Eloy Llevat for Shared Territories/Territories in Crisis

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Villagexpo Nantes la resistenza di un modello

Corso di Laurea magistrale in Architettura Costruzione CittĂ Tesi di Laurea Magistrale Relatrice: Anna Maria Cristina Bianchetti Co-relatrice: Alessia de Biase Candidato: Eloy Llevat Soy Settembre 2016



Indice

Introduzione Ringraziamenti

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Le pavillon, un modello denigrato e perseguito Etat planificateur Le pavillon

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La decostruzione del progetto L’idillio in produzione L’abitare moderno

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Un progetto in movimento L’irruzione delle differenze Mitigare l’individualismo

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Due traiettorie progettuali Open House(s) Bellevue aujourd’hui

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Conclusioni

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Bibliografia e fonti

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Introduzione

Villagexpo a Nantes è un quartiere-esposizione che mette in mostra un modello di abitare ritenuto virtuoso. Realizzato alla fine degli anni 60, può essere considerato un esito esemplare dell’intreccio tra scienze sociali, politiche abitative e pianificazione urbana negli anni del dopoguerra francese. La sua vicenda si situa completamente entro il dibattito sull’abitare, nelle alternative pavillon e grand ensemble, che negli anni sessanta ha costruito quasi per intero la riflessione francese in campo urbano, segnando le posizioni di numerosi, autorevoli studiosi (Lefebvre per primo), di numerose ricerche, e delle migliori sperimentazioni. Questa tesi si occupa delle ragioni che sono state poste alla base di Villagexpo, dei modi della sua realizzazione e delle successive minute, ma significative trasformazioni che lo hanno mutato in funzione dei desideri e delle esigenze di coloro che lo hanno abitato. E giunge a definire un progetto radicale e provocatore per la sua trasformazione. Le ragioni che mi hanno spinto a individuare questo caso come oggetto della mia ricerca sono legate al carattere dimostrativo, paradigmatico che ad esso si è voluto affidare: Villagexpo è parte di una strategia più ampia, mossa dallo Stato per affermare il suo ruolo di guida per un buon funzionamento del territorio e della società. E’ espressione della fiducia riposta in un sapere specialistico teso a costruire modelli per l’abitare di una società che stava divenendo rapidamente di massa. E, nel contempo, espressione di una pratica riformatrice, pedagogica ed educativa, che voleva ri-orientare le preferenze abitative di molti francesi (poco apprezzate da intellettuali e studiosi), focalizzate sul pavillon, considerati vestigia di uno stile di vita piccolo-borghese, poco compatibile con l’idea di nazione progressista e unita che si voleva concretizzare. Il fenomeno pavillonaire è stato oggetto di molte critiche: giudicato come riflesso e causa di un individualismo prono alle forze di mercato, e di un disinteresse egoistico verso il valore estetico dei paesaggi francesi. Gli studi empirici intrapresi dall’ISU (Institut de Sociologie urbaine) analizzano questo fenomeno con uno spirito critico evidente e, insieme con

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altre ricerche, servono a fondare le basi per il cambio di orientamento delle politiche statali, materializzato in sperimentazioni come Villagexpo. In un periodo e in un contesto nei quali la dicotomia casa unifamiliare / grand ensemble appare invalicabile, apparendo queste le uniche due vie possibili, Villagexpo è stato uno sforzo per superare i difetti dell’una e dell’altra. Nel voler esprimere una sintesi dialettica dei due modelli abitativi, Villaexpo mostra anche un evidente carattere utopico. Da un lato, è una critica ai grandes ensembles, modello del quale salva la dimensione collettiva. Dall’altro lato, cerca di guardare, senza pregiudizi, alle case unifamiliari di periferia, sovvertendone alcuni principi. Sebbene le pretese depositate in quello spazio fossero elevate, i modi con i quali è stato abitato sono ben diversi dalle prefigurazioni iniziali dei progettisti. Oggi esso si presenta come un quartiere che senza aver perso un’ambizione programmatica, nondimeno può essere assimilato ai tanti composti e modesti quartieri periferici delle città francesi. Attraverso gli anni le sue qualità collettive sono state superate da scelte individuali percepibili come chiusure di spazi aperti, ampliazioni di spazi privati, aree comuni colonizzate e differenziazioni di parti una volta simili. Questo studio è mosso da una domanda che orienta tutta la mia ricerca: che cosa rimane della grande prospezione depositata in Villagexpo negli anni sessanta? Per rispondere a questa domanda, la mia ricerca esplora dapprima (cap. 1 e 2) i fattori che hanno originato il quartiere: le ideologie, le retoriche, i miti nel dopoguerra francese, la posizione dominante della casa unifamiliare nelle aspirazioni della classe media, il “passo indietro” eseguito dalle autorità pubbliche nei confronti del pavillon e il bisogno di domesticarlo e di piegarlo in conformità con un’idea di collettività. In questa prima parte ho prestato particolare attenzione al nesso le intenzioni dichiarate e lo spazio prefigurato: come si sperava di raggiungere gli obiettivi? attraverso quali strategie? In seguito (cap.3) la ricerca si concentra sul divario tra le intenzioni dei pianificatori e la situazione attuale: quali sono esattamente le differenze e quali sono le cause? uno studio sulle appropriazioni, le significazioni, e la cura degli spazi mostra come le pratiche abbiano fondamentalmente riscritto

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lo spazio e siano alla base di mutate relazioni sociali. Un’osservazione minuta, quasi etnografica, dei segni, delle tracce, degli scarti, di cosa è esposto e cosa è nascosto, permette di interrogarsi su significati e valori di quello spazio per i suoi abitanti, di capire cosa è inteso come interno o esterno, sicuro o pericoloso, proprio o altrui. Questa doppia lettura (dei disegni, dei progetti, del dibattito francese sull’abitare e dello spazio costruito e abitato a sessant’anni dalla sua realizzazione) permette di avanzare alcune considerazioni sulle quali si fonda un progetto per Villagexpo (cap. 4). La particolarità del quartiere oggi è tenere insieme due traiettorie divergenti che convivono senza stravolgere quello spazio. Da una parte c’è lo spazio patrimonializzato, potente, ricco, riconoscibile, un grumo di comunità ostile ai cambiamenti. Dall’altra ci sono le infiltrazioni provocate da un mondo che è molto cambiato, che lo assedia e ne conquista piccoli frammenti. Uno spazio chiuso, fermo, svincolato, e uno aperto, in movimento, democratico. Quest’ambiguità genera conflitti, indebolisce vitalità, offusca letture. Nella fase di progetto, la tesi prova a sviluppare le due direzioni separatamente, potenziando mutamenti e accentuando significati, con l’intenzione di contribuire nella determinazione di un possibile avvenire per Villagexpo.

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Ringrazio Anne Bossé e Camille Picot de l’Ardepa (ENSA), Augustin Barbara, l’ANRU (Agence Nationale pour la Rénovation Urbaine) di Saint-Herblain Nantes, Omar Rodriguez Torres, Lili Sarmiento, Monica Acosta Sarmiento, Claudia Acosta Sarmiento, Rosalia Giordanengo, Luc Fort. Ringrazio Giulia Viale per l’aiuto importantissimo; la relatrice Cristina Bianchetti Professore Ordinario DIST (Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio) del Politecnico di Torino e la correlatrice Alessia de Biase codirectrice UMR LAVUE 7218 CNRS e responsable scientifique del Laboratoire Architecture Anthropologie ENSA Paris-La Villette per la pazienza e l’interesse mostrato. La tesi si è svolta nel periodo compreso tra marzo e settembre del 2016, anche grazie a un soggiorno a Nantes nella primavera del 2016. Tutte le immagini fotografiche sono autorizzate dai proprietari.

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periodo: gennaio - giugno 1968 superficie: 12 ettari alloggi: 270 (160 case unifamiliari, 10 edifici collettivi) gestione del progetto: SociĂŠtĂŠ coopĂŠrative HLM La Maison Familiale architetti: Marcel Favraud, Georges Evano

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Le pavillon, un modello denigrato e perseguito


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Ètat planificateur

Villagexpo è espressione di una fase del dopoguerra francese connotata da una forte crescita economica e dalla fiducia nelle capacità della pianificazione urbana a fronteggiare, sul piano spaziale, i problemi della crescita demografica che ne derivano. L’incremento dei salari, la riduzione delle ore di lavoro, le rivendicazioni del diritto alla salute, all’educazione, e alla casa, accorciano le distanze, in passato molto lontane, tra ricchi e poveri mentre i conflitti duri, coloniali, restano sullo sfondo e prende forma una classe media con una propria idea di benessere e felicità. Un momento in cui sorge quello che Lefebvre chiama “società burocratica di consumo controllato” (Stanek, 2011), dove una burocrazia razionale diviene dominante, il consumo supera in importanza la produzione, e una vita quotidiana privatizzata incrina la forza della sfera pubblica. In questo contesto lo Stato francese si ridefinisce come uno Stato pianificatore (ètat planificateur) e assume un ruolo di primo piano nelle trasformazioni del territorio e della società. Funzione che lo Stato svolge non solo attraverso l’intervento diretto, ma promuovendo e finanziando ricerche che ambiscono a costruire la base scientifica di interventi e sperimentazioni. La pianificazione urbana cerca innanzitutto di dare risposta al tema della casa ridefinendo allo tempo stesso strumenti e criteri operativi attraverso studi, partecipazione degli abitanti ai processi decisionali, e una crescente attenzione ai desideri e ai problemi della società. Il Commissariat général du plan, l’istituzione principale responsabile per la pianificazione economica della Francia, mette al centro del suo secondo piano, negli anni 1954-’57, il tema dell’abitare con ciò evidenziando il valore che veniva attribuito al tema della casa come fattore di incremento della qualità di vita dei francesi. Intervento attuato con un milione di unità abitative (Stanek, 2011), e il finanziamento di un numero senza precedenti d’istituzioni di ricerca sul processo di urbanizzazione della società.

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Questa nuova fase, contraddistinta da un convergere evidente di potere e competenze tecniche, dà luogo alla rivisitazione critica delle soluzioni offerte da un funzionalismo moderno fiducioso nell’approccio quantitativo al problema della casa, e nella programmazione e organizzazione della vita quotidiana. Il grande scarto con la fase precedente, è dato dal non considerare più secondari gli aspetti non quantitativi riguardanti l’abitare, e dal rifiutare un determinismo semplificato nelle relazioni tra individui e spazi. I “campioni” di questa fase della pianificazione francese, i grand ensembles, separano e catalogano le diverse attività concernenti l’abitare per poi sistemarle in caselle dimensionate con parsimonia, mentre mostrano con orgoglio il loro linguaggio monumentale e moderno. La grande illusione di questi anni, che li rende così interessanti, anche se genererà drammatici errori, è ritenere l’abitare non solo facilmente comprensibile, ma anche perfettamente modellabile, duttile. Gli abitanti sono visti come soggetti pronti ad accogliere positivamente il meglio degli spazi a loro concessi. La domanda crescente per soluzioni più flessibili e comprensive apre la porta per nuovi tipi di studi che cercheranno di comprendere le preferenze della società. Le critiche sono tutte rivolte al fenomeno pavillonnaire, accusato di individualismo, indifferenza e degrado (corrosione del paesaggio), a mezzo di antiquati valori piccolo-borghesi. Ciò, nondimeno, il suo successo sia del tutto evidente: nel 1964, il pavillon è soluzione prediletta da più dell’ 82% delle famiglie francesi (Haumont, Haumont, Raymond, & Raymond, 1966). Poco studiati e molto giudicati, i pavillon sono stati oggetto di superficiali osservazioni sulle caratteristiche estetiche o morali, che ne sottolineavano la bruttezza, il disordine, l’arcaismo, la ridicolezza, l’egoismo, e l’antisocialità. Gli eredi della carta di Atene per primi, rimproverano alla casa unifamiliare di essere portatrice di valori conservatori, inconciliabili con qualsiasi progetto di modernità. A fronte di molta enfasi posta sulla Francia dei cambiamenti, sullo sviluppo tecnico ed economico, la critica è durissima: non c’è spazio per la lentezza e il radicamento dei pavillon: anche nell’abitare devono seguire trasformazioni sociali e ideologiche profonde. Il pavillon diviene emblema di rapporti sociali che sono giudicati negativi e che si ritiene debbano essere sostituiti relazioni intense e calde all’interno di uno sviluppo partecipativo. Non basta che il singolo fabbricante di chiodi di Adam Smith agisca entro una complessa rete sociale: deve vedere, parlare, e toccare gli altri. Si prefigura

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un virtuoso allargarsi degli interessi e delle responsabilità di ogni individuo, desiderio trasformato in frustrazione davanti alla “rinuncia” espressa dalla preferenza un po’ egoista nei confronti della casa unifamiliare. Bloccati nella dicotomia grand ensemble / casa unifamiliare, il primo criticato da sociologi e abitanti e il secondo da urbanisti, negli anni sessanta comincia a rendersi palese la necessità di una terza via. Il bisogno di costruire 12 milioni di abitazioni nel tempo di una generazione (Bossé & Gennoc, 2013) e la mancanza di modelli affidabili muove l’interesse sulle preferenze dei francesi. Si finanziano ricerche tra cui quelle dell’ISU (Institut de Sociologie urbaine), del CES (Centre d’études sociologiques), dell’AUA (Atelier d’Urbanisme e d’Architecture), di Paul-Henry Chombart de Lauwe; si investe in viaggi all’estero per studiare il mercato immobiliare, soprattutto negli Stati Uniti; e si realizzano numerose sperimentazioni. Si comincia anche a ritenere che gli investimenti privati non possano essere esclusi nella ricerca di una soluzione al problema di dare risposta alla domanda crescente di case, e s’incomincia a includerli come una parte fondamentale nei processi costruttivi. In questo braccio di ferro tra grand ensemble e pavillon quest’ultimo è accettato solo a condizione di depurarlo, eliminando i suoi contenuti più conservatori. E’ una resa parziale, o forse una riscrittura un po’ ingenua e un po’ ipocrita delle preferenze che si erano tanto indagate. Fatto è che un certo grado d’individualismo è acconsentito se si salvaguardano i requisiti riguardanti l’economia (di spazi e di risorse), l’immagine dei paesaggi francesi, e la socialità che quella stessa soluzione vuole, in un certo senso, lasciarsi alle spalle. Le nuove formule abitative devono offrire condizioni favorevoli per la costruzione di rapporti solidi e duraturi tra gli abitanti, per una partecipazione attiva e bene inserita nella vita politica e sociale. Si tratta di una strategia d’integrazione attraverso l’abitare (Tosi, 1979), gli indesiderati effetti della casa unifamiliare possono essere “curati” attraverso la proposizione di un nuovo modello abitativo. Villagexpo è uno degli esempi più chiari della strumentalizzazione d’interventi rivolti alla sostituzione delle aspirazioni della classe media, tramite la diffusione di nuovi correnti e criteri concernenti l’abitare.

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Le pavillon

“La vie, ce n’est donc que cela, penses-tu en te réveillant, les déjeuners en famille sur la terrasse; ce jour où tu avais dévalé les montagnes russes au Luna Park; un bouquet de mariage; un bain de mer; mais déjà arrivaient en foule les visages de tes petits-enfants et cette profusion d’images noyait les souvenirs plus anciens dans une mer immense d’où n’affleurait plus rien de précis, sinon un effroyable sentiment de frustration.” (Divry, 2014)

La crescita economica dei trente glorieuse, porta con sé un dilatarsi del numero di scelte abitative a disposizione ma, nella Francia del dopoguerra, la preferenza per la casa unifamiliare assume senza dubbi il primato. Questa dà corpo ed evidenza al desiderio di fuga dalla città e dagli altri, accoglie l’eterno rituale della giovane coppia che materializza la propria indipendenza dai genitori attraverso l’acquisto di uno spazio proprio, e accompagna malleabilmente le famiglie nella loro crescita nel tempo. I vasti paesaggi francesi conquistati dalla casa unifamiliare sono l’espressione di un diritto costituzionale ricercato con tenacia e portato alla sua manifestazione simbolica. Paesaggi densamente abitati in solitudine, conseguenza di un’organizzazione dello spazio che impedisce alla prossimità di dare luogo a indesiderati incontri. Laddove i suoi critici più ostili leggono misantropie ed egoismi c’è in realtà una liquefazione delle relazioni interpersonali, un intricarsi e allargarsi delle reti sociali che non devono coincidere necessariamente con gli spazi più prossimi. La casa unifamiliare ha occupato sempre una posizione rilevante nelle aspirazioni dei francesi, ma il suo successo è stato anche facilitato dallo Stato. Alcuni moralisti ed economisti vedono nel pavillon l’espressione più chiara della proprietà privata sulla quale poggiano le fondamenta della società, risultato d’investimenti e risparmi. Grazie alla legge Siegfried del 1894

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l’assolvere al diritto alla casa per le fasce più deboli diventa compito dello Stato che compie i primi sgravi fiscali per la costruzione di alloggi sociali, fonda la società HBM (societé française des Habitation à Bon Marché), e favorisce la casa individuale. La legge Loucheur del 1928 prevede la creazione in 5 anni (1929-1933) di 260 000 alloggi, gran parte dei quali saranno case individuali. Nel 1947 il MRU (Ministère de la Reconstruction et de l’Urbanisme) organizza un concorso per la costruzione di case individuali incentivando l’abbassamento dei costi e i tempi di costruzione. (Bossé & Gennoc, 2013) Il sistema LOGECO (Logements économiques et familiaux) o plan Courant del 1953 crea nuove disposizioni per fornire le ministre de la Reconstruction di risorse finanziarie, basate sul coinvolgimento dei datori di lavoro nello sforzo della costruzione versando l’1% della massa salariale delle aziende. Risorse che faciliteranno la costruzione di più case individuali che alloggi sociali. La promozione di case unifamiliari viene accompagnata da uno sforzo epico per razionalizzare la loro costruzione inserendole entro processi industriali, risparmiando materiali e standardizzando la produzione, processo che investe anche nella costruzione del consenso attraverso la divulgazione di moduli abitativi e campagne pubblicitarie. Questi piani danno un impulso alla diffusione della casa unifamiliare sui territori francesi dato che lasciano molto spazio all’iniziativa individuale. Il termine “pavillon”, derivato dal francese antico “paveillun” (secolo XII) e dal latino “papilio” (papillon), faceva riferimento a piccole strutture provvisorie utilizzate in feste all’aria aperta (Dictionnaire Française Larousse) e porta con sé non solo il sostanziale nesso con gli spazi aperti naturali, ma anche l’idea della leggerezza, delle piccole dimensioni, del ruolo secondario. Termine che nel secolo XX viene utilizzato per denominare piccole case in periferia, siano queste residenze estive o prime case di basso costo, preservando così il senso etimologico originale dell’addomesticazione degli ambienti esterni. La fuga romantica dalla città verso una natura benevola. In Francia come altrove, la fortuna della casa unifamiliare si basa soprattutto sul fatto che è considerata come necessaria per raggiungere un modo di vita ideale. Convinzione che lascia fuori tutti gli altri modelli che non offrano ciò che promette il pavillon in ugual misura: un sentimento di sicurezza, di possesso, di autonomia, di salute, e di felicità. La casa unifamiliare è prima di tutto uno spazio proprio. Gli affitti sono

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considerati “soldi persi”, uno spreco che alimenta la paura di rimanere senza tetto all’età della pensione. La casa individuale offre la prospettiva rassicurante di una proprietà, è un luogo per vivere e invecchiare in tranquillità. C’è una profonda differenza tra l’essere proprietari di un alloggio o di una casa unifamiliare. Nel primo caso la proprietà riguarda il solo spazio interno, contenuto e statico e nel contempo obbliga a estenuanti negoziazioni per la co-gestione degli spazi comuni. Nella casa individuale la proprietà è in un certo senso esclusiva: riguarda un suolo separato da altri e comprende spazi chiusi e aperti. È garante di un livello altissimo di esclusività, di dominio, e di autonomia, mantenuto per un tempo indeterminato e protetto da ogni possibile ambiguità. La proprietà nella casa individuale segna una separazione simbolica dagli altri, distacco anche sul piano politico affermato continuamente attraverso la vita domestica. La casa unifamiliare è un guscio che offre protezione da un esterno ostile e diventa il simbolo della resistenza di un individuo contro la paura. L’interno caldo contro un mondo freddo di Bachelard (Bachelard, 1958). La casa individuale è anche una fuga dalla città e da condizioni sentite come quasi patogene, dal punto di vista fisico e morale, che potrebbero contaminare la crescita dei figli. Si scappa verso un ambito quasi rurale e marginale, facilitato dall’equilibrio tra la diminuzione del prezzo dei terreni e lo sviluppo delle tecnologie relative al muoversi. Dove la vicinanza alla natura e il legame con il suo mito aggiungono salubrità e senso alla vita. L’abitante si purifica attraverso il ritorno a una condizione percepita come primordiale, da dov’è possibile iniziare da capo, lontano dagli errori prodotti nelle città. Questo contatto avviene il più delle volte tramite un giardino contenente una porzione ridicolamente ridotta di spazi naturali, ma quello che conta è che questo incontro avvenga entro situazioni controllate, previste, e protette da sgradite comparizioni. Il pavillon è anche il luogo della felicità e degli investimenti emotivi. È la maison légere di Bachelard, oggetto onirico che riunisce nella sua unità le dispersioni dell’Io (Bachelard, 1958), dove la materia non è che l’ingresso a un mondo di sogni. È l’intérieur domestique di Benjamin (Benjamin, 1969), carico d’illusioni e fantasmi che proteggono l’individuo dalle frustrazioni dell’esterno. È il luogo del “sogno sveglio” per Lefebvre (Haumont, Haumont, Raymond, & Raymond, 1966), dove ogni oggetto rinvia a un universo felice

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Magny-le-Hongre, Marne-la-VallĂŠe, France, (1998) JĂźrgen Nefzger.



e senza tempo. Questo modo di abitare è profondamente immerso nelle dinamiche della società industriale del momento, non ci sono soltanto aumenti di distanze e isolamenti ma c’è anche uno sforzo per coprire le mancanze di una realtà subita come incompleta. La casa unifamiliare esprime la presenza di un mondo assente, da cui l’“animale simbolico” di Ernst Cassirer (Cassirer, 2015) consuma una felicità che non è riuscito a trovare altrove. Questo è facilitato dalla flessibilità dello spazio che permette gli abitanti di appropriarsene e di definirlo d’accordo con i loro gusti e bisogni. Nel pavillon gli abitanti possono costruirsi un’identità, investendo fatiche e depositando ricordi, rendendo così difficile dire dove finisce lo spazio fisico e dove inizia il soggetto: un’antropomorfizzazione del pavillon come estensione dell’uomo stesso. Il pavillon, il grande sogno agognato è esito di vecchi e nuovi immaginari e modelli culturali, che s’intrecciano dando forma a un composto senza tempo che sembra dare risposta a tutti i problemi concernenti l’abitare. Questo modello così caro e ricercato dai francesi sul quale depositano la speranza di una miglior vita, si rivela indesiderato dalle istituzioni che per sbarazzarsene affidano a Villagexpo il compito di rimpiazzarlo.

The cost of living, (1989) Martin Parr

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La decostruzione del progetto


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L’idillio in produzione

Quale nuova concezione dell’abitare può rispondere ai desideri di autonomia e di appropriazione spaziale senza sacrificare le esigenze tecniche delle agglomerazioni moderne, la produzione remunerativa, e le richieste di un’ideologia comunitaria? La sfida è creare un nuovo modello abitativo che fermi la diffusione di case unifamiliari sul territorio francese e diventi quello preferito dagli abitanti, attrattivo e redditizio, ma anche quello più compatibile con le nuove tecnologie. Il Ministre de l’Équipement et du Logement prova a offrire una soluzione originale che a noi pare richiamare manifestamente alcuni aspetti dell’abitare pavillonnaire, tradendolo di fatto. In sostanza: si cerca di fermare il fenomeno pavillonnaire sostituendolo con un modello esplicitamente simile e segretamente diverso. L’invenzione di Villagexpo è quanto permette questo mascheramento. Il concetto “villagexpo” nasce nel ’63 con il concorso lanciato dal Ministre de l’Équipement et du Logement per progettare un quartiere di case individuali a Saint-Michel sur-Orge, Parigi, il primo passo nella nuova direzione intrapresa dalle politiche pubbliche. Un’esposizione a scala reale di 187 case individuali in un terreno di un ettaro. Il nome (“expo”) fa esplicito riferimento alla volontà dimostrativa tesa a mostrare il coniugarsi della soluzione abitativa unifamiliare tradizionale con le tecnologie industriali di prefabbricazione. Si tratta di mostrare alle imprese di costruzione e al pubblico come la casa individuale possa essere costruita in modo organizzato seguendo uno schema generale e, allo stesso tempo, inglobare tecnologie di prefabbricazione che pur essendo di serie, non la privano degli aspetti seduttivi. Le esposizioni a grande scala sono state sempre strumenti di costruzione di consenso e di avvicinamento tra nuove tecnologie e società. Tese a sedurre e a convincere, oltre che a mostrare la forza delle tecniche. Gli ideatori di Villagexpo agiscono entro questa stessa direzione: vogliono sedurre e convincere. In un certo senso mascherare interessi legati ai processi produttivi, entro un prodotto “nuovo”, attraente per il consumatore francese, qualcosa d’idillico e di bucolico, un “apparato favoloso” (Barthes, 1972) che cancelli ogni traccia d’imperfezione

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o di proposito che non sia quello di rendere felice l’abitante. La stessa nominazione “villaggio”, divulgata attraverso cataloghi, dépliant, e giornali, combatte l’immaginario relativo alle tecnologie “fredde” di prefabbricazione e rimanda all’idea del caseggiato francese tradizionale, delle case piccole, separate, dei tetti a doppia pendenza, delle piccole finestre, della presenza di vegetazione. Così come alle relazioni calde di vicinato, dello stare entre voisin. Edgar Pisani, allora Ministre de l’Équipement et du Logement, nella sua visita a Saint-Michel nel ’66, riferendosi a questi nuovi nuclei, dichiara: “si necessitano due o tre fuori Parigi, nei grandi centri affinché lo spirito della provincia si possa esprimere…” (Bossé & Gennoc, 2013). Il riferimento allo “spirito della provincia” è molto esplicito. Nel ’67 Nantes, Marsiglia, Lille, e Bordeaux, vengono individuate come metropoli regionali dove inaugurare nuovi Villagexpo per il ’68. Il Villagexpo a Nantes sarà il primo a essere finito e inaugurato il 13 giugno del 1968. Gli altri, Villagexpo-nord-pas-de-Calais (Wattignies), Villagexpo-Aquitaine (SaintMédard-en-Jalles) e Villagexpo-Provence (Vitrolles), saranno finiti tra il ’68 e il ’69, tranne l’insediamento di Toulouse che non sarà mai terminato. Tutti questi insediamenti vengono denominati allo stesso modo, ad evidenziarne la uguale matrice: “villagexpo”. Ciò assicura la forza dell’intervento ed evita che i principi che ne sono alla base, si perdano nelle disuguali e incostanti condizioni locali. E’ importante richiamare questi principi: la densità di 25 alloggi per ettaro; la disposizione variata che rifugge da allineamenti, il rapporto con la città, ovvero la relazione del quartiere con quanto gli sta attorno. La bassa densità costringe i nuovi quartieri a cercare terreni il cui costo non sia troppo elevato, in quasi tutti i casi si è trattato di terreni ceduti dai poteri pubblici per accogliere questi interventi, in particolare ZUP (zone à urbaniser en prioritè) posizionate in periferia. La città di Nantes è giudicata particolarmente appropriata ad accogliere uno di questi nuclei. Per il suo essere “oppressa” dal fenomeno pavillonnaire prodotto dall’aumento continuo della popolazione (240.048 nel ’62 e 260.244 nel ’68, dati INSEE) e dalla crescita dei redditi a seguito della crescita delle attività portuali e dell’ingegneria meccanica e aerospaziale. In altri termini, si ritiene che la presenza di un ceto medio agiato e la vicinanza con modelli abitativi che possono sembrare simili, possano prefigurare un buon esito

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1968 Nord-Pas-de-Calais, Lille

1964 Saint-Michel-sur-Orge, Parigi

1968 Saint Herblain, Nantes

1969 Saint-MĂŠdard-en-Jalles, Bourdeaux

1969 Vitrolles, Marsiglia


della sperimentazione. La zona prescelta è a nord-ovest della ZUP Bellevue, nel comune di Saint-Herblain. Una zona di cui la società SELA (Societé d’équipement de Liore-Atlantique) è proprietaria e che corrisponde ad alcuni importanti requisiti: accessibilità, facilità di parcheggi, presenza di servizi. Gli architetti, Marcel Favraud, architetto capo della ZUP, e Georges Evano, architetto di “La maison familiale” (società a carico della procedura del concorso, del cantiere e della commercializzazione delle case), definiscono le coordinate generali del progetto: 160 case negli undici ettari del terreno a disposizione; nove gruppi di fabbricati diversi. La scelta di separare e differenziare il quartiere in nove frazioni è originata dalla volontà di coprire una gamma ampia di preferenze in materia di linguaggi formali, dimensioni, connessioni, piuttosto che dall’intento di rispecchiare differenze di reddito. Nel tentativo di plasmare uno spazio per una società senza grandi differenziazioni sociali, il piano generale per Villagexpo è attento ad evitare la creazione di posizioni privilegiate e restituisce analoghi benefici rispetto la quantità di spazio privato, la vicinanza ad aree naturali, e il facile accesso alle strade. Nel maggio 1967 sono presentati 64 progetti. 27 sono rifiutati per ragioni economiche, avendo superato i 675 franchi al metro quadro (Bossé & Gennoc, 2013). In questa fase si decide di aggiungere 10 edifici collettivi di tre piani per aumentare la redditività dell’intervento e per facilitare la connessione dal punto di vista compositivo con il resto della ZUP. Si tratta di una scelta non di poco conto che in un certo senso forza alcune delle caratteristiche del progetto. Il 26 di settembre, vengono scelte nove équipes di progettazione per i nove gruppi di case. Il 13 giugno del 1968 s’inaugura l’esposizione dopo soli 6 mesi di lavori. Il cantiere sarà poi riaperto il 15 luglio per completare il programma previsto. Come a Saint-Michel (Meistersheim & Lion, 1971) i candidati a diventare locatari sono soggetti a un questionario che si svolge in due momenti: nei giorni dell’esposizione per capire le preferenze riguardo il tipo di casa, le forme, le dimensioni, la posizione; e qualche mese dopo l’insediamento per sapere se dopo un periodo trascorso nelle due nuove case le aspettative sono state rispettate. Da queste indagini risulta che le soluzioni più tradizionali e meno innovative sono le più desiderate, anche se quelle più “spinte” ricevono un certo grado di apprezzamento soprattutto dalle famiglie dotate di maggiore capitale culturale (Bourdieu direbbe per le loro aspirazioni di distinzione

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ZUP Bellevue, in relazione al centro di Nantes



(Bourdieu, 1979)). La commercializzazione delle case è assicurata tramite la procedura d’acquisto “location-attribution”, concedendo i fabbricati in proprietà e gli spazi aperti comuni in comproprietà dopo 25 anni di locazione. Grazie a questo metodo ci si sente proprietari, a casa propria, anche se non lo si è ancora. Si ha la sicurezza di non poter essere cacciati come potrebbe succedere con un contratto di affitto. La location-attribution non solo facilità l’accesso alla proprietà ma anche permette di godere di condizioni abitative impossibili da raggiungere altrimenti. Questo perché gli acquirenti fanno parte di una classe media in ascesa, non ancora arricchita per la giovane età e in possesso di disponibilità finanziarie discrete, ma non ampie, come aveva messo in evidenza un’indagine condotta nel 1975 da La Maison Familiale sulle professioni più diffuse tra gli acquirenti, dalla quale emergeva che questi fossero principalmente agenti P.T.T (Administration des Postes, Télégraphes et Téléphones), professori, insegnanti, tecnici, segretari, impiegati. (Dugast & Joyeau, 1978). La lunga durata del processo di acquisizione del diritto di proprietà è correlata alla categoria di abitanti per la quale è stato concepito l’intervento, ossia coppie giovani che vedono la proprietà non soltanto come un guadagno personale ma anche come qualcosa da lasciare ai figli. Quelli richiamati sono gli elementi principali che segnano la vicenda Villagexpo di Nantes. La ricezione del progetto in ambito accademico è perlomeno duplice: alcuni divulgano interpretazioni sfavorevoli che attaccano i tratti più conservatori, temono il cambiamento di direzione delle politiche pubbliche e descrivono l’operazione come demagogica giacché, per essere gradita, sacrifica i traguardi ricercati dai grand ensembles. Georges Candilis definisce Villagexpo Saint-Michel come “…médicament passe-partout de la grande maladie des problèmes mal définis,…” (Candilis, 1967). E’ una critica durissima che vuole evidenziare, non solo l’irrilevanza dell’intervento, ma la sua mistificazione e l’incapacità di porsi a soluzione di un problema che non è neppure ben compreso. Altri approvano, l’intuizione e la ricerca di una risposta a un problema difficile. Altri ancora, in modo più semplificato, si limitano a celebrare il dialogo tra le nuove tecnologie e i lineamenti regionali. Non bisogna dimenticare che tutto questo avviene in un momento di aspri conflitti sociali che, seppure non riguardano principalmente il tema abitativo, pongono al loro centro un’esigenza universale di salvaguardia del benessere e

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Fotografia aerea presa in junio 1968 Cortesia di L’ardepa (ENSA, Nantes).


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del proprio “cadre de vie” (Donzelot, 2009). Se la ricezione è controversa, anche le aspettative di questa sperimentazione, non sono lineari. L’intenzione delle esposizioni come quella di Nantes era presentare una soluzione che potesse sostituire i pavillon e convincere della sua efficacia, e ci si aspettava una diffusione estesa su gran parte del territorio francese di progetti validati come “suites de villagexpo”. Questo non si è avverato. Villagexpo rimane un caso isolato e non si sviluppa come programma complesso. La produzione di case individuali continua a essere dominata dalle imprese private e a sfuggire dal controllo “pubblico”. Une delle principali cause della brusca frenata al processo, al di là della sua intrinseca forza o debolezza, è da ricercarsi nei cambiamenti affrontati dal Ministère de l’Équipement et du Logement sotto il governo di Albin Chalandon dal ’68 al ’78, che portano a una modifica radicale delle politiche della casa. Chalandon chiede di “libérer l’urbanisme” e incoraggia gli investitori privati a partecipare al finanziamento delle grandi operazioni urbane. Le ZAC (zones d’aménagement concerté) sostituiscono le ZUP (zone à urbaniser en prioritè) lasciando più spazio alle iniziative private. Nel 1969 il Ministère de l’Équipement et du Logement lancia il Concours International de la Maison Individuelle (detto Concours Chalandon) che porta alla costruzione di 70 000 case unifamiliari chiamate con il neologismo “chalandonnette”. Le politiche che hanno dato origine ai Villagexpo falliscono nelle loro intenzioni più ambiziose e lasciano questi quartieri come esempi di una realtà che avrebbe potuto coinvolgere i territori francesi in modo più allargato. Anche se privo del seguito immaginato, Villagexpo-Nantes non è un fossile abbandonato nella periferia di Nantes. Testimonia, nello spazio, la volontà di legittimare un modo di abitare diverso da quello manifestato nei pavillon. Un modo di abitare che cerca di esporre i difetti della casa unifamiliare, di aprire questi piccoli gusci ermetici ed estendere i suoi universi domestici sovrapponendoli l’uno all’altro. Villagexpo vuole riformare, insieme allo spazio, lo stesso abitante del pavillon, mette in mostra il processo del suo ammaestramento e la possibilità di un’alternativa ritenuta migliore. Questi spazi vogliono modificare le pratiche abitative creando punti di contatto fra le loro traiettorie individuali, creando legami forti, durevoli e visibili, avvicinando gli individui alla vita partecipativa, e combattendo i sentimenti di apatia. Qui il loro carattere utopico, e nel contempo educativo e pedagogico.

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Copertina del catalogo di Villagexpo Nantes, Francia (1968). Cortesia di L’ardepa (ENSA, Nantes).



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L’abitare moderno

I traguardi stabiliti per Villagexpo, ai quali il progetto dovrà rispondere sono sostanzialmente due: incontrare le esigenze di una classe media desiderosa di maggiore confort e costruire un nuovo modo di abitare “corretto” e “moderno” che accontenti il più intransigente degli eredi della Carta di Atene. Le competenze tecniche chiamate in gioco cercano di dare risposta a queste esigenze attraverso un’ingegnosa articolazione delle distanze, dei linguaggi formali, dei materiali urbani, degli apparati giuridici. Si servono di vaghi immaginari fiabeschi per riprodurre forme gradite agli abitanti, di studi empirici condotti su villaggi tradizionali per definire morfologie, e di studi sociologici e psicologici relativi al pavillon per riproporre dispositivi spaziali ritenuti “efficaci”. La coesione sociale e il senso di appartenenza sono ricercati invece facendo appello a strumenti giuridici riguardanti la proprietà di suolo. L’organizzazione dello spazio nella quale si ridefiniscono esigenze abitative e innovazioni tecnologiche, sono frutto di intenzioni ben definite e sperimentazioni innovative. Con la disposizione degli interni, il collocamento di finestre e porte e l’utilizzo di dispositivi vegetali, si vogliono determinare nuovi modi in cui l’abitante percepisce lo spazio, posiziona limiti di appartenenza, effettua incontri o sta in solitudine. Qui lo spazio vieta, permette, convince, modella, si mostra garante del raggiungimento dello stile di vita voluto dai promotori di Villagexpo. Come si è visto, Villagexpo costituisce anche una critica serrata ai grand ensembles e all’urbanistica razionalista degli anni ’50. Si pone come superamento di una tecnica disattenta ai bisogni “reali” degli abitanti. Offre uno spazio più vicino agli stili di vita prediletti dai francesi. Mantiene un rapporto complesso con il progetto moderno che in parte critica, senza distaccarsene in modo netto, bensì ricalibrandone le metodologie operative. Laddove si celebrano lontananze e superamenti si possono percepire continuità e persistenze: l’organizzazione inconsueta degli spazi è comunque risolta entro rigide dicotomie (aperto-chiuso, naturale-costruito, pubblico-

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privato), la ricerca di confort e di efficienza è inseguita attraverso equilibri tra valori quantitativi (dimensioni, estensioni di suolo), gli effetti migliorativi di questo modello sono previsti da un determinismo inflessibile che vede un rapporto ovvio e lineare nelle interazioni tra usi e spazi. Sebbene carico dell’ambizione di riformare la progettazione urbana aggiustando i suoi errori, Villagexpo rimane contenuto entro una cornice prettamente tradizionale, estensione di un fare progettuale figlio di quell’urbanistica di inizio secolo che s’impegnava in ridurre le complessità circostanziali e comprimeva i soggetti in concetti o archetipi, producendo soluzioni che andavano bene ovunque e per tutti.

Principi insediativi

“Potrebbe essere che le nostre case senza poesia, la nostra impotenza nel prendere la misura dell’uomo e del suo cuore, provengono da uno strano eccesso: di un furore di misura e di calcolo.” (Henri Lefebvre) (Haumont, Haumont, Raymond, & Raymond, 1966) Il rapporto tra la superficie coperta dei fabbricati, la loro altezza, la dimensione degli alloggi e gli spazi aperti è regolato da un’idea di densità ben definita. Nella ricerca di un punto intermedio tra le soluzioni di occupazione di suolo dei grandes ensembles più convenienti dal punto di vista economico e le soluzioni più dispendiose delle case unifamiliari di periferia, l’attenzione si rivolge ai villaggi francesi tradizionali. Studi come quello di Paul-Henry Chombart de Lauwe, uno dei sociologi francesi più noti e attenti di quella stagione degli studi urbani, (Bossé & Gennoc, 2013) hanno posto grande attenzione al rapporto tra morfologie e abitare nei villaggi francesi che ritengono portatori di una “formula segreta” sul rapporto tra quantità di terreno e numero di edifici; una “certa densità” capace di garantire un’appropriata prossimità spaziale con i conseguenti vantaggi finanziari, e allo stesso tempo una buona qualità di vita. Basato su questi studi, il Ministère de l’Équipement et du Logement fissa 25 alloggi all’ettaro per i Villagexpo: tutto l’immaginario relativo alla vita felice nel paesaggio idillico, in compagnia, in salute, è distillato in un singolo

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numero ritenuto applicabile ovunque. I terreni della ZUP (zone à urbaniser en priorité) permettono soluzioni di minore densità, pur trovandosi in una relativa vicinanza dal centro di Nantes (4.5km). Nei 12 ettari destinati a Villagexpo si dispongono 160 case aggruppate in 9 hameaux (insieme di case), quantità successivamente aumentata fino a 270 alloggi con l’aggiunta di 10 edifici collettivi di 11 abitazioni ognuno per garantire il bilancio finanziario; risultando in una densità di 22.5 alloggi l’ettaro. «Le Villagexpo de Nantes aura une autre particularité. C’est que chaque maison n’est pas présentée isolément, mais dans un groupe formant un hameau, ce qui ne saurait être indifférent au propriétaire même le plus jaloux de son « bien ». Le charme du logis dépend dans une large mesure de son entourage, qui peut le mettre en valeur ou contraire en annihiler l’attrait au moins extérieur. Qui niera la monotonie des grands ensembles! » (Abel Durand, Président du Conseil Général de Loire-Atlantique) In opposizione sia ai grandes ensembles e sia alla lottizzazione di case allineate di periferia, il piano generale propone dunque un’altra formula che, come quella della densità, rimanda ai villaggi tradizionali. Qui la disposizione spaziale delle case non è una soluzione esclusivamente connessa al buon funzionamento dell’automobile, della circolazione delle merci, della disposizione d’impianti, ma è anche prodotto di una chiara intenzionalità legata all’immaginario comune del villaggio. Questo si concretizza nella disposizione accorpata delle case attorno a spazi vuoti. Questo carattere dello spazio che sta tra le case non deve trarre in inganno: vuoto significa saturo di significati che rinviano a un’idea (un po’ generica) di piazza o a un falò appartenente a un villaggio ancestrale. L’individualità dei singoli fabbricati è assoggettata a una centralità che li tiene assieme, spinti dalla forza di attrazione di una sempre inappagata attesa di manifestazioni di socialità. Dall’altro lato, l’assemblaggio giocoso dei fabbricati compensa la rigidità della prefabbricazione, della ripetizione. S’introduce un certo grado d’irregolarità nell’assetto generale, senza compromettere però il senso di armonia, d’insieme. Una mossa che, dichiarando un legame tra le forme rigide e troppo ordinate di un’urbanizzazione in scadenza e il disagio dei residenti,

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Alloggi di Villagexpo in relazione ai 12 ettari di terreno



cerca nella discrepanza e nella divergenza l’approvazione degli abitanti. Questo riflette alcune delle grandi preoccupazioni degli architetti negli anni ’60: come costruire la spontaneità? Come introdurre aleatorietà e libertà in un rigido e controllato ciclo produttivo? Come comprimere anni o secoli di aggregazioni e lenti mutamenti in un brevissimo periodo costruttivo? Si vogliono forme meno impregnate dalla figura ingombrante dello Stato, che cerchino di dare l’impressione di essere uscite dal suolo, anziché cadute dal tavolino dei pianificatori.

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Condivisione di spazi: la comproprietà Più di un sessanta percento del terreno è destinato a essere in comproprietà. La quota è decisamente alta, rispetto ad un immaginario comune di case unifamiliari. Si tratta di spazi aperti permeabili, impermeabili e strade che appartenevano in origine ai proprietari. Questo fattore ha anche determinato la mancanza di concentrazioni di valore in pochi punti dello spazio poiché le condizioni di vicinanza e di accesso ai benefici offerti da queste aree dovevano essere uguali per tutti. I luoghi in comproprietà avevano il compito di rendere più forti i legami tra gli abitanti che, stimolati dal diritto di godimento e dai costi di manutenzione, dovevano sentirsi più vicini. Si ritiene, forse un po’ ottimisticamente, che il corretto funzionamento delle infrastrutture, il buono stato della vegetazione e dell’aspetto esterno dei fabbricati, siano interessi comuni e quindi non possano che dare luogo a pacifici accordi. Si pensa che la condivisione di un diritto di possesso debba inevitabilmente tradursi nella condivisione di molto di più.

77 322 m 45

2


spazi aperti comuni permeabili

39 573 m

2

spazi aperti comuni impermeabili non carrabili

21 849 m

2

spazi aperti comun impermeabili carrabili


ni

15 123 m

2

edifici collettivi

3 395 m2

case unifamiliari

22 364 m2

fabbricati ad uso privato

25 759 m

2

spazi aperti privati

22 498 m

2


Spazi aperti

Ampi spazi aperti sono collocati ai bordi delle strade e si dilatano in prossimità dei raggruppamenti di case: questo schema offre un’alternativa al modello di urbanizzazione pavillonnaire poiché taglia il collegamento diretto tra la strada e la casa inserendo una generosa quantità di spazio comune nel mezzo. L’aumento della distanza tra la strada e la casa non solo dà luogo a questi spazi versatili che si aprono a molteplici tipi di attività, ma anche potenzia il rituale quotidiano dell’ingresso alla casa dopo una giornata lavorativa. Dal lato opposto della strada dietro ogni casa si dispongono ulteriori ampie aree aperte che, grazie alla disposizione distesa dei fabbricati, coprono in modo quasi isotropo l’intera zona. La collocazione sparsa e la notevole quantità di terreni permeabili danno la sensazione di essere in un luogo dove predomina la vegetazione, dove case e strade sono state inserite in modo puntuale e capillare con quasi devozione per ciò che sta attorno a loro. Questo è l’aspetto che in modo più chiaro rende evidente l’eredità città giardino, le quali hanno costruito modelli, principi, e immaginari che rifiutano con tenacia il passato e trovano modi sempre nuovi per riemergere con forza.

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Strade Villagexpo ha come asse ordinatore la rue d’Avranches che articola le sue frazioni e le collega al resto di Bellevue. Da quest’asse si diramano altre strade che connettono i vari gruppi di case. La composizione gerarchizzata e le forme curve dichiarano un certo organicismo e la medesima attenzione a connettere immaginari relativi al corpo biologico con la garanzia di un buon funzionamento. Un buon funzionamento sul piano della mobilità e anche sul piano politico poiché esprime la visione di una società che, come un sistema biologico, marcia insieme, spinta da un obiettivo comune. Le strade, generalmente elementi che accolgono azioni ben precise e definite, qui perdono la nitidezza dei loro limiti funzionali e si dispongono per ospitare altre forme di pratiche sociali. La conformazione curva non solo rafforza il riferimento ai villaggi tradizionali, ma obbliga anche le macchine a rallentare, accentuando la protezione dello spazio che mostra di essere adatto ad un attraversamento meno attento, ad accogliere incontri sociali, e ad essere occupato dai giochi dei bambini.

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Lo spazio per sottrarsi «Nel caso degli alloggi collettivi, i bisogni non inventariati non possono essere soddisfatti se non superando una contraddizione tra il carattere privato dei bisogni e il carattere collettivo della soluzione: è qui che una strategia diventa necessaria» (Henri Raymond) (Haumont, Haumont, Raymond, & Raymond, 1966) (trad. EL) Le case offerte da Villagexpo come si è detto devono al contempo essere attraenti al cittadino francese e rispondenti nei confronti delle aspettative delle istituzioni pubbliche. Come convincere della natura individualista degli immobili senza compromettere il carattere collettivo del quartiere? Come aumentare le facoltà persuasive delle case utilizzando tecnologie di prefabbricazione? Architetti e tecnici rispondono inserendo dispositivi simbolici e spaziali propri delle case unifamiliari a quelli che, senza di essi, potrebbero essere semplici appartamenti inseriti in edifici collettivi. Caminetti, tetti a doppia falda, piccole finestre, giardini si aggiungono a composti di geometrie semplici e superfici uniformi. Questo è scuramente un aspetto cruciale che definisce la specificità dell’operazione e che abbiamo già indicato nei termini di una sorta di mascheramento (i critici potrebbero dire – e hanno detto – mistificazione) del moderno. Seguendo lo stesso criterio di uniformità degli spazi aperti, le case proposte mantengono un numero simile di metri quadri e costi d’acquisto con il proposito di creare un luogo libero da differenze di condizioni. L’unico fattore che le differenzia è quello relativo all’organizzazione degli spazi interni e ai linguaggi formali con i quali sono state ultimate. Infatti, gli stabili di Villagexpo offrono soluzioni che vanno dalle forme più tradizionali e “arcaiche” a quelle più astratte e sperimentali nell’intento di coprire la maggior parte possibile dei gusti della domanda. È qui che si sviluppa la battaglia principale per riuscire a rendere attraenti i fabbricati in un mercato dominato dall’appetito per il pavillon, senza cedere però nei traguardi fissati dai poteri pubblici (meno consumo di suolo, riduzione dei costi, coesione sociale, etc.). L’omogeneità di condizioni comunica l’ambizione di questo modello di porsi come norma, una meta possibile a tutti; proposito contraddetto dall’altro canto dalle logiche di separazione e di differenziazione che governano i processi di selezione tra

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i candidati e la capacità o meno di poter sostenere i costi di locazione o di manutenzione degli spazi aperti. Malgrado la superficie ridotta gli stabili offrono alcune qualità della casa individuale con giardino, garage, e la possibilità di un miglior isolamento dai rapporti di vicinato. (Meistersheim & Lion, 1971) I fabbricati, in sintonia con le case unifamiliari, offrono la possibilità di tagliare i vincoli con gli altri, di renderli opzionali (almeno in apparenza), di attivarli o spegnerli a volontà. Le forme delimitate e separate definiscono piccole isole dove ci si sente al sicuro, nascosti, liberi, non giudicati. Sono limiti che separano le persone conosciute da quelle meno conosciute, che circoscrivono il luogo della famiglia e di un’intimità espressa da oggetti e arredi che la significano e che “fanno intimo” (Haumont, Haumont, Raymond, & Raymond, 1966). Questi luoghi protetti sono separati dall’esterno attraverso spazi di transizione: giardini frontali, corridoi, soggiorni, segnano diversi gradi d’intimità. Le case di Villagexpo si mostrano attente alle pratiche abitative del momento, la configurazione degli spazi interni sembra poter accogliere ogni desidero o necessità dei residenti. La fiducia nelle capacità di previsione degli architetti è direttamente proporzionale alla rigidità della disposizione degli interni. Questo fattore allontana gli immobili di Villagexpo dai pavillon o da altre costruzioni più flessibili e aperte a investimenti materiali che le rendono più appropriabili. Villagexpo non offre oggetti incompleti e indefiniti da trasformare attraverso l’azione degli abitanti, con un fare sostenuto nel tempo, ma invece soluzioni-contenitori, formule dell’abitare contenenti qualità interpretative e anticipatorie alle quali ci si affida. Una felicità acquistata e non da ricavare, collocata nel presente e non nel futuro. Anche l’importanza di questo aspetto non deve essere sottovalutata: oggetti finiti, non progressivi. Che si vogliono impermeabili al tempo e agli usi.

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les

goelands

T4

241m 80.000F

T5

315m 96.300F

les

mouettes

T5

150m 92.700F

les

courlis

T4

230m 84.600F

T5

238m 94.200F

N#

N#

N#

8 2

2

19 2

22 2

2


les

foulches

T5

241m 90.000F

N#

10

2

les cormorans N#

19

T4

248m 83.300F

T5

272m 93.900F

2

2

les

vanneaux

les

pluviers

T4

259m 76.880F

2

T5

240m 80.800F

T5

242m 85.616F

les

petrels

les

colverts

T5

2

T5

180m 76.000F

T5

196m 80.400F

N#

N#

20

N#

17 2

2

20

153m 84.200F

N#

20

2

2


Parti della casa Costruire case per residenti sconosciuti vuol dire presupporne le esigenze, in questo caso ricercate nei modelli culturali del tempo (modelli che una ampia propaganda su mezzi di comunicazione non necessariamente di settore, contribuiva a costruire). Gli orientamenti erano ben definiti e relativi ad una popolazione di giovani coppie e famiglie in crescita. Pertanto si riteneva necessario ricavare ambienti entro spazi ridotti, così che le case risultavano inevitabilmente piccole, con interni molto suddivisi. Gli esiti sembrano per alcuni aspetti debitori della stagione di studi sull’Existenzminimum, con l’ossessiva attenzione a ridurre percorsi interni e definire rapporti univoci tra azioni e spazio. Per la collocazione di ambienti e camere si scommette sulla ricercatezza della composizione e sul controllo delle dimensioni, sullo studio dell’ergonomia, sull’uso di pareti scorrevoli e attrezzature ingegnose. Cucine Nella maggior parte dei casi la cucina è separata dal soggiorno o dalla sala da pranzo, isolando la preparazione dall’esibizione e ritualizzazione del mangiare. Affermazione di un modello culturale che tratteneva la donna nella vita domestica. I piani di cottura e di lavaggio sono posizionati nel limite della casa in corrispondenza di una finestra che permette guardare fuori mentre si lavora, aumentando così la vigilanza sugli spazi esterni. Soggiorni Seguendo il modello culturale del momento, il soggiorno è concepito come lo spazio rappresentativo della famiglia, quello che la istituzionalizza e la “presenta” agli invitati. È anche il luogo dove le individualità dei membri della famiglia trovano una centralità attraverso la quale si sentono un insieme. Dove i bambini soggiacciono al potere dei genitori e i genitori amministrano la loro sovranità. Stanze Villagexpo offre un tipo di confort generalmente riservato a ceti alti, il possesso di un adeguato numero di stanze separate è considerato uno dei principali segni di avanzamento nella scala sociale. Le stanze costituiscono l’intimità,

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cucine

soggiorni

stanze

cantine, garage


è il loro livello d’isolamento a essere oggetto di valutazione. In alcuni casi l’isolamento è rafforzato dalla distanza tra le stanze. Questi luoghi bilanciano il potere all’interno della famiglia, sono oggetto di giochi ed equilibri di autorità. In alcuni casi i contatti e i collegamenti sono disciplinati da corridoi e porte, in altri sono aperti a soggiorni o sala giochi rimuovendo così barriere e suddivisioni di domini. Cantine Alla sovradeterminazione degli spazi interni si oppone la duttilità degli spazi destinati a cantine, depositi, atelier e garage. Spazi trasformabili che variano continuamente, dove è l’esercizio degli abitanti a dare loro forma e significato. La natura indistinta di queste aree richiede ai residenti di rendersi responsabili e direttamente coinvolti nella loro definizione, e passare da uno stato passivo a uno attivo. Questo non solo aumenta il legame degli abitanti con le loro case, che diventano in un certo senso (e limitatamente a questi spazi “di servizio”) prodotto loro, ma costruisce anche una maggiore rispondenza tra edificio ed esigenze individuali e familiari. La flessibilità di questi dispositivi include la casa nei progetti di vita dei residenti, e le permette di cambiare con loro. Giardini privati Il rapporto tra quantità di spazi naturali comuni e spazi naturali privati è sbilanciato in favore dei primi nell’intento di ricreare l’immaginario bucolico di una realtà rurale dove ogni fabbricato individuale aveva a disposizione un pezzo di terra delimitato su cui poter lavorare, ed era circondato da una distesa di terreno non coltivato. Il giardino privato è visto come uno spazio che dota alla quotidianità dell’abitante moderno il senso di vitalità e di realtà che manca a una vita altrimenti astratta, sempre proiettata nel futuro. Questi ambienti sono uno degli elementi più apprezzati dagli abitanti di Villagexpo: sono spazi dove far giocare i bambini sotto facile sorveglianza, sono un’opportunità per valorizzare la casa, un’occasione per mostrare segni di prestigio, di creatività, di “buon gusto”. I giardini compiono anche una funzione sociale poiché offrono un’occasione per interagire con i vicini, per iniziare conversazioni, per scambiare ricette e piante, per rallegrarsi, a vicenda, delle proprie condizioni abitative e sociali.

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Lo spazio della socializzazione Uno dei caratteri più innovativi di Villagexpo è l’attenzione dedicata alle diverse forme di passaggio da uno stato chiuso e isolato dagli altri, a uno aperto e “di vicinato”, ovvero ai modi in cui si effettua l’incontro con altri membri della famiglia o con i vicini. Lo spazio qui è pensato in modo tale da ospitare e facilitare i riti consueti delle relazioni di vicinato, i codici di comportamento, le accoglienze, i disdegni, i saluti. Distanze, chiusure, aperture regolabili, dispositivi vegetali, offrono quel campo di manovra caro a Henri Raymond e Nicole Haumont (Haumont, Haumont, Raymond, & Raymond, 1966) che nell’ambito pavillonnaire permetteva gli abitanti di gestire l’incontro con l’altro, di renderlo opzionale e governabile. In Villagexpo, le case raggruppate in piccoli insiemi posizionati agli estremi di vie interrotte provvedono una certa sicurezza contro coincidenze e incontri non voluti, offrono uno scenario in qualche modo prevedibile, senza sorprese. Una certa difesa contro l’ignoto che tuttavia non si traduce necessariamente in totale isolamento dagli altri. Il vedere La maggior parte degli spazi di Villagexpo è esposta al continuo sguardo degli abitanti stessi. Il gran numero di aperture insieme alla disposizione accorpata dei fabbricati facilita il costituirsi di una densa rete di connessioni visuali che coprono intere facciate così come alcune parti interiori delle case. La volontà di ridurre le chiusure e di aprire un po’ i singoli universi domestici agli altri è sì, risultato dell’ideologia comunitaria di base, ma è anche utile al rafforzamento della sicurezza. Un gruppo di abitanti che si conoscono, che è informato dei ritmi dei suoi membri, e che si prende cura dei bambini altrui mentre giocano sulla strada, si accorge subito di un’apparizione nuova e sconosciuta. La “familiarità” e la regolarità di questi spazi estroversi fanno risaltare anche le più piccole anomalie. I vicini amministrano un’intensa vigilanza che gli rende più conosciuti e più congiunti, ma li chiudono anche contro coloro che lo sono meno. L’essere visto La configurazione particolare di questi spazi fa sì che alcune parti interne si sentano un po’ esterne, così come alcuni esterni si percepiscano come un po’ come interni. L’apertura e la vicinanza dei fabbricati espongono i loro interni e rendono visibili atti considerati intimi come cucinare e mangiare o semplicemente stare in famiglia. Questo fenomeno può essere regolato con l’uso di tende o tapparelle, o tramite la scelta più frequente e normalizzata di alte e spesse siepi. Villagexpo offre spazi concepiti per accogliere diversi modi di mostrarsi: la strada è il luogo che ci ricollega alla società come singoli individui, si è completamente separati dalla casa; nel marciapiede ci

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Analisi delle connessioni visuali







si mostra in relazione alla casa, un’esposizione “sicura”; nel giardino verso la strada si espone il sé lavoratore, responsabile, di buon gusto, un’esibizione superficiale; nel soggiorno e la cucina possono cominciare a effettuarsi atti più intimi, ma soltanto nella stanza ci si sente completamente da soli, al riparo da ogni sguardo; il giardino posteriore è un luogo che pur essendo all’aperto offre qualche grado d’intimità. Questa transizione tra l’esterno e l’interno permette l’abitante di selezionare e costruire le sue conoscenze tra i vicini, e di decidere come e quando farlo. Nonostante la considerazione rivolta a garantire il confort e le qualità proprie delle case unifamiliari con giardino gli architetti di Villagexpo s’impegnano anche nel costruire condizioni orientate alla formazione di manifestazioni di collettività. Non bastano le conoscenze, il vivere tra pochi, il vedersi, si vuole anche che questa coesione occupi spazi, si mostri con forza e chiarezza e testimoni che a Villagexpo si convive e non si coesiste. Alcuni spazi aperti condominiali sono posizionati in modo tale da bloccare gli accessi dall’esterno e apparire l’estensione naturale dei giardini privati posteriori delle case. Spazi aperti a pochi, impazienti di diventare qualcosa di più di una semplice estensione di prato, di essere piattaforma di connessioni soggettive forti, durevoli, e riconoscibili.

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Un progetto in movimento


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Le intenzioni materializzate in questi spazi sono forti e ambiziose, ma come sono state accolte dagli abitanti? Che cosa è emerso dall’incontro tra l’ambiente ideato, fabbricato e consegnato, e il soggetto singolare, di gusti specifici e scopi autonomi? È riuscito Villagexpo nel produrre il modo di abitare atteso? Come ha agito il tempo lungo e il succedersi e modificarsi delle popolazioni che abitano Villaexpo? In questo capitolo sono esposti i risultati di uno studio condotto sul Villagexpo oggi con lo scopo di dare risposta alle questioni prima avanzate. Uno studio centrato sulla relazione tra spazi e usi, sulla quotidianità, sulle strategie di adeguamento, sulle manipolazioni delle condizioni offerte, sulla dimensione attiva e produttiva degli abitanti. Adesioni o resistenze (Bianchetti, 2003) a uno spazio e a un sistema simbolico tutt’altro che neutrali. Dopo cinquant’anni Villagexpo si scopre immerso in un contesto che è molto cambiato. Il comune Saint-Herblain ha vissuto un’intensa crescita urbana subito dopo la costruzione di Villagexpo e della quale questi è stato al contempo parte e motore. Segni fisici, visibili, della crescita sono il completamento dei grand ensembles della ZUP Bellevue, la realizzazione del grattacielo Sillon de Bretagne, e la comparsa di numerosi quartieri pavillonnaires. Questa densificazione è accompagnata dall’apparizione di altrettanto numerosi servizi di base e commerciali. Villagexpo non è più avvolto dalla vegetazione, il paesaggio rurale ha lasciato posto a nuovi terreni sportivi, zone commerciali, linee di tram, che oggi tradiscono quell’immagine bucolica così promossa dai responsabili e così anelata dagli abitanti. Ma i segni della trasformazione non sono solo fisici, materiali: i tempi generosi dei trente glorieuses sono lontani e la crisi economica ha drasticamente atrofizzato gran parte del sistema di welfare francese. Il che, a sua volta, ha deteriorato la percezione di sicurezza, valorata dalla recente ricomparsa dei poveri e dell’arrivo di un numero crescente di popolazioni immigranti che trovano problematico persino provvedere a se stessi. Dinamiche complesse e intrecciate che rendono più lontana per il cittadino francese la possibilità di conquistare una casa unifamiliare e più difficile mantenerla. Oggi gli abitanti di Villagexpo si ritrovano parte di un luogo che non è quello che voleva essere, ma che risulta comunque oggetto di valore, che presenta condizioni privilegiate in una situazione difficile. Di fronte a questi cambiamenti, Villagexpo mostra una doppia reazione: da un lato un certo grado di resilienza, in alcuni casi le sue forme sovradeterminate e

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articolate sono state adeguate alle nuove esigenze; dall’altro resistenza, rifiuto delle alterazioni e rafforzamento delle continuità. Gli spazi conquistati da svariate micro-trasformazioni, gli interni modificati, gli esterni appropriati, rivelano un luogo che ha perso il contatto con il suo passato, che accoglie le variazioni, che accompagna desideri ed esigenze oscillanti nel tempo. Dall’altro canto però, è anche presente un attaccamento ai valori inerenti all’esperienza particolarissima che ha portato alla realizzazione di Villagexpo, un’adesione alle retoriche che l’hanno originato, uno spazio che resiste con ostinazione la premura dei tempi. Si tratta pertanto di una condizione complessa che mescola memoria e orgoglio per aver vissuto da pionieri in un quartiere modello, insoddisfazione per la (relativa) rigidità dello spazio al variare delle esigenze, consapevolezza di una patrimonializzazione che è intesa come accrescimento di valori non solo economici, ma relazionali e simbolici. Questa condizione non esclude, anzi ammette, una riscrittura minuta, quasi nascosta, ma significativa dello spazio. Eredità da una stagione che è decisamente lontana.

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L’irruzione delle differenze

A un primo sguardo Villagexpo oggi si mostra piuttosto simile a com’era in passato, le tracce lasciate dalla vita quotidiana degli abitanti sono quasi impercettibili e non riescono a compromettere l’immagine originale delle case e degli spazi aperti. Il quartiere dopo cinquant’anni non mostra segni di degrado nei materiali e neanche di scontento o disagio nei residenti, non rientra neanche nei più di 500 quartieri da riqualificare dello PNRU (Programme National de Rénovation Urbaine), sembra un luogo privo di conflitti, felice, sonnolento. Soltanto una comparazione con il progetto originale e le sue intenzioni può far emergere differenze che, anche se minute, hanno cambiato completamente l’essenza del progetto e hanno dirottato i suoi obiettivi più importanti. Gli abitanti si sono insediati in uno spazio che hanno assimilato in termini di vincoli o libertà e che hanno aggiustato dall’interno secondo i propri interessi che non dovevano necessariamente essere compatibili con quelli degli ideatori di Villagexpo.

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Interni malleabili Oggi non c’è più quell’omogeneità di reddito che c’era all’inizio che in qualche maniera levigava le differenze tra stili di vita. Con il passare del tempo alcune famiglie si sono arricchite più di altre, coloro che in origine occupavano posti inferiori nel loro lavoro hanno vissuto progressi fino a occupare funzioni direttive o hanno avuto stipendi stabili per molti anni. Arrivano nuove famiglie di diversa provenienza e di differenti condizioni economiche, attratte dalle camere numerose, dai costi bassi in relazione alla distanza dal centro di Nantes, e dai piccoli giardini di più comoda manutenzione. Queste differenze economiche e culturali cercano la loro rappresentazione nello spazio e gli abitanti cercano negli interni delle case e nella scelta e disposizione degli arredi la possibilità di esibire un certo grado di distinzione (Bourdieu, 1979), o l’occasione di appagare quei desideri materiali irrazionali del “OneDimensional Man” di Marcuse (Marcuse, 2003). Ampliano o modificano il soggiorno per avere salotti più ampi e distintivi, chiudono alcune porzioni dei giardini e costruiscono scale verso il sottotetto per ricavare spazio, aprono finestre nei tetti e costruiscono nuovi infissi per guadagnare luce. Si lotta contro le numerose chiusure e si chiudono camere in origine aperte ai luoghi comuni della casa (corridoi e soggiorni) per guadagnare spazio, comodità e privacy. Il carattere dello spazio abitato è ricercato soprattutto attraverso la relazione tra gli oggetti di arredamento tratti da tale rivista o tal altra serie TV, e deve mostrare quanto l’acquisto della casa, anche se piccola, sia stato un buon affare. La casa in origine offriva spazi minuziosamente dimensionati e articolati, bilanciando superfici ridotte (e la conseguente riduzione dei costi d’acquisto) con interni adatti alle singole attività domestiche. Oggi questa disposizione ingegnosa e frammentaria degli interni è sostituita da una maggior quantità di spazio ininterrotto. Spazi “precisi” che anticipano accuratamente gesti e spostamenti non sono apprezzati quanto ambienti che danno l’impressione di essere ampi. Il numero di stanze è un fattore visto come secondario rispetto alla quantità di spazio percepito. L’economia di movimenti e spazi è relazionata a uno status sociale inferiore, il successo esige qualcosa di più del “giusto il necessario” e cerca la sua attestazione nella trasformazione della proprietà. La separazione da altre case offre l’occasione di allargare lo spazio costruito, di aumentare il valore, di produrre reddito tramutando il bisogno di

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un tetto in un’opportunità imprenditoriale. L’interno è il luogo dove sono più forti e visibili i cambiamenti che hanno accompagnato questi cinquant’anni e il modificarsi delle condizioni strutturali delle famiglie, come dirò in seguito (reddito, numero componenti, composizione dei nuclei, profili anagrafici). Il fluttuare dei modelli culturali di riferimento insieme alla volontà trasformatrice degli abitanti hanno stravolto questi interni così meticolosamente determinati in origine. La casa qui è quello che potrebbe essere, le opportunità individuate nelle condizioni di partenza. Non viene assunta come compiuta ma come migliorabile, duttile e pieghevole a seconda dei propri desideri. Gli architetti e tecnici di Villagexpo si sono impegnati nel prefigurare (e migliorare) un modello culturale che è ineludibilmente cambiato, che ha un’idea di dimora diversa e che si sforza per introdurla in questi interni ora inadeguati.

Soggiorno ampliato

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da giardino a camera da letto

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da giardino a salone

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da camera da letto a studio

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ampliamento soggiorno

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ampliamento garage

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ampliamento soggiorno


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da camera da letto a ampliamento del soggiorno

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ampliamento camera da letto

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da camera giochi a camera da letto

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da parcheggio a garage


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ampliamento camera da letto

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ampliamento bagno

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separazione soggiorno

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da giardino a camera da letto

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riposizionamento finestra

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da giardino a camera da letto

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da studio e cantina a camera da letto


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ampliamento camera da letto

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da ripostiglio a camera da letto

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apertura cucina

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ampliamento corridoio


Nuove forme di abitare Villagexpo è un’esperienza che ha mutato e che ha subito profondi cambiamenti generati da nuovi modi di abitare. Questi erano spazi ideati per accogliere una configurazione molto precisa di abitanti: famiglie in crescita. Oggi non ci sono soltanto giovani coppie con due o tre figli, ci sono anche anziani, adulti celibi, studenti, che si trovano a occupare spazi che non attendono più una crescita. Oggi convive lo spazio della riproduzione con uno spazio più stabile, dove i bisogni non sono anticipati ma vengono accontentati sul momento. Anziani proprietari danno una nuova funzione alle camere dei figli che ormai sono andati via di casa, affittano stanze a studenti, le trasformano in depositi di libri o camere per gli ospiti, estendono le camere da letto al soggiorno, sovrappongono funzioni. Vivere tra individui che vivono soli conduce a una rivalutazione della scarsità di spazio poiché implica un costo minore e una manutenzione meno impegnativa, e porta anche a un disinteresse per la rappresentazione simbolica dei legami interpersonali. In questi casi la casa non è elemento che rende più chiare instabili alleanze, non rende palesi e solide relazioni coniugali o consanguinee. Diventa, più di quanto non fosse in passato, spazio definito da necessità pratiche. Offre riparo e condizioni di confort a individui che fissano relazioni più brevi e deboli, è diversa dalla casa della société à maison di Levi-Strauss (Lévi-Strauss, 1991). Per i nuovi abitanti i dispositivi simbolici che testimoniavano l’unità famigliare perdono senso e divengono anacronici in un contesto di interni domestici occupati da relazioni interpersonali più svincolate, ristrette, alternanti, e dinamiche. La forza simbolica ricercata dagli architetti di Villagexpo per contrastare l’ascetismo criticato nei grand ensembles, oggi paradossalmente viene meno in queste nuove relazioni abitative aventi priorità molto diverse. La qualità non è più vista nei tetti a doppia pendenza, nei caminetti e nei piccoli giardini, emergono invece con più forza valori relativi alla facilità di manutenzione, al comfort termico, al costo dell’affitto, alla vicinanza al centro, ai collegamenti con i servizi. Valori simbolici ed evocativi lasciano spazio ad attributi pratici e concreti. Villagexpo è stato anche ideato come luogo strettamente residenziale, oggi grazie allo sviluppo delle tecnologie alcuni spazi interni si utilizzano come luoghi di lavoro. In alcuni casi intere stanze da letto divengono studi o uffici adeguati alle attività lavorative e in altri l’intera casa accoglie oggetti

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inerenti un mestiere. Questo rovesciamento delle funzioni degli interni stravolge la spazializzazione della dicotomia casa-lavoro che era stata una delle basi del progetto originale. La dimora garante di confort e riposo, ideata in complementarietà con il mondo del lavoro, oggi si vede, in alcuni casi, mescolata con l’impegno e l’ansia del mestiere. I nuovi modi abitativi potrebbero forse fare a meno di case così concepite se al loro posto avessero a disposizione spazi diversamente rispondenti ai bisogni attuali. Se restano qui è per questioni di convenienza e proprietà (spesso generata da trasmissione intergenerazionale). Quel che è certo è che si è stravolto il significato originale degli spazi. Il generoso quantitativo di spazi aperti e la relativa bassa densità del quartiere oggi regalano soltanto un certo senso di “tranquillità”, ma falliscono nell’intento di trasmettere l’illusione del paesaggio campestre. La casa isolata ed evocativa svuotata dalle famiglie ospita relazioni strette da motivi economici anziché affettivi. L’isolamento e la rappresentazione simbolica non interessano a questi modi di abitare che scavano condizioni vantaggiose in interni estranei alla loro condizione.

Soggiorno utilizzato anche come camera da letto

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da soggiorno a camera da letto

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da camera giochi a sala studio

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camera da letto per affittare

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camera da letto per affittare


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camera da letto per affittare

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da giardino a locale lavanderia

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da camera da letto a ripostiglio

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apertura cucina


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ampliamento camera da letto

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chiusura camera da letto per affittare

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da camera da letto a deposito

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apertura cucina


Socializzazione delle differenze Alcuni cambiamenti negli spazi privati debordano e conquistano parti delle aree comuni, corrodendo l’uniformità dell’esterno. La risignificazione dello spazio, anche se più forte negli interni, non si riduce a questi. Anche all’esterno, si rende visibile a vicini e passanti un diverso “dominio” dello spazio. Lo stato delle facciate, dei giardini, dei cancelli, manifesta tratti morali e culturali degli abitanti: la responsabilità, la laboriosità, i gusti, esprimono quanto siano ammirevoli e quindi simili e quanto siano criticabili e quindi diversi. L’apertura della dimensione privata agli altri avviene anche attraverso lo spazio e l’uso che se ne fa (Crosta, 2010). Lo spazio in comproprietà, uno degli elementi che più spingevano per l’uniformazione, è stato uno dei fattori che più ha sofferto il desiderio di differenziazione. L’ambiguità di un suolo privato, aperto, ma accessibile da tutti, senza bordi o separazioni chiare, indebolisce il legame degli abitanti con gli spazi aperti comuni. Oggi la proprietà condivisa è vista da tanti soltanto come un vincolo fastidioso, un freno all’utilizzo del proprio patrimonio, un costo innecessario: la condivisione è subita. Col passar del tempo l’aspetto originale non rimane intatto, si fanno trasformazioni senza chiedere il permesso dell’amministratore, si dipingono case con colori diversi, si potano alberi che irrompono nei giardini privati. Il rispetto di alcuni e la ribellione di altri generano conflitti e tensioni che favoriscono la perdita di valore della comproprietà agli occhi degli abitanti con la conseguente vendita di alcune sue strade e marciapiedi al municipio (presumibilmente anche per far fronte a costi di gestione e manutenzione). L’ampio spazio in comproprietà ha accolto soltanto espressioni individuali, è rimasto un esterno come tutti gli altri, da usufruire e conquistare in modo isolato. Le manifestazioni coordinate e rivelatrici di un luogo unificato immaginate da architetti e urbanisti rimangono sognate, e il suo spazio vuoto. I cambiamenti visibili negli esterni possono essere suddivisi in tre categorie che, anche se diverse, attingono gli interessi particolari delle singole famiglie: un processo che con un neologismo potremmo dire di residenzializzazione che è estensione e potenziamento dello spazio domestico, rafforzamenti della separazione dagli altri, e accentuazione della loro particolarità attraverso operazioni di distinzione. All’arricchimento dei proprietari consegue un

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fenomeno di adeguamento degli spazi in termini quantitativi, si ricavano nuovi ambienti in altezza, si conquistano frammenti delle zone comuni, si dilatano le aree costruite nei giardini privati, si ampliano quest’ultimi. Accanto ad ampliamenti, e al rafforzamento dei giardini, vi sono chiusure spaziali e simboliche, si utilizzano alte siepi come ostacoli alla visione e all’accesso. Infine, si rafforza il carattere “naturale” delle aree aperte, e si costruiscono muri prominenti e meno attenti all’immagine complessiva per permettere un’estensione della dimensione domestica in spazi prima esposti allo sguardo altrui. Le superfici “nude” e le forme analoghe offerte dalle case di Villagexpo sono espresse proprie con attività di marcatura come l’uso di pitture diverse o lavori di floricoltura spesso degenerati in nevrotiche e feticistiche saturazioni di segni.

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ampliamenti

separa


azioni

distinzioni


ampliamenti


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separazioni


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distinzioni


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Le aspettative di Villagexpo, il modello abitativo nuovo e virtuoso che doveva essere messo in mostra e convincere della sua superiorità, è assente. Tutto si è modificato, anche se puntualmnte e in modo minuto. Così come si è modificata la società, i suoi modi di produzione, di distribuzione delle ricchezze, gli immaginari abitativi, le preferenze e i bisogni. Originariamente interni ed esterni, aree costruite e permeabili, dispositivi materiali e simbolici prefiguravano una pratica abitativa altra, presente con la stessa forza in tutto lo spazio. La delimitazione degli investimenti materiali ed emotivi alla sfera privata e il considerare gli spazi aperti soltanto piattaforme di circolazione o come attrezzature gradevoli all’occhio, è un risultato opposto alle intenzioni originali più profonde materializzate in Villagexpo. I cambiamenti subiti denunciano l’incapacità di questi spazi nell’indirizzare e produrre il modello abitativo voluto e la coscienza di gruppo è ridotta alle assemblee per trattare questioni sulla comproprietà, a qualche faccia conosciuta, ai toponimi. Gli abitanti hanno senza dubbio apprezzato e rafforzato le caratteristiche più vicine al pavillon, quelle che sono risultato di uno sforzo per capire e soddisfare l’idea di spazio abitativo propria di gran parte della società del momento, e hanno invece rifiutato gli attributi più indirizzanti e invadenti. Questi cambiamenti mostrano un Villagexpo che ha permesso o persino incoraggiato le trasformazioni, lo status giuridico del suolo non è stato sufficiente per bloccare adattamenti che hanno riscritto il ruolo e la natura del quartiere. Questa resilienza ha compromesso totalmente ciò che era? Villagexpo è oggi un quartiere come tutti gli altri? È vissuto come un comune agglomerato di case unifamiliari? Che cosa perdura nel momento in cui la forza propulsoria iniziale declina, perde potenza? Sebbene la maggior parte degli interni sia stata stravolta e gli esterni esprimono languidezza e svuotamento, rimangono aspetti che testimoniano la specificità di Villagexpo.

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Mitigare l’individualismo

L’intera vicenda di Villagexpo potrebbe essere descritta come la ricerca di una “cura” agli individualismi del pavillon, dove la condivisione era il risultato che il progetto aspirava esibire come esito dei principi e dei virtuosismi spaziali applicati. Tuttavia le disgiunzioni emerse nel tempo hanno sciolto quella coesione tra abitanti tanto cara ai progettisti, senza però sopprimerla del tutto. Insieme ai cambiamenti prima descritti, che rivelano un quartiere aperto e slegato dal suo passato, sono presenti anche dei legami tra alcuni vicini che mantengono viva la base del progetto iniziale. Sono relazioni costruite e tenute in piedi da convergenze d’interessi e facilitate dalle proprietà spaziali e giuridiche dello spazio, come dalla memoria degli anni in cui Villagexpo rappresentava il nuovo. La comproprietà, ossia l’attestazione giuridica del possesso condiviso del suolo, tralasciando i conflitti prima descritti, suscita ancora qualche influenza sugli abitanti e favorisce la formazione di una certa coscienza di gruppo. La proprietà congiunta del suolo e la capacità di sostenere le spese di manutenzione e quindi il poter superare una certa soglia di reddito, facilitano in qualche misura la corrispondenza tra un’identità di gruppo e questo spazio. A questo si aggiunge che oggi è presente una parte dei primi abitanti che difende la specificità di Villagexpo contro i cambiamenti. I proprietari di lunga data sono uniti dal fatto di essere stati i pionieri, di aver vissuto Villagexpo come “doveva essere” senza chiudersi nelle proprie case, di conoscersi dopo cinquant’anni. Insieme si schierano contro i progetti di costruzioni più vicine, se la prendono con le modifiche fatte da altri, criticano il “non capire” la logica dell’organizzazione degli spazi. Condividono ricordi e obiettivi. Quest’unione è rinforzata con le feste di strada celebrate a maggio, con iniziative volontarie di abbellimento delle facciate e degli spazi aperti, con manifestazioni di solidarietà tra vicini che si prendono cura dei nipoti, degli animali e delle piante altrui.

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L’aspetto però che riesce a contrastare con più forza le differenze e le separazioni è quello della sorveglianza collettiva. I sentimenti d’insicurezza, la paura verso l’“estraneo”, attivano una vigilanza associata agevolata dalle caratteristiche aperte degli spazi che sigilla il quartiere entro i propri confini e lo separa dall’esterno. Conoscere i vicini è una strategia difensiva, basta sapere che non sono estranei, è un’alleanza contro gli altri. La condivisione della paura è un esito che avvicina quel Villagexpo sognato, virtuoso, ambizioso, e aperto, a una gated community. In fondo, è così diversa una sorveglianza esercitata dagli stessi abitanti da una custodia professionale acquisita da apposite agenzie, o tacciare il visitatore di intruso dall’avere muri e cancelli? La difesa dei valori e della sicurezza lotta contro i mutamenti, è ostile ai “nuovi arrivati”, isola Villagexpo come reliquia portatrice di valori che non ci sono più. L’attaccamento allo spirito di una volta è cieco ai cambiamenti e rifiuta con ostinazione inevitabili compromessi. Oggi rimane un piccolo grumo di convivialità, una roccaforte di valori e interessi che lotta contro le alterazioni che arrivano da un mondo che è molto cambiato. È un entre-soi protecteur direbbe Donzelot (Donzelot, 2009). Anche le buone intenzioni possono dare luogo a esiti ambigui o perversi (de Leonardis, 3 maggio 2016), dove difendere valori vuole dire separarsi dagli altri e proteggersi l’essere ostili. Quello che rimane del concetto abitativo di Villagexpo è la sua paradossale patrimonializzazione come valore specifico che fabbrica distinzione e privilegi e non il suo essere modello ripetibile e applicabile in maniera estensiva.

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Due traiettorie progettuali


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Villagexpo ha reagito in modo duplice ai cambiamenti manifestati nelle aspettative degli abitanti, in ciò che desiderano che esso sia, e oggi convivono due scenari diversi, intrecciati, ma divergenti. Ognuna di queste direzioni costruisce un diverso quartiere, realtà che si rivelano non soltanto inconciliabili ma in necessaria opposizione. La negazione dell’altra è qui fondamento del proprio progetto, e la tensione continua è cantiere per reperire materiali, soluzioni, idee, proponimenti, stili di vita. Una direzione difende la specificità di Villagexpo con inclinazione conservativa, patrimonialista; l’altra spinge il quartiere verso un suo frammentarsi, ricavandone vantaggi, cieca ai suoi confini e alla sua singolarità storica. Un irrigidirsi e un aprirsi che si contendono lo spazio, ognuno sognando il proprio ambito in assenza dell’altro. In questo capitolo si presenta un intervento progettuale che ha come obiettivo snodare questo conflitto interno di Villagexpo attraverso la mozione di due proposte corrispondenti alle direzioni analizzate nel capitolo precedente. Due progetti che hanno l’intenzione di costruire un dibattito pubblico sull’avvenire di Villagexpo e di introdurlo come problema nelle discussioni sulle strategie urbanistiche che interessano il comune di Saint-Herblain. L’esplorazione progettuale trae ragione anche da alcune azioni in corso volte a ripensare e migliorare il territorio di cui Villagexpo è parte. Uno sfondo del quale la proposta scarta alcuni principi e si serve di altri. Ogni progetto prova a immaginare ognuna delle due direzioni libera dal freno causato dalla controparte, dando ascolto ai desideri rilevati ma, senza mai aderire loro totalmente. Pur attuando un ravvicinamento verso le questioni rilevate dalla ricerca e verso gli interessi degli abitanti, le proposte mantengono alcuni principi ritenuti indispensabili per un progetto critico: la situazione attuale e le condizioni locali sono considerate come base di partenza per il progetto, non “quadro prescrittivo” (Gregotti, Scegliere, disporre, scrutare, scavare, seminare, 1989) ma materia trasformabile. Le proposte cercano di dare risposta anche a un quesito difficile: quale rapporto dovrebbe essere fissato tra un progetto fondato nel passato e un’operazione più recente? Progetti come questi sono da preservare imprigionando ogni potenzialità poiché hanno già svolto il loro compito o possono invece avere un ruolo attivo e importante nelle nostre condizioni presenti? La convinzione che muove queste proposte è che oggi sia fondamentale tornare a riflettere su sperimentazioni come

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Villagexpo e che, attraverso il progetto, si possano costruire ponti tra quelle lezioni e il presente, collegamenti densi di contenuti conoscitivi ma lontani da piatte conservazioni. Dialoghi ricchi e complessi tra il passato e il presente.

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Open House(s)

Quegli abitanti che riconoscono un valore specifico a Villagexpo, ambiscono alla sua patrimonializzazione e alla sua separazione dal contesto immediato, al controllo degli accessi, al ripristino dello stato primario, e soprattutto ambiscono una sua riconoscibilità. La mia proposta cerca di rispondere a questi desideri, senza abbandonare tuttavia la convinzione che un isolamento assoluto del quartiere potrebbe privarci di ciò che Villagexpo può offrire, poiché resterebbe perso come occasione e fissato al passato senza nulla da dire sul presente. Come creare quindi una certa separazione senza costruire mura? Come proteggere l’unitarietà senza isolarlo dal resto della città? Come dare valore alla sua specificità storica senza ricostruire un passato che non c’è più e senza svuotarlo dell’autenticità fornita dalle pratiche abitative? L’obiettivo delle strategie proposte è quello di offrire la miglior soluzione a queste intenzioni apparentemente inconciliabili. La riproposizione di Villagexpo come esperienza espositiva potrebbe generare gli effetti desiderati dagli abitanti più conservativi, salvaguardare la sua unitarietà, e aumentarne la riconoscibilità. L’intenzione di aprire il quartiere al circuito culturale della città e di sottolinearne l’importanza, potrebbe dare luogo agli stessi risultati raggiungibili tramite mura o cancelli mentre se ne elude l’avversione: la sua chiusura risulterebbe dal suo essere luogo di valore culturale elevato, la sua unitarietà dal fatto di far parte di uno stesso discorso ritenuto basilare, la sua conservazione dalla volontà di associarsi a quello stesso discorso. La proposizione di una rimessa in mostra del quartiere potrebbe raggiungere questi risultati mentre, quasi paradossalmente, stabilisce un dialogo con la città, facendone parte delle opere memorabili, di valore. Dimostrazione del potenziale di questa strategia sono le “expéditions urbaines” organizzate attualmente da l’Ardepa (Association Régionale pour la Promotion de l’Architecture) che hanno Villagexpo tra le opere di architettura degne di essere visitate. Il progetto potrebbe quindi rafforzare questa volontà di valorizzare il quartiere conservando il carattere poco invasivo delle visite

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guidate. È ritenuto essenziale prendere le distanze da una museificazione troppo irrompente, che consideri Villagexpo come interamente accessibile, osservabile, appiattendo complessità e genuinità. Il progetto quindi muove dall’intenzione di “congelare” il quartiere, di bloccare i cambiamenti e interrompere contaminazioni strumentalizzando la sua esibizione come luogo di valori culturali specifici. Ma come rendere accessibile Villagexpo senza compromettere il fatto che sia un quartiere vissuto e non un parco a tema? Come mantenere anche una dimensione impenetrabile, altra? Come conservare il diritto di non essere visto? Per dare risposta il progetto propone un’accessibilità concentrata in alcuni punti, alcune case rese interamente visitabili, una separazione sul piano orizzontale tra i luoghi appartenenti agli abitanti e quelli ceduti al visitatore. Le case-padiglione potrebbero esporre soluzioni costruttive, materiali originali, arredi, ma anche i segni lasciati dalle modifiche realizzate in questi quasi cinquant’anni, le tracce delle attività domestiche. Prendendo spunto dall’opera Open House (1972) dell’artista Gordon Matta-Clark e dell’approccio plastico dei tagli e delle sezioni fatti su materiali della casa, si propone un’apertura scenografica degli interni domestici. La casa si presenta come materiale. La conservazione di Villagexpo avviene attraverso la distruzione di alcune sue parti, della sua trasformazione. Un intervento siffatto manterrebbe un equilibrio, altrimenti difficile, tra Villagexpo come luogo chiuso e Villagexpo come luogo aperto alla cittadinanza.

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Bellevue-aujourd’hui

L’altra interpretazione di Villagexpo, quella che dà più peso ai cambiamenti e alle relazioni con l’esterno, mostra un quartiere esogeno, che non teme la propria trasformazione se questa produce benefici, anzi la ricerca con risolutezza. Questa direzione è indifferente alla specificità storica del quartiere, lo percepisce come portatore di convenienze riscontrabili analogamente altrove. Di fronte a una tale spinta che vorrebbe questo spazio compreso nelle dinamiche urbane più estese, il problema è quello di aprire il passo alle trasformazioni desiderate mentre si cerca di coinvolgere Villagexpo stesso in quanto componente fondamentale. L’apertura e democratizzazione di questi spazi deve avvenire in modo complesso e problematico, costruendo una cornice entro la quale Villagexpo possa far parte dei cambiamenti in modo rilevante e articolato. L’interesse di porre freno a una trasformazione impassibile ai valori di Villagexpo non deriva da un’adesione acritica a tale o quale principio o ideologia fondativa, e neppure da un feticistico desiderio conservatore dei suoi materiali; è generata invece dalla convinzione che sia stata una sperimentazione ricca di contenuti ancor oggi rilevanti. Villagexpo sarebbe tenuto a sperimentare queste fasi trasformative senza svanire completamente e a conservare alcuni dei suoi caratteri non per celebrarne le soluzioni ma per riconoscerne l’importanza. Il processo di trasformazione non dovrebbe essere causato soltanto da forze esterne che ne corrodono la completezza, ma è il quartiere stesso a dover far parte dei cambiamenti su di sé e sull’ambiente più vicino. La zona è attualmente parte di un ampio e articolato impegno per trasformare e migliorare le condizioni economico-sociali dell’intera ZUP Bellevue. Il piano nominato “Bellevue-demain”, composto di un insieme di strategie urbane coordinate da istituzioni pubbliche, svolge un ruolo direzionale nelle trasformazioni della zona. La mia proposta si rapporta a Bellevue-demain poiché la percepisce come un’opportunità straordinaria per Villagexpo per le reti relazionali da esso costruite tra una molteplicità di attori e per la possibilità

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di mobilitare notevoli risorse finanziare. Rapporto però che comporta anche una dura critica ad alcune delle sue intenzioni. Il piano nasce da un diagnostico negativo della La ZUP Bellevue Nantes/Saint-Herblain, e viene lanciato nel 2007 come soluzione ai processi d’impoverimento socio-strutturali affrontati da gran parte della popolazione locale. Il piano generale ricerca una migliore qualità residenziale e diversificazione dell’offerta residenziale, l’apertura e l’accessibilità del territorio e la riqualificazione delle reti infrastrutturali interne, la continuità morfologica tra la ZUP e le zone periferiche, la creazione di nuovi centri, la rielaborazione e recupero dello spazio pubblico e delle aree naturali, la diversificazione e una migliore leggibilità di strutture e servizi esistenti e futuri, lo sviluppo economico all’interno della ZFU (Zone Franche Urbaine), il cambiamento d’immagine e il sostegno d’iniziative culturali e il consolidamento della dinamica partecipativa con i residenti e gli utenti (alcuni degli obiettivi dichiarati nella convenzione fatta a Nantes nel 14/01/2008). L’ANRU (L’Agence Nationale pour la Rénovation Utbaine) e la Ville di Saint-Herblain, insieme alla Communauté Urbaine Nantes Métropole, L’Association Fonciére Logement, Le Conseil Général de Loire-Atlantique e la Atlantique Habitations programmano in associazione la costruzione di 700 nuovi alloggi, dei quali quasi 200 (di cui il 25% saranno alloggi sociali) interessano le prossimità di Villagexpo lungo l’asse viario Salvador Allende, insieme ad un lavoro di residentialisation su 492 alloggi comprendenti operazioni di riqualificazione d’ingressi e di accesso agli edifici, trattamento dei piani terra, riabilitazioni dei corpi scala, e la riconfigurazione delle aree di parcheggio. Il costo del progetto arriverà a più di 85 milioni d’euro, 35% dei quali saranno dedicati interamente alla questione abitativa, e il suo finanziamento sarà sostenuto in un 52% dalle istituzioni locali (il comune Saint-Herblain, Nantes Métropole, il Conseil Général, e la Région) e circa il 21% dal l’ANRU, mentre il resto è affidato a imprese private (dati ottenuti dall’Atlas des transformations des quartiers bénéficiaires du programme de rénovation urbaine en Loire-Atlantique à Nantes - Saint- Herblain: Bellevue, luglio 2009). La gestione operativa del progetto è condotta dalla Città, che stabilisce un team operativo per assicurare il coordinamento dei responsabili di cantiere e il buon andamento delle operazioni. Questo team mobilita uno chef de projet, un chargé d’opérations, un coordinateur du dispositif relogement, un coordinateur des dispositifs de participation, de concertation et d’information des habitants, un chef de projet social de territoire, e un secrétariat con

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Rappresentazione riassuntiva del piano Bellevuedemain in relazione a Villagexpo


VILLAGEXPO

500 m

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zona di grands ensembles

zona pavillonnaire

zona esclusivamente residenziale

settori da densificare

aree naturali per attivitĂ di loisir

aree di produzione


l’intenzione assicurare la coerenza tra l’aspetto sociale e la componente urbana. Un’iniziativa così strutturata è capace di cambiare completamente Villagexpo e di determinarne l’avvenire. Nelle vicinanze del quartiere, Bellevue-demain prevede la concentrazione di residenze lungo il boulevard Salvador Allende, a nord di Villagexpo, mentre propone il consolidamento delle aree occidentali come spazi naturali a scopo ricreativo. Mentre Villagexpo è lasciato a sé come elemento ininfluente, poiché ritenuto privo di condizioni preoccupanti, nei 3.3 ettari adiacenti in direzione nord si sistema un progetto abitativo comprendente tra i 300 e i 400 alloggi e alcune strutture “intergenerazionali” EHPAD (Etablissement d’Hébergement pour Personnes Agées Dépendantes). Progettato dagli urbanisti dell’Agence IN SITU AE, insieme al Maître d’ouvrage: Loire Océan Développement, questo progetto nasce dal tentativo di sviluppare una diversificazione dell’offerta abitativa e di prendere in considerazione nuove modalità di integrazione urbana di Bellevue con il suo ambiente, e allo stesso tempo dichiara l’ambizione di costruire una proposta sperimentale conforme ai principi del sempre ambiguo concetto di sostenibilità. La morfologia dei fabbricati e degli spazi aperti segue principi esterni al suo contesto rapportandosi, in termini di accessi e orientamenti, esclusivamente all’asse viario Salvador Allende, tagliando così ogni possibilità di dialogo con Villagexpo. La mia proposta parte quindi dal tentativo di costruire una critica a queste iniziative attraverso un progetto che sollevi Villagexpo come problema rilevante e come opportunità, sebbene avvalendosi delle risorse e della sinergia istituzionale predisposta dal piano generale. Il piano generale, con l’inserimento di un quantitativo così alto di alloggi a nord di Villagexpo, dimostra una inconsapevolezza rispetto ai principi specifici del quartiere e ignora l’importanza degli spazi aperti per un insediamento fondato sulla casa unifamiliare. Senza sottovalutare il peso del problema dell’accesso alla proprietà, ritengo che la sistemazione di nuovi alloggi debba avvenire in maggior misura in altre zone della ZUP, si debba dare rilevanza a Villagexpo come luogo che sostiene una riflessione innovativa sulla questione abitativa, e più in particolare sulla casa unifamiliare. La ZUP Bellevue, e ancor di più le aree Bernardière e Harlière, sono composte quasi esclusivamente da grands ensembles e grandi spazi vuoti, e conta di una sostanziale disponibilità di suolo adatto a un’eventuale densificazione. Per rispondere meglio agli

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Rappresentazione riassuntiva del progetto istituzionale dell’Agence IN SITU AE



obiettivi fissati dal progetto in corso ritengo essenziale, in primo luogo, dare continuità al ragionamento sulla casa unifamiliare intrapresa da Villagexpo giungendo così a una diversificazione dell’offerta abitativa; in secondo luogo, costruire un dialogo critico con il quartiere in modo da attuare nuove modalità di integrazione urbana di Bellevue con il suo ambiente; e infine, proseguire l’iniziativa di fornire proposte sperimentali conformi ai principi della sostenibilità interpretando quest’ultima come azione riflessiva su un territorio denso, non vuoto, di uno spessore importante e complesso dal punto di vista storico e sociale. Fare leva sul futuro risulta una strategia convincente e trainante, capace di mobilitare ingenti risorse e coraggiose iniziative. Bellevue-demain insegue un futuro conveniente per tutti, senza opposizioni e senza ambiguità, ma corre il rischio di oltrepassare questioni rilevanti appartenenti a un presente non approfondito a sufficienza. Il mio sforzo è quello di ridurre la velocità apparente, l’ansia riformatrice che rincorre frettolose soluzioni esponendosi a dannosi riduzionismi. La mia proposta si colloca nella Bellevue di oggi, erede di un passato ricco di sperimentazioni e risultato di cambiamenti sociali complessi.

Il progetto La mia proposta, presentata in seguito, parte da Villagexpo stesso come quartiere resiliente e, contemporaneamente, come componente del piano Bellevue-demain. Come visto in precedenza, Villagexpo non ha manifestato soltanto tratti conservativi, ma ha anche reagito in opposizione ai suoi caratteri più fissi e normativi; si è rivelato contro la sua separazione, e ha desiderato modifiche sulle condizioni abitative. Il progetto proposto dà continuità a questi desideri e li articola al piano complessivo Bellevue-demain. Si accoglie il desiderio degli abitanti di adeguare i propri spazi a piacimento abbandonando la categorica contrarietà ai cambiamenti ed eliminando uno dei tratti percepiti come più soffocanti: quello della comproprietà. La democratizzazione del suolo cancellerebbe i confini giuridici attualmente disegnati dalla proprietà privata condivisa, soddisfacendo così la volontà di apertura alla città. Proposito rafforzato ulteriormente per mezzo del collegamento con i dintorni attraverso diversi materiali urbani quali strade, servizi commerciali e ricreativi. Il riferimento è quello della ville poreuse


di Secchi e Viganò (Secchi & Viganò, 2011), la correlazione tra diritto di cittadinanza e spazio, la città ideata per accogliere il diritto di muoversi liberamente e del riconoscersi in ugual misura in tutti i suoi punti. Dove prevale la mancanza di limiti, di frammenti, di disarticolazioni. Il ritorno, in qualche modo, di alcuni caratteri morali e giuridici del progetto moderno. Il parco a ovest quindi, permea Villagexpo in alcuni punti eliminando barriere all’accessibilità, si costruiscono assi di collegamento con le zone pavillonnaire a nord, e si propongono nuovi servizi commerciali che possano svolgere il ruolo di punti di contatto tra zone in precedenza separate. Tuttavia, l’iniziativa concentra la maggior parte degli interventi nei 3.3 ettari a nord di Villagexpo, sulla zona interessata dal progetto dell’Agence IN SITU AE, con una nuova proposta declinata in residenze, servizi commerciali e ricreativi. Il nuovo quartiere nasce dal rapporto con Villagexpo e da una riflessione sulle sue regole, costruendo continuità, potenziamenti, ma anche distanze. La ricerca di una certa coerenza permette di dare successione alla ricerca sulla casa unifamiliare intrapresa da Villagexpo e un rapporto critico potrebbe, dall’altro lato, aggiungerne nuovi contenuti. Il progetto media quindi tra Villagexpo inteso come contenitore di ragionamenti specifici sulle possibilità di un habitat basato sulla casa unifamiliare, e la componente circostanziale, sia essa sociale che materiale. La proposta costruisce una continuità con Villagexpo attraverso la condivisione di alcuni principi come quello della ricerca di uno spazio egualitario, dove le differenze di reddito non possano innalzare distanze simboliche troppo profonde, poiché se è vero che il progetto insegue i desideri della società di oggi, è anche vero che non è privo di critiche rivolte ad essa. Come abbiamo imparato dalla Scuola di Francoforte e da tutta quella critica che crede possibile un cambiamento di segno al positivo, il progetto è anche occasione per proporre un miglioramento della società. La proposta però stabilisce anche una tensione, rifiutando la ricerca di collettività, e prova a immaginare uno spazio la cui fenomenizzazione non dipenda esclusivamente da romantizzate manifestazioni di socialità. Rinuncia all’appellativo di “villaggio” e a ogni legame con un passato idealizzato, afferra l’idea delle reti relazionali degli abitanti estese sull’intero ambito urbano e non limitate ai confini del quartiere, e non pensa lo spazio come habitat esclusivo di famiglie in crescita, ma anche di più diversificati modi di abitare.

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Strategie generali


Spazi aperti

Dal rapporto con Villagexpo sorge anche la scelta di dare successione ai principi che regolano gli spazi aperti e la loro importanza come regola fondativa. L’alto valore quantitativo, il ruolo di sfondo, di cornice agli edificati, e le variazioni d’uso degli spazi aperti, sono principi strettamente legati alla casa unifamiliare e al suo romantico allontanarsi da un mondo troppo costruito. La mia proposta cerca di dare risposta al “bisogno di natura” rifiutando tuttavia lo schema tradizionale della casa circondata da spazi aperti naturali, e offre una scissione netta tra due ambiti di dimensioni equivalenti: quelli adibiti alla costruzione e quelli destinati a ospitare esclusivamente specie vegetali. Gli spazi aperti sono quindi fondativi per la definizione del progetto, sono presenti in quanto spazi del non-costruito, della non-azione progettuale, come un negativo. Tuttavia, non sono esterni alla razionalità ordinatrice del progetto, sono certamente parte integrante del nuovo insediamento e saranno sistemati per raggiungere il suo stato di alterità rispetto agli spazi costruiti. Lo spazio aperto comune è quindi trattato come spazio altro, altro in termini di ruolo, di tempistiche, di sviluppo nel tempo. Non è il giardino all’inglese di Villagexpo ma terreno lasciato a sé. La modellazione di queste aree di “retroscena” può servire anche a rafforzare il legame dei nuovi insediamenti con Villagexpo, e attraverso una concentrazione degli edificati in tre centri principali si può dare luogo a una mimesi delle disposizioni dei gruppi di case preesistenti. Questa corrispondenza facilita una lettura d’insieme ed è utile a una successiva integrazione di differenze contrapposte.

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Orientamento L’orientamento dei tre centri principali come dei fabbricati stessi è colto come un’opportunità per accentuare legami o distacchi. Permette di definire una certa posizione rispetto a Villagexpo, né troppo lontana né troppo vicina. Una mossa che dichiara l’assenza di mimesi, ma anche la mancanza di assoluta estraneità, rimanendo in un rapporto ambiguo che rispecchia la posizione della proposta rispetto ai principi di Villagexpo. Il nuovo insediamento non replica quindi la disposizione dei gruppi di case più vicini, stabilendo così un evidente distacco dai fabbricati adiacenti e assicurando una certa specificità all’intervento. La vicinanza invece è ricercata attraverso la riproduzione di un “orientamento generale” dell’intero complesso Villagexpo che si appoggia sui punti cardinali come assi di riferimento dominanti, ed è presente nelle strade principali, nella posizione dei gruppi di case, e in alcuni fabbricati non necessariamente vicini al nuovo insediamento. La disposizione del nuovo intervento insegue un rapporto difficile e complesso con Villagexpo, dà luogo a equilibri instabili e confini incerti ma cerca anche di evitare banali imitazioni o incoscienti distacchi. Spazi di connessione La relazione del nuovo intervento con il suo intorno si basa sulla premessa che non tutti i suoi elementi debbano dare forma a una connessione e propone una separazione netta tra i luoghi affidati alla connessione e quelli destinati a svolgere altri ruoli. L’articolazione dell’insediamento con l’ambiente immediato è ricercata quindi sfruttando le potenzialità di “nodo” del centro a est per la sua prossimità all’incrocio viario tra il Boulevard Salvador Allende e la rue Pablo Neruda, agli insediamenti pavillonnaire a nord, e ai grands ensembles della ZUP Bellevue a est e sud. Rinchiudere il ruolo di spazio “connettore” o nodo in una singola porzione di terreno permette di configurare con libertà le altre aree una volta emancipate da questo compito, e di aumentare la forza del carattere relazionale di questi spazi poiché concentrato ed evidente. La connessione è ricercata non solo attraverso una corrispondenza formale plasmata soprattutto negli orientamenti, ma anche attraverso il carattere attirante dei suoi contenuti programmatici. Tramite la realizzazione di un cinema, mercati, negozi, e lo studio dei loro rapporti con gli spazi aperti, si spera di riuscire nel tentativo di costruire uno spazio appartenente ai nuovi

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abitanti, ai passanti, e a quelli che vivono nelle vicinanze. Nel lato opposto, verso ovest, presenta un fronte capace di articolare spazi costruiti e spazi aperti naturali, che metta in atto una specie di transizione tra il nuovo insediamento e il parco naturale previsto dal piano Bellevue-demain. Si cerca d’ipotizzare un luogo che pur conservando la neutralità degli altri spazi aperti sia anche in grado di orire una certa varietà di modi di viverlo: si considerano giochi per bambini, zone introverse, aree fittamente occupate da specie vegetali, terreni spianati, etc.

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orientamenti

spazi di connessione



Un principio strutturalista Le nuove zone residenziali ripropongono la casa unifamiliare come materiale ancora ricco di potenzialità, ma anche denso di problematiche. La casa unifamiliare è qui vista come spazio sul quale poter riconoscersi, dove i limiti dell’appartenenza sono chiari, e dove predomina l’uso del singolare. Quel rapporto stretto e indiscusso tra abitante e spazio è la certezza sulla quale poggia il progetto e concentra i suoi investimenti. Ciò che rimane fuori da questo rapporto viene lasciato come ambito più incerto, dove prevale un accento imparziale e suoi caratteri neutrali esprimono l’apertura ad appropriazioni collettive o singolari ma dalle quali non dipendono. Un principio ordinatore fondato sui giardini privati regola questi due ambiti, li tiene assieme e ne organizza i rapporti. Una griglia regolare di giardini di 8mx8m è capace di creare un ampio margine sul quale le case possono esprimere la propria differenza, pur condividendo una matrice comune. Uno spazio per vivere in famiglia o individualmente, per ricavare i materiali simbolici della casa unifamiliare o per abitare di passaggio, soggiorni grandi e aperti all’esterno o cucine piccole e funzionali. La diversità, l’irregolarità, la spontaneità, quali proprietà di un abitare attivo e trasformatore, sono avvolte da una cornice generale che ne esprime la condizione di necessaria correlazione. Dove si vive da soli ma senza l’illusione di non coesistere. Questo principio ordinatore permette allo stesso tempo di generare uno spazio aperto privo di centralità, aperto alla mobilità e alle connessioni. Si ricerca uno spazio di spostamenti e di comunicazioni, ma anche d’interruzioni e di distacchi. Progetto per alloggiare il logos del corpo ma anche la Nervenleben del mercato e le negoziazioni (Cacciari, 2009).

strutture residenziali: 51 spazio coperto: 2 926 m2 spazi aperti pavimentati: 8 269 m2 spazi aperti permeabili: 12 782 m2

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tipologia casa unifamiliare 2 superficie 103 m numero 3

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 103 m numero 4

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 88 m numero 1

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 84.4 m numero 3

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 111.2 m numero 3

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 110.6 m numero 1


tipologia casa unifamiliare 2 superficie 92.3 m numero 3

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 93 m numero 1

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 92.8 m numero 3

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 85 m numero 2

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 81,5 m numero 1

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 83.7 m numero 4


tipologia casa unifamiliare 2 superficie 73 m numero 1

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 72.3 m numero 1

tipologia casa unifamiliare 2 superficie 81.8m numero 1

tipologia stanze singole 2 superficie 78.8 m numero 3

tipologia stanze singole 2 superficie 61 m numero 2

tipologia stanze singole 2 superficie 61.8 m numero 4


tipologia stanze singole 2 superficie 51.2 m numero 2

tipologia stanze singole 2 superficie 56 4 m numero 1

tipologia stanze singole 2 superficie 42.3 m numero 4

tipologia stanze singole 2 superficie 54.7 m numero 1

tipologia stanze singole 2 superficie 61.2 m numero 1

tipologia stanze singole 2 superficie 34.4m numero 1




Come rivelano alcune delle strategie prima esposte, questa proposta è debitrice di quell’eredità basilare per le nostre discipline che è stata lo strutturalismo degli anni ’60, presente nelle ricerche intraprese da figure come Shadrach Woods, Candilis, Herman Hertzberger, Giancarlo de Carlo, gli Smithson, Aldo Van Eyck. Concordanza che però si sforza di costruire una distanza critica che la tuteli da entusiaste e anacronistiche adesioni. Sono soprattutto due i punti di convergenza con lo strutturalismo: la relazione tra il progetto e il tempo, e la questione dell’appropriazione da parte degli abitanti. Infatti, lo sforzo per mobilitare e dare coerenza ai diversi elementi del reale (quelli presenti e quelli ancora inesistenti), facendoli confluire verso un unico traguardo, si decide in un uso strategico di schemi e vincoli astratti quali griglie, assi, ripetizioni, norme, cercando di penetrare con ottimismo un futuro percepito come fugace, incerto e dinamico. “Alla città, che è già metropoli, si adatta senza sforzo una visione fiduciosa e olistica, intessuta delle infinite relazioni...” (Bianchetti, 2015). Allacciare passato, presente e futuro, attraverso elementi linguistici continui e resistenti è una mossa ingenua o, al contrario, sofistica quando esibita come deterministicamente incrollabile. Tuttavia si rivela strumento utile quando accetta l’incertezza del suo successo e si espone semplicemente come probabilità. Pensare il futuro come possibilità, accettando la sua ineluttabile imprevedibilità, è un esercizio necessario per interventi che desiderino espandere i presunti benefici entro margini temporali più dilatati. Questa volontà di unificare e di dare coerenza all’intervento nonostante i cambiamenti è condivisa e contenuta nella mia proposta, ma subisce la convinzione del fatto che lo spazio non è infinitamente continuo e il tempo non è affatto accessibile. Lo spazio è oggi conteso da popolazioni con interessi molto differenti, è diviso da disuguali rapporti con il capitale, ed è abitato da esclusioni e separazioni che accentuano la lontananza delle utopie degli anni ’60. L’altro punto di convergenza con alcune delle ricerche strutturaliste degli anni ’60, è quello dell’appropriazione ed emerge attraverso il rifiuto di un’eccessiva determinazione delle forme, il lasciare spazio all’adattabilità e ai cambiamenti. Lo strutturalismo in architettura propone un diverso rapporto con l’individuo, capisce la sua irriducibilità a singole e scontate attività, afferra la sua complessità e assimila la sua imprevedibilità. Nasce la teoria dell’“appropriazione” di Lefebvre (Lefebvre, Ed. 1977) che afferma

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la dimensione attiva dell’abitare, e studi come quelli intrapresi da Amos Rapoport riconoscono un ruolo basilare ai fattori socio-culturali nei rapporti tra abitante e spazio (Rapoport, 1969). L’individuo è ritenuto insomma, irriducibile, e la risposta del progetto è ignorarlo. Si realizzano schemi unitari che incassano la differenza dell’abitante come una delle tante piccole cose che compongono il sistema generale ma in confronto al quale risultano impotenti. Ambienti che appaiono impassibili di fronte alla reazione più avversa. La mia proposta, pur riconoscendo la difficoltà di determinare le risposte degli abitanti e lasciando quindi margine a una successiva definizione degli spazi, è consapevole della vera forza dei cambiamenti socio-culturali e dell’incapacità (e assurdità) di congegnare sforzi per contenerla. È impossibile “salvare” il progetto del suo eventuale disfacimento. Dotare il progetto di una sua intrinseca e continua rivoluzione, oltre che essere paradossale, è un chiaro tentativo di togliere all’abitante la possibilità di negarlo completamente. Lasciare spazio all’appropriazione degli abitanti non è qui quindi abbandono o trascuratezza delle soluzioni, e neanche volontà di dirottare possibili opposizioni o trasformazioni: spazi aperti e ambienti chiusi sono pensati per rispondere fin da subito ai vari cambiamenti registrati nelle preferenze dei residenti nel capitolo precedente (cap. 3), rispecchiano una riflessione sulle condizioni socio-culturali attuali dell’abitare. La casa unifamiliare è esibita in tutta la sua forza, e sì, è parte di un insieme e condivide dimensioni e materiali, ma rimane intatta la sua capacità di porre resistenza, di aprire accessi ad altri mondi che negano quello presente. È la casa a rappresentare un’opposizione agli ottimismi dello strutturalismo. Nonostante le desiderate differenze, il progetto si appoggia a uno strutturalismo che riconosce la difficoltà di intervenire in una realtà mutevole, dinamica, imprevedibile. La mia proposta non ha la pretesa di portare ordine a strutture soggiacenti, è bensì una messa in gerarchia di alcuni elementi conosciuti. Non è organizzazione della realtà, ma dell’intervento. Con consapevolezza della difficoltà di una tale posizione.

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Conclusioni

Oggi Villagexpo si presenta come un luogo conteso da forze opposte che lo riscrivono dall’interno riproponendo il suo ruolo, il suo valore, e i suoi obiettivi. Un luogo che è nato sotto iniziative coordinate e che oggi si mostra paradossalmente scenario d’interessi diversi, che negano la sua unitarietà e lo ripensano come spazio proprio. Uno spazio ideato per l’uguaglianza e per il vivere insieme in comunità, ci arriva oggi come contenitore di liti condominiali, di molteplici piccole incrinature delle sue norme di convivenza, di scissioni tra abitanti. Alcuni lo giudicano un bene da patrimonializzare, altri ne ignorano il valore e potenziano i propri domini. Queste due direzioni convivono tramite una mutua e cortese avversione. S’ignorano a vicenda raggiungendo una specie di equilibrio che permette a Villagexpo di non affrontare il suo totale disfacimento a causa di una trasformazione estensiva, e di non perdere autenticità rimanendo fuori tempo a causa di malinconici ripristini. Villagexpo, pur mostrando segni di caducità, conserva comunque la potenza di una critica a quella politica abitativa che trascura la complessità dell’abitare. Il suo progetto ha provato a immaginare la casa unifamiliare come materiale aperto a sperimentazioni urbanistiche considerandola recipiente di verità profonde relative alla questione abitativa, elemento antropologicamente pertinente ma senza essere sostanza inalterabile o precostituita. Come evidenziato nel capitolo tre, la casa unifamiliare si trasforma nel tempo mutando i suoi contenuti simbolici, rimettendo in gerarchia i propri elementi, adeguando gli spazi ai cambiamenti affrontati dalle composizioni relazionali tra gli abitanti. La casa sembra persino perdere alcuni dei tratti ritenuti indispensabili da quelli studi che ne risaltavano l’indiscutibile necessità, oggi sembra desiderata ma non da tutti, e appare ricercata soltanto per alcuni di quei suoi elementi in passato considerati indivisibili. Le condizioni che ne assicuravano l’inevitabilità oggi sono cambiate: gli abitanti provano combinazioni alternative alla famiglia in crescita tradizionale; la scontata separazione casa-lavoro si mostra labile e si verificano avvicinamenti tra

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i due poli; si considerano altri elementi come garanti di comfort, come la comodità nell’uso dei mezzi pubblici di trasporto e il fatto di avere una buona connessione Wi-Fi. Non solo dunque avere un tetto a doppia falda o essere circondati da vegetazione. La casa ha perso la sua indiscutibile necessità, ma non la sua potenzialità. La casa conserva quella dimensione quasi sovversiva di essere alternativa, distacco da un mondo percepito come esterno, pausa al movimento, messa in dubbio delle nostre inconfutabili unioni. È estensione di un abitare attivo, carnale, che la modella per rispecchiare i desideri e la associa alla propria idea di felicità. Villagexpo scommette per la possibilità di pluralizzare un elemento singolo come la casa, di avvicinare e associare uno stile di vita di essenza solitaria. Non è operazione di mercato, o lo è poco, e non è soltanto razionalizzazione dello spreco di suolo, ma è soprattutto riflessione sul ruolo della casa unifamiliare in un mondo moderno. Oggi, il quartiere conserva la rilevanza di una questione pertinente e, allo stesso tempo, il potere caratteristico di un possibile rovesciamento, di una prospettiva.

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BIBLIOGRAFIA

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FONTI

Dati cantiere Archives Nationales Fontainebleau- Paris

DATI BELLEVUE–DEMAIN Atlas des transformations des quartiers bénéficiaires du programme de rénovation urbaine en Loire-Atlantique à Nantes - Saint- Herblain: Bellevue, luglio 2009

Materiali originali L’Ardepa, ENSA, Nantes

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