2019
POPOLI DELLA BIBBIA/2 SUMERI ASSIRI BABILONESI
ANNIBALE
EXEKIAS
SPECIALE LA DINASTIA DEI SEVERI
Mens. Anno XXXIV n. 408 febbraio 2019 € 5,90 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.
MESOPOTAMIA
SULLE TRACCE DI ABRAMO
PIACENZA
ANNIBALE NEMICO PUBBLICO
ZURIGO
EXEKIAS MAESTRO DI SENTIMENTI
SPECIALE
UNA DINASTIA VENUTA DALL’AFRICA
I SEVERI www.archeo.it
IN EDICOLA L’ 8 FEBBRAIO 2019
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ARCHEO 408 FEBBRAIO
POPOLI DELLA BIBBIA
€ 5,90
UN DONO DIVINO È difficile negare che una certa communis opinio circa la dinastia dei Severi sia stata fortemente condizionata dalle meravigliosamente suggestive pitture di un maestro fin de siècle quale fu Lawrence Alma-Tadema. Riscoperto come tale solo nella seconda metà del Novecento, i suoi «fermo immagine» su scene di vita imperiale – in cui possiamo scorgere un ebbro Elagabalo incorniciato da un turbinio di petali di rose, o un Caracalla dall’aria soave e annoiata, mentre assiste ai ludi gladiatori – sono stati riconosciuti come lo specchio colorato
di un’epoca di decadenza assai piú recente, quella di un Occidente pronto a varcare la soglia del Secolo breve. L’età dei Severi fu, sicuramente, tutt’altro, come ci rivelano gli autori del nostro Speciale, ispirato a un’importante mostra in corso a Roma (è doveroso, qui, prevenire le proteste di quei lettori che a questo numero potrebbero imputare un indebito romanocentrismo: non è cosí, come vedrete…). Il quasi quarantennale regno che vide protagonisti gli imperatori Settimio Severo, Caracalla, Elagabalo e Alessandro Severo fu caratterizzato da guerre e violenze interne inaudite, tra cui il fratricidio commesso da Caracalla ai danni del secondogenito di Settimio Severo, Geta. Ma fu anche un’epoca di grandi riforme, soprattutto sul piano finanziario e annonario, sollecitate anche dall’epidemia di
In alto: la Constitutio Antoniniana nel Papiro di Giessen. 215 d.C. Giessen, Justus-Liebig-Universität. A sinistra: Le rose di Eliogabalo, olio su tela di Lawrence Alma-Tadema. 1888. Collezione privata.
vaiolo che, nei decenni precedenti, aveva decimato la popolazione dell’impero, mettendone a rischio la stabilità economica. Sotto Settimio Severo, inoltre, furono avviati grandiosi progetti edilizi, a Roma stessa come nelle altre città dell’impero. Fu Caracalla, però, a ideare e promulgare un editto rivoluzionario che, nei millenni, rappresenterà il suo vero, seppur immateriale, «monumento»: è la Constitutio Antoniniana (il nome fa riferimento alla dinastia degli Antonini, da cui i Severi pretendevano di discendere) con la quale, nel 212 d.C., l’imperatore donò la cittadinanza romana a tutti i soggetti dell’impero. Un «dono divino all’ecumene romana», come recita la scritta su un frammento di papiro che ne riporta il testo, il cosiddetto Papiro di Giessen (dalla cittadina tedesca dove è oggi conservato). L’editto di Caracalla fu solo un espediente propagandistico, finalizzato ad assicurarsi un seguito maggiore tra la popolazione dell’impero e accrescere, cosí, il proprio prestigio nonché le casse dello Stato, grazie alla creazione di nuovi «contribuenti»? Sull’argomento, e sugli esiti di quella riforma nella «lunga durata», le opinioni degli storici, antichi e moderni, si dividono. Rimane, tuttavia, il fatto che, come ricorda Marco Maiuro (vedi alle pp. 86-87) la Constitutio «portò a piena realizzazione le premesse ideali di universalismo e cosmopolitismo (…) parzialmente realizzate da Augusto piú di due secoli prima». Nell’ottobre del 2017, il Papiro di Giessen è stato inserito dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio Mondiale. Andreas M. Steiner
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SOMMARIO EDITORIALE
Un dono divino
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valorizzazione dei musei e dei siti archeologici minori 20
di Andreas M. Steiner
Attualità NOTIZIARIO
SCAVI Piú che promettenti i risultati delle prime indagini condotte nel Kurdistan iraniano da una missione archeologica congiunta italo-iraniana
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PASSEGGIATE NEL PArCo Alla scoperta dei tesori del Parco archeologico del Colosseo con «gli occhi» dei viaggiatori che si dedicarono al Grand Tour 10
MOSTRE Cortona rende omaggio a Marcello Venuti, figura di spicco dell’Accademia Etrusca 24
POPOLI DELLA BIBBIA/2
INCONTRI Prende il via a Monteriggioni «Libri per volare. Festival del libro per ragazze e ragazzi» 25
Sumeri, Assiri, Babilonesi
L’INTERVISTA
MOSTRE
La carica dei 7 milioni
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La mitica «terra delle origini»?
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di Marta Rivaroli
Annibale
Nemico pubblico
incontro con Alfonsina Russo, a cura di Mimmo Frassineti
testi di Giovanni Brizzi, Filli Rossi e Marco Podini
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€ 5,90
www.archeo.it
IN EDICOLA L’ 8 FEBBRAIO 2019
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ARCHEO 408 FEBBRAIO
ww
A TUTTO CAMPO L’importanza del volontariato nei progetti finalizzati alla tutela e alla
DIN N RO IV AST E MA IA RSA DEI L SE IS VER he I o. it
ALL’OMBRA DEL VULCANO Pompei racconta la sua fase etrusca con una mostra in cui sono riunite tutte le piú recenti novità emerse dagli scavi 16
2019
Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it Impaginazione Davide Tesei Amministrazione Roberto Sperti amministrazione@timelinepublishing.it
Comitato Scientifico Internazionale
POPOLI DELLA BIBBIA
MESOPOTAMIA
Richard E. Adams, Maxwell L. Anderson, Bernard Andreae, John Boardman, Larissa Bonfante, Mounir Bouchenaki, Yves Coppens, Wim van Es, M’Hamed Fantar, Otto H. Frey, Louis Godart, Friedrich W. von Hase, Thomas R. Hester, Donald C. Johanson, Vassos Karageorghis, Venceslas Kruta, Richard E. Leakey, Henry de Lumley, Javier Nieto, Patrice Pomey, Paul J. Riis, Conrad M. Stibbe
SULLE TRACCE DI ABRAMO PIACENZA
ANNIBALE NEMICO PUBBLICO Mens. Anno XXXIV n. 408 febbraio 2019 € 5,90 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.
SPECIALE LA DINASTIA DEI SEVERI
Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it
EXEKIAS
Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it
ANNIBALE
Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Calabria, 32 – 00187 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it
Presidente
Federico Curti
POPOLI DELLA BIBBIA/2 SUMERI ASSIRI BABILONESI
Anno XXXV, n. 408 - febbraio 2019 Registrazione al tribunale di Milano n. 255 del 07.04.1990
In copertina ritratto dell’imperatore Caracalla, da Roma, Terme di Caracalla (dalla proprietà di Mario Macaroni). 212-217 d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
ZURIGO
EXEKIAS MAESTRO DI SENTIMENTI
SPECIALE
I SEVERI
UNA DINASTIA VENUTA DALL’AFRICA
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25/01/19 16:05
Comitato Scientifico Italiano
Enrico Acquaro, Ermanno A. Arslan, Andrea Augenti, Sandro F. Bondí, Francesco Buranelli, Carlo Casi, Francesca Ceci, Francesco D’Andria, Giuseppe M. Della Fina, Paolo Delogu, Francesca Ghedini, Piero Alfredo Gianfrotta, Pier Giovanni Guzzo, Eugenio La Rocca, Daniele Manacorda, Danilo Mazzoleni, Cristiana Morigi Govi, Lorenzo Nigro, Sergio Pernigotti, Marcello Piperno, Sergio Ribichini, Claudio Saporetti, Giovanni Scichilone, Paolo Sommella, Romolo A. Staccioli, Giovanni Verardi, Massimo Vidale, Andrea Zifferero Hanno collaborato a questo numero: Roberta Alteri è funzionario archeologo presso il Parco archeologico del Colosseo. Giacomo Baldini è curatore scientifico del Museo Archeologico «Ranuccio Bianchi Bandinelli» e del Parco Archeologico di Dometaia di Colle di Val d’Elsa (Siena). Ali Binandeh è professore dell’Università Bu-Ali Sina di Hamadan (Iran). Giovanni Brizzi è stato professore ordinario di Storia romana all’Università di Bologna. Luciano Calenda è consigliere del CIFT, Centro Italiano Filatelia Tematica. Paolo Castellani è funzionaro e storico dell’arte presso il Parco archeologico del Colosseo. Francesca Ceci è archeologa presso la Direzione dei Musei Capitolini di Roma. Fulvio Coletti è archeologo presso il Parco archeologico del Colosseo. Francesco Colotta è giornalista. Alessandro D’Alessio è funzionario archeologo presso il Parco archeologico del Colosseo. Valerj Del Segato è archeologa. Giuseppe M. Della Fina è direttore scientifico della Fondazione «Claudio Faina» di Orvieto. Silvana Di Paolo è ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Valter Fattorini è esperto di didattica museale. Maria Grazia Filetici è funzionario architetto presso il Parco archeologico del Colosseo. Mimmo Frassineti
72 MOSTRE
Un maestro di forme e sentimenti
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di Giuseppe M. Della Fina
Rubriche QUANDO L’ANTICA ROMA... ...inventò la Padania
104
di Romolo A. Staccioli
SCAVARE IL MEDIOEVO Toccare con mano la paura
108
di Romolo A. Staccioli
SPECIALE
L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Modelli senza tempo
Roma universalis
110
di Francesca Ceci
LIBRI
80
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Africa caput mundi 80 testi di Roberta Alteri, Fulvio Coletti, Alessandro D’Alessio, Maria Grazia Filetici, Marco Maiuro, Alessandro Mortera, Clementina Panella, Massimiliano Papini, Rossella Rea, Federica Rinaldi e Alfonsina Russo
è scrittore e fotografo. Aart Heering è giornalista. Maria Katsinopoulou è archeologa. Paolo Leonini è giornalista e storico dell’arte. Marco Maiuro è ricercatore in storia romana presso «Sapienza» Università di Roma. Daniele Manacorda è docente ordinario di metodologie della ricerca archeologica all’Università di Roma Tre. Alessandro Mandolesi si occupa di comunicazione archeologica per conto del Parco archeologico di Pompei. Matteo Marsan è coordinatore del festival del libro per ragazzi «Libri per volare». Alessandro Mortera è specializzando in archeologia presso «Sapienza» Università di Roma. Clementina Panella è stata professore ordinario di metodologie della ricerca archeologica presso «Sapienza» Università di Roma. Massimiliano Papini è professore associato di archeologia classica presso «Sapienza» Università di Roma. Marco Podini è funzionario archeologo presso SABAP per le province di Parma e Piacenza. Rossella Rea è funzionario archeologo presso il Parco archeologico del Colosseo. Federica Rinaldi è funzionario archeologo presso il Parco archeologico del Colosseo. Marta Rivaroli è dottore di ricerca in storia delle religioni. Filli Rossi è archeologa. Alfonsina Russo è direttore del Parco archeologico del Colosseo. Andrea Schiappelli è funzionario archeologo presso il Parco archeologico del Colosseo. Romolo A. Staccioli è stato professore di etruscologia e antichità italiche presso «Sapienza» Università di Roma. Andrea Zifferero è professore associato di etruscologia e antichità italiche e di musealizzazione e gestione del patrimonio archeologico all’Università di Siena.
Illustrazioni e immagini: Cortesia Ufficio stampa: pp. 18, 24, 62-63, 64 (alto), 66 (alto), 67, 68, 70-71, 75, 76-79, 96, 103; Luigi Spina: copertina (e p. 87) e pp. 90, 98 (alto), 99; Justus-LiebigUniversität, Gießen: p. 3 (alto e pp. 86/87); C. Pescatori: pp. 80/81 (basso), 84 (sfondo), 85 (alto), 97 (alto); © Museo Nazionale Romano: pp. 84 (primo piano), 102; © Archivio Fotografico Parco Archeologico di Ostia Antica: p. 85 (basso); Zeno Colantoni: p. 86; Luciano Mandato: p. 97 (basso) – Mondadori Portfolio: AKG Images: pp. 3 (basso), 48 (basso), 48/49, 51, 54/55 (basso), 56 (alto), 72, 80/81 (alto), 83, 89; Album: pp. 42/43; Erich Lessing/Album: pp. 44 (alto), 66 (basso), 74; Leemage: pp. 44 (basso), 50, 73, 88/89; Album/National Gallery of Art, Washington DC: p. 110 – Cortesia degli autori: pp. 6-9, 20-21, 111 (alto, a sinistra) – Doc. red.: pp. 10, 14 (basso), 15, 48 (alto), 52-53, 54, 54/55 (alto), 55, 56 (basso), 57, 58, 59, 60, 65, 101 (alto, Studio Inklink, Firenze), 101 (basso), 104, 105 (basso), 106 (basso), 107, 108-109, 111 (basso) – Cortesia Archivio fotografico Parco archeologico del Colosseo: p. 11; © Eugenio Monti e Roberto Galasso: pp. 36-37 – Cortesia Parco archeologico di Pompei: pp. 16-17 – Cortesia Archeotipo srl-Servizi per i Beni Culturali: p. 25 (alto, a sinistra e a destra) – Luca Betti: p. 25
(basso) – Cortesia Fondazione Ranieri di Sorbello: p. 27 – Shutterstock: pp. 34/35, 38-39, 74/75, 82, 90/91, 94/95, 98 (basso), 100 – DeA Picture Library: G. Dagli Orti: p. 111 (alto, a destra) – Cippigraphix: cartine alle pp. 14, 45, 58, 59, 64, 68/69, 105, 106. Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.
Pubblicità e marketing Rita Cusani e-mail: cusanimedia@gmail.com – tel. 335 8437534 Distribuzione in Italia Press-di - Distribuzione, Stampa e Multimedia Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Stampa Arti Grafiche Boccia Spa - via Tiberio Claudio Felice, 7 - 84100 Salerno Servizio Abbonamenti È possibile richiedere informazioni e sottoscrivere un abbonamento tramite sito web: www.abbonamenti.it/archeo; e-mail: abbonamenti@directchannel.it; tel. 02 211 195 91 [lun-ven, 9-18; costo della chiamata in base al proprio piano tariffario]; oppure tramite posta scrivendo a: Press-Di Abbonamenti SPA c/o CMP BRESCIA Via Dalmazia, 13 – 25126 Brescia BS L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno. Arretrati Per richiedere i numeri arretrati: Telefono: 045 8884400 – E-mail: collez@mondadori.it – Fax: 045 8884378 Posta: Press-di Servizio Collezionisti – casella postale 1879, 20101 Milano
n otiz iari o SCAVI Iran
STORIE DI FRONTIERA
I
l Vicino Oriente antico – che si estende dal Mediterraneo all’Iran occidentale e dall’Anatolia alla penisola arabica – è una vasta zona con caratteri fisici assai diversi: le imponenti catene montuose del Tauro e degli Zagros, per esempio, separano i territori in gran parte pianeggianti, a tratti desertici, della Siria e della Mesopotamia dalle alte terre anatoliche e iraniche, a loro volta divise dalla steppa euroasiatica tramite le catene del Piccolo e Grande Caucaso. L’orografia influisce sul regime pluviometrico, concorrendo a creare differenze significative sul tipo e sulla distribuzione delle risorse naturali, tra cui l’andamento dei corsi d’acqua che hanno origine sui rilievi. Tali caratteristiche determinano le pre-condizioni per lo stanziamento delle comunità umane e le dinamiche naturali e antropiche che concorrono alla costruzione del paesaggio. In questo quadro assumono un ruolo significativo i territori di confine (intesi in senso geografico e simbolico). A lungo trascurati e spesso considerati non-luoghi, spazi vuoti e impermeabili, interposti fra due o piú culture o frontiere che contrappongono la civiltà all’assenza di civiltà, essi vengono considerati
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Teheran Kurdistan IRAN
sostanzialmente un limite, pneumatico, tra due o piú realtà materiali oppure tra una realtà materiale e una mitica o simbolica. L’imponente dorsale degli Zagros che attualmente segna il confine tra l’Iraq e l’Iran è stata nell’antichità ed è tuttora una barriera naturale tra le basse terre mesopotamiche e gli altopiani iranici. Estesa da nord-ovest a sudest tra l’Azerbaigian (a nord-ovest) e il Fars con una serie di crinali paralleli disposti e separati da strette e allungate valli intermontane, essa raggiunge un’ampiezza ovest-est di 300 km, inglobando perciò diversi ecosistemi e modi di vita. Da nord a sud questa frontiera ha assunto nel tempo l’immagine di un territorio di difficile insediamento, una terra di nessuno
separata e delimitata da entità cittadine o statali. I due versanti (quello orientale e quello mesopotamico) sono stati studiati partendo da prospettive completamente diverse. La ricerca archeologica nella regione degli Zagros ha una lunga storia. In particolare, qui si è cercato di ricostruire il fenomeno della neolitizzazione, iniziato nel 10 000 a.C.: la combinazione di agricoltura (grano, orzo, lenticchie) e allevamento del bestiame (capre, pecore, bovini), favorita dalle condizioni ecologiche, costituisce la base dell’economia dei primi villaggi, dove si incrementano anche l’artigianato e i commerci locali in concomitanza con lo sviluppo della divisione del lavoro, della specializzazione e delle prime forme di stratificazione sociale. Jarmo, nel Kurdistan iracheno, è stato tra i primi siti della regione esplorati allo scopo di comprendere i primi processi di domesticazione; allo stesso modo, Zawi Chemi Shanidar, un campo stagionale sempre sul versante iracheno, sembra aver sperimentato le prime attività di produzione e di trasformazione del cibo. Sul fianco orientale (iraniano), da nord a sud un gruppo di villaggi da Hajji Firuz nella piana
di Solduz, Tepe Sarab nell’area di Kermanshah, Tepe Abdul Hosein e Ganj Dareh sui rilievi del Luristan, e Chogha Bonut in Khuzistan si sono sviluppati in seguito a mutate condizioni ecologiche e conseguente incremento demografico: regionalismi e reti di scambio ne hanno contrassegnato l’evoluzione e l’espansione. La stagione delle prime esplorazioni a carattere scientifico degli anni Sessanta e Settanta del Novecento ha permesso di formulare le prime ipotesi sulle dinamiche insediative nella lunga fase di transizione verso un’economia stanziale. Piú di
recente, progetti come quello promosso dall’Università di Reading in Gran Bretagna e diretto da Roger Matthews hanno intrapreso, negli Zagros centrali, indagini archeologiche sia sul versante iraniano che su quello iracheno: gli scavi a Jani e a Sheikh-e Abad in territorio iraniano, e a Bestansur e Shimshara in area irachena, mirano a chiarire la natura della cultura materiale e la sua interrelazione con l’ambiente. Ma molto lavoro c’è ancora da fare. Si tratta di individuare specifici strumenti di azione e favorire l’interazione tra discipline e aree A sinistra: lo scavo a Qaleh Naneh, sito del Kurdistan iraniano indagato da una missione archeologica congiunta italo-iraniana. Sulle due pagine: il lago Zeribor e, sullo sfondo, i rilievi dei monti Zagros lungo il confine occidentale con l’Iraq.
Errata corrige con riferimento alla Monografia di «Archeo» n. 28, Nel mondo dei primi cristiani, desideriamo precisare che l’insieme dei testi del capitolo La grande metamorfosi (pp. 112-129) è a firma congiunta di Sible de Blaauw, Lucrezia Spera, Umberto Utro e Alessandro Vella, diversamente da quanto ivi riportato. Con riferimento, invece, all’articolo Quando l’antica Roma... fu violata dai Goti di Alarico (vedi «Archeo» n. 407, gennaio 2018), desideriamo precisare che, a p. 108, in luogo di Teodorico deve leggersi, in entrambe le citazioni, Teodosio. Del tutto ci scusiamo con gli autori interessati e con i lettori.
disciplinari. In questo quadro è nata una collaborazione tra l’Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico del CNR e l’Università Bu-Ali Sina di Hamadan (Iran) in cooperazione con l’Iranian Centre for Archaeological Research, l’Università di Teheran e il supporto del Ministero degli Affari Esteri italiano. Il progetto, finanziato dal
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n otiz iario
CNR e dal MAECI, coinvolge studiosi di discipline e campi diversi (IGAG e ITABC del CNR) anche per offrire opportunità formative a studenti iraniani con vari gradi di istruzione (laureandi, dottorandi) e creare importanti sinergie per il coinvolgimento degli enti e comunità curdi locali. Il progetto di ricerca congiunto, infatti, si svolge in Kurdistan, una delle 31 province amministrative del territorio iraniano. Pur avendo un grande potenziale archeologico, quest’area è stata trascurata dalle prime ricognizioni dell’Iran occidentale tra il 1930-1940, volte a identificare e registrare i siti archeologici situati lungo le principali vie di comunicazione (strade, fiumi, passi montani). Il programma QaNaTES, un acronimo che sta per Qaleh Naneh: Text Excavations and Survey in the Marivan Valley, si propone di condurre indagini archeologiche nella piana di Marivan, situata nell’area degli Zagros del Kurdistan iraniano centro-settentrionale, a pochi chilometri dal confine con l’Iraq. L’area è stata interessata nei decenni scorsi da indagini condotte dagli archeologi iraniani anche
nella stessa città di Marivan con lo scavo di un cimitero di epoca tarda e un sito di età islamica. Questo programma scientifico si propone di utilizzare moderne prospettive di ricerca e un approccio multidisciplinare per comprendere la complessità delle culture sviluppatesi nella regione del Lago Zeribor e il loro ruolo nelle dinamiche delle relazioni tra i bassopiani mesopotamici e gli altopiani iranici. Già nel 1967 un team di studiosi guidato da Willem van Zeist aveva avviato una ricerca sull’evoluzione paleoclimatica e paleoambientale proponendo un ritardo nell’espansione delle foreste durante gli ultimi 40 000 anni, a causa di un clima arido e sviluppando una sequenza che è rimasta il principale punto di riferimento per la paleo-climatologia della regione. Circa 20 km a sud-est di Marivan, a pochi chilometri al confine tra Iran e Iraq e a un’altitudine di 1400 m circa e nel punto di massima ampiezza di una piana irregolare, circondato da rilievi, è situato Qaleh Naneh. Il passo di Bashmaq a ovest di Marvin collega probabilmente quest’area con la Mesopotamia A sinistra: il versante iraniano dei monti Zagros. Nella pagina accanto: il teppeh (collinetta artificiale formata dall’accumulo dei livelli di occupazione) di Qaleh Naneh visto da nord-ovest.
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centrale. Si tratta del piú grande insediamento della regione, esteso per circa 20 ettari e alto 30 m sul piano di campagna. In tempi assai recenti, il sito, trovandosi in una zona di confine, è stato coinvolto in operazioni militari durante la guerra Iran-Iraq, mentre oggi è parzialmente occupato nel suo versante orientale dall’omonimo villaggio moderno, che ha intaccato i depositi antichi e ricavato piccole strade sterrate per il transito di persone e veicoli. Questo rende piuttosto ardua la ricostruzione dell’originale conformazione e della reale estensione del sito. Fra l’agosto e il settembre del 2018 si è svolta la prima campagna di scavo, finalizzata allo studio della topografia del teppeh (collinetta artificiale formata dall’accumulo dei livelli di occupazione, n.d.r.), grazie alla rielaborazione su piattaforma GIS dei dati raccolti (dalle mappe catastali alle carte satellitari) e alla creazione del modello digitale del sito; ma anche all’analisi geomorfologica e geolitologica dei terreni, in un’area particolarmente soggetta a deformazioni tettoniche dei complessi rocciosi (per via delle attività sismiche) oltre allo studio delle variazioni climatiche locali e regionali che hanno determinato la genesi dei paleosuoli archeologici che rappresentano importanti documenti paleoclimatici e paleoambientali. Sul fronte strettamente archeologico, oltre alla ricognizione, sul sito sono stati aperti tre sondaggi (A-C) in punti diversi lungo i declivi del teppeh (est, nord, nord-ovest) allo scopo di definire le sequenze stratigrafiche e dunque la cronologia dei depositi archeologici: la prima trincea estovest (A) di 2 m sul versante orientale e piú elevata del sito; la seconda (B) che ha esposto i livelli
lungo l’intero pendio sul lato settentrionale; il terzo a ovest (C) che ha messo in luce strutture murarie lungo il perimetro del sito. Queste prime indagini rivelano una lunga fase di occupazione che copre i periodi partico, le età del Ferro e del Bronzo, il Calcolitico e forse il Neolitico (ma sulla presenza di materiali pertinenti a questa fase sono necessari ulteriori ricerche). La fase di occupazione piú lunga riguarda il tardo Ubaid e la fase finale del Calcolitico (V-IV millennio a.C.). I materiali presentano affinità con l’orizzonte dell’Ubaid settentrionale: la ceramica dipinta è prodotta manualmente ed è caratterizzata da un vasto repertorio geometrico e da una varietà di forme, tra cui le tipiche coppe curvilinee. Per quanto riguarda invece la fase piú recente, è da segnalare la presenza nelle Trincee A e B delle cosiddette bevelled rim bowls, «scodelle a bordo tagliato di sbieco», perlopiú prodotte a mano a Qaleh Naneh e a lungo interpretate come recipienti per le razioni alimentari nell’ambito di
una produzione standardizzata di massa, associata ai processi di urbanizzazione e di formazione delle prime organizzazioni di tipo statale sviluppatesi nella Mesopotamia meridionale. Tuttavia, negli ultimi anni, l’idea di un sistema di controllo centralizzato ha subito una profonda revisione: in particolare, in Iran la distribuzione di questi recipienti in una vasta area apre nuove prospettive di ricerca riguardo alla loro funzione e significato, soprattutto se si tratta di ceramica prodotta localmente e non esportata dalla Mesopotamia meridionale. A completamento di questo quadro, acquista una particolare importanza la scoperta di lame di ossidiana negli strati piú antichi dei sondaggi A e B: l’ossidiana, un vetro naturale di origine vulcanica, era molto ricercata nell’antichità e ha animato un vasto commercio nel Vicino Oriente già in età preistorica. Future analisi sui reperti permetteranno di comprenderne la provenienza: dall’Anatolia centrale,
sede ben nota di giacimenti di ossidiana poi distribuita in molte aree del Vicino Oriente, o dall’Iran nord-orientale (Azerbaigian), come sembrano proporre ricerche recenti sulla base dei ritrovamenti nella regione iraniana. Dalle risposte a tale quesito dipenderà anche una conoscenza piú puntuale dell’estensione delle rotte commerciali in Iran occidentale. Le future ricerche a Qaleh Naneh potranno fornire nuovi dati per studiare le interrelazioni con la Mesopotamia e il ruolo delle culture locali nell’evoluzione dei sistemi insediamentali, il controllo del territorio, lo sviluppo della complessità sociale. Per maggiori informazioni: http:// qanates.isma.cnr.it/; e-mail: qanatesproject@gmail.com Un particolare pensiero e ringraziamento va agli abitanti del villaggio di Qaleh Naneh che hanno incoraggiato, sostenuto e condiviso il lavoro della missione archeologica congiunta italo-iraniana. Ali Binandeh, Silvana Di Paolo
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PASSEGGIATE NEL PArCo a cura di Federica Rinaldi e Alessandro D’Alessio
VEDUTE DEL GRAND TOUR UN NUOVO PERCORSO DI VISITA, ARTICOLATO IN SEDICI TAPPE E ACCOMPAGNATO DA UNA GUIDA, SI SNODA FRA I TESORI COMPRESI NEL PARCO ARCHEOLOGICO DEL COLOSSEO RICALCANDO LE ORME DEI VIAGGIATORI, CELEBRI E NON, GIUNTI A ROMA FRA CINQUE E OTTOCENTO
«N
on è possibile, io credo, trovare vista uguale a questa»: cosí il poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe volle serbare memoria, nel suo diario, della sua prima ascesa al colle Palatino, «verso sera» il 10 novembre 1786, e della contemplazione delle «mura in rovina del palazzo dei Cesari» e della valle del Foro Romano. L’ideazione del percorso «Colosseo, Foro Romano, Palatino: le vedute del GrandTour», con la guida tascabile annessa, è nata proprio dal desiderio di dare la possibilità al visitatore di oggi di ammirare i luoghi del Parco archeologico del Colosseo con gli occhi dei «turisti» del passato. Selezionate in modo da offrire la maggior varietà possibile nell’ambito del vasto repertorio artistico diffuso in diverse sedi museali, le opere permetteranno cosí il confronto tra lo scenario attuale e il quadro che appariva agli artisti in viaggio per l’Italia tra la fine del Cinquecento e tutto l’Ottocento. Sedici i punti di interesse, corrispondenti ad altrettante vedute artistiche e facilmente individuabili, grazie all’installazione di pannelli dedicati e alla carta di distribuzione disponibile sulla guida. Nella stessa, un breve commento, supportato
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In alto: Colosseo, olio su tela di Ippolito Caffi. 1857. Roma, Museo di Roma, Palazzo Braschi. Nella pagina accanto: Veduta di Campo Vaccino verso il Campidoglio,
olio su tela di un seguace di Giovanni Paolo Pannini. Seconda metà del XVIII sec. Roma, Complesso di Santa Maria Nova, sede degli Uffici del Parco archeologico del Colosseo.
dalle riproduzioni delle opere, accompagna il visitatore nell’apprezzamento dei principali elementi di interesse: presenza/ assenza di monumenti e architetture, espedienti grafici e stilistici adottati caso per caso dagli artisti, curiosità nascoste nei quadri. L’«età dell’oro» della produzione artistica legata alla pratica del Grand Tour è certamente l’ultimo trentennio del Settecento, periodo di pace in tutta Europa, che
contribuí fortemente alla circolazione dei viaggiatori che intendevano recarsi in particolare nelle capitali culturali italiane (Roma, Venezia, Firenze, Napoli) per sviluppare e completare il proprio percorso formativo sociale e culturale. D’altra parte, lo sviluppo di un nuovo approccio alla raffigurazione delle antichità, basato su criteri di massima oggettività e precisione archeologica e topografica – al
fine di offrire un’immagine il piú fedele possibile sia al viaggiatore che allo studioso dell’antico – si può far risalire fino alla seconda metà del Cinquecento. La selezione delle opere presentate nel percorso si spinge comunque fino alla seconda metà dell’Ottocento per testimoniare i nuovi flussi di viaggiatori dediti al Grand Tour anche nel XIX secolo inoltrato, provenienti in particolare dagli Stati Uniti. Nella guida al percorso, il Colosseo, l’Arco di Tito, la valle del Foro – altrimenti detta Campo Vaccino – vengono dunque presentati mediante le opere di alcuni tra i principali artisti europei del passato, tra i quali van Wittel, Canaletto, Piranesi, Turner e Corot. Non mancano inoltre lavori di attribuzione indefinita, ma in tutti i
casi si tratta di opere riconducibili ad artisti che si lasciarono ispirare dalle «antichità» come elemento essenziale sia per il proprio arricchimento culturale, sia per lo studio dell’arte antica, producendo opere di altissimo livello, destinate anche all’offerta di «ricordi» per i colti e agiati viaggiatori dell’epoca.
QUI «LO SPIRITO SI MODIFICA» E con la scelta di opere di artisti di diversa nazionalità, perlopiú europei e americani, si è inteso sottolineare la dimensione da sempre internazionale del fenomeno «Grand Tour». Nella speranza che anche i visitatori odierni del Parco archeologico del Colosseo si lascino trasportare dalla contemplazione come Goethe, che nel suo diario annotava ancora: «Mi
pare che chi visiti attentamente questa città e abbia occhi per vedere, debba acquistare fermezza di carattere, formarsi di questa dote pregevolissima un’idea, che non aveva dapprima. Lo spirito si modifica, viene acquistando serietà senza cadere nell’aridità; si trova in una condizione pacata, tranquilla, la quale procura soddisfazione. Quanto meno per conto mio mi trovo non avere apprezzato mai cotanto rettamente le cose, quanto dacché mi trovo qui, e ne sono lieto, per le conseguenze che ne potrò provar, per il rimanente della mia vita». La guida Colosseo Foro Romano Palatino. Le vedute del GrandTour, pubblicata da Electa, è in vendita presso le biglietterie del Parco archeologico del Colosseo. Paolo Castellani e Andrea Schiappelli
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n otiz iario
Chio
Atene
SCAVI Grecia
Andros
Kea
ULTIMISSIME DALLA «PICCOLA DELO»
Kithnos
Tinos
Samos Ikaria
C i c l a d i
Mikonos Siros Paros Naxos Sifnos Despotikò Amorgos Milos Ios Astipalaia Santorini GRECIA
Serifos
N
el cuore delle Cicladi, Despotikò è un’isoletta oggi disabitata, ma che custodisce preziose testimonianze archeologiche, riferibili a una significativa frequentazione umana già in età preistorica e protostorica. Il sito viene indicato nelle fonti (Strabone, Plinio il Vecchio) con i nomi di Prepèssinthos ed Episokí e, grazie alla sua posizione centrale – nei presso dell’isola di Antiparos – e alla sua morfologia, era divenuto un approdo sicuro per i naviganti. All’indomani dell’età classica, l’isola continuò a essere
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abitata anche nel Medioevo e venne abbandonata solo dopo il XVII secolo, a causa delle scorribande dei pirati. Incisioni ad acquaforte realizzate fra il XV e il XVII secolo indicano la presenza di un castello in località Mantra, nel quadrante nord-orientale. L’interesse per la storia di Despotikò si accende alla fine dell’Ottocento, quando l’inglese Theodore Bent conduce i primi scavi, che portarono alla luce le fondamenta di un antico sacello dedicato ad Apollo, vicino a Mantra. Poco piú tardi, le indagini
ITALIA
Mar Mediterraneo
Mar E ge o
L’area archeologica di Despotikò, nell’arcipelago delle Cicladi. Sulla sinistra si riconosce il cantiere che sta curando il restauro e la ricostruzione di parte delle strutture messe in luce nel corso delle ultime campagne di scavo. Obiettivo dell’intervento è la realizzazione di un’area archeologica visitabile.
In questa pagina: materiali recuperati durante gli scavi a Despotikò: in alto, un frammento di ceramica figurata; a sinistra, un frammento di terracotta con figure di danzatrici.
dell’archeologo greco Christos Tsountas localizzano tombe protocicladiche del III millennio a.C. In tempi piú recenti, dal 1997 opera l’équipe guidata da Yiannis Kouragios, le cui ricerche stanno restituendo elementi significativi per ricostruire il quadro generale della vita dell’isola e dell’intero arcipelago delle Cicladi. Ribattezzata «piccola Delo» dall’archeologo e architetto Manolis Korres, per via dei suoi sacelli dedicati ad Apollo e Artemide – che avevano importanza nazionale –, dei marmi pregiati e dello stile architettonico,
Despotikò continua a essere teatro di nuove scoperte. In particolare, nel corso degli ultimi anni le esplorazioni si sono concentrate su un complesso situato in prossimità del tempio di Apollo, del quale è stata riportata alla luce una dozzina di vani, per una superficie complessiva di 180 mq. Durante l’ultima campagna di scavi (condotta nell’estate 2018), è stata scoperta una nuova struttura, datata al VI secolo a.C., che probabilmente serviva come cortile, divisa in due zone. Fra i ritrovamenti piú importanti vi sono i frammenti della testa e del
piede di un kouros d’epoca arcaica, oltre quindici anfore provenienti dall’isola di Milo e ceramica a figure nere, nonché i resti architettonici del nuovo cortile e di altri edifici. Oltre allo scavo, al quale partecipano varie università straniere, sono stati anche portati avanti interventi di restauro e conservazione del sacello di Apollo e delle aree scoperte in precedenza. Il progetto prevede anche la ricostruzione del tempio e delle stanze ausiliarie, per la quale è stato riutilizzato materiale locale, marmo pario di altissima qualità. Merita d’essere segnalato il fatto che il restauro e le ricostruzioni – ed è una novità per la Grecia – vengono effettuati nel rispetto delle norme antisismiche. Lo scopo finale è quello di trasformare l’area archeologica in un grande museo all’aperto, analogamente a quanto già realizzato sull’isola di Delo. Il progetto è finanziato da una cordata di soggetti privati e istituzionali tra cui A. & M. Martinou, gli istituti A.G. Leventis, P. & A. Kanellopoulos e I. Latsis, e il Centro Internazionale di Studi per la Grecia e il Mediterraneo. Maria Katsinopoulou
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ALL’OMBRA DEL VULCANO Alessandro Mandolesi
QUANDO POMPEI ERA ETRUSCA UNA RICCA MOSTRA ALLESTITA NELLA PALESTRA GRANDE DEL SITO VESUVIANO DOCUMENTA UNA FASE FORSE MENO NOTA, MA NON PER QUESTO MENO IMPORTANTE NELLA STORIA DELLA CITTÀ, INQUADRATA NEL VIVACE CONTESTO DELL’«ETRURIA CAMPANA»
N
el Parco archeologico di Pompei è in corso una ricca esposizione che racconta la presenza etrusca in Campania e chiude idealmente la trilogia di eventi dedicata alle grandi civiltà del Mediterraneo che hanno influenzato la storia della città vesuviana. Curata da Massimo Osanna e Stéphane Verger, con la collaborazione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la mostra «Pompei e gli Etruschi» è allestita nella Palestra grande degli Scavi; circa 800 reperti offrono uno spaccato unico sulla questione dell’«Etruria campana» e dei rapporti e delle contaminazioni fra le élite etrusche, greche e indigene, che trovano proprio a Pompei un importante riferimento archeologico. Le motivazioni
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che hanno portato gli Etruschi a «colonizzare» la Campania sono complesse e articolate, stimolate dalla ricerca dei rapporti con il mondo greco e orientale mediterraneo e dallo sfruttamento di nuove risorse ambientali, interagendo con le componenti locali. «Come la contigua Pompei, presso cui scorre il fiume Sarno, Ercolano appartenne agli Osci, poi ai Tirreni e ai Pelasgi, infine ai Sanniti; anche questi ultimi furono scacciati»: già Strabone, nella sua Geografia (libro V, 4, 3), ricordava le complesse vicende dell’area vesuviana, lungamente contesa fra diversi popoli, fra cui gli Etruschi. Le ricerche hanno evidenziato che la valle del Sarno doveva essere uno dei teatri piú importanti
dell’etruschizzazione campana, dopo i capoluoghi di Capua (odierna Santa Maria Capua Vetere) nella pianura del Volturno, e di Pontecagnano nell’agro Picentino e piana del Sele. Fra le pendici del Vesuvio e i monti Lattari, le relazioni fra le genti indigene e gli Etruschi favoriscono un forte sviluppo delle comunità locali, riflesso, per la prima volta, in un’efficiente organizzazione urbana e funzionale del territorio. L’«universo etrusco» del Sarno si manifesta in un exploit di insediamenti in cui le diverse componenti del popolamento costruiscono rapporti di interazione che superano i confini etnici. Questo fenomeno culmina fra il VII e il VI secolo a.C. con la creazione di cittadine pianificate in base a esigenze sociali ed economiche che restano valide fino alla conquista romana; si definiscono strade, aree abitative, quartieri artigianali e, soprattutto, spazi riservati alla comunità, in primo luogo i santuari. Nella vallata del Sarno emergono realtà formatesi per aggregazione demografica, esito di un sinecismo che svuota progressivamente i villaggi dell’età del Ferro di questo comprensorio. I risultati piú evidenti si hanno proprio a Pompei, sorta in età arcaica su una terrazza elevata, a dominio della fascia costiera. Del centro arcaico si definiscono il tracciato murario e la viabilità
generale, e nel primitivo spazio insediativo viene innalzato, con l’aiuto di maestranze grecocumane, il tempio di Apollo con funzioni poliadiche, in un’area poi occupata dal Foro di età romana.
LE NUOVE ACQUISIZIONI Nel vicino «Foro triangolare», su una terrazza protesa sul Sarno, spunta un secondo e imponente tempio dedicato probabilmente ad Atena ed Ercole. Il passaggio verso il Sarno e lo scalo marittimo era invece protetto da santuari extraurbani dall’aspetto meno monumentale, fra cui quello di Fondo Iozzino, recentemente scavato, da cui proviene uno straordinario corpus di iscrizioni etrusche. In questo luogo di culto si usava infatti parlare l’etrusco, come dimostrano le iscrizioni sulle offerte composte da brevi enunciati con nomi personali e di divinità. Fulcro della mostra sono proprio i ritrovamenti arcaici avvenuti in questo complesso, costituiti da armi e servizi per le libagioni rituali con appunto iscrizioni in lingua etrusca. Questi materiali sono esposti accanto ad altri contesti sacri provenienti dalle altre città etrusche della Campania – Pontecagnano e Capua –, dove sono noti luoghi di culto importanti, con caratteristiche simili a quello di Fondo Iozzino. Tutto porta quindi a pensare a una consistente comunità etrusca insediata a
Sulle due pagine: immagini dell’allestimento e dei reperti della mostra «Pompei e gli Etruschi», in corso presso la Palestra Grande del Parco archeologico. Pompei dalla fine del VII secolo a.C. fino all’arrivo dei Sanniti; e il dato epigrafico locale evidenzia la profonda portata del processo di «etruschizzazione» di questo settore vesuviano. Il dominio etrusco in Campania si indebolisce dopo la battaglia navale di Cuma del 474 a.C.: nei centri dell’interno la cultura etrusca sopravvive fino alla discesa dei Sanniti, nella seconda metà del V secolo a.C., da questo momento i veri protagonisti della politica e della cultura campana, relegando gli Etruschi a un ruolo secondario. Questi, benché proseguano a usare la propria lingua nelle epigrafi, si adeguano sempre piú all’elemento dominante e finiscono per integrarvisi completamente.
DOVE E QUANDO «Pompei e gli Etruschi» Parco archeologico di Pompei, Palestra Grande fino al 2 maggio Orario fino al 31 mar: lu-ve, 9,00-17,00, sa-do, 8,30-17,00 Info tel. 081 8575 347; www.pompeiisites.org; pagina Facebook: Pompeii-Parco archeologico
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n otiz iario
MUSEI Roma
QUANTE STORIE FRA QUELLE ARCATE...
È
il monumento piú amato in assoluto, almeno secondo il portale di viaggi TripAdvisor, che ha pubblicato una graduatoria delle principali attrazioni turistiche del mondo, capeggiata dal Colosseo con 7,4 milioni di prenotazioni nel 2018. Seguono i Musei Vaticani, La Statua della Libertà e il Museo del Louvre. Rispetto all’anno precedente, il numero di visitatori dell’Anfiteatro Flavio è aumentato di 400 000 unita, ossia del 5,6%. Questa crescente popolarità si spiega, in parte, dalla sua sempre maggiore accessibilità. Sezioni una volta chiuse ora sono aperte al pubblico e all’interno del monumento si tengono mostre, come quella attualmente in corso, «Roma universalis», dedicata alla dinastia dei Severi (vedi, in questo numero, lo Speciale alle pp. 82-103). L’ultima acquisizione consiste in un’esposizione permanente sulla storia del monumento stesso, intitolata «Il Colosseo si racconta», un museo nel museo inaugurato lo scorso 21 dicembre nella galleria del II livello. Gran parte della collezione è dedicata ai periodi successivi all’antichità. Inaugurato nell’80 d.C. dall’imperatore Tito – con spettacoli che si protrassero per ben 100 giorni –, l’Anfiteatro Flavio ha infatti funzionato per quattro secoli e mezzo come teatro di lotte tra gladiatori, eventi sportivi ed esecuzioni capitali, ma dopo la caduta dell’impero dell’Occidente tutto ciò finí. Gli ultimi giochi documentati ebbero luogo nel 523, sotto il re dei Goti Teodorico. Successivamente però, l’immensa costruzione è stata abitata per quasi mille anni. Tra il IX e il XII secolo sotto le antiche volte si formò un intero villaggio, con abitazioni, negozi, stalle, magazzini,
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Una sezione dell’esposizione permanente «Il Colosseo si racconta». Il percorso espositivo documenta l’intera storia dell’Anfiteatro Flavio, dalla sua inaugurazione, nell’80 d.C., alle vicende vissute in età moderna. cappelle e vigneti. Nel 1130 la famiglia baronale dei Frangipane si appropriò del Colosseo per trasformarlo in una roccaforte, della quale servirsi nella lotta incessante contro altri potentati romani. Nel 1349, dopo il devastante terremoto che aveva reso praticamente inabitabile il monumento (anche se ancora nel Cinquecento ospitò un lazzaretto), l’anfiteatro venne abbandonato e le pietre cadute vendute e riutilizzate. Un’altro terremoto, nel 1808, quando ormai ne era stato riconosciuto il valore storico e monumentale, rese necessaria la costruzione di due contrafforti che da allora sostengono il Colosseo. Nel nuovo museo due millenni di storia sono riassunti in circa 400 oggetti, alcuni dei quali mai esposti prima d’ora: capitelli, contrappesi per i montacarichi che permettevano di issare i materiali dai sotterranei dell’edificio, lucerne, brocche, dadi, monete, conchiglie, resti di telai e numerose altre
testimonianze di vita quotidiana. Inoltre, ricostruzioni e plastici dimostrano l’aspetto che il Colosseo doveva aver avuto in quei secoli: i posti a sedere, divisi per rango e classe; campi e negozi all’interno dell’anello dell’antico teatro; la roccaforte dei Frangipane; la lapide commemorativa che Mussolini nel 1926 pose alla base di questo simbolo della romanità; e molto altro ancora... Aart Heering
DOVE E QUANDO «Il Colosseo si racconta. Esposizione permanente sulla storia dell’Anfiteatro Flavio» Roma, Colosseo Orario fino al 15 marzo: tutti i giorni, 8,30-17,00; nel resto dell’anno gli orari variano stagionalmente e possono essere verificati telefonicamente o attraverso il sito web del monumento (vedi Info) Info tel. 06 39967700; www.parcocolosseo.it
A TUTTO CAMPO Andrea Zifferero
TRENT’ANNI FA, SUI MONTI DELLA TOLFA QUALI SONO I SERVIZI CHE UN PICCOLO MUSEO DEVE OFFRIRE AL PUBBLICO? E COME GARANTIRE LA COMUNICAZIONE FRA MUSEI E SITI ARCHEOLOGICI NEL TERRITORIO?
N
el numero scorso (vedi «Archeo» n. 407, gennaio 2019; on line su issuu.com), abbiamo trattato il tema della valorizzazione del patrimonio archeologico conservato nei musei, riportandolo ai siti/contesti di provenienza dei reperti e osservando come tale operazione faccia inevitabilmente prevalere alcune identità su altre, che possono rimanere in secondo piano o essere addirittura soppresse. Nella fase di elaborazione di un progetto, l’archeologo deve perciò sviluppare il proprio lavoro tenendo presente che il percorso di studio e di conoscenza della storia di un territorio dovrà essere il piú possibile analitico, con l’obiettivo di identificare sul terreno tutti gli elementi visibili. La sintesi che forzosamente ne deriva (nell’impossibilità di creare una rete di valorizzazione analitica), sarà una selezione di luoghi e monumenti adatti alla visita, da inserire all’interno di itinerari tematici, integrati nel sistema. Abbiamo già visto come un progetto di livello elevato tenda a perseguire la fruizione di contesto del bene, il piú possibile inserito in
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una cornice urbana o paesistica. La condizione ideale si verifica quando si lavora con musei che illustrano l’assetto storico e archeologico, artistico e antropologico di un territorio specifico, ai quali agganciare un sistema integrato di sentieri che collegano i siti documentati nelle sale espositive. Tale condizione progettuale richiede due livelli di gestione: il primo relativo alla struttura museale, con tutti i servizi da offrire a un pubblico di solito composito e il secondo, assai impegnativo, di manutenzione e tutela dei siti, attraverso il controllo costante dello stato di conservazione dei monumenti situati en plein air. Il tutto deve appoggiarsi a segnaletica e sistemi informativi analogici e digitali che garantiscano il contatto e la comunicazione tra musei e siti archeologici, i quali richiedono, inoltre, sorveglianza e un minimo di attrezzature di servizio.
I REQUISITI NECESSARI Un progetto di questo profilo ha molti punti di forza e altrettanti punti di debolezza e può funzionare soltanto a condizione di
essere gestito e controllato dai governi locali, affidatari dei musei civici, affiancati da una rete di stakeholders (sostenitori), con le associazioni culturali in prima fila. Solo l’apporto dell’associazionismo a livello locale, infatti, può garantire e mantenere nel tempo l’interesse, gli investimenti di attività e di idee
per diversificare l’offerta riguardo alla fruizione e alla valorizzazione dei siti archeologici minori, asse portante del rapporto tra musei e itinerari di visita. Dall’associazionismo nasce e si alimenta, infatti, quella sensibilità verso il patrimonio che consente, oggi e nel futuro, la difficile sopravvivenza della fitta trama archeologica di cui è composto il nostro Paese. L’apporto dei capitali privati può infine assicurare le condizioni di gestione dei progetti che abbiano una portata comprensoriale, creando importanti opportunità di lavoro per i giovani residenti, con la supervisione degli enti pubblici. Questo, in sintesi, un modello di sviluppo che, qualora fosse sostenuto dalle comunità residenti, potrebbe migliorare le condizioni di conservazione e valorizzazione dei patrimoni locali in chiave sistemica. Tale modello ha ispirato il Progetto «Archeodromo dell’Etruria Meridionale», un sistema di itinerari archeologici e naturalistici ancorato ai Musei Civici di Allumiere, Tolfa e Santa Marinella (Roma), già inquadrati dalla Regione Lazio nel Sistema Museale dell’Area Cerite-Tolfetana (il progetto è stato finanziato e reso operativo dalla L.R. 37/1988, che intendeva promuovere e rinnovare le forme di gestione delle aree archeologiche e dei musei civici delle Province di Roma e Viterbo). Nato dalla collaborazione fra il Gruppo Archeologico Romano, associazione archeologica che operava in zona da piú di un decennio sotto il controllo dell’allora Soprintendenza Archeologica dell’Etruria Meridionale, la stessa Soprintendenza e le Amministrazioni di Allumiere,Tolfa e Santa Marinella, il Progetto Archeodromo mirava a promuovere la conoscenza e la salvaguardia del
Fronte di estrazione a cielo aperto nella Cava del Moro (Allumiere), con tracce di lavorazione a mano e buco di palo per sorreggere un ponteggio. XV sec. Nella pagina accanto: lo schema degli itinerari del Progetto Archeodromo, collegati ai Musei Civici Archeologici di Allumiere, Tolfa e Santa Marinella, a suo tempo inquadrati dalla Regione Lazio nel Sistema Museale dell’Area Cerite-Tolfetana.
patrimonio concentrato nel comprensorio tra i Monti dellaTolfa e il litorale tirrenico.
GLI OPERATORI L’attività prevista, che comportava il lavoro di due archeologi e di un biologo, insieme a nove giovani residenti nei tre Comuni investiti dal Progetto, addestrati come operatori di parco archeologico con corsi di formazione della Regione Lazio, spaziava dalla gestione dei tre Musei Civici allo scavo, alla manutenzione e alla predisposizione alla visita dei siti archeologici inquadrati nei diversi itinerari integrati. I temi affrontati andavano dalla protostoria al Medioevo e prevedevano programmi residenziali di visita, archeologia sperimentale, simulazione dello scavo archeologico e teatro antico, ideati per rispondere alle esigenze di approfondimento culturale per
istituti scolastici, associazioni culturali, circoli aziendali e gruppi organizzati. Un accordo di programma tra le Amministrazioni Comunali aveva consentito di individuare un unico ente gestore, che ha operato con i finanziamenti regionali tra il 1995 e il 1997. Un biennio di attività ha permesso di potenziare le tre sedi museali e di rinnovarne in modo coordinato gli allestimenti, di creare nuovi itinerari archeologici e di sperimentare forme di valorizzazione del patrimonio molto innovative. A trent’anni dalla sua creazione, l’eredità dell’Archeodromo sopravvive negli operatori che continuano a prestare servizio nei musei e nelle attività culturali promosse dalle Amministrazioni Comunali o dalle aziende a cui queste hanno affidato la gestione del patrimonio culturale locale. (andrea.zifferero@unisi.it)
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n otiz iario
MERCATO Vendite all’asta
GIOVANI COLLEZIONISTI CRESCONO
«N
egli ultimi due anni siamo stati spesso raggiunti da giovani clienti interessati ad acquistare archeologia nelle nostre aste. Con nostra immensa sorpresa ci siamo trovati di fronte a un collezionismo informato, consapevole e fortemente etico. Questi ragazzi sanno gestire in modo oculato le loro limitate risorse economiche, scelgono bene, sono curiosi e capaci di trasformare l’esperienza della gara d’asta in un’occasione di approfondimento culturale. L’aspetto piú sorprendente del loro approccio al collezionismo è però la capacità di coniugare passione individuale e senso civico. Li vediamo scegliere per se stessi piccoli pezzi di ottimo gusto, ma anche unirsi in rete per dare vita a campagne di crowdfunding, finalizzate all’acquisto di reperti di maggiore importanza da donare a musei e istituzioni culturali dei territori di appartenenza». Andrea Pancotti, responsabile dei dipartimenti di archeologia e numismatica di Bertolami Fine Art, descrive con entusiasmo il contesto in cui si inserisce l’ultima iniziativa della casa d’aste romana: vendite costruite su misura per un pubblico giovane, con uno scarso potere d’acquisto, ma colto ed esigente. «Sono giovani e non possono spendere molto, ma vogliono il massimo. Vogliono, in particolare, sentirsi tranquilli riguardo all’autenticità e alla legittima provenienza dei loro acquisti. Col tempo abbiamo capito che la fiducia di cui ci onora questo
pubblico, cosí maturo nonostante l’età acerba, deve moltissimo all’accurato controllo preventivo effettuato da Bertolami Fine Art sulla provenienza dei lotti inseriti nei cataloghi delle sue aste. Da quel controllo – effettuato in sinergia con le soprintendenze, il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, il Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico del Nucleo Polizia Tributaria – scaturisce un certificato che accompagna il reperto e ne garantisce la piena conformità alle disposizioni del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio». Nelle aste BFA destinate al collezionismo giovane, il valore di stima dei lotti in catalogo non supererà mai i 200 euro, ma le garanzie fornite al compratore non saranno diverse da quelle richieste per i top lot delle aste di punta. «Dei nostri giovani clienti ci ha anche colpito il talento di cogliere all’interno dei meccanismi di mercato – parliamo ovviamente di meccanismi sani – le mille opportunità di intervento a tutela del patrimonio culturale della nostra nazione. Sono molto interessati a impegnarsi in campagne di raccolta fondi per l’acquisto di beni culturali da donare alla collettività e dal loro esempio abbiamo tratto lo spunto per la creazione di un dipartimento interno stabilmente impegnato nell’organizzazione di campagne di crowdfunding, Comincerà a operare nel 2019 e siamo certi che ci riserverà grandi soddisfazioni».
Vasi etruschi in bucchero databili alla fine del VII sec. a.C. proposti in vendita da Bertolami Fine Art nel dicembre 2017 (asta 40, lotto 63).
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MOSTRE Toscana
CORTONA CHIAMA NAPOLI
L
a nuova mostra allestita al MAEC-Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona rientra in un piú ampio disegno scientifico – di cui sono coprotagonisti l’Accademia Etrusca di Cortona, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca di Cortona e il Comune di Cortona – ed è destinata a offrire importanti e significative suggestioni storico-culturali, nonché rilevanti spunti di studio. Il percorso espositivo si apre con la rivisitazione della vicenda biografica di Marcello Venuti (1700-1755) e dei rapporti familiari che gli hanno permesso lo studio e l’arricchimento del suo già ampio patrimonio culturale; con essa si accenna alla frequentazione dei piú importanti ambiti della cultura
toscana e internazionale, dalla quale è nata la volontà di creazione dell’Accademia Etrusca di Cortona – di cui Venuti fu l’esponente principale –, oltre alla presenza costante e diretta nella vita culturale della città, anche attraverso l’organizzazione di un ragguardevole museo privato e alla partecipazione e all’arricchimento del museo e della biblioteca dell’Accademia. Si dà quindi conto della «migrazione» napoletana di Marcello Venuti, legata all’intensità dei suoi rapporti con la comunità spagnola presente a Firenze e alla vicinanza con la corte borbonica e degli incarichi prestigiosi a lui dati dallo stesso re di Napoli, comprese le controverse vicende del loro svolgimento (direzione delle Raccolte farnesiane e direzione Statuetta in bronzo con intarsi in argento che ritrae Alessandro Magno a cavallo. I sec. a.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
degli scavi di Ercolano). L’epilogo è quindi dedicato al rientro a Cortona di Venuti e alla prosecuzione di prestigiose attività sue (pubblicazioni accademiche, «Notti Coritane», rilevanti incarichi pubblici nella città) e dei suoi discendenti (dalla direzione della Real Fabbrica Ferdinandea alla creazione della manifattura cortonese di Catrosse). Tutti gli argomenti sono evidenziati da una scelta di materiali e documenti nella maggior parte dei casi presentati a Cortona per la prima volta. Il progetto prevede infine un’edizione napoletana della mostra stessa, che verrà allestita nella sede del Museo Archeologico Nazionale di Napoli nella prima metà del 2020. (red.)
DOVE E QUANDO «1738. La scoperta di Ercolano. Marcello Venuti: politica e cultura fra Napoli e Cortona» Cortona, MAEC fino al 2 giugno (dal 1° marzo) Orario fino al 31 marzo: ma-do, 10,00-17,00; chiuso il lunedí dal 1 aprile al 31 ottobre: tutti i giorni, 10,00-19,00 Info tel. 0575 637235; https://cortonamaec.org/
MUSEI Toscana
SCRIBA PER UN GIORNO
N
ella memoria di tutti il Castello di Monteriggioni evoca il Medioevo e Dante Alighieri: la corona turrita che circonda la parte alta del colle e che fronteggia il Montemaggio, dietro il quale si stagliano le guglie del Duomo di Siena e la sagoma della Torre del Mangia, rimanda a un passato fatto di guerre, giostre e pellegrini lungo la Francigena. Ma il territorio di Monteriggioni offre molto di piú: la storia qui ha lasciato tracce importanti fin dalla preistoria. A pochi passi da Abbadia Isola, infatti, nel 1962 fu scoperto l’uomo del Chiostraccio, ovvero lo scheletro di un uomo del Paleolitico Superiore morto per una caduta accidentale in una caverna, mentre intorno al complesso abbaziale, in età etrusca si estendeva una
In alto e qui sotto: due immagini della prima edizione della rassegna «Libri per volare», in programma a Monteriggioni (SI) il 16 e 17 febbraio.
grande necropoli, utilizzata fino alla piena romanità. Per questo il Comune di Monteriggioni e la SABAP Siena, Grosseto e Arezzo, in collaborazione con altri enti italiani e stranieri, hanno organizzato l’esposizione «Monteriggioni prima del Castello. Una comunità etrusca in Valdelsa» (vedi «Archeo» n. 406, dicembre 2018; on line su issuu. com). Un percorso che accompagna alla scoperta di questo antico popolo, a partire dalla scrittura. Per cercare di insegnare a leggere e capire proprio la scrittura etrusca, partendo dai reperti esposti in mostra, nell’ambito della seconda edizione di «Libri per volare. Festival del libro per ragazze e ragazzi», che si tiene ad Abbadia Isola il 16 e 17 febbraio, sono stati organizzati laboratori didattici e visite guidate realizzati da specialisti del settore e archeologi dell’Università di Siena: in questo modo i ragazzi non solo potranno esercitarsi a leggere e scrivere in etrusco, ma, diventando artigiani per un giorno, realizzare vasi a figure rosse, completando il lavoro con la propria orgogliosa firma. Insieme agli Etruschi si parlerà di Medioevo e dei mestieri medievali: saranno due giorni di Time Travel, riportando in vita l’antico nel presente, per avvicinare il pubblico alla Storia ma, soprattutto, alle
storie che i libri raccontano. Abbadia Isola tornerà a respirare l’odore delle focacce appena staccate dai testi, a giocare con i trucioli del legno piallato, a sentire le urla dei mercanti e il tintinnio metallico del martello del fabbro o del monetiere: in una parola, a vivere il Medioevo. Giacomo Baldini, Valerj Del Segato, Valter Fattorini e Matteo Marsan
DOVE E QUANDO «Libri per volare. Festival del libro per ragazze e ragazzi. II Edizione» Monteriggioni, complesso di Abbadia Isola Orario 16 febbraio: 14,30-19,30; 17 febbraio: 10,30-19,30 Info tel. 0577 304834; e-mail: coordinamentoeventi@ monteriggioniturismo.it; www.monteriggioniturismo.it; pagina Facebook Monteriggioni Turismo; Twitter MonteriggioniTu
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VIAGGI La «Crociera di Archeo»
NELL’ISOLA DEI MISTERI
S
i avvicina la partenza di questo nostro viaggio attraverso le culture del Mediterraneo. Pensiamo subito al movimento e a uno spostamento materiale in nuovi ambienti, attraverso luoghi nuovi. Ma non solo. Il viaggio riflette soprattutto una dimensione di percezione e di esperienza. Per viaggiare veramente non è sufficiente il mero mutamento di paesaggio. L’esperienza piú intensa del viaggio si raggiunge davvero solo nel momento in cui ci si concentra sulle percezioni del luogo in cui ci troviamo. Fin dalla sua creazione, la missione di «Archeo» è stata quella di offrire ai suoi lettori non solo un’informazione sulle vicende del mondo dell’archeologia e sulle civiltà del passato, ma un’esperienza di «attualità» attraverso una ben precisa impostazione dei contenuti. Con la «Crociera di Archeo» intendiamo declinare questa nostra filosofia anche nel viaggiare. L’itinerario, ampio e ben studiato, rappresenterà una confortevole cornice in cui ogni partecipante potrà sentirsi a suo agio, un contesto adatto per intraprendere un ulteriore viaggio oltre il viaggio,
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fatto di opportunità di incontro e di confronto con altri viaggiatori, nei numerosi momenti dedicati all’approfondimento con gli esperti presenti e alla riflessione e all’attualizzazione dei grandi temi dell’archeologia mediterranea. La visita di Malta rappresenterà uno dei momenti culminanti del percorso, in cui potremo esplorare un luogo fra piú misteriosi e intrisi di significati dell’intero Mediterraneo. Una terra affascinante di cui vi abbiamo raccontato a piú riprese (vedi, per esempio, «Archeo» nn. 353 e 389, luglio 2014 e luglio 2017), che ha visto protagoniste culture diversissime tra loro, attraverso un percorso cronologico che abbraccia oltre 6000 anni. Avremo la possibilità di addentrarci all’interno dei possenti resti architettonici dei templi megalitici e anche di visitare i musei archeologici di Gozo e Valletta dove ammirare da vicino l’enigmatica statuaria neolitica maltese o avventurarci – guidati da esperti archeologi – nel crogiolo culturale rappresentato del succedersi di Fenici, Cartaginesi, Romani e Arabi.
MUSEI Perugia
UN CAPOLAVORO D’INGEGNERIA IDRAULICA
I
l Pozzo Etrusco (o Sorbello) si trova nei sotterranei di Palazzo Sorbello, nel cuore del centro storico di Perugia, ed è uno dei siti archeologici piú visitati. Risalente alla seconda metà del XVI secolo, il palazzo fu acquisito dalla famiglia dei marchesi Bourbon di Sorbello nel 1780 ed è ancora proprietà dei discendenti. Al Pozzo si giunge, per via esterna, percorrendo un vicolo che si apre sulla centrale piazza Danti, prospiciente la Cattedrale. Il Pozzo Etrusco o Sorbello è un monumento dell’ingegneria idraulica degli Etruschi scavato in prossimità dell’acropoli della città. La canna cilindrica inizia circa quattro metri al di sotto dell’attuale piano stradale: il dislivello è occupato da tarde strutture murarie a pianta quadrangolare. Il diametro massimo della cavità è di 5,60 m e tale si mantiene per una profondità di circa 12 m, poi la canna si restringe fino a un diametro di 3 m e prosegue, appena rastremandosi verso il fondo, fino alla profondità di 35,60 m. La capacità complessiva della riserva idrica è di 424 mc d’acqua, una riserva dunque di notevole utilità. La canna è scavata nel conglomerato fluvio-lacustre che presenta lingue d’argilla in corrispondenza delle quali sgorgano le polle d’acqua. Nel tratto iniziale la parete cilindrica è rivestita da conci di travertino per una profondità di 5,30 m e per complessivi 17 filari. Il filare piú basso è aggettante di circa 10 cm dal restante rivestimento, costituendo in tal modo una sorta di risega di fondazione. La messa in opera dei conci è molto piú accurata nelle assise piú alte, tutte di altezza simile, con blocchi ben squadrati e giunti perfettamente combacianti. La zona inferiore del rivestimento non presenta invece
una messa in opera altrettanto uniforme. La maggior accuratezza dei filari superiore è addebitabile al fatto che in questa zona erano indispensabili piani perfettamente orizzontali per l’inserimento e l’appoggio delle travi lapidee che sorreggono la copertura. Quest’ultima costituisce l’aspetto piú interessante e piú affascinante del monumento. Essa consiste in due «capriate», formate ciascuna da cinque blocchi monolitici. Due travi orizzontali e due puntoni obliqui sono incernierati su una chiave di volta a martello. I giunti sono perfetti e l’incastro tra i cinque elementi strutturali non ha mai manifestato alcun cedimento nel corso dei secoli. Il Pozzo Etrusco di Perugia.
Dal 1960 la struttura cominciò a essere interessata da un primo studio e da un’indagine conoscitiva da parte di Filippo Magi, direttore dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Perugia, che lo considerò come una delle piú grandi opere idrauliche etrusche mai viste sino ad allora. Piú tardi il Pozzo Etrusco è stato oggetto di un approfondito studio monografico da parte di Simonetta Stopponi. Dal 2016 il Pozzo è gestito dalla Fondazione Ranieri di Sorbello, insieme all’omonimo palazzo. Dopo aver provveduto al restauro della vera cinquecentesca in travertino del Pozzo, nel 2017 il Pozzo Etrusco, ancora oggi ricco di acqua, è stato oggetto di lavori per la sostituzione della vecchia passerella e l’installazione di un nuovo impianto di illuminazione. L’ingresso al Pozzo comprende una nuova sala d’accoglienza che presenta resti di una torre medievale, dove, un breve video introduttivo con ricostruzioni in 3D, fornisce informazioni storico-architettoniche utili alla visita. Per informazioni su giorni e orari di apertura del Pozzo Etrusco: www.pozzoetrusco.it (red.)
DOVE E QUANDO Pozzo Etrusco Perugia, piazza Danti 18 Orario gli orari variano stagionalmente e possono essere verificati telefonicamente o sul sito web del monumento (vedi Info) Info Pozzo etrusco: tel. 075 5733669; e-mail: pozzoetrusco@ fondazioneranieri.org; Fondazione Ranieri di Sorbello: tel. 075 5732775 o 5724869; e-mail: promoter@fondazioneranieri.org; www.pozzoetrusco.it
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n otiz iario
ARCHEOFILATELIA
Luciano Calenda
GENTI DI MESOPOTAMIA Dopo gli Israeliti (vedi «Archeo» n. 408, gennaio 2019; on line su issuu.com), ecco le genti della Mesopotamia: Sumeri, Assiri e Babilonesi (emblematicamente uniti in un solo annullo tedesco, 1). L’argomento è molto vasto e cosí pure 1 3 la documentazione filatelica, per cui è al tempo 2 stesso piú facile e piú difficile individuare, per questa rubrica, gli elementi capaci di caratterizzare ciascun popolo. La Mesopotamia, la «terra tra due fiumi» (Tigri ed Eufrate) corrisponde, geograficamente, all’odierno Iraq, piú alcune aree 4 di Paesi limitrofi. I riferimenti biblici hanno fatto riscoprire i tre popoli per cui essa è comunemente considerata come la «culla della civiltà». I Sumeri (2) non sono espressamente citati dalla Bibbia, ma posero le fondamenta dello sviluppo 5 delle altre culture; a loro si attribuiscono la scrittura 6 cuneiforme (3) e l’invenzione della ruota, anche se originariamente utilizzata per la lavorazione del vasellame (4). Gli Assiri furono considerati un popolo molto crudele, volto alla sottomissione feroce degli avversari sconfitti; le capitali del regno 7 8 assiro nei secoli furono Assur (5), Nimrud (6) e 9 infine Ninive (7). Tuttavia, riletture successive della politica dei vari regnanti inducono a pensare a un disegno di sottomissione di quei popoli per poi farli crescere con una visione universalistica secondo la cultura assira; un sogno infranto dalla caduta di Ninive nel 612 11 a.C. Un riferimento diretto della Bibbia al 12 10 popolo assiro è quello identificato in una tavoletta del Poema di Gilgamesh in cui si cita un terribile nubifragio durato sette giorni, cioè il ben noto Diluvio Universale (8). Molti sono quindi i riferimenti della Bibbia a Babilonia. Il primo e piú significativo è quello della Torre di Babele (9), e Babilonia, con i suoi giardini e 13 corsi d’acqua (10), è stata spesso considerata una semplice leggenda fino alle scoperte archeologiche 14 (11) che ne hanno legittimato l’esistenza. Tra i regnanti di Babilonia che hanno lasciato tracce IL CIFT. Questa rubrica è curata dal CIFT (Centro Italiano di Filatestoriche possiamo ricordare: Hammurabi, autore lia Tematica); per ulteriori chiarimenti o informazioni, si può scrivere del «Codice» che è una delle piú antiche raccolte di alla redazione di «Archeo» o al CIFT, anche per qualsiasi altro tema, leggi scritte (12), che trasformò la cittadina ai seguenti indirizzi: provinciale in capitale dell’impero, e Segreteria c/o Alviero Batistini Luciano Calenda, Nabucodonosor II, che, nel 587 a.C., distrusse Via Tavanti, 8 C.P. 17037 Gerusalemme e deportò gli Ebrei a Babilonia; 50134 Firenze Grottarossa info@cift.it, 00189 Roma. questi vennero liberati solo dall’arrivo vittorioso di oppure lcalenda@yahoo.it; www.cift.it Ciro il Grande (13) attraverso la Porta di Ishtar (14).
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PA IE M SP A SI T LE R E
O R E P T T M TU L’ I L E D
LA NUOVA LA NOTIZIA MONOGRAFIA DEL MESE DI ARCHEO
L’IMPERO DEI SERVIZI SEGRETI AGENTI, SPIONAGGIO E «SICUREZZA NAZIONALE»: COME FUNZIONAVA L’INTELLIGENCE NELL’ANTICA ROMA di Anna Maria Liberati ed Enrico Silverio
Una scena del film Centurion, nel quale si ipotizzano le ultime vicende della IX legione romana in Britannia, prima della sua misteriosa scomparsa nel II sec. d.C.
C
ome avvertono Anna Maria Liberati ed Enrico Silverio, autori della nuova Monografia di «Archeo», «non si può affrontare l’argomento dei “servizi segreti” romani impiegando esclusivamente categorie militari, giuridiche o politico-istituzionali moderne, senza prendere in considerazione quella particolare “sensibilità” giuridico-religiosa propria di Roma antica». E dunque, forti di questa consapevolezza, ci guidano alla scoperta di un mondo che ebbe in ogni caso una rilevanza decisiva nella gestione degli affari interni e della sicurezza dell’impero. Un universo in cui molti dei protagonisti appartenevano agli apparati militari, ma nel quale si muovevano anche altrettanti civili, capaci di fare della delazione quasi una professione regolare. Fenomeni in piú di un caso alimentati dalle paure, quando non da vere e proprie paranoie, dei detentori del potere, molti dei quali, forse perché memori delle Idi di marzo rivelatesi fatali per Giulio Cesare, vedevano trame e nemici fin dentro i palazzi imperiali.
GLI ARGOMENTI •P REMESSA • Gli occhi e le orecchie di Roma •L A SICUREZZA INTERNA • In principio era il pater • La fine della repubblica • Taci, l’impero ti ascolta... • Curiosi di mestiere •L A SICUREZZA MILITARE • Quando il gioco si fa sporco... • Spie e soldati • Messaggi di fuoco • Quando le notizie corrono sull’acqua • Uomini del conte e seguaci del re
IN EDICOLA a r c h e o 31
CALENDARIO
Italia ROMA EtruSchifano
Mario Schifano a Villa Giulia: un ritorno Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia fino al 10.03.19
Il classico si fa pop
Di scavi, copie e altri pasticci Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo e Crypta Balbi fino al 07.04.19
Ludwig Pollak. Archeologo e mercante d’arte
Gli anni d’oro del collezionismo internazionale. Da Giovanni Barracco a Sigmund Freud Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco e Museo Ebraico di Roma fino al 05.05.19
Roma Universalis
L’impero e la dinastia venuta dall’Africa Colosseo-Foro Romano-Palatino fino al 25.08.19
CAGLIARI Le Civiltà e il Mediterraneo
Museo Archeologico e Palazzo di Città fino al 31.03.19
CORTONA 1738 Marcello Venuti alla scoperta di Ercolano
Politica e cultura fra Cortona e Napoli MAEC-Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona fino al 02.06.19
FAENZA Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America
MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche) fino al 28.04.19
FIRENZE L’Arte di donare
Nuove acquisizioni del Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale fino al 10.03.19
GENOVA 100 mila anni in Liguria
Tra Mediterraneo ed Europa Museo di Archeologia Ligure fino al 09.06.19 32 a r c h e o
MILANO Picasso Metamorfosi
Il maestro a confronto con l’antichità e il mito Palazzo Reale fino al 17.02.19
Il viaggio della Chimera Civico Museo Archeologico fino al 12.05.19
MONTERIGGIONI, SIENA Monteriggioni prima del Castello Una comunità etrusca in Valdelsa Abbadia Isola, Sala Sigerico fino al 23.04.19
NAPOLI Copia conforme: l’arte della riproduzione dal ‘700 ad oggi Reggia di Portici fino al 05.03.19
Mortali Immortali
I tesori del Sichuan nell’antica Cina Museo Archeologico Nazionale fino all’11.03.19
PIACENZA Annibale
Un mito mediterraneo Palazzo Farnese fino al 17.03.19
POMPEI Pompei e gli Etruschi Palestra Grande fino al 02.05.19
Moneta con ritratto di Amilcare Barca, padre di Annibale.
SAN GIMIGNANO Aristocrazie lucane e artigianato etrusco
Ricerche di archeologia preventiva nella Valle del Sauro (PZ) Chiesa di San Lorenzo in Ponte fino al 21.03.19
SIRACUSA Archimede a Siracusa Experience exhibition Galleria Civica Montevergini fino al 31.12.19
TORINO Ercole e il suo mito Reggia di Venaria fino al 10.03.19
TRIESTE Iapodes
Il popolo misterioso degli altopiani dell’Europa centrale Civico Museo d’antichità «J.J. Winckelmann» fino al 17.02.19
Sarà gradito l’invio di informazioni da parte dei direttori di scavi, musei e altre iniziative, ai fini della completezza di questo notiziario.
VENEZIA Gli ultimi giorni di Bisanzio
Splendore e declino di un Impero Biblioteca Nazionale Marciana fino al 05.03.19
VILLANOVA DI CASTENASO (BO) Oggetti dal quotidiano
Un giorno all’interno di un villaggio villanoviano MUV, Museo della civiltà Villanoviana fino al 09.06.19
Germania BERLINO Il paesaggio culturale della Siria Conservazione e catalogazione in tempo di guerra Pergamonmuseum fino al 26.05.19 (dal 28.02.19)
FRANCOFORTE L’oro e il vino
Belgio
I piú antichi tesori della Georgia Archäologisches Museum fino al 10.02.19
BRUGES Mummie
Grecia
Segreti dell’antico Egitto Xpo Center Bruges fino all’01.09.19
Città del Vaticano MUSEI VATICANI Winckelmann
Capolavori diffusi nei Musei Vaticani fino al 09.03.19
Collezioni in dialogo Museo Gregoriano Egizio fino al 30.06.19
Francia PARIGI Un sogno d’Italia
La collezione del marchese Campana Museo del Louvre fino al 18.02.19
ATENE Gli infiniti aspetti della bellezza Museo Nazionale Archeologico fino al 31.12.19
Paesi Bassi LEIDA Dèi dell’Egitto
Rijksmuseum van Oudheden fino al 31.03.19
Regno Unito LONDRA Io sono Assurbanipal
Re del mondo, re dell’Assiria British Museum fino al 24.02.19
Svizzera ZURIGO Exekias mi ha dipinto e mi ha creato Archäologische Sammlung der Universität Zürich fino al 31.03.19
USA NEW YORK Nedjemankh e il suo sarcofago d’oro The Metropolitan Museum of Art fino al 21.04.19
Facsimile di un dipinto raffigurante rituali funebri.
L’INTERVISTA • ROMA
LA CARICA DEI 7 MILIONI TANTI SONO I VISITATORI CHE OGNI ANNO VARCANO L’INGRESSO DELL’ANFITEATRO FLAVIO: UN RISULTATO CERTO LUSINGHIERO, CHE PERÒ, PER ESSERE CONSOLIDATO, RICHIEDE UN IMPEGNO COSTANTE. ANCHE PERCHÉ, DA MESI, L’AREA INTORNO AL CELEBRE MONUMENTO È «ASSEDIATA» DAI CANTIERI DELLA METROPOLITANA. NE ABBIAMO PARLATO CON ALFONSINA RUSSO, DIRETTRICE DEL PARCO ARCHEOLOGICO DEL COLOSSEO a cura di Mimmo Frassineti
I
l Parco archeologico del Colosseo comprende l’Anfiteatro Flavio, l’area del Foro Romano e del Palatino, la Domus Aurea sul Colle Oppio, l’Arco di Costantino e la Meta Sudans (una fontana di età flavia, non piú visibile) nella valle del Colosseo. Per numero di visitatori – 7 milioni – è il primo sito italiano e tra i primi nel mondo. Lo guida, dal gennaio 2018, l’archeologa Alfonsina Russo. Le finestre del suo ufficio, al secondo piano dell’edificio che ospitò il convento dei monaci benedettini di Monte Oliveto, prossima sede del nuovo Museo del Foro, si aprono sull’Arco di Tito e sul clivo Palatino, la via basolata che sale alla sommità del colle dove nacque Roma. ♦ Dottoressa Russo, quale aspetto aveva questo luogo quando Romolo fondò la città? Era una collina coperta di vegetazione, con un villaggio di capanne sulla cima. L’archeologia testimonia, tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro, la presenza delle cosiddette «capanne romulee», rette
da pali di legno. Le troviamo sul Palatino, adiacenti alla Casa di Augusto, il quale volle collegarsi ideologicamente all’antica fondazione romulea della Roma quadrata, stabilendo in quell’area la sua residenza. ♦ Un fiume scorreva lungo il tracciato dell’attuale via di San Gregorio, mentre una palude occupava la valle del Foro. Si attribuisce tradizionalmente a Tarquinio Prisco la bonifica della valle... Dobbiamo considerare le trasformazioni della città anche con i re precedenti, a cominciare da Numa Pompilio. I primi re iniziarono a dare forma all’idea di una città, dotata di uno spazio pubblico, che fu poi realizzato in forma monumentale dalla dinastia etrusca dei Tarquini. Questi portarono anche nuove tecnologie, con la bonifica della parte bassa del Foro Romano, cui seguí una prima pavimentazione. ♦ Dove abitavano gli esponenti della classe dirigente in epoca repubblicana? Sul Palatino. Il Palatino è uno spazio privilegiato, che ha sempre avuto tale funzione. Augusto vi acquistò alcune case aristocratiche per costruire la sua residenza. Abbiamo riaperto al pubblico le Case di Augusto e di Livia, che sono, in realtà, parti di un’unica grande casa, già con una dimensione palaziale. ♦ Augusto si gloriava di avere trasformato la Roma di mattoni in una città marmorea. Che tuttavia Nerone non ebbe ritegno a cancellare... A Nerone non bastava il palazzo di famiglia. ♦ È certo che fu lui a volere l’incendio? Qui accanto: Alfonsina Russo nel suo ufficio di direttrice del Parco archeologico del Colosseo. Sulle due pagine: una veduta panoramica del Foro Romano, con il Colosseo sullo sfondo. Sulla destra, le pendici del Palatino.
a r c h e o 35
L’INTERVISTA • ROMA A sinistra: foto aerea del Colosseo e, nella parte alta, il parco del Colle Oppio, sotto al quale si conservano i resti della Domus Aurea di Nerone. Nella pagina accanto: Colle Oppio. La risistemazione della copertura della Domus Aurea con un nuovo giardino sostenibile.
Le fonti lo confermano. Il suo intento era di liberare l’area per fare posto al suo progetto grandioso di dimora imperiale. La Domus Aurea non è soltanto quella che giace sotto le Terme di Tito e di Traiano, ma occupava tutta la valle del Colosseo, fino ricongiungersi con i palazzi sul Palatino. Era una grande dimora con facciate scenografiche che si affacciavano sulla valle, specchiandosi in un lago artificiale, lo Stagnum Neronis. C’era anche la famosa Coenatio Rotunda, la cui ubicazione però non si conosce, massima espressione della tecnologia costruttiva degli architetti neroniani: le fonti citano un meccanismo che la faceva ruotare. Secondo Andrea Carandini si trovava sulla sponda del lago. Sarebbe stata invece piú in alto, stando agli scavi della École Française – attualmente in corso nell’area della Vigna Barberini – che hanno evidenziato una struttura circolare, e anche un congegno di ferro. La rotazione era forse ottenuta grazie a un dispositivo idraulico (vedi «Archeo» n. 297, novembre 2009).
stati realizzati, e adesso stiamo portando avanti il progetto per altri 13 milioni di euro. ♦ Tra il Foro Romano, che dipende da voi, e i Fori Imperiali, che appartengono alla Soprintendenza comunale, non vi è nessuna fisica discontinuità, ma sono separati da una catenella che vieta ai visitatori del Foro Romano di accedere ai Fori Imperiali e viceversa. Prevedete in futuro di rimuoverla? Stiamo lavorando con il vicesindaco e assessore alla crescita culturale capitolino Luca Bergamo per cercare di unificare i due percorsi. ♦ I Fori Imperiali sono accessibili, a parte gli spettacoli serali, ogni prima domenica del mese, cioè dodici giorni l’anno. Nei restanti 353 il visitatore trova, davanti alla Colonna Traiana, un cancello chiuso, sul quale un cartello lo invita a prenotare allo 0606008. Chiamando, l’operatore consiglia di contattare non meglio specificate associazioni che organizzano visite guidate. Una procedura scoraggiante... L’apertura congiunta, che adesso si attua soltanto in occasione delle domeniche gratuite, incontra delle difficoltà che tuttavia, con il Comune, contiamo di superare. Di certo non può essere in forma gratuita, i tempi non sono maturi.
♦ Siete intervenuti sul Colle Oppio sostituendo il terreno e le alberature che gravano sulla Domus Aurea... È in corso un progetto sperimentale che consiste nello scavare fino a raggiungere la copertura della Domus Aurea. Quindi si procede al restauro dell’esterno della volta e si pongono in opera materiali particolari, che includono anche la terra, con un complesso di tubazioni che permettono di canalizzare le acque affinché non rechino danno agli affreschi sottostanti (vedi ♦ Luca Bergamo ha formulato la proposta di un «Archeo» n. 386, aprile 2017; on line su issuu.com). I Central Park archeologico libero e gratuito... primi risultati sono positivi, alcuni settori sono già L’idea di un Central Park non è calzante, perché quel36 a r c h e o
la è un’area verde, un parco pubblico come Villa Borghese, mentre questa è un’area prettamente monumentale. Della proposta di Bergamo si può accogliere la parte concernente i Fori, ma ripeto che l’ingresso deve essere a pagamento, o avremo un’invasione di tutta la microcriminalità che prospera intorno a quest’area. Anche il livello di civiltà dei turisti, non di tutti ma di alcuni, si è molto abbassato. Occorre una vigilanza costante per scongiurare danni al patrimonio.
assetto della piazza, consegnato nel novembre 2017. Prevede sulla piazza la creazione di una grande scalinata che sottrarrebbe spazio alla strada adiacente. Lo scopo è di ripristinare la centralità del Parco nella città.
♦ Il vostro Piano di assetto della piazza del Colosseo sottrarrebbe spazio al tratto di strada che unisce via dei Fori imperiali a via Labicana e, sul lato opposto, a via Celio Vibenna. Immaginate uno sbancamento parziale o totale? Totale non è possibile, per non compromettere la viabilità. La Soprintendenza Speciale, prima che nascesse il Parco archeologico del Colosseo, aveva commissionato all’Università Roma Tre uno studio sul piano di
♦ E la progettata caffetteria all’ingresso del Foro Romano a via della Salara Vecchia potrebbe essere aperta anche la sera? Sarebbe bello, legata anche a eventi serali.
♦ Non sarà facile coinvolgere i Romani, finché ci sarà una fila di 100 metri per entrare al Colosseo... Noi possiamo dedicare al pubblico residente giornate e ore particolari. Abbiamo fatto uno studio sull’affluenza, dal quale emerge che i gruppi arrivano il venerdí ♦ Dell’immagine e del nome del Colosseo tutti si mattina e ripartono il mercoledí sera o il giovedí matappropriano: ristoranti, pizzerie, palestre, alber- tina. Il giovedí è il giorno di minore afflusso, in particolare nelle due ore prima della chiusura. Si può creare ghi, siti web, agenzie turistiche… Abbiamo presentato il nuovo logo del Parco e abbiamo una consuetudine per la quale le ultime due ore del lanciato il nuovo sito web www.parcocolosseo.it, affinché giovedí, magari con un ingresso ridotto o addirittura gratuito, siano destinate ai Romani. sia indicizzato per primo, quando si digita «Colosseo».
♦ Possiamo immaginarla affacciarsi sul Foro Romano illuminato? In prospettiva. Quest’area, che è il biglietto da visita dell’Italia, dev’essere riqualificata. Adesso siamo assea r c h e o 37
L’INTERVISTA • ROMA
diati, non solo da questi flussi di turisti cosí ingenti, ma anche dai cantieri della metropolitana. Il Colosseo è circondato. Un assedio che, prevediamo, durerà almeno fino al 2022. Spero che, nel frattempo, avremo bonificato la piazza. Abbiamo fatto un sopralluogo con il vicesindaco, al quale ho voluto mostrare com’è ridotta ora la piazza del Colosseo, per la quale dovremo trovare congiuntamente una soluzione.
Stiamo anche lavorando per la riapertura del magazzino Bordoni, un ambiente nel Foro attualmente chiuso. ♦ Quali oggetti vi andranno? Pertinenti ai luoghi. Per esempio, esporremo la statua di Numa Pompilio nella Casa delle Vestali. Contestualizzeremo gli oggetti in questi spazi diffusi nel Parco.
♦ Avete annunciato la riapertura del La Casa delle Museo del Foro, nell’ex convento an- Vestali nel Foro nesso a S. Francesca Romana, e un Romano. Museo del Foro Diffuso. In quali spaIl complesso, zi sarà allestito? già sede del La Casa delle Vestali, il Clivus Victoriae, che è primo museo stato la prima sede del museo di Giacomo realizzato da Boni, le tabernae lungo la via Nova. Abbiamo Giacomo Boni, è appena aperto, in occasione della mostra destinato a «Roma universalis», il vicus ad Carinas e l’Arcus ospitare il Museo Latroni (vedi, in questo numero, alle pp. 80-103). del Foro Diffuso.
La Casa delle Vestali è destinata ad accogliere un nuovo «inquilino»: il re Numa Pompilio
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♦ Fino al prossimo 23 marzo, nella Curia, è in corso un ciclo di conferenze il cui fine è di «far rivivere i miti dei Greci e dei Romani, poiché il mito può offrire momenti di riflessione e confronto su storia e società odierna» (info: https:// parcocolosseo.it/evento/mythologica/). In che senso? Il mito fa parte della nostra vita, della nostra memoria, dei nostri pensieri. Qualsiasi nostra azione si basa su un substrato mitologico. I miti classici della Grecia antica si ricollegano
ad amori, passioni, sentimenti, azioni che sono alla base della vita quotidiana, della microstoria e anche della grande storia. Il mito fa parte della nostra vita, non è una cosa avulsa, e con questi incontri vogliamo far riflettere su quello che il mito può dare alla costruzione della nostra identità e anche alle azioni della nostra quotidianità.
Ancora una veduta del Colosseo e della valle antistante, nella quale si riconosce l’Arco di Costantino. Poco oltre il monumento trionfale zampillava la Meta Sudans, fontana monumentale di epoca flavia sacrificata negli anni Trenta del Novecento per consentire la realizzazione della via dei Trionfi (oggi via di San Gregorio).
♦ Il Colosseo, lamentate, «fagocita» gli altri monumenti... Anche quelli del Parco. Di questo Parco, vicinissimi al Colosseo. Molti arrivano, visitano il Colosseo e se ne vanno. Non hanno idea di cosa altro c’è da vedere. ♦ Che cosa intendete con la formula «Il Parco fuori dal Parco»? Il collegamento del Parco Archeologico del Colosseo con la città, con le periferie, con quei segmenti disagiati all’interno della città. L’idea che il Parco si metta al servizio del territorio, veicolandone la conoscenza. Non solo per invitare i cittadini a riscoprire l’area archeologica, ma anche per collegare tematicamente il Parco alle periferie, ai luoghi che hanno un legame con la storia.
♦ Racconta Stendhal, in Passeggiate romane, di una notte trascorsa nel Colosseo, in compagnia di amici: bussano al custode, che li lascia entrare, e lo mandano a comprare del vino. Poi fanno l’alba, tra un bicchiere e l’altro, declamando poesie. Oggi il turismo è un’altra cosa, con i vostri sette milioni di presenze... Questo pubblico cosí imponente che entra ogni giorno nel nostro Parco, con una media di 20 000 visitatori al giorno, va gestito e organizzato. I visitatori non sono profilati. Per ♦ Al visitatore si offre l’esperienza di un esempio, il grande afflusso del pubblico oriensito archeologico fra i piú importanti al tale si vede a occhio, ma non sappiamo se cimondo. Non sempre però, la visita si nese, giapponese o coreano. È un lavoro che propone in maniera «accogliente»... non è mai stato fatto. Stiamo predisponendo Stiamo lavorando sulle panchine, sui punti una rete wifi e chiederemo a chi si collega nazionalità, di sosta, sull’acqua (che non c’è, lasciando campo sesso, età. Profileremo il visitatore anche attraverso le libero ai venditori ambulanti). Dobbiamo rendere prenotazioni on line. questo luogo piú vivibile, liberarlo dalla plastica, dalle bottiglie d’acqua vuote buttate via dai turisti ♦ A quale scopo? incivili. Lo stiamo ripulendo. Questo dev’essere un Per migliorare l’offerta. Potremo suggerire diversi iti- luogo d’incontro, e deve aprirsi alla musica, al cinenerari, modulati secondo nazionalità, preferenze ed età. ma, a varie forme artistiche. a r c h e o 39
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POPOLI DELLA BIBBIA/2 – SUMERI, ASSIRI, BABILONESI
«TERRA ORIGINI»?
LA MITICA DELLE
Senza la Mesopotamia non esisterebbe la storia o meglio la storiografia dell’antico Israele. E senza la Bibbia le antiche civiltà mesopotamiche sarebbero ancora sepolte sotto cumuli di terra. Un rapporto, quello tra il piccolo regno del Levante e le grandi dinastie insediatesi sin dal III millennio a.C. tra l’Eufrate e il Tigri, segnato da contatti e conflitti, «appropriazioni indebite» e complesse «riletture» storico-cronologiche. A cui fanno da sfondo i nomi dei Patriarchi – da Abramo a Giacobbe – insieme a quelli dei grandi sovrani mesopotamici, tra cui Sargon, Sennacherib e il leggendario Nabucodonosor… di Marta Rivaroli
«B
ibbia e Mesopotamia sono le due facce della stessa medaglia!», si potrebbe affermare, definendo metaforicamente «medaglia» la storia del Vicino Oriente antico. Le due realtà sono infatti strettamente dipendenti una dall’altra. Esaminiamo il dritto della medaglia: l’Antico Testamento. I riferimenti a Ninive e Babilonia sono continui. Ninive è la capitale del re assiro Sennacherib, che tentò la conquista di Gerusalemme ma fu fermato dall’intervento di Yahweh. Babilonia è la città di Nabucodonosor II, 42 a r c h e o
La Torre di Babele, olio su tavola di Pieter Brueghel il Vecchio. 1536. Vienna, Kunsthistorisches Museum. L’immaginario veterotestamentario, magistralmente riprodotto dal maestro fiammingo, si ispirò forse alla grande ziqqurat di Marduk, ancora in fase di costruzione all’arrivo degli Ebrei nella città mesopotamica dopo la loro espulsione da Gerusalemme, conquistata dal caldeo Nabucodonosor II.
POPOLI DELLA BIBBIA/2 • SUMERI, ASSIRI, BABILONESI
responsabile della distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio. È il luogo dell’esilio forzato degli Ebrei fino all’ingresso trionfante di Ciro attraverso la celebre Porta di Ishtar, oggi conservata al Pergamon Museum di Berlino.
RIFERIMENTI PUNTUALI Ed ecco il rovescio della medaglia: i ritrovamenti archeologici. Quei puntuali riferimenti biblici al contesto mesopotamico furono il giusto stimolo che dette vita, intorno alla metà del XIX secolo, alle prime avventurose esplorazioni archeologiche in Iraq (vedi box in questa pagina). Fu subito chiaro che le scoperte avrebbero rapidamente cambiato la storia, sia quella già scritta, sia quella che si stava vivendo, aprendo a una stagione di ricerche, studi, decifrazioni che ancora oggi, nonostante i tragici avvenimenti in Iraq, prosegue ininterrottamente. I reperti che via via emergevano, come i bassorilievi assiri con scene di guerra, sembravano confermare figurativamente gli orrori narrati nelle citazioni bibliche. Accanto a questi, però, la terra riconsegnava alla storia migliaia di tavolette d’argilla con una scrittura fatta di cunei. Grazie al lavoro e all’intuito di personaggi come Georg Friedr ich Grotefend (1775-1853), Edward Hincks (1792-1866), Henr y Creswicke Rawlinson (1810-1895) e Jules Oppert (18251905), quelle tavolette cuneiformi presero vita raccontando al mondo storie, pensieri, economie, cerimonie di un popolo ritenuto «epico», perché ancora non conosciuto. (segue a p. 48) In alto: particolare del rilievo raffigurante la battaglia di Til-Tuba, dal Palazzo Sud-Ovest di Ninive. 660-650 a.C. Londra, British Museum. A destra: tavola ottocentesca raffigurante Austen Henry Layard che, a Ninive, sovrintende alla rimozione di un toro androcefalo. 44 a r c h e o
1842: NASCE L’ARCHEOLOGIA ORIENTALE Nel 1842 il console francese Paul-Émile Botta intraprende l’esplorazione della collina di Kuyunjik presso Mossul. Sconfortato dagli scarsi risultati, abbandona le ricerche passando a un altro sito e lasciando cosí campo libero al britannico Austen Henry Layard. Mai scelta ebbe cosí gravi conseguenze! Nel giugno 1847 Layard decide di riprendere gli scavi sulla collina di Kuyunjik, concessa generosamente dal suo amico Botta, e trova Ninive. Forse la conoscenza della toponomastica avrebbe potuto aiutare Botta (Kuyunjik è la corruzione di Qal’at Nunya «cittadella di Ninive»). Ma la storia di Ninive «scippata» non è finita. Aprile 1852. Le ricerche sulla collina di Kuyunjik riprendono, questa volta da entrambe le missioni. Il settore nord è di pertinenza della missione francese, guidata da Victor Place, mentre all’inglese sir Henry C. Rawlinson, nuovo direttore, è affidato il settore est. Hormuzd Rassam, l’aiutante di Rawlinson, si accorge che il settore francese è quello giusto e per tre notti consecutive vi lavora, segretamente, con una squadra di operai scoprendo il 20 dicembre 1853 il Palazzo Nord di Assurbanipal, gli splendidi rilievi della caccia al leone e il secondo lotto della «Biblioteca di Assurbanipal». A nulla valsero le proteste del governo francese.
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Golfo Persico
arabico
a r c h e o 45
POPOLI DELLA BIBBIA/2 • SUMERI, ASSIRI, BABILONESI
Avanti Cristo FASI ARCHEOLOGICHE
ALTA MESOPOTAMIA
BASSA MESOPOTAMIA
4500
Tepe Gawra
3900 3300 TARDO CALCOLITICO 1-5
2900 BRONZO ANTICO II
2750
2000 BRONZO ANTICO III
Ninive 3
Ninive 4
Ninive 5
Chagar Bazar 5
Uruk Antico-Medio
Uruk Tardo
Jemdet Nasr
Protodinastico I
Protodinastico II
(3300-3100 a.C.)
(3100-2900 a.C.)
(2900-2750 a.C.)
(2750-2600 a.C.)
XII-VIII
Post Ubaid
SIRIA PALESTINA
Colonie Uruk
ANATOLIA
Colonie Uruk
IRAN
Colonie Uruk
46 a r c h e o
3100 BRONZO ANTICO I
Amuq G Amuq Q
Periodo proto-elamico (dal 2700 a.C.)
(2500-2300 a.C.)
Shakkanakku a Mari
Amuq
Amuq J
Ebla
0
2000/1950 BRONZO ANTICO III/IV
Ninive 5 Tardo
1600/1550
BRONZO MEDIO
1200/1150
1100/500
BRONZO TARDO
ETÀ DEL FERRO
Periodo mittanico
Periodo neo-assiro
(1550-1360 a.C.)
(1050-612 a.C.)
«Età oscura»
Periodo medio-assiro
Periodo neo-babilonese
(1750-1550 a.C.)
(1360-1050 a.C.)
Periodo paleo-assiro (1950-1750 a.C.)
(625-539 a.C.)
Protodinastico III A (2600-2450 a.C.)
Paese del Mare II din.
Protodinastico III B (2450-2350 a.C.)
Periodo accadico (2350-2200 a.C.)
Isin/Larsa (2000-1800 a.C.)
Periodo guteo
Periodo paleobabilonese
(2200-2120 a.C.)
(1800-1595 a.C.)
Dominio assiro
(1025-1005 a.C.)
Periodo cassita
Isin II
(1600-1150 a.C.)
(1150-1025 a.C.)
(725-625 a.C.)
Dinastia di Bazi
Periodo neobabilonese
(1005-985 a.C.)
(625-539 a.C.)
Tribu caldee
Ur III
(dal 700 a.C.)
(2112-2004 a.C.)
Amorrei (2000 a.C.)
Periodo achemenide
Mari (1850-1750 a.C.)
Yamkhad (1800-1600 a.C.)
Alalakh VII -Hyksos-
Condominio Condominio egizio-ittita egizio(1370-1190 mittanico a.C.) (1550-1370 a.C.)
«Popoli del Mare»
(dal 550 a.C.)
Stati aramaici
Dominio assiro
(1100-720 a.C.)
(725-625 a.C.)
Stati neo-ittiti
Dominio neo-babilonese
(1100-720 a.C.)
(625-539 a.C.)
(XII sec. a.C.)
Antico regno ittita (1650-1550 a.C.)
Impero ittita Periodo (1370-1190 a.C.) Nairi medio ittita (circa Kizzuwatna (1550-1370 «Popoli del 1000 a.C.) a.C.) Mare»
Urartu
Dominio medo
(800600 a.C.)
Frigi
(XII sec. a.C.)
Awan ed Elam (2350-2100 a.C.)
Dinastia di Shimashki
Dinastia dei Sukkal-makh
(2100-2000 a.C.)
(1900-1750 a.C.)
Regno Medio-Elamico (1500-1100 a.C.)
Regno neo-elamico
Media e Persiani
(750-650 Mosè distrugge a.C.) le(650Tavole della Legge, olio su tela Rembrandt. 1659. 550dia.C.) Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie. a r c h e o 47
POPOLI DELLA BIBBIA/2 • SUMERI, ASSIRI, BABILONESI
Di lí a poco l’identificazione del nome del re israelitico Jehu sull’«Obelisco nero» di Salmanassar III (vedi foto qui sotto), la decifrazione del toponimo Lachish su alcuni rilievi di Sennacherib e, soprattutto, la traduzione dell’XI tavoletta del Poema di Gilgamesh a opera di George Smith (1840-1876) aprirono a una stagione febbrile di scavi tesi a rintracciare i rapporti tra Mesopotamia e Antico Testamento (vedi box alle pp. 5051). Grazie alla Bibbia, le antiche civiltà dei Sumeri, degli Assiri e dei Babilonesi sono state riscoperte e la Mesopotamia ha assunto la connotazione di «culla della civiltà». La Ur dei Caldei, patria di Abramo, il Paese di Sennaar che Abramo, Sara e Lot lasciarono per recarsi in Canaan (Genesi 11, 31), il Paddan-Aram dove Abramo inviò il servo per scegliere una moglie non cananea per il figlio Isacco (Genesi 24, 10) e come fece in seguito Giacobbe (Genesi 28, 1-5), sono tutti luoghi identificabili con la Mesopotamia e legati alla storia delle origini di Israele (età dei Patriarchi). Questa storia viene fatta risalire, attraverso la sequenza delle genealogie, al III millennio a.C., quindi all’età dei Sumeri.
PERCHÉ I SUMERI? In realtà, precisi elementi come la menzione dei Caldei, il toponimo Paddan-Aram e la definizione di Labano (fratello di Rebecca, moglie di Isacco e madre di Giacobbe, n.d.r.) come «l’arameo», collocano questi luoghi nella Babilonia del I millennio. Allora perché inserire i Sumeri in un quadro storico dedicato ai popoli della Bibbia? Nel periodo sumerico furono elaborati i tratti costitutivi della tradizione 48 a r c h e o
A sinistra: uomini armati presso i resti di Ur (oggi in Iraq meridionale), il cui scavo fu avviato nel 1922 da Charles Leonard Woolley. 1916. A sinistra e in questa pagina: veduta d’insieme e particolare dell’«Obelisco nero» di Salmanassar III, da Nimrud. 825 a.C. Londra, British Museum. Il monolite celebra le gesta del sovrano e mostra, fra l’altro la consegna dei tributi da parte di varie genti.
a r c h e o 49
POPOLI DELLA BIBBIA/2 • SUMERI, ASSIRI, BABILONESI
LA BIBBIA AVEVA RAGIONE! Nel 1866 il giovane assiriologo George Smith scoprí, tra i testi della «Biblioteca», l’XI tavoletta del Poema di Gilgamesh (copia assira di un testo del XIV sec. a.C.), uno dei principali racconti mesopotamici. Il testo riporta l’incontro di Gilgamesh con Ut-napishtim, l’eroe sopravvissuto al diluvio. Del racconto che quest’ultimo fa dell’evento catastrofico riportiamo qui un breve passo: «Sei giorni e sei notti andò il vento. Il nubifragio la tempesta il diluvio livellarono il paese. Quando arrivò il settimo giorno si placò la tempesta (…) non L’XI tavoletta del Poema di Gilgamesh, da Kuyunjik (Ninive). VII sec. a.C. Londra, British Museum. Il testo del prezioso documento, che presenta un resoconto del diluvio assai simile a quello contenuto nel Libro della Genesi, venne decifrato nel 1866 dall’assiriologo George Smith.
mesopotamica a cui fecero poi riferimento tutte le culture che si avvicendarono nel territorio. Questa consapevolezza portò anche il popolo ebraico ad ancorare le proprie origini a questo luogo (Mesopotamia) e a quel tempo (III millennio). Ecco perché i Sumeri meritano di essere ricordati, benché la Bibbia non ne parli. L’origine dei Sumeri, che si autodefinivano «teste nere» (sag-gi) e non erano autoctoni della Mesopotamia, è ancora oggi oggetto di accesi dibattiti. I Sumeri sono considerati il primo popolo della storia mesopotamica, anche se studi epigrafici sull’onomastica hanno ormai accertato la presenza, fin dall’inizio, di genti di lingua semitica. Sono loro probabilmente l’elemento autoctono, spinto dai «colo50 a r c h e o
nizzatori» nella parte nord dell’al- sistema di canali artificiali.Tale opeluvio, nella regione di Kish. razione può essere attuata soltanto da una complessa struttura organizzativa, capace di convogliare e diriLE PRIME CITTÀ Il Tigri e l’Eufrate delimitano un gere una ingente forza lavoro. territorio potenzialmente molto Basato sulla stratificazione del lavoro fertile, caratterizzato da un ambien- e su un controllo fortemente centrate acquitrinoso e paludoso, tipico lizzato, questo sistema viene legittidel paesaggio basso-mesopotamico mato sacralmente, ancorandolo nel tempo del mito. Inizialmente sono per tutta la sua storia millenaria. Al controllo delle acque si deve gli dèi minori (Igigi), come narrato principalmente, ma non solamente, nel mito Enki e Ninmakh, a portare la nascita della città all’interno di la cesta del lavoro e a scavare canali quel fenomeno definito «rivoluzio- mentre i grandi dèi sovrintendono. ne urbana» da Vere Gordon Childe Alla fine, stanchi, chiederanno l’in(1892-1957), ma che le indagini tervento del dio Enki, perché crei archeologiche rendono meno «ri- un sostituto che li sollevi dalla fatica voluzione» e piú «processo gradua- e il dio creatore plasmerà l’uomo. le». Per poter coltivare e vivere in Per i Sumeri, quindi, l’uomo è il un contesto geografico cosí partico- continuatore dell’opera divina sulla lare, si devono mettere in atto pro- terra in cambio della benevolenza cessi di bonifica tramite un accurato degli dèi (cosí come molto diverso
c’era piú rumore e tutta l’umanità era diventata argilla». Il testo suscitò grande meraviglia per via della corrispondenza quasi puntuale con il racconto biblico. «Ecco la prova che la Bibbia aveva ragione!» pensarono sicuramente in molti… e il Daily Telegraph aprí una sottoscrizione pubblica per la raccolta di fondi, cosí da inviare Smith a Ninive alla ricerca delle parti mancanti della «Storia caldea della Genesi». Questa scoperta contribuí a far nascere una disciplina, l’assiriologia, e a dare nuovo impulso all’esegesi biblica.
risulta il rapporto tra il popolo ebraico e Yahweh, che si fonda su un’alleanza ribadita ogni volta che il popolo infrange il patto).
CONTROLLO DIVINO I Sumeri erano strutturati in cittàstato, ognuna legata a una specifica divinità alla quale era attribuita la stessa fondazione urbica. La città quindi è del dio, che vi risiede all’interno della sua casa (il tempio) e la cui presenza, tramite la sua statua, ne assicura la prosperità. Quando il dio abbandona la città, questa finirà per crollare, secondo un topos destinato ad avere una grande eco, soprattutto con il genere letterario delle lamentazioni, presente anche nella tradizione biblica. Come le varie città sono collegate tra loro da rapporti di
subordinazione, cosí lo sono le varie divinità tramite rapporti di parentela. Le divinità principali del pantheon sumero sono Anu, Enlil e Enki, la cosiddetta «triade cosmica» a cui è attribuita la creazione dell’intero cosmo. A questi tre dèi è affidato il controllo di Sumer anche a livello geografico. Al centro del «kalam», come i Sumeri chiamavano il loro territorio, si trova Uruk, la città del dio Anu, padre degli dèi e dio del cielo (An in sumerico è cielo) garante della stabilità del cosmo. Non Rilievo raffigurante gli uomini catturati durante la presa di Lachish e destinati all’esecuzione che vengono condotti davanti a Sennacherib, dal Palazzo Sud-Ovest di Ninive. 700-691 a.C. Londra, British Museum.
POPOLI DELLA BIBBIA/2 • SUMERI, ASSIRI, BABILONESI
è forse casuale che, a livello archeologico, sia Uruk a detenere ancora il primato indiscusso della nascita della «città» e della «scrittura» (vedi «Archeo» n. 341, luglio 2013; on line su issuu.com). A nord del Paese si trova Nippur, sede del dio Enlil, capo del pantheon, che controlla la sfera umana e terrena. Nell’Ekur, il santuario di Enlil, si riunisce annualmente l’assemblea divina per decretare i destini del mondo. Eridu, la città piú meridionale di Sumer, anticamente in riva al mare, è infine la sede del dio Enki. A questo dio spetta il controllo delle acque primordiali (Abzu/Apsu), elemento benefico e distruttivo al tempo stesso. Nel mito Enki e l’ordine del mondo, è lui a creare i vari aspetti della natura e a ordinare il mondo assegnando alle divinità le diverse sfere d’azione. Enki ha un rapporto speciale con il genere umano: gli dà vita, plasmandolo nell’argilla, lo guida, fornendo
In alto: tavoletta in argilla su cui è incisa la pianta di Nippur. 1400 a.C. Jena, Friedrich Schiller Universität. In basso: un settore dello scavo del sito di Nigin, presso Nassiriya (Iraq).
gli elementi costitutivi del vivere civile, e lo protegge, salvandone una parte, quando gli dèi decidono di sterminare l’umanità con il diluvio. Alla metà del III millennio a.C. emerge la dinastia di Akkad (23502200 a.C.), portatrice di un modello
culturale, quello semitico, che scardinerà il sistema delle città-stato, e ideatrice di un adattamento dei caratteri cuneiformi per scrivere la propria lingua, l’accadico, che sostituirà il sumerico. Da questo momento la Mesopotamia viene concepita come una realtà dimorfica territorialmente e culturalmente: la terra di Sumer e il territorio di Akkad. Spetta a Enlil l’arduo compito di unire queste due realtà. Posta al confine tra Sumer e Akkad, Nippur assume il ruolo di città sacra, dove viene conferita la regalità e dove si deve recare ogni re per rendere conto al dio del proprio operato. Nella concezione accadica, la regalità non è piú assegnata a una città, ma a un uomo, il sovrano, che per conto degli dèi deve allargare i confini del regno, conquistando nuovi territori. A partire da Sargon di Akkad è attestato l’impiego dei titoli «re delle quattro regioni» e «re della totalità».
UNA MISSIONE ITALIANA NEL PAESE DI SUMER Dal 2014 una missione italiana, guidata da Davide Nadali («Sapienza» Università di Roma) e Andrea Polcaro (Università degli Studi di Perugia), ha ripreso lo scavo di Nigin (Tell Surghul) nella provincia di Nassiriya, con l’obiettivo di ricostruire il paesaggio,
52 a r c h e o
rintracciando l’antica linea di costa e la rete di canali di cui parlano le fonti. Stando ai testi cuneiformi, Nigin era uno dei piú importanti centri sumerici del III millennio e aveva un rapporto privilegiato con l’elemento acquatico: era una città costiera nel IV millennio, mentre nel III millennio, in seguito alla regolamentazione dei canali idrici, fu il perno di uno straordinario sistema di vie d’acqua, che collegava i principali centri della regione (Lagash, Girsu, Nigin) al mare e al corso del Tigri.
Il mondo è ora diviso in quattro regioni, che coincidono con i confini naturali: sull’asse est-ovest la montagna (Zagros) e la steppa (deserto siriano), su quello nord-sud il mare superiore (Mediterraneo) e inferiore (Golfo Persico). Alla fine del III millennio si assiste alla «rinascita sumerica». La III dinastia di Ur (2112-2004 a.C.) mette a punto un sistema di controllo amministrativo sovra-regionale di tipo unitario (sistema ponderale, assetto viario, apparato burocratico, sistema fiscale, sistema giuridico, introduzione nuovo calendario). A questo corrisponde un’intensa elaborazione del patrimonio culturale che dà vita alla tradizione che, a ragione, si definisce sumero-accadica.
RAPPORTI CONFLITTUALI «Kush generò Nimrod (…) L’inizio del suo regno fu Babele, Erech, Accad e Calne, nel paese di Sennaar. Da quella terra andò in Assiria e costruí Ninive, Recobot-Ir e Càlach e tra Ninive e Càlach, Resen»: cosí si legge nella «Tavola delle Nazioni» (Genesi 10, 8-12) che lega l’Assiria e la costruzione delle sue capitali a Nimrod, sorta di «eroe culturale» o, nell’ottica antico-testamentaria, antenato eponimo discendente di Cam (uno dei tre figli di Noè, n.d.r.), qualificato come cacciatore, re, costruttore di città e conquistatore. Sono tutti elementi che, agli occhi del redattore del testo, lo connotano negativamente – è Caino il primo costruttore di città (Genesi 4, 2; 17) – e associano, allo stesso tempo, ai sovrani assiri contro i quali si scontreranno i regni di Giuda e Israele dalla metà dell’VIII fino alla fine del VII secolo a.C. Per questo periodo disponiamo d’una straordinaria varietà di fonti. Ai testi biblici (2 Re, 1-2 Cronache, Isaia, Giona, Nahum, Sofonia) fanno da puntuale contrappunto le iscrizioni assire dei vari sovrani, le fonti icono-
grafiche dei palazzi neoassiri e i dati archeologici dei centri urbani della Palestina. Seguendo la narrazione di 2 Re, si notano due modalità differenti di utilizzare – in chiave ideologica e moralistica – l’invasione assira, entrambe legate al comportamento Figurina di fondazione in bronzo del re Ur-Nammu, da Nippur. XXI sec. a.C. Baghdad, Iraq Museum.
religioso tenuto dai re di Giuda e di Israele. Nel primo caso il sovrano assiro è lo strumento della vendetta divina verso coloro che trasgrediscono l’alleanza con Yahweh, come per esempio nell’episodio della presa di Samaria a opera di Sargon II, che determinerà la fine del regno di Israele (2 Re 18,10-12). Nel secondo caso, la spedizione assira è descritta come una minaccia per il re giusto, al quale Yahweh, tramite la figura del profeta, assicura il suo sostegno. Esemplare è la descrizione della III campagna di Sennacherib, che portò il re assiro nel 701 a.C. ad accamparsi sotto le mura di Gerusalemme. A differenza di Osea di Israele, Ezechia di Giuda viene presentato come un uomo pio. L’arrivo di Sennacherib viene quindi connotato diversamente. Il sovrano assiro «non marcia contro», ma «assale» il regno di Giuda, prendendo tutte le fortezze. Tra queste c’è anche Lachish, le cui fasi di assedio e conquista sono narrate per immagini nei bassorilievi ritrovati nel «Palazzo senza rivali» a Ninive. Il momento significativo, sul piano storico e ideologico, è l’assedio di Gerusalemme. Le fonti assire e bibliche descrivono l’episodio con modalità differenti. Nel testo di Sennacherib si menziona brevemente l’assedio («lo rinchiusi in Gerusalemme come un uccello in gabbia») che non prevede alcuna possibilità di salvezza («chi voleva uscire dalla città veniva respinto alla sua miseria»), per poi passare al lungo elenco del bottino portato in Assiria. Nel testo biblico (2 Re 18-19), invece, viene sottolineata la rettitudine di Ezechia, ricompensata con l’intervento salvifico di Yahweh che, tramite il profeta Isaia, assicura il re che Sennacherib «ritornerà per la strada per cui è venuto; non entrerà in questa città» (2 Re 19,33). Dio invia infatti nell’accampamento assiro un angelo sterminatore che uccide 185 000 soldati e costringe il re a rientrare a Ninive dove troverà la a r c h e o 53
POPOLI DELLA BIBBIA/2 • SUMERI, ASSIRI, BABILONESI
L’ASSEDIO DI LACHISH I dettagliati rilievi dell’assedio di Lachish costituiscono un perfetto contraltare visivo al racconto annalistico. La caratterizzazione topografica della città trova poi rispondenze puntuali nelle tracce materiali emerse nello strato archeologico di Lachish III (fase della distruzione). L’archeologo David Ussishkin ha infatti messo in luce il terrapieno costruito dall’esercito assiro, la porta presa d’assalto dai soldati e addirittura, come sostiene, ha individuato il punto da dove Sennacherib, seduto sul trono, ha assistito alla presa della città. «Quanto a Ezechia il giudeo, che non si era sottomesso al mio giogo, assediai 46 delle sue fortezze, roccaforti e villaggi senza numero nelle loro vicinanze e li conquistai per mezzo di rampe d’assedio, avvicinandovi arieti e con combattimenti corpo-a-corpo della fanteria, tunnel, brecce e scale d’assalto. 200.105 persone, giovani e vecchi, uomini e donne; cavalli, muli, asini, cammelli, bestiame grosso e minuto senza numero depredai e li presi come bottino» (Daniel David Luckenbill, The Annals of Sennacherib, 1924 pp. 32-34).
54 a r c h e o
Nella pagina accanto, a sinistra e in questa pagina, in basso: punte di freccia rinvenute a Tel Lachish, riferibili alla battaglia fra Sennacherib ed Ezechia, re di Giuda.
Qui sopra, a sinistra e a destra: due immagini dei resti di Lachish, oggi visitabili nel Parco archeologico di Tel Lachish (Israele). A sinistra: rilievo raffigurante l’esercito di Tiglath-Pileser III che attacca una città fortificata. 728 a.C. Londra, British Museum.
morte per mano dei suoi figli. La punizione divina sarà compiuta.
UN POPOLO DA RIVALUTARE La storia dell’Assiria parte dalla città di Assur e dal suo dio eponimo. Nel corso di tre millenni Assur si sviluppa da centro e snodo commerciale (III millennio a.C.) a regno regionale (XIV secolo a.C.), fino a diventare un vero e proprio impero che estende il suo controllo fino all’Egitto (metà del IX-VII secolo a.C.). Nella fase di formazione, la capitale è Assur, sede del dio omonimo. Quando la capitale politica venne trasferita (Nimrud, Khorsabad, Ninive), la città di Assur restò l’unica sede del culto di Assur e luogo in cui il sovrano veniva intronizzato e poi sepolto. La stabilità del regno è quindi data dall’inamovibilità di Assur: il dio è strettamente legato alla città e non
è possibile realizzare suoi templi in altri luoghi. Questo è forse il legame maggiore con la cultura ebraica, dove la centralità e unicità del tempio di Gerusalemme è uno degli elementi fondanti del lungo processo di formazione del monoteismo. I resoconti militari e i rilievi presentano gli Assiri come un popolo assai crudele. C’è però da chiedersi se l’insistenza nell’elencare in forma scritta e visuale cumuli di teste, torture inflitte, saccheggi e deportazioni, non debba essere ricondotta piuttosto a una «propaganda del terrore». La politica assira, in effetti, non era tesa a trasformare i territori conquistati in deserto, ma a renderli produttivi e popolosi. Nell’ideologia regale, il sovrano è il vicario di Assur e agisce in ogni momento per conto e su mandato del dio. Al momento della sua intronizzazione, Assur stesso gli consegna l’arco «per estendere i confini», con a r c h e o 55
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il cerchio e il regolo per ordinare quanto appena conquistato. Nella documentazione assira viene poi costantemente ribadito che l’entrata in guerra non è mai volontaria. L’intervento assiro si rende necessario per una colpa del nemico (rottura di un patto, aggressione, congiura). Rileggendo con attenzione i testi, infine, appare chiara l’articolazione della conquista in due tappe. Una prima fase distruttiva, con le città «assediate, conquistate, distrutte e ridotte ad un cumulo di rovine» e la popolazione deportata. Una seconda costruttiva, che trasforma il Paese vinto in una provincia oppure in uno stato tributario dell’Assiria. I centri urbani vengono ricostruiti e «assirizzati», per cosí dire, con la presenza di un nuovo palazzo, sede del governatore assiro. Inoltre la città e il territorio circostante vengono ripopolati con genti deportate da altri territori che costituiscono il nuovo popolo «assiro».
NASCITA DI UN IMPERO Nelle fonti assire si fa continuo riferimento al proposito di realizzare un regno universale, facendo coincidere i limiti del mondo (le quattro regio-
ni) con quelli dello Stato. Allo stesso modo tutte le componenti straniere devono essere assorbite e diventare parte dell’Assiria. Il titolo regale šar kiššatim, tradotto «re della totalità», sta a indicare proprio il raggiungimento di questo proposito. Tale visione è ravvisabile in ogni aspetto della cultura assira. Nelle città si realizzano splendide opere edilizie, utilizzando materiali provenienti da ogni territorio, impiegando maestranze e artigiani da tutto il mondo ed elaborando architetture nate dal-
la fusione di stili diversi. Accanto a queste residenze vengono realizzati giardini con ogni specie di piante, veri e propri orti botanici. In ambito religioso ogni divinità straniera viene accolta nel pantheon assiro e ha una «casa» (tempio). A livello sociale, i deportati vengono totalmente integrati, dando vita a una società multietnica. Da ultimo, questo proposito universalistico viene percorso attraverso la raccolta sistematica del sapere, che confluisce negli archivi palatini In alto: rilievo raffigurante prigionieri sorvegliati da soldati, dal Palazzo SudOvest di Ninive. 700-691 a.C. Londra, British Museum. A sinistra: monolite noto come «Obelisco rotto» raffigurante il re che tiene due coppie di prigionieri con una corda, da Kuyunijk (Ninive). XI sec. a.C. Londra, British Museum.
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dando vita a quella che è stata de- Babilonia. Veduta aerea dei resti della ziqqurat di Marduk. finita la «Biblioteca di Assurbanipal». Ma il sogno sarà infranto. La fine verrà con la caduta di Ninive (612 a.C.) sotto i colpi della coalizione medo-babilonese, facendo cosí avverare le profezie bibliche: «Farà di Ninive una desolazione arida come il deserto» (Sofonia 2,13).
BABILONIA E LA BIBBIA Una leggenda giudaica cosí descrive la fine della Torre di Babele: «Una parte sprofondò nel terreno, un’altra venne consumata dal fuoco, solo un terzo rimase in piedi. Il luogo dove sorge conserva ancora oggi una particolarità: chiunque vi passa dimentica tutto ciò che sa». Babilonia è l’unica città mesopotamica ad aver superato i limiti temporali e tradizionali della storia del Vicino Oriente antico (metà del IV millennio-539 a.C.). Fu una delle capitali imperiali degli Achemenidi e vide l’ingresso trionfale di Alessandro Magno, che qui stabilí la sua corte e qui morí nel 323 a.C. La sua storia è stata spesso scambiata per leggenda fino alle scoperte archeologiche e alla traduzione dell’ingente materiale epigrafico, che hanno rivelato una complessa cultura millenaria o, meglio, un insieme di complesse culture. Sul trono di Babilonia si sono avvicendate una serie di dinastie (Amorrei da ovest, Cassiti da est, Assiri da nord e Caldei da sud), ognuna delle quali ha lasciato il proprio segno. Il primo protagonista assoluto della storia di Babilonia, soprattutto in riferimento alla Bibbia, è Hammurabi (1792-1750), a cui si deve l’emergere di Babilonia da centro provinciale a capitale di un regno, l’inizio della «carriera» del dio poliade Marduk e la costruzione di un nuovo modello socio-culturale, largamente influenzato da un apporto amorreo. La ricca documentazione testuale (lettere, testi economici, letterari, giuridici) e, soprattutto, il «Codice di Leggi» (una raccolta di
ENUMA ELISH, IL RACCONTO DELLA CREAZIONE Dopo aver ucciso l’essere mostruoso acquatico Tiamat, Marduk inizia la sua opera di «creazione» dell’universo. Egli divide in due parti il corpo di Tiamat: sollevando la sua metà superiore realizza il cielo dove stabilisce la dimora di Anu e Enlil, fissa al suo interno la posizione delle stelle e regola la durata dell’anno, del mese e del giorno mediante il percorso delle stelle, della luna e del sole. Con la metà inferiore Marduk «crea» la terra utilizzando le varie parti del corpo mostruoso come elementi topografici: sopra la testa accumula polvere, formando quindi la superficie terrestre, dai suoi occhi fa sgorgare il Tigri e l’Eufrate, sul suo seno realizza le «montagne distanti», ricche di fonti d’acqua. Marduk, ricevute le insegne della regalità, decide infine di realizzare la sua dimora e fonda Babilonia.
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norme incisa su una grande stele in basalto rinvenuta a Susa e oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi, n.d.r.), permettono la ricostruzione del quadro sociale del periodo.
IL PASTORE DEL POPOLO Due gli elementi di novità da segnalare: il sovrano legittima il suo ruolo non piú ancorandosi a un’ipotetica filiazione divina, ma a un antenato comune, attraverso il ricorso alle genealogie. L’amministrazione della giustizia è direttamente esercitata dal re, che assume i caratteri di re giusto e pastore del suo popolo. Probabilmente una delle principali novità del suo regno fu l’introduzione della «legge del taglione» in sostituzione della pena pecuniaria della tradizione sumerica. Entrambi gli elementi sono parte di una tradizione amorrea comune a tutto il contesto siro-mesopotamico
e si ritrovano come motivi topici anche nei testi biblici. Il secondo grande protagonista è Nabucodonosor I (1126-1104 a.C.), della II dinastia di Isin, che riuscí a ristabilire l’indipendenza di Babilonia dopo un lungo periodo di dominio straniero (dinastia cassita) e di distruzioni da parte dell’Assiria e dell’Elam. Egli dette vita a una vera e propria riforma religiosa che innalzò il dio Marduk a capo assoluto del pantheon mesopotamico. A questo periodo risale la redazione finale dell’Enuma elish, un
inno di glorificazione di Marduk nel quale il dio è presentato come il creatore del mondo e di Babilonia (vedi box a p. 57). Questo inno, che presenta analogie con il testo biblico, era recitato dal sacerdote di Marduk durante la festa del Nuovo Anno (akitu), in cui si attuava ritualmente il rinnovamento dell’istituto templare, di quello regale e dell’intero cosmo. L’ultimo personaggio in primo piano nella Babilonia biblica è il caldeo Nabucodonosor II (605-562 a.C.), che entrerà nell’immaginario col-
GLI SCAVI DI BABILONIA Iniziati nel 1899 a opera di Robert Johann Koldewey (1855-1925), gli scavi di Babilonia hanno in parte messo in luce l’impianto urbano della città. Una doppia cinta muraria interna racchiude il
Eufrate
A destra e nella pagina accanto: piante di Babilonia con le tre principali aree della città, i nomi dei quartieri e le fortificazioni completate sotto Nabucodonosor II (604-562 a.C.). In basso: la Porta di Ishtar. VI sec. a.C. Berlino, Vorderasiatisches Museum.
palazzo e il tempio, cuore nevralgico di Babilonia. La città è protetta da una cinta difensiva esterna, detta «muro forte». A sua volta questo paramento è delimitato da un fossato esterno, Palazzo d’Estate
M ur au rb an ee
Porta di Ishtar
ste rn e
Porta di Enlil
Fossato Porta di Marduk
Città nuova
Porta di Lugalirra Porta del Re Porta di Adad
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Fossato
Kumar
Kullab Eridu e ra Mu intern e an urb
Tuba Porta di Urash Porta di Shamash
Porta di Zababa
lettivo per la sua conquista di Gerusalemme (vedi box a p. 60).
LA DISTRUZIONE DI GERUSALEMME «O Signore (…) hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto Gerusalemme in macerie, hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi fedeli agli animali selvaggi. Hanno versato il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme, e nessuno seppelliva … Fino a quando, Signore, sarai adirato: per sempre?» (Salmo 78, 1-5).
ricavato da una deviazione del fiume Eufrate che attraversa poi il centro politico e cerimoniale. L’Eufrate, canalizzato all’interno della città, è parte integrante del paesaggio urbano. Un ponte
Palazzo principale
Euf
rat
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Avancorpo occidentale
Porta di Ishtar
ella Via d ssione e Proc
Palazzo meridionale
consentiva l’attraversamento e il congiungimento dei quartieri ai lati del fiume e la possibilità di raggiungere il complesso del tempio e della ziqqurat del dio Marduk.
Tempio di Nin-mah
Porta di Marduk
Tempio di Ishtar
Porta di Zababa
Tempio di Marduk Tempio di Ishara
Tempio di Ninutta
In alto: la decorazione in mattoni smaltati che ornava la Via della Processione di Babilonia. VI sec. a.C. Berlino, Vorderasiatisches Museum.
Ci sono date che segnano uno spartiacque nella storia dei popoli, perché legate a un evento che ha determinato in maniera inesorabile un «prima e dopo». Per il popolo ebraico questa data è sicuramente il 587 a.C., quando Nabucodonosor II conquista Gerusalemme, distrugge il Tempio di Yahweh e deporta la popolazione a Babilonia. Discorso complesso, quindi, il rapporto tra Babilonia e Bibbia, perché giocato su piú piani che si intersecano continuamente. Esiste un piano che potremmo definire storico ed è la descrizione del drammatico evento. Nei testi biblici (2 Re 24-25; 2 Cronache 36,5-23) la distruzione di Gerusalemme appare come la «cronaca di una morte annunciata»: piú volte Yahweh ha ammonito il re e il popolo di ravvedersi fino a quando fece marciare contro di loro il re dei Caldei. In Geremia, Ezechiele e, soprattutto, nel libro delle Lamentazioni, la narrazione riprende per stile e tema la modalità di racconto delle «Lamentazioni per la distruzione delle città», riferite a un genere letterario attestato in Mesopotamia fin dal III millennio. Si potrebbe ritenere che i testi biblici «diano raa r c h e o 59
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I BABILONESI DISTRUGGONO GERUSALEMME «Quando Sedecía divenne re, aveva ventun anni; regnò undici anni in Gerusalemme. Egli fece ciò che è male agli occhi del Signore suo Dio. Non si umiliò davanti al profeta Geremia che gli parlava a nome del Signore. Si ribellò anche al re Nabucodònosor, che gli aveva fatto giurare fedeltà in nome di Dio. Egli si ostinò e decise fermamente in cuor suo di non far ritorno al Signore Dio di Israele. Anche tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato in Gerusalemme. Il Signore Dio dei loro padri mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo e la sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza piú rimedio. Allora il Signore fece marciare contro di loro il re dei Caldei, che uccise di spada i loro uomini migliori nel santuario, senza pietà per i giovani, per le fanciulle, per gli anziani e per le persone canute. Il Signore mise tutti nelle sue mani. Quegli portò in Babilonia tutti gli oggetti del tempio, grandi e piccoli, i tesori del tempio e i tesori del re e dei suoi ufficiali. Quindi incendiarono il tempio, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutte le sue case piú eleganti. Il re deportò in Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi cosí la parola del Signore, predetta per bocca di Geremia: “Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati, esso riposerà per tutto il tempo nella desolazione fino al compiersi di settanta anni”» (2 Cronache 36,11-21).
gione» a Babilonia, ma, in realtà, vanno letti nell’ottica della «rielaborazione» di un evento accaduto, nella quale si trova adeguatamente inserita una componente salvifica, con la profezia dell’arrivo di Ciro, il liberatore dall’esilio. Esiste poi un piano religioso, perché dopo questo evento gli Ebrei non ebbero piú il tempio come luogo di culto e dovettero formulare una modalità diversa di rapportarsi con Yahweh. Inoltre la comunità si ritrovò divisa tra chi era 60 a r c h e o
Miniatura raffigurante gli Ebrei in catene davanti al re Nabucodonosor (in alto) e prigionieri all’interno delle mura di Babilonia, dal Salterio Beatae Elisabeth. XlII sec. Cividale del Friuli, Museo Archeologico.
stato deportato e chi invece era rimasto in Giudea. Soprattutto per gli esuli a Babilonia fu indispensabile trovare una strategia di autoidentificazione e una formulazione della religione piú individualistica, per resistere al contesto religioso babilonese fatto da una pluralità di divinità, templi, feste e rituali.
cetre (…) come cantare i canti del Signore in terra straniera? Se ti dimentico, Gerusalemme si paralizzi la mia mano destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo» (Salmo 137,1-6). Il Salmo delinea una situazione di disperazione del gruppo di esuli e finisce con un’invettiva contro Babilonia. Questo sarà poi il motivo ispiratore della celebre aria Va’ pensiero del Nabucco L’ARRIVO A BABILONIA «Sui fiumi di Babilonia là sedevamo di Giuseppe Verdi. piangendo al ricordo di Sion. Ai salici Quando gli Ebrei arrivano nella di quella terra appendemmo le nostre capitale babilonese si trovano da-
vanti una città grandiosa (800 ettari) in costruzione, con tanti stranieri (Urartei, Fenici, Medi, Mannei, Arabi) impiegati come manodopera specializzata e semplice forza lavoro. Babilonia è allora un cantiere a cielo aperto. Il re Nabopolassar (padre di Nabucodonosor II) ha iniziato la costruzione della ziqqurat di Marduk, il cui nome Etemenanki («Tempio fondamento del cielo e della terra») sottolinea la valenza sacrale del luogo. I lavori però procedono a rilento e quello che si vede è l’inizio di un’opera grandiosa, ma ancora non terminata. È possibile che proprio la visione di questo mondo in costruzione possa aver fornito lo spunto per il racconto della torre di Babele in Genesi, vedendo nella ziqqurat incompleta e nella confusione multilingue il simbolo della presunzione umana punita da Dio. La Babilonia di Nabucodonosor II è il risultato di tutte le culture precedenti. La nuova dinastia caldea aveva legittimato il suo potere distaccandosi dai sovrani precedenti (Assiri) e ergendosi a paladina della memoria, una memoria che affondava le radici nell’antica cultura sumero-accadica. Questo avvenne a partire dalla ricostruzione di Babilonia stessa, iniziata da Nabopolassar e portata a termine da suo figlio Nabucodonosor II. Quella che si va a rifondare non è la capitale dell’impero, ma la Babilonia di Marduk, la città che nel suo nome (bab-ilu, «Porta del dio») rivela la sua natura divina. A ben vedere, questi sovrani potrebbero essere definiti i primi archeologi del passato della Mesopotamia, dal momento che compiono scrupolose ricerche delle fasi piú antiche degli edifici da ricostruire, recuperando perfino i testi di fondazione dei sovrani precedenti. L’opera edilizia assume quindi la connotazione di un’impresa religiosa. Cosí prende forma Babilonia e si innalza l’Etemenanki, luogo
dell’incontro di Marduk con il suo con gli analoghi racconti del Poema popolo (vedi box alle pp. 58-59). di Gilgamesh e del Mito di Atra-khasis. Lo stesso racconto della creazione di Adamo mostra la presenza di IMPORTANTI elementi (plasmare l’argilla, lavoro INFLUENZE CULTURALI Dalla concordanza tra fonti bibli- di canalizzazione) che si riscontrano che e documenti babilonesi ap- nel mito di Enki e Ninmakh. prendiamo che il trattamento ri- Con questo non si vuole alludere servato alla corte giudea esule a genericamente a una «copiatura» o Babilonia fu di gran rispetto: a a una «contaminazione» di elemenYoyachin è riconosciuto il titolo di ti estranei, bensí rilevare una volon«re di Giuda»; Awel-Marduk, figlio tà precisa di inserire alcuni motivi e successore di Nabucodonosor II, topici della tradizione mesopotamiconcederà al re di vivere a corte e ca all’interno del racconto fondatidi mangiare «sempre dalla tavola del vo ebraico, non senza prima attuarre per tutto il resto della sua vita» (2 ne una rilettura, funzionale alla proRe 25,27-30). Anche per il resto fonda rifondazione religiosa, necesdella comunità giudea le condizio- saria dopo la distruzione del Tempio ni di vita risultano tollerabili: vivo- di Gerusalemme. no in comunità, possono riunirsi e Il collegamento e l’appartenenza del professare il culto, osservare i pre- popolo ebraico a questa tradizione cetti religiosi (circoncisione, sabato avvenne tramite la figura di Abramo festivo) e comunicare con chi era e la sua provenienza da Ur. E con Abramo si torna ai Sumeri, o meglio rimasto in madrepatria. A Babilonia gli Ebrei entrano in alla costruzione culturale del periocontatto con la cultura mesopota- do di Sumer, una sorta di «età dell’omica e proprio il clima di tolleranza ro» da cui tutto ha avuto origine. instaurato dai sovrani permise l’incontro tra culture differenti e la re- PER SAPERNE DI PIÚ ciproca permeazione. Alcune influenze della tradizione babilonese Mario Liverani, Antico Oriente. sulla comunità esule sono facilmen- Storia società economia, Laterza, te individuabili come l’adozione Roma-Bari 2009 (I ed 1988) dell’aramaico e la modifica del ca- Mario Liverani, Oltre la Bibbia. lendario (inizio anno e nomi dei Storia antica d’Israele, mesi babilonesi). Laterza, Roma-Bari 2003 Altre influenze, non immediata- Lorenzo Verderame, Introduzione mente r iconoscibili, r ivestono alle culture dell’antica un’importanza ancora piú rilevante. Mesopotamia, Le Monnier, L’incontro con la tradizione scriba- Milano 2017 le babilonese portò l’élite del regno Davide Nadali, Gli Assiri. di Giuda a elaborare una serie di Storia di una civiltà, Carocci testi riguardanti le origini del mon- editore, Roma 2018 do. In questi testi confluirono alcu- Paolo Brusasco, Babilonia. ni temi fortemente legati alla tradi- All’origine del mito, Raffaello zione mesopotamica, rielaborati e Cortina editore, Milano 2012 riletti nell’ottica di delineare l’esistenza, fin dalle origini, di un rap- NELLA PUNTATA PRECEDENTE porto privilegiato del popolo ebraico con Yahweh. Non si possono • Gli Israeliti non notare analogie nel racconto della Creazione in Genesi e nell’E- NEL PROSSIMO NUMERO numa elish. Ancora: il tema del diluvio trova precise corrispondenze • Gli Egiziani a r c h e o 61
MOSTRE • NOME MOSTRA
NEMICO PUBBLICO FIGURA DI RIFERIMENTO NEL MONDO MEDITERRANEO, STORICO AVVERSARIO DI ROMA, PROTAGONISTA DI UN VIAGGIO STRAORDINARIO DALL’AFRICA ATTRAVERSO L’EUROPA FINO AL CUORE DELL’ITALIA: ANNIBALE FU UNO DEI PIÚ GRANDI E GENIALI TATTICI DI OGNI TEMPO, UN CONDOTTIERO CELEBRATO DAGLI STESSI NEMICI PER LE SUE IMPRESE. E, OGGI, PROTAGONISTA DI UNA MOSTRA ALLESTITA NELLE SALE DEL PALAZZO FARNESE DI PIACENZA di Giovanni Brizzi, Marco Podini, Filli Rossi Busto in marmo bianco del cosiddetto Annibale. Seconda metà del XVI sec. Roma, Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica.
62 a r c h e o
A
nnibale nacque verosimilmente in Cartagine, antica colonia fenicia sulla costa della Tunisia attuale, nel 247 (o 246) a.C. Città dal panorama culturale ricchissimo, frequentata per secoli da mercanti e soldati delle etnie piú diverse, quella punica era una realtà cosmopolita in cui coesistevano ormai stabilmente due anime non del tutto conciliate tra loro. Legata alle origini stesse della città, esisteva un’identità conservatrice devota all’antica ortodossia religiosa, in cui centrale era il divino e teoforici erano i nomi dei singoli individui.
A Cartagine la politica era abitualmente – come ha detto una volta Luigi Loreto – in posizione ancillare rispetto all’economia. Una guerra, quindi, si faceva fintanto che conveniva, poi vi si rinunciava, onde evitare che ne risultassero compromesse le strutture di una città-stato le cui scelte si ispiravano a criterî prevalentemente utilitaristici. Anche le acquisizioni territoriali della città libica si erano cosí limitate il piú sovente al controllo di sicure basi oltremare, che garantissero l’irrinunciabile reticolo dei traffici. A questo approccio dei Cartaginesi
(che ricorda forse un analogo atteggiamento assunto talvolta da Potenze odierne, a loro volta fortemente influenzate da finalità mercantili, come gli Stati Uniti) si era opposto già Amilcare, biasimando invano la decisione dei concittadini di cedere la Sicilia nimis celeri desperatione, essendosi troppo presto disperato dell’esito della guerra. Aveva agito in lui, allora, l’approccio sempre piú deciso verso la cultura greca, alla quale si era strettamente legata proprio la sua famiglia. Quanto ad Annibale, anche in lui personalità ed educazione dovet-
Annibale sulle Alpi, olio su tela di Benedict Masson. 1881. Chambéry, Musée des Beaux Arts.
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MOSTRE • PIACENZA
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ri tero dare origine a una natura Celtibe
Ancona
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Capua
tare ulteriormente contro di lui la Napoli Lus C M sdegno delle fonti anMar fortemente contrastata. reazione di itan a rp i Tirreno eno Per quanto riguarda il suo atteggiatiche, che marchiarono comeCrotone emet Sardegna Sagunto O a Baleari Cagliari ni mento verso la religione, ler e sue pia la sua condotta. Hemeroskopeion Alonae (Denia) Nora Mar reazioni piú autentiche di fattot aci La sua religiosità sembra dunque Locri Mar n Panormo Lilibeo non tanto come Hippo Diarrhytus Reggio un Ionio sfuggono; e tuttavia si deve forsei connotarsi Sicilia (Biserta) (Marsala) Catania Saldae Gela Cartagena Hippo Regius Hip pensare, in proposito, a un sentifatto formale, piuttosto AkragasquantoSiracusa Cadice (Bejaïa) (Bo ona/ na/Ann Annaba aba)) Utica Iol mento assolutamente diversoMálaga da come un afflato dell’anima, riCamarina (Cesarea) Cartagine Tangeriun Cirta quello del mondo classico, spondente a una spiritualità di tiZama Regia Lixus Adrumeto (Susa) sili Masse sentimento che(Larache) si nutriva di valori Rusaddir po semitico. Ne nacque probabilTapso Leptis Minorun’etica rigidissima e assoluN u m i d i a intimi piuttosto che di formalità (Melilla) mente Mediterraneo esteriori. In particolare, Annibale tamente Thaenae particolare. Capace di alidovette ignorare, secondo uno dei mentare in Annibale Oea riserve morali Getuli Leptisspicco Magna il (Tripoli) caratteri propri della spiritualità seinesauribili, tra cui fanno (Lebda) (Homs) Sabrata mitica, le proiezioni naturalistiche pronunciato e talvolta rabbioso fael Sahara e r t o d in D e sTridramma consuete sia nel mito greco, sia neltalismo e il sublime, Clipea irriducibile argento recante un Charax (Kaliba) la religione romana. Ciò dovette profilo maschile forse identificabile spirito di sacrificio, il temperamenArae Philaenorum suggerirgli, per esempio, l’atteggia- con Amilcare Barca, padre di to dei Punici (un popolo – secondo mento di sfida nei confronti delle Annibale. Parigi, Bibliothèque Plutarco – «malinconico e di una Alpi; e dovette, per contro, alimen- nationale de France. severità che lo rende alieno dalle
Il dominio cartaginese all’inizio dello scontro con Roma Territori cartaginesi nel 265 a.C.
Conquiste dei Barcidi in Spagna fino al 219 a.C.
Territorio di Massalia (Marsiglia)
Territori persi da Cartagine dopo il 238 a.C.
Domini romani
Regno di Massinissa (201-148 a.C.)
Limite delle zone d’influenza secondo i trattati del 348 e 306 a.C. tra Roma e Cartagine
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i a Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum Getuli eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem Deserto del Sahara quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.
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Il dominio cartaginese all’inizio dello scontro con Roma
Thaenae
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Mediterraneo Oea (Tripoli) Leptis Magna (Lebda) (Homs) Clipea (Kaliba)
Charax Arae Philaenorum
cose amene e piacevoli» – che qualcuno – Gsell, Carcopino – ha accostato al puritanesimo) era tale però da tendere anche, sia pur solo nei suoi caratteri piú chiusi e ostinati, all’annullamento dell’individuo, in primo luogo di se stesso. Annibale fu dunque probabilmente un uomo chiuso, riflessivo, forse in qualche modo addirittura presago del destino che lo attendeva.
LA FORMAZIONE Grazie al padre Annibale ricevette un’educazione vasta e raffinata, secondo i dettami di entrambe le culture, punica e greca, traendone la conoscenza delle discipline sacerdotali come l’aruspicina e ricavandone una competenza profonda in campo economico e agronomico (dovette senz’altro conoscere, per esempio, l’opera di Magone, l’unico testo che i Romani vollero tradotto in latino, fonte di Varrone e di Columella), la conoscenza di molte lingue, il greco e quasi certamente il latino, e almeno i rudimenti dei dialetti iberici e gallici, nonché l’arte dell’eloquenza. Ricchezza culturale e amore per l’arte fecero di lui, piú ancora che di Amilcare suo padre e del cognato Asdrubale, un erede di Alessandro Magno, di cui raggiunse la maestria tattica e inseguí per tutta la vita l’immagine eroica. Un altro suo modello fu forse Lisandro di Sparta, il vincitore della guerra contro Atene, celebre per la sua astuzia: al Barcide dovette proporlo come esempio, probabilmente attraverso la lettura dell’opera di Tucidide, lo spartano Sosilo, il precettore che il padre gli affiancò una volta giunto in Spagna. Oltre allo storico ateniese Annibale deve essersi accostato ad altri autori fondamentali della letteratura g reca, a Omero per esempio. Ma, in
particolare, era greca la sua preparazione bellica. Tra le sue letture dovettero figurare, quindi, tutte le opere di tattica e di strategia, contemporanee o risalenti ai secoli precedenti, scritte dagli storici e dai biografi greci, che, oltre alle gesta di Alessandro, narravano le campagne dei piú grandi generali ellenistici, Antigono Monoftalmo e suo figlio Demetrio Poliorcete, Pirro, Santippo. Ma Annibale deve avere indubbiamente conosciuto anche le opere di Senofonte, le Effemeridi reali di Eumene di Cardia, le Memorie di Tolemeo I Soter, le Praxeis di Callistene, le Memorie dello stesso Pirro. Del suo carattere rimangono proverbiali infine, oltre alla moderazione nel cibo, nel vino e nel sesso che, insieme con il costante esercizio fisico, ne accrebbero enormemente la resistenza, le qualità di politico e di amministratore; e, in particolare, la Busto frammentario, parte di una grande statua maschile barbuta in pietra, noto come «Giove Ligure», da Veleia. Località Veleia RomanaLugagnano Val d’Arda (PC), Antiquarium.
tempra morale e la specchiata onestà, che lo indussero a usare la ricchezza accumulata in guerra sempre e solo nell’interesse del suo esercito e della sua patria, mai (malgrado alcune voci calunniose…) per scopi personali. La vocazione di Annibale alla guerra si lega strettamente all’episodio che segnò per lui la fine dell’infanzia, il giuramento reso al padre numquam amicum fore populi Romani, che mai sarebbe stato amico del popolo romano. Mentre Amilcare, in procinto di partire per la Spagna, si apprestava a compiere un sacrificio alla divinità suprema, probabilmente Baal Hammon, per propiziare il buon esito della spedizione, Annibale, allora fanciullo di nove anni appena, gli si accostò, chiedendogli con insistenza di poterlo accompagnare. Amilcare, che probabilmente già aveva deciso di prenderlo con sé (e ne aveva forse abilmente sollecitato la richiesta…) chiamò allora il figlio all’altare; e, secondo la tradizione, lo indusse a giurare eterna inimicizia nei confronti di Roma.
QUASI UN «ELETTO» Durante tutta la vita questo giuramento rappresentò per Annibale un’indefettibile eredità morale e, a un tempo, la consapevolezza profonda di avere una missione riservata a lui solo. Nel segno di questa vocazione il bambino si imbarcò con il padre diretto verso Gades, l’attuale Cadice, e poi da lí, in Spagna, dove trascorse l’adolescenza e la prima giovinezza tra i soldati; con loro e tra loro ricevette un addestramento fisico tale da fargli conquistare forza e resistenza straordinarie. Il viaggio di Annibale inizia con una tappa simbolica presso l’antico e venerato santuario di Gades (Cadice), centro fenicio ai a r c h e o 65
MOSTRE • PIACENZA
bordi dell’Atlantico, per ricevere, insieme al padre e a tutto l’esercito, la protezione di Melqart, il dio che ne ispirerà poi costantemente l’azione e ne guiderà il cammino. Nel mondo fenicio-punico Melqart è una divintà affascinante. Originariamente, a Tiro, egli era il ‘signore della Città’, che, nel mito, immolava se stesso sul rogo; e, cosí facendo, consumava, liberandosene, la sua parte umana. A proposito del sacrificio nel fuoco è ben noto un aition greco, un mito interpretativo ingenuo quanto evidente, che si riferisce alla sorte ultima di Eracle (figura che, non a caso, a In alto: Giuramento di Annibale contro i Romani, acquaforte di Valentine Green. 1773. Brescia, Musei Civici di Arte e Storia, Gabinetto Disegni e Stampe. A sinistra: busto forse raffigurante un sacerdote isiaco e noto come «Scipione». II sec. d.C. Roma, Musei Capitolini. Nella pagina accanto: Statuetta in bronzo di Eracle Epitrapezios. I sec. a.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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quella di Melqart indissolubilmente si lega): il rogo sull’Oeta dell’eroe, che col fuoco (!) pone fine alle sofferenze che gli procura il velo di Deianira intriso del sangue di Nesso e del veleno dell’idra. I Greci tentano cosí di spiegare una conclusione, per la parabola umana del semidio, altrimenti incomprensibile al loro razionalismo; ma, almeno in origine, chi pone se stesso sul rogo è Melqart, non Eracle.
PRONTI AL SACRIFICIO Accostabile al rito del mlk, il sacrificio dei bambini caratteristico della religione fenicia e soprattutto punica, il sacrificio nel fuoco può forse essere ripensato inquadrandolo in uno stretto rapporto con la dedizione del «Signore della Città» alla funzione che esprime. In particolare, può richiamare l’analoga morte di Elissa-Didone: come a Tiro, anche a Cartagine chi rivendica il diritto a gestire il potere dev’essere pronto a sacrificare la vita, dev’essere disposto a compiere un gesto capace di influenzare la divinità, accettando la morte e la purificazione nel fuoco.
Ma la figura di Melqart, o meglio di Eracle-Melqart, ha anche infinite altre valenze. Diviene il dio (o semidio) greco e fenicio insieme, che muove verso l’estremo Occidente, verso le «Porte della Sera», partendo dall’isola di Cipro. Qui il «Signore della Città» di Tiro si è unito simbioticamente a Eracle, fondendosi con questa figura fino a che i due profili non sono divenuti indistinguibili. Eracle-Melqart assume la funzione di simbolo, diventando l’eroe civilizzatore e conduttore di popoli capace di trovare spazio nell’immaginario di tutte le popolazioni mediterranee; ed è, prima di tutto, l’eroe che ha vinto e ucciso Gerione tricorpore, mitico progenitore delle genti iberiche. Sarà, in seguito, di volta in volta il Melqart che parla al cuore dei Punici o l’Eracle greco nelle sue molteplici accezioni, ma verrà istintivamente identificato anche con l’Ogimos caro al mondo celtico, con il Makeris africano, con il Sophax/Syphax numidico, suo figlio, o con la corrispondente figura iberica. Comunque Annibale lo proponga, ogni componente dell’armata barcide e ogni indigeno incontrato per via finirà per cogliere una identità unica e diversa a un tempo, assimilandolo istintivamente, in un sincretismo spontaneo, con la figura eroica piú cara alla sua gente; e di questa figura, multiforme e unica a un tempo, Annibale, che la incarna, si servirà come di una chiave capace di aprirgli le porte e i cuori. Grazie ai valori che incarna, Eracle-Melqart è dunque la prima grande divinità trasversale, un simbolo prezioso, come ha capito Alessandro; come, dopo di lui, capisce Annibale. Diverrà l’alter ego di entrambi, finendo col rappresentare il tramite attraverso cui parlare a tutti i popoli. Nel caso di Annibale la conferma viene anche da uno dei motivi piú noti e
caratteristici della monetazione barcide di Spagna. In una serie di conii iberici della famiglia sono infatti raffigurate alcune teste, tutte diverse ma tutte contraddistinte dai simboli di Eracle-Melqart: la corona d’alloro e la clava.
QUEL DIO CARO AD ALESSANDRO Il dibattito circa la natura di queste immagini ha diviso a lungo gli studiosi: queste effigi erano semplici rappresentazioni del dio o ritratti personalizzati dei vari membri della famiglia di Annibale? Ovviamente, la differenza non è irrilevante: chiunque osi rappresentare se stesso con gli attributi del dio caro già ad Alessandro deve non solo aver portato agli estremi quell’ammirazione per la cultura greca che sappiamo per certo esser stata patrimonio dei Barcidi; ma averne assorbito i modelli politici e persino talune ambizioni, inaccettabili per l’oligarchia cartaginese. Comunque sia, l’autoidentificazio-
ne proposta da Annibale stesso con Eracle-Melqart è tale da essere avvertita e commentata persino dai Romani: sul punto di affrontarlo al Ticino, Scipione padre si chiede, in Livio (21, 41, 7), se davvero Annibale sia colui che del semidio ha ripercorso il viaggio. Al di là del sarcasmo di Publio Scipione, il Cartaginese sembra aver seguito davvero le orme di Eracle-Melqart, compiendo una sorta di sanguinoso pellegrinaggio che, da Cadice e Onusa, lo condurrà, attraverso i Pirenei e le Alpi, in Italia, fino al Lago d’Averno, fin quasi a Roma, dove l’eroe aveva incontrato e ucciso Caco nella grotta sotto l’Aventino, fino a Crotone e al Capo Lacinio, estrema tappa del lungo viaggio compiuto da Eracle-Melqart e dai buoi di Gerione nella penisola italica. È questa l’immagine di sé che Annibale ambirà proporre al mondo intero. Annibale rivendica dunque sia il modello di regalità e virtú dell’Eracle greco, nel quale si era identificato già Alessandro, sia l’ideale di sacrificio del Melqart fenicio. Ma la figura ha anche una valenza politica: si tratta dell’eroe che nella tradizione mitica ha sconfitto Gerione, mostro dai tre corpi, progenitore degli Iberi, sottraendogli gli armenti simbolo delle ricchezze di Spagna, e ha superato per primo le Alpi spingendosi fino in Lazio, dove ha ucciso Caco. Immutata nel tempo, la devozione nei confronti di questa figura multiforme e amata da tutte le genti del Mediterraneo indurrà Annibale a portare con sé fino forse all’ultimo esilio, tra le opere d’arte della sua collezione, un trionfo da tavola in bronzo raffigurante l’Eracle Epitrapezios, opera creata dal greco Lisippo per Alessandro Magno forse al tempo della presa di Tiro. Giovanni Brizzi e Filli Rossi a r c h e o 67
MOSTRE • PIACENZA
UN MITO MEDITERRANEO di Giovanni Brizzi
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Roma e i suoi alleati all’inizio della guerra
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Cartagine e i suoi domini Emilia, l’ultima grande all’inizio della guerra flotta del Mediterraneo, quella Territori in rivolta siriaca, è apRoma (188) al largo pena stata contro distrutta persi da Cartagine di Patara, Territori a cancellare il rischio, dopo la guerra temuto sopra ogni altro, di una Territorio controllato futura invasione da Annibale via mare della e città sue alleate (216 per a.C.) terra; Penisola. Resta l’accesso Basi e piazzeforti romane e questo vuol dire via Emilia.
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La II guerra punica (218-202 a.C.)
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algrado una superiorità sul campo che, ai nostri occhi, lo mostra grande persino piú del suo vincitore Scipione, Annibale fu infine sconfitto; e non era possibile che finisse altrimenti. Troppa era la superiorità della forma politica con cui, senza in fondo conoscerla davvero (ma a chi, nel mondo di allora, sarebbe stato possibile comprenderla?), aveva deciso di confrontarsi, civitas non polis come Cartagine, che della città-stato manteneva gli immensi vantaggi di coscienza e di impegno, allargandone però a dismisura le risorse fino a coinvolgere tutta l’Italia di allora. Ma lo sforzo a cui il suo genio costrinse Roma fu tale da cambiare per secoli le logiche della città sul Tevere. Una guerra costata all’Italia forse oltre 200 mila morti insegnò all’Urbe il metus, la paura, ma le forní anche i mezzi – dal Barcide la res publica apprese le tattiche da opporre alle falangi ellenistiche – per vincere d’ora in poi ogni guerra combattuta in Oriente. Piacenza, che di questa mostra è l’altro asse simbolico, esplicita il cambiamento. Colonia latina creata nel 218, la città avrebbe dovuto essere la punta avanzata di una espansione nella piana del Po destinata a spazzar via le genti galliche, da sostituire con i coloni accorsi in massa dal centro Italia; ora, quando, all’indomani della vittoria su Annibale, risorge dopo esser stata distrutta dai Celti, la sua funzione muta completamente. Quando, nel 187, nasce la via
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cui ancor oggi vediamo gli invasi sul terreno non lungi da Tunisi e l’ambizione di riavere, insieme con esso, una potente flotta da guerra. Il risorgere del metus Punicus ha spinto Roma a una decisione brutale e senza pietà, ma non del tutto senza motivo. A determinare la fine di Cartagine è stato il risorgere della paura che Annibale ha insegnato a Roma. Per grazia degli dèi al grande Punico almeno quest’ultima consapevolezza è stata risparmiata dalla morte.
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Cartagine e i suoi domini all’inizio della guerra
Nella pagina accanto: piatto in ceramica a vernice nera sovraddipinta con elefanti in assetto di guerra, da Capena. 275 a.C. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
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Roma e i suoi alleati all’inizio della guerra
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La II guerra punica La II guerra punica (218-202 a.C.) (218-202 a.C.)
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ripopolamento integrale della Cisalpina sarebbe impossibile. Meglio, malgrado la vittoria, trattare benignamente i Celti, le cui terre non servono piú e che si vogliono amici a custodire insieme coi Veneti la regione tra l’Appennino e le Alpi. Ai Galli Cisalpini rimane preclusa a lungo la cittadinanza; ma vengono – ciò che, in fondo, loro importa – lasciate terre, armi e moneta. L’orizzonte di Roma è cambiato, cosí come i suoi obiettivi: quando già la Macedonia e la Grecia, l’Africa e l’Asia pergamena sono divenute province dell’impero, la Cisalpina è ancora formalmente libera. Distrutta, invece, è stata da tempo Cartagine: le è stato fatale il grande porto di
Reggio Reg Marcello 213-211
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MOSTRE • PIACENZA
IL PIACENTINO PRIMA E DOPO ANNIBALE
mento di stasi dell’economia della regione e una riorganizzazione del popolamento antico. I Liguri approfittarono della nuova situazione per riguadagnare territori perduti e conquistarne di nuovi, di Marco Podini mentre alle popolazioni celtiche andarono le pianure a sud e a nord del Po. Questo processo si attuò in ià nel V secolo a.C. gli Etru- realtà in forma progressiva e non schi avevano «colonizzato» sempre conflittuale, generando in culturalmente e commercialmente il territorio piacentino, proponendosi come interlocutori primari del traffico di prodotti di lusso, essenzialmente greco-orientali e sud-italici, verso i mercati celtici transalpini. La conquista gallica dell’Italia settentrionale, protrattasi a piú riprese per tutto il IV secolo a.C., determina il collasso dell’Etruria padana, a cui consegue un mo-
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molti casi condizioni di sostanziale equilibrio che perdurarono nel tempo, nonché situazioni di convivenza fra la componente gallica e quella etrusco-italica. Con la fine della prima guerra punica (241 a.C.), in questo scenario si affaccia l’elemento romano, con l’intento di espandere i confini del proprio dominio almeno fino al limite naturale rappresentato
I MATERIALI IN MOSTRA Declinati attraverso vari profili tematici, gli oggetti esposti restituiscono l’immagine complessa e articolata della compagine etnico-culturale della regione fra III e I secolo a.C. Il primo tema individuato è quello delle «Genti» che vivevano attorno e in prossimità del luogo di futura fondazione della colonia. All’arrivo di Annibale, il territorio appare piuttosto «fluido»: sul substrato etrusco-italico, anche in parte ellenizzato dai prodotti che dall’Adriatico risalivano il Po, si inserivano le tradizioni dei Celti che premevano da nord, dei Liguri, arroccati sui rilievi appenninici, e infine dei primi Romani che, giungendo da sud, avviavano il lento e inesorabile processo di romanizzazione. Un secondo tema, fortemente legato al primo, è quello del «Commercio». Dopo il periodo di stasi economica conseguente all’invasione celtica e a seguito della ripresa economica e della riorganizzazione dei mercati, gli empori di Adria e Spina – sempre sotto il controllo etrusco – continuano a veicolare lungo il corso del Po e l’entroterra padano prodotti provenienti dal mondo adriatico. Se ancora nel IV secolo a.C.
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ricevono e ridistribuiscono ceramica attica, a questa presto si sostituisce vasellame a vernice nera volterrana, la cui importazione proseguirà per tutto il III secolo a.C. Lungo le rotte adriatiche giungono anche anfore corinzie e poi soprattutto greco-italiche provenienti dalla Sicilia o dalla Magna Grecia. Di queste ultime resta testimonianza in ritrovamenti effettuati proprio a Piacenza, da dove è stata recuperata anche un’oinochoe acroma, databile fra il III e il II secolo a.C., ma che imita tipologie risalenti ancora al IV secolo a.C. La romanizzazione e l’arrivo di nuovi coloni latini, infine, determinò l’importazione di ceramiche a vernice nera, come la patera e la coppa con decorazioni a stampiglia di produzione centro-italica. La complessità della compagine etnicoculturale del territorio piacentino prima, durante e dopo l’arrivo di Annibale è documentata dalle testimonianze di «Culto» riconducibili alle varie componenti etniche presenti in regione. Anche in questo caso, buona parte dei manufatti afferisce a un periodo successivo al III secolo a.C., ma la loro attestazione in piena età romana conferma quanto fossero ancora radicati gli elementi di
stringendo i coloni inviati da Roma per fondare Piacenza e Cremona a ripiegare nell’insediamento fortificato di Mutina.Avevano infine inviato emissari a raggiungere Annibale al guado sul Rodano per guidarlo oltre le Alpi; dopo la battaglia al Ticino, che li aveva visti sconfitti con l’esercito di Scipione, erano passati nelle file puniche, contribuendo alla vittoria del Trebbia (218 a.C.).
dall’asta fluviale del Po (fondamentale asse commerciale). I primi segni di irrequietezza furono manifestati dalle popolazioni galliche e dai relativi contingenti formati dai Boi, Insubri, Lingoni e Taurini, che invasero l’Italia centrale e furono poi sconfitti a Talamone (225 a.C.). Fu questo il pretesto per la conquista della Pianura Padana, contrassegnata dalla presa di Mediolanum (Milano) nel 223 a.C. e dalla battaglia di Clastidium (Casteggio) nel
222 a.C. Acquisito parte di questo territorio, nel 218 a.C. Roma vi fondò le colonie latine di Piacenza e Cremona, vero baluardo verso nord, forti di 6000 uomini. In tale contesto s’inserisce la vicenda annibalica, determinando la sollevazione della Cispadana e ponendo un punto di arresto al progetto di conquista romana: i Boi avevano prima preso contatti con Annibale in Spagna, insorgendo poi alla notizia della sua partenza verso la Gallia e co-
DOVE E QUANDO
Nella pagina accanto, in alto: corredo di guerriero celta. Fine III-inizi II sec. a.C. Vigevano, Museo Archeologico Nazionale della Lomellina. Nella pagina accanto, in basso: testina barbata di celta, da Casteggio (Pavia). II-inizi I sec. a.C. Casteggio, Civico Museo Archeologico.
In basso: ghianda missile utilizzata dai frombolieri romani. Piacenza, Musei Civici di Palazzo Farnese. A destra: il Fegato di Piacenza (modello in bronzo di un fegato di pecora con iscrizioni etrusche). II-I sec. a.C. Piacenza, Musei Civici di Palazzo Farnese.
«Annibale. Un mito mediterraneo» Piacenza, Palazzo Farnese fino al 17 marzo Orario ma-gio, 10,00-19,00; ve-do, 10,00-20,00; lu chiuso Info tel. 0523 492784; e-mail: info@annibalepiacenza.it; www.annibalepiacenza.it
cultura etrusca e celto-ligure nel territorio. Se è vero che il fegato etrusco debba essere considerato quale espressione di «etruschicità» tarda, recata dall’urbanesimo coloniale romano, è anche vero che questo manufatto ha trovato terreno fertile in un’area a lungo frequentata dal mercato etrusco. Ben piú caratterizzata in senso «indigeno» appare la statua del cosiddetto «Giove ligure», proveniente da Veleia e identificabile con il dio delle vette di ambito celto-ligure (vedi foto a p. 65). Nelle matronae di alcune stele piacentine sopravvivono i culti di divinità di tradizione celtica, mentre dall’Oriente ellenistico e tramite l’intermediazione latina giungono i culti orientali. Ultimo tema selezionato è quello della «Guerra». L’arrivo di Annibale in Italia era stato preceduto da contatti con popolazioni celtiche e mercenari. Non si può escludere che alcune dramme padane rinvenute nel territorio servissero per comprare il sostegno di questi individui, oltre che per pagare viveri e rifornimenti. Le ghiande missili iscritte in caratteri latini e rinvenute nel territorio piacentino documentano, invece, la presenza, nei comparti militari romani, dei temibili frombolieri.
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MOSTRE • NOME MOSTRA
UN MAESTRO DI FORME E
SENTIMENTI ALLA METÀ DEL VI SECOLO A.C., IRROMPE SULLA SCENA DI ATENE IL TALENTO DEL CERAMISTA EXEKIAS, I CUI VASI SI IMPONGONO PER L’EQUILIBRIO DEI VOLUMI E L’ARMONIA DELLE RAFFIGURAZIONI. PERCHÉ IL MAESTRO È ANCHE UN VALENTE PITTORE, COME RIVELA UNA GRANDE MOSTRA IN SUO ONORE ALLESTITA A ZURIGO di Giuseppe M. Della Fina
«E
xekias mi ha dipinto e modellato», cosí ricorda un’iscrizione presente su un’anfora rinvenuta a
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Vulci nel 1834, donata poco dopo al pontefice Gregorio XVI e oggi conservata nei Musei Vaticani (vedi foto in queste
IL DONO AL PONTEFICE L’anfora firmata da Exekias con la raffigurazione di Achille e Aiace che giocano a dadi venne donata, subito dopo il ritrovamento, al pontefice Gregorio XVI dai fratelli Antonio e Alessandro Candelori. Il prestigioso dono, accettato nella giornata del 7 settembre 1834, venne ritenuto come «unico e superiore a tutti [i vasi] discoperti finora in Italia». Esposta inizialmente nel Palazzo del Quirinale per farla ammirare alla corte pontificia, l’anfora fu destinata alla Biblioteca Vaticana e successivamente venne trasferita nel Museo Gregoriano Etrusco, inaugurato nel 1837, dove tuttora si trova. Ai fratelli Candelori il dono valse il titolo di marchesi di Vulci.
pagine). L’iscrizione è significativa, poiché ne ricorda l’autore, specificando che egli plasmava e decorava i vasi: due azioni distinte che, in genere, nelle botteghe dei ceramisti attive ad Atene, erano svolte da persone differenti. Il fatto che Exekias potesse firmare le opere realizzate (al momento si conoscono quattordici sue firme) e che svolgesse contemporaneamente le attività di vasaio e ceramografo ne suggerisce la posizione di rilievo nell’ambito della produzione ceramica ateniese. Se a essa si aggiunge la qualità altissima delle sue realizzazioni, si ottiene una figura di primo piano nella produzione artistica del mondo greco.
di Pisistrato (vedi box a p. 79), il quale, forte dei suoi successi militari, riuscí a egemonizzare la vita politica della città arrivando a esercitare un pieno controllo su di essa. Sul piano artistico, venne
Sulle due pagine: anfora di Exekias, da Vulci. 530 a.C. circa. Città del Vaticano, Musei Vaticani. Sul lato A (nella pagina accanto), Achille e Aiace intenti a un gioco da tavolo; sul lato B, Polluce e Castore con Leda e Tindareo.
LA CARRIERA DI UN ARTISTA Una figura attualmente celebrata dalla mostra che evoca l’iscrizione ricordata all’inizio («Exekias hat mich gemalt und getöpfert») allestita a Zurigo presso l’Archäologische Sammlung della locale Università e curata da Christoph Reusser e Martin Bürge. Grazie a prestiti giunti da musei europei e statunitensi, l’esposizione ripercorre le tappe dell’attività dell’artista e ne segue l’evoluzione, offrendo l’occasione di ammirarne le capacità e la sensibilità che lo porteranno a realizzare alcuni capolavori assoluti. Exekias mosse i suoi primi passi tra il 560-550 a.C. e fu attivo nei decenni immediatamente successivi, quando Atene aveva iniziato a conquistare i mercati del Mediterraneo occidentale. Egli operò dopo l’azione politica promossa da Solone, che aveva intuito e valorizzato la vocazione commerciale di Atene con le sue riforme, e si trovò ad agire negli anni del governo a r c h e o 73
MOSTRE • ZURIGO
I PREDECESSORI Tra i suoi predecessori una menzione speciale meritano il vasaio Ergotimos e il pittore Kleitias, che insieme realizzarono il cosiddetto Vaso François (dal cognome dello scopri-
tore, Alessandro François), vale a dire – con le sue 270 figure e 131 iscrizioni – «il piú grande esperimento narrativo della ceramografia greca», come è stato definito giustamente da Mario Iozzo in uno dei saggi del catalogo della mostra. Altre figure importanti da richiamare sono Nearchos, il Pittore dell’Acropoli 606, il Pittore di Londra B 76, Lydos, il Pittore di Heidelberg e, soprattutto, il suo allievo noto come Pittore di Amasis, che fu un innovatore sia per quanto concerne le forme dei vasi che per le modalità di tracciare le figure. Ci si è dilungati sulle figure di altri ceramisti per far comprendere come l’attività di Exekias non fosse scaturita dal nulla, ma dalle elaborazioni di tali maestri, la cui eredità assimilò portandola «a livelli cosí elevati e a un tale grado di perfezio-
In basso: tavoletta votiva raffigurante un vasaio che, seduto alla ruota, rifinisce un aryballos (piccolo vaso
per profumi o unguenti), da Penteskouphia (Corinto). 625-600 a.C. Parigi, Museo del Louvre.
dopo personalità notevoli, che avevano incrementato – in termini di quantità e di qualità – la produzione ceramica della città, andata concentrandosi in un singolo quartiere denominato significativamente il Ceramico. Si tratta di maestri quali il Pittore di Analatos, che, sulla base della documentazione giunta sino a noi, firmò per primo un’opera; il Pittore di Polifemo, il Pittore di Nettos, il Pittore della Gorgone, Sophilos, che firmò alcuni suoi vasi sia come vasaio che come pittore, o affermando di avere svolto entrambi i ruoli.
In alto, sulle due pagine: veduta del Ceramico, il quartiere di Atene che prese nome dai laboratori dei ceramisti che in esso si concentrarono. Nella pagina accanto: il lato B di un’anfora di Exekias raffigurante una scena di commiato. 530 a.C. circa. Collezione privata.
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ne espressiva e tecnica da sfiorare quasi la perfezione», come ha osservato sempre Mario Iozzo. Concentrando ora la nostra attenzione su Exekias, si devono ricordare subito gli stretti contatti con la bottega nella quale lavorarono i ceramisti riuniti sotto l’etichetta di Gruppo E (dove «E» è l’iniziale del nome di Exekias) da John Davidson Beazley, lo studioso a cui si deve la suddivisione della produzione ceramica ateniese per singole personalità. In questa bottega – il «suolo» da cui emerse la sua personalità, secondo lo stesso Beazley – egli lavorò da giovane soprattutto come vasaio, ma anche come pittore. Poi iniziò l’attività in proprio, superando sia la tradizione di riferimento, riassunta in precedenza, sia le innovazioni rispetto a essa introdotte dalle personalità attive all’interno del Gruppo E. Come ceramista, Exekias modellò forme nuove e ne rielaborò altre già in uso; a lui va attribuita, per
esempio, l’anfora di tipo A, una varietà dalle grandi dimensioni con corpo a profilo continuo, anse, bocca svasata e piede sagomato che, ideata nel decennio 540-530 a.C., ebbe una fortuna duratura. Ebbe un ruolo im-
portante anche nel perfezionare la forma delle coppe a occhioni destinate a imporsi sia in patria che sui mercati etruschi. Nella veste di pittore seppe utilizzare al meglio le possibilità offerte
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MOSTRE • ZURIGO
Il lato A di un’anfora di Exekias raffigurante Aiace che si prepara al suicidio. 535 a.C. circa. Boulogne-surMer, Museo. 76 a r c h e o
Nella pagina accanto: il lato A di un’anfora di Exekias raffigurante un carro tirato da quattro cavalli (uno dei quali è caduto) e tre guerrieri. 530 a.C. circa. Collezione privata.
dal rapporto tra la forma vascolare e il disegno sia nelle scene principali che nelle decorazioni accessorie. Portò il disegno su ceramica a un livello sino a quel momento mai raggiunto riuscendo a rendere persino il pathos interiore delle figure dipinte fossero divinità, eroi o semplici uomini e donne. In tal senso sono particolarmente esplicative l’anfora da Vulci con Achille e Aiace intenti a giocare ai dadi, descritta in precedenza, e, soprattutto, quella di provenienza sconosciuta, ma conservata in Francia, nel Museo di Boulogne-sur-Mer, con la raffigurazione di Aiace pronto al suicidio (vedi foto alla pagina precedente). L’eroe si è tolto l’armatura, deposta con cura alla sua destra (guardando il vaso), e nudo è intento a fissare la spada sulla quale si getterà per togliersi la vita.
L’attenzione per la psicologia dei personaggi raffigurati si accompagna alla cura nella resa delle vesti, delle acconciature, delle armi, dei singoli particolari. Un’attenzione altrettanto speciale si può riscontrare nella rappresentazione dei cavalli, che diventano coprotagonisti nelle scene dipinte.
COME UN’INDAGINE Lungo il percorso espositivo si trovano capolavori assoluti, quali l’anfora del Museo di Boulogne-surMer e già ricordata, o le tre anfore provenienti dalla necropoli orvietana di Crocifisso del Tufo e conservate nel Museo «Claudio Faina» di Orvieto (vedi foto alle pp. 78-79). Per queste ultime, l’esposizione ha costituito l’occasione per ricostruire il contesto di scavo come in un’indagine poliziesca. Le anfore
vennero rinvenute durante una stagione ricca di scoperte, quando furono intraprese indagini su larga scala dopo che verso la città della rupe – a seguito della scoperta delle tombe dipinte Golini I e II nel 1863 – si erano indirizzate le attenzioni del mondo scientifico e antiquario del tempo. Protagonisti delle ricerche furono Riccardo Mancini, l’ingegnere che dette avvio alla ripresa delle indagini nell’area e ne fu l’indagatore piú continuo; Giovanni Golini, uno scavatore assai disinvolto per quanto concerne le tecniche di scavo; Gian Francesco Gamurrini e Adolfo Cozza, che tentarono di dare un approccio piú scientifico e meno speculativo alle ricerche; Eugenio Faina, che – in qualità di Ispettore Onorario degli Scavi e dei Monumenti di Orvieto e cola r c h e o 77
MOSTRE • ZURIGO
Il lato A di un’anfora di tipo A di Exekias, dalla necropoli orvietana di Crocifisso del Tufo. 540 a.C. circa. Orvieto, Museo Etrusco «Claudio Faina». La scena raffigura il carro di Atena circondato da varie divinità, con accanto Eracle.
lezionista – cercò di limitare la dispersione del patrimonio archeologico che tornava alla luce. Gli straordinari risultati degli scavi dei primi anni Settanta dell’Ottocento vennero illustrati in un importante saggio, pubblicato nel 1877, da Gustav Körte negli Annali dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica, che ne denunciò alcuni limiti: «È sommamente da deplorarsi che non si poterono prendere disegni ugualmente esatti di tutte le tombe della necropoli man mano che esse venivano scoperte (…) Mancano pure notizie esatte prese durante lo scavo intorno al contenuto delle singole tombe e ai fatti particolari osservativi». 78 a r c h e o
In quella temperie le tre anfore attribuite a Exekias entrarono nella raccolta Faina. La testimonianza indiretta è dello stesso Gustav Körte, il quale, nel saggio sopra ricordato, le descrive in maniera dettagliata nell’elenco dei Vasi dipinti scoperti nella necropoli di Crocifisso del Tufo inserendole ai numeri 7, 8 e 9 della lista. Inoltre, prima di elencare gli Oggetti trovati nella necropoli, egli aveva rammentato che «nella seguente descrizione gli oggetti, ove non vi è altra nota, intendonsi esistenti nel museo Faina». «Altra nota» non vi è, e quindi le tre anfore dovevano essere confluite nella raccolta Faina. Siamo nel 1877 (o nei mesi finali del 1876), tenendo presente la data di pubblicazione del saggio. Va considerata anche un’affermazione dello studioso che dichiara di avere avuto occasione di esaminare i risultati degli scavi «parecchie volte sin dal novembre 1875».
DESCRIZIONI DETTAGLIATE A questo punto si può prendere in esame un documento conservato nell’Archivio della Fondazione per il Museo «Claudio Faina» e reso noto per la prima volta da Beatrix Klakowicz: si tratta di una «Stima dei Vasi dipinti ed altro di proprietà del Sig. Riccardo Mancini redatto dal Sig. Gamurrini p. il Sig. Conte Eugenio Faina nei giorni 4 e 16 Gennaio 1876». I reperti – poi effettivamente acquistati dal conte Eugenio – sono descritti in modo dettagliato e l’identificazione risulta semplice. Purtroppo il documento è pervenuto in maniera frammentaria e si possono riconoscere solo dodici vasi su trenta. Si tratta di uno degli acquisti piú significativi effettuati dal conte Eu-
genio con l’avallo scientifico di Gian Francesco Gamurrini, che aveva la supervisione delle ricerche nell’area di Crocifisso del Tufo. Riepilogando: Gustav Körte, nel suo articolo del 1877, ricorda le tre anfore tra i ritrovamenti effettuati da Riccardo Mancini nelle campagne di scavo dei primi anni Settanta (con ogni probabilità in quelle degli anni 1874-1875) e le annovera tra i vasi confluiti nel Museo Faina. Un documento – purtroppo frammentario – ricorda un acquisto importante effettuato dal conte Eugenio – su consiglio di Gamurrini – dopo Il lato A di un’anfora di tipo A di Exekias raffigurante gli dèi dell’Olimpo, dalla necropoli di Crocifisso del Tufo. 540 a.C. circa. Orvieto, Museo Etrusco «Claudio Faina». I personaggi sono divisi in gruppi di tre e la composizione è dominata, al centro, da Zeus, Eracle e Atena.
tempo. In particolare, si segnalano due anfore di tipo A conservate a SCENA DI GRUPPO CON STATISTA Philadelphia presso il Museo di Archeologia e Antropologia dell’UniLa vita e l’attività di Exekias si nell’atto di guidare un carro sul versità della Pennsylvania: in una, sul svolsero contemporaneamente lato B del vaso (vedi foto qui sotto), lato A, è raffigurata la morte di all’azione politica di Pisistrato. circondato da una folla di uomini e Achille e, sul lato B, quella di AntiProprio questo importante uomo donne. Tra questi sarebbero loco; sull’altra, sul lato A, Eracle in politico della storia di Atene raffigurati anche i figli maggiori, lotta con il leone di Nemea alla sarebbe raffigurato su una delle Ippia e Ipparco, che assunsero il presenza di Athena e Iolao, mentre, anfore del maestro presenti nella potere alla morte del padre. sul lato B, Dioniso e Arianna fra un collezione dei conti Faina. Ipparco venne in seguito ucciso satiro e una Menade. In particolare – secondo la (514 a.C.) dai tirannicidi Armodio e Ovviamente Orvieto (l’etrusca ricostruzione proposta da E. Anne Aristogitone nell’ambito di una Velzna) non risulta l’unico luogo di Mackay –, Pisistrato sarebbe congiura che voleva allontanare provenienza delle opere esposte, l’uomo barbato, raffigurato in piedi dal potere i figli di Pisistrato. ma vi figurano vasi anche da Vulci e Cerveteri. Da quest’ultima cittàstato proviene l’orlo di un dinos, conservato a Roma presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, impreziosito da ben due iscrizioni: una ricorda il maestro che lo realizzò, l’altra la dedica voluta dal donatore. Gli studiosi riconoscono in entrambe le caratteristiche della grafia di Exekias. Di grande impatto sono due anfore di collezione privata, ma esposte stabilmente nel museo che ospita la mostra: sono databili attorno al 530 a.C.; in una, in particolare, si può apprezzare la grande capacità del maestro nel raffigurare i cavalli. Di notevole interesse e qualità sono infine alcuni frammenti di pinakes funerari dipinti sempre da Exekias il 16 gennaio 1876. È quindi possi- tenzione di Eugenio Faina per tra il 540 e il 530 a.C., rinvenuti ad bile che le tre anfore siano state l’unità dei contesti archeologici, Atene e conservati a Berlino. acquistate proprio in quell’occasio- va evidenziato che due anfore sone. Non c’è la certezza, ma l’ipotesi no esposte affiancate e una a parte. sembra probabile. In ogni caso sono La scelta può rispondere a esigen- DOVE E QUANDO stati determinati con precisione lo ze espositive, ma potrebbe segnascopritore, il luogo del ritrovamento lare anche la provenienza da due «Exekias corredi funerari diversi. e gli anni in cui esso avvenne. mi ha dipinto Le tre anfore di Exekias sono infie modellato» ne ricordate nel catalogo Museo Zurigo, DA ORVIETO Etrusco Faina, pubblicato da DoArchäologische AGLI STATI UNITI menico Cardella nel 1888: esse La necropoli di Crocifisso del Tufo Sammlung der sono collocate nella Sala VI, detta ha restituito anche altri vasi esposti Universität Zürich dei Grandi vasi dipinti. Due vici- in mostra e attribuiti al maestro fino al 31 marzo ne, «di fronte alla finestra»; la terza ateniese, per i quali Gian Francesco Orario ma-ve, 13,00-18,00; «nel mezzo della sala» insieme ad Gamurrini ed Eugenio Faina non sa-do, 11,00-17,00; chiuso il lunedí altre tre anfore con attribuzione riuscirono a impedire l’ingresso nel e nei giorni festivi diversa. In considerazione dell’at- fiorente mercato antiquario del Info www.archaeologie.uzh.ch a r c h e o 79
SPECIALE • SEVERI
AFRICA CAPUT MUNDI NEL 193 D.C. LUCIO SETTIMIO SEVERO, ORIGINARIO DI LEPTIS MAGNA, NELL’ODIERNA LIBIA, VIENE PROCLAMATO IMPERATORE. IL SUO AVVENTO SEGNA UNA NUOVA FIORITURA ECONOMICA E CULTURALE, INAUGURANDO UN QUARANTENNIO CRUCIALE. L’ETÀ DEI SEVERI, ARGOMENTO DI UNA GRANDE MOSTRA ALLESTITA NEL PARCO ARCHEOLOGICO DEL COLOSSEO, RAPPRESENTERÀ UNA STRAORDINARIA APERTURA DI ROMA AL MONDO MEDITERRANEO ED EUROPEO testi di Roberta Alteri, Fulvio Coletti, Alessandro D’Alessio, Maria Grazia Filetici, Marco Maiuro, Alessandro Mortera, Clementina Panella, Massimiliano Papini, Rossella Rea, Federica Rinaldi e Alfonsina Russo 80 a r c h e o
L
a mostra «Roma Universalis. L’impero e la dinastia venuta dall’Africa» ripercorre le tappe salienti dei circa quarant’anni (193-235 d.C.) in cui la famiglia degli imperatori Severi governò il mondo romano, un periodo cruciale nel quale si portò a compimento, con la Constitutio Antoniniana del 212 d.C., quel grandioso processo di «romanizzazione» inteso come unificazione politica di tutti gli abitanti liberi dell’impero e integrazione tra le varie genti del Mediterraneo e dell’Europa. Con questo provvedimento venne quasi cancellata la distinzione originaria tra vincitori e vinti, giungendo a un’omogeneità culturale di Stati e popoli assoggettati con la forza delle armi. È il periodo in cui l’impero romano vive una dimensione cosmopolita: i membri del senato e dell’ordine equestre furono cooptati da ogni angolo dell’impero; la mobilità di uomini e merci fu garantita dall’assenza di frontiere; oltre al latino e al greco cominciarono a trovare espressione letteraria
In alto: rilievo raffigurante il corteo trionfale di Settimio Severo con i figli Caracalla e Geta, dall’arco intitolato all’imperatore a Leptis Magna. 203-204 d.C. Tripoli, Museo Archeologico. Sulle due pagine: particolare della sezione della mostra «Roma universalis» allestita al II ordine del Colosseo, nel quale è riunita una galleria di ritratti dei Severi. In primo piano, busto con paludamentum e ritratto di Caracalla (vedi descrizione completa a p. 87).
anche altre lingue, come il siriaco. Si realizzarono cosí le premesse universaliste e cosmopolite con cui Augusto, due secoli prima, aveva dato forma all’impero; un’epoca, dunque, di grandi trasformazioni sociali, culturali e religiose, cosí come definita da Elio Lo Cascio nel saggio iniziale del catalogo della mostra: «L’estrema fase, quella se si vuole piú ‘perfetta’, dell’impero emerso dalla rivoluzione augustea». Il ripristino di una forte autorità centrale, ben identificata nella figura dell’imperatore Settimio Severo, il fondatore della dinastia proveniente da Leptis Magna, città della provincia dell’Africa proconsolare, si basa sulla notevole impronta militare nell’azione di governo. Numerosi sono i provvedimenti assunti a favore dell’esercito e delle legioni e, con essi, grande valore riveste la propaganda legata alle campagne militari dell’imperatore a difesa dei confini dell’impero, da cui derivano ingenti bottini. Tali ricchezze sono spesso impiegate per la realizzazione di
SPECIALE • SEVERI
grandi opere architettoniche e artistiche nell’Urbe e in varie città dell’impero, prime fra tutte quelle d’Africa e di Siria (quest’ultima terra di origine della famiglia dell’imperatrice Giulia Domna). Per consolidare il proprio potere, Severo si presenta come diretto discendente degli imperatori Antonini e nomina, prima del 195 d.C., il figlio Caracalla quale Caesar e suo erede, legittimando sul piano politico e sacrale la nuova dinastia. La politica dinastica avviata da Settimio Severo viene poi ripresa – dopo l’intermezzo del mauritano prefetto del pretorio Macrino, a cui si deve l’uccisione di Caracalla nel 217 d.C. – dalle donne della dinastia, Giulia Mesa e Giulia Mamea, che riportano in famiglia la porpora imperiale con Elagabalo (218-222 d.C.) e Alessandro Severo (222-235 d.C.).
GLI ULTIMI BAGLIORI L’esposizione illustra la parabola della dinastia «venuta dall’Africa», mettendo in evidenza gli aspetti legati alle innovazioni nel funzionamento della struttura di governo, alle trasformazioni della società e delle élite, alle politiche annonarie, al cosmopolitismo, fino ai riflessi nell’architettura e nelle arti. Ha, dunque, il fine di far conoscere l’ultimo periodo dell’impero in cui Roma fu grande, governata da impera-
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Leptis Magna (Libia). L’arco quadrifronte di Settimio Severo. 203-204 d.C.
tori che lasciarono un’eredità forte e duratura, pur nell’avanzare del declino. Curata da Clementina Panella con Rossella Rea e Alessandro D’Alessio, la mostra si articola in un percorso a tappe tra i monumenti che questa dinastia costruí o restaurò nell’area archeologica centrale, dal Colosseo al Palatino, al Templum Pacis e ai Fori Imperiali. Il nucleo narrativo principale prende avvio dalla galleria del II ordine del Colosseo, dove, dopo un’introduzione alla storia della dinastia nelle sue caratteristiche (l’impronta militare, il forte legame con la madrepatria, Leptis Magna, le influenze orientali), viene tracciato un quadro economico e sociale dell’epoca, profondamente plasmato dalle grandi riforme che i Severi attuarono: dalla fondamentale Constitutio Antoniniana alla riforma monetaria e annonaria. Dal Colosseo, che nel periodo severiano conobbe importanti restauri, il visitatore giunge al Palatino con luoghi affascinanti come le cosiddette «Terme di Elagabalo» alle pendici nord-orientali. Si tratta di un complesso di difficile interpretazione (domus, hospitium del Palazzo imperiale o sede di un collegio?) che ha restituito un gruppo di sculture di straordinaria bellezza, appena restaurato ed esposto, per la prima volta, nella sezione dedicata alle stesse Terme nel Tempio di Romolo. Il percorso prosegue con la Domus Severiana, l’ampliamento dei palazzi imperiali attuato dai Severi sul lato meridionale del Palatino verso il Circo Massimo e, attraverso le arcate in mattoni, giunge fino a una grande sala riccamente decorata (la cosiddetta «Sala dei Capitelli»), adiacente allo Stadio Palatino, e al Peristilio inferiore della Domus Augustana. Ridiscendendo lungo il fronte meridionale del Palatino, si lambisce il tempio dedicato al culto di Sol voluto dall’imperatore Elagabalo, che ne favorí la diffusione a Roma, essendo stato sacerdote del dio a Emesa in Siria. Giungendo nel Foro Romano, tra il Tempio di Romolo e la Basilica di Massenzio si percorre il vicus ad Carinas, tra i piú antichi tracciati viari di Roma, che fin dall’età repubblicana collegava il Foro con il quartiere «delle Carine» sul colle Esquilino, una delle zone piú popolose di Roma. Nel Medioevo la via, piú volte risistemata a causa della continua usura, era un impervio acciottolato che serviva anche la basilica dei Ss. Cosma e Damiano, sorta nel VI secolo d.C. all’interno del monumentale Foro della Pace, costituito dal tempio
LA DINASTIA IMPERIALE DEI SEVERI
Gaio Giulio Bassano (sacerdote di Elagabalo a Emesa)
figlio / figlia relazione? matrimonio imperatore romano
Lucio Settimio Severo 146 - 211 imp. dal 193
Paccia Marciana
Giulia Domma 170 ca. - 217
Lucio Settimio Geta 189 - 212 imp. dal 211
Fulvia Plautilla
202 - 207
(
Marco Giulio Gessio Marciano
Lucio Settimio Bassiano poi Marco Aurelio Severo Antonino Caracalla 186 - 217 imp. dal 211
Marco Opelio Macrino 164 - 218 imp. dal 217
Giulia Cornelia Paula Giulia Aquilia Severa (vergine vestale) Annia Faustina
Gaio Giulio Avito Alessiano
Giulia Mesa ? - 226 ca.
219 220 222
?
Giulia Soemia Bassiana 180 ca. - 222
()
imperatore non appartenente alla dinastia
Giulia Avita Mamea ? - 226
Sesto Vario Marcello
) Sesto Vario Avito Bassiano poi Marco Auelio Antonino Eliogabalo 204 -222 imp. dal 218
dedicato alla Pace inserito in un vasto giardino e considerato dalle fonti antiche una delle meraviglie del mondo allora conosciuto (Plin., nat., 36, 102), perché conteneva le opere d’arte piú preziose, una sorta di museo pubblico. In una delle sue sale Settimio Severo, durante la grande opera di risistemazione del complesso seguita all’incendio del 192 d.C., affisse la Forma Urbis, una mappa catastale in marmo della Roma del tempo. Le nuove indagini hanno riportato alla luce oltre metà dell’aula di culto di Pax, rendendo visibile circa un quarto del complesso monumentale con lo splendido pavimento in marmo.
PER ARRICCHIRE IL DIALOGO Nelle sue articolazioni, il percorso espositivo consente di ricostruire un quadro generale della riorganizzazione dell’Urbe, con il restauro dei piú importanti monumenti e la creazione di strutture urbane al servizio dei cittadini (balnea, spectacula) «come tangibile espressione della indulgentia, della munificentia e della liberalitas dell’imperatore, artefice e garante della laetitia temporum» (Domenico
altri figli
Marco Giulio Alessiano Bassiano poi Marco Aurelio Severo Alessandro 208 - 235 imp. dal 222 adozione
Tondo raffigurante la famiglia di Settimio Severo, dall’Egitto. Tempera su tavola, fine del II-inizi del III sec. d.C. Berlino, Staatliche Museen, Altes Museum. Oltre all’imperatore sono ritratti la moglie, Giulia Domna, e i figli Caracalla e Geta. Il volto di quest’ultimo fu cancellato dopo che era stato assassinato per volere del fratello maggiore.
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Sallustia Orbiana
Palombi). Con questa iniziativa il Parco archeologico del Colosseo amplia la sua offerta culturale in una dimensione che riassume in sé tre aspetti fondamentali della sua attività: la ricerca, la tutela e la valorizzazione. Non si tratta, in conclusione, di una mostra effimera, ma di un’occasione per aprire al pubblico, in un percorso di grande suggestione, spazi mai visti o da molti anni preclusi alla visita e offrire al contempo i risultati delle piú recenti campagne archeologiche di scavo, oltre a restituire ai cittadini di Roma testimonianze importanti della propria storia, in un dialogo che si auspica sempre piú intenso. In ultimo, un pensiero va a quelle città cosi care a Settimio Severo e Giulia Domna, fondatori della dinastia, quali Leptis Magna in Libia ed Emesa (Homs) in Siria; città che testimoniano l’estrema fragilità del patrimonio culturale, evidente in questo momento storico che vede il Mediterraneo al centro di conflitti e i monumenti dell’antichità spesso oggetto di violenze inaccettabili per il loro valore fortemente identitario. Alfonsina Russo a r c h e o 83
SPECIALE • SEVERI
GRUPPO DI FAMIGLIA AL COLOSSEO di Marco Maiuro e Alessandro D’Alessio
L
a dinastia dei Severi regnò dal 193 d.C., quando Settimio Severo, un africano di origini italiche nato a Leptis Magna, riuscí a imporsi come imperatore dopo una lunga e sanguinosa sequenza di guerre civili, fino al 235 d.C., anno in cui Severo Alessandro, ultimo rappresentante della dinastia, fu trucidato dai legionari di stanza a Magonza. Ciascun membro della dinastia si macchiò o restò vittima di molti ed efferati delitti. Nessuno, a eccezione del capostipite Settimio Severo, morí nel proprio letto. Questi governò con pugno di ferro, epurando il senato di Roma dai suoi avversari. Si trattò di un periodo chiave della storia romana, in cui nuovi territori furono conquistati e si diede un notevole impulso all’economia dell’impero, uscita da tre decenni di crisi finanziaria e produttiva. In quest’epoca si diffusero nella società romana nuovi culti e religioni, primo fra tutti il cristianesimo. Fu l’ultima stagione di quel movimento intellettuale cosmopolita noto come «Seconda Sofistica» e, soprattutto, fu l’epoca d’oro dei grandi giuristi. Nel campo delle arti, si registrò una notevole fioritura letteraria. La città di Roma si arricchí di nuovi edifici, mentre altri furono restaurati. Alla stessa stregua, molte città dell’impero (in Africa, Egitto, Siria e province anatoliche) fiorirono e divennero importanti capitali. 84 a r c h e o
Nell’età dei Severi si affermò inoltre una chiara dimensione cosmopolita: i membri del senato e dell’ordine equestre furono cooptati da ogni angolo dell’impero, la mobilità di uomini e merci fu garantita dall’assenza di barriere e ostacoli e, oltre al latino e al greco, trovarono espressione letteraria anche altre lingue quali il siriaco. L’evento epocale è rappresentato dalla concessione universale della cittadinanza romana nel 212 d.C. (Constitutio Antoniniana), con cui furono equiparati di fatto i diritti personali di ciascuno a ogni soggetto libero residente nell’impero, concepito ora come territorio smisurato della città di Roma. L’età dei Severi vide quindi realizzare le premesse universaliste e cosmopolite con cui Augusto, due secoli prima, aveva dato forma all’impero. M. M.
Nella pagina accanto: busto loricato e ritratto di Settimio Severo (tipo «dell’adozione»), da Ostia, Terme di Nettuno. 196-197 d.C. Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme.
Gli aspetti e i caratteri dell’epoca dei Severi sono accuratamente presentati nelle sezioni della mostra allestite al II ordine del Colosseo, con il supporto e la promozione di Electa Mondadori. Qui, attraverso un centinaio tra reperti archeologici e opere provenienti da importanti musei italiani e stranieri, si illustrano gli sviluppi storico-politici e l’evoluzione artistica e architettonica a Roma e nelle regioni dell’impero. Un’ampia sequenza di ritratti degli esponenti della dinastia apre il percorso, ricordando le origini africane e siriane della famiglia: da Settimio Severo con la consorte Giulia Domna – Augusta e donna di grande influenza politica –, ai figli Caracalla e Geta (questi precocemente eliminato dal fratello), a Elagabalo e Ales-
In alto: una delle sezioni del percorso espositivo allestito al II ordine del Colosseo. A sinistra: statua nel tipo «Cerere» con ritratto di Giulia Domna (tipo «Leptis»), da Ostia. 205-211 d.C. Ostia antica, Antiquarium.
sandro Severo, senza trascurare le altre donne dei Severi (Giulia Mamea, Giulia Mesa) e gli imperatori precedenti, ai quali Settimio intese idealmente ricollegarsi (Marco Aurelio, Pertinace). Il ritratto del successore, Massimino il Trace, la cui salita al trono segna la fine della dinastia e l’inizio di una nuova epoca di profonda crisi e incertezza, chiude di fatto questa splendida galleria di sculture. Seguono le sezioni dedicate alle epocali riforme in campo sociale e civico, economico-monetario, dell’esercito e delle province, alla società, cultura e religione del tempo, al paesaggio urbano di Roma e di altre importanti città d’Italia e dell’impero (a cominciare chiaramente da Leptis Magna), e ancora all’approvvigionamento a r c h e o 85
SPECIALE • SEVERI
infrastrutturale e annonario dell’Urbe (vedi box alle pp. 88-89). Il tutto è anche illustrato da opere e oggetti di straordinario valore storico e documentario, oltre che di altissimo livello qualitativo. Figurano tra questi, per esempio, oltre alla riproduzione del papiro di Giessen con il testo frammentario della Constitutio, tre rilievi marmorei scoperti di recente durante gli scavi archeologici per la realizzazione della metropolitana di Napoli e appartenenti a un ignoto arco onorario, accanto ai plastici dell’Arco di Settimio Severo al Foro Romano (di cui è esposto anche il calco di un barbaro prigioniero), degli Argentari al Velabro e del Foro e dell’Arco dei Severi di Leptis Magna; e ancora un diploma militare in bronzo con provvedimento di Settimio Severo in favore di un soldato della X coorte urbana; una dedica a Caracalla e un’altra a Giove Dolicheno per la salvezza della famiglia imperiale; la splendida testa del dio Sole in opus sectile dal mitreo di S. Prisca; una dedica in greco a Settimio Severo recentemente trovata presso il vicus ad Carinas; un frammento di balaustra con decorazione vegetale e due terminali di transenne marmoree dai restauri severiani del Colosseo, alcuni ritratti. Di particolare rilievo, inoltre, l’esposizione di alcuni frammenti della Forma Urbis, la celebre mappa catastale in marmo voluta da Settimio Severo e affissa nel Templum Pacis, ancora oggi documento fondamentale per lo studio della topografia di Roma antica, oggetto nella mostra anche di una scenografica ricostruzione multimediale. Testimonianza poi della fioritura nel campo dell’artigianato artistico sono, oltre ai busti e ritratti già citati, gli oggetti in vetro finemente lavorati provenienti da Alessandria d’Egitto e da Colonia, il vasellame dalla Tunisia e gli splendidi argenti oggi conservati al Metropolitan Museum of Art di New York, mentre una sezione specifica è dedicata alle anfore da trasporto con i relativi bolli e tituli picti provenienti da ogni angolo dell’impero. A. D’A. 86 a r c h e o
UN PROVVEDIMENTO RIVOLUZIONARIO Caracalla emise la Constitutio Antoniniana, l’editto che concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’impero, probabilmente il giorno 11
luglio 212 d.C. Si trattò di un provvedimento rivoluzionario, che portava a compimento, e con un unico atto, un processo plurisecolare di estensione dei diritti civili, tra i quali
Ritratto di Elagabalo (II tipo), dalla collezione Albani. 220-221 d.C. Roma, Musei Capitolini, Palazzo Nuovo.
importanti erano quelli relativi a eredità e successione, mentre tra i diritti penali vi erano il diritto di appello a una corte di grado superiore e la proibizione di condanne a pene infamanti o capitali. La riforma fu definitiva e, da allora in poi, ciascun abitante libero dell’impero fu considerato a pieno titolo cittadino romano. Ancor piú rilevante fu la dimensione simbolica e ideologica della costituzione antoniniana: si portavano a piena realizzazione le premesse ideali di universalismo e cosmopolitismo implicite nell’istituzione imperiale, come erano state adombrate da Pompeo e Cesare e parzialmente realizzate da Augusto piú di due secoli prima. La collaborazione di giuristi di primo rango all’elaborazione della riforma è quasi certa. Ulpiano, il piú insigne fra questi, è stato definito il «pioniere dei diritti universali dell’uomo». Marco Maiuro
Busto con paludamentum e ritratto di Caracalla (tipo «imperatore unico»), da Roma, Terme di Caracalla (dalla proprietà di Mario Macaroni). 212-217 d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
A sinistra: la Constitutio Antoniniana nel Papyrus Gissensis 40. 215 d.C. Gießen, Justus-LiebigUniversität.
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SPECIALE • SEVERI
TUTTO IL MONDO PER L’APPROVVIGIONAMENTO DI ROMA In età severiana Roma aveva raggiunto dimensioni enormi e, nonostante il calo demografico, doveva contare circa 700 000 abitanti. Muovere beni voluminosi e pesanti come il grano, l’olio e il vino per l’approvvigionamento degli abitanti, la legna, i mattoni e il marmo per le terme e l’industria edilizia implicava un’organizzazione complessa e il coordinamento di
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migliaia di bestie da soma, oltre che di un numero ingente di facchini e trasportatori, liberi e schiavi. Erano necessari pertanto cospicui investimenti e spese nell’organizzazione amministrativa (contratti per i fornitori, complessi meccanismi di pagamento, credito e assicurazioni sul commercio e lo stoccaggio) e nelle infrastrutture della città (strade, ponti, moli, porti,
A destra: denario di Caracalla. 212 d.C. Rabat, Museo Archeologico. Al dritto, il profilo dell’imperatore; al rovescio, la dea Salus.
macchinari per il sollevamento, carri, navi, zattere, aree e strutture per lo stoccaggio e l’immagazzinamento). Tutto l’impero contribuiva con le proprie risorse: il grano, oltre che dal suburbio e dall’Italia meridionale, veniva importato principalmente dalla Sicilia, dalla Sardegna e dall’Africa settentrionale, in quantità piú rilevante dall’Egitto e dalle attuali Tunisia e Algeria. Pagato in parte come tributo sulla terra, in parte estratto come rendita dalle proprietà imperiali, veniva trasportato da compagnie di armatori privati per essere poi immagazzinato a Portus, Ostia e quindi a Roma. Parte di questo grano era offerto gratuitamente, in misura di 35 kg al mese, a ciascun beneficato (in età severiana erano poco piú di 150 000). Settimio Severo aggiunse a quelle di grano le distribuzioni di olio a prezzi politici, importandolo dalla Betica/Lusitania e dalla Tripolitania. Il vino aveva invece una provenienza piú varia, dalle regioni italiane (Umbria, Marche, Romagna, Campania) alle Gallie, dalla Palestina alla Grecia continentale e insulare, quindi dall’Africa; il commercio del vino era interamente gestito da imprenditori privati, senza alcun intervento pubblico. La carne di maiale era importata molto probabilmente dalla Pianura Padana e dalle regioni dell’Italia meridionale (Campania, Lucania e Bruzio, odierna Calabria). Diverso il discorso per il legno: bene di primaria importanza e consumato in quantità enormi, proveniva dalle foreste italiane (dell’intero arco appenninico, sino alle Alpi Liguri) e da regioni piú remote quali l’Anatolia e il Libano. La produzione laterizia invece era quasi totalmente concentrata nell’hinterland di Roma, mentre le pietre da costruzione (soprattutto marmi) e i metalli provenivano dall’intero Mediterraneo. L’argento era estratto da miniere iberiche, anatoliche e britanniche, lo stagno in Britannia, il piombo fuso nelle Germanie, nelle Gallie e nelle Spagne, l’oro in Spagna e soprattutto in Dacia, l’attuale Romania. Marco Maiuro A sinistra: un mosaico del piazzale delle Corporazioni di Ostia, complesso che accoglieva i navicularii (piccoli armatori) di tutto il Mediterraneo e che fu ingrandito da Caracalla e Settimio Severo.
LE RIFORME MONETARIE I trent’anni che precedettero l’avvento al potere di Settimio Severo furono segnati da una gravissima crisi finanziaria e produttiva, la cui causa ultima fu la drastica diminuzione della popolazione dell’impero causata dal diffondersi di una violenta epidemia di vaiolo (165-189 d.C.). A fronte di una riduzione del gettito fiscale in ragione del diminuito numero di contribuenti, ed essendo incomprimibili nel budget dell’impero interi capitoli di spesa (esercito, burocrazia, infrastrutture e tradizionali benefici da elargire), si tentò di porre rimedio alla drammatica insufficienza di entrate fiscali dapprima tagliando ogni spesa ritenuta superflua, quindi riducendo il contenuto d’argento nell’emissione del denario, mantenendone però inalterato il valore nominale. Secondo Paolo, giurista di età severiana, la moneta può infatti essere scambiata solo per il valore assegnatogli dallo Stato e non per il suo contenuto di metallo
pregiato. Con queste misure di manipolazione monetaria, Settimio Severo poté anche aumentare il compenso ai militari e lanciare un piano di investimenti su larga scala sia a Roma che negli altri territori dell’impero. Caracalla introdusse un nuovo pezzo nel sistema, il cosiddetto «antoniniano», dal peso pari a una volta e mezzo il denario di Severo e dalla medesima percentuale di argento, determinando cosí un’ulteriore svalutazione della moneta. Marco Maiuro
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SPECIALE • SEVERI
LE RIFORME DELL’ESERCITO E DELLE PROVINCE Secondo lo storico Cassio Dione, Settimio Severo raccomandò ai suoi figli sul letto di morte di onorare sempre i soldati. Il carattere ideologicamente militarista della dinastia è evidente nelle emissioni monetali, nella propaganda per immagini e nella promozione presso l’esercito di culti legati alla persona dell’imperatore. Settimio Severo aumentò inoltre il soldo militare per i legionari, creò tre nuove legioni da stanziare a
L’ARCO SEVERIANO AL FORO ROMANO Fu costruito nel 203 d.C. in onore di Settimio Severo e dei suoi figli Caracalla e Geta (il nome di quest’ultimo fu scalpellato nell’iscrizione, dopo la sua uccisione). L’arco, al quale si accedeva con una gradinata, è decorato nei quattro riquadri sopra gli archi minori con scene delle battaglie combattute contro gli Arabi e i Parti, mentre vittorie alate e divinità di fiumi sono scolpite nelle fasce laterali. Le basi delle colonne sono ornate con le figure dei Parti catturati. Dalle monete sappiamo che in origine l’arco era sormontato da una grande quadriga a sei cavalli.
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Singara (Iraq), Rhesaina (Siria) e Albano (fuori Roma), sciolse il corpo dei pretoriani per rifondarlo, istituí l’annona militaris per corrispondere in natura e non piú in denaro parte dei compensi ai soldati, concesse a centurioni e prefetti di partecipare piú attivamente al reclutamento di nuove leve e ai soldati semplici di vivere fuori dagli accampamenti con le proprie famiglie. La creazione della nuova provincia di Mesopotamia (197 d.C.) fu il
coronamento di una strategia aggressiva di conquista e di contenimento del regno partico nei territori dell’attuale Iraq. Si trattò però di una conquista di breve durata e destinata a innescare ripercussioni interne al regno partico, il cui esito finale fu l’ascesa al trono di Ardashir, capostipite della dinastia dei Sasanidi, che nei confronti di Roma ebbe sempre un atteggiamento ispirato a un consapevole e
aggressivo militarismo. Anche la strategia verso i barbari sui fronti danubiano, renano e britannico fu di breve respiro, limitandosi a combinare azioni diplomatiche e militari. Piú efficace fu invece la creazione di un confine presidiato nella Mauretania Caesarensis (l’odierna Algeria), a difesa delle province minacciate dalle incursioni delle popolazioni berbere del deserto. Marco Maiuro
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SPECIALE • SEVERI
IL PAESAGGIO URBANO RINNOVATO Settimio Severo dispiegò risorse ingenti per restaurare una serie impressionante di monumenti pubblici danneggiati dagli incendi divampati sotto Commodo (185/188 e 192 d.C.), o che necessitavano di interventi: il Pantheon, il Diribitorio, il Teatro di Pompeo in Campo Marzio, il Portico di Ottavia con i Templi di Giunone Regina e Giove Statore, il Portico di Filippo con il Tempio di Ercole dellle Muse in Circo Flaminio, il Tempio di Fides, la Biblioteca Capitolina
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sul Campidoglio, il Tempio di Vespasiano e Tito, quello di Saturno nel Foro e infine il Templum Pacis. Due aree sembrano essere state privilegiate per le nuove costruzioni: la porzione meridionale della città, verso la via Appia, dove in sequenza furono realizzate le sostruzioni del Palatino e il Septizodium, una fontana monumentale che fungeva da cornice scenografica per chi proveniva da sud. Un nuovo asse stradale (la via Nova) fu aperto per collegare il
Palatino ai quartieri popolari sorti sul tratto terminale della via Appia. Qui sorsero le thermae Severianae prima, quindi quelle monumentali di Caracalla (thermae Antoninianae). Particolare attenzione fu anche riservata al quartiere piú densamente popolato della Roma imperiale, il Trastevere, dove Settimio Severo realizzò la via Septimiana e alcuni balnea. In entrambe le aree si ravvisa la volontà di dotare quartieri molto popolosi di infrastrutture utilitarie. L’impronta conferita dalla dinastia all’edilizia sacra fu ugualmente profonda: il Tempio di Ercole e Dioniso, le due divinità di Leptis Magna, costruito da Settimio Severo sul Quirinale, quello di Serapide, sempre sul Quirinale, voluto da Caracalla, e infine quello di Sol
Invictus Heliogabalus, fatto erigere da Elagabalo nel settore nord-orientale del Palatino, dotarono Roma di tre nuovi santuari per ospitare i culti provenienti dall’Africa, dall’Egitto e dalla Siria. Infine le opere utilitarie: i nuovi accampamenti per la guardia a cavallo, nell’area di S. Giovanni in Laterano, e quelli per la legione II Parthica ad Albano furono realizzati da Settimio Severo; a Severo Alessandro si deve invece l’Acquedotto Alessandrino, il tredicesimo e ultimo di Roma, che alimentava oltre alle restaurate thermae di Nerone anche il nuovo monumentale nymphaeum, oggi visibile nei giardini di piazza Vittorio Emanuele II (i cosiddetti «Trofei di Mario»). Marco Maiuro
I RESTAURI
24. Iseo e Serapeo del Campo Marzio; 25. Amphitheatrum (Caracalla); 26. Trasformazione del santuario di Elagabalo in Tempio di Giove Vincitore (Severo Alessandro); 27. Diaetae Mammeae nel Palazzo Imperiale (Severo Alessandro); 28. Colosseo (Severo Alessandro); 29. Teatro di Pompeo ed Hecatostilum (Severo Alessandro); 30. Stadio di Domiziano (Severo Alessandro); 31. Circo Massimo (Severo Alessandro); 32. Iseo e Serapeo del Campo Marzio (Severo Alessandro).
1. Castra Praetoria (?); 2. Sede delle matronee nel Foro di Traiano (Giulia Domna); 3. Palazzo imperiale del Palatino; 4. Aqua Claudia; 5. Aqua Marcia; 6. Porticus Severi con i Templi di Giunone Regina e Giove Statore; 7. Porticus Philippi con il Tempio di Ercole delle Muse; 8. Diribitorium; 9. Hecatostilon; 10. Theatrum Pompei; 11. Thermae Agrippae;
12. Pantheon; 13. Bibliotheca Capitolina; 14. Tempio di Fides in Campidoglio; 15. Tempio di Vespasiano e Tito; 16. Tempio di Saturno; 17. Pavimentazione della piazza del Foro Romano; 18. Rostra; 19. Templum Pacis; 20. Horrea Piperataria et Vespasiani lungo la Sacra via; 21. Domus Virginum Vestalium; 22. Aedes Vestae (Giulia Domna); 23. Tempio di Fortuna Muliebris sulla via Latina (Giulia Domna);
LE COSTRUZIONI
Pianta della Roma severiana (elaborazione D. Palombi, L. Pennacchia, Katatexilux).
33. Castra Nova Equitum Singularium; 34. Palazzo imperiale ad Spem Veterem (futuro Sessorium); 35. Domus e thermae Severianae del Palatino; 36. Schola Praeconum; 37. «Terme di Elagabalo»; 38. Septizodium; 39. Nova via; 40. Thermae Severianae; 41. Porta Septimiana; 42. Balnea Severi; 43. Thermae Septimianae; 44. Coraria
Septimiana; 45. Arco degli Argentari (argentarii e negotiatores del Foro Boario); 46. Insula sotto S. Lorenzo in Lucina; 47. Insula sotto S. Maria in via Lata; 48. Monumento equestre nel Foro Romano; 49. Arcus Severi nel Foro Romano; 50. Tempio di Ercole e Dioniso al Quirinale (?); 51. Acta dei Ludi Saeculares al Tarentum; 52. Serapaeum del Quirinale (Caracalla); 53. Thermae Antoninianae (Caracalla); 54. Aqua Antoniniana (Caracalla); 55. Terme, circo e tempio di Eliogabalo nel Palazzo Imperiale ad Spem Veterem (Elagabalo); 56. Tempio di Sol lnvictus Heliogabalus sul Palatino (Elagabalo); 57. Tempio della Dea Virga Caelestis sull’Arce capitolina (Elagabalo); 58. Senaculum mulierum al Quirinale (Elagabalo); 59. Aqua Alexandrina e nimphaeum Alexandri all’Esquilino (Severo Alessandro); 60. Thermae Alexandrinae in Campo Marzio (Severo Alessandro); 61. Bibliotheca Panthei (Severo Alessandro). a r c h e o 93
SPECIALE • SEVERI
I NUOVI PERCORSI DI VISITA
L’
organizzazione e l’allestimento della mostra «Roma Universalis» al Parco archeologico del Colosseo hanno consentito di dar corso al restauro, alla sistemazione e all’apertura al pubblico di aree e siti/ monumenti del Foro Romano e del Palatino mai fruiti in precedenza. Non si tratta peraltro
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di aperture limitate alla sola durata dell’esposizione, ma di luoghi che resteranno d’ora in avanti sempre visitabili, ampliando di molto l’offerta culturale e di fruizione del Parco stesso, in linea con le piú aggiornate politiche di valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Nella fattispecie, il percorso, o meglio i
Le imponenti sostruzioni (Arcate severiane) sulle pendici meridionali del Palatino, viste dalla valle del Circo Massimo.
percorsi di visita della mostra, muovendo dal Colosseo proseguono appunto sul Palatino (cosiddette «Terme di Elagabalo», area diVigna Barberini, Arcate severiane, Stadio e «Sala dei Capitelli») e al Foro Romano (vicus ad Carinas, Arco detto «del Ladrone» e Templum Pacis, esposizione di sculture nel Tempio di Romo-
lo), toccando in tal modo i principali monumenti e contesti dell’aera centrale urbana connessi agli interventi edilizi e all’azione di governo dei Severi. Nelle pagine che seguono presentiamo una breve descrizione delle principali tappe dei nuovi percorsi. Alessandro D’Alessio e Federica Rinaldi a r c h e o 95
SPECIALE • SEVERI «Terme di Elagabalo» Al Palatino sono ora visibili per la prima volta le vestigia di uno straordinario insieme architettonico – le Terme dette «dell’imperatore Elagabalo» –, posto alle pendici nordorientali del colle e che racconta una lunga storia di trasformazioni edilizie. Lo scavo dell’edificio conosciuto con il nome di «Terme di Elagabalo», situato sulla pendice nord-est del Palatino lungo la moderna via Sacra, ha riportato alla luce una successione ininterrotta di interventi antropici (dalle capanne dell’età del Ferro all’edilizia aristocratica dell’età tardo-repubblicana e della prima età imperiale, dai grandi complessi del II e del III secolo d.C. alle straordinarie trasformazioni del IV secolo d.C.), che si concludono con le ultime frequentazioni (tombe, fosse) e i piccoli interventi edilizi del VI-VII secolo d.C. Nel cortile del complesso di età severia-
na (192-235 d.C.), profondamente modificato nel IV secolo e sicuramente in rovina, si inserisce, nel VI-VII secolo, un nuovo impianto, attribuito in via ipotetica a una piccola chiesa. In due fondazioni, scavate per un breve tratto, sono stati rinvenuti, riutilizzati come inerti nella malta, molti frammenti marmorei di grandissima qualità, un vero e proprio ciclo statuario esposto ora per la prima volta, dopo un lungo lavoro di ricomposizione e restauro, nel Tempio di Romolo. È possibile che parte di questo insieme decorasse l’edificio severiano (spicca fra gli altri un ritratto proprio di Settimio Severo) e sia rimasto in uso anche nel complesso tardoantico, per finire riciclato nelle fondamenta dell’ultima e piú tarda fase edilizia di età antica registrata nell’area. Clementina Panella
RESTAURO E VALORIZZAZIONE DELLE «TERME DI ELAGABALO» Il restauro e la sistemazione dell’area delle cosiddette «Terme di Elagabalo», dopo anni di scavi archeologici condotti dalla «Sapienza» Università di Roma (professoressa Clementina Panella; vedi box in questa pagina), ha affrontato l’impegnativo tema dell’anastilosi dei piani pavimentali restituendo, con un’interpretazione attuale, la ricostruzione delle vasche e il tracciato, con elementi minimali in acciaio, dello sviluppo della successiva basilica tardo-antica. Nel restauro si sono privilegiati materiali tradizionali e tecniche d’intervento compatibili. La presenza dell’acqua sottolinea e riflette la luce e gli elementi circostanti. Maria Grazia Filetici
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Nella pagina accanto: ritratto di Settimio Severo, dalle «Terme di Elagabalo». 204-211 d.C. Roma, Parco archeologico del Colosseo. In basso: un settore dell’edificio noto come «Terme di Elagabalo», sul Palatino.
UNA «GALLERIA» DI RITRATTI I trentatré nuovi reperti scultorei scoperti durante gli scavi presso le «Terme di Elagabalo» furono quasi tutti reimpiegati in frammenti come materiale edilizio all’interno di due fondazioni murarie pertinenti all’edificio del VI-VII secolo d.C. impiantatosi nel cortile. In mostra si presenta una selezione dei pezzi meglio conservati. Il riuso pragmatico dei materiali scultorei, architettonici ed epigrafici nei muri un tempo denominati dei «bassi secoli» è attestato a Roma dalla fine del III sino agli inizi del VI secolo d.C., in particolare sull’Esquilino e sul Celio. Le opere provenienti dalle «Terme di Elagabalo» formano un gruppo cronologicamente piuttosto omogeneo, compreso tra la metà circa del II secolo d.C. e il 220 d.C., con una particolare concentrazione nel periodo severiano. La sensazione, pertanto, è che l’insieme possa aver fatto parte di una «galleria» ritrattistica pertinente a un medesimo contesto, formatasi per accumulo in meno di un secolo (60-70 anni). Le opere mostrano tuttavia differenze di vario genere: nel formato, nella tecnica di esecuzione e nel tipo di marmo utilizzato, ancorché quello dalle cave di Göktepe (presso Afrodisia, in Caria) sia attestato in almeno dieci di esse. Nel caso di un’effettiva pertinenza della «galleria» alle «Terme di Elagabalo», si potrebbe pensare alla decorazione di uno di quegli spazi «semipubblici» denominati genericamente scholae, che non rispondono a una tipologia planimetrica univoca a causa di variabili dovute alla natura stessa dei collegia ospitati in tali strutture. Pur non potendosi escludere la provenienza delle sculture da un’altra sede, resta indicativa la coincidenza tra la fase severiana delle «Terme» e la cronologia di buona parte dei busti e delle teste. I reperti scultorei provenienti dalle «Terme di Elagabalo» ci restituiscono un’interessante testimonianza della ritrattistica di età imperiale. La doppia e la triplice erma in marmo, in cui sono associati un volto giovane e un volto anziano di Ermes, facevano parte di un’unica serie scultorea posta a ornamento di un recinto dell’inizio del periodo giulioclaudio (età augustea?), nota grazie ad altri esemplari scoperti sul Palatino, nei pressi dell’angolo sudoccidentale (scalae Caci). Il nucleo piú numeroso di reperti è costituito da sette ritratti maschili e femminili, tre dei quali rappresentano l’imperatore Settimio Severo, forse un’imperatrice (di cui si conserva soltanto la parrucca, che poteva appartenere a una testa della moglie di Severo Giulia Domna) e quasi sicuramente un giovane principe: in questo caso si potrebbe trattare della settima replica di
un tipo spesso identificato con Diadumeniano, il figlio di Macrino. Le altre sculture raffigurano quattro cittadini privati, tre uomini e una donna. Da notare, infine, un grande blocco architettonico in marmo bianco su cui compare la figura di un ufficiale loricato, per il quale è immaginabile la provenienza da un monumento pubblico (un arco?) forse del periodo flavio (seconda metà del I secolo d.C.), la cui decorazione doveva includere rappresentazioni di soggetto storico. Massimiliano Papini
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SPECIALE • SEVERI L’ingresso al Complesso Severiano sul Palatino. In basso: lo Stadio Palatino, complesso costruito alla fine del regno di Domiziano e che fu oggetto di importanti rifacimenti in età severiana a seguito dell’incendio del 192 d.C.
Luoghi severiani sul Palatino Il percorso di visita sul Palatino prosegue attraverso i luoghi dei Severi, estesi su circa due ettari e i cui segni piú evidenti sono costituiti dalle scarne vestigia del gigantesco tempio eretto da Elagabalo nell’area di Vigna Berberini (al di sopra delle «Terme») e, soprattutto, dalle imponenti sostruzioni (Arcate severiane) e soprastanti terrazze poste nell’angolo sud-orientale del colle. Qui, il poderoso complesso di strutture voltate apprezzabile dalla valle del Circo Massimo, lungo la via dei Cerchi, si erge a mezza costa dalle pendici meridionali del Palatino per circa 23 m di altezza, vincendo cosí il forte dislivello dal piano di campagna alla terrazza del piano nobile, il V livello del Complesso Severiano. Sviluppato su 17 arcate, il sistema architettonico ricopre l’angolo sud-est del colle per quasi 3500 mq, monumentalizzandolo con terrazze e viae tectae (strade coperte). Questo organismo strutturale, oltre a fungere da gigantesco contrafforte per gli edifici posti lungo la pendice e contenerne le spinte verso valle, era volto a creare spazi polivalenti, forse a uso delle attività logistico-funzionali del Palazzo. Parte integrante del complesso è il cosiddetto «Avancorpo Massenziano», un sistema di arcate dalle dimensioni piú ridotte edificato 98 a r c h e o
durante il breve regno di Massenzio (306-312 d.C.), che precedette la lunga epoca costantiniana. Oltre a sostenere il piccolo edificio termale al livello della terrazza (V livello), esso consentiva il passaggio dal piano superiore delle gradinate del Circo alle pendici del Palatino e al Palazzo imperiale. Fulvio Coletti
LA «SALA DEI CAPITELLI» Tra gli ambienti che affacciano sullo Stadio, particolarmente degno di nota è l’ampio vano posto all’estremità sud-orientale: la cosiddetta «Sala dei Capitelli». Esso infatti si distingue per la presenza di un vasto soffitto voltato a cassettoni, che ancora conservano la ricca decorazione in stucco. Liberata dagli interri che la occupavano durante gli scavi di Pietro Ercole Visconti promossi da papa Pio IX tra il 1865 e il 1868, la sala venne utilizzata per allestire al suo interno un piccolo antiquario, ove confluirono alcuni dei frammenti architettonici e scultorei piú pregevoli rinvenuti al suo interno o nell’area dello Stadio stesso. Il nome convenzionale con cui è indicato l’ambiente deriva proprio dal fatto che esso ospita diversi capitelli, la maggior parte dei quali contraddistinti
da un eccezionale stato di conservazione. Attualmente vi sono conservati alcuni capitelli di colonna e quattro frammenti di trabeazione, tutti in marmo bianco lunense e proconnesio, perlopiú riconducibili all’età severiana e rinvenuti negli scavi del 1892-1893 promossi dal Ministero della Pubblica Istruzione. Si tratta, nello specifico, di quattro capitelli corinzi, un capitello corinzioasiatico, quattro capitelli compositi, un capitello composito a foglie lisce e un peculiare esemplare di capitello figurato piuttosto elaborato. Vi sono poi un frammento di architrave con lacunare decorato da tralci d’acanto e tre frammenti di cornice, consistenti in due geisa (plurale di geison, la parte aggettante sopra il fregio, n.d.r.) con soffitto e corona lisci e un frammento con angolo interno riccamente decorato. Alessandro Mortera
Lo Stadio Palatino Segue nel percorso di visita il grande Stadio Palatino, con la straordinaria «Sala dei Capitelli» dal soffitto a cassettoni stuccato, ora riaperti al pubblico. Lo Stadio è un edificio a forma di rettangolo allungato (161 x 48 m), posto a una quota di 10 m inferiore rispetto al piano della Domus Flavia-Augustana. Costruito alla fine del regno di Domiziano, ha ricevuto importanti rifacimenti in età severiana a seguito dell’incendio del 192 d.C. Il lato meridionale curvo conferisce alla costruzione l’aspetto di un ippodromo/stadio; era circondato su tre lati da portici, in origine su due o tre ordini, l’inferiore dei quali costituito da una successione di pilastri e «semicolonne» in mattoni originariamente rivestiti da una decorazione in marmo in stile tuscanico. Questo piano doveva sorreggere una sorta di ballatoio con funzione di terrazza, che consen-
tiva di girare intorno all’edificio godendo di una vista singolare. Al centro del lato est era una grande esedra semicircolare, con tre sale al piano inferiore decorate con raffinate pitture e un mosaico pavimentale bianco e nero con motivo vegetale e uccellini, pure databile in epoca severiana. Un grande recinto di forma ovale e di incerta funzione fu aggiunto, forse all’epoca di Teodorico, nella parte meridionale dell’arena. Situato fra la Domus Augustana e quella Severiana, lo Stadio è interpretabile come un giardino con lunghi portici ombreggiati, e doveva essere dedicato ai momenti di svago. Il monumento è forse identificabile con l’hippodromus Palatii ricordato negli Atti dei Martiri come il luogo in cui venne martirizzato san Sebastiano. Roberta Alteri
La cosiddetta «Sala dei Capitelli», vasto ambiente che si affaccia sullo Stadio Palatino.
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SPECIALE • SEVERI Il vicus ad Carinas e il Templum Pacis Nel Foro Romano sono stati per la pri- Resti del Tempio ma volta aperti alla visita un tratto del della Pace vicus ad Carinas e l’Arco detto «del Ladro- (Templum Pacis), ne». Il vicus era tra i piú antichi percorsi voluto di Roma: fin dall’età repubblicana colle- dall’imperatore gava il quartiere «delle Carine» sull’E- Vespasiano per squilino (una delle zone piú popolose di celebrare il Roma) con il Foro, incrociando dal IV trionfo sulla secolo d.C. la via Sacra tra il cosiddetto rivolta giudaica Tempio di Romolo e la Basilica di Mas- (71 d.C.) e senzio. Oggetto di variazioni di percorso inaugurato nel 75 con il crescere della città, restò in uso per d.C. Distrutto tutta l’antichità. Il tracciato attuale è dall’incendio del successivo all’incendio neroniano del 64 192 d.C., venne d.C. e alla costruzione, nel 75 d.C., del ricostruito da Templum Pacis (poi Foro della Pace). Gli Settimio Severo e architetti che nel IV secolo d.C. proget- in una sala tarono la Basilica di Massenzio non in- adiacente all’aula terruppero la strada, ma la inglobarono di culto venne attraverso una galleria realizzata nell’an- collocata la golo settentrionale del nuovo edificio Forma Urbis (poi detta «Arco del Ladrone»). Dall’età Severiana. flavia (69-96 d.C.) e fino alla costruzione della Basilica, lungo il vicus si susseguiva-
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no tabernae (botteghe e depositi), di cui si conservano alcuni resti. Nel Medioevo la via, piú volte risistemata a causa della continua usura, era un impervio acciottolato che serviva la basilica dei Ss. Cosma e Damiano, sorta nel VI secolo d.C. nel Foro della Pace. Parte del vicus fu utilizzata anche come cimitero connesso alla vicina basilica. Le sepolture erano semplici fosse scavate nel terreno, segnalate all’esterno da coperture in tavole di legno. Le tombe erano disposte sia al centro che ai bordi della strada; esauriti gli spazi disponibili, le nuove sepolture furono inserite nei muri che la delimitavano, creando apposite nicchie. Il percorso del vicus si conserva tuttora lungo l’asse che collega le vie del Tempio della Pace, dei Frangipane e delle Sette Sale. Oggi, imboccando il vicus dalla via Sacra, ci si affaccia sull’aula di culto del Templum Pacis, di cui, dopo un lungo restauro, è visibile il magnifico opus sectile pavimentale su cui si ergeva l’alto podio che ospitava l’acrolito della dea Pax. Edificato da Vespasiano a partire dal 70 d.C., nel 192 un incendio distrusse
quasi completamente il Templum, ricostruito Ricostruzione grafica della sala del Tempio della Pace in cui era stata da Settimio Severo riproponendo la monu- collocata la Forma Urbis, la pianta marmorea di Roma in scala 1:240. mentalità della costruzione originaria, le cui dimensioni erano inferiori solo al Foro di Traiano. In questa occasione fu collocata, in una sala adiacente all’aula di culto, poi trasformata nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano, la Forma Urbis Romae, di cui restano sul muro di facciata della basilica le impronte delle lastre di marmo lunense su cui era incisa. La possente struttura in blocchi di tufo che costeggia il vicus ad Carinas è l’unica porzione conservata in elevato del muro perimetrale del Templum Pacis. La muratura delimitava i due ambienti posti a ovest dell’aula di culto: quello che ospitava la sede del Catasto Urbano con la pianta marmorea di Roma (Forma Urbis Romae), e il contiguo che, a partire dalla sistemazione severiana post incendio del 192 d.C., accoglierà la bibliotheca Pacis, nota dalle fonti letterarie come luogo di frequentazione dell’élite culturale romana. Dal VI secolo d.C. nella Biblioteca si insediò la basilica dei Ss. Cosma e Damiano. Sul muro perimetrale in blocchi e nelle aule interne sono visibili i restauri severiani. Il documento antico che meglio illustra il rapporto tra Settimio Severo e Roma è proprio la Forma Urbis, una pianta catastale di Roma redatta in scala 1:240, che riproduce su una superficie totale di 13 x 18 m tutti gli edifici pubblici e privati della Città. Orientata con il sud-est in alto, la Forma era composta da circa 150 lastre rettangolari disposte su undici file: i frammenti conservati sono doveva servire a mappare le proprietà e le pari a poco piú del 10% dell’originaria pertinenze di ogni edificio della capitale, estensione e, tuttavia, costituiscono un caoperazione imprescindibile per posaldo fondamentale per lo studio l’organizzazione delle distribudella topografia di Roma. zioni pubbliche di frumento, per La sua funzione è chiara: la Forma le concessioni a privati di allacci agli acquedotti e per localizzare servizi di primaria imFrammenti della Forma Urbis che portanza (fontane, forni e riportano la zona attraversata dal magazzini di stoccaggio). È clivo della Vittoria, (clivus Vic) possibile che la pianta setoriae, una strada che dal veriana ne sostituisse Velabro saliva al Palatino. Poco una piú antica, risalente sotto, l’iscrizione a Vespasiano, l’imperaframmentaria (SEVERIETAN / tore che fece edificare il TONINIAV [---] /NN) indica Templum Pacis tra il 70 e il 75 d.C. edifici a oggi non identificati avvalendosi, come per il Colosseo, dei e comunque riferibili a proventi del bottino dedotto dalla distruzione Settimio Severo o Caracalla. del tempio di Gerusalemme. Roma, Parco archeologico del Rossella Rea Colosseo. a r c h e o 101
SPECIALE • SEVERI
LA CULTURA ARTISTICA di Massimiliano Papini, Federica Rinaldi e Alessandro D’Alessio
S
e la politica edilizia ed economica dei Severi si delinea facilmente, è piú difficile riassumere quelle che chiamiamo «arti». Il periodo dei Severi è stato spesso trascurato nel dibattito sulla definizione, già di per sé complessa, dell’arte romana, concentratosi di piú su regni precedenti (Augusto, Traiano, Adriano, Marco Aurelio) o sulla tarda antichità. Semmai, con la loro dinastia si fa coincidere uno stadio intermedio di quel processo graduale che portò alla fine dell’arte antica in età tetrarchica e costantiniana, ossia al tramonto della forma «greca» o «classica». Un processo visto sotto influenze di matrice orientale, favorite, tra l’altro, dalla provenienza siriana di Giulia Domna, e all’insegna di perdite: del senso naturalistico dello spazio; dell’organicità delle figure; della cura per il dettaglio. Ciò si è riscontrato in scultura, dove il trapano perfora le chiome – come nelle teste del ciclo rinvenuto nelle «Terme di Elagabalo» ed esposte al Tempio di Romolo – e rende le pieghe dei panneggi «in negativo»; in pittura lo «stile lineare» si associa a figure o motivi animali e vegetali fluttuanti su distese monocolori senza profondità illusiva: un’astrazione ritenuta derivante in parte dalla semplificazione del disegno e dalla maggiore economicità di realizzazione, in parte dalla presunta temperie spirituale dell’epoca. Sui mosaici geometrici, figurati e in stile floreale si sono sottolineate la ricerca degli effetti chiaroscurali e, nel revival della tecnica in bianco e nero, la cifra distintiva – rispetto al repertorio tradizionale – è stata riscontrata nelle solu102 a r c h e o
Statuetta in avorio con ritratto di Settimio Severo (IV tipo), da Roma, Templum Pacis. 204-211 d.C. Roma, Museo Nazionale Romano.
zioni decorative spesso uniche e fantasiose basate su profili curvilinei e disegni polilobati. Di contro, si segnala l’indebolimento del prestigio dell’opus sectile, che sopravvive nel settore delle opere pubbliche, per esempio con il pavimento dell’aula di culto del Templum Pacis a grande modulo reticolare, nel quale si individua l’evidente testimonianza della sussistenza di maestranze dei piú alti livelli, riconoscibili nell’impegnativo e costosissimo impiego di grandi rotae di
Particolare del magnifico pavimento in opus sectile del Tempio della Pace.
L’AULA DI CULTO DEL TEMPLUM PACIS L’aula di culto era il cuore del Templum Pacis, in uso ancora nel IV secolo d.C., al contrario del grande Portico che, con Massenzio, fu trasformato da «museo» in spazio commerciale. Nel 357 d.C. l’imperatore Costanzo II visitò l’aula, della quale ammirò la stupefacente grandezza e ricchezza. L’assetto attuale è riconducibile alla ricostruzione operata da Settimio Severo dopo l’incendio del 192 d.C. L’aula era un vasto spazio rettangolare (35 x 24 m), completamente rivestito con marmi policromi. Vi si accedeva dal Portico attraverso una facciata monumentale con doppio fronte di colonne monolitiche alte circa 15 m (le esterne lisce in granito rosso di Assuan, le interne scanalate in marmo giallo antico). In asse con l’ingresso era un basamento con avancorpo centrale alto circa 1,50 m e rivestito di
marmo su cui, da un podio alto 4 m, incombeva la statua della Pax, un gigantesco acrolito che reggeva nella mano sinistra uno scettro e nella destra un ramo di ulivo. Sul basamento erano esposti gli oggetti piú preziosi provenienti dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme, tra cui il celebre candelabro d’oro a sette bracci (menorah). Ai lati della statua vasche quadrangolari diffondevano essenze profumate. Un’alta recinzione davanti al basamento impediva ai frequentatori di accedervi e di toccare gli oggetti sacri. La sala era pavimentata in opus sectile, intarsi marmorei con un disegno a grandi dischi (rotae) composto da marmi pregiati: porfido rosso, pavonazzetto e granito grigio. Il pavimento è in parte conservato, ma in parte fu spoliato nel VI secolo d.C. e riutilizzato nella basilica dei Ss. Cosma e Damiano. Rossella Rea
granito e di porfido del diametro di oltre 2 m, caratterizzate dall’impiego di spesse listellature che precorrono l’uso assai piú largo che di questo accorgimento decorativo si farà soprattutto nel IV secolo. Persino l’architettura, che ama la ricerca di effetti teatrali rivisitando l’esuberanza flavia degli ornamenti con minore plasticità, può distanziarsi dalla «classica semplicità», pur se nell’ornato architettonico resta ancora vitale la tradizione piú sobria traiano-adrianea: ciò accade anche sull’Arco Severiano al Foro Romano, dove la disposizione aggettante delle colonne crea contrasti pittorici rinunciando alla purezza delle linee dell’Arco di Tito. Tuttavia, ha poco senso misurare il grado delle inclinazioni «anticlassiche» ed emettere giudizi di valore alla luce del prima e del dopo. DOVE E QUANDO «Roma Universalis L’impero e la dinastia venuta dall’Africa» Roma, Parco archeologico del Colosseo Orario fino al 15 marzo: tutti i giorni, 8,30-17,00; nel resto dell’anno gli orari variano stagionalmente e possono essere verificati telefonicamente o attraverso il sito web del monumento (vedi Info) Info tel. 06 39967700; www.parcocolosseo.it Catalogo Electa a r c h e o 103
QUANDO L’ANTICA ROMA… Romolo A. Staccioli
…INVENTÒ LA PADANIA LA (DA ALCUNI) VAGHEGGIATA SECESSIONE DEI TERRITORI ATTRAVERSATI DAL PO DAL RESTO DELL’ITALIA NON HA PRECEDENTI STORICI CHE POSSANO GIUSTIFICARLA. A MENO DI NON VOLER RIESUMARE L’EFFIMERA ESPERIENZA ATTUATA IN TAL SENSO SUL FINIRE DEL I SECOLO A.C...
A
ben vedere, dire che la Padania non esiste e che, quindi, quella pretesa ed evocata dalla Lega Nord è una pura «invenzione», è un modo superficiale e semplicistico per liquidare la questione. Sulla quale, invece, vale la pena di fermarsi, sia pur brevemente, per qualche considerazione di non poco conto. «In natura», per cosí dire, ossia in termini geografici, la cosiddetta Padania effettivamente non esiste. Salvo a considerarla come «risultato» della contiguità territoriale tra la Valpadana (il grande bacino del Po e dei suoi affluenti) e la Pianura Veneta. Sicché i geografi possono parlare di una Pianura Padano-Veneta (ma, per ciò stesso, distinguendone le due componenti), e ritenerla separata dal resto della Penisola secondo la linea dello spartiacque dell’AppenninoTosco-Emiliano. Quanto alla storia, è altrettanto certo che una vera e propria Padania – sovrana e indipendente – non c’è mai stata, lungo tutto il trimillenario arco di tempo che, dall’antica contrapposizione tra Veneti e Galli (inchiodati alla «frontiera» del Mincio e del Garda) arriva fino ai giorni nostri. Anche tenendo
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conto della parziale ed effimera realizzazione del napoleonico Regno d’Italia; dell’altrettanto parziale – e breve – esperienza del regno austriaco del Lombardo-Veneto (invano scongiurato dai Veneti), e della vicenda, ancor piú effimera, della cosiddetta Repubblica di Salò, tra il 1944 e il 1945.
L’UNICA ECCEZIONE Tutto ciò, con una sola eccezione, peraltro limitata a un livello di tipo... amministrativo. Quando una sorta di Padania ante litteram ci fu, in un passato piuttosto remoto, dopo essere stata letteralmente «inventata». E a farlo furono, poco
piú di ventuno secoli fa, i Romani, che pensarono bene di crearla (quando essa ancora non esisteva), e poi, realizzarla, come una provincia del loro impero (e sia pure con un nome diverso), piú o meno nei termini geografici coi quali essa viene oggi «sognata». I Romani lo fecero mettendo insieme i territori – tra loro diversissimi, per popolazione, lingua e cultura – dei Liguri e dei Galli, sottomessi dopo lunghe guerre, e dei Veneti, pacificamente integrati, a partire dallo scorcio del III secolo a.C. (e con una serie di guerre di «riconquista», dopo l’invasione annibalica, nella prima metà del II), col sistema delle alleanze sancito da trattati (foedera), piú o meno imposti. La Padania romana si chiamò Gallia Citeriore (o Cisalpina) e, anche se non conosciamo la data esatta della sua costituzione – la reductio in formam provinciae, come si diceva con la formula ufficiale – questa dovette avvenire agli inizi del I secolo a.C.: in un arco di tempo compreso tra il 90 e l’80, quando, dopo la scorreria delle tribú germaniche dei Cimbri (e deiTeutoni), fu chiara la necessità di rendere piú
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Nella pagina accanto, in alto: rovescio di un denario emesso da Giulio Cesare in Gallia raffigurante un trofeo di armi galliche. I sec. a.C. Nella pagina accanto, in basso: elmo celtico in bronzo. VI sec. a.C. Bologna, Museo Civico Archeologico. A sinistra: l’Italia al tempo di Augusto. In basso: testa in bronzo di Giulio Cesare con busto in marmo. I sec. a.C. Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps.
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sicuri, con una migliore organizzazione, i territori occupati o, comunque, controllati. L’iniziativa fu presa, probabilmente, da Silla, durante la sua dittatura. Sta di fatto che il primo nome da noi conosciuto
di un magistrato romano a cui la provincia venne affidata è riferibile al 79 a.C. Si trattò, in ogni caso, di una provincia anomala rispetto a quelle, numerose, già esistenti, da una parte all’altra del Mediterraneo.
a r c h e o 105
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Alcune delle sue comunità urbane, infatti, specialmente a sud del Po, godevano della piena cittadinanza romana, o perché (come Parma, Modena,Tortona) erano state fondate da Roma quali «colonie di cittadini romani». O perché (come Cremona, Piacenza, Bologna, Aquileia), create da Roma quali colonie di diritto latino, erano state, in quanto tali, promosse di rango. A molte comunità locali, poi, urbane o tribali che fossero, soprattutto nei territori centroorientali, il cosiddetto «diritto latino» era stato esteso con una sorta di finzione giuridica (senza cioè che ci fosse stato alcun invio di coloni) che, nei rapporti con Roma, aveva posto quelle comunità alla stessa stregua – e coi medesimi privilegi – delle antiche città del Lazio, perfettamente integrate nello
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Stato romano (ciò che favorí il progressivo trasferimento presso di esse, per ragioni commerciali e di sfruttamento economico, di numerosi cittadini romani). Non aveva dunque torto Giulio Cesare – che governò la Cisalpina dal 58 al 49 a.C. – a chiamare «togata» la sua provincia.
A GUARDIA DEL PO Sede del governatore era Cremona, la città fondata, col medesimo nome che tuttora conserva, come colonia di Roma, nel 218 a.C. (insieme a Placentia, l’odierna Piacenza), a guardia del Po. Cesare, che vi passava normalmente la stagione invernale, da essa muoveva per le campagne che, con legionari in gran parte arruolati nella Cisalpina, lo condussero alla conquista della grande Gallia Transalpina (o Ulteriore). E da essa partí, nel gennaio del 49, alla testa del suo esercito, per la «marcia su Roma» con la quale si assicurò
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il governo dello Stato. La «Padania» romana durò solo qualche decennio. Forse nemmeno cinquant’anni. In ogni caso, solo fino al 42-41 a.C. Cioè fino a quando Roma, che l’aveva creata, non decise di abolirla, ma per farla Falera (elemento della bardatura del cavallo) in argento lavorato a sbalzo, da Manerbio (Lombardia). Produzione celtica, II-I sec. a.C. Brescia, Museo di Santa Giulia.
QUESTIONI DI NOME Centri attraversati dalla via Postumia Altri centri
Acquedotti
E come chiamarla? Ponti e guadi Valichi lungo
la via di Postumia Sognare oggi una nuova «Padania» è Via Postumia Miliari legittimo, anche dal punto di vista stoCenturiazioni Mansiones/Mutationes rico. E non si può escludere a priori che essa torni a esistere in futuro, a prezzo d’una secessione e in una forma del tutto convenzionale. Chiamarla Padania (con un nome latino!) è, invece, una prevaricazione. A danno dei Veneti (e dei Liguri) che col Po non hanno assolutamente a che fare. E c’è da meravigliarsi che i Veneti si siano acconciati a tollerare quella denominazione. Ciò, senza tener conto che, a ben vedere, piuttosto che di Padania, si dovrebbe parlare, in ogni caso – e in buon italiano – di Padagna, come si dice Spagna da Hispania, Sardegna da Sardinia, Romagna da Romània (con accento sulla prima a). E gli abitanti si dovrebbero allora chiamare Padagnoli, come da Spagna e Romagna si dicono gli Spagnoli e i Romagnoli. Meglio cercare un altro nome, che comprenda equamente tutti quanti. A riesumare quello, arbitrariamente introdotto dai Romani, di Gallia Cisalpina, si farebbero, forse, contenti i sostenitori di una falsa e antistorica omogeneità celtica, ma si ricadrebbe (oltre tutto) nel torto contro i Veneti (e i Liguri), che Celti non erano. Occorre inventare un nome nuovo. Rimanendo nell’ambito del latino (visto che non c’è, a disposizione, una lingua padana) si potrebbe pensare a Postumia: il nome che aveva la grande strada – creata, nel 148 a. C., dal console romano Aulo Postumio Albino – che andava da Genova ad Aquileia, attraversando, quindi (a differenza del Po), l’intero territorio cisalpino. Esiste, in proposito, com’è noto, il precedente illustre e tuttora vivo dell’Emilia, la regione che già nell’antichità prese il nome dalla strada romana che ancora l’attraversa. L’unica difficoltà si avrebbe nel dare un nome agli abitanti della Postumia: Postumiani (o Pòstumi)? Ci vorrà un po’ di fantasia. Stazioni del servizio di navigazione lungo il Po
diventare Italia, aggregandola al resto della Penisola, già da tempo – e per la prima volta – unificata. L’intuizione – e il progetto – di tale «rivoluzione» vennero attribuiti allo stesso Cesare, che la provincia conosceva bene. Di fronte alla crescente necessità di sempre nuovi elementi da immettere nei «quadri» dell’amministrazione – civile e militare – dell’impero in continua espansione, egli aveva capito che i cittadini romani, cioè gli Italiani dell’Italia peninsulare, nel giro di qualche generazione non sarebbero stati piú sufficienti a coprire tutti i posti necessari. E che, per evitare un massiccio – e precoce – ricorso ai «provinciali», i quali (in specie gli orientali) avrebbero potuto compromettere l’«italicità» di fondo dell’impero stesso, l’unica soluzione era di far diventare «italiani» tutti gli abitanti della Cisalpina. Cioè di quei territori che, geograficamente (ma anche culturalmente) erano già, di fatto, considerati parte integrante dell’Italia. Bastava concedere a tutti la cittadinanza romana e in tal senso Cesare avrebbe disposto con una legge del 49 a.C. Ma l’attuazione del provvedimento fu bruscamente interrotta dalle Idi di marzo e poté essere realizzata con un’apposita legge (forse una lex Roscia dell’11 marzo 41) solo dai successori di Cesare e, in particolare, da Ottaviano, dopo la battaglia di Filippi, del 42 a.C. Diventata Italia, l’antica «Padania», venne articolata, come il resto della Penisola, in regioni e queste furono le ultime quattro, in ordine numerico, delle undici, create da Augusto: VIII, IX, X e XI, in seguito denominate Aemilia, Liguria, Venetia et Histria e Transpadana. Il resto è storia dell’Italia romana protrattasi, nell’unità, per piú di quattro secoli. Si può solo
Nella pagina accanto, in alto: cartina con tracciato della via Postumia e le regioni che attraversava. In questa pagina: torque (collare celtico) in argento lavorato a serpentina, proveniente dagli scavi di Carpenedolo (Bs). III sec. a.C. Brescia, Museo di Santa Giulia.
aggiungere che i Cisalpini, diventati Italiani – con tutto l’entusiasmo dei neofiti, tra i quali basterebbe citare il mantovano Virgilio e Tito Livio, di Padova – entrarono presto nell’amministrazione imperiale raggiungendone i vertici al tempo di Nerone, il quale, diffidando della vecchia oligarchia senatoria, li chiamò numerosi a Roma, tra i suoi collaboratori piú fidati.
LE DUE ITALIE Volendo, si potrebbe pensare come a una sorta di ritorno della «Padania» (o dell’unità «padana») – sempre in chiave romana – quando, alla fine del III secolo della nostra era, nell’ambito della generale riforma dello Stato voluta da Diocleziano, l’Italia venne divisa in due – pars annonaria e pars urbicaria – lungo una linea ideale corrente, da est a ovest, tra le foci del Rubicone e della Magra. L’Italia annonaria – cosí denominata perché a essa fu affidato il compito di assicurare il rifornimento dei generi alimentari di prima necessità alla corte imperiale di Milano, all’amministrazione e alle truppe (compresi i marinai della flotta di stanza nel porto di Classe, a Ravenna) – era formata dai territori delle quattro regioni subentrate alla provincia Cisalpina, diventate nel contempo, con opportuni accorpamenti, due: Liguria et Aemilia e Transpadana. Cosí, almeno formalmente, fino alla caduta dell’impero d’Occidente.
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SCAVARE IL MEDIOEVO Andrea Augenti
TOCCARE CON MANO LA PAURA NEL CORSO DEGLI ULTIMI ANNI È ANDATA AFFERMANDOSI L’«ARCHEOLOGIA DELLE EMOZIONI», UNA DECLINAZIONE DELL’INDAGINE SUL PASSATO CHE SI PONE L’OBIETTIVO DI INDIVIDUARE LE TRACCE MATERIALI DI QUANTO DI PIÚ IMMATERIALE SI POSSA IMMAGINARE: I SENTIMENTI
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uando mosse i suoi primi passi, l’archeologia fu sinonimo soprattutto di grandi scoperte: l’Egitto, Tutankhamon, Troia… Una «caccia al tesoro» alla quale fece da contrappunto la propensione per l’arte classica: ed ecco l’interesse per i marmi di Fidia, per le antiche statue romane, le pitture di Pompei e altro ancora. Poi c’è stata una maturazione, una presa di coscienza dell’idea che fare archeologia significa piú in generale fare storia, andare alla ricerca di tutte le tracce materiali del passato. E cosí è balzato in primo piano l’interesse per le città, per gli insediamenti nelle campagne, per la morte e la sfera funeraria, per l’economia, per la vita quotidiana. E su questo canone gli archeologi si sono attestati per un lungo periodo. Da qualche tempo a questa parte, però, si è capito che possono esistere altri approcci, altre possibilità nello studio del passato. Altre dimensioni, finora poco esplorate. Una delle piú recenti è l’archeologia delle emozioni, un versante della disciplina che mette appunto in primo piano la ricerca delle tracce materiali delle emozioni che hanno attraversato gli individui e le comunità del passato. Un approccio del genere si può declinare per qualsiasi fascia cronologica, e quindi può senz’altro esistere anche un’archeologia delle emozioni del Medioevo.
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Ma che cosa può conservarsi di una manifestazione cosí immateriale come sono le emozioni? Innanzitutto, le tracce su pietra, quelle delle iscrizioni, che sono senza dubbio le piú esplicite. Vediamo insieme due esempi. Il primo ci viene dalle numerose iscrizioni funerarie di età tardoantica (soprattutto IV-VI secolo) nelle quali il nome del defunto è accompagnato da aggettivi come «dulcissimus», «carissimus», oppure «benemerenti».
SENTIMENTI FRA LE RIGHE Qui veniamo messi in contatto con un’emozione che da sempre accompagna il momento della morte e il rituale funerario: l’affetto. Il secondo esempio, tipico durante tutto il Medioevo, sono le molte invettive che possiamo trovare nelle iscrizioni funerarie. Sono rivolte agli eventuali violatori del sepolcro e sono spesso molto colorite: gli si augura di subire la stessa sorte di Giuda, di essere dannati nel fuoco eterno, che li inghiottisca improvvisamente la terra, che i loro discendenti siano mendicanti e lebbrosi… Nel secondo caso tocchiamo con mano altre emozioni: apprensione, paura, e persino ira. Un’ira potenziale, pronta a essere liberata solo se si verificheranno circostanze precise: la manomissione del sepolcro dei propri cari. Questi esempi sono molto interessanti e, rispetto alle tracce materiali delle emozioni, sono anche tra i piú espliciti. Soprattutto perché in questo caso le emozioni
In alto: il sito archeologico di Sutton Hoo, nel Suffolk (Inghilterra). Le gobbe che caratterizzano il terreno corrispondono ad altrettanti tumuli. Nella pagina accanto: elmo in ferro e bronzo dorato rinvenuto a Sutton Hoo e
forse riferibile a un re di nome Raedwald. 625 d.C. circa. Londra, British Museum. In basso: il tumulo funerario n. 2 di Sutton Hoo, il cui profilo è stato ricostruito dopo gli scavi del 1939.
sono affidate alla parola scritta, per quanto su pietra o marmo. In altre occasioni è piú difficile risalire alle emozioni degli uomini del Medioevo, e occorre comportarsi come veri e propri detective, per recuperarle in controluce, tra le righe delle tracce materiali del passato. Un aiuto ci viene dal concetto di «geografie emozionali», messo a punto da geografi e antropologi, per intendere che un paesaggio, ampio o circoscritto che sia, può avere valenze emozionali, emotive. E l’archeologia può aiutarci a recuperarle. Anche qui, un esempio può esserci utile. Gli scavi piú recenti hanno provato che lo straordinario sito di Sutton Hoo, in Inghilterra, fu un cimitero di sovrani del VII secolo: gli ultimi re pagani prima della conversione
della zona. Gli scavi hanno però accertato anche qualcos’altro: in un momento successivo, i numerosi tumuli, le colline artificiali che coprivano le tombe di quegli antichi re, sono stati riusati in tutt’altra maniera. Sopra quei tumuli sono stati eretti patiboli, e i corpi dei giustiziati sono stati trovati lí accanto. Insomma, l’antico cimitero dei re pagani, un luogo legato a un passato lontano e spaventoso, è stato successivamente tramutato in luogo di morte per i fuorilegge, per chi aveva trasgredito alle regole della società. Un luogo del male antico, nel quale giustiziare i malfattori. Sutton Hoo, dunque, è senza dubbio un «paesaggio emozionale», attraverso il quale avvertiamo le paure degli uomini dell’Alto Medioevo.
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L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Francesca Ceci
MODELLI SENZA TEMPO LA CREAZIONE DEL MONDO E LE VICENDE DI ADAMO ED EVA NEL PARADISO TERRESTRE SONO, DA SEMPRE, UNO DEI SOGGETTI PIÚ FREQUENTATI DALL’ARTE E DALL’ARTIGIANATO ARTISTICO
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l fascino dell’iconologia, dello studio e interpretazione dell’immagine figurata (dal greco eikon, immagine, e logos, discorso) risiede nel poter (e saper) cogliere in una raffigurazione il mondo che l’ha prodotta e la utilizza. Sovente ripresa da similari composizioni provenienti da un passato piú o meno lontano e rivestita di un nuovo significato, essa diviene «spia di un nuovo atteggiamento mentale ed emotivo, sintomo di una diversa situazione nella storia della cultura e delle idee», come ben scrive Chiara Frugoni nel lemma «Iconologia e Iconografia” dell’Enciclopedia Medievale Treccani (1996). Ed è particolarmente avvincente, e a volte sorprendente, il gioco dei rimandi fra schemi figurativi miticoreligioso tipici del mondo classico riproposti, in modo non sempre conscio, in quello medievale e moderno. Stesso impianto formale, stessa modalità nel delineare i personaggi, che però vengono trasformati nei nuovi protagonisti degli eventi biblici e del Vangelo.
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Medaglia in argento dorato di Hans Reinhart il Vecchio con scene della vicenda di Adamo ed Eva. 1535-1574. Washington, National Gallery of Art. Tra questi si pensi ad Adamo ed Eva, i progenitori plasmati dalla divina mano creatrice e fonte prima del bene e del male che contraddistingue la dolorosa umanità. Il peccato originale, la scelta fascinosa ma poco ponderata e tutta terrena della coppia, tentata dalla sapienza promessa dal
serpente, è ben narrata nella Genesi (3, 1-6): «Ora il serpente era il piú astuto di tutti gli animali dei campi che l’Eterno Iddio aveva fatti; ed esso disse alla donna: “Come! Iddio v’ha detto: Non mangiate del frutto di tutti gli alberi del giardino?”. E la donna rispose al serpente: “Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; ma del frutto dell’albero ch’è in mezzo al giardino Iddio ha detto: Non ne mangiate e non lo toccate, che non abbiate a morire”. E il serpente disse alla donna: “No, non morrete affatto; ma Iddio sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri s’apriranno, e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male”. E la donna vide che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi, ch’era bello a vedere, e che l’albero era desiderabile per diventare intelligente; prese del frutto, ne mangiò, e ne dette anche al suo marito ch’era con lei, ed egli ne mangiò». Senza addentrarci nella teologica disquisizione sulla conoscenza totale come fattore negativo che porta gli uomini alla perdizione, va
rappresentazione del mito di Prometeo con la plasmazione dell’uomo, della prima metà del III secolo d.C.; sul fianco destro della vasca compaiono due figurelle umane accanto a un albero: la donna porta pudicamente la mano al pube, mentre l’uomo guarda l’albero, secondo uno schema che riporta alla scena biblica.
A sinistra e qui sotto: particolari di un sarcofago infantile con il mito di Prometeo. Metà del III sec. d.C. Roma, Musei Capitolini. La raffigurazione di un uomo, di una donna e di un albero e il Titano che, seduto, sorregge e ammira una piccola figura maschile.
DOPO IL DILUVIO Già alla fine del XVII secolo una parte della critica propose questa identificazione, mentre altra parte vuole vedervi (secondo chi scrive con meno probabilità) Decaulione e Pirra (figli rispettivamente di Prometeo e Pandora), anch’essi progenitori dell’umanità dopo un diluvio universale voluto da Zeus per punire la corruzione degli uomini. Sul sarcofago di Giunio Basso (359 d.C. circa), conservato nei Musei Vaticani, invece, il contesto è chiaramente ormai cristiano e tra gli episodi della storia sacra compaiono, in una formella a tempietto, Adamo ed Eva notato come il momento cruciale della genesi umana compaia sin dalle prime raffigurazioni paleocristiane sulla domus ecclesiae di Dura Europos del 232 d.C. circa (in Siria; purtroppo il sito è vittima dei recenti fatti bellici, ma fortunatamente le sue pitture, tra le piú antiche raffigurazioni di tema biblico, vennero strappate durante gli scavi franco-americani degli anni Venti e Trenta del Novecento e sono oggi conservate presso laYale University Art Gallery). Nel caso invece dei sarcofagi, è interessante il confronto tra il mito di Prometeo che forgia il primo uomo, quello della creazione della prima donna da parte di Efesto su ordine di Zeus, Pandora, foriera di tutti i mali, con la vicenda di Adamo ed Eva. I Musei Capitolini, a Roma, custodiscono un magnifico sarcofago di fanciullo con la
In basso: restituzione grafica di un affresco staccato dal battistero della domus ecclesiae di Dura Europos con Adamo ed Eva nei pressi di un albero. 232 d.C. circa. New Haven, The Yale University Art Gallery.
tra l’albero e il serpente, divergenti a capo chino consci della loro nudità, ognuno solo e avvolto nella triste coscienza del proprio errore. Adamo ed Eva sono assenti nella monetazione antica e moderna, mentre compaiono in particolare sulle medaglie rinascimentali. Tra queste, spicca quella realizzata nel 1536 dal medaglista e orafo Hans Reinhart il Vecchio con la Crocifissione al dritto e al rovescio il momento della tentazione, affiancato da altre scenette relative alla creazione di Adamo ed Eva, l’Eden e la cacciata dal Paradiso. Ebbene, i modelli dell’albero e di Adamo, qui raffigurato barbato e vigoroso, e della bella Eva che coglie il frutto proibito dall’albero nodoso dov’è attorcigliato il serpente discendono direttamente da quelli di Ercole nel Giardino delle Esperidi.
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I LIBRI DI ARCHEO
DALL’ITALIA Nicoletta Lanciano
IN LUNA, STELLIS ET SOLE Guida alla scoperta dell’Astronomia a Roma in dodici itinerari
Apeiron Editori, Sant’Oreste (Roma), 288 pp., ill. col. 19,90 euro ISBN 9788885978928 www.apeironeditori.com
Diciamo subito che il libro non è un saggio, né un testo letterario, ma è una guida: preziosissima per le notizie di prima mano che rivela, ma ancor piú per il metodo che propone, attraverso dodici itinerari topografici o tematici. Mi riferisco al metodo della curiosità, senza la quale non c’è scienza e non c’è cultura. Roma è un museo diffuso, ma non lo possiamo visitare come una noiosa sequela di vetrine: lo dobbiamo andare a cercare, con un atteggiamento attivo verso una città, che – lo sappiamo – non basta una vita per conoscerla davvero. Bisogna camminare per Roma con il naso all’insú, non solo per guardare le architetture, ma anche per capire dove sta il sole, perché i luoghi non si afferrano se non li mettiamo in relazione con lo spazio, e innanzitutto con l’astro che è all’origine di tutte le cose. Camminando per Roma non entriamo in empatia solo con le sue coordinate astronomiche 112 a r c h e o
o geografiche (il sole non sorgerà mai dietro il Gianicolo, dal Pincio non soffierà mai lo scirocco), ma con le sue stratificazioni culturali, perché sui muri della città leggiamo iscrizioni di tutte le epoche, che ci parlano di due mondi (storia e scienza) che dialogano assai piú di quanto possiamo pensare, e questo libro ci aiuta a capirlo. È l’empatia con i
luoghi che stimola in noi il desiderio di tornare. A Roma possiamo tornare mille volte e avremo sempre qualcosa da scoprire: figuriamoci quando il tema è quello – purtroppo poco praticato dal turismo – legato all’astronomia con le sue testimonianze architettoniche, le sue strumentazioni storiche, i suoi documenti fatti di testi scientifici e letterari, di immagini e di oggetti. A ogni pagina è possibile fare una scoperta, anche per chi Roma la frequenta da una vita. Impariamo che tra Montecitorio e il Pantheon fiorivano un tempo le botteghe degli
ottici fabbricanti di lenti, che anche il Colosseo non è sfuggito alla regola di un orientamento solare, come S. Pietro e la sua piazza con le due fontane, che a Monte Mario possiamo prendere un caffè a cavalcioni del primo meridiano d’Italia, che a Palazzo Corsini cercheremo invano accanto al globo del cielo quello della terra, perché Mussolini pensò bene di regalarlo a Hitler quando venne in visita a Roma nell’infausto 1938; scopriamo che nei depositi del Museo Nazionale Romano si conserva una ricca collezione di orologi solari antichi o che nella Galleria Spada si ammira ancora uno strumento rarissimo, quale il regolo lunare in legno dipinto. Impariamo anche che Roma fu piena un tempo di tante specole, sia pubbliche (quella di S. Ignazio è forse la piú nota) che private, certo fintanto che l’aria tersa della città ventilata dal ponentino e non ancora intrisa di smog e il buio di una notte non cancellata dall’illuminazione moderna resero possibile a chi se lo poteva permettere di trasformare terrazze e logge dei loro palazzi in teatri del cielo. Permettendo, per esempio, a Giuseppe Campani le sue scoperte sui satelliti di Giove. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la rivoluzionaria invenzione del telescopio, nel 1611.
Incuriosisce apprendere che Lodovico Cardi, detto il Cigoli, grande amico di Galileo, nel 1612 dipinse a S. Maria Maggiore per la prima volta la luna non come la vediamo tutti noi, ma come si vedeva grazie al nuovo strumento appena inventato. La figura di Galileo fa la parte dell’eroe di questa guida, di cui si ricordano con chiarezza le fondamentali scoperte e le disgrazie, gli onori e le prigioni, fino all’umiliazione dell’abiura senile. Questa è stata ricompensata dopo 400 anni dalle tardive scuse della Chiesa, dalla quale aspettiamo ancora una parola di verità per l’orrendo rogo di Giordano Bruno: altro personaggio vivo e presente nel libro, perché viva e presente è la memoria della sua mente, messa a tacere perché libera dalle superstizioni. Che cos’altro promettevano le scoperte di Galileo, se non che la terra, e noi con lei, condividiamo le sorti intere dell’Universo, del quale non siamo che una parte infinitesima e al tempo stesso gigantesca? Altri personaggi affollano le pagine del libro. A partire da padre Angelo Secchi, un gigante ottocentesco dell’astronomia, della meteorologia, della stessa geodetica, visto che a lui dobbiamo la base geodetica della via Appia da Capo di Bove a Frattocchie. Sono gli stessi anni in cui un architetto
prestato all’archeologia, Luigi Canina, allestiva per Pio IX il primo Parco archeologico di Roma, su quella stessa via Appia, che oggi ne possiede paradossalmente addirittura due. Secchi, Canina, come un secolo prima Francesco Bianchini e Giovambattista Nolli, anche loro presenti nel libro, sono i rappresentanti di un mondo in cui le due culture non si erano ancora del tutto scisse; e non solo operavano spesso gomito a gomito, ma convivevano anche nelle stesse persone. Poi l’Ottocento positivista e la reazione idealista le ha separate rendendole talora estranee l’una all’altra. A proposito dei rapporti fra arte e scienza, il libro si sofferma anche sul rapporto fra conoscenze astronomiche e architettura, per esempio nello sviluppo di piante e cupole ovali negli edifici ecclesiastici in aggiunta o sostituzione del cerchio; fra conoscenze astronomiche e pittura, con la comparsa di Urano, appena scoperto da Herschel nel 1781, nelle decorazioni della Sala Egizia di Villa Borghese, dove Giovan Battista Marchetti affianca il nuovo pianeta al Sole, alla Luna e ai cinque pianeti tradizionali. Il libro ha un gradevole carattere didattico, che riflette la personalità dell’autrice, che ci invita a capire anche da soli, con l’ausilio di qualche
semplice strumento, quello che stiamo osservando. Per esempio, a calcolare il diametro del Pantheon ricorrendo a un normalissimo foglio A4 (una sorta di piede romano tascabile) o a portare con sé uno specchietto per vedere meglio, assai meglio, le pitture dipinte sulle volte, spesso raffiguranti il cielo e le sue costellazioni; o a scegliere gli orari migliori per visitare S. Maria degli Angeli a seconda delle stagioni. Roma – leggiamo nel libro – ha una longitudine «pari a 2° e 31’ a ovest del meridiano dell’Europa centrale che passa per l’Etna e su cui sono regolati i nostri orologi: per questo motivo il Sole “ha un ritardo fisso” di 10 minuti rispetto agli orari segnati dagli orologi». Ecco: teniamoci questo dolce segreto, tutte le volte che quei dieci minuti di ritardo coincidono con le nostre quotidiane attese di autobus, tram e metropolitane. È un semplice problema di longitudine. Daniele Manacorda Giulia Facchin, Rossella Rea, Riccardo Santangeli Valenzani
ANFITEATRO FLAVIO Trasformazioni e riusi Electa, Milano, 326 pp., ill. col. e b/n 50,00 euro ISBN 978-88-918-2031-0 www.electa.it
Da sempre simbolo per eccellenza della romanità, il Colosseo ha continuato
a vivere anche dopo il declino di quell’impero che l’aveva voluto come una delle piú grandiose espressioni tangibili della sua potenza. Una vicenda che ebbe inizio all’indomani del 523, anno in cui, stando alle fonti a oggi note, la sua arena fu per l’ultima volta teatro di giochi. Questa seconda vita è dunque al centro del volume curato da Facchin, Rea e Santangeli Valenzani, che si basa sulle acquisizioni scaturite dalle indagini archeologiche condotte nel monumento nel corso degli ultimi anni. Indagini minuziose e pazienti, che hanno cercato di ritessere una trama in piú punti bruscamente lacerata dagli interventi di restauro e di ripristino condotti in epoca moderna. E tuttavia, nonostante le lacune – e con il prezioso ausilio delle fonti documentali, prime fra tutte quelle dell’archivio della chiesa di S. Maria Nova – è stato possibile ricostruire una storia assai articolata, che, seppur virtualmente, ci restituisce un’immagine inedita e inconsueta dell’anfiteatro. Fra l’XI e il XII secolo, per esempio, il Colosseo ospitava un gran numero di cryptae, ambienti ricavati all’interno delle sue arcate e per i quali non si è finora trovata alcuna definizione certa, ma con ogni probabilità utilizzati soprattutto come ricoveri per animali e depositi. Ma anche, stando alla natura dei
materiali archeologici recuperati in alcuni di essi, come botteghe di macelleria o, in un caso, laboratorio per la lavorazione del corno. A questa spiccata connotazione produttiva e artigianale fa poi riscontro la trasformazione di una parte del monumento nella fortezza della potente famiglia dei Frangipane. E qui si apre uno dei capitoli piú interessanti della storia medievale del Colosseo (e del volume), ma al tempo stesso piú sfuggenti, poiché la fisionomia di questo edificio fortificato è indiziata da scarsissimi resti materiali e da tracce iconografiche che ne offrono perlopiú un’immagine in negativo. Dati esili, dunque, ma che non hanno però precluso la proposta ricostruttiva inserita e discussa nel libro (e già a suo tempo presentata in occasione della mostra «Colosseo, un’icona»; vedi «Archeo» n. 391, settembre 2017; on line su issuu.com). Poi, nel a r c h e o 113
1349, un terremoto di violenza inaudita causa danneggiamenti e crolli e per la rota Colisei ha inizio una nuova stagione, che la vede in larga parte adibita a cava di materiale da costruzione. La magnifica rovina, dunque, non muore, ma cambia pelle, a poco meno di mille anni da quando le sue gradinate avevano accolto gli ultimi spettatori: un millennio di eventi, grandi e piccoli, che il volume ripercorre e racconta anche grazie a reperti di piú che modesto valore venale, ma di straordinario valore documentario. Stefano Mammini Luca Zaghetto
LA SITULA BENVENUTI DI ESTE Il poema figurato degli antichi Veneti Ante Quem, Bologna, 318 pp. , ill. b/n e col. 19,00 euro ISBN 978-88-7849-122-9 www.antequem.it
Il volume è di taglio specialistico e c’è, almeno in parte, di che rammaricarsene: l’argomento infatti è avvincente e meriterebbe senz’altro d’essere divulgato anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Protagonista della vicenda è uno degli esemplari piú celebri della produzione che va sotto il nome di «Arte delle situle», una categoria di manufatti in bronzo perlopiú attestati fra il VII e il V secolo a.C. 114 a r c h e o
in un’area che fa da corona all’alto Adriatico e che vede coinvolte popolazioni diverse, fra cui, appunto, i Veneti. Le situle (letteralmente, secchielli) erano oggetti di pregio, legati al simposio, durante il quali si utilizzavano per il consumo del vino. Nel volume, però, l’attenzione si concentra sull’apparato decorativo, del quale Zaghetto propone, di fatto, la decifrazione, considerandolo come una sorta di vero e proprio testo scritto. Uno dei presupposti essenziali della sua ricerca nasce infatti dall’aver esaminato i motivi che ornano tutti i reperti riferibili all’Arte delle situle a oggi noti, catalogando ben 5000 elementi di cultura materiale, che nella sua proposta divengono altrettante «parole». Le varie selezioni e combinazioni si trasformano quindi in racconti e quello della situla Benvenuti, rivenuta a Este nel gennaio del 1880, appare come uno fra i piú significativi e intriganti. Anticiparne qui
il contenuto sarebbe un peccato, dal momento che – come è tipico dell’archeologia – la decifrazione dei decori del prezioso secchiello assume a tratti quasi i contorni di un giallo e non è dunque il caso di svelarne anzitempo la soluzione. E per accrescere la curiosità, ci limitiamo a sottolineare come fra le strategie scelte dallo studioso ci sia la scelta di ripudiare l’approccio che ha molto spesso caratterizzato questo tipo di studi, vale a dire l’interpretazione di simili manifestazioni in chiave mitologica. S. M.
iniziale, lo sfruttamento della selvaggina ha avuto inizio fin dalla piú lontana preistoria e, da allora, il consumo della carne – che all’indomani della neolitizzazione sarà soprattutto quella degli animali allevati – ha costituito un elemento di primaria importanza nelle strategie di sussistenza. La ricerca di Seetah ha
DALL’ESTERO Krish Seetah
HUMANS, ANIMALS, AND THE CRAFT OF SLAUGHTER IN ARCHAEO-HISTORIC SOCIETIES Cambridge University Press, Cambridge, 260 pp., ill. b/n 75,00 GBP ISBN 978-1-108-42880-4 www.cambridge.org
Dimmi come tratti la carne e ti dirò chi sei: in estrema (e un po’ grossolana) sintesi, si potrebbe riassumere cosí il senso del saggio di Krish Seetah. Che, in realtà, è un’assai originale proposta di lettura delle comunità antiche attraverso la lente della macellazione e del trattamento delle carni. Come l’autore ricorda nel capitolo
però il merito di andare ben oltre le sole questioni tecniche o l’incidenza di determinate specie nella dieta delle culture di volta in volta esaminate. L’abbattimento degli animali e il trattamento delle loro carcasse vengono infatti indagati in tutti i loro risvolti sociali ed economici, sottolineando come la loro pratica non sia stata dettata soltanto da mode e gusti dei consumatori, ma abbia risposto a scelte in piú di un caso ricche di implicazioni ideologiche e simboliche e abbia contribuito alla definizione dei caratteri culturali di intere etnie. S. M.