotidiano la presenza sacra della Madre di Dio e quella spaventosa della Morte, riconoscendole per quello che sono. Alla fine, Antonius Block perderà la partita: la nera figura verrà a reclamarlo nel suo castello, trascinando tutti con sé in un’ultima danza quasi felliniana, ma egli farà in tempo a salvare, distraendo la morte per un attimo, la “sacra” famiglia di teatranti, simbolo della superiore valenza dell’amore. E in questo modo, finalmente, darà alla sua vita il senso che mancava. I film di BERGMAN sono impregnati di un’in-

In alto da sinistra: 1) la scena delle fragole, nella pace mistica della luce del sole; 2) Skat e Lisa, il seduttore e l’adultera vengono scoperti. A destra: Plog affronta il rivale nella foresta.

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quietudine metafisica che oltrepassa lo schermo, e si trasmette allo spettatore attraverso il non-colore delle scene, la lentezza dei movimenti, la fissità rassegnata nello sguardo del protagonista che tutto ha visto ma niente ha trovato, la violenza delle emozioni, lo stacco brusco delle immagini che sembrano a volte quadri a sé stanti. Quelle che ci appaiono, sono, fin dall’inizio, delle sequenze forti che vogliono rappresentare simbolicamente, all’interno di un nordico XIV sec., i sigilli apocalittici: la peste, la violenza, la carestia, la fame e l’arroganza del potere attraverso l’evocazione di pitture e colori che spaziano dal sacro al profano. Verosimilmente, l’allusione apocalittica al settimo sigillo, che schiude finalmente i misteri della

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vita e del futuro dell’uomo, nasce dagli sconvolgimenti bellici e post bellici del XX sec. (guerra fredda, incubo nucleare), che tanto hanno segnato le generazioni del secolo scorso. Più che ricostruzione del passato, siamo nell’allegoria, in cui le immagini metaforiche si collegano con quelle fonti ispiratrici che hanno fatto nascere nel regista svedese il desiderio di trasformare in film una sua precedente pièce teatrale (Pittura su Legno), in cui il gioco intellettuale si accosta ad una raffinata poesia dell’immagine e viene sempre e comunque alleggerito da un sottile senso dell’humour. In fin dei conti, l’unico personaggio austero nella sua angoscia è il cavaliere Block (un MAX VON SYDOW ventisettenne quasi inespressivo), mentre gli altri sono beffardi e quasi comici, compresa In alto: 1-2) Jof e Mia assistono al supplizio della strega. A sinistra: ultime mosse, la Morte vince la partita. Pagina a destra, in senso orario: 1) Block e i suoi compagni arrivano al castello dove li accoglie Karin, moglie di Block; 2) gli ultimi istanti::nel silenzio,qualcuno bussa al portone del castello; 3) il gioco è finito, ed e’ la Morte a condurre l’ultima danza.

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Il Settimo Sigillo

la Morte stessa. In questo film non è presente una verità storica, ma una ricerca del senso della vita, attraverso i simboli più significativi di un periodo del nostro passato capace come non altri di rappresentare visivamente e tangibilmente le paure dell’uomo, senza i filtri della ragione e del moderno pudore intellettuale che cerca di allontanare da sé la precarietà dell’esistenza. Girato con mezzi minimi e in soli trenta giorni, questo è probabilmente il film più interessante di Bergman, anche se forse non il migliore: una visione del periodo medievale sicuramente viziata d’errore prospettico, rispetto a quella che è la totale complessità di questo momento storico, e un’impostazione marcatamente teatrale che intreccia un susseguirsi di scene troppo volutamente simboliche e di maniera, in cui i quesiti universali appaiono schematici e carichi di melodramma fino all’eccesso. Un mosaico di frammenti ispirativi quindi, capaci di creare un’atmosfera particolare: in più di un’intervista, il regista stesso li indica nei dipinti di DURER, nella musica dei Carmina Burana di ORFF, nei quadri anticipatamente surrealisti di BRUEGEL evocati nelle ambientazioni del villaggio attraversato da Block, dove si scontrano le insulse battute degli attori girovaghi (l’istinto indomabile della vita) e il delirio della processione di flagellanti (la follia che accompagna la paura della morte). Tuttavia il risultato è una sinfonia forse atonale ma

fluida, dotata di un fascino capace di condurre con forza al finale: qui tutto si ricompone, con ironica allegria, riecheggiando l’esortazione di un antico affresco, “non havire paura a questo ballo venire”. Perché, alla fine, è comunque l’Uomo che vince: “I fantasmi dell’animo” si possono tenere a bada, magari giocando una partita a scacchi.

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CRISTINA “ANJIIN” RISTORI

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FANTASY Max Von Sydow (Antonus Block):

cavaliere senza più fede di ritono dalle Crociate, sfida a scacchi la Morte per guadagnare tempo e risolvere i propri enigmi interiori.

Bengt Ekerot (La Morte):

arbitro della partita e delle vicende narrate. Ironica e subdola, accetta il gioco calandosi nell’intreccio a fianco dei protagonisti.

Bibi Andersson (Mia):

moglie di Jof e attrice; personaggio dolce e solare, attaccata al marito e al figlio. È la sola che sembra capire il dramma di Block.

Åke Fridell (Plog):

fabbro del villaggio; rissoso e sciocco, perdona la moglie per averlo tradito con Skat. Poi insieme a lei si unisce a Block nel viaggio.

Bertil Anderberg (Raval): ex-teologo delle

Crociate, divenuto violento e malvagio. Aggredisce una ragazza muta e incita alla violenza gli avventori della locanda.

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Gunnar Björnstrand (Jöns):

scudiero di Block e suo inseparabile compagno. Ironico e cinico ma capace di atti generosi nei confronti dei deboli.

Erik Strandmark (Jonas Skat):

capo degli attori; inguaribile dongiovanni, simula la propria morte per sfuggire a un marito tradito, ma incontrandola poi davvero.

Nils Poppe (Jof):

attore della compagnia; nella sua semplicità d’animo riesce a percepire le presenze ultraterrene senza però essere mai creduto.

Inga Gill (Lisa Plog):

moglie di Plog, adesca Skat durante la rappresentazione nel villaggio; poi, scoperta, lo rinnega e incita il marito a ucciderlo.

Gunnar Olsson (Albertus Pictor):

figura realmente esistita: è il pittore che affresca la chiesa con le scene macabe della pestilenza.

Cinema: Il Settimo Sigillo


Il Settimo Sigillo Scheda Tecnica Titolo: Tit. originale: Anno: Durata: Paese: Produzione: Distribuzione: Regia, soggetto, sceneggiatura: Fotografia:

IL SETTIMO SIGILLO DET SJUNDE INSEGLET 1957 101 minuti B/N Svezia Allan Ekelund, SVENSK FILMINDUSTRI GLOBE Ingmar Bergman Gunnar Fischer

Musiche: Erik Nordgren Montaggio: Lennart Wallén Scenografia: P.A. Lundgren Costumi: Manne Lindholm

Note:

Vincitore “Premio speciale della Giuria” FESTIVAL DI CANNES 1957 (I. Bergman); vincitore PREMIO CEC 1962 (Spagna), “Mejor Pelìcula Extramiera”; vincitore NASTRO D’ARGENTO 1961 (Italia), “Regista del Miglior Film Straniero” (I.Bergman)

Resto del Cast:

Anders Ek, Siv Aleros, Sten Ardenstam, Harry Asklund, Benkt-Åke Benktsson, Catherine Berg, Lena Bergman, Tor Borong, Gudrun Brost, Bengt Gillberg, Lars Granberg, Gunlög Hagberg, Gun Hammargren, Tor Isedal, Ulf Johansson, Tommy Karlsson, Uno Larsson, Lennart Lilja, Lars Lind, Monica Lindman, Gordon Löwenadler, Mona Malm, Josef Norman, Gösta Prüzelius, Helge Sjökvist, Georg Skarstedt, Ragnar Sörman, Fritjof Tall, Lennart Tollén, Nils Whiten, Caya Wickström, Karl Widh.

Inga Landgré (Karin Block):

moglie di Block, rimasta ad attendere il ritorno del marito nel castello deserto, nonostante la peste abbia fatto fuggire tutti.

Maud Hansson (La Strega):

ritenuta responsabile della pestilenza, viene torturata e poi bruciata sul rogo. Lei stessa, ormai folle, è convinta di essere posseduta.

Gunnel Lindblom (La Muta):

salvata da Jons che la difende dall’aggressione di Raval. Pronuncerà le sue uniche parole nel finale, al cospetto della Morte.

Cinema: Il Settimo Sigillo

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IL 13° GUERRIERO

l tredicesimo guerriero è un film che possiamo definire di avventura. Quando uscì nelle sale ci furono parecchie discussioni sui temi da esso toccati: la storia di un arabo, fine letterato che andava a combattere cannibali nelle fredde lande del Nord Europa, destò qualche perplessità. MICHAEL CRICHTON, per l’occasione co-regista e sceneggiatore, è abbonato a trame di avventura in cui mescola fattori disparati: fantastico, fantascienza, storia.

In questo caso ha cercato di rendere un’ambientazione storica (o quasi). Vista la mancanza di qualsivoglia tipo di magia, razza o pesante distorsione della realtà storica, non si può parlare infatti di fantasy in senso stretto. L’insieme però va decisamente “oltre lo storico”: dev’essere spostato in quella dimensione, quella terra di mezzo che è il mondo dei miti. Come appare chiaro con un po’ di attenzione, il film racconta una fiaba, una saga forse: i guerrieri sono implacabili e coraggiosi, le donne belle e in pericolo, ci sono un Anziano re, più d’una anziana Veggente, nemici misteriosi ed apparentemente invincibili che strisciano nelle ombre (il Male), e sullo sfondo un mondo che cambia e muore. Tutti elementi che caratterizzano più di un mito. I fattori principali non sono quindi quelli di una pellicola storica, ma quelli della fiaba; non sono certa che fosse intenzione dell’autore ricostruire un mito, ma probabilmente è dai miti nordici che ha tratto lo spunto maggiore per la storia. Il messaggio centrale dell’intero film è quello dell’accettazione: accettare il proprio destino (l’esilio cui è costretto l’arabo interpretato da ANTONIO BANDERAS, il sorteggio in cui viene scelto 01) Gli eroi riuniti per la missione 02) L’arrivo nelle terre di Re Hrothgar

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Cinema: Il Tredicesimo Guerriero


IL 13° GUERRIERO per la missione, la continua menzione al gomitolo della vita che prima o poi si esaurisce, senza alternative) ed accettare le diversità perchè uniscano, finché possibile, o rivelino i punti deboli del nemico. C’è un abbozzo di confronto tra i pagani nordici ed il poeta islamico. È la voce dell’arabo che apre e chiude la narrazione, riportando alla futura memoria non solo il suo nome ma anche e soprattutto quello dei suoi compagni. Combatte con loro ed impara ad apprezzarli sia come individui sia per la saggezza ed il valore che possono insegnare, e riporta questi insegnamenti sulla carta, affinché il loro ricordo divenga immortale. Prega per loro il suo Dio, come essi pregheranno per lui i loro. L’ambientazione è ricca di particolari, le ampie viste montane degne di nota come pure i luoghi più ristretti in cui si svolgono le vicende (accampamenti, case e forti; navi). I dialoghi al contrario sono spesso fin troppo semplici; sembrano plasmati della stessa rozza giovialità in cui vengono intinti tutti i personaggi nordici, ma che non si adatta ad ogni situazione. Lo studio dei caratteri pare quasi abbozzato, e anche la caratterizzazione delle tre popolazioni che si incontrano/scontrano è vittima di semplificazioni. Le tribù primitive, adoratori della Madre Terra, vivono come le bestie che si fingono, ma sanno cavalcare e usano il fuoco; oltre a questo sono quasi eccessivamente brutali, rozzi, prevedibili. Come stereotipi non fuggono dallo scontro, perchè sanno solo uccidere o venire sconfitti. I personaggi nordici invece hanno tutti modi diretti. Di carattere nobile ma rozzo, temono l’inganno e contro di esso sono indifesi, anche se sanno destreggiarsi nelle lotte di potere che si svolgo03) Il simbolo della Madre dei Wendol 04) I Wendol attaccano il villaggio 05) Sono necessarie nuove difese 06) Con la bruma arriva il secondo attacco 07) Stremato dopo la vittoria

Cinema: Il Tredicesimo Guerriero

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08) Alla ricerca della tana dei Wendol 09) Macabra scoperta 10) La madre dei demoni viene uccisa 11) I Wendol si scatenano sul villaggio 12) La vittoria ha un caro prezzo no nelle piccole corti dei loro re. Gli arabi infine hanno modi cortesi, acculturati. Appaiono quasi femminili vicino agli uomini nordici, e di certo sono i più vicini alla nostra mentalità, soprattutto dal punto di vista igienico (come sottolineato in più scene del film). Conoscono la lotta ma ne fanno un’arte più raffinata, e in un mondo che pare creato per combattere e morire sono gli unici a conoscere l’immortalità della tradizione scritta, cosa che viene a tratti invidiata. Il film conta numerose scene particolarmente belle o suggestive, non solo per gli ambienti nordici così ricchi di fascino ma anche per lo strascico di leggenda che ricreano. Tra queste, l’arrivo della nave: un fanciullo sulla prua, dalla nave immersa nella nebbia, deve dichiarare i nomi degli occupanti; solo così chi sorveglia dalla riva può accertarsi che si tratta di uomini e non di fantasmi. Oppure il corteo funebre del re morto, all’inizio del film, che viene preannunciato come l’ultimo nell’antico rituale (ricorderà in parte il funerale di Theodred ne Il Signore degli Anelli girato da Peter Jackson, si rifà ai riti nordici). Particolare è anche la scena del drago, un fiume di fuoco che si muove lungo la montagna. In definitiva, Il tredicesimo guerriero è un film piuttosto semplice. Un’avventura piacevole, corredata da qualche risata e qualche brivido, che cerca, in fondo senza presunzione, di mettersi sul tracciato dei Miti, raccontandone uno in chiave minore.

* SELENA MELAINIS

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Cinema: Il Tredicesimo Guerriero


IL 13° GUERRIERO

I 13 EROI BULIWYF (Vladimir Kulich) Il primo guerriero e condottiero normanno.

HELFDANE il grasso (Clive Russell)

AHMED Ibn Fahdlan... (Antonio Banderas) Il tredicesimo guerriero.

RETHEL l’arciere (Mischa Hausserman)

HERGER il gioioso (Dennis Storhøi)

HYGLAK il litigioso (Albie Woodington)

EDGTHO il silente (Daniel Southern)

HALGA il saggio (Asbjørn “Bear” Riis)

RONETH il cavallerizzo (Neil Maffin)

SKELD il superstizioso (Richard Bremmer)

RAGNAR il severo (John DeSantis)

WEATH il musicista (Tony Curran)

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HALTAF il giovane (Oliver Sveinall)

Altri personaggi MELCHISIDEK (Omar Sharif)

HROTHGAR il Re (Sven Wollter)

WEILEW la Regina (Diane Venora)

OLGA la serva (Maria Bonnevie)

Resto del Cast: E. Avari, A. T. Andersen, R. Ooms, D. Gray Woodley, B. O. Pedersen, S. Elam, G. Tazmini, J. Bulatti, M. E. Mina, M. Storhøi, T. Balke, S. Bertish, S. Willis, Y. Bavan, C. Lapinskie, T. Batal, B. Reyez, A. Gill, N. M. MacLeod, K. de Zilva, L. Alizada, S.O. Thorsen, A. Lander, J. Van der Driesen, A Hachlaf, B. Jensen, M. Jonsson, A. Zahara, M. Acheson, J. Bear Curtis, A. Kavadas, G. Skjavestad, M.Jolly, O. Walstrom, G. Michaels, C. Angel.

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Scheda Tecnica Tit. originale: Anno: Durata: Paese: Produzione: Regia: Soggetto: Sceneggiatura: Fotografia:

THE 13th WARRIOR 1999 98 minuti USA John McTiernan, Michael Crichton, Ned Dowd John McTiernan Michael Crichton William Wisher Jr., Warren Lewis Peter Menzies Jr.

Musiche: Jerry Goldsmith Montaggio: John Wright Scenografia: Wolf Kroeger Costumi: Kate Harrington, Sandra J. Blackie

Cinema: Il Tredicesimo Guerriero


IL 13째 GUERRIERO

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george r. r. martin: una panoramica dei sette regni RAYMOND RICHARD MARTIN è Americano e scrive senza dubbio da Americano: azione e passione, poca dietrologia, una rara efficacia di contatto col pubblico attraverso i suoi impianti narrativi. Che sia un esperto nel comunicare attraverso le immagini, su carta o su pellicola, lo dimostra il suo lungo curriculum: la laurea in giornalismo, le decine di nomination nei più im-

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portanti premi letterari di Fantasy e Sci-Fi, la sua partecipazione in fiction televisive (tra cui Twilight Zone e The Beauty and the Beast) come sceneggiatore, consultant e producer, i cinque premi Hugo ricevuti, tra gli altri, per Canzone per Lya nel 1975, per La Via della Croce e del Drago e Re della Sabbia nel 1980, quest’ultimo vincitore come miglior racconto breve anche del Nebula e del Locus. Inoltre un altro Nebula nel 1985 per Ritratti di famiglia, altri numerosi Locus, un premio Bram Stoker nel 1988 con Pear-Shaped Man e un World Fantasy nel 1989 con Commercio in pelle... L’attività di Martin è poliedrica, anche se proiettata tutta nel fantastico; appassionato di GdR e di fumetti, conserva tuttora questi primi affetti che hanno sicuramente influenzato tutta la sua produzione letteraria: sono in cantiere diversi progetti per dare una veste “comics” alle sue opere più famose. Attualmente è membro del “Science Fiction and Fantasy Wrtiters of America” e del “Writers Guild of America”. Ce ne sarebbe abbastanza per chiunque, ma l’attività di questo prolifico scrittore sembra tutt’altro che esaurita, e ultimamente è concentrata sulla sua famosa e sterminata saga Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco: la nuova (ma non ultima) puntata è di prossima uscita. In una sua recente intervista (A. Fabra - Fantascienza.com) in occasione della sua partecipazione al “Lucca Games & Comics” (ottobre/novembre 2005), Martin racconta di aver sentito l’esigenza di “una grande storia, con tanti personaggi, infinite comparse e battaglie epiche”, da poter gestire senza le limitazioni imposte da dieci anni

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di collaborazione con Hollywood. Si può dire che stia centrando in pieno il suo obiettivo, anche se la scelta di iniziare una saga così lunga e composta da volumi non autoconclusivi fa supporre non propriamente un’innovazione ma piuttosto un’abile previsione commerciale, sebbene supportata da capacità narrative innegabilmente sopra le righe. Questa lunga e complessa storia, al quarto volume in America e al settimo in Italia (per la discussa divisione decisa dalla Mondatori), è di certo quella che ha assicurato a Martin il successo definitivo, per l’ampio respiro narrativo e l’indubbio coinvolgimento che la trama ispira nel lettore. L’ambientazione riprende alla grande gli scenari tradizionali molto amati dal tipico lettore fantasy, aggiungendo però un realismo narrativo ed un’originalità di spunti in grado di attirare anche

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i non affezionati al genere, per il puro gusto delle avventure narrate. La storia è, tutto sommato, più medieval-cavalleresca che fantasy in senso classico, con cavalieri e castelli, tornei e battaglie all’ultimo sangue, piuttosto che scontri magici a colpi di sfere infuocate. Un esempio di Sword and Sorcery “evoluto”, che presta maggiore attenzione all’intrigo politico ed ai meccanismi della guerra anziché all’elemento arcano, decisivo in certi casi ma presente solo a tratti e in modo quasi defilato. Il teatro della vicenda è una terra in cui le stagioni durano intere generazioni e l’inverno, terribile e lunghissimo, costituisce una delle più grandi minacce. La magia si ritrova in situazioni particolari, come la Donna Rossa a fianco di uno dei pretendenti Baratheon, oppure l’oscura minaccia che preme dal Nord, o ancora la presenza (che non poteva mancare) dei draghi, elemento magico-fantasy per eccellenza. La visione è sicuramente epica, i personaggi (buoni o cattivi) sono sempre di alta statura, blasonati cavalieri o comunque forti combattenti, dame che si contraddistinguono per la loro nobile bellezza, feroce crudeltà, o intrepido coraggio. Il “volgo” è un insieme abbastanza confuso, visto per lo più come una marea di comparse create al computer, necessarie alle scene di massa ma prive tutto sommato di presenze individuali. Dare un’idea precisa della trama di questa saga non è semplice: in realtà sono almeno tre i fili narrativi che, sin dall’inizio, s’intrecciano, si allontanano e poi convergono nuovamente nel susseguirsi incalzante degli avvenimenti. Teatro della narrazione sono i Sette Regni – ipoteticamente riconducibili a una pseudo-Gran Bretagna – dominati dalle vicende di alcune potenti casate nobiliari. La Guerra delle due Rose è stata reinterpretata “alla Martin”, introducendo due grandi famiglie contrapposte in un conflitto sanguinoso, assieme ai rispettivi e non sempre fidati alleati. Tutti questi Signori (e Signore) della guerra si combattono con ogni mezzo a disposizione, in-

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trecciando lotta aperta, violente passioni e trame nascoste. Alle loro alterne vicissitudini si sovrappone la realtà cupa della Barriera, con i suoi Guardiani in Nero impegnati in un’altra e più oscura battaglia contro tutto ciò che quest’ultimo confine tra i ghiacci separa dal resto del regno: i Bruti, barbari ribelli divisi in clan ma riuniti sotto il comando di un temibile capo, e gli Altri, i non–morti, il pericolo più tenebroso che incombe su tutti coloro che possono definirsi in qualche modo umani. Un terzo filo narrativo, parallelo ma destinato fatalmente ad incrociarsi con gli altri due, è costituito dalle vicende di Danaerys, regina dei draghi ed ultima superstite della precedente dinastia reale, che in una terra lontana (una specie di Medio Oriente?) lotta per raccogliere un esercito e riconquistare il trono perduto. Martin non si tira indietro di fronte a nessun

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aspetto del mondo che descrive. Il tratto forse più particolare della sua narrazione è che non necessariamente i buoni vincono, anzi spesso vengono sconfitti e muoiono, con una freddezza descrittiva che poco indulge al sentimentalismo. Si parla di incesto, violenza e sesso con la stessa naturalezza con cui a cena si potrebbe dire “scusa, passami il sale”, e questo aspetto ha turbato non poco una parte dei lettori. Nonostante molti dei protagonisti siano adolescenti, o comunque molto giovani, le “Cronache” sono infatti lettura da adulti, ma più per la brutalità dell’impostazione generale che per la crudezza di certi contesti materiali. Affermare che Martin si compiaccia nel descrivere scene spinte è errato: la storia è talmente piena di sfaccettature, azioni spettacolari e complessità d’intrigo, che di sicuro i passi “forti” non possono essere considerati come un mezzo per attrarre pubblico più numeroso. Tuttavia, a questo punto della saga, nel mezzo dell’enorme panorama eroico che Martin è arrivato a narrare, è un’altra la sensazione che provoca almeno inquietudine, se non fastidio: com’è possibile continuare a svolgere in modo chiaro una trama ramificata fino all’inverosimile, in cui per ogni situazione che sembra risolversi altre dieci emergono complicando ancora di più il tutto? C’è da chiedersi se davvero Martin sarà all’altezza di districare il labirinto epico che ha costruito, o sarà costretto a trattarlo come un tentacolare nodo di Gordio. È vero che qui le spade non mancano, e nemmeno cavalieri ad impugnarle, ma i finali di un’opera (racconto, romanzo o saga che sia) sono il vero banco di prova per un autore. Scoprire le fattezze di un nano sulle spalle di un gigante sarebbe una delusione veramente grande dopo anni di fedeltà a questa lettura. Attorno al trionfo editoriale, e per sfruttarne ogni possibile vantaggio, si è sviluppata naturalmente un’ottima operazione di mercato fatta di giochi di ruolo, carte e magliette, come del resto sempre succede con i prodotti di successo: in fin dei conti, se è questo che i fan vogliono, perché non accontentarli? Eppure, recentemente, in un

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forum dedicato a Martin, uno degli “aficionados” esplodeva con: “Ebbasta con gli stemmi nobiliari!” (di cui la saga abbonda), segno che forse siamo vicini all’indigestione; il lettore che ama i libri di Martin ha voglia di perdersi nelle sue avventure, di farsi trasportare in un mondo di emozioni forti ma senza dover pensare troppo. ata la loro complessità, le “Cronache” risultano forse un po’ impegnative per poter adempiere a questa funzione di svago “leggero”, in esse l’autore dispone però una scacchiera degna di nota. L’opposizione ghiaccio/fuoco che dà il nome alle “Cronache” viene introdotta fin dall’inizio con l’antagonismo delle due casate, Stark e Lannister, diverse per ideali e destinate a scontrarsi per un predominio che sempre più andrà signifi-

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cando sopravvivenza. Prosegue poi nello scontro che va profilandosi tra gli Esterni (gli Altri, esseri del ghiaccio) da una parte e poteri oscuri, il fuoco del culto di un Dio di fiamme e dei Draghi (questi ultimi rinati da una morte che si credeva certa) dall’altra. Questa contrapposizione è sviluppata in tasselli indipendenti, ognuno con un proprio cuore; casate morenti ed emergenti, tradimenti e inganni, burattini che pensano di poter manovrare il proprio destino mentre restano vittime di un fato orchestrato da altri. Martin delinea sapientemente le sue pedine, conferendo ad ognuna un’identità, uno scopo, un ruolo di capo o di pecora nera, spesso simboleggiati dall’animale o dall’emblema prescelto dalle casate: ad esempio la lealtà per i lupi Stark, il potere per i Leoni Lannister. La narrazione si apre nello scenario dei Sette Regni, riuniti sotto l’unica corona dei Baratheon dopo la destituzione di un imperatore pazzo, della stirpe dei Targaryen; con il passare delle pagine la certezza che quest’ultimo fosse pazzo e che avesse meritato la fine tragica imposta a lui ed alla sua stirpe va sbiadendo. Troppi segreti sono sepolti e vengono dimenticati, perchè chi sapeva è morto e chi rimane spesso non vuole conoscere la verità. Dei Regni, uno è governato in nome del Re dagli Stark. Il loro simbolo è il metalupo (una sorta di grande lupo) grigio in campo bianco; il motto: “L’inverno sta arrivando”. I ragazzi Stark vengono cresciuti con l’idea fissa dell’onore, e per onore il padre sceglie di seguire il Re a sud, dove muore. La famiglia, unita seppur composta da individui molto diversi tra loro, viene divisa dal caso e in tal modo indebolita e portata alla fine o a cambiamenti estremi. Jon, ad esempio, l’unico figlio bastardo di Ned Stark, entra nei Guardiani in Nero, lo sparuto gruppo di ex-nobili e reietti che protegge il nord dai Bruti, sulla Barriera (imponente costruzione di pietra e ghiaccio). La casata che più di tutte si oppone agli Stark è quella dei Lannister: portano un leone dorato in campo porpora, e il loro motto è “Udite il mio

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George R.R. MARTIN ruggito”. Tanto gli Stark si attengono all’onore e alla fedeltà quanto i Lannister perseguono il potere; sono una piccola corte reale comandata da un padre che è signore e padrone, il cui nome è temuto in lungo ed in largo per crudeltà e scaltrezza. Il leone dello stemma è d’oro, e d’oro è tutto ciò che i Lannister toccano. Dietro la superficie dorata si nascondono tuttavia volti distorti; l’unico a levare il velo dall’orrore è l’ultimogenito, Tyrion, un nano deforme che rispetta l’onore, e sa riconoscerlo negli altri. Imparentati agli Stark da parte materna sono i Tully (stemma una trota argentea in campo blu/rosso, motto “Famiglia, dovere, onore”) e gli Arryn (stemma un falcone sulla luna in campo azzurro, motto “In alto quanto l’onore”). Questi legami del passato, quando messi alla prova, si rivelano fragili; portano ad alleanze non sempre fruttuose, e talvolta a disastrosi tradimenti. Le famiglie del Sud sono appena accennate all’inizio della storia, diciamo i primi due volumi della versione italiana. Vanno però delineandosi passo dopo passo, a caratterizzarsi e trovare una propria identità. Così anche i popoli al di là del mare: tra essi si muove Daenerys, l’ultima discentende dei Targaryen, venduta in sposa dal fratello ad un signore delle steppe, e divenuta poi regina –attraversando “fuoco”, morte e disperazione. Completano il quadro dei protagonisti i Signori dei Draghi, dei quali poco restava se non frammenti del passato e utopie per il futuro; eppure bastano poche coincidenze perché il loro fuoco risorga, come un miracolo. Con essi entra quasi di soppiatto nella narrazione il primo segno dell’occulto, o del fantasy più classico: questi Draghi da una parte, mentre dall’altra letali leggende allungano i loro artigli di gelo sulle terre del nord.

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’attesa per il seguito di questa lunga e coinvolgente storia è molta: A Feast of Crow usci-

GEORGE RAYMOND RICHARD MARTIN, Worldcon 2005, Glasgow, Scozia FONTE: www.wikipedia.org rà a breve in Italia, e, se la narrazione mantiene le promesse del titolo, il lettore sarà trascinato in un banchetto “all’ultimo sangue” in cui gli ospiti sono numerosi e decisamente affamati. Svariate vicende vengono finalmente “cucite” insieme, soffermandosi su personaggi a volte minori, ma che occupano sicuramente un posto importante nello smisurato affresco a cui Martin sta dando l’assetto finale: dopo A Feast of Crows, avremo Dance with Dragons, The Winds of Winter, e, infine, A Dream of Spring. Sempre che il nostro voluminoso autore non decida, con un improvviso colpo di scena, di rimescolare ancora le carte con la magia che gli è propria.

CRISTINA “ANJIIN” RISTORI e SELENA MELAINIS

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“...Siamo dei capolavori: metabolismi controllati, cervelli potenziati elettronicamente, corpi cibernetici. [...] Vi sono innumerevoli elementi che formano il corpo e la mente degli esseri umani, come innumerevoli sono i componenti che fanno di me un individuo, con la mia propria personalità [...] i miei ricordi e i miei pensieri appartengono unicamente a me. E ho consapevolezzza del mio destino.” maggiore Motoko Kusanagi da “Ghost in the Shell”


Motoko Kusanagi


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n riferimento alle opere d’ingegno è piuttosto inflazionato il termine “capolavoro”. Tale appellativo dal significato ben preciso viene speso spesso e volentieri in modo improprio e fuorviante, sicché un pastrocchio dalle dimensioni di un francobollo dipinto da un pittore celebre, il più scialbo dei romanzi di un autore di best-seller, la più stonata composizione di un musicista di successo e il più vacuo film di un regista campione d’incassi vengono definiti “capolavori”. È l’euforia dei linguaggi che impedisce l’attribuzione del giusto peso alle varie manifestazioni artistiche.

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Ma la storia è un giudice molto più rigoroso, capace di restituire con precisione clinica il corretto valore a ciascuno degli innumerevoli figli della creatività Alla storia non sfugge la moltitudine di proseliti di Neuromante, così come è attenta alle influenze che Blade Runner ha avuto sulla fantascienza in ogni sua forma, mentre relega in un secondo piano le opere all’inizio incautamente incensate. In base a questi principi, Akira è un capolavoro autentico, nel rispetto del significato letterale del termine. Si tratta di un manga (nonché di un film di animazione) che ha mutato profondamente l’im-

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AKIRA maginario giapponese, ma ancor più è riuscito a portare all’attenzione del pubblico occidentale una fantascienza nipponica dalla complessità e dalla maturità ben maggiori di quanto prima si sospettasse. Apparso per la prima volta sulle pagine di Young Magazine, Akira è considerato a ragione l’opera principale di KATSUHIRO OTOMO, personalità eclettica capace di cimentarsi con la china o dietro la camera da presa con risultati ugualmente considerevoli. Siamo di fronte a una storia e a un autore da cui hanno attinto moltissimi seguaci (occasionali o meno) e persino nella fantascienza giapponese più recente è possibile trovarne profonde tracce. Particolarmente significative alcune analogie tra il film diretto da Otomo e il più notevole fenomeno della fantascienza del Sol Levante degli ultimi anni: Neon Genesis Evangelion di HIDEAKI ANNO. L’utilizzo delle musiche, dei silenzi e della dimensione onirica è straordinariamente simile nei due casi, così come vi sono importanti congruenze tematiche: l’apocalisse, la crudeltà delle sperimentazioni genetiche sull’uomo, l’evoluzione forzata della nuova umanità, il coinvolgimento di persone comuni in contesti al di là della loro portata, la scelta tra etica e necessità, per citarne solo alcune. Tra la schiera di potenziali eredi di Katsuhiro Otomo il più accreditato è probabilmente RYOJI MINAGAWA, co-autore di Arms (vedi Continuum n° 12) e che vanta tra le sue fortunate produzioni il noto Spriggan. A questo proposito vale la pena spendere due parole in più: Spriggan è stato trasposto in una versione cinematografica anime, la cui supervisione è stata affidata proprio ad Otomo. Una benedizione? Una sorta di passaggio del testimone? È possibile, ma sono affermazioni su cui andare cauti, almeno per un paio di motivi. Il primo è che Otomo non ha ancora appeso i pennelli al chiodo. Soprattutto non ha affat-

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MANGA (buone storie almeno nella maggior parte dei casi, ma disegni abbastanza essenziali) o MASAKAZU KATSURA (una tecnica grafica eccellente illustra narrazioni prive di spessore e sovente cariche di ingenuità veramente irritanti). Otomo al contrario non lascia nulla al caso, e Akira è la migliore testimonianza della sua grande meticolosità.

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mbientata trentotto anni dopo la Terza Guerra Mondiale, è la storia di una banda di teppisti che scorazzano lungo le strade di Neo Tokyo in sella a potenti motociclette e che una notte vengono coinvolti in un incidente molto singolare. Pagina del titolo Episodio 073 Young Magazine (16 giugno 1986)

Pagina del titolo Episodio 042 Young Magazine (1 ottobre 1984)

to abbandonato l’animazione, viste le uscite di Metropolis e del recentissimo Steamboy. Il secondo è il pericolo di confondere l’oro con l’ottone: Minagawa è senz’altro un buon mangaka, ma la sua storia e il suo bagaglio tecnico non sono oggettivamente paragonabili a quelle del suo ideale maestro, che lo sovrasta per pulizia del tratto e per completezza. Otomo è infatti uno dei pochi mangaka capaci di curare completamente un’opera, ovvero testi e disegni, senza mai scadere da una parte o dall’altra. Per capire la singolarità della cosa, basti confrontare questo autore con altri due dei più celebri fumettisti del lontano Oriente: RUMIKO TAKAHASHI

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AKIRA Durante una delle loro solite escursioni, gli appare davanti uno strano bambino, per evitare il quale uno dei motociclisti cade rovinosamente. Si tratta di Tetsuo, amico d’infanzia del capobanda Kaneda con cui ha un rapporto di fiducia e contemporaneamente d’invidia. Mentre gli altri teppisti cercano di soccorrere il compagno gravemente ferito, Kaneda vede il bambino dematerializzarsi e sparire all’improvviso. Poco dopo arriva un’ambulanza e Tetsuo viene trasportato in un misterioso ospedale. La sera seguente, nei paraggi della bettola eletta a covo dei centauri, Kaneda ritrova più o meno fortuitamente il ragazzino che ha causato l’incidente a Tetsuo. Deciso a conciarlo per le feste, deve però a fare i conti con i poteri ESP del piccolo e altri inattesi ostacoli: Ryu e Kay, membri di una fantomatica Organizzazione segreta antigovernativa, e l’esercito comandato dal Colonello, militare tutto d’un pezzo al soldo del Governo. Quest’ultimo riesce a riprendersi il bimbo (che nella circostanza si scopre chiamarsi Takashi) utilizzando un altro esper, Masaru. La vittoria ha tuttavia un caro prezzo: Kaneda recupera una pillola utilizzata dall’esercito per permettere ai ragazzini di convivere con i loro poteri paranormali senza venirne travolti. A questo punto è proprio la pillola a divenire oggetto d’interesse dei contendenti: il Colonnello vuole riappropriarsene, mentre l’Organizzazione di Ryu (nella persone di un superiore di nome Nezu) intende scoprire i misteri che si celano dietro di essa. Nel frattempo ritorna un Tetsuo stranamente cambiato. Si viene a sapere che, dopo l’incidente, è stato sottoposto alle cure dello staff del Colonnello tese a sviluppare anche nel giovane un potere sopito. Quando Kaneda (finito nelle mani di Ryu e di Kay e poi fuggito) torna dai suoi, lo aspetta una sgradita sorpresa: Tetsuo è diventato il nuovo

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MANGA colpo. Ma Tetsuo ha acquisito poteri tali da permettergli incredibilmente di sopravvivere. Colpito dalle capacità del ragazzo, il Colonnello decide d’inserirlo nel suo programma di ricerca con tanto di numero identificativo (il 41). Dopo alterne vicende che lo portano a scontrarsi nuovamente con Kaneda, Kay e gli esper (Takashi, Masaru e una terza di nome Kiyoko), tutti convinti della sua pericolosità e decisi a eliminarlo, Tetsuo, i cui accresciuti poteri includono ora il teletrasporto, viene a sapere dell’esistenza di un altro potentissimo bambino esper, di nome Akira, ibernato da qualche parte alla temperatura di -273°C. Nonostante il preciso divieto del Colonnello, l’incauto capo dell’entourage scientifico del corPagina del titolo Episodio 092 Young Magazine (6 febbraio 1989)

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capo-banda dei Clown, gruppo con cui Kaneda e soci non intrattengono rapporti esattamente idilliaci. L’affronto non può passare impunito, i motociclisti decidono di dare una bella lezione ai Clown e nella fattispecie a Tetsuo. Questi, tuttavia, non è più un ragazzo normale, e metterlo KO è impresa ardua, tanto che nella circostanza perde la vita Yamagata proprio sotto gli occhi impotenti del prezioso amico Kaneda. Il drammatico episodio accresce esponenzialmente la sete di vendetta di Kaneda, sete che egli tenta di saziare inducendo l’ex compagno di scorribande a ingoiare la famosa pillola, una frazione della quale basterebbe ad uccidere un uomo sul

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AKIRA po militare, spinto da una perversa ossessione di conoscenza e di potere che lo ha convinto a tentare di usare il numero 41 per controllare l’enorme energia dell’ibernato, rivela al ragazzo il luogo in cui questo Akira è custodito. Malgrado gli sforzi congiunti di gran parte degli elementi in gioco (tra cui Kay, Kaneda, Ryu e gli uomini del Colonnello) per impedirglielo, Tetsuo, compiendo un’autentica strage di soldati, raggiunge la prigione di Akira e lo libera. Il potere dei due è ora sufficiente a distruggere l’intera città in un battito di ciglia. Il Governo proclama lo stato d’allarme, e gli abitanti di Neo-Tokyo vengono caldamente invitati a trovare riparo nei rifugi designati. Ma scoppiano disordini dettati dal panico, che l’esercito fatica a contenere. Intanto il Colonnello, per neutralizzare Tetsuo e Akira, ordina l’utilizzo di un satellite militare all’avanguardia, capace di sparare un raggio laser di elevata intensità e dalla precisione altamente performante. Tetsuo ci rimette un braccio e nella circostanza Akira cade nelle mani di Kay e Kaneda. È l’inizio di una nuova gara che ha per fine il controllo del bambino. Tutte le forze in campo vi partecipano: da Kay e Kaneda alle fedelissime adepte esper di Lady Miyako (l’anziana veggente che capeggia l’Organizzazione); da un sempre più solo Ryu al viscido Nezu che ha tradito l’Organizzazione stessa per perseguire i propri secondi fini. E poi naturalmente il Colonnello, capace di mettere in atto un colpo di stato e destituire un Governo troppo statico nell’approccio con il caso Akira. Ma nulla serve ad evitare la catastrofe; quando Nezu (ferito a morte da Ryu) uccide Takashi nel tentativo di eliminare Akira, quest’ultimo libera tutto il proprio potere con effetti molto simili a quelli dell’esplosione di una bomba atomica: la città viene distrutta e innumerevoli persone perdono la vita. Il disastro segna anche una svolta politica:

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MANGA dalle macerie nasce l’Impero della Grande Tokyo, avente Akira come sovrano-fantoccio e Tetsuo come primo ministro. La maggior parte dei protagonisti superstiti la ritroviamo dilaniata dal cambiamento: Ryu è distrutto per la perdita dei compagni, Kaneda è scomparso nel nulla, mentre Kay e Chiyoko (altra aderente all’Organizzazione) si occupano come possono di Masaru e Kiyoko. Lo stesso Tetsuo divorato ormai da un vero e proprio delirio di onnipotenza (senza più le inibizioni – e l’effetto analgesico – della droga che assumeva) riesce a sostenersi unicamente grazie al conforto di Kaori, una ragazza conosciuta dopo la fondazione dell’Impero. Il potere esecutivo è quindi delegato a un bieco Pagina del titolo Episodio 104 Young Magazine (21 agosto 1989)

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Assistente, il quale per prima cosa attacca il santuario di Miyako (divenuta ormai una specie di santa che accoglie sotto la sua ala protettiva i diseredati e i malati) subendo peraltro una sonora sconfitta. Nel frattempo, quant’è accaduto in Giappone attira l’attenzione degli Stati Uniti. A Neo-Tokyo sbarcano dei militari (capeggiati dal tenente Yamada) decisi a scoprire qualcosa di più sul neonato impero, mentre in mare aperto naviga su una portaerei dell’ONU una commissione dei più eminenti scienziati del mondo, impegnati a svelare il fenomeno Akira e a porvi rimedio. Il Colonnello, anch’egli sopravvissuto alla distruzione di Neo-Tokyo, affronta la questione a

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AKIRA modo proprio, incaricando uno degli scienziati del suo staff di un tempo di costruire un congegno in grado di comandare il satellite SOL. C’è da segnalare anche il ritorno di Kaneda (rimasto a lungo in un limbo mai svelato completamente da Otomo), che assieme all’excompagno di scorribande Kai non storce il naso nell’unirsi a Joker, in passato leader dei Clown. Sempre le necessità danno origine ad un’altra alleanza alquanto atipica, poiché Ryu finisce per collaborare con il tenente Yamada, almeno finché questi non rivela le proprie reali intenzioni: porre fine all’Impero di Akira e Tetsuo mediante l’impiego di armi biochimiche; tentativo che però Ryu soffoca sul nascere. Il potere di Tetuo intanto cresce, al punto che, in occasione di un raduno dell’Impero, il ragazzo apre addirittura un’enorme voragine sulla superficie lunare. È questo stesso potere il suo nemico più pericoloso, nonostante le operazioni degli uomini di Yamada, il raggio sparato dal satellite SOL (comandato non dal Colonnello, bensì dall’esercito statunitense che ha scoperto i codici che governavano l’arma), l’energia convogliata dagli esper per mezzo delle doti medianiche di Kay e i generosi sforzi di Kaneda. Quel potere ha assunto dimensioni ipertrofiche e il corpo del ragazzo non è più sufficiente a contenerlo. Altro brutto colpo per Tetsuo è la perdita di Kaori per mano dell’Assistente dopo che la fanciulla coglie una cospirazione ordita da quest’ultimo. Oramai completamente fuori controllo durante una delle sue orribili mutazioni, Tetsuo

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MANGA COMMENTO

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cco quindi cos’è Akira: un fumetto complesso, sanguinoso, in cui vengono toccate spinose questioni di politica e di religione, con grande efficacia ma senza indugiarvi troppo. Il tratto è pulito ed inconfondibile, così come è inconfondibile la cura quasi maniacale per il dettaglio, perché l’autore non si accontenta di vignette “abbozzate”, ma pretende la precisione. Qui Otomo addita all’ipocrisia della fede “di comodo”, cioè della tendenza dell’uomo nel momento in cui è sull’orlo del baratro a vendersi a qualsiasi religione gli prometta qualcosa di buono. Anche la posizione politica espressa in Akira Pagina del titolo Episodio 116 Young Magazine (2 aprile 1990)

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uccide l’Assistente e il tenente Yamada. A quanto pare, in questo frangente è Akira a sollecitare il potere dell’altro esper. I parametri però cambiano quando Ryu spara ad Akira e Miyako sacrifica la propria vita per fermare i catastrofici spasmi di Tetsuo. Ci si avvia dunque ad una conclusione di grande carica emotiva, nella quale emerge finalmente uno spicchio della personalità di Akira, finora visto unicamente come strumento in balia delle altrui velleità. C’è anche un nuovo, ultimo incontro tra Kaneda e Tetsuo, scevro dei rancori fin qui accumulati ma dolorosamente intenso.

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AKIRA appare consapevole e articolata: davanti alle connotazioni utopiche di una sinistra impegnata nella lotta per l’uguaglianza ma in cui inevitabilmente alcuni esponenti (rappresentati da Nezu) sono in realtà alla ricerca esclusiva del proprio interesse personale, Otomo preferisce l’onestà e la coerenza di una destra pur elitaria, identificabile nel Colonnello. Al di là della scelta di campo nel gioco delle parti della diplomazia nazionale, l’indice di Otomo punta con maggiore decisione verso l’egemonia statunitense invadente e totalizzante. Emerge così un forte anti-americanismo, ma non inteso come conflitto di culture o fobia nei confronti del potente, bensì come espressione inequivocabile della dignità dell’indipendenza. Il modus operandi degli Stati Uniti sul fronte della politica internazionale (qui rappresentato con fedeltà e onestà) viene per cui visto come un atteggiamento prepotente, caratterizzato da arroganti ingerenze nelle altrui questioni attraverso pretesti ipocriti e di facciata. Un discorso, insomma, che a più di vent’anni di distanza dalla prima uscita di questo manga è ancora di scottante attualità. Si può dunque affermare che il manga in oggetto è anche un affresco impegnato e lucido delle tendenze di fine ventesimo secolo, di cui possiamo trovare tracce profonde anche nei giorni nostri, specialmente quando riguardano un punto di vista macroscopico. L’ottica complementare, però, non viene ignorata e anzi Otomo si sofferma con una notevole eleganza sulle piccole vicende umane inserite nel contesto più ampio della storia narrata. L’eleganza cui faccio riferimento risiede nella moderazione con la quale vengono trattate le piccole vicende personali dei personaggi (sia-

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no essi principali o di contorno) che in questo modo si sviluppano in uno spazio contenuto senza assumere dimensioni ipertrofiche. Una simile misuratezza non è certo caratteristica usuale nel fumetto nipponico, specialmente in quello più recente, dove l’attenzione sul personaggio è sovente così focalizzata da sovrastare il

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ANIME resto. Ma in Akira vengono risparmiate al lettore le odissee interiori oggi tanto di moda e frutto dell’attribuzione di importanza smisurata al risvolto introspettivo. Anzi, Otomo ci fa appena intuire quanto avviene “dentro” i personaggi attraverso un gesto o uno sguardo. Esemplare, a tal proposito, la delicatezza con cui ci viene presentata la storia d’amore platonico tra Tetsuo e Kaori, senza frasi eclatanti né assurdi logici difficilmente digeribili. Tutto si concretizza in un abbraccio consolatorio, in un’iniezione o in un’espressione preoccupata. Più indecifrabile è il rapporto tra lo stesso Tetsuo e Kaneda, basato sulla stima e sull’invidia Pagina del titolo Episodio 011 Young Magazine (16 maggio 1983)

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MANGA sin dall’inizio, ma estremamente mutevole in tutto il corso della storia. Assieme ad una temporanea ed ingiustificata scomparsa di Kaneda (per bocca di Lady Miyako: “Non è più in questo mondo. Almeno per il momento”) l’amicizia tra i due ragazzi è una delle più grandi zone d’ombra dell’opera e (contemporaneamente) il principale difetto. Dopo la sua “trasformazione”, Tetsuo alterna momenti di odio autentico e di feroce disprezzo nei confronti del vecchio compagno ad altri in cui invoca il suo aiuto; parimenti, Kaneda è capace di sparargli con disinvoltura mortali colpi di laser o, con altrettanta naturalezza, tentare di salvarlo. Chiaro, la mutazione di Tetsuo ha turbato qualsiasi forma di equilibrio pre-esistente nella relazione tra i due ragazzi, ma i dietrofront nel loro comportamento appaiono ugualmente troppo insistenti e repentini.

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Si rimpiange forse anche il mancato inserimento di qualche nota malinconica a insaporire con un aroma più profondo la descrizione della catastrofe narrata, ma la scelta di Otomo di fare a meno di ogni incursione nell’interiorità dei suoi protagonisti è stata piuttosto radicale, ed il suo perseguimento onesto e coerente doveva pur costare un prezzo. Ciò risulta acuito nel film di animazione di Akira, in cui sono presenti notevoli differenze rispetto alla più riuscita versione cartacea. La più significativa è che nell’anime non è Akira – che in realtà è morto molto tempo prima dell’arrivo di Tetsuo – ad essere ibernato, bensì i suoi organi. È perciò Tetsuo a distruggere Neo-Tokyo, in quella che è di fatto una versione alternativa e stringata del fumetto.

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Pagina del titolo Episodio 072Young Magazine (19 maggio 1986)

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Le controindicazioni dell’inevitabile riduzione a cui è stata sottoposta la versione animata sono rilevanti. Molti personaggi, alcuni dei quali di primo piano, non compaiono nella pellicola (si pensi al tenente Yamada) o vengono relegati in una posizione marginale (segnatamente Lady Miyako risulta trasformata in una sorta di fanatica predicatrice da strada). Il film è poi viziato da una cattiva distribuzione degli spazi, destinando sin troppi minuti alla dimensione onirica di Tetsuo e alla meraviglia del capo dell’entourage scientifico del Colonnello di fronte ai dati sull’energia crescente dell’esper, a scapito del contesto politico e di eventi più significativi come la distruzione della città. Il sapiente utilizzo delle musiche e dei colori non è abbastanza per risollevare le sorti di un’opera noiosa, ambigua e di cui è francamente difficile cogliere il filo logico se non si è prima letto il manga. Da questo punto di vista, il paragone propo-

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AKIRA sto con molta disinvoltura tra Akira e Blade Runner appare quantomeno forzato, alla luce della logica capillare (anche quando sotterranea) del film di RIDLEY SCOTT, il quale oltretutto imprime una connotazione poetica del tutto assente nel manga di Otomo. D’altra parte, esistono

in concreto alcune analogie tra le due opere, al di là dell’anno di produzione (sia il manga di Akira che Blade Runner sono datati 1982). Analogie anzitutto tematiche: in entrambe si pone l’accento sui pericoli della manipolazione genetica e sulle sperimentazioni sull’uomo. Il rischio messo in evidenza è quello della generazione di mostri, con duplice chiave di lettura: la minaccia per l’umanità e la violenza su creature con emozioni e sentimenti. Ma ci sono anche congruenze di carattere contestuale: Akira e soprattutto Blade Runner precorrono Neuromante e il cyberpunk, di cui anticipano gli scenari degradati ed il sottobosco d’illegalità. L’iniziale Tokyo notturna di Otomo ricorda moltissimo la Los Angeles di Ridley Scott per claustrofobia e marciume. Tra i richiami al cyberpunk c’è l’utilizzo smodato di stupefacenti, diabolici prodotti della chimica in Akira e dell’elettronica nel filone inaugurato da WILLIAM GIBSON. Simili confronti lasciano (o sembra-

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no lasciare) il tempo che trovano, soprattutto in considerazione dell’eterno abisso tra fantascienza occidentale e nipponica. Storicamente sono sempre state distanti l’una dall’altra per vari aspetti, come paiono dimostrare gli anni dei “robottoni” e di Capitan Harlock, l’abbondanza di arti marziali a scapito dell’analisi socio-politica e così via. La vicinanza tra uno dei capolavori della fantascienza giapponese e uno dei capolavori di quella statunitense è un punto d’incontro autentico tra due rotte che probabilmente sin dall’inizio hanno viaggiato su binari lontani, e ci dà l’occasione per riflettere su un concetto significativo: quella del Sol Levante non è fantascienza a parte, ma è una splendida parte della fantascienza. Come qualsiasi altro percorso culturale, è formata in parte da porcherie da trascurare senza alcun rimpianto, ma è capace di regalare al mondo del fumetto dei gioielli come Akira senza i quali il nostro genere sarebbe sicuramente un po’ più povero.

ROBERTO FURLANI

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Kaneda

Kei

Tetsuo

Colonnello

Ryu

Akira

Takashi

Masaru

Kiyoko

Lady Miyako

Chiyoko

Joker

Yamada

Yamagata

Kay

ア キ ラ

Kaori

Assistente

Tutte le immagini presenti in questo articolo sono tratte dall’artbook “The memory of Akira - Lives on in our hearts!” di Katsuhiro Otomo, pubblicato da KODANSHA.

© 1995 KODANSHA LTD. - © 1995 Otomo Katsuhiro AKIRA © 1982 Mash Room Co. Ltd. / Kodansha Ltd. - Otomo Katsuhiro All rights reserved

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Nezu

Sakaki

ア キ ラ

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l sito www.hokutonoken.it è quanto di più completo e specifico ci sia su Ken il Guerriero in italiano, una serie animata che ha segnato profondamente l’adolescenza di molti ragazzi negli anni 80. Non credo, quindi, di dover sprecare inutili parole nel descrivere questo spettacolare anime: tutti ne hanno almeno sentito parlare; tutti, credo, ne hanno visto almeno una sequenza rimanendone affascinati, come il sottoscritto, o prendendone il destro per critiche spesso eccessive e immotivate (penso, ad esempio, alle sciocche e medioevali censure imposte dal MOIGE) Il sito è strutturato in ben 17 sottosezioni, tra le quali ne spiccano alcune di indubbio interesse. S’impara innanzi tutto a conoscere gli autori TETSUO HARA e BURONSON, e si ripercorre la loro vita professionale che, potremmo dire, iniziò proprio in seguito allo straordinario successo della serie Hokuto no Ken. I settori dedicati al manga e al-

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l’anime offrono invece agli appassionati informazioni approfondite e curiosità sugli eroi che hanno scandito l’epopea di Hokuto e delle altre scuole di arti marziali che vi campeggiano. Un’imperdibile chicca è la parte dedicata ai film: non tutti sanno che in Corea del Sud e a Taiwan si sono utilizzati attori veri, spesso comicamente bardati con buffi parrucconi, per ripercorrere o meglio rielaborare le vicende di Ken e compagni. I risultati sono artisticamente piuttosto sconfortanti, ma appaiono dotati di una comicità involontaria davvero irresistibile. Immagini, filmati, motivetti midi sono disponibili sul sito in quantità notevole e aiutano a rivivere emozioni e momenti salienti della saga. Fan e appassionati dispongono anche di diversi momenti d’incontro – come una chat IRC e un forum piuttosto frequentato – oltre ad avere la possibilità di contattare direttamente gli autori del sito, il bravissimo “Fighi” e i suoi collaboratori, per fornire loro indicazioni, critiche e suggerimenti. Ma questi incredibili ragazzi non si sono limitati a raccogliere tutto ciò che riguarda Hokuto no Ken, hanno voluto dare anche un’impronta originale al loro lavoro, dettata dalla passione e dall’inventiva che li anima, impegnandosi in due progetti ambiziosi: quello di creare una terza serie di Ken il Guerriero e quello di elaborare un gioco ambientato nel mondo di Hokuto. Il terzo capitolo di Ken rappresenta per molti come me l’avverarsi di un sogno: la continuazione di una serie animata e a fumetti tanto amata e seguita. Nella narrazio-

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HOKUTOnoKEN.it ne si sfruttano abilmente alcuni punti oscuri dell’epopea classica facendoci rivivere le atmosfere di Hokuto con i figli di alcuni protagonisti: compaiono ovviamente Ken, Burt, Lynn, ma ci sono anche nuovi personaggi come il figlio del forte e leale Generale Falco della scuola imperiale di Cento. Insomma un fumetto tutto da godere che non mancherà di farvi commuovere grazie all’apparizione di un amico lontano che tutti credevano scomparso… Il gioco è un altro importante apporto originale presente nel sito, un progetto ancora in fieri, a quanto ho avuto modo di vedere, ma che risulterà di sicuro interesse, una volta concluso. L’enciclopedia libera del mondo di Hokuto la “Hokuto no Wiki” che fa il verso alla più famosa Wikipedia darà, infine, a ciascuno, dopo una semplice iscrizione, la possibilità di scrivere le proprie “voci” sui personaggi principali della saga. Insomma un sito che mi sento di consigliare caldamente e che ha generato in me tanti ricordi. Se posso aprire una parentesi personale vorrei salutare un amico, Maurizio, con il quale ho avuto tanti appassionati discorsi su Ken il Guerriero e i suoi protagonisti. Maurizio ora non c’è più, ma avrebbe gradito sicuramente anche lui questo lavoro.

sito sono stati raccolti col passare degli anni assieme ai vari fan (che colgo l’occasione per ringraziare), i quali hanno voluto dare il loro contributo condividendo le loro conoscenze e collezioni. Proprio su questa linea di pensiero è nata “Hokuto no Wiki”, che prima veniva citata, un modo per dare ai fan del sito il ruolo da protagonisti che meritano, integrando questa enciclopedia dell’Hokuto con il loro sapere.

SB - Com’è nata l’idea di questo sito e com’è stato possibile raccogliere una mole così elevata di SB - Molti hanno criticato il manga, ma soprattutto l’anime per la sua violenza, che ne pensate? immagini e informazioni? Voi avete avuto problemi? F - Ciao a tutti, l’idea del sito nasce dalla passione per manga e anime che mi porto appresso F - Per ora sono ancora incensurato… non ho preda quando ero bambino. Amo leggere molti fu- muto gli tsubo a nessuno. A parte gli scherzi, credo che la violenza che metti d’ogni genere, ma di sicuro quello che per compare in Hokuto no Ken sia limitata alle scene primo mi ha entusiasmato con una grande storia e dei personaggi assolutamente carichi di carisma è di sangue, ma che non vi sia assolutamente traccia di essa nella trama e negli insegnamenti che il Hokuto no Ken. Tutto il materiale e le informazioni presenti nel manga vuole dare. Si combatte per amore o per

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ANIME dal web Chi avesse dei dubbi può tranquillamente iscriversi al forum del sito dove sono riuniti i più accaniti fan, italiani e non, di Hokuto no Ken: si accorgerà molto presto di come questo manga abbia creato nuove amicizie, stimolato le persone a parlare di argomenti più svariati e non abbia assolutamente sfornato probabili futuri teppisti. SB - Entriamo nello specifico: meglio l’edizione del manga targata Granata Press o quella della Star Comics?

amicizia e non per il piacere di uccidere. Questo almeno per i personaggi principali dell’opera che poi sono i “miti” ai quali i giovani possono ispirarsi. Quindi, le critiche sull’apparente violenza di Hokuto no Ken sono assolutamente infondate, a mio avviso, perché viene insegnato decisamente l’opposto.

F - Qui le cose si fanno molto complicate. Per quel che riguarda Granata Press stiamo parlando della prima edizione uscita in Italia, che quindi ha un valore strettamente “sentimentale”. In realtà gli albi non seguono per niente lo standard giapponese, ne come numero, ne come senso di lettura: se fate attenzione alle tavole dove Ken appare a torso nudo noterete come le 7 stelle siano state ribaltate “artificialmente” dall’editore italiano pur di pubblicare il manga alla occidentale (da sinistra verso destra) con un grande dispendio di lavoro, immagino. Oltre a questo si deve sommare la qualità scadente di carta e inchiostro e la debolezza dei volumi che molte volte perdono le pagine. Quindi a favore di Star Comics c’è la miglior cura, anche se non irresistibile è sicuramente superiore a quella Granata, la pubblicazione in 27 tankobon come in Giappone e soprattutto il senso di lettura orientale che esclude interventi esterni sulle tavole. Quindi la scelta è dura… maggiore qualità o maggiore interesse collezionistico? SB - Secondo il vostro giudizio, oltre all’onnipresente Kenshiro,

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qual è il personaggio più caratteristico e interes- criticata dai fan puristi che avrebbero magari desante della saga? siderato il seguito di Hokuto no Ken, non un prequel. Voi cosa ne pensate? F - Senza ombra di dubbio il primo vero grande nemico di Ken, ossia il fratello maggiore Raoul. F - Purtroppo credo che la realizzazione di un seUn personaggio che viene considerato da molti guito sia stata talmente acclamata che gli editori fan il più forte in assoluto, quello con le maggiori capacità innate, il più caparbio e orgoglioso. Sicuramente una figura fondamentale che ha portato la serie al successo visto che le qualità di un protagonista si possono gustare a fondo solo in base a quelle del suo diretto avversario. Questo grande personaggio è stato apprezzato in lungo e in largo e credo che persino gli autori lo abbiano “amato” profondamente. Ciò spiegherebbe anche il fatto per cui, a distanza di 20 anni, la saga di Ken il guerriero è tornata nelle sale cinematografiche proprio portando come protagonista il re di Hokuto Raoul. Sto parlando infatti del nuovissimo film di Ken intitolato Raoh Gaiden - Junai Hen basato sulle gesta di Raoul appunto e uscito in Giappone l’11 marzo di quest’anno. SB - L’ultima serie, Soten no Ken è stata molto

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ANIME dal web prezzato da molti e forse con il passare dei volumi potrà convincere anche i fan più tradizionalisti. SB - Preferite il vecchio monacale Kenshiro, tutto combattimenti e giustizia, o quello nuovo: tabagista e donnaiolo?

F - Dal mio modo di vedere le cose preferisco il nuovo Kenshiro, molto più “sciolto” e forse più vicino alla nostra cultura occidentale. Il primo Kenshiro, secondo me, rispecchia molto l’ideale di super-uomo senza macchia tipico della cultura giapponese, portato ai massimi livelli dal bravissimo autore Buronson. Il carattere del “vecchio” Kenshiro si riscontra infatti in molte altre opere scritte da Buronson come ad esempio Il Re Lupo, Strain, Sanctuary, ecc… Questo “uomo ideale” forse è un po’ troppo lontano dall’essere comune, e ci si potrebbe rispecchiare meglio sul “nuovo” Kenshiro, molto più semplice e diretto. Di sicuro, però, ogni Ken ha il carattere perfetto per la situazione e il luogo in cui si trova: il temevano in qualunque caso di non soddisfare i primo in un mondo semidistrutto ha oramai pochi fan. Per questo credo si sia optato per un prequel vizi da portare con sé, l’altro, vivendo a Shanghai si trova immerso nel perfetto opposto e quindi si che comunque ha spiazzato le possibili critiche. Per quel che mi riguarda sono stato piacevol- comporta di conseguenza. mente sorpreso dalla presentazione di Soten no Ken come un prequel che potesse descrivere le SB - Personalmente ho molto apprezzato il progetto Hokuto 3. Com’è scaturita quest’idea? origini della saga. Anche molti fan italiani del “vecchio” Kenshiro hanno risposto bene a quest’idea e quindi il F - Il progetto è, secondo me, la massima espresmanga sta avendo un successo direi persino im- sione della passione per Hokuto no Ken dimostrata dai tanti appassionati. pensato. Si tratta di fan che, nostalgicamente, voglioForse i fan puristi (come il sottoscritto) saranno un po’ a disagio per altre scelte del maestro HARA, no creare da soli un possibile seguito della saga come il cambiamento piuttosto rivoluzionario di Ken il guerriero. Tutto questo senza volersi del tratto, appesantito notevolmente da computer confrontare con gli autori originali, senza voler grafica e da retini molto marcati. Altro motivo di interpretare personalmente gli insegnamenti che critica potrebbe essere la mancanza di una trama l’autore ci voleva dare, ma con la sola voglia di scritta da BURONSON, che in realtà questa volta si riprendere personaggi ai quali si è legati, per far vivere le avventure che tutti assieme abbiamo solimita solo a dare dei consigli ad Hara. Tuttavia Soten no Ken continua ad essere ap- gnato.

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Per questo “Hokuto 3” nasce come una raccolta di storie, scritte dai vari fan e poi condensate in un’unica trama. Da questa trama nasce poi il manga che tutti voi avete modo di iniziare a leggere. SB - Avete altri apporti originali che intendete offrire ai fan nel prossimo futuro? F - Attualmente sto concentrando gli sforzi sulla recensione di materiale cartaceo originale nipponico e quindi recensisco i vari volumi che escono in Giappone sia per quanto riguarda il manga che per quanto riguarda i nuovi film e videogame. Oltre a questo, come sempre, sono contentissimo di aggiungere nel sito quello che i fan stessi propongono o chiedono di volta in volta.

prequel delle storie di Hokuto no Ken, e quindi un po’ mi sono rassegnato alla cosa. Come dicevo in precedenza, questa fantomatica terza serie è stata chiesta con tale insistenza che ogni lavoro in merito risulterebbe quasi sicuramente criticato. SB - Ringraziamo “Fighi” e il suo staff per la disponibilità che ci hanno mostrato e aspettiamo impazienti i frutti dei loro lavori futuri. F - Grazie mille alla redazione di Terre di Confine per l’attenzione che ha prestato al mio lavoro e a quello dei miei collaboratori, e soprattutto grazie a Stefano per la cordiale intervista.

SB - Per concludere, una domanda tormentone: Hara e Buronson, secondo voi, ci mostreranno una terza serie di Hokuto no Ken? F - Direi di no… purtroppo. Credo sia già una cosa straordinaria il fatto che stiamo leggendo un

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Filippo (Fighi). CHE L’ORSA MAGGIORE VEGLI SU VOI TUTTI.

STEFANO BACCOLINI

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INTRODUZIONE E NOTE TECNICHE

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ratto dall’omonimo manga di MASAMUNE SHIROW, Ghost in the Shell contribuisce a segnare la metà degli anni 90 come un periodo fondamentale per l’animazione giapponese, basti pensare che dello stesso periodo sono i celeberrimi Evangelion e Mononoke. Sul solco di Akira, Ghost in the Shell riprende un’ambientazione in stile cyberpunk. Tecnologia informatica onnipresente, innesti meccanici ed elettronici che rendono gli uomini in parte simili a dei robot, compenetrazione tra spazio reale e virtuale (cyberspazio), importanza della comunicazione (a qualsiasi livello), sono alcuni degli elementi più caratteristici di questo filone della fantascienza; altri non meno importanti sono la raffigurazione di un mondo caotico in cui la criminalità dilaga, la politica che è spesso fatta di intrighi intessuti animada potenti lobby e il sorgere alle periferie delle zioni di HIROYOUKI metropoli di aree di marginalità. OKIURA (Jin Roh), il mechanical design di SHOJI KAWAMORI e ATSUSHI TAKEUCHI, la direzione delIl regista è MAMORU OSHII (Lamù, Patlabor), la le animazioni di TOSHIHIKO NISHIKUBO (Patlabor sceneggiatura di KAZUNORI ITO (Patlabor, Maison 2), la colonna sonora di KENJI KAWAI (Patlabor, Ikkoku), il character design e la supervisione delle Ranma ½, Maison Ikkoku).

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GHOST IN THE SHELL Molti membri dello staff (e uno dei produttori) sono gli stessi che hanno lavorato ai primi due lungometraggi di Patlabor (del 1989 e del 1993). In alcune scene esterne di Ghost in the Shell ci sono dei riferimenti a Patlabor 1, ma si nota soprattutto l’influenza di Patlabor 2 nel mechanical design, nella rappresentazione delle interfacce informatiche e nella costruzione dell’intreccio. Il lavoro di Oshii alla regia si distingue come sempre per la capacità di gestire un thriller d’azione senza lasciare che la trama sia fine a se stessa, e senza scadere nelle banalità o negli eccessi propri del genere. Intrecci narrativi tutt’altro che scontati, sceneggiature di prim’ordine, esaltanti scene d’azione, intensi scorci descrittivi e più riflessivi, approfondimento psicologico dei personaggi, sono tutti elementi a cui Oshii ci ha abituati già a partire dai succitati Patlabor fino all’ultimo Jin Roh - Uomini e Lupi (di cui è sceneggiatore). Il lavoro dello staff, assieme con le influenze cyberpunk, dà a questo anime un’atmosfera particolare, spesso riflessiva, a tratti cupa ed enigmatica. Anche in questo caso la veste grafica non delude, sia per il character design che per le realizzazioni digitali e le animazioni sempre fluide. Le scene d’azione vanno dai combattimenti di arti marziali a battaglie futuristiche tra cyborg e carri armati, passando per i più classici scontri a fuoco e inseguimenti, senza tralasciare la cura dei particolari nel disegno di armi e robot. Le inquadrature più intense sono senza dubbio i primi piani del Maggiore Kusanagi, ma anche le visioni d’insieme hanno un ruolo importante, come i suggestivi scorci della Città a metà del film o all’inquadratura finale. La colonna sonora si adatta all’ambientazione fantascientifica e cyberpunk con sottofondi di impronta elettronica basati sulle percussioni ora

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più cupi, ora più distesi. La sceneggiatura sostiene lo sviluppo dei temi affrontati studiando i dialoghi tra i personaggi; forse si avverte un eccesso di scene parlate e un accavallarsi delle spiegazioni verso il finale, ma ciò è dovuto principalmente ai tempi stretti del lungometraggio, non certo ad una mancanza di attenzione per lo sviluppo dei personaggi e dei loro pensieri. L’anime è strutturato secondo calcolate simmetrie al livello della trama, delle immagini e dei concetti, scandite da ciclici cambi di ritmo. Si può dividere la storia in due metà, ciascuna caratterizzata da un’introduzione, uno sviluppo con scene d’azione e una parte finale riflessiva. Nella prima parte viene sviluppato il Guscio, mentre dello Spirito si parla solo indirettamente; nella seconda parte invece il primo decade e il secondo si evolve. Immagini statiche, primi piani e lunghi dia-

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In questa pagina e nella pagina a fianco: “Making of a robot”, la nascita del maggiore Kusanagi.

loghi sono usati nelle scene più lente per sottolineare l’evoluzione dei personaggi, alla quale si affianca l’approfondimento delle tematiche proposte. Questo progresso costante è riflesso nella struttura narrativa, che torna spesso sui suoi passi per riproporre le stesse situazioni (a livello di immagini, concetti, voci), di volta in volta aggiornate fino allo sviluppo finale. Per quanto riguarda l’opera di “Ghost in the Shell” nel suo complesso, va detto che questo primo lungometraggio (datato 1995) rimane autonomo rispetto alle successive due serie televisive (da 26 episodi ciascuna, dirette da KENJI KAMIYAMA) e al secondo lungometraggio Ghost in the Shell - Innocence (di nuovo di Oshii). La prima serie in particolare riprende in vari punti alcune scene di questo film, e non rinuncia a trattare anche più diffusamente le tematiche in esso proposte, ma

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perde una parte dell’atmosfera molto particolare di questo primo lavoro. Il personaggio del Maggiore Kusanagi appare ad esempio ben più carismatico e sicuro di sé della donna tormentata dai dubbi vista nel film, rimanendo comunque una figura piuttosto enigmatica. Il secondo lungometraggio risulta invece appesantito da una grafica ingombrante, da un’impostazione autocelebrativa e da un uso di scene “concettuali” senza adeguati riscontri al livello della storia. Con il termine Spirito si indica, in tutti gli episodi e lungometraggi di “Ghost in the Shell”, l’intera vita cerebrale e psichica di un individuo: la memoria, i sentimenti, la coscienza di se, l’anima. Concetto portante dell’anime, questo ente rimane tuttavia difficile da descrivere, e anzi una vera definizione di esso non è mai data nel film. Ma, anche restando avvolto da un certo alone di mistero, il suo ruolo nel guidare i personaggi è fondamentale. Il Guscio è invece identificabile più semplicemente come il corpo, inteso però in senso lato come qualsiasi struttura fisica che possa ospitare un cervello elettronico e quindi una personalità.

TRAMA La Sezione 9 è un reparto speciale delle forze di polizia nipponiche, che si occupa dei casi più delicati e di antiterrorismo: i suoi membri sono degli specialisti sia nelle tecniche convenzionali di indagine e di combattimento, che nelle nuove

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tecniche sorte con l’informatizzazione globale di sistemi e persone. Sulle tracce di un fantomatico criminale informatico ribattezzato “Il Signore dei Pupazzi”, per la sua capacità di manipolare le menti (elettroniche) delle persone, si trovano il Maggiore Motoko Kusanagi, l’ex-militare Bateau e l’investigatore Togusa, coadiuvati dall’esperto in reti Ishikawa e diretti dal capo della Sezione Aramaki. Ma è proprio il Signore dei Pupazzi a farsi rintracciare dagli agenti speciali, lasciando una scia di indizi e trascrivendo infine la sua “persona” in un corpo rubato. Questo inafferrabile criminale altro non è che un programma (nome in codice: 2501) creato a suo tempo dalla Sezione 6 della polizia allo scopo di tenere sotto controllo la Rete dei sistemi informatici, ma poi evolutosi autonomamente e ribellatosi ai suoi creatori. Il Signore dei Pupazzi si dichiara quindi un ente autonomo e chiede “asilo politico” alla Sezione 9, ma i suoi vecchi padroni attaccano la base dove è custodito e rapiscono il corpo che lo ospita. Il Maggiore si getta all’inseguimento del Signore dei Pupazzi, in cerca di giustizia ma anche di risposte alle sue angosce personali.

ha ancora cancellato le nazioni e i gruppi etnici.” I concetti principali del film, così come le sue caratteristiche estetiche, sono sintetizzati efficacemente già dalle prime immagini e frasi. La scena dell’azione è, come informa il prologo, un mondo piuttosto caotico dove l’informatizzazione e la robotica sono estese a livello capillare, sia nei sistemi che controllano la vita quotidiana che nei corpi delle persone (che sono per la maggior parte dei cyborg) tanto da richiedere una nuova definizione della realtà, del corpo e della memoria individuali. All’inizio vengono mostrati due numeri, due freddi dati gestiti da un calcolatore. Una voce fuori campo descrive la situazione, accompagnando il passaggio da questi due numeri a ciò che rappresentano nella realtà, ovvero due mezzi aerei della polizia impegnati nella copertura di una delicata operazione. Quindi viene subito mostrato il cyborg per

PROLOGO “In un futuro ormai prossimo, le grandi reti informatiche si spingono fino alle stelle e ai flussi di elettroni e di luce che viaggiano nell’universo. Il progresso della computerizzazione, tuttavia, non

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antonomasia dell’opera, il Maggiore Motoko Kusanagi della Sezione 9, impegnata a comunicare per via elettronica con la sua base mediante cavi di trasmissione che partono direttamente dal suo cervello cibernetico. Il Maggiore entra in azione protetta dall’invisibilità grazie al sistema della “mimetizzazione termo-ottica”, per sfuggire poi alla vista di tutti nella stessa maniera. Spogliatasi, si lancia nel vuoto scomparendo, poi combatte rimanendo invisibile e riappare per un attimo, ma solo per scomparire di nuovo dalla scena. La figura del Maggiore, vista di fronte, scompare gradualmente come “riassorbita” dal mondo circostante, lasciando dapprima solo un “disturbo” nell’immagine dello sfondo e poi più nulla: inafferrabile e micidiale, il suo corpo si riconfonde con lo spazio intorno a lei. Questa scena chiude il prologo del film, fissando la sintesi, in immagini e animazioni mozzafiato, dei contenuti e dello stile dell’opera. Si parte dai dati di un computer, si emerge gradualmente al mondo esterno, si assiste all’integrazione tra comunicazioni e corpi concreti (il Maggiore e i suoi cavi di trasmissione), si ammira la scena della battaglia del Maggiore e attraverso la scomparsa del suo corpo si è posti di

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fronte all’integrazione tra dato invisibile ed effetto concreto. L’azione del Maggiore è così tecnologicamente sofisticata da apparire quasi un combattimento virtuale, ma rimane al tempo stesso una semplice lotta corpo a corpo, a mani nude. Il tutto mentre sono abbozzati gli intrighi politici e le gelosie interne alla polizia che fanno da sfondo alla storia. Una struttura simmetrica, quasi un episodio a sé stante all’interno della trama. Dopo la sintesi globale offerta dal prologo, le immagini su cui scorrono i titoli di testa si concentrano sull’elemento chiave dell’opera, la persona del Maggiore Kusanagi, o meglio sul suo Guscio. Il flash-back mostra la fase di assemblaggio del corpo robotico di Motoko, dal cervello elettronico in cui è racchiuso il suo Spirito alla pelle e ai capelli, sul sottofondo evocativo di “Making of cyborg”, tema fondamentale della colonna sonora. La costruzione di questo Guscio, che emerge gradualmente dalla sua incubatrice liquida come se nascesse davvero, è la costruzione e il punto di partenza dell’intera storia: il proseguimento segnerà lo sviluppo opposto e complementare dello Spirito, che viene costruito man mano che il Guscio è distrutto. Mentre all’inizio si assiste alla

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GHOST IN THE SHELL nascita del Maggiore Kusanagi, alla fine si assisterà alla sua rinascita. L’ultimo passaggio chiave delle scene iniziali è la collocazione del Guscio di Motoko nel suo mondo. In una scena quasi priva di luce, con l’intera città e i suoi grattacieli visti attraverso una grande finestra (il filtro attraverso cui è restituita la realtà), la donna apre i suoi grandi ed enigmatici occhi blu che risaltano da soli (essendo il resto della stanza nel buio) contro le sagome nere dello sfondo, prima di vestirsi ed uscire. Il gioco di scatole cinesi conduce dal corpo del Maggiore, alla sua stanza, alla città intera, spazi che altrimenti si confondono e si compenetrano quando il Guscio si immerge invisibile in essi.

Azione: la Città e la Rete La scena dell’inseguimento del camion della nettezza urbana coniuga bene le esigenze di un film d’azione con l’atmosfera molto particolare di questo anime. Come nel prologo, assistiamo ad un’azione che si svolge allo stesso tempo su due fronti: l’inseguimento reale, in automobile o nel veicolo speciale della Sez. 9, e l’inseguimento virtuale, cioè il tracciamento del camion rincorso sulla mappa elettronica della città, il Maggiore che assume la guida automatica del suo veicolo e contemporaneamente contatta la centrale, e le misteriose telefonate dello spazzino colpevole che diffonde dai terminali un virus informatico. Prima ancora di identificare la fonte del segnale pirata nel camion, la Sez. 9 è in effetti alla ricerca di un unico impulso nel mare della Rete: “Cosa stiamo cercando? – Tutto e niente”. E infatti, alla fine dell’inseguimento, i nostri poliziotti si ritroveranno senza niente di “vero” in mano, soltanto con due persone la cui memoria è stata stravolta dal Signore dei Pupazzi. Tutto l’inseguimento, insomma, è stato l’inseguimento di un’ombra, è stato un gioco organizzato dal signore delle menti. In questo teatrino della corsa e delle sparatorie, i nostri protagonisti e le loro prede sono stati

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Pagina a sinistra: Motoko resa invisibile dalla mimetizzazione termo-ottica. Sopra, dall’alto: 1) il Quartier Generale della Sezione 9 2) il Signore dei Pupazzi viene rintracciato all’interno di un cervello elettronico.

comunque dei burattini, il palcoscenico stesso su cui si sono mossi è stato allestito ad arte a partire dalla Rete. Va comunque detto che, già ora, il film presenta vari piani di consapevolezza con cui questa finzione viene vissuta. Al livello più basso troviamo i due ricercati, totalmente ignari di essere stati plagiati e controllati a distanza; ad un secondo livello ci sono Togusa e Bateau, che agiscono consapevolmente sulla scena per loro allestita; infine il Maggiore, nonostante non si sottragga all’inutile completamento della missione ed esegua anche lei la parte assegnatale dal Signore dei Pupazzi, mostra una capacità ben maggiore di attraversare

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la Rete o lo spazio reale come un elemento integrante di essi; per lei dato e realtà sono solo due facce della stessa medaglia, ed è per questo l’unica candidata a compiere il salto di consapevolezza che avverrà nel finale. Nella seconda parte dell’inseguimento escono di scena Togusa e lo spazzino, i meno consapevoli di quanto sta accadendo, e i personaggi abbandonano i veicoli per muoversi a piedi, nascondendosi. Rimangono esattamente tre rappresentanti dei livelli descritti sopra, e l’arma principalmente usata non è più il mitra, bensì la mimetizzazione termo-ottica. A fronte di questa simmetria, l’ultima parte dell’inseguimento si snoda su due strade parallele: da un lato Bateau e il criminale corrono nei quartieri bassi della città, prima in un affollato mercato poi in mezzo a vecchie case abbandonate; dall’altro Motoko salta alta su di loro, sui tetti. L’altezza fisica a cui vola il Maggiore riflette la sua superiorità nello sfruttare lo spazio: il maldestro trafficante non sa usare la mimetizza-

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zione termo-ottica meglio di un semplice trucco per nascondersi, mentre la protagonista la sfrutta per diventare una parte integrante della Città stessa. Infine le due strade convergono in uno spazio che riassume in una sola immagine tutti gli elementi: una zona parzialmente allagata tra il mare e la terra, tra le catapecchie di legno disabitate e i maestosi grattacieli sullo sfondo, un’ambientazione che sembra concretizzare, nella luce e nello spazio aperto che seguono all’ombra dei vicoli, il passaggio ad un diverso piano di rappresentazione degli eventi (il rimando è ad alcune scene esterne di Patlabor 1). Questo spazio, nella sua impostazione così simile a quella di uno stage da videogioco, è una vera e propria scena teatrale, il palcoscenico di cui è padrone il Signore dei Pupazzi. Per chi è al livello di coscienza più basso, la vastità dell’ambiente e la sua luce tolgono ogni protezione, mentre sono gli alleati ideali per l’attacco portato del Maggiore. Quest’ultima colpisce il suo avversario come all’inizio, come un essere invisibile e onnipresente, e riemerge dal nulla per esibirsi in un elegante e terribile esercizio di arte marziale, la In alto da sinistra: 1) lo spazzino plagiato dal Signore dei Pupazzi e il suo collega; 2) Motoko mette fine alla fuga del terrorista ricercato. A sinistra: Bateau, il soldato cibernetico della Sezione 9. Pagina a destra: Bateau ricopre Motoko col proprio giubbotto.

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cui spettacolarità è proiettata, come in negativo, sui contorcimenti del malcapitato criminale. Su questa scena, Oshii suggella quindi la perfezione del Guscio di Motoko e la sua intima unione con la Città, descritta per tutto l’inseguimento e fotografata infine nello spazio descritto. Ad ulteriore consacrazione del Guscio, si vede infine Bateau ricoprire le nude spalle del Maggiore con il suo giubbotto; d’ora in avanti sarà lo Spirito, per ora rappresentato al livello più infimo dalla mente manipolata del delinquente arrestato, ad emergere prepotentemente sulla scena.

bile da chi gli sta attorno. La fine di questa triste scena restituisce l’immagine del Maggiore riflessa nel vetro dell’ufficio, dando inizio ad una serie di sdoppiamenti che simboleggiano la precarietà delle nozioni di realtà, identità, “umanità”. Poco dopo si vede infatti Motoko emergere da un’immersione subacquea, e il suo corpo si avvicina alla sua immagine riflessa dalla superficie d’acqua fino a coincidere con essa. La linea che separa le diverse nozioni di “realtà”, le diverse identità personali, viene resa tanto sottile da annullarsi quando i due corpi del Maggiore, quello vero e quello riflesso, vengono a coincidere. Ma la scena ha anche un’altra valenza simbolica. Come dice poco dopo la stessa Motoko a Riflessione: il Guscio e lo Spirito Bateau, nell’atto di emergere le sembra di andare Dopo le prime scene di azione, assistiamo all’in- incontro ad “un’altra se stessa”, ad una rinasciquietante interrogatorio dello spazzino che ha ta come persona diversa, come se lo Spirito della perso la sua memoria e la sua identità, dal mo- donna cercasse di rivivere, guidato da un istinto mento che il Signore dei Pupazzi ha manipolato il nascosto, l’atto della nascita del Guscio. Difatti la suo cervello (e il suo Spirito) per piegarlo al suo scena iniziale della nascita di Motoko si basa sulvolere. I ricordi e le esperienze che formavano il la sua emersione graduale da un liquido speciale, mondo del poveretto sono stati a tal punto stravol- cosa che è replicata nell’immersione subacquea e ti che l’uomo parla e vive accordandosi ad una sua nel successivo ritorno a galla. Ricerca di una rinascita e ricerca di una nuova realtà, ben diversa da quella esterna sperimenta-

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identità, ricerca della vera se stessa. Non a caso Motoko dice poi che sott’acqua può provare “paura” e “speranza”, cioè sentimenti umani, tanto umani da essere persino irrazionali. La prigione in cui dichiara di sentirsi molte volte rinchiusa, una prigione che trattiene il suo Spirito in angoscia, è tradotta al livello del Guscio dalla fredda e oscura profondità marina. Come il Guscio sperimenta una rinascita e una liberazione emergendo all’aria e al calore del sole dagli abissi inospitali (nonostante è in essi che questa vita si origina), così lo Spirito tormentato della donna cerca, in quell’atto, una liberazione e un elevamento. Se il Guscio è chiamato, come detto, a interagire con lo spazio e con la Rete, lo Spirito è chiamato a formarsi in una realtà altrettanto multiforme. Pensieri, esperienze e ricordi, labili frammenti di un incessante fluire e mutare di dati, sono chiamati a fissarsi ogni volta nelle tante memorie che definiscono gli individui. Così si forma lo Spirito, così si forma una “persona”, come già anticipa il Maggiore nel suo denso dialogo con uno scettico Bateau e come sarà meglio esplicitato nel finale. A questo punto il Guscio, inteso come sede dell’identità, entra in crisi allorché viene posto il problema dello Spirito e della nascita di una persona. Motoko stessa dichiara di sentirsi a disagio nel pensare a se stessa come a colei che gli altri chiamano “il Maggiore”, riconoscibile mediante un volto e una voce: dal suo intimo lo Spirito preme per venire alla luce ed avere risposte. Risposte che per ora sono rimandate. Questo

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snodo centrale del film pone difatti le basi per lo sviluppo della seconda parte, che vedrà in scena direttamente il Signore dei Pupazzi. Volendo leggere la nostra storia come il percorso evolutivo del Maggiore da uno stato iniziale di coscienza e identità ad uno più alto, potremmo dire che queste scene, con le successive, fissano la “fase dello specchio”, delle definizioni imperfette, dei tentativi di liberarsi dal dubbio. All’immagine di Motoko e del suo riflesso che si fondono, nel punto dove mare e cielo si incontrano, è assegnata come didascalia una citazione biblica (dalla Prima Lettera di S. Paolo ai Corinzi), dove si parla appunto di una conoscenza ancora imperfetta delle cose, viste non direttamente ma come in uno specchio (la sceneggiatura di Ito era già ricorsa alla Bibbia, in modo anche più convincente, nel già citato Patlabor 1). A rafforzare la metafora dello specchio, il Maggiore pronuncia la frase con un’altra voce, come eco di qualcun altro. Gli intensi primi piani della scena, in cui risaltano gli occhi della donna, conferiscono al personaggio una vita sua propria: mentre si guarda lo schermo, si ha la sensazione di essere guardati di rimando, come già alla fine del prologo.

Interludio Il raccordo tra le due parti dell’anime è realizzato da una scena che riassume bene le idee mostrate fino a questo punto, e lo fa senza spendere una

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sola parola, usando soltanto immagini lente e il suggestivo sottofondo di “Making of cyborg”. Mentre cala la sera, la Città scorre sullo schermo: le sue luci colorate accendono dei loro riflessi le vetrine, in un’atmosfera ovattata e grigia di pioggia. Tra gli abitanti si può ravvisare due volte il viso del Maggiore, prima in quello di una ragazza seduta in un ristorante, e poi in quello di un manichino in una vetrina; su un ponte si vede poi il cane appartenente al povero spazzino arrestato in precedenza (lo stesso cane che abbaia in una scena di Patlabor 2) che guarda placido verso lo spettatore. Questa ambientazione magistralmente orchestrata è insomma lo specchio che rimanda al Guscio le immagini della realtà, lo specchio dietro al quale lo Spirito invisibile attende, il contorno sfuocato di ciò che deve ancora essere visto “faccia a faccia”.

Lo Spirito

nel caso di Togusa. Bateau e Motoko hanno invece corpi interamente artificiali; ma mentre il primo è pienamente convinto della sua “umanità” (dell’umanità del suo Spirito), la seconda attraversa un periodi di crisi esistenziale. Dubbiosa sull’essenza del suo Spirito, arriva a disconoscere il Guscio come sede della sua identità, confessando il disagio che le provoca il sentirsi “umana” solo perché tale all’esterno. L’ingresso in scena del Signore dei Pupazzi solleva due questioni. Anzitutto, lo Spirito può essere copiato da un cervello elettronico ad un altro: questo significa che la personalità di un uomo è riproducibile come un dato informatico, e che i Gusci sono poco più di contenitori vuoti, nonoPagina a sinistra: Motoko riemerge dopo un’immersione subacquea. In alto a sinistra: 1) Motoko in barca con Bateau; Sopra e sotto: le luci della Città sotto la pioggia.

Quasi senza preavviso, lo Spirito entra prepotentemente nella scena del film a seguito del ritrovamento del Signore dei Pupazzi. Questa entità è il complementare del Guscio (così come la grande Rete, il “Mare dell’Informatica”, è una sorta di complementare dello spazio reale) e per la maggior parte delle persone risiede tradizionalmente nella parte umana del cervello, dato che gli innesti robotici presenti in varia misura nel loro corpo non alterano più di tanto la loro condizione, come

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stante il trasferimento di uno Spirito ne comporti un parziale deterioramento. Inoltre, cosa ancora più inquietante, un’identità pensante e cosciente (uno Spirito insomma, non una semplice IA) può emergere da sola da un insieme di dati. Se ciò è a malapena comprensibile per Togusa, Bateau e Motoko sono disposti a crederci (come già anticipato nel dialogo dei due sulla barca) e per quest’ultima la questione è particolarmente importante. Da questo momento il Maggiore non lascerà niente di intentato per potere guardare da vicino nello Spirito dello strano essere, per risolvere il dubbio della sua identità, il dubbio se sia necessario essere “umani” per essere “vivi”. L’immagine fredda e statica del corpo mutilato del Signore dei Pupazzi accompagna la sua autodefinizione come “entità vivente pensante generata dal Mare dell’Informatica”. Una specie biologica e gli individui ad essa appartenenti sono definiti, dice l’enigmatico Burattinaio, dalla memoria contenuta nei loro geni; quindi egli si di-

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chiara un essere vivente a tutti gli effetti in forza del fatto di essere definito da una memoria di dati informatici. Un puro Spirito quindi, nell’accezione più vasta del termine, memorizzato in un insieme di dati vasto quanto l’intera Rete, senza nessun Guscio o supporto suo proprio. Nel momento (presente solo nella finzione narrativa) in cui la vita e l’identità dell’uomo vengono ridefinite a prescindere dal substrato biologico dei suoi geni, nel momento in cui gli Spiriti abitano nei Gusci come nella persona del Maggiore, questo discorso è portato alle estreme conseguenze nella figura del Signore dei Pupazzi. A dire la verità, non è mai ben chiaro se lo “Spirito” indichi solo la coscienza individuale o qualcosa di trascendente; meglio evitare la questione e accennare ad un’altra: è possibile l’esistenza di uno Spirito privo di Guscio? A prescindere dal motivo, pure l’inafferrabile Signore dei Pupazzi si è scelto un corpo.

Il Guscio Mentre tutto il lungometraggio porta avanti e modella man mano la forma dello Spirito, lo stesso accade per il Guscio. Anzi, le due storie sono in effetti parallele e le proprietà dei due enti sembrano più di una volta confondersi, nel senso che talvolta il Guscio è sul punto di divenire labile ed evanescente, mentre lo Spirito al contrario acquista consistenza e visibilità.

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Il Guscio, ovvero il corpo di Motoko, costituisce senz’altro un elemento in grado di catalizzare l’attenzione sulle immagini, cosa niente affatto secondaria in un film di animazione (per quanto sorretto da dialoghi complessi) e anzi sfruttata abilmente dalla regia. Ma ciò non impedisce di utilizzare tale elemento in modo da farne, all’interno del lungometraggio, qualcosa di più di una semplice immagine ricorrente: il Guscio di Motoko può essere considerato una vera e propria icona rappresentativa dell’intero lavoro, perché su di esso si può leggere tutto lo svolgimento della vicenda. Come un altro dato del mutevole ed inafferrabile mondo della Rete, il Guscio appare e scompare al ritmo delle eleganti capriole del Maggiore, grazie all’ausilio della mimetizzazione termoottica, emergendo dal nulla o rituffandosi in una nebbia tremolante di luce. Viste dall’esterno, le scene in cui il Maggiore combatte corpo a corpo restando invisibile trasmettono la sensazione che il Guscio sia paragonato ad un dato della Rete, o ad un programma, a qualcosa insomma in grado di agire senza mostrarsi concretamente. La fluidità con cui Motoko, grazie alla mimetizzazione termo-ottica, si rende invisibile o riappare, l’apparente continuità tra il suo Guscio e la realtà visibile agli occhi, sembrano indicare direttamente nella città e nei luoghi concreti una sorta di super-Guscio dell’intera rete informatica. Come lo Spirito può interagire con porzioni più o meno ampie della Rete, a seconda delle sue capacità, così il Guscio può interagire

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in modo omogeneo con gli spazi fino ad esserne parte integrante. Mentre scorrono i titoli di testa, l’opera presenta il suo protagonista all’atto della sua nascita, cioè il Guscio del Maggiore mentre viene fabbricato. E alla fine, quando Motoko è in bilico tra la morte e la rinascita, il suo corpo viene impietosamente distrutto pezzo per pezzo. Già soltanto dal punto di vista delle immagini, e del loro impatto sullo spettatore, le due scene sono dei capisaldi del film. Si parte ammirando la perfezione interna ed esterna del corpo cibernetico, dal cervello allo Pagina a sinistra, in senso orario: 1) Il Sgnore dei Pupazzi nel suo corpo danneggiato; 2) l’esperto in cervelli della Sezione 9; 3) pattern cerebrale del Signore dei Pupazzi; In alto: 1) la Sezione 6 interviene per riprendersi il progetto 2501; 2) Aramaki e Nakamura. In basso: Aramaki ordina il contrattacco.

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scheletro, ai muscoli e alla pelle, per poi vedere la bellezza statuaria di questo Guscio di nuovo decomposta nelle sue componenti interne, quando la pelle del cyborg si lacera rivelando ancora muscoli e ossa di titanio. È lo stesso processo, su scala più vasta e complessa, a cui va incontro il corpo che ospita il Signore dei Pupazzi, costruito per volontà del suo stesso ospite e tagliato in due da un incidente stradale deliberatamente causato. Il Guscio di Motoko è un formidabile strumento d’azione, ma è al tempo stesso dotato di grazia ed eleganza, i suoi volteggi e le sue capriole si alternano ai calci e alle sparatorie offrendo il superbo spettacolo della perfezione robotica. Nella prima serie televisiva, di fronte ad un Togusa assorto nei suoi dubbi umani, nel suo corpo totalmente umano, il Maggiore si esibisce in una serie di acrobazie mozzafiato, portando il suo Guscio quasi a volare. E subito, nell’episodio seguente, questo suo corpo meraviglioso è quasi distrutto da un mobile-suite nemico.

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Queste scene sono un’estensione delle immagini finali del film, dove lo sviluppo dello Spirito prosegue con lo smembramento del corpo. Il Maggiore prima combatte con l’equipaggiamento completo di un soldato, poi si lancia “nuda” e invisibile contro il robot nemico tentando di forzarlo solo con le mani, e viene infine atterrata con il Guscio semidistrutto. Insomma, il Guscio viene costruito e demolito così come lo Spirito evolve, ed appare tanto permeabile al mondo “reale” quanto lo Spirito lo è alla Rete. Per sua stessa natura, il Guscio non è unico, perché è un corpo artificiale, ed in questo è ben diverso da un corpo umano che sarebbe in grado di identificare da solo un individuo. La questione si pone con forza alla fine del lungometraggio, quando il Maggiore (o piuttosto l’essere derivante dalla sua fusione con il Signore dei Pupazzi) abbandona l’appartamento di Bateau con un altro corpo robotico. Da questo punto di vista sembra quindi che l’identità personale sia relegata nella sfera dello Spirito, facendo del Guscio un mero involucro con il quale non c’è identificazione. Probabilmente però è necessario adottare un punto di vista meno univoco. A prescindere dalIn alto: 1) Ishikawa, l’esperto informatico della Sezione 9; 2) Il Maggiore in azione. A destra: il carro armato della Sezione 6. Pagina a sinistra: il Guscio di Motoko è distrutto dal carro armato.

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l’importanza data al corpo di Motoko per tutta la durata del film, va comunque notato che il suo nuovo corpo sembra essere una versione “bambina” di quello vecchio. Verso la fine della prima serie il Maggiore usa di nuovo questo corpo “di riserva” per sfuggire all’eliminazione dei membri della Sezione 9. In un momento di tranquillità nel suo appartamento, dove la ha raggiunta Bateau, Motoko rientra nel suo corpo abituale e, con un gesto sprezzante nei confronti del suo corpo “bambino” dice: “Non mi sento bene finché non sono in questo corpo”. È difficile, quindi, dire che il Guscio non contribuisce a definire l’identità personale dei cyborg (nonostante il loro Io sia in effetti contenuto nel solo Spirito), dal momento che il personaggio fatica a vivere con altre sembianze. Inoltre sarebbe ben difficile costruire il protagonista di un lungometraggio e di 2 serie TV senza dotarlo di una presenza scenica (di un disegno insomma) forte e stabile. Merito della regia e della sceneggiatura, allora, l’aver coniugato le esigenze dello spettacolo con l’approfondimento del soggetto. Proseguendo su questa strada, il problema dell’unicità del Guscio viene posto anche come presenza di tante copie di un unico modello base, e non solo come possibilità di forme diverse. Anche in questo caso, sembra che la copia del Guscio usata non abbia importanza: sempre nella prima serie, Motoko adotta un corpo nuovo per sostituire quello danneggiato, mentre i Tachikoma (i robot della Sez. 9) sviluppano personalità distinte pur avendo la stessa carrozzeria.

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Ma anche entrando nel corpo nuovo, il Maggiore porta con se il suo orologio da polso che le è stato regalato quando, una volta adulta, ha potuto adottare un corpo dalle sembianze “definitive”; questo orologio segna lo scorrere della sua vita a livello fisico (altrimenti impossibile da percepire, visto che il corpi robotici sono sempre identici), tenendo quindi conto dell’avvicendarsi nel tempo delle varie copie del Guscio. Questa tematica è di nuovo resa esplicita in “Innocence”, quando Bateau e Togusa si trovano di fronte a decine di androidi, tutti con le sembianze esteriori del Maggiore. L’unico di quei robot che effettivamente ospita il suo Spirito si distingue però dagli altri per essere rivestito dal giubbotto giallo di Bateau. Lo stesso giubbotto che il rude poliziotto, in due scene di questo film, usa per ricoprire con inaspettata gentilezza il nudo Guscio di Motoko. La logica vuole che il corpo meccanico si possa adattare con facilità al caldo o al freddo; quello che si intravede nel gesto di Bateau è la volontà di proteggere l’intimità di lei, è la considerazione del suo Guscio come una parte esteriore, ma integrante, della sua persona; la parte a cui si possono dedicare semplici gesti di gentilezza.

La Persona Il finale del film, in un crescendo di tensione degno di una grande pellicola d’azione, conclude gli sviluppi complementari e opposti di Spirito

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In alto: 1) Bateau assiste il Maggiore; 2) Motoko entra in contatto con il Signore dei Pupazzi. In basso: il Guscio di Motoko è definitivamente annientato. Pagina a destra: la nuova Motoko lascia la casa di Bateau.

e Guscio chiamando in causa la riproduzione e l’evoluzione. Dopo il turbine d’azione dell’inseguimento e del combattimento del Maggiore, si vede nuovamente la prevalenza dei dialoghi e di immagini statiche o scene lente. L’atmosfera creata dal vecchio museo in disuso, con la sua gigantesca volta a botte di vetro, la pioggia, l’imminente arrivo dei soldati della Sezione 6, l’ansia del Maggiore (e dello spettatore) di svelare definitivamente il mistero del Signore dei Pupazzi, sono tutti elementi che creano una forte tensione e portano al climax narrativo che risolve la vicenda.

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La situazione rappresentata alla fine è, come già detto, il disfacimento del Guscio. Il museo è poco più di un vecchio guscio vuoto, i corpi di Motoko e del signore dei Pupazzi sono mutilati e inservibili, il carro armato (il Guscio più potente, anche se privo di Spirito) è distrutto e anche Bateau, alla fine della scena, perderà un braccio. Da questo sfacelo dei corpi lo Spirito emerge rinato ad uno stadio superiore. Il simbolo che sintetizza gli ultimi eventi è un albero delle specie viventi scolpito su una parete, rovinato dalla mitraglia del carro armato tranne che al vertice, dove campeggia la scritta “Hominis”. Il suo significato è duplice e svela infine il senso dei discorsi fatti finora. Come ad un certo punto dell’evoluzione compare l’Uomo, e la memoria biologica è animata dal soffio dello Spirito, così dal mare della Rete emerge una memoria frutto di un peculiare incrocio dei dati, e tale entità ha anch’essa un suo Spirito. In secondo luogo, ciò che manca al Signore dei Pupazzi per essere veramente “vivo”, ciò che manca anche a Motoko, è il destino comune agli altri esseri come Togusa (personaggio che verrà molto approfondito in questo senso nei lavori successivi) di potere riprodursi e andare infine incontro alla morte. La vita, ovvero la sua memoria biologica, ha escogitato questo meccanismo per assumere un aspetto più vario, per conservarsi e trasmettersi con più successo. L’evoluzione riproduce su scala più grande la riproduzione e morte degli individui: comportandosi come un vero

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organismo vivente, il programma 2501 arriva alla conclusione che la sua conservazione è meglio garantita da riproduzione, diversificazione e morte (con mantenimento dei nuovi dati, dei nuovi “geni”) che da una semplice copia. La varietà garantisce la conservazione meglio delle copie, così le specie sono composte da individui diversi, e la vita intera da specie diverse tra loro. Questo concetto era già stato anticipato in un precedente dialogo tra Motoko e Togusa. Il giovane poliziotto era stato assunto alla Sez. 9 principalmente perché, essendo totalmente umano, avrebbe potuto integrare le abilità dei cyborg affrontando i problemi con un approccio diverso e complementare: “Un’eccessiva specializzazione porta alla debolezza, ad una lenta morte”. L’incontro tra il Signore dei Pupazzi e il Maggiore segna la nascita di un nuovo essere, di un nuovo Spirito, e anche un nuovo “salto” nell’evoluzione delle forme viventi. Il prezzo da pagare è la perdita della precedente identità individuale, ma il guadagno è la perpetuazione nel tempo e l’evoluzione. Le scene che segnano lo sviluppo finale dello Spirito sono marcate ancora da un uso di immagini statiche e primi piani; le inquadrature in terza persona dei personaggi sono alternate alle loro stesse visioni della realtà, ad esempio negli attimi in cui lo Spirito di Motoko si “immerge” in quello del Signore dei Pupazzi. E infine, mentre i Gusci ricevono il colpo finale, lo Spirito riemerge da un mare di luce e piume svolazzanti. Eppure, nonostante lo sviluppo vissuto dallo

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Spirito a scapito del Guscio, le due entità non subiscono mai una separazione totale. In aggiunta a quanto già detto parlando del Guscio, vanno fatte altre brevi considerazioni. Anzitutto, sulla scena del vecchio museo rimane, con lo sguardo rivolto allo spettatore, la testa di Motoko, entro il cui cervello si è trasferito lo Spirito del nuovo essere appena nato. Ed è dal Guscio che si riparte, nella scena finale. Bateau procura un corpo di fortuna: con la sua forma “bambina” questo Guscio sta a simboleggiare che, al suo interno, si cela proprio uno Spirito nuovo da poco venuto alla luce. L’essere in questione non è però un vero infante, bensì un adulto in quanto a consapevolezza e a capacità. Il Maggiore conclude il passo di S. Paolo già citato in precedenza, attestando la raggiunta maturità e il superamento dei suoi dubbi, e in quel momento la voce infantile caratteristica del Guscio viene sostituita dalla voce adulta dettata dallo Spirito, riprendendo e portando a compimento la scena del cambio di voce di Motoko dopo l’immersione subacquea. Le immagini finali si allargano sulla Città, il super-Guscio, mentre le parole svelano l’altra faccia della medaglia, ovvero la Rete da cui prende forma lo Spirito.

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ANTONIO TRIPODI

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Kusanagi

Bateau

Togusa

Ishikawa

Aramaki

Signore dei Pupazzi

Kusanagi/SdP

Spazzino

Spazzino

Terrorista

Tutte le immagini presenti in questo articolo sono © 1995 MASAMUNE SHIROW/KODANSHA/ BANDAI VISUAL/MANGA ENTERTAINMENT All rights reserved

SCHEDA TECNICA

Nakamura

Dr. Willis

MUSICHE: Kenji Kawai TITOLO ORIGINALE: “Kokaku Kidoutai - Ghost in the Shell” LA CANZONE “See you everyday” di Kenji 攻殻機動隊 GHOST IN THE SHELL Kawai, ANNO: 1995 testo di Pong Chak Man, cantata da Fang Ka Wing, REGIA: Mamoru Oshii cori di Jungo Hirotani SCENEGGIATURA: Kazunori Ito FOTOGRAFIA: Hisao Shirai DAL MANGA DI: Masamune Shirow MONTAGGIO: Shuichi Kakesu (J.S.E.) CHARACTER DESIGN: Hiroyuki Okiura SUONO: Kazuhiro Wakabayashi MECHA DESIGN: Atsushi Takeuchi, Shoji KawaPRODUTTORI: Yoshimasa Mizuo, Ken Matsumoto, mori Ken Iyadomi, Mitsuhisa Ishikawa WEAPON DESIGN: Mitsuo Iso PRODUTTORI: KODANSHA/BANDAI/MANGA ENTERT. ANIMATION DIRECTOR: Toshihiko Nishikubo STUDIO DI PROD.: PRODUCTION I.G. ART DIRECTOR: Hiromasa Ogura DIR. DEI FONDALI: Takashi Watabe © 1995 MASAMUNE SHIROW/KODANSHA/ SETTING COLORI: Kumiko Yusa BANDAI VISUAL/MANGA ENTERTAINMENT

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Chobits S

iamo nel prossimo futuro, e uno dei principali passi avanti nel recente progresso tecnologico è stato l’introduzione sul mercato dei personal computer di forma umana. Questo tipo di PC può non solo replicare qualunque funzione di uno degli obsoleti modelli da scrivania, ma può interagire con il suo proprietario quasi come un comune essere umano. Nella nostra storia i PC di forma umana sono di uso comune, e in città è un’immagine frequente vederli accompagnare le persone. Sulla scia dei modelli umanoidi, sono diffusi computer portatili dall’aspetto di bambolotti in grado di entrare in uno zaino, e cellulari dalla forma di piccoli pupazzetti di formato tascabile. Ben poco è rimasto immune a questa rivoluzione informatica, men che meno i rapporti tra gli esseri umani. Su questo panorama si apre Chobits, un fumetto opera delle CLAMP, ormai affermatissimo gruppo di quattro disegnatrici giapponesi, autrici di diversi manga di grande successo (Cardcaptor Sakura, Magic Knight Rayearth, X/1999 e molti altri). Il protagonista è Hideki Motosuwa, un ronin (uno studente che non è riuscito a superare l’esame di ammissione all’università, e si prepara per sostenerlo l’anno successivo) che desidererebbe tanto un PC tutto per sé, ma non ha i soldi per poterselo permettere. La sua vita subisce una svolta inaspettata quando trova, tra i rifiuti del vicolo dietro il locale

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presso il quale svolge un lavoro part-time, un PC abbandonato dall’aspetto di una bellissima ragazza. Questo (o questa) si rivela essere un oggetto molto speciale: sembra rifiutare l’installazione di qualunque software ma in compenso riesce ad apprendere in base alle sue esperienze. Chii (questo il nome datole da Hideki, l’unica sillaba che è inizialmente in grado di pronuncia-

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Chobits re) non ha né memoria né ricordi della sua ipotetica vita passata, e, mentre il suo nuovo proprietario s’industria per insegnarle le nozioni più basilari, iniziano a contornarsi le ombre delle sue misteriose origini. Man mano che la storia procede, infatti, sempre più indizi sembrano indicare che Chii sia uno dei favoleggiati Chobits, PC artigianali dalle capacità misteriose che molti nella grande rete considerano soltanto una leggenda. Questo porterà Hideki e Chii ad affrontare molte avventure, alcune delle quali influenzeranno i rapporti tra i due protagonisti e i loro compagni, vecchi e nuovi. Alcuni hanno definito Chobits uno “shoujo per ragazzi”, il fulcro di questo fumetto è infatti rappresentato dalle relazioni interpersonali, molto spesso di carattere sentimentale. Per quanto la trama sia inizialmente molto semplice, e il numero di personaggi limitato, con il procedere della storia aumenta la complessità, e i nuovi protagonisti si aggiungono come tessere di un mosaico andandosi ad incastrare in

NOTA: vengono chiamati shojo 少女 i manga mirati ad un pubblico femminile piuttosto giovane, che tipicamente ruotano attorno alle disavventure della protagonista, normalmente una ragazza adolescente dalla vita tormentata; alcuni esempi possono essere fumetti come Candy Candy o Maison Ikkoku.

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modo certosino le une con le altre, fino a creare un’immagine ricca e piuttosto avvincente. Uno dei temi principali del fumetto è il rapporto tra gli esseri umani e i PC di forma umana. Questi ultimi sono, in teoria, semplicemente oggetti e, sebbene imitino le persone nella forma e nei modi, si muovono, parlano e agiscono solo in base alla loro programmazione. Tuttavia sembrano persone, e la loro somiglianza è tale che fin troppo facilmente gli abitanti di questo prossimo futuro finiscono per illudersi di avere trovato nel proprio computer antropomorfo un perfetto compagno, un amico, un amante, un fratello, una sorella o un figlio, arrivando a preferirlo a un vero essere umano, rispetto al quale offre il vantaggio di poter essere riprogrammato eliminando qualunque difetto o caratteristica sgradita. E così, attraverso i personaggi la cui vita s’intreccia con quella del protagonista, assistiamo a drammi come quello della giovane insegnante di Hideki, Takako, abbandonata

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MANGA dal marito che preferisce dedicare le proprie attenzioni a un PC; o quello di Minoru, che ha rimodellato uno dei suoi PC in modo da replicare e prendere il posto

della sorella morta, e si tortura perché per quanto questi possa sembrare la sorella non potrà mai esserlo realmente. Per quanto riguarda il disegno, le autrici hanno usato per questo manga, rispetto ad altre opere come ad esempio Magic Knight Rayearth, un tratto più netto e morbido, molto gradevole, e i personaggi femminili ne risultano assolutamente deliziosi (in particolare Sumomo e Kotoko, i due PC portatili). Chobits è lontano dall’essere un fumetto graficamente ricco e dettagliato, o realistico, e a evidenziare subito questa mancanza sono gli sfondi, molto poveri nei migliori dei casi, e fin troppo spesso completamente assenti. Sebbene ciò abbia il pregio di mettere in risalto le figure – in particolare il viso dei personaggi – molto centrali in quest’opera, tradisce le aspettative per quello che sarebbe potuto essere un manga di qualità decisamente superiore. A riparare in qualche modo il difetto, si rita-

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gliano uno spazio tutto loro i vestiti incredibilmente elaborati, tra lo stile goth e la lingerie in pizzo e merletto (accostamento che ho scoperto chiamarsi Gothic-Lolita, o gothloli) visibile di quando in quando addosso a Chii, con sommo imbarazzo del “padrone” Motosuwa. Il fumetto non manca di grosse ingenuità, soprattutto in campo scientifico. Una delle sue travi portanti è l’idea che, come gli esseri umani cercano nei PC antropomorfi (termini come “robot” o “androide” non vengono mai usati) qualcosa, o per meglio dire qualcuno, con cui interagire come con una persona, capace non solo di comportarsi come tale, ma di provare emozioni e sentimenti, allo stesso modo queste macchine, diventando sempre più complesse, sentono di bisogno, anche se non riescono a riconoscerlo, di diventare qualcosa di più, un partner a tutti gli effetti per il “proprio” essere umano. Il “come” ciò sia

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Chobits

possibile, dal punto di vista elettronico e informatico, resta comunque completamente inspiegato, un aspetto che – è piuttosto evidente – alle autrici non interessa approfondire. Chobits apparirebbe così più una fiaba di ambientazione futuristica che un racconto di fantascienza, ma questa è una delle concessioni che vengono tacitamente richieste al lettore. Una menzione a parte la merita una sorta di “storia nella storia”, una fiaba illustrata dal titolo “La città deserta” che Motosuwa compra in una libreria e decide di regalare a Chii, e della quale possiamo vedere le tavole man mano che il fumetto prosegue e Motosuwa continua a comprare i libri successivi. Fin dall’inizio è chiaro che i riferimenti alle vicende vissute dai due protagonisti sono troppi per essere casuali, ma chi sia l’autore di questi volumi resta uno dei misteri che verranno svelati soltanto con il procedere della storia.

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I disegni sono semplici e molto diversi da quelli normalmente usati nel resto del fumetto, ma devo ammettere che proprio la loro semplicità e il tono ingenuo e fiabesco mi hanno profondamente affascinato. Prima di concludere, trovo doveroso fare qualche commento ai riferimenti ad altri fumetti che si trovano in Chobits. A parte i toni (e i temi), che mi hanno ricordato a più riprese il bellissimo Video Girl Ai di MASAKAZU KATSURA, quest’opera ha legami con almeno altri due manga. Il primo, che risulterà chiaro fin dall’inizio a qualunque lettore conosca questo titolo, è il celeberrimo Maison Ikkoku di RUMIKO TAKAHASHI. Motosuwa, infatti, non solo è un ronin come Godai (il protagonista del fumetto della Takahashi) ma vive in una stanza in affitto nella periferia di Tokyo, tenuta da un’amministratrice che, oltre a essere un’avvenente e giovane vedova, possie-

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ANIME

MANGA

Chii

Ideki

Sumomo

Yuzuki

Ueda

Yumi

Chitose

Minoru

Shimbo e Shimizu

de molti tratti che richiamano non poco la bella Kyoko Otonashi. Il secondo manga con il quale Chobits è legato a doppio filo è Angelic Layer, sempre delle Clamp. Diversi personaggi secondari appaiono in entrambi i fumetti. La sorella maggiore di Minoru, Kaede Saitou, è uno dei protagonisti di Angelic Layer, e altri se ne possono vedere sullo sfondo nel flashback nel quale si assiste alla morte della ragazza, o in piccole apparizioni nell’uno o nell’altro fumetto, senza legare narrativamente le due storie ma dando al lettore uno stuzzicante senso di continuità. In definitiva, ho trovato Chobits un fumetto gradevole, senza troppe pretese, ma che proprio per questo mantiene pienamente le sue promesse. Certo non ci si trova di fronte a un’opera d’arte; ad esempio Video Girl Ai, il manga a cui a mio giudizio è più naturale paragonare Chobits, è secondo me decisamente superiore, come storia, come caratterizzazione dei personaggi, come disegno. Tuttavia, in un arco narrativo relativamente modesto (otto volumetti) le Clamp sono riuscite a dare vita a una storia interessante e, a tratti, molto divertente, che credo non lascerà affatto delusi gli amanti del genere e gli appassionati di queste quattro brave autrici.

MILLO T. FRANZONI

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Chobits Tutte le immagini presenti in questo articolo sono

© 2001 CLAMP © 2003 Star Comics All rights reserved

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Jeanette Darc

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Jeanette Darc

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Fumetto: Dillinger Derringer


Dillinger Derringer

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Dillinger Derringer

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Dillinger Derringer

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Staff

TERRE DI CONFINE

COPERTINA SOMMARIO EDITORIALE AREA FANTASCIENZA - SEAN YOUNG PERDIDO STREET STATION L’INTRIGO WETWARE ALESSANDRO VIETTI CYBERWORLD NEUROMANTE EXISTENZ JOHNNY MNEMONIC BLADE RUNNER IL CYBERPUNK È MORTO? CYBERCULTURA CYBERPUNK 2020 AREA FANTASY -BIBI ANDERSSON CAVALLERIA MEDIEVALE - PARTE II IL SETTIMO SIGILLO IL 13° GUERRIERO IL CICLO DEL GHIACCIO E DEL FUOCO DILLINGER - DERRINGER AREA ANIME - MOTOKO KUSANAGI AKIRA HOKUTONOKEN.IT

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AUTORE MASSIMO “DEFA” DE FAVERI MASSIMO “DEFA” DE FAVERI MASSIMO “DEFA” DE FAVERI MASSIMO “DEFA” DE FAVERI CRISTINA “ANJIIN” RISTORI GIAMPIETRO STOCCO GIAMPIETRO STOCCO GIAMPIETRO STOCCO ROMINA “LAVINIA” PERUGINI ROMINA “LAVINIA” PERUGINI CUCCU’SSÉTTE CRISTINA “ANJIIN” RISTORI ENRICO GRADELLINI MELANIA GATTO GABRIELE “IXION” FILIPPI GABRIELE “IXION” FILIPPI MASSIMO “DEFA” DE FAVERI FRANCESCO “MUSPELING” COPPOLA CRISTINA “ANJIIN” RISTORI SELENA MELAINIS CRISTINA “ANJIIN” RISTORI SELENA MELAINIS VANESSA SANTATO MASSIMO “DEFA” DE FAVERI ROBERTO FURLANI STEFANO BACCOLINI

TDC N.4 - MAGGIO 2006

IMPAG. DEFA DEFA DEFA DEFA DEFA DEFA DEFA DEFA DEFA DEFA CROM/DEFA

DEFA CROM IXION IXION DEFA DEFA DEFA CROM DEFA DEFA DEFA DEFA DEFA


GHOST IN THE SHELL CHOBITS JEANETTE DARC STAFF

AUTORE IMPAG. ANTONIO TRIPODI DEFA MILLO T. FRANZONI JUMA MARCO ALBIERO DEFA MASSIMO “DEFA” DE FAVERI DEFA HANNO COLLABORATO: DANIELA “DASHANA” BELLI, ANDREA CARTA, ALESSANDRO VIETTI, EMANUELE “KRISAORE” PALMERINI, FILIPPO “FIGHI”, FRANCESCA TRAVERSI RINGRAZIAMENTI A: SANTO LO GALBO, DONATO GIANCOLA, G. F. “URANIUM” SIGNOROTTO, TERRACE, BARTOSZ GRABOWSKI, “PHO3NIX-BF ”, ILARIA “HARUKA” DI CAMILLO, JEREMY “BIGJOBBIE” RESTON

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i grandi autori

Š Luis royo - underground in magenta


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