Politecnico di Torino A.A. 2013/2014 Corso di Laurea Magistrale in
Architettura Costruzione Città
Falchera. Le qualità di una città pubblica
Candidati
Relatrice
Simone Ruberto
Prof.ssa Arch. Cristina Bianchetti
Sara Cristina Zanforlin
Correlatore Prof. Arch. Franco Berlanda
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INDICE
Introduzione L’invenzione dei “treni deragliati”: intervista a Franco Berlanda
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Falchera
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Cenni statistici sul quartiere
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Lo spazio del muoversi a piedi: due diverse tipologie di spazio
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Le aree attrezzate: la vegetazione come sistema regolativo
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Gli edifici pubblici e il centro civico
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La tutela dello spazio domestico e dello spazio aperto, continuo e attraversabile
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Il progetto sociale
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Modificazioni e nuovi equilibri
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Modificazioni e ritardi durante la realizzazione
Il Piano per l’incremento dell’occupazione operaia, 1949-1956
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Inquadramento
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Le modificazioni del contesto
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Aspetti gestionali
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Abaco dei dispositivi che modificano il progetto
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Indicazioni e prescrizioni
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La questione della permeabilità
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Alcuni risultati quantitativi
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La Nuova Unità Residenziale Falchera
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La scomposizione di uno spazio aperto, continuo e attraversabile
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La Nuova Unità Residenziale Falchera, 1950-1956
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Autosufficienza del quartiere e separazione delle funzioni
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Il ragionamento sulle tipologie urbane
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I riferimenti storico-locali
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L’invenzione tipologica
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La disposizione al suolo degli edifici: la creazione di uno spazio aperto continuo e vario
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La disposizione degli affacci: la priorità all’isolamento degli alloggi
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Le particelle
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Lo spazio del muoversi in auto: l’automobile in secondo piano
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Dentro i recinti
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Fuori dai recinti
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Le istanze del presente
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San Giuliano e Falchera: due nozioni di vicinato nella tradizione modernista
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Un confronto iniziato da Astengo
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Due tipologie di corte
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Conclusione
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Bibliografia
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Crediti
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A tutti coloro che hanno creduto in noi. E a chi lo avrebbe fatto
Introduzione
Questa tesi propone una rilettura del progetto per la Nuova Unità Residenziale Falchera, un’icona della progettazione urbanistica degli anni ‘50 e, nondimeno, un progetto ancora oggi assai poco studiato e solitamente ricondotto, entro un approccio contestuale, nell’ambito del programma INA-Casa. La nostra ricerca si articola in una prima parte di intervista all’architetto Franco Berlanda, che ha partecipato alla vicenda Ina-Casa in modo diretto. In aggiunta, si è effettuata una ricognizione su dati statistici che evidenzia nel quartiere un carattere sociale oramai non più eccezionale nel contesto torinese. La seconda parte fornisce un breve e sintetico inquadramento del programma dell’INA-Casa, tale da permettere di capirne i caratteri, così come comprenderne le influenze sul progetto in esame. La parte successiva si occupa di operare una descrizione e de-costruzione del progetto Falchera, tesa a comprenderne l’idea fondativa e le logiche compositive, a partire da un’indagine iconografica sui disegni originali, messa a confronto con numerosi sopralluoghi che hanno permesso di cogliere i caratteri fisici, morfologici, relazionali dello spazio costruito del progetto. La decostruzione ha permesso di mettere in evidenza alcune logiche di costruzione degli spazi edificati ed aperti, dedotte da ricorrenze che assumono l’evidenza di alcune regole non dichiarate, ma nondimeno palesi. La chiarezza e la coerenza complessiva del disegno complessivopure entro le diverse formulazioni del progetto- sostengono questa ipotesi. Le regole pongono in stretta relazione la distribuzione interna degli edifici, i loro punti di attacco, le possibilità di muoversi dentro e fuori da essi con il sistema gerarchico dei percorsi, la loro tessitura e le loro relazioni con uno spazio aperto che è sempre progettato fin nei minimi particolari (oggi diremmo entro un progetto di paesaggio). Un’analisi per categorie separate (costruito, percorsi, spazio aperto) mostra la sua insufficienza. Poiché ciò che conta è l’articolazione delle relazioni, ovvero l’intima complementarietà tra queste che ne giustifica significato, forma e funzionamento. La rigidità, solo apparente, cela
una duttilità tale che ogni modifica introdotta si è riverberata sull’intero progetto. In altri termini, si può dire che il progetto si “muove” durante il suo sviluppo in modo organico, confermando ogni volta, le regole costitutive che abbiamo riconosciuto. Quelle che abbiamo individuato come regole costitutive convergono entro un’idea generale che ci pare essere tesa a tutelare, ai due estremi, lo spazio intimo, domestico e lo spazio comune, continuo e attraversabile. A questi si aggiunge lo spazio del centro civico, sostenuto dalle funzioni contenute che ne costituiscono lo scheletro morfologico ma anche la centralità conferita agli abitanti. Centralità resa ancor più evidente dalla natura isolata ed autosufficiente del progetto. Isolamento lungi dall’essere considerato un limite dai progettisti quanto più l’occasione per la creazione di un complesso dai caratteri realmente alternativi all’esistente. Tale varietà di spazi declina entro modi e sfumature differenti dello stare da soli e dello stare con altri. La configurazione spaziale cela, naturalmente, un’idea precisa delle condizioni sociali entro le quali si sarebbe posto il nuovo insediamento. Un “progetto sociale” altrettanto preciso, con una visione chiaramente progressiva della società e della pratica dell’urbanista. La messa alla prova dell’interpretazione che si dà al progetto è la quarta parte della tesi, realizzata ricostruendo le vicende delle trasformazioni indotte dall’abitare sullo spazio progettato nei primi anni ‘50. Ovvero gli slittamenti conseguenti le pratiche ordinarie: a volte minuti, spesso rilevanti, come nel caso delle modifiche “difensive” introdotte dagli abitanti negli anni settanta. Parallelamente il testo si occupa di comprendere le mutazioni nelle condizioni di contesto al progetto, come l’avvicinamento della città o la costruzione di nuove infrastrutture ed un nuovo insediamento residenziale nell’intorno dell’area. Questi ulteriori piani di lavoro sono stati mossi dalla necessità di capire cosa accada “nel tempo” al disegno urbano. Ovvero come questo si “adatta”, pone una sua inerzia o segue mutazioni che, dal basso o dall’alto, tendono ad incidere sulle logiche che ne definiscono il carattere. Molti spazi, la gran parte di quelli prossimi agli edifici residenziali, si sono adattati seguendo varie sfumature di appropriazione da parte di gruppi di soggetti, da tre a quattro alloggi dell’intera corte, che ne hanno mutato in modo sostanziale la natura; entro questi spazi si situa il campo di accordi e negoziazioni multiple che consentono una densità di pratiche importante. L’incapacità dell’automobile di stravolgere e comprimere il funzionamento di questi spazi ne esprime la forza e il valore.
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Nondimeno, non bisogna confondere il carattere concluso di questi spazi con l’autosufficienza. In questi spazi trovano diritto di cittadinanza pratiche per lo più temporanee e non strutturate. Vi è qui tutto il potenziale e, allo stesso tempo, tutti i limiti e le fragilità del progetto implicito. Altri spazi, ormai residuali, hanno perso il loro carattere estensivo e sostanziale. Altri ancora, come quelli legati al centro civico, hanno subito lo svuotamento di significato delle funzioni indotto dall’arrivo di un grande centro commerciale in posizione limitrofa. È su queste ultime due tipologie di spazio che si concentrano le istanze di riqualificazione della popolazione che dimostra, oggi come ieri, un orgoglio dell’appartenenza non comune. È nell’eccezionale vitalità dell’associazionismo falcherese, negli spazi chiusi delle sedi, che si esprime quello spirito unitario che non riesce ad esprimersi nello spazio pubblico. Non è probabilmente casuale che i progetti di riqualificazione contengano al loro interno sempre ed anche una volontà di visibilità, un mettersi in vetrina di chi è comunque consapevole del valore del luogo in cui vive. Al progetto urbanistico e sociale di Falchera possono essere ricondotti temi importanti dell’urbanistica -e dell’indagine sociale- in quei primi anni cinquanta. Primo tra gli altri, per l’ambiguità del trattamento che ne viene fatto in diverse esperienze di progettazione urbanistica, è il tema del vicinato. Per tale ragione l’ultima parte delle tesi presenta un confronto, che appare neccessario, con il progetto di San Giuliano a Mestre, coevo rispetto la Nuova Unità Residenziale Falchera, ma che con essa restituisce le due visioni del vicinato nella tradizione modernista in Italia. Il tutto seguito da nostre considerazioni finali.
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L’invenzione dei “treni deragliati”: intervista con Franco Berlanda Torino, Dipartimento Dist, 14 Aprile 2014, ore 15.00 Franco Berlanda nasce a Trento il 21 Novembre 1921. Da comandante partigiano ha vissuto l’esperienza del secondo conflitto bellico, con le conseguenze distruttive che ha comportato. Nonostante la guerra, la carriera universitaria di Franco Berlanda può continuare e, a seguito di un trasferimento da MIlano a Torino con una borsa di studio da ex combattente da parte del Governo, può laurearsi in Architettura nel 1948 ed iniziare un percorso professionale che lo vedrà al fianco di personalità importanti, partecipare a molti concorsi ed impegnarsi nella progettazione di case collettive, tema della sua tesi di laurea e nuovo in quegli anni. Berlanda è, difatti, uno dei tanti protagonisti dell’esperienza INA-Casa, per cui ha combattuto molto e, a partire dal 1950, dello Iacp, per il quale ha realizzato in Torino e provincia un migliaio di alloggi. Dal punto di vista professionale, non si può non citare l’importanza dell’aver conosciuto e frequentato lo studio di Ernesto Nathan Rogers, di essere stato associato di Gino Becker e di aver collaborato con il suo studio tra il ‘61 ed il ‘71, oltre all’arricchimento professionale derivato dal lavorare con altri illustri del mondo dell’architettura di quegli anni. Negli anni ‘70 diviene docente di Urbanistica all’istituto universitario IUAV di Venezia.
Simone Ruberto, Sara Cristina Zanforlin: ci fa molto piacere avere l’opportunità di intervistarLa e di ricevere una testimonianza così autorevole dell’INA-Casa. Franco Berlanda: L’esperienza dell’INA-Casa era molto importante perché appena laureati attraverso l’Ina Casa si aveva l’opportunità di avere un incarico. Non solo, c’era un ufficio studi centrale, comandato da Arnaldo Foschini, ma le cui due persone importanti erano Mario Ridolfi, che scrive il Manuale dell’architetto (e, contemporaneamente, le norme e suggerimenti per i progetti) e Adalberto Libera. Troviamo nell’INA-Casa un luogo accogliente. Io finisco gli studi nel ’48 e alla fine degli anni ’50 progetto due case, una a Beinasco e una a Borgaretto. In quegli anni avevamo dunque la possibilità di entrare subito nel mondo progettuale. L’importanza dell’INA-Casa dal punto di vista professionale è che si entra subito a farne parte. S.R, S.C.Z: Questa è, quindi, una cornice, possiamo dire, professionale,
in cui si inserisce l’esperienza INA-Casa. Ma su quale sfondo si dà? F.B: Nel ’45 finisce la guerra e rimangono alcune isole non ben chiare. Per esempio i Romani, che non fanno la Resistenza. Arriva, però, in Italia, con l’armata americana, Bruno Zevi che incontra a Roma Giulio Einaudi e fa subito il suo libro sull’architettura organica. Nel Nord, invece, quelli che erano i vecchi architetti Ciam sono quasi tutti dentro il Partito d’Azione (qualcuno comunista). Il loro modello era il piano Milano Verde. Una tradizione alla quale idealmente io e i miei amici ci iscriviamo. Come ci iscriviamo alla visita di Le Corbusier nel ’49. Così si poteva ereditare distintamente dai due grandi fenomeni culturali: Frank Lloyd Wright e Le Corbusier. Vi è una grande mediazione, in quegli anni, tra due modelli. Quelli che vanno a vedere la casa sulla cascata vanno anche a Marsiglia a vedere l’Unité d’Habitation e ne traggono influenze diverse. Da una parte si deve considerare che quanto detto si situa nella geografia di Milano e Roma, d’altra parte la forza che l’INA-Casa ha per le generazioni appena uscite dalla facoltà. La furbizia di Fanfani è di trovare un tipo come Foschini, che dirige il tutto in maniera totalmente aperta, non discrimina nessuno perché comunista. L’altra furbizia è prendere uno come Ridolfi che scrive il Manuale dell’architetto e il libretto delle istruzioni su come fare. Poi vengono fuori quartieri molto diversi l’uno dall’altro, c’è una differenza fra Roma, Torino e Milano, però sono quelle le tre città che “tirano il carro”. S.R, S.C.Z: Di Torino cosa si può dire? F.B: Torino conta poco perché non ha un architetto di riferimento. L’unico architetto che si fa nominare ordinario è Muzio, ma c’è per poco. Per me è stata una fortuna perché Muzio mi prende come assistente. Invece quello che era abbastanza chiaro è che le facoltà di architettura, che allora erano cinque o sei, non si parlano neanche. Questa geografia si complica con questo. Ma a Torino gli organici, con la scusa che c’era un’affiliazione della “malga” creata da Bruno Zevi a Roma, e, soprattutto, tenuto conto che qui ci sono anche dei fondi fuori dall’università, fuori dall’INA-Casa, che sono quelli dell’Olivetti, il maÎtre à penser che conta è Giovanni Astengo. Torino è una situazione strana rispetto a Roma e Milano, da una parte conta poco, dall’altra c’è quello che Olivetti innesca e c’è la figura di Astengo. S.R, S.C.Z: In che periodo lei ha conosciuto Astengo? F.B: Io sono stato nominato suo assistente volontario a Venezia nel ’51, però lo lascio quasi subito perché vinco il concorso alle case popolari, che mi impegna molto, anche se lo vedo frequentemente.
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S.R, S.C.Z: Parliamo di Falchera, come mai è stata decisa la creazione di un quartiere autonomo così distante dalla città? Quanto lo sviluppo industriale di quell’area e la presenza della ferrovia spingevano verso quella direzione? F.B: Su questa ci sono molti, molti interrogativi. Se si parte da Metron n°14 si scopre che nel Piano regionale fatto durante la Resistenza il progetto ricalca l’idea di un ampliamento della città in direzione nord. Torino si è sviluppata partendo da una ferrovia che arriva da Milano e penetra la città. Da una parte si va a Genova, e dall’altra in Francia. Questo porta al fatto che la città romana è lambita a nord dal prolungamento di via Roma. Lo sviluppo stradale, quello principale, è Corso Francia, che aveva la sua ferrovia, ma piccola. Nell’area di Falchera non c’era qualcosa di paragonabile, salvo un pezzettino di corso Giulio Cesare. La ferrovia, fino ad una certa epoca, è stata segnata dalla presenza di numerosi scali ad uso delle fabbriche, eliminati tutti con i diritti edificatori in quelle aree. Falchera avrebbe dovuto essere agganciata alla strada per Milano. Nel Piano regionale di Astengo la direzione verso Milano, è quella industriale. Inizialmente era lontana dalla città, è vero, ma si pensava fosse una sorta di “salto” per l’espansione della città che sarebbe seguita. Era intesa come indicazione circa lo sviluppo. S.R, S.C.Z: Se dovesse raccontare l’Astengo progettista di Falchera cosa direbbe? F.B: Astengo di Falchera inventa i “treni deragliati” perché gli organici odiavano idealmente l’angolo retto, che invece era l’icona dell’altra scuola. Anche in maniera sbagliata, perché a Torino portava ad avere isolati molto piccoli e densità molto alte. Si aveva la gronda che in Via Po è 18 metri su una strada di 18 metri e che, nelle strade attorno, rimane la stessa su strade di 12 metri. È lo stesso filo gronda, ma con un regolamento edilizio basato sul fronte strada per i padroni, con all’interno le case a ringhiera, allora di una sola stanza e bagno comune. Per capire Torino si deve studiare la storia del regolamento edilizio, per rendersi conto che gli architetti erano dei geometri che facevano quello che voleva il proprietario dell’area.
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S.R, S.C.Z: A Falchera lavorano persone diverse. Tuttavia il risultato è molto omogeneo. Cosa ci può dire a riguardo? Cosa guidava la progettazione? F.B: Ai tempi ero disegnatore di Gino Becker, che è uno dei progettisti in Falchera. È Astengo a chiamare alcuni architetti torinesi iscritti all’Apao, Associazione per l’Architettura Organica. Tra gli altri ci sono Mario Passanti, Gino Becker, Marco Romano. Ad ognuno di loro assegna una casa da fare. Il più giovane è Gian Franco Fasana, che fungeva da porta
parola di Astengo. Gli altri sono tutti del 1915-’16, un po’ più giovani dei rampanti milanesi che sono tutti nati tra il 1905 ed il 1912. Le case sono molto simili, perchè sono molto discusse quelle che oggi chiameremmo line guida nelle quali erano determinate alcune caratteristiche: tre piani fuori terra, coppi, muri non intonacati, due alloggi per piano. La disposizione a terra viene stabilita molto prima dei progetti degli alloggi, dei progetti esecutivi. C’è, in sostanza, questo “collettivo” di architetti che discute. Le regole sono molto chiare. C’è una specie di abaco da seguire con regole discusse, decise e applicate.
S.R, S.C.Z: Osservando il progetto, appare evidente l’invenzione di una tipologia edilizia che diviene di riferimento. Cosa ci può dire a riguardo? F.B: La tipologia edilizia è quella della cascina, tre piani fuori terra, tetti a coppi, muratura a vista, ante in legno. C’è soprattutto un’idea dell’imbricamento tra modelli urbani e modelli rurali. Una delle regole della carta d’Atene è fabbriche, verde, abitazioni. Nell’abitazione, più che nelle fabbriche e nel verde, ci sono i servizi. Le quattro funzioni della Carta d’Atene sono, qui, applicate in modo chiaro. L’odio era nei confronti della griglia. L’altro odio era per l’ibridazione: la piccola industria nei cortili, considerata (anche) anti-sindacale. I Romani non lo sapevano, ma un gran numero di operai metalmeccanici lavoravano in piccole unità nei cortili, mescolate alle case. Il famoso Borgo San Paolo era tutto così. L’idea era di prendere le distanze da questo modello. S.R, S.C.Z: Il riferimento all’ambito rurale può essere considerato come una forma di transizione verso un tipo di popolazione che lavora in ambito differente? F.B: Sai, nessuno avrebbe mai scommesso che centinaia di migliaia di persone sarebbero venute dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Puglia ed per a fare i meccanici. I Piemontesi un po’ di più, perché scendono dal Canavese, dalle Valli di Lanzo dove l’industria ha cambiato specie. Non c’è ancora in quel momento l’immaginario del grande inurbamento. Forse non c’eravamo accorti di come cambiava la situazione, di quanta immigrazione stesse arrivando da altre Regioni. S.R, S.C.Z: È a conoscenza delle modificazioni avvenute a Falchera in questi decenni? Da Falchera Nuova, alle corti al Centro Civico? F.B: Dovete tenere in conto che in origine erano case che dovevano essere di proprietà pubblica e non lo sono più. Questo ha cambiato
tutto. Io, Aldo Natoli e Carlo Melograni abbiamo scritto, sul Contemporaneo, un articolo al riguardo. Quando per demagogia si è deciso di regalare o vendere a poco prezzo le case pubbliche ai privati si è alienato, insieme allo spazio, un diritto all’abitare. Le case diventano un bene di mercato, e si fa un regalo a pochi privilegiati. Poi, il centro civico subisce l’influenza dell’arrivo dei grandi ipermercati. C’è un autore, Victor Gruen, che dice che tutto parte dal supermercato. Il primo grosso supermercato, che è quello Le Gru, ha cambiato tutto. Io e Becker avevamo l’incarico del piano regolatore, lo lasciamo. Cambia tutto, nulla rimane in piedi.
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Falchera
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Cenni statistici sul quartiere
L’Unità Residenziale di Falchera è un quartiere situato all’estremo nord del territorio del comune di Torino in quella che oggi è la VI Circoscrizione. La sua edificazione, nella forma di nuovo insediamento residenziale, risale alla metà degli anni ‘50 nel quadro del programma INA-Casa. La natura di insediamento di edilizia popolare ad oltre cinquant’anni dalla sua edificazione ha subito notevoli modificazioni. Il processo di riscatto delle abitazioni da parte degli assegnatari è stato molto intenso. Il tempo trascorso dalle prime assegnazioni, oggi prossimo a due generazioni, sembra sufficiente a diminuire in modo sostanziale gli effetti di un processo insediativo avvenuto per assegnazione invece che per scelta. Effettuare delle brevi considerazioni statistiche oggi può avere un duplice significato: da una parte, quando possibile avere dati di paragone, capire cosa sia cambiato nel corso di questi decenni di vita del quartiere, dall’altra effettuare un confronto all’oggi con la città di Torino e la sua provincia e, talvolta, con la situazione nazionale.
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Essendo parte di una circoscrizione i dati statistici disaggregati non sono facilmente reperibili e i più recenti a disposizione risalgono al 2005. Tutti i confronti sono stati, quindi, riferiti allo stesso anno. L’area non ha subito edificazioni estranee al progetto e la sua popolazione è rimasta sostanzialmente quella preventivata, ovvero poco più di 6000 abitanti (6034 all’ultimo dato disponibile, di cui 2917 uomini e 3117 donne) a fronte di un numero pari a progetto. Questa condizione ha conservato una densità abitativa molto bassa al confronto di altre realtà urbane ed ha mantenuto una densità di abitanti per vano di circa 1.4, paragonabile con dato nazionale del 1951, ma di molto superiore al dato odierno di circa 0.6 abitanti per vano. Falchera Vecchia è oggi un insediamento con grandi spazi aperti e densamente popolato nello spazio degli alloggi. La popolazione residente in Falchera Vecchia risulta essere composta da un 36% di abitanti oltre i 60 anni, a fronte di circa il 30% del dato torinese e del 25% nazionale, e di circa il 25% di abitanti con età inferiore ai 29 anni, a fronte del 26% nel torinese e di più del 31% su tutto il territorio nazionale. Come in parte prevedibile, l’incidenza della popolazione anziana è leggermente maggiore alla media cittadina, ma non di molto. La percentuale di persone in età lavorativa risulta, invece,
molto simile. La presenza di cittadini stranieri, aggregati per provenienza africana, americana -del sud e del nord- asiatica ed auropea, si situa ad un valore inferiore del 6%, vale a dire, 346 cittadini, 158 uomini e 188 donne. La presenza di cittadini stranieri è superiore al dato nazionale, che si attesta ad un valore del 4%, ma risulta la metà dello stesso dato a Torino, dove nel 2005 la popolazione straniera arriva al 12% di quella totale. In questo senso il quartiere conferma una certa stabilità insediativa della popolazione residente. Un’analisi presente sul sito Sportello Unico del Comune di Torino enuncia il tasso di scolarizzazione della popolazione, mostrando un 32% di licenze elementari, un 42% di licenze medie inferiori, circa un 10% di conseguimento di diplomi, percentuali che si abbassano notevolmente se si considera il raggiungimento del titolo di laurea, fermo allo 0,83%. Rispetto alla media della città di Torino e alla provincia, il tasso di scolarità risulta essere inferiore se paragonato, infatti, ad un 36% di diplomati, ma soprattutto, se confrontato con la percentuale relativa ai laureati: il 15% della forza lavoro occupata , con circa 10000 laureati presenti in Provincia di Torino. Allargando il raggio di paragone, la media nazionale evidenzia una percentuale di licenza elementare del 25%, di scuola media inferiore del 30%, di diploma del 26% e di laurea del 7,5%. I dati rimangono, quindi, sostanzialmente paragonabili, ad eccezione del valore relativo al conseguimento di lauree o dottorati. Per quanto concerne la disoccupazione, il tasso rilevato in Falchera è del 3%, inferiore a quello nazionale, situato all’8% e comunque più basso del valore torinese, superiore al 5%. In definitiva, i dati statici restituiscono un quartiere divenuto piccolo borghese, nel quale sono presenti molti anziani e pochi immigrati, lontano dall’immaginario comune problematico dei quartieri popolari o ex popolari. L’impressione, spesso sbrigativa, che su questo immaginario si fonda non può essere applicata a Falchera. I dati di paragone sono stati ricavati dai seguenti siti: http://www.comune.torino.it/statistica/osservatorio/; http://sportellounico.comune.torino.it/sostenere_impresa/dwd/0_Reldescrittiva_ Falchera.pdf; http://www.tuttitalia.it/piemonte/provincia-di-torino/statistiche/; http://www.tuttitalia.it/piemonte/72-torino/statistiche/cittadini-stranieri-2005/; http://demo.istat.it/strasa2005/index.html; http://www.comune.torino.it/osservatoriolavoro/dati/citta-sintesi; http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXDISOCCU http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120118_00/cap_7.pdf
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Il progetto urbanistico viene elaborato dagli architetti Giovanni Astengo -coordinatore- Sandro Molli-Boffa, Mario Passanti ed Aldo Rizzotti. I progetti a scala edilizia sono redatti dagli architetti Ettore Sottsass -primo capogruppo- Sandro Molli-Boffa, Mario Passanti, Nello Renacco -secondo capogruppo- Giovanni Astengo, Gino Becker, Gian Franco Fasana, Aldo Rizzotti ed Augusto Romano. Alcuni di questi coopteranno altri colleghi per la realizzazione del proprio progetto. La superficie di progetto per la Nuova Unità Residenziale Falchera è di 30 ettari. Qui vengono previsti 6000 abitanti, con una densità abitativa di 200 abitanti per ettaro. Si realizzano 993 alloggi, per un totale di 5125 vani.
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Al termine della progettazione/costruzione dell’impianto si noterà come Giovanni Astengo abbia progettato il numero maggiore di edifici di vario genere.
Blocco 40 Arch. Aldo Rizzotti/ Oreglia
Blocco 41
Blocco 34
Arch. Nello Renacco/ Grassi
Blocco 39
Blocco 33
Arch. Gino Beker/ Gian Franco Fasana
Arch. Giovanni Astengo
Blocco 32 Blocco 31
Blocco 22 Prof. Mario Passanti capogruppo/ Paolo Perona
Blocco 23 Arch. Aldo Rizzotti
Blocco 12 Blocco 13 Prof. Sandro Molli-Boa
Arch.Gino Becker/ Augusto Romano
Blocco 21 Blocco 24
Arch. Nello Renacco capogruppo
Blocco 11
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Arch. Ettore Sotsass
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Il Piano per l’incremento dell’occupazione operaia, 1949-1956
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Inquadramento
Il dopoguerra italiano vede un Paese prostrato da anni di conflitto bellico, in cui è necessario affrontare due problematiche importanti, la disoccupazione e la ricostruzione. Anni di conflitto sul proprio territorio hanno lasciato un patrimonio edilizio fortemente danneggiato, ma la questione dell’abitazione ha origini pregresse, così come quella della disoccupazione e della bassa scolarizzazione ad essa collegata. Giuseppe Pagano affronta già nel 1938 la questione dell’abitazione popolare, chiedendo la “nazionalizzazione del problema della casa”, “vera necessità per la difesa del lavoro, della produzione, della razza”, denunciando la “realtà delle case malsane dove la vita si trasforma in una triste maledizione”. Successivamente, una serie di piani, principalmente di carattere edile, vengono elaborati per far fronte alla questione della casa per i lavoratori -nel 1939 il progetto di Miniati; nel 1941 il programma di Bottoni; nel 1946 il piano di Puggioni- fino a giungere a quello decisivo di Amintore Fanfani, che instituirà la nascita dell’INA-Casa. Il contesto politico in cui si sviluppa la vicenda INA-Casa è quello del IV governo De Gasperi, successivo al III e, soprattutto, all’estromissione dalla formazione di governo dei partiti di sinistra, in accordo con le condizioni poste dal Presidente americano Harry Truman per la partecipazione dell’Italia al piano Marshall. Tale piano, in ottica filo occidentale, mette a disposizione risorse economiche ingenti per la ricostruzione in cambio della costituzione di governi che escludessero i partiti filo sovietici. Non indifferenti saranno tali risorse per la realizzazione del piano INA-Casa.
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Il 12 luglio del 1948 viene presentato alla Camera l’originario disegno di legge del Ministro del Lavoro Fanfani che prevede un accantonamento obbligatorio da parte dei lavoratori dipendenti, detto “risparmio”, sulla tredicesima mensilità con la possibilità di versamenti volontari. A tali versamenti vengono corrisposti dei buoni casa che danno diritto all’assegnazione per estrazione di una delle abitazioni costruite con il piano. Ai lavoratori non aventi diritto, oppure non estratti, le somme sarebbero state rimborsate dall’ottavo anno successivo. Gli altri concorrenti alla costituzione del capitale necessario sono i datori di lavoro, con un contributo a fondo perduto, e lo Stato. La versione ultima del disegno di legge, Piano per l’incremento dell’occupazione operaia, approvato il 24 febbraio 1949, assegnerà definitivamente all’INA, Istituto Nazionale Assicurazioni, di cui Puggioni
è presidente, la gestione delle risorse economiche reperite ed apporterà modifiche alle percentuali di contributo obbligatorio -dall’1,4% allo 0,6% sulla retribuzione- che passa da prestito a contributo a fondo perduto anche per i lavoratori. Il sistema di sorteggio viene, inoltre, sostituito da criteri di necessità, includendo, quindi, tra gli assegnatari possibili anche gli agricoltori, inizialmente esclusi perché non dipendenti, mentre metà degli alloggi previsti viene assegnata con possibilità di riscatto. La questione della proprietà è quella che differenzia il piano Fanfani dalla proposta di Bottoni, mentre l’inserimento del contributo obbligatorio dei lavoratori non era previsto dal piano di Puggioni, ma è considerato l’elemento dal carattere di carità cristiana, irrinunciabile per l’allora Ministro del Lavoro. Il testo non viene votato dalle opposizioni, che contestano il prelievo forzoso dei lavoratori -stesso motivo per cui non viene appoggiato da sinistra neppure il piano di Bottoni seppur costui appartenesse al Pci dal 1944 e fosse anticipatore di Fanfani- e non accontenta del tutto neppure gli Americani, contrari al prelievo forzoso dell’1% sul reddito del lavoratore a carico dei datori di lavoro e l’aspetto preminentemente statale del piano.
Aspetti gestionali All’operatività del piano INA-Casa presiedono due organi con competenze in parte sovrapposte, la Gestione INA-Casa, con a capo Arnaldo Foschini, ed il Comitato di Attuazione diretto da Filiberto Guala. Sarà soprattutto la figura di Foschini, però, a determinare le strategie e le sorti del piano. Filiberto Guala è un ingegnere elettrotecnico, laureato al Politecnico di Torino, dalla sua cultura tecnica proviene l’orientamento verso una gestione il più possibile efficiente della ricostruzione, che si affidi a progetti tipo e alla prefabbricazione. Arnaldo Foschini fa parte del quadrunvirato di architetti fascisti, ma è il meno compromesso e riesce a passare quasi indenne la caduta del regime. La sua scelta è quella di privilegiare un’edilizia tradizionale nei modi costruttivi, non rivolta all’ipotesi della prefabbricazione, invece voluta da Guala. Si deve dire, a riguardo, che per quanto Guala fosse stato direttamente nominato da Fanfani per bilanciare il potere della Gestione, l’ipotesi della prefabbricazione non avrebbe potuto soddisfare lo scopo principale del piano, ovvero l’incremento occupazionale da parte di lavoratori privi di specializzazione.
“Le case sono la conseguenza di un’attività produttiva, alla quale non potevamo sfuggire, a meno che non ci fossimo messi in testa (cosa che il governo ha escluso) di raccogliere il risparmio obbligatorio per pagare i disoccupati, per far fare ad essi la ginnastica sulla piazza, per far portare ad essi la terra dal bordo destro della strada a quello sinistro”. È proprio in questo corto circuito che il piano INA-Casa riesce a generare un circolo virtuoso: si occupano lavoratori precedentemente disoccupati per costruire abitazioni. Questo li rende lavoratori dipendenti, mettendoli in condizione di corrispondere il contributo forzoso ed ottenere il buono casa, allargando, così, la platea di abitazioni e di possibili assegnatari. Da parte sua Foschini riesce, tramite il suo operato, a traghettare nel dopoguerra la figura dell’architetto che, per sua natura legata al committente e quindi, spesso, ad un ruolo preciso nei confronti del potere, avrebbe rischiato di venir travolta dalla caduta del regime. La prefabbricazione spinta, auspicata da Guala, avrebbe, invece, riservato all’architetto un ruolo secondario nella ricostruzione del Paese. A Foschini va il merito, nonostante il suo passato politico, di dimostrarsi non fazioso nella scelta dei progettisti chiamati a far parte del piano INA-Casa. Si arriva a progettare per l’INA-Casa grazie ad un bando di concorso non per i progetti ma per i progettisti e grazie a questo meccanismo viene selezionata una grande quantità di giovani e giovanissimi a cui viene data la possibilità di costruire appena usciti dalla facoltà. Ai bandi di selezione partecipano 203 architetti e 137 ingegneri, circa 1/10 dei progettisti esercitanti. La commissione sceglie 191 concorrenti: 157 architetti e 34 ingegneri. Tra gli architetti i laureati prima del 1941 sono il 27%. I progetti elaborati dai “vincitori” vengono approvati da un ufficio preposto, a cui fa capo Adalberto Libera. In un primo tempo Libera con Gio Ponti è sostenitore della necessità di una passaggio alla prefabbricazione nel settore edile, ma poi verrà chiamato da Foschini sotto di lui in ragione di un grande lavoro di raccolta tipologica sull’alloggio che stava svolgendo per la pubblicazione del suo testo La tecnica funzionale e distributiva dell’alloggio.
Indicazioni e prescrizioni In un contesto così aperto le strategie che il piano elabora, attraverso cui orienta la progettazione e definisce, al contempo, la propria idea di ricostruzione, sono contenute in due fascicoli per il Primo Settennio (1949-’56) e due per il Secondo (1956-’63).
Fascicolo 1. Suggerimenti, norme e schemi l’elaborazione e la presentazione dei progetti
per
Il primo, titolato Suggerimenti, norme e schemi per l’elaborazione e la presentazione dei progetti, è redatto forse da Ridolfi e Libera nel ‘49 e ha come tema quello dell’alloggio. Qui la struttura è quella dell’abaco, con un repertorio di 81 esempi, ciascuno con la propria didascalia, che mette in luce gli aspetti considerati positivi e negativi della singola soluzione. Tale struttura permette, poi, di individuare quelle soluzioni valutate prive di criticità restringendo, così, necessariamente, le scelte auspicate. Qui la tradizione e gli studi del Movimento Moderno sull’alloggio trovano piena legittimità.
Fascicolo 2. Suggerimenti, esempi e norme per la progettazione urbanistica. Progetti tipo Differente è ciò che accade con la scala urbanistica. Non troviamo qua esempi e schemi chiari spendibili operativamente, ma principi generali da interpretare. Alla scala del quartiere il riferimento si discosta completamente dal Movimento Moderno, spostandosi decisamente verso l’architettura organica, supportata da considerazioni dal carattere quasi igienista. Trattando le composizioni di edifici, queste saranno “varie, mosse e articolate, tali da creare ambienti accoglienti e riposanti, con vedute in ogni parte diverse e dotate di bella vegetazione, dove ciascun edificio abbia la sua distinta fisionomia, ed ogni uomo ritrovi senza fatica la sua casa col sentire riflessa in essa la propria personalità”. “Saranno [...] le condizioni del terreno, il soleggiamento, il paesaggio, la vegetazione, l’ambiente preesistente, il senso del colore a suggerire la composizione planimetrica affinché gli abitanti dei nuovi nuclei urbani abbiano l’impressione che in questi sia qualche cosa di spontaneo, di genuino, di indissolubilmente fuso con il luogo sul quale sorgono”.
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“Nella progettazione è opportuno dare particolare importanza, oltre che al possesso delle condizioni pratiche di abitabilità di una edilizia progredita, alla conquista della cosidetta salute morale, attraverso il conseguimento del benessere psicologico. Per raggiungere questo intento occorre eliminare o ridurre le cause di attrito nei rapporti sociali tra i vicini, e quelle di depressione dipendenti dai tipi urbanistici ed edilizi adottati (affollamento e disturbi conseguenti di ogni genere, frequenza ed intensità dei rumori, cortili chiusi e semichiusi, visuali limitate, composizioni d’insieme rigide e monotone, mancanza di verde ecc.)”. Di altrettanta vaghezza soffrono i 21 principi esposti nelle prime pagine del fascicolo, che altro non fanno che espandere i concetti esposti nell’introduzione con una particolare attenzione all’ambientamento inteso anche come azione “delicata” rispetto l’esistente. Dal principio 1 al principio 3 ci si preoccupa delle preesistenze storiche ed artistiche, indicando la necessità di non creare “contrasti troppo ampi e violenti”. Questo riguarda, in primis, i caratteri proporzionali tra columni e spazi aperti e poi una relazione formale proficua tra i nuovi edifici e quelli esistenti, “problema molto simile a quello che si presenta per la integrazione di pitture o sculture incomplete”. Dal principio 4 al principio 9 ci si preoccupa di tutelare “speciale interesse per bellezza ed originalità di forme naturali”, preservandole e, al più, risolvendo la composizione con lo scopo di valorizzarle. Questo può avvenire con la scelta dei “tracciati di nuove arterie”, con il “rapporto dimensionale tra fra l’ambiente naturale e le fabbriche”, evitando “composizioni urbanistiche rigidamente geometriche, soprattutto in zone non pianeggianti” dove è anche opportuno adottare “tipi edilizi di altezza generalmente ridotta”. Il principio 10 suggerisce di “costruire ambienti architettonici raccolti e da creare scorci prospettici gradevoli, componendoli con il verde e le linee del paesaggio”. Dal principio 11 al principio 13 ci si preoccupa di tutelare e valorizzare la vegetazione esistente, elemento compositivo essenziale e di considerare tale anche quella inserita.
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Dal principio 14 al 15 si esprime il potenziale del ritorno all’uso del colore per caratterizzare e differenziare tra loro gli edifici, mentre nel 16 lo stesso ragionamento viene fatto con i materiali edilizi. Nel principio 17 si esprime una necessità di adeguatezza dei tipi edilizi “alle caratteristiche ambientali”, mentre nel 18 si ricorda come i tracciati stradali esistenti debbano essere considerati come “punti di vista principali per scorci gradevoli”. Nel principio 19 si consiglia di concepire tipi edilizi “associandoli e distribuendoli in una visione d’insieme”, mentre nel 20 si suggerisce di comporli “sia continui che sfalsati, variando opportunamente il numero di piani”. Il principio 21, infine, esprime come “talvolta un solo schema edilizio, se opportunamente studiato per una vasta possibilità di differenti modi di associazione in serie, può essere vantaggiosamente usato per creare piccoli complessi urbanistici variati e dotati di risorse plastiche impensate”. In questo caso la struttura non è più quella dello schema degli esempi riproponibili, visto che qui il principio da applicare è l’adattamento ai luoghi ed alle situazioni. Si propongono esempi riusciti o, all’opposto, non riusciti, ma senza consequenzialità, in modo da richiedere al progettista lo sviluppo di una sorta di sensibilità e non l’applicazione di un abaco. La tipologia di materiali completamente eterogenea conferma la diversa natura di questo fasciolo rispetto il precedente. I primi due fascicoli, soprattutto il secondo, non sono normativi, ma formativi ed in questo guidano una ricostruzione che sarà anche sperimentazione. Nel Secondo Settennio una diffusa campagna di indagine tra gli abitanti assegnatari sposterà la strategia normativa verso standard numerici considerati corretti e verso un’inevitabile riduzione della varietà delle soluzioni adottate.
Alcuni risultati quantitativi del Piano Ina-Casa Primo Settennio 1949-’56 Secondo Settennio 1956-’63 Il risultato del piano sarà ingentissimo con una grande quantità di realizzazioni che spazieranno dalla casa isolata al quartiere, alla parte di città, in aggiunta ad un contributo sostanziale all’attività economica del Paese. Dal 1950 al 1962 i cantieri (più di 20mila) hanno prodotto 102 milioni di giornate operaie, equivalente a circa il 10% delle giornate operaie impiegate in opere pubbliche, con un’occupazione stabile di 40 mila lavoratori edili all’anno. Sono stati aperti cantieri in 5.036 comuni, ovvero il 63% del totale. L’importo delle retribuzioni ai lavoratori è pari al 40% del costo complessivo delle costruzioni realizzate. Vengono stabiliti ed adottati dei limiti massimi di densità, 500 abitanti per ettaro nel Primo Settennio e 300 nel Secondo. Nel Primo Settennio si produce una media di 500 alloggi alla settimana, che divengono 700 nel Settennio successivo. Si realizzano quasi 355 mila alloggi, 221.700 al Centro-Nord e 133.300 al Sud ed Isole, con un totale di 1.920.000 vani pari al 9,1% del totale realizzato nello stesso periodo nell’intero Paese. Dei 5.036 comuni italiani coinvolti nell’attività, 3.319 sono al CentroNord e 1.717 al Sud-Isole. Nel Primo Settennio furono interessati soprattutto gli “altri Comuni“ rispetto il complesso dei “Capoluoghi” (52% degli altri Comuni rispetto al 48% dei Capoluoghi), condizione inversa rispetto a quanto si verificherà nel Secondo Settennio (44,1% di altri Comuni rispetto al 55,9% dei Capoluoghi). La ripartizione delle costruzioni sul territorio nazionale doveva essere fatta, per il Primo Settennio, tenendo conto prima di tutto dell’importo dei contributi dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni e datori di lavoro privato, nonchè dell’indice di affollamento di ogni comune e delle distruzioni belliche. Per il Secondo Settennio furono confermati i criteri di ripartizione vigenti per il Primo, salvo prescrivere di tener conto dell’indice locale di disoccupazione anzichè delle distruzioni belliche, ormai in gran parte sanate.
Nonostante una prima collaborazione con i comuni, anche per il ricevimento di aree gratuite, si presenta presto la questione dell’acquisizione delle aree, legata ad un maggior volume di costruzioni da realizzare e la necessità, quindi, di aree non più limitate, non reperibili in zone urbane, in aggiunta al fatto che con il tempo i piccoli appezzamenti legati all’attività edilizia privata iniziavano ad assumere prezzi eccessivi per il Piano.
La Nuova Unità Residenziale Falchera In questo contesto si inserisce il progetto per la Nuova Unità Residenziale Falchera. Il periodo in cui si colloca è quello dei primi anni del Primo Settennio, con una progettazione che comincia nel 1950 ed una realizzazione degli ultimi vani abitabili nel 1955. A capo del progetto vi è l’architetto Giovanni Astengo che con Sandro Molli Boffa, Mario Passanti, Nello Renacco ed Aldo Rizzotti è responsabile del progetto del piano. A questi, poi, si aggiungeranno altri progettisti, tutti torinesi come i primi: Sottsass, Becker, Romano, Perone, Fasana, Grassi, Oreglia e Gigli, che completeranno, con in primi, il gruppo che eseguirà il progetto esecutivo degli edifici. Il progetto diventa in breve tempo uno degli esempi più iconici e conosciuti dell’intero piano. Tra i progettisti, la personalità preminente rimane quella di Giovanni Astengo. Astengo è un grande sostenitore del piano, ma individua il suo maggior potenziale quando questo consente di creare qualcosa che riesca a trascendere l’ambito domestico dell’alloggio, trovando nelle tipologie edilizie il modo di regolare fertilmente il rapporto con l’ esterno in quel dato contesto e, tramite il loro raggruppamento, di creare un sistema di spazi completo e coerente in cui possa vivere l’individuo. “Ma per un verso le case Fanfani peccavano ancora. Peccavano per mancanza di inquadramento urbanistico. Erano migliori come case in sé, ma non migliori come scelta ubicazionale o come sistema di raggruppamento [..]. Per di più era evidente anche un altro difetto e cioè la mancanza di una sistematica preliminare ricerca del tipo edilizio più adatto ad ogni località ed ambiente [..]. Ora, la scelta dei tipi edilizi adeguati agli usi locali ed alle esigenze ambientali e psicologiche, così come il raggruppamento degli edifici in nuclei costituiscono appunto,
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assieme alla scelta dell’ area, elementi dello studio urbanistico”. Situazione di grande autonomia delle grandi realtà urbane, seppur con la possibilità di raggiungerle con i trasporti pubblici. La scelta delle aree, che le condizioni economiche poste dall’INACasa obbligavano essere molto periferiche rispetto ai centri urbani, risulta anch’essa fertile per Astengo; configurando una situazione di autonomia dalle grandi realtà urbane seppur con la possibilità di collegamento a queste. “Le aree scelte per i complessi di maggior entità sono quasi tutte aree periferiche alle grandi città, sen non addirittura esterne [..]. Aree scelte tuttavia su direttrici di traffico, collegate ai centri da servizi pubblici esistenti o di immediata prosecuzione, e dislocate in prossimità di zone industriali. Il fatto che le aree siano periferiche od esterne non nuoce, se le nuove unità residenziali hanno carattere veramente autonomo, ché anzi queste, sorgendo su zone libere e svincolate dalle maglie di preesistenti vecchi piani regolatori, hanno potuto essere caratterizzate con una maggiore libertà di impianto da parte dei progettisti [..].” Le nuove condizioni dell’operare concesse dal piano Fanfani muovono in Astengo grandi speranze ed aspettative che sembrano trascendere l’ambito strettamente professionale, estendendosi a quello sociale, probabilmente anche trascendendo gli estensori del piano stesso.
Il testo si compone di differenti citazioni, tratte dalle seguenti fonti:
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a pag. 20, Pagano G., cit. in Di Biagi P., a cura di, 2001, La grande ricostruzione. Il piano INACasa e l’Italia degli anni Cinquanta, Donzelli, Roma, pag. 37; alle pagg. 20-21, Fanfani A., cit. in Di Biagi P., a cura di, 2001, La grande ricostruzione. Il piano INACasa e l’Italia degli anni Cinquanta, Donzelli, Roma, pag. 46; a pag. 21, Nicoloso P., Gli architetti: il rilancio di una professione, in Di Biagi P., a cura di, 2001, La grande ricostruzione. Il piano INACasa e l’Italia degli anni Cinquanta, Donzelli, Roma, pag. 93;
a pag. 21, Comitato di attuazione del piano case lavoratori, Gestione INACasa, a cura di, 1949, 2: Suggerimenti, esempi e norme per la progettazione urbanistica. Progetti tipo, S.n., Roma, pag. 8; a pag. 22, Comitato di attuazione del piano case lavoratori, Gestione INACasa, a cura di, 1949, 2: Suggerimenti, esempi e norme per la progettazione urbanistica. Progetti tipo, S. n., Roma, pag. 8; a pag. 23, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951, pag. 9; a pag. 24, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951, pag. 10;
Inoltre, i dati quantitativi legati al Piano per l’incremento dell’occupazione operaia sono tratti da: Beretta Anguissola L., a cura di, I 14 anni del Piano INACasa, Staderini, Roma 1963.
PAGINA VUOTA
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PAGINA VUOTA
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La Nuova Unità Residenziale Falchera, 1950-1956
“Un nucleo, un quartiere, un’unità autonoma sono qualcosa di più, o meglio molto di più, della semplice somma dei singolo addendi: essi sono unità sociali, nelle quali la vita individuale, di famiglia e associata si può svolgere con minori costrizioni, minor peso, più libertà e più ricchezza che non nell’indistinto agglomerato urbano. Ma per raggiungere questo risultato, di elevare cioè ad un ordine superiore la semplice commassazione degli edifici in una sola località, occorrono chiare direttive, precisa volontà ed intenzione, occorrono piani urbanistici che non siano un semplice tracciato geometrico, ma il risultato dello sviluppo coerente di un pensiero sociale. Gli esempi delle città-giardino inglesi, delle greenbelts americane, dei quartieri svedesi sono concrete dimostrazioni che queste nuove unità sociali non sono pura utopia.” (G. Astengo, Nuovi quartieri in Italia, in Urbanistica, n° 7, 1951)
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Autosufficienza del quartiere e separazione delle funzioni Nel secondo dopoguerra la Nazione si trova a dover far fronte alla questione della ricostruzione e a come organizzarla. “A risolvere il problema in modo integrale sarebbe occorso nell’immediato dopoguerra un piano economico finanziario coordinato ad un aggiornato piano urbanistico di sviluppo della città e dell’intero territorio”.
1km
Stazione Torino Stura
“Ma il piano regolatore della città in quel tempo mancava del tutto, e per il territorio erano allora state suggerite soltanto alcune linee direttive nello studio di piano regionale proposto tra il ’45 e il ’47 dal gruppo ABRR”. Tra il 1945 ed il ’47 il gruppo di urbanisti ABRR, composto da Astengo, Bianco, Renacco e Rizzotti, propone un Piano Regionale incentrato sulla città di Torino, che suggerisce di organizzare lo sviluppo urbano lungo le direttrici infrastrutturali verso Milano e verso Genova, in ragione dello sviluppo industriale che tali direttrici stavano favorendo lungo il loro tracciato. L’area di progetto della Nuova Unità Residenziale del Piano INA-Casa si colloca perfettamente sulla direttrice di sviluppo proposta nel detto Piano regionale. Il progetto urbanistico di Falchera viene affidato ad un gruppo composto anche da tre dei quattro urbanisti del gruppo ABRR.
o Dora
orino Ponte Mosca
usa
o Porta Nuova
Localizzazione rispetto Torino
Distanza dai confini urbanizzati e dalle industrie separate dalle vie di comunicazione
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Disposizione a terra dell’area residenziale e dei servizi
“Se si esamina la distribuzione territoriale di questi quartieri si noterà che, ad esclusione di quelli per Regio Parco, i restanti si trovano ad una distanza fra i 5 e i 7 km, dal centro di Piazza Castello e che Falchera e Mirafiori, entrambi equidistanti dal centro, rappresentano i due più importanti interventi di edilizia sovvenzionata, strettamente connessi ai due poli estremi verso cui gravita lo sviluppo indutriale torinese. L’ubicazione dell’area rispetto a Torino comportava la creazione di un’unità satellite, necessariamente autosufficiente come servizi dato il distacco dalla città e l’isolamento nella campagna”. L’ubicazione di Falchera è completamente esterna alla città, a differenza di quella di Mirafiori che è tangente al nucleo cittadino. Tale condizione viene vista come carica di potenziale nel creare una situazione differente da quella conosciuta nel territorio. La caratteristica di autosufficienza, nelle parole di Astengo, non riguarda solo la localizzazione rispetto alla città, ma anche la localizzazione ravvicinata a grandi siti industriali, già presenti ed in costruzione.
L’attenzione delle industrie vicine e delle grandi infrastrutture-ferrovia ed autostrada- che le separano dal sito di progetto sottintende una prima chiara separazione delle funzioni. Tale distinzione sostanziale dell’abitare dal lavorare prosegue con la concentrazione al centro dell’impianto dei servizi principali e la disposizione periferica delle residenze.
Questi ultimi vengono considerati negativi per alcuni aspetti specifici, sia nei confronti dell’alloggio che ospitano, sia nei confronti dello spazio aperto che creano.
Il ragionamento sulle tipologie edilizie urbane Coerentemente a come suggerito dai due fascicoli dell’INA-Casa al tempo pubblicati, il ragionamento si struttura a partire dalla residenza e, in particolare, dalla tipologia edilizia. “Considerazioni di ordine psicologico consigliavano di scartare tipi strettamente cittadini, come le case alte a blocchi aperti e le case a torre, ed i tipi caratteristici delle «siedlungen», come le casette a schiera con orto, ritenuti gli uni e gli altri non adatti al tipo di abitanti”. Mentre una serie di tipi edilizi vengono esclusi nello spazio di poche righe, su altri due la relazione si sofferma, probabilmente i più adatti a costruire un ragionamento per opposizione rispetto al progetto.
Impianto a scacchiera con isolato chiuso
“Un risultato press’ a poco identico di densità si sarebbe potuto ottenere schematicamente in tre modi distinti e ben precisi”. “Un blocco quadrato tipico della scacchiera barocca torinese”. Scartata [..] ci avrebbe riportato all’ossessiva maglia cittadina, dalla quale eravamo fortunatamente fuori e che avrebbe precluso le visuali aperte, che volevamo mantenere”. “La disposizione a corpi paralleli tipica delle planimetrie del periodo razionalista”. “Scartata la seconda soluzione per la ancor più accentuata monotonia del complesso (è l’esempio del quartiere Mirafiori, allora in costruzione, ci sconsigliava di seguire quella stessa via) e per l’evidente frantumazione degli spazi liberi”. Impianto a stecche parallele
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I riferimenti storico-locali
Su una terza tipologia, questa di carattere rurale e non urbano, cade l’attenzione dei progettisti. Mentre il discorso sulle tipologie a stecche e a scacchiera diviene preciso sui caratteri non voluti dai progettisti, quello sulla cascina rimane molto aperto e poco definito.
Tipologia della cascina piemontese
“La disposizione ad U aperta tipica delle cascine della campagna circostante [..] non solo collimava con il nostro desiderio di accentuare per Falchera il distacco dalla città e dalle sue tipiche forme edilizie, ma conteneva in sé risorse che suggerivano ulteriori possibilità di utilizzazione.” Nel passaggio al successivo riferimento si considerano i rustici della Palazzina di Caccia di Stupinigi.
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Rustici di Stupinigi
Fonte: Metron, n° 53-54, Settembre- Dicembre anno 1954
Nelll’associare i due riferimenti, “i rustici di Stupinigi non sono stati una invenzione di eccezione, ma rappresentano, in modo architettonicamente compiuto, il tipo edilizio delle cascine a pianta quadrata o, più frequentemente, a forma di U aperta a sud, della campagna piemontese”, Astengo compie un’operazione ardita. Si passa da una tipologia di piccole dimensioni ed isolata ad un complesso edilizio, composto da più edifici. Si passa da un contesto completamente rurale ad uno non solo rurale. Sostanzialmente ci si riferisce a due immaginari di riferimento completamente differenti. Stupinigi risulta essere ovviamente un modello più complesso, ma soprattutto un modello che contiene elementi differenti, non solo per scala ma anche per tipologia: l’elemento del loisir, l’elemento della grande strada, l’elemento dell’edificio esclusivamente residenziale. Nel prendere come ispirazione Stupinigi, associandola alla cascina, Astengo gioca con le componenti di progetto. “La misura di questi edifici «minori», il ritmo degli spazi, le distanze fra i fabbricati, i grandi spazi aperti, il rapporto muratura-tappeto erboso-alberature, hanno fornito ai progettisti di Falchera spunti e suggerimenti per la caratterizzazione dei tipi edilizi e per la disposizione degli edifici”.
Fonte: Metron, n° 53-54, Settembre- Dicembre anno 1954
L’invenzione tipologica che costituirà il passo successivo del ragionamento prosegue con un nuovo scarto dell’immaginario di riferimento.
Tipologia elaborata dai progettisti
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L’invenzione tipologica
L’orientamento possibile degli edifici. Le disposizioni dei fascicoli
D blocco ad ali divaricate aperto a sud Schema planimetricoUdel S
“Lo schema a U poteva essere interpretato con una notevole flessibilità, in quanto, restando fisso o quasi l’orientamento delle ali con fronte SUD a sud, le due ali con fronte est-ovest avrebbero potuto ruotare per angoli fino a 30 ° ed anche 45° attorno all’asse nord-sud, senza portare inconvenienti nel soleggiamento interno dei vani abitabili, come era stato dimostrato da nostri precedenti studi sul soleggiamento degli edifici (1), consentendo invece di aprire maggiormente il blocco verso sud divaricando in vario modo le due ali laterali”. SUD
D
SU
SUD
D
D
SU
SU
D
SUD
D SIlU progetto si libera sin da subito della gran parte dei vincoli legati all’esposizione che non solo permettono, così, di divaricare quasi a piacere le ali, ma consentono anche di comporre tipologie con un differente numero di stecche.
SU SUD
SUD
SUD
S
S
SUD FascicoloSUD 1. Suggerimenti, norme e schemi per l’elaborazione e la SUD presentazione dei progetti.
SUD
SUD
SUD
2. Con zona giorno sdoppiata (cucina e soggiorno separati) e contrapposta sui fronti est ed ovest. Una variazione dell’orientamento del secondo caso, invece, provocherebbe un forte peggioramento dell’esposizione dell’ambiente giorno che si verrebbe a trovare rivolto parzialmente a nord.
SUD
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SUD
1. Con zona giorno su singolo affaccio a sud Una leggera variazione dell’orientamento non varia sostanzialmente l’esposizione.
SUD
SUD
SUD
UD
UD
SUD SUD
SUD
Per ovviare a questo inconveniente l’unica soluzione è quella di mantenere gli affacci non contrapposti e di disporli sulla facciata sudest o sud-ovest ed orientare in direzione il più possibile sud le superfici vetrate di quella stessa facciata.
Il fatto che Astengo si riferisca a questa soluzione è un’ipotesi formulata per ragioni di esposizione e perchè è quella adottata da Astengo stesso nel primo blocco, da lui progettato nel 1951. Non risulta possibile trovare conferme ulteriori.
L’importanza delle relazioni Astengo già nel 1951 fornisce una descrizione sintetica, ma precisa, della tipologia su cui sarà fondato l’impianto della Nuova Unità Residenziale. La prima parte dellla descrizione dà la misura di una morfologia adattabile: “Ogni edificio consta di tre o quattro ali, ciascuna di lunghezza media intorno ai 60. 70 mt., disposte in varie forme spezzate ad andamento prevalentemente convesso (aperte verso il mezzogiorno) e volgenti la concavità a settentrione”. La seconda parte di tale descrizione definisce delle relazioni che tale tipologia stabilisce, con particolare attenzione al locale soggiorno : “Sugli spazi verdi interni si aprono i locali di soggiorno degli alloggi, mentre la circolazione stradale principale e secondaria lambisce il lato esterno su cui si affacciano scale e servizi: in tal modo non vi è mai soluzione di continuità tra i locali di soggiorno e la zona verde centrale. Le grandi distanze tra gli edifici assicurano l’isolamento ottico e acustico”.
Si costruisce, così, una tipologia che definisce il suo contesto.
Schema tipologico con rapporto tra locali soggiorno e strada
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Scala urbanistica
La tipologia e la scala urbanistica Il progetto urbanistico, come detto, è affidato ad un gruppo di urbanisti coordinato da Giovanni Astengo, mentre la progettazione a scala architettonica e degli alloggi verrà affidata a molti altri progettisti. “Il gruppo degli urbanisti aveva predisposto alcune norme generali sulla conformazione degli edifici e sul taglio degli alloggi, norme che dopo essere state collegialmente discusse furono quindi sviluppate dai due capigruppi in modo da fornire ai progettisti una specie di capitolato generale, che, oltre ad integrare le norme dell’INA-Casa, avrebbe dovuto specificare i punti fermi in comune caratteristici del quartiere, al di là dei quali era lasciata ad ogni progettista la più ampia libertà”. Ad un’analisi attenta risulta chiaro, tuttavia, come tale frammentazione della progettazione esecutiva non faccia venire meno la capacità del progetto urbanistico di regolare alcuni aspetti specifici. La tipologia adottata definisce anche il contesto e, con un ragionamento inverso, si può dire che con un contesto definito -la scala urbanisticaquesta dia una definizione precisa degli affacci della zona giorno e della zona di servizio degli alloggi al proprio interno.
Scala dell’alloggio
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Rapporto di definizione tra l’impianto urbano e l’alloggio
La planimetria generale del primo progetto contiene la disposizione a terra degli edifici residenziali come del centro civico, oltre alle strade relative. All’interno del disegno delle stecche residenziali è specificata, inoltre, la posizione dei vani scale. Tale posizione, sempre coerente rispetto il fronte strada, conferma l’interpretazione proposta.
La centralità del soggiorno nel disegno degli alloggi
Tutti gli alloggi distribuiscono agli ambienti tramite uno stretto corridoio centrale. Si trovano due tipologie principali di alloggi, con affaccio singolo della zona giorno e contrapposto.
Per quel che riguarda gli alloggi nello specifico, “furono invece studiati alcuni schemi preliminari di alloggi, cosicché esercitandosi la critica collegiale su casi concreti, si poterono concordare e verificare agevolmente i criteri di massima”. Seppur non espressa in modo chiaro, l’analisi degli alloggi realizzati rivela delle regole o, quantomeno, delle ricorrenze che si possono rintracciare con sufficiente facilità. Quel che emerge è la centralità del locale soggiorno che viene sempre mantenuta, sia nella costruzione della pianta che nel rapporto preferenziale con l’esterno attraverso la loggia.
Nel secondo caso, quando soggiorno e cucina sono su affacci opposti sono i due ambienti più vicini all’ingresso dell’alloggio.C Quando soggiorno e cucina sono sullo stesso affaccio la cucina può essere in alcova o in C un ambiente separato, ma sempre adiacente a quello delC soggiorno. S S S
C
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Il soggiorno è l’ambiente più grande dell’alloggio, tranne qualche raro caso in cui la stanza matrimoniale ha dimensioni paragonabili. C C Il soggiorno è l’unico ambiente in cui è sempre garantita la loggia e, in ogni caso,C è sempre la loggia di dimensioni maggiori.
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Con gli affacci contrapposti alla cucina non è sempre garantita la loggia. Anche quando soggiorno e cucina sono contigue, alla cucina non è sempre garantito l’accesso alla relativa loggia. Le camere sono prive di logge singole ed accedono a quelle del soggiorno e della cucina solo in qualche raro caso.
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La disposizione al suolo degli edifici: la creazione di uno spazio aperto continuo e vario
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Il disegno dello spazio aperto
Avendo a disposizione una tipologia tanto flessibile, i progettisti sono in grado di disporre a terra l’edificato in funzione di ragioni specifiche. Una di queste è lo pazio aperto che questo crea.
Lo stesso si può affermare per la presenza di quell’unico blocco che invece di volgere “le spalle” al viale centrale vi volge la sua parte concava. Tale edificio ha invertito, infatti, la propria concavità durante una modifica all’impianto resasi necessaria per la richiesta della diocesi di un’area doppia a quella preventivata.
“La combinazione di vari blocchi (fig. 5) ha consentito di raggruppare e di fondere gli spazi interni convessi e di determinare un unico perimetro esterno delimitante la convessità dell’insieme; è stato così possibile individuare dei gruppi di blocchi, formanti delle sub-unità. Si sono istituiti in tal modo rapporti multipli fra altezza dei fabbricati e reciproche distanze, fra primi e secondi piani, fra masse edificate e tappeto erboso. La discontinuità fra blocco e blocco ha consentito di aprire visuali lontane e le combinazioni delle ali diversamente divaricate ha permesso prospettive continuamente variate ed un gioco mutevole di luci e di ombre”. Il disegno compone gli spazi aperti, dando la misura di un progetto che non si conclude con la soluzione dello spazio contenuto tra le stecche di un singolo edificio. Le forme articolate e complesse, molto lontane da una semplice applicazione del modello che i tipi assumono a tale scopo, rivelano l’importanza che questo aspetto riveste per i progettisti. Il risultato è uno spazio continuo, accogliente e vario, e fornisce risposta progettuale alle critiche mosse alla disposizione a corpi paralleli come la “monotonia del complesso (è l’esempio del quartiere Mirafiori, allora in costruzione, ci sconsigliava di seguire quella stessa via) e l’evidente frantumazione degli spazi liberi [..]”. La mancata composizione di una quarta sub-unità nell’area a nord trova facile spiegazione in alcune modifiche resesi necessarie per la mancata acquisizione di alcune aree.
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La disposizione degli affacci: la priorità all’isolamento degli alloggi
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Come detto, la disposizione al suolo degli edifici risulta complessa, molto lontana dalla semplice ripetizione di un modello. Tale complessità, tuttavia, mette alla prova quei principi di relazione con il contesto che sono parte sostanziale della definizione del tipo edilizio adottato.
Visuali zone giorno convergenti verso il centro della corte.
69%
“Sugli spazi verdi interni si aprono i locali di soggiorno degli alloggi, mentre la circolazione stradale principale e secondaria lambisce il lato esterno su cui si affacciano scale e servizi: in tal modo non vi è mai soluzione di continuità tra i locali di soggiorno e la zona verde centrale. Le grandi distanze tra gli edifici assicurano l’isolamento ottico e acustico”. Un’analisi di tali affacci ci spinge verso un’interpretazione non banale di tale descrizione. Fatto salvo il principio di opposizione dei soggiorni al fronte strada ed al vano scale -unica eccezione l’edificio 40, ultimo in ordine di tempo ad essere realizzato ed unico ad affacci alternati- appare subito evidente come non tutti i soggiorni siano rivolti verso lo spazio concluso dalle stecche del blocco, ma in svariati casi siano rivolti verso l’esterno.
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Grado di rispetto della regola di affaccio dei soggiorni sugli spazi a verde
“Sugli spazi verdi interni si aprono i locali di soggiorno degli alloggi[..]”
Stecche che non rispettano la regola e stecche che la rispettano
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Isolamento ottico ed acustico tra gli alloggi nei confronti del vicino.
tto della
L’alternanza e la disposizione verso il ce della corte o verso l’esterno, che non perm L’isolamento dal vicino si dimostra più complesso. di rispettare totalmente i primi due in risulta esattamente quella che consen rispettare gli ultimi due, ponendo le cond “Affacciandosi ad una loggia, l’abitante non si più sentito in negli inten persarebbe determinare una gerarchia
regola
soggezione e sotto gli occhi del vicino e del frontista [..]”.
blocco 22
Astengo in Metron ed in Urbanistica cita genericamente le grandi distanze per garantire l’isolameto dal vicino e, così facendo, non può che fare riferimento al vicino delle altre stecche dello stesso blocco. Tali distanze, però, diminuiscono avvicinandosi alle cerniere delle stecche.
blocco 13
ed acusconfronti
Nella gran parte dei casi l’angolo tra le stecche è molto superiore ai 90° e tale divaricazione consente un buon grado di isolamento nei confronti del vicino.
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Grado di rispetto della regola di isolamento ottico e acustico nei confronti del vicino
100% di rispetto della regola
Nel blocco 21, progettato da Nello Renacco, l’isolamento dal vicino viene ottenuto, in un caso, alternando l’affaccio della zona giorno tra l’interno e l’esterno del blocco, mentre, nell’altro caso, entrambe le zone giorno sono all’esterno, lasciando all’interno del blocco i due fronti con la zona notte.
blocco 22
6 blocco 13
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In quattro casi, tuttavia, tale angolo si approssima ai 90°.
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Nel blocco 22, progettato da Giovanni Astengo, l’isolamento dal vicino viene ottenuto con il disegno di pianta dell’alloggio, disegnando una loggia profonda nella manica e, sopratutto, riorientando le superfici vetrate del soggiorno rispetto l’orientamento della stecca. “Gli alloggi sono stati congegnati in modo tale da garantire il massimo isolamento ottico e il massimo soleggiamento nei soggiorni. Atale scopo i serramenti nei soggiorni delle ali divaricate sono inclinati rispetto alla fronte in modo da essere normali al raggio meridiano [..]”. Nel blocco 13, progettato da Mario Passanti, si veriffica l’unica eccezione, mitigata comunque dalla scelta di disporre sulla facciata interna grandi logge molto arretrate rispetto la facciata, fornite di un parapetto completamente opaco in mattoni pieni su cui prospettano i soggiorni.
blocco
E’ interessante notare come la progettazione di tutti i blocchi presentanti l’eccezione di divaricazione tra le stecche sia stata mantenuta dai progettisti del piano urbanistico. C
S
S
Va detto che il sistema delle ali divaricate consente il controllo dell’isolamento tra stecche, ma non garantisce, di per sé, l’isolamento delle logge dei soggiorni rispetto i vicini della stessa stecca verso i quali non vi è comunque una visuale frontale. Se il gioco degli avancorpi con alloggi simmetrici ripetto il vano scale riesce quasi sempre ad isolare rispetto i vicini della stessa stecca, talvolta non riesce ad isolare rispetto il vicino di pianerottolo.
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Blocco 22, piante tipo, Giovanni Astengo. Soluzione per l’isolamento ottico e acustico dal vicino
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S C
La soluzione non può che essere trovata nel disegno di pianta del singolo alloggio. Quando questo avviene Astengo non dimentica mai di sottolinearlo nella decrizione degli alloggi che realizza su Metron. Parlando del blocco 34 afferma: “Gli alloggi si affacciano tutti sul quartiere centrale mosso dal gioco di avancorpi e dall’alternanza di zone murarie e zone colorate; i balconcini dei soggiorni hanno una protezione in mattoni multifori in vista. Le fronti del perimetro esterno sono movimentate dall’avancorpo delle scale coperto con cornicione sporgente a falde inclinate; si affacciano ai due lati delle scale le logge delle cucine parzialmente protette da lastre di pomice cemento”. C
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S
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A didascalia di piante tipo del blocco 32 scrive: “Il movimento della facciata consente di evitare le confrontanze fra i balconi e di ottenere un corretto soleggiamento dei soggiorni”.
S C
S
C
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Blocco 21, piante tipo, Nello Renacco. Orientamento dei locali soggiorno alternati per garantire isolamento ottico e acustico dal vicino
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100% di rispetto della regola
“Affacciandosi ad una loggia, l’abitante non si sarebbe più sentito in soggezione e sotto gli occhi del vicino e del frontista [..]”. Un discorso analogo a quello che regola gli affacci reciproci con il vicino si verifica per ciò che riguarda l’isolamento nei confronti del frontista.
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Quando i corpi di fabbrica sono paralleli tra loro o divergono di un angolo acuto, le zone giorno delle stecche sono alternate.
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Grado di rispetto della regola di isolamento ottico e acustico nei confronti del frontista
blocco 22 blocco 13
blocco 21
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Le modifiche all’impianto urbanistico: un progetto che si modifica in modo organico L’ipotesi che il controllo degli affacci non sia limitato alle relazioni che si stabiliscono all’interno dei blocchi è confermata indirettamente del modo in cui il progetto si muove durante le modifiazioni a scala urbanistica. Un esempio significativo si riscontra quando tra 1951 ed il 1953 la contrazione a nord dell’area di progetto e l’ingrandimento dell’area centrale porta al ridisegno del settore a nord ovest della planimetria e i blocchi vengono, così, lievemente modificati ed avvicinati tra loro.
Progetto 1953
Progetto 1951
Evidenziazione delle stecche in cui viene modificata la strada
Viene inserita una rotonda stradale e viene spostata la strada del blocco che prospetta su essa. Con questa viene spostata anche la strada del blocco adiacente mantenendo una condizione per la quale due fronti strada non si guardano. Le tavole planimetriche delle varie fasi del progetto urbanistico sono essenzialmente piante delle coperture, ma la presenza delle strade e la relazione con gli affacci, precedentemente evidenziata, consente di notare alcune ricorrenze, che permettono di approfondire la questione degli affacci.
Progetto 1951
Progetto 1953
Posizione ricavata dei locali soggiorno nelle due fasi
Il progetto urbanistico si muove in modo tale da far continuare a prospettare sempre una zona giorno di un blocco sulla zona notte del blocco adiacente.
Conservazione del rapporto alternato dei locali soggiorno a seguito delle modifiche
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Le particelle
Il progetto appare muoversi, quindi, tra questi due estremi, lo spazio aperto e quello domestico, lasciando altre questioni, come quella tecnica di miglior soleggiamento o quella di visuale verso il centro della corte in secondo piano.
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La natura di progetto totale che concepisce tutte le sue parti contemporaneamente genera una forma delle particelle non condizionate da un sistema infrastrutturale preesistente. Queste, non essendo frutto di un piano di lottizzazione, possono disegnarsi in funzione di altri scopi. La loro forma è molto variegata, ma solo apparentemente libera. In realtà, dimostra di seguire logiche ben precise e sempre rispettate.
Le particelle e gli affacci
Le parctielle aderiscono sempre ad uno dei due lati delle stecche, ma si sviluppano talvolta all’interno e talvolta all’esterno della corte.
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Particelle che si sviluppano all’interno del blocco
Si sviluppano all’interno del blocco quando gli affacci della zona giorno delle stecche si rivolgono anch’essi all’interno della corte. Si sviluppano all’esterno del blocco quando gli affacci della zona giorno delle stecche si rivolgono anch’essi all’esterno della corte. In entrambi i casi la forma della particella garantisce la condizione per cui “non vi è mai soluzione di continuità tra i locali di soggiorno e la zona verde centrale.”
Particelle che si sviluppano all’esterno del blocco
Nuovamente il progetto dimostra di risolversi oltre la misura del singolo blocco e dello spazio in esso contenuto.
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Lo spazio del muoversi in auto: l’automobile in secondo piano
STRADE STECCHE E
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A 46
STRADE STECCHE E CORTI
La strada e le corti
Il progetto definito e contenuto entro limiti precisi ha consentito di disegnare un sistema viario a cul de sac. Questo si divide in un viale di accesso principale -unico accesso dall’esterno all’impianto- ed una serie di percorsi periferici che da esso partono e ad esso ritornano. Le strade si affacciano sempre sulla zona notte/servizio degli alloggi. I vani scala sono anch’essi sempre disposti su tale affaccio.
A A
Le strade permettono di accedere ad uno solo dei 2 lati delle stecche e sono il numero minore possibile.
B B
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STRADA CONTINUA
B STRADA CHIUSA 0 0
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Viale di accesso all’impianto
Tipologie di percorsi veicolari
Nei rari casi in cui le strade penetrano all’interno delle corti esse sono chiuse o appartenenti ad un circuito chiuso, ovvero non partecipano al traffico generale dell’impianto. Nei casi in cui questo non risulta possibile e le strade interne alle corti partecipano al traffico generale esiste sempre un’alternativa più agevole, esterna alla corte stessa. Questo risulta l’unico caso in cui il sistema viario viene sdoppiato. Il disegno viario risulta così funzionale, ma subordinato.
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Strade di distribuzione periferica all’impianto
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Il sistema delle strade restituisce la funzione del muoversi in auto come secondaria rispetto ad altre. Tale ipotesi è rafforzata dal fatto che nell’intero progetto siano previsti solo ottanta box auto a fronte di 6000 abitanti.
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Lo spazio del muoversi a piedi: due diverse tipologie di spazio
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La struttura dei percorsi pedonali risulta anch’essa ben definita, differenziandosi in due tipologie precise.
Con i passaggi pedonali periferici si realizza, invece, una completa separazione del sistema pedonale da quello veicolare.
La parte centrale è strutturata attraverso un ampio marciapiede che insiste sul viale centrale e attorno allo spazio pubblico, con natura bidirezionale (di entrata e di uscita dall’impianto). Su questa si innesta un sistema reticolare/ramificato che attraversa i lotti e raggiunge tutte le aree periferiche.
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Pista ciclo-pedonale centrale
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Accoppiamento della pista ciclo-pedonale e del viale centrale
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Percorsi pedonali periferici
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Disaccoppiamento dei percorsi pedonali e delle strade periferiche
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e con quelli necessari per percorsi ecentrale, il costruito raggiungerlo a piedi entrando nell’impianto. (nota: sii fronti edifici fiancheggiati La pista ciclo-pedonale rapportadegli principalmente con gli edifici dal Ancora, nel caso d’ingresso all’impianto in cui una delle stecche ha le del centro civico, in posizione centrale, e con quelli necessari per marciapiede sono i meno “aperti” e quando illogge -e la zona soggiorno- prospicente la pista ciclo-pedonale, questa allontanata ed inserita tra due file d’alberi che la separano raggiungerlo a piedi entrando nell’impianto. marciapiede può insiste sull’altro lato dellaviene ulteriormente. strada)
In questi tratti il percorso è parallelo alle stecche residenziali, ma è mediato da una serie di accorgimenti. Come su tutte le strade sono presenti delle aiuole che arretrano i fronti degli edifici e forniscono una fascia cuscinetto. Dove possibile, la pista ciclo-pedonale insiste esclusivamente sull’altro lato della strada, come nel caso in cui questa gira attorno al centro civico. Quando possibile, i fronti delle stecche che vi si affacciano sono privi di logge. A conferma di tale principio quelle che sembrano essere piccole logge nella stecca progettata da Astengo sono, infatti, dei dispositivi di movimentazione della facciata forniti, in realtà, di una comune finestra.
nte con osizione ri per pianto.
Ipercorsi pedonali attraversano passaggi tra e nelle stecche divergendo rapidamente da esse e congiungendosi al centro dei lotti.
I percorsi pedonali, invece, penetrano le corti attraverso passaggi tra le diverse stecche dello stesso edificio. Attraversato il passaggio in una direzione o nell’altra i percorsi si allontanano dai corpi edilizi il prima possibile, avendo tali percorsi direzioni divergenti dalle stecche residenziali.
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parete senza logge
iati dal uando il o della
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Rapporto pista ciclo-pedonale con edifici prospicienti
aggi tra
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Rapporto percorsi pedonali con i blocchi attraversati
Rapporto tra la pista ciclo-pedonale e i fronti delle stecche, con o senza logge sul viale di accesso e attorno al centro civico
Rapporto tra la pista ciclo-pedonale e i fronti delle stecche, con o senza logge sul viale di accesso
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Percorsi pedonali secanti i blocchi
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Percorsi pedonali all’interno dei blocchi
Il sistema dei oercorsi non consentedi evitare l’ attraversamento dei lotti per giungere da un punto all’ altro dell’ impianto Ci sembra evidente come il rapporto tra il sistema dei percorsi e quello residenziale venga sudiato nei minimi dettagli. Questo avviene abbandonando completamente l’usuale organizzazione dei percorsi pedonali e di quelli viari tangenti i limiti delle particelle.
fronte senza logge
sostituire con vista prospettica
A
fronte con logge
La grande quantità di superficie a disposizione, che avrebbe consentito di adottare qualsiasi soluzione, rafforza l’aspetto di forte volontarietà di tali scelte. Il rapporto che il sistema dei percorsi stabilisce con la componete residenziale del progetto determina un rapporto di tutela reciproca della funzione dell’abitare e del muoversi a piedi, diminuendo il più possibile le influenze reciproche. Nondimeno, il disegno dei percorsi rende necessario ed inevitabile l’attraversamento delle corti per spostarsi da un qualsiasi punto dell’impianto ad un altro. Un’altra scelta inusuale che i progettisti compiono è quella di concepire, all’interno degli edifici residenziali, androni non passanti. Ai vani scala si accede dalla strada, ma poi non vi è alcun modo di accedere all’interno delle corti tramite essi. Un abitante della corte può, quindi, raggiungere il suo interno solamente attraverso gli stessi percorsi utilizzabili da tutti gli altri soggetti.
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Esempio di attraversamento pedonale dell’impianto SCHEMA DI PERCORRENZA
magine da interno della corte con percorso dopo aver superato il passaggio si allontana mediatamente dalle stecche
Esempio di vano scale ad accesso esclusivo esterno al blocco
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Le aree attrezzate: i percorsi e la vegetazione come sistema regolativo 0 20
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Sull’area di progetto si trova un grande numero di aree attrezzate distribuite all’interno dell’impianto. Queste sorgono nei grandi prati che costituiscono il “70% di terreno ad aree comuni” della nuova Falchera e sono delimitate a terra da un leggero rialzo del terreno, sostenuto da piccoli muretti in pietra. All’interno vi sono sostanzialmente due tipologie precise di attività:
Nonostante questo, tutte le aree sono collegate dai percorsi pedonali, che non si limitano a raggiungerle rimanendo periferici, ma sono secanti, ancor più congiungendosi tra loro al centro degli spazi attrezzati. La struttura complessiva ed esclusiva -priva di alternative- dei percorsi pone, tuttavia, le aree attrezzate in condizione di essere continuamente e necessariamente attraversate dai flussi penonali dell’impianto.
“È stato predisposto uno spazio per il gioco dei bambini e per il riposo, delimitato da siepi, ed una distribuzione di alberi ad alto fusto su tappeto erboso”. Il disegno del suolo è estremamente preciso e sostenuto dal posizionamento delle attrezzature e differenti tipologie di pavimentazione. La distribuzione di tali aree è omogenea ed omogenee sono le tipologie di attività previste al loro interno. Non vi è differenziazione e, quindi, non vi è ragione per sceglierne una piuttosto che un’altra e neppure ragione, quindi, di spostarsi per fruire di esse.
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Relazione obbligata tra percorsi pedonali ed aree attrezzate
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9:00 8:00
Esempio di prova di prova con maschera di ombreggiatura estiva di tutte le alberature attorno alla corte. La prova mette in luce come tra le ore 8.00 di mattina e le ore 16.00 di pomeriggio, range che comprende le ore più calde della giornata, le ombre degli alberi non forniscano protezione dal sole.
15:00 16:00
Le corti sono cintate sempre e solo parzialmente da dispositivi di vario genere, che non impediscono affatto la permeabilità. Viene fatta una distinzione molto precisa tra due tipologie di recinzione vegetale: i cespugli (o come definite nel testo Urbanistica le “siepi basse”) e le siepi (distinzione verificabile anche nelle foto d’epoca). A queste si aggiungono le abetelle (in Urbanistica definite “basso parapetto in tronchi”). La permeabilità, come detto, non è affatto impedita, ma i percorsi sono estremamente guidati verso il centro della corte, dove è definita in modo estremamente preciso l’area attrezzata. Qui si trovano gli altri dispositivi di separazione, ovvero i muri. Le aree attrezzate sono parzialmente circondate da alberature.
Prova di ombreggiatura estiva effettuata con albero di altezza di 15 metri
Area per il riposo Area gioco per i bimbi
L’inadeguatezza delle alberature per fornire un’ombreggiatura adeguata (le prove effettuate nelle varie corti danno risultati del tutto eterogenei) e la scelta di differenziare i dispositivi di separazione in tipologie opache non spinge a cercare una logica alternativa per la disposizione del verde. Le osservazioni ci portano a notare come il sistema del verde regola in modo differenziato i rapporti visuali tra le parti.
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Le aree riposo hanno sempre le “spalle coperte” ed il loro orientamento crea una direzionalità che evita sempre un rapporto di sguardi frontali con le zone giorno degli alloggi circostanti. Le aree di gioco sono spesso in continuità visuale con almeno alcuni degli alloggi circostanti.
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Muri Siepi Alberaturture
Dispositivi opachi
Abetelle
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Dispositivi trasparenti
Cespugli
Le discontinuià tra i bordi opachi della corte sono quelle che consentono di avere visuali aperte dalla strada verso le aree attrezzate.
Rapporto tra l’area attrezzata e le logge dei locali soggiorno
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Pianta del verde, blocco 22 e 23
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Gli edifici pubblici e il centro civico
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Gli edifici pubblici si concentrano nell’area centrale e da questa verso il limite est dell’impianto. Comprendono il centro civico, la chiesa con relativo oratorio e la scuola elementare. Il centro sociale e la chiesa sono al centro del sistema dei percorsi pedonali e stradali di cui ne rappresentano il fulcro. Attorno ad essi gira la grande pista ciclo-pedonale, mentre i percorsi periferici vi si innestastano in modo radiale. Attraversare l’impianto significa, in molti casi, rapportarsi con il centro civico. Ad eccezione del recinto della chiesa, unico chiuso, il centro civico crea lo spazio aperto più piccolo e concluso dell’intero impianto. Il complesso degli spazi definito dall’impianto residenziale è concavo, ma aperto e comunicante. La scala di tali spazi è, poi, notevolissima. In questa situazione lo spazio aperto del centro civico si definisce come “spazio altro”.
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Rapporto tra il centro civico e il sistema dei percorsi pedonali
Il disegno del centro civico subisce una serie di rimaneggiamenti durante lo sviluppo del progetto. Astengo fa riferimento alle già citate questioni legate alla maggior area richiesta dalla diocesi per la costruzione della chiesa ed il relativo oratorio. Ulteriori modificazioni intervengono negli anni successivi.
Chiesa San Pio X
Centro civico
Scuola Elementare Antonio Ambrosini
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Spazi aperti conclusi all’interno dell’impianto
Analizzando le mutazioni del progetto a scala del quartiere non si può non notare come progressivamente l’area riservata al centro civico si sia contratta e la proporzione con quella sia diminuita. L’ipotesi a due piazze, quella iniziale, permane per molto tempo, fino a quando, accanto ad un’ulteriore versione sempre a doppia piazza con piccole variazioni di posizione di alcune funzioni ed eliminazione della strada tra il centro civico e la chiesa, si affianca una versione a singola piazza, anch’essa senza strada. La versione definitiva, che poi verrà realizzata, insiste sull’area più piccola ed è a singola piazza. Ci sembra, probabilmente, l’unica praticabile su tale area. In definitiva, l’evoluzione negli anni ci restituisce un progetto del centro forse costretto a divenire meno ambizioso rispetto alle intenzioni del progettista, ridotto nelle volumetrie così come nel numero di funzioni.
UN PR UN PROGETTO MENO AMBIZIO Dimin Diminuzione di area volumetri funzio funzioni.
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Rapporto volumetrico tra il centro civico e gli edifici residenziali
Caratterizzazione architettonica del centro civico
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Gli edifici del centro civico, ad eccezione della chiesa, sono i più bassi dell’intero impianto. Il progetto non dimostra alcuna volontà di monumentalità o autorità. Tali caratteri di rapporti dimensionali con gli edifici residenziali rimangono i medesimi del primo grande progetto del centro civico. 100
Il progetto frammenta il più possibile gli edifici rendendoli, in tal modo, riconoscibili. Le funzioni sono, così, separate ma contigue e contribuiscono tutte assieme alla creazione di un ambiente variegato spazialmente e a misura d’uomo. La bassa pensilina congiunge, poi, tutti gli edifici e, assieme al filare di alberi a sud -una delle due eccezioni in un impianto che altrimenti non li prevede sulla strada- contribuisce a creare uno spazio conluso che instaura un rapporto filtrato con il contesto. Contemporaneamente, la pensilina, il portico degli esercizi commerciali e gli alberi creano un margine ombreggiato e coperto, di supporto allo spazio centrale che concludono. 0 20
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Cinema -mai realizzato-
Abitazioni commercianti
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Esercizi commerciali
Le attività hanno tutte affaccio verso l’interno ad eccezione degli esercizi commerciali che hanno doppia vetrina, verso l’interno e l’esterno, sulla strada. La scelta di inserire le abitazioni all’interno del centro civico dimostra la volontà di creare uno spazio che non smettesse mai di vivere completamente a qualsiasi ora della giornata.
Ambulatorio Bar Cinema -mai realizzato-
Abitazioni commercianti
Ristorante Emporio Edifici adibiti poi a biblioteca
Esercizi commerciali
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La tutela dello spazio domestico e dello spazio aperto, continuo e attraversabile Al termine della de-costruzione, alcune parole di Astengo sul funzionamento dell’impianto assumono nuovo significato. L’uso dei fronti meno aperti, privi di loggia, quando questi prospettano sulla pista ciclo-pedonale centrale stabilisce una distanza tra lo spazio dell’alloggio e lo spazio aperto del grande viale dedicato al passeggio. La direzionalità delle aree riposo in quelle attrezzate e la disposizione di elementi di filtro regolano il rapporto tra gli alloggi e l’uso dello spazio aperto da parte degli adulti. Per ciò che riguarda i rapporti tra un alloggio e l’altro, assieme alle grandi distanze tra i corpi di fabbrica, viene creata una condizione in cui l’orientamento delle stecche evita gli affacci frontali tra le zone giorno -e tra le logge relative- oppure ne alterna la disposizione -zona giorno-zona notte-zona giorno- in modo tale da far vivere gli ambienti interni agli alloggi con tempi sfasati rispetto al vicino e al frontista.
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Pianta del verde, blocco 22
Nonostante il rapporto continuo con gli spazi aperti offerto dalle logge dei soggiorni, si disegna una condizione tale da consentire l’isolamento visivo ed acustico che non obbliga all’interazione tra gli alloggi stessi e ad influenze reciproche. blocco 22
Si realizzano, così, le condizioni per una grande tutela dello spazio domestico, protetto da influenze forzose delle funzioni all’esterno di esso. “Le grandi distanze fra gli edifici, ottenute con la riunione di tutti gli spazi esterni, isolano completamente ogni alloggio dalla vista del frontista ed attutiscono i rumori. [..] La casa è come sul bordo di un mare”.
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Rapporto tra la pista ciclo-pedonale ei fronti delle stecche -con o senza logge- sul viale di accesso
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La disposizione apparentemente arbitraria degli edifici residenziali
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“Questo respiro e questa quiete si associano ad una continua varietà di spazi, tutti individuali, con i corpi di fabbrica tra loro compensanti, in modo da ottenere ambienti e spazi concavi con prospettive variate e visuali lontane [..].” Anche il funzionamento dello spazio aperto è regolato nei minimi dettagli. L’azione combinata dei percorsi secanti le aree attrezzate, che obbligano gli abitanti dei blocchi ad attraversarne altri, gli androni non passanti, che rendono ugualmente agevole accedere allo spazio all’interno della propria corte o a quello vicino, e la tutela reciproca delle aree riposo rispetto gli alloggi, pongono le condizioni per eliminare ogni afferenza della corte sullo spazio al proprio interno. 0
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In tale situazione gli spazi delle corti divengono parte di un unico grande giardino a disposizione degli individui.
Relazione obbligata tra percorsi pedonali ed aree attrezzate
Le relazioni che la loggia instaura con lo spazio aperto all’interno del blocco si manifestano con la visuale sulle grandi alberature, che fungono anche da barriera verso le aree riposo, e con una vista parziale sulle aree gioco dei bimbi. “Chi arriva dal lavoro si affaccia sulla loggia e ne trae ristoro; dalla loggia la madre, lavorando, sorveglia i figli che giocano nel verde, pranzando si vede la natura; nel grande giardino si scende a sera a passeggiare e a fare la maglia”. 0
“La vita associata è concentrata unicamente in alcuni «fuochi» ad edilizia addensata e articolata in modo da ricomporre in queste zone, ed in queste soltanto una vita cittadina di un certo movimento ed interesse”.
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Relazione obbligata tra percorsi pedonali ed aree attrezzate
Sezione mostrante un esempio di androne non passante
Rapporto tra l’area attrezzata e le logge dei locali soggiorno
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Il progetto sociale
Il progetto sociale è costruito sulla base di un disegno urbanistico ben definito. Per comprenderlo, però, è necessario sapere di che tipo i progettisti pensavano fossero gli assegnatari. “Si pensò che gli assegnatari sarebbero stati lavoratori torinesi addetti o impiegati prevalentemente negli stabilimenti industriali del settore nord della città: si pensò cioè ad una classe operaia-impiegatizia evoluta, con bilancio familiare sufficientemente elevato per consentire amore e rispetto per la casa, ad una classe che, con particolari tendenze e predilezioni, si sente cittadina fino al midollo, ha uno spiccato senso civico di cura per le cose comuni, ed è formata da gente che, arrivando tardi e stanca dal lavoro, desidera appartarsi in casa senza consorziare con i vicini, che anzi ama la solitudine e il silenzio [..]“.
Viene preferita, invece, la creazione di uno spazio pubblico completamente attraversabile ed omogeneamente attrezzato. È con questa tensione continua tra l’ambito domestico e quello pubblico che si risolve il progetto. L’ambito pubblico non è quello del controllo sociale, quello della società alle cui condizioni gli individui devono, in qualche modo, sottostare, ma una società funzionale concepita al servizio degli individui, senza distinzione.
“Una classe lavoratrice evoluta, formata da ingegnosi operai specializzati, che associano ad una cultura tecnica una certa solidità e serietà di vita, che è quasi borghese, che disdegnano di coltivare l’orto, non amano troppo comarare e sono irriducibilmente gelosi del loro «appartamento»”. Tale condizione di isolamento sarebbe stata facilmete realizzabile con un impianto a ”stecche parallele o a torri”, ma questo non avrebbe consentito la creazione di uno spazio esterno accogliente. Tuttavia, gli spazi esterni vengono definiti come ”tutti individuali”. La possibilità di un utilizzo dello spazio esterno in forma individuale sarebbe stata facilmente realizzabile con delle aree di pertinenza privata legate all’abitazione, come nelle “villette a schiera con orto [..] scartate perchè considereate non adatte alla psicologia degli assegnatari”.
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Distanza dai confini urbanizzati e dalle industrie separate dalle vie di comunicazione
Una società resa possibile anche da un modello produttivo come quello della società industriale, della cultura moderna, dove un individuo dovrebbe poter costruire la sua vita in ragione delle proprie capacità e del proprio impegno, essendo meno vincolato alle relazioni della famiglia allargata della società rurale. È nello spazio aperto che deve potersi manifestare la possibilità di scelta e non la prossimità. Si può scegliere dove e con chi vivere lo spazio. Da non confondere, però, l’individualità con un concetto privato della stessa. Non si tratta dell’individuo che possiede oggetti, detiene il suo recinto e non ha, quindi, bisogno della parte sociale. Si tratta, invece, di un individuo dal suo ambito tutelato privato, con dei rapporti sociali che sceglie di avere, in uno spazio esterno concepito a questo scopo.
cavi?
L’impianto residenziale è sostanzialmente omogeneo, senza aree di maggior pregio. Ciò espleta la funzione, in qualche modo, livellante verso l’alto della situazione di partenza. Il ruolo subordinato dell’automobile, estensione della casa all’esterno, consentito dalla vicinanza alla stazione, così come la collocazione delle industrie separate dalla ferrovia, ma vicine all’impianto, forniscono linfa a questa ipotesi interpretativa. Del resto queste sono alcune delle condizioni che il Piano regionale piemontese, citato nella parte iniziale del capitolo e redatto, tra gli altri, da Astengo, auspicava.
associare a pianta con stazioni di torino al tempo
Sezione tipo del passante ferroviario/veicolare ideato dal gruppo ABRR
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Il centro civico diviene l’altro aspetto dello spazio pubblico, quello dell’opportunità di incontro casuale, ma propizio. “La vita associata è concentrata unicamente in alcuni «fuochi» ad edilizia addensata e articolata in modo da ricomporre in queste zone, ed in queste soltanto una vita cittadina di un certo movimento ed interesse.” La vita associata è legata indissolubilmente alle funzioni, dalle più pratiche a quelle tipiche della nuova società moderna -il cinema ne è un esempio- ugualmente disponibili a tutti gli abitanti dell’impianto. Il centro civico è la rappresentazione compositiva dei bisogni, pratici e non, di ognuno. Uno spazio a servizio che nega la volontà di qualsiasi monumentalità o autorità.
Nel centro civico “il limitato spazio delle due piazzette dovrebbe agevolare l’incontro e la fusione dei vari gruppi sociali”, assolvendone, a nostro parere, gli intenti dei progettisti, quale ruolo di traghettatore verso il nuovo modello sociale.
Stazione Torino Stura
1km
Stazione Torino Dora
Resta da capire quanto di quella società esistesse già nel 1951. Del resto, tra gli intenti del piano INA-Casa vi era chiaramente specificata la necessità di gestire un fenomeno come l’inurbamento, che coinvolgeva soggetti lontani da questo modello sociale. Sul secondo fascicolo INA-Casa si legge: “il fenomeno dell’urbanesimo dipende da un complesso di ragioni che non possono essere eliminate, e che risiedono nelle struttura stessa della società contemporanea”. Il progetto sociale contiene, quindi, a nostro parere, un carattere di futuribilità che non può esimersi da una logica processuale e di mediazione. Risulta, a riguardo, particolarmente interessante rivedere le prime versioni del progetto del centro civico, per lungo tempo mantenuto a due piazze, prima della scelta dell’ipotesi riduttiva, poi realizzata.
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In particolare, alcune piante con specificate le funzioni, scritte a mano da Astengo, evidenziano chiaramete una differenziazione nella dislocazione di queste all’interno delle due piazze. Quelle maggiormente legate al mondo agricolo -il mercato, i negozi alimentari, i laboratori artigianali- sono collocate nella piazza a nord, mentre quelle legate alla nuova società -casalinghi, foto ottica, il negozio di vestiti significativamente denominato “mode”contenute nella piazza a sud.
Stazione Torino Ponte Mosca Stazione Torino Porta Susa Stazione Torino Porta Nuova
Stazione Torino Lingotto
Posizione dell’impianto rispetto al sistema ferroviario torinese nel 1951
laboratori artigiani mercato
negozi alimentari
cinema teatro
caè
casalinghi
foto ottica parrucchiera mode
emporio
pp.tt banca
Versione non realizzata del centro civico. Immaginario di riferimento delle funzioni presenti nelle due piazze
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Il testo si compone di differenti citazioni, tratte dalle seguenti fonti:
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a pag. 28, prime due citazioni, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, SettembreDicembre 1954, pag. 14; a pag. 28, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 15; a pag. 29, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 20; a pag. 30, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 20; a pag. 31, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 17; a pag. 32, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 20; a pag. 33, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951; a pag. 34, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 34; a pag. 35, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 35; a pag. 37, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 20; a pag. 39, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951; a pag. 40, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 20; a pag. 40, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 44; a pag. 41, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954; a pag. 42, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. pag. 20;
a pag. 45, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951; a pag. 55, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 61; a pag. 64, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951, pag. 12; a pag. 66, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951, pag. 12; a pag. 68, prima citazione, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, SettembreDicembre 1954, pag. 16; a pag. 68, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951, pag. 12; a pag. 68, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 20; a pag. 70, prima citazione, Urbanistica n° 7, 1951, pag. 12; a pag. 70, Comitato di attuazione del piano case lavoratori, Gestione INACasa, a cura di, 1949, 2: Suggerimenti, esempi e norme per la progettazione urbanistica. Progetti tipo, S.n., Roma, pag. 7; a pag. 70, Astengo G., Falchera, in Metron, n° 53-54, Settembre-Dicembre 1954, pag. 58
PAGINA VUOTA
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Modificazioni e nuovi equilibri
“Non mi sento di parlare di una astratta idea, atemporale e aspaziale, di città ideale in cui non ho mai creduto, ma solo di idee concrete, legate ad esperienze concrete, in concreti contesti di tempo e di luogo.” (G. Astengo, “Qualche mia idea di città”, lezione svolta allo Iuav, 9/06/1984; ora in “La ragione del piano. Giovanni Astengo e l’urbanistica italiana”, pag. 257)
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Modificazioni e ritardi durante la realizzazione
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Il progetto subisce, come si è visto, numerosi rimaneggiamenti durante il suo sviluppo. Il settore nord viene contratto e vi è un ripensamento dei blocchi residenziali in quell’area. Il viale principale, che originariamente giungeva fino all’estremo nord dell’impianto per poi tornare indietro, con le modifiche dette gira attorno allo spazio pubblico centrale o, in alternativa, attorno alla rotonda, per invertire la propria direzione. L’area annessa alla chiesa raddoppia le proprie dimensioni, ed anche quest’ultima le aumenta considerevolmente. Di contro, il centro civico le diminuisce, rinunciando, al contempo, ad alcune funzioni.
Allo stesso tempo il funzionamento coordinato delle componenti di progetto, tutte collaboranti verso un funzionamento preciso della “macchina di progetto”, rende particolarmente importante verificare quali siano stati i loro tempi di realizzazione .
Nondimeno, la natura di progetto coerente viene mantenuta in ogni versione, ed ogni modificazione non fa venire meno quelle coerenze che si sono messe in luce. Tuttavia, la natura organica di tutte le componenti del disegno urbano, che instaurano rapporti precisi le une con le altre, rende particolarmente importante verificare cosa sia realmente avvenuto al momento della realizzazione. Le foto storiche panoramiche mostrano come durante la realizzazione siano stati inseriti alcuni elementi che non fanno parte di alcuna tavola di progetto da noi visionata. Alcune strade di cantire sono divenute strade asfaltate definitive, ponendo le relative stecche nella condizione di avere strade su entrambi i fronti e non solo su quello di servizio, come enunciato più volte e come succede per tutte le altre. Non è dato sapere a chi sia da attribuire tale decisione, ma riesce difficile attribuirla ai progettisti. Questo per le incoerenze già dette e per il fatto che al Fondo dello Iuav siano presenti fotografie di Astengo stesso che, lavorando su un’immagine aerea delle prime fasi di costruzione, colora con il pennarello le aree di cantiere (probabilmente per prefigurare il risultato finale) lasciando chiare le strade di progetto e non quelle che verranno aggiunte. La stessa cosa avviene per alcuni percorsi non asfaltati -forse funzionali alle operazioni di trasloco- della dimensione intermedia tra quella pedonale e quella veicolare, che vengono inseriti all’interno dei blocchi aderenti le stecche.
Fonte: archivio Astengo, Iuav, Venezia
Fonte: archivio Astengo, Iuav, Venezia 0
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GLI EDIFICI RESIDENZIALI
Costruzione
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degli
Completati i primi edifici lo spazio aperto è ancora principalmente un cantiere
edifici
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residenziali
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All’interno del primo blocco completato è predisposto il disegno dei percorsi e delle aree attrezzate
GLI EDIFICI PUBBLICI O AD USO PUBBLICO
SPAZIO PUBBLICO APERTO, PERCORSI PEDONALI E AREE ATTREZzATE
1952
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1954
Porticato adibito a uso chiesa in via delle Betulle
1954/57
Chiesetta in legno
Chiesa San Pio X cineteatro parrocchiale Acli
La realizzazione degli edifici residenziali è quella che procede con maggiore velocità e i primi assegnatari giungono a Falchera già nell’estate del 1954. Nella maggior parte del quartiere lo spazio aperto è ancora un cantiere. Nelle fotografie che Astengo inserisce in Urbanistica del ‘54, tuttavia, all’interno del blocco 21, progettato da Nello Renacco e primo ad essere realizzato, si può riconoscere il preciso disegno del suolo e le piantumazioni delle vegetazioni previste. Non risulta possibile, con i materiali a disposizione, conoscere esattamente quanto tempo trascorra nei vari blocchi tra l’ultimazione dell’edificato e il completamento del disegno dello spazio aperto. Si sa per certo, da varie fonti tra cui Metron, che nei primissimi periodi si è verificata la creazione di orti nei blocchi, ma le fotografie aeree dimostrano che, seppure con qualche ritardo, il disegno di suolo dello spazio aperto viene realizzato. Gli orti vengono trasferiti in un campo in affitto sul bordo dell’impianto. Una fotografia aerea della fine degli anni ‘50 mostra come le aree attrezzate e i percorsi pedonali siano quasi del tutto completi ad eccezione di due blocchi a nord (tra gli ultimi ad essere edificati) in cui sono in via di definizione.
Fine anni Aree attrezzate e percorsi
‘50
Gli edifici pubblici o ad uso pubblico subiscono, a loro volta, una realizzazione differita, ma si trovano spesso soluzioni temporanee alla loro mancanza.
predispostI in tutto l’impianto tranne in due blocchi a nord, in cui sono in via di completamento.
La chiesa non viene edificata fino al 1957, ma già nell’estate del 1954 viene predisposto il portico tra due stecche di Via delle Betulle per la celebrazione della funzione domenicale, poi sostituito dalla chiesetta in legno nel ‘57. Con la chiesa arrivano anche le Acli e il cineteatro parrocchiale. Nel 1959 viene completata l’edificazione del centro sociale e vengono aperti i primi esercizi commerciali di vicinato. Fino a quel momento gli abitanti si servono agli esercizi commerciali sulla strada per Leinì.
1959
Centro civico esercizi commerciali di vicinato
1960
Scuola elementare Antonio Ambrosini
1962
Scuola materna San Pio X
La scuola elementare Antonio Ambrosini viene completata nel 1960. Fino a quel momento i ragazzi frequentano la scuola in un edificio basso, sorto al centro della prima sub-unità, dove sarebbero dovuti essere originariamente alcuni di quei pochi esercizi commerciali non concentrati nel centro sociale. Viene, inoltre, realizzato un asilo nido. All’inizio degli anni ‘60 l’impianto è sostanzialmente realizzato, con poche eccezioni, e l’edificazione si conclude. Come detto, non vengono realizzati due dei tre asili nido previsti; in compenso nel 1962 la parrocchia apre la scuola materna San Pio X. Non vengono realizzati gli esercizi commerciali nelle subunità, ma vi sono quelli del centro sociale. Non viene realizzato il cineteatro, ma vi è quello parrocchiale dal ‘57 e il Cinema Falchera, sorto su iniziativa privata nel ‘55-’56, rimasto in attività fino al 1996.
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Le modificazioni a scala territtoriale Le modificazioni a scala territtoriale 1951
1km
1951 Le modificazioni del contesto 2014
Dal 1951, anno di concepimento del primo progetto, ad oggi le condizioni di contesto, su cui i progettisti avevano in parte fondato le loro ipotesi, sono mutate in modo sostanziale, sia per quel che concerne la natura autonoma ed isolata dell’impianto, indipendente da altri tessuti urbani, sia per quel che concerne la dispersione nella 1km campagna.
1km
La grande città, i cui limiti estremi distavano circa tre chilomentri, è ormai tangente all’area. Il piano di lottizzazione preesistente a sud ha proseguito il suo sviluppo, completando un tessuto urbano denso, fatto principalmente di villette e piccole palazzine di massimo tre piani.
Distanza dalla città nel 1951
2014
L’attività edilizia lungo la strada per Leinì è proseguita chiudendo la prospettiva ad est, mentre un nuovo grande intervento di edilizia popolare ha chiuso quella a nord.
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1975-2014 Distanza dalla città odierna
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Incremento della rete infrastrutturale che oggi circonda ed isola l’impianto dalla campagna circostante
Allargando la prospettiva, ma non di molto, alla ferrovia e all’autostrada per Milano, che situate a sud-est dividevano l’impianto dall’area industriale, si sono aggiunte la tangenziale di Torino a nord e il raccordo autostradale per l’Aereoporto di Caselle ad est. L’intervento sul contesto più evidente per quantità, posizione e successione degli eventi è certamente l’edificazione della Falchera Nuova, stavolta sotto l’egida della legge GESCAL. Il progetto decide una via intermedia nel rapporto con il quartiere INA preesistente. I due quartieri non sono abbastanza lontani da non influenzarsi reciprocamente in modo continuo, aderiscono l’uno all’altro confrontandosi come due entità parallele. Non 2014esiste integrazione della struttura veicolare -che sarebbe stata comunque complessa- ma neppure allineamenti viari prospettici quando sarebbe stato possibile. La grande strada -rialzata rispetto al piano di campagna- che divide i due impianti, da cui parte il grande viale di accesso a quello nuovo, costituisce più una barriera che una cerniera tra i due quartieri. Per molti tempo il rapporto tra le due realtà è stato problematico ed ambiguo. Oggi le dstanze sembrano molto scemate, ma non scomparse. 1km
Nondimeno, l’arrivo di Falchera Nuova ha incrementato notevolmente il patrimonio di strutture e servizi a disposizione dell’area.
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Abaco dei dispositivi che modificano il progetto
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progetto Accanto le modificazioni a scala territoriale e quelle a scala del quartiere, una serie di altre azioni più puntuali ma diffuse sono intervenute nel frattempo, andando ad agire su alcuni dei principi cardine del progetto. Il risultato è estremamente interessante perchè tali modificazioni risultano puntuali ma non episodiche. La stessa tipologia si ritrova in diversi posizioni nell’impianto, ma con precondizioni dello spazio simili. Questo ci spinge ad ipotizzare che simili possano essere state le esigenze o motivazioni che hanno portato al verificarsi di tali azioni, pure un processo emulativo divenuto intenso può aver supportato l’idea di legittimità di tali modificazioni. Ancora, alcuni dispositivi sono stati “copiati” da soggetti presenti in altre aree dell’impianto e riprodotti. Altri sono il frutto di modificazioni di un disposivo presente a progetto, a cui sono state aggiunte o sottratte delle parti. Le modifiche dal basso più sostanziali che si notano riguardano lo spazio aperto, ugualmente e rigidamente definito dal progetto, ma evidentemente più “morbido” e facilmente modificabile rispetto gli elementi costruiti.
Verande Una serie di verande rigide di varia forma e fattura hanno chiuso la maggior parte delle logge e dei balconi dell’impianto.
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viieche che modificano il progetto progetto modificano il progetto modificano il ilprogetto modificano
dis II dis
Scalette di accesso agli alloggi
Muretti di traverso e passaggi pedonali tra le stecche
Una serie di scalette dai balconi e dalle logge sono state aggiunte per permettere di raggiugere l’esterno direttamente dalle zone giorno degli alloggi al piano terra. Tali dispositivi esistono a progetto in quattro stecche, negli altri casi sono stati introdotti.
Una serie di muretti di diversa altezza si trovano di traverso alla gran parte dei passaggi pedonali tra le stecche. La loro presenza è legata nella totalità dei casi a quella di scalette che ne permettano il superamento.
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dispositivi chemodificano modificano progetto IIdispositivi che ilililprogetto dispositivi che modificano il progetto I dispositivi che modificano progetto
Cancelli di traverso ai passaggi pedonali tra le stecche
Recinto chiuso privato
Sono stati aggiunti dispositivi che impediscono il passaggio tra le stecche, sia ad uno che a due cancelli.
Alcuni recinti chiusi privati, fortemente opachi, sono stati inseriti a chiudere degli spazi esterni attigui ad alcuni alloggi al piano terreno. Tali recinti si trovano sempre all’esterno delle corti e non sono mai legati ad un singolo alloggio.
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ficano ilil progetto progetto oficano il progetto
di II dis I dispositi
Recinto condominiale impermeabile
Divisioni interne alle corti
Alcune corti sono state chiuse con recinti spesso opachi e scarsissimamente attraversabili (siepi e recinzioni metalliche). Unica eccezione una sola corte, che ha un ingresso pedonale molto evidente, non chiuso, ma a fronte di cartelli indicanti la proprietà privata, altrettanto evidenti. Questo è avvenuto congiungendo i percorsi delle siepi che il progetto lasciava volutamente discontinui.
Si trovano all’interno del progetto una serie di divisioni. Talvolta sono state inserite, talvolta risultato della reinterpretazione di elementi del progetto originali.
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I dispositivi I dispositiviche chemodiďŹ cano modiďŹ canoil ilprogetto progetto
Recinto condominiale permeabile
Piccoli recinti aperti aderenti gli alloggi e interni alle corti
Alcune corti sono state chiuse con recinti scarsamente opachi e fortemente discontinui. Il contrasto alla penetrazione di tali barriere non sembra una prioritĂ .
Una serie di piccoli recinti aperti contigui agli alloggi sono stati inseriti dove non c’erano. Questi risultano spesso molto simili a quelli che il progetto dispone sul fronte delle stecche che affaccia sulla strada.
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La questione della permeabilità
La tutela della permeabilità pedonale Si sa per certo che alcuni muretti vennero inseriti in alcuni passaggi tra le stecche già negli anni ‘50. In quel periodo questo fu fatto per semplificare il passaggio degli impianti di riscaldamento tra una stecca e l’altra. Ciò non spiega altri casi in cui i muretti si interrompono giusto della larghezza di un passaggio pedonale. L’interpretazione per cui i muretti siano stati collocati per impedire il passaggio veicolare -probabilmente verso quelle strade interne non presenti a progetto, con la conseguente possibilità di parcheggiare nelle corti- è confermata dalla mancanza di questi dove elementi architettonici impedivano già in origine il passaggio veicolare. Si nota come assieme a questi dispositivi di dissuasione veicolare di fortuna si sia sempre associata un’attenzione alla tutela del passaggio pedonale.
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Dispositivi che interrompono la permeabilità veicolare- non previsti a progettomantenendo quella pedonale
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La permeabilità divenuta problema La compresenza dei muretti e dei cancelli ci spinge a pensare che i primi siano stati realizzati in precedenza, in quanto i cancelli avrebbero già di per sé impedito il passaggio veicolare oltre a quello pedonale, rendendo inutili i muretti. I cancelli si trovano sia singoli che doppi, a chiudere l’intero spazio di passaggio coperto. Le fonti a nostra disposizione sostengono che l’aggiunta dei cancelli sia avvenuta per “blindare” gli androni durante “il movimento per la casa” e le occupazioni abusive ad esso collegate, avvenute a metà degli anni ‘70, ma in realtà i passaggi che danno accesso agli androni sono molto pochi, mentre quelli “blindati” sono la quasi totalità, spesso chiusi da un solo cancello (insufficiente a tale blindatura). Risulta chiaro, quindi, come, dopo un periodo in cui questo non è stato percepito come un problema, la permeabilità, tipica dello spazio aperto del progetto, lo sia diventata.
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Dispositivi che interrompono la permeabilità pedonale
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I recinti ?
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La presenza contemporanea di cancelli e recinti condominiali ha reso impermeabile lo spazio interno a molte corti, cintando, di fatto, nella gran parte dei casi, l’intera particella.
Le precondizioni dello spazio
Questo, ad eccezione di due casi, è avvenuto in tutte le corti in cui la strada di accesso corre all’esterno. Alcuni recinti, otre che impermeabili e con un alto grado di opacità, sono stati chiusi ed afferiscono solamente ad alcuni alloggi del piano terra.
Le precondizioni dello spazio
Questo è avvenuto solo sul lato esterno della corte. In alcuni casi delle particelle sono state cintate in modo discontinuo e in un caso non è stata posta alcuna recinzione.
Le precondizioni dello spazio
In tutti i casi in cui la strada corre all’interno della corte l’impermeabilità al passaggio non sembra un problema. Lo stesso avviene in due casi in cui, nonostante la strada corra sul lato opposto, il numero delle stecche e la loro divaricazione non riesce a concludere lo spazio interno alla corte.
RECINTO CONDOMINIALE PERMEABILE
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ERMEABILE
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La scomposizione di uno spazio aperto, continuo e attraversabile
per avere ali particolarmente divaricate, la seconda per essere composta da solo due stecche.
La disarticolazione delle sue strutture
I percorsi interrotti non sono solo stati esclusi dalla maglia originaria, ma oggi non sono neanche più riconoscibili, se non con molta attenzione.
Il risultato della creazione dei recinti -anche di quelli permeabili- è la scomposizione dello spazio aperto in pochissimi spazi residuali. Tale scomposizione e riduzione ai minimi termini ha coinvolto anche le strutture di supporto a tale spazio.
Lo stesso è capitato alle aree attrezzate interne alle corti: mentre i dispositivi di separazione sono rimasti in rarissimi casi e solo per porzioni, le panchine delle aree riposo sono state divelte e differentemente disposte.
Infatti, i percorsi che non sono stati interrotti sono quelli che passano all’interno di sub-nuclei tra una corte e l’altra, con la sola eccezione di due corti prossime al centro dell’impianto che si distinguono, la prima 0
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Le nuove tipologie di spazi e le interazioni con la struttura originaria dei percorsi 0
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Quel che resta della struttura originaria dei percorsi
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All’interno dei recinti condominiali avvengono molte cose che coinvolgono molti dispositivi differenti. All’interno di essi non esistono mai altri recinti chiusi. Quando le scalette aggiunte danno accesso diretto alla corte per gli alloggi del primo piano esiste quasi sempre almeno un dispositivo di mediazione rispetto lo spazio più chiaramente collettivo.
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Tali dispositivi di mediazione possono essere piccoli recinti aperti aderenti le corti o divisioni interne alle corti, più distanti dai corpi di fabbrica. In entrambi i casi questi non definiscono una pertinenza capace di ospitare una funzione pratica per gli alloggi. I piccoli recinti aperti sono troppo piccoli persino per posizionare comodamente un tavolo e mangiare all’aperto, potendo ospitare al massimo un piccolo barbecue mobile, le biciclette dei bimbi e, in generale, attrezzature usabili più facilmente nel grande spazio condominiale. Altre volte tali recinti ed il loro contenuto vengono usati Piccolo parcheggio Piccolo parcheggio a scopo decorativo. con relativa siepe con relativa siepe
PARCHEGGIO
STRADA DI ACCESSO AL PARCHEGGIO
SCALA Piccoli recinti aperti
Piccolo parcheggio con relativa siepe
SCALA
COMPLETARE SFONDO
SPAZIO DI MEDIAZIONE
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I dispositivi di separazione che si trovano all’interno delle corti hanno una caratteristica molto particolare: insistono tutti sul sedime di qualcosa di preesistente. I piccoli recinti aperti aderenti gli alloggi sorgono sul limite esterno dei tracciati pedonali-veicolari aggiunti durante la realizzazione. Tracciati nella maggior parte dei casi scomparsi tranne nei casi in cui conducono alle rare aree a parcheggio nelle corti. Le divisioni interne alle corti sorgono sul limite interno di tali percorsi oppure sono il residuato delle siepi delle aree attrezzate anch’esse scomparse.
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Questo processo incrementale, fatto di piccoli passi nel tempo, in qualche modo parzialmente dissimulabili, sembra configurare un percorso di negoziazioni multiple, teso non tanto all’assegnazione delle funzioni negli spazi ma molto di più alla riscrizione di relazioni regolate da influenze e regole non scritte.
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Quando sono le divisioni interne alle corti a separare le scalette dallo spazio condominiale, lo spazio contenuto è molto maggiore, ma l’uso è estremamente meno intenso.
Le divisioni interne alle corti sorgono sul limite interno di tali percorsi, oppure sono il residuato delle siepi delle aree attrezzate, anch’esse scomparse.
I dispositivi di separazione che si trovano all’interno delle corti hanno una caratteristica molto particolare: insistono tutti sul sedime di qualcosa di preesistente. I piccoli recinti aperti aderenti gli alloggi sorgono sul limite esterno dei tracciati pedonali-veicolari aggiunti durante la realizzazione. Tracciati nella maggior parte dei casi scomparsi, tranne nei casi in cui conducono alle rare aree a parcheggio nelle corti.
Questo processo incrementale, fatto di piccoli passi nel tempo, in qualche modo parzialmente dissimulabili, sembra configurare un percorso di negoziazioni multiple, teso non tanto all’assegnazione delle funzioni negli spazi ma molto più alla riscrizione di relazioni regolate da influenze e regole non scritte.
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Lo spazio comune è neutro, non ridisegnato per funzioni, ma capace di accogliere una serie di pratiche frequenti seppur temporanee. Le poche tracce di tali pratiche non perdono il carattere provvisorio ed improvvisato, con utilizzi al confine tra il comune ed il privato. Funzioni usualmente “forti” e caratterizzanti, come il parcheggio delle auto, non hanno avuto la forza di colonizzare in modo sostanziale questi spazi, essendo preferita quando possibile- ai bordi dell’impianto- una collocazione dei parcheggi esterna alle corti, del resto più facilmente raggiungibili dai vani scale delle abitazioni. Discorso che si presenta differente per le corti in cui la strada passa all’interno, corti che sono state colonizzate, per una fascia parallela alla strada stessa, da una fila di posti auto che non ne hanno, però, intaccato sostanzialmente il nucleo a prato. Nondimeno l’uso di tali spazi risulta, in paragone, molto più debole. All’interno delle corti prive di strada, da piccoli recinti aperti attigui gli alloggi al pian terreno, parte quella colonizzazione per pratiche dello spazio comune; è qui il luogo in cui vengono lasciati quegli oggetti necessari a tali pratiche, che non trovano posto nello spazio domestico. In alcuni casi i passaggi coperti, che rappresentano spazi chiusi perchè contenuti tra i cancelli, sono divenuti spazi ad uso comune, che consentono, anche a chi vive ai piani superiori al terreno, di avere uno spazio di ricovero esterno. Oltre alla comodità che questo rappresenta, anche l’aspetto dell’alta densità di abitanti per vano, tra le mura delle abitazioni, può aver spinto a questa “espansione“ esterna dell’ambito domestico. Tale ipotesi è, inoltre, rafforzata dall’alta percentuale di verande, riconoscibile in tutto l’impianto, che aggiungono, di fatto, un ambiente a molti degli alloggi.
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Dentro i recinti
I recinti privati di più alloggi sono sempre esterni alla corte. In questo caso, nonostante la presenza delle scalette, non vi sono divisioni interne tra l’area prospicente un alloggio e l’altro. Lo spazio è tutto condiviso e non ci sono quei dispositivi di mediazione aderenti l’alloggio che invece si riscontrano all’interno delle corti. La condizione di condivisione e di forte prossimità fa ipotizzare un accordo chiaro ed un rapporto continuo tra i suoi occupanti. La quantità di spazio di questi recinti è decisamente superiore dello spazio che, dentro le corti, può essere di afferenza di un singolo alloggio ed è completamente appropriato. I dispositivi di separazione con l’esterno sono decisamente più opachi di quelli che cintano le corti.
DENTRO I RECINTILa questione della combinazione: un ridisegno implicito del suolo APPROPRIAZIONE FORTE RECINTO CONDOMINIALE IMPERMEABILE
MOLTI SOGGETTI
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APPROPRIAZIONE DEBOLE
APPROPRIAZIONE FORTE RECINTO CONDOMINIALE IMPERMEABILE
RECINTO CHIUSO PRIVATO di PIU’ ALLOGGI
MOLTI SOGGETTI
Le dimensioni degli spazi appropriati, la loro posizione, nel caso dei recinti privati esterni alla corte, ed il grado di tale appropriazione ci spingono a muovere un’ipotesi. Le modificazioni non hanno potuto essere anarchiche, ma hanno dovuto tener conto di un certo grado di negoziazione. I recinti aperti, adernti l’alloggio, interni alla corte sono molto piccoli e con un’appropriazione molto debole. I recinti privati sono solo esterni alla corte e, trattandosi di un’appropriazione forte, hanno dovuto essere sostenuti da più soggetti. I recinti condominiali sono un’appropriazione forte, ma che ha dovuto garantire tutti i soggetti della corte. Tale ipotesi di continua influenza reciproca sembra confermata dall’assenza di eccezioni nell’impianto; non esiste corte con una sola scaletta o con un solo recinto aperto. Ogni azione risulta, in qualche modo, non isolata all’interno del proprio ambiente.
RECINTO APERTO PRIVATO di un SINGOLO ALLOGGIO
SINGOLO SOGGETTO
Fuori dai recinti
Lo spazio residuale Lo spazio all’esterno dei recinti risulta residuale, non più continuo né attrezzato. Alla soppressione del sistema di percorsi di progetto ed originariamente realizzati non è seguita la sostituzione con percorsi alternativi. Questa condizione rende difficoltoso l’attraversamento dell’impianto, che avviene perlopiù attraverso le strade, fortunatamente poco trafficate. Ancor di più, la mancanza di una struttura di percorsi rende destrutturato tutto lo spazio. La mancanza di un disegno palese, che renda chiara l’attraversabilità degli spazi, ed anche la legittimità del loro uso come spazio di riposo o di passeggio sembra in discussione. Tutto ciò all’interno di un contesto di spazi appropriati a diversi livelli non sempre palesi. Si ha, così, la completa percezione di spazi scartati, il cui impiego più semplice sembra quello con funzioni più neutre, quali il parcheggio casuale delle automobili. Qualche timido segnale di utilizzo si trova con sistemazioni improvvisate di sedute. Troppo improvvisate per essere opera di adulti, probabilmente opera di ragazzi vogliosi di usare uno spazio meno “controllato” di quello delle corti. Gli adulti che passeggiano il sabato pomeriggio e la domenica, come detto, preferiscono farlo in mezzo alle strade. L’unica area attrezzata che è stata ricollocata e riprogettata all’esterno di un recinto riscuote un buon successo, soprattutto nei giorni festivi da parte di giovani famiglie con bambini e, negli altri giorni, da parte di qualche anziano.
Il centro civico Il centro civico è stato depotenziato dalle modificazioni a tutte le scale che sono avvenute. La frantumazione dei percorsi non lo pone più al centro, fulcro dei passaggi pedonali dell’impianto. La creazione dei recinti ha creato la paradossale situazione per cui da spazio aperto più piccolo contenuto è divenuto il più grande e permeabile, togliendogli il carattere di spazio “altro”. Permeabile ma privo di ragioni per essere attraversato. La quasi totalità degli edifici congiunti dalla pensilina, ad esclusione della biblioteca e degli esercizi commerciali sotto il portico, sono in disuso. Tali esercizi commerciali, che rappresentavano nel progetto il supporto naturale alla vita della piazza, evitano di utilizzare, oggi, l’affaccio verso questa, confermando ed alimentando, allo stesso tempo, il ruolo divenuto secondario di tale spazio.
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Il centro civico e quel che resta dei percorsi
L’avvicinamento della città, e con essa l’arrivo di un grande centro commerciale raggiungibile facilmente a piedi, ha depotenziato ulteriormente il supporto che la funzione commerciale offriva allo spazio.
Ferrovia torino-milano Capolinea linea 4
Autostrada torino-milano
Stazione Torino-Stura
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Distanze tra il centro civico e le nuove aree commerciali
Le istanze del presente
suggerimenti, per una sorta di master plan, sembrano nuovamente porre particolare attenzione sull’aspetto della visibilità.
PISL. I progetti di riqualificazione
“Le scelte tecniche sono basate su una serie di spazi pedonali, che collegano la fermata del 4 di tranvia pesante con i volumi a destinazione commerciale”.
Il quartiere di Falchera, intendendo con questo sia l’impianto degli anni ‘50 che quello degli anni’70, si è dotato negli anni 2000 di un “progetto integrato di sviluppo locale”. Il Pisl, per l’appunto, integra l’ipotesi di qualsiasi azione sul quartiere entro un quadro organico elaborato all’interno di un processo partecipato. Non possiamo e non vogliamo, in questa sede, entrare nel merito delle proposte di progetto. Nondimeno, il processo partecipato che ne è alla base fornisce, attraverso le relazioni allegate, informazioni attendibili sulla visione del quartiere da parte dei suoi abitanti. L’impressione per la quale lo spazio pubblico aperto, quello che abbiamo definito “spazio residuale”, sia vissuto come problematico è confermata dalla richiesta di opere di “recupero di spazi pubblici per una migliore percorribilità pedonale” attraverso l’aggiunta di “marciapiedi mancanti”. Accanto a questa istanza se ne manifestano altre, come “l’apertura del quartiere verso l’esterno” ed una migliore percorribilità veicolare. Queste ultime negli intenti vengono parzialmente soddisfatte tramite la creazione di una rotonda all’incrocio tra la strada per Leinì e il viale che penetra l’impianto e, dalla parte opposta, la costruzione di una strada che, utizzando un ponte già esistente sopra la ferrovia, raggiunge corso Romania. Il recupero e la costituzione del “parco dei laghetti” ai margini dell’impianto di Falchera Nuova, le cui sponde sono oggi occupate da orti urbani non regolamentati, costituisce l’occasione per una “migliore accessibilità ai servizi interni al quartiere” ma anche, nuovamente, una possibilità di aprire il quartiere verso l’esterno. La relazione, infatti, individua negli abitanti “i fruitori più immediati e diretti. Tuttavia il carattere di unicità del sito rispetto all’area urbana fa sì che il bacino d’utenza sia decisamente superiore e coinvolga direttamente i Comuni limitrofi a nord: Borgaro, Settimo, la popolosa frazione di Mappano e l’intera circoscrizione 6”. Nell’ipotesi di espansione dell’impianto sull’area BOR.SET.TO i
“Nella zona sud sono concentrati gli spazi a parcheggio. L’edificazione residenziale, con fabbricati a bassa altezza che riprendono nella loro conformazione planimentrica il disegno dell’ormai storico insediamento della prima Falchera, prospettano sulla dorsale pedonale e su ampi spazi a verde privato. Ledificio commerciale, per la sua grande visibilità, ha una forte caratterizzazione architettonica e può essere tenuto compatto o frazionato, con affacci interni ed esterni in piccole e medie superfici, direttamente servito dalla nuova viabilità e con grande visibilità dal tratto terminale per l’ingresso in Torino dell’autostrada Milano-Torino”. L’esplorazione progettuale sull’edificio della rotonda, concepito come parcheggio prospicente il centro civico, lo congiunge a quest’ultimo eliminando la strada che li divide. Nell’operazione utile al “miglioramento della qualità urbana nell’area” si crea un edificio che divenga “casa delle associazioni” particolarmente numerose ed attive a Falchera. Tuttavia, nella relazione, come usuale, si rimarca l’aspetto di “apertura del quartiere verso l’esterno”. “L’edificio della Rotonda deve diventare, a nostro avviso, il centro operativo dell’azione di sviluppo locale del Comitato, nonché un luogo di riferimento per la cittadinanza: in particolare, potrebbe rappresentare un punto di orientamento sia per gli abitanti del quartiere, sia anche per i “Torinesi”, potenziali fruitori delle attività che si insedieranno a Falchera in futuro. La rotonda diverrà, nelle nostre intenzioni, la sede di un rinnovato e potenziato Laboratorio di Quartiere e fungerà altresì quale sportello dell’istituzione e vetrina delle attività falcheresi”.
È da considerare che la condizione di isolamento è reale; Falchera Vecchia è oggi circondata, oltre ad essere contenuta, ma è anche nascosta. Il suo isolamento è rimasto, ma ha mutato significato. Non un isolamento nel vuoto, ma un isolamento nel pieno. La sua buona fama è principalmente accademica o da parte di coloro che hanno avuto occasione di conoscerla. Ancora oggi Falchera è principalmente conosciuta ai più per la sua parte più recente, tra l’altro la più visibile dalle vie di comunicazione.
Le citazioni del testo sono tratte da documenti reperibili online, sul sito: http:// falchera.jimdo.com/progettiperfalchera
A’
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Pianta coperture
sala riunioni
quinte
open space
sezione A-A’
Progetto per il riuso dell’edificio “la rotonda”
palco
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San Giuliano e Falchera: due nozioni di vicinato nella tradizione modernista
“Ad un diverso inidirizzo e ad una diversa impostazione appartengono, invece, le due nuove unità di Falchera e di Mestre. Per entrambe il punto di partenza non è la ricerca plastica astrattamente ed organicamente intesa; il punto di partenza è oltre, è un’idea sociale, non un’idea figurativa. Questa nuova apertura era anche suggerita dall’ampiezza del tema, che richiedeva la progettazione di una unità residenziale completa e autonoma per cui si poneva più chiaramente che per i minori quartieri la necessità di definire anzitutto la vita sociale e la strutturazione del complesso.” (G. Astengo, Nuovi quartieri in Italia, in Urbanistica, n° 7, 1951)
Un confronto iniziato da Astengo
“Non si può certo affermare che tutti i progetti siano conseguenti ad un indirizzo unitario, giacchè in essi sono chiaramente riconoscibili orientamenti tra loro contrastanti, essendo in essi riflesse tutte le sfumature personali dell’eclettica cultura italiana”.
Nonostante il carattere di vera e propria icona dell’urbanistica del ‘900, la Nuova Unità Residenziale Falchera rimane un progetto poco studiato e spesso trattato con un approccio contestuale entro l’INACasa nell’ambito del “progetto di vicinato”.
“Si possono però individuare chiaramente alcune fra le principali e ben distinte correnti. La prima, che possiamo denominare plasticismo puro, è caratterizzata da una composizione spaziale essenzialmente volumetrica. Prendiamo ad esempio il quartiere di SAN PAOLO AL VALCO [..]. Analogo indirizzo si riscontra ancora sia pure con un discorso più complesso, più articolato e ricco di accenti e di risorse, nel piano del quartiere DESSIE’ a Milano [..] si sente un’atmosfera che avvolge tutti i corpi, li cristallizza; purismo e funzionalismo creano qui un ambiente artificiale, cui non è del tutto estranea la ricerca di un’astratta monumentalità. Diversa è l’impostazione del quartiere TIBURTINO a Roma. Per esso possiamo parlare di plasticismo organico, intendendo con questa denominazione una composizione in cui hanno valore compositivo non solo i volumi dei solidi, ma anche gli spazi esterni e le reazioni psicologiche dell’abitante. Nel Tiburtino i corpi degli edifici non seguono alcun schema preconcetto, essi si snodano lungo gli assi di penetrazione, che in questo caso erano predeterminati da particolari vincoli ed esigenze, e creano, colla loro continuità, allargamenti e restringimenti di spazi, concavità e convessità, che formano ambienti parzialmente chiusi e di forme diverse; chi percorre queste vie ha un susseguirsi di sensazioni e visuali continuamente variate; chi vi abita agevolmente riconosce gli slarghi e si affeziona al suo angolo [..] Non molto lontano come spirito dal Tiburtino, coll’impiego di altri elementi e di altri mezzi espressivi, è il quartiere PANIGALE a Bologna [..]. La rottura della composizione plastica pura, conseguita per diverse vie e in diversa misura nei due quartieri esaminati, abolendo ogni preconcetto schematico e non riconoscendo alcuna preminenza a particolari assi o a particolari angoli, cari alla composizione classica, cui il plasticismo puro in certo modo si riallaccia, richiede un controllo di diversa natura, in sostituzione al soppresso schematismo geometrico; questo controllo non può che essere dato che dagli stessi nuovi elementi introdotti nella composizione, e cioè lo studio psicologico e lo studio degli spazi esterni. La carenza di questo controllo fa slittare inevitabilmente la composizione su di un piano di maggiore gratuità, di sensibilità pura, e il plasticismo organico si sfalda in plasticismo romantico”.
Manfredo Tafuri: “E non è certo un caso, date le tonalità sociologiche del «recupero della comunità», se con analoghi atteggiamenti gli architetti si adoperano a definire i loro strumenti di lavoro per affrontare il tema del quartiere. Ancora una sociologia di importazione: al mito della città nuclearenucleare=organico- corrisponde l’ideologia dell’unità di vicinato di dimensione conforme, raccolta intorno ai servizi primari, alle scuole innanzitutto”. “Falchera, basato come San Basilio, su una successione di corti aperte di forma poligonale, non ha certo fra le sue cause ultime la realtà di una Torino che va divenendo sempre più una company town in grado di collocare l’intervento pubblico all’interno delle proprie esigenze complessive”. O ancora Bruno Dolcetta: “La concretizzazione delle teorie sull’unità di vicinato, in quel periodo al centro dell’ampio dibattito che occupa gran parte della pubblicistica architettonica e urbanistica italiana”, “il messaggio che viene raccolto ed elaborato è che, anche nella città, si possono e si debbono individuare luoghi costruiti secondo riconoscibili regole d’insieme, basati su gerarchie semplici e su valori civili fondati sui rapporti interpersonali, assicurati da spazi amichevoli e protettivi, ispirati alle logiche dell’efficienza complessiva e, per quanto riguarda i moduli residenziali, prevalentemente sulle logiche di vicinato. Quartieri defilati nella campagna o in contesti di città medie sono forse i luoghi elettivi di queste prove di autori come Astengo a Falchera o Piccinato a Ivrea e altrove”. Tuttavia, lo stesso Astengo stesso, occupandosi già su Urbanistica del ‘51 di presentare i maggiori progetti urbanistici del piano INA-Casa, si preoccupa di operare una prima operazione di catalogazione delle notevoli differenze degli approcci adottati.
Giunto il momento di trattare Falchera, poi, l’autore opera una nuova distinzione. “Ad un diverso inidirizzo e ad una diversa impostazione appartengono, invece, le due nuove unità di Falchera e di Mestre. Per entrambe il punto di partenza non è la ricerca plastica astrattamente ed organicamente intesa; il punto di partenza è oltre, è un’idea sociale, non un’idea figurativa. Questa nuova apertura era anche suggerita dall’ampiezza del tema, che richiedeva la progettazione di una unità redisenziale completa e autonoma per cui si poneva più chiaramente che per i minori quartieri la necessità di definire anzitutto la vita sociale e la strutturazione del complesso.” “Il pensiero che sta alla base dell’unità di MESTRE è l’organizzazione della vita in piccoli nuclei autonomi in cui gli abitanti si riconoscano e si ritrovino all’ aperto e vivano assieme come in una appartata, tranquilla frazione di paese: la vita ha una duplice faccia, individuale e associata, che si proietta dalla casa, centro di vita, in due direzioni opposte su due spazi distinti, lo spazio interno del nucleo, la piazzetta , «il campiello» per la vita associata e le «ciaccole», e lo spazio esterno con l’orto, che isola l’individuo e lo pone a contatto con la massa indefinita a verde del parco, che recinge e collega i nuclei e forma orizzonte alla casa. Questa impostazione sociale condiziona il tipo fondamentale di casa (casa duplex con al piano terra soggiorni passanti, da cui la vita si proietta nei due spazi, esterno e interno), condiziona la struttura e l’articolazione del nucleo, vincolato ad un’unica fascia perimetrale, allo spazio interno, articolato a meandro per ottenere il maggior sviluppo perimetrale e una configurazione dello spazio interno a piccole sacche, condiziona tutta l’impostazione spaziale. Ma poiché la nuova unità residenziale di Mestre non è stata pensata per una sola classe di persone, ma per una comunità completa, ne risulta che la vita sociale sarà presente in essa in tutta la sua complessità e non potrà pertanto essere risolta in modo univoco dalle sole casette singole con orto. Perciò ogni nucleo è stato completato nel centro dello spazio interno con una casa collettiva di quattro piani per coloro che non vogliono o non possono coltivare l’orto e preferiscono l’alloggio alla casa singola, ma desiderano ancora sentirsi gomito a gomito con i vicini; case alte a torre nella parte centrale del parco che forma il tessuto connettivo dell’unità, sono invece destinate ad ospitare chi ama l’isolamento. Anche il piano di FALCHERA parte da un’impostazione sociale. Diverse condizioni ambientali, la campagna piemontese con le grandi masse di alberi e le Alpi e la collina all’orizzonte, diverse condizioni sociali e
psicologiche, una classe lavoratrice evoluta, formata da ingegnosi operai specializzati, che associano ad una cultura tecnica una certa solidità e serietà di vita, che è quasi borghese, che disdegnano di coltivare l’ orto, non amano troppo comarare e sono irriducibilmente gelosi del loro «appartamento». In tale ambiente naturale e per questa particolare psicologia è stato creato un sistema di grandi edifici articolati disposti attorno a grandi spazi verdi. Su queste ampie corti aperte, trattate a prato, a giardino, a frutteto, a boschetto, con i giochi dei bimbi e nidi asilo, si affaccia la vita degli alloggi. Le strade sempre costeggiano il lato esterno degli edifici, lato stanze fra gli edifici, ottenute con la riunione di tutti gli spazi esterni, isolano completamente ogni alloggio dalla vista del frontista ed attutiscono i rumori. La casa è come sul bordo di un mare. Questo respiro e questa quiete si associano ad una continua varietà di spazi, tutti indivi duali, con i corpi di fabbrica tra loro compensanti, in modo da ricavare ambienti a spazi concavi, con prospettive variate e visuali lontane”. Il progetto per Falchera e quello per San Giuliano a Mestre -anch’esso divetuto un’icona dell’urbanistica del 900- sono spesso associati più che distinti dalla letteratura. La consapevolezza che sia stato proprio Astengo a paragonarli per evidenziarne le differenze ci spinge ad approfondire, a valle delle considerazioni frutto della nostra ricerca, questo paragone. L’impressione che il termine “unità di vicinato”, almeno nel suo senso più stretto, non sia perfettamente calzante per il progetto a Falchera ci ha spinto ad esplorare quei presupposti che a nostro parere configurano le condizioni ideali per lo sviluppo di una “situazione di vicinato”. Il concetto di vicinato considera la contiguità un valore, la prossimità favorisce l’incontro che da casuale dovrebbe veicolare quello volontario. Nello spazio condiviso trovano cittadinanza interessi comuni. Allo stesso tempo si crea una condizione capace di diminuire gli oneri individuali della gestione e del controllo dello spazio. La gestione non si limita allo spazio, ma da questo si trasmette all’ambito sociale. I comportamenti sociali e gli usi consolidati o, quantomeno, condivisi vengono trasmessi attraverso un processo di assimilazione per imitazione, di controllo, di riconoscimento positivo. La componente spaziale è fondamentale, così come lo sono quella temporale e le relazioni di influenza reciproche.
Lo spazio deve essere necessariamente contenuto per aumentare le probabilità di incontro e deve contenere funzioni tali da rendere il suo uso necessario. La questione temporale è anch’essa fondamentale nel mettere i soggetti in condizione di usare quello spazio in momenti comuni e favorire l’incontro. L’uso dello spazio può non essere esclusivo, ma, perlomeno, prevalente da parte di coloro che costituiscono il vicinato. Un soggetto terzo che entra nello “spazio del vicinato” esprime una volontarietà per la quale è riconosciuto. Il vicinato è una situazione in cui ci sono le condizioni per una rappresentazione del sé, entro regole condivise e verso soggetti conosciuti.
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Partendo dalle considerazioni esposte sopra, si è deciso di paragonare i due progetti, soffermando particolarmente l’attenzione a quelle scelte di progetto che ci sono sembrate maggiormente influenti su tale aspetto. Il breve confronto è stato effettuato utilizzando il primo progetto di San Giuliano, quello del 1951, anno in cui Astengo scrive a riguardo su Urbanistica. Entrambi i progetti definiscono un quartiere completo, con la grande viabilità che rimane subito all’estremo dell’impianto, mentre l’area a servizi prevalente è al centro di esso. 200 m
Lo spazio del muoversi
Nell’unità di Falchera la rete stradale e quella pedonale sono 200 m disaccoppiate.
La differenziazione tipologica e la gerarchia
A Falchera la tipologia residenziale è unificata con differenziazioni che riguardano scelte formali di facciata e disposizione interna dei vani. Nota: gli esercizi commerciali di vicinato progettati all’interno dei sub-nuclei sono contenuti in edifici molto piccoli ad un solo piano (contro i tre piani fuori terra del residenziale) rivolti sulla strada e non partecipano alla definizione dello spazio.
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La differenziazione tipologica e la gerarchia
A San Giuliano si distinguono tre tipologie residenziali molto differenziate. All’interno dei nuclei le case medie con esercizi commerciali al piano terreno organizzano gerarchicamente un ordine visuale, mentre specularmente definiscono a terra un sistema di vuoti solo interno alle corti. Le corti, cosÏ, risultano uno spazio chiaro e distinguibile rispetto agli altri.
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UnLa confronto utile differenziazione tipologica e la gerarchia
A Falchera la tipologia residenziale è unificata con differenziazioni che riguardano scelte formali di facciata e disposizione gli esercizitipologica commerciali vicinato progettati all’interno dei sub-nuclei sono contenuti in edifici molto piccoli ad LaNota: differenziazione e ladi gerarchia partecipano alla definizione dello A Falchera la tipologia residenziale è spazio. unificata con differenziazioni che riguardano scelte formali di facciata e disposizione int A San si distinguono tipologie residenziali molto dei differenziate. dei nuclei le case medie con eserc Nota: gli Giuliano esercizi commerciali di tre vicinato progettati all’interno sub-nucleiAll’interno sono contenuti in edifici molto piccoli ad un specularmente definiscono a terra un sistema di vuoti solo interno alle corti. Le corti, così, risultano un elemento chiaro e partecipano alla definizione dello spazio.
spazio tra le corti Un Lo confronto utile In Falchera lo spazio è quasi totalmente occupato dalle corti.
Un confronto utile
A San Giuliano si distinguono tre tipologie residenziali molto differenziate. All’interno dei nuclei le case medie con esercizi
specularmente La differenziazione tipologica e la gerarchia 2 La scala definiscono a terra un sistema di vuoti solo interno alle corti. Le corti, così, risultano un elemento chiaro e dis La scala A Falchera la tipologia residenziale è unificata con differenziazioni riguardano formali di facciatanotevolissima. e disposizione interna dei vani. La scala delleche corti presenti in scelte Falchera è di dimensione delle corti presenti Falchera dimensione notevolissima. Nota:La gliscala esercizi di invicinato progettati all’interno dei sub-nuclei sono contenuti in edifici molto piccoli ad un solo piano (contro i tre piani fuori ter Lacommerciali differenziazione tipologica eèladigerarchia 2 La scala partecipano allaAdefinizione dello spazio. Falchera la tipologia residenziale è unificata con differenziazioni che riguardano scelte formali di facciata e disposizione interna dei vani. La scala delle corti presenti in Falchera è di dimensione notevolissima. Nota: gli esercizi commerciali di vicinato progettati all’interno dei sub-nuclei sono contenuti in edifici molto piccoli ad un solo piano (contro i tre piani fuori te A SanLa Giuliano si distinguono tre tipologie residenziali molto differenziate. All’interno dei nuclei le case medie con esercizi commerciali al piano terreno organizzan disposizione verticale partecipano alla definizione dello spazio. specularmente a terra un sistema di vuoti solo interno corti. Le corti, così, risultano un elemento chiaro e distinguibile rispetto agli altri. Le corti in definiscono Falchera sono costituite da edifici a tre piani tutti conalle alloggi A San Giulianoquindi, si distinguono tipologie residenziali molto non differenziate. All’interno dei nuclei le case medie con esercizi commerciali al piano terreno organizza sovrapposti. Esistono, delle tre relazioni verticali, mentre 3 Ladidisposizione verticale specularmente definiscono a terra un sistema vuoti solo interno agli altri. esiste la possibilità di considerare alcun tipo di pertinenza del singolo alle corti. Le corti, così, risultano un elemento chiaro e distinguibile rispetto 2 La scala Le corti in Falchera sono costituite da edifici a tre piani tutti con alloggi 2 La alloggio scala nella corte. Le corti di San Giulian Esistono, 3 Lasovrapposti. disposizione verticale quindi, delle relazioni verticali, mentre non 2 La scala La scala delle corti presenti in Falchera è di dimensione notevolissima. 2 La scala soggetti che le abitano e esiste la possibilità di considerare alcun tipo di pertinenza del singolo 200 m
Le corti in Falchera sono costituite da edifici a tre piani tutti con alloggi delle relazioni verticali, mentre non la possibilità di considerare alcun tipo di pertinenza del singolo In Falchera i percorsi tagliano lo spazio delle cortiesiste percorrendo passaggi alloggio nella corte. predisposti tra una stecca e l’altra o appositamente al centro di queste. scala delle corti presenti in Falchera èsovrapposti. dialloggio dimensione notevolissima. nella corte. quindi, Esistono, I percorsiLapedonali
Questi percorsi sono esclusivi. Neanche ai percorsi veicolari, infatti, vengono accompagnati percorsi pedonali alternativi. 4 Lo spazio tra le corti 3 La disposizione verticale In Falchera lo spazio è quasi totalmente occupato dalle corti. 3 La sono disposizione verticale Le corti in Falchera costituite da edifici a tre piani tutti con alloggi 4 Lo spazio tra letutti corti Le corti inalla Falchera sono costituite da edifici a tre piani con alloggi Gli spaziEsistono, interni corte e quelli esterni (prossimi) sovrapposti. quindi, delle relazioni verticali, mentre non sovrapposti. Esistono, quindi, delle relazioni verticali, mentre In Falchera lo spazio totalmente occupato dalle corti. In Falchera gli edifici concludono la grande corte ad ali divaricate, esiste la possibilità di considerare alcun tipo di pertinenza del singoloè quasinon esisteuno la possibilità di considerare alcunaperto. tipo di Gli pertinenza del singolo che costituisce spazio concavo, ma molto ingressi agli alloggio nella corte. alloggioesclusivamente nella corte. androni, collocati sulla facciata opposta, ovvero sulla strada, non consentono l’accesso diretto alla corte.5 Gli spazi interni alla corte e quelli esterni (prossimi)
In Falchera gli edifici concludono la grande corte ad ali divaricate, che costituisce unoalla spazio ma molto aperto. Gli ingressi agli 5 Gli spazi interni corteconcavo e quelli esterni (prossimi) androni, collocati esclusivamente sulla facciata ovveroche sulla 4 Lo spazio tra le4 Lo corti spazio tra le corti In Falchera gli edifici concludono la grande corte adopposta, ali divaricate, strada, non consentono l’accesso diretto alla corte. In Falchera lo spazio è quasi totalmentecostituisce occupato dalle uno corti. spazio concavo ma molto aperto. Gli ingressi agli
In Falchera lo spazio è quasi totalmente occupato dalle corti.
androni, collocati esclusivamente sulla facciata opposta, ovvero sulla strada, non consentono l’accesso diretto alla corte.
5 I percorsi pedonali Falchera i percorsi tagliano lo spazio delle corti percorrendo 5 Gli spazi interni alla corte e quelli esterniIn(prossimi) 5 Gli spazi interni alla corte e quelli esterni (prossimi) passaggi predisposti tra che una stecca e l’altra o appositamente al centro In Falchera gli edifici concludono la grande corte adpedonali ali divaricate, 5 I percorsi In Falchera gli edifici concludono la grande corte ali divaricate, che queste. percorsi sono lo esclusivi, ai percorsi veicolari, costituisce uno spazio concavo maad molto aperto.iQuesti Gli ingressi agli In di Falchera percorsi tagliano spazio neanche delle corti percorrendo costituisce unoandroni, spazio collocati concavoesclusivamente ma molto aperto. Gli ingressi agli infatti, vengono accompagnati percorsi pedonali alternativi. sulla passaggi facciata opposta, ovvero sulla predisposti tra una stecca e l’altra o appositamente al centro androni, collocati esclusivamente sullal’accesso facciatadiretto opposta, ovvero sulla strada, non consentono corte. dialla queste. Questi percorsi sono esclusivi, neanche ai percorsi veicolari,
strada, non consentono l’accesso diretto alla corte. infatti, vengono accompagnati percorsi pedonali alternativi.
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5 I percorsi pedonali In Falchera i percorsi tagliano lo spazio delle corti percorrendo 5 I percorsi pedonali passaggi predisposti tra una stecca e l’altra o appositamente al centro
Le corti di San Giulian soggetti che le abitano
3 La disposizione vertica 3 La Giuliano disposizione vertic In San le corti In San Giuliano le corti duplex. Non si verifican duplex. Non si verifican relazioni con i vicini sono relazioni della con i vicini all’interno corteson s all’interno della corte s che non gli appartiene m che non gli appartiene
4 Lo spazio tratralelecorti 4 Lo spazio corti In In SanSanGiuliano Giulianolele dis d perlomenoparagonabil paragonab perlomeno contribuisce definirel contribuisce a adefinire
5 Gli spazi interni alla c 5 Gli spazi interni alla co In San Giuliano gli ed In San Giuliano gli edi concluso dove converg concluso dove convergo dove gli sguardi dei dove gli sguardi deiprid definisce lo spazio definisce lo spazio alloggi sono dotati priv di u alloggi sonodella dotati di eun comune corte l’ comune della corte e l’a
5 I percorsi pedonali San Giuliano i pe 5 I Apercorsi pedonali muoiono. La struttura A San Giuliano i per mente visto la barrier
muoiono. La struttura
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Lo spazio tra le corti
L’ equivoco della corte
In San Giuliano le distanze tra le corti di due differenti nuclei è perlomeno paragonabile a quello occupato dalle corti stesse. Questo contribuisce a definire lo spazio delle corti come spazio altro.
mali di facciata e disposizione interna dei vani. iazioni che riguardano formali facciata disposizione dei vani.rivolti sulla strada e non nuti in edifici molto piccoli scelte ad un solo pianodi(contro i tree piani fuori terrainterna del residenziale)
erno dei sub-nuclei sono contenuti in edifici molto piccoli ad un solo piano (contro i tre piani fuori terra del residenziale) rivolti sulla strada e non
nuclei le case medie con esercizi commerciali al piano terreno organizzano gerarchicamente un ordine visuale, La mentre scala
fferenziazioni che riguardano scelte formali di facciata e disposizione interna dei vani. risultano un elemento chiaro e distinguibile rispetto agli altri. Le corti di San Giuliano sono molto minute, limitando il numero di to differenziate. All’interno nuclei leincase esercizi al piano terreno organizzano un ordine visuale, all’interno dei sub-nuclei sonodei contenuti edificimedie moltocon piccoli ad uncommerciali solo piano (contro i tre piani fuori terra del gerarchicamente residenziale) rivoltila sulla strada e reciproca. non mentre soggetti che le abitano e favorendo conoscenza
interno alle corti. Le corti, così, risultano 2unLaelemento chiaro e distinguibile rispetto agli altri. scala
ali molto differenziate. All’interno dei nuclei leLecase esercizi commerciali al piano terreno organizzano gerarchicamente un ordine visuale, mentre cortimedie di Sancon Giuliano sono molto minute, limitando il numero di soggetti che le abitano la conoscenza reciproca. ti solo interno alle corti. Le corti, così, risultano un elemento chiaroe efavorendo distinguibile rispetto2agli La disposizione verticale La altri. scala
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le corti formate da limitando edifici a due piani condialloggi Le cortiIndiSan SanGiuliano Giuliano sono sono molto minute, il numero
2 La scala duplex. Non si verificano, quindi, situazioni con alloggi sovrapposti e piemontese soggetti che le abitano e favorendo la conoscenza reciproca. Cascina relazioni consono i vicini sono solo dilimitando tipo orizzontale. Le corti dileSan Giuliano molto minute, il numeroIndiquesto modo, anche all’interno della corte, si può definire soggetti che le abitano e favorendo la conoscenza reciproca.uno spazio prospicente al
3 La disposizione verticale duplex che non gli appartiene, ma può afferire ad esso. In San Giuliano le corti sono formate da edifici a due piani con alloggi duplex. Non si verificano, quindi, situazioni con alloggi sovrapposti e le relazioni con i vicini sono solo di tipo orizzontale. In questo modo, anche La disposizione verticale all’interno della corte si può definire uno spazio3prospicente al duplex I percorsi pedonali che non gli appartiene ma può afferire ad esso.3 La verticale In disposizione San Giuliano le cortii percorsi sono formate edifici duelato piani con ealloggi A San Giuliano entranodanelle cortia dal aperto lì muoiono.
Tipologia rurale di La struttura è a cul de sacda e edifici non potrebbe essere diversamente Induplex. San Giuliano le verificano, corti sono formate a con due piani consovrapposti alloggi Non si quindi, situazioni alloggi e le vista derivazione monofala barriera compatta creata dagli edifici che costituiscono la corte. duplex. Noncon si verificano, quindi, con alloggi In sovrapposti e le anche Per relazioni i vicini sono solosituazioni di tipo orizzontale. questo modo, 4 Lo spazio tra le corti spostarsi da un punto all’altro dell’impianto si utilizzano percorsi che relazioni con i vicini sono solo di tipo orizzontale. In questo modo, anche miliare all’interno della corte si può definire uno spazio prospicente al duplex In San Giuliano le distanze tra le corti di all’interno due differenti nuclei non hanno di afferire entrare neiesso. nuclei. della corteèsinecessità può uno spazio prospicente al duplex che non gli appartiene madefinire può ad perlomeno paragonabile a quello occupato dalle corti stesse. Questoma può che non gli appartiene afferire ad esso. contribuisce a definire lo spazio delle corti come spazio altro.
Gli spazi interni alla corte e quelli esterni (prossimi)
IntraSan Giuliano 4 Lo spazio tra le corti gli edifici chiudono uno spazio molto più minuto e 4 Lo spazio le corti 5 Gli spazi interni alla corte e quelli esterni (prossimi) concluso, dove convergono sguardi due dei duplex. All’esterno della In San Giuliano le distanze leglicorti differenti In San le edistanze tra letracorti di duedi differenti nuclei ènuclei è In San Giuliano gli edifici chiudono uno spazio moltoGiuliano più minuto corte, dove gli sguardi dei duplex divergono, una serie di piccoli recinti perlomeno paragonabile a quello occupato dalle corti stesse. concluso dove convergono gli sguardi dei duplex. All’esterno paragonabile della corte, perlomeno a quello occupato dalle corti stesse. Questo Questo definisce lo spazio privato del singolo alloggio. Ne consegue che gli dove gli sguardi dei duplex divergono, una contribuisce serie di piccoli contribuisce arecinti definire lo spazio corti spazio come spazio a definire lo spazio delle delle corti come altro. altro. alloggi sono dotati di un solo ingresso, ma di due porte, una sullo definisce lo spazio privato del singolo alloggio. Ne consegue che gli comune della corte e l’altra su quello privato esterno ad essa. alloggi sono dotati di un solo ingresso ma di due porte, unaspazio sullo spazio comune della corte e l’altra su quello privato esterno ad essa.
5 Gli spazi interni alla alla cortecorte e quelli esterni (prossimi) 5 Gli spazi interni e quelli esterni (prossimi) InInSan Giuliano gli edifici chiudono uno molto molto più minuto e San Giuliano gli edifici chiudono spazio uno spazio più minuto e concluso dove convergono gli sguardi dei duplex. All’esterno della corte, concluso dove convergono gli sguardi dei duplex. All’esterno della corte, 5 I percorsi pedonali dove gli sguardi dei duplex divergono, una serie di piccoli recinti dove glilo aperto sguardi divergono, serie di che piccoli A San Giuliano i percorsi entrano nelle corti dal lato lìdei duplex definisce spazioeprivato del singolo alloggio. una Ne consegue gli recinti definisce lo spazio privato del singolo alloggio. Ne consegue muoiono. La struttura è a cul de sac e non potrebbe essere diversaalloggi sono dotati di un solo ingresso ma di due porte, una sullo spazio che gli mente visto la barriera compatta creata dagli comune edifici chedella costituiscono alloggi sono dotati di unsusolo ingresso di due corte e l’altra quello privatoma esterno adporte, essa. una sullo spazio la corte. Per spostarsi da un punto all’atro dell’impianto si utilizzano comune della corte e l’altra su quello privato esterno ad essa. percorsi che non hanno necessità di entrare nei nuclei.
5 I percorsi pedonali A 5San Giulianopedonali i percorsi entrano nelle corti dal lato aperto e lì I percorsi muoiono. La struttura è a cul deentrano sac e nonnelle potrebbe diversaA San Giuliano i percorsi corti essere dal lato aperto e lì mente visto la barriera compatta creata dagli edifici che costituiscono
muoiono. La struttura è a cul de sac e non potrebbe essere diversa-
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ano un elemento chiaro e distinguibile rispetto agli altri. 2 La scala Le corti di San Giuliano sono molto minute, limitando il numero di soggetti che le abitano e favorendo la conoscenza reciproca.
Due tipologie di corte
Corte di San G Cascina piemontese
3 La disposizione verticale In San Giuliano le corti sono formate da edifici a due piani con alloggi duplex. Non si verificano, quindi, situazioni con alloggi sovrapposti e le relazioni con i vicini sono solo di tipo orizzontale. In questo modo, anche termine della nostraall’interno esplorazione ci sembra della cortenelle si puòscelte definire progettuali, uno spazio prospicente al duplex non base gli appartiene può afferire ad esso.accomunanti di poter ipotizzare chechealla dellema interpretazioni
L’ equivoco della corte
Al di cuidelsono stati oggetto due eprogetti presi in esame, vi sia un equivoco, ani fuori terra residenziale) rivolti sulla istrada non ovvero l’equivoco della4 Locorte. Il letermine corte è carico di significato, spazio tra corti o organizzano gerarchicamente un ordine visuale, mentre un significato con radici viene da tempo e una cultura In arcaiche San Giulianoche le distanze tra un le corti di due differenti nuclei è a quello in occupato dalle corti ma stesse.che Questo di molto precedenti perlomeno all’epocaparagonabile dei progetti questione, contribuisce a definire lo spazio delle corti come spazio altro. nondimeno resiste ancora oggi. San GiulianoUn sonosignificato molto minute,evocativo limitando il e numero di in qualche modo romantico, che richiama le abitano e un’idea favorendo la reciproca. diconoscenza vita sociale in armonia e alla solidale. 5 Gli spazi interni corte e quelli esterni (prossimi) Giuliano edifici chiudono unosiano spazio molto minuto La constatazione che IngliSananni del glipiano INA-Casa stati più anni di e Cascina piemontese concluso dove convergono gli sguardi dei duplex. All’esterno della corte, forte inurbamento e grandi flussi migratori hanno forse completato dove gli sguardi dei duplex divergono, una serie di piccoli recinti un quadro interpretativo chelo vede i progetti urbani accoglienti e,che in gli definisce spazio privato del singolo alloggio. Ne consegue zione verticale alloggi dotati di un solo ingresso ma e, di due porte,sommato, una sullo spazio qualche nostalgici, come consolatori tutto ano le corti sono formatemodo, da edificiquasi a due piani consono alloggi comune della su quellonuovi privato quartieri. esterno ad essa. neiconconfronti degli abitanti di questi si verificano,ragionevoli quindi, situazioni alloggi sovrapposti e lecorte e l’altra
Tipologia rurale di derivazione monofamiliare
Corte di San Giuliano
Tipologia riel
Mediazion l’ambito pri quello comu
n i vicini sono solo di tipo orizzontale. In questo modo, anche della corte si può definire uno spazio prospicente al duplex appartiene ma può afferire ad esso. 5 I percorsi pedonali
equivoco della corte TaleL’interpretazione ci sembra potersi adattare in parte al progetto diTipologia rurale di A San Giuliano i percorsi entrano nelle corti dal lato aperto e lì Samonà per San Giuliano, dove l’operazione compie derivazione monofamuoiono. La struttura è a cul deprogettuale sac e non potrebbe essere una diversatra le corti mediazione tra un modello e qualcosa nuovo, ponendo mentetradizionale visto la barriera compatta creata di dagli edifici che costituiscono miliare liano le distanze corti di dueper differenti nuclei corte. Per èspostarsi un punto all’atro dell’impianto si utilizzano tuttetrale lecondizioni lalacreazione di unadacondizione forte di “vicinato”, paragonabile a quello occupato dalle corti stesse. percorsiQuesto che non hanno necessità di entrare nei nuclei. arricchendo tipologia e a definire loma spazio delle corti comelaspazio altro. della possibilità di scelta verso lo spazio più individuale del giardino posteriore. Non si deve dimenticare, poi, come tale tipologia sia riservata, nel nterni alla corte e quelli esterni (prossimi) progetto di Samonà, ad una fascia specifica di popolazione che la iano gli edifici chiudono uno spazio molto più minuto e “scegliesse” in unAll’esterno processo adattamento alla nuova realtà. ve convergono gli sguardi dei duplex. delladicorte,
uardi dei duplex divergono, una serie di piccoli recinti spazio privato del singolo alloggio. Ne consegue che gli dotati di un solo ingresso ma di due porte, una sullo spazio La stessa interpretazione non può essere la corte e l’altra su quello privato esterno Cascina ad essa. piemontese
Corte di San Giuliano
applicata, però, a nostro parere, al progetto di Astengo per Falchera. Qui, tutti i caratteri relazionali della tipologia a corte tipica vengono invertiti per consentire i pedonali nuove forme di vivere assieme tra i soggetti, considerate probabilmente più entrano adattenelle allacorti società a venire. uliano i percorsi dal lato aperto e lì La struttura èTutto a cul de e non potrebbediessere diversaciòsacnell’ambito un progetto urbanistico complessivo che sfocia o la barriera compatta creata dagli edifici che costituiscono nel progetto sociale, con coraggio, senza l’appoggio di tipi e soluzioni er spostarsi da un punto all’atro dell’impianto si utilizzano Tipologia rurale di he non hannoconosciute. necessità di entrare nei nuclei. derivazione monofaTipologiadel rielaborata Un atteggiamento utopistico forse, ma nel senso astenghiano miliare termine, ovvero quello di una visione complessiva e progressiva della tra Mediazione società e, quindi, della pratica urbanistica. l’ambito privato e quello comunitario
Tipologia rielaborata Mediazione tra l’ambito privato e quello comunitario
Corte di Falchera
Tipologia rielaborata Tipologia che riprende la cascina piemontese e ne inverte tutti i caratteri relazionali
T
Tip cas in
Il testo si compone di differenti citazioni, tratte dalle seguenti fonti: a pag 120, Tafuri M., 1986, Storia dell’architettura italiana, 1944-1985, Einaudi, Torino, pag. 42; a pag 120, Tafuri M., 1986, Storia dell’architettura italiana, 1944-1985, Einaudi, Torino, pag. 44; a pag. 120, Dolcetta B., Un bilancio: significati, speranze e delusioni, in Di Biagi P., a cura di, 2001, La grande ricostruzione. Il piano INACasa e l’Italia degli anni Cinquanta, Donzelli, Roma, pag. 254; alle pagg. 120-121, a pag. 45, Astengo G., Nuova unità residenziale Falchera a Torino, in Urbanistica, n° 7, 1951; pagg. 11-12
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Conclusione
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La Nuova Unità Residenziale Falchera nasce nell’ipotesi che sia possibile rendere “la vita individuale, di famiglia e associata” più confortevole. Segnata da “minori costrizioni, minor peso, più libertà e più ricchezza che non nell’indistinto agglomerato urbano”. E’ una distanza dalla città che si vuole segnare. O meglio, di alcune implicazioni della vita urbana. Poiché i soggetti cui si rivolge sono fondamentalmente urbani: “gli ingegnosi operai specializzati” di cui parla Astengo. Per raggiungere tale obiettivo vengono messi in atto alcune strategie spaziali che vorremmo richiamare brevemente in questa parte conclusiva, senza che l’ordine nel quale le presentiamo, segni una qualche priorità. Ogni aspetto dell’impianto urbano, degli spazi aperti e di quelli costruiti viene progettato meticolosamente. Uno dei primi esiti del nostro esercizio di de-costruzione del progetto attiene a questo punto: non si tratta solo di ribadire l’accuratezza del progetto (requisito di qualsiasi buon progetto), ma di osservare il legame forte ed esplicito che intercorre tra dispositivi spaziali che si implicano reciprocamente. Il progetto di Falchera non lascia nulla di indeterminato, di lasco, di passibile di interpretazione. E’ definito in modo ossessivo, negli spazi individuali, in quelli collettivi e nelle loro relazioni reciproche. L’esercizio de-costruttivo evidenzia le regole. La percentuale di osservanza. L’eccezione che le conferma. Si potrebbe dire che questa ossessiva definizione sia segno dei tempi nei quali il progetto è stato costruito (molto più che delle indicazioni fornite da INA-Casa). Ma vale comunque la pena ribadirne l’importanza. L’accuratezza (soprattutto quando ossessiva, quasi maniacale) è generalmente associata alla rigidità: questa è una delle più comuni critiche al progetto urbanistico degli anni Cinquanta e Sessanta. Il nostro esercizio permette di discutere questo punto (qui, possiamo individuare un secondo esito). Falchera ha sopportato egregiamente molte trasformazioni (come ovvio che fosse). Oggi appare uno spazio morbido, malleabile, ricco di ambienti da reinventare, disponibile ad essere attraversato da azioni e reazioni. Ma questa disponibilità al plasmarsi nelle pratiche quotidiane, non ha fatto e non fa perdere irrimediabilmente i connotati del disegno spaziale. Potremmo arrivare a dire che l’utilizzo, l’osare di qualcuno, rivela il potenziale del disegno di Astengo. Il fatto che la diffusione dei parcheggi e delle auto non abbia colonizzato e stravolto questi luoghi, come spesso è capitato altrove, è un esempio del loro valore. La “storia delle trasformazioni” di questo spazio trova in questa fedeltà all’impronta originale, un aspetto di grande interesse.
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Un terzo esito concerne l’aver messo a fuoco il legame tra forma costruita, usi e modalità di convivenza. Si è detto della figura sociale che Astengo aveva come riferimento: operaio quasi borghese. Una figura solida e seria. Gelosa del proprio privato. Che disdegna coltivare l’orto o chiacchierare tra vicini. Qui si coglie l’eco di un processo di industrializzazione che è inteso in termini emancipativi: è una società che progredisce quasi antropologicamente. Astengo non immagina la brutalità dei processi di trasferimento in massa di lavoratori che segneranno Torino più che ogni altra città del nostro paese, da lì a qualche anno. E genereranno sfruttamento, contrapposizioni e conflitti. E’ molto interessante che egli disegni questa sorta di “idealtipo” (che è un ossimoro: l’operaio quasi borghese) nel suo spazio. Uno spazio che suggerisce solo, timidamente, forme di convivenza. Non le impone. Potremmo dire che mantiene lo stesso riserbo del soggetto cui è destinata. In questo suggerire senza imporre si situa uno degli aspetti più interessanti del progetto di Astengo. Falchera (come gli altri quartieri INA-Casa) è la cristallizzazione spaziale di una politica di protezione sociale, intesa come garanzia di diritti. In primo luogo, del diritto per tutti ad un’abitazione decorosa. Potremmo dire che questi quartieri hanno rappresentato il supporto più importante della città moderna. Ma le loro traiettorie sono state assai diverse. Ancora una volta, un confronto può essere utile. Questa volta con il quartiere Bellavista di Luigi Piccinato. Progettato nel 1956 ad Ivrea. Anche in quel caso, un quartiere esterno la città, ben progettato, con un disegno chiaro nelle relazioni tra spazi individuali e collettivi. Con ambizioni alte. Nonostante la patrimonializzazione del MAAM e dell’Unesco Bellavista si appresta a divenire una pallida cartolina di quell’idea di protezione sociale. E’ sempre più vuoto (un terzo degli abitanti previsti al tempo del progetto, a fronte di una popolazione urbana rimasta pressoché immutata). E’ sempre più vecchio. E’ sempre più difficile viverci. A Falchera questo non è successo. Quarto e ultimo esito del nostro studio è mettere in evidenza che Falchera funziona. Probabilmente in modo diverso da quanto immaginasse Astengo: con una popolazione che può dirsi di ceto medio, né più povera, né più anziana, né meno istruita di quella della città (cioè in media con i valori urbani). Falchera non corre il rischio della desertificazione che incombe su Bellavista. Ha anche recuperato la distanza che originariamente la separava dalla città. Volendo esprimere questo carattere in modo radicale e un po’ polemico, diciamo che Falchera non necessita di un progetto di riqualificazione. Se originariamente la distanza dalla città e l’autosufficienza erano intese come occasioni per creare qualcosa di nuovo (almeno sul piano morfologico, come ribadiva con una vena di cinismo Astengo), ora il problema dell’integrazione nell’urbano
acquista un diverso significato ed è demandato principalmente agli aspetti infrastrutturali e al loro potenziamento. Mentre il centro civico (con il suo originario significato di luogo “socialmente inclusivo”) è depotenziato per le ragioni che è facile immaginare. In un momento di scarse risorse pubbliche, oltre che private, Falchera si configura oggi come un luogo che mantiene una qualità di vita con caratteri di eccezionalità nel contesto torinese. L’intento di Astengo di creare un progetto esemplare, capace di mostrare le qualità della pianificazione, rimane ancor oggi valido, pur essendo mutato in quasi ogni aspetto. A partire da quelli sociali.
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Alcune immagini della ricchezza e della varietà di uno spazio aperto urbano, il cui valore è riconosciuto dagli abitanti.
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Crediti
Fotografie di Simone Ruberto e Sara Cristina Zanforlin
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Ringraziamenti
Si vuole ringraziare la Prof.ssa Cristina Bianchetti per averci seguito in questo nostro percorso di “scoperta�. Un grazie va all’Architetto Franco Berlanda per averci supportato e per aver dimostrato un interesse sincero verso il nostro lavoro. Un ultimo ringraziamento, ma non meno importante, va al Fondo Astengo dello Iuav ed al personale docente e non che ci ha permesso di visionare del materiale straordinario.
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