Tesi Angelo Vigorelli

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INTRODUZIONE

L'attuale "[…] fase dell'evoluzione del diritto del mare […]"1 presenta una complessità ignota all'umanità delle epoche pre - moderne. Finché l'uomo considerava il mare soltanto fonte di alimentazione e via di comunicazione, esclusiva o alternativa a quella terrestre, il diritto del mare e dei fondali marini, poteva ben essere ispirato alla regola della libertà, asserita dal diritto greco in poi2, "[…] come principio assoluto […]"3; in tali condizioni non erano concretamente possibili problemi né di scarsità delle risorse,

costituite

dalle

sole

specie

commestibili,

che

per

natura

si

riproducono con rapidità sufficiente a ripianare i consumi di un'umanità arcaica, né di conflitti per l'occupazione della stessa superficie, salvo situazioni istantanee e puntuali, quali quelle del transito simultaneo di due o più navi. Le scoperte geologiche di ricchi giacimenti di combustibili fossili4 e di cospicue varietà di minerali sui fondi e nei sottofondi marini, l'interesse della nascente industria al migliore rendimento di quegli stessi combustibili rispetto al legno, le scoperte della chimica sulle particolari proprietà degli acciai legati5 e le conquiste dell'ingegneria, divenuta in grado di progettare e realizzare strutture resistenti ed abitabili dall'uomo nelle condizioni più estreme e per periodi non brevi, hanno introdotto l'interesse e la possibilità di occupare stabilmente aree di mare sempre più lontane dalla costa, e di consumarne irreversibilmente le risorse non viventi, non diversamente da quanto accadeva, fino a quel momento, soltanto sulla terraferma. Il contemporaneo diritto del mare deve continuamente affrontare il problema

del

carattere

potenzialmente

illimitato

dell'espansione

della

tecnica, della necessità di porre limiti all'utilizzo disinvolto delle nuove conoscenze, per proteggere la natura e difendere le libertà tradizionali; deve S. CARBONE et al., Istituzioni di diritto internazionale, Giappicchelli, Torino 2006, pag. 411. 2 Più precisamente, dal diritto rodiota (1500 a. C.) in poi. Liberamente tratto da R. ANAND, Origins and developments of the law of the sea, Martinus Nijhoff Publishers, L'Aia (Paesi Bassi) 1983, pag. 11 e seguenti. 3 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 410. 4 Ovvero gli idrocarburi, sommariamente distinti in petrolio, carbone, gas naturale. 5 Ovvero costituiti anche da elementi diversi dal semplice ferro e carbonio, quali il manganese. 1 1


dunque occuparsi della definizione giuridica di nuovi diritti, doveri, situazioni di fatto, e delle regole per la risoluzione dei nuovi conflitti. Il primo capitolo di questo lavoro tende a sottolineare come, già nelle posizioni di Grozio, proprio il venir meno della certezza dell'illimitata ed universale disponibilità del mare, e della sua inattitudine ad essere occupato e consumato, segni il primo passaggio cruciale tra diritto antico e moderno, ed imponga la ricerca di fondamenti giuridici nuovi, a sostegno delle nuove forme di occupazione stabile, o il recupero di quelli vecchi,

a difesa delle

tradizionali libertà. Si è proseguito con riflessioni che vertono su questioni fondamentali assai più recenti, quali: a) un nuovo utilizzo ed un nuovo significato del termine sovranità, in origine riferibile soltanto alle terre emerse ed alle acque interne, ed oggi esteso anche a spazi marini ben più lontani dalla terraferma, quali le Zone Economiche Esclusive, a questa legate geograficamente in modo piuttosto labile, ma economicamente e politicamente abbastanza intenso; b) un certo risalto alle diverse caratteristiche naturali del mare e dei relativi fondali, dalle quali il diritto che ne regola le nuove forme di utilizzo non sembra poter prescindere; c) problemi di interferenza reciproca, regolati soprattutto dalla giurisprudenza, tra gli istituti della piattaforma continentale e della Zona Economica Esclusiva. Questi ultimi, in particolare, sono stati approfonditi sia in ragione dei rapporti geografici e politici tra più Stati, come potrebbe accadere nel Mar Mediterraneo intorno a Cipro, sia in ragione del particolare contenuto di alcuni accordi, quale quello oggi esistente tra Australia ed Indonesia. Si è poi osservato che la diffusione universale delle tecniche avanzate di sfruttamento aumenta le ragioni di conflitto tra Stati; sono infatti numerose le controversie di delimitazione, che sorgono forse anche in assenza di veri e propri interessi ad eseguire operazioni di sfruttamento. Si sono poi volute tratteggiare alcune ipotesi di quali possibilità di sfruttamento offre oggi il diritto internazionale per le risorse dell'Antartide e del Mar Glaciale Artico. Nel secondo capitolo sono state studiate le potenzialità e le debolezze di diversi precetti del diritto internazionale generale nel fondare obblighi di difesa dell'integrità del mare connessi all'esercizio di attività di sfruttamento. 2


Nelle conclusioni si cercherà di sostenere come l'attuale assetto del diritto internazionale generale potrebbe ormai superare l'originaria insufficienza dei singoli precetti autonomamente considerati, nel fondare un obbligo primario di non inquinare di ampio significato, almeno nell'individuazione dell'oggetto dell'illecito. Delle norme inserite nella Convenzione di Montego Bay, tutte variamente

ascrivibili

al

diritto

internazionale

generale,

si

è

voluta

sottolineare la natura di norme aperte ad altre fonti, alcune delle quali pongono definizioni tecniche meritevoli di approfondimento. Si è voluta richiamare la nozione di scarico di sostanze oleose e della relativa disciplina, originariamente

posta

dalla

Convenzione

per

la

prevenzione

dell'inquinamento del mare da sostanze oleose, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 12 maggio 1954, poi sviluppatasi nella Convenzione per la lotta all'inquinamento del mare da navi, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 2 novembre

1973,

applicabile

a

molti

tipi

di

piattaforme,

almeno

di

perforazione, e si sono cercati di evidenziare alcuni problemi di applicabilità alle piattaforme di regole concepite per le navi. Si sono poi affrontate questioni di diritto comunitario, relativi sia ai rapporti internazionali della Comunità Europea, sia ai rapporti tra diritto comunitario ed ordinamenti interni. Al riguardo si è voluto evidenziare che non può essere esclusa una tendenza al ribasso causata dall'armonizzazione delle norme di difesa dell'ambiente marino; altrove si è voluto ricordare che gli Stati sono tenuti a consentire l'operatività di imprese che presentino un collegamento con almeno uno Stato membro, con tutte le possibili ripercussioni sulle questioni di diritto internazionale privato. Nel terzo capitolo, riscontrata una certa comunanza di operazioni tecniche tra l'attività di coltivazione dei minerali, e quella di ricerca ed estrazione degli idrocarburi (si pensi alla ricerca preliminare dei giacimenti mediante onde acustiche), se ne sono voluti studiare i più noti effetti secondari chimici e fisici, senza dimenticarne le peculiarità. Il rilievo dato all'attività di coltivazione di minerali pare abbia permesso un'esposizione più esauriente di alcuni problemi comuni alle stesse attività sugli idrocarburi. Si sono poi volute affrontare tre questioni di non sicura soluzione, quali l'assimilazione delle piattaforme, almeno di perforazione, alla nozione di nave 3


posta dalle norme interne ed internazionali, la necessità della rimozione dei relitti, la compresenza di più strutture fisse e dei relativi accessori sulla stessa area di piattaforma continentale. Sulla prima si è ritenuto che, sia la non uniformità delle nozioni nazionali

ed

internazionali

di

nave,

sia

l'insuperabile

presenza

del

frazionamento, non consentono una qualificazione certa, stabile ed uniforme, e da ciò produce riflessi anche importanti sulla disciplina, e soprattutto sul contenuto, della responsabilità dei privati, e dei limiti e dei presupposti sui quali essa si può fondare. Per la seconda questione si è voluto insistere sulle ragioni dell'attuale incertezza del quadro giuridico, soprattutto tenendo conto del fatto che alcune norme della Convenzione di Montego Bay possono non aver ancora raggiunto un sufficiente sviluppo progressivo, e delle diverse possibili interpretazioni, passibili di sensibili evoluzioni, anche in virtù della possibile entrata in vigore della Convenzione di Nairobi del 24 maggio 2007 sulla rimozione dei relitti in mare. La terza questione sembra aver trovato soluzione in un classico orientamento del diritto internazionale, quello dell'armonizzazione tra modi di esercizio di diritti paritari in conflitto. Trattando nel quarto capitolo della responsabilità, dopo una disamina sulle definizioni e sugli orientamenti del diritto internazionale sviluppatisi nel tempo, si è voluto indagare se esistono altre forme di perseguibilità degli Stati e dei privati, indipendenti dall'avvenuta violazione di un obbligo primario. Si è comunque riscontrata una generale pluralità di obblighi secondari, che presentano difficoltà di ricostruzione di contenuto gravante sia sugli Stati, sia sui privati. In particolare, si è visto che la responsabilità per danni derivanti dalle attività connesse all'estrazione degli idrocarburi dai sottofondi marini non è oggetto di una convenzione internazionale uniforme. La ricostruzione della disciplina della responsabilità pone anche problemi di coordinamento con le attività che i singoli diritti interni qualificano come minerarie o estrattive, per le quali è almeno ipotizzabile un sistema di regole di responsabilità diverso e speciale, rispetto anche alle

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attività generalmente qualificate come pericolose e, all'opposto di ciò che accade per le navi, assai severo (così accade almeno in Italia). Si è voluto concludere studiando le regole poste per la risoluzione delle controversie, e si è riscontrata l'esistenza di un orientamento ancora oggi basato sulla bipartizione tra giurisdizione internazionale, riservata agli Stati, e giurisdizioni nazionali, riservata ai privati. È rimasta incerta la questione se l'arbitrato, pure previsto con favore, debba essere inteso come accessibile anche ai privati, in assenza di un'espressa previsione normativa.

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CAPITOLO I

L’ATTUALE 1.

REGIME GIURIDICO DEL MARE E DEI FONDI MARINI

Mare e fondi marini dopo la Convenzione di Montego Bay: res

nullius o res communes omnium? Un primo sguardo d'insieme sul diritto internazionale contemporaneo pone subito in seria crisi la tradizionale idea di mare, fondali ed abissi marini come spazi liberi, infiniti, inesplorabili, e custodi di ricchezze inaccessibili. Ciò che invece emerge oggi è la particolare soggezione di tali ambienti ad un regime giuridico non perfettamente assimilabile a quello che normalmente intercorre tra cose e soggetti nel diritto internazionale. Si vuole partire dal concetto di sovranità interna dello Stato, il soggetto di diritto internazionale più rilevante e risalente nel tempo. Essa riunisce in sé i tre elementi costitutivi necessari degli Stati, tra i quali il territorio6, e si manifesta in una serie di diritti e di poteri di natura originaria, di

ampiezza

tendenzialmente

illimitata

e

di

estensione

uniforme,

eventualmente comprimibile soltanto per valida manifestazione di volontà dello stesso Stato; la sovranità si presenta anzi come una sintesi di elementi costitutivi e di poteri tra il Governo, il popolo ed il territorio, così intensa e rilevante erga omnes, da escludere che si possa estinguere per uno o più atti volontari del soggetto titolare, senza contemporanea estinzione dello Stato medesimo. Una simile pienezza, uniformità e necessità dei rapporti tra lo Stato ed il mare non può essere rinvenuta nel diritto internazionale vigente. Lo studio del diritto del mare deve muovere dal Preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, aperta alla firma a Montego Bay (Giamaica) il 10 dicembre 1982, che costituisce “[…] il quadro giuridico nel quale devono essere intraprese tutte le attività che interessano i mari e gli oceani […]”; e della quale si sottolineano “[…] l’universalità, il carattere unitario, la sua importanza capitale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, nonché per l’utilizzazione duratura dei mari

Convenzione sui diritti e doveri degli Stati, firmata a Montevideo (Uruguay) il 26 dicembre 1933, art. 1: "The State as a person of international law should possess […] a defined territory […]"; tratto da http://www.yale.edu/laweb/avalon/intdip/. 6 6


e degli oceani […]”7. Si legge poi che “Les États parties à la Convention” sono “[…] animés du désir de régler […] tous les problèmes concernant le droit de la mer […]”8, e che la soluzione di questi implica l'adozione “[…] d’une Convention nouvelle […]”9. Pare evidente che in un tale quadro normativo il rapporto tra gli Stati ed il mare sia ben più variegato, e sensibile a mutazioni di origine convenzionale, di quanto sia un rapporto di sovranità nel suo significato classico. Ancora, tale Preambolo suggerisce che “[…] la codification et le développement renforcement

progressif de

la

du

paix

droit […]”10,

de

la mer

ed

[…]

indirizza

contribueront il

lettore

au

verso

un’interpretazione11 finalistica della disciplina del diritto del mare, la cui necessità si fonda sullo scopo superiore del rafforzamento della pace tra le nazioni, in piena sintonia con l’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite 12. Una tale interpretazione è certamente cosa diversa dalla descrizione dottrinale degli effetti prodotti da un fatto giuridico, eventualmente ricondotti entro una norma di diritto internazionale generale, come accade appunto per la sovranità. È pur vero che nel testo la Convenzione parla talvolta di sovranità tout court degli Stati sul mare13, sia pure con determinate limitazioni14, ma risulta peculiare, e comunque diverso dal concetto di sovranità, classico e proprio Risoluzione 56/12 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 28 novembre 2001, tratto da S. CARBONE et al., Istituzioni di diritto internazionale, terza edizione, Giappicchelli, Torino 2006, pag. 412. 8 Preambolo alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, fatta a Montego Bay (Giamaica) il 10 dicembre 1982; tratto da T. TREVES, La Convenzione delle nazioni unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, Giuffré, Milano 1983, pag. 80. In tutto questo lavoro si è scelto di lavorare sul testo francese, in quanto lingua foneticamente e strutturalmente più prossima a quella italiana; la lingua francese peraltro, a norma dell’art. 320 della stessa Convenzione, fa “[…] également foi […]” insieme a quella inglese, araba, cinese, spagnola e russa. 9 Ibid. 10 Ibid. 11 Il Preambolo fa parte del contesto generale del trattato, alla luce del quale quest'ultimo deve essere interpretato (art. 31. 2 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati; tratto da A. MARESCA, Il diritto dei trattati, La Convenzione codificatrice di Vienna del 23 maggio 1969, Giuffré Editore, Milano 1971, pag. 784, anche infra, nota 297). 12 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 313. 13 Art. 2. 1: "La souveraineté de l’État côtier s’étend […]”; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 84. 14 Art. 2. 3: "La souveraineté […] s’exerce dans le conditions prévues par les dispositions de la Convention […]“; ibid. 7 7


dei poteri statuali sulle terre emerse, il fatto che questa sovranità sia regolata da norme addirittura permissive15. Pare interessante indagare se vi siano differenze naturalistiche, essenziali o di sistema tra il territorio ed il mare, che impongano tale diversità di regime giuridico, qualunque ne sia la fonte, consuetudinaria o pattizia. In primo luogo, si osserva che, a differenza del territorio, uno spazio marino sul quale esercitare un dominio non è affatto elemento costitutivo necessario di uno Stato. Ne è prova, oltre al tenore letterale della già citata Convenzione di Montevideo, anche l’imponente numero di Stati che non hanno alcuno sbocco sul mare, la cui natura statuale è evidentemente indiscutibile. In secondo luogo, si osserva che il regime giuridico del mare è, in parte non trascurabile, accessorio e dipendente da quello del territorio (una per tutte, l'art. 516), mentre non risulta esistere alcuna norma che faccia dipendere la disciplina del territorio da quella del mare. In terzo luogo si anticipa che l'intensità dei poteri sovrani dello Stato sul mare risulta variare in modo inverso alla distanza dalla terraferma; su questa, una simile correlazione fra intensità dei poteri e distanze non è nemmeno ipotizzabile. In quarto luogo, si anticipa anche che la disciplina dei fondali marini non coincide ed è in prima analisi autonoma17 da quella del mare ad essi sovrastante; più precisamente, essi sembrano legati intimamente più al territorio che al mare che li sovrasta, quasi a sottolineare che lo stato fisico (solido per il fondale, liquido per il mare) sia in definitiva più caratterizzante e giuridicamente rilevante di quanto possa esserlo la distanza dalla costa.

Ad esempio, l'art. 21. 1: "L'État côtier peut adopter, en conformité avec […] les autres règles du droit international, des lois et règlements relatifs au passage inoffensif dans sa mer territoriale, qui peuvent porter sur les questions suivantes: a) sécurité de la navigation et régulation du trafic maritime; b) protection des équipements et systèmes d'aide à la navigation et des autres équipements ou installations; […]; f) prévention des infractions aux lois et règlements de l'État côtier et prévention, réduction et maîtrise de la pollution; […]"; ibid., pag. 94. 16 Art. 5: "[…], la ligne de base normale à partir de la quelle est mesurée la largeur de la mer territoriale est la lasse de basse mer le long de la côte“; ibid., pag. 84. 17 Così COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Receuil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, Affaire du plateau continental (Jamahiriya Arabe Libyenne/Malte), paragrafo 34. Più ampiamente infra, pag. 23. 8 15


Tale prima parte dell’esposizione consente alcuni sviluppi concettuali, di conseguenze pratiche che risulteranno evidenti nei capitoli successivi. Da sempre il tipo e la misura dei poteri esercitati o esercitabili su una cosa sono stati criteri discriminanti sui quali si fonda la classificazione delle cose. Ciò è vero innanzitutto per il diritto romano, che individua tra le cose non passibili di diritti esclusivi una categoria speciale, quella delle res communes omnium. Sempre il diritto romano individua, questa volta tra le cose passibili di esercizio di un dominium, la categoria delle res nullius, cioè di quelle cose sulle quali ancora non è intervenuto, ma potrebbe validamente intervenire, un acquisto a titolo originario di un diritto o di un potere opponibile erga omnes18. L'importanza di una tale sistemazione concettuale nel diritto del mare si sviluppa poderosamente nel pensiero di Grozio, chiamato a difendere le tradizionali libertà di utilizzo del mare dalle prime minacce di volontà di occupazione esclusiva. Egli ritiene che la differenza di disciplina tra le res nullius e le res communes omnium si fondi sulle diverse caratteristiche naturali e funzionali19. Più precisamente, sarebbero res nullius le cose che, presentandosi in natura in consistenza infinita o indefinita, possono e devono essere isolate, identificate, ripartite o racchiuse, in una parola occupate, affinché si compia l'unico atto possibile di acquisto della proprietà, che è un atto di consumo20; res nullius è, ad esempio, l’acqua sorgiva, dei fiumi o dei laghi21. D’altra parte, l'occupabilità viene assunta come tratto necessario, ma non come sufficiente, all'inquadramento di una cosa nella categoria delle res nullius, in quanto tali sarebbero soltanto le cose per le quali è altresì lecita e possibile anche almeno una forma di godimento individuale ed esclusivo, e

G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, Sintesi, Giappicchelli, Torino 1998, pag. 290. Per un'ipotesi di res nullius, infra, pag. 45. 19 "[…] Ad eam vero, quae nunc est, dominorum distinctionem […], ventum videtur, initium eius mostrante natura […]"; tratto da H. GROTIUS, Mare liberum, Caput V, Mare ad Indos aut ius eo navigandi non esse proprium Lusitanorum titolo occupationis, a cura di F. Izzo, Liguori, Napoli 2007, pag. 55. 20 "[…] Cum enim res sint nonnullae, quarum usus in abusu consistit, aut quia conversae in substantiam utentis nullum postea usum admittunt, aut quia utendo fiunt ad usum deteriores, in rebus prioris generis, ut cibo et potu, proprietas statim quaedam ab usu non seiuncta emicuit […]"; ibid. 21 A. POST, Deepsea mining and the law of the sea, Martinus Nijhoff Publishers, L'Aia (Paesi Bassi) 1983, pag. 91. 9 18


sempre che, a diverso titolo naturalmente, non siano riconducibili o da ricondursi ad un generico bene privato. In termini simmetrici, secondo Grozio, perché una res sia da ritenersi communis omnium, è sufficiente che essa sia destinata, per inattitudine al consumo o per qualsiasi altra ragione, a rimanere nel potenziale godimento di tutti. Devono in particolare essere ritenuti res communes omnium i mari e gli oceani nel loro complesso22, non soltanto perché nessun limite materiale o geografico terrestre può essere assunto come bacino di contenimento o di ripartizione materiale di questi23, ma anche perché manifestano una loro naturale, intrinseca indisponibilità ad un qualsiasi utilizzo esclusivo. Stabilire se una cosa appartiene alla categoria delle res communes omnium è operazione cognitiva che appartiene, secondo Grozio, ancora alla sfera del diritto naturale, oggetto di rivelazione divina; è dunque opera del teologo, e non del giurista, distinguere concretamente le cose in res nullius e res communes omnium. Sempre secondo Grozio, il teologo non può nemmeno, peraltro, attingere alla propria fede per modificare la disciplina della classificazione dei beni che venne stabilita al momento della creazione, e, conseguentemente, a trasferirli dall'una all'altra categoria; per corroborare questa tesi, rinvia al pensiero scolastico di Tommaso d'Aquino24. Men che meno una costante pratica degli Stati (diuturnitas), sorretta dalla convinzione di aver esercitato un legittimo potere o un diritto (opinio iuris)25, può determinare l'uscita di alcune aree di mare dal regime delle res communes omnium, che come tali dovranno continuare ad essere trattate anche dopo un'eventuale uscita dal disinteresse generale e l'affermazione di determinate rivendicazioni.

"[…] Huius generis est Aer, duplici ratione, tum quia occupari non potest, tum quia usum promiscuum hominibus debet. Et eisdem de causis comune est omnium Maris Elementum […]"; tratto da H. GROTIUS cit., pag. 58. 23 "[…] Non de mari interiore hic agimus, quod terris undique infusum […]"; ibid., pag. 65. 24 "[…] Fides autem, ut recte inquit Thomas non tollit ius naturale aut humanum ex quo dominia profeta sunt […]"; ibid., Caput II, Lusitanos nullum habere ius dominii in eos Indos ad quos Batavi navigant titulo inventionis, pag. 47. 25 "[…] Si vero ante alios navigasse, et viam quodammodo aperuisse, hoc vocant occupare, quid esse potest magis ridiculum? […]"; ibid., caput V, pag. 66 ÷ 67. Grozio si riferisce a determinate rotte di navigazione fino a quel momento solcate soltanto dai Portoghesi. 10 22


Secondo chi scrive, Grozio pare intuire che il rischio di trasferimento di una determinata cosa da una categoria all’altra possa avvenire per una precisa

disposizione

accadimento

del

giuridica

fatto,

a

che

recepisca

quell'epoca

supinamente

ancora

non

il

troppo

semplice vistoso,

dell’espansione tendenzialmente continua dei mezzi umani di dominio della natura; si tratta di questione che pare davvero centrale, e soprattutto attuale, ogni volta che sia data una nuova scoperta o una nuova invenzione che introduca nuove possibilità di sfruttamento mediante un'occupazione esclusiva. Non può sfuggire all’attenzione dello studioso contemporaneo che il fondamento

divino

posto

alla

base

della

dottrina

di

Grozio

sulla

classificazione delle cose non è più accettabile oggi, dopo che il pensiero illuminista ha rotto ogni legame tra il soprannaturale e la scienza giuridica. Tuttavia le stesse teorie potrebbero ben appoggiare su fondamenti diversi e pienamente riconosciuti come validi. L'indisponibilità delle norme di diritto naturale potrebbe ben essere sostituita dall'indisponibilità propria delle norme imperative del diritto internazionale generale, ma norme di tale natura mancano per questi scopi, così che gli Stati, che dopo circa quattro secoli si trovano ancora a dover affrontare le questioni trattate da Grozio, per stabilire a quale regime ricondurre una zona marina o del sottofondo marino, ripiegano verso la ricerca di norme di diritto internazionale generale, caratterizzate da maggiore stabilità ed universalità di quelle pattizie, ma pur sempre più vulnerabili di quelle imperative. Il dibattito che ha preceduto la stipula della Convenzione di Montego Bay è stato avviato di fatto nel 1967 con il proclama di Arvid Pardo26, plenipotenziario maltese alle Nazioni Unite, il quale, in un'ottica di difesa preventiva delle libertà dei fondi marini ancora indenni da attività di sfruttamento esclusivo, ottenne prima una risoluzione dell’Assemblea, che per la prima volta ne affermò la natura di “[…] common heritage of mankind […]”, poi una proclamazione solenne di uguale contenuto, riportata nella risoluzione 2749 (XXV). Tale proclama genererà con fatica una norma di diritto internazionale generale, che oggi qualifica i fondi ed i sottofondi marini B. SHINGLETON, U. N. C. L. O. S. III and the struggle for law: the elusive customary law of seabed mining, in Ocean Development and International Law Journal, 13, I, 48. 11 26


della cosiddetta Zona “[…] patrimoine commun de l'humanité”27, categoria la più prossima a quella di res communis omnium di antica memoria. Del resto, la via del proclama per l’affermazione di una norma di diritto internazionale generale non era affatto nuova nel diritto internazionale del mare. Ancorché preceduto da qualche tentativo di origine pattizia per la risoluzione di controversie specifiche (ci si riferisce al Trattato per il Golfo di Paria tra la Gran

Bretagna

ed il Venezuela),

l'opposto

principio

di

affermazione della sovranità degli Stati sulla piattaforma continentale e sulle sue risorse nacque nel 1945 con il proclama Truman, presidente statunitense in carica, così come anche riconosciuto dalla Corte internazionale di Giustizia28, i cui fondamenti dottrinali, che consideravano res nullius fondi e sottofondi marini, erano pienamente idonei ad estendere su questi gli stessi poteri sovrani fino a quel momento esercitati sulle terre emerse. In definitiva, la categoria della common heritage of mankind voluta da Arvid Pardo si presenta come naturale arma di contrasto a quella della res nullius, che taluno continuava a sostenere per estendere anche ben oltre il limite della piattaforma continentale gli stessi poteri sovrani29. La

diatriba

comprendeva

in

un'interpretazione

parzialmente

innovativa del concetto di occupabilità. I sostenitori della teoria della res communis omnium fecero proprio l'orientamento dottrinale di Grozio, così come evolutosi, fin dall'inizio del ventesimo secolo, verso un'assimilazione del concetto di occupabilità di una risorsa a quello di economicità, che nella scienza economica contemporanea si associa sempre alla sua scarsità, ovvero alla sua limitata disponibilità in relazione ad una generica, astratta e potenziale domanda. La scarsità sarebbe dunque sinonimo di esclusione di un bene da qualsiasi possibilità di godimento plurimo, reiterato, paritario e non distruttivo, cosa che, quando per qualsiasi ragione non sia tollerabile, imporrebbe il regime della res communis omnium.

Art. 136; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 178. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 424. Ci si riferisce a COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Receuil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, Affaire du plateau continental de la Mer du Nord (Allemagne Féderale c. Danemark; Allemagne Féderale c. Pays Bas), Arrêt du 20 février 1969, par. 47. Più estesamente infra, pag. 22. 29 Ad esempio, nell'art. 2 della bozza di Convenzione per l'Alto Mare poi firmata a Ginevra nel 1958; tratto da B. SHINGLETON cit., pag. 45. 12 27 28


A favore della teoria opposta influente è stata la carenza, nella dottrina anglosassone, della definizione di quali usi fossero consentiti sulle res communes omnium, ed in particolare se queste potessero tollerare, contrariamente a quanto sosteneva Grozio, atti di consumo, purché rivolti alla soddisfazione di un interesse generale30. Oggi il regime dei fondi e dei sottofondi marini appare come il frutto di una sintesi di tutte le opposte posizioni. Seguendo un criterio di delimitazione spaziale molto netto, sulla parte di fondi e sottofondi marini più prossimi alla terraferma, che rientrino nella nozione di piattaforma continentale, la Convenzione di Montego Bay31 riconosce ampi diritti sovrani agli Stati, seppure con particolari delimitazioni32; mentre oltre questo limite, sulla cosiddetta Zona33, vige una disciplina delle res communes omnium, che tollera atti di consumo nell'interesse rigorosamente collettivo. Per il mare sovrastante la disciplina della Convenzione di Montego Bay è strutturata in modo molto diverso. Essa si astiene dal fornire una classificazione giuridica unitaria del mare, per il quale, anzi, si deve intendere pienamente operante il rinvio operato dall'inciso "[…] les questions qui ne sont pas réglementées par la Convention continueront d'être régies par les règles et principes du droit international général […]"34; preferisce indicare una fitta serie di precetti, ostativi o permissivi, diretti allo stato costiero o allo straniero, scrupolosamente sistemati secondo il criterio di suddivisione del mare in zone; impostazione, questa, che non consente di individuare nemmeno una disciplina unitaria dell'intero mare, ma che sicuramente esclude quella pienezza originaria dei poteri sovrani che invece avvicina non poco il regime della piattaforma continentale a quello dei territori emersi.

Già nel 1923 si ebbero i primi orientamenti a favore di una riconduzione dei fondali marini alle res nullius, quando ancora le possibilità di occupazione erano meramente teoriche. Così, in sintesi, B. SHINGLETON cit., pag. 38, 41. 31 Art. 77. 1: "L'État côtier exerce des droits souverains sur le plateau continental aux fins de son exploration et de l'exploitation de ses ressources naturelles […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 144. 32 Una per tutte, art. 79. 1: "Tous les États ont le droit de poser des câbles […]"; ibid., pag. 146. Per uno sviluppo di tale argomento, infra, pag. 120. 33 Art. 136: "La Zone et ses ressources sont le patrimoine commun de l'humanité"; art. 137. 1: "Aucun État ne peut revendiquer ou exercer de souveraineté ou de droit souverains sur une partie quelconque de la Zone ou de ses ressources […]", ibid., pag. 179 ÷ 180. 34 T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 80. 13 30


L'unico tratto generale e comune della disciplina del mare nel suo complesso sembra essere quello di una generale attenuazione dei poteri dello Stato costiero al crescere della distanza dalla linea di base. Ciò è senz'altro in sintonia con il regime giuridico dell'Alto Mare, che si compone di una serie di libertà per tutti gli Stati di compiere atti non distruttivi, né esclusivi 35, proprie di una classica res communis omnium. L'esame delle norme dedicate alla Zona Economica Esclusiva consente intanto di ipotizzare la comparsa di figure giuridiche estranee alla tradizionale e secca dicotomia tra res nullius e res communes omnium. Si consideri l'art. 72. 136, dedicato ai prodotti spontanei, ed apparentemente ispirato ad un'idea di indisponibilità dei diritti di sfruttamento delle risorse ittiche. In prima analisi una simile disciplina suggerisce l'idea, non rinvenuta nel pensiero di Grozio, che gli atti di consumo possano limitarsi a fondare diritti non superiori alla soglia del mero godimento, anziché determinare per occupazione l'acquisto della piena proprietà della cosa, e dunque la risorsa sulla quale si compiono non possa qualificarsi a pieno titolo come res nullius. Si osserva inoltre che tale impossibilità non permette comunque di considerare le risorse ittiche res communes omnium nel senso classico, e forse nemmeno in quello riveduto dalla dottrina anglosassone; l'atto di consumo alimentare che si compie su questa non è certo diretto alla soddisfazione di interessi soltanto collettivi. Aspetto forse ancora più originale è che l'indisponibilità dei diritti sulle risorse ittiche è lungi dall'essere assoluta, essendo in parte rimessa alla volontà degli Stati. Poiché la norma si chiude con l'inciso "[…] sauf si les États concernés en conviennent autrement […]", sembra che per effetto di un patto, anche regionale, il diritto di mero godimento sopra menzionato possa acquisire una pienezza finora vista soltanto a proposito del diritto di

Art. 87. 1: "La haute mer est ouverte à tous les États, qu'ils soient côtiers ou sans littoral. […] Elle comporte notamment pour les États, qu'ils soient côtiers ou sans littoral: a) la liberté de navigation; b) la liberté de survol; c) la liberté de poser des câbles […]; d) la liberté de construire des îles artificielles […], sous réserve de la partie VI ; e) la liberté de la pêche […]; f) la liberté de la recherche scientifique […]"; ibid., pag. 150. 36 Art. 72. 1: "Les droits d'exploitations des ressources biologiques prévues aux articles 69 et 70 ne peuvent être transférés […] ni par voie de bail ou de licence, ni par la création d'entreprise conjointes, ni en vertu d'aucun autre arrangement ayant pour effet un tel transfert […]"; ibid., pag. 138. 14 35


proprietà, e che la disciplina dei prodotti del mare possa ritornare ad essere perfettamente assimilabile a quella di una classica res nullius. Per gli scopi di questo lavoro non si vuole approfondire la disciplina applicabile alle risorse ittiche, che si presenta distinta da quella del mare e dei suoi fondali; ma il breve accenno fatto pare sufficiente ad indicare che il diritto internazionale oggi ammette che il regime giuridico di un bene possa avere origine dalla volontà dei soggetti che ne dispongono, anche al di fuori delle tradizionali categorie e dicotomie. La natura dei poteri esercitati sulla Zona Economica Esclusiva37 comunque ne esclude l'assimilabilità ad una classica res communis omnium, in quanto sarebbe non poco stridente l'idea che un soggetto individuale possa esercitare su una res communis omnium una sovranità, per quanto attenuata e di nuova configurazione, dato che una tale res, per definizione, tollera soltanto atti non sovrani disposti da soggetti collettivi. Poiché alla sovranità conseguono non soltanto poteri, ma anche doveri verso i terzi, ed alla violazione di doveri conseguono responsabilità, nella sovranità deve essere rinvenuto un fondamento (non certo l'unico, ma uno dei possibili, e certamente non trascurabile) della responsabilità per danni agli altri Stati, nell'esercizio di attività di godimento del mare nel senso più ampio del termine38. Non solo, ma al carattere tendenzialmente generale ed assoluto dei poteri dovrebbe corrispondere una simile generalità ed assolutezza dei doveri di neminem laedere, così primari in materia di diritto dell'ambiente; una carenza di tali requisiti di generalità ed assolutezza dei poteri sovrani, che in questo lavoro si riterrà ormai obsoleta, condurrebbe fatalmente ad un miserevole ripiego dei doveri degli Stati che esplorano il mare, i fondali marini e le relative risorse a quanto espressamente rinvenibile nel diritto internazionale generale o nelle norme pattizie.

Art. 56. 1: "[…] l'État côtier a: a) des droits souverain aux fins […] de gestion des ressources naturelles, biologiques ou non biologiques, des eaux sur jacentes aux fonds marins […], ainsi qu'en ce qui concerne d'autres activités […] telles que la production d'energie à partir de l'eau, des courants et des vents […]"; ibid., pag. 120. 38 Così anche I. CARACCIOLO, La responsabilità internazionale dello Stato per l'inquinamento dovuto all'esplorazione ed allo sfruttamento dei fondali marini, in Il diritto marittimo, 1991, 2, pag. 623. 15 37


2.

La suddivisione in zone del mare e dei fondi marini Si è già accennato che la disciplina alla quale sono assoggettati il mare

ed i fondali marini è strutturata sulla base di una suddivisione in zone. L'art. 1. 1 recita: "Aux fins de la Convention: 1) on entend par "Zone" les fonds marins et leur sous – sol au – delà des limites de la juridiction nationale […]". In lingua francese39, coerentemente con gli altri sistemi di civil law, tale termine ha prevalentemente il significato di potere di dirimere controversie, però la stessa lingua tollera anche il significato, mutuato dalla dottrina di common law40, di sintesi dei poteri sovrani. Poiché nella corrispondente versione inglese la Convenzione utilizza il termine jurisdiction, sembra ragionevole accogliere il secondo significato del termine. Pertanto i fondi marini ed il corrispondente sottosuolo posti tra la terraferma ed il limite in art. 1. 1 devono essere considerati soggetti alla sovranità statale. Anche prima che venisse a compimento la Convenzione di Montego Bay, la giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia non ha avuto alcun dubbio al riguardo, ed ha insistito sui caratteri originari di tale sovranità. Nel caso Affaire du plateau continental de la Mer du Nord, la Corte Internazionale di Giustizia asseriva che i diritti di sfruttamento della piattaforma continentale "[…] existent ipso facto et ab initio en vertu de la souveraineté de l'État sur ce territoire et par une extension de cette souveraineté […]. Il y a un droit hinérent. Point n'est besoin pour l'exercer de suivre un processus juridique particulier ni d'accomplir des actes juridiques spéciaux. Son existence […] ne suppose aucun acte constitutif. Qui plus est, ce droit est indépendant de son exercice effectif"41. Ancora, si ritiene che lo stato fisico, solido, della piattaforma continentale sia rilevante, in quanto ne rende possibile la soggezione ad un dominio di natura originaria simile a quello esercitato sulle terre emerse, e la

G. TORTORA, Dizionario giuridico italiano - francese e vv., Giuffré, Milano 1994, pag. 613 ÷ 614; ASSOCIATION HENRI CAPITANT, Vocabulaire juridique, Troisième édition, revue et augmentée Presses universitaires de France, Parigi (Francia) 1987, pag. 459. 40 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 204. 41 COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Recueuil des Affaire du plateau continental de la Mer du Nord (Allemagne Fédérale/ Danemark; Allemagne Fédérale/Pays Bas) 16 39


delimitazione fondata su criteri naturali, quali la continuità con le terre emerse. Essa sembra essere infatti posta al centro di tutto l'art. 76, sia nei paragrafi dedicati ai criteri generali, sia in quelli dove introduce misure correttive al criterio generale del "[…] rebord externe de la marge continentale […]"42 ed ispirate a criteri generalmente equitativi, che da un lato assicurano un'estensione soddisfacente della piattaforma anche agli Stati costieri dotati di una falesia molto ripida (è il caso del Cile 43), e dall'altro fanno sì che quelli, la cui falesia ha pendenza troppo modesta, non possano beneficiare di una piattaforma troppo estesa, ancorché altri criteri, fondati sullo

spessore

delle

rocce

sedimentarie,

o

della

scarpata44,

lo

consentirebbero45. Diversa è invece l'impostazione del regime giuridico del mare sovrastante. Ancorché cosa liquida, priva di confini, non occupabile, il mare tollera da tempi antichi limitate forme di occupazione, che non ne pregiudichino il regime di sostanziale e prevalente libertà46. L'art. 5 della Convenzione di Montego Bay47 traccia il limite della linea di base adottando criteri prettamente geografici, derogabili per ragioni geografiche, storico – politiche o equitative. All'interno di questo le acque marine sono da ritenersi interne (dunque, si ritiene, sottratte ad ogni T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 142. B. CONFORTI, Diritto internazionale, Editoriale Scientifica s. r. l., Napoli 2006, pag. 248. 44 (segue da nota 76) "[…] 4. a) Aux fins de la Convention, l'État côtier définit le rebord externe de la marge continentale, lorsque celle – ci s'étend au – delà de 200 milles marins des lignes de base […] par référence aux points fixes extrêmes où l'épaisseur des roches sédimentaires est égale au centième au moins de la distance entre le point considéré et le pied du talus continental; ou ii) une ligne tracée […] par référence à des points fixes situés à 60 milles marins au plus du pied du talus continental. b) Sauf preuve du contraire, le pied du talus continental coïncide avec la rupture de pente la plus marquée à la base du talus […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 142. 45 (segue da nota 76, 44, 77) "[…] 6. […], la limite extérieure du plateau continental ne dépasse pas une ligne tracée à 350 milles marins des lignes de base […]. 7. L'État côtier fixe la limite extérieure de son plateau continental […] en reliant par des droites d'une longueur n'excédant pas 60 milles marins […]; ibid., pag. 144. 46 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 410. Un esempio di tali potestà, riconosciute ai privati ma rilevanti per il diritto delle genti, è ricordato da Grozio, a proposito dell'assegnazione degli accessi marittimi (προθυρα) ai privati, da parte dell'imperatore bizantino Leone. Liberamente tratto da H. GROTIUS cit. 47 Supra, nota 16. 17 42 43


disciplina internazionale48), e su queste la sovranità deve ritenersi piena, non dissimile da quella esercitata sul suolo e sul sottosuolo. Oltre la linea di base il mare è suddiviso in zone, sulle quali la sovranità, al crescere della distanza dalla predetta linea, riduce la propria pienezza, forse anche l'originarietà e l'esclusività, che sono invece certe sul territorio e sulle acque interne. Sul mare territoriale, zona che si estende dalla linea di base fino ad una distanza liberamente fissata dallo Stato costiero nei limiti del diritto internazionale, lo Stato esercita ancora un insieme di poteri molto ampi, entro limiti di diritto internazionale generale49. La "souveraineté" dello Stato è qui regolata già da norme permissive, quali l'art. 21. 1 50, peraltro descrittive di poteri assai ampi ed in un numero considerevole di materie, tra le quali il contrasto all'inquinamento, delineate in modo capace di attrarre un numero davvero elevato di questioni. Inoltre il significato letterale del testo ("[…] peuvent porter […]") suggerisce, corroborato anche dal parallelo testo inglese ("[…] in respect of all or any of the following […]"), che anche quando ricorra una soltanto delle ipotesi in elenco divengano esercitabili i relativi poteri sovrani51. Tale norma interessa soprattutto le piattaforme straniere semoventi o mobili, purché assimilabili alle navi, che vogliano godere del diritto di passaggio inoffensivo. In primo luogo, per i poteri in art. 21. 1, è certo che lo Stato costiero potrebbe regolare anche il passaggio delle predette piattaforme in modo ampio e libero, purché non ingiustamente vessatorio 52, anche dopo che il Art. 8. 1: "[…], les eaux situées en deçà de la ligne de base de la mer territoriale font partie des eaux intérieures de l'État"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 86 49 Art. 17: "Sous réserve de la Convention, les navires de tous les États […] jouissent du droit de passage inoffensif dans la mer territoriale"; ibid., pag. 92). L'opinio iuris e la diuturnitas sul diritto di passaggio inoffensivo sono assai risalenti nel tempo; la stessa opera di Grozio, più volte citata, è tutta tesa a dimostrarne la sussistenza in qualunque parte dell'Oceano, nonostante ogni bolla pontificia di contenuto opposto. 50 Supra, nota 15. 51 Significato letterale del testo e ricerca di un unico significato per testi redatti in più lingue ufficiali, tutte ugualmente facenti fede (art. 320, vedi anche supra, nota 10) sono regole generali d'interpretazione dei trattati desunte dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, aperta alla firma il 22 maggio 1969 (art. 10 e 31. 1); cfr. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 95. 52 Art. 24: "L'État côtier ne doit pas entraver le passage inoffensif des navires étrangers dans la mer territoriale […], l'État côtier ne doit pas: a) imposer aux navires étrangers des obligations ayant pour effet d'empêcher ou de restreindre 18 48


passaggio sia stato accettato. Esso "[…] doit être continu et rapide […]"53, e per l'art. 22. 1 "L'État côtier peut […] exiger des navires étrangers […] qu'ils empruntent les voies de circulation désignée par lui et respectent les dispositifs de séparation du trafic prescrits par lui […]54". In secondo luogo, lo Stato costiero può anche55 impedire ed ostacolare con ogni mezzo lecito qualsiasi passaggio anche soltanto potenzialmente offensivo per l'ambiente, purché tale offensività sia reale o almeno fondatamente sospetta56; può inoltre contenerne e ripararne le conseguenze dannose. Di portata identica paiono le norme dettate per gli Stati che si affacciano sugli stretti e per gli stati arcipelagici. Le differenze testuali57, ove vi siano, non sembrano concedere spazio ad ipotesi di una diversa disciplina; l'art. 52. 1 richiama espressamente la sezione58 dedicata al passaggio inoffensivo nel mare territoriale, e l'art. 53 sembra essere strutturato più sulle peculiarità geografiche degli arcipelaghi che su una diversa disciplina. Sul mare territoriale, sugli stretti e sugli arcipelaghi i poteri degli Stati costieri non sono dunque minori di quelli propri di una piena sovranità; le predette norme permissive si limitano a subordinare l'esercizio di alcuni di

l'exercice du droit de passage inoffensif […]; b) exercer de discrimination de droit ou de fait contre les navires d'un État déterminé […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 98. 53 Art. 18. 2 della Convenzione di Montego Bay, tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 92. 54 T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 96. 55 Art. 25. 1: "L'État côtier peut prendre, dans sa mer territoriale, les mesures nécessaires pour empêcher tout passage qui n'est pas inoffensif"; ibid. 56 La locuzione doppiamente negativa, presente nel testo "… n'est pas inoffensif…" sembra essere più forte della corrispondente "… est offensif…". 57 Art. 34. 1: "Le régime du passage par les détroits servants à la navigation internationale […] qu'établit la présente partie n'affecte […] l'exercice, par les États riverains, de leur souveraineté […], les fonds marins et leur sous – sol […]"; art. 41. 2: "Ces États peuvent […] désigner de nouvelles voies de circulation ou prescrire de nouveaux dispositifs de séparation du trafic […]"; art. 42. 1: "Les États riverains d'un détroit peuvent adopter des lois et règlements relatifs au passage par le détroit portant sur: a) la sécurité de la navigation et la régulation du trafic maritime […]; b) la prévention, la réduction et la maîtrise de la pollution, en donnant effet à la réglementation internationale applicable visant le rejet dans le détroit d'hydrocarbures, de résidus d'hydrocarbures et d'autres substances nocives; […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 96 ÷ 110. 58 Art. 58. 1: "Sous réserve de l'art. 53 […], les navires de tous les États jouissent dans les eaux archipélagiques du droit de passage inoffensif défini à la section 3 de la partie II"; ibid., pag. 116. 19


questi al verificarsi di determinati presupposti, o al compimento di una valutazione di interessi non perfettamente libera. Tali condizioni all'esercizio del potere sono tuttavia diverse dal semplice dovere inderogabile di comportarsi in buona fede, o da quello di neminem laedere59. Questi due, infatti, attengono all'essenza delle relazioni internazionali,

mentre

le

citate

norme

permissive

hanno

l'effetto

di

relativizzare in parte poteri altrove assoluti. Manca tuttavia una restrizione, data da un legame stretto tra poteri, scopi ed effetti che possono essere perseguiti. Ciò accade invece per la disciplina della più esterna zona contigua, istituita per consentire una soddisfacente attività di polizia in un elenco chiuso e ristretto di materie. Tra queste, interessante per il possibile nesso con l'integrità dell'ambiente marino, spicca quella sanitaria. L'art. 3360 legittima l'esercizio dei poteri degli Stati sulla base della natura delle norme violate, anziché delle conseguenze della minacciata violazione. I poteri autoritari degli Stati qui contemplati sono compressi sia in ordine al tipo di attività, che non può superare la soglia del controllo e della conseguente repressione, sia in ordine alla natura dei presupposti che ne legittimano l'esercizio. Una tale frammentazione male si sarebbe accordata con qualsiasi significato, ancorché lato, del termine sovranità, che infatti la Convenzione evita di utilizzare. Più complessa è la questione della sovranità nella Zona Economica Esclusiva, nemmeno accennata dalla regola generale in art. 5561, ma comunque ipotizzabile sulla base del successivo art. 5662. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 454. Art. 33: "[…] l'État côtier peut exercer le contrôle nécessaire en vue de: a) prévenir les infractions à ses lois et règlements […] sanitaires […]; b) réprimer les infractions à ces mêmes lois et règlements […]".della Convenzione di Montego Bay; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 102. 61 Art. 55: "La zone économique exclusive est […] soumise au régime juridique particulier établi par la présente partie, en vertu duquel les droits et la jurisdiction de l'État côtier […] sont gouvernés par les dispositions pertinentes de la Convention"; ibid., pag. 120. 62 Art. 56. 1: "[…] l'État côtier a: […] a) droit souverains au fins d'exploration et d'exploitation […] des eaux surjacentes aux fonds marin, des fonds marins et de leur sous – sol, […]; b) juridiction […] en ce qui concerne: i) la mise en place et l'utilisation d'îles artificielles, d'installation et d'ouvrages; […] iii) la protection et la préservation du milieu marin […]. Les droits relatifs aux fonds marins et à leur sous – sol énoncés dans le présent article s'exercent conformément à la partie VI"; ibid., pag. 122. 20 59 60


Esso attribuisce "[…] poteri sovrani di natura economica in ordine all'esplorazione ed allo sfruttamento […]", quindi, si potrebbe forse dire, delimitati per materia e per scopo, e frutto di un "[…] difficile compromesso […]" che costituisce un "[…] riconoscimento delle pretese avanzate dagli Stati costieri oceanici, di esercitare diritti sovrani di natura economica sulle acque adiacenti […]63". Sviluppando il ragionamento, si può sostenere che: a) i citati poteri sovrani di sfruttamento preesistevano alla Convenzione, escludendone un'origine volontaria ed orientandosi verso una natura originaria; b) gli Stati costieri hanno accettato delimitazioni anche importanti della loro sovranità su questa zona; c) non è sicuro se anche tali delimitazioni abbiano natura parimenti originaria, e la Convenzione di Montego Bay ne rappresenti la semplice definizione esplicita, fino a quel momento mancante per mancanza di concrete operazioni di sfruttamento, o se, all'opposto, trovino nella Convenzione la loro origine, ed abbiano dunque natura volontaria. Ora, il concetto stesso di sovranità tollera molto meglio che ogni limitazione

ad

essa

apportata

derivi

da

impegni

volontari,

su

esso

ininfluenti64; ma la natura del mare, spazio tradizionalmente governato da un principio di libertà molto estesa, tollera molto meglio l'ipotesi opposta65. Della jurisdiction in art. 56. 1, lett. b66 interessa soprattutto il potere esclusivo di dettare norme sia generali ed astratte, sia individuali e concrete (quindi, anche i provvedimenti amministrativi) alle quali sono soggette le attività indicate (pare in modo tassativo) ai successivi punti i, ii e iii67. Tale jurisdiction sembra connotata da un ricco contenuto di doverosità, anche per la presenza dell'inciso "[…] conforment aux dispositions pertinentes de la S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 428; secondo R. DUPUY et D. VIGNES, Traité du nouveau droit de la mer, Économica, Parigi (Francia), 1985, "[…] l'État riverain exerce […] non pas la souveraineté dans sa plénitude, mais certains droits déterminés, énumérés […]". 64 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 7 65 Supra, pag. 15. Ancora durante i lavori preparatori alla Convenzione di Montego Bay, la Commissione per il Diritto Internazionale considerava "[…] to be of decisive importance, namely, the safeguarding of the principle of the full freedom of the superjacent sea"; tratto da CENTER FOR OCEAN LAW AND POLICY, United Nations Convention on the Law of the sea, A commentary, Martinus Nijhorf Publishers, Dordrecht (Paesi Bassi), 1993, 2, pag. 541. Ritiene ormai in crisi il tradizionale concetto di libertà dei mari B. CONFORTI cit., pag. 252. 66 Supra, nota 62. 67 Questa volta l'attenzione cade soprattutto sulla necessità di un rilascio e sul contenuto delle autorizzazioni amministrative all'esercizio delle attività estrattive. 21 63


Convention […]", che serve ad affermare nel caso specifico che la creazione di diritto interno non deve mai creare turbamento nell'ordine internazionale, pena la configurazione di un illecito internazionale, e di una responsabilità68. È comunque certo che la disciplina della Zona Economica Esclusiva si compone di un elenco di diritti accompagnati da un folto elenco di relativi doveri, variamente sparsi negli articoli da 60 a 74. Di tali diritti viene sottolineata la natura esclusiva69, ma di tale esclusività manca una definizione esplicita, come quella invece offerta dall'art. 77. 2 per i diritti sulla piattaforma continentale previsti dall'art. 7670. Nell'art. 60, espressamente riservato alle isole artificiali ed alle installazioni, si può comunque rilevare la speciale natura di "[…] droit exclusif […]"71 ad esercitare determinate attività, ed una certa inestricabile connessione con una serie di doveri tipici. Ora, poiché della sovranità unitariamente intesa, come dei diritti esclusivi e dei poteri di jurisdiction che la esprimono, è indiscussa l'opponibilità erga omnes, diventa piuttosto difficile sostenere che i doveri, così intimamente correlati, non siano anch'essi caratterizzati da una simile opponibilità, anche perché il diritto internazionale non rifiuta affatto, seppure per altre ragioni, la figura delle obbligazioni rivolte erga omnes. Tale impostazione sembra poter aprire la porta verso una portata severa degli obblighi di non inquinare il mare. Nell'attività di posa e conduzione di un'isola artificiale o di una piattaforma, lo Stato costiero dovrebbe osservare e far osservare le regole di condotta prescritte dall'art. 60, o impedire eventi pregiudizievoli o dannosi a prescindere da previsioni

Ogni inosservanza di un obbligo internazionale nell'esercizio di attività statali produce illecito e responsabilità. Cfr. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 275 ÷ 276. 69 In particolare, l'art. 60. 1: "Dans la zone économique exclusive, l'État côtier a le droit exclusif de procéder à la construction et d'autoriser et réglementer la construction, l'exploitation et l'utilisation: a) d'îles artificielles; b) d'installations et d'ouvrages affectés au fins prévues à l'article 56 ou a d'autres fins économiques; c) d'installations et d'ouvrages pouvant entraver l'exercice des droits de l'État côtier dans la zone"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 124. 70 (segue da nota 31): "2. […] en sens que si l'État côtier n'explore pas le plateau continental […], nul ne peut entreprendre de telles activités sans son consentement exprès"; ibid., pag. 144. 71 Supra, nota 37. 22 68


sull'area di mare o di terraferma sulla quale si manifesteranno, o sulla gravità dei danni che potrebbero conseguirne72. Un'idea di intensa doverosità su aree marine lontane non è nemmeno in contrasto con un concetto di sovranità come complesso unitario di poteri e di

doveri

opponibili

erga

omnes,

i

primi

dei

quali

decrescono,

correlativamente alla crescita dei secondi, in funzione della necessità di mantenere sul mare una libertà ed un godimento crescenti, al crescere della distanza dalle coste73. Sembra insomma lecito concludere che ancora oggi la libertà promani dal mare, che della relativa disciplina dovrebbe essere assunta a principio cardine, prevalente, e dotato della forza di modellare il contenuto del suo contraltare, la sovranità, che promana invece dal suo opposto, il territorio.

3.

La piattaforma continentale e la zona economica esclusiva nella

Convenzione di Montego Bay Le norme dettate per la delimitazione della Zona Economica Esclusiva e della piattaforma continentale meritano un esame comparato, soprattutto per studiare i possibili riflessi delle evoluzioni dell'una su quelle dell'altra. La norma che fissa il limite esterno della Zona Economica Esclusiva adotta unicamente il criterio della distanza di duecento miglia marine74; tale criterio è generale, e tollera deroghe per ragioni naturali, o ispirate all'armonia della coesistenza tra gli Stati. La norma non prevede che una Zona Economica Esclusiva possa estendersi oltre le duecento miglia marine, ma nulla vieta che essa abbia distanza inferiore. Diversamente,

le

norme

per

la

delimitazione

della

piattaforma

continentale non escludono il superamento del limite delle duecento miglia, e soprattutto constano di una combinazione di più criteri strettamente naturali, Basti pensare che un obbligo erga omnes sussiste anche verso Stati che non hanno sbocco sul mare. Per un accenno teorico sulla distinzione tra Stato offeso e Stato legittimato ad agire, infra, pag. 128. 73 Per un confronto succinto con le libertà proprie dell'Alto Mare, supra, pag. 14, testo e nota 35. 74 Art. 57: "La zone économique exclusive ne s'étend pas au – delà de 200 milles marins des lignes de base […]; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 122. 23 72


il primo dei quali è quello, generale, del bordo esterno del margine continentale. Accanto

ad

esso

la

norma

pone

un

altro

criterio

generale,

complementare75 al primo, applicabile quando il bordo esterno del margine continentale cada ad una distanza inferiore a duecento miglia. In tal caso, rivive semplicemente il criterio della distanza di duecento miglia marine dalle linee di base76. Detti criteri generali sono destinati a cedere il passo a criteri e limiti speciali in parte già esaminati. Ogni volta che il margine continentale cade ad una distanza superiore alle duecento miglia dalla linea di base, si deve fare riferimento allo spessore delle rocce sedimentarie o, in alternativa lasciata allo Stato, alla distanza di sessanta miglia marine dal piede del margine continentale, secondo quanto prescritto dall'art. 76. 477, l'art. 76. 5 impone poi

che

il limite esterno

così determinato

non

si estenda oltre

le

trecentocinquanta miglia marine dalle linee di base, né oltre la distanza di cento miglia marine dall'isobata di duemilacinquecento metri. L'art. 76. 5 contiene anche alcune deroghe, sempre ispirate alla conformazione geologica, e regole di procedura che verranno riprese dettagliatamente soltanto dove necessario. Emerge con una certa evidenza che le due zone sono due istituti giuridici autonomi e possono benissimo non essere sovrapponibili78; d'altra parte, il collegamento funzionale è così stretto, che immaginare un'attività di sfruttamento della piattaforma continentale oltre le dodici miglia marine dalla Sul perché di questo termine, infra, pag. 26. Art. 76: "1. […] ou jusqu'à 200 milles marins des lignes de base […], lorsque le rebord externe de la marge continentale se trouve à une distance inférieure […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 142. 77 Art. 76. 4, supra, nota 44. Art. 76. 5: "Les points fixes qui définissent la ligne marquant, sur les fonds marins, la limite extérieure du plateau continental, tracé conformément au paragraphe 4, lettre a), i) et ii), sont situés soit ad une distance n'excédant pas 350 milles marins des lignes de base à partir desquelles est mesurée la largeur de la mer territoriale, soit à une distance n'excédant pas 100 milles marins de l'isobathe de 2 500 mètres […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 142. 78 In tal senso, http://www.marina.difesa.it/editoria/rivista/gloss/z.asp#zee; B. CONFORTI cit., però ritiene inevitabile un'unica linea di delimitazione in caso di accordi; sull'unicità in caso di accordi, anche COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Receuil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, Affaire de la délimitation marittime et des questions territoriales entre Qatar et Bahreïn, (Qatar c. Bahreïn), arrêt du 16 mars 2001, par. 224 e segg.; più estesamente infra, pag. 28. 24 75 76


linea di base, che non interessi la Zona Economica Esclusiva, è cosa davvero ardua, e dovrebbe concretizzarsi necessariamente nell'escavazione di un tunnel sotterraneo che parta dai fondali sottostanti il mare territoriale79. Un legame funzionale così stretto non poteva non avere ripercussioni sull'astratta autonomia giuridica dei due istituti. Così, immediatamente dopo l'apertura alla firma della Convenzione di Montego Bay, sia la dottrina, sia la Corte Internazionale di Giustizia dovettero pronunciarsi sui rapporti tra le due aree in questione. La

prima80,

pur

prevedendo

come

"[…]

normale

[…]"

la

sovrapposizione delle due aree entro le duecento miglia marine dalla linea di base, sottolineava l' "[…] autonoma disciplina […]" dell'istituto della piattaforma continentale, e prudentemente affermava che circa l'"[…] estensione oltre le duecento miglia, […] l'idea che la piattaforma in senso giuridico possa estendersi fino a ricomprendere l'insieme del margine continentale sembra in via di affermazione […]". In origine, dunque, si poteva già ipotizzare che il limite d'estensione della piattaforma continentale superasse quello della sovrastante Zona Economica Esclusiva, ma non il viceversa. In modo ancora più significativo la giurisprudenza immediatamente successiva cercava di esaltare più i legami che i margini di autonomia esistenti tra i due istituti. In particolare, mentre essa già ascriveva al diritto internazionale generale l'esistenza di piattaforme continentali più estese delle sovrastastanti Zone Economiche Esclusive, non riteneva ammissibile il contrario. Il 3 giugno 1985 la Corte Internazionale di Giustizia affermò che "[…] Il est incontestable selon la Court qu'en dehors de ces dispositions la pratique des États démontre que l'institution de la zone économique exclusive, où il est de règle que le titre soit déterminé par la distance, s'est intégrée au droit coutumier […]. Bien que les institutions du plateau continental et de la zone économique exclusive ne se confondent pas, les droits qu'une zone économique exclusive comporte sur les fonds marins de cette zone sont définis par renvoi au régime prévu pour le plateau Così anche M. HERRIMAN e M. TSAMENYI, The 1997 Australia – Indonesia maritime boundary treaty; a secure legal regime for offshore resource development?, in Ocean development and international law, 1998, pag. 365. 80 T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 27 ÷ 30. 25 79


continental. S'il peut y avoir un plateau continental sans zone économique exclusive, il ne saurait exister de zone économique exclusive sans plateau continental correspondant. Par suite, le critère de la distance doit dorénavant s'appliquer au plateau continental comme à la zone économique exclusive – et cela indépendamment de la disposition relative à la distance que l'on trouve au paragraphe 1 de l'article 76. Ce n'est pas à dire que l'idée de prolongement naturel soit maintenant remplacée par celle de distance. Ce que cela signifie c'est que, lorsque la marge continentale elle – même n'atteint pas le 200 milles, le prolongement naturel […] se définit en partie par la distance du rivage, quelle que soit la nature du fond et du sous – sol de la mer en deçà de cette distance. Par conséquent les notions de prolongement naturel et de distance ne sont pas des notions opposées mais complémentaires […]"81. Tale sentenza chiarisce profondamente le ragioni per le quali il criterio generale della distanza di duecento miglia marine sia stato posto anche per la piattaforma continentale, e debba altresì prevalere su quello parimenti generale del bordo esterno del margine continentale, quando questo si trovi a distanza inferiore a duecento miglia marine dalle linee di base. Il criterio della distanza è stato posto, si potrebbe dire, per attrazione verso la Zona Economica Esclusiva, alla quale la piattaforma continentale è legata da un rapporto di necessità. Volendo semplificare, la Corte ha risolto la controversia sulla base del seguente sillogismo: premesso che è ormai elevata al rango di consuetudine l'esistenza di una Zona Economica Esclusiva il cui generale limite esterno cade a duecento miglia marine dalla linea di base, poiché non vi è in natura Zona Economica Esclusiva che non sovrasti una piattaforma continentale, anche quest'ultima deve avere, in generale, estensione di almeno duecento miglia marine dalla linea di base. Il citato rapporto di necessità tra le due zone può aprire nuovi sviluppi all'interpretazione della disciplina dei due istituti e dei doveri e della responsabilità degli Stati.

COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, Affaire du plateau continental (Jamahiriya Arabe Libyenne/Malte), Arrêt du 3 juin 1985, par. 34. 26 81


Poiché ormai l'esistenza ipso facto di una Zona Economica Esclusiva a favore dello Stato costiero è norma di diritto internazionale generale82, l'estensione almeno uguale della piattaforma continentale al di sotto di quella deve essere ritenuta parimenti ipso facto; ci si trova di fronte ad un'estensione per via logica di un principio che in tempi più risalenti la Corte Internazionale di Giustizia riteneva di dover riservare soltanto alla zona "[…] du plateau continental qui constitue un prolongement naturel de son territoire sous la mer"83. Tra i due istituti si rilevano autonomia e diversità di disciplina anche nelle norme dirette al superamento dei conflitti. Per la Zona Economica Esclusiva la Convenzione prevede due diverse norme, l'art. 5984 e l'art. 74; quest'ultimo afferma che la risoluzione dei conflitti fra Stati "[…] dont les côtes sont adjacents ou se font face, est effectuée par voie d'accord conformément

au

droit

international

[…]

afin

d'aboutir

une

solution

équitable"85. Invece, a norma dell'art. 83, la determinazione dell'estensione della piattaforma continentale tra Stati si risolve unicamente secondo previsioni identiche a quelle dell'art. 74. A ben vedere l'art. 59 tiene conto del fatto che nella Zona Economica Esclusiva non soltanto gli Stati frontali o limitrofi "[…] jouissent […] des libertés […]" nemmeno ipotizzabili sulla piattaforma continentale. La lettera della norma ne suggerisce l'ampia applicabilità ad ogni ipotesi di conflitto, purché le ragioni di disaccordo dipendano almeno indirettamente da ipotesi di interferenza tra attività lecite86. Lo stesso non si può dire degli articoli 74 ed 83, che, seppure ugualmente prevedano il superamento dei conflitti mediante accordi ispirati a ragioni equitative, sono riservati agli Stati adiacenti o che si fronteggiano. "La revendication a crée le droit". Così R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 242. COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, Affaire du plateau continental de la Mer du Nord (Allemagne Fédérale c. Danemark; Allemagne Fédérale c. Pays Bas), Arrêt du 20 février 1969, par. 19. 84 Art. 59: "Dans le cas où […] il y a conflit entre les intérêts de l'État côtier et ceux d'un ou de plusieurs autres États, ce conflit devrait être résolu sur la base de l'équité et eu égard à toutes le circonstances pertinentes, compte tenu de l'importance que les intérêts en cause présentent pour les différentes parties et pour la communauté internationale dans son ensemble"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 124. 85 Ibid., pag. 148. 86 In questo senso, pare, anche S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 430 ÷ 431. 27 82 83


Nonostante

l'autonomia

dei

due

istituti,

e

comprovati

casi

di

sovrapposizione di sovranità87 non si pensa di poter escludere che un accordo di delimitazione di una Zona Economica Esclusiva, rientri esso nelle ipotesi contemplate dall'art. 59 o dall'art. 74, eserciti una forza attrattiva anche verso la delimitazione della piattaforma continentale. Anche questa è una conseguenza logica dell'unilateralità del rapporto di necessità or ora visto 88 tra piattaforma continentale e Zona Economica Esclusiva. La Corte Internazionale di Giustizia è talvolta orientata ad assumere un'unica linea di delimitazione dei due istituti. Nel caso Qatar c. Bahrein89, dopo aver citato numerosi propri precedenti, annuncia che "[…] en vue d'éviter les inconvénients inhérents à une pluralité de délimitations distinctes […], la préférence ira désormais […] à une délimitation polyvalente"90; ribadito "[…] le lien étroit qui existe entre le plateau continental et la zone économique exclusive […]"91, ricorda di aver già rilevato che "[…] les deux institutions du plateau continental et de la zone économique exclusive sont liées dans le droit moderne […]"92, e spiega che "[…] il conv[enait] d'attribuer plus d'importance aux éléments, tels que la distance et la côte, qui sont communes à l'une et à l'autre notion […]"93. Precisato che "[…] aux termes de la formule bahreïnite […] les Parties ont prié la Cour de tracer une limite maritime unique entre les espaces maritimes comprenant les fonds marins, le sous – sol et les eaux surjacentes […]"94, non è dato sapere con certezza se sarebbe stata seguita la via della delimitazione unica anche in assenza di una siffatta domanda delle Parti; certo è che quest'ultima sembra avere avuto un certo peso. Non a caso è

In inglese, overlapping jurisdiction; per un caso, si veda infra, pag. 36. Si veda anche http://www.marina.difesa.it/editoria/rivista/gloss/z.asp. 89 Supra, nota 78. 90 COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, Affaire de la délimitation maritime et des questions territoriales entre Qatar et Bahreïn, (Qatar/Bahreïn), arrêt du 16 mars 2001, par. 225. 91 Ibid., par. 226. 92 Ibid., e COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, Affaire du plateau continental (Jamahiriya Arabe Libyenne/Malte), Arrêt du 3 juin 1985, par. 33. 93 COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, Affaire de la délimitation maritime et des questions territoriales entre Qatar et Bahreïn, (Qatar/Bahreïn), Arrêt du 16 mars 2001, par. 226. 94 Ibid., par. 168. 28 87 88


stata "[…] adopté une démarche semblable dans l'affaire Jan Mayen, où elle était également priée de tracer une limite maritime unique […]"95. Diventa dunque difficile affermare con certezza che oggi, per norma di diritto internazionale generale, gli Stati debbano escludere dai loro accordi linee diverse di demarcazione per le due zone; nemmeno la Corte arriva ad affermare espressamente l'esistenza di un tale obbligo nelle sue pronunce, sempre da considerarsi mezzo di interpretazione, e non fonte, di norme 96. La ricerca di una norma di diritto internazionale generale può ben partire dalla stabilità delle prassi giurisprudenziali, ma deve trovare almeno conferma nella prassi degli Stati97. Tutte le regole viste per la delimitazione della Zona Economica Esclusiva o della piattaforma continentale vengono ribadite anche per le isole98; qualsiasi regime speciale sembra altresì escluso, dal silenzio del testo normativo, quando più Stati si affaccino su un cosiddetto mare chiuso o semichiuso99. Benché il quadro giuridico si indirizzi verso un'uniformità di disciplina piuttosto spinta, qualunque sia la conformazione geografica locale, il combinarsi di più situazioni non esclude a priori soluzioni sorprendenti, ad esempio nel Mar Mediterraneo Orientale intorno a Cipro. Cipro è uno Stato il cui territorio è costituito da un'isola circondata da pochi scogli o isolotti, quali Koppo ed Orphorous100 posti in stretta prossimità della costa. Giace interposta tra la Turchia, l'Egitto, ed il Libano in uno specchio di mare tipicamente chiuso, in quanto delimitato da linee di base distanti tra loro meno di quattrocento miglia marine101.

Ibid., par. 227. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 54. 97 Il trattato di Perth tra Australia ed Indonesia (infra, par. 4) segnala anche l'esistenza di prassi diverse. 98 Art. 121. 2: "[…], la zone économique exclusive et le plateau continental d'une île sont délimités conformément aux dispositions de la Convention applicables aux autres territoires terrestres"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 172. 99 Per l'art. 122, "[…] entouré par plusieurs États […] ou consitué […] par les mères territoriales et les zones économiques exclusives de plusieurs États […]"; ibid. 100 Portolano del Mediterraneo, volume 8, Coste di Libia, Egitto, Palestina, Siria e Caramania. Isola di Cipro; Tipografia dell'Istituto Tipografico della Regia Marina, Genova 1931 (IX). 101 La carta nautica è tratta da http://www.paginedidifesa.it. 29 95 96


Il 17 febbraio 2003 ed il 17 gennaio 2007 Cipro ha concluso accordi rispettivamente con l'Egitto e con il Libano per la delimitazione della Zona Economica Esclusiva di ciascuno. Avvalendosi di questi accordi intende avviare

l'estrazione

di

idrocarburi

giacenti

sotto

la

corrispondente

piattaforma continentale102. La Turchia, rimasta estranea agli accordi predetti, ha iniziato le contestazioni di questi soltanto dopo che Cipro ha manifestato l'intenzione di iniziare tale attività estrattiva, affermando che tali diritti devono essere estesi anche alla popolazione della Repubblica islamica di Cipro del Nord, entità che la sola Turchia riconosce come Stato, a seguito dell'occupazione da essa compiuta nel 1974. La legittimazione della Turchia a far valere diritti da essa asseriti come altrui dovrebbe essere in generale esclusa. In virtù del principio dell'estoppel103, non potrebbe nemmeno opporre agli altri Stati il Tratto da V. GRECO, Grecia – Turchia e petrolio, fonte di tensione nel Mediterraneo orientale, in http://www.paginedidifesa.it/2007/greco_070301.html. 103 In un'accezione estensiva, l'estoppel ("nemo potest contra factum proprium venire") "[…] s'appliquerait en cas de contradiction entre un comportement actuel et un comportement antérieur d'un sujet du droit international […]"; tratto da A. MARTIN, L'estoppel en droit international public, A. Pedone, Parigi (Francia) 1979, pag. 71. 30 102


fatto del mancato riconoscimento dei sedicenti requisiti della statualità di Cipro del Nord, mentre la mancanza di tali requisiti rende impossibile nei fatti una qualsiasi iniziativa da parte di questo. Del resto Cipro, Stato il cui territorio deve essere considerato esteso su tutta l'isola, comprenderebbe anche popolazione e territorio a favore del quale la Turchia avanza le predette rivendicazioni; la soluzione del caso sarebbe dunque in re ipsa, ed in senso non sfavorevole alla Turchia. Ciò che più sorprende però è che, se il principio dell'unicità delle linee di demarcazione dovesse trovare un seguito, la Turchia potrebbe far valere indirettamente diritti non di Cipro del Nord, bensì propri, e non soltanto sul braccio di mare che la separa dall'isola di Cipro, ma anche sulla piattaforma continentale ad essa opposta, e oggi suddivisa tra Cipro, Libano ed Egitto. È pur vero che, a norma degli articoli 74 ed 83, la Turchia non può ritenersi legittimata a partecipare all'attività negoziale per la delimitazione di zone su una parte di mare né limitrofa, né frontale ad essa. La frontalità o l'adiacenza delle coste, quali presupposti per la legittimazione a conseguire accordi diretti a delimitare la Zona Economica Esclusiva, sembrano da intendersi in modo rigoroso anche quando si interponga un'isola, sia per il tenore letterale dell'art. 121. 2 citato, sia perchè durante i lavori preparatori alla Convenzione proprio la Turchia propose senza successo di introdurre, nel futuro art. 83 della Convenzione, il seguente inciso: "[…] Where the presence of islands may influence the delimitation of zones of continental shelf

(economic

zone/exclusive

economic

zone)

between

States,

the

delimitation shall be effected having regard to the size, the geographical location of such islands or any other relevant factor with the view to arriving at an equitable result […]"104. Il mancato inserimento di tale inciso nel testo finale della Convenzione prova la carenza di volontà degli Stati di assoggettarsi alla relativa disciplina, mentre l'avanzamento di una tale proposta da parte della Turchia segnala che essa aveva maturato un'opinione a sé sfavorevole circa il vero significato dei nascenti articoli 74 ed 83, e proprio per la particolare collocazione di Cipro. Seguendo la via più piana, si potrebbe ritenere che la titolarità dei diritti sussista parallelamente alla legittimazione a concludere i relativi 104

CENTER

FOR

OCEAN LAW

AND

POLICY cit.,pag. 961. 31


accordi; in particolare, siccome tra la Turchia e Cipro, in relazione alle aree della piattaforma rivolta verso l'Egitto, non sussiste un rapporto né frontale, né di adiacenza, non sussisterebbe nemmeno l'ipotesi di titolarità della Turchia sulle stesse aree. È inoltre vero che la Turchia non può contestare il diritto di Cipro a compiere attività estrattive. Il diritto di sfruttamento della piattaforma continentale è originario, esente dalla necessità di ogni affermazione o comportamento

attivo,

o

astensione

da

comportamenti

omissivi,

ed

opponibile erga omnes ed esclusivo a norma dell'art. 77. 2105. Proprio la definizione di esclusività dei diritti sulla piattaforma continentale offerta dalla Convenzione, unita a considerazioni di sistema, è potenzialmente in grado di incrinare tale impostazione. Si osserva che l'esclusività di questi diritti attiene al loro modo di esercizio, mentre meno sicuro è il significato di esclusività come titolarità in capo ad un unico Stato, quando si ragioni su un mare chiuso. E' pur vero che le norme parlano sempre di "État côtier" al singolare, ma una simile argomentazione sembra troppo debole per concludere che la titolarità dei diritti sovrani de quibus debba essere riferita, sempre e comunque, ad uno ed un solo Stato106. Lo stesso art. 122107 sembra attribuire Zone Economiche Esclusive e piattaforme continentali a più Stati, almeno secondo una lettura coerente. Una lettura ispirata all'idea di più zone ognuna riconducibile ad unico titolare ne inficerebbe l'idoneità ad essere posto a fondamento della definizione di mare chiuso o semichiuso. Senza un'idea di titolarità condivisa, almeno fino a diverso accordo, non si spiegherebbero nemmeno né la legittimazione degli Stati a risolvere i conflitti, a norma degli articoli 74 ed 83, né, ancora meno, le disposizioni di questi dirette a consentire, in pendenza di trattative, uno sfruttamento almeno minimo, purché pacifico, delle varie aree in contesa108.

Supra, nota 70. La questione non pare nemmeno sfiorata nei lavori preparatori riportati da CENTER FOR OCEAN LAW AND POLICY cit. 107 Supra, nota 99. 108 Art. 83. 3: "En attendant la conclusion de l'accord […], les États concernés […] font tout leur possible pour conclure des arrangements provisoires de caractère pratique […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 148. 32 105 106


Ancora, il quadro giuridico non esclude radicalmente l'esercizio di diritti sovrani di uno Stato su aree poste sotto la sovranità di un altro Stato109, ad esempio per consentire che uno Stato posto di fronte ad uno arcipelago sviluppi le naturali proprie attività interne, senza subire molestie; è una ragione non molto diversa dall'idea di sviluppo che sottintende i diritti vantati dagli Stati sulla propria piattaforma continentale. Per quanto tale norma non possa essere direttamente invocata da parte della Turchia, sia perché è arduo affermare che Cipro sia uno stato arcipelagico110, sia perché la Turchia non circonda da due lati, bensì fronteggia da uno soltanto, l'isola di Cipro, la stessa potrebbe con qualche ragione sostenere che l'esclusività dei diritti ciprioti di sfruttamento non è ad essa

opponibile,

in

quanto

non

può

esserne

esclusa

a

priori

una

contitolarità111; tutto questo, si vuole sottolineare, pur in assenza di ogni legittimazione della Turchia a concludere accordi di delimitazione della Zona Economica Esclusiva tra Cipro, Libano ed Egitto, nelle previsioni dell'art. 74. La Turchia potrebbe inoltre sostenere, a ragione, di non dover passivamente soggiacere al rispetto dei contenuti di tali accordi; questi sono vincolanti soltanto tra parti contraenti112, e non possono né comprimere, né estinguere eventuali altri suoi diritti riconosciuti dal diritto internazionale. Le considerazioni espresse non produrrebbero effetti importanti a favore della Turchia, se l'idea della possibile contitolarità non potesse essere applicata insieme all'art. 59, al principio giurisprudenziale di necessità della piattaforma continentale dove ci sia una Zona Economica Esclusiva, ed all'idea, per ora soltanto strisciante, di un'unica linea di demarcazione per le Zone Economiche Esclusive e per le piattaforme continentali. Ne è prova l'art. 47. 6: "Si une partie des eaux archipélagiques d'un État archipel est située entre deux portions du territoire d'un État limitrophe, les droits […] que ce dernier État fait valoir […] dans ces eaux […] subsistent et sont respectés"; ibid., pag. 114. Si osservi che la condizione affinché un determinato Stato possa far valere i propri diritti è di essere costituito da due porzioni di territorio che circondano lo Stato arcipelagico, e questa non è, pacificamente, la situazione della Turchia verso Cipro. 110 Art. 46. 1: "[…] État constitué entièrement par un ou plusieurs archipels […]". Tale definizione sembra riferirsi a gruppi di isole separate da bracci di mare nei quali alcuni diritti di stati terzi siano almeno ipotizzabili; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 112. 111 Anche M. HERRIMAN et M. TSAMENYI cit., pag. 367, non riescono ad escludere che esclusività e pluralità di soggetti titolari possano coesistere. 112 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 85. 33 109


Poiché l'art. 59 fonda l'obbligo, per tutti gli Stati, di negoziare la definizione della Zona Economica Esclusiva quando vi sia conflitto con gli interessi (si intende, riconosciuti come tali dal diritto internazionale) di almeno un altro Stato costiero, se vi fossero interessi della Turchia lesi dagli accordi contestati, diversi da quelli di mera delimitazione della Zona Economica Esclusiva o della piattaforma continentale, essa potrebbe far valere non soltanto una responsabilità internazionale nei confronti di tutte le parti contraenti di questi stessi accordi, ma anche una legittimazione alla conclusione

di

nuovi

accordi

di

delimitazione,

e

naturalmente

adire

un'autorità prevista per la composizione delle controversie, a norma della parte XV della Convenzione. Se poi l'accordo o la sentenza estendesse la Zona Economica Esclusiva turca anche su aree marine a sud di Cipro, l'applicazione piana del principio di necessità e di quello di unicità delle linee di demarcazione, confortata dall'idea della contitolarità ab origine, produrrebbe inevitabilmente anche un'uguale delimitazione della piattaforma continentale turca. Così la Turchia riuscirebbe indirettamente ad estendere i propri diritti sulla piattaforma continentale non adiacente, né frontale alle sue coste. Per quanto possa sembrare istintivamente eccessiva, una tale ipotesi non urterebbe nemmeno contro gli art. 74 ed 83. Essi infatti si limitano a fondare obblighi di condotta al verificarsi del presupposto della frontalità o dell'adiacenza delle coste, ma non impongono che il contenuto dell'accordo che ne deriva non oltrepassi la piattaforma continentale frontale o adiacente. Oltretutto, è l'equità lo scopo ultimo che gli Stati devono perseguire 113, superando attraverso meccanismi negoziali anche le iniquità della geologia, tra le quali può ben essere asserita la presenza di un'isola interposta. La questione è ancora più complicata dall'opponibilità o no della Convenzione di Montego Bay e delle sue singole norme alla Turchia, che alla data del 9 dicembre 2002 non aveva ancora sottoscritto114, ad essa

Art. 83. 1: "[…] afin d'aboutir une solution équitable"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 148. 114 Tratto da http://www.un.org/Depts/los/doalos_publications/LOSBulletins/. Da un' interrogazione scritta alla Commissione europea, in documento non ufficiale, risulta non esservi sottoscrizione da parte turca nemmeno alla data del 20 febbraio 2007 (in http://www.futureofeurope.parlament.gv.at/sides/). 34 113


sarebbero opponibili soltanto le norme di codificazione, se ve ne fossero, o di sviluppo progressivo che si sia già perfezionato. Non si è potuto approfondire se l'Egitto, il Libano e Cipro si siano impegnati a far sì che le isole artificiali di ciascuno, installate entro i confini pattuiti, non estraggano risorse che dovessero giacere al di là di questi. Nel silenzio, dalla prassi che oggi pare ancora carente di opinio iuris e di diuturnitas, si rileveranno forse importanti argomenti ad integrazione del significato di sovranità e di esclusività dei diritti degli Stati sulla piattaforma continentale, e degli art. 74 ed 83.

4.

Le questioni poste dal trattato di Perth tra Australia ed Indonesia Nel caso trattato al paragrafo precedente si è ipotizzato che gli accordi

di delimitazione della Zona Economica Esclusiva impongano modifiche, anche di contenuto inaspettato, alla delimitazione della sottostante piattaforma continentale; tutto tendeva ad escludere che, a seguito di tali accordi, una Zona Economica Esclusiva di uno Stato potesse in futuro sovrapporsi alla piattaforma continentale di un altro. Il caso che si sta per discutere invece tratta di un accordo, firmato a Perth il 14 febbraio 1997 ed ancora non entrato in vigore115, che fissa linee diverse di delimitazione di una Zona Economica Esclusiva, e di parte dei "seabed boundaries"116 tra gli spazi marini di Australia ed Indonesia. L'accordo pone dunque un caso di overlapping jurisdiction, che si è voluto approfondire anche perché pare che in tal modo possano emergere considerazioni generalmente valide e riconducibili al sistema dettato dalla Convenzione di Montego Bay. Dal Preambolo si può evincere che la sovrapposizione di diverse sovranità è stata ispirata dalla volontà delle Parti di ribadire gli accordi "[…] establishing certain seabed boundaries […]" più vecchi della Convenzione di Montego Bay; tuttavia si sono voluti richiamare "[…] the United Nations Convention on the Law of the Sea […] and, in particular, articles 74 and 83 Informazione resa pubblica dal governo australiano, http://www.austlii.edu.au/au/other/dfat/treaties/notinforce/1997. 116 Art. 1; tratto da M. HERRIMAN et M. TSAMENYI cit., pag. 382. 115

tratta

da 35


which provide […] the delimitation of the exclusive economic zone and the continental shelf […]". Il Trattato affronta il tema con le regole poste all'art. 7, dedicato alle "Areas of overlapping jurisdiction", delle quali verranno esaminate: i) le lettere a e b, che riconoscono all'Indonesia ed all'Australia i diritti che la Convenzione di Montego Bay riconosce al titolare, rispettivamente, della Zona Economica Esclusiva o della piattaforma continentale117; ii) la lettera c118, che contiene dei doveri di negoziazione preventiva per lo specifico caso di costruzione di un'isola artificiale; iii) la lettera d, che pone regole di procedura; iv) le lettere e, m, n, che pongono regole per una risoluzione dei conflitti nascenti dall'esercizio dei rispettivi diritti119. La dottrina interpreta l'art. 7, lettere a e b, nel senso di mantenere per la disciplina della Zona Economica Esclusiva indonesiana il regime dettato dall'art. 78120 della Convenzione di Montego Bay, in quanto "[…] establishes firmly that the status of Indonesia's EEZ rights and responsibilities in waters that lay above the Australian continental shelf is not affected by the existence of the Australian continental shelf as such, but only by those specific modifications […] agreed in the Perth Treaty […]"121, in altri termini, "[…] in accordance with the LOSC provisions, as amended by the Treaty […] "122; ma precisa che gli effetti dell'art. 7, lettera a sarebbero quelli di "[…] alter the rights, jurisdiction and duties […] in such a way that would delete Art. 7: "In those areas where the areas of exclusive economic zone adjacent to and appertaining to a Party […] overlap the areas of seabed adjacent to and appertaining to a Party being the other Party […]: a) the First Party may exercise exclusive economic zone sovereign rights and jurisdiction provided for in the 1982 Convention in relation to the water column; b) the Second Party may exercise continental shelf sovereign rights and jurisdiction provided for in the 1982 Convention in relation to the seabed […]"; ibid., pag. 391. 118 (segue da nota 117) "[…] c) the construction of an artificial island shall be subject to the agreement of both Parties […]; ibid., pag. 392. 119 (segue da nota 118): "[…] e) the construction of installations and structures shall be the subject of due notice […]", m) neither party shall exercise its rights and jurisdiction in a manner which unduly inhibits the exercise of the rights and jurisdiction of the other Party; n) the Parties shall cooperate with each other in relation to the exercise of their respective rights and jurisdiction" […]"; ibid. 120 Art. 78: "1. Les droits de l'État côtier sur le plateau continental n'affectent pas le régime juridique des eaux sur jacentes […]. 2. L'exercice par l'État côtier de ses droits sur le plateau continental ne doit pas porter atteinte à la navigation ou aux autres droits et libertés reconnus aux autres États par la Convention, ni en gêner l'exercice en manière injustifiable"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 144 ÷ 146. 121 M. HERRIMAN e M. TSAMENYI cit., pag. 369. 122 Ibid. 36 117


the words 'and of the sea – bed and its subsoil' from subparagraph 56 (1) (a) and that would delete paragraph 56 (3) as no longer applicable. No amendment of subparagraph 56 (1) (b) would be necessary because although jurisdiction […] is shared in the area of overlapping jurisdiction, LOSC article 56 does not ascribe exclusivity to such jurisdiction"123. La lettera c avrebbe l'effetto di rimuovere "[…] any exclusivity from the rights recognised in LOSC Articles 60 and 80 […]"124. Si vuole ricordare che la Convenzione ripartisce diritti e doveri tra Stati sovrani o cosiddetti tali sia sulla Zona Economica Esclusiva, sia sulla sottostante piattaforma continentale, da un lato, e Stati terzi, dall'altro, in modo da garantire a questi l'esercizio di determinate libertà. L'art. 56. 1, lett. a125 della Convenzione di Montego Bay attribuisce allo Stato costiero diritti sovrani di sfruttamento delle risorse della Zona Economica Esclusiva, mentre la lettera b attribuisce ad esso la già commentata jurisdiction sull'installazione e l'utilizzo di isole artificiali126, diversa dai diritti perché è in grado di incidere sul contenuto (dunque, anche sul modo d'esercizio) di diritti altrui. La lettera b sembra dunque tenere conto della possibilità che un'isola artificiale o struttura simile sia destinata alla coltivazione di una piattaforma continentale di uno Stato diverso. Anche l'art. 60 è strutturato in modo analogo; l'art. 60. 1127 parla di diritti esclusivi (e non di poteri) di autorizzazione all'installazione, mentre l'art. 60. 2128 usa il termine "[…] juridiction exclusive […]" per definire il rapporto tra lo Stato costiero e le isole artificiali dopo che siano state installate, qualunque Stato ne sia titolare. Altri poteri di jurisdiction spettanti allo Stato costiero sono quelli accessori di regolamentazione, espressi dall'art. 60. 4129.

Ibid., pag. 370. Ibid., pag. 371. 125 Supra, nota 62. 126 Supra, pag. 15. 127 Supra, nota 69. 128 Art. 60. 2: "L'État côtier a juridiction exclusive sur ces îles artificielles, installations et ouvrages y compris en matière de lois et règlements […] sanitaires"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 124. 129 Art. 60. 4: "L'État côtier peut […] établir autour de ces îles artificielles, installations et ouvrages des zones de sécurité de dimension raisonnable […]"; ibid. 37 123 124


Sulla Zona Economica Esclusiva gli altri Stati soggiacciono alla jurisdiction, e non ai diritti dello Stato costiero; tra l'altro anch'essi sono titolari di diritti, anche se meno intensi di quelli degli Stati costieri, come ad esempio quelli dettati dall'art. 58. 1130. Nel rapporto tra Zona Economica Esclusiva e piattaforma continentale, si osserva che la parte della Convenzione a questa dedicata protegge da interferenze di terzi i diritti ed i poteri degli Stati titolari della piattaforma continentale, ma tale protezione sembra meno piena di quella accordata alla jurisdiction dello Stato costiero sulla Zona Economica Esclusiva. Ciò perché, in primo luogo, l'art. 77. 1, a differenza dell'art. 56. 1, dice che lo Stato esercita131, anziché ha, i diritti sovrani; poi, perché il successivo art. 78. 1 espressamente conserva il regime delle acque sovrastanti132. Non vi è ragione dunque di escludere che in caso di sovrapposizione di sovranità lo Stato della piattaforma continentale debba uniformare le proprie condotte a ragionevoli imposizioni dettate dall'altro Stato. A parere di chi scrive, le ragioni di fondo di una maggiore forza della jurisdiction su una zona di mare che su una zona di fondali sono da ricercarsi negli scopi della Convenzione, che deve tenere conto delle caratteristiche naturali133 degli ambienti che regola. Più precisamente, la Zona Economica Esclusiva, come ogni altra zona di mare, è destinata a rinnovarsi e propagarsi rapidamente e potenzialmente ovunque, ed a diffondere in modo altrettanto pervasivo ogni danno da essa sofferto. La più intensa jurisdiction dello Stato costiero su questa, prevista dall'art. 56. 2 della Convenzione, deve essere ritenuta come fondata sulla necessità di maggiori poteri di contrasto e prevenzione a conseguenze degradanti o distruttive e, forse, genericamente finalizzate ad un buon uso di tale zona di mare134. Tale interpretazione, forse non convalidata dalla prassi, tende però verso la massimizzazione degli obblighi fissati dall'art. 192135, e forse non merita di essere rigettata. Inoltre, consente di definire in modo abbastanza Art. 58. 1: "Dans la zone économique exclusive, tous les États […] jouissent […] de la liberté de poser des câbles et pipelines sous-marins […]"; ibid., pag. 122. 131 Supra, nota 31. 132 Supra, nota 120. 133 Per la prima volta una simile ipotesi è stata avanzata supra, pag. 16. 134 Si richiama a tal proposito la lettura finalistica della disciplina del diritto del mare; supra, pag. 7. 38 130


puntuale regole generali di condotta dei due Stati, e di sciogliere molte ambiguità, forse soltanto apparenti, lasciate dal trattato di Perth. Secondo l'art. 1. 3 del Trattato, "[…] a reference to the seabed in this Treaty includes the subsoil beneath the seabed […]", mostrando, se non una coincidenza, almeno un'armonia lessicale con l'art. 76. 1 della Convenzione di Montego Bay136; esclusa ogni ragione di conflitto tra le due fonti, non vi sarebbe ragione di seguire un'interpretazione difforme da quella sistematica della Convenzione di Montego Bay, e di non adottarla come criterio guida nella risoluzione di questioni di maggior dettaglio, alcune delle quali verranno affrontate in questo lavoro. A seguito della doverosa comunicazione che l'Australia presenta all'Indonesia, prima di installare una qualsiasi struttura fissa, secondo l'art. 7, lettera e137 del Trattato l'Indonesia è tenuta non a trasferire un diritto ad installare, perché tale diritto già spetta all'Australia a norma dell'art. 77, bensì

a

manifestare

regole

tecniche

di

sicurezza

e

di

prevenzione

dall'inquinamento marino di qualunque severità, purché non vessatoria, connesse all'esercizio delle operazioni di costruzione e di funzionamento di quella struttura; tale atto somiglierebbe, per contenuto, ma non per funzione, ad un'autorizzazione138. Le misure imposte dovrebbero essere ispirate ad un'idea di protezione anche degli Stati terzi; senza escludere peraltro un'eventuale responsabilità anche di fronte alla stessa Australia, nel caso di danno all'ambiente marino ad essa derivante da prescrizioni troppo lassiste o distratte, purché da questa diligentemente osservate. Salvo

casi

davvero

estremi

e

forse

di

sola

scuola,

il

potere

dell'Indonesia di impedire le installazioni australiane nella propria Zona Economica Esclusiva non dovrebbe sussistere. Soltanto se l'Australia volesse installare un'isola artificiale, l'Indonesia sarebbe pienamente legittimata anche ad opporre un diniego, e sempre che l'installazione dell'isola non sia

Art. 192: "Les États ont l'obligation de protéger et de préserver le milieu marin"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 244. 136 "[…] le plateau continental […] comprend les fonds marins et leur sous – sol […]"; supra, nota 77. 137 Supra, nota 119. 138 In tal senso, M. HERRIMAN et M. TSAMENYI cit., pag. 372; per funzione dell'autorizzazione si intende quella di rimozione di uno o più ostacoli all'esercizio di un diritto. 39 135


stata oggetto di un precedente accordo tra le due parti. La lettera c139 è norma speciale rispetto alla disciplina generale del Trattato, sulla quale prevale. Il termine di emanazione delle prescrizioni può essere dedotto dalla lettera d, che pone un termine di tre mesi tra il momento della notifica della comunicazione e quello di avvio di tale attività; il primo può essere di gran lunga antecedente a quello di notifica del progetto di attività, soggetto semplicemente alla "[…] due notice […]"140; d'altra parte, soltanto sulla base di questo l'Indonesia può studiare ed emettere prescrizioni tecniche dettagliate. E' evidente che il termine complessivo tra comunicazione e rilascio delle prescrizioni può ragionevolmente superare i tre mesi, ma in misura non ingiustificatamente dilatoria; le lettere m ed n del trattato impongono la cooperazione tra le parti, ed escludono che i diritti di una parte possano essere compressi senza una corrispettiva esigenza di tutela di quelli dell'altra. Pare certo che, in pendenza di rilascio dell'autorizzazione, le parti debbano interloquire sul contenuto e sulle ragioni delle proprie condotte, anche omissive; lo imporrebbero, oltre alla generale regola di buona fede, anche la lettera m dell'art. 7, che attraverso l'avverbio "[…] unduly […]", esclude che in qualsiasi momento si possa tollerare una qualsiasi violazione di doveri posti da altre disposizioni del Trattato, quali l'esplicito art. 10141, o dal sistema nel suo complesso142. L'Indonesia avrebbe anche il dovere di prendere in seria considerazione tutte le obiezioni dell'Australia, pur rimanendo libera di fissare il contenuto del disciplinare. Se, inopinatamente, l'Indonesia rifiutasse di emanare l'autorizzazione entro il predetto termine equo, dovrebbe essere ritenuta responsabile, senza che ciò però consenta all'Australia di iniziare le proprie attività in conformità Supra, nota 118. Art. 7, lett. e; supra, nota 119. 141 Art. 10: "Any dispute between the two Parties arising out of the interpretation or implementation of this Treaty shall be settled peacefully by consultation or negotiation"; tratto da M. HERRIMAN et M. TSAMENYI cit., pag. 393. 142 La letteratura non risolve in modo definitivo la questione, e vede tale avverbio come espressione di un "[…] general principle relevant only to practices or policies that apply to the area as a whole […]", oppure ammette "[…] the possibility of some interference with the other's rights […]", in modo più vicino a quanto sostenuto nel testo; ibid., pag. 363. 40 139 140


a regole sue; una simile possibilità di autotutela sembra esclusa sia dal generico dovere di cooperazione posto in chiusura, sia dal sistema generale di risoluzione delle controversie fissato dalla Convenzione di Montego Bay, che prevede sempre l'uso di mezzi pacifici e conformi all'art. 33 della Carta delle Nazioni Unite143. Tutte le attività che, direttamente o indirettamente, interessino la Zona Economica Esclusiva, ancorché dirette alla perforazione del fondo o del sottofondo marino, devono intendersi stabilmente soggette alla jurisdiction indonesiana per tutto ciò che in qualche modo esorbita dagli stretti ambiti della perforazione ("forage"), o che non si esaurisce interamente sul fondo o nel sottofondo marino. L'art. 81 della Convenzione di Montego Bay144, letto alla luce dell'art. 78145, delimita i poteri sovrani di jurisdiction dello Stato della piattaforma alle strette opere di perforazione. Meno immediato è ricondurre alla jurisdiction dell'uno o dell'altro Stato la disciplina delle conseguenze delle attività esercitate, ed in particolar modo della responsabilità da inquinamento146. In particolare, l'Australia non sembra essere del tutto esonerata da adottare ulteriori condotte dirette a proteggere l'ambiente marino. La dottrina ricorda che l'art. 7, lettera j del Trattato147 "[…] does not in any way alter the environmental protection obligations of either party that arise from participation as a party to the LOSC"148.

5.

La piattaforma continentale dell'Antartide Lo studio della situazione antartica presenta particolarità che fanno

emergere sia le forti differenze tra concetto di piattaforma continentale in senso giuridico ed in senso naturale, sia gli effetti della compresenza di più sistemi giuridici posti a disciplinare una determinata Zona.

La letteratura ammette invece il silenzio – assenso; ibid. Art. 81: "L'État côtier a le droit exclusif d'autoriser et de réglementer les forages […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 146. 145 Supra, nota 132. 146 M. HERRIMAN et M. TSAMENYI cit., pag. 367. 147 Art. 7, lett. j: "the Parties shall take effective measures as may be necessary to prevent, reduce and control pollution of the marine environment"; ibid., pag. 392. 148 Ibid., pag. 375. 41 143 144


L'Antartide è una superficie di terra emersa circondata interamente dal mare; viene oggi considerato come un autonomo continente ed in ogni caso non ne possono essere negate le caratteristiche insulari149. Non c'è dubbio che una piattaforma continentale antartica esista in senso geologico, dato che ogni terra emersa declina nel mare circostante fino a che il relativo bordo, ultimo limite di continuità con le terre emerse, precipita lungo la scarpata. In senso giuridico, è discusso se si possa parlare di piattaforma continentale antartica, soprattutto per mancanza di un soggetto titolato ad esercitarne i poteri. Ancorché terra emersa e concretamente occupabile, dunque passibile di sovranità piena, il regime giuridico dell'Antartide è regolato da Convenzioni e Protocolli che compongono un sistema unitario nato sulla scia del trattato di Washington dell'1 dicembre 1959, che esclude qualsiasi modifica dei regimi di sovranità fino a quel momento instauratisi150. Le ragioni di questo regime legale devono essere cercate in particolari orientamenti politici quali, pare151, la volontà di evitare nuove forme di colonialismo, anche in terre totalmente disabitate, in un periodo in cui la decolonizzazione si presentava come esigenza pressante ed imprescindibile di libertà, ma soprattutto nell'unicità dell'ecosistema antartico152, il quale, se sottoposto a sovranità di qualcuno, sarebbe insostituibilmente escluso ipso facto da ogni forma di godimento da parte di altri. Il sistema nato con il trattato di Washington dell'1 dicembre 1959 è un vero e proprio sistema giuridico di gestione sui generis, basato sulla possibilità di compiere una serie di atti di godimento non distruttivi, che si ritiene del tutto ispirato alla disciplina delle res communes omnium. Più precisamente, i Trattati enumerano una serie di scopi consentiti di ricerca scientifica che gli Stati devono perseguire, di comune accordo, facendo confluire il proprio ramo di attività in un progetto di ricerca unitario; le relative operazioni, finché non superano la soglia delle prove di laboratorio, Art. 121. 1: "Une île est une étendue naturelle de terre entourée d'eau qui reste découverte à marée haute"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 170. 150 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 486. 151 B. CONFORTI cit., pag. 270 ÷ 271. 152 Ipotesi questa sollevata da C. JOYNER, The evolving Antarctic minerals regime, in Ocean development and international law, 1988, pag. 75. 42 149


consumano verosimilmente risorse in misura così esigua da non poter essere nemmeno ritenute distruttive; in ogni caso queste sono facilmente ascrivibili alla soddisfazione dell'interesse generale alla crescita delle conoscenze collettive. Regole di gestione inquadrabili in modo così preciso non sono però idonee ad escludere che taluno sia, o possa divenire, titolare di poteri sovrani. L'Antartide non può essere irrevocabilmente assimilato alle res communes omnium; su tale continente il divieto di qualsiasi forma di godimento esclusivo è norma puramente convenzionale e modificabile, che riguarda la pura gestione, e non la natura di tale spazio; dunque manca ogni fondamento per poter escludere nel futuro una disciplina propria delle res nullius, idonee a diventare spazi sovrani per atto di occupazione. L'art. IV153 del Trattato si limita ad escludere per il futuro, ed a sospendere per il presente, nuove rivendicazioni o manifestazioni di sovranità, innanzitutto da parte di quei sette Stati (Gran Bretagna, Norvegia, Australia, Francia, Argentina, Cile, Nuova Zelanda) che avevano a suo tempo realizzato proprie esplorazioni o missioni di conquista154. Le rivendicazioni di sovranità manifestate a loro tempo da tali Stati possono per ora ribadire soltanto

la

già

indiscutibile

ed

indiscussa

attitudine

all'occupazione

dell'Antartide, in qualche modo, pare, paradossalmente confermata dalle posizioni di altri Stati, che non sono parte del trattato di Washington 155 e che premono nelle sedi internazionali affinché l'Antartide venga irrevocabilmente assimilato ad una res communis omnium.

Art. IV: "[…] 2. Aucun acte ou activité intervenant pendant la durée du présent Traité ne constituera une base permettant de faire valoir […] une revendication de souveraineté territoriale dans l'Antarctique, ni ne créera des droits de souveraineté dans cette région. Aucune revendication nouvelle, ni aucune extension d'une revendication de souveraineté territoriale précédemment affirmée, ne devra être présentée pendant la durée du présent Traité"; tratto da ORGANISATION DES NATIONS UNIES, Recueil des Traités, Traités et accords internationaux enregistrés ou classés et inscrits au répertoire au Secrétariat de l'Organisation des Nations Unies, 402, New York (Stati Uniti d'America) 1961, pag. 75. 154 Nel 2007 la Gran Bretagna, pur essendo vincolata al trattato di Washington, ha inteso ribadire a titolo puramente nominale la propria sovranità già rivendicata; tuttavia non risultano esservi stati turbamenti sostanziali all'assetto giuridico vigente. 155 P. VIGNI, Concorrenza fra norme internazionali: il regime giuridico dell'Antartide nel contesto globale, Giuffré, Milano 2005, pag. 91. 43 153


Dato che una piattaforma continentale in senso giuridico è istituto che comprende diritti sovrani ed esclusivi di un preciso soggetto sovrano, aventi origine e destino intimamente legati a quelli della terraferma, mancando in Antartide i titolari di tali diritti, o, almeno, non essendo possibile individuarne in modo l'esistenza o l'identità, non è nemmeno pensabile che esista l'istituto che li comprende, in quanto esso ha sempre la funzione di sintetizzare una serie complessa di rapporti giuridici tra un soggetto ed una cosa156. Una tale conclusione spinge taluno a ritenere che il mare ed i fondali marini che circondano l'Antartide debbano essere assimilati al regime che vige, rispettivamente, per l'Alto Mare o per la Zona, in conformità alle già viste definizioni poste dalla Convenzione di Montego Bay, che sarebbe conforme all'art. VI del Trattato di Washington157; senza dubbio entrambe le figure sono destinate a forme di collettivo perfettamente compatibili con il sistema antartico, ma mentre l'Alto Mare e la Zona sono oggetto di attività di sfruttamento, per quanto amministrate nell'interesse collettivo da un soggetto ad hoc, per l'Antartide il proprio sistema di gestione, che pone al centro di ogni disciplina la ricerca scientifica, sembra prevalere in virtù della regola della specialità. In alternativa, si può sostenere che la disciplina applicabile a tali spazi debba essere ricostruita da un procedimento di armonizzazione dei due diversi sistemi. Le cartine mostrano inoltre una serie di isole che costituiscono territorio a pieno titolo di diversi Stati sovrani (Isole Kerguelen e Crozier per la Francia, Mac Donald's e Heard per l'Australia, Principe Edoardo per il Sudafrica, ed alcune altre) la cui piattaforma continentale, questa sì, anche nel senso giuridico del termine158, si sovrappone all'area di fondali entro la quale deve essere applicato il trattato di Washington, o, seguendo una via ancora più complessa, un'interpretazione che armonizzi la parte della Convenzione

di

Montego

Bay

ed

il

sistema

antartico;

pare

esclusa

l'applicazione pura e semplice della parte XI della stessa Convenzione. In tal senso anche ibid., pag. 76. Art. VI: "Les dispositions du présent Traité s'appliquent à la région située au sud du 60e degré de latitude Sud, y compris toutes les plates – fromes (sic!) glaciaires; mais rien dans le présent Traité ne pourra porter préjudice ou porter atteinte en aucune façon aux droits reconnus à tout État par le droit international en ce qui concerne les parties de haute mer se trouvant dans la région ainsi délimitée"; tratto da ORGANISATION DES NATIONS UNIES cit., pag. 77. 158 Supra, pag. 29, testo e nota 98. 44 156 157


Altre ragioni, infine, inducono a ritenere addirittura impossibile in re ipsa una qualsiasi definizione giuridica di piattaforma continentale antartica. Gli articoli 76 e seguenti della Convenzione di Montego Bay non sarebbero nemmeno idonei a tale scopo; ciò perché tale norma è estesamente fondata sul criterio della distanza dalle linee di base e per l'Antartide, continente perennemente ghiacciato, tali linee non si sono mai potute tracciare. Mentre per il Mar Glaciale Artico non vi è dubbio che il ghiaccio superficiale debba essere assimilato a tutti gli effetti al mare, perché lì non vi sono terre emerse, per l'Antartide vi è persino disaccordo sul come determinare tali linee (secondo qualcuno, si dovrebbe tenere conto dell'estensione dei ghiacci mediamente assunta in alcuni periodi dell'anno).

6.

La piattaforma continentale del Mare Glaciale Artico e le pretese

della Russia Anche il Mare Glaciale Artico è oggetto di una regolamentazione specifica di origine pattizia, peraltro molto diversa da quella riservata all'Antartide. La situazione naturale è decisamente opposta rispetto all'Antartide. Le terre emerse della calotta boreale sono costituite soltanto da isole o terreferme di Stati sovrani (Canada, Stati Uniti d'America, Danimarca, Norvegia, Russia, Islanda, Svezia, Finlandia) che sono molto distanti dal Polo Nord; un'immensa distesa di ghiaccio copre tutto il Mare glaciale artico. Dell'impossibilità di esercitare poteri sovrani ed esclusivi sul Mare Glaciale Artico nessuno ha mai dubitato, mentre si è tentato di dare qualche regolamentazione in senso permissivo sui fondali di tale area, o è stato fatto qualche tentativo concreto di esplorazione159. Fu così che ebbe luogo qualche discussione intorno la cosiddetta teoria dei settori, secondo la quale ogni Stato affacciato sul Mare Glaciale Artico sarebbe sovrano di un'area triangolare dei fondi marini, avente vertice al "[…] In November 1989 the government of Canada demostrated renewed interest in the development of the Canadian oil frontier by encouraging bids for exploration rights in offshore parcels in the Beaufort Sea […]"; tratto da D. CARON, Toward an Artic Environmental Regime, in Ocean development and international law, 1993, pag. 381. 45 159


Polo Nord e base nella linea retta che collega i punti più settentrionali delle proprie linee di base. Tale teoria non ha mai raggiunto la soglia della norma di diritto internazionale generale, ma è stata posta alla base, verosimilmente, di rivendicazioni unilaterali dotati di qualche successo. Fu così che il Canada ritenne di poter esercitare poteri di jurisdiction sulle acque artiche e rivendicare diritti sulla piattaforma continentale, per garantire a sé la possibilità, anche al di fuori da ogni ipotesi di incidente, di un'intensa lotta all'inquinamento da idrocarburi, legato al transito di petroliere rompighiaccio. Più eclatante è il caso della Russia, Stato vincolato alla Convenzione di Montego Bay dal 1997, che ritiene di poter estendere addirittura fino al Polo Nord la propria piattaforma continentale, con lo scopo, si intende, di sfruttarne liberamente, unilateralmente ed esclusivamente le risorse, ed allegando a sostegno delle proprie ragioni alcune caratteristiche geologiche della dorsale di Lomonosov, che senza soluzione di continuità mette in comunicazione il sottosuolo di un'isola della Siberia con il Polo Nord. Effettivamente la Convenzione di Montego Bay prevede deroghe in eccesso alla delimitazione della piattaforma continentale previste dall'art. 76. 5 quando vi siano dorsali o altre situazioni geologiche ad esse assimilabili; tuttavia sembra assolutamente inderogabile il limite della distanza di trecentocinquanta miglia dalle linee di base, che è assai inferiore a quella che separa il Polo Nord dalla propaggine più settentrionale delle linee di base russe. Non si può però trascurare che anche il Mar Glaciale Artico ed i suoi fondali sono oggetto di regime speciale, per quanto assai più incerto e carente di quello antartico, che comunque impone di tenere conto di accordi o di prassi specifiche. Benché, con tutta evidenza, la Convenzione di Montego Bay non possa autorizzare o riconoscere alla Russia il diritto di esplorare i fondi ed i sottofondi marini artici, più sottile ed interessante è osservare che nessuna norma può del tutto vietare tali esplorazioni. A tale scopo non sembrano bastare i limiti, puramente descrittivi, che essa pone e basa sul criterio della distanza; essa dice che al di là si entra nel regime della Zona, ma tale disciplina, secondo un procedimento logico già visto per l'Antartide, sembra 46


dover almeno convivere, o addirittura cedere, davanti ai regimi speciali di qualsiasi origine si siano formati o si formino per il Mar Glaciale Artico, sulla piattaforma del quale non sono da dimenticare rivendicazioni russe e canadesi ormai risalenti. In particolare, se venisse ritenuto ormai stabile e conforme a diritto un comportamento come quello del Canada, sarebbe ormai consolidato almeno un tratto di specialità del regime artico, sulla base del quale sarebbe difficile sostenere una piana ed integrale applicazione della Convenzione di Montego Bay per contestare una qualsiasi espansione dell'area sovrana sia della Russia, sia di qualsiasi altro Stato artico. Chi volesse opporsi ad una simile soluzione facendo leva sui peculiari aspetti di doverosità di protezione dell'ambiente marino connessi alle pretese canadesi, potrebbe vedersi obbiettare che esse non sarebbero altro che manifestazioni di sovranità del tutto tipiche, e non disgiunte oltretutto dalle pretese sulla piattaforma continentale artica, come tipiche sarebbero quelle russe connesse allo sfruttamento delle relative risorse. Inoltre, l'idea che i fondali sottostanti al Polo Nord debbano essere assolutamente sottratti a qualsiasi occupazione sembra poggiare più su valenze fortemente simboliche, quali l'unicità del punto in questione, che su obbiettive

ragioni

pratiche

o

giuridiche.

In

ogni

caso,

anche

simili

considerazioni potrebbero essere accolte per via convenzionale, delimitando i poteri della Russia o di un qualsiasi altro Stato artico ad una congrua distanza dal Polo Nord.

47


CAPITOLO II

IL 1.

SISTEMA DELLE FONTI DEL DIRITTO

L'obbligo di non inquinare nel diritto internazionale generale Nel diritto internazionale generale i principi rilevanti in materia

ambientale hanno evitato una generica permissività dei comportamenti inquinanti160. Tra tali principi la dottrina definisce centrali161, nel quadro delle norme preposte alla lotta all'inquinamento del mare, il dovere di neminem laedere, il divieto di abuso del diritto, la regola del buon vicinato ed il principio di custodia. Si tratta però di principi che riverberano, oltre che tutta la loro forza, anche le loro intrinseche debolezze, tanto che la stessa dottrina si trova poi a doverne denunciare la vaghezza162. Il principio del neminem laedere si afferma nello scorso secolo in controversie "[…] in senso lato connesse a questioni di carattere ambientale […]"163. Nella più antica di tutte, quella del fiume Oder (Germania ed altri c. Polonia), la questione dedotta in giudizio riguardava alcune modalità di esercizio di diritti su acque fluviali, dovendo stabilire se soltanto il fiume, o anche alcuni suoi affluenti, fossero soggetti a giurisdizione internazionale. La Corte Permanente di Giustizia Internazionale, dopo aver ricordato che il Trattato applicabile si ispirava alla "[…] internationalisation intégrale, c'est-àdire du libre usage du fleuve par tous les États, riverains ou non […]"164, pose la "[…] communauté d'intérêts […]"165, più ampia e diversa dal semplice diritto di passaggio166, alla base di una "[…] communauté de droit, dont les traits essentiels sont la parfaite égalité de tous les États riverains dans

"[…] to avoid a blank 'license to pollute' […]"; tratto da D. BRUBAKER, Marine pollution and international law, Principles and practise, Belhaven Press, Londra (Gran Bretagna) 1993, pag. 64. 161 Ibid., pag. 63. 162 Ibid., pag. 67. 163 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 454. 164 COUR PERMANENTE DE JUSTICE INTERNATIONALE, Affaire relative à la juridiction territoriale de la commission internationale de l'Oder, n. 16, in Recueil des arrêts, Série A, 23, pag. 27. 165 Ibid. 166 "[…] ce n'est pas dans l'idée d'un droit de passage en faveur des États […]"; ibid. 48 160


l'usage […] du fleuve et l'exclusion de tout privilège d'un riverain quelconque par rapport aux autres"167. Si osserva che la prospettiva adottata nel caso del fiume Oder non è ancora quella di dover considerare l'ambiente acquatico come mezzo di diffusione di fenomeni pericolosi o dannosi, ma, in modo non meno interessante, di esercizio di diritti. Tale interesse è dovuto in primo luogo al collegamento fatto dalla Corte tra utilizzo degli affluenti ed utilizzi del mare, nel quale il fiume Oder sfocia. Essa ricorda che "[…] la possibilité de libre accès à la mer a joué un grand rôle dans la formation du principe de la liberté de navigation sur les fleuves dits internationaux […]"168. Sembra dunque che la libertà di godere del mare sia in grado di imporre limiti alla pienezza della sovranità anche su ambiti tradizionalmente sovrani, quali le acque di un fiume totalmente interno. Dunque, il principio del neminem laedere si configura in prima analisi sotto il profilo del diritto a non subire ostacoli o molestie nell'esercizio di attività lecite. Il suo ingresso nel diritto internazionale è "[…] collegato alla progressiva scomparsa del dogma della sovranità illimitata degli Stati e all'accresciuta interdipendenza dei problemi a livello mondiale […]"169. Quando poi, nel caso della Fonderia di Trail (Stati Uniti d'America c. Canada) il Tribunale arbitrale fu chiamato a conoscere dell'an e del quantum di danni ambientali cagionati sul territorio statunitense170 da attività svolte sul confinante territorio canadese, statuendo che "[…] under the principles of international law […] no State has the right to use or permit the use of its territory in such a manner as to cause injury […] in or to the territory of another or the properties or persons therein […]"171, venne esplicitato il secondo profilo di tale principio, ovvero quello di doverosità degli Stati che Ibid. COUR PERMANENTE DE JUSTICE INTERNATIONALE, Affaire relative à la juridiction territoriale de la commission internationale de l'Oder, n. 16, in Recueil des arrêts, Série A, 23, pag. 26. 169 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 454. 170 Più precisamente alla vegetazione; tratto da UNITED NATIONS, United States of America/Canada (Trail smelter arbitration), Reports of international arbitral awards, 3, pag. 1938 e segg. Il danno lamentato aveva origine da fumi e vapori ricchi di anidride solforosa prodotti in Canada e propagatisi negli Stati Uniti d'America; il lodo prende in considerazione l'aria come mezzo di diffusione dell'agente dannoso, e non come ambiente che ha subito esso stesso un deterioramento. 171 Ibid., pag. 1965. 49 167 168


attuano determinate condotte. Si osserva che in tale caso non vi è alcun dubbio sulla soggezione dell'oggetto dell'illecito, il territorio, alla "territorial sovereignety" o alla "territorial jurisdiction"172 dello Stato offeso, la quale ancora oggi173, secondo chi scrive, deve essere ritenuta nozione diversa da quella riconosciuta agli Stati su alcune aree di mare. Lo stretto legame che il neminem laedere pone tra oggetto dell'illecito e territorial sovereignty o territorial jurisdiction, fa pensare che, anche volendo accogliere un significato del termine sovereignty tanto lato da ricomprendervi le aree di mare diverse dall'Alto Mare si configuri una violazione di tale principio soltanto quando sia minacciato o pregiudicato l'esercizio dei diritti sovrani contemplati all'art. 56 della Convenzione di Montego Bay174; in altre parole, il solo peggioramento della qualità delle acque non potrebbe essere ritenuta contraria al neminem laedere. La dottrina più recente però attribuisce a tale principio il significato di "[…] dovere di impedire l'inquinamento transnazionale […]"175, ovvero "[…] uno di quegli obblighi che sono connessi all'esercizio stesso della sovranità statale. Questa infatti […] permette di ripartire tra i vari Stati gli spazi sui quali si svolgono le attività umane, al fine di assicurare ovunque quel minimo di protezione che il diritto internazionale deve garantire. […] Il divieto di inquinamento si ricollega all'esercizio di quei poteri che lo Stato esplica, in primo luogo, sul proprio territorio e che altro non sono che l'espressione della sua sovranità […]"176, lasciando aperta l'ipotesi che un'adeguata nozione di inquinamento177 ne ampli la portata. Al contrario, un'interpretazione fondata sul mero concetto di sovranità, intesa come insieme non soltanto di poteri, ma anche di precisi doveri ("[…] tra questi, quello di evitare che le aree sottoposte al potere di governo di uno Stato vengano utilizzate per compiere degli atti contrari ai diritti degli altri Stati […]")178, potrebbero fondare una responsabilità per evento inquinante, soltanto se vi fosse pregiudizio ai diritti sovrani in articolo 56179.

172 173 174 175 176 177 178

Secondo la distinzione enunciata in S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 204. Supra, pag. 6. Supra, nota 62. I. CARACCIOLO cit., pag. 624. Ibid., pag. 624 ÷ 625. Infra, pag. 60. I. CARACCIOLO cit., pag. 625. 50


In altri passi dottrinali, sembra ormai superata la ristrettezza di una visione

limitata

ai

pregiudizi

arrecati

ai

diritti

da

ultimo

richiamati.

Ammessa la già vista "[…] configurabilità […] di un divieto generale di inquinare […]", stabilito che è […] importante accertare quale sia il contenuto di questo divieto […]"180, si conclude, utilizzando collegamenti ad altri principi di diritto internazionale generale, che il contenuto è quello "[…] di impedire che nel proprio territorio si creino le condizioni per il verificarsi di un evento dannoso nel territorio di un altro Stato […]"181, e non pare esservi ragione per intendere le parole "[…] evento dannoso […]" con significato non esteso a qualsiasi pregiudizio. In ogni caso sembra ormai chiaro, almeno secondo parte della dottrina, che sulla Zona Economica Esclusiva lo Stato eserciterebbe "[…] ses droits souverains comme ses compétences l'investissent d'une fonction dans l'intérêt de la communauté internationale […]182; in altri termini, i doveri connessi al neminem laedere riguardano anche le attività svolte sulle Zone Economiche Esclusive (e, a maggior ragione, sulle aree di mare più interne). Sembra difficile invece estendere la protezione offerta dal neminem laedere anche all'Alto mare, in quanto tra questo ed i soggetti di diritto internazionale non è configurabile un rapporto nemmeno analogicamente riconducibile a quello di sovranità. Il divieto di abuso del diritto afferma l'illiceità di una condotta astrattamente lecita, ma adottata per scopi diversi da quelli per i quali il corrispondente diritto è entrato a far parte delle norme internazionali183, ovvero con dolo, per emulazione o con fini fraudolenti. In generale, ed a maggior ragione in un ambito, quale quello del mare, dove per tradizione la libertà è la regola ed il divieto l'eccezione, il divieto di abuso del diritto è sempre stato ritenuto caratterizzato da un' "[…] estrema indeterminatezza di contenuto, la quale rende imprecisa la stessa giurisprudenza internazionale; spesso infatti, essa confonde esercizio abusivo di un diritto e mera commissione di un illecito […]"184; accertarne il contenuto urterebbe contro In generale, "[…] sembra di doversi escludere che il danno […] sia elemento costitutivo dell'illecito […]"; S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 290. 180 I. CARACCIOLO cit, pag. 624. 181 Ibid. 182 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 255. 183 D. BRUBAKER cit., pag. 65. 184 I. CARACCIOLO cit., pag. 622. 51 179


insormontabili "[…] difficulties […] since adeguate basis for the negation of the 'abuses' may be found in other, material, rules of law […]"185. La

regola

di

buon

vicinato

pone

obblighi

di

astensione

da

comportamenti che cagionino danni ai territori altrui simili a quelli del neminem

laedere.

Esprime

sicuramente

il

divieto

di

arrecare

danni

significativi agli Stati limitrofi186; tale divieto non è però, secondo la dottrina, portatore di un vero fondamento al divieto di inquinare il mare. Infatti tale principio "[…] does not, in specific terms, distinguish what is right from what is wrong […]". Specific elements are lacking […]"187. Oltretutto, si discute se "[…] this concept can be transferred to […] marine pollution, especially since there are difficulties in determining the 'equitable shares' of 160 States to the many various ocean uses. Thus, under present circumstances, 'activities liable to cause marine pollution are not subject to any specific rule of 'equitable utilization, as distinct from a general postulate of reasonable behaviour'"188. Il principio di custodia introduce l'idea che ogni Stato sulle proprie acque interne è titolare anche di doveri. Centrato su un'idea di lotta più preventiva che riparatoria delle azioni di lotta all'inquinamento marino, nasce nel 1969 da un proclama unilaterale del Primo Ministro del Canada Pierre Trudeau, secondo una prassi frequente nel diritto del mare. Un'ulteriore particolarità del principio di custodia è quella di indirizzarsi specificamente a rapporti di poteri e di doveri che si possono o si devono esercitare sul mare. Come si è visto189, con tale condotta il Canada ha assoggettato le acque comprese entro la distanza di cento miglia dalle linee di base ad una disciplina unilaterale e più restrittiva per la lotta all'inquinamento da idrocarburi. Non può sfuggire a questo punto che i doveri proclamati dal Primo Ministro Pierre Trudeau male si distinguono, ed in ogni caso non hanno esistenza autonoma, da poteri di imporre il diritto, perfettamente inseribili in un concetto di sovranità sul mare, tanto che per le acque interne viene pure proclamato che i predetti doveri sono intimamente ed inscindibilmente 185 186 187 188 189

D. BRUBAKER cit., pag. 64. Ibid., pag. 65. Ibid. Ibid. Supra, pag. 46. 52


collegati alla soggezione di queste acque alla sovranità dello Stato. Il principio di custodia giustifica190 dunque, e si associa, alla progressiva estensione dei poteri di controllo canadesi sulle acque del Mar Glaciale Artico in forza di un atto di diritto interno. È quasi tautologico ricordare che, grazie all'estensione del limite sul quale è possibile l'esercizio di uno o più poteri tipicamente sovrani, si estendono le aree di mare sulle quali è possibile esercitare erga omnes attività di difesa da pregiudizi di qualsiasi origine e natura. Sembra dunque essersi aperta un'importante via per sostenere che gli Stati abbiano poteri di pretendere che il loro mare sovrano rimanga totalmente preservato dai predetti pregiudizi, e che tali pretese siano da ritenersi fondate e bilanciate dall'insieme dei doveri ugualmente rivolti erga omnes che, dove vi è una qualsiasi articolazione del concetto di sovranità, gravano ormai con ragionevole certezza sugli Stati. Sarebbe incauto però affermare che per tale via si sia affermato un ulteriore autonomo principio generale, poiché quanto detto è soltanto frutto di una riflessione personale. Si sottolinea che la dottrina studiata non riferisce dell'esistenza né di un'opinio iuris ac necessitatis, né di una diuturnitas in tal senso, e, per inciso, si ricorda che anche i principi generali del diritto internazionale hanno la struttura e "[…] partecipano dei caratteri […]"191 propri delle norme consuetudinarie "[…] quanto ai loro elementi costitutivi ed al loro valore formale […]"192. Nuovi

orientamenti

giurisprudenziali

degli

anni

Novanta

e

l'affermazione progressiva di alcuni principi generali in materia di ambiente, considerato ormai possibile oggetto di un illecito193, e di nuovi obblighi consuetudinari a contenuto preventivo194, corroborano la riflessione da ultimo esposta.

D. BRUBAKER cit., pag. 65. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 66. 192 Ibid. 193 "[…] l'environnement n'est pas une abstraction […]"; tratto da COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Licéité de la menace ou de l'emploi d'armes nucléaires; in Recueil cit., 1996, pag. 241. 194 "[…] la conscience que l'environnement est vulnérable et la reconnaissance de ce qu'il faut continuellement évaluer les risques écologiques se sont affirmées de plus en plus dans les années […]"; tratto da COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Projet Gabčíkovo – Nagymaros; in Recueil cit., 1997, pag. 68. 53 190 191


Le pronunce esaminate devono intendersi dirette anche alla protezione del

mare,

in

quanto

"[…]

nel

contesto

internazionale

si

riconosce

generalmente che 'environment is broadly referred to as including […] water' […]"195. Con tali pronunce la giurisprudenza sembra aver superato la preesistente visione dell'ambiente quale "[…] oggetto di attenzione degli Stati soltanto in funzione della protezione di interessi diversi ed ulteriori"196; le relazioni che essa mira a disciplinare e proteggere sono tra Stati ed ambiente, e non più soltanto tra Stati. Si vuole ricordare la proclamazione del Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma, "[…] a norma del quale gli Stati hanno, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e con i principi di diritto internazionale, […] la responsabilità di assicurare che le attività svolte all'interno della loro giurisdizione o sotto il loro controllo non causino danni all'ambiente di altri Stati o di spazi sottratti alla giurisdizione degli Stati"197. Tale principio, "[…] ormai ritenuto parte integrante del diritto consuetudinario generale in materia di ambiente […]"198, può essere integrato mediante collegamento al generico dovere di neminem laedere, nell'accezione assunta e con i limiti propri espressi nel lodo della Fonderia di Trail, ovvero quelli per i quali "[…] il dovere di impedire il verificarsi di danni da inquinamento […] non riguarda tutti i danni, ma soltanto quelli di una certa gravità. Entro questo ambito lo Stato deve agire secondo la dovuta diligenza che deve essere accertata secondo dei criteri di flessibilità, in rapporto al livello di sviluppo dello Stato, sul quale si conformano le strutture dell'ordinamento giuridico, in quanto è nell'ambito e nei limiti di queste strutture che lo Stato stesso predispone gli strumenti di controllo e di prevenzione […]"199. Per quanto moderato, lo stesso Principio 21 presenta, primo ed unico, una formulazione letterale di un certo interesse. La locuzione "[…] o di spazi sottratti alla giurisdizione degli Stati […]", sembra diretta a tutelare efficacemente non soltanto l'Alto Mare o l'Antartide, ma anche che gli spazi soggetti a forme di sovranità, per così dire, attenuata, quali le Zone

195 196 197 198 199

S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 445. Ibid., pag. 447. Ibid., pag. 455. Ibid. I. CARACCIOLO cit., pag. 625 ÷ 626. 54


Economiche Esclusive, se non si vuole incorrere in una lettura palesemente irrazionale. In modo ancora più specifico, il Capitolo 17 dell'Agenda 21 è specificamente dedicato alla protezione "[…] of the oceans, all kinds of the seas, including enclosed and semi enclosed seas and coastal areas […]"200, ed afferma che "[…] the marine environment – including the oceans and all seas and adjacent coastal areas – forms an integrated whole that is an essential component of the global life – support system. […] International law […] sets forth rights and obligation of States. […] This requires new approaches to marine and coastal area management and development […]"201. Il capitolo 17 citato "[…] is circumspect in acknowledging and confirming pre-existing international agency demarcations of fields of interest and responsibility […]"202. La struttura del mare come spazio aperto203 impone anche di definire su quali soggetti gravino, al variare delle circostanze, divieti, obblighi e poteri di prevenzione o di lotta all'inquinamento marino. Ancora prima della stesura del testo della Convenzione di Montego Bay si profilarono contrasti in tal senso. Il dibattito era condizionato dall'intreccio di numerosi fattori, quali la natura della fonte inquinante (mobile o, molto più raramente, fissa), il momento del danno (preventivo o successivo alla condotta o all'evento), gli interessi politici di ogni Stato (interessi di utilizzo contrapposti ad interessi alla conservazione ambientale), l'estensione dei poteri (limitati alle operazioni meramente materiali o estesi a veri e propri poteri sovrani, tra i quali spicca l'esercizio della giurisdizione penale). Il diritto internazionale generale cominciò il proprio sviluppo intorno a tre diversi criteri di attribuzione della jurisdiction, mutuati dalla prevalente natura mobile delle navi, al tempo prevalenti fonti di inquinamento: quello dello Stato costiero, contrapposto a quello dello Stato della bandiera, entrambi contemperati da un criterio del tutto nuovo, quello dello Stato del porto. A. KIRCHNER, International Marine Environmental Law, Institutions implementation and innovations, Kluwer Law International, Londra (Gran Bretagna) 2003, pag. 78. 201 Ibid. 202 Ibid., pag. 79. 203 Supra, pag. 9; per un esempio di discussione sull'applicabilità della Convenzione di Montego Bay ai mari chiusi, infra, pag. 80. 55 200


Il primo, fortemente sostenuto dalle potenze marittime tradizionali, dà risalto alla fonte generatrice dell'inquinamento; il secondo, preferito dagli Stati costieri, che in qualche modo subiscono il traffico di navi straniere, sposta l'attenzione sull'evento e sul danno; il terzo sembra suggerito da ragioni di scopo, ispirate pragmaticamente ad una lotta all'inquinamento il più efficace possibile, nel condurre la quale si tenga conto della tendenziale imprevedibilità dei luoghi nei quali si manifesteranno i danni 204, e concentra l'attenzione sugli effetti delle misure di riparazione. Il criterio dello Stato del porto merita qualche approfondimento. Esso, applicabile soltanto ai casi di inquinamento da fonti non fisse (navi ed assimilabili), si presenta come concorrente al criterio dello Stato costiero; è un criterio mobile, ovvero che individua uno Stato diverso, a seconda della diversa natura di ogni fenomeno inquinante; è un criterio di qualità "[…] circonstancielle, et non substantielle […]"205, che individua lo Stato sulla base delle conseguenze dell'evento; pur presentandosi in generale come uno Stato costiero di secondo grado, può essere personificato anche da uno Stato senza sbocchi sul mare206. Il dibattito su tali criteri era già presente durante la stesura delle Convenzioni di Ginevra nel 1958, sulla cui forza di norme di diritto internazionale generale paiono esservi dubbi207; a quel tempo il criterio della bandiera sembrava già soffrire di un certo declino, parallelo all'affermarsi di poteri di varia natura dello Stato costiero208. Prima di affrontare quale sia la situazione del diritto internazionale offerta dalla Convenzione di Montego Bay, si pongono alcune osservazioni preliminari. Nessun criterio di ripartizione della jurisdiction è potuto prevalere su tutti gli altri, fino a diventare criterio unico, tanto che la stessa Convenzione di Montego Bay contiene norme ispirate ciascuna ad uno o più dei tre criteri citati. La scelta di non ricorrere ad un unico criterio è, in primo luogo, conseguenza anche della pluralità dei ruoli che ciascuno Stato esercita, caso R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 1009. Ibid., pag. 1023. 206 Ibid., pag. 1023 ÷ 1024. 207 Più dettagliatamente in S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 411. 208 L'art. 6 della Convenzione di Ginevra sulla pesca e sulla conservazione delle risorse viventi prevedeva già l'esistenza di un interesse speciale dello Stato costiero nella difesa di tali risorse. Così R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 1014. 56 204 205


per caso. "[…] La France en particulier, grande puissance maritime traditionnellement hostile aux entraves à la navigation, s'est rendu compte au bout de quelques catastrophes qu'elle était également un grand riverain malheureux […]"209. Si anticipa che la disciplina del diritto internazionale convenzionale è ripartita in ragione di un raggruppamento di tutte le fonti di inquinamento in sei diverse classi; nel diritto internazionale generale tale ripartizione, che è un particolare caso di ripartizione ratione materiae, serve semplicemente a ripartire tra diversi Stati i poteri di jurisdiction. Il rapporto tra i tre criteri è più all'insegna della concorrenzialità che dell'esclusività o della prevalenza; ciò sembra coerente con l'impianto finalistico210 di tutta la disciplina del diritto del mare. Il diritto internazionale pone anche il problema di una definizione di inquinamento, sulla cui base sarebbe opportuno poter distinguere gli eventi e le condotte tra leciti ed illeciti. Si è visto che essa dipende dalla visione del mare che vuole adottare; nella Convenzione di Montego Bay, la definizione di inquinamento pone questioni di interpretazione, affrontate nel paragrafo seguente, sembrando essa il prodotto di uno sforzo verso una definizione tanto ampia di inquinamento da comprenderne tutti i possibili fenomeni, e contemporaneamente dotata di una certa precisione. Infine, qui forse più che in altri casi, sembra utile sottolineare la differenza tra il potere statuale di applicare coattivamente il diritto e quello di "[…] fornire la disciplina della fattispecie […]"211. Attraverso le norme di diritto internazionale privato, che si ispirano a criteri di collegamento in gran parte analoghi a quelli di attribuzione della jurisdiction, le norme di ordinamenti diversi da quelli dello Stato che esercita i propri poteri di polizia potrebbero trovare piena attuazione. Non si può escludere che in qualche caso lo Stato della bandiera riviva, per via indiretta, una nuova e particolare centralità212. Pare di poter concludere che il diritto internazionale generale è oggi caratterizzato

da

un

numero

elevato

di

norme

comportamentali

ed

Ibid., pag. 1009. Supra, pag. 7. 211 F. MOSCONI et C. CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale, I, Parte generale e contratti, Utet giuridica, Torino 2007, pag. 11. 212 Sembra orientato in tal senso l'ordinamento italiano. L'art. 7 cod. nav., che individua la legge regolatrice della responsabilità dell'armatore e dell'esercente, è fondato sul criterio di collegamento della bandiera. Più ampiamente infra, pag. 105. 57 209 210


obbligatorie, che verranno trattate successivamente, e dalla già vista serie di principi

generali

di

forza

a

volte

incerta 213,

ma

utili

vincoli

per

un'interpretazione uniforme di regole per attività per certi versi imprevedibili, quali il trasporto o l'estrazione di risorse nel mare più aperto.

2.

Natura consuetudinaria o pattizia delle norme contenute nella

Convenzione di Montego Bay La dottrina afferma che le norme della Convenzione di Montego Bay hanno ormai valenza di norme di diritto internazionale generale, "[…] essendosi consolidate al riguardo norme consuetudinarie di contenuto corrispondente […]"214; la Convenzione in sé doveva essere ritenuta in origine "[…] vincolante soltanto per gli Stati contraenti […]"215, ma in grado di esercitare " […] effetto propulsivo per lo sviluppo del diritto internazionale del mare […]"216, mentre la natura e l'evoluzione delle singole norme della Convenzione non sono identiche, e seguono una vita propria217. Frequentemente le espressioni letterali adottate dalla Convenzione ne suggeriscono la natura di norma aperta, da integrarsi mediante il contenuto di altre. L'aspetto è interessante, in quanto numerose sono le norme di origine pattizia che, per il solo fatto di riguardare la protezione del mare dai fenomeni di inquinamento di idrocarburi, rivestono la funzione di integrare quelle della Convenzione, tra le quali, prima fra tutte, la definizione di inquinamento, contenuta nell'art. 1. 1218. Essa sembra ispirata ad un criterio di offensività, ovvero, non vi sarebbe inquinamento senza provato pregiudizio, che, stando agli aggettivi Tale sembra essere il caso del Capitolo 17 dell'Agenda 21. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 412. 215 Ibid. 216 Ibid. 217 Vi sono norme di codificazione di norme consuetudinarie già esistenti addirittura durante la conferenza di Ginevra, quali quelle sul diritto di passaggio inoffensivo. 218 Art. 1. 1: "[…] 4) […] l'introduction directe ou indirecte, par l'homme, de substances ou d'énergie dans le milieu marin, […] lorsqu'elle a ou peut avoir des effets nuisibles tels que dommages aux ressources biologiques et à la faune et la flore marines, risques pour la santé de l'homme, […] altération de la qualité de l'eau de mer du point de vue de son utilisation et dégradation des valeurs d'agrément […] "; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 82. 58 213 214


nuisibles e harmful, sarebbe peraltro integrato, sempre che la lettera della singola norma proibitiva lo consenta, anche con il semplice pericolo. A causa di una certa ambiguità lessicale, esso sussisterebbe soltanto quando la fauna, la flora, gli esseri viventi tra i quali l'uomo, e non il mare in senso stretto, riporterebbero conseguenze dannose. L'inciso finale però sembra assimilare l'evento dell'alterazione della qualità dell'acqua di mare, agli appena visti "[…] effets nuisibles […]"; fornisce anche un criterio di misura sia

di

tale

qualità,

basato

sull'utilizzo,

sia

del

danno

derivante

dall'inquinamento, basato sulla riduzione di godimento, forse anche in senso extraeconomico219. L'ambiente marino sembra essere dunque al centro della definizione di inquinamento, nella duplice veste di possibile oggetto dell'illecito, ovvero di entità che può subire i pregiudizi dell'introduction, e di mero mezzo di diffusione dell'inquinamento. Ad ogni diverso livello di qualità del mare corrispondono utilizzi innumerevoli, ma intuitivamente raggruppabili in due grandi categorie, quelli la cui possibilità è determinata o determinabile ricorrendo ad applicazioni pratiche delle scienze naturali tendenzialmente esatte (un esempio per tutte, le analisi chimiche), e quelli che invece costituiscono mera attuazione delle infinite abilità umane, mutevoli nel tempo e nello spazio. Sulla possibilità degli utilizzi della prima categoria è possibile pervenire a giudizi certi ed universali, almeno nei limiti entro i quali il sapere scientifico possa essere ritenuto tale. La dottrina riconosce apertamente l'influenza, ma non la subordinazione, delle scienze naturali sul diritto internazionale dell'ambiente220; durante questo studio è emerso che le Convenzioni prodotte dagli

Stati

o

dalle

organizzazioni

internazionali

si

compongono

frequentemente di numerosi Allegati o Appendici, che fissano parametri analitici, limiti di tollerabilità degli inquinanti, specifiche tecniche dei natanti o dei relativi componenti221.

Sia il termine francese "agrément", sia il corrispondente termine della versione inglese "amenities", suggeriscono un'idea di utilità che supera ogni possibile significato giuridico o economico. 220 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 450. 221 Una per tutte, la Convenzione di Londra del 2 novembre 1973 per la prevenzione dell'inquinamento da natanti; più estesamente infra, paragrafo 3. 59 219


Tali manifestazioni del sapere sono spesso elaborate all'interno di organismi di emanazione dei poteri sovrani degli Stati o delle organizzazioni internazionali, quali l'Institute for Marine Organisation, il cui operato è a volte reso

più

facile

da

specifiche

procedure

accelerate

o

semplificate

di

approvazione delle norme che essi producono (in genere si supera la regola dell'unanimità per adottare quella dell'approvazione a maggioranza, ma con efficacia erga omnes). Sugli utilizzi appartenenti alla seconda categoria ogni giudizio flette in una o in un'altra direzione sulla base dei diversi scopi, interessi, valori che nel tempo assumono una priorità diversa; rientrano tra questi senz'altro l'apprezzabilità delle acque marine per attività turistiche. Non sembra corretto tuttavia pensare a differenze abissali ed insormontabili di disciplina tra ciò che è o non è analiticamente verificabile; niente vieta di creare norme nelle quali il superamento di determinate soglie di concentrazioni o quantità, ritenute massime tollerabili, possa essere accertato o presunto per via indiretta attraverso una concatenazione logica di rilevanti nozioni scientifiche, o, forse, anche di massime d'esperienza. È il caso di numerose norme degli Allegati alla Convenzione di Londra per la prevenzione dell'inquinamento del mare da navi, fatta a Londra il 2 novembre 1973, che impongono, in parte anche alle piattaforme assimilabili, l'installazione di filtri, separatori, serbatoi di determinate specifiche tecniche minime, nella presunzione, ovviamente, che utilizzando specifiche meno severe si verifichi almeno il pericolo di inquinamento. Il riferimento a tale Convenzione non è casuale e tiene conto del fatto che la dottrina ricorda l'importanza e l'evoluzione di questa ed altre, alle quali attribuisce la natura di "[…] the most extensive source of customary marine environmental […]. The conventional provisions have a 'norm – creating character' and as such establish, 'rules of general applicability, rather than merely settling issues between particular State parties on the basis of expediency […]"222. È poi la stessa Convenzione di Montego Bay che in numerose disposizioni rinvia almeno implicitamente ad altre norme internazionali, convenzionali o consuetudinarie, non tanto per integrare la nozione di inquinamento, spesso assente in queste fonti speciali, ma per D. BRUBAKER cit., pag. 59. La giurisprudenza italiana esaminata non è d'accordo; infra, pag. 144. 60 222


imporre agli Stati il recepimento delle norme internazionali, o prevedendo 223 che in caso di arbitrato speciale (dunque, a seguito di un evento concreto) sia adita una commissione di esperti in grado di fissare limiti o parametri da applicarsi alla controversia in corso. Altre volte il tenore letterale delle norme suggerisce un rapporto di autonomia dalle altre fonti convenzionali, anziché di integrazione; ad esempio, pur facendo salve l'art. 196. 2224 le disposizioni di altre norme convenzionali, sembra da escludere che l'adozione da parte di uno Stato di parametri di qualità diversi da quelli delle specifiche Convenzioni costituisca di per sè violazione di un obbligo posto al comma 1225. La Convenzione di Montego Bay prevede anche un generale divieto di inquinamento; la norma in art. 192226, "[…] che a prima vista sembrerebbe imporre agli Stati un obbligo incondizionato di protezione e preservazione dell'ambiente marino (e delineare, quindi, un sistema di responsabilità oggettiva a loro carico), può essere correttamente intesa soltanto se letta alla luce di quanto previsto dal successivo art. 194 […]"227. Altre norme sono ispirate all'evidente scopo di attribuire a tutti gli Stati, senza distinzione alcuna, una somma di poteri e doveri di ampiezza

Allegato VIII, art. 2: "1. Une liste d'experts est dressée et tenue pour chacun des domaine suivants: […] 2) la protection et la préservation du milieu marin; […] 4) la navigation, y compris la pollution par les navires ou par immersion"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 440. 224 Art. 196. 2: "Le présent article n'affecte pas l'application des dispositions de la Convention relative aux mesures visant à prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin"; ibid., pag. 246. 225 Art. 196. 1: "Les États prennent toutes les mesures nécessaires pour prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin résultant de […] l'introduction intentionnelle ou accidentelle en une partie du milieu marin d'espèces étrangères ou nouvelles pouvant y provoquer des changements considérables et nuisibles"; ibid. 226 Supra, nota 135. 227 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 437. 61 223


assai varia; si vedano ad esempio gli art. 207. 1228, 210. 6229, 211230, 220. 3231, che sembrano ispirati dall'idea, abbastanza ricorrente nella dottrina, di una jurisdiction prescrittiva ed applicativa, costantemente assistita da opportune relazioni internazionali. Altre norme riprendono palesemente la distinzione dei poteri fra gli Stati sulla base dei già visti e commentati criteri di collegamento comparsi ai tempi delle Convenzioni di Ginevra. Per i poteri riconosciuti agli Stati costieri si possono vedere l'art. 211. 6232, l'art. 210. 5233, l'art. 208234 e l'art. 211. 5235, che paiono indirizzare anche questi Stati sia verso una cooperazione ed un'assistenza costanti, sia verso il mantenimento di livelli minimi di qualità dell'ambiente marino, la cui ridefinizione continua deve provenire dalle sedi internazionali.

Art. 207. 1: "Les États adoptent des lois […] pour prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin d'origine tellurique, […] en tenant compte des règles […] internationalement convenues"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 252. 229 Art. 210. 6: "[…] les lois et règlements nationaux […] ne doivent pas être moins efficaces […] que les règles et normes de caractère mondiale"; ibid., pag. 256. 230 Art. 211: "Les États, agissant par […] l'organisation internationale compétente […], adoptent des règles […] internationales visant à prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin par les navires […]. Ces lois […] ne doivent pas être moins efficaces que les règles […] internationales généralement acceptées […]. 6. Lorsque les règles […] visées au paragraphe 1 ne permettent pas de faire face […] à des situations particulières, […] cet État peut adresser une communication […]"; ibid., pag. 256 ÷ 258. 231 Art. 220. 3: "Lorsqu'un État a de […] raisons de penser qu'un navire […] a commis […] une infraction aux règles […] internationales […] visant à prévenir, réduire et maîtriser la pollution […] ou aux lois et règlements qu'il a adoptés […], cet État peut demander au navire de fournir des renseignements […] pertinents […]"; ibid., pag. 268. 232 Art. 211. 6: "[…] Un État côtier peut […] adresser à cette organisation une communication concernant la zone considérée […]. Dans un délai de 12 mois […] l'organisation décide […]. Si l'organisation décide qu'il est ainsi, l'État côtier peut adopter […] des lois […] visant à prévenir, réduire et maîtriser la pollution par les navires […]"; ibid., pag. 258. 233 Art. 210. 5: "L'immersion […] ne peut avoir lieu sans l'accord préalable exprès de l'État côtier; celui – ci a le droit d'autoriser, de réglementer et de contrôler cette immersion, après avoir […] examiné la question avec les autres États pour lesquels […] cette immersion peut avoir des effets préjudiciables"; ibid., pag. 256. 234 Art. 208. 3: "Ces normes ne doivent pas être moins efficaces que les règles et le normes internationales ou les pratiques et procédures recommandées de caractère international"; ibid., pag. 254. 235 Art. 211. 5: "[…] les États côtiers peuvent adopter […] des lois […] et donnent effet aux règles […] internationales généralement acceptées […]"; ibid., pag. 258. 62 228


Allo Stato della bandiera è ad esempio dedicato l'art. 217. 1236, palesemente ispirato alla centralità della già vista duplice veste della jurisdiction. Lo Stato del porto invece, all'art. 218. 1237, sembra essere titolare di poteri di indagine coordinati con poteri di azione attribuiti dall'art. 220. 1 238 per gli stessi fatti lesivi, allo Stato costiero. L'adozione dei tre citati criteri di ripartizione dei poteri non esclude che alcuni obblighi, ed in particolare quello positivo di "[…] prévenir, maîtriser, réduire la pollution du milieu marin […]" abbiano natura trasversale e comune a tutti o comunque a più Stati; anche questo è un indice della volontà di massimo coordinamento per tutte le attività di ostacolo ad una forma di inquinamento assai sfuggente ed indifferente ad ogni confine (tra tutte, gli art. 194. 1, 195, 196, 201, 207, 208, 209. 2, 210, 211. 3). Sembra ragionevole affermare che la Convenzione si ispiri ad un'idea di obblighi di mezzo, almeno nell'art. 194. 1239; si ricorda che tale norma integra l'obbligo generale di protezione dell'inquinamento marino posto all'art. 192. Sinteticamente si può dire che la Convenzione insiste molto su obblighi di condotta, che impongono agli Stati la creazione di norme, oltre che determinate attività esecutive; trattandosi di obblighi a volte di contenuto indeterminato, fattori quali l'integrità del mare ed il pregiudizio arrecato sembrano dover essere assunti come criteri di misura della legittimità delle condotte, dando l'impressione di una normativa molto aperta ad altre fonti, e decisamente elastica nei suoi contenuti. Si pensi alla necessità di ricostruire un significato per l'aggettivo particulières utilizzato nell'art. 211. 3240. Art. 217. 1: "[…] à ce que les navires battant leur pavillon […] respectent les règles […] internationales applicables […] ainsi que les lois […] qu'ils ont adoptés […] afin de prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin par les navires et ils adoptent les lois […] et prennent les mesures nécessaires pour leur donner effet. L'État du pavillon veille à ce que ces règles […] soient effectivement appliqués […]"; ibid., pag. 264. 237 Art. 218. 1: "lorsqu'un navire se trouve volontairement dans un port ou à une installation terminale au large, […] peut ouvrir une enquête […]"; ibid., pag. 264. 238 Art. 220. 1: "[…] peut intenter une action pour toute infraction aux lois et règlements qu'il a adoptés […]"; ibid., pag. 266. 239 Art. 194. 1: "Les États prennent […] toutes les mesures compatibles avec la Convention qui sont nécessaires […]; ils mettent en oeuvre à cette fin les moyens les mieux adaptés dont ils disposent, en fonction de leur capacités, et ils s'efforcent d'harmoniser leurs politiques […]"; ibid., pag. 244. 240 Art. 211. 3: "Les États qui, dans le but de prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin, imposent aux navires étrangers des conditions particulières pour […] l'utilisation de leurs installations terminales au large, donnent 63 236


È comunque certo che tutte le norme della parte XII (art. da 192 a 235) hanno natura di norme di sviluppo progressivo 241, espressione che nello specifico rinforza il significato d'apertura di tali norme ai principi generali del diritto internazionale ed alle Convenzioni, anche regionali o settoriali, esistenti o future242. Più precisamente, "[…] the provisions of Part XII of UNCLOS […] not only lay down a series of general obligations on states to protect the marine environment but specifically require the development, promulgation, application and enforcement by coastal and flag states […] of rules, regulations, and recommended standards and practices to protect the environment […]"243.

3.

Quadro sistematico di Convenzioni che regolano il divieto di

inquinamento da idrocarburi Le

sei

classi

di

ripartizione

delle

Convenzioni

per

la

lotta

all'inquinamento ne distinguono i fenomeni in ragione dell'origine, che può essere: a) da sorgenti terrestri; b) da attività relative al fondo marino soggette alla jurisdiction nazionale; c) da attività condotte nell'Area; d) da smaltimento

di

rifiuti;

e)

da

navi

ed

assimilabili;

f)

atmosferica

o

transatmosferica244. Nella nuova visione del diritto del mare gli idrocarburi non sono frequentemente oggetto di una classe speciale di inquinanti, ma si pongono trasversalmente ad alcune delle classi predette, e sono regolati da parti di Convenzioni, a volte universali, altre volte regionali; più raramente sono state prodotte Convenzioni ad essi specificamente dedicate. Le Convenzioni la publicité voulue à ces conditions […]"; ibid., pag. 256. 241 D. FREESTONE et al., The law of the sea, Progress and Prospects, Oxford University Press, New York (Stati Uniti d'America ) 2006, pag. 191. 242 Art. 237. 1: "La présente partie n'affecte pas les obligations particulières qui incombent aux États en vertu de conventions et d'accords spécifiques conclus antérieurement en matière de protection et de préservation du milieu marin, ni les accords qui peuvent être conclus en application des principes généraux énoncés dans la Convention"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 278). 243 P. BIRNIE, An EC exclusive economic zone: marine environmental aspects, in Ocean development and international law, 23 (1992), 244 Così M. ANGELONI et A. SENESE, Il diritto del mare nel contrasto ai traffici illeciti internazionali, Cacucci, Bari 1994, pag. 122. 64


universali spesso prevedono già la definizione di regioni entro le quali dovranno essere applicate anche Convenzioni regionali245. Una particolare attenzione è riservata al petrolio, miscela di idrocarburi di composizione piuttosto ripetitiva, definita come "[…] a naturally occurring, complex misture of organic components, resulting from the transformation of plants and animal remains under special geological conditions […]"246, che in acqua dà vita a fenomeni di pericolosità caratteristica. Esso ha normalmente peso specifico minore dell'acqua, sulla quale galleggia247; ma una volta evaporata la sua frazione più leggera, quella residua ed immiscibile precipita sul fondo del mare o si deposita sulle rive, dando vita a fenomeni di sedimentazione o di assorbimento; diversamente, per effetto dell'energia meccanica del vento e delle onde, forma emulsioni, ovvero di "[…] dispersioni colloidali di liquidi non miscibili in liquidi, come ad es. oli in acqua […]"248, che possono essere inghiottite dagli animali del mare ed entrare nel ciclo dell'alimentazione anche umana. In forma sia compatta, sia dispersa, le frazioni meno volatili del petrolio sono opache alla luce solare, e ne impediscono l'azione nei normali processi biologici delle specie marine, specialmente vegetali; altre sono invece fotosensibili, e si degradano in prodotti di scarto assai persistenti. I danni diretti ed indiretti, soprattutto sulla salute degli esseri viventi249, sono facilmente immaginabili, e non verranno qui affrontati. La Convenzione per la prevenzione dell'inquinamento del mare da smaltimento di rifiuti o altra materia, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 29 dicembre 1972, definisce smaltimento i fenomeni di deposizione in mare, soltanto se "[…] deliberate […]". Non si ha smaltimento nemmeno quando la deposizione in mare avvenga per scopi diversi dal semplice disfarsi250, o derivi

accidentalmente

dal

compimento

di

operazioni

di

normale

Una per tutte, la Convenzione di Londra del 2 novembre 1973 per la prevenzione dell'inquinamento da natanti, Allegato 1, Regola 10: "(1) For the purposes of this annex the special areas are the Mediterranean Sea area […] and the "Gulfs Area" which are defined as follows: […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH, British Shipping Laws, International marine conventions, 3: Training, Employment and Welfare, Environment, Stevens & Sons, Londra (Gran Bretagna) 1983, pag. 2296. 246 Tale definizione, prodotta nell'ambito del Programma norvegese di ricerca e di controllo dell'inquinamento marino, è riportata in D. BRUBAKER cit., pag. 12. 247 http://www.geologia.com/. 248 M. NARDELLI, Chimica generale con elementi di inorganica, Ambrosiana, Milano 1973, pag. 927. 249 D. BRUBAKER cit., pag. 12 ÷ 14. 65 245


funzionamento di quell'installazione, a meno che essa non abbia come scopo normale di funzionamento lo smaltimento o il trattamento dei rifiuti251. È dunque in tale visione che l'art. IV252 vieta tout court lo smaltimento di rifiuti oleosi in mare, stabilendone l'appartenenza alla classe di sostanze sottoposte

alla

disciplina

più

severa

(Allegato

I

all'Annesso

I);

per

argomentazione a contrario gli idrocarburi comunque non presenterebbero proprietà chimiche e fisiche tali da poter rientrare nell'allegato III 253, dedicato alle sostanze che possono essere smaltite dopo il rilascio di un permesso ordinario. Le modifiche apportate dal Protocollo del 1996 si limitano a consentire lo smaltimento di anidride carbonica nelle acque marine254, e non verranno affrontate; si ricorda soltanto che per le modifiche ai soli Allegati255,

Alcune evoluzioni del significato di smaltimento formatesi nella prassi sono ricordate infra, paragrafo 4. 251 Art. III: "(1) […] (a) 'Dumping' means: (i) […] any deliberate disposal at sea of wastes […] from […] platforms or other man – made structures at sea; (b) 'Dumping' does not include: (i) the disposal at sea of wastes […] incidental to, or derived from the normal operations of […] platforms, or other man – made structures at sea […] other than wastes […] transported by or to […] platforms or other man – made structures at sea, operating for the purpose of disposal of such matter or derived from the treatment of such wastes or other matter on such […] platforms or structures; (iii) placement of matter for a purpose other than the mere disposal thereof, provided that such placement is not contrary to the aims of this Convention. (c) The disposal of wastes […] directly arising from, or related to the exploration, exploitation and associated off – shore processing of sea – bed mineral resources will not be covered by provisions of this Convention"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2527. 252 Art. IV: "[…] (a) the dumping of wastes […] listed in Annex I is prohibited; (b) the dumping of wastes […] listed in Annex II requires a prior special permit; (c) the dumping of all other wastes […] requires a prior general permit"; l'Allegato I nella versione emendata e più recente comprende: "[…] 5. Crude oil, […], and any mixtures containing […]"; ibid., pag. 2533. 253 Allegato III: "Provisions to be considered in establishing criteria governing the issue of permits […] include: A – […] 3. Properties: physical (e. g. solubility and density), chemical and biochemical (e. g. oxygen demand, nutrients) […]. 4. Toxicity. 5. Persistence: physical, chemical and biological. 6. Accumulation and biotransformation in biological materials or sediments. 7. Susceptibility to physical, chemical and biochemical changes and interaction in the aquatic environment […]"; ibid., pag. 2534. 254 Tratto da http://www.imo.org. 255 Art. XV. 2: "Amendments to the Annexes will be based on scientific or technical considerations. Amendments […] approved by a two – thirds majority […] shall enter into force for each Contracting Party immediately on notification of its acceptance […] and hundred days after approval by the meeting for all other Parties except for those which […] make a declaration that they are not able to accept the amendment […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2532. 66 250


vincolanti per tutti gli Stati che sono Parte o hanno aderito alla Convenzione, è prevista una procedura semplificata di approvazione a maggioranza. La lotta all'inquinamento da sorgenti terrestri e di origine atmosferica e trans atmosferica è regolata da una serie di Convenzioni regionali, il cui ambito di applicazione può essere esteso anche all'inquinamento da attività di sfruttamento ed esplorazione lontane dalla terraferma. Tale proliferazione di Convenzioni è dovuta alla molteplicità di casi di inquinamento regionale (Mare di Barents, Mare del Nord, Mar Baltico) e di tipi di fonte inquinante (raffinerie, piattaforme di estrazione)256. Non essendone possibile una trattazione unitaria, si è scelto di dare dato risalto a Convenzioni di portata tendenzialmente universale, ed ai relativi problemi di applicabilità. A queste appartiene il sistema MARPOL 73/78, composto dalla Convenzione per la lotta all'inquinamento del mare da navi, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 2 novembre 1973, e dai successivi Protocolli e Risoluzioni, che pone questioni non facilmente eludibili ed aventi origine sia nei sistemi previgenti, sia in alcune definizioni che esso adotta. Le origini di tale sistema risalgono alla Convenzione per la prevenzione dell'inquinamento del mare da sostanze oleose, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 12 maggio 1954, emendata nel 1962 e nel 1969 dalle Parti, e dall'International Maritime Consultive Organisation nel 1971. Primo problema che esso pone è quello, ricorrente, della definizione di nave in art. 1257, in quanto

sul

significato

di

questa

deve

essere

ricostruito

l'ambito

di

applicazione della Convenzione. La dottrina è divisa258 sull'applicabilità di tale sistema, detto OILPOL, alle piattaforme; tale divisione sembra essere sintomatica di una difficoltà intrinseca di assimilare pienamente i vari tipi di piattaforme alla nozione di nave. Altre difficoltà sembrano esservi nell'interpretazione e nell'applicazione alle piattaforme di alcune prescrizioni tecniche specificamente concepite per

D. BRUBAKER cit., pag. 244. Art. 1: "[…] 'ship' means any sea – going vessel of any type whatsoever, including floating craft, whether self propelled or towed by another vessel, making a sea voyage […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2242. 258 In senso negativo, supra, nota 6; in senso affermativo, R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 692; più ampiamente infra, pag. 102. 67 256 257


le navi. Si consideri la regola di divieto di scarico259, assoluto per le navi ferme, e derogabile nel rispetto di un limite massimo ed istantaneo di portata260. L'ulteriore imposizione di limiti massimi di concentrazione di oli si traduce, indirettamente, in un ulteriore limite massimo ed istantaneo di portata degli oli. Si tratta di una regola che privilegia le navi più veloci, e riserva la massima severità alle navi, o natanti ad esse assimilabili, ferme. Esistono oggi261 piattaforme in grado di eseguire la ricerca di idrocarburi in fase di galleggiamento statico, fase durante la quale sono ipotizzabili, ancorché non voluti, fenomeni di scarico262 di idrocarburi che, a rigore, dovrebbero essere ritenuti assolutamente vietati. Più difficile stabilire se una piattaforma in movimento, ed in condizioni di minor rigore del divieto, abbia qualche ragione di scaricare in mare idrocarburi; potrebbe darsi tale eventualità

in

presenza

di

operazioni

di

manutenzione

in

mare,

a

perforazione già ultimata. La sussistenza, in condizioni prevalenti, di un divieto così estremo, potrebbe far discutere sulle ragioni di assimilabilità delle piattaforme alle navi, e sulla conseguente applicabilità di OILPOL e di altre Convenzioni; si tratterebbe di chiarire, in altri termini, se tali ragioni si fondino sulla mera situazione di galleggiamento, o, come pare preferibile a chi scrive, se non altro per ragioni tecniche, sulla combinazione delle due situazioni di galleggiamento e di movimento in mare263. Mancando in OILPOL un espresso divieto di diluizione degli scarichi con acqua di mare appositamente prelevata allo scopo, si potrebbe in prima battuta ipotizzarne una facile elusione; si osserva però che, poiché i limiti analitici si riferiscono al liquido da scaricare, anziché alla qualità del mare che lo riceve, le diluizioni dovrebbero essere eseguite sulla nave; tali operazioni sembrano

essere

tecnicamente

impossibili

per

l'impossibilità,

pena

Art. 3, lett. a: "[…] from a ship […], other than a tanker, of oil or oily mixture […] "; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2242. 260 Espresso in unità di volume per unità di distanza percorsa. Poiché la tratta percorsa è funzione della velocità della nave, e la velocità è il rapporto tra spazio percorso e tempo impiegato, il limite predetto si traduce in un limite di quantità degli scarichi nel tempo, ovvero in un limite di portata. 261 Più estesamente infra, pag. 96. 262 Per una più ampia trattazione della definizione di scarico, infra, pag. 108. 263 Per uno studio della dottrina su queste questioni, infra, pag. 99. 68 259


affondamento, di prelievo, accumulo, trattamento di volumi d'acqua tanto elevati da realizzare una diluizione efficace. Anticipando il sistema MARPOL, l'art. IX, numero 2, lettera b impone operazioni di pulizia e manutenzione264 e le assoggetta ad autocontrollo e registrazione265. Gli strumenti di ratifica o di adesione al sistema OILPOL sono stati depositati in misura ed in momenti diversi, durante più di vent'anni. Anche se sostituito dal sistema MARPOL 73/78266, l'OILPOL dovrebbe essere ancora oggi applicato alla Bosnia Erzegovina267 ed a pochi altri Stati dotati di una flotta mercantile limitata268 (l'11 giugno 1974 OILPOL era entrato in vigore per la Iugoslavia, alla quale la Bosnia Erzegovina succede). Per sistema MARPOL 73/78 si intende il complesso di norme dettate dalla Convenzione per la lotta all'inquinamento del mare da navi, fatta a Londra il 2 novembre 1973, e da una serie assai numerosa di Protocolli e Risoluzioni anche molto recenti. Le revisioni dal 1984 al 2007 sono qualificate amendments269;

la

ratifica

o

l'adesione

alla

Convenzione

implica

l'accettazione incontestabile dei soli Allegati I e II. MARPOL 73/78 include espressamente nella nozione di nave le piattaforme

fisse

e

l'accennata

questione

galleggianti270,

risolvendo,

dell'assimilabilità

alle

almeno navi

delle

testualmente, piattaforme

(segue da nota 265) "[…] for ships other than tankers: (b) (i) ballasting or cleaning of bunker fuel tanks; (ii) discharge of dirty ballast or cleaning water from tanks referred to under (i) of this sub – paragraph; (iii) disposal of residues; (iv) discharge overboard of bilge water containing oil […] and the routine discharge at sea of bilge water containing oil unless the latter has been entered in the appropriate log book […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2245. 265 Art. IX: "[…] (2) The oil record book shall be completed on each occasion, […] whenever any of the following operations take place in the ship: […] (segue in nota 264). 3. Each operation described in paragraph 2 of this Article shall be fully recorded […]"; ibid. 266 Art. 9: "1. Upon its entry into force, the present Convention supersedes the International Convention for the Prevention of Pollution of the Sea by Oil, 1954, as amended, as between Parties to that Convention"; ibid., pag. 2281. 267 Il problema dell'applicabilità alla Bosnia Erzegovina, che non ha sottoscritto il sistema MARPOL, dei trattati ai quali fu parte la Iugoslavia, non può essere risolto in questa sede. OILPOL sarebbe applicabile se non si dovesse applicare la regola della tabula rasa; per cenni generali a tale regola, infra, pag. 81. La data di entrata in vigore di OILPOL per la Iugoslavia è stata tratta da http://www.imo.org/. 268 A. KHEE – JIN TAN, Vessel – Source Marine Pollution, Cambridge University Press, New York (Stati Uniti d'America) 2006, pag. 129. 269 Tratto da http://www.imo.org. 270 (segue da nota 272) "[…] (4) […] a vessel of any type […] and includes […] fixed or floating platforms"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2278 ÷ 2279. 69 264


galleggianti ma in fase statica; pone una definizione di scarico, da un lato, più

ampia

di

quella

contenuta

in

OILPOL271

e,

dall'altro,

del

tutto

complementare a quella data dalla già vista Convenzione sullo smaltimento, escludendo dal proprio ambito di applicazione quei fenomeni che siano conseguenza diretta di attività di esplorazione272. Nello specifico, la disciplina dello scarico di idrocarburi si fonda su una definizione di olio molto ampia273 ed integrata dall'Allegato I al Protocollo I. Sulle navi di più di quattrocento tonnellate grava il nuovo divieto di scarico all'interno di aree speciali; il divieto di diluizione 274 viene stabilito in modo espresso, anziché mediante la già vista combinazione di limiti di portata degli oli e dello scarico; le condizioni di ammissibilità degli scarichi tengono conto di parametri analitici già previsti dal sistema OILPOL 275 e, fatto nuovo, anche della distanza dalla costa, ma non della velocità della nave al momento dello scarico, così che soltanto una riflessione specifica, corredata da esperienza pratica,

potrebbe

dire

se

la

nuova

disciplina

sia

da

ritenersi

complessivamente più restrittiva. Agli Stati parte della Convenzione sono

Art. 2: "[…] (3) (a) Discharge, in relation to harmful substances or effluents containing such substances, means any release howsoever caused from a ship and includes any escape, disposal, spilling, leaking, pumping, emitting or emptying […]"; ibid., pag. 2278. 272 (segue da nota 271) "Discharge […] does not include: (i) dumping within the meaning of the Convention on the Prevention of Marine Pollution by Dumping of Wastes and Other Matter, done at London on November 13th, 1972; or (ii) release of harmful substances directly arising from the exploration, exploitation and associated off – shore processing of seabed mineral resources […]"; ibid. 273 Regola 1 (Annex I to Protocol 1st): "For the purposes of this Annex: (1) Oil means petroleum in any form including crude oil, fuel oil, sludge […] and […] includes the substances listed in Appendix I to this Annex". L'Appendice I, intitolata "List of Oils" (ibid., pag. 2313), comprende, in modo non esaustivo, asfalti, oli, nafte; ibid., pag. 2290. 274 (segue da nota 273): "(4) The provision of paragraph (1) of this Regulation shall not apply to the discharge of clean or segregated ballast. The provision of paragraph (1) (b) of this Regulation shall not apply to the discharge of oily mixture which without dilution has an oil content not exceeding fifteen parts per million"; ibid., pag. 2296. 275 Regola 9: "(1) […], any discharge into the sea of oil or oily mixtures […] shall be prohibited except when all the following conditions are satisfied: […] (b) from a ship of 400 tons […] and above […]: (i) the ship is not within a special area; (ii) the ship is more than twelve nautical miles from the nearest land; (iii) the ship is proceeding en route; (iv) the oil content […] is less than hundred parts per million; and (v) the ship has in operation an oil discharge monitoring and control system, oily water separating equipment, oil filtering […]"; ibid., pag. 2295. 70 271


senz'altro riconosciuti poteri più estesi di ricognizione ed azione, fondati su considerazioni meramente visive dello stato del mare276. Sono escluse da tale disciplina le zavorre pulite o separate; è di nuova introduzione l'obbligo di ritenzione e di consegna dei residui oleosi difformi da quelli scaricabili277 alle strutture appositamente collocate nei porti, la cui installazione è imposta dalla Regola 12278. Il sistema OILPOL aveva già stimolato la ricerca di soluzioni tecniche innovative

per il corretto

trattamento

degli scarichi

oleosi279,

la cui

importanza viene riconosciuta dallo stesso Preambolo del sistema MARPOL280. L'allegato I prosegue su questa via, dettando altre prescrizioni da applicarsi già durante la costruzione o l'installazione della piattaforma, quali l'obbligo di dotare le strutture di serbatoi separati per le zavorre acquose, derogabile soltanto in circostanze anomale281, o l'obbligo di installazione di separatori e di filtri approvati da un'autorità statale, nel rispetto delle raccomandazioni internazionali282, di serbatoi per la raccolta temporanea dei residui oleosi non (segue da nota 275) "[…] (3) Whenever visible traces of oil are observed, […] Governments […] should […] promptly investigate […]". Una previsione identica è dettata alla Regola 10, numero 6; ibid., pag. 2296 ÷ 2297. 277 (segue da nota 276) "[…] (6) The oil residues which cannot be discharged into the sea in compliance with paragraphs (1), (2) and (4) of this Regulation shall be retained on board or discharged to reception facilities"; ibid., pag. 2296. 278 Regola 12: "(1) […] the Government of each Party undertakes to ensure the provision at oil loading terminals […] of facilities for the reception of such residues and oily mixtures […]"; ibid., pag. 2299. 279 Si fa cenno al sistema Load On Top, che "[…] avoided the necessity of washing tanks. […] Very importantly, it appeared to reduce the demand for reception facilities […]". Peraltro, "[…] the result of LOT's effective adoption by industry ahead of the 1969 amendments […] became irrelevant […]"; tratto da A. KHEE – JIN TAN cit., pag. 120 ÷ 122. 280 Preambolo: "[…] the importance of the International Convention for the Prevention of Pollution of the Sea by Oil, 1954 […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2278. 281 Regola 14: "(1) Except as provided in paragraph (2) of this Regulation, in new ships […] other than oil tankers […] no ballast water shall be carried in any oil fuel tank. (2). Where abnormal conditions […] render in necessary to carry ballast water […] in any oil fuel tank, such ballast water shall be discharged […] in compliance with Regulation 9 using the equipment specified in Regulation 16 (2) of this Annex, and an entry shall be made in the Oil Record Book […]"; ibid., pag. 2300 ÷ 2301. 282 Regola 16: "(1) Any ship of 400 tons gross tonnage and above shall be fitted with an oily – water separating equipment or filtering system […]. (3) The Administration shall ensure that ships of less than 400 tons gross tonnage are equipped […] to retain on board oil or oily mixtures or discharge them in accordance with the requirements or Regulation 9 (1) (b) of this Annex. […]. (5) An oil discharge monitoring and control system shall be of a design approved by the Administration […]. (6) Oily – water separating equipment […] shall be of a design approved by the Administration and shall be such as will ensure that any oily mixture discharged into 71 276


trattabili283. Le piattaforme in esercizio sono soggette alle regole 16 e 17 dell'Allegato I in quanto applicabili284, ed in tale ultima espressione riecheggia, a parere di chi scrive, una non del tutto risolta questione di assimilabilità

delle

piattaforme

alle

navi,

nonostante

la

chiarissima

formulazione del già visto art. 2. Numerose altre prescrizioni riguardano la tenuta di libri, registri e certificati a cura dell'ufficiale di bordo, e sono applicabili anche alle piattaforme in ogni fase della loro vita attiva 285, in quanto assimilate, ai sensi della Regola 21 alle navi di stazza superiore a quattrocento tonnellate; sono tenute all'installazione di adeguati sistemi di lavaggio

e

raccolta286,

di

controllo287,

e

l'adozione

di

determinate

caratteristiche costruttive288. Il

contenuto

delle

singole

prescrizioni

tecniche

è

soggetto

ad

aggiornamento periodico regolato dall'art. 16 della Convenzione, secondo una diversa procedura a seconda che si tratti dell'emendamento ad un articolo, all'Appendice di un Allegato o ad un Allegato289. Dal 1984 ad oggi gli the sea […] shall have an oil content of less than 100 parts per million. In considering the design […], the Administration shall have regard to the specification recommended by the Organisation. (7) The oil filter […] shall be of a design approved by the Administration […]"; ibid., pag. 2303. 283 Regola 17: "(1) Every ship of 400 tons gross tonnage and above shall be provided with a tank […] to receive the oily residues […]"; ibid., pag. 2304. 284 Regola 21: "Fixed and floating drilling rigs […] and other platforms shall comply with the requirements of this Annex applicable to ships of 400 tons gross tonnage and above other than oil tankers, except that: (a) they shall be equipped as far as practicable with the installations required in Regulations 16 an 17 […]"; ibid., pag. 2306. 285 Regola 20: " (1) […] every ship of 400 tons gross tonnage and above other than an oil tanker shall be provided with an Oil Record Book […]"; ibid., pag. 2305. 286 Regola 15: "(2) (a) Adequate means shall be provided for cleaning the cargo tanks and transferring the dirty ballast residue and tanks washings […] into a slop tank […]. (b) In this system arrangements shall be provided to transfer the oily waste into a slop tank […] in such way that any effluent […] will be such as to comply with the provisions of Regulation 9 of this Annex. (c) The arrangements of the slop tank […] shall have a capacity necessary to retain the slops […]. (d) Slop tanks shall be so designed particularly in respect of the position of inlets, outlets, baffles or weirs where fitted […]"; ibid., pag. 2301. 287 Art. 16: "[…] (2) […] (f) […] (i) an amendment to an Article of the Convention shall be deemed to have been accepted on the date on which it is accepted by two thirds of the Parties, the combined merchant fleets of which constitute not less than fifty per cent of the gross tonnage of the world's merchant fleet […]"; ibid., pag. 2284. 288 Supra, nota 287. 289 (segue da nota 287) "[…] (ii) an amendment to an Annex […] shall be deemed to have been accepted […] unless the appropriate body […] determines that the amendment shall be deemed to have been accepted on the date on which it is accepted by two thirds of the Parties; (iii) an amendment to an Appendix to an 72


Allegati sono stati inaspriti attraverso più di venti emendamenti, tra i quali: a) quello entrato in vigore il 7 gennaio 1986, per proteggere con più efficacia le aree speciali; b) alcuni di quelli entrati in vigore tra l'1 aprile 1989 ed il 17 marzo 1992, che estendono a nuove aree il regime delle aree speciali già previsto dall'Allegato I alla Convenzione; c) quello entrato in vigore l'1 agosto 2007, che

impone requisiti tecnici più severi ai serbatoi di

combustibile. Il sistema MARPOL si applica alle navi che battono o operano di fatto sotto la bandiera di uno Stato parte290 e a quelle291 che si trovano in spazi di mare soggetti alla jurisdiction, o il cui ordinamento richiama la legge di uno Stato che è parte del Sistema292. Anticipa infine la propria funzione integratrice di una nuova Convenzione quadro sul diritto del mare293.

4.

Effetti della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati riguardo

l'interpretazione delle Convenzioni La Convenzione sul diritto dei trattati, fatta a Vienna il 22 maggio 1969, ha voluto "[…] significare […] il carattere unitario dell'operazione interpretativa, destinata a valersi, in modo organico, di tutti i mezzi utili […] considerati dalla giurisprudenza e dalla dottrina. […]"294. Peraltro si devono "[…] riconoscere i plurimi precetti interpretativi, onde la norma stessa è costituita"295. Annex […] shall be deemed to have been accepted at the end of a period to be determined […] unless within that period an objection is communicated […] by not less than one third of the Parties […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2284. 290 Art. 3: "(1) The present Convention shall apply to: (a) ships entitled to fly the flag of a Party to the Convention; and (b) ships […] which operate under the authority of a Party"; ibid., pag. 2279. 291 Combinato disposto tra art. 2: "[…] (5) 'Administration' means the Government of the State under whose authority the ship is operating […]" ed art. 4: "(1) Any violation […] shall be prohibited and sanctions shall be established […] under the law of the Administration of the ship concerned wherever the violation occurs […]"; ibid. 292 Art. 4: "[…] (2) Any violation of the requirements of the present Convention within the jurisdiction of any Party to the Convention shall be prohibited and sanctions shall be established therefore under the law of that Party […]"; ibid. 293 Art. 9: "[…] (2) Nothing in the present Convention shall prejudice the codification and development of the law of the sea […]"; ibid., pag. 2281. 294 A. MARESCA, Il diritto dei trattati, La Convenzione codificatrice di Vienna del 23 maggio 1969, Giuffré Editore, Milano 1971, pag. 350. 295 Ibid. 73


L'art. 31. 1 della Convenzione in parola296 esalta l'importanza del contesto (contexte) nel quale il Trattato si inserisce, da intendersi come "[…] un sistema normativo inteso a un preciso fine di vita sociale internazionale […]", il quale, secondo l'art. 31. 2 comprende anche fonti ulteriori 297, quali il Preambolo e gli Allegati. L'unitarietà

dell'interpretazione

è

fondamentale

nella

materia

dell'inquinamento marino, articolata in un numero elevato di Convenzioni; la stessa ricostruzione della nozione di inquinamento, operazione che applica "[…] una norma convenzionale ad un fatto concreto, o ad una specifica situazione della vita internazionale […]"298, deve tenere conto di più fonti. Il Preambolo "[…] tende ad affermare, alle soglie del trattato stesso, la sua ragion d'essere, […] è illuminante circa la ratio iuris delle regole poste dal trattato e può efficacemente contribuire ad una corretta interpretazione di ciascuna di esse […]"299; "[…] enuncia lo scopo del trattato ed il quadro normativo nel quale esso si inserisce […]"300. Tale inciso potrebbe sciogliere i casi più dubbi di interpretazione, indirizzando

fermamente

verso

significati

più

rigorosi

delle

diverse

prescrizioni di ostacolo all'inquinamento, sparse nelle varie Convenzioni. Molti Preamboli studiati301 in questa sede esprimono valutazioni, auspici, Art. 31. 1: "[…] un traité doit être interprété de bonne foi suivant le sens ordinaire à attribuer aux termes du traité dans leur contexte et à la lumière de sono objet et de son but […]"; ibid., pag. 783. 297 Art. 31. 2: "[…] le contexte comprend, outre le texte, préambule et annexes inclus: a) tout accord ayant rapport au traité et qui est intervenu entre toutes les parties à l'occasion de la conclusion du traité […]"; ibid., pag. 784. 298 Ibid., pag. 334. 299 A. MARESCA cit., pag. 355. 300 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 98. 301 Preambolo alla Convenzione per la lotta all'inquinamento da navi, fatta a Londra il 2 novembre 1973: "[…] need to preserve the human environment in general and the marine environment in particular […] deliberate, negligent or accidental release of oil and other harmful substances from ships constitutes a serious source of pollution […] the importance of the International Convention for the Prevention of Pollution of the Sea by Oil, 1954 "[…] achieve the complete elimination of intentional pollution of the marine environment by oil […] and the minimization of accidental discharge of such substances […] this object may best be achieved by establishing rules not limited to oil pollution"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2278; per il Preambolo alla Convenzione di Montego Bay, supra, pag. 6; Preambolo alla Convenzione per la lotta all'inquinamento da smaltimento di rifiuti ed altra materia, fatta a Londra il 28 dicembre 1972: "[…] international action to control the pollution of the sea by dumping can and must be taken without delay but this action should not preclude discussion of measures to control other sources of marine pollution as soon as possible […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2526. 74 296


finalità che in modo sistematico tendono, secondo di chi scrive, a porre in risalto l'importanza di mantenere il mare assente da contaminazioni, tanto che tali Preamboli sembrano a loro volta formare un sistema univoco nell'ambito del sistema dei Trattati. "[…] Gli allegati al trattato sono complessi di disposizioni che tendono a regolare, in modo particolareggiato, alcuni specifici aspetti della materia […]. Il coordinamento tra tali disposizioni e quelle contenute nel testo del trattato tende a chiarire e precisare il senso che è proprio delle parole contenute costituisce,

nell'uno quindi,

o

nell'altro

ordine

operazione

di

logico

regole. –

Tale

giuridica

coordinamento che

converge

all'interpretazione […]"302. Possono "[…] avere il contenuto più vario secondo la materia oggetto dell'accordo. Si può trattare […] di un elenco di definizioni utilizzate nel testo […], e così via"303. Gli Allegati alla Convenzione di Londra del 2 novembre 1973 integrano efficacemente il contenuto delle norme convenzionali; esplicitano, come già visto, che il petrolio ad ogni stato di lavorazione è da ritenersi sempre sostanza oleosa, secondo la definizione convenzionale, stabiliscono le specifiche tecniche minime dei dispositivi di filtrazione e non solo, mentre i già visti Allegati alla Convenzione di Londra del 13 maggio 1972 esplicitano il livello di pericolosità e i diversi gradi di divieti che riguardano vari elementi e composti304. L'art. 31. 2 inserisce nella nozione di contesto anche "[…] tout instrument établi par une ou plusieurs parties à l'occasion de la conclusion du traité et accepté par les autres parties en tant qu'instrument ayant rapport au traité". Tali strumenti assumono la forma di "[…] un accordo […] non vincolato alla forma del trattato interpretato, e che obbliga gli Stati a non discostarsi dall'interpretazione così convenuta"305. Inoltre, "[…] può essere difficile stabilire se un accordo o una prassi si limitino ad interpretare un trattato o ne modifichino le disposizioni"306. Gli "instruments" del sistema MARPOL 73/78 hanno tutti la forma delle Risoluzioni; esse stimolano gli Stati ad anticipare, accellerare, aggiornare, 302 303 304 305 306

A. MARESCA cit., pag. 355. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 98. Supra, pag. 67. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 98. Ibid. 75


estendere a nuove Parti gli effetti degli accordi307. Nel dettaglio, tali Risoluzioni

contengono

Raccomandazioni

dell'International

Maritime

Consultive Organisation (oggi, International Maritime Organisation)308 di aggiornamento tecnico, che per questa via può essere introdotto negli ordinamenti degli Stati con una certa rapidità. L'art. 31. 3309 detta un'idea di contesto aperta ad altre fonti pattizie, assegnando a queste un certo rilievo nell'interpretazione. Si ritiene che ciò sia diverso dalla già vista apertura ad altre fonti pattizie con funzione integratrice del precetto consona alla Convenzione di Montego Bay. La citata apertura all'interpretazione sembra in grado di dare nuove sfumature ad alcune disposizioni di quest'ultima. Si pensi alla forza che può avere la più recente nozione di inquinamento della Convenzione di Montego Bay, così come illustrata310, ed assente nel sistema MARPOL, tutto centrato sulla nozione di scarico; casi dubbi di conformità di uno o più comportamenti potrebbero essere risolti proprio grazie alla regola interpretativa in esame. Gli emendamenti sono il risultato di "[…] procedure intese soltanto al fine di operare, rispetto al trattato originario, […], certe modificazioni"311; la Convenzione in parola "[…] ha posto norme intese a regolare […] le Risoluzione 1: "[…] do so as a matter of urgency without awaiting the entry into force of the International Convention for the Prevention of Pollution from Ships, 1973"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2357; Risoluzione 2: "[…] become Parties to the Convention as soon as possible and to give effect to later amendments there to with the mimimum delay […]"; ibid.; Risoluzione 6: "[…] the Organisation take appropriate steps […] to review, on a comprehensive basis, the environmental problems created by the discharge of all petroleum – derived oils"; ibid., pag. 2360. 308 A. 349 (IX) del 12 novembre 1975 sull'assistenza tecnica nel campo dell'inquinamento marino; A. 393 (X) del 14 novembre 1977, contenente raccomandazioni sui requisiti internazionali e le specifiche analitiche per i dispositivi di separazione acqua – olio ed i misuratori di contenuto d'olio; A. 444 (XI) del 15 novembre 1979, contenente raccomandazioni sull'installazione dei dispositivi di separazione acqua – olio previsti dalla convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento da navi, così come modificata dal relativo protocollo del 1978; A. 445 (XI) del 15 novembre 1979, sul monitoraggio degli scarichi oleosi ed i sistemi di controllo per i serbatoi delle navi cisterna; A. 447 (XI) recante linee guida provvisorie sulla registrazione degli incidenti che comportano lo scarico reale o probabile di sostanze pericolose; A. 448 (XI) del 15 novembre 1979, contenente adeguamenti regionali per la lotta ai maggiori incidenti o minacce di inquinamento marino; ibid., pag. 2370 ÷ 2413. 309 Art. 31. 3: "[…] en même temps que du contexte: a) de tout accord ultérieur intervenu entre les parties au sujet de l'interprétation du traité ou de l'application de ses dispositions […]; b) […] toute règle pertinente de droit international applicable dans les relations entre les parties"; tratto da A. MARESCA cit., pag. 784. 310 Supra, pag. 60. 311 A. MARESCA cit, pag. 458. 76 307


procedure […] di carattere diplomatico, dirette ad operare emendamenti […] ", che si distinguono dalle modificazioni per essere "[…] conclusi tra tutti gli Stati originariamente partecipi dei trattati […]". Tali regole di procedura "[…] hanno carattere soltanto dispositivo: tendono, cioè, a prevedere le procedure idonee all'uopo, per il caso in cui le parti non abbiano previsto esse stesse, nella loro autonomia convenzionale, procedure diverse […]"312. Nel sistema MARPOL 73/78 gli emendamenti consentono soprattutto un aggiornamento più rapido di alcune prescrizioni tecniche, evitando che, in assenza, si fossilizzi il consenso unanime, o vada persa l'unitarietà del sistema. Peraltro l'art. 39313 della Convenzione di Vienna deve intendersi norma

cedevole,

davanti

alle

disposizioni

specifiche

delle

singole

Convenzioni. I

Trattati

possono

essere

oggetto

di

estinzione

per

"[…]

manifestazione espressa di volontà degli Stati volta a porre termine o a sospendere il trattato […]"314, regolata dagli articoli 54315 e seguenti. Tali norme suggeriscono una preferenza verso la conservazione dei trattati già in essere. In ogni caso, l'art. 59. 1, sia nella parte in cui fonda le ragioni di estinzione di un trattato nella volontà di tutte le parti, sia a maggior ragione nella parte in cui si fonda sull'incompatibilità tra le disposizioni vecchie e nuove, fa pensare che, nonostante il già visto art. 9 del sistema MARPOL316, l'interpretazione

di

questo

debba

ancora

tenere

in

considerazione

il

precedente sistema OILPOL .

Ibid., pag. 458 ÷ 459. Art. 39: "[…] Sauf dans la mesure où le traité en dispose autrement, les règles énoncées dans la partie II s'appliquent à un tel accord"; ibid., pag. 785. 314 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 111 ÷ 112. 315 Art. 54. 1: "L'extinction d'un traité ou le retrait d'une partie peuvent avoir lieu: a) conformémement aux dispositions du traité […]"; art. 55. 1: "[…] un traité multilatéral ne prend pas fin pour le seul motif que le nombre des parties tombe au – dessous du nombre nécessaire pour son entrée en vigueur"; art. 59. 1: "Un traité est considèré comme ayant pris fin lorsque toutes les parties à ce traité concluent ultérieurement un traité portant sur la même matière et: a) s'il ressort du traité postérieur […] que selon l'intention des parties la matière doit être régie par ce traité; b) si les dispositions du traité postérieur sont incompatibles avec celles du traité antérieur à tel point qu'il est impossible d'appliquer les deux traités au même temps"; tratto da A. MARESCA cit., pag. 789 ÷ 790. 316 Supra, nota 266. 77 312 313


5.

La disciplina vigente per lo sfruttamento della piattaforma

continentale del Mar Caspio Il Mar Caspio è uno specchio d'acqua chiuso tra le sponde di cinque diversi Stati (Russia, Azerbaigian, Iran, Turkmenistan e Kazachistan), tre dei quali (Azerbaigian, Turkmenistan e Kazachistan) hanno avuto origine dalla scissione

dell'Unione

delle

Repubbliche

Socialiste

Sovietiche.

È

geologicamente suddiviso nei due bacini settentrionale e meridionale317, il primo dei quali sovrasta la piattaforma continentale (nel significato geologico del termine) riferibile alla Russia, ed appartiene per la maggior parte al Kazachistan; l'altro è per lo più costituito da acque che non possono essere qualificate interne. L'intera regione è già stata oggetto di ricerche di risorse petrolifere; è ormai certa l'esistenza di pozzi sulla piattaforma di sovranità kazaca. Vi è inoltre una fitta rete di oleodotti e gasdotti, alcuni già ultimati e funzionanti, altri in fase di progetto o di costruzione. La disciplina dell'intero Mar Caspio è stato oggetto di due Convenzioni tra l'Unione Sovietica e l'Iran nel 1921 e nel 1940, che denominano il Mar Caspio come Mare Iranian – Sovietico, e stabiliscono una zona esclusiva di dieci miglia dalla costa per consentire la pesca ai due Stati costieri. Non contengono

disposizioni

che

consentano

di

stabilire

a

quali

Stati

appartengono, e in che misura, i sottofondi marini, né in base a quali criteri debba essere ripartito il potere di jurisdiction sulle attività estrattive318. La stipula e l'entrata in vigore della Convenzione di Montego Bay hanno messo in discussione tale sistema di Trattati; nel 1994 la Russia ritenne di dover affermare, davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che le disposizioni della Convenzione quadro sul diritto del mare non si applicano al Mar Caspio, per la sua totale chiusura319; non vi sarebbe perciò possibilità utile di rivendicazioni unilaterali, e l'intero mare sarebbe soggetto

P. RABINOWITZ et al., Geology, oil and gas potential, pipelines, and the geopolitics of the Caspian Sea Region, in Ocean Development and International Law, 35 (2004), pag. 19 ÷ 40. 318 "[…] these treaties did not cover ownership of seabed boundaries or which State had jurisdiction respecting oil and gas exploration […]"; ibid., pag. 31. 319 Ibid., e supra, nota 99. 78 317


ad una disciplina di sovranità condivisa320. Una tale posizione comporta che ogni

attività

di

utilizzo

dei

fondi

e

sottofondi

marini

intrapresa

unilateralmente da uno Stato costiero urterebbe contro gli interessi di tutti gli altri Stati confinanti. Sul fronte opposto l'Azerbaigian, forse confortato dall'inciso finale dell'art. 122321, rivendicò la piena applicabilità della Convenzione di Montego Bay; nel 1998 il Kazachistan, e nel 2001 l'Azerbaigian, pervennero ad accordi separati con la Russia, che suddividono il fondo marino in zone soggette alla sovranità di uno dei due Stati costieri confinanti322 e ne tracciano le linee di demarcazione ispirandosi al criterio dell'equidistanza323. Estranei a tale sistema di accordi sono invece il Turkmenistan, che ritiene inidoneo il criterio dell'equidistanza per la particolare conformazione delle coste, e perché esso accoglierebbe pianamente le rivendicazioni dell'Azerbaigian sulla ambita penisola di Absheron, e l'Iran, che, dopo un certo favore verso il mantenimento del principio di sovranità condivisa, oggi propone di suddividere l'intero Mar Caspio in cinque aree equipollenti, una per ciascuno Stato. L'assenza di accordi tra questi due Stati e l'Azerbaigian è stata fonte di tensioni, nascenti dalle opere di sfruttamento date in concessione a soggetti privati di altre nazionalità. La natura del Mar Caspio di specchio d'acqua chiuso ne rende più problematico

l'inquinamento,

prevalentemente

costituito

da

idrocarburi

immessi dagli affluenti Volga, Ural e Terek324, e più ampie le fluttuazioni rispetto alle ordinarie maree325, a loro volta più influenzate rispetto alle acque oceaniche dalla presenza superficiale di pellicole di idrocarburi. In assenza di nuovi accordi che risolvano i dissensi manifestati dall'Iran e dal Turkmenistan, la disciplina oggi vigente per quelle acque e per i relativi fondi e sottofondi dovrebbe tenere conto sia delle regole vigenti in materia di successione tra Stati, sia per la successione dei trattati.

P. RABINOWITZ et al. cit., pag. 31, parla di "[…] condominium approach […]". Supra, nota 99. 322 P. RABINOWITZ et al. cit., pag. 32. 323 Ibid. usa l'espressione "median line". 324 Ibid., pag. 33, dove si afferma che il Volga contribuisce per circa il novantacinque per cento della totalità degli inquinanti. 325 Ibid., pag. 34. 79 320 321


La disciplina della successione tra Stati è sempre stata oggetto di una prassi internazionale "[…] incerta, per vari aspetti e per diverse ragioni […] "326; in merito alla stessa possibilità giuridica della "[…] successione di uno Stato ad un altro Stato per quanto attiene ai trattati, e per quanto concerne […] la successione di un nuovo Stato rispetto allo Stato già sovrano del territorio del nuovo Stato stesso, la dottrina ha dato, via via, diverse risposte […]"327; tra le risposte che negano tale possibilità, "[…] la dottrina della tabula rasa è stata proclamata […] da nuovi Stati avuto riguardo ad alcuni trattati multilaterali, che pur tendevano a regolare nell'interesse delle popolazioni dei territori problemi di vasta portata. Caratteristico esempio è costituito dall'atteggiamento assunto […] in merito alla navigazione del fiume Niger […]"328; oltretutto, "[…] la regola della tabula rasa […] è stata prevista nella Convenzione di Vienna del 1978 solo per gli Stati di nuova indipendenza […]"329. Sui rapporti oggi vigenti tra Azerbaigian e Kazachistan, ognuno dei quali, come si è visto, ha stipulato accordi separati con la Russia, non può sfuggire che "[…] un traité ne crée ni obligations ni droits pour un État tiers sans son consentement […]"330, e che il Turkmenistan e l'Iran sono "États tiers" rispetto ad entrambi i trattati. Se la possibilità di successione di uno Stato nei trattati dovesse trovare soluzione affermativa, vista l'esistenza di trattati del 1920 e del 1940, si dovrà fare riferimento all'art. 59. 1 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati331 per negarne, a quanto si sa, l'estinzione. Ma più verosimilmente, in caso di sollevazioni di conflitti per gli ormai certi fatti di inquinamento, in mancanza di norme pattizie condivise, il caso del Mar Caspio potrebbe rivelare una forse inaspettata e rinnovata centralità dei principi del diritto internazionale generale, dei quali non si possono nemmeno escludere interessanti e nuove interpretazioni. Si pensi, ad esempio, alla regola di buon vicinato, la cui applicabilità in uno specchio d'acqua chiuso non è certo afflitta dai problemi già esaminati, o a particolari significati che A. MARESCA cit., pag. 527. Ibid., pag. 525. 328 Ibid., pag. 527. 329 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 120. 330 Art. 34 della Convenzione sul diritto dei trattati, fatta a Vienna il 22 maggio 1969, tratto da A. MARESCA cit., pag. 784. 331 Supra, pag. 78. 80 326 327


possono assumere il principio di neminem laedere e di libertà di utilizzo delle acque fluviali interne, quando l'utilizzo di queste arrechi pregiudizi alle acque ed alle coste di altri Stati sovrani.

6.

Le interferenze poste dal diritto comunitario Secondo la dottrina alcune disposizioni della Convenzione di Montego

Bay "[…] are already applicable, as part of customary international law, to such waters of European Community (EC) member states that […] do not have to be specifically claimed by coastal states […]. It would be desirable for EC member states […] to base their legislation as closely as possible upon the provisions of UNCLOS […] since the EC itself and all its members […] have signed it […]"332, con la precisazione che "[…] the EC itself is not in its own right a member of IMO […]"333. Le numerose norme della Convenzione di Montego Bay334 che attribuiscono direttamente agli Stati costieri doveri di emanare ed attuare norme non possono e non tengono conto del fatto che dai Trattati comunitari potrebbe essere desunta una competenza comunitaria in materia, peraltro non idonea ad esonerare gli Stati membri dai loro obblighi verso gli Stati terzi qualora la Comunità Europea si riveli inadempiente. I poteri che la Convenzione di Montego Bay riconosce agli Stati devono essere trattati in modo distinto. Tra questi, tutti i poteri di applicazione coattiva del diritto, il cui esercizio può essere subordinato al verificarsi di determinati presupposti di fatto o delimitato per materia e per scopo 335, dovrebbero essere attribuiti senza esitazione agli Stati membri, se non altro perché anche le istituzioni comunitarie si avvalgono, in tale fase, dell'opera dei governi degli Stati. Al contrario, non si può escludere che la titolarità dei poteri di regolamentazione abbia subito una sorte simile a quella degli obblighi di recepimento delle norme internazionali, sia perchè il trasferimento di 332 333 334 335

P. BIRNIE cit., pag. 195. Ibid., pag. 198. Supra, pag. 63. Supra, pag. 20. 81


competenze normative alle istituzioni comunitarie è basato su un criterio di ripartizione per materie, e non certo sulla distinzione tra attività normativa esercitata liberamente o in osservanza degli obblighi internazionali, sia perché può non essere agevole distinguere situazioni di potestà e di doverosità. Nel caso in cui tale distinzione sia netta, in modo simmetrico a quanto si è visto per il mancato adempimento di obblighi, il momento problematico nei rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali è quello non del mancato, ma dell'effettivo esercizio di tali poteri. Soltanto in tale eventualità si pone infatti il problema del rispetto di determinati obblighi di

procedura,

quali

il

preventivo

coinvolgimento

dell'"organisation

internationale compétente"336, che impone di stabilire a quale organizzazione spetti la qualità di competente, e chi abbia titolo a parteciparvi. Deve essere precisato che "[…] the frequent references to a 'competent international organisation' […] are based on the assumption […] that only one international organisation – IMO – is competent to establish the

relevant

international

rules

and

standards.

However,

regional

organizations whose recognized competence in the particular areas involved is accepted by other states, especially […] whose decisions are compatible with UNCLOS, could nonetheless assist in implementation of the international rules, development of regional rules and standards […]. The EC can clearly fulfil such a role"337. Secondo la dottrina "[…] there is clearly scope for harmonization within this framework by the EC of its member states' practices in respect to inspection at sea, to the criteria for interpretation of the requirements of the level of violation and of damage justifying action […]". Article 217338 imposes duties on flag states, while articles 218 and 220 339 allow action by port and coastal states respectively. […] The safeguards provisions […] require, in the case of proceedings, that states facilitate hearing of witnesses and 'the competent international organization, when appropriate' […]. Although IMO was no doubt in mind as the 'competent organisation', the provisions remain

336 337 338 339

Una per tutte, l'art. 210. 6; supra, pag. 63. P. BIRNIE cit., pag. 198. Supra, nota 236. Supra, note 228, 231, 237, 238. 82


ambiguous in relation to any future EC role, which would depend on the EC's internal as well as external competence in these matters […]"340. Anche l'art. 221 della Convenzione di Montego Bay341 renderebbe "[…] possible for the EC to develop a coordinated approach for its coastal member states […] and to adopt agreed interpretations of the ambiguous terms in this Convention and in UNCLOS article 221"342. La competenza comunitaria in materia ambientale è sancita dal Trattato CE all'art. 174343. Peraltro le attività della navigazione e dello smaltimento di rifiuti in mare erano già allora "[…] well covered by the regimes of other existing bodies, such as IMO and the various dumping conventions and protocols, and some member states prefer to leave such matters to these bodies […]"344; da ciò si deve arguire un'ipotesi di conflitto di competenze tra l'International Maritime Organisation e la Comunità Europea. L'art. 281 del Trattato CE stabilisce che "[…] la Comunità ha la personalità

giuridica";

essa

sussiste

anche

nei

rapporti

di

diritto

internazionale, "[…] under well established doctrines of international law concerning the personality of international organisation, and […] it can in its external relations enter into contractual arrangements with third states. This is an important point for our purposes, as pollution of the marine environment does not respect maritime frontiers […]"345. La sussistenza di una capacità di negoziare in capo alla Comunità Europea si riverbera soprattutto nei rapporti con la Norvegia, grande estrattore di petrolio dai fondali marini e Stato costiero che non fa parte della Comunità.

P. BIRNIE et al. cit., pag. 199. Art. 221: "[…] prendre et faire appliquer au – delà de la mer territoriale des mesures proportionnées aux dommages qu'ils ont effectivement subis ou dont il sont menacés au fin de protéger leur littoral […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 268. 342 P. BIRNIE et al. cit., pag. 200. 343 "1. La politica della Comunità in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obbiettivi: - salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente; […] - utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale […]". 344 P. BIRNIE et al. cit., pag. 201. 345 Ibid. 83 340 341


Secondo l'art. 174. 4 del Trattato CE, "[…] nel quadro delle loro competenze rispettive, la Comunità e gli Stati membri cooperano con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti […]. Il comma precedente non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare nelle sedi internazionali ed a concludere accordi internazionali". La dottrina tuttavia interpreta

tale potere

come "exclusive"346; se così fosse, nelle sedi

internazionali preposte all'aggiornamento delle Risoluzioni gli Stati membri non potrebbero più parteciparvi, avendo devoluto la relativa propria quota di sovranità alla Comunità Europea. Secondo la Corte Europea di Giustizia, "[…] la Convenzione sul diritto del mare è parte integrante dell'ordinamento giuridico comunitario ed è vincolante per la Comunità […]"347; perciò ci si può attendere che la stessa Corte non si limiti a recepirne le prassi internazionali, ma si faccia essa stessa interprete creativo di tale Convenzione, con effetti non trascurabili nel diritto internazionale. Il diritto comunitario impone infatti che tali pronunce siano

obbligatoriamente

osservate

ed

applicate,

quindi

possano

concretamente ed immediatamente dar vita ad una delle tante prassi che, se ritenute

obbligatorie

anche

dagli

Stati

terzi,

potrebbero

costituire

un'importante fonte di diritto internazionale. La direttiva CE 2005/35 sull'inquinamento da navi può costituire invece un esempio illuminante di come le istituzioni, e segnatamente il Consiglio ed il Parlamento Europeo, indirizzino il diritto internazionale del mare. Dopo aver premesso che "[…] la convenzione MARPOL 73/78 viene attuata in maniera diversa […] ed è dunque necessario armonizzarne l'attuazione […]"348, e che "[…] le norme pratiche di tutti gli Stati membri per gli scarichi di sostanze inquinanti effettuati dalle navi si basano sulla convenzione

MARPOL

73/78

[…]"349,

la

direttiva

definisce

nave

"[…]

un'imbarcazione marittima di qualsiasi tipo e battente qualsiasi bandiera, che operi nell'ambiente marino; sono inclusi […] i natanti"350. Essa "[…] è applicabile, conformemente al diritto internazionale, agli scarichi inquinanti: Ibid. Causa C-188/07, Commune de Mesquer c. Total France S. A. e Total International Ltd, punto 93, in http://www.curia.europa.eu/jurisp/. 348 Preambolo alla Direttiva 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, n. 3, in http://www.eur-lex.europa.eu/. 349 Ibid., n. 2. 350 Ibid., art. 2, n. 4. 84 346 347


a) nelle acque interne […], nella misura in cui è applicabile il regime MARPOL; b) nelle acque territoriali […]; c) negli stretti […], come specificato nella parte III […] della Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare, nella misura in cui uno Stato membro abbia giurisdizione […]; d) nella Zona Economica Esclusiva o in una zona equivalente di uno Stato membro, istituita ai sensi del diritto internazionale"351. Quando uno scarico "[…] soddisfa le condizioni […] della convenzione MARPOL 73/78 […], non è considerato violazione"352. La direttiva impone che gli Stati membri procedano, in determinati casi, "[…] ad adeguata ispezione […] tenendo presenti gli orientamenti adottati in materia dall'Organizzazione Marittima Internazionale […]"353; quando debbano avviare un procedimento, lo faranno "[…] fatta salva la parte XII […] della Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare"354.

.

Più in generale la direttiva dedica un intero articolo alla "[…] conformità al diritto internazionale"355, disponendo che "[…] gli Stati membri […] agiscono nel rispetto del diritto internazionale applicabile, compresa la […] parte XII della Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare […]"356. Di quanto scritto si vogliono sottolineare due aspetti, ovvero una certa volontà di cedevolezza della norma comunitaria a quella internazionale, forse ispirata all'idea di evitare antinomie ed inutili conflitti, ed il modo con il quale viene raggiunto il superiore obbiettivo dell'uniformità. Sul secondo si ritiene di poter sollevare qualche critica, in quanto il valore dell'uniformità degli ordinamenti nazionali viene assunto come prevalente su quello dell'intensità della forza repressiva che essi possano esercitare contro i fenomeni inquinanti, livellando verso il basso i poteri di punizione che gli Stati potevano esercitare nei confronti di chi opera in mare, a titolo non soltanto di coltivatore di idrocarburi.

351 352 353 354 355 356

Ibid., Ibid., Ibid., Ibid., Ibid., Ibid.

art. art. art. art. art.

3. 5, co. 1 e 2. 6, co. 1. 7, co. 2. 9. 85


Però il sistema dell'Unione Europea, per niente estraneo alla materia trattata, ha forse cercato di contenere gli effetti forse nefasti, e di sicuro inopinatamente indulgenti, di tale direttiva. Infatti la decisione quadro 2005/667/GAI si compone di "[…] dettagliate regole sui reati e sulle sanzioni […]"357, ed è diretta a "[…] rafforzare il quadro normativo penale per la repressione dell'inquinamento provocato dalle navi […]"358. Tale obbiettivo si inserisce nel più generale scopo delle decisioni – quadro, che è quello del "[…] ravvicinamento delle disposizioni nazionali […]"359.

7.

La legislazione italiana in breve Si ricorda che la sovranità sulla Zona Economica Esclusiva si compone

di poteri e doveri verosimilmente360 modellati per definire in modo non tassativo le responsabilità ed i poteri degli Stati per combattere per fatti di inquinamento ed i danni che ne conseguono. Tali

poteri

comprendono

anche

quello

di

concedere

o

negare

l'autorizzazione ad imprese che intendano sfruttare i già visti diritti esclusivi di ogni Stato costiero sulla propria piattaforma continentale, e la possibilità di escludere soggetti di altra cittadinanza361 dalla titolarità o dall'esercizio delle corrispondenti attività. L'art. 43 del Trattato CE vincola invece l'Italia ad una regola di ampia libertà di stabilimento delle imprese362. Secondo la giurisprudenza tale norma

Ibid., Preambolo, n. 6. Ibid. 359 G. TESAURO, Diritto comunitario, Don Antonio Milani, Milano 2005, pag. 16. 360 Supra, pag. 14. 361 Nel significato riferibile anche alle persone giuridiche, secondo le norme di diritto internazionale privato proprie di ogni ordinamento, richiamate dall'art. 48 Trattato CE. 362 Art. 43: "Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. […] La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società […]". 86 357 358


è dotata di effetto diretto363, dunque è idonea a "[…] creare diritti […] senza che lo Stato eserciti […] qualche procedura formale […]"364. Lo studio condotto in questo paragrafo cerca di far emergere, senza pretese di aver esaurito lo specifico argomento, una sostanziale conformità dell'ordinamento italiano alle viste regole di libertà economiche comunitarie. Altro aspetto che si è voluto affrontare è la ripartizione interna sul territorio dei poteri sovrani di recepimento del diritto internazionale, sulla quale "[…] il diritto internazionale non contempla, in linea di principio, alcuna specifica previsione […]"365. La ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, oggetto di riforma apportata con L. Cost. 3/2001, è tra l'altro successiva a numerose norme di diritto interno, rilevanti per gli obblighi internazionali di diritto del mare; nella formulazione vecchia e nuova l'art. 117 Cost. non ha mai espressamente previsto una materia "mare" o "inquinamento marino", mentre oggi riserva alla competenza esclusiva dello Stato " […] la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema […]"366, inserisce tra le materie a competenza legislativa concorrente "porti […] civili, grandi reti […] di navigazione"367, per le quali "[…] spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato"368. "Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato"369. La giurisprudenza costituzionale ha individuato da tempo una serie di criteri (tra i quali quello della cosiddetta meta – materia, della materia trasversale, ed altri) che consentono in determinati casi di attrarre verso la competenza legislativa statale, anche esclusiva, una materia innominata dall'art. 117, co. 2 o 3 Cost370. Dovendo decidere se sussista, ed in quale Corte Europea di Giustizia, sentenza del 21 giugno 1974, C - 2/74, Reyners, tratto da M. CONDINANZI et al., Cittadinanza dell'unione e libera circolazione delle persone, Seconda edizione, Giuffrè Editore, Milano 2006, pag. 135. 364 G. TESAURO cit., pag. 164 ÷ 165. 365 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 135. 366 Art. 117, co. 2, lett. s Cost. 367 Art. 117, co. 3 Cost. 368 Ibid. 369 Art. 117, co. 4 Cost. 370 C. Cost. 303/2003, considerato in diritto n. 2, ritiene che "[…] quando l’istanza di esercizio unitario trascende […] l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull’esercizio 87 363


misura, la competenza legislativa regionale in materia di pesca nelle acque interne, la Corte costituzionale statuì che "[…] la mancanza nell'attuale art. 117 Cost. di una espressa attribuzione […] da un lato, non consente […] di ritenere la stessa riconducibile a […] uno o più ambiti […] rimessi alla competenza

legislativa

esclusiva

[…]"371,

ma

che

le

censure

di

incostituzionalità rivolte alle leggi regionali in materia di obblighi di conservazione delle risorse posti dalla Convenzione di Montego Bay, "[…] sono generiche non facendosi riferimento, in particolare, con riguardo agli atti internazionali invocati, ad alcuna specifica disposizione degli stessi […] "372. Nonostante non si possa escludere che il rifiuto di tali censure si basi su ragioni di mera mancanza di allegazione della norma internazionale invocata,

nemmeno

si

può

escludere

una

nuova

apertura

verso

il

superamento del precedente orientamento monolitico, che manteneva in capo allo Stato il potere esclusivo di legiferare sullo sfruttamento di risorse sottomarine per ragioni di diritto internazionale generale, quali l'assoluta uniformità di disciplina che il diritto internazionale riserva alla piattaforma continentale. La difesa del mare e dell'ambiente marino dall'inquinamento sono oggetto di un piano generale nazionale, predisposto dal Ministero delle Infrastrutture d'intesa con le Regioni, secondo quanto dispone l'art. 1 della legge 31 dicembre 1982, n. 979, ed approvato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica. La stessa legge conferisce al Ministero (oggi) delle Infrastrutture il potere di stipulare convenzioni con soggetti che operano il trattamento delle morchie e delle acque di zavorra,373 in attuazione ad alcuni obblighi previsti dalla Convenzione di Londra del 2 novembre 1973.

della funzione legislativa, giacché il principio di legalità […] conduce logicamente […] ad affermare che solo la legge statale possa attendere ad un compito siffatto”; C. Cost. 138/1972, considerato in diritto n. 3, ritiene che "[…] non si può affermare, […] che per la definizione delle materie elencate nell’art. 117 Cost. sia sempre sufficiente il ricorso a criteri formali e puramente nominalistici”; tratto da http://www.cortecostituzionale.it. 371 C. Cost. 213/2006, considerato in diritto 7. 1; tratto da http://www.dejure.it. 372 Ibid., considerato in diritto 11. 1. 373 Art. 4, co. 6, cod. nav. 88


Il decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202 attua la già vista direttiva 2005/35/CE adeguando la predetta legge 979/1982 soprattutto nelle parti dedicate alle sanzioni penali per reati di inquinamento marino. Le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono regolati dalle leggi 6 gennaio 1957, n. 6 e 21 giugno 1967, n. 613, così come modificata dalla legge 9 gennaio 1991, n. 9. E' attualmente prevista la valutazione di impatto ambientale per l'esercizio di tali attività. "Il diritto di esplorare la piattaforma continentale e di sfruttarne le risorse naturali appartiene allo Stato"374. "Salvo quanto disposto dalle norme della presente legge […] e da ogni altra disposizione che regoli l'attività mineraria, la tutela dei diritti dello Stato sulla piattaforma continentale resta affidata, secondo le norme del Codice della navigazione, […], all'Autorità marittima"375. La prospezione è "[…] attività riservata allo Stato ed attribuita in concessione non esclusiva, dietro permesso […]"376; secondo l'art. 3, co. 2 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, tale permesso "[…] è accordato a soggetti italiani o di altri Stati membri della Comunità economica europea, nonché, a condizioni di reciprocità, a soggetti di altri paesi"; "[…] non è esclusivo […] "377 e "[…] non è trasferibile per atto tra vivi"378. Diversamente, "[…] la ricerca e la coltivazione sono attività riservate allo Stato ed attribuite in concessione esclusiva […]"379; secondo la legge 9 gennaio 1991, art. 5, è accordato, ancora una volta, a "[…] soggetti italiani o di altri Stati membri della Comunità economica europea, nonché, a condizioni di reciprocità, a soggetti di altri Paesi"380. È accordato a "[…] persone fisiche o giuridiche che dimostrino la necessaria capacità tecnica […] o si impegnino a costituire in Italia strutture […] adeguate alle attività previste, nel rispetto degli impegni […] internazionali per la tutela dell'ambiente marino"381.

374 375 376 377 378 379 380 381

Art. 2, co. 1, legge 613/1967. Art. 4, co. 1, legge 613/1967. http://www.assomineraria.org/news/attach/bonati.pdf. Art. 10, co. 1, legge 613/1967. Art. 13, legge 613/1967. http://www.assomineraria.it cit. Art. 5, co. 2, legge 9 gennaio 1991, n. 9. Art. 5, co. 1, legge 9 gennaio 1991, n. 9. 89


CAPITOLO III

PROFILI

TECNICI AVENTI RILEVANZA GIURIDICA DELL'ATTIVITÀ DI SFRUTTAMENTO DELLE

RISORSE SOTTOMARINE

1.

Le risorse coltivabili o estraibili dal fondo del mare Le attività di sfruttamento ed esplorazione dei fondi e sottofondi

marini, che gli Stati possono attuare nel rispetto della Convenzione di Montego Bay, comportano l'impiego di tecniche assai varie, costituite da operazioni diversificate e complesse, ognuna portatrice di un proprio impatto ambientale e soggetta ad una diversa disciplina giuridica. Per gli scopi di questo lavoro, si sono volute in un primo momento suddividere le diverse attività di coltivazione in ragione della collocazione delle relative risorse, giacenti sopra o sotto il fondo del mare. Tale classificazione evidenzia peculiarità in ordine ai processi tecnici, allo stato fisico ed alla composizione chimica delle risorse coltivate e dei sottoprodotti potenzialmente inquinanti. Sul fondo del mare si trovano depositi solidi di detriti, costituiti da sabbia, ghiaia, diamanti, oro anche allo stato elementare, minerali di manganese382. Di questi, due sono le forme di aggregazione più significative: a) noduli di minerali di solo manganese inclusi in frammenti di roccia pressoché sferici, di diametro compreso tra uno e venti centimetri; b) noduli di minerali di metalli diversi, nei quali il tenore in manganese arriva fino al trenta per cento del peso totale. Se non vi fosse interesse commerciale alla coltivazione di una risorsa, nemmeno avrebbe ovviamente luogo l'interesse a studiarne le conseguenze ecologiche e la disciplina giuridica. In particolare, la "[…] commercial feasibility of nodule mining […]"383 è stata nel tempo valutata in modo sempre diverso384 sulla base di quattro fattori determinanti: "[…] 1) the combined value of the metal content of the nodules; 2) the population or concentration of nodules at the mine site; 3) the feasibility and efficiency of recovery of nodules at given water depth and given sea topography; 4) the 382 383 384

A. POST cit., pag. 8 ÷ 12. Ibid., pag. 14. Da qualcuno ritenuta "[…] not feasible […]"; ibid. 90


costs of nodule mining as compared to costs for competitive land – based mining […]"385. Il primo fattore contribuisce in genere ad una valutazione negativa, paradossalmente a causa dell'elevato tenore di manganese; ciò perché "[…] the sale of co - products386 could create serious marketing problems, even if new substitute uses were soon found for manganese. A competing firm, however, states that the success of deepsea mining operations depends on the profitable sale of manganese products which the company believes will be a boost to the steel industry […]"387. Il secondo fattore ha sempre contribuito in senso moderatamente favorevole, sia perché la risorsa di cui si tratta è potenzialmente inesauribile (la popolazione dei noduli cresce più rapidamente del consumo mondiale dei corrispondenti minerali grazie alla particolare catena di reazioni chimiche dalla quale hanno origine388), sia perché detti noduli, "[…] scattered about the surface of the ocean floor […]"389, sono concentrati soprattutto in zone precise, una nell'Oceano Pacifico al largo del Canada e degli Stati Uniti, detta zona di Clarion – Clipperton, un'altra al largo delle "[…] Andaman and Nicobar Islands in India's exclusive economic zone […]"390, un'altra ancora nell'Oceano Pacifico del Sud, dove "[…] it appears that high grade nodules have been discovered, as well as high nodule concentration […]"391. Al riguardo, la precisa delimitazione dell'area marina, operazione che si esegue prima dell'inizio della raccolta, è "[…] important and difficult […], as correct assessments determine the desirability of undertaking ocean mining in the first place, and the potential and ultimate profitability of ocean mining operation […]"392. La coltivazione può infatti essere ritenuta economicamente interessante qualora l'area presenti determinati valori di concentrazione superficiale media e locale dei noduli ("nodule grade"), ovvero ne presenti una certa abbondanza ed una certa omogeneità. Si osserva che a causa delle incertezze "[…] concerning the extent of minable sea landscapes, and of 385 386 387 388 389 390 391 392

Ibid. Ovvero stagno, titanio, ferro, nichelio, rame, cobalto, molibdeno; ibid., pag. 8. Ibid., pag. 14. Ibid., pag. 12. Ibid., pag. 11. Ibid., pag. 23. Ibid. Ibid., pag. 22. 91


nodule concentrations, low demonstrated grades […], even the 'nodule – rich Clarion – Clipperton region does not qualify for submarginal status, but receives only a 'paramarginal' rating […]"393. Il terzo fattore pesa da sempre in senso sfavorevole, perché già la fase di raccolta richiede, come si vedrà meglio appresso, l'impiego di strutture e macchine tutt'altro che agili ed economiche. Il quarto fattore è il più variabile nel tempo e dipende dalle previsioni di abbondanza o di scarsità complessiva di manganese sul relativo mercato, il cui andamento dipende in gran parte dalle vicende relative alle miniere sulla terraferma. Così, nonostante l'interesse del governo statunitense per la "[…] future alternative […]" costituita dai noduli polimetallici, tale fattore contribuiva un tempo ad una valutazione complessiva in senso negativo, perché, si diceva, "[…] the International Iron and Steel Institute takes a […] view, stating that 'it is difficult to envisage a physical shortage of manganese […]'"394. Le evoluzioni tecniche hanno reso più semplici le operazioni di delimitazione dell'area, e complessivamente più conveniente la coltivazione del manganese dal fondo del mare395. Oggi l'Autorità Internazionale per i Fondi Marini è parte di numerosi contratti di sfruttamento 396 dell'area di Clarion – Clipperton inclusa nella Zona397. Per la delimitazione398 dell'area occorre eseguire l'ispezione ed il campionamento dei fondali mediante sofisticate combinazioni di escavatori, rastrelli e prelevatori, sensori e telecamere. I campioni vengono portati in superficie mediante vari tipi di raccoglitori ad aria compressa. La mancanza di un'intrinseca pressione della materia solida prelevata, tipica invece dei giacimenti di risorse liquide o gassose, comporta che i valori di pressione necessari a vincere la forza di gravità ed il peso dell'acqua sovrastante

siano

maggiori

di

quelli

impiegati

per

l'estrazione

degli

idrocarburi. Le piattaforme di raccolta dei noduli metallici devono dunque essere tanto stabili da poter sopportare una struttura a torre addirittura "[…] Ibid. Ibid., pag. 14. 395 Ibid. 396 Tratto da http://www.isa.org. 397 Art. 1. 1: "[…] les fonds marins et leurs sous – sol au - delà des limites de la juridiction nationale […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 82. 398 A. POST cit., pag. 24 ÷ 27. 92 393 394


heavier than that used in oil drilling operations, and […] fully serviceable in high seas and bad weather"399. Esse devono essere inoltre in grado di muoversi ed esplorare i fondali per lunghi periodi. Nella ricerca di noduli polimetallici400 si impiegano oggi anche le tecniche fisiche dell'esplosione a riflessione, a rifrazione, gravimetrica e magnetica, tipiche della ricerca di giacimenti di idrocarburi401; esse in vario modo studiano la risposta della zona esplorata ad onde acustiche artificiali. La coltivazione del prodotto raccolto si compie su piattaforme associate all'impianto di raccolta, con il quale si muovono solidalmente ad una velocità non superiore ai quattro nodi. Prevede una prima separazione dei minerali dai detriti e dall'acqua marina, e prosegue con l'estrazione del manganese dagli altri minerali. La prima separazione

è sommariamente

descrivibile come una

sedimentazione meccanica, la successiva estrazione consiste in una serie di due processi chimici, nel primo dei quali si separa l'insieme dei metalli dalle sabbie inerti residue e dalle rocce, sfruttando la diversa reattività degli uni e delle altre con i prodotti di combustione del carbone402, nel secondo si separano i singoli metalli per reazione ora con l'aria rovente (tecniche della pirometallurgia),

ora

con

gli

acidi

o

gli

alcali

diluiti403

(tecniche

dell'idrometallurgia).

Ibid., pag. 27. J. BEURIER et al., Nouvelles technologies et droit de l'environment marin, Kluwer Law International, L'Aia (Paesi Bassi) 2000, pag. 99. 401 Per l'impiego di tali tecniche nella ricerca di giacimenti di idrocarburi, infra, pag. 94, 110. 402 A. POST cit., pag. 29. 403 Ibid., pag. 29 ÷ 30. Ad esempio, il riassunto del brevetto GB1367945 recita: "Copper and nickel valves are separated from deep sea manganese nodules by charging the nodules and an aqueous leach solution containing NH3 and an ammonium salt and/or NaCl to a pressure vessel, heating (e.g. to 100-300 °C), the resulting suspension to reduce the tetravalent manganese present and separating off the leach solution containing Cu and Ni values (Co and Mo values may also be present). The aqueous leach solution may contain 50-200 g/l NH3, 1-6 moles/l ammonium salt (e.g. the chloride, carbonate or sulphate) and/or 3-20 wt. per cent NaCl (e.g. sea water). The pressure vessel may be purged with an inert gas or a reducing gas (in which case the manganese may be reduced to the divalent carbonate), e. g. CO, H2, water gas, producer gas, synthesis gas, CO/CO2 and N2/CO mixture, prior to heating. The examples illustrate various particle sizes to which the nodules are ground, compositions of leach solution, temperatures and purging gases for the pressure vessel"; tratto da http://www.wikipatents.com/gb/1367945.html. 93 399 400


Sotto il fondo del mare si trovano giacimenti di composti organici, costituiti da prodotti della decomposizione parziale del fitoplancton, sotto forma di idrocarburi gassosi e liquidi404, e soprattutto di petrolio. L'importanza

e

la

convenienza

economica

della

coltivazione

di

idrocarburi dai fondali marini sono diventate presto un fatto indiscusso405 dopo la prima installazione realizzata nel 1947 nel Golfo del Messico 406, preceduta da esperimenti durati qualche decennio. Le già viste tecniche acustiche di esplorazione, ovvero di ricerca preliminare del giacimento economicamente utile, forniscono una probabilità di successo "[…] dell'ordine del quarantacinque per cento ed oltre […]"407. Se l'esito è positivo, si prosegue con la perforazione, che elimina ogni incertezza residua ed introduce la fase di coltivazione. "Con il termine "perforazione" si indica lo scavo effettuato con qualsiasi mezzo, nelle rocce che costituiscono la crosta terrestre, di pozzi […] con lo scopo di: - raggiungere sostanze minerali utili; - accertare la loro consistenza in qualità e quantità; - permetterne il trasferimento in superficie per la loro utilizzazione"408. La perforazione del fondale marino si esegue da una piattaforma, sommariamente costituita da una struttura a torre, che sostiene un tubo rotante di perforazione ed i relativi organi di movimento. Sottoprodotto della perforazione è un fango che "[…] viene scaricato in un vibrovaglio, dove viene pulito e rinviato al serbatoio riciclato. La colonna di fango inoltre tende a prevenire che del gas o del petrolio sotto alta pressione sfuggano improvvisamente dal tubo di perforazione con andamento eruttivo. Il foro praticato dalla sonda è rivestito in tutta la sua lunghezza da tubi e […] serve ad evitare la frana della parete, la perdita del fluido di perforazione, ed impedire che acqua e petrolio penetrino nel foro finché l'operatore non sia pronto per entrare in produzione"409. Per evitare la miscelazione di acqua ed idrocarburi, in mare come sulla terraferma ci si avvale dei "[…] metodi di perforazione usati nelle epoche A. POST cit., pag. 9. "[…] in mare si è avuto lo sviluppo maggiore"; tratto da A. MOLFESE, Piattaforme petrolifere. Igiene, sanità e sicurezza a bordo, Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia 1996, pag. 24. 406 Ibid., pag. 32. 407 Ibid., pag. 18. 408 Ibid., pag. 29. 409 Ibid., pag. 21 ÷22. 94 404 405


passate (sistemi di perforazione a percussione e a rotazione) […]" che "[…] hanno […] formato la base delle tecniche […] che si sono diffuse in tutto il mondo […]"410, elaborati per evitare che gli idrocarburi rendessero inservibile ciò che è sempre stato bene irrinunciabile per la vita, ossia l'acqua. La coltivazione degli idrocarburi si compone delle fasi di "[…] produzione (estrazione) e di trasporto a terra del prodotto. Su una idonea piattaforma a mare (piattaforma di produzione) si effettua la separazione del gas in soluzione e dell'acqua dal petrolio grezzo, o la separazione delle fasi liquide, se trattasi di gas naturale; mediante poi un sistema di condutture sottomarine si effettua il trasporto del prodotto fino alla costa […]"411. L'acceso

interesse

per

tali

risorse

ha

stimolato

il

continuo

perfezionamento degli impianti di produzione, resi sempre più resistenti ed adattabili a fattori geologici e meteorologici di una certa complessità. Ciò che più attira oggi l'attenzione è la versatilità delle piattaforme di perforazione, che non può essere trascurata nemmeno in una visione giuridica.

2.

Piattaforme fisse, flottanti, semoventi e la questione della

bandiera La classificazione riportata nel titolo del paragrafo permette di introdurre quel particolare tratto distintivo, cioè la diversa attitudine al movimento, che oggi i vari tipi di piattaforme da perforazione possiedono, a seguito di evoluzioni tecniche compiute nella soluzione di problemi assai diversi. Agli inizi l'attività di perforazione necessitava della presenza di "[…] un'isola artificiale metallica sopra il pelo d'acqua, che conteneva macchinari e attrezzature ausiliarie e materiali di consumo […]. Queste isole artificiali all'inizio risultarono enormi, poi con il perfezionamento delle tecniche costruttive

e

delle

attrezzature,

migliorò

parallelamente

la

loro

progettazione. L'adozione di una piattaforma assistita da una nave appoggio permise di ridurre al minimo l'area richiesta, dal momento che macchinari ed 410 411

Ibid., pag. 31. Ibid., pag. 36. 95


attrezzature complementari erano sistemati sulla nave che stazionava in prossimità

della

piccola

l'equipaggiamento

piattaforma

strettamente

sulla

quale

indispensabile

era […].

stato Le

montato condizioni

meteorologiche giocavano in questo caso un ruolo determinante, perché durante il periodo di […] tempesta era necessario scollegare ed allontanare la nave appoggio dalla piattaforma ed interrompere le operazioni di perforazione […]. La prima evoluzione […] è stata dunque quella di scorporare le varie fasi della perforazione su due entità in origine ancora ben distinte, una struttura fissa ed immobile, quale una piattaforma o un'isola artificiale, ed un mezzo galleggiante e mobile per eccellenza, quale la nave, vincolate da uno stretto legame tecnico funzionale […]. Con l'evoluzione della tecnologia si pensò di utilizzare la piattaforma autosollevante (jack – up), la quale può spostarsi da una ubicazione all'altra in galleggiamento, può temporaneamente essere appoggiata sul fondo marino e rimanere in questa posizione fino al termine della perforazione […] "412. Le piattaforme autosollevanti sono dotate di una propria autonomia di movimento. Sono "[…] un complesso di perforazione autonomo che […] può spostarsi per perforare diversi pozzi […]; a differenza delle piattaforme galleggianti,

meno

penalizzato

dalle

condizioni

del

mare

durante

la

perforazione […]"413. La

versatilità

e

l'economicità

delle

piattaforme

autosollevanti

incontrano "[…] limitazioni […] molto importanti: - per supporto insufficiente del terreno si possono verificare assestamenti di una o più gambe della piattaforma in fase operativa con conseguenze catastrofiche (si può ovviare a ciò con il prelievo di campioni del fondo marino […]; - per le condizioni oceanografiche […] si possono determinare danni alla struttura […]; - per gli spostamenti […] si deve essere in possesso di un'accurata previsione meteorologica […]"414. Simili per attitudine alla mobilità alle piattaforme autosollevanti, le piattaforme galleggianti sono in genere costituite "[…] da uno scafo […] sul quale è sistemato tutto l'equipaggiamento di perforazione, materiale d'uso 412 413 414

A. MOLFESE cit., pag. 31 ÷ 33. Ibid., pag. 34. Ibid. 96


ed alloggi per il personale […]" e "[…] da un numero variabile di supporti o gambe scorrevoli che possono essere abbassate o conficcate o appoggiate sul fondo marino con adatta manovra dal ponte. Tali supporti consentono di effettuare il sollevamento dello scafo stesso sopra il pelo dell'acqua fino ad una altezza conveniente; per profondità maggiori le gambe sono manovrabili rispetto alla verticale del ponte per permettere di allargare la base di appoggio al fondo marino […]"415. A volte la letteratura tecnica accomuna le piattaforme autosollevanti, galleggianti, e di nuova concezione nell'unico concetto di piattaforma mobile. "[…] La piattaforma mobile rappresenta un ulteriore perfezionamento capace di eseguire i lavori di perforazione in galleggiamento, senza bisogno di supporto del fondo marino, eccetto quello richiesto per il posizionamento e il vincolo delle ancore del sistema di ancoraggio, che permette al mezzo di rimanere

praticamente

fisso

sul

pozzo

di

perforazione

(piattaforma

semisommergibile o drilling vessel). L'impiego del diverso tipo di piattaforma è in relazione allo sfruttamento razionale delle caratteristiche che meglio si adattano alle varie situazioni: 1) le piattaforme mobili sono utilizzate per perforazioni esplorative (le jack – up per acque relativamente poco profonde, le altre per profondità maggiori, in particolare le semisommergibili là dove si riscontrino condizioni meteo - oceanografiche particolarmente gravose) dal momento che il forte investimento richiesto per la installazione di una piattaforma fissa non è giustificato in caso di una ricerca negativa; 2) la piattaforma fissa è utilizzata per perforazione di coltivazione con più pozzi direzionati dalla stessa piattaforma, in modo da frazionare il notevole costo della struttura […]"416. In sintesi, la classificazione tecnica delle piattaforme avviene di massima tra quelle "[…] che hanno bisogno di sostegno offerto dal fondo del mare e possono essere fisse o mobili e piattaforme galleggianti, veri e propri natanti […] che sfruttano come sostegno il galleggiamento derivante dallo spostamento dell'acqua […]"417; quelle galleggianti vengono a loro volta distinte in varie categorie, a seconda che estendano o no la loro struttura

415 416 417

Ibid., pag. 35. Ibid., pag. 31 ÷33. Ibid., pag. 36. 97


sotto il pelo dell'acqua. Dal punto di vista tecnico le "[…] piattaforme autosollevanti sono veri e propri natanti […]"418. A differenza dei sistemi più risalenti, le piattaforme più evolute riuniscono in sé sia la capacità di aderire stabilmente al suolo, sia l'attitudine a

sostenersi

in

movimento

sfruttando

la

spinta

idrostatica,

ovvero

caratteristiche proprie sia delle strutture fisse, sia di navi, galleggianti, natanti, che si manifestano alternativamente, a seconda della fase produttiva o delle circostanze. Il diritto internazionale presenta nozioni diverse di nave "[…] dans plusieurs

conventions

multilatérales.

[…].

Ces

définitions

ne

valent

évidemment que dans le contexte des conventions où on les rencontre. De plus, elles contiennent des éléments qui sont strictement liés à l'objet de la convention […]"419. Tali nozioni non ignorano la similitudine, temporanea, parziale, ambientale o funzionale tra piattaforme di perforazione più moderne e navi. "[…] C'est ainsi que les Conventions de Londres de 1954 sur la pollution par les hydrocarbures et de 1973 sur la pollution par les navires incluent dans leur définition de navire les plates – formes fixes et mobiles et que la Convention de Bruxelles du 29 novembre 1969 sur l'intervention en haute mer en cas d'accident entraînant une pollution par hydrocarbures exclut de sa définition ces mêmes installations […]"420. Qualora una piattaforma rientri nella nozione di nave di più di una Convenzione, ognuna applicabile ad uno o più diversi aspetti della fattispecie, potrebbero nascere problemi di sovrapposizione o coordinamento tra le discipline dettate da ciascuna. Le armonizzazioni di interpretazione dovranno essere condotte secondo le regole proprie dell'ordinamento internazionale421. Nello studio delle norme di diritto interno di vari Stati, la dottrina osserva che le piattaforme, "[…] siccome sovente essi non hanno né aspetto, né caratteristiche delle navi – qualche volta sono semoventi, qualche volta no, - molti paesi non li considerano tali"422.

Ibid. R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 692 ÷ 693. 420 Ibid. Per l'applicabilità del sistema OILPOL si veda supra, pag. 67. 421 F. MOSCONI e C. CAMPIGLIO cit., pag. 145, 155. Per il rapporto di complementarietà delle definizioni di scarico e di smaltimento supra, pag. 71. 422 A. XERRI, Le piattaforme di perforazione: aspetti giuridici, in Il diritto marittimo, 1986, 2, pag. 1093. 98 418 419


In particolare segnala la presenza di ordinamenti, ispirati all'idea che l'inquadramento della piattaforma nella categoria della nave possa essere deciso soltanto caso per caso (Gran Bretagna e Norvegia) 423; di altri, dove la legge si ispira pressoché integralmente ad una classificazione tecnica, distinguendo tra piattaforme con e senza sistemi di adesione al fondo del mare (Francia) o di altri ancora, dove invece, per norma positiva, la definizione di nave può comprendere, in via generale ed astratta "[…] anche i mezzi nei quali la funzione della navigazione si pone in secondo piano […]. Il concetto di trasporto infatti viene inteso nel senso di spostamento in un determinato spazio per qualsiasi fine […]"424. Norma di tal genere è, secondo la letteratura citata, l'art. 136 del codice della navigazione italiano. Tuttavia nemmeno tale norma consentirebbe di potervi ascrivere pacificamente ogni specie di piattaforma o di struttura funzionale ad essa. In particolare le isole artificiali, difettando di una qualsiasi "[…] destinazione al trasporto […]", non potrebbero essere considerate navi, e nemmeno sarebbe pacifico "[…] l'inserimento nel concetto di nave delle piattaforme galleggianti […] per la mancanza di mezzi propulsori autonomi […]"; precisa però la dottrina che tale inserimento è ritenuto probabilmente accettabile "[…] non automaticamente e a tutti gli effetti, a causa delle diverse caratteristiche e funzioni di questi mezzi che esulano completamente dal concetto sia tecnico che giuridico di navigazione come inteso dal nostro ordinamento […]"425. A volte il diritto positivo fornisce indicazioni più precise; ad esempio, l'art. 9, co. 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n. 886, assimila alle navi le piattaforme semoventi "[…] durante la navigazione […]"426. La persistenza di diverse nozioni di nave nelle norme internazionali ed in quelle interne segnala l'esistenza di due problemi: a) se sussiste l'obbligo degli Stati di adeguare al diritto internazionale le proprie regole di qualificazione delle piattaforme; b) se sia tollerabile una simultanea

Ibid., pag. 1093 ÷ 1095. Ibid., pag. 1095. 425 Ibid., pag. 1096. 426 Il testo integrale di tale comma recita: "Le piattaforme semoventi, durante la navigazione, sono assimilate alle navi e come tali sono sottoposte alle disposizioni del codice della navigazione e del relativo regolamento nonché alle altre leggi e regolamenti vigenti la materia di navigazione marittima". 99 423 424


qualificazione della piattaforma come nave o come altra struttura, qualora i diversi aspetti della fattispecie siano riconducibili alla disciplina di più sistemi. Sulla lettera a), si osserva che, quando la qualificazione di un aspetto di una fattispecie, nella quale sia coinvolta una piattaforma, è diversa nel regime convenzionale e nel diritto interno, può derivarne una diversa applicazione dell'illecito,

del

diritto materiale

anche

una

e,

responsabilità

sussistendo

gli

internazionale

altri dello

presupposti Stato.

Più

precisamente, se le diverse nozioni convenzionali di nave fossero da trattarsi come veri e propri precetti rivolti agli Stati, tutte le norme di nozione o di definizione del diritto interno dovrebbero per ciò stesso adeguarsi e, in mancanza di tale adeguamento, si configurerebbe un illecito internazionale dello Stato inadempiente427. In effetti, talora le Convenzioni citate contengono comandi espliciti a dare efficacia indistintamente a tutte le previsioni convenzionali428 in tal senso, e dove un tale comando manchi, si dovrebbe indagare se la possibilità della commissione dell'illecito internazionale possa avere origine dalla diversità degli effetti giuridici che deriva dall'applicazione di regole diverse di qualificazione. La giurisprudenza ammette talvolta che aspetti della fattispecie, anche espressamente qualificati e disciplinati dal sistema MARPOL, possano essere oggetto di una diversa qualificazione e disciplina mutuate dal diritto interno. In particolare, dovendo decidere se le acque di sentina fossero da qualificarsi come rifiuti, pur non essendo "[…] classificate in detta categoria dall'allegato V della Convenzione Internazionale MARPOL del 73-78 […]"429, decise in senso affermativo. "[…] Osserva […] la Corte che la Convenzione MARPOL, come le leggi che l'hanno approvata, è di data anteriore al Decreto legislativo n. 22/1997, […] di talché non si palesa idonea a introdurre, in materia di classificazione delle sostanze quali rifiuti, criteri diversi da quelli

Questo perché vi sarebbe "[…] contrasto tra il comportamento in concreto tenuto dallo Stato e quello richiesto dalla rilevante norma internazionale […]"; tratto da S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 286. 428 È il caso del sistema MARPOL, art. 1, n. 1: "The Parties to the Convention undertake to give effect to the provisions of the present Convention […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2278. 429 Cass. Pen. sez. III, 28 febbraio 2003, n. 19791, fatto e diritto; tratto da http://dejure.giuffre.it/. 100 427


più restrittivi successivamente adottati dagli Stati aderenti alla Convenzione […]"430. Si ricorda però il criterio della specialità dell'interesse dello Stato all'adempimento

degli

obblighi

internazionali,

pure

elaborato

dalla

giurisprudenza "[…] per garantire un'applicazione delle norme risultanti dall'adattamento

alle

Convenzioni

internazionali,

conformemente

agli

impegni assunti dall'Italia. […] Valorizzando tale argomento, si esclude così che la volontà di violare il trattato possa desumersi implicitamente dalla successiva adozione […] di norme interne […] con esse incompatibili […]"431. Sulla lettera b), la dottrina afferma che le installazioni semisommerse o autoelevanti, quando "[…] queste sono considerate navi, sono sottoposte al diritto marittimo e quindi alle convenzioni internazionali sulle regole sugli urti, […], quando invece sono considerate installazioni fisse, in caso di danno causato o subito […] si applicano le regole di diritto internazionale privato […], a meno che la legge interna applicabile non disponga altrimenti […]"432, e prosegue affermando che "[…] chiedersi se la piattaforma è o non è nave diventa un falso problema. Si tratta invece di cercare per ogni norma il suo fondamento, considerandone l'applicabilità o meno alle piattaforme. Si vedrà allora che alcuni problemi attengono al diritto internazionale pubblico: lo sfruttamento del letto del mare da parte di stati costieri; altri al diritto internazionale privato, come quelli relativi alla giurisdizione e alla legge applicabile, altri ancora fanno capo al diritto interno pubblico: […] regime delle concessioni, controlli sulle costruzioni […]; molti sono invece di diritto privato ed in particolare quelli riguardanti […] la relativa responsabilità […] "433. La dottrina ammette dunque che ad un'unica piattaforma si possano applicare simultaneamente diverse nozioni di nave, internazionali ed interne, e di relative discipline. Si osserva che per stabilire l'ambito di applicazione di tali norme è necessario un procedimento logico di verifica della "[…] corrispondenza tra la fattispecie astratta […] e la fattispecie concretamente

430 431 432 433

Ibid. S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 148 ÷ 149. A. XERRI cit., pag. 1096. Ibid., pag. 1095. 101


considerata […]"434, ovvero stabilire "[…] se un dato caso sia riconducibile ad una determinata norma […]"435, procedimento, questo, che altra dottrina definisce qualificazione. L'assimilazione

di

una

piattaforma

alla

nozione

di

nave

può

comportare, a cascata, una speciale risoluzione delle questioni di diritto internazionale privato, che sono, a norma dell'art. 1 della legge 31 maggio 1995, n. 218, la determinazione dell'ambito della giurisdizione, i criteri per l'individuazione del diritto applicabile e l'efficacia delle sentenze e degli atti stranieri436. Si pensi, ad esempio, al caso di una piattaforma autosollevante che, durante le manovre di appoggio al fondo marino, sia protagonista di una collisione; si pensi ancora alla simultanea qualificazione della stessa piattaforma come nave e come cosa diversa quando venga coinvolta in un incidente che determini perdite di petrolio e danni alle persone. La determinazione dell'ambito della giurisdizione non è materia regolata dalle Convenzioni studiate. La diversità delle soluzioni può forse derivare dalla diversità dei criteri di collegamento adottati da tre norme dell'ordinamento italiano: l'art. 3 della legge 31 maggio 1995, n. 218 437, l'art. 1 cod. nav.438, l'art. 14 cod. nav.439, da leggersi ricordando i "[…] necessari collegamenti esistenti tra diritto della navigazione e principi di diritto comune, […] sempre più indispensabili per una sua corretta applicazione […]. Lo stesso codice della navigazione […] sotto molteplici profili richiede di essere integrato mediante il ricorso a quello che il codice della navigazione definisce diritto civile (e che, più propriamente, dovrebbe chiamarsi diritto E. PAGANO, Lezioni di diritto internazionale privato, Editoriale Scientifica, Napoli 2003, pag. 91. 435 F. MOSCONI et C. CAMPIGLIO cit., pag. 143. 436 Ibid., pag. 1. 437 "1. La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 c. p. c. e negli altri casi in cui è prevista dalla legge. 2. […] Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio". 438 "In materia di navigazione, marittima […] si applicano il presente codice, le leggi, i regolamenti, […] e gli usi ad essa relativi. Ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile". 439 "[…] le domande riguardanti urto di navi o di aeromobili ovvero assistenza, salvataggio o ricupero in alto mare o in altro luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato possono proporsi avanti i giudici della Repubblica, se la nave o l'aeromobile che ha cagionato l'urto o che è stato assistito o salvato, ovvero le persone salvate o le cose salvate o ricuperate si trovano nella Repubblica". 102 434


comune). […] In molti casi è lo stesso codice della navigazione a richiamare espressamente le norme di diritto comune […]"440. L'individuazione del diritto applicabile è spesso disciplinata dalle norme di conflitto contenute nelle Convenzioni441. Quando ciò accada, la dottrina "[…] e la giurisprudenza hanno […] risolto […]" il problema dei rapporti con le norme di conflitto del diritto interno "[…] con esiti ormai consolidati, nel senso della prevalenza delle norme di diritto internazionale uniforme su quelle nazionali […]. Le ragioni di tale prevalenza vengono individuate, da un lato, nella necessità per il legislatore italiano di non contravvenire agli impegni assunti, mediante la ratifica, sul piano internazionale, e, dall'altro, nel carattere di specialità delle norme di diritto internazionale uniforme […] "442. Quando la norma di conflitto manchi, o non sia, in tutto o in parte 443, applicabile, essa dovrà essere ricercata nel diritto interno, tenendo conto, ancora una volta, degli ambiti di applicazione e dei rapporti esistenti tra il diritto della navigazione ed il diritto internazionale privato comune444. Le norme di conflitto contenute nel sistema MARPOL prevedono a volte l'applicazione della legge della bandiera445, criterio che nel codice italiano della navigazione, "[…] marcando una netta separazione rispetto ai criteri di collegamento adottati […] per i corrispondenti rapporti di diritto comune, assume un rilievo preminente e quasi totalizzante […]"446. Quando però si ricorra alla norma di conflitto del diritto comune447, potrebbe individuarsi una legge applicabile diversa da quella prescritta dal codice della navigazione. Si possono confrontare, ad esempio, l'art. 62 della

S. CARBONE et al., Il diritto marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali, Terza edizione, Giappichelli, Torino 2006, pag. 2 ÷ 3. 441 Ad esempio, il sistema MARPOL, infra, nota 445. 442 S. CARBONE et al., Il diritto marittimo cit., pag. 9. 443 Ad esempio, per frazionamento. F. MOSCONI et C. CAMPIGLIO cit., pag. 155. 444 Si ricordi che la dottrina discute se il codice della navigazione detti un regime speciale (e, per questo, destinato a prevalere) sul diritto comune, o se si possa in determinati casi configurare un rapporto inverso. Si veda S. CARBONE, Il diritto marittimo cit., pag. 2 ÷ 3. 445 Art. 4. "(1) Any violation of the requirements of the present Convention shall be prohibited and sanctions shall be established therefore under the law of the Administration of the ship concerned wherever the violation occurs. […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2279. 446 S. CARBONE et al., Il diritto marittimo cit., pag. 6. 447 Ovvero contenuta nella legge 31 maggio 1995, n. 218. 103 440


legge 31 maggio 1995, n. 218448, in materia di responsabilità per fatto illecito, e l'art. 7 cod. nav.449, in materia di responsabilità dell'armatore. "[…] La vasta adozione del criterio di collegamento costituito dalla nazionalità della nave pone, in alcune situazioni […], rilevanti difficoltà all'interprete. Si pensi […] all'ipotesi di cambiamento di nazionalità della nave tra il momento del sorgere di un rapporto e quello della sua attuazione […]. Difficoltà sul piano pratico possono porsi, nell'applicazione della legge della bandiera, anche con riguardo al coordinamento tra profili sostanziali (regolati dalla legge nazionale della nave) e profili processuali (regolati dalla lex fori) di una stessa fattispecie, come si verifica, ad esempio, quando venga chiesta in Italia la limitazione di responsabilità dell'armatore di nave straniera. […] al di là dei problemi applicativi cui si è appena fatto cenno, la scelta normativa a favore di un così largo impiego del criterio di collegamento costituito dalla nazionalità della nave si espone a fondate critiche, che investono gli stessi presupposti della sua utilizzazione. Si è infatti evidenziato come […] l'individuazione della nave e della sua nazionalità non costituiscano, in una vasta serie di rapporti, un elemento rilevante nel determinare la configurazione e l'equilibrio interno dei rapporti stessi […]"450. In almeno un caso la giurisprudenza ha delineato una particolare fisionomia dei rapporti tra diritto della navigazione e diritto comune, quando si verta in materia di norme di diritto internazionale privato, stabilendo che "[…] le norme di diritto della navigazione integrano ma non sostituiscono quelle sui conflitti di legge […]. Il criterio di collegamento costituito dalla nazionalità della nave costituisce solo un adattamento dei principi generali del nostro sistema di diritto internazionale privato alle esigenze particolari della navigazione marittima, occorrerà ritenere che il criterio della nazionalità della nave va applicato solo ove sia impossibile individuare altri criteri di Art. 62: "1. La responsabilità per fatto illecito è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l'evento. Tuttavia il danneggiato può chiedere l'applicazione della legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno. 2. Qualora il fatto illecito coinvolga soltanto cittadini di un medesimo Stato in esso residenti, si applica la legge di tale Stato". 449 Art. 7: "La responsabilità dell'armatore della nave […] per atti o fatti dell'equipaggio è regolata dalla legge nazionale della nave […]. La stessa legge regola i limiti legali del debito complessivo o della responsabilità dell'armatore o dell'esercente anche per le obbligazioni da loro personalmente assunte". 450 S. CARBONE, Il diritto marittimo cit., pag. 6 ÷ 7. 104 448


collegamento o gli stessi si presentino inadeguati a fronte della complessità del fenomeno, degli interessi in gioco e del particolarismo di alcune situazioni […]"451. Il criterio di collegamento della legge della bandiera può prestarsi a critiche, soprattutto di effettività della protezione dell'ambiente marino, date dalla "[…] proliferation of small flags of convenience from States with no, or totally ineffective, maritime administrations […]"452. Il legame tra la bandiera di convenienza e la carenza di un effettivo governo sul mare può essere spiegato ricorrendo all'art. 217. 1 della Convenzione di Montego Bay453, che pone in capo allo Stato di nazionalità il potere di esercitare sulle navi le attività di vigilanza a scopo di protezione dell'ambiente marino. La centralità di tale articolo è rilevata anche dalla dottrina, che recita: "[…] the ascription of nationality to ships is one of the most important means by which public order is maintained at sea […]"454. Per altra dottrina "[…] the Convention on the Law of the Sea did not in essence strengthen the genuine link between a ship and its flag State. This became evident when major international conventions relating to safety standards, pollution […] were being drafted […]. Consequently, the role of port State control in maritime governance increased […]"455. ricordare,

al

proposito,

i

poteri

dello

Stato

costiero

Si vogliono in

fase

di

regolamentazione e di rilascio di autorizzazioni allo smaltimento previsti dalla Convenzione di Londra del 28 dicembre 1972456. Più in generale, sarebbe necessario eseguire un'indagine accurata sul significato che possono assumere alcune nozioni, e sul se e quando siano applicabili alle piattaforme. Si pensi alla stessa espressione "bandiera di convenienza", o alla nozione di armatore, generalmente definito come colui che assume "[…] l'esercizio […] della nave"457 e può essere persona, "[…] ma anche società ed altri enti privati o pubblici diverse dai proprietari in quanto Trib. Firenze 17 maggio 1990, Liberis ed altri c. Ministero della Marina Mercantile, in S. CARBONE et al., Il diritto marittimo cit., pag. 7, e http://www.dejure.giuffre.it. 452 A. KIRCHNER, International marine environmental law, Institutions, implementation and innovations, Kluwer Law International, Londra (Gran Bretagna) 2003, pag. 124. 453 Supra, nota 236. 454 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 805. 455 A. KIRCHNER cit., pag. 125. 456 Supra, pag. 66. 457 R. MANCUSO, Istituzioni di diritto della navigazione, Giappicchelli, Torino 2002, pag. 144. 105 451


abbiano il godimento del mezzo in qualità di usufruttuari, conduttori (locatari) o comodatari. Secondo i più, gli elementi che caratterizzano la figura dell'armatore sono, principalmente: a) l'esercizio della nave in nome, nell'interesse ed a rischio proprio; b) la diretta ed esclusiva dipendenza dell'equipaggio […]"458; e che per le piattaforme il Decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1959, n. 128 pone obblighi di varia natura sulla figura del titolare del permesso di prospezione, almeno nominalmente diversa da quella dell'armatore. Nessuna

norma

internazionale

è

stata

rinvenuta

a

proposito

dell'efficacia delle sentenze e degli atti stranieri, che continuerà ad essere disciplinata dalle norme di diritto interno, quali l'art. 64 della legge 31 maggio 1995, n. 218.

3.

Le fonti di inquinamento fisico e chimico connesse all'esercizio di

attività estrattiva di idrocarburi e di coltivazione di noduli polimetallici Si è già visto che le Convenzioni internazionali a protezione del mare delimitano a volte il proprio ambito di applicazione basandosi sulla già discussa nozione di nave; tale delimitazione si compie però anche sulla base di definizioni delle varie condotte umane che possono causare fenomeni indesiderati. Così il sistema MARPOL definisce il proprio ambito di applicazione basandosi sia sulla nozione di nave, sia sulla definizione di attività di scarico ("discharge")

di

determinate

sostanze;

con

qualche

differenza,

la

Convenzione di Londra del 28 dicembre 1972 è applicabile a tutte le strutture artificiali di esplorazione o di sfruttamento459, ed il relativo ambito di applicazione è delimitato dalla nozione di smaltimento ("dumping"). In questi sistemi il mare quale corpo recettore rimane, per così dire, sullo sfondo; le sue caratteristiche sono a volte previste e rilevanti per determinare, insieme ad altri parametri tecnici, l'accettabilità della condotta umana che tali Convenzioni regolano460. 458 459 460

Ibid., pag. 144 ÷ 145. Supra, nota 251. Più estesamente infra, nota 487. 106


Diversamente, il già citato art. 1. 1 della Convenzione di Montego Bay basa la propria definizione di inquinamento proprio sul mare e sulle alterazioni che esso subisce. La coltivazione di noduli polimetallici e l'estrazione di idrocarburi dal sottofondo marino comportano, o possono comportare, la sollevazione di fanghi e la formazione di sospensioni, ovvero di masse di particelle solide non piccole in un mezzo disperdente omogeneo (nel presente caso, l'acqua di mare), dalla cui dimensione media dipende il tempo di stabilità della sospensione461. La torbidità delle acque, fenomeno fisico che ad esse si associa, tende a

risolversi

spontaneamente

per

sedimentazione;

non

così,

almeno

potenzialmente, le conseguenze ad essa associate. Se la sedimentazione fosse molto lenta, come accade quando la parte solida è molto fine, le interazioni con la luce solare (assorbimento, diffusione, opalescenza)462 potrebbero essere durature quanto basta ad alterare stabilmente, forse irreversibilmente, le condizioni di vita di una o più specie viventi463. La coltivazione di minerali comporta, ogni giorno su aree diverse aventi superficie di migliaia di chilometri quadrati, e per tutto il tempo della coltivazione, altre interazioni di natura fisica, chimica o biologica, quali le molestie alle specie animali; lo scarico in mare dei fanghi di separazione dei noduli dai detriti, che in acqua formano sospensioni del tutto analoghe a quelle dei fanghi da raccolta; l'emissione in atmosfera dei prodotti di combustione del carbone e di acidi volatili diluiti; il rischio di perdita accidentale di reagenti liquidi o di soluzioni esauste. La dottrina esaminata non dice se la formazione di sospensioni debba essere giuridicamente considerata fenomeno inquinante, perciò chi scrive deve limitarsi ad alcune riflessioni. Essa non è una "introduction" nel senso stretto ed assoluto del termine, perché la parte solida che la compone è già tutta presente nell'ambiente marino, seppure in forma ed aggregazione ben diversa; in altri termini, l'attività umana da cui i fanghi hanno origine difetta di ogni caratteristica additiva.

461 462 463

M. NARDELLI cit., pag. 920 ÷ 921. Ibid., pag. 922. A. POST cit., pag. 26, 59. Si pensi alla fotosintesi clorofilliana di alcune alghe. 107


Però un criterio di valutazione differenziale, basato sulla differenza di qualità delle acque riscontrabile prima e dopo la raccolta di noduli dai fondali, anziché

sulla

natura,

additiva

o

no,

dell'attività

stessa,

rileverebbe

effettivamente la presenza di un qualcosa in più nell'acqua marina, costituito appunto dai solidi sospesi. Una lettura non ristretta del termine "introduction" può giustificarsi ammettendo, a norma dell'art. 1. 1 della Convenzione, anche quella "indirecte", cioè, pare, quella che è effetto di un'attività umana, e non essa stessa addizione di materia o di energia; oppure assumendo un concetto di inquinamento come "degradation" dell'ambiente, che secondo la dottrina464 starebbe

assumendo

qualche

importanza;

ed

infine,

basandosi

sulla

genericità dell'obbligo di protezione dell'ambiente marino, previsto dall'art. 192 della Convenzione di Montego Bay465. Pur ricordando che la portata di quest'ultimo, come di tutta la parte XII della Convenzione di Montego Bay, si determina mediante integrazione con le altre norme convenzionali in materia analoga, e che né la Convenzione di Londra del 28 dicembre 1972466, né il sistema MARPOL467 considerano rispettivamente smaltimento o scarico la sollevazione di fanghi, ciò non pare sufficiente ad indurne la sicura esclusione da qualsiasi altra nozione di inquinamento. Le esplosioni, i contatti ed i rapporti meccanici tra i componenti dei macchinari, o tra questi ed il fondo marino possono anche produrre rumore; esso costituisce una vera e propria "introduction […] d'énergie", che la Convenzione di Montego Bay assimila a quella di "substances". La dottrina precisa che l'art. 1. 1 della Convenzione "[…] could in fact be read to cover all forms of energy, including noise […]. Such an interpretation is in conformity with the general rule of interpretation contained in the 1969 Vienna Convention on the Law of the Treaties […]"468. H. DOTINGA et A. OUDE ELFERINK, Acoustic pollution in the Oceans; the search for legal standards, in Ocean Development and International Law, 31, 2000, pag. 158. 465 Supra, nota 135. 466 Supra, nota 251. 467 Art. 2: "[…] (3) Discharge does not include: […] (ii) release of harmful substances directly arising from the exploration, exploitation and associated off – shore processing of sea – bed mineral resources […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2278. 468 H. DOTINGA et A. OUDE ELFERINK cit., pag. 158. Per il riferimento alla Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, supra, pag. 74. 108 464


Sono tre le variabili caratteristiche dei fenomeni acustici: la frequenza, che misura la distanza tra due punti dell'onda di identica fase; l'intensità, che esprime l'ampiezza dell'area descritta dall'onda; l'impulsività, che esprime l'intervallo di tempo tra due successivi fenomeni sonori. Il timbro, che è una quarta variabile caratteristica dei fenomeni acustici ed è legato alla forma dell'onda, non ha rilevanza per questo lavoro. La frequenza consente di distinguere i suoni, udibili dall'uomo, dagli ultrasuoni e dagli infrasuoni, non percepibili, né apparentemente nocivi all'uomo, ma palesemente pericolosi per specie marine anche maggiori (delfini, balene), che si servono ampiamente di tali onde acustiche per fuggire dai predatori, procurarsi il cibo e comunicare tra simili; l'intensità e l'impulsività contribuiscono a caratterizzare la gravità o la particolarità della molestia arrecata. La dottrina ritiene che nel concetto di rumore debbano essere compresi anche gli ultrasuoni e gli infrasuoni469, tutti soggetti a limiti posti dagli Stati e fatti osservare secondo gli ordinari criteri di ripartizione della jurisdiction (prescriptive jurisdition e enforcement jurisdiction). A volte i limiti massimi

di

ammissibilità

del

rumore

discendono

da

Convenzioni

internazionali regionali470. Tipica invece dell'estrazione di idrocarburi liquidi è, in caso di perdite, la formazione di emulsioni, dotate di una stabilità a volte superiore a quella delle

sospensioni;

dallo

studio

svolto

è

emerso

che

la

particolare

composizione sembra giustificarne la qualificazione come "oily misture", prevista dai sistemi OILPOL471 e MARPOL472, e la soggezione alla relativa disciplina. I prodotti di combustione del carbone, o di altri combustibili fossili, nelle tecniche della pirometallurgia, sono fonte di inquinamento chimico dell'atmosfera che può indirettamente causare fenomeni di inquinamento del mare473. Tale materia è disciplinata dall'allegato VI al sistema MARPOL, H. DOTINGA et A. OUDE ELFERINK cit., pag. 152. Ibid., pag. 162. 471 Art. 1: " (1) […] 'Oily mixture' means a mixture with any oil content […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2242. 472 Regola 1: "(2) […] Oil mixture means a mixture with any oil content"; ibid., pag. 2290. 473 Si pensi all'impiego di un olio combustibile ad alto tenore di zolfo, che forma nebbie acide che ricadono in mare. 109 469 470


entrato in vigore il 19 maggio 2005474, e dalle già citate Convenzioni regionali in materia di inquinamento atmosferico o transatmosferico. I bagni acquosi acidi o alcalini (ovvero, nei quali l'equilibrio di dissociazione delle molecole d'acqua è lontano dalla neutralità), freschi o esausti, causano alterazioni anche rilevanti della tendenziale neutralità dell'acqua marina pura, con effetti anche disastrosi; la parte solida di quelli esausti può anche formare sospensioni, il cui comportamento fisico è già stato studiato. Per tali bagni si può sostenere l'esistenza di un divieto di scarico generico, fondato sia sul già visto concetto di "altération" offerto dalla Convenzione di Montego Bay475, sia sulla disciplina dello smaltimento dettata dalla Convenzione di Londra del 28 dicembre 1972, sia sulla nozione di scarico presente nel sistema MARPOL476. La Convenzione del 28 dicembre 1972 non prevede un divieto assoluto di smaltimento per i bagni acidi o alcalini ed i relativi fanghi, che non contengono metalli e loro composti inseriti in allegato I477, in concentrazioni o quantità478 di un certo rilievo. Quando siano ricchi di altri particolari elementi479 o composti, sono classificati tra le sostanze (allegato II) che richiedono un'autorizzazione speciale allo smaltimento480, da rilasciarsi con Tratto da http://www.imo.org. Supra, pag. 60. Inoltre, art. 194. 3: "Les mesures […] de la présente partie doivent viser toutes les sources de pollution […]. Elles comprennent notamment: […] c) la pollution provenant des installations ou engins utilisés pour l'exploration ou l'exploitation des ressources naturelles des fonds marins et de leur sous – sol […]; d) la pollution provenant des autres installations ou engins qui fonctionnent dans le milieu marin […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 246; art. 208. 1: "Les États côtiers adoptent des lois […] afin de prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin qui résulte directement ou indirectement d'activités relatives aux fonds marins […] ou qui provient d'îles artificielles, d'installations et d'ouvrages […]"; ibid., pag. 254. 476 Supra, note 271, 272. 477 Allegato I: "[…] 2. Mercury and mercury compounds. 3. Cadmium and cadmium compounds. […]"; ibid., pag. 2533. 478 Per basse concentrazioni delle sostanze in Allegato I viene meno il divieto di smaltimento assoluto; (segue da nota 477) "[…] (9) This Annex does not apply to wastes […] containing […] trace contaminants. Such wastes shall be subject to the provisions of Annexes II and III as appropriate"; ibid. 479 Allegato II: "The following substances […] requiring special care are listed […]. A. Wastes containing significant amounts of […]: arsenic, lead, copper, zinc […] and their compounds […]. B. In the issue of permits for the dumping of large quantities of acids and alkalis, consideration shall be given to the possible presence […] of the substances listed in paragraph A and to […]: beryllium, chromium, nickel, vanadium and their compounds […]"; ibid., pag. 2533 ÷ 2534. 480 Supra, nota 252. 110 474 475


particolare attenzione; altrimenti rientrano necessariamente nelle sostanze in allegato III481, e l'autorizzazione, rilasciata preventivamente482 ed in modo espresso483 (mai da intendersi come atto dovuto484), dovrà contenere prescrizioni tecniche che tengano conto delle caratteristiche chimiche e fisiche sia della sostanza da immettere, sia del corpo recettore, tra le quali la possibilità di cambiamento di colore del mare o delle sue risorse 485, i valori di alcuni parametri chimici e fisici, le condizioni geografiche del mare prima dello scarico486, la possibilità di smaltire le sostanze altrove, o previo trattamento che ne riduca la pericolosità487. La

generalità

del

divieto

di

smaltimento

non

espressamente

autorizzato488 potrebbe forse trovare ulteriore fondamento sulla nozione di normalità delle operazioni, dettata dall'art. 3, numero 1, lettera b, punto i 489, e forse ispirata allo scopo prioritariamente e lecitamente perseguito dall'impianto. In tal caso sarebbe escluso dalle operazioni normali lo scarico in mare di bagni e fanghi esausti, che costituiscono conseguenza, e non certo scopo, delle attività estrattive in genere. Per l'apertura della definizione di inquinamento contenuta nella Convenzione di Montego Bay, sembra di dover considerare lecita sul piano Supra, nota 253. Art. III. 5: "'[…] permission granted in advance and in accordance with Annex III"; ibid., pag. 2527. 483 Art. IV: "2. Any permit shall be issued only after careful consideration of all the factors set forth in Annex III […]; ibid. 484 (segue da nota 483) "3. No provision of this Convention is to be interpreted as preventing a Contracting Party from prohibiting, insofar as that Party is concerned, the dumping of wastes or other matter not mentioned in Annex I […]"; ibid., pag. 2528. 485 (segue da nota 253) "[…] 8. Probability of production of taints […] reducing marketability of resources […]"; ibid., pag. 2533. I metalli che compongono i noduli polimetallici formano spesso composti colorati; così M. NARDELLI cit., pag. 885, 1233. 486 (segue da nota 485) "[…] 5. Dispersal characteristics (e. g. effects of currents, tides and wind […]). 6. Water characteristics (e. g. temperature, pH, salinity, […] nitrogen […]). 7. Bottom characteristics (e. g. […] geochemical and geological characteristics […]). 8. Existence and effects of other dumpings which have been made in the dumping area (e. g. heavy metal background […]). C – General considerations and conditions. 1. Possible effects on amenities […]. 2. Possible effects on marine life […]. 3. Possible effects on other uses of the sea (e. g. impairment of water quality for industrial use […] and protection of areas of special importance for scientific or conservation purposes […]"; ibid., pag. 2534 ÷ 2535. 487 (segue da nota 486) "4. The practical availability of alternative land – based methods of treatment, disposal or elimination, or of treatment to render the matter less harmful for dumping at sea"; ibid. 488 Supra, nota 272, 275. 489 Supra, nota 251. 111 481 482


internazionale ogni autorizzazione allo smaltimento rilasciata secondo le regole della Convenzione di Londra del 28 dicembre 1972. Il sistema MARPOL 73/78, dal canto suo, prevede una propria nozione di scarico basata su una ampia varietà di possibile origine della materia confluita in mare490, ma purché tale materia si componga di "harmful substances", peraltro definite in modo così ampio491 da potervi comprendere ragionevolmente anche i bagni acidi o alcalini ed i relativi fanghi. Tale nozione esclude esplicitamente che un'attività di smaltimento possa essere assimilata ad uno scarico, contribuendo così a chiarire lo specifico ambito di applicazione delle due Convenzioni esaminate. Per l'irrilevanza dell'intenzionalità nella nozione di scarico del sistema MARPOL, i fenomeni involontari associati alla separazione fisica degli idrocarburi dall'acqua o tra di loro (esplosioni, incendi e rovesciamenti in mare di oli e bitumi) dovrebbero essere trattati come scarichi, anche perché, difettando

dell'intenzionalità

e

della

normalità

di

scopo

perseguita

dall'impianto da cui hanno origine, non possono essere assimilati alla nozione di

smaltimento;

per

essi

sembrano

doversi

applicare

anche

quelle

Convenzioni regionali, specificamente dedicate agli idrocarburi o ad uno o più aspetti caratteristici di tali accadimenti.

4.

La necessità di rimozione delle piattaforme abbandonate Ogni struttura va incontro, per usura o per decorso del tempo, ad una

naturale obsolescenza, dalla quale derivano la perdita della funzionalità originaria, il deprezzamento economico, e soprattutto il probabile interesse all'abbandono. Non necessariamente quest'ultimo si associa ad un interesse o ad una necessità pratica di rimozione. Essa può fondarsi piuttosto su considerazioni di interesse altrui, generale o collettivo, che però non

Supra, nota 272. Art. 2: "[…] (2) Harmful substance means any substance which […] is liable to create hazards to human health, […] living resources and marine life, to damage amenities or to interfere with other legitimate uses of the sea, and includes any substance subject to control by the present Convention"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2278. 112 490 491


appaiono sufficienti a fondare un generale obbligo di rimozione delle piattaforme abbandonate. La questione è stata disciplinata per la prima volta dall'art. 5. 5 della Convenzione di Ginevra del 29 aprile 1958 sulla piattaforma continentale492, rimasta sprovvista di un'interpretazione stabile ed uniforme. "[…] Two schools of interpretation of the 1958 Convention on the Continental Shelf are now available, the textual approach and the teleological approach […]"493. Il primo impone un'interpretazione rigoristica e letterale, fondata sull'art. 31. 1 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati494; il secondo interpreta tale inciso come fondamento di obblighi di volta in volta diversi, ed accomunati dallo scopo di evitare pericoli causati dall'abbandono495. Oggi

si

impone

un

singolare

confronto

tra

l'art.

60.

3

della

Convenzione di Montego Bay ed il citato art. 5. 5, il primo dei quali prevede un generico obbligo di rimozione dei relitti nel quadro delle norme di diritto internazionale

generale,

delle

regole

tecniche

adottate

da

organismi

internazionali e di altri utilizzi leciti del mare496. Secondo la dottrina sull'origine di tale norma almeno "[…] three disparate interpretations can be identified […]"; più precisamente, quella della Germania federale, che vedeva nella rimozione integrale l'unica via per "[…] assurer la sécurité de la navigation […]"; quella britannica, che vedeva nella posizione della Germania federale addirittura una contrarietà al sistema generale della Convenzione, e quella statunitense, che auspicava il rinvio ad una serie di norme tecniche di origine persuasiva per l'integrazione del contenuto della norma497.

Art. 5: "[…] 5. Toutes les installations abandonnées ou ne servant plus doivent être complètement enlevées"; tratto da ORGANISATION DES NATIONS UNIES, Recueil des Traités, Traités et accords internationaux enregistrés ou classés et inscrits au répertoire au Secrétariat de l'Organisation des Nations Unies, 499, New York (Stati Uniti d'America) 1964, pag. 317. 493 Ibid. 494 Supra, nota 296. 495 Z. GAO, Current issues of international law on offshore abandonment, with special reference to the United Kingdom, in Ocean Development and international law, 28, 1997, pag. 63. 496 Art. 60. 3: "[…] Les installations ou ouvrages abandonnés ou désaffectés doivent être enlevés afin d'assurer la sécurité de la navigation, compte tenu des normes internationales généralement acceptées établies en la matière par l'organisation international compétente. Il est procédé à leur enlèvement en tenant dûment compte aussi de la pêche, de la protection du milieu marin et des droits et obligations des autres États […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 124. 497 Z. GAO cit., pag. 63. 113 492


Durante

i

lavori

preparatori

non

si

è

raggiunto

un

accordo

soddisfacente nemmeno intorno al significato di "[…] installations et ouvrages abbandonnés ou désaffectés […]" e l'emendamento francese, diretto a differenziare l'obbligo di rimozione in ragione della profondità dell'acqua interessata dai relitti, è stato ritirato. Così ancora oggi la stessa dottrina dubita che tale obbligo possa estendersi ai dispositivi accessori, esplicitamente nominati nella precedente citata Convenzione di Ginevra498, e poi omessi nell'art. 60. 3 in esame. Taluno conclude che quest'ultimo ancora oggi "[…] perhaps will not arise until there is a general state practice […]"499, e che non avrebbe la forza di imprimere alcuna modifica sul diritto internazionale generale previgente, e sostiene la perdurante efficacia del citato art. 5. 5, allegando anche la pronuncia del Tribunale arbitrale sulla delimitazione della piattaforma continentale del Canale della Manica del 30 giugno 1977, che recita: "[…] la Convention de Genève sur le plateau continental est un traité en vigueur dont les dispositions sont en l'espèce applicables […]"500. Benché entrambe le parti, Francia e Gran Bretagna, avessero mostrato una comune volontà di superare, nei loro rapporti, le Convenzioni di Ginevra501, il Tribunale ne confermò l'efficacia. A nulla valsero le allegazioni francesi ("[…] toutes les Conventions de Genève sur le droit de la mer, y compris la Convention sur le plateau continental, sont devenues désuètes en raison de l'évolution récente du droit coutumier, stimulée par les travaux de la Troisième Conférence des Nations Unies sur le droit de la mer […]"502) e britanniche sull'avvenuta formazione di un consenso su norme di diverso contenuto nella materia della lite. Il Tribunale statuì "[…] en l'espèce […]"503, (segue da nota 492) "6. Ni les installations ou dispositifs, ni les zones de sécurité établies autour de ceux – ci ne doivent être situés dans les parages où ils peuvent gêner l'utilisation des routes maritimes régulières indispensables à la navigation internationale". tratto da ORGANISATION DES NATIONS UNIES cit., pag. 317. 499 Z. GAO cit., pag. 66. 500 COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Affaire de la délimitation du plateau continental, Grande – Bretagne /France, in Réceuil cit., 18, paragrafo 48, pag. 166. 501 La Convenzione di Ginevra sulla piattaforma continentale è entrata in vigore il 10 giugno 1964. La Gran Bretagna ha depositato il proprio strumento di ratifica o di adesione l'11 maggio 1964, la Francia non risulta averne mai depositato alcuno; tratto da ORGANISATION DES NATIONS UNIES cit., pag. 313. 502 COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Affaire de la délimitation du plateau continental, Grande – Bretagne /France, in Réceuil cit., 18, paragrafo 45, pag. 165. 503 La Francia sostiene l'esistenza di "[…] un consensus […] dans le cadre de la Conférence, en ce qui concerne le droit de l'État côtier à une zone économique 114 498


ed aggiunse che "[…] ne saurait considérer la Convention comme désuète […] à moins d'y être autorisé par les indications les plus probantes démontrant l'intention des parties contractantes de considérer la Convention comme ayant pris fin. Or, de l'avis du Tribunal, dans les faits de l'espèce, ni les comptes rendus de la Troisième Conférence des Nations Unies sur le droit de la mer, ni la pratique des États en dehors de cette Conférence ne contiennent de telles indications décisives démontrant que les Parties à la Convention du 1958 sur le plateau continental considèrent aujourd'hui déjà que la Convention est désuète et devenue inapplicable […]"504. Pare dunque che il Tribunale arbitrale dichiari l'estinzione per desuetudine soltanto se venga provata l'esistenza di una precisa opinio iuris sulla perdita della forza vincolante della relativa norma, che non può essere né confusa, né assimilata alla formazione di un consenso intorno ad una norma di contenuto diverso, neppure se questo è particolarmente pregnante e stabile, come era505 il criterio generale della distanza di duecento miglia nella delimitazione della piattaforma continentale, per risolvere le "[…] questions of […] payments and contributions in respect of the exploitation of the continental shelf beyond 200 miles […]"506. Perciò la logica imporrebbe di non considerare desueta una norma ugualmente carente di tale opinio iuris, e, per di più, nemmeno scalfita da un dibattito

di

revisione

che

ha

raggiunto

un'uniformità

di

consenso

drasticamente bassa. Si ricorda per inciso che la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati impone un'interpretazione delle norme che non conduca "[…] à un résultat qui est manifestement absurde ou déraisonnable […]"507. Con una prima obiezione si può sostenere che la successiva entrata in vigore della Convenzione di Montego Bay supera l'esaminata pronuncia

exclusive de 200 milles […]"; la Gran Bretagna replica che "[…] il s'est dégagé […] un certain consensus en faveur de la reconnaissance de zones économiques exclusives de 200 milles"; ibid. 504 Ibid., paragrafo 47, pag. 166. 505 Durante la quinta sessione convocata nel 1976, dunque, prima della pronuncia arbitrale esaminata. 506 CENTER FOR OCEANS LAW AND POLICY cit., 2, pag. 854. La definizione del limite della piattaforma continentale ("continental shelf", così anche dalla rubrica della parte VI della Convenzione di Montego Bay) non è più nemmeno nominata. 507 Art. 32 della Convenzione sul diritto dei trattati, aperta alla firma a Vienna il 22 maggio 1969; tratto da A. MARESCA cit., pag. 784. 115


arbitrale, perché l'art. 311. 1 della nuova Convenzione ne dispone la prevalenza su tutte le Convenzioni di Ginevra508. Tuttavia la dottrina osserva che, benché "[…] time has elapsed, the finding in this case perhaps is still relevant since little has changed about the 1958 convention except the entry into force of the 1982 Law of the Sea Convention. […]"509. Oltretutto, "[…] very little material evidence has been provided to establish that the 1958 convention has in fact become obsolete […]"510. Una seconda obiezione si fonda sulle regole di estinzione di un trattato per mutamento fondamentale delle circostanze511 dettate dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. La dottrina ricorda però il carattere "restrictive" di tale disposizione, ed il fatto che "[…] both the circumstances and the subsequent changes have to be examined. The concert for the safety of navigation and conservation of living resources, as the primary factors at the time of treaty negotiation, have remained by and large unchanged over the years […]"512. Tra l'altro la norma non si applica ai trattati già esistenti 513, quale è pacificamente ogni Convenzione del 29 aprile 1958; dunque l'eventuale verificarsi di cause di estinzione dovrebbe essere ricercato secondo le regole del

diritto

internazionale

generale

vigenti

allora.

Nello

specifico,

la

Convenzione di Ginevra sulla piattaforma continentale si limita a regolare le possibilità di una revisione su iniziativa di una qualsiasi Parte contraente514.

Art. 311. 1: "La Convention l'emporte, entre les États Parties, sur les Conventions de Genève du 29 avril 1958 sur le droit de la mer"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 330. 509 Z. GAO cit., pag. 64. 510 Ibid. 511 Art. 62. 1: "Un changement fondamental de circonstances […] ne peut être invoqué comme motif pour mettre fin au traité ou pour s'en retire, à moins que: a) l'existence de ces circonstances n'ait constitué une base essentielle du consentement des parties à être liées […], et que b) ce changement n'ait pour effet de transformer radicalement la portée des obligations qui restent à exécuter en vertu du traité"; tratto da A. MARESCA cit., pag. 791. 512 Z. GAO cit., pag. 64. 513 Art. 4 "[…] ladite Convention […] s'applique uniquement aux traités conclus par des États après son entrée en vigueur […]"; tratto da A. MARESCA cit., pag. 777. 514 Art. 13. 1: "Après expiration d'une période de cinq ans à partir de la date à la quelle la présente Convention entrera en vigueur, une demande de révision de la présente Convention peut être formulée en tout temps, par toute partie contractante […]"; tratto da ORGANISATION DES NATIONS UNIES cit., pag. 319 ÷ 321. 116 508


Una terza obiezione considera estinto l'art. 5. 5 per il principio di prevalenza della lex posterior (nella fattispecie, l'art. 60. 3 della Convenzione di Montego Bay) di contenuto contrastante con disposizione già esistente, ma tale principio, secondo la Convenzione sul diritto dei trattati 515, si applica soltanto se la norma più recente è anche imperativa; e sostenere l'imperatività dell'art. 60. 3 pare operazione ardua per diverse ragioni. In primo luogo, "[…] although 106 states have become parties […] many other countries […] have not yet ratified the Convention […]"516 di Montego Bay, così che sostenere di una norma sia l'inderogabilità, sia l'inapplicabilità a più di uno Stato acquista, agli occhi di chi scrive, toni contraddittori. In secondo luogo, l'art. 311. 3 della Convenzione di Montego Bay prevede la derogabilità relativa delle norme della stessa Convenzione per iniziativa delle parti517, a meno che esse non rientrino tra i "[…] principes fondamentaux […]", tra i quali la dottrina esaminata non inserisce l'art. 60. 3. La Convenzione di Montego Bay fa salvi518 diritti ed obbligazioni nascenti da altri trattati compatibili, così che il contenuto dell'art. 60. 3 può essere in parte integrato facendo riferimento alla Convenzione di Londra del 28 dicembre 1972. Secondo la dottrina, "[…] it is now generally agreed that the abandonment of a structure at sea, either totally or partially, is considered dumping under the definition of the convention […]"519. Ciò semplicemente impone che l'abbandono dei relitti venga condotto, come le altre forme di smaltimento, nel rispetto della relativa disciplina convenzionale, ma niente dice sulla sussistenza di un obbligo generale di rimozione. È pur vero che gli Stati, dal canto loro, sono tenuti ad aggiornare le norme convenzionali Art. 64: "Si une nouvelle norme impérative du droit international général survient, tout traité existant qui est en conflit avec cette norme devient nul et prend fin"; tratto da A. MARESCA cit., pag. 792. 516 Z. GAO cit., pag. 66. 517 Art. 311. 3: "Deux ou plus de deux États peuvent conclure des accords qui modifient ou suspendent l'application des dispositions de la Convention et qui s'appliquent uniquement à leurs relations mutuelles, à condition que ces accord ne portent pas sur une des dispositions de la Convention dont le non – respect serait incompatible avec la réalisation de son objet et de son but, et à condition également que ces accords n'affectent pas l'application des principes fondamentaux énoncés dans la Convention […]; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 330. 518 Art. 311. 2: "La Convention ne modifie en rien les droits et obligations des États Parties qui découlent d'autres traités compatibles avec elle […]"; ibid. 519 Z. GAO cit., pag. 60. 117 515


secondo le nuove esigenze generali520, ed a prestarsi collaborazione tecnica reciproca521, ma è anche vero che dalla dottrina nemmeno trapela l'idea che il fondamento di un obbligo generale di rimozione possa essere ritenuto semplice regola di buona tecnica. L'assenza di un obbligo generale non sembra poter escludere obblighi di rimozione parziali o particolari, magari imposti dall'autorizzazione allo smaltimento. Una riflessione generale fa emergere la centralità degli aspetti tecnici, che prevedono molteplici possibilità di riutilizzo di un relitto, alcune delle quali pure previste come diritti dalla Convenzione di Montego Bay (art. 56. 1522, per la posa di pale eoliche o di celle fotovoltaiche).

5.

Gli ostacoli posti alle altre attività di godimento del mare previsti

dalla Convenzione di Montego Bay La presenza di installazioni pone senza dubbio ostacoli ed esclusioni all'altrui godimento del mare. La Convenzione di Montego Bay ne tiene conto, stabilendo a più riprese che chi pone tali strutture "[…] ne peut entraver […] "523 le forme di godimento o di utilizzo della piattaforma continentale o della

Art. XIV: "[…] (4) Consultative or special meetings of the Contracting Parties shall keep under continuing review the implementation of this Convention and may, inter alia: […] f) consider any additional action that may be required"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2531. 521 Art. IX: "The Contracting Parties shall promote […] support for those Parties which request it for: […] (c) the disposal and treatment of waste and other measures to prevent or mitigate pollution caused by dumping"; ibid., pag. 2530. 522 Supra, nota 37. 523 Ad esempio, art. 79. 2: "Sous réserve de son droit de prendre des mesures raisonnables pour l'exploration du plateau continental, l'exploration des ressources naturelles et la prévention, la réduction et la maîtrise de la pollution par les pipelines, l'État côtier ne peut entraver la pose ou l'entretien de ces câbles ou pipelines"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 146. L'espressione nel testo è comunque ricorrente (si veda anche l' art. 60. 7: "Il ne peut être mis en place d'îles artificielles, installations ou ouvrages, […] lorsque cela risque d'entraver l'utilisation de voies de circulation […]", ibid., pag. 126), ed utilizzata anche a proposito di rapporti tra Stati tutti non costieri; si veda l'art. 261: "La mise en place et l'utilisation d'installations […] ne doivent pas entraver la navigation […]"; ibid., pag. 294. 118 520


Zona Economica Esclusiva riconosciute dal diritto internazionale agli Stati diversi da quello costiero. L'originario ed assai ampio diritto di sfruttamento della piattaforma continentale riconosciuto allo Stato costiero dall'art. 77. 1524, ancorché caratterizzato dall'esclusività e dall'opponibilità erga omnes525, coesiste con il diritto degli altri Stati di posare cavi e tubi526, previsto dall'art. 79. 1527. La supremazia nei rapporti con gli altri Stati, riconosciuta allo Stato costiero ed in altre norme definito sovrano528 della piattaforma continentale, si esercita senz'altro nella possibilità di esercitare i propri poteri di polizia previsti dall'art. 79. 2529 e dall'art. 79. 3530, specialmente in fase di autorizzazione. La dottrina conferma che "[…] le tracé des pipelines sur le plateau continental doit être agréé par l'État côtier. Ce dernier a donc désormais expressément le pouvoir de déterminer le cheminement que devront suivre ces pipelines. Par ailleurs, l'État côtier […] a juridiction sur les câbles ou pipelines installés ou utilisés dans le cadre de l'exploration de son plateau continental ou de l'exploitation de ses ressources, ou de l'exploitation artificielles, d'installations ou d'ouvrages relevant de sa juridiction […]"531, ma si vuole sottolineare che l'esercizio di tale juridiction deve ispirarsi ad un certo equilibrio e ad una certa idea di parità tra tutti gli Stati, come vuole la norma dettata in art. 79. 5532. La Convenzione di Montego Bay ha ribadito l'importanza di una generica libertà di utilizzo del mare nella sovrastante Zona Economica Esclusiva533, fino ad assimilare le libertà in essa esercitabili, quali la libertà di Supra, nota 31. Più estesamente supra, pag. 32. 526 Supra, nota 165. 527 Art. 79. 1: "Tous les États ont le droit de poser des câbles et des pipelines sous – marin sur le plateau continental […]; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 146. 528 Sulla differenza tra sovranità ed esclusività supra, pag. 32. 529 Supra, nota 70. 530 Art. 79. 3: "Le tracé des pipelines posés sur le plateau continental doit être agréé par l'État côtier"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 146. 531 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 816. 532 Art. 79. 5: "Lorsqu'il posent des câbles ou des pipelines […], les États tiennent dûment compte des câbles et pipelines déjà en place. Ils veillent en particulier à ne pas compromettre la possibilité de réparer ceux – ci"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 146. 533 Art. 78. 2: "L'exercice par l'État côtier de ses droits sur le plateau continental ne doit pas porter atteinte à la navigation ou aux autres droits et libertés reconnus aux autres États par la Convention, ni en gêner l'exercice en manière injustifiable"; tratto 119 524 525


navigazione e di sorvolo534 ed il diritto di accedere ad una quota delle risorse ittiche, a quelle proprie dell'Alto Mare535, elencate nella parte V. A norma del già visto art. 78. 1536, gli utilizzi della Zona Economica Esclusiva, tra i quali la possibilità di pescare, non possono

essere

compromessi dall'esercizio dei diritti dello Stato costiero sulla propria piattaforma continentale. Pur dubitando che esista, "[…] sous l'empire du droit coutumier, une quelconque obligation de tolérer la pêche étrangère à l'intérieur de la bande de 200 milles […]"537, ciò però "[…] n'exclut toutefois pas la possibilité de restreindre ces droits souverains, par exemple par une obligation de donner aux bateaux d'autres États accès à la zone […]"538. Poi, "[…] l'État côtier […] ne peut, en ce qui concerne les ressources biologiques de la colonne d'eau, interdire de façon générale toute activité de pêche aux ressortissants étrangers. Des règles fort complexes de la Convention

l'obligent

à

permettre

la

pêche

étrangère

dans

les

cas

importants, notamment lorsqu'il existe un différence ("reliquat") entre le total admissible des captures et sa propre capacité d'exploitations […]"539. In sintesi, "[…] l'État côtier est maître de décider qui assurera l'exploration ou l'exploitation et maître de fixer les conditions applicables […] "540. Oggi "[…] la liberté de navigation reste une liberté de fait limitée par les obligations prévues par le droit international […]"541, e si presenta, nella Zona Economica Esclusiva, come libertà di "[…] activité directement inhérente au mouvement ou à la présence des navires en mer, […] exclusivement pour les aspects liés à ce mouvement et à cette présence […] da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 146. 534 Art. 58. 1: "Dans la zone économique exclusive, tous les États […] jouissent, dans les conditions prévues par les dispositions pertinentes de la Convention, des libertés de navigation et survol et de la liberté de poser câbles et pipelines sous – marins […], ainsi que de la liberté d'utiliser la mer à d'autres fin internationalement licites […], notamment dans le cadre de l'exploitation […] de câbles et pipelines sous – marins"; ibid. 535 Art. 58. 2: "Les articles 88 à 115, ainsi que les autre règles pertinentes du droit international, s'appliquent à la zone économique exclusive dans la mesure où ils ne sont pas incompatibles avec la présente partie"; ibid., pag. 122. 536 Supra, nota 120. 537 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 839. 538 Ibid., pag. 899. 539 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 839. 540 Ibid., pag. 900 ÷ 901. 541 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 689. 120


"542. Può assumere svariate manifestazioni, dalla semplice presenza in mare al compimento di determinate esercitazioni, nel quadro di "[…] un contenu qui va au – delà de la simple absence de règles […]"543. Titolari della libertà di navigazione sono gli Stati; "[…] les navires arborant leur pavillon […]" sono semplici "[…] moyens par lesquels s'exerce la liberté de navigation […]"544. Il legame della bandiera tra Stato e nave è "[…] tel que cet État puisse prétendre exclure les interférences des autres États. […]. Ainsi, la notion peut […] être nuancée selon les zones de mer, en fonction des droits qu'on reconnaît à l'État auquel le navire appartient […]". Quando poi un'installazione sia assimilabile ad una nave, "[…] dans la zone économique exclusive et sur le plateau continental, pour la plupart des installation ce droit se réduit à néant (ou presque), car on reconnaît une justification exclusive de l'État côtier (art. 60 et 80 de la Convention de 1982) […]"545. Nel campo della ricerca scientifica marina tutti gli Stati sono titolari di una "[…] liberté […] évincée par les nouveaux pouvoirs de contrôle donnés à l'État côtier sur les zones sous juridiction nationale […]"546, forse cedevole davanti a tutti gli altri547, tanto che, in caso di interferenze forti con le altre attività di sfruttamento della piattaforma continentale, l'autorizzazione può essere anche rifiutata548. Ciò che più interessa delle regole esaminate è stabilire se siano correlate, ed in che modo, da un principio ispiratore comune idoneo a guidarne l'interpretazione e l'armonizzazione. La dottrina non ne individua uno universale, e ripiega sulla classificazione di queste ed altre regole "[…] en règles générales et règles particulières […]"549. Le prime "[…] ne font pas Ibid., pag. 696. Ibid., pag. 688. 544 Ibid., pag. 692. 545 Ibid., pag. 693. 546 Ibid., pag. 969. 547 Art. 238: "Tous les États […] ont le droit d'effectuer des recherches scientifiques marines, sous réserve des droits et obligations des autres États […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 278 ÷ 280. 548 Art. 246: "[…] 5. Les États côtiers peuvent […] refuser leur consentement à l'exécution d'un projet de recherche scientifique marine par un autre État […] dans leur zone économique exclusive ou sur leur plateau continental […] si le projet prévoit la construction, l'exploitation et l'exploration des ressources naturelles […]. 8. Les recherches scientifiques marines […] ne doivent pas gêner de façon injustifiable les activités entreprises par les États côtiers […]", ibid., pag. 284. 549 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 716. 121 542 543


un choix donnant la priorité à une activité sur une autre. Elles ont pour but d'assurer autant que possible la coexistence des différentes activités et d'indiquer, dans l'hypothèse où une telle coexistence serait impossible dans un cas concret, des critères permettant de déterminer des préférences cas par cas. […] Les règles générales […] s'appliquent dans les cas non envisagés par une règle particulière, de même que dans les cas […] où les conditions requises pour l'application d'une règle particulière ne sont pas remplies. En outre il est nécessaire de faire usage des règles générales pour interpréter les règles particulières. […] le recours aux règles générales pour l'interprétation des règles particulières doit conduire à une interprétation restrictive de ces dernières […]"550. È regola generale che dirime i conflitti tra i vari possibili utilizzi della Zona Economica Esclusiva il principio, espresso all'art. 56. 2551 ed all'art. 58. 3552, secondo il quale lo Stato costiero e gli altri Stati devono reciprocamente tenere conto dei diritti e degli obblighi di tutti. La dottrina interpreta queste due norme, simmetriche tra loro553, come "[…] une situation d'équilibre […]. Il s'ensuit que le rapport entre l'exercice des droits de l'État côtier et celui des libertés des autres États dans la zone économique exclusive est, en principe, le même […] qui existe entre l'exercice des libertés de la haute mer par des États différents […]"554. Le regole che risolvono i conflitti tra l'esercizio delle libertà di navigazione e dei diritti di sfruttamento ed esplorazione della piattaforma continentale o della Zona Economica Esclusiva sono dettate all'art. 60,

Ibid., pag. 717. Art. 56. 2: "Lorsque, dans la zone économique exclusive, il exerce ses droits et s'acquitte de ses obligations en vertu de la Convention, l'État côtier tient dûment compte des droits et des obligations des autres États et agit d'une manière compatible avec la Convention"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 122. 552 Art. 58. 3: "Lorsque, dans la zone économique exclusive, ils exercent leurs droits et s'acquittent de leurs obligations en vertu de la Convention, les États tiennent dûment compte des droits et des obligations de l'État côtier et respectent les lis et les règlements adoptés par celui – ci conformément aux dispositions de la Convention et, dans la mesure où elles ne sont pas incompatibles avec la présente partie, aux autres règles du droit international"; ibid. 553 "Les deux dispositions sont l'une le miroir de l'autre […]. Il n'en reste pas moins que les deux dispositions […] paraissent indiquer une tendance à donner priorité à l'exercice des pouvoirs de l'État côtier […]. Nonobstant les différences de formulation, l'équilibre entre les pouvoirs de l'État côtier et les libertés des autres États reste sauvegardé"; tratto da R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 735. 554 Ibid. 122 550 551


commi 6 e 7555, che secondo la dottrina, sono rispettivamente regola generale e regola particolare; più dettagliatamente, "[…] les dispositions de l'art. 60 cherchent à obtenir un équilibre entre la navigation et la mise en place et l'utilisation d'îles artificielles, installations et ouvrages. Ce but est poursuivi en prescrivant que la construction de ces îles, installations et ouvrages doit être dûment signalée […]. On permet en outre à l'État côtier d'établir autour de ces îles, installations et ouvrages des zones de sécurité […] dans lesquelles il peut prendre les mesures appropriées pour assurer la sécurité […]. On voit clairement dans cette disposition l'intention d'assurer la coexistence des deux activités […]"556. Peraltro la particolarità dell'art. 60. 7 consiste nel porre un divieto assoluto di installare piattaforme o isole artificiali, quando la presenza di una tale struttura comporti anche soltanto un rischio di compromissione della libertà di navigare.

Art. 60. 6: "Tous les navires doivent respecter ces zones de sécurité et se conformer aux normes internationales généralement acceptées concernant la navigation dans les parages des îles artificielles, installations, ouvrages et zones de sécurité […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 124; per il comma 7 supra, nota 523. 556 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 739. 123 555


CAPITOLO IV

IL

SISTEMA DELLE REGOLE DI RESPONSABILITÀ

1.

Il fondamento delle regole sulla responsabilità Il

Progetto

di

articoli

sulla

responsabilità

degli

Stati

per

atti

internazionalmente illeciti, del quale "[…] non è dato sapere quale sarà la sorte […]"557, disciplina molteplici aspetti, ma non contiene una definizione, di che cosa sia tale responsabilità. La dottrina la definisce come "[…] l'insieme delle conseguenze giuridiche che si originano da un comportamento adottato da uno Stato in violazione di un obbligo internazionale […]"558. La giurisprudenza internazionale e la dottrina concordano sulla necessità della prioritaria violazione dell'obbligo primario, che quando è "[…] obbiettiva […]"559, costituisce "[…] presupposto necessario per l'insorgere di una responsabilità internazionale […]"560. In altri termini, uno Stato "[…] ne peut présenter une demande de réparation du fait de la violation […] avant d'avoir établi qu'il en a le droit, car les règles en la matière supposent deux conditions: premièrement, l'État […] a manqué une obligation […]"561. Inoltre, la "[…] responsabilité est le corollaire nécessaire du droit. En l'absence d'un traité applicable en la matière entre les Parties, cette question fondamentale doit être tranché d'après les règles générales de la protection diplomatique […]"562. La dottrina, come era prevedibile, ritiene che i principi generali del diritto

internazionale

siano

fondamenti

della

responsabilità

non

particolarmente fecondi. La regola di buon vicinato sarebbe addirittura causa di esclusione della responsabilità per inquinamento marino "[…] in tutte quelle ipotesi in cui

B. CONFORTI cit., pag. 322. R. SAPIENZA, Elementi di diritto internazionale, Giappicchelli, Torino 2002, pag. 137. 559 I. CARACCIOLO cit., pag. 619. 560 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 276. 561 COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Affaire de la Barcelona traction light and power company, limited, Arrêt du 5 février 1970, in Recueil cit., par. 35, pag. 32. 562 Ibid., par. 36, pag. 33. La sentenza chiudeva una controversia estranea al diritto del mare. 124 557 558


l'inquinamento venisse a coinvolgere degli Stati lontani, basti pensare […] all'inquinamento prodotto dall'esplorazione degli abissi oceanici […]"563. Negli anni Quaranta la Corte Internazionale di Giustizia, decidendo sul caso dello Stretto di Corfù, ritenne di dover ribadire che "[…] démontre la pratique internationale, qu'un État, sur le territoire duquel s'est produit un acte contraire au droit international, peut être invité à s'en expliquer […]", precisando anche che il controllo sovrano è "[…] exercé par un État sur son territoire terrestre ou sur ses eaux territoriales […]"564. Da tale principio sembra desumersi il non trascurabile dettaglio della responsabilità come corollario della sovranità, trattandosi di atto prodottosi su acque territoriali, pacificamente sovrane. Il Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma565 enuncia un'espressa ed autonoma previsione di responsabilità, e più che sostenere un'estensione dei doveri, connessi alla sovranità, a spazi di mare tradizionalmente liberi, sembra più essere ispirato ad un'idea difensiva, ovvero quella di considerare tutti gli spazi marini meritevoli di protezione da comportamenti offensivi altrui. Alcuna dottrina sembra privilegiare l'idea che il fondamento della responsabilità degli Stati per inquinamento marino sia da rinvenirsi nella Convenzione di Montego Bay, che ha preferito prevederla espressamente. Più esplicitamente, l'art. 235 "[…], nell’evidenziare che l’ambiente marino é un bene

indivisibile

e

limitato,

contribuisce

a

creare

un

fondamentale

presupposto giuridico per lo svilupparsi […] di una responsabilità verso l’intera Comunità internazionale nel caso di violazione delle norme poste a tutela dell’ambiente marino […]". Si è di fronte ad una "[…] norma secondaria […] priva di contenuti, in quanto rinvia al diritto internazionale generale. Si tratta […] di rinvio mobile attraverso il quale i contenuti della […] responsabilità si modificano in relazione alle modificazioni che subiscono

I. CARACCIOLO cit., pag. 623. COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Affaire du détroit de Corfou (fond), in Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, pag. 18. 565 Supra, pag. 55. Si precisa che in merito al Principio 21 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 1031, asseriscono che "[…] il ne mérite considération […]"; più possibilista su un'utilità di tale principio, "[…] ce principe semble être en train de se consolider en tant que base du droit coutumier de l'environnement marin", tratto da T. TREVES, La pollution cit., pag. 832 125 563 564


le norme del diritto internazionale generale in materia […]566, ovvero "[…] a ciò che le norme consuetudinarie fissano in materia di responsabilità ed alle eventuali modificazioni che queste potrebbero subire […]"567. Essa ha dunque la natura di norma aperta ad altre fonti del diritto, non diversamente dalle norme della Convenzione di Montego Bay che pongono obblighi primari; in tal modo si "[…] garantisce un costante adeguamento del regime di responsabilità degli Stati […] alle norme progressivamente consolidatesi in ambito internazionale […]"568. Non si è trovata risposta a se, come pare a chi scrive, detto inciso riconduca nell'ambito del diritto internazionale generale anche la disciplina del nesso di causalità, e soprattutto degli elementi soggettivi ed oggettivi dell'illecito, delle cause di esclusione dalla responsabilità, della valutazione del danno, che, come si cercherà di dimostrare nel successivo paragrafo, formano un insieme di questioni ancora oggi afflitto da incertezze dottrinali e vaghezza di contenuti. Secondo la dottrina, comunque, "[…] tale articolo ha una funzione sicuramente innovativa; esso […] costituisce un importante presupposto giuridico per lo svilupparsi, nel campo del diritto internazionale, di una responsabilità verso l'intera Comunità internazionale nel caso di violazione delle norme poste a tutela dell'ambiente marino […]"569. L'art. 235 avrebbe anche l'effetto di porre sotto protezione giuridica il mare in sè, essendo fonte di "[…] responsabilità statale per il semplice fatto che

si

sia

avuto

un

danno

all'ambiente

marino

in

quanto

tale,

indipendentemente dall'essersi verificati ulteriori specifici danni […]"570. Altro problema generale in tema di responsabilità è il collegamento molto intimo alla regole che attribuiscono agli Stati la legittimazione ad agire; senza questa, non è chiaro come anche l'obbligo primario possa essere riconosciuto ed eseguito, in sede sia diplomatica, arbitrale o giurisdizionale. La questione ha rilevanza sicuramente più pratica che teorica. Resta sempre vero, sul piano teorico, che in caso di violazione di un obbligo primario "[…] la responsabilité internationale s'établirait directement dans le M. ANGELONI et A. SENESE, La tutela dell'ambiente marino nella Convenzione di Montego Bay, in http://www.seaspin.com/ 567 I. CARACCIOLO cit., pag. 630. 568 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 436. 569 Ibid., pag. 631. 570 Ibid. 126 566


plan des relations entre ces États […]571, ma è vero anche che soltanto con l'esercizio dell'azione o con l'avvio delle procedure diplomatiche si dà attuazione al rapporto giuridico secondario della responsabilità, senza le quali essa rischia di rimanere puramente nominale. Tuttavia le posizioni della dottrina e della giurisprudenza che si sono esaminate non restringono affatto gli ambiti entro i quali sussiste la legittimazione ad agire di uno Stato offeso, ed anzi individuano, seppure con una certa cautela, ipotesi di legittimazione ad agire anche in capo a Stati diversi. Per la dottrina esaminata, essa sembra spettare addirittura ad un qualsiasi Stato, "[…] ancorché un comportamento non fosse specificamente dovuto nei suoi confronti, purché la violazione lo tocchi in modo particolare […]"572; quando poi si entra nello specifico tema della protezione diplomatica che gli Stati accordano sia ai privati, sia ad altri Stati, la giurisprudenza ricorda che, fermo restando che la "[…] qualité pour présenter […] une réclamation internationale […] est exercée par l'État national […], même dans

les

rapports

entre

États,

cette

règle

comporte

d'importantes

exceptions, car il existe des cas dans lesquels la protection peut être exercée par un État au profit de personnes qui n'ont pas sa nationalité. […]"573.

2.

Il problema della distinzione tra responsabilità per fatto illecito o

per attività lecita nel caso delle attività estrattive Diversa è la responsabilità degli Stati da quella dei soggetti che esercitano,

direttamente

o

mediatamente,

le

attività

estrattive

nella

piattaforma continentale; questi ultimi, per quanto noto, sono sempre soggetti di diritto privato, sprovvisti della personalità giuridica internazionale, e sembra doveroso qui richiamare una pronuncia della giurisprudenza internazionale, secondo la quale "[…] on ne saurait contester que l'objet même d'un accord international, dans l'intention des Parties contractantes, COUR PERMANENTE DE JUSTICE INTERNATIONALE, Phosphates du Maroc (exceptions préliminaires), Arrêt du 14 juin 1938, in Récueuil des arrêts, Séries A/B, 1938, 74, pag. 28. 572 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 302. 573 COUR INTERNATIONALE DE JUSTICE, Réparation des dommages subis au service des nations unies, in Recueil cit., 11 avril 1949, questione I b, pag. 11. 127 571


puisse être l'adoption, par les Parties, de règles déterminées, créant des droit et obligations pour des individus, et susceptibles d'être appliquées par les tribunaux nationaux […]"574. Però, sia per gli Stati, sia per i privati, si discute dell'ammissibilità di ulteriori obblighi secondari, diversi dalla responsabilità in senso proprio e colpevole, e di quali ne siano il contenuto, i presupposti, e la disciplina applicabile a tali elementi; per i privati la discussione verrà condotta soltanto trattando dei loro specifici obblighi nel paragrafo seguente. Il testo inglese dell'art. 235 della Convenzione di Montego Bay è intitolato Responsibility and liability, e dunque si deve almeno ipotizzare una risposta affermativa575. La dottrina non risolve in modo concorde la questione; anche quella orientata in senso negativo, in modo non del tutto uniforme, ora segnala che un dovere in senso lato riparatorio, inteso come insieme di obblighi correlati a conseguenze dannose da fatto lecito, "[…] appare da escludere […]"576, ora ricorda che "[…] in article 235, paragraphs 2 and 3 […]" sono contenuti "[…] the essential elements of compensation […], but not the element of State responsibility and liability for pollution damage […]"577. La natura degli obblighi incombenti sugli Stati forse semplifica la discussione. Ben difficilmente un mancato o inadeguato esercizio dell'attività di produzione di norme imposta dal diritto internazionale, sia essa di recepimento degli obblighi internazionali nei diritti interni, di creazione spontanea di norme o di partecipazione a organismi internazionali, potrà configurarsi come atto lecito, perché intervengono cause di giustificazione o per qualsiasi altra ragione; il potere di creare il diritto, nelle fonti generali ed astratte come nei provvedimenti individuali e concreti578, è intimamente COUR PERMANENTE DE JUSTICE INTERNATIONALE, Recueil des avis consultatifs, Compétence des tribunaux de Dantzig, 1928, pag. 17 ÷ 18. 575 Altra dottrina ricorda che la distinzione tra responsabilità e risarcibilità "[…] is possible with some clarity only in English as the French and the Spanish texts use the terms responsabilité/responsabilidad throughout […]". M. GAVOUNELI, Pollution from Offshore Installations, Graham & Trotman Ltd., Londra (Gran Bretagna) 1995, pag. 108. 576 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 308. Si veda però infra, pag. 133, 147. 577 CENTER FOR OCEAN LAW AND POLICY cit., 4, pag. 406. 578 Si vuole precisare che l'obbligo di diritto internazionale generale di adattamento del diritto interno a quello internazionale impone non i tipi degli atti normativi di diritto interno, ma soltanto che essi siano sufficienti ad evitare difformità tra le discipline dei due ordinamenti. L'Arabia Saudita ha scelto la via di non adottare una 128 574


connaturato

all'esistenza

stessa

della

sovranità,

e

soltanto

una

compromissione di tutti i poteri sovrani, non imputabile al soggetto titolare, né oggi ipotizzabile, potrebbe giustificare tali omissioni579. Quanto detto a proposito dell'espressione della sovranità come creazione di norme non può essere ritenuto vero per l'esercizio della sovranità come impiego dei poteri coattivi di polizia, che per risultare conforme al diritto internazionale richiede l'utilizzo della forza ad un preciso grado di diligenza, e spesso con l'impiego di mezzi adeguati. Non a caso tali obblighi si configurano molto spesso, non soltanto nel diritto del mare, come obblighi di mezzo580. In tal caso "[…] the rules of state responsibility remain secondary obligations attached to a primary obligation of the state to display due diligence in its efforts to protect the environment […]"581, e la ricorrenza di una o più cause di giustificazione possono apparire improbabili nel quadro politico internazionale odierno ma, pare, non impossibili582. La tecnica di redazione delle norme che pongono obblighi di mezzo consente di distinguere quelli per i quali la richiamata due diligence viene commisurata alle concrete possibilità di azione di ciascuno Stato (è verosimilmente il caso delle norme della Convenzione di Montego Bay), da quelli che indicano esplicitamente quali siano i mezzi il cui impiego debba essere considerato diligente. Nel primo caso la negligenza, elemento soggettivo necessario per una responsabilità certamente propria e colpevole, consisterebbe nell'adozione di mezzi inferiori, per numero, qualità o efficacia, a quelli concretamente disponibili, e l'eventuale presenza di una causa di giustificazione opererebbe sull'elemento soggettivo; nel secondo caso, legge sulle attività estrattive nel Golfo Persico, e di trasferire gli obblighi internazionali direttamente nelle autorizzazioni individuali (queste sì, obbligatoriamente previste). 579 Per inciso, si vuole osservare che l'omissione può ben configurarsi come illecito internazionale, se la norma primaria impone un dovere di azione. Dove vi sia contrarietà tra la condotta dello Stato ed il precetto primario (art. 16 del Progetto), vi è senz'altro illecito, sempre che non ricorrano cause di giustificazione. 580 Infra, pag. 134. 581 M. GAVOUNELI cit., pag. 111. 582 Può darsi il caso di Stati sottoposti a parziale ed illegittima occupazione straniera. Il pensiero di chi scrive va a Cipro ed all'impossibilità (supra, pag. 30) di inviare la propria polizia marittima nello stretto che lo separa dalla Turchia, per vigilare su una piattaforma di perforazione che vi transiti, a norma dell'art. 21. 1 della Convenzione di Montego Bay. 129


qualora ricorrano circostanze eccezionali da rendere inutilizzabili i mezzi espressamente

prescritti,

la

causa

di

esclusione

dell'illecito

opera

direttamente sull'elemento oggettivo del fatto, e rende inutile una qualsiasi misurazione in concreto di un'eventuale colpevolezza583. Nel secondo caso, ovvero di fatto lecito ma dannoso, l'unico obbligo secondario di riparazione di conseguenze dannose, può essere quello di risarcibilità di fatto lecito in senso proprio; nel primo caso, ovvero di fatto illecito ma non punibile, non si può escludere che lo stesso fatto, per effetto di altra norma, integri una previsione di responsabilità oggettiva, nel qual caso è certo che "[…] il ricorrere di una causa di giustificazione non esclude […] un obbligo di reintegro patrimoniale per il danno comunque causato […] "584, di cessazione del comportamento dannoso, e di riparazione del pregiudizio morale e materiale arrecato585. La ricerca di norme che fondino un regime di responsabilità oggettiva ha prodotto, in questo lavoro, risultati contrastanti. Al di fuori dell'art. 196. 2 della Convenzione di Montego Bay586, per la dottrina esaminata, che peraltro non sembra distinguere in modo netto le questioni di responsablità oggettiva da quelle di riparazione delle conseguenze da fatto lecito, "[…] there is no customary rule supporting a strict liability rule for activities resulting in environmental damage. In spite of […] support for the principle, State practise is almost non – existent […]. The preferred standard of conduct therein is, admittedly, a regime of strict liability for environmental harm generated as a result of such operations. But the attempt to establish a similar regime in the offshore area has been unsuccessful and that leaves the industry free to operate according to the customary standard of due diligence […]"587.

In termini meno rigorosi, non avrebbe senso stabilire se un fatto lecito sia stato commesso con diligenza o negligenza. Così pare da S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 290. 584 Ibid., pag. 291. 585 Ibid., pag. 297 ÷ 301. Si vuole ricordare che l'adempimento dell'obbligo di riparazione può avvenire nelle diverse forme della restitutio in integrum, del risarcimento o della soddisfazione. Pare che la Convenzione di Montego Bay contenga una generica preferenza verso il rimedio della restitutio in integrum. 586 Infra, pag. 144, testo e nota 659. 587 Ibid., pag. 110. 130 583


Secondo altra dottrina, l'art. 235. 1 della Convenzione di Montego Bay588 non "[…] giunge a prevedere un obbligo di vera e propria riparazione, ossia di responsabilità oggettiva per danni arrecati all’ambiente marino, in virtù della quale qualsiasi danno collegabile all’attività espletata dallo Stato comporti, di conseguenza, l’obbligo di riparazione da parte di quest’ultimo […]"589. Altrove si legge che tale norma "[…] leaves open […] the question of liability without fault, […] as part of general international law. This is without prejudice to treaty rules relating to the protection of the marine environment in which liability without fault is embodied; the obligations of those treaties will prevail in accordance with article 237 […]"590. In un quadro così articolato, si è potuta stabilire con elevata probabilità, peraltro teorica, soltanto l'esistenza dell'obbligo degli Stati di ridurre l'inquinamento prodotto da fatto lecito, e, si vuole sottolineare, qualunque sia la ragione di tale liceità, ovvero sia essa dovuta alla corrispondenza del fatto al dettato normativo, o all'intervento di cause di esclusione della colpevolezza; peraltro il contenuto di tale generalissimo obbligo sarebbe da commisurarsi ai mezzi di riparazione effettivamente disponibili per ciascuno Stato. Più estesamente, "[…] the duty of a State to avoid, minimise and repair any trans boundary harm caused as a result of activities undertaken as a foreseeable risk under its jurisdiction […]"591, talvolta592 addirittura ritenuto "[…] central concept […]"593, sussiste quando esista almeno un "[…] offending act, being lawful, […] allowed to continue on an equitable basis […] ", e potrebbe forse comprendere una "[…] money for pollution formula […]". Art. 235. 1: "Il incombe aux États de veiller à l'accomplissement de leurs obligations internationales en ce qui concerne la protection et la préservation du milieu marin. Ils sont responsables conformément au droit international"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 276. 589 M. ANGELONI et A. SENESE, La tutela dell'ambiente marino nella Convenzione di Montego Bay, in http://www.seaspin.com 590 CENTER FOR OCEAN LAW AND POLICY cit., 4, pag. 412; art. 237. 1: "La présente partie n'affecte pas les obligations particulières qui incombent aux États en vertu de conventions et d'accords spécifiques […]. 2. Les États s'acquittent des obligations particulières qui leur incombent […] en vertu de conventions spéciales d'une manière compatible avec les principes et objectifs généraux de la Convention"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 278. 591 M. GAVOUNELI cit., pag. 103. 592 Ad esempio, di un progetto elaborato nei decenni nell'ambito della Commissione di diritto internazionale. 593 M. GAVOUNELI cit., pag. 103. 131 588


Tale "[…] graduated approach is taken when deciding the standard of care. Liability is seen as a strict consequence of material injury but it seems that the standard of care to which a state is held is again proportionate to the risk and seriousness of injury. The ultimate failure to pay compensation in the event of harm would amount to a wrongful act and engage the responsibility of the offending state. The world of quasi – rights, quasi duties and negotiable sanctions constituted a shift of emphasis from traditional strict legal obligations to a realm of relative normativity […]"594. In altri termini, non sembra aver superato la soglia della mera proposta l'idea di associare all'obbligo di riduzione dell'inquinamento anche un obbligo di indennizzo, e se esso debba limitarsi o no soltanto ai danni seri e rilevanti. Le proposte più avanzate riferite dalla dottrina sembrano ispirate ad un "[…] balance of interests approach […] there is still a feeling that compensation for a lawful act cannot be as harsh as that for an unlawful act. A threshold is set for the injury caused: it has to be appreciably detrimental, a term drawn from art. 8 of the draft articles on non navigational uses and environmental protection of international watercourses which reflects a consistent line of thought in the Commission, and the risk producing it has to be appreciable […]"595. Oltretutto la certezza dottrinale sulla sussistenza dell'obbligo di riduzione dell'inquinamento da fatto lecito non trova molti riscontri nella prassi; "[…] sono assai scarsi gli esiti […] relativi a casi nell'ambito dei quali è stato affrontato, sotto la particolare angolazione dei pregiudizi ambientali oltre frontiera, il problema del controllo, da parte degli Stati, del loro territorio o degli spazi sui quali si estende la loro sovranità. E la medesima conclusione vale, a maggior ragione, con riguardo alle ipotesi nelle quali tale problema si è posto a proposito di ambiti nei quali, come avviene per le navi, lo Stato nazionale esercita, eventualmente in concorso con altri soggetti, poteri giurisdizionali e di controllo […]"596. La dottrina non esclude che tale disciplina sia applicabile anche ai fenomeni di "[…] deterioration of the marine environment around oil fields as Ibid., pag. 104. M. GAVOUNELI cit., pag. 105. 596 P. IVALDI, Inquinamento marino e regole internazionali di responsabilità, Don Antonio Milani, Milano 1996, pag. 101. 132 594 595


a result of the usually small operational discharges of oil and chemicals from the offshore platforms […]"597. Fondamento speciale di un dovere di risarcibilità per l'esercizio di attività di estrazione sarebbe l'alta pericolosità di queste, nell'idea che "[…] ultra hazardous activities must necessarily carry strict liability for any environmental injury produced […]".

3.

Obblighi e responsabilità degli Stati e dei privati L'art. 235. 1 della Convenzione di Montego Bay, del quale si è vista la

discussa importanza quale fondamento per gli Stati di obblighi secondari, e la natura

di

norma

aperta,

contiene

anche

un

obbligo

primario;

più

precisamente "[…] un obbligo di vigilanza e controllo degli Stati, mediante i rispettivi ordinamenti interni, in grado di assicurare la tutela, preventiva e repressiva, dell’ambiente marino contro l’inquinamento. […]". Tale obbligo di controllo o vigilanza è peculiare e diverso rispetto ad altri, ugualmente inseriti nella Convenzione. In particolare, "[…] mentre l’art. 192598 prevede espressamente l’obbligo che tutti gli Stati hanno di preservare e proteggere l’ambiente marino, l’art. 235599 […] si limita ad affermare che gli Stati devono controllare che vengano adempiuti i loro obblighi internazionali in materia […], altrimenti essi sono responsabili ai sensi del diritto internazionale […]"600. Il successivo comma 2601 prescrive in capo agli Stati un ulteriore obbligo di adeguamento del diritto interno al diritto internazionale, in materia di indennizzo o riparazione dei danni da inquinamento. Peraltro obblighi specifici in tal senso, ma in materie diverse, sono previsti, in varia misura, in

Ibid., pag. 108. Art. 192; supra, nota 135. 599 Art. 235. 1: "Il incombe aux États de veiller à l'accomplissement de leurs obligations internationales en ce qui concerne la protection et la préservation du milieu marin. Ils sont responsables conformément au droit international"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 276. 600 M. ANGELONI et A. SENESE, La tutela cit. 601 Art. 235. 2: "Les États veillent à ce que leur droit interne offre des voies de recours permettant d'obtenir une indemnisation rapide et adéquate ou autre réparation des dommages résultant […] par des personnes physiques ou morales relevant de leur juridiction"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 276. 133 597 598


tutta la Convenzione di Montego Bay, che a volte ne prescrive il contenuto materiale. Ad esempio, in tutta la sezione 5, parte XII ricorrono le espressioni "[…] les États adoptent des lois et règlements pour prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin […]"602, e che "[…] les États, agissant en

particulier

par

l'intermédiaire

des

organisations

internationales

compétentes ou d'une conférence diplomatique […] s'efforcent d'adopter […] "603, oppure "[…] adoptent […]"604, "[…] au plan mondial et régional, des règles et des normes, ainsi que des pratiques et procédures recommandées pour prévenir, réduire et maîtriser […]"605 varie forme di inquinamento. La dottrina che ha studiato il contenuto di uno di questi obblighi afferma che gli Stati sono tenuti a "[…] cooperare, tramite la competente organizzazione internazionale o una conferenza diplomatica generale, per l'adozione di regole e standard internazionali atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo questa particolare fonte d'inquinamento […]"606; a volte la Convenzione va oltre, ed "[…] individua le forme e gli strumenti con i quali deve essere data attuazione pratica all'obbligo di proteggere e preservare l'ambiente marino […]"607. Altri obblighi degli Stati sono contenuti nella sezione 6, nei cui articoli ricorre l'espressione "[…] les États assurent l'application des lois et règlements

adoptés

conformément

à

l'article

[…]"608;

ovvero,

più

genericamente, in osservanza degli obblighi in sezione 5; altri invece Art. 207. 1, supra, nota 228; art. 208. 1, supra, nota 475; art. 210. 1: "Les États adoptent des lois et règlements afin de prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin par immersion"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 256; art. 211: "1. Les États […] adoptent des règles et normes internationales visant à prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin par les navires […] 2. Les États adoptent des lois et règlements pour prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin par les navires battant leur pavillon ou immatriculés par eux […]", ibid. 603 Art. 207. 4, tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 252; art. 210. 4, ibid., pag. 256. 604 Art. 208. 5, ibid., pag. 254; art. 211. 1, ibid., pag. 256. 605 Supra, note 224, 225, 228, 231, 232, 240. 606 L. SCHIANO DI PEPE, Inquinamento marino da navi e poteri dello Stato costiero, Giappicchelli, Torino 2007, pag. 105; si riferisce all'art. 211. 1. 607 Ibid., pag. 107. 608 Più precisamente, art. 213: "Les États assurent l'application des lois et règlements adoptés conformément à l'article 207 […]"; art. 214: "Les États assurent l'application des lois et règlements adoptés conformément à l'article 208 […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 260. 134 602


impongono il recepimento e l'attuazione delle norme internazionali, e sono espressi dall'inciso "[…] ils adoptent les lois et les règlements et prennent les autres mesures nécessaires pour donner effet aux règles et normes internationales applicables […], afin de prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin […]"609. Altri obblighi degli Stati discendono dalla diversa attuazione mediante ricorso, almeno potenzialmente, all'uso della forza o almeno dei poteri di polizia610 in misura ogni volta diversa, o hanno contenuto eterogeneo sparso in varie norme611. La dottrina esaminata, al di fuori del particolare inciso relativo all'art. 211. 1, non risulta aver svolto un'indagine analitica su quale condotta, attiva o omissiva, costituirebbe concreta violazione; facendo riferimento alla dottrina generale sulla responsabilità, si può ricordare che: a) perché "[…] una condotta possa essere caratterizzata come […] fonte di responsabilità internazionale è […] necessario che essa sia attribuibile allo Stato […]. Il principio generale di attribuibilità […] è espresso dalla regola secondo la quale può essere riferita allo Stato […] solo […] la condotta […] posta in essere dai componenti di un organo dello Stato che abbiano agito in tale qualità […], ad esempio […] la condotta di alcuni apparati interni […] anche se dal punto di vista interno […] indipendenti rispetto al potere esecutivo […]612; può […] essere attribuita allo Stato la condotta di organi che violano quelle regole che, nel sistema interno, ne definiscono la competenza613 […]. Pertanto, la condotta di qualsiasi organo statale viene considerata come atto dello Stato […], sia che esso eserciti funzioni legislative, giudiziarie o esecutive, […] e a prescindere dal suo carattere di Più precisamente, art. 213. 1: "[…] d'origine tellurique"; art. 214: "[…] qui résulte directement ou indirectement des activités relatives aux fonds marins et relevant de leur juridiction, ou qui provient d'îles artificielles, d'installations et d'ouvrages relevant de leur juridiction […]"; ibid. 610 Senza pretesa di un'elencazione esaustiva, si riportano estratti dagli art. 207. 2, 208. 2, 210. 2: "Les États prennent toutes autres mesures qui peuvent être nécessaire pour prévenir, réduire et maîtriser cette pollution"; ibid., pag. 252, 254, 256. 611 Una per tutte, art. 219: "[…] les États, lorsqu'ils ont déterminé […] qu'un navire se trouvant […] à une des installations terminales […] a enfreint les règles et les normes internationales applicables concernant la navigabilité des navires […] prennent […] des mesures administratives pour empêcher ce navire d'appareiller […] "; ibid., pag. 266. 612 Il pensiero di chi scrive va al potere legislativo che ometta di recepire nel proprio ordinamento norme di origine internazionali. 613 In Italia, a norma del titolo V Cost. o delle leggi costituzionali che fissano le competenze legislative delle Regioni ad autonomia particolare. 135 609


organo […] centrale ovvero di una ripartizione territoriale dello Stato […] anche se al di fuori della sfera di sua competenza […]"614; b) "[…] la condotta dello Stato contrastante con l'obbligo internazionale può consistere in azioni od omissioni, […] nel non aver raggiunto un risultato richiesto, ovvero nel non aver apprestato i mezzi necessari (o usato la diligenza necessaria) per raggiungere

tale

risultato,

adottando

una

particolare

modalità

di

comportamento: a tal fine […] è determinante il contenuto dell'obbligo che si assume violato […]615; c) […] deve ritenersi che, in diritto internazionale generale, pur di fronte ad una prassi internazionale non univoca, l'elemento della colpa possegga un certo rilievo […]"; d) "[…] al di fuori dei casi in cui il danno fa parte della fattispecie illecita […] sembra di doversi escludere che il danno, inteso quale pregiudizio morale o materiale, sia elemento costitutivo dell'illecito […] (ad esempio la violazione di un obbligo di adottare una norma uniforme dà luogo a responsabilità anche se non danneggia altri Stati […]) "616. È stato escluso che lo Stato compia direttamente, o a mezzo di suoi organi

o

enti,

ad

esso

legati

almeno

nel

momento

istitutivo

o

organizzativo617, attività materiali rilevanti per la disciplina internazionale della protezione dell'ambiente marino. Se invece così fosse, potrebbe "[…] essere attribuita allo Stato la condotta dell'ente […] autorizzato dal diritto interno a esercitare elementi di potere di governo […]. Il fenomeno riguarda gli enti c. d. parastatali o quegli enti privati (o privatizzati) che conservano poteri di regolamentazione […]. La giustificazione di tale attribuzione nasce dalla partecipazione di tali enti alla funzione di governo; e come tale segna anche i limiti in cui l'azione dell'ente può essere considerata come condotta dello Stato […]"618. Se l'esplorazione e lo sfruttamento della piattaforma continentale possano

essere

comprese

nell'esercizio

della funzione

di governo,

è

questione che pare di potersi risolvere stabilendo se, secondo il diritto internazionale, in essa ricadono soltanto le attività che sono stretta S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 281 ÷ 282. Ibid., pag. 287. 616 Ibid., pag. 290. 617 Stabilire se un ente è pubblico o riferibile allo Stato, a norma del diritto interno o internazionale, è un problema che qui può essere soltanto accennato. 618 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 283. 136 614 615


espressione del monopolio dell'uso della forza, o, più ampiamente, anche quelli che esprimono attività a qualsiasi titolo, magari originario, riservate in modo esclusivo allo Stato619. Per la situazione italiana tale indagine non sembra particolarmente interessante. L'Ente Nazionale Idrocarburi, un tempo "[…] ente pubblico economico […] costituito […] in base […]"620 al "[…] modello di ente pubblico – holding […]"621, e soggetto originariamente dotato dell'"[…] esclusiva […] della ricerca e coltivazione di giacimenti di idrocarburi […]"622, oggi è società per azioni623 e, ciò che più conta, da sempre sprovvisto624 di ogni potere di regolamentazione pubblicistica delle attività rientranti nel proprio oggetto sociale. Diversa ancora è la questione di una possibile responsabilità degli Stati per fatto dei privati, con i quali sussista un legame diverso da quello appena sopra trattato. Al riguardo, il diritto internazionale "[…] può adottare […] in primo luogo una prospettiva pubblicistica, muovendo dalla quale […] pone regole giuridiche riguardanti la responsabilità internazionale dello Stato sotto la giurisdizione […] del quale è stata posta in essere la condotta che è all'origine

del

sinistro;

in

secondo

luogo

la

prospettiva

privatistica,

assumendo la quale […] delinea invece una regolamentazione uniforme della responsabilità civile dei soggetti sui quali grava l'obbligo di riparare il danno causato […]"625. Ipotesi non da escludere, si veda supra, pag. 89. L. MAZZAROLLI et al., Diritto amministrativo, 1, quarta edizione, Monduzzi, Bologna 2005, pag. 323 ÷ 324. 621 Ibid., pag. 324. 622 Più precisamente, la legge 10 febbraio 1953, n. 136, art. 2, co. 1, recita: "L'Ente Nazionale Idrocarburi ha l'esclusiva nelle zone delimitate nella tabella A ed annessa cartina, allegate alla presente legge: 1) della ricerca e coltivazione di giacimenti di idrocarburi; fanno eccezione i territori delle province di Ferrara e Rovigo, limitatamente agli strati del quaternario situati a profondità non superiore a 1200 metri; 2) della costruzione e dell'esercizio delle condotte per il trasporto degli idrocarburi minerali nazionali. L'Ente può altresì svolgere attività di lavorazione, trasformazione, utilizzazione e commercio di idrocarburi e dei vapori naturali in conformità delle leggi vigenti"; tratto da http://www.dejure.giuffre.it; oggi però, si veda supra, pag. 84 ÷ 85. 623 Legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 1; tratto da http://www.dejure.giuffre.it. 624 La legge istitutiva dell'ente pubblico non prevede espressamente tali poteri, che per un conferimento dovrebbero essere contenuti in un'espressa previsione di legge, secondo l'art. 97, co. 1 Cost. 625 P. IVALDI cit., pag. 29. 137 619 620


In questo caso, il legame rilevante tra Stato e privato è quello di soggezione alla jurisdiction o di applicazione della legge materiale del privato allo Stato, che è legame sicuramente più tenue e diverso da quello che lega un Ente o un organo allo Stato di appartenenza626, esaminato appena sopra. Trattando degli "[…] obblighi facenti carico agli Stati con riferimento all'attività di trasporto di idrocarburi svolta da navi soggette al loro controllo […]"627, la dottrina sembra ravvisare in capo "[…] agli Stati semplici obblighi di diligenza, per il cui adempimento si richiede l'adozione delle misure che ragionevolmente possono pretendersi, tenuto conto del tipo di attività presa in considerazione […]"628. Si osserva che la Convenzione di Montego Bay fissa obblighi di vigilanza letteralmente identici per la navigazione629 o per lo sfruttamento della piattaforma continentale630. In tale quadro sembra opportuno "[…] distinguere il problema della liceità dell'attività dei privati da quello della liceità della condotta tenuta dallo Stato in relazione alla prima. […] l'attività privata […] in sé lecita […] può infatti associarsi ad una condotta internazionalmente illecita dello Stato che ha giurisdizione […]. Il che si verificherà quando risulti provato che lo Stato non si è adoperato con la dovuta diligenza al fine di prevenire, in ottemperanza agli obblighi ad esso prescritti dal diritto internazionale, l'inquinamento da idrocarburi accidentalmente causato […]"631. Con riferimento sia al problema della misura della diligenza richiesta allo Stato, sia al problema della necessità di una colpa, in caso di Art. 216: "1. Les lois et règlements adoptés […] afin de prévenir, réduire et maîtriser la pollution du milieu marin par immersion sont mis en application par: a) l'État côtier, pour ce qui est de l'immersion dans les limites de sa mer territoriale ou de sa zone économique exclusive ou sur son plateau continental; b) l'État du pavillon, pour ce qui est des navires battant son pavillon ou des navires […] immatriculés par lui; c) tout État, pour ce qui est du chargement de déchets ou autres matières sur son territoire ou à ses installations terminales au large […]", tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 262. L'art. 216 della Convenzione di Montego Bay, come gli art. 217, 218, 220, fissa e ripartisce doveri tra gli Stati della bandiera, del porto e della costa, per quanto riguarda l'inquinamento da smaltimento, mentre per tutte le altre forme d'inquinamento ripartiscono poteri tra i tre predetti Stati. Si veda anche supra, pag. 63 e note 228, 231, 236, 237, 238. 627 P. IVALDI cit., pag. 89. Si richiamano tutte le considerazioni in merito all'applicabilità delle Convenzioni internazionali basate sulla nozione di nave; supra, pag. 99. 628 P. IVALDI cit., pag. 94. 629 Art. 211. 1, supra, nota 228 630 Art. 208. 1, supra, nota 475. 631 P. IVALDI cit., pag. 98. 138 626


comportamento inadeguato, richiamando la decisione sullo Stretto di Corfù632, la dottrina sottolinea "[…] la censurabilità della condotta dello Stato […] sotto il profilo della mancata adozione, da parte sua, delle cautele oggettivamente necessarie in base ad una valutazione ex ante, tenuto conto della conoscenza che egli aveva, o doveva avere, degli elementi di fatto e di diritto specificamente rilevanti nella fattispecie […]"633; conclude tuttavia che non vi sono nella giurisprudenza internazionale "[…] elementi di riscontro all'ipotesi della configurabilità, nei casi di inquinamento transfrontaliero causato da privati, di una responsabilità oggettiva o senza colpa degli Stati in virtù del diritto internazionale generale"634. Ribadita la normale inattitudine dei Trattati internazionali a creare obbligazioni in capo ai privati, e del contestuale obbligo, se previsto, degli Stati di adeguare, mediante atti di diritto interno, le posizioni giuridiche soggettive degli individui ricadenti sotto la propria jurisdiction, in tal senso deve essere interpretato, ad esempio, l'obbligo di documentazione di incidente, previsto dal I Protocollo al sistema MARPOL 73/78635, rivolto alle numerose figure che operano, con diversi compiti e funzioni, su una piattaforma assimilabile ad una nave, o quelli previsti dalla Convenzione sulla responsabilità civile per i danni causati da inquinamento da idrocarburi conseguente all'esplorazione ed allo sfruttamento delle risorse minerali del fondo marino, adottata a Londra il 7 dicembre 1976, non firmata dall'Italia636. Più dettagliatamente, il sistema MARPOL637 pone obblighi in capo agli Stati di Supra, pag. 126. P. IVALDI cit., pag. 103. 634 Ibid., pag. 103 ÷ 104. 635 Art. I del I Protocollo: "(1) The Master of a ship involved in an incident […] shall report the particulars of such incident without delay […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2287 636 Art. 3: "1. […] the operator of the installation at the time of an incident shall be liable for any pollution damage resulting from the incident […]"; art. 5: "1. When oil has escaped […] from two or more installations, […] the operators of all the installations concerned […] shall be jointly and severally liable for all such damages which is not reasonably separable. 2. When oil has escaped […] from an installation as a result of an incident […] and during the course of the incident there is a change of operator, all operators of the installation […] shall be jointly and severally liable for all such damages which is not reasonably separable"; art. 6. 12: "The insurer or other person providing financial security shall be entitled, alone or together with the operator, to constitute a fund […] on the same conditions and having the same effect as if it were constituted by the operator […]"; tratto da International legal materials, 16, 1 (1977), pag. 1452 ÷ 1453; anche infra, paragrafo 5. 637 Art. 6: "(1) Parties to the Convention shall co – operate in the detection of violations and the enforcement of the provisions of the present Convention, using all 139 632 633


esercitare poteri di polizia sui comportamenti dei privati; la dottrina interpreta tale norma come "[…] uno sforzo richiesto agli Stati […] circoscritto entro i termini della due diligence […] sulla base della terminologia impiegata […]"638. A sua volta, la Convenzione per la lotta all'inquinamento marino da smaltimento contiene precisi obblighi per gli Stati, sia di vigilanza639, sia di adeguamento del diritto interno640, sui quali non si è trovato uno specifico studio dottrinale. Se si volesse ragionare sulla base della terminologia impiegata, si dovrebbe concludere per una maggiore severità degli obblighi per gli Stati in questa materia. A parte l'immancabile dovere di recepimento delle norme convenzionali, e di prevedere giuste sanzioni alle violazioni commesse dai privati soggetti alla loro jurisdiction641, i doveri di controllo e di promozione delle misure preventive devono essere "effective", pur se commisurate alle capacità tecniche di ciascuno; gli atti da compiere per la prevenzione dell'inquinamento sono "all", purché "practicable". A fronte di una produzione internazionale molto ricca e dettagliata di obblighi primari, per le piattaforme non si è rinvenuta alcuna analoga normativa, che regoli obblighi secondari di responsabilità o ad essa

appropriate and practicable measures […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2280. 638 P. IVALDI cit., pag. 104. 639 Art. 1: "Contracting Parties shall individually and collectively promote the effective control of all sources of pollution of the marine environment, and pledge themselves especially to take all practicable steps to prevent the pollution of the sea by the dumping of waste and other matter […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2527; art. 2: "Contracting Parties shall […] take effective measures individually, according to their scientific, technical and economic capabilities, and collectively, to prevent marine pollution caused by dumping and shall harmonize their policies […]"; ibid. 640 Art. IV: "In accordance with the provisions of this Convention Contracting Parties shall prohibit the dumping of any wastes or other matter in whatever form or condition except as otherwise specified below: […] (segue supra, nota 483); tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2528. 641 Art. VII: "1. Each Contracting Party shall apply the measures required to implement the present Convention to all: […] (c) […] fixed or floating platforms under its jurisdiction […]. 2. Each Party shall take […] appropriate measures to prevent and punish conduct in contravention of the provisions of this Convention"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2529; art. IV della Convenzione di Londra del 2 novembre 1973: "1. Any violation of the requirements of the present Convention shall be prohibited and sanctions shall be established therefore under the law of the Administration of the ship concerned wherever the violation occurs […]"; tratto da ibid., pag. 2279; della stessa Convenzione anche art. IV. 2; supra, nota 483. 140


assimilabili. Ciò è forse l'elemento che più distingue la disciplina delle piattaforme da quella delle navi642. Per questa ragione le considerazioni sopra espresse in materia di qualificazione della fattispecie inquinante nel suo complesso e, in virtù del frazionamento643, nei suoi singoli aspetti, si riverberano con maggiore evidenza proprio sul tema della responsabilità dei privati, sempre nell'ipotesi che su di essi gravino determinati obblighi primari, di origine internazionale, o di diritto interno materiale ad essi applicabile. Si confrontino ad esempio gli obblighi primari gravanti sul comandante e sul capo di una piattaforma semovente, fissati dal Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n. 886, art. 9644, con la responsabilità dell'armatore per gli "[…] atti o fatti dell'equipaggio […]" fissata dall'art. 7 cod. nav645. L'ambito di applicazione del Decreto è delimitato, almeno ad una lettura

testuale,

dallo

spazio

in

cui

si

esercita

un'attività

da

esso

disciplinata646, ma non è accertato se sia norma di applicazione necessaria, secondo l'art. 17 della legge 31 maggio 1995, n. 218647. Dove intorno a tale piattaforma graviti una figura assimilabile a quella dell'armatore, la norma applicabile sarà scelta, secondo i già accennati rapporti tra questi due rami del diritto648, tra l'art. 7 cod. nav., e l'art. 62 della legge 31 maggio 1995, n. 218. Sulle Convenzioni relativa agli interventi in Alto mare in caso di eventi di inquinamento da oli e sulla responsabilità civile per danni da inquinamento da oli, fatte a Bruxelles il 29 novembre 1969, supra, pag. 99. 643 Supra, pag. 98. 644 (segue da nota 426) "[…] Il comandante è responsabile delle operazioni tecnico nautiche della piattaforma e di ogni altra operazione relativa alla navigazione. Egli è altresì responsabile per i danni da rischi marittimi ai quali sono esposte la piattaforma e le persone anche durante le operazioni al pozzo con piattaforma ormeggiata. Il capo piattaforma è responsabile, per la parte che gli compete, dell'esecuzione dei lavori di perforazione nonché dell'osservanza e dell'esatta applicazione a bordo delle norme di sicurezza oggetto della presente legge, in quanto applicabili alle piattaforme semoventi, durante le operazioni al pozzo con piattaforma ormeggiata […]". 645 Supra, nota 449. 646 Art. 1: "Le presenti norme si applicano alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale ed in altre aree sottomarine comune soggette ai poteri dello Stato. Esse intendono garantire il buon governo dei giacimenti di idrocarburi, […] prevenire l'inquinamento […] del mare, del fondo e del sottofondo marini; evitare […] danni o pericoli alla fauna e flora marina […]. 647 Non è stata rinvenuta alcuna giurisprudenza che si sia pronunciata sulla questione. 648 Supra, pag. 104 e note 448, 449. 141 642


Ancora, tra l'armatore e l'equipaggio esistono rapporti di responsabilità regolati dall'art. 274 cod. nav.649, e diversi da quelli esistenti tra imprenditore ed i suoi ausiliari, regolati dall'art. 1228 cod. civ.650 In certe aree il Governo italiano potrebbe concedere permessi di coltivazione, forse soltanto all'Ente Nazionale Idrocarburi s. p. a. almeno fino al 2012651; ma non si può escludere che un qualsiasi soggetto, anche italiano, affidi a soggetto assimilabile alla nozione di armatore straniero il proprio impianto di coltivazione nelle fasi in cui sia ancora assimilabile ad una nave, attuando un'operazione, nemmeno troppo difficile, di ricerca dello Stato che offre le regole di responsabilità più miti. Anzi, la limitata responsabilità dell'armatore è prevista dallo stesso codice della navigazione italiano; a lui si applica ad esempio la disciplina speciale in materia di fallimento, dettata dall'art. 626 cod. nav., che "[…] esclude la possibilità di intraprendere l'esecuzione forzata sui beni dell'armatore, limitatamente alle obbligazioni per le quali è stata attivata la procedura, a differenza di quanto disposto dall'art. 51 della legge fallimentare (R. D. 16 marzo 1942, n. 267) […]"652. Dove debba escludersi la soggezione al diritto materiale italiano, le uniche responsabilità gravanti sugli ausiliari dell'armatore, contemplate dal Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n. 886, sembrano essere quelle personali653. Anche il contenuto della responsabilità fissato dalle norme interne di ogni Stato risulta non essere immune da interferenze internazionali, e, si ricorda, non sempre in senso restrittivo. Oltre alla già vista uniformazione

Art. 274: "L'armatore è responsabile dei fatti dell'equipaggio e delle obbligazioni contratte dal comandante della nave per quanto riguarda la nave e la spedizione. Tuttavia l'armatore non risponde dell'adempimento del comandante degli obblighi di assistenza e salvataggio previsti dagli articoli 489, 490, né degli altri obblighi che la legge impone al comandante quale capo della spedizione". 650 Art. 1228: "Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro". 651 Art. 14 della legge 8 agosto 1992, n. 359: "1. Con riferimento agli enti di cui al presente capo […], tutte le attività, nonché i diritti minerari, attribuiti o riservati per legge […] a società a partecipazione statale restano attribuiti ai medesimi soggetti che ne sono attualmente titolari. […] 3. Le concessioni di cui al comma 1 avranno la durata massima […] comunque non inferiore a venti anni […]"; tratto da http://www.dejure.giuffre.it. 652 R. MANCUSO, Istituzioni di diritto della navigazione, Giappicchelli, Torino 2002, pag. 151. 653 Penale ed amministrativa, a norma dell'art. 27, co. 1 Cost. 142 649


verso il basso voluta dall'ordinamento comunitario654, nell'ordinamento italiano la Convenzione di Londra del 12 novembre 1973 ha avuto l'effetto automatico di escludere dal fatto di reato, previsto dalla legge 31 dicembre 1982, n. 979, lo scarico di determinate sostanze. Così è l'orientamento, pare ormai stabile, della giurisprudenza, secondo la quale l'avvenuta entrata in vigore del sistema MARPOL 73/78 impone "[…] un vero e proprio obbligo per lo Stato contraente di introdurre, per le navi battenti la sua bandiera, un adeguamento che non ecceda i contenuti minimi indicati dalla Convenzione e dal Protocollo, così da precludere che singoli stati contraenti possano emanare una disciplina di maggior rigore per perseguire i fini della disciplina internazionale […]. Ritengono dunque le Sezioni unite che le norme della Convenzione MARPOL abbiano introdotto, una volta completata la particolare procedura di adattamento […] una causa di liceità, in grado di incidere sullo stesso fatto tipico […] così da far escludere – essendosi verificata una vera e propria abolitio criminis – che lo scarico in mare di sostanze nocive655 eseguito in osservanza delle regole MARPOL costituisca reato [...]"656.

4.

Profili di responsabilità oggettiva, di responsabilità colpevole e le

previsioni di inversione dell’onere della prova Parte della dottrina studiata distingue i profili di responsabilità colpevole da quella oggettiva soltanto "[…] al di là dei casi in cui la particolare norma primaria […] preveda l'adozione di un determinato standard

di

diligenza

[…]:

in

tali

situazioni,

infatti,

l'atteggiamento

psicologico dell'organo dello Stato attiene alla fattispecie della norma e concorre […] alla stessa definizione dell'antigiuridicità dell'atto […]"657; d'altra parte, in materia di inquinamento marino connesso alla navigazione, "[…] è […] il profilo soggettivo della colpa a fornire un preciso parametro al fine di Supra, pag. 86. Nel caso in esame, benzene ed idrossido di sodio, sostanze gravate da divieto di scarico in mare, anche internazionale, da parte delle navi italiane, a norma della legge 31 dicembre 1982, n. 979, art. 16 e 17. 656 Cass. Sez. Un., Acrux, sent. 8519 del 24 giugno 1998, punto 2; tratto da http://www.dejure.giuffre.it. 657 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 290. 143 654 655


circoscrivere le ipotesi con riferimento alle quali l'utilizzazione dannosa del territorio e degli ambiti soggetti alla giurisdizione o al controllo statale crea i presupposti

per

il

concreto

riconoscimento

di

una

responsabilità

internazionale. La norma consuetudinaria […] assume infatti la colpa come elemento della fattispecie contemplata, con la conseguenza che, se essa non ricorre, viene meno la stessa illiceità della condotta statale […]"658. La norma consuetudinaria cui si riferisce la dottrina è quella "[…] impositiva quanto meno di un divieto di utilizzazione dannosa del territorio […]"659, la cui enunciazione non può visibilmente contenere quegli standard di condotta in assenza o in difformità dai quali si configurerebbe ipso facto una difformità dal precetto violato. Nessuna specialità di disciplina in tema di colpevolezza degli Stati è stata rinvenuta per uno studio della parte XII della Convenzione di Montego Bay, i cui precetti a carico degli Stati dovranno essere interpretati come fonti di responsabilità oggettiva o colpevole in conformità ai criteri generali posti dalla dottrina. Secondo altra dottrina, "[…] l'ensemble de l'article 194 […] désigne très nettement les différents domaines de la diligence due par les États pour préserver le milieu marin […]"660; in effetti è possibile distinguere un comando primario correlato ad un regime di responsabilità colpevole, quale quello dell'art. 194. 1661, da un comando primario collegato ad un regime di responsabilità oggettiva nel senso visto sopra, quale quello dell'art. 194. 2662, da un comando primario correlato ad un regime di responsabilità colpevole in quanto manca uno standard preciso di comportamento imposto agli Stati, e per il rinvio a concetti aperti, quali "ingiustificabile" o "conformemente alla Convenzione". Tale sarebbe la norma espressa dall'art. 194. 4663. P. IVALDI cit., pag. 114. Ibid., pag. 113. 660 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 1040. 661 Supra, nota 239. 662 Art. 194. 2: "Les États prennent toutes les mesures nécessaires pour que les activités relevant de leur juridiction ou de leur contrôle le soient de manière à ne pas causer de préjudice par pollution à d'autres États et à leur environnement et pour que la pollution résultant d'incidents ou d'activités relevant de leur juridiction ou de leur contrôle ne s'étende pas au – delà des zones où ils exercent des droits souverains conformément à la Convention"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 244. 663 Art. 194. 4: "Lorsqu'ils prennent des mesures pour prévenir, réduire ou maîtriser la pollution du milieu marin, les États s'abstiennent de toute ingérence injustifiable 144 658 659


Sulla base della già vista664 redazione inglese del testo dell'art. 235. 1665, parte della dottrina intende la responsabilità oggettiva riferibile agli Stati come una previsione, davvero singolare, di "[…] obligation primaire de réparation en droit international général […]"; ciò non significa che una simile concezione trovi un adeguato seguito. Anzi, la stessa dottrina ne sottolinea la natura di "[…] concession, pour l'heure, assez formelle, à ceux qui attendent l'avènement d'une obligation primaire de réparation en droit international général […]"666 e ricorda soprattutto che l'art. 232667, "[…] renforce encore, par la clarté de sa rédaction, l'option retenue en faveur de la responsabilité pour faits illicites […]"668, cioè di una responsabilità come obbligo secondario. Particolari profili sia di configurazione dell'illecito, sia di responsabilità, sarebbero poi contenuti nell'art. 196. 1669. "[…] On pourrait cependant […] eu égard à leur importance et à la difficulté d'éliminer préventivement tous les risques que leur emploi comporte, envisager une présomption, non plus seulement

d'illicite

(ou

de

manquement

à

la

diligence),

mais

de

responsabilité, imposant ainsi à l'État entrepreneur de réparer les dommages ainsi causés […]"670. È inevitabile leggere in tale commento una previsione di inversione dell'onere della prova, che suggerisce anche una visione dei rapporti tra illecito e responsabilità del tutto diversa da quella finora esaminata. Spariscono infatti, nelle espressioni della dottrina, una graduazione ed una consequenzialità tra un obbligo primario ed uno secondario. Piuttosto, "[…] la différence entre présomption de faute et présomption de responsabilité se joue essentiellement au niveau du nombre et de la nature des causes dans les activités menées par d'autres États qui exercent leurs droits ou s'acquittent de leurs obligations conformément à la Convention"; ibid., pag. 246. 664 Supra, nota 575. 665 Supra, nota 599. 666 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 1041. 667 Art. 232: "Les États sont responsables des pertes ou dommages qui leur sont imputables à la suite de mesures prises en application de la section 6, lorsque ces mesures sont illicites ou vont au – delà de celles qui son raisonnablement nécessaires, eu égard aux renseignements disponibles. Les États prévoient des voies de recours devant leurs tribunaux pour les actions en réparation de ces pertes ou dommages"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 276. 668 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 1041. 669 Supra, nota 225. 670 R. DUPUY et D. VIGNES cit., pag. 1043. 145


d'exonération et peut aussi affecter les conditions d'établissement du lien de causalité entre activité et préjudice […]"671. Non più, dunque, due obblighi di diverso grado, l'esistenza del primo dei quali è presupposto necessario per l'esistenza del secondo; ma due obblighi di unico grado, paritari, diversi per alcuni elementi costitutivi, e, pare, dotati di esistenza autonoma. La diversa natura delle responsabilità dei privati deve necessariamente muovere da considerazioni di diritto interno. Nel diritto italiano si osserva che: a) un regime di responsabilità extracontrattuale oggettiva potrebbe trovare fondamento se le attività in esame fossero qualificabili come pericolose, e come tali soggiacessero alla disciplina prevista dall'art. 2050 cod. civ.672; b) né il citato Decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1959, n. 128, intitolato Norme di polizia delle miniere e delle cave673, né il parimenti citato Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n. 886674, intitolato Integrazione ed adeguamento delle norme di polizia delle miniere e delle cave […] al fine di regolare le attività di prospezione, di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale, qualificano espressamente come pericolose le attività che si studiano; c) l'art. 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, intitolato Attuazione della direttiva CEE n. 82/501, relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali […], esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione "[…] le attività estrattive ed altre attività minerarie […]"; d) parte della dottrina ritiene pericolose alcune attività estrattive, quali le "[…] attività disciplinate da norme specifiche che prevedono più rigorose forme di responsabilità come danni derivanti dall'esercizio di miniere, cave e torbiere […]675, ed individua il tratto distintivo della pericolosità "[…] sulla base delle sue caratteristiche tipiche ed oggettivamente immanenti ove vi sia un rischio apprezzabile superiore alla norma da provocare eventi lesivi a causa della Ibid. Art. 2050 cod. civ.: "Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno". 673 Supra, pag. 107. 674 Supra, pag. 100, 141 e nota 142. 675 V. DELLA MONACA, La fornitura di energia elettrica e la responsabilità da attività pericolosa, in Resp. civ. e prev. 2007, 11, 2305, tratto da http://www.dejure.giuffre.it, 1 novembre 2007. 146 671 672


sua potenziale offensività […]"676; e) l'art. 31 del Regio Decreto n. 1443 del 29 luglio 1927, intitolato Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno, prevede un regime di responsabilità677 che, ad una prima lettura, pare letteralmente fondare una responsabilità basata sulla sussistenza di un mero danno e di un nesso di causalità, senza alcuna ammissibilità espressa di prova liberatoria. Il problema dell'ammissibilità di questa, secondo quanto previsto dall'art. 2050 cod. civ., sembra assumere una particolare pregnanza, e dovrebbe essere affrontato nello specifico678.

5.

La giurisdizione dopo la Convenzione di Montego Bay Le ragioni di conflitto tra più Stati, per la protezione del mare da

fenomeni di inquinamento o in ragione dei diversi utilizzi voluti, sono potenzialmente numerose, ed assoggettate a regole di composizione delle relative

controversie

piuttosto

diverse.

Alla

questione

è

dedicata

la

quindicesima parte della Convenzione di Montego Bay, che pone innanzitutto, nella prima sezione dedicata alle disposizioni generali, un obbligo di risoluzione per via pacifica679 nel quadro delle regole generali poste dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. La dottrina osserva che "[…] disputes relating to the exercise of […] high sea freedoms in the extended maritime zones may be subject to compulsory procedures entailing binding decisions. […] A clear distinction is drawn between disputes concerning, on the one hand, the coastal State's infringement of freedoms and rights and, on the other hand, infringement by other States with interests in high seas freedoms. […]"680.

Ibid. Art. 31: "Il concessionario è tenuto a risarcire ogni danno derivante dall'esercizio della miniera. […]". Testo vigente tratto da http://www.dejure.giuffre.it. 678 Sul punto non sono state trovate pronunce né dottrinali, né giurisprudenziali. 679 Art. 279: "Les États Parties règlent tout différend […] par des moyens pacifiques conformément à l'article 2, paragraphe 3, de la Charte des Nations Unies et, à cette fin, doivent en rechercher la solution par les moyens indiqués à l'article 33, paragraphe 1, de la Carte"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 306. 680 N. KLEIN, Dispute settlement in the UN Convention on the Law of the Sea, Cambridge University Press, Cambridge (Gran Bretagna) 2005, pag. 139, 141. 147 676 677


I conflitti che vertono sul godimento di diritti e libertà sono risolti secondo le regole poste nella seconda sezione della parte quindicesima, richiamate dall'art. 297. 1681. Poiché tale sezione contiene una procedura obbligatoria di risoluzione delle controversie, alle quali si pervenga ogni volta che non si sia raggiunta una soluzione utilizzando i mezzi pre – contenziosi disciplinati dalla prima sezione, la dottrina può affermare che l'articolo "[…] 297 (1) (a) reaffirms the applicability of compulsory procedures, […]. The scope of this provision is sufficiently large that any dispute concerning the exercise of high seas freedoms in the extended maritime zones […] will be subject to mandatory jurisdiction […]"682. L'obbligatorietà della risoluzione delle controversie avrebbe "[…] the potential to protect the interests of third States in light of the considerable discretion granted to coastal States. […] The formulation of Article 297 (1) is intended to provide safeguards against an abuse of power by a coastal State and at the same time to avoid an abuse of legal process by other States […] "683. La sezione seconda non limita in assoluto la tradizionale libertà degli Stati di accettare una giurisdizione, o di accettare o concordare le regole di procedura, tanto che la relativa scelta è oggetto di un apposito articolo684, che pone l'obbligo per uno Stato, che voglia aderire al sistema della Convenzione di Montego Bay, di scegliere, contestualmente alla propria "Les différends […] quant à l'exercice par un État côtier de ses droits souverains ou de sa juridiction […] sont soumis aux procédures de règlement prévues à la section 2 dans les cas où: a) il est allégué que l'État côtier a contrevenu à la Convention en ce qui concerne la liberté et le droit de navigation ou de survol ou la liberté et le droit de poser des câbles et pipelines sous – marins […]; b) il est allégué que, dans l'exercice de ces libertés et droits ou dans ces utilisations, un État a contrevenu à la Convention ou aux lois ou règlements adoptés par l'État côtier en conformité avec les dispositions de la Convention et les autres règles du droit international […]; ou c) il est allégué que l'État côtier a contrevenu à des règles ou normes internationales déterminées visant à protéger et à préserver le milieu marin qui lui sont applicables et qui ont été établies par la Convention, ou par l'intermédiaire d'une organisation internationale compétente […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 316 ÷ 318. 682 N. KLEIN cit., pag. 141. 683 Ibid., pag. 140, 142. 684 Art. 287. 1: "Lorsqu'il signe ou ratifie la Convention ou y adhère, ou à n'importe quel moment par la suite, un État est libre de choisir […] un ou plusieurs des moyens suivants pour le règlement des différends […]: a) le Tribunal International du droit de la mer […]; b) la Cour internationale de Justice; c) un tribunal arbitral constitué conformément à l'annexe VII; d) un tribunal arbitral spécial, constitué conformément à l'annexe VIII, […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 310. 148 681


adesione o firma, una giurisdizione tra quelle internazionalmente più riconosciute. Sembra implicitamente stabilito un potere illimitato di modificare la propria scelta originaria, che rimane assistita da una forma, si potrebbe forse dire, di ultrattività685. In altri termini, vi è non un obbligo di soggiacere ad una giurisdizione, ma quello di operare una scelta libera e modificabile tra le possibili giurisdizioni generalmente individuate. Le regole processuali in senso stretto sono assistite da presunzioni 686 a favore delle regole arbitrali687 o contenute in accordi specificamente raggiunti dalle parti688; in ogni caso sussiste un certo obbligo di collaborazione delle parti con gli arbitri689, corroborato anche da un generale dovere di buona fede690. Alcune regole sembrano avere lo scopo di garantire un giudizio rapido ed unitario. La Convenzione tende ad evitare che si possano eccepire difetti di competenza691, appesantire residue questioni di giurisdizione692, ed a conferire alla Corte adita i poteri sufficienti ad una decisione completa ed Art. 287. 6: "Une déclaration faite conformément au paragraphe 1 reste en vigueur pendant trois mois après le dépôt d'une notification de révocation […]"; ibid., pag. 310. 686 "It is deemed that these States have accepted arbitration […] as the alternative in the event that […] have not specifically pre – selected a procedure"; tratto da N. KLEIN cit., pag. 57. 687 Art. 287. 3: "Un État partie qui est partie à un différend non couvert par une déclaration en vigueur est réputé avoir accepté la procédure d'arbitrage prévue à l'annexe VII"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 310; art. 287. 5: "Si les parties en litige n'ont pas accepté la même procédure […], celui – ci ne peut être soumis qu'à la procédure d'arbitrage prévue à l'annexe VII, à moins que les parties n'en conviennent autrement"; ibid. 688 Art. 287. 4: "Si les parties en litige ont accepté la même procédure pour le reglement du differend, celui – ci ne peut être soumis qu'à cette procédure, à moins que les parties n'en conviennent autrement […]"; ibid. 689 Art. 6 dell'Allegato VII: "Les Parties au différend facilitent la tâche du tribunal arbitral et, en particulier, […]: a) lui fournissent tous les documents, facilités et renseignements pertinents et b) lui donnent la possibilité […] de citer et d'entendre des témoins ou experts et de se rendre sur les lieux"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 436. 690 Art. 300: "Les États Parties doivent remplir de bonne foi les obligations qu'ils ont assumées […]"; ibid., pag. 324. 691 Art. 288: "1. Une cour ou un tribunal visé a l'article 287 a compétence pour connaître de tout différend […]. 3. La Chambre pour le règlement des différends relatifs aux fonds marins […] et toute autre chambre […] ont compétence pour connaître de toute question qui leur est soumise […]"; ibid., pag. 310 – 312. 692 (segue da nota 688) "4. En cas de contestation sur le point de savoir si une cour ou un tribunal est compétent, la cour ou le tribunal décide"; ibid., pag. 312. 149 685


efficace, riconoscendole la libertà di nominare degli esperti693 ed il potere di adottare misure cautelari694, anche al di fuori dell'instaurazione della specifica controversia695. Le pronunce hanno forza obbligatoria tra le parti696. La Convenzione conferisce una certa importanza anche alle procedure obbligatorie pre – contenziose, regolate dalla sezione prima della parte quindicesima e ritenute dalla dottrina "[…] likely to be perceived as the preferable mode of dispute settlement even with the alternative avenues of the third – party intervention available […]. The importance of resolving disputes through negotiations is reaffirmed through article 283 […]. This obligation is intended to be a continuing obligation applicable at every stage of dispute, and even extends to the manner of implementing any settlement reached […]"697. La giurisprudenza del Tribunale internazionale del diritto del mare ritiene adempiute le obbligazioni di risoluzione pre – contenziosa quando i negoziati "[…] have been […] prolonged, intense and serious. Since in the course of […] negotiations, the Applicants had invoked UNCLOS and relied upon provisions of it, […] those negotiations may also be regarded as fulfilling another condition of UNCLOS, that of article 283 […]"698. Art. 289: "Pour tout différend portant sur des questions scientifiques […], une cour ou un tribunal […] peut, […] en consultation avec les parties, choisir […] au moins deux experts scientifiques ou techniques […]"; ibid. 694 Art. 290. 1: "Si une cour ou un tribunal […] considère, prima facie, avoir compétence [...], cette cour ou ce tribunal peut prescrire toutes mesures conservatoires [...]"; ibid. 695 Art. 290. 5: "En attendant la constitution d'un tribunal arbitral […], toute cour ou tout tribunal désigné d'un commun accord […] ou […] le Tribunal international du droit de la mer ou […] la Chambre pour le règlement des différends relatifs aux fonds marins, peut prescrire, modifier ou rapporter des mesures conservatoires […] "; ibid. 696 Art. 296: "1. Les décisions rendues […] sont définitives, et toutes les parties au différend doivent s'y conformer. 2. Ces décisions n'ont force obligatoire que pour les parties […]"; ibid, pag. 316. 697 N. KLEIN cit., pag. 32 ÷ 33; art. 283: "1. Lorsqu'un différend surgit entre des États Parties […], les parties en litige procèdent promptement à un échange de vues concernant le règlement du différend par […] moyens pacifiques. 2. De même, les parties procèdent promptement à un échange de vues chaque fois qu'il a été mis fin à une procédure de règlement […] sans que celui – ci ait été réglé ou chaque fois […] que les circonstances exigent des consultations concernant la manière de le mettre en œuvre"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 308. 698 Southern Blue fin Tuna Case, Australia and New Zealand v. Japan, Award on Jurisdiction and Admissibility, paragrafo 55, in International legal materials, 39 ILM 1359 (2000), pag. 1389. 150 693


La responsabilità e la tutelabilità dei diritti offesi dei privati sono aspetti congiuntamente disciplinati dagli articoli 235. 2699, 235. 3700 e 295701. È stato scritto che l'art. 235. 2 "[…] requires that recourse is available in the national legal system of a State in respect of damage caused by pollution of the marine environment by a natural or juridical person under the jurisdiction of that State. […] In this connection, article 295, on the exhaustion of local remedies, could become relevant should a State wish to exercise its right of diplomatic protection with regard to such damage. Paragraph 2 does not apply in the case where the damage was caused by the foreign State itself, and even less can it require a claimant State to have recourse to the respondent State's legal system before invoking international procedures. Par in parem non habet jurisdictionem. [...]. Paragraph 3, which has to be read together with article 304702, [...] anticipates the development of non – legal procedures and remedies for assessing damage and conpensating for it, for instance through internationally – managed insurance schemes. This idea [...] serves as a general safeguard provision to accommodate later developments [...]"703, che non ricadono "[...] within the exclusive competence of any single organ of the United Nations or of the specialized agencies. [...]. In fact, every organ and entity concerned with any aspect of the sea is each continuously reviewing this aspect, within its own terms of reference, and a comprehensive exposition of the international law of the sea has to take this extensive work into consideration [...]"704. Poichè il combinato disposto dell'art. 237705 e dell'art. 311706 "[...] in many cases it presupposes the existence of such IMO rules and regulations, Supra, nota 599. Art. 235. 3: "En vue d'assurer une indemnisation rapide et adéquate […], les États coopèrent pour assurer l'application et le développement du droit international […] en ce qui concerne l'évaluation et l'indemnisation des dommages et le règlement des différends […], l'élaboration de critères et de procédures pour le paiement d'indemnités adéquate, prévoyant, par exemple, une assurance obligatoire ou des fonds d'indemnisation"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 278. 701 Art. 295: "Un différend […] peut être soumis aux procédures prévues à la présente section seulement après que les recours internes ont été épuisés selon ce que requiert le droit international"; ibid., pag. 316. 702 Art. 304: "Les dispositions de la Convention relatives à la responsabilité encourue en cas e dommages sont sans préjudice de l'application des règles existantes et de l'établissement de nouvelles règles concernant la responsabilité en vertu du droit international"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 326. 703 CENTER FOR OCEAN LAW AND POLICY cit., 4, pag. 413 ÷ 414. 704 Ibid., pag. 414. 705 Supra, nota 242. 151 699 700


and depends on them for the effective implementation of its general principles [...]"707, si deve dedurre che le varie convenzioni applicabili alla materia fondano regimi speciali di responsabilità e di giurisdizione. In primo luogo, il sistema MARPOL sembra anticipare la Convenzione di Montego Bay riguardo un generico favore verso i mezzi di risoluzione pacifica ed extragiurisdizionali delle controversie708, ma lascia aperta ogni possibilità sulla determinazione dell'ammontare del danno risarcibile, sulla ripartizione finale del rischio tra gli Stati ed i privati soggetti alla giurisdizione di questi, e sulla determinazione dello Stato che i privati offesi siano legittimati ad adire; invece la Convenzione di Londra per la lotta all'inquinamento da smaltimento prevede

un

adeguamento

delle

regole

di

responsabilità

al

diritto

internazionale generale709 e di sviluppo delle regole per la regolamentazione della giurisdizione710, poi sviluppatesi in un'appendice agli emendamenti apportati con risoluzione del 12 ottobre 1978, ed orientata verso una risoluzione delle controversie, da affidarsi ad un arbitro di regola unico711 . Si osserva che nessuna Convenzione prevede espressamente la capacità processuale dei privati; peraltro l'arbitrato generalmente inteso "[...] può riguardare controversie tra Stati e soggetti diversi dagli Stati, compresi gli individui [...]"712, ma non si è potuto stabilire se ciò sia vero (segue da note 511, 517) "[…] 2. La Convention ne modifie en rien les droits et obligations des États Parties qui découlent d'autres traités compatibles […], et qui ne portent atteinte […] à l'exécution de leurs obligations découlant de celle – ci […]. 5. Le présent article ne porte pas atteinte aux accords internationaux expressément autorisés ou maintenus par d'autres articles de la Convention […]"; tratto da T. TREVES, La Convenzione cit., pag. 330. 707 CENTER FOR OCEAN LAW AND POLICY cit., 4, pag. 426. 708 Art. 10: "Any dispute between two or more Parties to the Convention […] shall […] be submitted upon request of any of them to arbitration […]"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2282. 709 Art. X: "In accordance with the principles of international law regarding State responsibility for damage […] caused by dumping […] of all kinds, the Contracting Parties undertake to develop procedures for the assessment of liability and the settlement of disputes regarding dumping"; tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2530. 710 Art. XI: "The Contracting Parties shall at their first consultative meeting consider procedures for the settlement of disputes […]"; ibid. 711 Art. 1: "1. An Arbitral Tribunal […] shall be established upon the request of a Contracting Party addressed to another Contracting Party in application of Article XI of the Convention. […]"; art. 2: "1. The Tribunal shall consist of a single arbitrator if so agreed between the parties […]". Appendice alla Risoluzione adottata il 12 ottobre 1978 intorno agli emendamenti alla Convenzione per la prevenzione dell'inquinamento marino da rifiuti, tratto da THE MAHARAJ N. SINGH cit., pag. 2537. 712 S. CARBONE et al., Istituzioni cit., pag. 256. 152 706


soltanto in caso di previsione espressa713. È dunque possibile che il sistema di Convenzioni in materia di diritto del mare preveda che i privati debbano sempre adire tribunali interni, esauriti i rimedi presso i quali potrà intervenire soltanto la protezione diplomatica a norma dell'art. 295 della Convenzione di Montego Bay714. Più dettagliata, invece, la Convenzione sulla responsabilità civile per danno da inquinamento da idrocarburi risultante dall'esplorazione e dallo sfruttamento di risorse minerali sui fondi marini, aperta alla firma a Londra il 17 dicembre 1976; ancorchè si debba tenere conto dell'efficacia meramente regionale di tale Convenzione, si vogliono ricordare: a) una esplicita previsione di responsabilità del privato715, e dei relativi limiti716 b) condizioni e cause di sussistenza e di esclusione dei limiti di responsabilità 717; c) obblighi espressi di assicurazione718; d) norme strumentali che fissano titoli di

L'esempio offerto dalla stessa dottrina, quello dell'International Centre for Settlement of Investment Disputes, prevede espressamente la possibilità di partecipazione degli individui a tale metodo di risoluzione delle controversie. Ibid., pag. 257. 714 Supra, pag. 151 e nota 698. 715 Art. 1: "[…] 3. Operator means the person […] designated as operator for the purposes of this Convention by the Controlling State or […] the person who is in overall control […]"; tratto da International legal materials, 16, 1 (1977), pag. 1451; inoltre supra, nota 634. 716 Art. 4: "1. No claim for compensating for pollution damage shall be made against the operator otherwise than in accordance with this Convention. 2. No claim for compensation for pollution damage under this Convention or otherwise may be made against the servants or agents of the operator […]"; ibid.; art. 6: "1. The operator shall be entitled to limit his liability under this Convention for each installation and each incident to the amount of […] forty million Special Drawing Rights […]. 2. When operators of different installations are liable in accordance with paragraph 1 of article 5, the liability of the operator of any one installation shall not for any one incident exceed any limit which may be applicable to him in accordance with the provisions of this article and of article 15. 3. Where in the case of any one installation more than one operator is liable under this Convention, the aggregate liability of all of them in respect of any one incident shall not exceed the highest amount that could be awarded against any of them, but none of them shall be liable for an amount in excess of the limit applicable to him […]"; ibid., pag. 1452; art. 15: "1. This Convention shall not prevent a State from providing for unlimited liability or a higher limit for liability than that currently applicable under article 6 […]"; ibid., pag. 1454. 717 Art. 6. 4: "The operator shall not be entitled to limit his liability if it is proved that the pollution damage occurred as a result of an act or omission by the operator himself, done deliberately with actual knowledge that pollution damage would result"; ibid., pag. 1452. 718 Art. 8. 1: "To cover his liability under this Convention, the operator shall be required to have and maintain insurance […] to […] amount […] not […] less than […] thirty five million Special Drawing Rights […]"; ibid., pag. 1453. 153 713


giurisdizione719 e criteri per il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze720; e) previsioni di rinuncia all'immunità statuale di fronte alle giurisdizioni straniere721. Il sistema si presenta nel complesso basato su limiti di responsabilità per l'operatore di buona fede che abbia costituito un regolare fondo di garanzia, e su un generale mutuo riconoscimento sia delle giurisdizioni in astratto, sia delle decisioni che le autorità nazionali delle Parti alla Convenzione in esame assumeranno in concreto. La dottrina parla di regime di "[...] responsabilité canalisée et objective. La canalisation de la responsabilité consiste en ce que les actions en responsabilité aux termes de la convention ne peuvent être dirigées que contre une personne: l'exploitant [...] ou, en l'absence [...], la personne qui exerce son autorité sur l'ensemble des activités [...]. La responsabilité est objective car aucune preuve de faute de la part [...] n'est nécessaire pour établir la responsabilité [...]. Des causes d'exhonération n'en sont pas moins prévues [...]. Un des inconvénients possibles, celui du recours des parties au forum shopping [...] semble pourtant avoir été éliminé par l'introdution dan la Convention d'une règle uniforme de conflits de lois. D'après cette règle, quel que soit le for où l'action est introduite la question du caractère limité ou illimité de la responsabilité doit être décidée selon la loi de l'État de contrôle […]"722.

Art. 11: "1. Actions for compensation […] may be brought only in the courts of any State Party where pollution damage was suffered […] or in the courts on the Controlling State […]. 3. After the fund has been constituted […] the courts of the State Party in which the fund is constituted shall be exclusively competent to determine all matters relating to the apportionment and distribution of the fund"; ibid., pag. 1454. 720 Art. 12. 1: "Any judgement given by a court with jurisdiction in accordance with article 11 […] shall be recognised in any State Party, except: (a) where the judgment was obtained by fraud; or (b) where the defendant was not given reasonable notice and a fair opportunity to present his case. 2. A judgment recognized under paragraph 1 of this article shall be enforceable in each State Party […]"; ibid. 721 Art. 13: "Where a State Party is the operator, such State shall be subject to suit in the jurisdictions set forth in the article 11 and shall waive all defences based on its status as a sovereign State"; ibid. 722 T. TREVES, La pollution cit., pag. 846. 154 719


CONCLUSIONI La disciplina del nuovo regime giuridico del mare, dei suoi fondali e delle sue risorse merita di essere riassunta separando le questioni relative alla protezione dell'ambiente marino, alla nozione di inquinamento del mare ed allo sfruttamento delle risorse. La protezione dell'ambiente marino sembra oggi presentare punti di debolezza non tanto per carenza di norme, quanto perché di queste non è sicura l'esistenza di un'interpretazione unitaria e rigorosa. Ciò è vero soprattutto per le norme di diritto internazionale generale, che sembrano aver raggiunto una propria completezza organica, ma che ancora non sembrano essere trattate come tali dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Spunti interessanti vengono dal principio di neminem laedere del quale, dai casi del Fiume Oder e della Fonderia di Trail in poi, si può senza particolari difficoltà sostenere la natura bifronte di diritto di ciascuno Stato a non subire molestia alcuna nell'esercizio di diritti di libertà su aree libere, o sulle quali si manifesti una qualche forma di sovranità, e quella di obbligo di astensione, rivolto a ciascuno Stato, di non arrecare pregiudizio al territorio altrui. Tale lettura restrittiva della seconda faccia del principio deve essere superata per simmetria con la prima, e deve essere sostituita con un'idea di dovere di non arrecare danni, in qualunque luogo si manifestino. Il rapporto bilaterale tra dovere di non offendere e diritto di non essere offeso in nessun luogo orienta l'interprete verso un significato ampio e verso tutti del dovere di non inquinare. L'originaria limitazione dell'applicabilità del principio ai soli territori può essere agevolmente superata creando, come fa anche in altri casi la dottrina, collegamenti

con

altri

principi

di

diritto

internazionale

generale.

L'integrazione del principio di neminem laedere con il Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma consente di elevare a pieno titolo anche il mare, senza alcuna distinzione delle zone nelle quali è convenzionalmente ripartito, a possibile oggetto di un illecito di inquinamento, che da questo deve essere preservato. Il principio di custodia consente comportamenti attivi non soltanto di tutela arbitrale o giurisdizionale dei pregiudizi subiti, ma anche di polizia su 155


tutte quelle zone di mare in senso lato ascrivibili ad uno spazio sovrano degli Stati. Sul mare, ma non soltanto, il concetto di sovranità dovrebbe essere trattato come un composto inscindibile di potestà e di doverosità, e dove vi siano le une o le altre a tratteggiare i rapporti degli Stati con l'ambiente, sia esso terrestre o acquatico, lì dovrebbe essere considerato sussistente anche il principio di custodia che, si vuole ricordare, è nato e si è affermato su acque esterne a quelle territoriali, in un'epoca in cui nemmeno era stato codificato il concetto di Zona Economica Esclusiva. Più

problematico

è

stabilire

se

i

singoli

comandi

del

diritto

convenzionale abbiano contenuto sufficientemente protettivo, anche perché si devono distinguere gli obblighi generalmente previsti dalla Convenzione di Montego Bay, da quelli delle Convenzioni dedicate a singole materie. I primi in particolare, per quanto possano essere ispirati all'equità dei rapporti tra Stati ed utilizzino largamente la figura degli obblighi di mezzo, pongono il problema di quale tutela attiva possano offrire Stati afflitti da endemica povertà di denaro e di tecnologie, quando si voglia uscire dal ristretto ambito delle attività autoritarie. Sui secondi la situazione sembra essere più rassicurante, in quanto hanno la natura di obblighi che, una volta trasfusi negli ordinamenti statali, devono essere osservati dai privati; per una corretta osservanza di questi, basta davvero un pieno e corretto esercizio dei poteri di polizia. Tuttavia le Convenzioni possono porre problemi di interpretazione, soprattutto per una difficoltà di assimilare unitariamente ed omogeneamente ogni vicenda che riguarda le piattaforme nella nozione di nave. Una prima difficoltà viene dall'individuazione dell'aspetto che giustifica tale assimilazione e, più precisamente, se esso sia da rinvenirsi nella semplice attitudine al galleggiamento,

o

allo

spostamento

in

mare,

o,

al

contrario,

nella

combinazione congiunta di queste due attitudini. Il problema si pone soprattutto per le norme che regolano lo scarico in mare degli idrocarburi, che il sistema MARPOL 73/78 non ha interamente risolto, nemmeno con l'adozione di una definizione assai chiara di nave, perché mutua dal precedente OILPOL una disciplina degli scarichi intimamente dipendente dalla velocità alla quale il natante si muove.

156


Altre difficoltà risiedono nell'interpretazione delle norme nazionali ed internazionali applicabili alle piattaforme, e nella molteplicità di discipline possibili,

ulteriormente

amplificata

dall'insuperabile

fenomeno

del

frazionamento, ed nel conseguente rischio di dover applicare una legislazione inopinatamente permissiva. Tale rischio sembra più accentuato ogni volta che la piattaforma debba essere qualificata come nave, essendo non infrequente negli ordinamenti degli Stati la previsione di discipline di favore riservate alle attività di navigazione. In altri termini, la disciplina della responsabilità manca di uniformità, che

è

ancora

più

compromessa

dall'impossibilità

di

assoggettare

la

piattaforma di perforazione ad una qualificazione unica ed uniforme, oggi rimessa talvolta alle Convenzioni internazionali, talvolta ai diritti interni, i quali, caso per caso ed aspetto per aspetto, ora impongono, ora escludono l'assimilazione

alle

navi.

In

tale

ultima

eventualità

può

discendere

l'applicazione di un regime di responsabilità, speciale e normalmente più favorevole per alcuni soggetti, quale l'armatore. Anche la disciplina degli elementi soggettivi della colpevolezza dei privati dettata dai diritti interni può dare vita a regole assai disomogenee ed il cui limite di applicazione appare talvolta assai incerto, o comunque mai esplicitamente risolto. È questo il caso del diritto italiano, e delle regole di responsabilità delle attività minerarie, a fronte di quelle dettate per la navigazione. Non del tutto rassicurante è l'assenza di una Convenzione che fissi il quantum

della

responsabilità,

non

tanto

per

un

superiore

valore

dell'uniformità delle norme (che, si è visto, può anche essere realizzata al ribasso), ma per la diffusa abitudine degli ordinamenti interni a porre significativi limiti di responsabilità alle attività assimilabili alla navigazione. Nel caso dell'ordinamento italiano, è incerto se la norma mineraria, molto più rigorosa, sia in grado di prevalere sempre su quella della navigazione. La nozione di inquinamento può ragionevolmente essere intesa in modo abbastanza ampio. L'ambiguità della Convenzione di Montego Bay, che illustra il mare ora come oggetto di un possibile illecito, ora come mero mezzo di diffusione dell'agente inquinante, potrebbe essere superata dai criteri interpretativi offerti dalla dottrina, e soprattutto dall'impostazione 157


marcatamente finalistica di tutta la Convenzione. Nemmeno si può dire che una norma così aperta manchi di profili di definizione; al contrario, la sua massima apertura consente l'integrazione

con tutte quelle

definizioni

(scarico, smaltimento) regolate dalle apposite Convenzioni, e con eventuali ulteriori sviluppi del diritto internazionale generale e pattizio. Tali Convenzioni contengono norme tecniche così precise, e soprattutto procedure di aggiornamento costanti e semplificate che appaiono idonee ad esigenze di aggiornamento anche rapido, sul fronte di una protezione del mare sempre più estesa. L'attività di sfruttamento in senso stretto permette di indagare a fondo sui possibili e già accennati sviluppi del concetto di sovranità, sui rapporti che essa assume tra il mare ed i sottostanti fondali, e lascia prevedere rapporti politici tra Stati non sempre pacifici, e comunque in evoluzione. La disomogeneità delle discipline riservate alla Zona Economica Esclusiva ed alla piattaforma continentale può aprire, come nel caso di Cipro e delle zone polari, possibili sorprese e conflitti geopolitici di una certa rilevanza; mentre nel caso di sovrapposizione di giurisdizione, come nel caso tra Australia ed Indonesia, pone più difficoltà di interpretazione dei limiti dei poteri e dei doveri degli Stati coinvolti, di necessità di pervenire ad accordi locali, e soprattutto di interpretare a fondo ed in modo sistematico le norme della Convenzione di Montego Bay dedicate ai due istituti. Tuttavia

non

si

ritiene

nemmeno

opportuno

che

si

pervenga

all'armonizzazione delle due discipline. Le peculiarità intrinseche e naturali del mare e dei fondali suggeriscono, se alla base di ogni considerazione giuridica si vuole mettere uno spirito di realismo, che la ricerca della giusta regola possa essere condotta sulla guida di un principio costante, universale e superiore, per l'esistenza del quale si è cercato di sostenere che i tempi sono ormai maturi, quale quello dell'integrità del mare in sé, e che in tale ottica possa assumere, caso per caso, sfumature e significati diversi.

158


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164


INDICE

DELLE NORME

1927 Regio Decreto n. 1443 del 29 luglio 1927, art. 10, 31.

1933 Convenzione sui diritti e doveri degli Stati, aperta alla firma a Montevideo (Uruguay) il 26 dicembre 1933, art. 1

1940 Codice di procedura civile, approvato con Regio Decreto 28 ottobre 1940, n. 1443; art. 77

1942 Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, art. 51. Codice civile, approvato con Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262; art. 1228, 2050 Codice della navigazione, approvato con Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 327; art. 1, 4, 7, 14, 136, 274, 489, 490, 626

1945

165


Carta delle Nazioni Unite, fatta a San Francisco (Stati Uniti d'America) il 26 giugno 1945, art. 1, 33

1947 Costituzione della Repubblica Italiana, approvata il 22 dicembre 1947, art. 27, 97, 117

1953 Legge 10 febbraio 1953, n. 136, art. 2

1954 Convenzione per la prevenzione dell'inquinamento del mare da sostanze oleose, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 12 maggio 1954, art. I, II, III, IX

1957 Legge 6 gennaio 1957, n. 6 Trattato che istituisce la ComunitĂ Europea, fatto a Roma il 25 marzo 1957 e successivamente modificato ed integrato, art. 3, 48, 174, 281

1958 Convenzione delle Nazioni Unite sulla piattaforma continentale, fatta a Ginevra (Svizzera) il 29 aprile 1958, art. 2, 5, 13 166


1959 Decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1959, n. 128 Trattato sull'Antartide, firmato a Washington (Stati Uniti d'America) l'1 dicembre 1959, art. IV, VI

1967 Legge 21 giugno 1967, n. 613, art. 2, 4, 10, 13

1969 Convenzione sul diritto dei Trattati, fatta a Vienna (Austria) il 23 maggio 1969, art. 4, 31, 32, 34, 39, 54, 55, 59, 62, 64 Convenzione internazionale relativa agli interventi in alto mare in caso di inquinamenti accidentali da sostanze oleose, fatta a Bruxelles (Belgio) il 29 novembre 1969 Convenzione

internazionale

sulla

responsabilitĂ

civile

per

danno

da

inquinamento da idrocarburi, fatta a Bruxelles (Belgio) il 29 novembre 1969

1972 Convenzione per la prevenzione dell'inquinamento del mare da smaltimento di rifiuti o altra materia, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 29 dicembre 1972, Preambolo; art. I, II, III, IV, IX, X, XI, XIV, XV; allegati I, II, III 167


Dichiarazione sull'ambiente umano, approvata a Stoccolma (Svezia) il 16 giugno 1972, principio 21

1973 Convenzione per la lotta all'inquinamento del mare da navi, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 2 novembre 1973; Preambolo, art. 1, 2, 3, 4, 6, 9, 10, 16, Protocollo I, Allegato I (con Appendice I), Allegati II, III, VI; Risoluzioni 1, 2, 6

1975 Risoluzione

MARPOL

A.

349

(IX)

sull'assistenza

tecnica

nel

campo

dell'inquinamento marino del 12 novembre 1975

1976 Convenzione sulla responsabilitĂ civile per danno da inquinamento da sostanze oleose derivante dall'esplorazione e dallo sfruttamento delle risorse minerali sui sottofondi marini, fatta a Londra (Gran Bretagna) il 17 dicembre 1976, art. 1, 3, 4, 5, 6, 8, 11, 12, 13, 15

1977 Risoluzione MARPOL A. 393 (X) adottata il 14 novembre 1977, contenente raccomandazioni sui requisiti internazionali e le specifiche analitiche per i dispositivi di separazione acqua – olio ed i misuratori di contenuto d'olio

168


1978 Protocollo relativo alla Convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento da navi del 1973, fatto a Londra il 17 febbraio 1978 Risoluzione adottata il 12 ottobre 1978, contenente emendamenti alla Convenzione

per

la

prevenzione

dell'inquinamento

marino

da

rifiuti;

appendice Convenzione sulla successione degli Stati rispetto ai trattati, aperta alla firma a Vienna (Austria) il 22 agosto 1978

1979 Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n° 886, art. 1, 9 Risoluzione MARPOL A. 444 (XI) adottata il 15 novembre 1979, contenente raccomandazioni sull'installazione dei dispositivi di separazione acqua – olio previsti

dalla

convenzione

internazionale

per

la

prevenzione

dell'inquinamento da navi Risoluzione MARPOL A. 445 (XI) adottata il 15 novembre 1979, sul monitoraggio degli scarichi oleosi ed i sistemi di controllo per i serbatoi delle navi cisterna Risoluzione MARPOL A. 447 (XI) adottata il 15 novembre 1979, recante linee guida provvisorie sulla registrazione degli incidenti che comportano lo scarico reale o probabile di sostanze pericolose, Risoluzione MARPOL A. 448 (XI) adottata il 15 novembre 1979, contenente adeguamenti regionali per la lotta ai maggiori incidenti o minacce di inquinamento marino 169


1982 Direttiva 82/501/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1982, sui rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, fatta a Montego Bay (Giamaica) il 10 dicembre 1982; Preambolo; art. 1, 2, 3, 5, 8, 17, 18, 21, 22, 25, 33, 34, 41, 42, 46, 47, 52, 53, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 69, 70, 72, 74, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 83, 87, 121, 122, 136, 137, 192, 194, 195, 196, 207, 208, 209, 210, 211, 213, 214, 216, 217, 218, 220, 221, 232, 235, 237, 238, 245, 246, 261, 279, 283, 287, 288, 289, 290, 295, 296, 297, 300, 304, 311; Allegati VII, VIII Legge 31 dicembre 1982, n° 979, art. 9, 16, 17

1988 Decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, art. 3

1991 Legge 9 gennaio 1991, n. 9, art. 3, 5

1992 Legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 1, 14

170


Agenda 21, fatta a Rio de Janeiro (Brasile); Capitolo 17

1995 Legge 31 maggio 1995, n. 218, art. 1, 3, 17, 62, 64

1997 Decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 Trattato tra il Governo dell'Australia ed il Governo della Repubblica d'Indonesia che stabilisce il confine di una zona economica esclusiva ed alcuni confini dei fondi marini, fatto a Perth (Australia) il 14 marzo 1997, art. 1, 7, 9, 10

2001 Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 Risoluzione 56/12 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 28 novembre 2001

2005 Direttiva 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre

2005,

relativa

all'inquinamento

provocato

dalle

navi

e

all'introduzione di sanzioni per violazioni; Preambolo; art. 2, 3, 5, 6, 7, 9

171


Decisione quadro 2005/667/GAI del Consiglio, del 12 luglio 2005, intesa a rafforzare la cornice penale per la repressione dell'inquinamento provocato dalle navi; Preambolo

2007 Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 202

172


INDICE

DELLE PRONUNCE

1928 Cour Permanente de Justice Internationale, Compétence des tribunaux de Dantzig

1929 Cour Permanente de Justice Internationale, Affaire relative à la juridiction territoriale de la commission internationale de l'Oder

1938 Cour Permanente de Justice Internationale, Phosphates du Maroc

1941 International arbitral awards, Trail smelter arbitration (United States of America/Canada)

1949 Cour Internationale de Justice, Affaire du détroit de Corfou (Grande Bretagne/Albanie) Cour Internationale de Justice, Réparation des dommages subis au service des nations unies

173


1969 Cour Internationale de Justice, Affaire du plateau continental de la Mer du Nord (Allemagne Fédérale/ Danemark; Allemagne Fédérale/Pays Bas)

1970 Cour Internationale de Justice, Affaire de la Barcelona traction light and power company, limited, 5 febbraio 1970

1972 Corte Costituzionale, sentenza n. 138

1974 Corte Europea di Giustizia, Reyners, C - 2/74

1976 Tribunal arbitrale, Affaire de la délimitation du plateau continental (Grande Brétagne/France)

1985 Cour Internationale de Justice, Affaire du plateau continental (Jamahiriya Arabe Libyenne/Malte) 174


1990 Tribunale di Firenze, Liberis ed altri/Ministero della Marina Mercantile, 17 maggio 1990

1996 Cour Internationale de Justice, Licéité de la menace ou de l'emploi d'armes nucléaires

1997 Cour Internationale de Justice, Projet Gabčíkovo – Nagymaros

1998 Cass. Sez. Un., Acrux, sentenza n. 8519 del 24 giugno 1998

2000 Arbitral Tribunal Constituted under Annex VII of the United Nations Convention on the Law of the Sea, Southern Blue fin Tuna Case

2001

175


Cour Internationale de Justice, Affaire de la dĂŠlimitation maritime et des questions territoriales entre Qatar et BahreĂŻn

2003 Cass. Pen. sez. III., 28 febbraio 1983, n. 19791 Corte Costituzionale, sentenza n. 303

2007 Corte Europea di Giustizia, Commune de Mesquer/Total France S. A. e Total International Ltd, C-188/07

176


RINGRAZIAMENTI Durante questi anni, lunghissimi, difficili e spesso tormentati, ma di valore inestimabile, ho sentito la vicinanza ed il fondamentale contributo di numerose persone, che voglio tutte ringraziare di cuore. Il primo e piĂš sentito ringraziamento va al relatore di questa tesi, il professor Alberto Santa Maria, ed al correlatore dott. Giulio Peroni, per aver accolto senza la minima remora la mia domanda di tesi su un argomento che da molti anni aveva acceso il mio grande interesse, per avermi concesso la loro fiducia e per avermi lasciato operare in libertĂ ed autonomia. Grazie

di

cuore

anche

alla

biblioteca

dell'Istituto

di

Diritto

internazionale, ed in particolare alla dott. Francesca Bisacchi, che ha contribuito

in

modo

prezioso

al

recupero

di

alcune

pubblicazioni

fondamentali, ed alla sig. Alba Zanfini, per la gentilezza e l'affetto dimostratomi. Grazie Christian

a

Domenico

Marino,

Alberto

Brambilla, Testoni,

Paolo

Matteo

Castellani, Pasini,

che

Hiroko

Suzuki,

hanno

sempre

dimostrato di credere in me. Grazie ad Andrea Vulcano ed a Pietro Notaro, che si sono dimostrati veri amici, nel tempo libero o nello studio. Grazie a Giuseppe De Palo, che con altrettanta fiducia mi ha permesso, accettando di avermi come aiuto, di affrontare il presente e di guardare avanti con caparbietĂ .

177


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