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www.thema.es ISSN 2384-8413
Rivista dei Beni Culturali Ecclesiastici
Settembre 2011-ISNN 2239-673X
THEMA IL SACRO NELLE PERIFERIE le terre, i segni e i simboli
ServadioMavilioFuksasLonghiBottaSalingarosRenzettiGlisleriMicara BedogniD’AntuonoDeGrandisCiprianiGiulianiBartolomei
ARCHITETTURA
e LITURGIA
CENTRO STUDI
ARCHITETTURA
e LITURGIA
Università degli Studi “G. D’ANNUNZIO” FACOLTA’ DI ARCHITETTURA Dipartimento I.D.E.A. CENTRO STUDI
ARCHITETTURA e LITURGIA Corso di Perferzionamento in
Cultura e Progetto dello Spazio Sacro DIREZIONE: Prof. Arch. LUDOVICO MICARA - Prof. DON ANTONIO DE GRANDIS
INDICE
EDITORIALE di Leonardo Servadio
22 L’esperienza di “Chiesa e Quartiere” un dialogo tra Luigi Bartolomei a Giuliano Gresleri
LETTURE
26 Il Paesaggio Sacralizzato Paolo Bedogni
6 Le radici del corso Don Antonio De Grandis
30 Due chiese Bianche e un tetto a capanna Stefano Mavilio
8 Figurazione del Sacro pagine a cura di Fernando Cipriani
34 Nel segno della Croce Mario Botta
14 Un segno ben chiaro nel paesaggio Massimiliano Fuksas
36 Parrocchie e periferie nel Dopoguerra Andrea Longhi
18 Il rapporto tra committenza e città: il caso Torino Domenico Bagliani 20 Chiesa e Città; nuovo dialogo Nikos Salingaros
42 Architettura e Liturgia, figurazione del sacro Fernando Cipriani 46 Il Fondo edifici di Culto Vincenzo D’Antuono
THEMAIDEA «Le periferie non sono dei “non luoghi”. Con l'espressione “non luogo” caratterizzo un certo tipo di spazio dentro la nostra società contemporanea. Il “luogo” per un antropologo è uno spazio nel quale tutto fa segno. O, più esattamente, è un luogo nel quale si può leggere attraverso l'organizzazione dello spazio tutta la struttura sociale…Oggi viviamo in un mondo nel quale lo spazio dei “non luoghi” si è di molto accresciuto. “Non luoghi” sono gli spazi della circolazione, del consumo, della comunicazione, eccetera. Sono spazi di solitudine…Prendiamo l'esempio di un supermercato. Ha tutti gli aspetti di un “non luogo”. Ma un supermercato può diventare anche un luogo di appuntamento per i giovani. Talvolta, anzi, è il solo “luogo”. Da questo punto di vista si può dire che le banlieues sono dei “non luoghi” per la gente che viene da fuori…Ma sono, viceversa , dei “luoghi” di vita per molte persone»
M. AUGÉ
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FOTO DI COPERTINA Ludovico Quaroni_La Martella
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“Una voce nuova. No, più che una voce: un coro,
"Una voce nuova, per un tema antico"
una sinfonia, un luogo che si apre all'ascolto oltre
Leonardo Servadio
orientamenti.”
che alla proposta. delle specialità, degli
T
hema letteralmente è “ciò che si pone”, ovvero “argomento”: e ogni numero di questa rivista sarà volto a esplorare fondamentalmente un singolo oggetto, per poterlo osservare e discutere da vari punti di vista, per cercare di esaurirne il più possibile la conoscenza attraverso il caleidoscopio delle competenze, Ma, avendo come oggetto principe la chiesa, intesa sotto il profilo architettonico (spazio per la celebrazione, centro di aggregazione sociale, luogo di riferimento per l'intorno urbano o rurale, espressione artistica, aggregato di funzioni...) declinato nelle sue molteplici manifestazioni (conservazione, adeguamento, restauro, progetto, proposta...), inevitabilmente si riferirà al cuore stesso di quanto la nostra tradizione culturale definisce come città: sito privilegiato del vivere civile, socialmente organizzato. Perché la chiesa è intesa nei suoi caratteri costruttivi ed essenziali: le mura e la comunità. O, meglio, la comunità e gli edifici di cui si riveste onde ritrovarsi e riconoscersi in quanto tale. Qui, al concetto proprio di “thema” che è il Leit Motiv della testata, si associa un concetto vicino, in fondo anche sul piano etimologico: quel che in greco è individuato dal vocabolo “ktema” che vuol dire “possesso, patrimonio”. Quando consideriamo di che cosa consti il patrimonio artistico e architettonico della nostra civiltà europea, constatiamo che nella sua parte preponderante esso è costituito da beni che afferiscono alla Chiesa. Ecco dunque che desideriamo riaffermare come la chiesa architettura non sia un episodio di
THEMA I EDITORIALE I 2
“nicchia” nell'evoluzione storica e nel presente
Grandis, che negli anni recenti ha diretto questo
della scienza del progettare, bensì come ne sia
Corso insieme con diversi docenti della Facoltà
autenticamente il nocciolo fondante.
pescarese, come il Prof. Ludovico Micara.
Al punto che dopo un certo periodo di oblio
Nel corso di questo periodo molti altri simili corsi
dovuto a un certo malinteso “laicismo” militante
di carattere specialistico sono sorti e si sono
che si è manifestato negli ambienti dell'arte e
svolti a vario titolo (o con carattere curricolare,
dell'architettura durante il secondo dopoguerra
o come corsi post laurea, o come Master, presso
e fino a tutti gli anni Settanta e Ottanta, negli
diverse altre Facoltà, di architettura e
ultimi anni molte delle testate dedite
teologiche). Sono stati momenti certamente
all'architettura hanno ripreso a trattare il tema
importanti. Tuttavia solo a Pescara il corso ha
della chiesa a “pari grado” rispetto a tutte le
avuto una assoluta continuità, a dimostrazione
altre
dell'esistenza di un terreno di coltura e di un
tematiche
dell'architettura
contemporanea.
interesse non episodico, ma fortemente
Si potrà obiettare che già un'altra pubblicazione
radicato.
tratta in modo specialistico l'argomento:
In secondo luogo, nelle altre regioni italiane,
“CHIESA OGGI architettura e comunicazione”
corsi simili sono stati perlopiù generati
(che chi scrive ha la ventura di redigere
dall'impulso dato dalla Conferenza Episcopale
dall'origine). In realtà questa testata e “Thema”
Italiana a partire dalla fine degli anni Novanta e,
vanno viste non come antagoniste bensì come
più recentemente anche dalla Pontificia
complementari verso un unico fine condiviso.
Commissione per i Beni Culturali della Chiesa.
La prima impegnata nella documentazione
A Pescara il Corso di Alta Formazione è sorto ed
dell'esistente, la seconda nell'indagine a livello
è stato gestito per iniziativa autonoma di un
teorico, di carattere storico e urbanistico,
gruppo eterogeneo, laicale ed ecclesiale che ha
collegata alla chiesa.
mostrato l'attitudine a rinnovarsi nel tempo
E per di più innestandosi su una tradizione
mantenendo inalterato lo spirito di partenza,
radicata e originale, non solo degna di rispetto
nella convinzione che lo studio dell'architettura
ma anche portatrice di un messaggio che
della chiesa contemporanea abbia un senso
necessita di essere ulteriormente elaborato.
profondo non al fine di preparare “progettisti di
Infatti “Thema” nasce dal gruppo universitario e
chiese” (una specialità che evidentemente non
professionale che da circa quindi anni gestisce il
esiste, come ad abundantiam dimostrano i casi
Corso di Alta Formazione in architettura delle
di un Le Corbusier o un Tadao Ando, per citare
chiese presso la Facoltà di Architettura
solo alcuni tra coloro che hanno realizzato
dell'Università di Pescara, di concerto con le
edifici di culto di assoluta eccellenza pur
persone più sensibili e impegnate nella Diocesi:
provenendo da culture lontane alla Chiesa),
lo spiega nel suo intervento Don Antonio De
bensì per preparare professionisti del progetto
San Giovanni in Laterano_Roma ©Silvia Stella Galimberti
di un Le Corbusier o un Tadao Ando, per citare
possano e intendano dirigersi al rafforzamento
Per tutto questo il tema del “numero uno” di
solo alcuni tra coloro che hanno realizzato edifici
della cultura del progetto e della realizzazione,
“Thema” è “Il sacro nelle periferie”. Un
di culto di assoluta eccellenza pur provenendo
della
argomento che non sarà esaurito in poche
cura
e
della
manutenzione,
da culture lontane dalla Chiesa), bensì per
dell'adeguamento e della proposta, partendo
pagine o in pochi interventi, ma che pone le basi
preparare professionisti del progetto che si
dal versante del mondo professionale
sulle quali procedere col lavoro e con l'esplorazione.
rendano conto della complessità degli edifici
informato.
pensati per l'essere umano: dei valori
“Thema” in tal senso si propone come crogiolo
Perché evidenzia come la chiesa edificio
psicologici, simbolici, affettivi, culturali che
di iniziative e come attivatore di energie, come
contribuisca a trasformare in centrale quel che
devono comportare, cui la sola funzionalità mai
strumento di dialogo e come occasione di
era marginale. Come la basilica di San Giovanni
potrà rispondere, per quanto eccellente possa
consultazione, come veicolo di consulenza e
in Laterano era periferica nella Roma degli anni
essere.
garante di qualità: sul piano nazionale e
post
Per questi motivi, chi a Pescara ha sostenuto
internazionale.
successivamente è divenuta “centrale”
Editto
di
Milano
(313
d.C.)
e
questo impegno per anni, oggi ha il desiderio di
Se negli anni passati i ministri della Chiesa
nell'articolazione della città eterna, così avviene
rivolgersi al tema in questione con la piena
possono in certe circostanze essersi sentiti soli a
oggi con i nuovi centri parrocchiali che sorgono
coscienza che esso – nella sua variegata e
fronte di problemi percepiti come di carattere
nelle espansioni urbane. Le chiese segnano il
impressionante profondità - appartenga al
“tecnico”, attraverso il gruppo che dà vita a
luogo di riferimento nei nuovi aggregati che
cuore stesso della civiltà: ovvero che, al di là
“Thema” desideriamo assicurare che così non è
gemmano attorno alle città.
delle specificità dei ruoli, la chiesa in tutte le sue
più.
commerciali, i multicinema, i palazzi dello sport
Certo, i centri
declinazioni e manifestazioni appartenga alla
Sarà nostra cura offrire elaborazioni che
sono occasioni di forte attrazione sociale.
comunità dei fedeli ma anche alla comunità
contribuiranno alla crescita conoscitiva del clero
Nessuno di questi, per imponente e ricco che
umana tout court.
in un campo in cui la lontananza è stata anche
sia, esprime il senso della permanenza e le
Se col noto discorso di Paolo VI agli artisti, poi
portatrice di assenza di formazione.
ragioni dell'identità. Certo, i grandi musei dalle
magistralmente ripreso da Giovanni Paolo II
Giulio II non era solamente, per usare una
forme strabilianti, le stazioni e gli aeroporti
nella Lettera agli Artisti e ribadito da Benedetto
metafora calcistica, un buon “commissario
segnati da architetture fantastiche, i grattacieli
XVI nel rilanciare la “via pulchritudinis”
tecnico” capace di selezionare gli artisti e gli
che manifestano acquisizioni tecnologiche
(Udienza del 18 novembre 2009), la Chiesa si è
architetti migliori presenti sulla scena. Era
senza precedenti diventano “Landmark” ben
rivolta con tutta l'autorità del proprio magistero
anche una persona che sapeva parlare un
riconoscibili. Nessuno di loro esaurisce il
al mondo dei laici per riaprire e per sostenere un
linguaggio e aveva cognizioni di carattere
racconto delle aspirazioni umane profonde.
dialogo che era stato forse non interrotto ma
tecnologico.
Come il cuore della Parigi dei parigini sta più a
certamente reso arduo dalle diverse mode
Attraverso le nostre pagine ci proponiamo di
Notre Dame o al Sacre Coeur che sulla pur
culturali intervenute dall'illuminismo in poi, noi
offrire gli strumenti necessari perché il clero di
grandiosa Tour Eiffel, così la comunità continua
oggi intendiamo da laici rivolgerci alla Chiesa
oggi possa trovarsi nelle condizioni di dialogare
a riconoscersi nella chiesa locale, più che nei
tutta per proporre di portare un passo più oltre
con le controparti professionali su un piano
brani del mondo globalizzato che emergono con
quel dialogo rinato e sempre rinascente.
simile a quello sul quale si trovava Giulio II
crescente evidenza sugli orizzonti costruiti.
Per evidenziare come le nostre competenze
rispetto a Michelangelo o al Maderno.
In questo primo numero di Thema vediamo
THEMA I EDITORIALE I 3
Tadao Ando/ Chiesa della Luce ©Ibaraki_Kasugaoka come le periferie siano state popolate di speranze nel secondo dopoguerra (Bagliani), come le chiese in quel periodo abbiano espresso tendenze sociali diverse ma coerenti tra loro (Longhi), come chiese e quartieri nuovi abbiano trovato momenti di intesa (Bartolomei con Gresleri), come interventi di conservazione possano far rinascere non solo architetture storiche ma interi territori (Bedogni), come partendo da una disciplina come la matematica si possano immaginare soluzioni nuove che cercano continuità col passato (Salìngaros), come nelle periferie siano cruciali anche progetti sconosciuti, oltre a quelli di cui tutti parlano (Mavilio), come le nuove chiese siano un ponte tra memoria e presente (Botta e Fuksas)…. Nelle prossime uscite si alterneranno interventi di progettisti, storici, tecnologi, studiosi: così saremo le voci del laicato professionalmente informato che risponde a una richiesta che percepiamo da anni. E attorno a questa testata si configurerà un team internazionale di esperti sui quali chiunque vorrà, potrà contare.
THEMA I EDITORIALE I 4
Tadao Ando/ Chiesa della Luce ©Ibaraki_Kasugaoka THEMA I EDITORIALE I 5
“Le radici del corso “ Don Antonio De Grandis
A Pescara da quindici anni si svolge un Corso di architettura sacra, a testimonianza di un'attenzione che dura nel tempo, nasce come autentica vocazione ed è stata fatta propria anche dalla facoltà di Architettura. Sinora oltre 600 persone vi hanno partecipato: si tratta di un'azione culturale a vasto raggio. La rivista si aggiunge al Corso come nuovo strumento di dialogo a più vasto raggio.
Ludovico Quaroni/Chiesa di San Franco ©Gino Di Paolo THEMA I DEGRANDIS I 6
L'attenzione e l'interesse per l'architettura al servizio della liturgia o, come si suol dire, dell'architettura sacra, ha radici profonde a Pescara. Da ormai 15 anni si svolge con regolarità, solo in alcune circostanze interrotta, un corso di specializzazione in architettura sacra. Il primo di questi corsi ebbe luogo presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose “G. Toniolo”, col nome di “Corso di Edilizia Sacra”: era l'anno 1997. Ma è bene ricordare che ancor prima, nel 1989 (27-29 gennaio) a Pescara si tenne il Congresso Internazionale “L'Architettura sacra oggi”, a cura di Stauròs Internazionale e Associazione italiana F. Crescenzi. Organizzatore e perno di quell'evento fu il compianto P. Adriano Di Bonaventura, che con la sua Biennale di Arte Sacra di San Gabriele sul Gran Sasso ha continuato negli anni il dialogo tra fede e arte. Anche in quell'evento, così come nel Corso di Architettura e Liturgia che ha preso forma negli anni successivi, si aprì un dialogo tra Chiesa e mondo accademico, nonché con società civile. Se a San Gabriele il discorso è rimasto focalizzato sul rapporto tra arte (pittorica e plastica) e fede, a Pescara si è continuato il cammino di reciproco arricchimento tra fede e architettura. Quel che ha motivato e motiva coloro i quali si impegnano a promuovere il Corso di Architettura e Liturgia è, da un lato la constatazione che l'architettura praticata non può prescindere dal tema della sacralità, dall'altro la convinzione che vi sia un'esigenza diffusa di operare al fine di qualificare la professione degli architetti nel campo del sacro. Nel corso di questi quindici anni vi sono stati due periodi distinti. Nel primo periodo il Corso pescarese è stato gestito in ambito
eminentemente ecclesiale, avendo come principale argomento di studio la liturgia. Nel secondo periodo a questa si è aggiunta, grazie al sostanziale contributo della Facoltà di Architettura dell'Università di Pescara, la componente architettonica, in particolare incentrata attorno alla composizione degli spazi per la liturgia e al rapporto tra luogo di culto e città. Nel complesso, sinora sono state oltre 600 le persone che hanno frequentato il Corso: in parte studenti e in parte professionisti (architetti e ingegneri). Molti dei partecipanti provengono da ambiti professionali di diversa estrazione, quale quella dei tecnici responsabili di Uffici comunali o artisti: a dimostrazione di quanto sia vasto il ventaglio di persone che si interessano attivamente al tema della progettazione delle chiese. L'interesse suscitato è stato molto vario e ha coinvolto diversi Ordini professionali. La notizia del Corso si è diffusa in gran parte attraverso il “passaparola” che si è spontaneamente attivato proprio in quegli ambiti professionali. Poiché durante il secondo periodo, il Corso si è svolto in ambito universitario, questo ha attirato l'attenzione di molti studenti. Così la composizione dei gruppi che hanno preso parte al Corso, nel complesso ha facilitato un rapporto speciale tra mondo del lavoro e mondo dello studio. Variegata è anche la provenienza geografica dei partecipanti, per motivi di facilità di accesso incentrata in prevalenza nel centrosud. In percentuale, il numero maggiore di partecipanti sinora si registra dalle regioni della Puglia e delle Marche. Per quanto riguarda il corpo docente, l'apporto teologico e liturgico è stato da me curato e ha visto negli anni contributi di figure quali Mons. Giuseppe Russo, Responsabile
del Servizio edilizia di culto della Conferenza Episcopale Italiana e di noti teologi quali Don Salvatore Vitiello. L'apporto architettonico, curato in particolare dal Prof. Ludovico Micara e dagli architetti Paola Renzetti, Fernando Cipriani e Michele Giuliani, ha visto tra gli altri la partecipazione dei professori Sandro Benedetti, Pietro Samperi,Tommaso Scalesse, Gianciacomo D'Ardia, Francesco Garofalo, Carmine Falasca. Oggi, dopo tanti anni di esperienza, i curatori del Corso decidono di affiancare a questo anche un'iniziativa di carattere editoriale, allo scopo di completare il servizio svolto a favore del dialogo tra architettura e fede. E, nell'aprire questo nuovo percorso, si rivolgono anche ai presbiteri, convinti che la qualità delle opere architettoniche e artistiche per la Chiesa sia frutto non solo della competenza e passione degli artefici, dei tecnici e dei professionisti, ma anche dei committenti. Ecco che la rivista diventa uno strumento aperto non solo allo scambio di idee e di informazioni, ma anche al confronto di ipotesi e alla promozione di iniziative in campo accademico, professionale, progettuale, conservativo. Uno strumento che consentirà a Pescara di porsi sempre di più quale centro di riferimento su questi argomenti.
THEMA I DEGRANDIS I 7
“Figurazioni sul sacro” Laboratorio di Progettazione dello Spazio Sacro Corso di Architettura e Liturgia- Cultura e Progetto dello Spazio Sacro, Facoltà di Architettura di Pescara (Don Antonio de Grandis, Ludovico Micara, Fernando Cipriani, Michele Giuliani, Paola Renzetti) pagine a cura di Fernando Cipriani
La facoltà di architettura di Pescara ha sempre mostrato un particolare interesse e un convinto impegno per il progetto delle chiese. Pochi anni dopo aver svolto il convegno internazionale Architettura sacra oggi (1989), accogliendo l'iniziativa di Don Antonio De Grandis e sotto la sua direzione ha dato vita a un corso di perfezionamento sulla progettazione delle chiese, che è continuato, a cadenza annuale, segnando un proficuo incontro e un momento di dialogo tra mondi universitario, professionale e Chiesa. Per la prima volta nel 2010, a conclusione del corso, coordinato dal Prof. Ludovico Micara, docente di composizione architettonica, con l'aiuto degli architetti Fernando Cipriani, Michele Giuliani e Paola Renzetti, i partecipanti hanno concretato quanto appreso, progettando una chiesa per una contrada sulle colline prospicienti Silvi Marina.
THEMA I LABORATORIO I 8
SCHEMA FUOCHI E PERCORSI LITURGICI SCALA 1:100 ingresso
FUOCHI LITURGICI
PERCORSI LITURGICI
cappella feriale +1.53
PERCORSI DEI FEDELI rip. 2
conf.
STAZIONE VIA CRUCIS
conf.
-0.68
4 5 6 7
3
8
9
10
2
custodia eucaristica
11
0.00
1
14
13
12
organo
sede
orto degli ulivi
altare
+0.45
crocef.
battistero ambone
ufficio -0.68
0.00 sagrestia
anti wc 0.00 wc
ingresso locali
locale p.
IPLANIMETRIA I
gruppo Gianluca Troiani Francesca del Colombo Donato Tronca THEMA I LABORATORIO I 9
gruppo Alessandro Pomarici Marta Zollino Oriana Bufo Giulia Giuliani THEMA I LABORATORIO I 10
gruppo Anna Pia Urbano Vittorio Panicaldi
THEMA I LABORATORIO I 11
gruppo Giustino Vallese CinziaCarbone
THEMA I LABORATORIO I 12
Battistero Elementi Presbiteriali Penitenzeria Cappella feriale Elementi Parrocchiali
Percorso della Via Crucis Alcune Stazioni
Percorso Fedeli Percorso Sacerdote
gruppo Sabina Danese Bina Palma THEMA I LABORATORIO I 13
“Un segno ben chiaro nel paesaggio” Massimiliano Fuksas
Massimiliano e Doriana Fuksas/ San Paolo Apostolo a Foligno ©Moreno Maggi__Courtesy Studio Fuksas
THEMA I FUKSAS I 14
Criticata da alcuni con singolare acrimonia all'epoca della sua inaugurazione, nel 2009, la nuova chiesa di San Paolo Apostolo a Foligno è stata progettata dallo Studio Fuksas (Massimiliano e Doriana Fuksas). Il progetto fu scelto tramite concorso a inviti curato dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2000. Costituisce un esempio assai significativo di intervento architettonico di grande impatto in un contesto periferico. Abbiamo chiesto all'Arch. Massimiliano Fuksas di spiegare la logica che informa questa sua opera.
Massimiliano Fuksas e Doriana / San Paolo Apostolo a Foligno ©Moreno Maggi__Courtesy Studio Fuksas
THEMA I FUKSAS I 15
La nuova chiesa di San Paolo Apostolo sorge nel sito, periferico, nel quale molti restarono ospitati in prefabbricati provvisori, avendo dovuto abbandonare le proprie case danneggiate dal terremoto del 1997. Il progetto della nuova chiesa prende la mosse da un insieme di considerazioni: si intendeva porre un segno chiaro, di una chiesa che resta, a prescindere dalle vicissitudini storiche, che riafferma la volontà dei fedeli di permanere e rappresentare una comunità capace di risorgere malgrado le difficoltà; si voleva qualcosa che risaltasse con forza nel tessuto di villette del quartiere di periferia; si voleva un'architettura che risaltasse nel contesto e si confrontasse col panorama e con la storia. Riguardo alla forma esterna, l'idea germinale, che è stata subito ben accolta e ha trovato un'eco vasta e positiva, è stata di studiare un edificio semplicissimo: perché alla confusione dell'urbanizzazione disordinata della nuova periferia si poteva rispondere solo con la nitidezza della semplicità. Per l'interno di questo prisma di essenziale purezza, abbiamo voluto porre in evidenza il senso dell'incontro con la sacralità. Per questo abbiamo pensato a un secondo volume interiore, che non poggia a terra ma resta sollevato: quasi trattenuto in alto dalla forza della luce. Si genera infatti l'incontro paradossale, tra la dimensione delle pareti in cemento a vista che con la loro gravità dovrebbero poggiare al suolo, e i canali di luce che, con la sua levità le collegano col cielo e la natura all'esterno. L'organizzazione spaziale è di tipo classico: la distanza tra i due volumi, interno ed esterno, dà luogo a un deambulatorio, che richiama la struttura interna delle chiese gotiche, mentre, nella sua rivisitazione
THEMA I FUKSAS I 16
contemporanea, genera un ambiente fortemente dinamico che si contrappone alla semplicità del volume esterno in cemento. Attraversato com'è da cunei di luce, il volume interno diventa etereo e i suoi confini visibili sono superati in più punti e quindi negati, quasi cancellati. La relazione tra gravità ed elevazione, peso e leggerezza, opacità e trasparenza è essenziale in questa chiesa. La si nota subito, già nell'avvicinarvisi dal sagrato, che è leggermente inclinato in una graduale, lieve ascesa, così che il cammino d'ingresso comporta di elevarsi. Si giunge quindi alla fenditura alla base del fronte che segna il limite, la separazione che accompagna l'ingresso: così il suo attraversamento si arricchisce di valenze simboliche. Entrare in chiesa non è come entrare in un qualsiasi altro luogo: il cammino di avvicinamento e l'elaborazione della soglia esprimono come occorra guadagnare il luogo sacro, dove il grande prisma di luce ammanta e protegge dall'alto lo spazio della celebrazione. La cesura orizzontale che segna l'ingresso, stacca il volume della chiesa dal suolo. Anche le altre facciate avanzano con uno sbalzo di mezzo metro e completano l'immagine di questo grande parallelepipedo che è solido come una roccia, ma allo stesso tempo anelante al cielo e permeato di luce. Così il disegno, che è semplice nella geometria, si realizza in modo complesso nell'architettura costruita. La chiesa domina sull'intorno: come le chiese antiche è il luogo che nobilita l'abitato e ne costituisce il centro. E con la sua massa di cemento elevantesi al cielo (l'altezza è di circa 23 metri) si confronta col profilo lontano dei monti. Tutta l'architettura è disegnata: altari, lampade, ambone, panche... ed è completata dall'opera di Enzo Cucchi (la
croce che sta accanto all'ingresso) e di Mimmo Paladino (la Via Crucis disposta nel deambulatorio). È divenuta subito meta di visite sia dall'Italia, sia dall'estero. E con essa la periferia ha acquistato una importanza nuova.
Massimiliano Fuksas/ San Paolo Apostolo a Foligno ©Moreno Maggi__Courtesy Studio Fuksas
THEMA I FUKSAS I 17
“Committenza e Città. Il caso Torino ” Domenico Bagliani
P
eriferie, emblema del '900 postbellico, con le sue aspirazioni, la sua carica di ottimismo, la sua incontrollata voglia di agire, il fiorire di attività e il sorgere di palazzi condominiali... La storia è nota. Ma la chiesa edificio per tradizione era nel cuore delle città storiche: non così nelle espansioni postbelliche... Che cosa è successo a Torino, al proposito? Ne riferisce Domenico Bagliani, docente di Composizione architettonica al Politecnico di Torino nonché attivo nella Commissione liturgica dell'Arcidiocesi del capoluogo piemontese. «Se la storia delle periferie appare a prima vista più o meno simile in tutto il territorio nazionale, ci sono pur tuttavia differenze e peculiarità da non dimenticare. Qui a Torino i vari insediamenti di nuova edificazione sono sorti sulla base del Piano regolatore composto da Giovanni Astengo, illustre docente, di cui tra l'altro fui discepolo, urbanista di primo piano, grande studioso che tra l'altro fu l'ispiratore della Legge regionale 56, del1977, che regola appunto la politica urbanistica piemontese. Astengo si muoveva secondo una visione ispirata non agli orizzonti italici o alla tradizione locale, ma che guardava ai grandi piani di sviluppo urbano maturati nel Centro e Nord Europa: in Danimarca, Olanda, Svezia. Così il suo concetto di nuovo insediamento riprendeva la modalità della città giardino. E vi sono diversi quartieri dell'epoca, realizzati dalle cooperative o secondo l'edilizia convenzionata, nel contesto del Piano Fanfani, in cui si riconosce questa tipologia: nello sviluppo sinuoso delle strade, nella presenza di zone verdi, nella dotazione di servizi: asili, scuole, mercati e, naturalmente, chiese. Purtroppo però nel tradurre il Piano regolatore in piani particolareggiati, entrarono in ballo architetti le cui qualifiche e sensibilità erano a volte assai più vaghe e incerte a fronte di quelle
THEMA I BAGLIANI I 18
dell'Astengo. E così ecco che i luoghi che erano stati baricentrici nelle città storiche, cioè le piazze e i sagrati su cui affacciano le chiese antiche, venivano tralasciati: si trattava infatti di “vuoti”, difficili da concepire per chi, come talvolta capita agli architetti, è abituato a pensare in termini di “pieni”. Insomma, le chiese nei nuovi insediamenti hanno finito per essere collocate negli spazi di risulta, luoghi non pensati per ospitare un edificio importante, ritagli di piante urbanistiche dalle forme strane... Che poteva fare la Diocesi in queste aree che erano come scampoli irregolari, ritagli di spazi privi di senso? Bisogna dare atto che Mons. Michele Enriore, incaricato di dirigere l'Opera Torino Chiese dal 1954 fino alla morte, avvenuta nel 1995, si è dato daffare per utilizzare il più possibile quegli spazi e così dotare tutti i nuovi insediamenti della loro chiesa». Con che risultati? «Di carattere quantitativo: tra preoccupazioni economiche e l'urgenza di completare i nuovi edifici di culto, l'Opera Torino Chiese non si occupò della qualità. Nella prima fase si può segnalare solo una chiesa valida firmata da Gabetti e Isola: era intesa proprio come un capannone, fatto in quattro e quattr'otto. Ma un capannone di grande stile, e la chiesa di santa Teresina che il gruppo Fasana, Lenti, Varaldo, Zuccotti, con grande preveggenza conciliare progettò alla fine degli anni cinquanta». Quindi la Diocesi non badava al risultato architettonico... «No, in realtà c'era attenzione anche per la qualità architettonica. Per esempio nel 1967 la Diocesi indisse un concorso per un nuovo progetto di chiesa. Lo vinse il mio studio (Bagliani Corsico Roncarolo e altri): ma il nostro progetto non fu realizzato. E nello stesso anno il vescovo, Card. Pellegrino, volle costituire nella Commissione Liturgica un settore specializzato
Torino è stata forse la città italiana dove la transizione postbellica ha avuto gli effetti più rapidi, a causa della presenza della grande industria già ben radicata nel territorio. Le molteplici periferie sorte negli anni '50 e '60 hanno visto sorgere tante chiese nuove, in assenza di un'adeguata pianificazione urbanistica. In esse si sono mescolati i tentativi di innovazione architettonica e la tendenza alla conservazione di memorie antiche e di tradizioni popolari radicate nei paesi a cui provenivano gli immigrati.
in arte e architettura delle chiese, diretta da Roberto Gabetti, alla quale tra gli altri fummo chiamati anche Erinna Roncarolo ed io. Ci impegnammo subito nel tentativo di ridare dignità all'architettura ecclesiastica. Con scarsi risultati, purtroppo, poiché le committenze erano attivate da altri». È un problema di cultura? «Certamente, oltre ai problemi economici, c'era un problema culturale. Ma questo direi che riguardi in genere la storia della città di Torino. Per dire: qui non è mai arrivato il rinascimento. A Milano questo fu portato da personaggi come il Filarete, Leonardo da Vinci, il Bramante, chiamati dagli Sforza e dai Visconti. A Torino i Savoia non ebbero quest'apertura e non coltivarono le arti, ma il militarismo, e la severità e seriosità in esso implicite. Tuttavia il senso di ordine basato sulla gerarchia sociale che si impresse sulla città diede i suoi frutti: tra '600 e '700 nacque una città che nei suoi spazi rifletteva una notevole armonia. Piazza San Carlo, Piazza Vittorio Veneto nacquero sulla base dei progetti delle facciate e dei portici. È quanto impose il Castellamonte: si preoccupava degli spazi pubblici, e lasciava che dietro le facciate ognuno facesse quel che desiderava. Era una politica assolutistica, ma realizzò forse le più belle piazze del continente e i turisti che oggi arrivano dall'estero vanno a vedere quegli spazi, non quelli generati dalla politica attuale, secondo un'urbanistica pasticciata, che richiede bensì aree verdi, edifici pubblici ecc. per ogni nuovo insediamento, ma fondandosi su schemi quantitativi e ripetitivi in cui non c'è attenzione per la qualità. Questo periodo produsse le più belle chiese barocche d'Europa, specialmente le chiese barocche di Torino, pietre preziose incastonate nelle trama urbana, in una sintesi compositiva stupefacente. Dal colpo di genio del Guarini che frappone tra il Duomo e Palazzo Reale la cappella della Sindone quale anello di
giunzione tra potere politico e religioso, alla chiesa di San Lorenzo, casa tra le case (emerge solo la cupola guariniana ), perché nella piazza reale solo il palazzo del Re doveva primeggiare nella percezione del luogo». E tutto il contemporaneo è da buttare? «Ci mancherebbe: ogni epoca lascia le proprie testimonianze nella storia. Ma il problema è riuscire a ottenere il meglio, invece che il peggio. Un esempio: Augusto Cagnardi, di Gregotti Associati, alcuni anni fa realizzò un buon progetto urbanistico, un percorso di una trentina di chilometri che dalla reggia di Venaria arrivava fino a Stupinigi, sviluppandosi su diversi vettori: assi stradale, autostradale, piste ciclabili, viali, ecc. e inframmezzata da diverse aree di nuova concezione e specializzazione: zone a torri circondate da ampi spazi a giardino. Un progetto molto apprezzato, ma presto abbandonato: per mancanza di fondi. Un'occasione mancata: si sarebbe potuto ridare un nuovo volto a molte zone periferiche torinesi. Come si vede, il problema “qualità” non riguarda solo l'edilizia ecclesiastica... ». Nelle diverse città satellite di Torino si insediarono soprattutto immigrati dal Meridione. Come si rifletté questo sull'architettura? «La sensibilità dei fedeli influisce sempre sulle sistemazioni interne, più che sull'architettura. Questo vuol dire, nello specifico, statue devozionali raffiguranti i santi dei paesi di origine degli immigranti, fioriere e addobbi ai quali le persone erano abituate: oggetti che dal punto di vista dell'intellettuale mitteleuropeo sono paccottiglia. Ma che hanno un significato profondo per le tradizioni antiche, soprattutto dei paesi meridionali. È ovvio che i parroci,
anche se avessero voluto, non avrebbero potuto opporvisi. D'altro canto bisogna tenere presente che nel dopoguerra il tasso di analfabetismo in Italia superava il 60 per cento, ed era particolarmente alto al sud».
(Leonardo Servadio)
È quindi sempre un problema di cultura.... «Certamente. Infatti oggi direi che le cose stanno cambiando. Non abbiamo avuto solo episodi come la nuova chiesa del Santo Volto, voluta dal Card. Poletto come segno di una nuova epoca, ma si nota una maggiore attenzione dei giovani sacerdoti verso i temi artistici, per quanto ancora la formazione in queste discipline sia totalmente assente nei Seminari. Inoltre qui a Torino un'azione importante è svolta dalla “Associazione Guarino Guarini”, che si occupa di iniziative a carattere formativo e informativo sull'arte e l'architettura delle chiese, storiche e attuali. In tale Associazione opera Andrea Longhi, docente di Storia dell'architettura al Politecnico di Torino, che tra l'altro con Carlo Tosco ha pubblicato recentemente un importante volume proprio sulla storia delle chiese contemporanee: “Architettura, chiese e società in Italia (1948-1978)”, nel quale si studia proprio il rapporto tra la chiesa edificio e l'ambiente culturale che lo concepisce. Perché la chiesa, come del resto qualsiasi architettura, è sempre frutto non solo del progettista, ma anche, forse soprattutto del committente. Il volume di Longhi e Tosco con acutezza esamina i rapporti tra i movimenti di pensiero che si sono manifestati nella Chiesa in quel periodo cruciale, e il modo in cui questi si sono riflessi nello spazio costruito: diversa l'impostazione dell'Azione Cattolica di Luigi Gedda, per esempio, da quella di Don Milani. Osservare quel genere di relazione nel recente passato ci porta forse a essere più attenti al rapporto tra committente e progettista anche in questi anni che stiamo vivendo». LS Mario Botta/ Chiesa del Santo Volto ©Alberto Bracco
Campanile
“Chiesa e Città: un nuovo dialogo” Nikos A. Salingaros
N
ei nostri progetti urbanistici è importante la centralità dello spazio comunitario, che dev'essere pienamente condiviso dalla gente, e, perché questo sia possibile, tale spazio deve entrare in sintonia psicologica con le persone, così che queste comprendano veramente che esso appartiene a loro, nel senso più profondo. La storia ci mostra che lo spazio sacro è sempre la piazza centrale dell'abitato, e questa acquista il suo stato di sacralità perché, per tradizione millenaria, vi si svolgono gli eventi fondanti per la comunità. Di conseguenza la piazza si riveste di un sentimento comune, che porta tutti a volerla custodire, e, così, se accade che qualcuno la sporca, altri la puliscono e protestano perché sentono che viene violato uno spazio che gli appartiene. Ma uno spazio con queste qualità non può essere creato ad arte se si agisce secondo i criteri vigenti nella progettazione contemporanea, non a caso nelle espansioni delle città contemporanee non c'è alcun luogo dotato di una natura simile. Beninteso, alcuni imprenditori cercano di ottenere un simulacro di questo tipo di luogo nei centri commerciali, molto diffusi nelle periferie, ma questi sono spazi privati, e mai potranno avere le caratteristiche proprie delle piazze dei centri storici, che sono sede dell'appartenenza e dell'identità dei cittadini. (nota 1). Le proprietà fondamentali di una piazza che possa rivestirsi di valenze simili a quelle delle piazze storiche, derivano dal fatto che tale luogo appartiene in un modo specifico alla rete delle comunicazioni urbane, e nello scritto “No alle archistar” sono elencate tali caratteristiche. Ne cito di seguito alcune. Innanzitutto, la piazza, deve essere “prossima”, vicina alle persone, ovvero a non più di cinque-dieci isolati dalle case più lontane: in questo modo sarà facilmente accessibile. Gli accessi pedonali
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La città contemporanea risulta in parte stravolta: da mode progettuali imperanti come anche dall'onnipresente uso dell'automobile. Una pianificazione urbanistica sensibile alle reali necessità umane richiede luoghi importanti per la vita dei singoli e della comunità, che siano posti a distanza tale da poter essere raggiunti a piedi. E spazi, quali la piazza, nei quali si riconosca un patrimonio che sia sentito come proprio da tutti i cittadini.
devono trovarsi tutti attorno al perimetro della piazza e non essere tagliati da strade carrabili, mentre gli accessi veicolari devono trovarsi su almeno uno o non più di due lati. Dico “accesso”, ma con questo non intendo una strada progettata per incoraggiare un alto flusso di traffico veicolare. Uno degli errori nella concezione delle piazze attuali, è che spesso non sono attraversate da percorsi pedonali. Le funzioni prospettanti sulla piazza devono essere miste: residenziali, religiose, commerciali, amministrative... così ché la piazza veda sempre svolgersi qualche attività e non vi siano momenti “morti” sul piano temporale, mentre sul piano spaziale essa è il crocevia in cui si incontrano tutte le vie di comunicazione. Una piazza così concepita è ovviamente luogo del “passare”, ma anche luogo dello “stare”. E, poiché è il centro della vita comunitaria, è naturale che qui si eriga il luogo di culto. La storia mostra che la religione esalta l'essere umano e aiuta a trovare una condizione umana più vera e profonda. Così, nella tradizione europea, sul lato opposto della basilica sorge il palazzo del governo civile: in tal modo nella piazza, che è il cuore della città, stanno assieme i due momenti focali, quello civile e quello religioso. Il problema è che oggi la società tende ad allontanarsi dalla religione e per conseguenza perde il senso della necessità del luogo di culto. Nelle periferie non c'è più una piazza definita secondo questi criteri, per cui le chiese vengono inserite in qualsiasi contesto, sia esso un anonimo spazio aperto o una via di transito. La piazza, sul piano cronologico-storico, viene prima della chiesa, e non credo che nel contesto attuale possa ipotizzarsi che avvenga il contrario: constato infatti che oggi, quando si costruisce una nuova chiesa, lì vicino si realizza il parcheggio, perché tutti si muovono con le automobili e la nostra società per conseguenza
preferisce i parcheggi veicolari alle piazze.
Salingaros/schizzi di studio
Questo porta a una geometria errata, perché toglie il luogo di culto dalla maglia pedonale della città. Ci sono molte soluzioni per il parcheggio, ma la peggiore è quella posta di fronte alla chiesa. Occorrerebbe prima formare la società, poi, come è avvenuto nella storia, sarà questa a individuare il suo luogo comunitario, o “sacro”: infine qui si erigerà la chiesa. Oggi, a causa della diffusa cultura areligiosa, la chiesa ha perduto il potere di elemento generatore dello spazio urbano circostante. A me sembra che la dissociazione tra società e sacralità sia strettamente legata alla dissociazione urbanistica che constatiamo nelle periferie. Il problema è gravissimo e manifesta la tendenza della società attuale a distruggersi da sola. Nelle società precristiane o non cristiane, la sacralità della piazza può manifestarsi attraverso la presenza di una pietra, di un albero o di qualsiasi elemento che diventi simbolo del nucleo centrale dell'abitato. Ma, oggi, la sacralità del luogo condiviso, è andato perduto. Per questo sul piano urbanistico e sociale bisognerebbe anzitutto recuperare il senso della socialità.
Un passaggio importante ovviamente sarebbe il superamento dell''uso ossessivo delle automobili. Gli ebrei ortodossi si sentono vincolati dal codice mosaico a camminare il venerdì sera verso la sinagoga: per conseguenza le loro case sono costruite vicine al luogo di culto. Ne deriva che il codice mosaico contiene regole valide per l'urbanistica: la struttura urbana deve consentire di arrivare camminando alla sinagoga, perché è proibito usare mezzi di trasporto. Nel mondo islamico si stabilisce che il fedele almeno una volta nella vita debba andare in pellegrinaggio alla Mecca e, qui giunto, camminare a piedi attorno alla Kaaba: anche questo è un atto religioso di alto significato urbanistico. L'atto del camminare è un elemento costitutivo della comunità. Nelle periferie odierne come tendenza generale occorrerebbe abbattere i più alti edifici a torre o quelli con dimensioni inumane: questi incrementano la densità (e quindi tra l'altro l'uso dei veicoli) ma non creano comunità, perché negli edifici verticali non c'è nessun incontro tra le persone. Di solito nelle periferie si trovano alcuni spazi aperti, ma, questi, non hanno caratteristiche tali da poter rappresentare il cuore della città, ovvero, non sono piazze. Occorre quindi ridefinire il tessuto urbano in modo tale da favorire l'emergere di luoghi di incontro. Ma questo non è realizzabile seguendo le strategie impostate dal modernismo, che promuove la visione dell'edificio isolato, attorniato dal vuoto, così che l'attenzione sia focalizzata sull'edificio stesso. Il modernismo progetta i “pieni”, non i “vuoti”, perché li vede solo come funzionali ai primi. Inoltre, il vuoto modernista è uno spazio che tende, tramite la sua geometria, a escludere invece di accogliere la vita umana. Chi progetta chiese moderniste segue spesso questo modello. Invece le chiese antiche, collocate nelle piazze urbane, necessariamente
fanno parte del tessuto urbano e partecipano al continuum edificato attorno alla piazza; si può dire che esprimano un'umiltà progettuale, perché si integrano nel coro degli edifici vicini. In questo contesto la facciata della chiesa d e v ' e s s e r e a t t ra e n t e , e s t e t i c a m e n t e importante. Alla base del suo progetto deve stare l'approccio biofilico all'architettura, come quello che si può ottenere con la geometria frattale, ovvero quello che si trova nelle architetture antiche. Una geometria complessa e articolata che riflette le trame del vivente: in breve, il contrario dell''approccio minimalista, che ha l'effetto di allontanare la vita. Questo vale per qualunque edificio, ma tanto più vale per la chiesa che è il culmine dell'architettura e pertanto deve risultare dal massimo impegno del progettista. Il criterio che dovrebbe informare il rapporto tra facciata e piazza è quello della coerenza geometrica. Noto che in moltissime piazze contemporanee sono state collocate sculture, pensiline, chioschi e panchine astratte: ritengo che queste siano, proprio come l'architettura minimalista, repulsive per l'essere umano. Un grosso problema sta nel fatto che molta parte delle élite intellettuale oggi ritiene, per motivi ideologici, che siano proprio questi elementi astratti a rappresentare la cultura dell''epoca. Per molti, anche se non lo ammetterebbero mai, questi sono gli elementi di culto della nuova anti-religione e dunque sostituiscono ogni opera di arte tradizionale e religiosa legata all'essere umano. Lo fanno con le migliori intenzioni, anzi, per motivi religiosi,seppure contorti, ma il risultato è il disegno di luoghi che tendono ad avere un effetto avverso per l'essere umano e quindi non generano un ambiente coerente con la figura della chiesa. La facciata della chiesa, come anche l'organizzazione della piazza, dev'essere ispirata alla biofilìia, cioè all'armonica
complessità della vita, non alla piatta astrattezza antibiofilica. Tutto questo ha anche a che vedere con le dimensioni della chiesa: un tempo essa era l'edificio dominante, oggi scompare di fronte ai palazzi urbani... è impossibile che una chiesa competa con palazzi di dieci, venti, trenta piani. Ma la bellezza non ha anchea che fare con le dimensioni. E la chiesa può, anzi deve, essere il gioiello che tutti guardano.
Salingaros/schizzi di studio THEMA I SALINGAROS I 21
Riflessioni sull’architettura per le chiese contemporanee alla luce dell’esperienza di “Chiesa e Quartiere” Un dialogo tra Luigi Bartolomei e Giuliano Gresleri
A chi studia l'evoluzione dell'architettura delle chiese, l'esperienza che si avviò a Bologna tra il 1955 e il 1968, appare come un momento fondativo nella storia dell'architettura sacra in Italia. A noi che guardiamo gli anni di Chiesa e Quaritere e dell'Ufficio nuove chiese da una certa distanza, quell'esperienza ci pare quasi una “torre”: un osservatorio privilegiato della situazione italiana,…capace di farsi visibile ed attrarre anche i maestri lontani…. …La metafora della Torre è vera. E' vera perché di fatto la sede di questo laboratorio bolognese era in alto, ma non voglio dire che fosse “in alto” in senso simbolico. Non c'era la consapevolezza o la volontà di fare qualcosa di grande, affatto. Non c'era nulla di eroico nel nostro lavoro: lavoravamo nella necessità e nell'entusiasmo di una macchina che si era avviata, di un progetto culturale che prendeva passo passo respiro e nel quale noi crescevamo e ci impegnavamo. Eravamo però in alto in senso fisico, questo sì, perché il laboratorio aveva la sua sede in un sottotetto, quello della Curia, che era davvero il più alto di Bologna, e quando c'era molto da fare, quando si raggiungeva l'ufficio alle cinque del pomeriggio e si tornava a casa a mezzanotte, a volte io e Francesco Scolozzi ci rifugiavamo sui coppi a guardare il panorama della città, e, quanto a questo, eravamo in alto davvero… ... ma questo essere in alto si può forse intendere anche in senso metaforico? Rispetto al panorama Nazionale quanto avveniva a Bologna, lo dico senza tema di piaggeria, era certamente “in alto”, e forse anche rispetto al panorama internazionale l'esperienza bolognese era particolarmente significativa…
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Sul piano nazionale è certamente vero, sul piano internazionale non so… In ambito europeo gli interlocutori erano forti e molto autorevoli, soprattutto l'Art Sacré (1) con la quale intervennero i rapporti più intensi. Io, in particolare conobbi p. Régamey. P. Couturier (2) era già morto. Incontrai Régamey perché Giorgio Trebbi e Vittorio Gandolfi avevano partecipato al concorso internazionle per il convento di Rue de la Glacière (3) che era la sede dei domenicani a Parigi e la redazione dell'Ars Sacré. Lavorando al modello del progetto, alla fine io mi dichiarai disponibile a portarlo a Parigi. E' stato il mio primo o secondo viaggio nella capitale francese. P. Raymond Régamey mi accolse in convento e mi mostrò la sua cella, certo grande come una cella domenicana, ma con almeno 50 dipinti alle pareti: Matisse, Rouault, Leger, Picasso, insomma tutti i personaggi con cui egli era entrato in contatto come critico d'arte arrivato tardi al sacerdozio. Il nostro gruppo bolognese era straordinariamente permeabile alla cultura francese, nella quale individuavamo in quegli anni quasi l'essenza stessa della modernità. Nessuno di noi era invece particolarmente sensibile alla vicenda moderna della germanicità, pur riconoscendole quel primato che Rudolf Schwarz (4) e Emil Steffann (5) hanno certamente avuto nella vicenda della formulazione dello spazio moderno. Avevamo però dei sospetti sulla produzione di Schwarz e questo suo simbolismo esasperato, descritto nel suo famoso libro (6) con il quale individuava molti tipi architettonici, ci lasciava dubbiosi e Giorgio (7), in particolare, era atrocemente colpito e diffidente rispetto al ritorno del tipo edilizio. Giorgio negava al tipo ogni importanza. Se si chiedeva a noi quale forma dovesse avere una chiesa, noi non ne avremmo saputa suggerire
A partire dagli anni Cinquanta, a Bologna, grazie all'intuizione e alla dedizione dell'Arcivescovo, Card. Giacomo Lercaro, si costituì un gruppo di giovani professionisti che allacciarono contatti con chi era impegnato nel movimento liturgico e nelle nuove realizzazioni ecclesiastiche in Francia e in Germania. La rivista “Chiesa e Quartiere” fu l'elemento portante del movimento che portò il rinnovamento liturgico e architettonico in Italia.
alcuna. Questo livello di riflessione non ci apparteneva, e se il “tipo” era esistito in passato, la grande rivoluzione moderna gli toglieva ogni autorevolezza. Lo spazio non sta più nell'organizzazione formale dell'impianto liturgico, ma vede l'impianto liturgico e la sua forma come una traduzione spaziale del gesto liturgico, in le «Geste Liturgique» che fu per altro il titolo di un numero monografico de l'Art Sacré (8) : il sacerdote che celebra la Messa vestito di una casula di fronte all'altare, crea lo spazio della liturgia con l'azione stessa che egli compie. Il sacerdote plasma il nuovo spazio disegnandolo nell'aria e, in questo, ogni riferimento tipologico viene meno. Facendo un bilancio, questo programma quali risultati ha portato? Ci fu un momento in cui tutti noi pensammo che una rivoluzione globale nella concezione dell'architettura sacra si fosse ormai compiuta. Accadde con il concorso di Ascoli Piceno per esprimere idee circa “lo spazio architettonico per l'assemblea cristiana”(9). Mio fratello Glauco era in commissione, ma la cosa pareva esserci quasi scappata di mano in uno slancio d'ottimismo: ai concorrenti non veniva chiesto il “progetto di una chiesa”, ma un'organizzazione spaziale a titolo di concorso di idee. E presentarono spazi attraverso modelli in materiali semplici, anche in cartone, per evidenziare le relazioni tra i poli liturgici, tra altare e ambone, ambone e battistero, battistero e custodia eucaristica: Ascoli ci sembrò un punto di arrivo. …il Concorso di Ascoli avveniva però nell'entusiasmo immediato del dopoConcilio. La Costituzione sulla Sacra Liturgia era stata appena promulgata e proprio del 1967 sono le nuove importanti
Roma/ Santo Stefano Rotondo ©Silvia Stella Galimberti
istruzioni sulla musica sacra e sulla stessa liturgia (10). Se ci spostiamo ad una maggiore distanza dai documenti e dalle istruzioni conciliari, forse muta anche il tuo giudizio sull'architettura…. Gli anni a seguire raccolgono delusioni. Ci sono stati diversi atteggiamenti che hanno attraversato la Chiesa del Post-Concilio. Nel momento in cui si raccoglieva un rinnovarsi della Chiesa come sapiente ritorno alle origini, a molti parve che tutto venisse reso lecito proprio mentre veniva a mancare (e questo non si può certo imputare alla Chiesa) la cultura dell'architettura. La molteplicità degli orientamenti si è tradotta in incertezza estetica e architettonica. Anche la celebre giustificazione di Ludovico Quaroni (11) a difendere il post-moderno non dà ragioni della scelta post-modernista che ha attraversato anche l'architettura religiosa e che è stata un'esperienza infruttuosa, senza principi, e infine aperta a qualsiasi sperimentazione. Insomma, venuto meno il credo “funzionalista” è quasi venuta a mancare la ragione stessa dell'architettura. D'al tra par te , e timologicame nte , s e un'architettura non è funzionale, che cosa è?...In fondo, non esiste un'architettura che non sia tale nell'atto stesso con cui ci si trova a mettere delle pietre una sull'altra, dei materiali in rapporto l'uno con l'altro. Ma se questo atteggiamento viene meno, per forzare una originalità a tutti i costi, si legittima qualunque cosa e anche le chiese sono diventate stellari, pentagonali… Se il Concorso per Ascoli era infatti stato il luogo del vostro entusiasmo, questa contemporanea incertezza compositiva ha nei concorsi la propria cartina
tornasole. E anche i concorsi contemporanei dei “Progetti Pilota” (12), sono certamente il segno di una tensione positiva della Chiesa verso i contemporanei fermenti del mondo dell'arte e dell'architettura ma anche, i loro risultati, sono prova della complessiva incertezza che ancora domina sul tema architettonico della chiesa (13). Basta guardare ai risultati del concorso per la Chiesa del Giubileo (14). Se si prendono in considerazione i progetti degli architetti invitati, ci si trova quasi in imbarazzo nel tentativo di comprendere chi di loro abbia fino in fondo interpretato la costituzione sulla sacra liturgia. Probabilmente il pregio tecnologico che caratterizza tutte queste proposte non risponde alla “festosità” che l'architetto intuisce nell'occasione della progettazione di una chiesa. E' cambiato il modo di fare arte e, con esso, anche il modo di fare architettura. La progressiva tendenza all'originalità esasperata dell'opera è un processo che dalla produzione artistica ha invaso il mondo dell'architettura e ha reso “rischioso” insegnare questa disciplina e non solo l'architettura delle chiese. In totale opposizione a questo, si trova rifugio in un nuovo gusto per la “copia”, nella riproposizione di stili già pronti e soluzioni formali preconfezionate. In ambedue i casi, tanto nella più ardita eccentricità, che nella revanche storicista, lo studio delle relazioni tra presbitero e popolo di Dio che costruiscono lo spazio nell'azione liturgica è stato parimenti perduto. Anche questa tendenza contemporanea, che all'originalità esasperata contrappone tipologie morte, ugualmente si concentra sulla forma architettonica e sui “pieni” piuttosto che sullo studio del gesto liturgico e del suo “vuoto”. E così come l'uomo
ha bisogno di una casa in cui vivere, di una cucina in cui cucinare, di un letto in cui dormire, in chiesa ha bisogno di uno spazio in cui pregare. Uno spazio che agevoli il gesto liturgico: tanto quello del celebrante quanto quello dei fedeli. Quello che avviene con la progettazione di una casa, altrettanto deve avvenire con la progettazione di una Chiesa. Non si può partire dalla pelle, o dalle scelte tecnologiche. Non si può pertanto sapere in partenza se la luce provenga dall'alto attraverso un complesso sistema di brise-soleil, o piuttosto da altre parti… il progetto non può partire da questi punti. Come in una casa, il progetto di una chiesa non può che muovere i propri passi dal tentativo di dare un corpo ai gesti che in quello spazio si prevede si svolgano. Casa e Chiesa, sacro e profano. Un rapporto caro alla tradizione ecclesiale. Ogni chiesa-edificio è a suo modo immagine della Chiesa e sintesi di una intera ecclesiologia e, in questo, anche la chiesa come immagine della casa ha una lunghissima tradizione che giunge anche alla modernità. “Costruire la Casa del Signore tra le case degli uomini” (15): questo fu l'insegnamento di Lercaro. Una direzione di ricerca che è poi rimasta socchiusa. Progettare la Casa del Signore tra le case degli uomini è un'operazione difficile da realizzare se non si ha una preparazione specifica o un'autentica riflessione sulla condizione umana e sulla sua vocazione intrinsecamente religiosa. Questa intuizione, della chiesa come casa di Dio tra le case degli uomini, era ben presente alla Chiesa delle origini, mentre l'architettura contemporanea l'ha per la gran parte
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Progetti del complesso di S.Elpidio al Mare/Maggi Prati e Bontempi, Bondioli,Capra Joanes ©Parametro n.99, Courtesy Luigi Bartolomei
dimenticata…. Ciò è dovuto anche al fatto che la società di Lercaro è mutata e non corrisponde più alla nostra, sebbene il Cardinale, già nel 1955 aveva intuito la dimensione multietnica e multi religiosa verso la quale si sarebbe evoluto lo scenario urbano. Lo disse chiaramente inaugurando la prima mostra internazionale di architettura sacra nel 1955: “…figuratevi quando la città sarà multi-etnica e multiculturale”! La casa di Dio tra la casa degli uomini è una poetica che non è stata rivalutata. Oggi si rivaleggia con San Pietro, si costruiscono di nuovo templi, fino a smarrire il senso e la misura dello spazio. Al contrario, forse in alcune opere di Mario Botta c'è un ritorno onesto al tema dell'intimità domestica con un uso sapiente della luce, come nella chiesa di Seriate dove questa poetica è evidente. Autentico tempio di luce è anche quello che ripropongono le chiese di Tadao Ando, forse tra gli esempi più alti con i quali la contemporaneità si è espressa di fronte al tema dello spazio liturgico. Tra casa di Dio e casa degli uomini può dunque sussistere un paragone, in un rapporto che deve tuttavia ritrovare il proprio equilibrio. Se la casa è l'immagine di un nucleo familiare, parlare di casa, oggi, significa intendere qualcosa di altro rispetto ad ogni immagine tradizionale. Non a caso l'ultimo numero de “L'art Sacré” prima della chiusura dal titolo “Ou prieron nous demain?” (16) ha come copertina un enorme edificio costruito su un lotto dove c'era già una piccola chiesa con il tetto a due spioventi, il rosone, etc. che ora viene a trovarsi esattamente tra i pilastri di questo enorme palazzo. Un'immagine che rappresenta la società contemporanea, ma anche l'attuale stravolgimento nelle relazioni tra sacro e profano… Polemica attualissima, all'interno della quale si insinua quasi come “terzo polo” il THEMA I GRESLERI I 24
religioso. Nell'ultimo suo libro Severino Dianich, afferma che non può essere fonte di ispirazione per la forma di una chiesa il senso generico del sacro con i suoi archetipi (17). Quale architettura per la chiesa, dunque: architettura sacra o architettura religiosa? Con le parole di Dianich forse tutti siamo d'accordo in linea teorica, ma poi anche il Cristo usa l'acqua nell'atto del Battesimo... Insomma, astrarre così tanto da quelli che sono i segni archetipi delle forme religiose ritengo sia una istanza possibile solo in teoria… Un esempio a questo proposito può essere Ronchamp. P Couturier affermava che non abbiamo risolto il problema della chiesa moderna facendo chiese come officine: noi risolviamo il problema della chiesa moderna quando entrati in chiesa avvertiamo un senso di spaesamento. Nel dépaysemant, nel distacco dal mondo esterno, il colloquio con il divino ha la possibilità di affacciarsi. Questo aspetto lo trovo molto interessante in rapporto alla fisicità dello spazio ecclesiale: le vetrate, il pavimento, tutto lo spazio architettonico può aiutare a creare questa sensazione di dépaysement. E' pur vero che in questo rapimento si può celare facilmente l'inganno, e la teatralità dell'architettura o il suo aspetto scenografico possono ancora facilmente prendere il sopravvento. Tuttavia questo processo di “spaesamento” accomuna molte opere eccellenti dell'antichità cristiana davvero capaci di portare fuori dalla dimensione quotidiana del tempo. Quando si entra per esempio in Santo Stefano Rotondo o, diversamente, quando si varca la soglia di Galla Placidia, si avverte in entrambi i casi di essere in uno spazio in cui tutto il sistema geometrico e materico assolve questo compito di rapimento. D'altra parte che cosa si attende da una chiesa? Lo dico semplicemente: di essere uno spazio che aiuti
l'uomo a pregare, uno spazio in cui la preghiera risulti più facile. In uno spazio simile l'uomo è naturalmente portato a questa immersione, lontano dalla dimensione feriale. L'edificio è dunque sacro nell'esatto valore del termine latino, ed attua questa separazione, perchè recinge uno spazio che chiaramente è altro… Dall'altra parte riconosci invece un'architettura religiosa quando il segno della croce o la mezza luna sono posti sopra un edificio. La sacralità, naturalmente, è altro e altrove. Tuttavia in relazione alle chiese i problemi si complicano e occorre fare nuovi distingui, perché tanto l'edificio sacro, quanto quello religioso, entrambi contengono la presenza materiale e reale del Signore, e questo può divenire imbarazzante, perché talvolta non si può nascondere il disagio di ricevere il Signore in spazi che non sono sacri e che tuttavia sono stati predisposti e preordinati ad essere chiese. Dalla “torre” dell'esperienza di Chiesa e Quartiere e della tua personale esperienza di studioso e architetto, quali prospettive o quali consigli? Il dato d'esperienza riporta una grande povertà nelle attuali possibilità di espressione del sacro. Abbiamo perso molti mezzi e per altri non abbiamo inventiva. Io non ho formule da proporre. Non ne ho e per quanto mi è possibile cerco di non darne.Tra il 1978 e il 1979 feci una bella esperienza progettuale per un centro parrocchiale e di comunità presso Porto S. Elpidio (A.P.). Alla fine il progetto non venne realizzato, per diversi avvicendamenti. Io resto tuttavia affezionato a quella piccola chiesa, (poco più che un oratorio) e a quella serie di casette per avviare i ragazzi della comunità alle loro attività… Quel progetto, in relazione a quel
Parametro n.99_copertina dedicata al complesso di S.Elpidio al Mare ©Courtesy Luigi Bartolomei
luogo e a quella funzione, credo mantenga un valore. E non vi vedo norma, se non quella di aderire ai gesti che in quella sede si sarebbero dovuti svolgere.
NOTE (1) La rivista l'Art Sacré uscì in Francia tra il 1935 e il 1969. Sola del genere in Francia fino al 1955, fu diretta dal 1948 dai padri domenicani Marie Alain Couturier e Pie-Raymond Régamey. Il tempo della sua massima fortuna coincise con i dibattiti che circondarono la costruzione della Chiesa di Assy, della Cappella Domenicana di Vence e della Chiesa Parrocchiale del Sacro Cuore di Audincourt. (2) P. Marie Alain Couturier, O.P. (1897-1954), frate domenicano capo redattore de “L'Art Sacré” dal 1936 alla morte. (3) Ancora sede della Provincia Domenicana di Francia e della Biblioteca provinciale “du Saulchoir”. Il concorso che qui menziona il prof. Gresleri dovrebbe essersi tenuto nel 1958. (4) Rudolf Schwarz, (1897, Strasburgo – 1961 Colonia) architetto vicino a Romano Guardini e autore, tra le altre, della celebre St. Froleichnam Kirche di Acquisgrana e del testo Vom Bau der Kirche, Colonia, 1947 (5) Emil Steffan (1899, Bethel – 1968 Bonn) (6) R. Schwarz, “Vom Bau der Kirche” Verlag lambert Schneider – Heidelberg 1938. Seconda edizione nel 1944 e traduzione italiana dell'editrice Morcelliana, Brescia, 1999 (7) Giorgio Trebbi (1926 – 2002), co-fondatore di “Chiesa e quartiere”, membro dell'Ufficio nuove chiese della Diocesi e poi del “Centro studi e informazioni per l'architettura sacra” presieduto dal Card. Lercaro stesso. Autore di numerose chiese, tra le quali quella parrocchiale di San Pio X, e quella di Borgonuovo di Pontecchio Marconi. Fu poi fondatore e direttore di “Parametro” e del Centro di studi urbanistici “OIKOS”.
Docente di “caratteri distributivi degli Edifici” presso la Facoltà di Ingegneria. (8) Le Geste Liturgique, numero monografico de L'Art Saré, Gennaio 1967, vol 5-6 (9) I risultati di questo concorso (1966) furono poi pubblicati in Chiesa e Quartiere, n.42, giugno 1967. Il concorso aveva meritato una introduzione di Mons. Giovanni Fallani, convinto assertore delle istanze del Concilio Vaticano II, dal titolo “Spazio architettonico per l'assemblea liturgica”, pubblicato in “Fede e Arte”, n.1 Gennaio-Marzo 1967, pp.98-99. (10) Il voto definitivo sulla Sacrosantum Concililum avvenne il 4 dicembre 1963 (21478 placet su 2151 votanti). Del 25 gennaio 1964 fu il motu proprio “Sacram Liturgiam”; il 26 settembre 1964 la prima istruzione “Inter Oecumenici”; il 18 marzo 1967 l'istruzione “Musicam Sacram”; il 4 maggio 1967 la seconda istruzione “ Tres ab hinc annos” per l'applicazione della Costituzione Liturgica e il 25 maggio 1967 l'istruzione della sacra congregazione dei riti sul Culto del Mistero Eucaristico “ Eucharisticum mysterium”. (11) “se voglio fare un salto in avanti devo farne molti all'indietro prendere la rincorsa, spiccare il salto e dopo ci riesco”. Si fa qui riferimento a L. Quaroni “architettura Post-Antica”, Casabella 500/1984, p. 3839
Sartogo, Pierre Vago, P. Giacomo Grasso O.P. , Nicola Pagliara, George Baird, Ignazio Breccia Fratadocchi e Bruno Zevi (che si ritirò e venne sostituito con Pasquale Culotta). Gli invitati furono Tadao Ando, Günter Behnisch, Santiago Calatrava, Peter Eisenman, Frank O. Ghery e Richard Meier. Come noto fu il progetto di Richard Meier a vincere la competizione. I progetti per la competizione sono stati raccolti in "L'architettura, Cronache e Storia", 484, 1996, numero monografico La Chiesa del 2000. (15) “Non basta dare agli uomini una casa; occorre, accanto a quella degli uomini, costruire la Casa del Signore, che sia casa della Famiglia di Dio, la quale vi si raduni intorno al Padre”. In “1945-1955 dieci anni di architettura sacra in Italia”, a cura del Centro Studi Arte Sacra di Bologna, Bologna, aprile 1956 (16) “Ou prierons-nous demain?”. P. Jean Capellades, in religione P. Marie-Robert Capellades, con una prefazione del Cadinale Lercaro tradotta dall'Italiano, “L'art Sacré”, 3° trimestre 1968, ed. Du cerf, Paris, 1968 (17) Severino Dianich, “La Chiesa e le sue chiese”, Milano, Ed. San Paolo, 2008, p. 17
(12) Cfr. Casabella 785, “5 nuove chiese italiane. 21 Progetti in concorso”, Conferenza Episcopale Italiana, Servizio Nazionale per l'Edilizia di Culto. Pubblicazione in accompagnamento alla mostra dei progetti 20 Gennaio 21 Febbraio 2010, Roma (13) Cfr. L. Bartolomei, “Quale Chiesa per la Chiesa” QUALE CHIESA PER LA CHIESA, in “Il Giornale dell'Architettura”, n 75, Luglio-Agosto 2009, p. 1 (14) Nel 1995 si decise di indire un concorso ad inviti per la Parrocchia di Tor Tre Teste nella diocesi di Roma. L'area era già stata oggetto di una precedente gara pubblica che aveva avuto ben 534 partecipanti e nessun vincitore. Il nuovo concorso vedeva nella commissione giudicatrice Glauco Glresleri, Piero
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Il Paesaggio Sacralizzato Progetto di Nuova Aula Liturgica presso il Convento del Beato Giacomo Bitetto (Bari) Paolo Bedogni
Antico "loco Gallinello" francescano del Beato Giacomo in Bitetto.
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Un convento da restaurare e riabilitare per la funzione pubblica diventa l'occasione per ripensare la sistemazione di un brano di periferia, riorganizzando tutto il paesaggio e la sistemazione viaria all'intorno, così definendo nuovamente l'edificio ecclesiastico come centro di riferimento e momento irraggiatore, che dà significato al territorio, del quale conserva le memorie profonde mentre ne diviene occasione di crescita.
SENSO DI PACE L'idea architettonica, in un'ottica processionale penitenziale, identificabile nel “santuario cripta” si svolge architettonicamente in un percorso da definire nel progetto esecutivo verso la luce che orienta per il luogo elevato dell'antico sito del Beato Giacomo. L'architettura diventa segno del “non detto” che conduce ad una dimensione che rigenera l'interiorità di chi accetta il “percorso” proposto non solo architettonico o paesaggistico. In questo senso di rigenerazione la piantumazione esterna può caratterizzare diverse zone arborate con scopo ornamentale con essenze alloctone, zone ad uliveto, frutteto e aree a macchia con vegetazione spontanea arbustiva con o senza olivastri o sporadiche altre specie autoctone arboree diffuse senza essere sottoposte a coltura, L'architettura del tipo a cripta e questa sorta di selva esterna possono accompagnare il cammino penitenziale dell'uomo alla ricerca evocando antichi rimandi tipologici. L'articolazione degli spazi della nuova aula di culto propone un grande luogo di accoglienza costituito dal sagrato capace di raccogliere tanti pellegrini provenienti dalle zone di parcheggio. LUOGHI LITURGICI Vengono reinterpretati i diversi spazi liturgici caratterizzanti le antiche chiese rupestri della puglia in una articolazione essenziale per un uso polivalente del complesso Le quinte murarie esterne sono inserite nell'orografia preesistente e alternate da coperture ricche di vegetazione che ne migliorano l'inserimento. Il pellegrino può accedere all'aula liturgica solo ed esclusivamente attraverso una sorta di nartece che costringe a discendere verso il basso o con scalinate o con comode rampe. Questo primo percorso è coperto completamente da lastre di vetro che permettono la vista zenitale del cielo disegnato dal segno degradante della facciata. L'aula che si apre alla visto di chi entra è caratterizzata da uno pianta di forma trapezoidale semplicemente connotata da alcuni elementi.
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CONCEZIONE PAESAGGISTICA Questa caratteristica che appartiene al "genius loci"
PIANO INTERRATO: Nuova Aula Liturgica con collegamento sotterraneo al complesso del Beato Giacomo
consolidato suggerisce il tipo di architettura coerente con il santuario preesistente che viene tutelato nella sua identità storico architettonica. L'individuazione di questi muri preesistenti, con i loro storici accessi e con i relativi portali indicano di conseguenza i percorsi generatori dell'architettura nuova. Viene già recepita e acquisita in tal senso la nuova lama e soprattutto le quinte murarie in pietra che diventano con la scarpata, costruita in base alle tecniche di ingegneria naturalistica, un ulteriore riferimento della nuova architettura. Il nuovo "inserto architettonico" nasce in dialogo con ciò che è storicizzato e quindi si fonda proprio nella "tradizione della memoria" della gente e nel
rispetto
ambientale
paesaggistico.
Tali
caratteristiche rappresentano un esempio con valenza di utilità pubblica delle azioni strategiche indicate dal PUG del comune di Bitetto dove vengono proposti muri in pietra, coperture verdi, percorsi pedonali con abbattimento
delle
barriere
architettoniche,
contenimento dell'uso del suolo, costruzione compatta in base alla tipologia antica rupestre e preromanica, con soluzioni per il risparmio energetico e uso di tecnologie
PIANO TERRA: La Nuova Aula Liturgica diventa il fulcro paesaggistico del Centro di Pellegrinaggio nell'antico "loco Gallinello" francescano del Beato Giacomo in Bitetto
ecocompatibili e sostenibili. In questo senso si potrà studiare un sistema di ventilazione naturale interno esterno con accorgimenti di controllo della temperatura e del livello di umidità che potrà essere garantito proprio con la progettazione delle coperture inerbate tipiche delle antiche costruzioni rupestri. TERRA CIELO Lo studio particolareggiato dei piloni informa tutto l'architettura dell'aula in quanto la loro disposizione e conformazione o setti asimmetrici permettono uno particolare penetrazione delle direttrici visuali. Tutto ciò arricchito dalle traiettorie della luce zenitale rende lo spazio particolarmente forte dal punto di vista espressivo. Il pilone adiacente la zona presbiterale diventa addirittura abitato dalla parola di Dio, incarnato da chi vi entra proclamandola. L'unicità dei tre piloni invita altrettante arcate, asimmetriche e a sesto
MODELLAZIONE TRIDIMENSIONALE: L'articolazione dello spazio è impreziosita dalle traiettorie zenitali nei "pilastri di luce
ribassato, a scandire la superficie di copertura. L'inclinazione di quest'ultima ribassata verso l'unico altare accentua la forza prospettica di tale architettura essenziale. L'articolazione dello spazio descritto trova compimento compositivo con una interpretazione dell'andamento absidale con l'intersezione di due curvature. Il rimando alle antiche chiese rupestri potrà essere ulteriormente citato nella cura delle varie finiture delle superfici verticali e orizzontali. Tali finiture interne saranno caratterizzate da coloriture calde e luminose costituite da malte con inerti autoctoni tipici del sito con una mescola di giallo dorè.
pianta I fuoriscala I
B A
SEZIONE I AA I 1:500
SEZIONE I BB I 1:500
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“Due Chiese bianche e un tetto” Stefano Mavilio
Due chiese bianche, due bianchechiese. Così bianche, eppure così diverse (così vicine, così lontane avrebbe detto Wenders) per una serie di motivi che brevemente cercherò di elencare, senza pretesa critica, con il medesimo spirito di chi -come si celebra qui, ora- fece il turista per caso o per volere, comunque con allegria. Il tutto disposto secondo una scaletta di sette punti sette, che fanno sintesi, ove di sintesi non ci sarebbe bisogno, data la pregnanza del tema. Le due chiese sono “Dives in Misericordia”, progettata da Richard Meier per il quartiere Tor Tre Teste, e la chiesa del Santo Volto, progettata da Piero Sartogo e Nathalie Grenon per il quartiere Magliana, a Roma. In postilla presento una chiesa all'antica, col tetto a capanna e il campanile che svetta nella campagna circostante di vecchie pinete. Per dimostrare ciò che appare peraltro evidente: che la partita della qualità si può benissimo giocare senza che in campo scendano necessariamente gli Archistar.
DUE CHIESE BIANCHE La committenza Rimandando ad altri la disamina delle vicende che portarono alla realizzazione della chiesa del Giubileo (cfr. ad es. Garofalo, F., The Church of the Year 2000, Casabella, dicembre/gennaio 1997, p. 88), basti dire che le due storie furono assai diverse. Un concorso internazionale, a fronte di un affidamento diretto. La chiesa di un evento mediatico senza precedenti, evento peraltro mai celebrato colà e una chiesa parrocchiale delle tante previste dal programma dell'Ufficio per l'Edilizia di Culto della città capitale. Il sito Altrettanto diverse e paradossalmente a ruoli invertiti, le rispettive ubicazioni dei due complessi: l'estrema periferia di Roma est,
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prossima al luogo dell'evento-per-eccellenza, la Giornata mondiale della Gioventù, a fronte di una periferia consolidata, in via della Magliana, prossimi a un Fagnoni d'annata col suo bel vestito di tufo. Assai diversa invece la posizione nello scacchiere topografico, giacché la prima pur incombendo gli osceni palazzoni- gode del diritto di centralità ove la seconda è marginale a tal punto da non sapere dove finisce la strada e dove comincia il sagrato (che non è davanti come ci si aspetterebbe ma sul fianco destro, come vedremo più avanti). L'impianto tipo-morfologico del complesso Appare evidente a un sommario esame morfologico, che le due chiese ambiscono entrambe alla sfera del divino, a tal punto da configurarsi -volumetricamente- secondo tale nobilissima figura –la sfera- al punto da iterarne tre volte la superficie (Meier), creando di volta in volta tre vele (“tre conchiglie!” Si ostina a ripetere inascoltato il progettista); e una sfera virtuale che addirittura pare ricomporsi all'esterno attraverso un'abside semicircolare, tanto da far dire con enfasi che "non era mai stata concepita una cupola che racchiude, come in questo caso, sia lo spazio interno, sia lo spazio esterno." (cfr. Vaglio P., Un progetto in sintonia con l'arte, Chiesa Oggi, A. XV n ° 76). Ci si domanda se tale virtuosa-virtualità sia necessaria, canonica o piuttosto arbitraria. Ancor più diversa la composizione dell'impianto architettonico; quivi si compatta il volume della chiesa con quello delle opere, quinci li si dispone in volumi distinti, che creano uno spazio urbano, una strada, quasi un “abbraccio”, della Santa Chiesa allo spazio urbano e alla comunità celebrante. E si capiscono le ragioni di Sartogo, tanto quanto quelle di Meier; uno costretto dalla necessità del ritaglio urbanistico, della marginalità dell'area che –comunque – viene risolta nel migliore dei modi, sfruttando
Negli anni recenti si sono erette molte chiese nelle periferie romane. Il progetto di alcune di queste è stato affidato ad architetti di grido, che hanno portato una ventata di arte contemporanea e di quella cultura “globalizzata” che sta coinvolgendo tutto il mondo. Vi sono anche architetture che mai comparirebbero sulle pagine delle rivista specializzate: e non è detto che non assolvano egregiamente al loro compito. Anzi forse meglio rappresentano comunità autenticamente dedite all'impegno solidale.
addirittura la preesistente struttura al fine di portare la nuova al filo del marciapiede, con il volume dell'atrio così ben rifinito dal suo rigatino grigio bucato alla marinara; l'altro, nell'horror vacui, alla disaggregazione urbana preferisce un arrocco, invece della distensione ordinata –ad esempio- di un Botta.
Lo spazio liturgico – I poli liturgici Ancora una grande diversità di impianto e di vedute. Uno spazio di tipo basilicale, pur se correttamente “moderno” nelle proporzioni, che dispone le sedute “a battaglione” a ranghi compatti, si confronta con una più moderna disposizione “circumstantes”, corretta nella disposizione e nelle intenzioni, con l'ingresso non in asse con l'altare, ma che ben lo inquadra, recuperando con destrezza un atrio e un sagrato dove altri avrebbero per certo fallito. Ancora tanto diversi gli spazi “presbiterali”. Uno disposto in estensione, l'altro raccolto nella curvatura della sfera virtuale (ci pare migliore). E veniamo ai singoli poli liturgici. Due altari tanto diversi, quanto di opinabile fattura. Se l'altare di Sartogo pare corretto nel suo essere mensa (ma dov'è finito il sepolcro e dove l'ara sacrificale?) del tutto fuori luogo pare l'altro, di forma ovoidale, tanto bizzarro da creare imbarazzo a chi, nella ritualità della consacrazione ne cercava con ostinazione gli spigoli – senza peraltro trovarli. Due amboni che sono leggii e due fonti dalle sagome arbitrarie, completano il quadro con le sedi ordinarie di dura pietra. Il progetto iconografico Si confrontano qui due diverse idee di musealità, che nulla ha a che fare con le chiese. Il bel Cristo di cartapesta che domina l'area dell'altare a Tor Tre Teste, stagliandosi nel color cappuccino della sala, pur tanto
criticato, (assieme alla stucchevole esposizione di oreficeria), è assai meno presuntuoso della galleria proposta in area Magliana dove si confrontano opere di artisti diversi in un coacervo che di programmatico ha assai poco. Ne cito alcune, ne chioso una: la pittura murale di Tirelli, la croce di Eliseo Mattiacci, la Via Crucis di Mimmo Paladino; il Sacro Volto Di Cristo -peraltro mai visto; e infine, sopra tutti, il volto di Pietro Ruffo (è proprio il suo!), magnificato addirittura quale archetipo del Volto di Cristo (mai parola fu usata tanto a sproposito), sol perché di quello avrebbe la barba e i capelli (“ma ci faccia il piacere” avrebbe detto Totò). l'impianto strutturale E infine poche parole sulle strutture: si constata che, per una che mente, un'altra propone il vero; un involucro di travertino che nasconde una struttura di acciaio di non facile realizzazione -si veda la foto dell'anello a cornice della grande vetrata absidale- si confronta con la schietta struttura di “mattoncioni” [sic!]. E dire che le due strutture sono frutto della stessa mano. Diversi certo i costi e non è difficile capire che il costo del travertino allettato alla Gehry è inferiore, e di molto, al costo del sol carro ponte, per non dire della struttura intera a servizio della chiesa di Meier; che fu progettata, sperimentata, realizzata fuori opera, trasportata e infine rimontata, soltanto grazie alla perizia degli ingegneri, che inventarono un marchingegno strabiliante dotato -anche- di rara bellezza. Ci si rammarica piuttosto del fatto che il carro ponte, vero monumento alla fabbrica, sia stato demolito con tanta incomprensibile solerzia. Ci si consola di contro dell'imperizia d'oltralpe.
P. Sartogo e N.Grenon/ Chiesa Santo Volto_Roma __Courtesy Mavilio
Una conclusione e un simpatico suggerimento Una conclusione fin troppo ovvia: se la bellezza è “manifestazione del Vero nella Luce” (lo disse Mies, non il sottoscritto) si eviti di “taroccare” le foto, giacché dalla grande vetrata della chiesa del Sacro Volto, non si vedono cieli azzurri, come parrebbe da quanto visto sui rotocalchi, bensì le tovaglie e le lenzuola stese dalle massaie che risiedono nelle retrostanti palazzine; che di per sé non sarebbe un delitto se non si trattasse di Tanto Architetto. Un suggerimento, fin troppo scontato: si accontenti il Maestro di quanto Egli è in grado di fare (che è tanto) senza accorarsi del bucato altrui; e le massaie! la smettano di stendere mutande sulle opere-parrocchialimagistrali. Con tanti saluti alla “sontuosa bellezza”. UN TETTO A CAPANNA Si principia -come d'abitudine- dando i numeri. La povertà in Italia, secondo fonti ISTAT, risulta sostanzialmente stabile rispetto al 2009 (sic!): l'11,0% delle famiglie è “relativamente povero” e il 4,6% lo è in termini assoluti. La qual cosa significa ancora, secondo statistica, che su una popolazione residente al centro Italia di 11.890.000 individui, considerando gli indici nazionale suddetti, nel centro Italia risiedono 1.300.000 “relativamente poveri” e circa 550.000 poveri assoluti. Dei quali, ammontando a 2.768.415 abitanti i residenti a Roma, abbiamo circa 300.000 “relativamente poveri” e 127.000 poveri assoluti. In termini diocesani: Roma est è suddivisa in 8 prefetture di settore per totali 82 parrocchie. Assegnando a ciascuna di esse la rispettiva quota percentuale, di circa 550.000 abitanti per settore, dato possibilmente inesatto ma
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comunque significativo, ciascuna parrocchia sostiene 7400 “poveri relativi” e 3100 poveri assoluti. A chi si domandasse il perché di quel verbo sostenere accostato al titolo parrocchiale, dimostrerò come la scelta lessicale sia esatta. La bella borgata Gordiani, borgata rapidissima, come rammenta Cederna, edificata per ospitare quanti furono coattamente allontanati dall'area ove sarebbe sorta la via dell'Impero, opera dell'impresa Vaselli, fu presto dotata di chiesetta rurale, per volontà di S.Em. Rev.ma il Cardinale Vicario Francesco Marchetti Selvaggiani il 29 ottobre 1937, che qui istituì una vicecura della parrocchia dei SS. Pietro e Marcellino ad Duas Lauros, affidandola alla gestione dei sacerdoti e delle suore della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza di Verona (Opera don Calabria). La chiesa, in posizione strategica, lungo il viale dei Gordiani, fu realizzata nel 1937 su progetto di Tullio Rossi. Il primo nucleo consisteva semplicemente dell'aula, con tetto a capanna su mensole lignee annegate nei contrafforti della muratura portante in mattoni e dell'adiacente edificio delle opere parrocchiali con sagrestia, salone e servizi al piano terra e canonica al piano superiore (vedi disegni). La chiesetta era preceduta dal piccolo protiro e fin da subito, come si evince dalle tavole di progetto, fu dotata di campanile e campane a far da cerniera fra l'aula e le opere. L'impianto tipologico è del tipo basilicale, con pianta rettangolare allungata ed è totalmente spoglia di opere d'arte, salvo voler considerare il recente Padre Pio nella corte esterna e la statua della Vergine, che annualmente viene portata in processione in occasione della festa patronale. A completare il complesso furono successivamente realizzati: il teatro in adiacenza della parete absidale, l'asilo gestito dalle suore e la scuola inferiore, la scuola professionale ospitata in un capannone che ancora si erge -inutile- alle spalle della chiesa e la casa delle suore, con cappellina privata. In tale occasione, ritengo, il salone al
piano terra fu trasformato in aule per il catechismo, tramite realizzazione di semplice tramezzature a formare un corridoio con affaccio sulla corte. La chiesa fu eretta parrocchia dal Cardinale Vicario Clemente Micara il 15 luglio 1952; in tale occasione, presumibilmente, vennero realizzati il nuovo salone parrocchiale, oggi denominato salone san Pietro e la centrale termica a ridosso del vecchio teatro. L'aggiornamento liturgico, invece, è degli anni '90. Al presbiterio originario fu sostituito uno più “moderno”, secondo lo schema con altare avanzato su un bema di tre scalini, con il fonte alla sinistra fuori dal presbiterio e l'ambone sulla destra; sede e tabernacolo sono in asse con l'altare, alla faccia delle “istruzioni” correnti. Risulta sostituito il pavimento originale. L'attuale è in travertino a mattonelle 30 x 60 con bordure in rosso di Verona come il presbiterio. L'aula è stata dotata di riscaldamento a fan coils, con buona pace per la ruralità, secondo la corrente definizione di modernità, per la quale si prega al caldo e magari si dorme in strada. La feriale è ricavata in una delle vecchie aule per il catechismo al piano terra che a dirla spoglia si fa un complimento. Negli anni '70 demolita la borgata (in realtà la borgata fu definitivamente abbattuta nel maggio del 1980), i terreni dello IACP furono offerti in gestione alla parrocchia che accettò, e che successivamente cedette in gestione a una polisportiva che ad oggi ancora li gestisce. Il catechismo, originariamente ospitato in due aule di quelle ricavate al piano terra, viene ora ospitato in 20 aule ricavate nell'adiacente asilo. La parrocchia, la cui popolazione ammonta a circa 15.000 individui (con relativo carico di 1.650 “relativamente poveri” e di 700 poveri assoluti, secondo statistiche citate), gestisce: - i locali per la Caritas diocesana, che ospita regolarmente dalle 16 alle 20 persone. - un centro di ascolto, completo di consultorio medico e legale, che si occupa di approvvigionamento viveri e vestiario per i
meno abbienti. - l'asilo nido, gestito dalle suore - l'oratorio, per il gioco dei più giovani - il gruppo Scout e Lupetti di circa 60 elementi - il gruppo Educatori ACR - Azione Cattolica Roma, gestito dall'architetto Marta della Lena. La parrocchia è inoltre gemellata con un orfanotrofio in Africa, al quale -mentre scrivo queste poche righe- sta per essere spedito un container di generi di prima necessità. È prossima a un campo nomadi recentemente assurto alla cronaca nera per un incendio che lo ha privato di alcune giovani vite. Il tutto con un budget annuale stimato intorno agli 80.000 euro. Fin qui la storia, semplice come si conviene a una storia di periferia e al tempo stesso drammatica come sopra. Il tutto condito di una buona dose di numeri, statistiche e opere di buona volontà. Il commento che segue, diversamente, non è opera di istituti statistici ma è semplicemente dettato dal buon senso. Chi ha occhi per vedere, veda (e pianga lacrime amare); i ciechi o presunti tali, come sempre, si voltino altrove. Che una parrocchia di tali umili origini possa gestire un patrimonio di umana solidarietà come quello descritto, è straordinario; che lo faccia con tale modestissima dotazione annuale, tolto l'1% che va in dote al Vicariato, è addirittura miracoloso. Si dica finalmente a chi di dovere che le chiese verbosamente inutili non ci necessitano e che i cosiddetti Archistar, come diceva il mai troppo compianto Pellegrin, sono braccia distolte alla cura dell'orto. Come dice sorridendo don Isidoro, prete operaio: “architetto lo scriva: evviva le chiese piccine”. Sottoscrivo commosso. (Ringrazio personalmente don Stefano Meloni, parroco della chiesa di Santa Maria Madre della Misericordia e don Isidoro, collaboratore parrocchiale, per la cordialità e la sapienza con la quale mi accolsero ospite, in un caldo pomeriggio autunnale, fra una lezione di catechismo e un calcio al pallone coi ragazzi dell'oratorio).
Tullio Rossi/ Chiesa di Maria Misericordia __Courtesy Mavilio
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“Nel Segno della Croce” Mario Botta Architetto
Kasimir Malevich Black Cross,1915
© Enrico Cano__Courtesy Studio Botta THEMA I BOTTA I 34
Una nuova chiesa di periferia, pensata per essere l'occasione di dare un apporto qualitativo alla città. Un progettista di fama e un Vescovo che è anche un prolifico teologo: ne nasce un dialogo profondo, che porta a definire e migliorare il progetto. Perché una chiesa nuova non è mai figlia di una sola mano, ma nasce dalla collaborazione di più persone: il risultato finale riflette dalla qualità del dialogo che si instaura tra tutti coloro che della realizzazione sono responsabili.
© Enrico Cano_Courtesy Studio Botta
Nel comune di Sambuceto, prossima alla zona commerciale, tra l'aeroporto di Pescara e l'autostrada adriatica, la nuova chiesa, il cui progetto è stato affidato a Mario Botta, è chiamata a segnare un nuovo centro della fede. L'architetto, in dialogo col Vescovo di Chieti, S.E. Mons. Bruno Forte l'ha immaginata coperta da una grande croce vetrata, inclinata verso il sagrato. Un segno antico per una nuova periferia. Ne parla il progettista.
Il rapporto col committente è fondamentale per la buona riuscita del progetto: se questo è sempre vero, noto che lo è in modo particolare per la chiesa di Sambuceto, voluta dal Vescovo, Mons. Bruno Forte. Non lo conoscevo, se non per i suoi scritti, prima di incontrarlo quando mi chiamò per il progetto della nuova chiesa. Mi impressionò subito per la sua volontà chiara di tenere alti gli obiettivi. Mi disse parole di questo tenore: “desidero ribaltare le condizioni di marginalità della zona, con un'immagine forte, chiara, decisa, che esprima alte ambizioni”. Ecco, questa volontà di fare dell'architettura uno strumento di elevazione dell'intorno urbano e della società, è spesso assente nelle opere di carattere pubblico civile, dove le condizioni politiche portano molte volte ad abbattere il valore metaforico e culturale dei progetti. Quando ho presentato a Bruno Forte una prima bozza di progetto mi ha chiesto di concepire un segno più netto ed evidente: gli sembrava troppo debole. Così mi sono reso conto di aver sbagliato, avevo sottovalutato le potenzialità della presenza della chiesa nel paese. Abbiamo elaborato assieme l'idea della grande croce, che è espressione forte quasi quanto quella presente nella pittura di Malevich. Un altro tema sul quale abbiamo intrattenuto un dialogo fruttuoso è quello delle absidi. Ne proposi tre di identiche dimensioni. Mons.
Forte mi disse: “no, quella al centro dev'essere più grande, per evidenziare il significato liturgico dell'altare sul quale fa perno tutta l'architettura”. Gli chiesi quindi se non ritenesse opportuno rivestire di colore la parete che dalla croce scende nell'abside centrale, e lui subito propose: “potrebbe essere rossa”. Mi spiegò il senso teologico e liturgico di quella scelta difficile, perché un colore così intenso e imponente deve essere ben ponderato. Non è facile trovare un committente che abbia idee chiare e che si assuma le proprie responsabilità in modo preciso; mentre lascia a me, architetto, un autonomo spazio espressivo. Pur avendo le idee molto chiare, anzi, proprio perché ha le idee molto chiare, Bruno Forte non dà indicazioni vincolanti, ma lascia una totale libertà interpretativa quanto a spazio, luce, ecc., mentre interviene sulla congruenza liturgica e teologica delle soluzioni. Una committenza come quella rappresentata da Mons. Forte si trova solo all'interno della Chiesa, quando si incontrano personalità forti che si prendono le proprie responsabilità. Nelle committenze pubbliche, invece, ci si trova di solito di fronte a una fuga dalle responsabilità, che porta anche a dibattiti senza fine. Penso per esempio alla discussione per la pensilina dell'uscita dagli Uffizi di Firenze: un problema che si trascina da anni e per giunta su un non-tema. Si potrebbe capire se si trattasse dell'ingresso, ma l'uscita... Invece la chiesa è un tema architettonico che mantiene la propria assoluta centralità. Paradossalmente, in questa società secolarizzata è il tema che permette di interpretare al meglio una cultura millenaria alla luce della sensibilità contemporanea. Non a caso il tema chiesa emerge con singolare evidenza nel contesto delle opere di
tutti i grandi autori della contemporaneità che vi si sono cimentati: da Chagall a Le Corbusier. Nella chiesa si può manifestare la poesia dell'architettura: il rapporto tra finito e infinito, il luogo dove la persona incontra l'essere. Tutto il resto tende a svilire nella prosaicità. Il problema non sta solo sul fronte clericale, ma in generale nella cultura del moderno: come concepire l'architettura dopo Picasso, dopo Ronchamp? L'architettura della chiesa è sempre figlia del proprio tempo. Non credo abbia senso pensare a progettisti specializzati sul tema “chiesa”; forse l'unico esempio in tal senso è quello di Rudolf Schwarz, ma si tratta di un'eccezione, sorta anche grazie al sodalizio con Guardini. Un buon architetto dev'essere in grado di affrontare, con la stessa qualità, architetture civili e religiose. Il punto è che il committente ecclesiastico deve saper esprimere i propri valori. Carlo Scarpa ha progettato spazi ecclesiali, anche se era lontanissimo da una sensibilità religiosa. La chiesa di Sambuceto ha un particolare significato di carattere religioso e civile. Un po' come una nuova torre civica, segna un luogo di riferimento per l'aggregato urbano – Sambuceto è un borgo di San Giovanni Teatino. In una zona che si presenta col volto della periferia, la chiesa si pone come luogo centrale, essa costituisce il centro in quanto luogo di incontro di carattere metafisico e allo stesso tempo civile. Questa è la forza dell'architettura quando sa essere significativa: e grazie alla sua presenza, quello che era uno spazio di periferia può diventare città.
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Parrocchie e periferie nel dopoguerra Laboratori di Architettura per le cittadelle cristiane Andrea Longhi
Per una storia sociale delle chiese del Novecento Paradossalmente, proprio per il periodo che dovrebbe essere più ricco di fonti documentarie e di testimonianze, restano solitamente ignorati i quesiti storiografici sottesi all'architettura per la liturgia di ogni epoca: chi sceglie il linguaggio architettonico da adottare per la chiesa? qual è il ruolo teologico del committente nell'impostare il lavoro del progettista? quale comprensione dell'architettura e del suo significato hanno i fedeli che frequentano l'edificio e partecipano ai riti che vi si svolgono? quali sono gli attori in gioco attorno al progetto e al cantiere della chiesa, soprattutto in uno scenario complesso di conflittualità politica e sociale? qual è l'estensione quantitativa dei fenomeni e la loro pervasività, anche nei contesti ordinari e periferici? qual è il rapporto tra i (pochi) "monumenti" e la prassi edilizia ecclesiastica nelle borgate di nuova urbanizzazione? In sintesi, sono ancora rari gli studi che prendono in considerazione fonti documentarie specifiche per lo studio del valore sociale dell'architettura di chiese, del suo ruolo nel condizionare la vita quotidiana e l'autopercezione ecclesiologica delle comunità; come pure sono rare le analisi sistematiche su interi territori diocesani, o su specifiche committenze, fondate su fonti ecclesiastiche seriali. Si rende quindi necessario un approccio interdisciplinare, attento alle dimensioni teologica, pastorale, sociale e istituzionale delle chiese, anche quelle dei contesti più ordinari, considerando non solo le fonti consuete per l'analisi degli edifici (documenti di progetto), ma soprattutto le tracce relative alla percezione sociale dell'edificio nei carteggi tra committenti e progettisti, nei bollettini parrocchiali e associativi, nella letteratura religiosa e
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teologica, nei diari e nelle biografie, nelle vicende politiche locali, nei resoconti giornalistici e televisivi, nelle citazioni cinematografiche o letterarie. Esaminate sotto tali molteplici chiavi di lettura, le architetture delle chiese possono diventare, a loro volta, una nuova "fonte" per la storia della Chiesa, un "documento" che può apportare contributi originali alla storia delle istituzioni ecclesiastiche e della religiosità. Tale proposta di metodo è stata applicata – in modo forse ancora sperimentale e preliminare, e comunque episodico – al rapporto tra cultura architettonica e vita ecclesiale negli anni della Ricostruzione del Concilio Vaticano II, ricerca sviluppata da chi scrive e da Carlo Tosco, recentemente edita da Studium. A partire da tale indagine, saranno qui brevemente evidenziati alcuni passaggi e casi studio relativi al tema proposto dalla rivista, ossia il rapporto tra le chiese e le periferie urbane. Chiese parrocchiali, interclassista
presidio
Il punto di partenza dell'osservazione è costituito da alcune elaborazioni progettuali sviluppate nelle periferie di Roma nei primi anni C i n q u a n t a , a c ava l l o d e l l e e l e z i o n i amministrative del 1952 (quelle della cosiddetta "operazione Sturzo") e delle elezioni politiche del 1953 (in cui la DC non arriva ad ottenere il premio di maggioranza). Focalizziamo l'attenzione su due cantieri: San Leone Magno (1951-1952), nel popoloso e denso rione del Prenestino, e Gesù Agonizzante a Vitinia (1955), chiesa parrocchiale sorta in una borgata non pianificata e a bassa densità, costruita sotto il patrocinio di Luigi Gedda, protagonista assoluto sia della vita ecclesiale a s s o c i a t i va , s i a d e l l a m o b i l i t a z i o n e anticomunista.
L'architettura delle chiese italiane del Novecento è un fenomeno quantitativamente rilevante, la cui interpretazione storiografica tuttavia si avvale di categorie critiche ancora circoscritte e deboli. Se si considera che la Pontificia Commissione Centrale per l'Arte Sacra in Italia ha esaminato nel primo decennio del Dopoguerra più di 5000 progetti, per superare i 10.000 a metà degli anni Ottanta, è evidente che la conoscenza di tale immenso patrimonio architettonico è ancora parziale – limitata alle opere dei "maestri" o all'attività degli episcopati più noti – e superficiale.
San Leone Magno è la "parrocchia completa" offerta dall'Unione Uomini di Azione Cattolica al papa Pio XII per celebrare il proprio trentennale. L'epica campagna di autofinanziamento associativo viene lanciata nel 1947, mentre il cantiere si compie in pochi mesi tra il 1951 e il 1952, quando Gedda è passato dalla presidenza degli Uomini alla Presidenza generale dell'Azione Cattolica, affiancato dall'Assistente centrale mons. Fiorenzo Angelini, che diventerà figura perno della Curia romana. La scelta di fondo è la pastorale "interclassista", fondata sulla miscela sociale che necessariamente si verifica in ogni parrocchia (per quanto periferica sia) e non sulle attività di "ambiente" (operai, rurali, studenti ecc.): la chiesa parrocchiale modello deve essere una struttura "completa", dotata di ogni attrezzatura educativa e sociale, in grado di favorire la riconciliazione tra le classi sociali attorno ai temi religiosi, evitando quindi la divisione e lo scontro di classe. E' esplicita la scelta di intendere la parrocchia come "cittadella cristiana" contro il proselitismo comunista nelle periferie di Roma, città del Papa, proponendo tale soluzione anche alle altre periferie industriali italiane. In sintesi, si propone di ricostruire, dopo la tragedia bellica e le lacerazioni politiche, una ritrovata situazione di "cristianità", in cui la funzione di educazione e di direzione morale e politica della società torni ad essere assunta dalla Chiesa, nelle sue articolazioni parrocchiali territorializzate, unica autorità in grado di assicurare coesione religiosa e civile. Se questo è il paradigma sotteso al progetto, quali forme vengono scelte? Nel caso di San Leone, la soluzione adottata e di tipo neopaleocristiano. Il giovane Giuseppe Zander, allievo di Gustavo Giovannoni, regala al pontefice un progetto che rielabora il modello basilicale paleocristiano, completo di colonne,
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rivestimenti marmorei e mosaici, ma modificato in favore di una spazialità unitaria, inclusiva (foto 1). Zander stesso ricorda che «il rispetto per la struttura basilicale, attuato senza alcuna obiezione in c.a. [cemento armato] dall'architetto, devesi alla circostanza che era stata lasciata trapelare l'intenzione, che si attribuiva ad ambiente molto vicino al Santo Padre, di gradire una basilica»; inoltre papa Pacelli, durante la benedizione della prima pietra aveva esaminato personalmente il progetto «degnandosi di esprimere parole di compiacimento» (foto. 2), a differenza di quanto farà pochi mesi dopo con il progetto offerto dalla Gioventù di Azione Cattolica, irrimediabilmente stroncato proprio dal diniego assoluto del pontefice. Anche il mosaico absidale richiama il parallelismo con le sorti del cristianesimo nell'antica Roma: l'artista Jànos Hainal (non a caso, un esule ungherese) è chiamato a raffigurare Leone I mentre ferma l'avanzata degli Unni provenienti dall'est, ambientando la scena alle porte di Roma e istituendo un'analogia esplicita con l'azione di Pio XII nel fermare l'avanzata della barbarie del comunismo in Italia e nella "Città Santa". L'epigrafe dettata da Gedda sottolinea il ruolo di «praesidium ecclesiae et patriae» assunto dall'Azione Cattolica in tale parrocchia, per rimarcare il proprio impegno anticomunista a fronte della linea di mediazione della DC di De Gasperi, che pochi mesi prima aveva rifiutato compromessi elettorali con le destre monarchiche e fasciste, ipotesi invece sostenuta da Gedda stesso col supposto appoggio vaticano. Sull'arco trionfale della chiesa è inoltre riportata una citazione del Magistero pontificio sull'Azione Cattolica: «non solo difesa, ma conquista». E' evidente come il ruolo di presidio esercitato dalla chiesa si avvalga di un linguaggio formale
totalmente estraneo a quello della borgata del Prenestino, segnalando la propria "alterità" con un esplicito richiamo alla tradizione antica, specificamente romana, il cui codice monumentale era tuttavia comprensibile anche ai ceti più popolari (foto 3 in Album). Certamente diverso sarebbe stato l'impatto del progetto destinato al Prenestino da Ludovico Quaroni, commissionatogli dal pro-zio Cardinal Vicario nel 1947: in tal caso, primo progetto di chiesa del maestro romano, la monumentalità e la misticità dello spazio erano affidate all'ostentazione di telai strutturali in calcestruzzo armato, tesi a ricreare – pur nel rispetto dell'assetto liturgico post-tridentino – un clima psicologico e sentimentale adatto per una cattedrale della modernità (foto 4). Se consideriamo il panorama romano dei medesimi anni, l'edificio paradigmatico parallelo a San Leone è la chiesa di Sant'Eugenio sulla via Flaminia, progettata in forme neo-controriformiste dal conte Enrico Galeazzi, architetto dei Sacri Palazzi Apostolici e personaggio chiave del "partito romano" della curia di Pacelli (foto 5-6 ). Quali le analogie? Le due chiese sono emblemi formali speculari di un medesimo clima culturale, volto alla ricostruzione di un'identità cristiana e nazionale e di una civiltà post-bellica fondata sul cristianesimo: non si scelgono gli "stili" della christianitas medievale compiuta (che tanta fortuna aveva avuto in Europa e in Italia tra Otto e Novecento), bensì quelli di due affermazioni del cristianesimo in un quadro conflittuale: l'età paleocristiana, in cui il cristianesimo è vincitore contro il paganesimo e contro i barbari, e quella controriformista, reazione dottrinaria e persuasiva agli scismi protestanti. Arti, dunque, di regimi cristiani saldamente affermati, ma colti nel momento in cui emergono come vincitori da conflitti dilanianti.
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Neo-paleocristiano,neocontroriformista, neo-realista, neoespressionista? La cultura architettonica del movimento moderno risulta dunque estranea a tale clima? La risposta, evitando schematismi affrettati, deve essere negativa. Il medesimo committente, Luigi Gedda, due anni dopo costruisce un'altra parrocchia promossa dall'Azione Cattolica: si tratta di Gesù Agonizzante nel sobborgo romano di Vitinia, addensamento di casupole e baracche "spontanee" lungo la via del Mare (foto 7 in Album). Il tema è il medesimo: ricreare una situazione di "cristianità" esplicita al centro di borgata popolare e popolosa, ma il contesto è diverso. Lontano dal cuore dell'Urbe, l'architetto di fiducia e braccio destro di Gedda, Ildo Avetta, propone una chiesa parrocchiale che aderisce alle scelte spiccatamente moderne della Germania degli anni Venti e Trenta (foto 8) e ( Foto 9-10 in Album ). La navata è quasi una citazione letterale delle opere di Dominikus Böhm, le cui chiese espressioniste avevano avuto modesta eco nell'Italia neo-realista della Ricostruzione, in cui la prossimità del carattere di casa e chiesa stava guadagnando consensi. Ad esempio, in un contesto quale il villaggio rurale modello di La Martella a Matera, sorto per gli sfollati dei Sassi su un piano Unrra/Casas, nel 1955 lo stesso Ludovico Quaroni porta a compimento una chiesa parrocchiale nuova (San Vincenzo de' Paoli) che rende omaggio alle radici popolari e tradizionali, quasi primitive, dell'Italia meridionale (foto 11, in copertina). Agli antipodi del Paese, nel villaggio operaio modello della Falchera a Torino, Nello Renacco propone negli stessi anni una chiesa parrocchiale (San Pio X) omaggio alla pacata domesticità delle classi lavoratrici, mentre Figini e Pollini, nel quartiere Ina-Casa di Baggio a
Milano, realizzano il manifesto delle chiesecapannone industriali: la Madonna dei Poveri (foto 12 ). Il binomio Gedda-Avetta propone questa soluzione: una radicale alternativa ai modelli insediativi periurbani abusivi e degradati, mostrando la via della più risoluta modernità espressiva, razionale e monumentale al tempo stesso. Non una casa tra le case, né un capannone tra i capannoni, ma una nuova cattedrale del progresso, ben radicata tuttavia nella tradizione dottrinaria e liturgica cattolica romana. Tale opzione scompagina le carte interpretative: come può un medesimo committente, paladino dell'anticomunismo e di un certo clericalismo radicale antidemocristiano, sostenere, nei medesimi anni, una chiesa neo-paleocristiana e una espressionista? Si può essere "tradizionalisti" e "conservatori" ecclesialmente, di "destra" politicamente, e divenire invece i vettori della diffusione dell'architettura di chiese più moderna e di frontiera, anti-stilistica e antirevivalistica? Evidentemente sì: anche gli altri edifici di Gedda – al di là dal caso di San Leone – aderiscono alle forme moderne e internazionali dell'architettura. Basti pensare al "nido delle aquile" realizzato su un'altura tra i laghi d'Orta e Maggiore per la formazione spirituale degli adepti al suo movimento spirituale, la Società Operaia, ossia il Getzemani di Casale Corte Cerro (1949-1950), o all'altro Getzemani su un'altura vicino a Paestum (1955-1959). In sintesi Gedda, inteso comunemente come campione del conservatorismo, non esita a sposare le forme della modernità come strumento di comunicazione di massa, come segnale di promozione umana e spirituale sia in contesti periferici urbani privi di identità e di storia, sia in centri di spiritualità costruiti a dominare sul paesaggio naturale. Anche in altri contesi ecclesiali, ancora da
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indagare in modo sistematico, la promozione sociale dei lavoratori e delle periferie passa attraverso la scelta di forme architettoniche che si allontanano dalle opzioni stilistiche e revivalistiche, che paiono tuttavia ancora quantitativamente pervasive nel Dopoguerra. E' il caso delle ACLI (Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani), movimento finalizzato alla formazione religiosa e sociale del mondo operaio: per l'ottantesimo compleanno di papa Pacelli, nel 1956 le Acli aprono una sottoscrizione per finanziare una chiesa dedicata a Gesù Divino Operaio, titolazione che godrà di particolare fortuna nelle periferie industriali a "rischio" classista e comunista. Si tratta della chiesa di Gesù Divin Lavoratore al Portuense, realizzata su progetto di Raffaello Fagnoni, con un'ampia volta nervata che abbraccia con un unico gesto i fedeli e il celebrante (foto 13-14). Nel conflitto sociale delle periferie, che assedia le "cittadelle" parrocchiali presidio antibolscevico, ogni arma architettonica parrebbe dunque lecita nella propaganda, anche quelle della modernità e dell'avanguardia artistica. Il dialogo tra la Chiesa e l'architettura Più noti sono i casi in cui una esplicita adesione al linguaggio architettonico della modernità è effettuata da episcopati aperti al dialogo con le avanguardie artistiche e con gli intellettuali. Sono i noti casi del card. Giacomo Lercaro a Bologna (1952-1968) e del card. Giovanni Battista Montini a Milano (1954-1963), già studiati da una ampia e documentata letteratura interdisciplinare. In tali casi, la scelta a priori, quasi di principio, di un'architettura esplicitamente moderna e anti-revivalistica per le nuove e incalzanti periferie urbane pare non tanto l'adozione strumentale di un mezzo di persuasione, ma la sottolineatura di una
comunanza di sorti con la società e con l'umanità. Soffermandoci sul rapporto chiese e periferia negli anni Cinquanta, pare evidente che le prime soluzioni adottate a Bologna e Milano tentano un percorso originale di rapporto con il moderno, supportato da una specifica esigenza di ricerca ecclesiale perseguita dal Centro di studio e informazione per l'architettura sacra di Bologna e dal Centro studi di architettura per la comunità cristiana di Milano, luoghi in cui si esprime la fiducia riposta dai due vescovi in alcuni professionisti attenti sia all'aggiornamento linguistico, sia al dibattito ecclesiologico e liturgico. Nonostante il forte rilievo dell'autonoma iniziativa episcopale, la pluralità dei soggetti è un fattore di ricchezza, in questo percorso di sintesi tra architettura del moderno e architettura di chiese. Anche sul versante civile, ad esempio, le occasioni di riflessione sulla dimensione ecclesiale dell'architettura sono decisive: il concorso per la chiesa del QT8 bandito dalla VIII Triennale di Milano in collaborazione con la curia milanese (1947) viene vinto da Vico Magistretti e Mario Tedeschi con una chiesa a impianto circolare (Santa Maria Nascente a San Siro, prima chiesa consacrata da Montini nel 1955; (foto 15), mentre la mostra Architettura sacra moderna della X Triennale (1954) segna il definitivo distacco polemico dal tradizionalismo revivalistico. In ambito ecclesiale, basti pensare al ruolo assunto dall'Unione Cattolica Artisti Italiani nel concorso di Francavilla a Mare (vinto da Ludovico Quaroni nel 1948) o alle iniziative della Pro Civitate Christiana ad Assisi, dei Francescani (Angelicum) e dei Gesuiti (Centro San Fedele) a Milano. Anche in ambito associativo non mancano esperienze di dibattito sul ruolo della chiesa I THEMAFOTO13I THEMA I LONGHI I 39
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parrocchiale in contesti periferici e popolari. A Milano, un caso di straordinario interesse è costituito dall'unica chiesa realizzata dai fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni, nel 1959, in via Termopoli, nella periferia nord di Milano, finanziata dall'Unione Donne di Azione Cattolica. Il tema del complesso parrocchiale in un'area a forte densità abitativa è risolto in San Gabriele con un inserimento di tipo 'domestico' nel contesto del quartiere: le opere parrocchiali si affacciano su strada raccordandosi agli alti edifici adiacenti formando un fronte continuo, e anche la facciata della chiesa non si estranea dalla cortina continua su strada, segnalata tuttavia da un profondo spazio coperto retto da due pilastri a "Y", fuori scala rispetto ai tipi edilizi adiacenti (foto 16-17). La dialettica tra domesticità e alterità viene affrontata con padronanza dei mezzi espressivi, ma presta il fianco ad accuse di "mimetismo", che secondo i Castiglioni (e, con loro, i centri milanese e bolognese) di celare la specifica identità della chiesa secondo derive sociologiche, accuse che periodicamente – sempre più negli anni della secolarizzazione post-conciliare e fino ai giorni nostri – saranno sollevate nei confronti della ricerca architettonica sull'integrazione tra chiesa e città. Secondo una paradossale eterogenesi dei fini – da tempo segnalata anche da uno dei protagonisti di quella stagione, Glauco Gresleri – l'inatteso evento conciliare segnerà al tempo stesso l'affermazione definitiva dell'apertura alla modernità, ma anche la stasi della ricerca architettonica ecclesiale. La scelta – sovente affrettata e un po' ingenua – di soluzioni che traghettano sbrigativamente nell'architettura di chiese la vulgata del razionalismo e del funzionalismo pare assecondare quell'ottimismo che traspare dalla costituzione conciliare Gaudium et Spes, improntata al
dialogo con la modernità e a una visione positiva del progresso, ma non conduce che raramente ad approdi di qualità, sia spaziale sia c e l e b r a t i va . L a p e r c e z i o n e c o m u n e dell'architettura contemporanea di chiese non è dunque l'emozione suscitata dalle sperimentazioni di Gio Ponti, di Muzio o di Figini e Pollini, ma la noia e lo sconcerto che suscitano tante chiese seriali e anonime nelle vaste periferie industriali italiane degli anni Settanta, esito di dinamiche e discussioni che poco hanno a che fare con la liturgia o con l'arte. Chiese forse anonime, ma soprattutto orfane; o, meglio, figlie di genitori ignoti: rinnegate dai loro committenti impazienti e dai loro progettisti sbrigativi, e oggi impietosamente messe sul banco degli imputati, senza nemmeno la difesa d'ufficio della storia, e soprattutto senza una chiamata in correità dei responsabili (anche canonici) della loro costruzione. Chiese che non sono irrilevanti in quanto "povere" (costruite senza mezzi economici), ma che sono povere (di significati) in quanto prive di una riflessione culturale ed ecclesiale.
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stata lasciata trapelare l'intenzione, che si attribuiva ad ambiente molto vicino al Santo Padre, di gradire una basilica»; inoltre papa Pacelli, durante la benedizione della prima pietra aveva esaminato personalmente il progetto «degnandosi di esprimere parole di compiacimento» (foto. 2), a differenza di quanto farà pochi mesi dopo con il progetto offerto dalla Gioventù di Azione Cattolica, irrimediabilmente stroncato proprio dal diniego assoluto del pontefice. Anche il mosaico absidale richiama il parallelismo con le sorti del cristianesimo nell'antica Roma: l'artista Jànos Hainal (non a caso, un esule ungherese) è chiamato a raffigurare Leone I mentre ferma l'avanzata degli Unni provenienti dall'est, ambientando la scena alle porte di Roma e istituendo
un'analogia esplicita con l'azione di Pio XII nel fermare l'avanzata della barbarie del comunismo in Italia e nella "Città Santa". L'epigrafe dettata da Gedda sottolinea il ruolo di «praesidium ecclesiae et patriae» assunto dall'Azione Cattolica in tale parrocchia, per rimarcare il proprio impegno anticomunista a fronte della linea di mediazione della DC di De Gasperi, che pochi mesi prima aveva rifiutato compromessi elettorali con le destre monarchiche e fasciste, ipotesi invece sostenuta da Gedda stesso col supposto appoggio vaticano. Sull'arco trionfale della chiesa è inoltre riportata una citazione del Magistero pontificio sull'Azione Cattolica: «non solo difesa, ma conquista». E' evidente come il ruolo di presidio esercitato dalla chiesa si avvalga di un linguaggio formale
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Architettura e Liturgia, Figurazione del Sacro Fernando Cipriani
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ià nel primo incontro del “Laboratorio di cultura e progetto dello spazio sacro” che si tiene annualmente presso la Facoltà di Architettura di Pescara all'interno del Corso di Perfezionamento in “Architettura e Liturgia”, mi vengono poste alcune domande quali: “Come si progetta correttamente una Chiesa?”, oppure “Qual è la giusta forma per una Chiesa?” o, ancora, “Quali sono le nuove figure per la Chiesa-edificio?”. Tutte le domande sono poste intercalando al loro interno alcuni avverbi o aggettivi quali correttamente, giusta,nuove che denotano, riflettono lo stato di confusione e disorientamento degli architetti e, direi più in generale, della cultura architettonica contemporanea rispetto al tema del progetto dell'edificio-chiesa. Tale stato di smarrimento è denunciato, peraltro, anche dal fedele che, secondo un'antica prassi “viveva” la chiesa-edificio come il luogo prescelto per l'incontro con il Signore; in essa si sentiva accolto e svaniva il senso di smarrimento, tutto era “dinamicamente” rivolto verso il Santissimo Sacramento. Tale “percorso” era teso a riproporre la “storia della Salvezza” e veniva accompagnato da forme e figurazioni sacre che, nella loro chiarezza didascalica, rappresentavano la base della dottrina cattolica. Questo “percorso dinamico” era tenuto insieme da un “contenitore” capace di trasmutarsi in un “luogo simbolico” in cui ogni fedele, pur non sapendo interpretare culturalmente la spazialità architettonica dell'edificio, pervaso com'era da quel santo timore di trovarsi alla presenza di Dio, capiva benissimo dove si trovava. Tale “senso condiviso” apparteneva ad una cultura classica che faceva riferimento a schemi ed iconografie ripetute e consolidate. La rottura di tali schemi consolatori ha portato ad una frammentazione non solo della specifica cultura dell'arte, ma anche ad una più generale rottura degli “schemi di senso” sociali e collettivi (oltre
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che economici e politici). Questa frammentazione ha generato una tensione ancora irrisolta: l'arte prima moderna e poi contemporanea sembra che abbia smesso di proporre una nuova interpretazione ed e s p r e s s i o n e d e l m o n d o, c h e a b b i a scientemente smesso di fare ricerca su una nuova rappresentazione del mondo e del suo disegno, a favore di una nuova dimensione ed un nuovo spazio lontano dalle relazioni col mondo reale. Di più, spesso nell'opera viene identificato un intero, “nuovo” mondo, nello sforzo di dare senso, di dare identità ad un'opera che ne risulta priva. Il significato che l'arte associa al concetto di frammento è oggi l'esatto opposto di parte-deltutto, è piuttosto inteso come elemento-delcaos, un paradigma che ancora non ha prodotto una nuova rappresentazione del mondo, una nuova creazione. Certamente, il paradigma del frammento nella sua declinazione di dispersione ha generato nella cultura dell'arte un distacco profondo dalla tradizione soprattutto nelle sue valenze sociali e collettive. In particolare, le Avanguardie Moderniste hanno frapposto una barriera quasi invalicabile tra l'arte e la Chiesa, escludendola da ogni contesa, da ogni dibattito. I risultati di questa esclusione, nell'architettura delle città sono evidenti: gli organismi architettonici delle Chiese trovano sempre meno “spazio” nella città, fino a diventare, oggi, “servizi” secondari (non sempre previsti) a cui non viene assegnata alcuna valenza di “centralità” o di “riferimento”. Tale esclusione, nella Chiesa ha prodotto da un lato la consapevolezza della necessità di un cambiamento profondo sul piano della opportunità di adottare nuovi linguaggi capaci di comunicare nel nuovo tempo, dall'altro ad un irrigidimento “integrale” in antitesi ai cambiamenti repentini della nuova epoca, che ha generato un ricorso eccessivo alle figure del
kitch. Perché le chiese continuano ad essere costruite, anche intensamente, con alcune – eccezionali – esperienze positive che facevano riferimento da una parte a ricerche personali di architetti come Marcello Piacentini, altre che erano il prodotto di un dialogo fruttuoso tra committenza e progettista come nel caso delle opere di Rudolf Schwarz. Intanto, la Chiesa reagisce a questo più generale immobilismo, fonda riviste specialistiche e grida ad un universale rinnovamento dell'arte sacra attraverso l'abbandono della imitazione dei modelli del passato, come sostiene nel primo numero di Arte Sacra G. B. Montini, facendo appello agli artisti affinché creino forme espressive del tempo nuovo, ma stando attenti a generare creazioni frutto della relazione Bene-Bello. Come in Germania, anche in Francia ci sono fermenti nuovi che cercano fattivamente il dialogo tra Chiesa ed Architetti; in questo caso viene citata la fondamentale esperienza della rivista L'art Sacré dei Padri M.A. Couturier e P.R. Régamey i quali, sulla scorta del dialogo internazionale sul tema, pongono la questione della figura nell'arte sacra ed approfondiscono il tema dell'atto creativo dando alcuni importanti contributi definendo alcuni concetti come alterità, presenza, percezione dell'altro, spirito cosmico. Spetta al progettista saper tradurre con l'architettura la presenza intima di un Dio suggeritore, a prescindere dallo specifico linguaggio che vorrà adottare. L'appello dei padri domenicani viene raccolto da artisti come H. Matisse, che opera nella Cappella del Rosario delle suore domenicane di Vence, una delle poche opere del Novecento in cui architettura, pittura e scultura si fondono insieme in una armonica sintesi espressiva. Anche il lavoro di Le Corbousier per la cappella di pellegrinaggio a Ronchamp (1955) e per il convento di Santa Maria dei padri domenicani a La Tourette (1960) è frutto di questo dialogo tra
H. Matisse/Cappella del Rosario delle suore domenicane di Vence. Interni:1951
committenza e progettista. La Chiesa, nelle figure di padri spirituali come P. Couturier, riesce a ristabilire un proficuo contatto con il mondo dell'arte; non solo, attraverso lo strumento della rivista L'art Sacré pone le basi di un dibattito che dura fino ai nostri giorni sul tema del superamento della contrapposizione nell'arte liturgica di figurativismo e non figurativismo. Sul tema, ad esempio, Le Corbousier a Ronchamp propone un azzeramento della figura classica a favore di una composizione informale densa però di riferimenti archetipi come quello della grande copertura - che protegge anche lo spazio delle celebrazioni all'esterno nei momenti di forte affluenza dei pellegrini - o quello del grande muro che costruisce il recinto dello spazio interno. Anche in Italia vengono realizzate molte chiese nel secondo dopoguerra, tra cui si ricordano quelle progettate da L. Figini e G. Pollini, Gio Ponti, B. Morassutti, A. Mangiarotti, L. Quaroni e G. Michelucci. Di quest'ultimo si ricorda il capolavoro della Chiesa di S. Giovanni Battista sull'autostrada del sole, un'opera dalla forte e sapiente connotazione simbolica dove i riferimenti analogici nave-arca, montagnacalvario e albero-croce, oltre a quello della tenda nell'atto di essere montata-smontata (il popolo in cammino), sono diventati “modello” per l'architettura sacra fin dal momento del progetto. Ma l'Italia è il luogo in cui, attraverso il Concilio Vaticano II, la Chiesa si riapre definitivamente all'ascolto ed al sostegno degli artisti, riconoscendo le nuove tendenze artistiche anche nelle diverse declinazioni regionali ed ammettendole al culto quando capaci di “un linguaggio adeguato e conforme alle esigenze liturgiche”. In realtà, delle “nuove” esigenze liturgiche, giacché il Concilio afferma la centralità dell'assemblea attorno all'altare e la partecipazione attiva dei fedeli al rito. Questo implicherà nelle chiese esistenti la necessità di
un “adeguamento” delle figure esistenti ai dettami della riforma liturgica, nelle nuove chiese un nuovo pensiero che deve trovare nuove figure per esprimersi. L'esortazione al bisogno che l'arte sappia di nuovo commuovere lo spirito, passando attraverso la trasfigurazione dello spirito in materia attraverso un gesto originario passa da Papa Paolo VI a Giovanni Paolo II fino a Benedetto XVI. Ma le esortazioni dei Pontefici solo raramente hanno prodotto gli effetti sperati. In realtà, il gesto originario a cui i Pontefici facevano riferimento è stato spesso interpretato dai progettisti come improvvisazione tipologica; spesso, cercando nella contaminazione dei linguaggi le radici della cultura architettonica contemporanea, anche nelle chiese i riferimenti – spesso solo ideologici – hanno prodotto chiese a forma di sale espositive, di garage, di auditorium, di ipermercato, ecc. Altre volte il progettista ha associato all'edificio-chiesa una connotazione contemplativa della figura del sacro, travisando o – probabilmente - non conoscendo l'assunto propriamente “dinamico” della partecipazione dell'assemblea alla liturgia, al rito. Spesso e paradossalmente, i nuovi edifici necessitano di adeguamento ancor prima di cominciare a svolgere la loro funzione. Dove, al contrario, questo processo di riconfigurazione dell'architettura per la liturgia è meglio riuscito, è esattamente nei luoghi in cui ancora una volta il rapporto tra committente e progettista è stato determinato da un dialogo culturale profondo. Ci si riferisce, in particolare, all'esperienza bolognese coordinata dal Cardinale Giacomo Lercaro che ha conosciuto una stagione felice non più ripetuta. Tra le realizzazioni prodotte, senza fare torti alle altrettanto valide esperienze tenute dagli architetti italiani, si ricorda la chiesa di Santa Maria Assunta a Riola commissionata da Lercaro ad Alvar Aalto. Tra le chiese
commissionate da Lercaro, questa è particolarmente significativa sia sul piano espressamente figurativo e disciplinare della sua architettura, una ricca sintesi di apparati formali puri ed essenziali, ma anche sotto il profilo della disponibilità della committenza italiana ad affidare incarichi anche a progettisti di respiro internazionale. Troppo poche continuano ad essere le esperienze considerate positive sia dalla cultura architettonica sia dalla Chiesa. Con l'avvicinarsi della ricorrenza del Giubileo, si alza il livello di attenzione rispetto al tema dell'architettura per la liturgia soprattutto grazie all'iniziativa di Mons. Giancarlo Santi che organizza alcuni concorsi per nuove chiese a cavallo dell'anno giubilare del 2000. In realtà, tali concorsi hanno avuto lo scopo ben preciso di suggerire alle Diocesi un metodo più che un modello, convinti più che mai che solo un profondo dialogo e una altrettanto grande competenza e professionalità possono generare un buon risultato. Il progettista deve essere accuratamente scelto dalla committenza (il che presupporrebbe una committenza consapevole e preparata, ma spesso non è così); il progettista dovrà lavorare assieme al liturgista ed all'artista, nel rispetto delle reciproche e specialistiche competenze; il progetto dovrà essere la sintesi di un programma condiviso tra committenza ed architetto (da cui l'assunzione dell'eminente carattere ecclesiale dell'edificiochiesa); la progettazione dovrà essere completa in ogni parte, fino alla esatta e dettagliata definizione delle figurazioni sia dell'insieme sia dei singoli elementi a partire dai fuochi liturgici. L' o b i e t t i v o d i u n a q u a l i t à d i f f u s a dell'architettura sacra non sembra facilmente raggiungibile. Dato che l'architettura comincia già dalla scelta dell'architetto, a parere di chi scrive è sempre più urgente il ricorso alla formazione continua non solo dei progettisti,
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ma anche della committenza, perché la storia recente - e non solo - rivela che è solo da questo felice connubio che si ottengono buoni risultati. L'architetto progettista di nuove chiese, disciplinarmente, deve imparare a dare spazio alla liturgia, tornando ad imparare la struttura del rito; ha il compito di definire nelle periferie le nuove figure che prendono le forme dallo studio degli orientamenti dell'edificio-chiesa e di ogni singolo fuoco del rito e dal confronto di questi con la struttura della città esistente; dovrà definire la connotazione simbolica della chiesa; dovrà pensare alla sua immagine che sarà plasmata dal disegno sapiente della luce e dei materiali; dovrà imparare a figurare immagini semplici e sobrie rinunciando sia al ricorso a schemi privi di autenticità sia alla ricerca del nuovo a tutti i costi; dovrà, infine, pensare a soluzioni partecipate, durevoli, sostenibili ed accoglienti. Non esistono, quindi, figure precostituite o forme certe e consolatorie, questo è il compito dell'architetto che dovrà rinnovare ogni volta il difficile tentativo di trasfigurazione dello spirito in materia, costruendo lo spazio sacro nella città esistente, per ridare centralità al progetto dell'edificio-chiesa e, affinché sia vero che periferia comincia con “P” come Parrocchia, figurando quel segno capace di disvelare il luogo ancora inespresso in un sito.
L. Figini, G. Pollini/Chiesa SS. Giovanni Battista e Paolo, Milano (1964). Pianta e Sezione longitudinale Archivio Civico Milano – Edilizia Privata – Atti N°288941-1984 THEMA I CIPRIANI I 43
Ludovico Quaroni/Chiesa di San Franco THEMA I CIPRIANI I 45
“Il Fondo edifici di Culto” Vincenzo D’Antuono Prefetto di Pescara
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, per la prima volta non solo include il paesaggio tra i beni di interesse nazionale da preservare, ma anche afferma la necessità di valorizzare tali beni. Il Prefetto di Pescara, Dott. D'Antuono, in questo suo intervento, riferisce di alcune iniziative volte proprio alla valorizzazione di alcune chiese ubicate nel circondario del capoluogo. Edifici di proprietà non ecclesiastica ma statale e affidati alle cure del Fondo Edifici di Culto che, nell'ambito della cooperazione tra Stato e Chiesa, si è occupato di svolgere iniziative atte a valorizzare tali edifici di culto che si trovano in posizione “periferica” rispetto al baricentro urbano della Diocesi. In tal modo contribuendo a generare o consolidare nuove centralità. Perché dovunque c'è una chiesa, c'è un “centro”: un luogo di riferimento attorno al quale gravitano attenzioni, persone, desideri; un volto nel quale si riconosce l'identità di una comunità, il carattere di un luogo.
San Antonio a Città Sant’Angelo © Gino di Paolo
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l
l dialogo, lo scambio di opinioni e conoscenze, nonché un permanente dibattito teorico sui temi dell'arte e dell'architettura, soprattutto in relazione alle forme espressive più significative, come gli edifici religiosi di cui la provincia di Pescara offre esempi di notevole pregio artistico e storico. La Prefettura-UTG, da sempre sensibile ed a t t e n t a a l l a t u t e l a d e l l e va r i e g a t e manifestazioni dell'ingegno italico, tra le diverse incombenze si occupa delle Chiese e degli edifici sacri di proprietà del Fondo Edifici dei Culti (FEC) presentì sul territorio provinciale. L'istituto del FEC è una realtà peculiare, praticamente unica, nell'ambito della Pubblica Amministrazione in quanto è una significativa testimonianza delle vicende storiche e culturali del nostro Paese. Il Fondo è stato istituito, infatti, nella seconda metà dell'800, in seguito all'emanazione della cosiddetta "legislazione eversiva dell'asse ecclesiastico" che prevedeva la soppressione di alcuni ordini religiosi ed enti ecclesiastici, i cui beni furono incamerati dallo Stato. Incardinato nel Ministero dell'Interno, il FEC è un vero e proprio organo, dotato di personalità giuridica e di un apposito bilancio da cui trae le risorse per la conservazione, manutenzione, tutela e sviluppo del patrimonio affidatogli, che consiste, sull'intero territorio nazionale, in oltre 750 Chiese - alcune delle quali conservano opere dì elevato pregio artistico - importanti aree museali, un fondo librario antico ed un'area naturale. Il FEC, ai sensi della Legge 20 maggio 1985, n. 222, opera attraverso la Direzione per l'Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno che si avvale, come accennato, a livello territoriale, delle PrefettureUTG per la cura degli aspetti tecnici, amministrativi e finanziari connessi alla gestione dei propri beni.
Poiché la missione che il Legislatore ha affidato al Fondo è quella di assicurare la tutela, valorizzazione, conservazione e restauro dei beni di proprietà, ne consegue una continua attività di monitoraggio e gestione degli stessi, anche attraverso un articolato rapporto con le autorità ecclesiastiche, gli organi centrali e periferici del Ministero per i Beni e le Attività culturali, gli enti locali, nonché le associazioni, le fondazioni e perfino i privati che, in ambito locale, abbiano competenza od interessi diretti in materia. Il territorio pescarese annovera undici chiese di proprietà del FEC, di seguito elencate: -Bolognano: San Francesco d'Assisi (sotto il titolo di Santa Maria del Monte); Città Sant'Angelo: Santa Chiara e Sant'Antonio da Padova (già San Bernardino deiRiformati); Loreto Aprutino: Beata Maria Vergine del Monte Carmelo e San Francesco D'Assisi; Manoppello: San Michele Arcangelo (più nota come Santuario del Volto Santo) e Santissima Annunziata (conosciuta anche come Santa Chiara); Penne: San Domenico e San Giovanni Battista; Spoltore: San Panfilo fuori le Mura; Tocco da Casauria: Sant'Antonio da Padova. Si tratta di un patrimonio storico-artistico considerevole che non solo deve essere tutelato e conservato ma anche valorizzato, con idonee iniziative da parte dei Comuni. Ciò nonostante le difficoltà di reperimento di fondi si sono acuite maggiormente dopo il noto sisma del 2009 che ha reso precaria l'agibilità di diversi edifici sacri della provincia. Ma l'intento, pur tra tante difficoltà, resta quello di valorizzare le chiese del FEC e le opere d'arte presenti al loro interno: non a caso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'Interno, nel 2010, hanno attuato
un progetto nazionale dal titolo "Percorsi d'arte e di cultura. Il patrimonio del Fondo Edifici di Culto: dal sopralluogo all'evento". Al fine di contribuire alla migliore riuscita dell'iniziativa, la Prefettura-UTG di Pescara, svolti gli opportuni sopralluoghi, ha provveduto a redigere delle schede storico/artistiche relative agli immobili suindicati. Alla redazione di tali schede, visibili sul sito www.prefettura.it/pescara/.it si è aggiunta la realizzazione di una rassegna fotografica volta a documentare lo stato conservativo degli edifici stessi. Quest'ultimo aspetto assume particolare significato sotto il profilo dello sviluppo delle attività turistiche, in quanto può contribuire a migliorare l'attenzione sul patrimonio storico/artistico locale. Per tale motivo, ho sensibilizzato personalmente i Sindaci dei Comuni ove sono ubicati gli edifici sacri e le opere di proprietà del FEC affinché, attraverso iniziative idonee, contribuiscano, in maniera significativa, ad esaltare il proprio patrimonio culturale. Un esempio interessante di promozione del patrimonio artistico è stato attuato dal Comune di Loreto Aprutino che, nel settembre del 2010, unitamente alla Cooperativa di Progettazione e Restauro di Beni Culturali "AquiRes", ha realizzato la messa in sicurezza dei dipinti della Chiesa di S. Francesco, duramente colpita dal sisma del 2009, e organizzato il 1° meeting "Salviamo l'arte e non mettiamola da parte". Di recente, alcune di tali opere, dopo un trattamento di restauro conservativo, sono state riconsegnate alla città e collocate nella locale Chiesa di San Pietro, in attesa di essere riposizionate nell'edificio di culto di provenienza. Significative iniziative promozionali si sono verificate anche nel Comune di Penne, in occasione delle "Giornate europee del patrimonio" (settembre 2010), con la visita
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guidata alla Chiesa di San Giovanni Battista; a Manoppello, nella Basilica del Volto Santo, con una rassegna di musica sacra (dicembre 2010);a Città Sant'Angelo, con l'organizzazione di visite guidate alla Chiesa di Santa Chiara. Il bilancio complessivo delle manifestazioni può considerarsi ampiamente soddisfacente, considerato il positivo riscontro di pubblico che ha prontamente ed intelligentemente colto tali inedite occasioni di conoscenza e promozione del proprio territorio. Tuttavia, ciò non è sufficiente: iniziative come quelle citate, pur meritevoli, finiscono col perdere valore allorché assumono carattere di sporadicità ed estemporaneità, senza essere inserite in un ampio progetto organico di valorizzazione del territorio di ogni comunità locale, così da far comprendere che la Bellezza, l'Arte e la Storia sono a portata di mano, più di quanto si creda, e che occorre soltanto prendersi del tempo, rallentando la corsa spasmodica della nostra esistenza, per soffermarsi ad osservarle con più attenzione. E' vero: per veicolare tale messaggio, occorrono adeguate risorse economiche di cui gli enti locali, specialmente nell'attuale, difficile congiuntura sistemica non sempre dispongono. Ecco, allora, che pare opportuno riscoprire e rivalutare il ruolo dei privati che, novelli mecenati, possano essere stimolati a profondere le proprie energie, d'ingegno ed economiche, verso un percorso indirizzato a risvegliare l'attenzione, attraverso la meraviglia, sul nostro immenso bacino di opere d'arte, senza, nel contempo, trascurare il favorevole ritorno, anche in termini occupazionali, che può derivare da tali investimenti Ai privati dovrebbero, poi, affiancarsi le migliori risorse intellettuali e tecniche di settore (quali gli ordini professionali degli architetti e gli esperti d'arte), per contribuire a disegnare un percorso comune che possa conseguire l'obiettivo di divulgare nei diversi strati del tessuto sociale l'idea - o meglio, la consapevolezza - che ciascun territorio è un piccolo, unico scrigno di ricchezze culturali e di bellezze artistiche che attende solo di essere aperto e che il patrimonio architettonico, unitamente a quello naturale, costituisce un elemento determinante per la qualità della vita. Santa Chiara a Città Sant’Angelo © Gino di Paolo
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Santa Chiara a Città Sant’Angelo © Gino di Paolo
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ITHEMAFOTO3ISan Leone Magno al Prenestino Courtesy Andrea Longhi
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ITHEMAFOTO3ISan Leone Magno al Prenestino Courtesy Andrea Longhi
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I THEMAFOTO7 I I Borgo romano di Vitinia
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ITHEMAMAVILIOISantoVolto©Piero Sartogo e Natahlie Grenon
THEMA I TITOLORossi I 29 ITHEMAMAVILIOIChiesa Maria Madre della Misericordia_Tullio Courtesy Stefano Mavilio
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ITHEMAFUKSASISan Paolo©Moreno Maggi
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ITHEMABOTTAIChiesa di Sambuceto©Enrico Cano
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Torino/Silvana Di Stefano
Torino/Silvana Di Stefano
AUTORI Leonardo Servadio Giornalista
ARCHITETTURA
e LITURGIA
Don Antonio De Grandis Centro Studi di Architettura e Liturgia
Massimiliano Fuksas Architetto
Domenico Bagliani Docente di Composizione architettonica Politecnico di Torino
Nikos Salingaros Docente di matematica all''università del Texas in San Antonio.
CENTRO STUDI
Giuliano Gresleri Professore Straordinario di Storia dell'Architettura e dell'Urbanistica alla Facoltà di Architettura dell'Università di Bologna,
Luigi Bartolomei Ricercatore Università di Bologna,
Paolo Bedogni
Progetto e Politiche del Territorio Politecnico di Torino
Stefano Mavilio
Docente Facoltà di Architettura Valle Giulia;
MEDIA PARTNER
Mario Botta Architetto
Andrea Longhi
Docente di Storia dell'Architettura al Politecnico di Torino,
Fernando Cipriani
CHIESA OGGI
architettura e comunicazione
Facoltà di Architettura, Università di Pescara
Vincenzo D’Antuono Prefetto di Pescara hanno collaborato a questo numero: Pescara/Gino di Paolo Torino/Alberto Bracco Roma/Silvia Stella Galimberti Milano/Silvana Di Stefano
PATROCINI ISTITUZIONALI
Provincia di Pescara Presidenza del Consiglio
THEMA
Rivista di Architettura Sacra e dei Beni Culturali Ecclesiastici Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Pescara, con autorizzazione del 15/6/2011, registro di stampa 10/2011 ISSN 2384-8413 Editore Centro Studi sull’Architettura e Liturgia via della Liberazione 1, Montesilvano (Pe) Periodico Semestrale
Direttore Responsabile: Leonardo Servadio Coordinamento Redazionale Michele Giuliani Paola Renzetti Comitato Scientifico Fernando Cipriani (Coordinatore) Facoltà di Architettura, Università di Pescara” don Antonio de Grandis prof. Ludovico Micara Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino Luigi Bartolomei Università di Bologna Andrea Longhi Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino Carlos Clemente San Romàn Università di Alcalá de Henares (Spagna) Corrispondenze Roma/Silvia Stella Galimberti Milano/Silvana Di Stefano E-mail: architetturasacra.it@gmail.com Sede redazione: Pescara Stampato per il Centro Studi sull’Architettura e Liturgia a Pescara da Laser Multimedia srl in Valignani 45, dall’Ottombre 2012.
Pubblicità gestita dall’editore Credits & Copyrights Legge 22 aprile 1941, n. 633 Art. 70 1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali. [...] 3. Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore, dell'editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull'opera riprodotta.
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