Antonia Laurenza ed Elena Lo Presti for Shared Territories

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POLITECNICO DI TORINO I FACOLTA’ DI ARCHITETTURA Corso di Laurea Magistrale in Architettura Costruzione Città A.A. 2012/2013

Shared Housing in Turin

Relatrice: Cristina Bianchetti

Candidate: Antonia Laurenza Elena Lo Presti


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Indice 0. Premessa 1. Discussioni Pubbliche e mutamenti strutturali 1.1 Indizi di una nuova attenzione al tema 1.2 Alcuni mutamenti di sfondo 1.3 La condizione abitativa a Torino

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2. Abitare Condiviso 2.1 CoHousing 2.2 Housing Sociale: - Albergo Sociale - Condomini Solidali - Coabitazioni Solidali - Residenze Collettive

37 39 47 52 53 54 55

3. Abitare condiviso a Torino 3.1 Dibattito locale 3.2 Nella CittĂ 3.3 I Tempi 3.4 Le Tipologie funzionali 3.5 Le Parti di CittĂ

57 53 66 68 70 72

4. Dodici casi studio 4.1 Numero Zero 4.2 Sharing 4.3 Repubblica,14 4.4 Gessi, 4/6 4.5 Repubblica, 13 4.6 San Simone, 3 4.7 San Pio V, 11 4.8 Buena Vista 4.9 San Massimo,31/33 4.10 Corso Mortara, 36-7 4.11 Casa Sol 4.12 Cottolengo, 26 4.13 Soggetti coinvolti CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

75 76 88 100 108 118 124 130 138 144 156 164 170 176 179 187

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Ringraziamenti Desideriamo innanzitutto ringraziare la professoressa Cristina Bianchetti per i preziosi insegnamenti, per le ore dedicate al nostro lavoro e per averci avvicinato a un tema che ha arricchito anche la nostra personalità. Ringraziamo inoltre, Angelo Sampieri, per la sua disponibilità e per i suoi consigli. Un ringraziamento particolare va all’Architetto Giovanni Magnano - Direttore Edilizia Residenziale Pubblica del Comune di Torino - per la disponibilità concessa e per la passione con cui ci ha raccontato queste nuove forme dell’abitare sotto il profilo dell’amministrazione pubblica. Vorremmo ringraziare anche i funzionari del Comune, in modo particolare la Sig.ra Be Lauri Alfonsina per la sua disponibilità e l’interesse dimostrato nella nostra ricerca. I funzionari ATC, per la loro disponibilità nell’aiutarci a reperire i documenti per ampliare il nostro campo di ricerca. Principalmente, il Sign. Fedele Pasquale che si occupa della Biblioteca/Emeroteca dell’ATC. Un ringraziamento speciale va alle persone con le quali abbiamo interagito in questo cammino di ricerca, per la loro gentilezza e disponibilità nel raccontarci il loro nuovo progetto abitativo e nel farci visitare le loro abitazioni. In particolare, i volontari di Acmos, giovani ragazzi con un grande impegno sociale, che ci hanno colpito per la loro volontà di aiutare il prossimo e per cercare di migliorare le vite di persone con un semplice sorriso o coinvolgendole in momenti di condivisione. In particolare, Antonio De Rosa della Comunità Tessitori, Isabella Spezzano della Comunità Filocontinuo e il presidente dell’associazione Andrea Sacco. Inoltre, Davide Ziveri di Social Club per Buena Vista, Andrea Torre per Casa di Zia Gessy e Valentina Gallia e l’Architetto Manuel Petacchiola di Sharing. Infine, tutto il gruppo di NumeroZero, per l’entusiasmo nel raccontarci la loro storia e per averci reso partecipi delle loro iniziative.


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0. Premessa

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L’abitare condiviso è una condizione sempre più frequente anche nel nostro paese, per ragioni di ordine economico, culturale, simbolico. Si abita insieme secondo una modalità ampia di declinazioni: condividendo spazi, progetti, risorse e valori. La tesi di Antonia Laurenza e Elena Lo Presti esplora un piccolo segmento dell’insieme delle questioni che stanno entro la dizione “abitare condiviso”. Si interroga sul modo in cui forme e retoriche della condivisione hanno influenzato le nuove politiche del social housing. Ovvero sul modo in cui interagiscono da un lato la diffusione entro il mercato di forme di co-housing, con i loro richiami, spesso enfatici, a logiche comunitarie, dall’altro le nuove politiche di social housing tese a fornire abitazione a segmenti di popolazione in difficoltà. La tesi utilizza la città di Torino come campo empirico. Sia per l’importanza delle tradizionali politiche abitative. Sia per l’attuale sperimentazione di nuove forme di politiche destinate all’alloggio sociale. Si sviluppa osservando dodici casi dai quali trae qualche considerazione sui tempi e i modi di un fenomeno in rapida definizione.

Il presupposto di questo ragionamento è nel fatto che nella fase attuale la produzione di edilizia residenziale sociale in locazione da parte del soggetto pubblico si è di fatto arrestata. Il «ritrarsi del welfare» per usare una locuzione di Robert Castel, segna anche la chiusura di quel progetto che nel Novecento aveva fatto della casa un cardine del sistema di protezione sociale. Alla base di quel progetto vi era l’impegno, per il soggetto pubblico, a predisporre un sufficiente numero di alloggi, a definire tipologie commisurate alle dimensioni dei nuclei familiari, a distinguere nettamente tra sfera privata dell’alloggio e dimensione collettiva degli spazi aperti di uso pubblico. Su questi tre elementi si commisurava l’adeguatezza di quella che siamo soliti nominare «città pubblica». E su di essi si è misurata, in alcuni momenti, la migliore cultura progettuale del nostro paese. Oggi le politiche di produzione dell’edilizia sociale si muovono lungo altre direzioni, prendendo una consistente distanza da quegli assunti. I casi indagati d questa ricerca permettono di evidenziare alcuni punti sui quali vale riflettere. 9


Innanzitutto il contrasto al carattere standardizzato dell’offerta. Non è solo questione di risorse. I progetti di housing sociale oggi prevedono tipologie fortemente differenziate. Prevedono una sostanziale diversità nei tagli degli alloggi e, soprattutto, la messa a disposizione di una serie di spazi che sono di uso collettivo, orientati a facilitare un abitare che si vuole condiviso. Naturalmente questi spazi di uso collettivo mutano fortemente da un caso all’altro (come i dodici casi qui studiati bene evidenziano), ma il peso e il rilievo che essi assumono rimane un importante carattere distintivo delle nuove politiche. Così come è importane il loro situarsi entro i tessuti della città compatta, laddove si dà occasione. Indifferentemente dalla geografia della marginalizzazione che ha segnato le politiche passate di edilizia sociale. Un ulteriore elemento che connota le nuove politiche riguarda il modo in cui esse si prefigurano gli abitanti dei nuovi interventi. Non più la famiglia tipo che non riesce ad accedere all’alloggio nel libero mercato ed è disposta a collocarsi per un tempo indeterminato, nel quartiere di edilizia sociale. Ma l’individuo, più o meno in difficoltà, al quale si richiede un’adesione ad un progetto abitativo (spesso solo temporanea e questo è un ulteriore importante carattere). Analogamente a quanto accade per le nuove politiche di welfare, gli assegnatari degli alloggi sono sollecitati ad avere una posizione attiva: a candidarsi all’assegnazione, ad aderire ad un progetto che comprende una loro attiva partecipazione. La selezione dei nuovi abitanti è dunque un punto importante. La logica non è più quella di un’offerta rivolta ad un gruppo omogeneo (tutti coloro che hanno necessità di un’abitazione a costi ridotti), ma un insieme di individui con profili differenti. In queste nuove politiche la diversità è vista come condizione positiva. Mettere insieme soggetti affini, ma sufficientemente diversificati, permette due esiti giudicati importanti: creare una buona mescolanza sociale (considerata, con qualche semplificazione, di per se stessa un bene), dosare, in modo controllato, le presenze in rapporto alla sostenibilità sociale ed economica dell’intervento.

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Infine, rivolgersi a soggetti diversi, pronti ad aderire ad un progetto di condominio solidale o di albergo sociale pone in modo completamente diverso il tema della graduatoria per l’accesso. Nell’edilizia sociale le graduatorie erano al contempo strumento e garanzia per un meccanismo di assegnazione che si voleva «giusto». Cioè retto da parametri di giustizia sociale. Questo meccanismo è stato nel tempo accusato di aver costruito una situazione opposta: aver generato concentrazioni di popolazione con gravi problemi (disoccupazione, precedenti penali, problemi sociali, sanitari) e, pertanto, aver contribuito a produrre ingiustizia spaziale. Il meccanismo delle graduatorie appare, nelle nuove politiche per l’edilizia sociale, completamente riformulato. Articolazione dell’offerta, individualizzazione dei destinatari, tempi non necessariamente indeterminati e meccanismi di accesso diversificati costituiscono quattro punti importanti che connotano una stagione recente (a Torino i progetti si concentrano negli ultimi 10 anni). Questi punti ci aiutano a riflettere sul modo in cui stanno mutando le logiche del social housing, fuori dal welfare tradizionale, prendendo spunto dalle forme ricorrenti dell’abitare condiviso. La tesi si colloca entro una ricerca in corso negli ultimi due anni da un gruppo di docenti e studenti del Politecnico di Torino e di Milano. I risultati della quale sono depositati in un testo (Territoires Partegés, MētisPresses, Genève, 2014) e in un blog (www. territoridellacondivisione.wordpress.com). Cristina Bianchetti

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1. Discussioni pubbliche e mutamenti


“L’esperienza abitativa è stata uno dei luoghi fondamentali dell’integrazione nelle società moderne” (Tosi, 1994).

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L’abitare è un tema centrale delle politiche urbane e sociali. L’abitare allude a meccanismi di produzione di un bene la cui rilevanza è difficile sottovalutare ancora oggi nelle economie locali. Nel contempo “l’esperienza abitativa è stata uno dei luoghi fondamentali dell’integrazione nelle società moderne” (Tosi, 1994).

1.1 Indizi di una nuova attenzione al tema Per molte ragioni, il dibattito sull’abitare ha assunto negli ultimi venti anni una nuova centralità. Le città sono oggi molto diverse dal passato. Non solo per l’enorme quantità di individui che la compongono, ma perché ciascun individuo è portatore di interessi, necessità, stili di vita, di modi dello stare nello spazio (quello proprio e quello di tutti) assolutamente differenti. Modi che non possono essere riducibili a pochi modelli. Questa complessità ha riportato al centro il problema dell’abitare. Peraltro già ridefinito come questione centrale a causa della grave crisi economica che stiamo attraversando. Per tutte queste ragioni si è tornati ad osservare i modi, le forme, le pratiche, le esperienze e i luoghi dell’abitare nelle nostre città e nei territori della dispersione. Il tema dell’abitare è stato affrontato in diverse fasi del nostro Paese. Sono state schematizzate due fasi di città: la città pubblica e la città dispersa, come forme estreme non solo dell’insediarsi, e delle politiche, ma del dibattito sull’abitare. Negli anni Cinquanta e Sessanta al centro del dibattito c’era la “città pubblica” (Di Biagi, 2009) dove l’abitare venne riconosciuto dallo Stato come un diritto sociale per tutti. Allo Stato venne affidato un progetto con la prospettiva di garantire un buon abitare, a partire dai cittadini più svantaggiati, reso praticabile attraverso la costruzione dell’edilizia popolare.

Città pubblica

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Città diffusa In seguito, negli anni Sessanta e Settanta, si è assistito al fenomeno della città diffusa. La dispersione veniva intesa come forma della città contemporanea e indagata entro una molteplicità di angolazioni con l’obiettivo di capire come si articola nello spazio una società molecolare. Molte le indagini condotte negli anni Novanta sull’argomento, le quali cercano l’autenticità nel dettaglio, l’esattezza nell’accumulo, inseguono situazioni nel tentativo di portare alla luce qualche verità. Nei casi migliori le indagini restituiscono informazioni sulle problematicità dell’abitare. Ricerche che continueranno per quindici anni. L’idea di progetto urbano, era strettamente legata al suolo a mezzo della morfologia e della patrimonializzazione dei suoi segni. Il rilievo che assume in quegli anni l’idea di una diffusione delle conoscenze, delle economie, delle tecnologie spiega il fascino che il tema ha avuto in campo territoriale nonostante potesse essere letta come espressione di egoismi individualistici (Bianchetti, 2011). In questo quadro, l’abitare è ridotto alla sfera privata. Dominava la libertà individuale. L’intimità e il comfort erano valori largamente condivisi (Tosi, 1994). Lo spazio dell’abitare richiamava una sfera intima, privata, intrecciata con la ricerca di libertà e felicità individuali. Quindi al centro del tema c’è l’autonomia privata con un’idea di abitare come possibilità di scegliere. L’assunzione della casa viene vista come ambito esclusivo di espressione per la libertà e la capacità di controllo individuale (Bianchetti, 2011).

Città contemporanea Nella città contemporanea è impossibile discutere dell’abitare solo nella sfera dell’intimità familiare. Il dibattito sull’abitare pone le sue basi nel rapporto tra la sfera privata e la sfera pubblica ed è dominato dall’abitare collettivo (Sampieri, 2011). L’abitare collettivo torna al centro dell’attenzione in epoca più recente: per motivi di mercato, di crisi della produzione e di scarse risorse da parte degli utenti che, convergendo su soluzioni condivise, giungono ad ottenere esiti che non sarebbero perseguibili con le sole proprie forze. 16


Diverse ricerce si sono basate su questi temi, le quali fanno emergere che l’abitare è legato alle funzioni dello spazio. Abitare lo spazio apre un ulteriore dibattito. Il rapporto tra sfera privata e sfera pubblica. La sfera pubblica ha un legame con il privato costruito attorno a delle pratiche. Pratiche che individuano come si vivono questi spazi. Pratiche che si costruiscono attorno a occasioni, questioni, oggetti tangibili, opinioni condivise o contrastate.

Abitare

Quando parliamo di pratiche sicuramente si deve far riferimento a De Certeau che con il suo libro “L’invenzione del quotidiano” elabora una teoria sulle pratiche della vita quotidiana, indaga e descrive in che modo gli individui navighino inconsciamente attraverso le cose della vita quotidiana, dal camminare nella città alla pratica della lettura. Mette in evidenza come siano in parte ripetitive, in parte inconsce e in parte creative. Un’aspetto influente è quando distingue strategie (norme, regole, piano) e tattiche messe in atto dalla popolazione per costruire i propri spazi negli ambienti definiti dalla strategia. Nel capitolo “ Camminando nella città”, egli descrive la città come un concetto, generato dall’interazione strategica di governi, corporazioni e altri enti istituzionali, che producono mappe per pianificare le città come un tutt’uno, con una percezione a volo d’uccello della città. Per contrasto invece, un pedone che procede a livello stradale, si sposta in modi tattici, mai pienamente determinati dalla pianificazione definita dalle istituzioni, operando scorciatoie o vagando senza meta in opposizione all’impostazione utilitaria delle griglie stradali. Questo esempio illustra l’asserzione di de Certeau che la vita di ogni giorno agisce come un processo di bracconaggio su un territorio “altro”, che ricombina regole e prodotti che già esistono nella cultura in un modo influenzato, ma mai completamente determinato, da quelle regole e quei prodotti. Le pratiche della vita quotidiana sono state fonti di molte pubblicazioni e teorie, si è partiti a descriverlo da De Certeu, ma possiamo arrivare fino al periodo della città contemporanea, ricordando ad esempio la la definizione di urbanistica di Bernardo Secchi: “Per urbanistica intendo non tanto un insieme di opere, di progetti, di teorie o di norme unificate da un tema, da un linguaggio e da un’organizzazione discorsiva, 17


tanto meno intendo un settore d’insegnamento, bensì le tracce di un vasto insieme di pratiche: quelle del continuo e consapevole modificare lo stato del territorio e della città”, ecco che anche qui tutto viene riportato alle pratiche. Pratiche che nel dibattito pubblico nelle diverse fasi che abbiamo illustrato precedentemente sono passate tra l’affermazione e la negazione di idee di vicinato o di quartiere. Spesso si è discusso sulla prossimità. Si è definito il vicino chi vive in prossimità della nostra abitazione, ma nell’arco del tempo si è costruita una forte ambiguità e confusione tra vicinato, quartiere e comunità (Mutti, 1992).

Abitare lo spazio pubblico Oggi si sta abbandonando la ricerca sulla prossimità, ma si osservano pratiche nello spazio pubblico il quale ha vissuto in questi anni un forte dibattito. Lo spazio pubblico è stato definito per molto tempo frammentario, temporaneo, labile, mobile, sfrangiato. No unitario (Bianchetti, 2008). Lo spazio di condivisione nelle città. Oggi nella città contemporanea si cerca di studiare come ci si relaziona in questi spazi. Le nuove ricerche si fondano su cos’è e come funziona. “Nelle piazze l’uomo torna ad essere ludens, senza la radicalità delle avanguardie. Osservando i tanti théàtres en plein air, con il loro repertorio di attori, danzatori, giocolieri, si colgono le differenze negli usi dello spazio, il modo in cui le pratiche si situano nei luoghi, i loro ritmi, la temporalità. Le nuove forme della condivisione” (Bianchetti, 2011). Nella conferenza “Abitare l’Italia” tenutasi a Torino nel 2011 diversi interventi si sono basati sullo spazio pubblico. Aymonino ha sottolineato che per lui il modo in cui gli individui abitano lo spazio pubblico, è uno straordinario specchio in grado di riflettere, nel modo più rapido ed efficace, i cambiamenti comportamentali, politici ed economici della società. Lo spazio pubblico deve essere uno dei punti di resistenza che una società civile deve difendere. Aggiunge che all’interno di questa condizione esistono 18


tre paradossi: la connessione, la proibizione, il depotenziamento. La connessione, oggi con le nuove tecnologie siamo connessi in qualsiasi parte del mondo e meno ci si incontra. Nel contempo ci sono spazi che consentono la libertà individuale e comportamenti di massa, spazi in cui ci si incontra, dove si è connessi alla quotidianità. Mentre ci sono spazi ben disegnati e ben costruiti molto eleganti che funzionano meno “sono luoghi da osservare più che da praticare”. La proibizione, le regole negli spazi pubblici pone sempre più frequentemente lo spazio pubblico ai margini. Il depotenziamento, lo spazio pubblico è spesso individuato come l’ambito del vivere quotidiano, ma è pieno di privazioni ed è per questo motivo che le proiezioni dei propri desideri investono sopratutto la sfera privata. Boeri interviene descrivendo il territorio, secondo tre temi. La capacità del territorio di raccontarci le trasformazioni profonde della società. Il rapporto tra territorio e società che porta all’osservazione del fenomeno della dispersione. L’osservazione della vita quotidiana. Sottolinea che osservare le pratiche dell’abitare dentro sottosistemi del territorio ci fa vedere un fenomeno di faticoso adattamento verso la coabitazione, perché da un lato sono legate alle dinamiche della famiglia che si riconfigura, si allarga, si accorpa, dall’altro lato sono legate a pratiche opportunistiche. Suggerisce diversi passaggi da svolgere oggi, innanzitutto bisogna guardare le trasformazioni del territorio con uno sguardo indiziario e riguardare il rapporto che il territorio ha con la politica, costruendo politiche pubbliche che possano governare lo spazio pubblico. Ciorra discute sul rapporto tra spazio individuale e spazio pubblico, considerando che il territorio e lo spazio abitato oggi non sono più una rappresentazione fedele del tessuto sociale. Il tessuto sociale è molto consolidato nel rapporto col territorio. Aggiunge che se anche le ricerche hanno superato la fase di città diffusa e si è smesso di produrre e consumare territorio, questo non vuol dire che i suoi abitanti hanno cambiato modello di vita. Ponendosi il problema dell’abitare collettivo si risponde obbligandosi a ragionare sul concetto di comunità pensando che proprio lì che s’intravede la possibilità di cominciare 19


a ricostruire un principio di senso urbano ed è d’accordo che c’è bisogno di un nuovo rapporto con la politica. Dal dibattito viene confermato che oggi le città stanno cambiando e l’abitare spesso si trova al centro di questa trasformazione. Nella nostra società ci sono innumerevoli pratiche abitative che in modi e gradi diversi si scostano dai modelli prevalenti. Pratiche che possono essere definite “anomale” (Tosi; 1994). Gli spazi abitativi assumono un ruolo fondamentale in questa definizione in quanto vengono condivisi con persone non della famiglia, pratiche anomale sono “anche costruirsi la propria casa” (Tosi; 1994) o la partecipazione. Pratiche che hanno conseguito al dibattito sulla crisi della modernità, si è discusso sulla crisi dell’abitare. Crisi di schemi teorici, di modelli culturali e di comportamenti. “Oggi la crisi della modernità costituisce condizioni favorevoli per riconsiderare il problema. La crisi delegittima i punti di vista unitari e centralistici che si erano imposti lungo la storia della modernizzazione, e le pratiche anomale, piuttosto che come residui o segni di marginalità, possono essere lette per quello che positivamente dicono quando vengono rappresentate dal basso, dal punto di vista dei soggetti che le esprimono” (Tosi, 1994).

Abitare come problema politico

La partecipazione apre un ulteriore dibattito, il diritto alla città (Lefevbre,1970) la città democratica (Amin e Thrift), abitare la città, empowerment. La partecipazione non fa riferimento ad una gamma più estesa di processi che vanno dalla partecipazione nelle politiche pubbliche a esperienze di autorganizzazione e autogestione, ma prevede anche una varietà di processi che hanno funzioni e significati tra loro differenti, e in buona misura diversi da quelli indicati di solito dal termine partecipazione. Appare così la centralità della nozione di empowerment (Tosi, 1994). Henri Lefebvre parla di diritto alla città. Fa riferimento alla possibilità d’azione da poter svolgere all’interno della città sviluppando la capacità dei singoli. Lefebvre introduce il concetto di diritto alla città, inteso

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come diritto universale a prendere parte alla vita urbana nella propria pienezza, a far pienamente parte di un processo collettivo di “civilizzazione” che ha il proprio riflesso nello spazio urbano considerato, per l’appunto, nei propri caratteri di opera e centralità. “Il diritto alla città significa il diritto dei citoyens-citadins, e dei gruppi che essi costituiscono [...] a essere presenti su tutte le reti, su tutti i circuiti di comunicazione, di informazione, di scambio. [...] Escludere dall’«urbano» i gruppi, le classi, gli individui, equivale a escluderli dal processo di civilizzazione, se non dalla società. Il diritto alla città legittima il rifiuto a lasciarsi escludere dalla realtà urbana da parte di un’organizzazione discriminatoria e segregativa. [...] Il diritto alla città significa allora la costituzione o la ricostruzione di un’unità spazio-temporale, di una riconduzione ad unità invece di una frammentazione” Lefebvre

Nelle conferenza “Abitare l’Italia” ci si chiede che fine hanno fatto i diritti alla città di Lefebvre, in questi anni alcuni autori hanno riprovato a rianalizzarlo. Amin e Thrift, complicano il diritto alla città, secondo loro non può essere generico, ma le opportunità offerte vanno suddivise e bisogna qualificarle in base alle popolazioni che abitano la città, ognuno ha esigenze diverse. Secondo Amin e Thirft bisogna costruire un pubblico nella città. Affermano che bisogna costruire la capacità di partecipare alle scelte di trasformazione urbana, ma in modo informato. Oggi in una città contemporanea dove si attuano forme di condivisione, forse anche il diritto alla città si riformula diversamente e non può non tenere conto di queste relazioni che riscrivono l’idea di spazio pubblico. Questa discussione porta il discorso sull’abitare collettivo.

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L’abitare collettivo nella città Dopo aver analizzato come l’abitare ha prodotto diversi dibattiti possiamo analizzare il dibattito che si contemporanea sta manifestando nella città contemporanea. Oggi siamo sicuramente nella fase in cui l’abitare torna ad essere al centro. La crisi economica fa emergere un serio problema abitativo per fasce in difficoltà, per la precarietà del lavoro, per la perdita del potere di acquisto del reddito, per la fragilità e insicurezza, tutto rende il disagio abitativo qualcosa di puntuale, diffuso e variegato. Nonostante ciò bisogna considerare che l’abitare torna ad essere un tema fondamentale non solo legato a questioni economiche e sociali, ma a condizioni di comportamenti particolaristici che si universalizzano e si sostengono su reti sociali ampie, mettendo al centro l’abitare collettivo (Sampieri, 2011). L’abitare collettivo è un tema che accoglie e ordina numerosi progetti (Bianchetti, 2011) ci sono forme di aggregazione volontarie, comunità proprietarie, cooperative residenziali, cooperative temporanee e non solo (Brunetta, 2008). Prendono forma attraverso: Cohousing, Housing Sociale, condomini solidali, residenze temporanee. “L’abitare collettivo è esibito in architetture e spazi specifici, ma è anche qualcosa di più pervasivo e diffuso. Torna ad essere percepibile nella forma di associazioni volontarie, ambiti di comunione meno strutturati, morbidi, non rivendicativi, poco ideologici capaci però di produrre un abitare tanto conviviale ed aperto quanto spesso protetto, stabile più o meno normato dalle buone regole della sostenibilità oltre che della convivenza. Teso a garantire la spartizione di problemi, interessi, passioni, attento al fatto che queste non restino questioni private. È espressione di un non voler far nulla in proprio. È anche una fondamentale riscrittura con lo spazio” (Sampieri, 2011).

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Si evidenzia che la città cerca queste nuove forme perché per lungo tempo attorno alla casa si è costruita la difesa del benessere individuale e familiare, oggi si cerca qualcosa di diverso. Qualcosa capace di organizzare un’intelligenza collettiva nella società (Bianchetti, 2011). Si può sottolineando il concetto di socievolezza di Georg Simmel: viene definita come il puro e semplice gusto del relazionarsi con l’altro nella forma di un gioco, come interazione sociale alleggerita dai pesi della vita quotidiana che ognuno si porta sulle spalle. Si tratta di una relazione basata sulla reciprocità e sullo scambio.


1.2 Alcuni mutamenti di sfondo Ricostruendo uno sfondo strutturale sull’emergenza casa, oggi si può affermare che in Italia un alto numero di famiglie sono proprietarie di case rispetto ad altri Paesi Europei. La politica abitativa in Italia ha sicuramente agevolato per molti anni la proprietà. Nel dettaglio in Italia nel 1961, la percentuale di famiglie in affitto e proprietarie risultava quasi al 50% in entrambi i casi. Negli anni successivi il numero di famiglie proprietarie aumentò costantemente, e raggiunse il 68% nel 1991, mentre la percentuale di affittuari diminuì fino al 25,3%. Questo andamento proseguì fino a registrare nel 2008 una percentuale dell’81,5% di famiglie proprietarie della casa in cui vivono, ma bisogna considerare che l’accesso alla casa di proprietà era stato ottenuto solo grazie al gravoso indebitamento da parte delle famiglie (Anci, 2010). Nonostante ciò, bisogna sottolineare che durante gli anni 90, alcune circostanze hanno cambiato radicalmente la situazione come l’aumento vertiginoso del prezzo delle case e degli affitti rispetto ai redditi e ai consumi delle famiglie (Anci, 2010); la nuova domanda di case derivante dal forte aumento del numero di nuclei familiari (di dimensioni sempre più ridotte); una nuova e irruente domanda abitativa legata ai flussi migratori (Istat, 2009). Nel tempo, questi fenomeni hanno provocato una crescita di disagio sociale diffuso. Per quanto riguarda gli affitti, nel corso degli anni il loro costo ha inciso progressivamente in modo sempre più accentuato sul reddito. Nel periodo 1991-2009, a fronte di una crescita delle disponibilità familiari del 18%, l’incremento dei canoni di mercato nelle aree urbane è stato pari al 105% (Anci, 2010). Inoltre, va sottolineato che oltre ai costi relativi ai mutui o ai canoni d’affitto esiste una buona percentuale di quota del reddito delle famiglie dedicato ai servizi essenziali, in totale si può affermare che all’abitazione 23


viene destinato oltre un terzo della spesa totale mensile famigliare, che in termini quantitativi incide sul reddito per l’8,4% sulle famiglie più ricche e al 31,2% su quelle più povere (in particolare le famiglie che vivono in affitto). Il divario tra il reddito medio famigliare e le spese per la casa (mutui, affitti, servizi essenziali) è ben rilevabile anche dal numero di sfratti per morosità. Negli ultimi anni il numero degli sfratti è tornato a crescere: sono stati emessi 52 mila provvedimenti di sfratto (Anci, 2010) . Questi argomenti, portano in primo piano il problema della casa. In Italia è un fenomeno in crescita e per molte famiglie il problema assume i contorni di una vera e propria emergenza. Affrontare la questione abitativa significa, in primo luogo, rispondere alle aspettative di chi soffre direttamente della mancanza di un’abitazione dignitosa. Sarebbe riduttivo pensare che la questione abitativa riguardi solo un numero limitato di persone, la percentuale di individui che si trova ad affrontare il problema legato alla mancanza di un’abitazione, è in continua crescita. I problemi legati alla questione abitativa sono: • l’effetto sulla mobilità abitativa per motivi di lavoro; • l’indisponibilità di alloggi a prezzi ragionevoli per gli studenti universitari; • l’effetto della mancanza di abitazioni disponibili per la formazione delle nuove famiglie; • il crollo demografico che pone l’Italia tra i paesi con il più basso tasso di nascite in Europa. Una delle questioni messe in luce è il cambiamento radicale della figura della famiglia negli ultimi anni, a causa di una forte diminuzione di matrimoni e nascite, contrapposto dalla crescita costante di separazioni e convivenze (Saraceno, 2001). Negli ultimi dieci anni il numero delle famiglie è comunque aumentato: si tratta tuttavia di famiglie sempre più piccole con un numero medio di componenti di 2,6. Le famiglie unipersonali, cioè le persone che vivono da sole sono quasi una su quattro, in notevole aumento al decennio scorso. Le coppie con figli, pur costituendo la modalità prevalente sono in lieve 24


diminuzione, mentre risultano in aumento le coppie senza figli. La loro distribuzione territoriale mostra forti differenziazioni tra Nord, Centro, Sud (Anci, 2010). La domanda abitativa è collegata sia ai profondi cambiamenti nella composizione delle famiglie sia alla povertà economica. Le condizioni di precarietà abitativa riguardano in particolar modo: i nuclei monogenitoriali (in maggioranza donne con bambini); la popolazione anziana; i giovani tra i 18 e 34 anni (Istat, 2009). Osservando i dati Istat sulla povertà si evidenzia che sono tra le 70 e 120 mila le persone che in Italia vivono in condizioni di precarietà abitativa, quasi 2 mila a Torino, quelli che pur senza fissa dimora sono iscritti agli uffici dell’Anagrafe (Istat, 2008). Le famiglie che vivono in una situazione di disagio abitativo sono il 15,5% del totale di cui il 37,5% sono in affitto e il 9,5% sono proprietarie. Al 15,5% delle famiglie che presenta un disagio abitativo (per motivi economici o per sovraffollamento) si aggiunge il 2,8% delle famiglie che si trova in una situazione di rischio (circa 650 mila famiglie). Queste condizioni di precarietà assoluta sono vissute da persone e famiglie con situazioni estremamente diverse. Non riguarda però solo le fasce in assoluto più deboli della popolazione, vi è una vasta area di persone che si trova a fronteggiare il problema abitativo pur potendo contare su un reddito e su una condizione di relativa stabilità (Bricocoli e Coppola, 2011). La questione abitativa rappresenta: • un freno della definizione dei propri progetti di vita (relativi al lavoro, all’autonomia della famiglia di origine, alla costruzione di una nuova famiglia); • un grave rischio sociale, dove si viene a rompere il precario equilibrio raggiunto (sfratto, fine di una coabitazione). 25


I problemi sulla casa spesso vengono risolti attraverso l’assegnazione di una casa di edilizia popolare, ma in Italia questo settore sta subendo una forte contrazione. Inoltre, in rapporto con gli altri Paesi Europei, l’Italia registra una percentuale estremamente bassa di edilizia popolare: pari al 4% e infatti, quello con la minore quota di alloggi di edilizia sociale pubblica a fronte del 36% dell’Olanda, del 22% dell’UK e del 20% della media comunitaria. L’offerta abitativa pubblica in Italia, dagli anni ’80, si è ridotta del 90%. Dal 1984 al 2004 la produzione edilizia di nuovi alloggi di residenza sovvenzionata è calata da 34 mila abitazioni all’anno a 1900. Andamento analogo si è registrato per le abitazioni realizzate in regime di residenza agevolata o convenzionata, passate da 56 mila a 11 mila nel ventennio considerato (Anci, 2010) Pertanto, la forte crisi del mercato immobiliare, la difficoltà dell’edilizia sociale e la nuova figura della famiglia ha portato in questi anni a politiche urbane incentrate su un sistema alternativo: l’abitare collettivo. Fenomeno recente nel nostro Paese e che coglie l’occasione di reinventare forme nuove protette e solidali dell’abitare. Il discorso sull’abitare collettivo si è andato affermando in corrispondenza di un ritrovato interesse all’idea di comunità che sempre più spesso è stata mobilitata in riferimento a nuovi progetti abitativi. Da un lato, troviamo il cohousing il quale si basa su iniziative di costruzione partecipata, su affinità di stili di vita, o sulla condivisione di valori di ‘comunità elettive’, mentre dall’altro lato c’è l’Housing Sociale dove i suoi temi di fondo sono la solidarietà e l’assistenza economica chiamando in causa direttamente il governo locale e investitori privati (Bricocoli e Coppola, 2011). Nel discorso delle politiche abitative risultano centrali questioni quali “il rapporto con il quartiere e le relazioni di convivenza; le interazioni tra l’abitare e la vita quotidiana; il modo di produrre l’abitazione” (Tosi, 2004). In Italia come nel resto d’Europa, l’aumento della sensibilità ai temi della condivisione e del mix sociale ha sollecitato la ricerca di una maggiore articolazione nei dispositivi urbanistici e nella produzione ed 26


assegnazione degli alloggi. In questo contesto, il coinvolgimento del mercato e del privato sociale nella produzione e distribuzione dell’Housing Sociale ha portato ad una riorganizzazione della presenza pubblica in campo abitativo (Bricocoli e Coppola, 2011). Si può rilevare come la questione abitativa condizioni il presente e il futuro delle città, giocando un ruolo cruciale nel ridisegno complessivo del tessuto urbano, nei suoi aspetti sociali, economici e demografici.

1.3 La condizione abitativa a Torino I problemi trattati sulla condizione abitativa nazionale si rispecchiano anche nella città di Torino. Torino è una città che per tutto l’arco del Novecento si è potuta definire “città pubblica” (Di Biagi, 2008). In quanto divenne idea comune che il bisogno casa era un problema della collettività e delle istituzioni pubbliche. In quel periodo diversi piani comunali come Ina-Casa, hanno contribuito a rispondere a consistenti fabbisogni abitativi, provando a proporre e sperimentare alternative ai tradizionali modi di costruire e abitare la città. Idee che progressivamente hanno formato l’isolato aperto. Una città che in alcune fasi del Novecento ha cercato di proporre nuovi spazi e forme “dell’abitare collettivo”. Le case popolari vennero inserite maggiormente in periferia. Nonostante gli obiettivi che la città si prefissò, i luoghi, gli spazi nonché le periferie pubbliche mostrarono diverse problematiche, nella maggior parte dei casi sulla conformazione e usi degli spazi aperti e attrezzature collettive (Di Biagi, 2008). Le “mobilitazioni individualistiche” sono una delle cause del mal funzionamento dei questi spazi, la società del tempo impedì la possibile solidarietà che lo politica avrebbero potuto offrire (Secchi, 2008). Un tentativo per risolvere queste problematiche venne fatto da Eleonara Artesio (nella giunta di Castellani) con il “progetto speciale periferie”, innovazione del 1997. Progetto per rigenerare le periferie, 27


all’avanguardia in Italia e importante in tutta Europa. Affrontò la città per settori diversi che dovevano agire in modo integrato. Attraverso questo piano si costruirono pratiche di riqualificazione a partire dai problemi realmente riscontrati nei luoghi, superando la tradizionale suddivisione di competenze della macchina amministrativa. Nonostante ciò, le problematiche enunciate precedentemente nelle aree di edilizia popolare ancora oggi esistono. Per questo motivo e per l’evidente disagio abitativo sempre in crescita, Torino ha messo in atto diverse politiche. La città di Torino negli ultimi anni ha intrapreso un’attività di analisi delle dinamiche demografiche e del mercato della locazione con l’obiettivo di fornire un sistema organizzato di conoscenze dei fenomeni abitativi, che possa orientare gli indirizzi e gli interventi pubblici in materia di politiche per la casa. Dall’analisi si sono potuti riscontrare diversi dati significativi per poter comprendere la situazione degli abitanti nella città. La popolazione residente al 2012 è in lieve aumento di quasi 5.000 persone, più 0,5% rispetto al 2011 raggiungendo una quota di 911.823 abitanti. La densità della popolazione varia in base alle circoscrizioni. Nel dettaglio, la Circoscrizione 3 risulta come sempre la più popolata (130.426 residenti), seguita dalla Circoscrizione 5 (127.587 residenti), mentre la Circoscrizione 10 chiude con soli 39.240 residenti (Figura n.1) (Comune di Torino, 2012). Si rileva come, a fronte di una cospicua riduzione del numero di abitanti, nell’arco degli ultimi dieci anni, sia per contro aumentato il numero dei nuclei familiari, a comprova del mutamento della struttura dei nuclei stessi, (sono infatti aumentate le famiglie costituite da persone sole o damonogenitori). I nuclei familiari sono 453.941 (più 2,6% rispetto al 2011), le persone sole registrano un aumento pari all’1,8% e rappresentano il 42,3% del totale. Diminuiscono in contro tendenza, le coppie con figli (meno 7,6%) e quelle senza figli (meno 3,4%) mentre aumentano lievemente sia le famiglie monogenitoriali 28


Composizione e Tipologie dei Nuclei Familiari

Popolazione Residente

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Fonte: Comune di Torino 2012


(più 0,4%) che rappresentano il 9,6% del totale che le “altre tipologie”, ossia quelle residuali, “difficili” da classare (più 51,6%) (Figura n. 2). Nel territorio sono complessivamente classate 499.658 unità abitative di tipo A. La categoria catastale più rappresentata in questa città è quella A3, tipo economico, con 335.658 unità pari 67% del totale, mentre gli immobili di pregio rappresentano solo 0,4% del totale. La distribuzione delle unità abitative, evidenzia elevati valori nella circoscrizione 2 e 3. La Circoscrizione 8, 9 e 10 presentano scarsi valori nelle unità abitative di tipo civile. Le abitazioni di tipo economico sono prevalentemente presenti nelle circoscrizioni 2, 3, 4 e 5 (Figura n.3) (Comune di Torino, 2012). Le costruzioni di tipo di edilizia popolare gestite da ATC sono complessivamente 18.000. La maggior concentrazione di edilizia pubblico è presente nelle Circoscrizioni 2, 5, e 6 dove si rilevano oltre 3.000 alloggi gestiti dalla città. Valori intermedi, fino a tremila unità, si rilevano nella fascia centrale costituita dalle circoscrizioni 1, 4 e 7. In particolare, nella circoscrizione 4 si deve tener conto dell’elevato numero di nuove unità di edilizia popolare (circa 400 nuove unità) sono disponibili in seguito all’insediamento dei villaggi olimpici. Analogamente la circoscrizione 9 potrà disporre di circa 200 nuove unità, che si aggiungeranno alle duemila già esistenti (valori analoghi alla circoscrizione 10 e 3). La circoscrizione 3, diversamente dall’elevata concentrazione di unità abitative, non presenta valori particolarmente significativi, non superando le 2.000 unità complessive. Nella circoscrizione 8 si contano appena 230 unità di edilizia sociale valore in assoluto minore (Figura n.4) (Comune di Torino, 2012). A Torino, l’incidenza di nuclei familiari in affitto sul totale, è aumentato sensibilmente agli anni precedenti (i contratti di locazione registrati nel 2012 sono 33.933). Questi si concentrano di più fra i giovani, le famiglie unipersonali, le famiglie monogenitoriali. Come nelle altre aree metropolitane del Paese, l’incidenza dell’affitto sui redditi disponibili è molto alta. Complessivamente in tutto il territorio cittadino nel 2012 rispetto al 2011 si registra una sensibile riduzione complessiva pari al 1,5%. 30


Patrimonio abitativo

Consistenza del Patrimonio di Edilizia Pubblica (ATC)

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Fonte: Comune di Torino 2012


Nel 2012 una monolocale in media costava euro 350, mentre un alloggio di due camere e cucina 560 euro (Comune di Torino, 2012). Comparando gli affitti della città di Milano risulta che c’è una netta differenza. L’affitto di un monolocale a Milano nel 2012 risultava pari a 500 euro, e per un bilocale 800 euro (Comune di Milano, 2012). Dai dati forniti dal Tribunale di Torino sui procedimenti di sfratto, nell’anno 2012 sono stati registrati complessivamente 3.859 procedimenti, di cui il 97% degli sfratti per morosità. I cittadini colpiti da sfratto esecutivo per finita locazione o per morosità (purché la stessa risulti incolpevole), qualora siano in possesso dei requisiti di legge, possono presentare domanda al Comune per l’assegnazione di un alloggio di ERP, al di fuori degli specifici bandi pubblici triennali. L’ultimo dei predetti bandi pubblici per l’assegnazione di alloggi di ERP è stato emesso il 23 gennaio 2012 registrando quasi 8500 domande. Da un’analisi delle domande al predetto bando emerge che circa il 13% dei richiedenti è costituito da anziani ultrasessantacinquenni, il 16% da portatori di handicap, il 4% da famiglie di nuova formazione; un’ulteriore analisi su tale domanda ci dice inoltre che oltre il 50% dei richiedenti denuncia un grave disagio abitativo conseguente ad antigienicità ed inadeguatezza dell’immobile occupato, immobile in cui, nel 60% dei casi risulta una condizione di sovraffollamento. Un’analisi della domanda al bando ci dice ancora che oltre il 26% dei richiedenti è rappresentato da cittadini extracomunitari e che quasi il 60% dei richiedenti totalizza, nella relativa graduatoria, un punteggio superiore a 6 punti, rappresentando con ciò una condizione di disagio abitativo molto grave. Le assegnazioni di alloggi di edilizia popolare sono concertate in base a tre criteri generali (partecipanti al bando generale, emergenza abitativa a seguito di sfratto, segnalazioni dei Servizi Socio Assistenziali) e in seguito a provvedimenti straordinari (es.provvisorie, ordine autorità ecc.). In media la città a fare tempo dal 2001 ha assegnato 570 alloggi annui. Tale numero varia in base alle nuove acquisizioni che si 32


aggiungono agli alloggi di “risulta” e in genere lasciati liberi dai precedenti assegnatari. Nel 2012 sono stati assegnati complessivamente n. 489 alloggi di edilizia popolare. Il Comune emette inoltre, con cadenza annuale, un bando pubblico per l’erogazione del fondo per il sostegno alla locazione, un contributo alle famiglie con un reddito modesto ed un canone di locazione che incide in misura rilevante sullo stesso. L’ultimo bando emesso ha registrato 14.500 domande, con un incremento costante delle stesse negli ultimi anni. A tal proposito si rileva come solo il 30% della domanda a tale bando si ripete nel bando per l’assegnazione degli alloggi di ERP, a comprova del fatto che le stesse rappresentano due tipologie di fabbisogno diverse, la prima riferita a famiglie che abitano in un alloggio adeguato, di cui hanno difficoltà a sostenere il canone, la seconda riferita a famiglie che vivono in un alloggio per lo più antigienico o improprio. Questo dato conferma la necessità del rifinanziamento annuale del Fondo che, oltre a garantire un concreto sostegno economico, si configura come uno strumento di equità sociale, soprattutto quando interviene a favore di quelle famiglie aventi titolo all’accesso all’ERP, ma escluse per mancanza di alloggi. Il Comune registra infine circa un migliaio di domande presentate annualmente alla propria immobiliare sociale LO.C.A.RE., da parte di famiglie in emergenza abitativa con un reddito di non oltre il 30% superiore al limite di accesso all’ERP. Tali famiglie richiedono al Comune un aiuto nella ricerca di un alloggio in affitto sul mercato privato della locazione (attraverso garanzie e incentivi al proprietario) e rappresentano un’ulteriore tipologia di fabbisogno di chi, pur essendo disponibile a confrontarsi con i canoni del mercato privato, si scontra contro i timori di insolvenza che molti proprietari nutrono verso le famiglie monoreddito, oppure con i frequenti pregiudizi, nel caso di famiglie extracomunitarie. Il mercato immobiliare oggi è determinato da una grave crisi, presenta difficile accessibilità per i redditi medio-bassi e la risposta dell’edilizia residenziale pubblica risulta inadeguata. In questi ultimi anni, il problema del disagio abitativo non investe più solo le fasce di popolazione in condizioni di povertà ma raggiunge, in modo sempre più evidente, un’ampia fascia di popolazione. 33


Sono molte le persone infatti che perdono la casa a seguito del mutare delle loro condizioni sociali o economiche: la perdita del posto di lavoro, le separazioni familiari minano alla base la capacità di accedere alle condizioni imposte dal mercato delle locazioni. Va aggiunto a questi casi anche chi si trova in condizioni di fragilità economica o sociale, come i giovani gli anziani o i migranti. Oppure i soggetti che una volta entrati nel circuito dei servizi sociali non riescono a raggiungere le condizioni imposte dal mercato privato: il salto è troppo grande per farlo in un solo passo. Le politiche per l’abitare sociale messe a punto dal Comune di Torino in questi anni rappresentano in una specie di scala che, riducendo il salto richiesto per passare da un livello all’altro, rende più sostenibile il percorso dei singoli casi verso la completa autonomia abitativa e sociale. La residenza sociale è un servizio: temporaneo, per periodi brevi o medio lunghi legati alle diverse fasi della vita o della storia di ognuno; sostenibile e culturale; sicuro, sotto il profilo tipologico, accompagnato e sostenuto nelle sue trasformazioni, adeguato alle esigenze degli utenti al grado di autonomia raggiunto. La domanda emergente che non rivendica più solo il diritto alla casa ma anche, in modo sempre più netto, il diritto alla Città, è la base che ha portato al passaggio dalle politiche per la casa alle politiche dell’abitare. L’attuale offerta non può soddisfare tutti i nuclei richiedenti, per questa ragione la Regione Piemonte e il Comune hanno dovuto tracciare delle linee di azione per promuovere nuove politiche pubbliche attraverso il Piano Casa. In un contesto di questo tipo i possibili attori diventano il Terzo Settore, le Fondazioni bancarie, i grandi investitori, attraverso forme di “finanza etica”, mentre i Comuni assumono il ruolo di promotori, registi e garanti degli interventi da realizzarsi. Per i Comuni diventa in questo senso importante realizzare una buona integrazione tra politiche per la casa e politiche urbanistiche, queste ultime possono infatti concorrere in maniera determinante a costruire un quadro di convenienze economiche tali da attrarre 34


capacità finanziarie e gestionali private per la realizzazione di abitazioni sociali in locazione, attraverso specifiche varianti al Piano Regolatore, sconti sugli oneri di urbanizzazione, incentivi volumetrici per gli interventi meritevoli, priorità nella concessione di aree, obblighi nelle convenzioni per le aree. L’obiettivo comune è di provare a costruire Housing Sociale sotto forma di condomini solidali, coabitazioni sociali, residenze collettive o alberghi sociali che aiutino a migliorare il problema dell’emergenza abitativa. Nella città stanno prendendo vita molti progetti secondo queste politiche. Luoghi che hanno bisogno di nuove politiche urbane, si cerca attraverso le pratiche della condivisione di ritrovare una socialità tra le persone che si era perduta in una società forse troppo individualistica. L’abitare collettivo nella città di Torino per la maggior parte dei casi si vive in contesti sociali difficili, case ATC da riqualificare socialmente, o in nuovi progetti, ma non solo. L’abitare collettivo prende anche una forma diversa, quella del Cohousing. A Torino oggi c’è solo un caso, ma basta per capire che con obiettivi simili all’Housing Sociale, ritrovare una collettività perduta, si vive in luoghi che stanno riscrivendo il territorio. Troviamo territori della condivisione in ogni caso analizzato nella città, una nuova scrittura della città contemporanea che cerca di superare problemi come mobilitazioni individualistiche, economici e sociali. L’abitare condiviso è un tema centrale nelle città contemporanee e si sta espandendo sempre di più attraverso nuovi modi e nuove forme dell’abitare. Nuove forme che prendono vita nelle città Europee descrivono la nuova geografia della coabitazione europea (id22, 2012). Casi di abitare condiviso si ritroviamo anche in Italia oltre che nella città di Torino. Cohousing e Housing Sociale sono le pratiche rivolte all’abitare collettivo. Nella ricerca si è cercato di capire le differenze politiche, sociali e economiche. 35


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2. Abitare condiviso

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“Cohousing emphasizes collaborative and self-managed social architecturese. Residents share a visione of communityoriented living, developed through cooperative planning and managemnt, and supported through common daily experiences. Specially designed spaces and coordinated activities encourage communication within housing projects and interaction with surrounding neighborhoods. Ownership structures work against speculation and help secure affordabilty over time�. (id22, 2012). 38


2.1 CoHousing Il cohousing è nato in Danimarca nel 1972 e da lì si è diffuso nel resto del mondo industrializzato. La prima comunità venne fondata da Jan GØdmand HØyer e nacque dalla voglia di cambiare una città industriale non attenta al benessere della persona, la necessità era quella di ricercare un modo di vivere che evitasse l’alienazione dell’individuo dal resto della società. (Lietaert, 2007). Oggi è diffuso specialmente anche in Svezia, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone. Tutte le nuove forme di abitazioni collettive hanno l’ispirazione a ritrovare dimensioni perdute di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato e contemporaneamente il desiderio di ridurre la complessità della vita, dello stress e dei costi di gestione delle attività quotidiane (Comune di Torino, 2011). Ogni progetto di cohousing ha una storia diversa e proprie caratteristiche, ma vi sono anche molti tratti in comune come: • Partecipazione. I residenti organizzano e partecipano ai processi di pianificazione e progettazione dell’operazione immobiliare e sono responsabili in modo collegiale delle decisioni finali. • Progettazione intenzionale. Il cohousing è progettato in modo da incoraggiare un forte senso di comunità. • Ampi servizi in comune. Gli spazi comuni sono parte integrante del cohousing e sono progettati per un uso quotidiano a integrazione degli spazi privati. • Gestione diretta da parte dei residenti. I residenti gestiscono la struttura prendendo le decisioni in comune durante incontri periodici. (Lietaert, 2007).

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Inoltre, bisogna aggiungere che queste nuove forme dell’abitare puntano a modelli di vita “più sociali”, alla necessità di ridurre i costi dell’accesso all’abitazione e all’attenzione al tema della sostenibilità (Bifulco, 2011). Un’altra caratteristica comune del cohousing è il vicinato elettivo: si aggregano persone dalle esperienze differenti, che scelgono di formare un gruppo promotore e si consolidano con la formazione di una visione comune condivisa (Comune di Torino, 2011).

Tre modelli Oggi, dopo decenni di esperimenti e realizzazioni (e alcuni fallimenti) in molti paesi del mondo, e attraverso la ricerca di Silvia Calastri e Jacopo Gresleri, si è potuto riassumere i cohousing in tre modelli archetipi: Danese, Svedese e Olandese.

Danese Indubbiamente il più diffuso, costituito da una serie di unità indipendenti distribuite sul lotto in due schemi tipo: quello organico, che asseconda la morfologia del terreno, oppure a “L”, evitando il più possibile – in entrambi i casi – allineamenti di fronti e alti blocchi edificati. Gli alloggi sono uni/bifamiliari, su uno o due piani, e hanno come riferimento l’architettura vernacolare locale. Lo spazio fra gli edifici e quello al centro dell’area di pertinenza sono destinati ad accogliere varie attrezzature collettive (parchi giochi, barbecue, giardini, piscina ecc.) oppure la coltivazione orticola. L’idea dell’alloggio privato (e parzialmente personalizzato) rende questa soluzione tra le favorite dai residenti, soprattutto nel caso di comunità numerose. A causa della sua bassa densità insediativa, questa tipologia richiede lotti edificabili piuttosto estesi, più facilmente disponibili in zone rurali o periferiche, costringendo i residenti a un quotidiano pendolarismo tra residenza e città. Questa forma di cohousing – diffusissima negli USA – è la più frequentemente adottata dalle comunità intenzionali e dai loro più estesi derivati, gli ecovillaggi. 40


Un edificio, un singolo blocco più o meno esteso su più piani. Gli alloggi dei residenti (in questo caso notevolmente meno ampi che nel modello danese) sono collocati ai livelli superiori, lasciando il piano di ingresso e il primo alle funzioni collettive per favorire contatti con il vicinato e incontri occasionali fra residenti. Talvolta il complesso è dotato di un giardino, ma può essere sostituito o integrato da un tetto terrazza. Per la sua forma compatta, l’alta densità abitativa e il ridotto consumo di suolo, esso è la soluzione che meglio si adatta ai lotti urbani e, anche per questo, spesso è favorita dalle pubbliche amministrazioni. Per le stesse ragioni, questa tipologia costituisce un’opportunità di recupero di edifici dismessi o da ristrutturare. Inoltre, proprio la sua collocazione urbana facilita una maggiore integrazione della comunità con il resto del quartiere (talvolta coinvolto in attività condivise) e consente ai suoi residenti una migliore fruizione e offerta di servizi pubblici (trasporto, assistenza domiciliare, scuola). Il Cohousing Svedese appare una formula banale, in quanto assomiglia a un condominio che interiorizza le attrezzature collettive. Con questa formula qualsiasi condominio potrebbe definirsi Cohousing, mentre abitare in modo collettivo in un Cohousing è qual cos’altro.

Svedese

Costituisce un caso intermedio fra il danese e lo svedese. Del primo assume l’ampia dimensione della comunità, la ridotta altezza degli edifici, l’autonomia della Common House, la distribuzione a padiglioni qui però raggruppati in più unità (cluster). Del secondo ripropone l’organizzazione dei singoli cluster che, a loro volta, costituiscono una microcomunità con servizi autonomi e regole di gestione personalizzate (ad esempio, è la “comunità” del singolo cluster che decide del subentro di un nuovo residente per avvicendamento).

Olandese

Fonte: (www.territoridellacondivisione.wordpress.com)

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Oggi i Cohousing in Europa stanno diventando sempre più diversificati e creativi ogni anno. I progetti di edilizia ci stanno dimostrando la sostenibilità e non sono un’idea astratta, ma qualcosa già praticata e dimostrato. L’ importante non è più dove si abita (in centro, in periferia, in quale città, in quale paese), ma come. E come si abita si ritiene che adesso lo possano decidere gli abitanti, con qualche semplificazione rispetto a contesti politici, economici e sociali (id22, 2012). Confrontando i modelli scandinavi con quello italiano si possono evidenziare delle matrici culturali differenti. Risulta evidente in Italia la “matrice cattolica” di questa forma abitativa, che si manifesta attraverso l’impegno collettivo rispetto ai problemi della comunità estesa (quindi anche all’esterno del cohousing), sia sociali, economici o ambientali. Al contrario, l’esempio scandinavo risente maggiormente di un modello culturale luterano, che mette al centro il singolo individuo all’interno di una comunità da lui pre-scelta, concepita e strutturata in regole pre-definite per dare risposte concrete a problemi di vita quotidiana dei residenti. Mentre il cohousing italiano nasce in genere dalla idea di comunità intesa come possibile risposta al disagio sociale, anche esterno alla propria casa, quello scandinavo nasce dalla necessità di gestire il tempo e le relazioni in modo nuovo, condividendo disponibilità e impegni, per consentire al singolo individuo una migliore organizzazione della propria vita.

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Il Cohousing italiano Il Cohousing in Italia è un fenomeno recente, sono modelli ibridi riscontrabili negli esempi internazionali, come quelli scandinavi, ma rielaborati nelle sue caratteristiche fisiche e di gestione. Spesso viene localizzato in aree periurbane e extraurbane, in contesti ambientali naturali, recuperando edifici agricoli dismessi in cui si restaurano le strutture e formano una struttura comunitaria. Nonostante ciò, in alcune città come Torino, Milano e Bologna sono nati cohousing urbani con l’obiettivo di interagire con la città. Ulteriori distinzioni dai modelli internazionali sono: il minor numero di famiglie che costituiscono un Cohousing; la composizione demografica dei cohousers mediamente più giovani e con figli. Rispettando la tradizione italiana anche i cohousers scelgono di acquistare la proprietà piuttosto che affittarla. Questo comporterà un estensione temporale di vita della comunità. Il risultato spesso è un “condominio” ben attrezzato, in cui i residenti condividono alcune esperienze collettive e alcuni spazi nei quali vivere attività legate alla vita comunitaria. In Italia, le esperienze non sono numerose, ma sono in crescita. Si sono formate diverse associazioni a Roma, Bologna, Milano e Torino che promuovono il cohousing e l’abitare solidale (Bifulco, 2011). A Torino troviamo l’associazione CoAbitare, che come enuncia il suo manifesto, promuove la formazione di comunità intergenerazionali di coabitazione sostenibile, basate su un modello di convivenza attiva, sull’aiuto reciproco e sulla volontà di mettere in compartecipazione conoscenze e capacità, nel rispetto dell’ambiente e di uno stile di vita pratico e spontaneo; promuovere la realizzazione di abitazioni in cui coesistano spazi privati e spazi comuni dove: • vivere momenti di convivialità e cultura; • fruire di servizi comuni; • conseguire risparmi economici e vantaggi ambientali attraverso, ad esempio, gruppi di acquisto solidale, il car sharing, l’assistenza a bambini ed anziani, promuovendo e sostenendo i principi del

Fonte: www.cohousing.it

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“co-housing” o “coabitazione” sul territorio; • costituire un riferimento ripetibile sul territorio per ulteriori esperienze di co-residenza sostenibile promuovendo e accompagnando la nascita di società cooperative o altre forme giuridiche ritenute idonee improntate allo spirito di CoAbitare; • prevenire il disagio sociale perseguendo il benessere psico-fisico delle persone attraverso la valorizzazione di ogni fase della vita dell’uomo ed il soddisfacimento delle esigenze peculiari di ciascuna età. Come per tutte le forme del cohousing individuiamo temi fondamentali come la socialità, la sostenibilità ambientale e la partecipazione. A Torino, come negli altri casi internazionale i cohousing si distinguono anche attraverso iniziative private, imprenditoriali e pubbliche.

Iniziativa privata L’iniziativa privata è il caso più diffuso in Europa. Un gruppo di persone si unisce con la finalità di creare un cohousing in cui vivere. Definite e condivise le caratteristiche gestionali e architettoniche che avrà la residenza, nella maggior parte dei casi si avvia successivamente un dialogo con l’amministrazione pubblica per la ricerca del sito o per ottenere agevolazioni economiche per la realizzazione del progetto.

Iniziativa privata di L’iniziativa di imprese immobiliari rappresenta invece la modalità di promozione più diffusa negli Stati imprese immobiliari Uniti. Compagnie specializzate realizzano residenze collaborative, talvolta coinvolgendo fin dalle prime fasi della progettazione gruppi di persone che hanno manifestato la propria intenzione di vivere in comunità. In altre situazioni, invece, le imprese vendono complessi già realizzati e concepiti appositamente per lo sviluppo del cohousing, riducendo enormemente (o addirittura annullando) il contributo progettuale da parte dei futuri residenti. 44


Nell’Iniziativa pubblica è l’amministrazione comunale che avvia un progetto di realizzazione di un cohousing nell’ottica della promozione dell’abitare sostenibile (sotto il profilo ambientale, economico, sociale), a prescindere da un’eventuale richiesta promossa dai privati cittadini. Anche in questa modalità alcune volte è previsto il coinvolgimento dei futuri residenti in alcune fasi della progettazione del complesso. Questo tipo di iniziativa spesso si trasforma in Housing Sociale, dove la condivisione, la socialità sono obiettivi fondamentali, ma i soggetti sono persone in difficoltà economiche e lavorative. Invece, il tema di fondo del cohouser mette in primo piano l’inseguimento di un modello di vita sociale in grado di favorire opportunità di relazioni riducendo la solitudine cercando di cambiare una società sempre più individualista.

Iniziativa pubblica

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“Housing for households whose needs are not met by the open market and where there are rules for allocating housing to benefiting households� Cechodhas

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2.2 Housing Sociale L’Housing Sociale si sviluppa in Nord Europa all’inizio degli anni ’90 soprattutto in Olanda e Gran Bretagna. Bisogna sottolineare che i Paesi membri dell’Unione Europea si caratterizzano per l’eterogeneità delle situazioni abitative nazionali e delle politiche adottate. ll concetto di Housing Sociale tende dunque a variare da un Paese all’altro e la mancanza di una definizione comune può rendere difficile un’analisi comparativa. L’Unione Europea lascia ampi spazi di discrezionalità ad ogni Stato per la definizione di Housing Sociale. Generalmente si fa riferimento al CECODHAS, il comitato di coordinamento europeo per l’Housing Sociale, che lo definisce: “un insieme di alloggi e servizi, di azioni e strumenti per un’utenza che non riesce a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato, per ragioni economiche e per assenza di un’offerta adeguata; un insieme che favorisca la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso al fine di rafforzare la propria condizione abitativa e sociale”. Queste nuove politiche abitative si differenziano dai fondamenti dell’edilizia pubblica per i destinatari, per i finanziamenti economici e il mix sociale. I destinatari non rientrano nei canoni di povertà economica previsti per accedere all’edilizia residenziale pubblica, ma allo stesso tempo, non sono in grado, da soli di misurarsi con il mercato odierno dell’abitare (Cecodhas, 2012). Per quanto riguarda la parte economica dell’Housing Sociale si può affermare che è differente dall’edilizia residenziale pubblica tradizionale, in quando nasce una compartecipazione pubblico-privato. I soggetti coinvolti e gli investimenti non sono solo di natura pubblica, ma anche privata e no-profit. I progetti possono riguardare sia il recupero del patrimonio immobiliare già esistente sia la realizzazione di nuovi insediamenti abitativi totalmente destinati a edilizia sociale o nuovi complessi residenziali. 47


L’Housing sociale in tutti i paesi europei si differenzia dalle tradizionali politiche abitative, è la volontà di fornire soluzioni abitative complesse e integrate. Housing sociale è qualche cosa di più del dare una casa a chi ne ha bisogno. L’integrazione è una delle caratteristiche principali. Per questo motivo che le politiche, le azioni e gli interventi nei Paesi europei sono molto eterogenei (Plebani, 2010). L’Housing sociale si preoccupa di fornire un servizio abitativo integrato e gli obiettivi che si prefigge sono diversi: • l’offerta abitativa a determinate categorie di popolazione; • favorire la coesione sociale e la partecipazione; • il recupero dello patrimonio immobiliare; • la riqualificazione del contesto di riferimento; • il risparmio energetico; (CECODHAS, 2012). Uno degli aspetti più significativi dell’Housing sociale è il tentativo di andare incontro al disagio abitativo attuale, meno legato esclusivamente alla casa e più vicino all’abitare dove la condizione sociale, la socialità e i servizi vengono posti in primo piano (Plebani, 2010). Una delle caratteristiche fondamentali di questo nuovo modo di abitare è l’inserimento di servizi offerti agli abitanti. Si possono individuare diverse tipologie, secondo il settore di intervento in cui essi ricadono. Possono riguardare l’assistenza socio-sanitaria, la promozione di relazioni di vicinato, l’inserimento lavorativo o l’assistenza a particolari categorie (esempio: anziani) (CECODAS, 2012). Integra politiche della casa e politiche sociali, associando agli interventi di edilizia un’azione di accompagnamento sociale affinché il progetto possa continuare a vivere e durare nel tempo. Per questo viene rivolta molta attenzione anche alla fase successiva alla realizzazione, gestendo e curando l’immobile da parte di amministratori con la partecipazione degli stessi residenti. 48


0%- 1% 2%- 4% 5%- 10% 11%- 18% > 19%

49 Fonte: CECODHAS Housing Europe, The Housing Europe Review 2012


In Italia l’Housing Sociale prende anche nome di alloggio sociale la cui definizione è stata introdotta per la prima volta con il Decreto Legge del 22 aprile 2008, “Definizione di alloggio sociale ai fini dell’esenzione dall’obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea”, Pubblicato sulla GU n. 24 del 24 giugno 2008: “alloggio sociale è l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L’alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall’insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie”. In Italia è stata finora scarsa la diffusione dell’Housing Sociale in quanto richiede raffinate politiche d’integrazione sul bene casa e sull’aiuto sociale. Oggi vi è una nuova fase che presta maggiore attenzione alla qualità dell’abitare dove l’eterogeneità dei bisogni e delle forme dell’abitare emergono necessarie per la collettività che comportano una risposta sempre più diversificata, per spazi, usi e confini. Il disagio abitativo ha portato l’elaborazione di diverse politiche pubbliche per la casa anche in Italia, dove i soggetti pubblici collaborano con finanziatori, associazioni e cooperative, promuovendo l’integrazione tra pubblico e privato. In particolare, i Comuni assumono il ruolo di promotori, registi e garanti di interventi da realizzarsi e devono costruire una buona integrazione tra politiche per la casa e politiche urbanistiche. Quest’ultime possono determinare un quadro di convenienza economica tali da attrarre capacità finanziarie e gestionali private per la realizzazioni di abitazioni sociali (sconti sugli oneri di urbanizzazione, incentivi volumetrici per gli interventi meritevoli, priorità nella concessione di aree, obblighi nelle convenzioni per le aree).

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L’Housing sociale è diventata una pratica utilizzata dalle istituzioni per affrontare il problema casa. Anche nella città di Torino si sta diffondendo questo fenomeno e pone le sue basi attraverso diverse politiche urbane.


Le politiche per la casa promosse dal Comune di Torino in questi ultimi anni rappresentano il tentativo di coniugare la gestione delle tradizionali modalità di intervento, ancora tutte incentrate sull’edilizia residenziale pubblica (E.R.P.) con la costruzione di un sistema alternativo, orientato al mercato. Le politiche messe in atto dal Comune di Torino nel 2012 di implementazione del Piano Casa anni 20092010 sono state approvate dal Consiglio comunale con deliberazione n. mecc. 2008 03563/104 del 29 dic. L’emergenza abitativa richiede per alcuni soggetti delle risposte di carattere temporaneo. Si tratta in sostanza di offrire una sistemazione abitativa per un lasso di tempo compreso tra qualche mese ed un anno, a persone che per ragioni di carattere sociale, economico, familiare, professionale, vivono una fase di transizione o di momentanea difficoltà, (separati, madri sole con figli a carico, lavoratori fuori sede, studenti etc). La prospettiva di una soluzione strutturale al problema del disagio abitativo ha imposto l’elaborazioni politiche per la casa nelle quali il soggetto pubblico non sia più l’unico attore, che riveste di volta in volta il ruolo di finanziatore, di erogatore di contributi a fondo perduto o di gestore immobiliare. Attraverso l’avvio di nuovi progetti di edilizia sociale il soggetto pubblico assume un ruolo di regia e di proposizione, promuovendo nuove politiche integrate che realizzino un sistema di partenariato tra pubblico e privato. Convergano apporti finanziari e gestionali di soggetti privati, prevedendo a favore degli stessi la necessaria e congrua remunerazione. Pratiche capaci di produrre inclusione sociale. Se infatti è indubbiamente intrigante pensare all’Housing Sociale come ad uno spazio di lavoro nuovo per le imprese sociali, come un’occasione per rivedere la propria mission o come uno strumento per incidere sul fronte istituzionale locale, non vi è dubbio che indipendentemente dalle finalità con cui si promuovono questi progetti, l’efficacia in termini di inclusione passa anche attraverso la forma di interazione sociale promossa dall’intervento stesso (Minora, 2013). Torino sta sviluppando l’Housing Sociale attraverso quattro forme: alberghi sociali, coabitazioni solidali, condomini solidali e residenze collettive solidali (Comune di Torino, 2012).

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Alberghi Sociali Data la necessità di incrementare la percentuale di alloggi in locazione accanto alla promozione di nuove forme dell’abitare, nuovi spazi pubblici, nuove modalità di relazione, attraverso le politiche del Comune si sono istituiti gli Alberghi Sociali. I destinatari di queste strutture sono principalmente giovani, studenti fuori sede, famiglie monogenitoriali, persone che si trovano in una fase di transizione lavorativa. L’ospitalità prevede una durata da 6 a 18 mesi, offrendo soluzioni differenti con canoni calmierati. Inoltre vista la necessità del Comune di offrire un servizio abitativo a persone in emergenza abitativa o persone con fragilità sociali, l’ente pubblico usufruisce di alcuni alloggi negli Alberghi Sociali. L’obiettivo principale è sostenere gli abitanti al fine di risolvere i problemi lavorativi per avere una propria indipendenza economica, la quale gli permetterà di avere un contratto di locazione tradizionale. Queste strutture prevedono di diventare un polo attrattivo facendo interagire reti di soggetti per animare il territorio, offrono attività di coesione sociale, rivolte agli abitanti della residenza e al quartiere.

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Condominio solidale Strutture pubbliche che ospitano anziani, madri con figli o persone sole. La permanenza iniziale prevista è di 6 mesi. L’ospitalità è prorogabile a 12 o 18 mesi, in caso di avvio di un percorso di lavoro o di studio che necessiti di stabilità abitativa, oppure nel caso di donne straniere in uscita dal percorso di protezione, con o senza figli. Gli abitanti sono accompagnati durante la loro permanenza da famiglie affidatarie e gestori sociali, che seguono il loro percorso di rinserimento nella società, grazie alla reta di servizi con la città.

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Coabitazioni solidali Comunità per giovani volontari che hanno accettato un patto di collaborazione con il Comune per lo sviluppo delle relazioni e la mediazione tra abitanti. I giovani avranno a disposizione un alloggio all’interno del complesso a canone calmierato in cambio di 10 ore settimanali di volontariato a favore degli altri inquilini.

L’obiettivo principale delle coabitazioni solidali è l’agevolazione dell’integrazione da parte dei volontari per ottenere il mix sociale nello stabile, cercando di contrastare la solitudine, favorendo l’integrazione tra anziani, migranti e delle persone residenti diventando così un punto di riferimento. I progetti delle coabitazioni solidali cercano di prevenire il degrado sociale e fisico dello stabile grazie al sostegno dei volontari. Inoltre, permette ai giovani di ottenere un’indipendenza abitativa.

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Residenze Collettive Sociali Sono edifici tesi a favorire l’autonomia abitativa con offerta di spazi e servizi condivisi per persone sole in condizione di fragilità temporanea: giovani lavoratori o studenti in uscita dalla famiglia, anziani autosufficienti disponibili alla solidarietà sociale intergenerazionale, migranti e rifugiati umanitari, genitori soli con figli. Queste tipologia di edilizia innovativa, servono da ancoraggio al quartiere offrendo servizi rivolti agli abitanti e al territorio. Sono luoghi sicuri aperti ad attività sociali e culturali. Le attività sono di tipo economico, non speculativo, gestite dal privato sociale. Sono molti i progetti di questo tipo di inserimenti nel Programma Comunale approvato dalla Regione Piemonte e verranno realizzati nei prossimi anni.

L’alloggio collettivo si sta trasformando in un oggetto privilegiato di un’azione di riqualificazione e riconfigurazione. Strutturalmente solido, facilmente manipolabile data l’essenzialità costruttiva, compatto, denso, contenuto. Si smonta e rimonta. Dove al centro ci sono problemi di sostenibilità ambientale e l’importanza di riconfigurare forme dell’abitare della prima modernità. Sostanzialmente si può dire che oggi l’alloggio sociale cerca di risolvere il degrado abitativo che in questi anni viene messo in luce nelle città contemporanee.

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3. Abitare condiviso a Torino


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3.1 Dibattito locale Le sperimentazioni di un nuovo modo di abitare proposte nella città di Torino sono state accompagnate da un forte dibattito locale, prendendo corpo sulla stampa locale e nazionale e nelle numerose iniziative di associazioni e cooperative. Abbiamo censito 76 articoli sulle pagine locali di La Stampa, La Repubblica tra il 2005 e il 2012. Il dibattito evidenzia un’accelerazione negli ultimi cinque anni, affidandosi a nuove soluzioni abitative. Generalmente si tratta di posizioni che tendono a promuovere il carattere sociale ed economico di queste forme dell’ abitare. La discussione si sviluppa lungo due orientamenti. Da un lato, il Cohousing viene raccontato come un modo per vivere in gruppo e abitare in una casa differente. Il vicinato diventa importante e gli spazi comuni sono un’occasione sociale e di apertura al territorio. Numerozero, l’unico esempio di Cohousing a Torino è un’iniziativa privata di otto famiglie. La relazione tra la stampa e questa associazione ha due diversi obietti. L’associazione vuole pubblicizzare questo nuovo modello abitativo per diffonderlo e per ottenere diritti e leggi che tutelino e riconoscano il Cohousing come forma abitativa. Utilizzano per questo scopo la stampa e tutti gli spazi e le iniziative istituzionali possibili come l’Urban Center. In queste occasione l’argomento è ampiamente trattato dato l’interesse che si sta sviluppando tra gli abitanti in questi ultimi anni. Dall’altro lato, l’Housing Sociale si propone come una soluzione abitativa per rispondere alla crisi economica del nostro Paese. Promuove soluzioni temporanee con affitti calmierati. L’Housing temporaneo viene raccontato mettendo in luce soprattutto gli investitori di questi progetti. Si dà importanza all’ammontare economico che le banche e le società private investono.

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I coabitazioni solidali, sono meno trattati nel dibattito locale. Ciò è probabilmente legato alla misura ridotta (dal punto di vista numerico) della loro incidenza. Le nuove forme dell’abitare sono viste come esperienze sperimentali positive anche se molti casi sono ancora in fase di realizzazione altre sono terminate da poco tempo, quindi, spesso non hanno esperienza sufficiente da poter affermare il loro buon “funzionamento”. Non tutti i cittadini sono a conoscenza di queste nuove forme dell’abitare, è molto importante che vengano pubblicizzate e raccontate per permettere alle persone interessate di rivolgersi alle associazioni che gestiscono queste nuove strutture. Tutte queste nuove abitazioni costruiscono una rete di relazioni con il quartiere, diffondendo nuovi modelli tra inquilini e abitanti. Proprio per questa ragione i quotidiani dovrebbero diffondere le iniziative e le attività disponibili in queste strutture, visto che il principio fondamentale che accomuna tutti è proprio la condivisione. Promuoverla e Diffonderla per permettere a tutti di partecipare. Bisogna coinvolgere le persone ad un mutuo aiuto, e i quotidiani sono un ottimo mezzo di comunicazione per far conoscere questi progetti e invogliare le persone a seguire i programmi di coesione sociale che le associazioni propongono. Nella rassegna stampa sono stati riportati i titoli dei quotidiani che trattano questi argomenti sotto vari aspetti (economico, sociale, politico, urbanistico, architettonico). Ciò è utile per capire quantosia diffuso l’argomento, come venga trattato dai diversi Enti e che riscontro ha sull’opinione pubblica.

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CoHousing

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Housing Sociale

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3.2 Nella CittĂ

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3.3 I Tempi

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3.4 Le Tipologie Funzionali

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3.5 Le Parti di CittĂ

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4. Dodici casi studio

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NUMERO ZERO COHOUSING



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NuemeroZero affaccia su piazza della Repubblica a Torino, meglio nota come Porta Palazzo. Porta Palazzo è una vasta area del centro storico di Torino (51.300 mq), è la piazza più grande del capoluogo piemontese e ospita quotidianamente il mercato all’aperto più grande d’Europa. Agli inizi del XVIII secolo il duca Vittorio Amedeo II avviò un notevole processo di rinnovamento urbanistico che coinvolse l’area nota come Contrada di Porta Palazzo e nel 1701 affidò la realizzazione della nuova porta e degli edifici barocchi con portici, al celebre architetto Filippo Juvarra. Il progressivo abbattimento delle fortificazioni urbane proseguì durante il periodo napoleonico e, nel 1800, l’intera area divenne parte integrante della città. Al ritorno dei Savoia nuovi cantieri interessarono la zona e tra il 1825 e il 1830 l’architetto Gaetano Lombardi in collaborazione con l’architetto Formento definirono il progetto della nuova piazza ottagonale e l’isolato dei macelli nella parte meridionale della piazza. Completata nel 1837, la piazza assunse la sua vocazione commerciale divenendo presto sede dei nuovi mercati della città. Negli anni del dopoguerra Porta Palazzo rappresentò il primo approdo per molti immigrati italiani del mezzogiorno. Il contestuale degrado urbanistico, il sovraffollamento e la carenza di servizi per il crescente numero di residenti convissero con la grande capacità d’attrazione del più vasto mercato quotidiano

cittadino e con forme di impegno sociale cattolico e laico. Oggi Porta Palazzo è oggetto di ondate migratorie di ogni etnia, attratte da un’area commerciale forte ed estesa. Per l’opinione pubblica spesso è un simbolo di degrado e dimostrazione dell’impossibilità pluriculturale, per altri è uno spazio urbano dell’incontro di mondi, odori e sapori. In questi anni il quartiere ha dimostrato una dinamicità nelle trasformazioni grazie a numerose iniziative sociali e politiche, che stanno ridisegnando il vivere collettivo, riferimenti culturali e le diverse identità.

Nel 1996 la Città di Torino presenta all’Unione Europea, nell’ambito delle Azioni Innovative del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (Art. 10 Reg. CE 2081/92 FESR), il progetto “The Gateliving not leaving”, un Progetto Pilota Urbano volto a migliorare le condizioni di vita e di lavoro del quartiere di Porta Palazzo. Attraverso una metodologia ed un approccio innovativo, in grado di fornire un esempio per altre esperienze in Europa, il progetto si propone di coinvolgere diversi partner, pubblici e privati e di innescare un processo di riqualificazione del territorio di Porta Palazzo e Borgo Dora. Questa iniziativa è un obiettivo anche della cooperativa NumeroZero, la quale collabora con The Gate. L’idea di Cohousing è nata all’interno dell’associazione CoAbitare, 79


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dove alcuni soci hanno fondato la cooperativa NumeroZero. L’associazione si muove nella convinzione che possa svilupparsi, insieme e a supporto di un modello sociale partecipativo e sostenibile, un differente modo di abitare. CoAbitare è composta da molteplici figure, ognuna delle quali specializzata in un’area di competenza specifica: architetti, urbanisti, ingegneri, sociologi, pedagogisti, educatori, ricercatori, artisti. La multidisciplinarietà consente di affrontare in modo pertinente anche sistemi sociali complessi e permette di gestire agilmente contemporanei piani operativi, qualificando ogni fase e contenuto del processo. La modalità operativa accompagna ogni fase del percorso progettuale, dalle prime fasi fino alla realizzazione. Tutti i soci di CoAbitare sono impegnati in tavoli politici per far riconoscere il CoHousing in Italia come forma abitativa normata. NumeroZero è il progetto pilota di Cohousing a Torino che riguarda 15 persone, 8 nuclei famigliari coppie con e senza figli, donne e uomini singles, di età compresa tra 1 e 65 anni. I cohousers sono persone di classe e capitale sociale medio alto, con una buona rete di relazioni. La cooperativa una volta fondata ha iniziato un percorso di circa tre anni di riunioni settimanali, per determinare gli obiettivi di questo progetto comune.

Una delle prime fasi è stata la ricerca del luogo dove costruire il cohousing. La scelta di Porta Palazzo è avvenuta per diverse ragioni. Innanzitutto, perché le caratteristiche della struttura: per le dimensioni, la collocazione e la distribuzione degli spazi. L’edificio in questione appare appropriato per ospitare un insediamento di cohousing, dove spazi privati (gli alloggi delle famiglie) e spazi comuni possano coesistere e integrarsi organicamente. Nella fase successiva hanno partecipato attivamente alla progettazione e alla realizzazione, stabilendo insieme le regole d’uso e la gestione degli spazi.

Il progetto prevede la ristrutturazione della palazzina di fine ‘800 sita in piazza della Repubblica, all’angolo con via Cottolengo. L’edificio è costituito da un piano interrato piuttosto ampio (circa 330 mq), tre piani fuori terra, per complessivi 555 mq e un piano sottotetto per altri 115 mq. La proprietà comprende anche l’attività commerciale tuttora in attività al piano terreno, sul fronte della piazza, di circa 120 mq (negozio di biciclette). Sono di pertinenza dell’immobile, infine, un cortile interno di circa 90 mq e il terrazzo al primo piano di altri 90 mq. 83


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Rappresentazione dalla scala 1:500


La ristrutturazione dell’edificio è basata sui principi della bioedilizia e del risparmio energetico (solare termico, riscaldamento a pavimento, cappotto termico interno, raccolta acqua piovana, serramenti a taglio termico, ventilazione controllata) ottenendo la classe energetica B dell’intero edificio. L’applicazione di tecnologie compatibili con l’ambiente a scala condominiale. La metodologia progettuale adottata è impostata su un processo partecipativo che coinvolge i futuri abitanti. La progettazione non riguarda solo la dislocazione degli ambienti, i materiali e le finiture, ma anche e soprattutto le regole d’uso, di gestione e di manutenzione nonché le funzioni dei diversi spazi in relazione con il contesto.

TETRIS

Gli abitanti hanno speso tempo e competenze in comune spendendo la metà. Ogni cohouser ha avuto la possibilità di personalizzare la propria abitazione secondo le proprie esigenze, rendendo unico ogni alloggio. La suddivisione dell’edificio (mq e costo) è stato oggetto di numerosi incontri. La soluzione è stata il “tetris” il quale ha permesso di trovare lo spazio giusto per tutti.

Fonte: www.cohousingnumerozero.org

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Il gruppo di coabitanti propone uno stile di vita comunitario basato sulla solidarietà rispettando spazi e tempi di vita privata di ognuno. Il Cohousing propone di pensare all’abitazione in modo aggiunto al vicino e al territorio. Gli spazi comuni sono stati progettati dai coabitanti per quanto riguarda dimensione, dislocazione e uso, e sono: • spazi all’aperto: il cortile e il terrazzo al primo piano; • uno spazio al piano terra con soggiorno e forno a legna per il pane, posto in posizione strategica perché punto di passaggio; • gli spazi al piano interrato per laboratorio di fai da te. Tutti gli spazi comuni sono collegati tra di loro, diventando così efficienti punti di aggregazione. I servizi e gli spazi aperti al territorio consistono nel mettere a disposizione i loro spazi comuni per associazioni o gruppi di persone, concordando regole e tempi di utilizzo. Inoltre, collaborano con l’associazione Fuori di Palazzo (sviluppa la rete di vicinato) al progetto Arcabalenga. Coabitare ha fondato la Banca del Tempo per valorizzare capacità e sapere delle tradizioni e delle culture senza attribuire loro un valore di mercato, ma recuperando un rapporto sociale basato sulle relazioni di reciprocità e solidarietà. Lo stesso concetto ispira il gruppo di co-residenti. La Banca del Tempo è quindi un modo 86

per allargare, secondo un modello organizzato, le relazioni di aiuto reciproco dal gruppo di cohousers al vicinato e al quartiere così da usufruire della abilità altrui e soddisfare i propri bisogni in una logica di scambio sul piano pratico.

NumeroZero è un nucleo organizzato che costruisce solidarietà tra loro e il territorio, risolvendo anche un problema di assistenza sociale. L’intento è di attuare un esperimento sociale trasparente da riproporre, coinvolgendo più persone per aiutarsi. Costruire un nuovo modo di abitare attraverso la collaborazione tra cittadini come antidoto alla disgregazione e alla solitudine.



SHARING

HOUSING SOCIALE ALBERGO SOCIALE



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Sharing si trova all’interno della Circoscrizione 6, nel quartiere di Pietra Alta. Il quartiere di Pietra Alta si configura come la porta d’accesso Nord della città, vicino all’imbocco dell’autostrada. L’area è fino all’inizio degli anni ‘50, prevalentemente agricola,caratterizzata prevalentemente dalla presenza di cascine sparse, fatta eccezione per la costruzione del Villaggio SNIA (il cui nome deriva dall’azienda che lo edificò) avvenuta negli anni ‘20. La fase di urbanizzazione più consistente si compie a partire dagli anni ‘50, quando fu costruito il nuovo quartiere Falchera. La trasformazione prosegue sino alla metà degli anni ‘70 con la costruzione di nuovi edifici residenziali e la nascita di sempre più numerose attività industriali. Fino alla fine degli anni ‘70, comunque, l’area è caratterizzata da insediamenti abitativi di piccole dimensioni; con la costruzione delle case Di Vittorio (le cosiddette due Torri) e delle case Atc. Intorno ai primi anni ‘80, la popolazione aumenta notevolmente per l’insediamento di quasi seicento nuovi nuclei familiari.Il quartiere è prevalentemente popolare. Dal 2000 il quartiere è stato oggetto di interventi di riqualificazione dalla manutenzione straordinaria di edifici pubblici alla significativa riqualificazione e riprogettazione delle aree pubbliche (aree verdi, strade ...). Le amministrazioni locali, la società civile e le imprese sociali

sono da anni impegnate in azioni di riqualificazione urbana e di sostegno al tessuto economico e sociale locale. Attraverso il Programma di recupero urbano (Pru) sono stati investiti 37 milioni di euro nell’area per diverse trasformazioni e riqualificazioni dei quartieri degradati di proprietà pubblica. Per dare attuazione al programma Pru sono stati utilizzati i fondi del Piano di accompagnamento sociale (Pas), gestito da soggetti incaricati dalla Città. Ha seguito le trasformazioni edilizie ed urbanistiche e le ha integrate con azioni sociali e di sviluppo locale. Nel 2007 si è costituita l’Agenzia per lo Sviluppo di Pietra Alta, composta da soggetti e associazioni locali, con l’obiettivo di progettare e realizzare iniziative a sostegno della comunità locale. Il progetto di Sharing è il più importante esempio di Housing Sociale temporaneo in Italia.

Il progetto vuole essere un ulteriore tassello della riqualificazione del quartiere. 91


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Lo stabile dove sorge Sharing nacque come casa-albergo per i dipendenti delle Poste. Nel momento in cui le Poste decisero di venderlo, sorsero diversi problemi di coordinamento con il Comune (proprietario del terreno), per questo motivo per un periodo lo stabile venne abbandonato e fu occupato da alcune famiglie. Il Comune emanò un bando per la riqualificazione dello stabile, vinto da Sharing s.r.l.. Nel 2008 Sharing.srl (soci Oltre Venture e DOC scs) ha vinto il bando di riqualificazione dell’edificio emesso dal Comune di Torino. L’operazione è stata finanziata dalla Fondazione CRT. Successivamente sono stati incaricati in ATP lo Studio Costa&Partners con lo Studio Mellano Assciati. Oltre Venture è stata costituita alla fine del 2006, supporta le imprese sociali sia attraverso le proprie risorse finanziarie (capitale di rischio e finanziamenti) che attraverso le proprie competenze manageriali e il proprio know-how in ambito sociale. DOC scs è una coperativa che vede al centro della sua crescita organizzativa i valori cooperativi della centralità della persona, della solidarietà, della partecipazione e dell’educazione.Opera dal 1988 in ambito turistico sociale con particolare attenzione alla ricerca, allo studio e alla progettazione di iniziative indirizzate ai giovani.-

Sharing ha costruito un rete tra associazioni cooperative e altri soggeti attivi nel quartiere come: Keluar (turismoe tempo libero Meeting ed Eventi), Arcipelago,Ulaop, Co.Dance, Argentdeposh e Rete italiana cultura popolare.

Il complesso edilizio versava in cattivo stato di conservazione, necessitava di un consistente intervento di messa a norma di una manutenzione straordinaria, nonché di una differente organizzazione e distribuzione degli spazi.

Il progetto comprende 10.000 mq tot. Lo stabile è composto da due fabbricati da nove piani fuori terra ciascuno ed è in grado di offrire 470 posti letto di cui 122 unità residenziali temporanee (massimo 18 mesi) completamente arredate di cui 20 destinate a persone in emergenza abitativa selezionati dal Comune e le restanti unità sono state progettate per studenti, lavoratori, giovani coppie e famiglie provenienti da tutto il mondo di passaggio a Torino. Sharing è dotato di 58 camere ad uso hotel. 95


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Rappresentazione dalla scala 1:500


L’albergo sociale ospita persone di provenienza sociale diverse, ed è per chi passa, chi resta, e chi torna. Questo permette un buon mix sociale. Per quanto riguarda l’aspetto economico Sharing offre abitazioni a prezzi calmierati alle persone con determinati requisiti. Invece per tutti gli altri i prezzi sono a livello di mercato.

della cancellata davanti all’edificio. Sharing sin dall’inizio ha cercato di coinvolgere il territorio:

Le scelte progettuali sono ispirate ai principi della sostenibilità ambientale e volte al conseguimento della più alta efficienza energetica. Sono stati impiegati materiali eco-compatibili e a bassa manutenzione, improntati su criteri di durata e di riduzione della manutenzione e dell’impatto ambientale. Gli impianti per la produzione di energia sostenibile sono la trigenerazione e il fotovoltaico permettendo di produrre energia elettrica e acqua calda comprendo oltre il 60% del fabbisogno di ogni unità. Per ottenere la massima flessibilità dell’organismo edilizio sono state utilizzate strutture modulari e la presenza di partizioni interne sostituibili consente la configurazione di differenti tipologie abitative.

- un altro obiettivo è stato quello di attivare pratiche di collaborazione con le associazioni del quartiere per formare una rete solida intorno al progetto.

- attraverso uno sportello informativo durante il cantiere per illustrare il progetto agli abitanti del quartiere, data la loro avversità iniziale. L’obiettivo dello sportello era far capire I caratteri del progetto Sharing (Housing Sociale).

Gli spazi comuni aperti al territorio sono distribuiti all’interno dello stabile.

Gli spazi residenziali sono affiancati a servizi di diverso genere. Tutti gli spazi collettivi sono completamente permeabili alla città. Una scelta progettuale che viene sottolineata dall’eliminanzione 97


Al piano terra si trova: • un bar/ristorante che ospita una biblioteca con connessione wi-fi gratuita. L’idea di uno spazio dedicato allo scambio e alla consultazione di libri all’interno delle aree comuni di Sharing nasce da un percorso di progettazione condivisa con gli inquilini della struttura. Grazie alla collaborazione con le Biblioteche Civiche Torinesi oggi Il Caffè Letterario di Sharing, è un punto di prestito e di consultazione aperto al pubblico. Questo spazio offre molteplici pubblicazioni in diverse lingue, un corso di Italiano per studenti stranieri ed iniziative culturali di vario genere in un salotto colorato. • una lavanderia a gettoni aperta ventiquattro ore.

Al primo piano si trovano: • delle sale comuni dove si svolgono attività ricreative; • una sala multifunzionale che serve per ospitare il doposcuola, riunioni e sportello di ascolto. Il doposcuola è un’iniziativa di collaborazione con l’associazione Onlus Ulaop i quali già offrivano tale servizio nel quartiere. Sharing si occupa dei bambini delle elementari. Lo spazio di ascolto collabora con la cooperativa Arcipelago; • un ambulatorio dentistico a prezzi calmierati. Il quale è promosso da Oltre Venture. 98

Il progetto “Sharing – Condividere idee e abitazioni” è un progetto di rigenerazione urbana che è nato dalla volontà di sperimentare un nuovo approccio per affrontare il disagio abitativo favorendo la formazione di strutture e servizi di buona qualità a costi calmierati.



PIAZZA DELLA REPUBBLICA 14 HOUSING SOCIALE ALBERGO SOCIALE



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L’edificio al civico 14 di Piazza della Repubblica è uno degli edifici situati sul lato nord della piazza. La sua costruzione viene fatta risalire ai primi anni ‘20 del XIX secolo, in concomitanza della sistemazione urbanistica del quartiere di Porta Palazzo (1819). In origine occupava interamente l’isolato triangolare delimitato, oltre che dalla piazza della Repubblica, da Via Priocca e dall’attuale piazza Don Albera; la porzione prospiciente Via Priocca venne poi demolita nel 1911.

riservati per i locali commerciali e per un ristorante. Sono previsti in totale 27 alloggi mono-bilocali (corrispondono a 45-75 posti letto), la maggior parte delle unità abitative sarà riservata a persone in situazione di stress abiativo, lavoratori e personale in formazione e cityusers. Mentre il 12% circa sarà riservato alla Città di Torino per far fronte agli sfratti, ordinanze di sgombro, emergenze abitativa, o per persone in una temporanea situazione di vulnerabilità sociale.

Dopo anni di degrado e abbandono, l’immobile, di proprietà del Comune di Torino, è stato concesso in comodato d’uso per trent’anni all’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, promotore di un importante intervento, dettato dalla volontà di contribuire alla riqualificazione del territorio, sia dal punto di vista architettonico che socio-culturale.

Gli spazi comuni interni sono completamente aperti al territorio, i quali sono: spazi di servizio (lavanderia, e postazioni informatiche), spazi di socializzazione (sala polivalente), nelle quali si svolgeranno corsi e eventi culturali e infine un cortile interno su via Priocca.

La Residenza Temporanea offre soluzioni alloggiative transitorie ed è contraddistinta dalla temporaneità della permanenza degli ospiti, da costi di affitto contenuti e dalla possibilità per chi vi abita di usufruire di servizi e spazi comuni.

In questa prospettiva, la Residenza Temporanea aspira a diventare una nuova polarità per il quartiere oggetto di intervento, capace di esercitare una funzione attrattiva anche rispetto a popolazioni non residenti, allo stesso tempo, di interagire con la rete di soggetti che animano il territorio.

Il progetto, scaturito da un concorso di progettazione è stato vinto dallo studio fiorentino Fagnoni&Associati. La riqualificazione interessa 2.200 mq totali, di cui circa 1.830 mq destinati a residenze e spazi comuni, mentre i restanti 370 sono 103


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VIA GESSI 4/6

HOUSING SOCIALE CONDOMINIO SOLIDALE



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Il condominio è una struttura abitativa pubblica, sito in via Romolo Gessi a Torino (da qui il titolo che porta il progetto), nel quartiere di Santa Rita, ma con alcune caratteristiche peculiari, che lo fanno essere una iniziativa sperimentale, unica nella Città. Santa Rita è un quartiere della zona sud-ovest della città che fa parte della Circoscrizione 2 di Torino, e che prende il nome dalla chiesa dedicata a Santa Rita da Cascia, costruita al centro del quartiere nella prima metà del XX secolo. Il tradizionale impianto agricolo del XV secolo rimase pressoché intatto fino ai primi del Novecento, quando furono costruiti i primi edifici al di fuori della cinta daziaria: lo sviluppo urbano venne fissato intorno alle barriere doganali di Orbassano e Stupinigi e alle relative direttrici stradali, secondo i piani regolatori del 1887, del 1901 e del 1908. Le case popolari di via Tripoli 71-75 sorsero tra il 1908 e il 1912, . Negli stessi anni si era sviluppato il nuovo polo militare attorno alla nuova piazza d’Armi, ceduta dal comune all’esercito nel 1906. Il nuovo ospedale militare “Alessando Riberi”, venne inaugurato il 5 luglio del 1914. Occupava un’area di 85000 m2 e fu considerato uno dei migliori esempi di edilizia ospedaliera del tempo e un “prodigio di modernità”.

rapidamente per l’immigrazione dalle campagne, dal sud Italia ma anche dalle zone centrali della città. Nel 1961 si registrò un aumento del 223% rispetto ai dieci anni precedenti: gli abitanti passarono da 23.000 a 74.000. Il ritmo costruttivo si accentuò ancora di più negli anni seguenti, anche in conseguenza della legge sulle case popolari n. 167 del 1962. Tra il 1963 e il 1968 il quartiere crebbe disordinatamente. Oggi è un’area residenziale con un tenore di vita medio alto e con la più alta percentuale di popolazione anziana. Popolazione che, a causa della scarsità di esercizi commerciali e servizi si trova un po’ in isolamento. Romolo Gessi naque su un piroscafo in mezzo al Mediterraneo, ebbe una famiglia multietnica, fu poliglotta e viaggiatore e lotto per abolire la tratta degli schiavi. Questo condominio che sorge nella via a lui intitolata, è il disegno epilogo della sua biografia. Il progetto è stato proposto dall’Associazione Salesiana per il territorio (A.G.S.) nel marzo 2008. L’Associazione si occupa di: promozione umana, assistenza, l’istruzione, cultura, formazione professionale, comunicazione sociale, l’educazione al territorio, allo sport, al tempo libero, al turismo, al volontariato e attività socialmente utili promosse dalla Famiglia Salesiana.

A partire dal dopoguerra la popolazione cominciò a crescere 111


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Il condominio di proprietà del Comune di Torino nella quale si è realizzata la sperimentazione, ha coinvolto molti enti: il Programma Housing della Compagnia San Paolo ha contribuito sia nella parte di progettazione sia in quella economica, e ha collaborato con diversi soggetti: Divisione dei Servizi Sociali, Divisione Servizi Sociali, Divisione Edilizia Residenziale Pubblica e Periferie della Città. Il condominio è una struttura abitativa pubblica, un condominio appunto, ma con alcune caratteristiche peculiari, che lo fanno essere una iniziativa sperimentale, unica nella Città. Prima fra tutte il fatto di essere un “luogo”: un posto cioè, dove è importante il nome delle persone, la loro storia, dove chi ci abita è posto al centro; ed è proprio per questo che è diverso dagli altri edifici, dove spesso si vivono storie di solitudine o semplicemente dove si è sovente indifferenti all’altro; ma è per gente normale: uomini, donne, bambini che hanno avuto percorsi di vita più o meno complicati, ma che, come tutti, fanno una vita normale, fatta di piccole cose, giorno dopo giorno. Il progetto chiamato: “Casa di Zia Jessy” è composto da 30 bilocali di dimensioni contenute di cui 18 abitati da anziani inseriti nell’edilizia popolare, 8 dedicati agli ospiti temporanei – genitori soli, prevalentemente donne con figli, giovani tra i 18 e i 32 anni e donne sole - e 4 riservati alle famiglie affidatarie. Si tratta di nuclei

o persone singole, scelti a seguito di un percorso di conoscenza effettuato da operatori dei Servizi Sociali ed economicamente autonomi, che accompagnano e affiancano durante il periodo di permanenza in condominio gli ospiti temporanei. Il Comune di Torino riconosce loro un contributo forfetario mensile a titolo di rimborso per l’affidamento residenziale delle donne con figli minori e dei giovani fino ai 21 anni d’età che abiteranno negli 8 alloggi. Il piano terreno è invece completamente destinato a spazi comuni e funzioni collettive: una metà circa costituisce il “soggiorno comune” del condominio solidale, un ampio locale polivalente più una cucina comune ed un locale per il gioco dei bambini. L’altra metà è destinata agli spazi comuni aperti al territorio lo “spazio anziani” ( a carico della Circoscrizione 2 della città di Torino) aperto a tutti gli ultrasessantacinquenni del quartiere, dove vengono fornite prestazioni assistenziali, quali doccia assistita, lavanderia e stireria, pedicure e parrucchiera. Ospitano circa 30 persone, le quali si riuniscono quotidianamente e usuffruiscono di servizi sanitari e di volontariatoe svolgendo insieme numerose attività.

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Il principale obiettivo è di intervenire sulle fragilità temporanee legate soprattutto ad una fase della vita fornendo agli utenti un alloggio per il tempo necessario al superamento della fase di crisi personale e al conseguimento della definitiva autonomia. L’accoglienza può durare quindi un periodo massimo di 18 mesi (discorso che ovviamente non vale per gli alloggi destonati agli anziani, che, invece, vengono gestiti secondo la prassi dell’edilizia residenziale popolare). Il progetto promuove inoltre una nuova modalità di abitare, quella del “condominio solidale”, basata sul mutuo aiuto da parte dei diversi inquilini in un contesto di multigenerazionalità e multiculturalità incoraggiato dalla partecipazione ad attività di socializzazione e alla condivisione di spazi comuni: si offre così ai “nonni” l’opportunità di prendersi cura dei “nipoti”, facilitandone il mantenimento in attività e l’inserimento sociale nel contesto urbano e una buona integrazione con gli abitanti, e alle mamme una situazione di maggior tranquillità per loro e per i loro figli, nel corso del reinserimento sociale rappresentato dalla ricerca di un lavoro e di una collocazione abitativa stabile, coadiuvate dagli educatori. La convivenza non si rivela sempre facile, ma anche imparare a confrontarsi, a convivere e scontrarsi con opinioni e esigenze diverse rafforza l’empowerment degli utenti. Nessuno è semplicemente ospite o fruitore della struttura, ma ne diventa una parte integrante, imparando ad assumersi le proprie responsabilità.

Infine, come detto, A Casa di Zia Jessy offre servizi agli anziani dell’intero quartiere. L’intenzione è di aprire in futuro nuovi spazi del condomino agli abitanti della zona, offrendo loro piccoli servizi, ad esempio mettendo a loro disposizione lo spazio bimbi.

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PIAZZA DELLA REPUBBLICA 13 HOUSING SOCIALE CONDOMINIO SOLIDALE



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L’edificio in Piazza della Repubblica 13 e si affaccia sulla piazza del mercato. Questo stabile è uno dei più antichi presenti nel quartiere e delimita a nord la piazza ottagonale. Nel 2010 e stato avviato un intervento di recupero relativo al complesso edilizio di proprietà comunale, fortemente degradato ed in stato di abbandono. L’intervento consiste nella realizzazione di alloggi di Housing Sociale per anziani da destinare a popolazione ultrasessantacinquenne con relativi servizi aperti alla cittadinanza, rispondendo al Bando Regionale Piemonte che prevedeva la costruzione di 10.000 alloggi entro il 2012 di Edilizia Sovvenzionata da destinare agli anziani. L’elaborazione del programma, ha coinvolto diversi soggetti: la Divisione Edilizia Residenziale Pubblica, la Divisione Servizi SocioAssistenziali -Settore Anziani, e The GATE, sono inoltre presenti i servizi sociali della Circoscrizione VII, la Divisione Servizi Educativi e l’ASL IV. Il progetto si fonda sulla realizzazione di “case accessoriate di servizi”, collegate alla rete dei servizi della Città. La riqualificazione riguarda 3.955 mq tra servizi e alloggi, mentre per i parcheggi sono stati destinati 1.4356 mq e per il verde attrezzato 410 mq. Sono previsti 31 alloggi (gestiti da ATC), di cui 30 alloggi sono per gli anziani, mentre un alloggio di servizio sarà destinato al volontariato per la realizzazione del

progetto “condominio solidale”. La struttura ospiterà 31 famiglie , con un massimo di 62 utenti. Oltre ai caratteri innnovativi di sperimentazione sociale il complesso ha notevoli indirizzi di sperimentazione tecnologica per l’assetto energetico (energie rinnovabili) e del benessere termoigrometrico, per la sostenibilità ambientale e per aspetti legati alla domotica, in un contesto architettonico consolidato legato ad importanti presistenze storiche. Il complesso è caratterizzato dall’assenza delle barriere architettoniche sia nei percorsi sia negli alloggi, garantendo l’ accessibilità in tutti i locali, così da garantire la facilitazione della fruizione degli spazi, privati e comuni. Una particolare attenzione è stata rivolta all’utilizzo di materiali naturali, alla reciclabilità dei materiali, al controllo della qualità dell’ aria, all’isolamento acustico, all’accumulo termico passivo con l’istallazione di pannelli solari e fotovoltaici e altri accorgimenti legati alla bioarchitettura e alle migliori performance energetiche. Gli spazi comuni interni sono le zone di soggiorno distribuite ai vari piani ad uso esclusivo dei residenti. Si prevede in particolare la realizzazione di un’articolata struttura di servizi, gli spazi aperti al territorio: un baby- parking due sale polifunzionali, 2 uffici, 1 palestra, giardino-serra interno cortile (luogo di aggregazione per anziani), e infine una terrazza. 121


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VIA SAN SIMONE 3 HOUSING SOCIALE CONDOMINIO SOLIDALE



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L’edificio è situato tra le vie Mameli e San Simone, nel cuore del quartiere di Porta Palazzo, a due passi dall’Arsenale della Pace. Nel 1964, su iniziativa di Ernesto Olivero, venne fondato a Torino il Sermig, con l’obiettivo di aiutare sopratutto i più bisognosi in città. Nel 1983 il Sermig decise di investire in quest’area che stava lentamente diventando uno dei simboli dell’immigrazione extracomunitaria. In particolare trasferì qui la sua sede, nel cosiddetto Arsenale della Pace: originariamente un’antica fabbrica di armi in disuso. Dal 1983 grazie anche al lavoro gratuito di tanti giovani, l’Arsenale si trasformò in una sorta di monastero metropolitano aperto 24 ore su 24, diventando un punto di riferimento. Il promotore del progetto in esame è Il Sermig “Servizio Missionario Giovani”, che intende sperimentare una nuova forma di Housing Sociale nell’ambito delle attività di assistenza e sostegno. Il progetto intende dar vita ad un’innovativa esperienza di abitare solidale. L’intervento di riqualificazione riguarda 1.689,62 mq totali, di cui circa 862,03 mq sono destinati a residenze per 4 piani fuori terra, mentre 540,59 mq al piano interrato e i restanti 287,56 sono riservati ai locali al piano terra. Sono previsti circa 12 alloggi. Il condominio solidale ospiterà 3 donne sole o con bambini e 9 famiglie. Nelle tre unità abitative del Condomino della Speranza è prevista

una permanenza iniziale di 6 mesi. L’ospitalità è prorogabile a 12 o 18 mesi, in caso di avvio di un percorso di lavoro o di studio che necessiti di stabilità abitativa oppure nel caso di donne straniere in uscita dal percorso di protezione, con o senza figli. Il progetto prevede che le ospiti versino una quota inizialmente simbolica, che progressivamente aumenta per il pagamento delle spese di affitto e gestione. Nelle 9 unità abitative restanti il Sermig intende incoraggiare il mix sociale del condominio nel quale abiteranno oltre a soggetti autosufficienti, anziani soli o persone diversamente abili con parziale autonomia, anche famiglie di volontari del Sermig a testimonianza e sostegno della volontà di cambiare la visione unilaterale del quartiere. Lo spazio comune interno è il cortile. Nel piano terra sono inoltre previste attività commerciali ecologicamente rilevanti e tre sale polivalenti che saranno gli spazi aperti al territorio . L’innovazione del progetto di abitare solidale sta nella produzione di ricchezza in termini di sostegno alla struttura in quanto ad ogni ospite viene richiesta una viva partecipazione alla gestione delle attività inerenti la cura ed il mantenimento del condominio ma anche nel sostegno tra i residenti.

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VIA SAN PIO V, 11 HOUSING SOCIALE CONDOMINIO SOLIDALE



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L’immobile si trova in Via S. Pio V 1 1, sede delle Suore di Carità di Santa Maria e di una Scuola Materna. L’edificio è molto importante per la storia del quartiere, è infatti, con molta probabilità, la prima costruzione, risalente alla fine del Settecento. In alcune carte del 1790 questa struttura era indicata come il Convento di San Filippo, attorno al quale erano nate alcune piccole case inseguito abbattute. Il promotore del progetto in esame è il nuovo programma Housing della Compagnia San Paolo. La ristrutturazione riguarda un immobile in condizioni di abbandono. L’obiettivo del progetto è la riappropriazione dell’immagine originale dell’edificio, integrata da un progetto contemporaneo, che assume la vivibilità e la fruibilità degli spazi come l’obiettivo primario. La nuova facciata di Via San PIo V presenta un restauro vero e proprio dell’edificio storico originale integrato dai nuovi bowwindow al terzo piano. Questo originale elemento tecnologico dona grande vivibilità e luminosità agli alloggi previsti in all’ultimo piano. Questa residenza potrà offrire circa 70 unità abitative temporanee per soggetti in situazione di vulnerabilità sociale. Il Progetto prevede una totale ristrutturazione, la maggior parte resterà alle Suore di Carità, mentre nella parte restante,

quella oggi abbandonata, verranno realizzati una quindicina di appartamenti, destinati soprattutto a donne. Il progetto ha riservato una particolare attenzione alle relazioni distributive per le diverse attività che devono convivere in questo edificio. Il piano terra e il primo piano sono riservati alla scuola per l’infanzia, alla chiesa e alle unità abitative delle suore. Il secondo e il terzo piano sono invece dedicati alla residenza temporanea. Gli alloggi sono mono e bilocali, con la possibilità di collegare gli appartamenti per ospitare famiglie più grandi. Il progetto ha dato molta importanza alla presenza e alla caratterizzazione degli spazi comuni, dislocati in tutto l’edificio, che diventano un’occasione preziosa per creare relazioni sociali: grandi sale polivalenti, una lavanderia, una stireria, una cucina e un grande terrazzo sono spazi di socializzazione ed interazione tra i vari utenti della residenza. Gli spazi aperti al territorio si trovano al piano terra. Nelle due ali laterali l’edificio ospiterà delle attività paracommerciali, e delle sale polivalenti destinate alle relazioni di quartiere. I cortili saranno aperti al territorio.

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BUENA VISTA

HOUSING SOCIALE CONDOMINIO SOLIDALE



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Buena Vista è un nuovo esperimento di Housing Sociale a Torino: le palazzine del MOI, ex villaggio olimpico, ospitano il nuovo progetto di Social Club. Un’esperienza che è destinata a contribuire alla rigenerazione del quartiere che è stata resa possibile grazie all’appoggio del Comune di Torino, della Fondazione 20 marzo 2006, della Compagnia di San Paolo, di Banca Etica e di tutte le realtà del Social Club. Il Social Club è un’Associazione di promozione sociale, sportiva e dilettantistica, fondata a Torino nel 2009 dopo due anni di progettazione collettiva, da diverse associazioni e cooperative sociali del territorio. Il principale obiettivo è il miglioramento della qualità della vita dei lavoratori appartenenti alle organizzazioni associate. Il Club dei lavoratori del no profit torinese. Il processo di ristrutturazione è stato realizzato grazie ad un cantiere collettivo dei soci lavoratori in soli 4 mesi, è nel mese di Novembre del 2012 è stato inaugurato. Il progetto consiste nella creazioni di alloggi a prezzi calmierati, circa il 30% in meno rispetto ai prezzi di mercato. L’obiettivo di questa trasformazione è offrire un buona qualità dell’ abitare grazie ad un operazione economica e non di sussidio, diventando così un operazione ripetibile sul mercato.

L’edificio di 4.000 mq ospita 29 alloggi per inquilini e soci lavoratori delle numerose realtà che fanno parte del Social Club mentre 10 alloggi sono destinati agli studenti internazionali arrivati a Torino per frequentare un master. Il carattere simbolico dell’edificio viene potenziato infatti dalle serigrafie in facciata. La grande facciata del MOI si configura quindi come una grande tela dove l’artista ha reinterpretato i temi legati al sociale e all’abitare analizzandoli secondo la propria personale visione. Il progetto Buena Vista ha dato molta importanza alla presenza e alla caratterizzazione degli spazi comuni, dislocati in tutto l’edificio e diversi tra loro, che diventano un’occasione preziosa per creare relazioni sociali: grandi terrazzi, tetti verdi, un orto urbano e sale comuni offrono spazi di socializzazione ed interazione tra i vari utenti della comunità.

Un discorso aperto sul reinserimento dell’edificio nella rete del quartiere che implica un ragionamento creativo sulle facciate come volto del progetto che si svolge dietro le pareti dello stabile e, a partire da questo, genera processi sociali rivolti al quartiere stesso. 141


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VIA SAN MASSIMO 31-33 HOUSING SOCIALE COABITAZIONE SOLIDALE



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Il condominio solidale è situato nella Prima Circoscrizione del Comune di Torino, nel centro storico, che si affaccia sull’ottocentesca piazza Cavour. Alla fine del 1600 a Torino era stata istituita l’Università dei Mastri fabbricanti di stoffe pregiate, e negli anni successivi Vittorio Amedeo II decise di localizzare in questo quartiere la parte più “commerciale” della città, per la manifattura dei “Mastri vellutai e delle stoffe di seta”. Nel 1779 venne acquistata l’area prossima all’Ospedale San Giovanni e nel 1784 l’arch. Pietro Bonvicini sviluppò un progetto ad angolo sulla piazza Cavour l’isolato di S. Paquale, dove nel 1795 fu ultimato un grande edificio che accoglieva gli alloggi per i tessitori e gli spazi per ospitare circa 300 telai. Vennero così organizzati dieci appartamenti per piano su cinque piani fuori terra, formati da una grande camera per accogliere i telai, inframezzate da locali più piccoli per le abitazioni dei lavoranti. Gli appartamenti erano serviti da scale poste in corrispondenza angoli dell’edificio: in questo modo veniva brillantemente risolto il problema dell’aggancio tra i due corpi di fabbrica e venivano creati due pozzi di luce esagonali fasciati da rampe a vista, con i ballatoi di distribuzione agli appartamenti. La soluzione è di grande impatto visivo, nonostante sia totalmente assente l’apparato ornamentale. Nella facciata esterna, una robusta fascia marcapiano sottolinea gli ambienti

dei laboratori, le aperture sono modulari e coronate da timpani alternativamente curvilinei e triangolari. L’isolato triangolare era chiuso dal contiguo convento dei Padri Trinitari Scalzi di San Michele. Negli anni 70 il Comune di Torino destinò lo stabile all’edilizia popolore. Dopo la ristrutturazione vennero assegnati 150 alloggi prevalentemente a persone sole. In questi anni lo stabile è stato scenario di conflitti interni, piccoli delitti e storie di solitudine: dalle buche delle lettere incendiate ai reati più gravi come furti e risse. Gli abitanti sono generalmente persone con gravi difficoltà sociali e con una debole rete relazionale. L’edificio è uno di quelli storicamente segnati dalle concentrazioni più alte di marginalità sociale, economica e degrado edilizio. Si tratta di una vera e propria isola di edilizia popolare nel mezzo della parte più ricca della città. L’area negli ultimi due decenni ha subito un rapido processo di gentrification, numerosi interventi di valorizzazione immobiliare, di risanamento e ridisegno degli spazi pubblici e l’inserimento di attività di pregio. Nel mezzo di questo tessuto storico esistono tuttora alcune enclavè in qualche misura problematiche rispetto al processo di gentrification, o per la composizione del tessuto sociale o per gli usi degli spazi pubblici. Contro il disagio il Comune di Torino ha fondato il primo palazzo della solidarietà, intraprendendo una collaborazione 147


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con l’associazione Acmos del gruppo Abele concede in affitto, all’interno dell’edificio, alloggi ad uso abitativo per fornire servizi di mediazione di conflitti. L’associazione è nata nel 1999 da un gruppo di giovani provenienti di diverse esperienze di volontariato e di impegno sociale, accumunati dal desiderio di cercare insieme percorsi di solidarietà e giustizia, di partecipazione e responsabilità. Si prefigge come scopo di promuovere e sostenere l’inclusione democratica, attraverso progetti di educazione ai valori che fondano la cultura della cittadinanza attiva, rivolti in particolare modo ai giovani. All’interno dell’associazione è nata nel 2006 la Comunità dei Tessitori, la quale è composta da dieci giovani di età inferiore ai trenta anni, che hanno l’obiettivo di contribuire alle politiche abitative di Housing Sociale e mix sociale unicamente in questo stabile (“tessere il tessuto sociale”). I tessitori a fronte di un affitto a prezzi calmierati si impegnano a fornire una serie di servizi (dieci ore settimanali) per sperimentare un progetto a lungo termine di vicinato e prossimità sociale.

sole, soggetti con disabilità psichiche o motorie, etc.). Ciò avviene anche perché il numero medio di componenti dei nuclei familiari che occupano alloggi di edilizia pubblica è sempre minore, mentre d’altro canto cresce l’età media; il problema è sempre più dunque quello di offrire sostegno a persone che vivono sole. Dall’altro lato l’attività della Comunità è rivolta a mediare le tensioni fra gli abitanti, e a ricostruire laddove possibile un senso di comunità. Il lavoro viene coordinato dal Tavolo di Progetto, che si riunisce mensilmente e in cui sono presenti tutti i soggetti coinvolti: Comune di Torino (divisione Edilizia Pubblica), ATC, Servizi Sociali della Circoscrizione 1 e la Polizia Municipale. L’associazione inoltre collabora con: Centro Diurno “La Sosta” della Caritas Diocesana, Cooperativa Crescere Insieme, Associazione Culturale Circolo dei Lucani, Casa del Quartiere di San Salvario e Oratorio San Luigi.

Il progetto della Comunità intende affrontare due tipologie principali di problemi. Da un lato i membri elaborano strategie quotidiane di sostegno alle persone in difficoltà (anziani, persone 153



Dal punto di vista gestionale la comunità è un’interessante sperimentazione di un accordo praticamente a costo zero, l’ente pubblico riceve un servizio in cambio di assegnazioni agevolate di alloggi ottenendo un modello di vita comunitario e un progetto economicamente sostenibile.

doposcuola per i bambini dello stabile. Successivamente questo appartamento è stato riservato all’accoglienza, per persone che stanno attraversando un momento di difficoltà, e hanno bisogno di rigenerazione in attesa di una situazione abitativa più favorevole.

Obiettivo del progetto è il miglioramento della qualità della vita del palazzo, non solo svolgendo un lavoro di sostegno, ma anche stimolando il protagonismo e la presa di responsabilità degli inquilini rispetto alla propria vita e a quella dell’intero stabile. Tra gli abitanti di via San Massimo alcuni dimostrano una buona partecipazione al progetto, mentre altri non accettano la presenza dei volontari.

Questo progetto non ha spazi aperti al territorio, ma l’intezione è stata di creare una rete solida tra le associazioni già presenti nel quartiere. Solo attraverso la festa dei vicini si svolgono attività aperte al territorio con l’obiettivo di creare legami di vicinato e prossimità per uscire dall’isolamento e ritrovare la capacità di vivere insieme agli altri.

Le attività della Comunità vengono svolte principalmente nel cortile condominiale, uno degli spazi comuni. Spesso vengono organizzate attività ricreative per i bambini, feste condominiali e annualmente la festa dei vicini che conivolge tutto il quartiere. Il concetto basilare in questi luoghi è che il bene comune è un bene pubblico e tutti ne hanno la responsabilità e se ne devono prendere cura, infatti sono gli stessi abitanti che si occupano del ordine del cortile. Inoltre, un altro spazio si trova al piano terra e accoglie le riunioni dei tessitori. Infine, un alloggio era destinato allo spazio33, luogo utilizzato per attività comuni come eventi sociali, spazio d’incontro e attività di

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CORSO MORTARA 36/7

HOUSING SOCIALE COABITAZIONE SOLIDALE



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lIl condomino solidale è situato nell’area denominata Spina 3 nella circoscrizione 5. La zona è stata caratterizzata, sino a due decenni fa, da una forte presenza industriale, grazie alla sua localizzazione strategica nei pressi del fiume Dora e lungo i binari della linea ferroviaria. E’ infatti su questo territorio che, a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, si insediarono alcune delle storiche fabbriche torinesi. II segni di questo passato industriale sono ben evidenti negli edifici del quartiere, oggi destinati alla riconversione o già trasformati. Questi quartieri, che per decenni hanno convissuto con le fabbriche, confinano oggi direttamente con i nuovi comprensori residenziali e con il parco costituendo la zona di “ricucitura” tra le aree di recentissima edificazione e il tessuto urbano circostante. Filo Continuo è il nome dell’associazione di Acmos che porta il suo impegno nell’edificio di edilizia residenziale pubblica di corso Mortara 36/7 a Torino.
 Il tipo di saldatura a filo continuo ha la peculiarità di saldare grazie ad un unico filo di rame senza interrompersi mai. Peculiarità dell’esperienza sono la riduzione dei consumi e la condivisione degli spazi. Lo stabile ospita 90 appartamenti distribuiti su 21 piani, due appartamenti sono destinati ai quattro ragazzi volontari .

Il progetto di questa comunità è generare legame sociale e gestire i conflitti, sperimentandola con l’accoglienza di minori, cercando di accompagnarli in percorsi di autonomia. L’attenzione della Città per questo quartiere in trasformazione è alta: lo dimostra l’esistenza del Comitato Parco Dora, che accompagna la trasformazione del territorio con progetti e attività, fungendo da coordinatore delle associazioni presenti, come ACMOS. Lo dimostra anche il fatto che nella torre di corso Mortara esistono due locali comuni, teatro delle attività delle associazioni del territorio e luogo a disposizione di tutti gli inquilini che ne facciano richiesta al gestore. L’attività di tutte queste realtà coordinate è finalizzata alla costruzione di una vera e propria comunità nel palazzo. Le attività svolte dai volontari all’interno del palazzo si basano sulle relazioni tra gli inquilini e le istituzioni. Oltre a questo aspetto, sono attivi nella promozione di momenti di socialità come avviene, ad esempio, durante i Sabati Speciali. Gli spazi comuni interni sono completamente aperti al territorio, si trovano al piano terra e sono: spazi di servizio (lavanderia, e postazioni informatiche), spazi di socializzazione (sala polivalente), nelle quali si svolgono corsi e eventi culturali e infine un cortile interno su via Priocca. 159


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CASA SOL

HOUSING SOCIALE COABITAZIONE SOCIALE



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La Coabitazione Solidale si trova in Via Nizza, un’arteria particolarmente importante della città di Torino. All’inizio di via Nizza, all’angolo della stazione Torino Porta Nuova ci sono degli edifici porticati di metà Ottocento che proseguono, sul lato sinistro della strada, fino all’incrocio con via Berthollet. Il lato destro della strada è invece occupato dagli uffici della stazione. Negli anni quest’area è stata abbandonata, a causa del degrado sociale e architettonico.

Il Cicsene in partenariato con la Cooperativa Sociale Tenda Servizi e l’Associazione Ylda è stato individuato come soggetto gestore dell’esperienza di coabitazione solidale nello stabile di

Via Nizza 15-17 all’interno del Programma comunale torinese per l’attuazione del mix sociale negli alloggi Erp. Il progetto che ha preso ufficialmente avvio nel giugno 2010 ha previsto l’inserimento, all’interno dello stabile in oggetto, di un gruppo di 5 giovani coabitanti volontari con l’obiettivo di agevolare l’integrazione e il mix sociale all’interno del condominio, contrastare la solitudine, favorire l’integrazione degli anziani, dei migranti e delle altre persone residenti, prevenendo forme di degrado sociale e fisico dello stabile e contribuendo alla risoluzione dei conflitti derivanti dall’allestimento del previsto cantiere di manutenzione.

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VIA COTTOLENGO 26 HOUSING SOCIALE RESIDENZA COLLETTIVA



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L’edificio in via Cottolengo 26, è situato nel lato ovest di Porta Palazzo. In questa via sono presenti differenti strutture di assistenza sanitarie e di salute mentale. Nel 1832 apre a Borgo Dora la Piccola Casa della Divina Provvidenza, meglio conosciuta come il Cottolengo, dal nome del suo fondatore. La prima struttura di accoglienza di malati in stato di abbandono. Il quartiere Aurora ha visto svilupparsi grandi opere religiose e caritatevoli. Nell’antica via Cottolengo, sorge il Palazzo Opera di Barolo. L’Opera Pia Barolo fu fondata nella prima metà dell’Ottocento da Giulia Colbert, moglie del marchese Tancredi Falletti di Barolo, uno degli uomini più ricchi del Piemonte dell’epoca. Essa aveva l’obiettivo di riunire istituti di educazione, di assistenza e di soccorso delle giovani. Questo edificio è stato per molti anni sede di accoglienza e di sostegno sociale. L’Opera Barolo è proprietaria e promotore di questa nuova Residenza Temporanea.

rivolta a persone sotto i 35 anni con redditi bassi ma con un alto potenziale personale e una significativa intenzionalità a riconfigurare se stessi in vista di un miglioramento della propria condizione lavorativa. Queste caratteristiche hanno condotto l’Opera ad immaginare un progetto che offra servizi specializzati per l’orientamento professionale. In questo modo la gestione del progetto offrirà ai suoi ospiti l’occasione unica di entrare in un percorso personalizzato per la ricerca del lavoro e per il miglioramento delle proprie abilità di orientamento nelle offerte presenti sul mercato. Il progetto è oggi solo una proposta, gli spazi comuni sono in fase di progettazione, mentre si pensa di destinare il piano terra agli spazi aperti al territorio. Sono ancora da definire i tempi di realizzazione e l’inizio dei lavori.

ll progetto prevede la riqualificazione di 3.250 mq totali, di cui circa 2.250mq destinati a residenze, mentre i restanti 1.000 sono riservati a spazi comuni interni per attività aperte al territorio. Sono previsti circa 40 alloggi. La Residenza Temporanea (ospitalità massima 18 mesi) è 173


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4.13 Soggetti coinvolti

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Promotori

NumeroZero Sharing

NumeroZero Fondazione Sviluppo e crescita CRT, Oltre Venture e DOC

Repubblica 14 San Pio V 11

Comune Programma Housing San Paolo Ufficio Pio

Gestori

Supp Associativo

NumeroZero

CoAbitare Fuori Palazzo

Sharing srl

Associazione Ulaop Cooperativa Arcipelago

Consorzio Coesa Coperativa Sociale Atypica

Finanziamento

Consorzio Coesa Coperativa Sociale Atypica Pubblico

AGS

Gessi 4-6

AGS

Repubblica 13 San Massimo 31-33

ComunitĂ Tessitori

ACMOS

Comune Mortara 36/7

ComunitĂ Filocontinuo

Casa Sol Buena Vista

Social Club

San Simone 3

Serming

Cottolengo 26

Opera Barolo

Associazione Ylda

Associazione Ylda Cooperativa Synergica Cicense

Social Club

Social Club

Serming Opera Barolo

Privato

Serming Opera Barolo

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Conclusioni

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L’abitare condiviso si è rilevato un tema denso e profondamente legato alla società contemporanea. Intrecciando i fenomeni territoriali e sociali. L’abitare condiviso a Torino si riscontra attraverso due forme distinte dell’abitare, Cohousing e Housing Sociale. Dalla ricerca effettuata si traggono alcune considerazioni. Innanzitutto, i dodci casi sono situati in tessuti compatti e non più solo in periferia come accadeva nella “città pubblica”. Da questo, si evince come le nuove politiche e la società tendono a non emarginare questi luoghi utilizzando queste strutture come punto di forza per il territorio in cui si collocano grazie all’offerta di servizi. Inoltre, lo sviluppo di queste forme dell’abitare prendono vita negli ultimi dieci anni. Da un lato, il Cohousing, è un modello abitativo recente nel nostro paese, sviluppatosi da un esigenza sempre più diffusa di socialità e voglia di condividere la quotidianità. Dall’alto lato, l’Housing Sociale, risponde alla questione abitativa riscontrata negli ultimi anni, ed è reso praticabile grazie alle nuove politiche pubbliche sulla casa. Torino ha posto molta attenzione a questa sperimentazione promuovendo moltemplici progetti. Ulteriormente si evidenzia che in queste nuove forme dell’abitare cambia la tipologia tradizionale dell’alloggio, vengono costituiti spazi comuni che possono ospitare diversi servizi, come cucine, lavanderie, salotti, sale multifunzionali. In questo modo la metratura dell’alloggio diminuisce grazie all’utilizzo collettivo di questi spazi. Uno dei principi fondamentali del Cohousing è la progettazione e costruzione partecipata, questo permette ai cohousers di personalizzare la propria abitazione secondo le proprie esigenze. In contrapposizione, la progettazione delle abitazione spesso è troppo personale e non guarda al futuro (alloggi per nuclei familiari prestabiliti, e non flessibili). 181


Differentemente, l’Housing Sociale, a causa del cambiamento della composizione dei nuclei famigliari, prevede l’offerta di mono e bilo-cali, diversamente dalle case popolari degli anni 50-60. Inoltre, i progetti prevedono anche spazi aperti al territorio promuovendo la condivisione. Un ulteriore considerazione è focalizzata sugli abitanti. In entrambi i casi aderiscono a un progetto abitativo, ma si contraddistinguono per diverse ragioni. In primo luogo, il Couhousing è una scelta di vita a lungo termine, mentre l’Housing Sociale prevede una permanenza temporanea. In secondo luogo, ll Cohousing è una pratica aperta a tutti, solitamente aderiscono persone con un alto livello culuturale e con un alto livello di relazioni sociali. I cohousers scelgono questa nuova forma dell’abitare e attraverso le proprie capacità danno forma al Cohousing e sono in grado di acquistare autonomamente un immobile. Mentre l’Housing Sociale risponde al problema casa di una fascia di popolazione sempre più ampia, senza i requisiti per la graduatoria della casa popolare, ma in una fase transitoria della loro vita, in difficoltà nel confrontarsi con il mercato immobiliare. Ospita soggetti con profili differenti garantendo un mix sociale. Considerando i due filoni riscontriamo obiettivi comuni, come l’integrazione con il territorio, l’organizzazione di spazi comuni e la partecipazione (anche se in forme diverse), con il fine di contrastare una città troppo individualistica. Infine, sono emerse delle considerazioni differenti per ogni caso che vengono descritte di seguito. NumeroZero, unico caso di Cohousing, è un progetto appena terminato e la sua apertura è rivolta al territorio con differenti attività, ma ancora in fase di sperimentazione. I cohousers sono riusciti a portare a termine gli obiettivi prefissi come: la partecipazione della progettazione e costruzione del Cohousing, la realizzazione di servizi in comune e la gestione diretta da parte dei residenti. Il risultato si può definire positivo grazie anche alla rete che hanno costruito con le associazioni del quartiere inserendosi perfettamente in un difficile contesto come quello di Porta Palazzo. 182


Possiamo affermare che il progetto pilota di Cohousing a Torino ha dovuto sicuramente superare molti ostacoli, tra tavoli politici e burocrazia che non riconoscono il Cohousing come modello abitativo, e le costanti riunioni tra abitanti. Sicuramente le capacità degli abitanti nel saper gestire questo progetto ha portato buoni risultati. Dalla loro esperienza si può evidenziare come un Cohousing possa risultare una riscrizione del territorio attraverso gli spazi della condivisione. I cohusers hanno aderito a un progetto abitativo che ha richiesto un impegno costante per la realizzazione. NumeroZero si può definire un esempio per i prossimi cohousers a Torino e non solo. Ora poniamo l’attenzione sulle sperimentazione dell’Housing Sociale a Torino. Si è riscontrato un esito positivo, grazie alla collaborazione interdisciplinare di diversi soggetti, da quelli pubblici a quelli privati fino alle associazioni. In particolare, pubblico e privato hanno costruito delle efficaci operazioni. Da un lato, il pubblico ha costituito nuove politiche pubbliche sulla casa utili per un buon funzionamento del progetto, dall’altro lato, l’interesse e i capitali investiti dal soggetto privato hanno costruito un campo adeguato per rispondere alla questione abitativa. Inoltre, le associazioni giocano un ruolo fondamentale nei progetti attraverso volontari e gestori sociali che mettono in atto progetti integrati e costituiscono una rete di soggetti pubblici (Circoscrizioni, servizi sociali, vigili di prossimità, A.S.L.). Il futuro di queste strutture potrà essere garantito grazie alla continua collaborazione e monitoraggio dei diversi soggetti coinvolti. In passato, il fallimento dell’edilizia popolare è anche attribuito dalla mancanza di una inadeguata gestione da parte degli enti punbblici. Infine, l’Housing Sociale ottimizza i progetti attraverso spazi comuni e spazi aperti al territorio garantendo momenti di socializzazione tra vicini, uscendo dalla logica di dover attribuire una funzione specifica ad ogni spazio, lasciando anche la libertà di uso agli abitanti, evitando conflitti.

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Albergo Sociale. il progetto comprende diverse formule abitative dall’albergo alla casa temporanea (max 18mesi) e l’inserimento di molti spazi comuni aperti anche al territorio permettono un buon mix sociale e un’ampia socializzazione. Sharing per il momento è l’unico progetto in atto e ha riscontrato un grandissimo successo vincendo il premio “BEST PRACTICE PATRIMONI PUBBLICI 2013”. Condominio Solidale. Sono progetti con l’obiettivo finale di costituire un legame di aiuto mutuo aiuto tra gli abitanti che possano essere utili a migliorare le condizioni di vita di tutti. Tra i casi studio già in funzione troviamo Via Gessi e Buena Vista entrambi riportano buoni risultati. Gli spazi comuni progettati e realizzati all’interno favoriscono la coabitazione e il mix sociale. Coabitazioni Solidali. Sono strutture pubbliche con un forte degrado sociale. L’obiettivo è quello di costruire un mix e l’integrazione sociale tra gli abitanti di edilizia pubblica. Il progetto prevede l’inserimento di giovani volontari (componenti di associazioni) all’interno, i quali sono un supporto per gli abitanti, e organizzando attività negli spazi comuni riescono a portare a termine gli obiettivi prefissi. Infatti, il comune sta ampliando la sperimentazione in diversi edicifi ATC. I casi analizzati, San Massimo 31-33, Mortara 36-7 e Casa Sol sono un esempio positivo a questa collaborazione tra associazioni e ente pubblico. Da un lato, San Massimo e Casa Sol sono state due sperimentazioni in un contesto di completo degrado sociale dove l’ente pubblico non era più in grado di gestirli. Dall’altro lato, Mortara 36-7 è progetto recente nato insieme alla costruzione della casa popolare per prevenire un futuro degrado sociale. Residenze Collettive Sociali. Sono progetti inseriti nel programma comunale che verranno realizzati nei prossimi anni. Attraverso la ricerca si è potuto solo apprendere gli obiettivi che il Comune si è prefisso, come favorire l’autonomia abitativa e i luoghi dove saranno realizzate, come via Cottolengo 26.

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In conclusione, possiamo affermare che in questi casi la coabitazione rappresenta un’innovazione e una risposta ai nuovi bisogni sociali. Il mix sociale permette di non generare contenitori sociali degradati. In questo modo la diversità viene vista come condizione positiva. Le nuove politiche sollecitano gli abitanti ad avere una posizione attiva, sia aderendo a un progetto abitativo sia ricercando un reinserimento sociale. Queste politiche ambiscono a un miglioramento della società. Proprio grazie all’analisi ravvicinata del fenomeno, si è potuto ribaltare il punto di osservazione per guardare alla coabitazione non più solo come tattica individuale e privata, ma come ad un vero e proprio fenomeno urbano con importanti ricadute sociali e territoriali. Come tale esso è bisognoso di un trattamento pubblico e sinergico che coinvolga tanto gli operatori del terzo settore abitativo e sociale quanto l’attore pubblico: un fenomeno urbano che, se trattato adeguatamente, potrebbe offrire grandi opportunità per rendere le città più accoglienti ed accessibili e per risolvere problemi di carattere sociale, abitativo ed economico.

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Ringraziamenti Dopo sette anni, finalmente sono arrivata alla realizzazione di un grande desiderio, è stato un lungo percorso pieno di emozioni e ripercorrendolo il pensiero più importante va ai miei genitori Cristina e Marco e a mio fratello Armando perché sono stati il mio punto di riferimento. Voglio ringraziarli per tutti i valori che hanno saputo trasmettermi e perché con grande sostegno mi hanno permesso di raggiungere questo importante obiettivo. Ringrazio Elena, la mia socia, il mio punto fermo, la mia forza, la mia amica. Con lei ho iniziato e concluso questo viaggio. Desidero ringraziarla per il coraggio e la forza che mi ha spinto a trovare in ogni situazione, per esserci sempre stata e per la mano sempre tesa che mi ha fatto trovare nei momenti difficili soprattutto quando dicevo che non ce l’avrei fatta. Per la sincerità del suo affetto e per le cose che ha condiviso con me dentro e fuori l’Università. Per tutto quello che mi ha regalato di giorno in giorno. Un grazie immenso alle mie compagne di avventura, Elena, Alessia e Erika, che hanno condiviso con me ogni tappa, tutte le gioia e tutte le delusioni. Sono state come una famiglia per me in questi lunghi anni e continueranno a esserlo per sempre. Grazie a Desy che considero come una sorella. La ringrazio per essermi sempre stata vicina con affetto sincero. Anche se siamo state lontane questo non ha precluso il suo sostegno morale in ogni circostanza. Un ringraziamento particolare va a Simone, Angela e Erika, che sono stati la mia seconda famiglia in tutti questi anni. Questo percorso senza di loro non sarebbe stato lo stesso, mi hanno aiutato e sostenuto in ogni passaggio importante. Desidero ringraziare anche tutta la mia numerosa famiglia tra zii e cugini per il loro grande sostegno. In particolar modo, Rosanna, che si è sempre interessata a ogni mio piccolo traguardo raggiunto. La sua vicinanza e quella di Luca mi ha aiutato ad affrontare ogni ostacolo. Grazie a Giorgio, Giulia e Caterina. Dedico un ringraziamento speciale alla piccola Giulia.

Ed infine un grazie e un augurio a me stessa... Antonia Laurenza



Ed eccomi qui, a pensare a questi anni con malinconia. Durante questo lungo cammino sono cambiate molte cose, dentro e intorno a me. Sono cambiata molto come persona, e oggi posso dire di essere orgogliosa di me stessa. Ho inseguito questo sogno con tutta la mia passione, dedicando tempo e sforzi, ma ho ricevuto anche tante soddisfazioni e gioie. Ho imparato che nella vita nulla è impossibile, basta volerlo. Ci sono delle persone che sono il punto fermo nella mia vita, e le ringrazio per avermi accompagnato in questo cammino. Mi riferisco a mia madre che con amore e grinta mi ha sostenuto e mi ha sempre regalato gioia ed energia positiva. A mio padre, che ha passato tutta la sua vita, a ricordarmi di studiare e di quanto fosse importante la cultura in questa società e adesso è una gioia sentirlo parlare di me orgoglioso e con il sorriso sulle labbra. A Erika, non solo una sorella, un’amica, ma la reale parte complementare della mia vita, ti ringrazio e questo successo lo dedico a te. Ad Antonia, una compagna e un amica, con cui ho condiviso ogni sogno, paura e angoscia di questi anni, insieme siamo una forza, e siamo riuscite ad arrivare fin qui grazie al nostro sostegno reciproco, grazie della tua sincera amicizia, un sentimento oggi raro e prezioso, spero di non perderti mai. A Fabio, un compagno che spesso ha subito i miei cambiamenti d’umore e le mie tensioni grazie per avermi dimostrato il tuo amore e per essere al mio fianco oggi. A Mirko, un amico speciale che mi ha sostenuto sempre, grazie per il tuo affetto. Il Politecnico mi ha regalato anche tante amicizie, come Silvia, che più che una compagna di università si è rilevata una compagna di vita e di avventura, la mia migliore amica. Un Grazie speciale, va alla persona che prima di tutte ha capito che la mia strada e la mia passione era il mondo del l’Architettura, Vincenzo. Come non ringraziare anche Erika e Alessia che hanno condiviso con me momenti buii e gioie, percorrendo ogni passo insieme. Inoltre a Valeria e Davide, che più che momenti di studio erano momenti di puro divertimento. Grazie a Giorgio, Lucrezia e Giulia. E infine un grazie va alle persone che non hanno creduto in me, grazie a voi in particolare, ho lottato duramente per raggiungere questo obiettivo, e oggi sono doppiamente soddisfatta di me. Grazie a tutti voi per avermi dato il vostro sostegno, grazie per i vostri insegnamenti e grazie per avermi arricchito come persona con il vostro affetto.

Elena Lo Presti


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