MaterialiCasa Mag-Book 2/2023 - PREVIEW (pagg. 1-29 di 203)

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MAG | BOOK | 2-2023

“Ho voluto creare una “tovaglietta” tematica dedicata al focus, che incorporasse anche elementi giocosi, con l’intento di coinvolgere e rilassare il lettore.”

Cover by Tyler Spangler

PEOPLE

Atelier d’More lamatilde

CaberlonCaroppi

studio wok

El Equipo Creativo

Vittorio Grassi Architects

Studio Zooco

Fat Studio

Serena Confalonieri

Mr. Brainwash

Studio AzzoliniTinuper

LATO51

Spagnulo & Partners

Pininfarina Architecture

Andrea Campani

Martin Brudnizki Design Studio

Francesca Garagnani Architetto

Visual Display

Giuseppe Tortato Architetti

Vudafieri-Saverino Partners

DAAA Haus

Jordane Arrivetz

SLEEPING LAB ARCH ph. Atelier d’More 01 Pechino

Nel villaggio di Huangmuchang, dislocato nella periferia di Pechino, lo studio di architettura Atelier d’More trasforma un edificio fatiscente, originariamente adibito a residenza e ufficio, in un boutique hotel dal fascino originale che si riscopre vero fiore all’occhiello del territorio in cui si inserisce.

L’assenza di un contesto circostante suggestivo ha infatti spronato i progettisti a creare un ambiente dall’estetica accattivante e organica, tanto negli interni quanto negli esterni, per qualificare la zona e offrire un’inedita esperienza di soggiorno agli ospiti. La struttura ricettiva vanta così un’architettura peculiare le cui

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forme sinuose, nonostante la palette chiara e neutra privilegiata, sono in grado di trasmettere una sensazione di accoglienza e calore già ad un primo sguardo, e in cui ogni spazio, dal cortile interno alle stanze, evoca scenari distensivi, complice un isolamento efficace che attenua il caos urbano e i rumori provenienti dalla strada. Ad entrare nelle camere, invece, come parti integranti del progetto d’interni, nonché come indiscussi valori aggiunti, sono le sfumature del cielo e delle nuvole, ma anche la luce che filtrata dalle grandi vetrate riempie di vitalità la metratura e diventa chiave di volta per il mantenimento del benessere indoor.

IL CORTILE

Il cortile rettangolare che impreziosisce l’hotel è sviluppato su 100 mq ed è suddiviso in più piccoli cortili semichiusi in modo da creare un gradevole dedalo di percorsi esterni. Ogni cortile è concepito per ospitare un piccolo albero che con il tempo e con la crescita delle piante, plasmerà un outdoor coerente e connesso.

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UN’ARCHITETTURA “FLUIDA”

Il linguaggio architettonico alla base di questo “Laboratorio del sonno” risulta permeato di fluidità e incentrato sul quarto d’arco che traccia segmenti semicircolari in libero scorrimento tra gli spazi. La tensione scenica dell’edificio è infatti aumentata proprio dalla composizione geometrica e dalle forme arrotondate che si avvicendano e uniformano gli ambienti tra loro quasi in una mistica connessione tra natura, struttura ed essere umano. Determinante si rivela peraltro la scelta del bianco, che sulla facciata rende l’edificio astratto e scultoreo, donando un senso di candore e scandendo la purezza delle linee. Attraverso il bianco sembra affievolirsi anche il confine tra le pareti e i piani, effetto ottico che restituisce un’immagine progettuale omogenea e congiunta, complice anche uno schema materico essenziale che punta sull’accostamento di legno, cemento e vetro, ricorrente in ogni area dello “Sleeping Lab”.

UN SISTEMA D’ARREDO “ASSEMBLATO”

Tutti i mobili impiegati per arredare gli interni in stile minimale sono stati progettati da Atelier d’More, impegnato ormai da diversi anni nella progettazione di mobili assemblati e prefabbricati, quasi come fossero grandi “giocattoli”. Mentre infatti il tradizionale processo di automazione industriale per la produzione di arredi richiede tempi lunghi, il concetto di prefabbricazione e assemblaggio degli elementi d’arredo consente di risparmiare tempo e di convertire noiosi lavori di costruzione in una pratica divertente e rapida. La maggior parte dei mobili così ideati può essere assemblata in loco con componenti precostituiti, contribuendo tra l’altro al rispetto di budget contenuti e rientrando appieno anche nelle tempistiche più rigorose.

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lamatilde studio

È un’esperienza “aumentata” quella che intende promuovere lo studio torinese lamatilde attraverso i propri progetti destinati all’ospitalità e alla ristorazione d’alta gamma. Con una forte vocazione per la ricerca formale e per l’analisi del contesto culturale nel pieno rispetto del genius loci, il team di giovani professionisti vede infatti nello spazio un vero e proprio strumento narrativo, da valorizzare con un design che si fa sintesi di “espressività e funzionalità”. Dall’architettura agli interni, dal product design alla grafica giungendo fino alla comunicazione, il know how di lamatilde sembra dissolvere i confini tra numerose discipline, concretizzando il tutto in ambienti contemporanei ed eclettici che strizzano l’occhio alla tradizione dei luoghi.

Da quali presupposti nasce il vostro approccio progettuale?

Il nostro approccio progettuale parte dal concepire lo spazio come un media narrativo. Nella prima fase, studiamo a fondo il contesto per

apprenderne le specificità e raccogliere suggestioni progettuali al fine di definire il concept e la narrazione più adeguati. Crediamo infatti che gli spazi debbano raccontare delle storie, oltre che rispondere alle richieste della contemporaneità. A partire dal concept, definiamo quindi uno storytelling, tassello fondamentale in grado di orientare e direzionare l’intero percorso progettuale.

Questo si traduce, da una parte, in un linguaggio visivo, e dall’altra nell’allestimento, cercando di creare un racconto originale attraverso un tone of voice il più coerente ed efficace possibile rispetto al contesto e bilanciando gli aspetti estetici con quelli funzionali con l’adozione di materiali, forme, colori e arredi secondo le peculiarità di ogni progetto. Attraverso questa narrazione “aumentiamo” l’esperienza di fruizione degli spazi, esplicitando i contesti e ridefinendo gli ambienti in chiave contemporanea.

L’originalità è colonna portante della vostra cifra stilistica. Da cosa vi lasciate ispirare maggiormente?

Il desiderio di raccontare storie sempre nuove ci porta a progettare ambienti sempre diversi e unici, per incuriosire e sorprendere i visitatori. È il genius loci, inteso come l’anima del luogo, a ispirare principalmente i nostri progetti, più di qualunque cifra stilistica o autoriale. Ciascun progetto ci permette inoltre di sperimentare nuovi aspetti tecnici, formali e produttivi arrivando ogni volta ad un risultato inedito e sempre diverso.

In molti vostri progetti il nuovo si fonde armoniosamente con il preesistente, senza tradirne le origini. Rinnovare fa dunque rima con conservare?

Rinnovare e conservare sono parole che viaggiano allo stesso ritmo, senza contraddirsi. Le identità e le tradizioni si rinnovano e si modellano di pari passo con lo sviluppo di esigenze e modalità di fruizione contemporanee, e con l’adozione di soluzioni innovative e finiture d’avanguardia. Il nuovo non tradisce mai lo spirito del luogo ma al contrario lo stimola e lo tramanda nel presente.

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PEPE
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Il design può rappresentare un catalizzatore di evoluzione culturale? Prendiamo per esempio gli spazi dedicati alla collettività: in che modo pensate possa incidere il buon design sul percepito delle persone e sulla trasformazione degli schemi sociali?

Sicuramente il design può contribuire molto alla trasformazione delle relazioni sociali e all’innovazione culturale, soprattutto in quanto approccio narrativo che veicola dei contenuti attraverso una sintesi tra espressività e funzionalità.

Nel progetto che abbiamo realizzato per lo studentato Camplus Regio Parco, ad esempio, l’obiettivo principale era quello di sviluppare delle aree comuni flessibili che innescassero nuovi incontri, e che attivassero la condivisione e il confronto. Trattandosi di una residenza universitaria dove gli studenti cominciano il percorso verso il proprio futuro, lo storytelling aveva una certa importanza anche dal punto di vista dei contenuti di comunicazione, l’allestimento è stato quindi integrato con elementi testuali che esprimono la visione di un futuro possibile e concreto rispetto a tematiche di interesse comune per gli ospiti di Camplus: l’ambiente, l’economia, la formazione, i viaggi, e i sogni che fanno parte del percorso personale di ognuno.

Gli spazi stessi quindi si fanno catalizzatori di nuove dinamiche relazionali, portando allo stesso tempo dei contenuti che hanno a che fare con la cultura di un luogo, e delle persone che lo vivono. Uno dei compiti del design è appunto quello di intercettare e interpretare i costumi, le abitudini e le modalitàdi fruizione contemporanee, per facilitare e innescare queste trasformazioni.

Secondo la vostra esperienza di progettazione, come è cambiato il segmento Ho.Re.Ca. nel corso degli anni e quali tendenze pensate si stiano delineando per il prossimo futuro?

Da un punto di vista generale, con l’aumentare dell’interesse, anche mediatico, per questo settore si assiste a un progressivo incremento dell’offerta di ristorazione e ospitalità, con un

conseguente aumento della varietà. Da spazio di somministrazione e consumo, la sala di un ristorante è diventata prevalentemente un luogo di esperienza, e la cucina, da ambiente chiuso per la preparazione e la trasformazione, diventa ambiente performativo e di spettacolo. Anche in questo caso, il lavoro del progettista è quello di interpretare gli usi e i costumi di oggi, per tradurli in ambienti che valorizzino sia il servizio, sia la fruizione.

Cibo e design rappresentano senza dubbio due primati italiani e il vostro studio sembra metterli perfettamente in relazione attraverso progetti ben calibrati e customizzati nei minimi dettagli a seconda del contesto. Riscontrate differenze territoriali in termini di esigenze e richieste della committenza?

Più che di differenze territoriali possiamo parlare di differenze specifiche di contesto. Ogni progetto e ogni committenza si differenziano dalle altre per tante variabili: la storia del luogo o della committenza stessa, la tipologia di ambiente richiesto, la geografia e la cultura dell’a- rea di intervento. È proprio questa varietà che ci consente di sperimentare nuove soluzioni e raccontare storie sempre diverse con i progetti, valorizzandone l’autenticità e l’unicità. Per questo motivo la ricerca e lo studio del contesto rappresentano una fase assolutamente cruciale per la nostra progettazione, per individuare le peculiarità e le suggestioni specifiche da tradurre in ambiente.

Che ruolo acquisiscono i materiali negli ambienti che progettate, destinati in particolare alla ristorazione e all’ospitalità? Quali requisiti devono avere?

Anche per quanto riguarda la scelta dei materiali, tutto dipende dal contesto: dal concept progettuale e dallo storytelling da tradurre in spazio. Naturalmente gli ambienti destinati a ristorazione e ospitalità hanno una serie di esigenze funzionali di base, come ad esempio la durabilità e la lavabilità dei materiali. In generale ci piace comunque esplorare e sperimentare sia con le forme che con i materiali, sviluppan-

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do allo stesso tempo delle soluzioni accessibili, flessibili e soprattutto realizzabili.

Tra le vostre più recenti e interessanti realizzazioni si annovera il LAQUA Vineyard (nelle prossime pagine n.d.r.). Con quali presupposti è nato il progetto d’interni e quali sono le peculiarità del nuovo ambiente, anche sul fronte materico? Avete incontrato sfide tecniche particolari?

LAQUA Vineyard è un resort affacciato sulle vigne toscane, in un borgo che originaria-mente ospitava un teatro. Il teatro è così diventato fonte di ispirazione e concept per la progettazione del ristorante, con la rivisitazione di alcuni elementi tipici dell’ambiente teatrale, come palcoscenici, sipari e l’uso della luce, applicati a un contesto di alta ristorazione e hospitality. Anche in questo progetto abbiamo fatto dialogare elementi architettonici contemporanei con il carattere antico e tradizionale della struttura originale, permettendo ai visitatori di leggerne entrambi i caratteri. Un esempio di questo atteggiamento è dato dai soffitti, dove i rivestimenti ai solai, caratterizzati da forme morbide e fluide, intrattengono una delicata relazione di velamento/svelamento con la regolarità dei soffitti originali.

Per quanto riguarda l’aspetto materico, come detto, cerchiamo sempre di adottare soluzioni che raccontino il territorio e il contesto di riferimento del progetto. In questo caso i mattoni delle contropareti sono realizzati in cotto nero etrusco e in cotto rosa vellutato: un omaggio materico alla Toscana e alla sua ricca tradizione laterizia che riporta negli interni i colori di queste terre.

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03 LAQUA VINEYARD

Toscana

ph. Beppe Brancato

Dopo LAQUA Countryside a Ticciano e il restyling del Relais Villa Crespi sul Lago d’Orta, lo studio torinese lamatilde torna a collaborare con Cinzia e Antonino Cannavacciuolo, progettando il nuovo LAQUA Vineyard, quarto Resort della collezione LAQUA, situato nel piccolo borgo di Casanova, tra Pisa e Volterra.

Il progetto LAQUA Vineyard traduce la passione per l’ospitalità del Gruppo Cannavacciuolo in un accogliente e contemporaneo Resort nel cuore della Toscana, affacciato sul panorama dei vigneti locali, all’interno di un contesto territoriale che originariamente ospitava un teatro.

Proprio da questa precedente destinazione d’uso prende forma il concept elaborato dallo studio, culminato in un vero “palcoscenico” per l’arte culinaria, l’enologia, il design e la vocazione dei proprietari per l’ospitalità grazie ad un attento lavoro di ristrutturazione e di ricerca.

A connotare il Ristorante Cannavacciuolo Vineyard, recentemente premiato con 1 Stella Michelin, e i 6 appartamenti che – in linea con le altre location della collezione LAQUA – rievocano un concetto di ‘casa’ è dunque un dialogo armonioso tra antico e moderno, tra sofisticatezza e autenticità, ma anche uno storytelling che omaggia la sintonia senza tempo tra cucina e vino. L’identità visiva concepita dallo studio richiama infatti questo sodalizio e i protagonisti del luogo - il Rinoceronte della Cantina Vinicola La Spinetta, e la Luna, mutuata dai bottoni dorati del marchio Cannavacciuolo -.

IL RISTORANTE: INTERIOR E MATERIALI

L’approccio progettuale scelto da lamatilde per la realizzazione del Ristorante Cannavacciuolo Vineyard prevede un gioco continuo tra elementi attuali e della tradizione, che non viene nascosta o sovrastata ma messa in evidenza e valorizzata.

Le pareti, originariamente caratterizzate da un andamento irregolare, sono rese lineari con l’inserimento di arredi e contropareti, equilibrando così l’impatto visivo della scansione spaziale.

Le contropareti coprono in verticale solo una parte del muro, lasciando visibile la texture originale restaurata nella parte superiore. Il disegno delle superfici esplicita un approccio

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che mette in relazione un linguaggio espressivo contemporaneo con un carattere prettamente artigianale, in sintesi tra loro. I mattoni grezzi, realizzati in cotto nero etrusco e rosa vellutato, sono infatti disposti “a sorella” anziché sfalsati come vorrebbe la tradizione, enfatizzando così quella che comunemente verrebbe considerata a tutti gli effetti un’eterodossia progettuale.

Lo stesso approccio viene adottato nella progettazione dei soffitti, dove sia la regolarità degli archi sia la personalità classica e fortemente caratterizzante dei solai restaurati vengono armonizzate dall’inserimento di rivestimenti con

forme morbide e fluide, che intrattengono una delicata relazione di velamento/svelamento dei soffitti tradizionali, esaltandosi a vicenda nel contrasto.

Per i rivestimenti del soffitto lamatilde ha optato per sfumature dorate che hanno la funzione di riflettere e diffondere la luce esterna, dando all’atmosfera del Ristorante una connotazione più calda e scenografica. Per via della sua connotazione teatrale, l’edificio originale prevedeva ambientazioni molto buie, motivo per cui lo studio ha ideato alcuni elementi allestitivi che rendessero le sale più luminose. Ne sono

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un esempio i tendaggi a sipario, che permettono diverse soluzioni di partizione dello spazio e consentono ulteriori possibilità di regolazione della luminosità e della trasformazione dello scenario interno.

Inoltre, l’unica finestra preesistente che permette la vista sul panorama spettacolare delle vigne e delle campagne circostanti viene evidenziata dal corridoio caratterizzato da una prospettiva accelerata che amplifica la convergenza visiva verso l’esterno, conferendo maggiore profondità all’ambiente.

Tutti gli elementi allestitivi riprendono in modo riconoscibile l’ambiente teatrale. In particolare i due banconi, posti alle estremità opposte della sala principale, richiamano due palchi, uno dedicato all’arte culinaria e l’altro a quella del vino: due fuochi visivi che segnano le prime coordinate di spazio “scenico” per clienti e ospiti.

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ph. Philip Kottlorz
04 UMILTÀ 36 Roma
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Umiltà 36 Luxury Hotel, sorge a Roma nel centralissimo Rione Trevi in via dell’Umiltà, a due passi dalla famosa fontana monumentale e dal Quirinale.

La struttura si colloca all’interno di un palazzo storico che nell’ultimo ventennio ha ospitato uffici direzionali e che rivive oggi in veste di struttura ricettiva d’alta gamma per una clientela internazionale e cosmopolita grazie ad un importante intervento architettonico, ingegneristico e d’interior realizzato dallo Studio CaberlonCaroppi.

La maestosità dell’edificio si palesa sin dall’ingresso grazie alla presenza di un prestigioso portone ligneo che si apre in un alto androne con volta a botte. Il progetto del piano terra si è subito incentrato nel ripristinare la doppia altezza del piano che, negli anni, per via della

diversa destinazione d’uso, era stata ribassata in un piano ammezzato. Lo Studio ha privilegiato un ritorno al progetto originale dello stabile, che enfatizzava maggiormente le altezze regalando scorci scenografici decisamente più accattivanti.

Questo intervento ha dato grande risalto alla hall e restituito la sua importanza anche alla storica scala in marmo che introduce ai piani camera e agli appartamenti.

INTERIOR CONCEPT

Ispirazione principale del progetto d’interior è l’atmosfera dei salotti romani del centro: luoghi eleganti e senza tempo che fanno dell’accoglienza un valore assoluto, rivisto in una chiave contemporanea fatta di equilibrio tra decorazione e minimalismo con un voluto riferimen-

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to alla Dolce Vita della capitale. L’utilizzo di carte da parati scenografiche, la presenza della scala di marmo, la scelta di abbinare toni caldi e legno, sono tutti elementi che hanno contribuito a regalare la giusta allure, soprattutto dall’ingresso alla reception, fino allo sbarco ascensori, dove il cliente viene accolto da un ambiente raffinato.

Un intenso tono di blu, invece, tinge le pareti della chiostrina interna che anticipa l’ingresso ad uno scenografico chiostro esterno valorizzato da una copertura in vetro che permette di accedervi, a prescindere dal clima, per consumare la colazione.

“È soprattutto il mix di arredi custom, pezzi vintage degli anni ‘60/’70 oltre che di arredi, accessori, tessuti e luci dei migliori brand del design

– spiegano i progettisti - a dare una personalità inconfondibile all’interior di questo hotel. Niente è lasciato al caso e ogni scelta stilistica è pensata ad hoc proprio per dare un carattere di unicità al progetto.”

IL RISTORANTE

La posizione strategica dell’hotel, tra due arterie importantissime per la città, ha suggerito alla proprietà di ampliare l’offerta destinando parte del piano terra ad un ristorante gourmet blasonato di ispirazione argentina. La guida del ristorante è stata affidata, infatti, agli ideatori del El Porteño di Milano.

Il design concept - proprio come nella città meneghina - si rifà alle eleganti dimore argentine, ma è qui adattato alle geometrie del palazzo

e dello spazio in cui si colloca, caratterizzato da volumi ridotti e notevoli verticalità.

L’intervento, studiato nei minimi dettagli, riprende gli elementi chiave della tradizione argentina, in una commistione tra antico e moderno, dialogando in maniera armonica con il resto degli ambienti.

All’ultimo piano, peraltro, la terrazza panoramica con affaccio sul Vittoriano e sui tetti di Roma, è pensata per ospitare il ristorante all’aperto in versione lounge e cocktail bar, nella stagione primaverile ed estiva.

CAMERE E APPARTAMENTI

Le 29 camere dell’hotel sono distribuite ai piani nobili del palazzo, primo e secondo, dove le altezze dei soffitti sono state enfatizzate dall’u-

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tilizzo sapiente di boiserie in legno a tutt’altezza con le quali sono state realizzate le teste letto che strizzano l’occhio alle geometrie tipiche degli anni Cinquanta.

Per diversificare l’offerta, nei restanti due livelli sono stati realizzati 18 appartamenti composti da soggiorno con angolo cottura, servizi e camera da letto che mantengono lo stesso stile. All’interno degli spazi così composti si alternano materiali e tessuti dai tratti classici e moderni che creano eleganti suggestioni e armonie.

GLI INTERVENTI STRUTTURALI

Gli interventi sono stati progettati dallo Studio tenendo conto delle caratteristiche intrinseche dell’edificio, attraverso lungo processo di trasformazione che ha seguito lo sviluppo storico della zona, con aggregazioni, superfetazioni, stratificazioni susseguitesi in più di duemila

anni.

Le opere strutturali sono state realizzate in pieno accordo con le esigenze architettoniche e con l’obiettivo di rendere l’immobile idoneo alla nuova destinazione d’uso, trasformando quindi in “albergo” un edificio precedentemente ad uso commerciale.

Gli spazi sui quali il team è intervenuto seguivano uno schema caratterizzato da ambienti tra loro molto articolati e caratterizzati da superfici poco estese e molto irregolari. Questo aspetto era particolarmente evidente al piano terra, dove gli ambienti erano delimitati oltre che dalle pareti portanti del fabbricato, anche da un solaio di interpiano creando una forte limitazione estetica e funzionale. Con la demolizione di estesi campi di solaio e la realizzazione di ampi varchi nelle murature portanti, si è riusciti a dare un valore aggiunto

al fabbricato, che è stato così trasformato e reso idoneo ad accogliere i nuovi ambienti.

Le demolizioni sono state accompagnate da interventi di rinforzo strutturale delle pareti portanti e da irrigidimenti di tutti i campi di solaio, che hanno consentito di ottenere il “miglioramento sismico” dell’intero edificio, come richiesto al par. 8.4.2 delle NTC 2018 (Norme Tecniche Costruzioni, DM 17 gennaio 2018). I lavori hanno così consentito di raggiungere un nuovo equilibrio basato sulla creazione di nuovi spazi e volumi nel rispetto della storia dell’edificio e della sua nuova funzione di accoglienza.

Materiali utilizzati

Marmi: Baroni Marmi

Parquet: Tecnowood

Carte da parati: Inkiostro Bianco | Dedar

Effeitalia – Artè

Tendaggi: Liuni | Rubelli

Bagni: Gessi

Sanitari: Alice Ceramica | Ceramica Flaminia

Vetro doccia: Vismaravetro

Piatti doccia: Kaldewei Italia

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ph. Simone Bossi
05 PAN Milano

Pan non è soltanto una bakery, bensì anche un wine bar e un luogo conviviale dedicato alla ristorazione. Un locale “di quartiere” nato dalla collaborazione tra lo chef giapponese Yoji Tokuyoshi e Alice Yamada, con l’obiettivo di democratizzare la cultura nipponica.

Il progetto architettonico porta la firma di studio wok ed è nato dalla volontà di creare una trasposizione fisica e materica dell’innovativo format del locale, ma anche di marcare il rapporto con il contesto urbano circostante.

Grandi vetrine in legno di castagno con imbotti esterne in lamiera zincata restituiscono alla città, e in particolare alla zona, un nuovo fronte, rigoroso e prezioso. Le ampie vetrate proiettano gli ambienti interni verso l’esterno, dando vita ad uno “spazio soglia” ibrido tra il domestico e il cittadino.

All’interno l’involucro è neutro e accogliente, un contenitore nel quale diventano protagonisti pochi elementi dal forte carattere come i due banconi che identificano le funzioni principali, panetteria e bar. Queste due anime sono ben definite ma al tempo stesso convivono in maniera fluida e naturale nello spazio: una lunga panca in legno corre internamente lungo la parete verso strada, quasi a collegare i due ambienti del locale.

Varcando la soglia d’ingresso è il bancone del pane a emergere come elemento cardine, ripreso tra l’altro dalla panca esterna che ne anticipa l’estetica materica. Realizzato in pannelli di grigliato di vetroresina di colore verde si presenta infatti come una piccola architettura che abita lo spazio e reagisce con la luce naturale. Il suo colore dialoga con la tinta sfumata dei noren, i teli a soffitto che strizzano l’occhio alla tradizione

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giapponese modellando un mondo tridimensionale sospeso, al tempo stesso attuale ed effimero.

A far da fondale alla sala è la parete che porta all’antibagno, realizzata con un telaio in legno sul quale sono fissati pannelli traslucidi in cellulosa pressata che anticipa una scatola monometrica verde dalla quale si staglia l’elemento monolitico del lavabo, in pietra di Moltrasio.

La zona dedicata al bar vira invece su nuance più sobrie come il legno di castagno tinto di nero del bancone e gli inserti in acciaio inox. Un masso a spacco in pietra naturale riporta poi l’equilibrio della palette materiali verso un’atmosfera quasi spirituale, celebrando la bellezza imperfetta e aggiungendo enfasi al rituale del riempimento dell’acqua.

Come nella cucina proposta dallo chef, anche nel progetto architettonico vi sono rimandi alla cultura nipponica, ma lontani dagli stereotipi e mai letterali. L’intento di studio wok è stato quello di aggiungere un layer per una chiave di lettura più profonda, lavorando sul concetto della qualità, sia nei materiali, sia nei dettagli.

Materiali utilizzati

Pavimenti e rivestimenti in resina: Resinarc

Intonachino di rivestimento: La Calce del Brenta

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MAG | BOOK | 2-2023

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