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Sezione 3: IL TRAUMATICO PROCESSO D’EVOLUZIONE DELLA

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Sezione 3:

IL TRAUMATICO PROCESSO D’ EVOLUZIONE DELLA SPECIE UMANA NEL CONTINUO SOFFERTO E SELETTIVO PROCESSO D’ADATTAMENTO ALLE MUTEVOLI SITUAZIONI AMBIENTALI

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Per le grandi scimmie così isolate e senza scampo divenne necessario scegliere: vivere o morire. O meglio, per gli esemplari più intraprendenti e coraggiosi, scendere dagli alberi della foresta morente, alzarsi in piedi,guardarsi ben bene attorno e mettersi a correre per cercare cibo, qualsiasi tipo di cibo, su aree sempre più vaste e poco generose e scappando al contempo ai grandi predatori. Facendo di necessità virtù, non ci fu miglior alternativa che darsi per disperazione ad una alimentazione esclusivamente basata su quel poco ma di tutto che si poteva trovare a terra, nelle savane, boschi , macchie selvatiche, steppe ,paludi, fiumi e zone costiere in genere: poca frutta selvatica ,verdure in stagione ,germogli , gemme, bacche, semi vari e soprattutto radici, bulbi e tuberi, reperibili lungo tutto il corso dell’anno tra cui alcuni identificabili anche se ricoperti dal terreno grazie al penetrante odore emanato come alcune specie della famiglia delle Liliacee, quali cipolle ed aglio, sulla cui sempre più attuale importanza nella dieta dell’umanità si tornerà più avanti. Ma ancor più importante, sia per assicurare una pur magra e difficile sopravvivenza e di vitale preziosa importanza, sia perché presente durante tutto l’arco dell’anno in quanto non dipendente dall’alternanza delle stagioni, sia per quel fondamentale apporto costruttivo proteico e lipidico determinante per lo sviluppo fisico e cerebrale dell’organismo: la caccia con la ricerca di piccoli mammiferi, uccelli,uova, nidiacei, molluschi, vermi, pesci , insetti e, non ultimo, le carogne d’animali e quant’altro lasciati dai grandi carnivori. Le carogne d’animali in genere abbandonate dai più grandi predatori carnivori, dopo averne divorato in primo luogo le viscere e le parti intestinali più ricche di sostanze vegetali, hanno costituito lungo tutto l’arco dei primi milioni di anni vita dell’uomo la sua principale piu’ continua, facile e sicura fonte alimentare di sostanze proteiche così preziose e fondamentali. Non ancora organizzati per le battute di caccia, come avverra’ invece con micidiale efficacia e devastante impatto in epoche successive, l’uomo seppe. inizialmente, trarre vantaggi dalle sue capacità manuali nell’utilizzare strumenti in pietra per rompere i cranei e le ossa da cui estrarre la materia celebrale e il midollo, che i grandi predatori non riuscivano a mangiare. Ma dovunque c’era sempre e comunque poco di tutto e ciò rendeva necessario muoversi su aree sempre più estese e velocemente per anticipare gli altri predatori, catturare la selvaggina aggredibile, sfuggire a quella aggressiva; la rapidità in tutti i sensi sia nell’avvistare, sia nell’agire, il fondamentale “MUST” di sopravvivenza! Ma d’altra parte cos’altro poteva fare questa creatura ,debole, derelitta, inetta in tutto, caduta impreparata dall’albero senza artigli ne denti adeguati, lenta, fisicamente poco dotata ed inetta in ogni campo? L’assunzione della posizione eretta

30 divenne subito ,il secondo fondamentale ”MUST“ vitale che, operando in stretta sinergia col primo, costituì la combinata vincente per l’avvistamento, l’inseguimento e la cattura della selvaggina di medio- piccola taglia e di quant’altro raggiungibile prima degli altri e da più lontano possibile. Ovviamente non essendo dotato d’alcuna valida arma d’offesa bisognava accontentarsi di qualsiasi tipo d’alimento potesse essere prontamente reperibile e catturabile, razzolando sul terreno, salvo invece fuggire precipitosamente di fronte alla minaccia d’uno dei tanti sempre presenti pericoli mortali. Quindi l’unica via di sopravvivenza divenne il rendersi subito conto che, una volta “scesi dal pero“ bisognava muoversi in fretta, drizzarsi in piedi per guardarsi attorno e correre per cacciare o scappare a seconda dei casi. Ma, soprattutto ed ancor più, al fine di soddisfare le fondamentali esigenze alimentari e garantire la mera sopravvivenza una volta razzolato tutto quanto localmente reperibile, si rendeva necessario allargare la ricerca spaziando su aree sempre più vaste per cercare di ovviare alle sistematicamente fatiscenti e miserande disponibilità territoriali da sempre oggetto di rapido spesso, irreversibile, esaurimento. La ricerca prioritaria e più spasmodica è stata comunque fin dai primissimi passi della specie umana, quella degli agognati alimenti di origine animale: selvaggina,pesci ,molluschi,piccoli rettili, uova e simili; quell’alimentazione ricca di proteine e grassi che ha permesso il nostro progressivo affrancamento dalle iniziali difficoltà d’inserimento nei nuovi ambienti, consentendo il graduale sviluppo fisico ed intellettuale dell’umanità. Un tipo di alimentazione che per quanto difficile e contesa, costituì fin dalle nostre origini, sempre e per sempre, il tipo d’alimentazione più attraente e bramata da qualsiasi specie di “homo “. Ma purtroppo anche una risorsa che in ogni ambiente oggetto di caccia sistematica sempre si rarefa rapidamente molto spesso fino alla sua completa estinzione in tutto il territorio battuto. A tal fine l’umanità ha dovuto fin dalle sue primissime origini muoversi senza ne pace ne soste, spostandosi continuamente in un incessante esodo verso sempre nuove aree, sempre più vaste e lontane,da una regione all’altra, da un continente all’altro e spesso anche con vistosi fenomeni di ritorno verso zone e direzioni già battute. Le distanze coperte in questa estenuante espansione in una continua ossessiva peregrinazione verso sempre nuove aree sperabilmente più promettenti e sicure sono impressionanti. Merita qui richiamare alcuni passi tratti dal testo:”HOMO SAPIENS - Il cammino dell’Umanità“, di Telmo Pievani-Istituto Geografico De Agostini: “ L’inarrestabile ed incessante spinta della fame : l’esaurimento delle risorse alimentari del territorio ed il continuo esodo verso nuove aree incontaminate e ricche di risorse ,da continente a continente su tutto il globo terrestre. La “driving force “dei grandi spostamenti geografici umani è sempre stata la ricerca, l’inseguimento e la caccia, fino spesso a provocarne l’ estinzione, di tutti i tipi

31 di selvaggina, da ogni tipo di mammifero, roditore, rettile, uccello, fino ai giganteschi mastodonti e mammut,senza risparmiare neppure i grandi carnivori quali il possente orso delle caverne e la tigre coi denti a sciabola. Partendo dai casi più recenti e più documentati perché più vicini a noi, solo nell’arcipelago Australe l’arrivo del’Homo Sapiens ha comportato la totale sparizione della cosiddetta “megafauna australiana” composta da grandi marsupiali, diprotodonti, canguri giganti, leoni marsupiali, grandi capibara, vombati, tapiri e da enormi uccelli corridori che, con le loro uova, furono le prime e più ghiotte vittime. Lo stesso avvenne nel Nordamerica dove viveva indisturbata una grande varietà di mammiferi carnivori ed erbivori, dai vigorosi mastodonti americani, lo smilodonte, il milodonte, l’homotherium, il giptodone, l’armadillo gigante, i bradipi e tapiri giganti, i leoni, i grandi orsi dal muso corto, i castori giganti, le maestose e terribili tigri dal denti a sciabola che superavano i 400 kg e che attaccavano prede di ogni dimensione ma la cui pericolosità non è bastata per sottrarle al’estinzione causata dall’arrivo dei primi cacciatori umani provenienti dalle aree siberiane attraverso il grande ponte gelato dello stretto di Bering. Questi sono comunque solo alcuni dei più importanti componenti della fauna scomparsa assieme a molti altri ancora; tra questi merita ricordare il cavallo,sterminato e reintrodotto poi dagli spagnoli millenni più tardi. Dall’arrivo dei primi cacciatori “Clovis” 12.000 anni fa alla fine dell’ultima glaciazione 57 specie di mammiferi di grandi dimensioni si estinsero in pochi millenni. Ancor più numerose le specie di grandi uccelli corridori come i “dinorniti”, tra cui il moa gigante della Nuova Zelanda alto più di tre metri e pesante più di 300 kg, le anatre giganti delle Haway che pesavano fino a 200 kg, assieme a molteplici altre specie cugine, di oche ed anatre nel resto del mondo, tipo il Genyoarnis newtoni, e per finire, con quello che è diventato un’icona dell’estinzione di animali causata dall’uomo: il Dodo, columbide gigante i cui ultimi esemplari sono stati portati all’estinzione nell’isola Mauritius nell’oceano indiano. Lo sterminio fino all’estinzione di intere famiglie di grandi mammiferi, grossi rettili ed uccelli fu ancor maggiore in Sudamerica con la scomparsa di diverse centinaia di specie. Ancor più impressionante il numero di specie cacciate fino all’estinzione in Europa ed Asia anche se il numero è più difficile da quantificare dati i tempi molto più lontani, ma che vien comunque considerato dell’ordine delle diverse centinaia di specie e delle quali sono state disseppellite montagne di scheletri, unico resto delle cacce che ne hanno comportato l’estinzione. Tra le più conosciute, anche perché tra le più recenti, l’incessante caccia ai mammut dal Nord Europa, Asia centro settentrionale, Siberia, Mongolia, Manciuria e Corea, inseguendo senza tregua le grandi mandrie attraverso il ponte gelato dello stretto di Bering fino alla discesa nel Nord America. La caccia al mammut era una pratica molto pericolosa, come certo lo furono tutte le precedenti cacce ai grandi mam-

miferi, non ultimi i possenti carnivori, tant’era la spinta della fame , ma se aveva successo risolveva i problemi alimentari di intere comunità per diverso tempo. Questa in sintesi la spinta principale alle incessanti migrazioni del gene umano con spostamenti entro ciascun continente e da un continente all’altro. Una valutazione molto riduttiva effettuata calcolando esclusivamente i percorsi diretti verso obiettivi ed aree specifiche nell’ambito di ciascun continente porta a quantificare degli spostamenti d’almeno: 75.000 Km all’interno del Continente Africano, 180.000 Km in Asia Minore, Vicino Oriente, Asia, Penisola Indonesiana ed Australia, 80.000 Km in tutta l’Europa ad ovest della catena degli Urali, 95.000 nella direttrice dallo stretto di Bering, al Nord, Centro America ed isole Caraibiche, 65.000 nel Sud America fino alla Patagonia. Il tutto assomma ad un totale di 495.000Km. Ma è un valore estremamente riduttivo in quanto tiene conto solo degli spostamenti in linea diretta e solo verso i singoli specifici insediamenti. Se dovessimo considerare tutte le distanze coperte nel continuo errabondare entro le singole aree od in spostamenti collaterali da un’area all’altra per la ricerca del cibo, l’inseguimento della selvaggina o la fuga dalle minacce, il totale salirebbe di diversi ordini di grandezza a livello quindi dei milioni di chilometri. Questo continuo, estenuante movimento migratorio imposto dalla necessità di sopravvivenza, ha sempre comportato il devastante impoverimento dell’ambiente naturale e come visto, prima d’ogni altra cosa, della più ambita e ricercata fonte d’alimentazione: la selvaggina d’ogni tipo e dimensione come ben noto il nutrimento d’eccellenza,preferito ma sempre molto conteso ed in rapido esaurimento. La spinta vitale alla sopravvivenza ha dovuto quindi, inevitabilmente e fin dall’inizio indirizzarsi verso altre alternative costituite dai più ampiamente disponibili e diversificati alimenti di origine vegetale che, per quanto meno nobili ed attraenti, furono anch’essi da sempre e non di meno ferocemente contesi. Anche gli alimenti d’origine vegetale vanno infatti incontro ad esaurimento e sono per di più soggetti a negativi cicli naturali e conseguenti carestie. Di qui la spasmodica ricerca, ancora in accesa competizione, di quella endemicamente altrettanto scarsa anche se poco appetibile oltre che ipocalorica alimentazione, costituita da vegetali poveri ed effimeri, ogni volta che la molto più bramata e nutriente cacciagione e pesca ,su cui da sempre sussisteva uno stato di ancor più accesa e cruenta competizione con altre tribù o razze e che comunque e da sempre giungeva a rapido esaurimento. Un acceso antagonismo che riguardava quindi la ricerca di tutti i tipi d’alimenti di qualsiasi origine e natura in tutti i territori frequentati in un continuo confronto caratterizzato da feroci lotte tribali che hanno finito per portare al sistematico sterminio di tutte le altre specie umane concorrenti con la sopravvivenza finale della sola specie dell’”HOMO SAPIENS” ed alla sua superiorità rispetto agli altri esseri viventi.

Ma tanto , caccia per caccia , eravamo e da sempre, tutti cannibali! Quest’impressionante documentazione di supporto presentata nel documento di Telmo Pievani di cui si riportano di seguito in sintesi alcuni passi ci forniscono un quadro chiaro del profondo perché all’incessante esodo migratorio dell’umanità: “La spinta alla sistematica ricerca di zone sempre nuove e che offrissero una maggior disponibilità di alimenti d’ogni genere, prima di tutto la selvaggina, sempre e comunque necessariamente seguita da quelle classi di alimenti meno nobili e nutrienti, ma che costituivano quel rifugio alimentare, cui abbiamo già accennato in precedenza, più diffusamente e stabilmente reperibile durante periodi più lunghi, come erbe, germogli, gemme, bacche, radici, tuberi, frutta secca e fresca in stagione e molti altri ancora, nonché, ove e se appena disponibili, molluschi, anfibi vari, piccoli rettili,larve ed insetti .E quando andava bene bisognava accontentarsi! E su questa scelta obbligata di alimenti poverissimi e poco stimolanti ha dovuto comunque ripiegare sistematicamente l’umanità intera in quella sofferta ricerca per garantire la sopravvivenza che ha caratterizzato i periodi più lunghi della sua esistenza, segnati dalla forzata astinenza dalla tanto bramata quanto rapidamente evanescente selvaggina. Anticipiamo qui due concetti, meglio ripresi in seguito, di fondamentale importanza nell’ impostazione di tutte le nostre abitudini alimentari: -Non possiamo dimenticare che dobbiamo la nostra sopravvivenza proprio a questa dieta poverissima, ma al contempo necessariamente estremamente varia e piena di detriti e scorie d’ogni tipo,basata sul razzolare tutto quanto fosse reperibile, purché almeno in parte assimilabile. Una dieta veramente molto, molto vicina a quella del cinghiale, facocero e simili. -Una seconda importantissima considerazione da non sottovalutare è che tutto doveva essere forzatamente mangiato sporco, o meglio non c’era alcuna alternativa al dover mangiare qualsiasi alimento con tutto il terriccio, la sabbia, l’humus, gli inerti e la gran quantità di scorie, minerali, vegetali ed animali, i più svariati fermenti che sistematicamente ed ineluttabilmente l’accompagnavano. Ma questo comportava il loro tanto inconscio quanto fondamentale apporto in termini di ogni tipo di minerali e fermenti naturali, non sussistendo alcun mezzo o possibilità di pulire, selezionare o lavare gli alimenti comunque raccolti, come peraltro da sempre fa qualsiasi animale selvatico . Tutte scorie, che appaiono a noi moderni scostanti se non repellenti e disgustose, garantiscono invece come si vedrà in maggior dettaglio più avanti, un significativo apporto di quella vastissima gamma di preziosi elementi, sia di natura inorganica, sia

organica, quali composti minerali vari, sali dei metalli e metalloidi più disparati, oligoelementi, fermenti, enzimi, vitamine e batteri, e tanti , tanti tipi d’inerti d’ogni natura e tipo, tutti necessari e di vitale importanza per la garanzia della stabilità biologica delle cellule. Non si è certo trattato d’un adattamento facile ed indolore! E’ dimostrato che ci fu una spaventosa selezione naturale durata tempi lunghissimi che solo pochissimi individui, i più capaci, forti e predisposti riuscirono a superare adattandosi al cambiamento. Iniziò comunque proprio così quella implacabile e spietata selezione naturale che in tanti milioni di anni gradualmente portò a noi. Selezione favorita sia dalle doti d’acume geneticamente presenti atte a garantire la sopravvivenza giorno per giorno, sia dalla progressiva sensibile crescita della struttura cerebrale resa possibile dalla sia pur povera dieta,ma con una significativa presenza di proteine e grassi di origine animale: piccoli mammiferi-uccelli-uova-molluschi-pesci-insetti-carcasse animali. Una selezione che si è innescata su tali basi e che ha giocato il ruolo chiave nella nostra evoluzione permettendoci di diventare quella specie assolutamente unica che siamo oggi nel creato. Tre sono stati gli aspetti che, agendo in strettissima simbiosi nel fondamentale processo di mutazione genetica e di specializzazione della specie, hanno reso possibile la nostra incredibile differenziazione da ogni altro organismo vivente . Tre aspetti attinenti e direttamente conseguenti al medesimo tipo di processo perché biunivocamente indotti da quello stesso cambiamento selettivo che abbiamo attivato, ma, al contempo anche gli stessi che hanno permesso alla nostra specie di differenziarsi drammaticamente e traumaticamente da ogni altro essere vivente superando tutte le maggiori difficoltà di percorso in un processo che potremmo scientificamente definire “AUTOCATALITICO” :

1-lo sviluppo del cervello e delle nostre capacità cerebrali ed unicità intellettuali, dovuto da un lato al tipo di dieta forzatamente molto più varia, ricca di proteine e grassi animali rispetto di quella delle scimmie, dall’altro all’implacabile selezione naturale che, in un così drammatico contesto ambientale ed evolutivo che si è trascinato per milioni di anni, ha consentito la sopravvivenza selettiva dei soli pochissimi, più predisposti individui: “i più pronti,presenti e svegli...!(non cambia mai niente nella vita).

34 2-Lo sviluppo dei glutei ,che garantiscono la posizione eretta e ci consente di correre e camminare speditamente su lunghissime distanze, muscoli unici per diversi aspetti nell’intero mondo animale. I glutei hanno consentito la stabilità nella posizione eretta, una sempre maggior velocità di movimento quella incredibile capacità di lunghi spostamenti che, come abbiamo visto, ci ha con-

sentito di coprire distanze enormi occupando ogni più recondito angolo della terra. Ma ancor più l’assunzione della posizione eretta,la capacità di correrere coprendo lunghissime distanze a forte andatura,grazie all’efficientissimo sistema di smaltimento del calore,ha consentito all’uomo in generale ed alla specie Ergaster in particolare ,operando spesso in gruppi numerosi, d’inseguire la selvaggina fino allo sfinimento ed a provocarne il collasso per completo esaurmento fisico. Le prede così indebolite venivano quindi facilmente sopraffatte ed abbattute. Questo sistema di caccia ,sempre più sistematico ed organizzato nel tempo, si è focalizzato su prede sempre più grosse e spesso anche feroci come il gigantesco orso delle caverne e la tigre dai denti a sciabola, facendo emergere quest’altro aspetto di unicità della specie umana, che trasformandosi da essere imbelle ed indifeso “caduto dall’ albero”, l’ha trasformata in “una VERA MACCHINA DA GUERRA” rendendole possibile l‘affermazione su tutte le altre specie viventi

Proprio l’assunzione della posizione eretta ha inoltre reso possibile la significativa riduzione nell’esposizione all’eccessiva e pericolosa radiazione solare una volta venuta a mancare la presistente protezione dell’ombra forestale. 3-L’eliminazione della fitta coltre pilifera che ricopriva il corpo dei nostri predecessori ha reso disponibile tutta la nostra vasta superfice epidermica ad un più rapido smaltimento del calore corporeo, garantendo una nuova ed efficiente capacità di scambio termico; fenomeno che, in associazione con la genesi di un rivoluzionario e completamente nuovo sistema di sudorazione, esteso all’intera sistema epidermico, ha reso possibile la realizzazione del più efficiente, efficace e rapido sistema di raffreddamento corporeo conosciuto, caso unico nell’intero sistema animale vivente. Questa nuova ed unica efficentissima macchina di smaltimento del calore è quella che ha reso l’uomo capace di sopravvivere, rendendolo capace di coprire tutti quei lunghissimi tratti di corsa veloce necessari per l’inseguimento delle prede o l’altrettanto rapida fuga dagli aggressori, nonché d’effettuare quei grandi, continui spostamenti in tutta la vasità dei territori africani prima e nel resto del mondo poi, che sono stati il teatro d’azione dei nostri predecessori già dai primi milioni d’anni della loro esistenza. L’assoluta unicità di queste mutazioni indotte è ciò che ha, in estrema sintesi, alla fine permesso al nostro progenitore, povero essere “caduto dall’albero” imbelle, lento ed indifeso di accettare la grande sfida d’una tribolata sopravvivenza in un ambiente sempre estremamente difficile ed ostile con una sola

opzione: adeguarsi od estinguersi. Abbiamo accettato e siamo incredibilmente, diventati invece gli incontrastati domin atori del mondo. L’indiscusso primo attore di quest’incredibile impresa si identifica con il nostro più evoluto e vicino predecessore, L’ HOMO ERGASTER. Inedito, nuovo modello assolutamente rivoluzionario di ominino, il più innovativo rappresentante della specie umana comparso due milioni di anni fa: Figura sl anciata, ossa leggere, pienamente bipede, pelle liscia, raffreddamento corporeo molto efficiente, maggior capacità cranica, di grande intraprendenza, efficienti abilità manuali e nuove tecnologie di lavorazione della pietra, alimentazio ne mista, estremamente varia ma con signiicativa presenza di carni ed alimenti animali d’ogni genere e tanti tuberi e radici, le basi di una alimentazione reperibile in ogni stagione ed in ogni parte del mondo. L’ “ HOMO ERGASTER ha sintetizzato ed ottimizzato in se i tre aspetti sopra descritti specializzandoli drammaticamente e portando a conclusione la nostra differenziazione con ogni altro essere vivente. Questi veri “ominini bipedi di prateria” , dotati di grandi capacità di coprire enormi distannze geografiche, diventeranno i colonizzatori dell’intero mondo, le prime specie umane a spinger si fuori dall’Africa, dando inizio alla planetarizzazione del gener umano, con comparsa in Eurasia, Caucaso, Georgia, intera Europa, Medio Oriente Pakistan, Cina, Giava e Penisola Malese e tutta l’Indonesia , aree geografiche su cui hanno esercitato un dominio incontrastato per oltre un milione di anni, lasciando poi il passo ai nostri ancor più vicini progenitori, l”Homo Heidelber-gensis“ e l’ “Homo Sapiens”: L'impatto della planetarizzazione del genere umano ha comunque e dovunque comportato effetti devastanti se non catastrofici.

Significativo il seguente passaggio tratto dall’ultimissimo e vivace libro di Telmo Pievani “Homo Sapiens ed altre catastrofi”

“ L’impatto della specie umana sul pianeta ha lasciato ovunque il segno della devastazione fin dai suoi esordi. Dove sono passati esseri umani la comunità ecologica è rimasta stravolta. Nessun ecosistema, nemmeno il più inospitale e resistente, ha retto a lungo la presenza umana senza subire trasformazioni radicali. Emblematico il caso dello sterminio pleistocenico dei grandi mammiferi americani ed australiani . Alla fine del Pleistocene gli abili e veloci cacciatori sapiens scesero rapidamente lungo i corridoi liberi dai ghiacci e in alcuni secoli avanzarono fino al Messico. La loro penetrazione, alimentata dalla disponibilità pressochè infinita di prede e da habitat ospitali, giunse ben presto fino alla punta del continente meridionale.

L’equilibrio che regola solitamente i rapporti fra cacciatori e prede non venne più rispettato: i sapiens pensarono di avere di fronte un eden naturale indefinitamente prolifico e non diedero limiti alla loro sistematica mattanza; i poveri mastodonti non fecero tempo ad apprestare alcuna strategia difensiva. Fu così che gli uomini di Clovis, 11.500 anni fa, organizzarono il più grande banchetto della storia naturale di Homo Sapiens.

Dovunque e comunque in tutto il globo terrestre il passaggio del sapiens si è concretizzato nell’estinzione totale dei grandi mammiferi. Ce li siamo mangiati fino all’ultimo.

Possiamo veramente concludere che il nostro povero predecessore, “caduto dall’albero” imbelle ed indifeso , ha saputo evolversi in una micidiale “Macchina da Guerra” con un impatto catastrofico e devastante sul creato. Un'inarrestabile ed implacabile conseguenza di quel sorprendentemente rivoluzionario, autocatalico processo di crescita e sviluppo biofisico evolutivo delle tre fondamentali direttrici di mutazione genetica sopra descritte. Un processo evolutivo che è stato innescato, reso possibile e supportato, assieme ad altri fattori concomitanti e stimolanti, fondamentalmente dalla forzatamente variatissima ma altrettanto ineluttabile unico tipo di dieta possibile, in quanto reperibile in ogni nuovo territorio e stagione;: piccola e grande selvaggina, piccoli animali con il loro fondamentale apporto proteico e lipidico e tanti tuberi e radici, bacche, licheni ed ogni qual volta possibile verdure di qualsiasi tipo, frutto del sistematico “Razzolamento“ del territorio: appunto quella che definiamo come

“La dieta del CINGHIALE“

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