Archeo n. 449, Luglio 2022

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IN EDICOLA L’ 8 LUGLIO 2022

2022

POSITANO

IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

VALLE CAMONICA ROMANA

SPECIALE HEINRICH SCHLIEMANN

Mens. Anno XXXVIII n. 449 luglio 2022 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

SCOPERTA DI SPINA

HEINRICH SCHLIEMANN E LA GRANDE AVVENTURA

SPINA

LA SCOPERTA DI UNA CITTÀ ETRUSCA SULL’ADRIATICO VALLE CAMONICA

UN PARCO ARCHEOLOGICO SOLIDALE

ROMA. IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE INCONTRO CON STÉPHANE VERGER

www.archeo.it

M US IL RO EO NU M NA OV A ZI O ww ON w. a rc AL he o. i E t

ARCHEO 449 LUGLIO

L’UOMO DEI SOGNI

€ 6,50



EDITORIALE

SENZA FRONTIERE Non sono passati dieci anni da quel giugno del 2013 in cui due protagonisti della politica internazionale si incontrarono a San Pietroburgo per presiedere – questa almeno l’intenzione iniziale – alla solenne inaugurazione di una mostra intitolata «Età del Bronzo. L’Europa senza frontiere», allestita al Museo dell’Ermitage. Ma qualcosa andò storto: l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel annullò la sua partecipazione alla cerimonia all’ultimo momento, lasciando di stucco «l’ospite», il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Il motivo? L’origine controversa dei reperti esposti, tra cui il famoso «Tesoro di Priamo». La mostra sarebbe stata politicamente scorretta perché esponeva tesori archeologici frutto di saccheggi perpetrati – alla fine del secondo conflitto mondiale – dall’Unione Sovietica ai danni della Germania. In dieci anni i tempi sono profondamente cambiati, Angela Merkel ha lasciato le redini della politica, mentre la sua controparte russa di allora si sta cimentando in nuove «avventure» all’insegna di un’«Europa senza frontiere» tutta da definire. E il Tesoro di Priamo? C’è da temere che non lo vedremo per molto tempo (è conservato al Museo Pushkin di Mosca), ma la sua vicenda moderna, insieme a quella del suo scopritore, continuerà a essere narrata e rievocata. Lo facciamo anche noi, in questo numero, con lo speciale dedicato all’«uomo dei sogni», in occasione del bicentenario della nascita di quell’ex garzone di bottega, diventato commerciante di Pietroburgo e cittadino onorario russo (sic!) e autore di scoperte leggendarie. Quelle sí, hanno valicato le anguste frontiere di nazioni e nazionalismi per entrare a far parte di un patrimonio di narrazioni universale. Per Heinrich Schliemann, del resto, le frontiere erano ben poca cosa, come leggeremo. A questo proposito, è degno di nota che la sua vita ebbe fine proprio in Italia, a Napoli, e che – del tutto casualmente – sono napoletani anche i due autori del nostro speciale, archeologi e studiosi dei luoghi greci indagati e riscoperti dall’archeologo tedesco. A Napoli, infine, tracce tangibili di quell’avventurosa vicenda sono tuttora conservate nel Museo di Antropologia della città partenopea. Insomma, ricordiamoci sempre di quell’Europa senza frontiere voluta e vissuta dal «grande Schliemann». E auguriamoci, davvero, di non doverla, un giorno, rimpiangere. Andreas M. Steiner

In alto: Heinrich Schliemann a San Pietroburgo, in una foto del 1856. Qui sopra: Angela Merkel e Vladimir Putin alla mostra «Età del Bronzo. L’Europa senza frontiere» a San Pietroburgo, nel 2013.


SOMMARIO EDITORIALE

Senza frontiere

3

A TUTTO CAMPO Paesaggi di Calabria

di Andreas M. Steiner

di Carlo Citter

Attualità

ARCHEOFILATELIA Musei in movimento...

NOTIZIARIO

6

SCAVI I colori di un’antica villa

6

MOSTRE 20

Quell’operaio con un vaso in braccio... 52 di Giuseppe M. Della Fina

26

di Luciano Calenda

L’INTERVISTA

di Giampiero Galasso

Partita a quattro

PASSEGGIATE NEL PArCo Sotto i piedi e sullo smartphone 10

incontro con Stéphane Verger, a cura di Flavia Marimpietri

32

di Federica Rinaldi e Alessandro Lugari

52

MOSTRE Una collezione come status symbol 12 ALL’OMBRA DEL VULCANO Un pollice verde nella Casa di Pansa 16

PARCHI ARCHEOLOGICI Minerva solidale

66

di Serena Solano e Carlo Cominelli

a cura di Alessandro Mandolesi e Alessandra Randazzo

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32

66 IN EDICOLA L’ 8 LUGLIO 2022

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2022

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ARCHEO 449 LUGLIO

M US IL RO EO NU M NA OV A ZIO O NA he o. it LE

di Alessandro D’Alessio e Cristina Genovese

€ 6,50

www.archeo.it

FRONTE DEL PORTO Apollo al check in

Presidente

POSITANO

Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it Impaginazione Davide Tesei Amministrazione amministrazione@timelinepublishing.it

Mens. Anno XXXVIII n. 449 luglio 2022 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

SPECIALE HEINRICH SCHLIEMANN

Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it

VALLE CAMONICA ROMANA

Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it

Comitato Scientifico Internazionale

SCOPERTA DI SPINA

Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Alessandria, 130 – 00198 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it

Federico Curti

IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

Anno XXXVIII, n. 449 - luglio 2022 Registrazione al tribunale di Milano n. 255 del 07.04.1990

In copertina ritratto di Heinrich Schliemann, olio su tela di J. Sydney Willis Hodges. 1877. Berlino, Staatliche Museen.

Maxwell L. Anderson, Bernard Andreae, John Boardman, Mounir Bouchenaki, Wim van Es, M’Hamed Fantar, Otto H. Frey, Louis Godart, Svend Hansen, Friedrich W. von Hase, Thomas R. Hester, Donald C. Johanson, Venceslas Kruta, Henry de Lumley, Javier Nieto

L’UOMO DEI SOGNI HEINRICH SCHLIEMANN E LA GRANDE AVVENTURA

SPINA

LA SCOPERTA DI UNA CITTÀ ETRUSCA SULL’ADRIATICO

ROMA. IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE INCONTRO CON STÉPHANE VERGER

VALLE CAMONICA

Comitato Scientifico Italiano

UN PARCO ARCHEOLOGICO SOLIDALE

arc449_Cop.indd 1

27/06/22 16:35

Enrico Acquaro, Ermanno A. Arslan, Andrea Augenti, Sandro Filippo Bondí, Francesco Buranelli, Carlo Casi, Francesca Ceci, Francesco D’Andria, Giuseppe M. Della Fina, Paolo Delogu, Francesca Ghedini, Piero Alfredo Gianfrotta, Pier Giovanni Guzzo, Eugenio La Rocca, Daniele Manacorda, Danilo Mazzoleni, Cristiana Morigi Govi, Lorenzo Nigro, Sergio Pernigotti, Sergio Ribichini, Claudio Saporetti, Giovanni Scichilone, Paolo Sommella, Romolo A. Staccioli, Giovanni Verardi, Massimo Vidale, Andrea Zifferero Hanno collaborato a questo numero: Luciano Calenda è consigliere del CIFT, Centro Italiano Filatelia Tematica. Francesca Ceci è archeologa presso la Direzione dei Musei Capitolini di Roma. Tsao Cevoli è archeologo e giornalista. Carlo Citter è professore associato di archeologia medievale all’Università degli Studi di Siena. Francesco Colotta è giornalista. Carlo Cominelli è il presidente della Cooperativa Sociale K-Pax di Breno (Brescia). Alessandro D’Alessio è direttore del Parco archeologico di Ostia antica. Giuseppe M. Della Fina è direttore scientifico della Fondazione «Claudio Faina» di Orvieto. Giampiero Galasso è giornalista. Cristina Genovese è funzionario archeologo del Parco archeologico di Ostia antica. Alessandro Lugari è assistente tecnico restauratore del Parco archeologico del Colosseo. Alessandro Mandolesi si occupa di comunicazione archeologica per conto del Parco archeologico di Pompei. Flavia Marimpietri è archeologa e giornalista. Alessandra Randazzo è giornalista. Federica Rinaldi è funzionario archeologo del Parco archeologico del Colosseo. Serena Solano è funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia. Lidia Vignola è archeologa e scrittrice.


Rubriche L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Una triade senza tempo

108

di Francesca Ceci

76 SPECIALE

108 LIBRI

Heinrich Schliemann, l’uomo dei sogni 110

76

di Tsao Cevoli e Lidia Vignola

Illustrazioni e immagini: Staatliche Museen, Berlino: Museum für Vor- und Frühgeschichte: copertina (e p. 77) e pp. 79 (alto), 87 (destra); David von Becker: pp. 78, 80, 95 (alto), 100 (basso), 104 (alto), 105; Claudia Plamp: pp. 85 (basso), 104 (basso) – American School of Classical Studies at Athens, Archives: Heinrich Schliemann Papers: pp. 3 (alto), 79 (basso), 83; Carl Blegen Papers: p. 84 – Cortesia Comune di Positano: Vito Fusco: pp. 6-8 – Parco archeologico del Colosseo: pp. 10-11 – Parco archeologico di Pompei: pp. 16-17 – Archivio Fotografico del Parco archeologico di Ostia antica: pp. 18-19 – Cortesia Carlo Citter: pp. 20, 22 – Su concessione del Ministero della Cultura-Museo Nazionale Romano: pp. 32-33, 34/35, 36-39, 42-47, 48/49 – Cortesia Ufficio Stampa: pp. 40-41 – Shutterstock: pp. 49, 90-91, 102/103, 106/107 – Ufficio Stampa mostra «Spina 100. Dal mito alla scoperta»: Maurizio Cinti: pp. 52/53 (alto), 54/55, 56 (basso); Eugenio Ciccone: pp. 57, 58/59, 64 (centro), 65; Valentina Tomasi: pp. 60-63 – Doc. red.: pp. 3 (basso), 52/53 (basso), 53, 54, 56 (alto), 86, 87 (sinistra), 88-89, 92-93, 96-99, 100 (alto), 101, 108-109 – Stefano Mammini: pp. 64 (alto e basso) – Vittorio Bertoletti: pp. 66/67 – Su concessione del Ministero della Cultura-Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia: pp. 68-69, 70 (alto), 71, 72-75 – bpk-Bildagentur: pp. 76, 82, 95 (basso) – Municipal Gallery of Athens: p. 81 (alto) – Museo Numismatico, Atene: Giorgos Mestousis: p. 81 (basso) – Hellenic Ministry of Culture and Sports/Hellenic Cultural Resources Managing and Development Organization: p. 94; Maria Kontaki: p. 85 (alto) – Mondadori Portfolio: p. 102 – Cippigraphix: cartine alle pp. 35, 55, 67, 70, 90. Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.

Pubblicità e marketing Rita Cusani e-mail: cusanimedia@gmail.com – tel. 335 8437534 Distribuzione in Italia Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia srl Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Stampa Roto3 Industria Grafica srl via Turbigo 11/B - 20022 Castano Primo (MI) Servizio Abbonamenti È possibile richiedere informazioni e sottoscrivere un abbonamento tramite sito web: www.abbonamenti.it/archeo; e-mail: abbonamenti@directchannel.it; telefono: 02 49572016 [lun-ven, 9-18; costo della chiamata in base al proprio piano tariffario]; oppure tramite posta scrivendo a: Direct Channel SpA Casella Postale 97 – Via Dalmazia, 13 – 25126 Brescia (BS) L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno. Arretrati Il Servizio Arretrati è a cura di: Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia Srl - 20090 Segrate (MI) Le edicole e i privati potranno richiedere le copie degli arretrati tramite e-mail agli indirizzi: collez@mondadori.it e arretrati@mondadori.it e accedendo al sito https://arretrati. pressdi.it L’indice di «Archeo» 1985-2021 è disponibile sul sito www.ulissenet.it Registrandosi sulla home page si ottengono le credenziali per la consultazione di prova


n otiziario SCAVI Campania

I COLORI DI UN’ANTICA VILLA

S

i è appena conclusa a Positano (Salerno) la terza fase delle indagini archeologiche condotte in via Rampa Teglia, nell’ambiente ipogeo di piazza Vito Savino, alla scoperta di nuovi settori abitativi della villa residenziale marittima. Finanziati dal comune di Positano nell’ambito del Progetto «Antica e nuova Positano. Dai fasti dell’epoca romana all’età moderna», i lavori di scavo, sono stati eseguiti sotto la direzione scientifica della Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino. Queste ultime indagini, successive a quelle del 2016 – che portarono al recupero sul livello superiore della coltre vulcanica del 79 d.C. di alcune sepolture di età medievale –, hanno messo in luce una serie di unità stratigrafiche sia di accumulo naturale – dovute a

6 archeo

In questa pagina: alcune fasi degli scavi condotti a Positano (Salerno), in via Rampa Teglia. Le indagini hanno portato alla luce strutture murarie e reperti riferibili a una villa residenziale marittima.

una colata alluvionale piroclastica –, sia al crollo di spezzoni murari con paramento in opus reticulatum con cubilia di tufo giallo. «Grazie alle scorie di deiezione vulcanica (cenere e lapillo) che le ricoprivano – spiega Silvia Pacifico, funzionaria archeologa responsabile di zona – le strutture murarie emerse si sono presentate in uno stato di conservazione discreto, anche se è risultato difficile formulare ipotesi

sull’ambiente a cui si riferiscono: considerando il loro allineamento, quelle evidenziate nel settore nord dello spazio finora indagato sembrerebbero riferirsi al crollo coerente di una stessa parete che è stata spinta e fatta rotolare da un piano o da una terrazza superiore. Le prime indagini hanno portato anche al recupero di numerosi frammenti di tegole e coppi che offrono chiare indicazioni sul piano di copertura in laterizi a falde di questo settore dell’edificio. Singolare, e del tutto inedita, è la presenza, sul retro di alcune tegole, di un’iscrizione in carboncino (ante 79 d.C.) di complessa interpretazione. Tra i materiali edilizi rinvenuti si segnala la presenza in alcuni strati di numerosi frammenti di intonaco di soffitto che presentano sul retro tracce in negativo di incannucciata e attestano, verosimilmente, la presenza di una controsoffittatura. Gli interventi di scavo condotti sugli strati che formano il crollo della zona superiore dell’edificio (soffitto,


In alto: frammento di intonaco parietale a campitura bianca con finta architettura con tholos e trabeazione aggettante sorretta da colonne corinzie dorate che lateralmente sorreggono un architrave a metope. Dalla colonna centrale pende una cordicella che regge un pinax aperto sul quale è raffigurata una coppia di gladiatori. IV Stile, 62-79 d.C. A destra: frammento di intonaco parietale a campitura bianca con la copertura tonda di una tholos in forma di conchiglia e, nel registro inferiore, un volatile. IV Stile, 62-79 d.C. In basso: il frammento di intonaco con un medaglione nel quale è dipinto un volto di Satiro in corso di scavo. IV Stile, 62-79 d.C.

pareti murarie) hanno poi portato alla scoperta di una grande quantità di frammenti di pittura parietale. L’intonaco rinvenuto doveva con molta probabilità rivestire il registro superiore delle pareti di uno stesso ambiente appartenente alla pars urbana della villa. L’inquadramento cronologico e stilistico dei frammenti recuperati, grazie al confronto con complessi pittorici di età romana della prima età imperiale (prima e seconda metà del I secolo d.C.), ben datati e classificati grazie alle testimonianze restituite dai centri vesuviani, ha

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n otiz iario In questa pagina: operazioni di pulitura e ricomposizione dei frammenti di intonaco dipinto recuperati nel corso dello scavo. consentito di individuare nei rivestimenti parietali recuperati in via Rampa Teglia un IV stile pompeiano caratterizzato prevalentemente dall’allineamento di ghirlande, tralci, bordi di tappeto, fasce e motivi diversi. Dal paramento nord di una struttura muraria provengono un medaglione all’interno del quale è dipinto il volto di un Satiro, una finta architettura con tholos e trabeazione aggettante sorretta da colonne corinzie dorate e un interpannello con tholos a forma di conchiglia e alla base un volatile appoggiato su un arco di bordo di

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tappeto, che si prolunga orizzontalmente nei pannelli laterali. I materiali rinvenuti suggeriscono che questa zona della parete fosse conclusa superiormente da una fascia orizzontale a fondo giallo ocra, che si intersecava con altre fasce talvolta decorate con elementi fitomorfi verticali sempre a fondo giallo, dividendo la zona superiore in riquadri o campi, che solitamente dovevano essere figurati al centro. Altro motivo ornamentale ricorrente finora rilevato durante i recuperi in via Rampa Teglia è quello delle cornici con elementi

vegetali stilizzati inseriti tra linee orizzontali e a semicerchio corrente di colore rosso scuro, che si sviluppano quasi parallelamente alla fascia orizzontale, ed elementi vegetali stilizzati anche riempitivi di cornici a triangoli testa-base sempre di colore rosso scuro. Spicca, fra gli altri, anche un frammento di intonaco con pellicola pittorica a campitura bianca con sovradipinto un elemento decorativo composto da un corpo campaniforme di colore blu, bordato da un elemento fitomorfo in giallo ocra, su cui è ulteriormente sovradipinto un fiore di loto rovesciato e stilizzato in marrone scuro». Le future indagini, che continueranno ad avvalersi del sostegno economico del comune di Positano e sono state programmate per il prossimo inverno, saranno finalizzate al recupero di reperti che possano ulteriormente definire i caratteri del contesto topografico di questo edificio, ai fini della puntuale ricostruzione della sua storia. Successivamente si potrà procedere alla conservazione, valorizzazione e musealizzazione di quanto messo in luce, cosí da arricchire e ampliare il percorso archeologico aperto al pubblico. Giampiero Galasso



PASSEGGIATE NEL PArCo a cura di Federica Rinaldi e Martina Almonte

SOTTO I PIEDI E SULLO SMARTPHONE SUL PALATINO E NEL FORO ROMANO SI CONSERVANO OLTRE 200 PAVIMENTI A MOSAICO: UN PATRIMONIO PREZIOSO E DELICATO, TENUTO SOTTO COSTANTE OSSERVAZIONE E DEL QUALE, OGGI, È STATA POTENZIATA LA FRUIZIONE DA PARTE DEI VISITATORI

I

l Parco archeologico del Colosseo è impegnato dal 2018 nel progetto «Carta del Rischio delle superfici pavimentali», il cui avvio è stato raccontato proprio nelle pagine di questa rubrica (vedi «Archeo» n. 409, marzo 2019; anche on line su issuu. com), esplicitando gli obiettivi del lavoro, ovvero lo studio, la catalogazione e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli oltre 200 rivestimenti pavimentali del

Palatino e del Foro Romano ancora conservati in situ. Oggi, dopo tre anni di azioni volte al recupero di questo patrimonio, gli interventi eseguiti nell’ambito del progetto ci permettono di comunicare al pubblico e ai visitatori del PArCo la storia di questi manufatti, ma anche la loro intrinseca bellezza. Ma facciamo un passo indietro. La maggior parte dei pavimenti era già stata oggetto di pubblicazione da parte di Maria Luisa Morricone

Matini e, a partire dal 2000, sono stati catalogati nel database relazionale TESS (https://tess. beniculturali.unipd.it).

IL PARCO IN QUADRANTI Nella fase iniziale del lavoro e per ottimizzarlo, considerando l’estensione del PArCo, l’area archeologica è stata suddivisa in quadranti, all’interno dei quali sono stati individuati gli edifici nei quali ancora si conservano i L’home page della mappa interattiva dei pavimenti del Parco archeologico del Colosseo, liberamente accessibile on line. Nella pagina accanto: una foto della gallery di immagini, ingrandita e con didascalia (della Basilica Emilia, VI sec. d.C.).

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pavimenti oggetto di studio. In ambiente webGIS – dove ogni attività quotidiana viene annotata e registrata – , è stata predisposta per ogni edificio una scheda storico-archeologica accompagnata da una scheda di unità pavimentale dedicata, comprensiva della descrizione del pavimento, della tipologia decorativa (cementizio, tessellato, lastricato, opus sectile, spicato), della datazione, della bibliografia – ove esistente –, degli allegati fotografici, e di tutte le informazioni reperite in archivio. Un ulteriore livello di approfondimento è dedicato alla parte prettamente conservativa, nella quale viene descritto lo stato di fatto, e quindi il tipo di esposizione, e, di conseguenza, la presenza o meno di copertura e protezione, sia stabile che stagionale. Questo monitoraggio ha permesso di declinare un piano di intervento diretto sulle pavimentazioni, che ha previsto un report dello stato di fatto, seguito da operazioni di pulitura, bloccaggio degli elementi mobili, ripristino e conservazione dei bordi perimetrali dei lacerti conservati e, ove necessario, applicazione di sistemi di prevenzione di ricrescita della vegetazione infestante, trattamenti biocidi periodici. In alcuni casi sono state inoltre predisposte coperture stagionali con teli di Deltalite, quando le temperature, sia in estate che in inverno, raggiungono i livelli di allerta. Infine è stato studiato e testato un trattamento delle lacune finalizzato sia alla restituzione del disegno originario, sia all’isolamento dalle radici erbose e quindi alla migliore conservazione del pavimento musivo o marmoreo. Il lavoro sul campo ha consentito di passare dalla manutenzione straordinaria a interventi periodici di manutenzione ordinaria che

prevedono il monitoraggio programmato per ogni unità pavimentale a seconda delle criticità, riducendo il «rischio» di danno e trasformandolo in «valore».

LA MAPPA INTERATTIVA Se il webGIS costituisce il backoffice del nostro lavoro quotidiano, accessibile agli «addetti ai lavori» tramite password, per condividere e favorire l’accesso a questo patrimonio a tutti i visitatori, sia in situ, sia on line, è stata predisposta una mappa interattiva (http:// cdrweb.parcocolosseo.it), che si avvale degli elementi spaziali della carta tecnica in uso presso il Parco del Colosseo come cartografia di base per la georeferenziazione; sulla carta sono stati digitalizzati i poligoni relativi ai pavimenti utilizzando la documentazione grafica d’archivio disponibile e i medesimi poligoni sono stati resi interattivi consentendo l’accesso immediato alle schede semplificate di ciascun pavimento. Cliccando su ciascun poligono, viene visualizzata la scheda del pavimento associata a una gallery di immagini che forniscono visivamente dati e informazioni sia di tipo storico e di archivio, sia sulle modalità di restauro e conservazione, sia sulla tipologia del pavimento e quindi la sua datazione. Le schede sono in

italiano e inglese e vengono progressivamente implementate. A oggi è stata data priorità ai pavimenti inseriti nei percorsi di visita ordinaria del pubblico del Parco archeologico del Colosseo, interessando cosí i settori del Foro Romano (Casa delle Vestali, Fonte di Giuturna, Basilica Emilia, Curia Iulia, Horrea Agrippiana) e del Palatino (Palazzo Flavi, Paedagogium e Schola Praeconum) – solo per citare i piú rappresentativi – che rientrano nel biglietto ordinario. Progressivamente, però, la mappa verrà aggiornata con le schede anche dei luoghi cosiddetti SUPER (chiesa di S. Maria Antiqua, Casa di Augusto, Casa di Livia) o dei luoghi rispetto ai quali la visita non è consentita se non per motivi di studio e tutela dei siti. L’obiettivo è quello di offrire un panorama esaustivo delle superfici pavimentali decorate, trasmettere il valore di questi preziosi indicatori di lusso (o di servizio) delle residenze antiche, riducendo il rischio del calpestio indiscriminato e «non compreso». Oltre che come guida interattiva per approfondire la conoscenza delle tecniche di rivestimento, la mappa si presta infatti anche come strumento per costruire percorsi su base cronologica o tematica. Federica Rinaldi e Alessandro Lugari

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ISOLA D’ELBA

Un patrimonio da scoprire Fino al prossimo ottobre l’Elba celebra il suo legame con il popolo mediterraneo e con quello romano in un’estate ricca di appuntamenti dedicati alle culture antiche: mostre, archeotrekking, incontri, visite guidate, ricostruzioni storiche, degustazioni a tema e molto altro ancora. È quanto prevede «Elba etrusca», il primo progetto di rete del Sistema Museale Arcipelago Toscano, realizzato in collaborazione con la Gestione Associata del Turismo, con tutte le amministrazioni locali e con le relative Pro Loco, in un’ottica di cooperazione che vede l’isola come unica realtà volta alla valorizzazione, comunicazione e promozione del patrimonio archeologico e degli eccezionali reperti custoditi nei musei. Appuntamento centrale del calendario è la mostra «Il ferro e l’oro. Rotte mediterranee tra Etruria e Oriente», visitabile fino a domenica 2 ottobre al Museo Archeologico del Distretto Minerario, a Rio nell’Elba. Si tratta di un’esposizione importante, grazie alla quale una selezione di pregiati materiali del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, provenienti dalle necropoli dell’Etruria mineraria illustra i fecondi contatti commerciali e culturali con il Mediterraneo orientale, strettamente connessi ai metalli della costa toscana e al ferro dell’Elba. Il calendario completo degli eventi di «Elba etrusca» è pubblicato sul portale web del sistema museale: www.museiarcipelago.it

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MOSTRE Parma

UNA COLLEZIONE COME STATUS SYMBOL

L

a ricchezza raggiunta dalle collezioni riunite dai Farnese è, oggi, difficilmente immaginabile, ma grazie alla mostra allestita negli spazi della Pilotta di Parma si riesce ad avere un’idea attendibile delle sue proporzioni. Del resto, come viene a piú riprese sottolineato nei saggi dell’ampio catalogo, per papa Paolo III (al secolo, Alessandro Farnese) e per i suoi discendenti farsi committenti della realizzazione

di opere d’arte e riunire oggetti antichi ed esotici divenne un efficace strumento di legittimazione della propria casata, decisa ad affermarne il proprio ruolo nella compagine politica ed europea. La rassegna presenta oltre 300 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane ed


europee insieme a opere della Collezione Farnese a Parma, e sono molti i prestiti eccezionali, a conferma delle relazioni e dell’interesse dei Farnese per la cultura e gli oggetti provenienti da terre lontane e sconosciute: due globi Coronelli dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia e, per la prima volta in Italia dal Musée des Amériques-Auch, la Messa di San Gregorio eseguita in Messico dagli indios per ringraziare Paolo III della bolla Sublimis Deus, che riconobbe A destra: Diana cacciatrice su cervo, gruppo in argento dorato di Jacob Miller il Vecchio. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte. A sinistra: la Tazza Farnese, uno spettacolare cammeo in agata sardonica, del diametro di 20 cm. Età ellenistica. Napoli, Museo Archeologico Nazionale. In basso: olifante in avorio intagliato. XIV-XVII sec. Roma, Museo delle Civiltà, Museo Preistorico Etnografico «Luigi Pigorini».

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TORINO

Un’oasi nel cuore della città C’è il loto azzurro, con i suoi fiori che si schiudono all’alba per poi richiudersi al tramonto, simbolo di rinascita e rigenerazione, e non può mancare il papiro, che cresceva in fitte paludi lungo il fiume o il delta del Nilo ed era la pianta araldica del Basso Egitto. Sono solo alcuni dei protagonisti di «Cortile Aperto: Flora dell’antico Egitto», un nuovo spazio verde, che ha preso vita nel cortile del Museo Egizio. Un omaggio alla civiltà dell’antico Egitto, che fu tra le prime a sviluppare una cultura del giardino e a conferire significati simbolici a piante e fiori, come testimoniano le raffigurazioni di giardini rivenute nelle tombe dell’alta società egizia. Il Museo Egizio ha ricreato un’antica oasi verde, che si ispira ai giardini del Nuovo Regno (1539-1076 a.C.), a partire da studi archeobotanici. A curare il progetto tre giovani egittologi del Museo, un team internazionale composto da: Divina Centore, Johannes Auenmuller e Cedric Gobeil. È un luogo aperto gratuitamente alla cittadinanza e ai turisti, una nuova agorà nel cuore di Torino, che nel week end si anima anche a sera con uno spettacolo di videomapping sulle mura del palazzo barocco del Collegio dei Nobili che ospita il Museo Egizio e l’Accademia delle Scienze. Info: https://museoegizio.it

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l’umanità dei nativi americani e ne condannò lo sfruttamento. Tra gli oltre 80 oggetti provenienti dal Gabinetto delle Cose Rare del Museo e Real Bosco di

Capodimonte spiccano la Cassetta Farnese, insieme alla Tazza Farnese dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, alle monete e medaglie del Complesso Monumentale della

In alto: progetto di Palazzo Farnese a Roma. Modena, Archivio di Stato. In basso: la Cassetta Farnese, in argento dorato, lapislazzuli, smalto e cristalli di rocca. 1543-1561. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte.


GAIOLE IN CHIANTI (SIENA)

Il Chianti al tempo dei Romani

Pilotta e ai pezzi della Collezione Gonzaga di Guastalla confluiti nella collezione Farnese, che permettono di ricostruire una camera delle meraviglie rinascimentale. E poi, ancora, circa 200 disegni di architettura – dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Galleria degli Uffizi, dalle raccolte grafiche statali di Monaco di Baviera, dagli Archivi di Stato di Parma, Piacenza, Napoli, Roma e Modena, dalla Biblioteca Nazionale di Napoli, dalla Reverenda Fabbrica di San Pietro e dello stesso Complesso Monumentale della Pilotta – e una selezione di magnifici dipinti, che comprendono opere di Raffaello, Tiziano Vecellio, Francesco Mazzola «il Parmigianino», El Greco e Annibale Carracci. Il risultato è un corpus di materiali museali e archivistici che confluisce per la prima volta in una delle mostre piú importanti mai realizzate sul tema del collezionismo rinascimentale e di sicuro la piú ricca in assoluto sulla

Collezione Farnese, in cui si ritrova una riflessione dell’aderenza tra residenze e raccolte artistiche, capace di evocare quel connubio tra opere e architettura che legava i contenuti al loro contenitore. Un’occasione da non perdere per rivivere vicende straordinarie, come la creazione del Museum Farnesianum o la nascita della raccoltà di antichità, che prese le mosse alla metà del Cinquecento, all’indomani dei primi eccezionali ritrovamenti compiuti nell’area delle Terme di Caracalla. (red.)

DOVE E QUANDO

La mostra «I Romani nel Chianti», visitabile nelle ex Cantine Ricasoli di Gaiole in Chianti fino al 18 settembre, prende spunto dal tesoro di monete d’argento di Cetamura (vedi foto in basso), scoperto nel 2015, e mette a fuoco il popolamento del comprensorio chiantigiano piú prossimo nell’età romana. Fulcro del percorso è Cetamura, che a differenza di molti insediamenti fortificati etruschi, in età romana non viene abbandonato, ma pur decadendo la sua funzione difensiva continua a vivere intensamente. Intorno a Cetamura, però, si raccolgono materiali di altri abitati, come la probabile villa di Monti in Chianti (Gaiole in Chianti) o il sito di Petroio (Castelnuovo Berardenga), nonché presenze finora segnalate da esigui recuperi, utili a ricostruire la rete degli insediamenti e degli itinerari che innervavano le colline chiantigiane. Il «ritorno a casa» del tesoro di Cetamura è segno tangibile del percorso di realizzazione del Civico Museo «Alle origini del Chianti», intrapreso dal Comune di Gaiole, in collaborazione con Soprintendenza ABAP per le province di Siena Grosseto e Arezzo e Florida State University. Info: www.comune.gaiole.si.it

«I Farnese. Architettura, Arte, Potere» Parma, Complesso Monumentale della Pilotta fino al 31 luglio Orario ma-do, 10,30-18,30; lunedí chiuso Info tel. 0521 220400; www.complessopilotta.it

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ALL’OMBRA DEL VULCANO a cura di Alessandro Mandolesi e Alessandra Randazzo

UN POLLICE VERDE NELLA CASA DI PANSA OLTRE A ESSERE VIVACE E FIORENTE, POMPEI ERA ANCHE «GREEN»: LA RICOSTRUZIONE FILOLOGICA DI UN GIARDINO, NEL QUALE SONO STATE RECUPERATE LE SPECIE DEL TEMPO, RESTITUISCE IL QUADRO DI UNA CITTÀ PIENA DI SPAZI VERDI

I

l connubio tra archeologia e verde trova espressione armoniosa nella rigenerazione del vivaio nella Casa di Pansa, dove, da qualche mese e con la conclusione dei lavori di recupero, si cerca di dare una

forte impronta e un vivace stimolo alla biodiversità del Parco Archeologico di Pompei. Già nel Novecento furono realizzate due aree di questo genere all’interno della città: una in un giardino di via dell’Abbondanza da destinare

In questa pagina: esempi degli interventi realizzati nell’ambito della rigenerazione del vivaio della Casa di Pansa, recuperando le tecniche in uso in età antica. In alto, una balaustra a incannucciata; in basso, una pergola con piante di vite. a Orto Botanico e l’altra proprio nel giardino della Casa di Pansa, nella Regio VI, da organizzare come vivaio delle specie per i giardini di Pompei.

VOTATE PER ME... Esplorata a partire dal 1810, la grande dimora occupa l’intero isolato, con la facciata d’ingresso su via delle Terme, e deriva il suo nome dall’iscrizione elettorale contenente il nome di Pansa dipinta a destra della bottega adiacente all’ingresso della residenza: «Pansam aed(ilem) Paratus rog(at)» (CIL IV 251). Il piú celebre proprietario della casa fu però Gneo Alleio Nigidio Maio, già ricco finanziatore di ludi gladiatori. Gli scavi condotti a partire dal 1827 nella pars rustica della domus individuarono un grande giardino organizzato con letti di coltivo di forma rettangolare allungata e una

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grazie a un progetto di restauro del giardino che ha rispettato ogni riferimento storico e archeologico, riadeguandolo ai mutamenti subiti in epoca contemporanea.

LA LEZIONE DI PLINIO

grande cisterna. Nel settembre del 1943, le bombe alleate che colpirono il sito di Pompei distrussero anche il grande giardino e alcune aree limitrofe che, nel secondo dopoguerra, vennero progressivamente abbandonate per essere ripristinate solamente a partire dagli anni Sessanta, grazie al sapiente lavoro di Annamaria Ciarallo, basato anche sugli studi dell’archeologa americana Wilhelmina Jashemski. Dopo un lungo periodo di chiusura, il vivaio oggi è stato riattivato e rigenerato In alto: un covone di fieno realizzato anch’esso all’uso antico. In basso: veduta panoramica del vivaio della Casa di Pansa, nel quale sono state messe a dimora anche specie oggi scomparse, ma che in età romana erano invece assai diffuse.

Il vivaio della Casa di Pansa costituisce oggi un prezioso centro didattico, nel quale Plinio il Vecchio e Columella ci «insegnano» come e cosa coltivare. Vi è un’accurata attenzione alla scelta delle specie da riprodurre, sia della vegetazione autoctona vesuviana che del patrimonio vegetale sfruttato dagli antichi pompeiani, con specie a doppia utilità, come il Ruscus, usato per le bordure ma anche per migliorare la circolazione del sangue, o l’Iris foetidissima, un antidolorifico naturale; oppure con piante d’uso alimentare come il farro, il grano, l’orzo, le cicerchie, le bietole e le cipolle, ma anche rarità ormai scomparse sul territorio come l’asfodelo tenuifolio (Asphodelus fistulosus L.), il papavero giallo (Glaucium flavum), il mirto bianco (Melomphis arabica (L.) Raf.), la Calendula officinalis e altre specie erbacee e arbustive. Tra le bellezze del vivaio spicca la collezione di rose antiche, con specie coerenti dal punto di vista filologico e storico come la Rosa gallica versicolor, la Rosa Quatre Saisons e la Rosa Kazanlik. L’allestimento del vivaio ripropone inoltre piccoli arredi e strutture antiche – come le incannucciate – realizzate con le tecniche del tempo per legature e sostegni delle piante,

o anche la riproduzione fedele delle ollae pertusae conservate nei depositi di Pompei e Boscoreale, contenitori a perdere usati per la crescita delle piante. Si tratta di un sistema ecologicamente sostenibile in quanto il vaso, rompendosi nel terreno allo svilupparsi delle radici della pianta, evita continui rinvasi con cambi di contenitori; allo stesso tempo le ollae sono un elemento che richiama il design del giardino romano. Per la riattivazione del vivaio sono state prodotte quasi mille ollae, copie fedeli di manufatti di varie dimensioni attualmente esposti all’Antiquarium di Boscoreale, un raro caso di riproduzione seriale per la riutilizzazione funzionale di un contenitore archeologico. Con il restauro filologico del giardino si è giunti alla riproposizione delle tecniche colturali antiche come strumento di conoscenza per un’efficace valorizzazione del luogo. Il vivaio entra cosí a far parte dell’Azienda Agricola Pompei come luogo di produzione delle specie della flora pompeiana da utilizzare nel restauro dei giardini antichi, cosí da determinare l’autosufficienza vivaistica del Parco e il raggiungimento di una filiera corta o interna. Per notizie e aggiornamenti su Pompei: pompeiisites.org; Facebook: Pompeii-Parco Archeologico; Instagram: Pompeii-Parco Archeologico; Twitter: Pompeii Sites; YouTube: Pompeii Sites.

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FRONTE DEL PORTO a cura di Claudia Tempesta e Cristina Genovese

APOLLO AL CHECK IN PER RACCONTARE IL MONDO DEGLI UOMINI E DEGLI DÈI IN ETÀ ROMANA, IL PARCO DI OSTIA ANTICA CONSOLIDA IL RAPPORTO DI COLLABORAZIONE CON L’AEROPORTO DI FIUMICINO. E PROPONE AI VIAGGIATORI DI TUTTO IL MONDO UNA SELEZIONE DI OPERE DI GRANDISSIMO PREGIO

I

n attesa del riallestimento e della riapertura al pubblico del nuovo Museo, il Parco promuove la valorizzazione e la conoscenza delle opere ostiensi attraverso varie iniziative, tra cui l’esposizione «Uomini e dèi a Ostia antica», realizzata con il supporto logistico di Aeroporti di Roma-AdR S.p.A. e inaugurata nello scorso maggio in occasione dell’apertura del nuovo molo A nel Terminal 1 dell’aeroporto «Leonardo da Vinci» di Fiumicino, dove potrà essere apprezzata dai passeggeri in transito fino alla fine dell’anno. Il percorso espositivo riunisce opere pregevoli, a testimonianza del variegato panorama artistico e figurativo della colonia romana di Ostia, che ritraggono soggetti di natura umana, come la statua di Sabina, moglie dell’imperatore Adriano, seppure nelle sembianze divine di Cerere, il gruppo con giovani lottatori e i protagonisti delle due pitture parietali (un giovane cavaliere e una coppia di coniugi), accanto ai quali sono le tre statue di personaggi divini, quali Apollo con la cetra, o semidivini, come le Ninfe/ divinità marine. I materiali provengono da importanti contesti di carattere civile (quali, per esempio, le Terme

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di Nettuno e il Teatro), residenziale (come la Domus del Protiro), nonché funerario (la Necropoli di Porto all’Isola Sacra), che connotano non solamente il centro urbano, ma anche il territorio di quello che in antico era l’imponente sistema Ostia-Portus, un vero e proprio «waterfront» di Roma, capitale dell’impero.

UNA VOCAZIONE ANTICA Attraverso le grandi infrastrutture portuali, le ricche residenze, i quartieri commerciali, i templi e i santuari, le sedi istituzionali e di rappresentanza, le strade, le necropoli, i complessi termali e teatrali, emergono le storie di uomini e dèi, per l’appunto, a raccontare la vita, la società e la cultura – anzi, le culture – di uno dei piú importanti centri del Mediterraneo antico, crocevia di genti, beni e merci: Ostia, porta e porto di Roma. Il riferimento alla vocazione portuale del territorio nell’antichità fa intenzionalmente da trait d’union con la presenza, attuale, dell’aeroporto di Fiumicino, che in qualche modo eredita, anche solo per la posizione, il ruolo di hub assolto in passato da Portus, con l’imponente complesso dei porti imperiali a servizio dell’Urbe.

Nella pagina accanto, in alto: un particolare dell’allestimento dell’esposizione «Uomini e dèi a Ostia antica», nel nuovo Molo A, Terminal 1 dell’Aeroporto Internazionale «Leonardo da Vinci» di Fiumicino. In basso: statua di Apollo con cetra, dalla Domus del Protiro di Ostia.


A sinistra: statua di Genio della Primavera, dalla necropoli dell’Isola Sacra, selezionata per la mostra «Le Immagini del Tempo», allestita nell’Area imbarco E (Terminal 3) dell’aeroporto di Fiumicino. Del resto, il legame tra l’antico porto e il coevo aeroporto appare ancor piú saldo, se si considera che, durante i lavori per la costruzione di quest’ultimo, sul finire degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, vennero alla luce le strutture riferibili a uno dei due moli (quello settentrionale) del bacino di Claudio, oltre a una serie di altri edifici a esso connessi (tra cui la cosiddetta Capitaneria), concorrendo alla sua comprensione anche per quanto riguarda il corretto posizionamento e orientamento. Nella medesima circostanza furono scoperti gli scafi delle «Navi di Fiumicino», destinate al Museo delle Navi, di recente riaperto al pubblico con un

allestimento rinnovato e ampliato e per la cui fruizione, inoltre, sono stati attivati accordi tra il Parco archeologico e Aeroporti di Roma (vedi «Archeo» n. 439, settembre 2021; anche on line su issuu.com).

DIALOGO E COOPERAZIONE La realizzazione del progetto espositivo, dunque, si colloca nell’ambito piú ampio della promozione dell’intero territorio di competenza del Parco, anche in chiave di continuità (e/o discontinuità) rispetto alla sua configurazione storica, nell’ottica di rafforzarne il valore culturale, accrescendone la consapevolezza e le potenzialità, con l’attivazione di forme di dialogo e cooperazione

con le realtà, pubbliche e private, che vi coesistono. E tra queste ultime, l’aeroporto di Fiumicino riveste certamente un ruolo nevralgico: l’iniziativa congiunta del progetto espositivo, pertanto, rinsalda il rapporto tra due importanti istituzioni del territorio. Per il Parco si tratta, inoltre, di dar seguito a una tradizione, già consolidata negli anni, di esibire opere ostiensi all’interno dello scalo aeroportuale di Fiumicino, in cui è già ospitata la mostra dal titolo «Le immagini del Tempo» al Terminal 3. A dare maggiore valore e interesse all’iniziativa è la presentazione di opere solitamente conservate nei depositi del Parco che, in progetti come questi, hanno l’opportunità di essere conosciute, valorizzate e fruite dal pubblico, affinché possano far parte di quel «patrimonio di comunità», il piú possibile accessibile e inclusivo. Alessandro D’Alessio, Cristina Genovese

DOVE E QUANDO «Uomini e dèi a Ostia antica» Roma, aeroporto «Leonardo da Vinci» di Fiumicino, Molo A fino al 31 dicembre Info http://musei.beniculturali.it/

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A TUTTO CAMPO Carlo Citter

PAESAGGI DI CALABRIA RICOSTRUIRE LA STORIA DEL VERSANTE TIRRENICO DELLA «PUNTA DELLO STIVALE», DALL’ANTICHITÀ ALL’ETÀ MODERNA: È L’OBIETTIVO DI UN PROGETTO DI RICERCA AL QUALE DEDICHIAMO UNA MINISERIE IN TRE PUNTATE

L’

Università di Siena ha avviato nel 2018 un programma di ricerca sulla Calabria tirrenica, nell’area di Vibo Valentia, con lo scopo di valutare e promuovere la risorsa archeologica su un arco cronologico compreso fra il Medioevo e l’età contemporanea. Sono stati perciò selezionati alcuni ambiti campione, attivando rapporti di collaborazione con le comunità locali, con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia, con le Università della Basilicata e della Calabria, già impegnate da anni nella zona. I primi risultati e le prospettive di questa ricerca vengono qui presentate in breve, sotto forma di interventi diversi.

BIZANTINI E NORMANNI Partiamo dalla costa, dove si è instaurata una collaborazione con il Comune di Briatico per valorizzare il sito di Briatico Vecchio, una città normanna di origine probabilmente bizantina che, come molti siti calabresi, trovò la sua fine nel devastante terremoto del 1783. Una prima ricognizione del territorio comunale, effettuata nel 2021, ha permesso di mettere a fuoco nuovi spunti per mappare e valorizzare i beni culturali locali,

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anche in funzione di una riappropriazione identitaria e di un incremento del benessere collettivo. Di fronte alla città antica è il villaggio di San Leo Vecchio, anch’esso abbandonato a seguito

In questa pagina: presenze individuate nel corso delle ricognizioni condotte nel territorio di Vibo Valentia. Dall’alto: vasche per l’itticoltura in prossimità della Torretta vecchia; strutture murarie sul sito de La Lapa.



del terremoto del 1783, posto su una direttrice che dalla costa dirige verso l’interno: queste, tuttavia, non sono le uniche emergenze di rilievo messe in luce dalla ricerca. I siti di Casa Lapa, con evidenze dall’età romana fino all’epoca moderna, l’area cimiteriale bizantina della Chiesuola e la Torretta, una torre di avvistamento costruita sui ruderi di una villa romana, in prossimità di un opificio per lo zucchero, la lana e il sapone sono solo alcune testimonianze relative al grande potenziale della zona. La prima esplorazione del territorio comunale si è rivolta soprattutto

all’indagine dei pianori interni e della fascia costiera, al fine di comprendere i caratteri del popolamento e l’uso delle risorse locali fra il Medioevo e l’età contemporanea. Le difficoltà di accesso riscontrate per alcune aree, dovute soprattutto ai limiti imposti dalla conformazione orografica, dalla fitta vegetazione e dal rischio di frane, hanno condizionato le strategie della ricognizione. Il territorio di Briatico occupa infatti un’area dell’altopiano del Poro che guarda direttamente al mare e appare significativo per lo studio delle connessioni tra uomo e ambiente, proprio a partire dallo stretto rapporto che lega il settore interno a quello costiero.

UNA LUNGA FREQUENTAZIONE La sequenza dei rinvenimenti è piuttosto ampia e conferma una forte continuità, a partire dal tardo Medioevo. La ceramica raccolta, soprattutto in prossimità dei casolari abbandonati, ha una cronologia compresa tra il XV e il XX secolo, mentre le strutture in elevato, costituite in particolare da casolari sparsi, presentano spesso restauri o rifacimenti in blocchi di pietra squadrati e/o intonacature di età contemporanea, che limitano la lettura delle stratigrafie dei muri. In alto: la torretta costiera di Briatico. A sinistra: sistemi di terrazzamento agricolo abbandonati negli ultimi quarant’anni.

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Le zone costiere indagate, immediatamente a ridosso della linea attuale, restituiscono inoltre materiale di età greco-romana e frammenti ceramici moderni, facendo emergere una lacuna coincidente con il periodo medievale, per la quale si è ipotizzata una concentrazione del popolamento su altri siti. Del resto, dal punto di vista geomorfologico, il comprensorio è caratterizzato da pianori paralleli tra loro, orientati N-S rispetto alla costa, che influenzano non poco la posizione degli insediamenti, spesso obbligata dalla geomorfologia locale. Attualmente la zona costiera si presenta piuttosto pianeggiante e interessata da una bonifica dei suoli, con campi incolti (grande presenza di canneti) o coltivati in modo intensivo a cipolle. Le zone interne sono ben servite da una fitta rete idrica e presentano una vegetazione spontanea, distribuita su terrazzamenti, alternata a vasti campi coltivati e uliveti. Dalle testimonianze orali, raccolte durante i sopralluoghi, è stato possibile constatare come la piantumazione degli ulivi, in molte aree interne e attorno all’antica città di Briatico, sia da ascrivere a interventi di età contemporanea. Inoltre, è stato possibile apprendere come la maggior parte delle coltivazioni del passato fossero costituite da alberi da frutto, con grande presenza di gelsi e mandorli, oggi quasi del tutto scomparsi dal paesaggio locale. Restano da chiarire le ragioni del passaggio, che ebbe luogo nei secoli finali del Medioevo, da un sistema di insediamento accentrato al sistema con siti sparsi: tra le varie ragioni, non si deve sottovalutare l’impatto della piccola età glaciale (XV-XVIII secolo) sulle scelte delle comunità. (1 – continua) (carlo.citter@unisi.it)



i n f o r m a z i o n e p u b b l i c i ta r i a

n otiz iario

INCONTRI Paestum

UN «CONTENITORE» SEMPRE PIÚ RICCO

L

a XXIV edizione della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico si svolgerà a Paestum presso il Tabacchificio Cafasso, l’area archeologica e il Museo Nazionale, la Basilica da giovedí 27 a domenica 30 ottobre 2022. La BMTA ha quali Enti Promotori la Regione Campania, la Città di Capaccio Paestum e il Parco Archeologico di Paestum e Velia, è patrocinata dal Ministero della Cultura, dal Ministero del Turismo, dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dall’ANCI ed è riconosciuta quale best practice di dialogo interculturale dalle organizzazioni governative internazionali della cultura e del turismo dell’ONU, UNESCO e UNWTO. Obiettivo dell’iniziativa è valorizzare Parchi e Musei Archeologici, promuovere destinazioni turistico archeologiche, favorire la commercializzazione, contribuire alla destagionalizzazione e incrementare le opportunità economiche e gli effetti occupazionali. La Borsa è l’unico appuntamento al mondo che consente l’incontro delle Organizzazioni Governative, delle Istituzioni e degli Enti Locali con il business professionale, gli addetti ai lavori, i viaggiatori, gli appassionati, il mondo scolastico e universitario, i media. La manifestazione, unico appuntamento al mondo del suo genere, è un format di successo testimoniato da 7000 visitatori, 150 espositori da 15 Paesi esteri, 110 tra conferenze e incontri con 550 tra moderatori e relatori in 5 sale in contemporanea, 30 buyer tra europei e nazionali, 140 operatori dell’offerta, 120 giornalisti. La BMTA si conferma un rilevante momento di approfondimento e divulgazione di temi inerenti il turismo culturale e la fruizione, gestione e valorizzazione dei beni culturali, un grande contenitore con 16 sezioni: ArcheoExperience, i Laboratori di Archeologia Sperimentale per la divulgazione delle tecniche utilizzate dall’uomo per realizzare i manufatti di uso quotidiano; ArcheoIncoming, spazio per i tour operator nazionali specialisti del turismo archeologico nel Salone Espositivo e al Workshop per promuovere l’incoming verso le destinazioni italiane; ArcheoIncontri per conferenze stampa e presentazioni di progetti culturali e di sviluppo territoriale; ArcheoLavoro, orientamento post diploma e post laurea a cura delle Università; ArcheoStartup, presentazione di neo imprese per l’innovazione nel turismo culturale e nella 24 a r c h e o

valorizzazione dei beni culturali in collaborazione con Associazione Startup Turismo; ArcheoVirtual, Workshop e Mostra multimediale incentrati sulle applicazioni digitali e sui progetti di archeologia virtuale in collaborazione con ISPC Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR; conferenze, in cui Organizzazioni Governative e di Categoria, Istituzioni ed Enti Locali, Associazioni Culturali e Professionali si confrontano su promozione del turismo culturale, valorizzazione, gestione e fruizione del patrimonio; Incontri con i Protagonisti, il grande pubblico con i piú noti Divulgatori culturali, Archeologi, Direttori di Musei, Accademici, Giornalisti. E poi ancora l’International Archaeological Discovery Award «Khaled al-Asaad», il Premio alla scoperta archeologica dell’anno intitolato all’archeologo già Direttore del sito di Palmira; Premio «Antonella Fiammenghi», per la migliore tesi di laurea sul turismo archeologico o sulla BMTA; Premio «Paestum Mario Napoli», a coloro che contribuiscono alla valorizzazione del patrimonio e al dialogo interculturale; Premio «Sebastiano Tusa», alla scoperta archeologica subacquea, alla carriera, alla mostra dalla valenza scientifica internazionale, al progetto piú innovativo, al contributo giornalistico in termini di divulgazione; Targa «Claudio Mocchegiani Carpano», alla migliore tesi di laurea sull’archeologia subacquea; Salone Espositivo delle destinazioni turistico-archeologiche su 4000 mq con 18 regioni; visite guidate gratuite per relatori, giornalisti e visitatori alle aree archeologiche di Paestum e Velia; Workshop tra la domanda europea selezionata dall’ENIT e nazionale dei tour operator specialisti e l’offerta del turismo culturale e archeologico. Per info: www.bmta.it



n otiz iario

ARCHEOFILATELIA

Luciano Calenda

MUSEI IN MOVIMENTO... Intervistato da Flavia Marimpietri, Stéphane 1 2 Verger, attuale direttore del Museo Nazionale Romano, illustra in questo numero le linee guida di una riforma globale che investe le quattro prestigiose sedi del Museo stesso: le Terme di Diocleziano, Palazzo Massimo, Palazzo Altemps e la Crypta Balbi (vedi alle pp. 32-45). È un progetto ambizioso, che va dagli interventi 3 infrastrutturali sugli edifici e alla contestuale riorganizzazione dei singoli percorsi museali, con 4 5 «svelamento» di tesori oggi custoditi nei depositi, fino al collegamento, fisico e culturale, col Parco Archeologico dell’Appia Antica. Ecco allora una carrellata filatelica sui poli del progetto. Cominciamo con le Terme di Diocleziano facendo ricorso a una cartolina d’epoca (1) e a un 6 7 8 francobollo in cui si vede piazza della Repubblica avendo alle spalle proprio l’edificio delle Terme (2); tutto ciò perché questo monumento non ha finora avuto alcun ricordo filatelico e può essere documentato solo con un normale annullo dell’ufficio postale in zona (3). Per il vicino Palazzo Massimo mostriamo la statua 10 in bronzo di Dioniso (4), uno dei tanti pregevoli oggetti, e anticipiamo che vi saranno esposte molte inedite monete romane (5, 6). La terza sede è Palazzo Altemps in piazza Sant’Apollinare, a pochi 9 metri da piazza Navona; secondo la prospettiva di questo francobollo (7), il museo è proprio alla fine 12 dei palazzi che si vedono sul lato destro. Qui si potrà ammirare il magnifico cortile con le attuali statue (8) piú altre famose trasferite dalle Terme di Diocleziano o da Palazzo Massimo, come la celebre copia del Discobolo di Mirone (9). Infine la Crypta Balbi, il cui percorso museale sarà diviso in tre sezioni: la prima va da Costantino fino al Medioevo, 11 13 mentre le altre due riguarderanno il quartiere cittadino in cui è situata la Crypta e la storia moderna, da Ignazio di Loyola (10), fino a via IL CIFT. Questa rubrica è curata dal CIFT (Centro Italiano di Filatelia Tematica); per ulteriori chiarimenti o informazioni, si può scrivere Caetani e ad Aldo Moro (11). alla redazione di «Archeo» o al CIFT, anche per qualsiasi altro tema, ai Per il collegamento con il Parco Archeologico seguenti indirizzi: dell’Appia Antica, ecco un famoso francobollo Segreteria c/o Luciano Calenda che mostra l’altrettanto nota Tomba di Cecilia Sergio De Benedictis C.P. 17037 - Grottarossa Metella (12) e un altro che raffigura un suggestivo Corso Cavour, 60 - 70121 Bari 00189 Roma segreteria@cift.club lcalenda@yahoo.it scorcio della regina viarum (13). oppure

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www.cift.it



IT TI TI

SP EC IA LE

LA NUOVA MONOGRAFIA DI ARCHEO

ITTITI UNA CIVILTÀ RISCOPERTA a cura di Stefano de Martino, Massimiliano Marazzi e Clelia Mora


Hattusa. La «Porta del Re» o «del Guerriero».

L

a nuova Monografia di «Archeo» propone una sintesi della storia degli Ittiti puntuale e aggiornata alle scoperte piú recenti. La parabola di questa grande civiltà si snoda nell’arco di circa sei secoli, nel corso dei quali la terra «di Hatti» si struttura dapprima come regno e poi come un vero e proprio impero, ma, soprattutto, si impone come uno degli attori principali sulla scena mediterranea e vicino-orientale. Una potenza che giunse perfino a spaventare il pur temibile Egitto, come dimostrano le tensioni sfociate nella celebre battaglia di Qadesh, combattuta sulle sponde del fiume Oronte, in Siria, nel 1275 a.C. Gli Ittiti, però, non furono soltanto formidabili guerrieri, ma seppero elaborare un sistema amministrativo efficace, dotandosi di leggi che oggi conosciamo grazie alle testimonianze epigrafiche. E proprio la decifrazione della loro lingua ha costituito uno dei capitoli piú avvincenti nella storia moderna di questo popolo, che ebbe la sua svolta decisiva nel 1917, grazie allo studioso ceco Bedrich Hrozny, capace di decifrare le decine di tavolette iscritte in caratteri cuneiformi e, all’apparenza, incomprensibili. Di questo e di tutti gli altri aspetti salienti della cultura ittita dà conto la Monografia, in una rassegna curata dai piú autorevoli studiosi della materia.

GLI ARGOMENTI • LA STORIA • LE IMMAGINI DEL POTERE • L’ORGANIZZAZIONE

in edicola

DELLO STATO • LA LINGUA E LA SCRITTURA • LA MITOLOGIA E LA MAGIA • HATTUSA • IL SANTUARIO DI YAZILIKAYA • KARKEMISH • LA RISCOPERTA

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CALENDARIO

Italia ROMA Colori dei Romani

I mosaici dalle Collezioni Capitoline Centrale Montemartini fino al 15.01.23 (prorogata)

BARUMINI (SU) Al di là del Mare

Etruria e Sardegna in mille anni di storia Centro di Comunicazione e Promozione del Patrimonio Culturale «G. Lilliu»Area archeologica «Su Nuraxi» fino al 31.12.22

CASTELSEPRIO E TORBA (VARESE) Trame Longobarde

Tra Architettura e Tessuti Antiquarium e Monastero fino al 31.07.22

1932, l’elefante e il colle perduto

Mercati di TraianoMuseo dei Fori Imperiali. fino al 02.10.22

FOGGIA Arpi riemersa

Dalla rete idrica alla scoperta delle necropoli (Scavi 1991-1992) Museo del Territorio fino al 31.12.22

Cursus Honorum

Il governo di Roma prima di Cesare Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori fino al 02.10.22

MILANO I Marmi Torlonia

Collezionare Capolavori Gallerie d’Italia fino al 18.09.22

Vulci: il patrimonio disperso e ritrovato

NAPOLI Sardegna Isola Megalitica

ACQUI TERME (ALESSANDRIA) Goti a Frascaro

OSTIA ANTICA (ROMA) Chi è di scena!

Dalle ricerche ottocentesche al digitale «Sapienza» Università di Roma, Museo di Antichità Etrusche e Italiche fino al 26.11.22

Archeologia di un villaggio barbarico Museo Archeologico di Acqui Terme fino al 27.05.23 30 a r c h e o

Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo Museo Archeologico Nazionale fino all’11.09.22

Cento anni di spettacoli a Ostia antica (1922-2022) Parco archeologico di Ostia antica fino al 30.10.22


Sarà gradito l’invio di informazioni da parte dei direttori di scavi, musei e altre iniziative, ai fini della completezza di questo notiziario.

PARMA I Farnese

Architettura, Arte, Potere Complesso Monumentale della Pilotta fino al 31.07.22

RIO NELL’ELBA (LIVORNO) Il ferro e l’oro Rotte mediterranee tra Etruria e Oriente Museo Archeologico del Distretto Minerario fino al 02.10.22

TORINO Il vaso Bes di Deir el-Medina

Ciclo «Nel laboratorio dello studioso» Museo Egizio fino al 21.08.22

Invito a Pompei

Palazzo Madama, Sala del Senato fino al 29.08.22

VERONA Vasi antichi

Museo Archeologico al Teatro Romano fino al 02.10.22

VETULONIA (GROSSETO) A tempo di danza

In Armonia, Grazia e Bellezza Museo Civico Archeologico di Vetulonia fino al 06.11.22

VICENZA Palafitte e Piroghe del Lago di Fimon

Legno, territorio, archeologia Museo Naturalistico Archeologico fino al 31.05.23

Francia PARIGI Faraoni delle due terre

L’epopea africana dei re di Napata Museo del Louvre fino al 25.07.22

Germania BERLINO I mondi di Schliemann

La sua vita, le sue scoperte, la sua eredità Staatliche Museen (James-Simon-Galerie e Neues Museum) fino al 06.11.22

Regno Unito VARESE La civiltà delle palafitte

L’Isolino Virginia e i laghi varesini tra 5600 e 900 a.C. Museo Civico Archeologico di Villa Mirabello fino al 04.09.22

LONDRA Il mondo di Stonehenge British Museum fino al 17.07.22

SUTTON HOO Spade reali

Il tesoro dello Staffordshire a Sutton Hoo Exhibition Hall fino al 30.10.22

USA NEW YORK Chroma

La scultura antica a colori The Metroplitan Museum of Art fino al 26.03.23 a r c h e o 31


L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

PARTITA A QUATTRO I MAGNIFICI AMBIENTI DELLE GRANDI TERME DI DIOCLEZIANO; LO STORICO PALAZZO ALTEMPS A POCHI PASSI DA PIAZZA NAVONA (VI È CONSERVATO, TRA MOLTI ALTRI CAPOLAVORI DELL’ARTE ANTICA, IL TRONO LUDOVISI); L’OTTOCENTESCO PALAZZO MASSIMO, GIÀ SEDE DEL COLLEGIO DEI GESUITI E OGGI SCRIGNO DI TESORI QUALI GLI AFFRESCHI DELLA VILLA DI LIVIA; IL MUSEO DELLA CRYPTA BALBI, TESTIMONIANZA DI UNA STRATIGRAFIA ESTESA DAL 1300 AL 1900: SONO I QUATTRO POLI DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO, OGGI AL CENTRO DI UN – NECESSARIO – PROGETTO DI RESTAURO E RIALLESTIMENTO. NE ABBIAMO PARLATO CON IL DIRETTORE, LO STUDIOSO STÉPHANE VERGER… incontro con Stéphane Verger, a cura di Flavia Marimpietri

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i prospetta una nuova «era» per il Museo Nazionale Romano che, con le sue quattro sedi nella capitale, dove sono esposti capolavori della pittura, della scultura e dell’arte greca e romana, oltre che della protostoria del Lazio antico, è una delle realtà piú importanti per la storia dell’archeologia. Non a caso, il

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museo è stato appena inserito tra i 14 «grandi attrattori culturali» scelti dal Ministero della Cultura come oggetto di interventi strategici per il rilancio della cultura e del turismo, finanziati con 1,46 miliardi di euro dal Fondo complementare italiano nell’ambito del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Una porzio-


CHI È STÉPHANE VERGER Stéphane Verger, Direttore del Museo Nazionale Romano, è uno studioso particolarmente legato all’Italia e a Roma, dove è stato membro scientifico (dal 1992 al 1995) e poi Direttore degli studi per l’Antichità (dal 1999 al 2005) dell’École Française de Rome. Formatosi

all’École Normale Supérieure di Parigi (1984-1988), poi «professeur agrégé» di Storia (1987), dottore di ricerca in Archeologia (1994) e professore associato presso l’Università della Borgogna (1995-1999), Stéphane Verger dal 2005 è Professore ordinario di

Archeologia all’École Pratique des Hautes Études (Università di eccellenza Paris Sciences et Lettres, Parigi). È stato Direttore dell’Istituto di ricerca «Archeologia e Filologia d’Oriente e d’Occidente» del CNRS e dell’École Normale Supérieure di Parigi (2011-2018).

Nella pagina accanto: Stéphane Verger, attuale Direttore del Museo Nazionale Romano. A sinistra: statua in bronzo del pugilatore seduto (o «delle Terme» o anche «del Quirinale»), rinvenuta nel 1885 nel corso di lavori edili avviati sul versante sud del Quirinale. III sec. a.C. Roma, MNR, Palazzo Massimo.

ne considerevole di questo finanziamento, in tutto 101,14 milioni di euro, è destinata al progetto «URBS. Dalla città alla campagna romana», che interessa Museo Nazionale Romano e Parco Archeologico dell’Appia Antica. Per conoscere da vicino progetti e interventi in cantiere, abbiamo intervistato Stéphane Verger, noto archeologo e Direttore del Museo Nazionale Romano. ♦ Direttore, quale somma è a disposizione per il rilancio del museo? «Dei circa 100 milioni di euro destinati al progetto “URBS. Dalla città alla campagna romana”, 70 sono riservati al Museo Nazionale Romano. Gli obiettivi del progetto sono tre. Il primo è il restauro architettonico delle strutture del Museo Nazionale Romano e del Parco Archeologico dell’Appia Antica. Il secondo, per il Museo Nazionale Romano, è la riorganizzazione del percorso museale delle quattro sedi, il terzo la realizzazione di un collegamento fisico e culturale tra i due istituti autonomi (anche considerando che al museo sono esposte collezioni importanti provenienti da siti di competenza del Parco dell’Appia)». ♦ Il Museo Nazionale Romano si articola in quattro pregiate sedi: le Terme di Diocleziano, Palazzo Massimo, Palazzo Altemps e la Crypta Balbi. Iniziamo dal primo obiettivo del progetto, il restauro architettonico e strutturale degli edifici. Quali sono gli interventi piú urgenti per le Terme di Diocleziano? a r c h e o 33


L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

«Apriremo al pubblico le sette grandi aule attorno alla basilica di S. Maria degli Angeli, sul lato delle Terme di Diocleziano che guarda verso la stazione e piazza dei Cinquecento. Si tratta di ambienti spettacolari, dal soffitto molto alto, importanti poiché lí si tenne la grande mostra archeologica del 1911, per il cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia: ancora si conservano i resti dell’allestimento storico dell’epoca. È necessario rifare l’impiantistica, effettuare verifiche statiche e controlli antisismici». 34 a r c h e o

♦ Sarà anche un’occasione per ampliare la superficie espositiva del museo, arricchendo la visita con reperti inediti? «Certamente. Amplieremo il percorso con reperti anche molto importanti, ma mai mostrati al pubblico, che saranno esposti nelle gallerie soprastanti i portici dei due chiostri della Certosa di Roma». ♦ Le Terme di Diocleziano infatti, nel 1565, sono diventate la Certosa di Roma, con il grande


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Sulle due pagine: uno scorcio delle P tue Po Por tuense se se grandiose strutture delle Terme di Diocleziano, scelte come sede del primo nucleo del Museo Nazionale Romano.

chiostro di Michelangelo e quello Ludovisi. Spazi importanti che verranno liberati per il «nuovo» museo… «Grazie a un accordo stipulato con la Soprintendenza Speciale di Roma e il Parco Archeologico dell’Appia Antica, restituiremo al percorso museale le quattro ali attorno al chiostro di Michelangelo, in tutto 360 m di lunghezza di portico (80 m per lato), e quelle attorno al chiostro Ludovisi, 160 m di estensione (40 m per lato). Quest’ultimo si affaccia sulla natatio delle antiche

terme romane,Ost offrendo una visuale del tutto particoOstie Os s ie ien en e nse se lare dall’alto. Nelle scorse settimane, inoltre, ha riaperto l’ex planetario, ovvero l’Aula Ottagona delle Terme di Ard A Ar rrd deat ea attino a no o Diocleziano, chiuso da anni, che ora accoglie il Museo dell’Arte Salvata» (vedi box alle pp. 40-41). T uta Ten taa di Tor Tormar ma aan mar anc n ia a

♦ Altra sede del Museo Nazionale Romano è Palazzo Altemps, pregiato edificio storico della capitale, che sorge a poca distanza da piazza Navona, in piazza Sant’Apollinare nel quale sono esposti alcuni dei piú noti capolavori della statuaria classica. Quali interventi strutturali sono Museo delle Civiltà L’A L’A Annu nn nziate nziate nzi att lla lla l previsti in questo caso? «Dall’anno scorso abbiamo avviato i lavori di recupero del secondo cortile di Palazzo Altemps, realizzato agli Eu Eur E urr Vig V iign na a Mur Murata ata at a ta inizi del Cinquecento dalla famiglia Soderini. Abbiamo sostituito il lucernaio realizzato nel 1903 a copertura del chiostro, quando qui si insediò il Collegio pontificio spagnolo. Sarà restituita alla visita una grande sala di 400 mq, con il suo portico cinquecentesco. Il percorso museale viene arricchito, cosí, di uno spazio straordinario, rifatto agli inizi del Novecento, che ancora conserva una particolare decorazione di stile liberty. Un ambiente importante anche per la storia dell’architettura italiana a r c h e o 35


L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO A sinistra: il chiostro piccolo della Certosa, nata, insieme all’adiacente basilica di S. Maria degli Angeli, dalla trasformazione di parte delle strutture delle Terme di Diocleziano. L’intervento venne affidato a Michelangelo. Nella pagina accanto: il chiostro di Michelangelo della Certosa, la cui costruzione, avviata nel 1565, si basa, probabilmente, su un disegno del Buonarroti.

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dell’inizio del Novecento, poiché lucernaio e soffitto della sala sono sorretti da due travi di cemento armato che sono le prime in assoluto utilizzate a Roma, fatto molto innovativo. Sempre a Palazzo Altemps stiamo restaurando la torre sopra la terrazza del palazzo, che è la piú antica altana di Roma, datata tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. Quest’anno inizieremo il restauro complessivo dell’affresco all’interno dell’altana, che ritrae un cielo azzurro con uccelli, della fine del Cinquecento. Interverremo, inoltre, sul teatro di Palazzo Altemps, nel quale suonò Mozart quando passò a Roma: è l’unico teatro conservato in un palazzo nobiliare romano usato ancora oggi. Le decorazioni sono della fine dell’Ottocento ma la struttura è piú antica. C’è, poi, la chiesa in cui Gabriele D’Annunzio ha sposato l’erede della famiglia Altemps, la signora Hardouin, dove vorremmo organizzare concerti».

«Il progetto principale è quello di coprire il cortile interno del Palazzo: potremo cosí ampliare il percorso di visita ed esporre tante opere oggi conservate nei magazzini, e magari ricostruire un santuario antico».

♦ A Campo Marzio sorge la quarta e ultima sede del museo, l’area della Crypta Balbi, dove sono rappresentate tutte le fasi della storia urbana della città di Roma, dall’antichità al Medioevo. Quali restauri sono previsti? «L’area ospita edifici che vanno dal Medioevo fino al 1937. Alla Crypta Balbi è stato effettuato il primo scavo stratigrafico che ha portato alla luce tutte le epoche della città di Roma, negli anni Ottanta, a opera di Daniele Manacorda. Ma gli edifici intorno allo scavo sono in condizioni critiche: è stato restaurato solo un decimo dell’isolato della Crypta Balbi. Ci attende un lavoro enorme. Basti pensare che su 70 milioni di fi♦ Quali interventi di restauro architettonico sono nanziamenti destinati al Museo Nazionale Romano, ben 50 sono stati previsti per la Crypta Balbi. Tra gli in programma, invece, per Palazzo Massimo? a r c h e o 37


L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

edifici da restaurare c’è il convento costruito nel Cinquecento da Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia del Gesú, che abitava in questo isolato. Tutto intorno si conservano case non nobiliari, cosa molto rara a Roma, dove l’architettura popolare è relativamente poco conosciuta. Si conserva una stratigrafia che va dal 1300 al 1900, dove sono rappresentate tutte le tecniche costruttive dell’architettura popolare romana. Ci sono ancora i lavatoi collettivi e privati, i ballatoi, da quelli in legno, a quelli misti in legno e acciaio, fino al terzo piano solo in ghisa».

l’Estero. Ancora oggi, di fronte a un portone verso lato del ghetto, si conserva una “pietra di inciampo”, cioè uno dei sampietrini in ottone posti in ricordo delle vittime del rastrellamento dell’ottobre 1943 nel ghetto di Roma: porta il nome di una bambina, Ester Mieli, deportata ad Auschwitz. Noi abbiamo il dovere di conservare questa memoria, attraverso restauri filologici che non privilegino un’epoca o un’altra, ma che si soffermino su ogni fase della storia di Roma. Anche quelle piú oscure, perché sono la storia di tutti. Alla Crypta Balbi c’è anche la casa in cui, alla fine dell’Ottocento, nacque il poeta Giggi (Luigi) Zanazzo, fondatore della rivista Il Rugantino, su cui scrivevano i poeti romaneschi, primo fra tutti Trilussa. L’area è fortemente legata anche alla storia del Novecento: a via Caetani, non lontano dall’allora sede del Partito Comunista di via delle Botteghe Oscure e di quella della Democrazia Cristiana in piazza del Gesú, il 9 maggio 1978 fu trovato il corpo di Aldo Moro».

♦ Alla Crypta Balbi si conservano anche importanti testimonianze della deportazione degli Ebrei di Roma, non è vero? «Sí, sulle porte delle case si vedono ancora le targhe delle famiglie, tra cui alcune ebree, come quella degli Astrologo, la cui storia si è fermata negli anni della seconda guerra mondiale. Mussolini ha espropriato parte delle case della Crypta Balbi, poiché in questo quartiere voleva costruire l’Istituto Nazionale per i Cambi con ♦ Veniamo al secondo degli obiettivi del progetto 38 a r c h e o


di ristrutturazione del Museo Nazionale Romano, ovvero la riorganizzazione del percorso museale delle quattro sedi… «L’elaborazione del nuovo percorso museale nelle quattro sedi si appoggia sul lavoro di otto gruppi di lavoro formati da accademici delle tre università di Roma e di altri atenei italiani, nonché di una decina di università straniere, dell’Accademia dei Lincei, del CNR, della Soprintendenza Speciale di Roma e di altri istituti del Ministero della Cultura. Ogni sede avrà una sua identità e un suo percorso, anche cronologico. Alle Terme di Diocleziano verrà raccontata la città di Roma nel contesto del Latium Vetus, dalle origini fino all’epoca di Diocleziano. A Palazzo Massimo la storia di Roma come centro dell’impero: la storia degli imperatori, le religioni, la conquista e la rappresentazione del mondo, l’otium, la cultura e la vita nelle residenze aristocratiche, con un arco cronologico che va da Augusto fino all’epoca di Massenzio (all’inizio del IV secolo). Palazzo Altemps, invece, rimarrà il luogo del collezionismo, ma il percorso si concentrerà nel raccontare l’uso della scultura greca a Roma, sia nell’antichità che durante l’epoca rinascimentale e moderna. La Crypta Balbi, infine, chiuderà il percorso archeologico, riprendendo la storia a partire da Costantino, quindi dall’impero cristiano, con le trasformazioni del IV-V secolo d.C., fino all’epoca contemporanea. In tal modo

sarà rappresentata tutta la storia di Roma, dalle origini fino al giorno d’oggi. Oggi al Museo Nazionale Romano vi sono periodi poco rappresentati, come l’epoca Orientalizzante (VII secolo a.C.) o quella medio-repubblicana (IV-III secolo a.C.), eppure ci sono molti contesti importanti rimasti nei magazzini che si devono presentare al pubblico». ♦ E cosí reperti inediti e molto importanti verranno esposti per la prima volta… «Soprattutto nelle due sedi delle Terme di Diocleziano e di Palazzo Massimo i magazzini sono pieni di capolavori che dobbiamo assolutamente far vedere. Si tratta di documenti storici importantissimi: per esempio la bardatura di cavallo che abbiamo appena presentato all’inizio della sezione epigrafica, databile alla fine dell’VIII secolo a.C., sulla quale è rappresentato il mito di Enea con Venere e Anchise accecato dai corvi. Si tratta di un oggetto fondamentale, perché sarebbe la piú antica rappresentazione del mito di Enea che conosciamo. Era rimasta sempre nei magazzini, adesso è nuovamente esposta. Dobbiamo anche presentare al pubblico un patrimonio unico del museo: quello dell’archivio storico e fotografico, molto ricco, che conta milioni di documenti riguardanti l’archeologia a Roma e nel Lazio fin dalla fine dell’Ottocento. Sono importanti per gli studiosi, ma anche belli e commoventi: potranno rendere il percorso museale piú dinamico».

Sulle due pagine: particolari dell’affresco della cosiddetta «sala del giardino», dalla Villa di Livia a Prima Porta. 30-20 a.C. Roma, MNR, Palazzo Massimo.

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L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

UNA CASA PER L’ARTE SALVATA Nelle scorse settimane, l’offerta del Museo Nazionale Romano si è ulteriormente arricchita: nell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano – già nota come Planetario – è stato infatti inaugurato il Museo dell’Arte Salvata, nel quale saranno esposti i reperti recuperati grazie all’attività del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. Fatto salvo il principio che ogni opera debba tornare al suo territorio di provenienza, il Museo dell’Arte Salvata vuole essere un luogo dove

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questi beni potranno transitare ed essere esposti per un periodo di tempo delimitato: opere d’arte trafugate, disperse, vendute o esportate illegalmente e poi, finalmente, riportate a casa. L’allestimento del nuovo Museo, composto da teche e pannelli modulabili, permetterà ogni volta di cambiare la disposizione all’interno dell’Aula, che diventerà uno spazio espositivo ad hoc per accogliere sempre nuovi tesori, offrendoli all’ammirazione del pubblico.


Sulle due pagine: particolari dell’allestimento e di alcuni dei reperti del Museo dell’Arte Salvata, realizzato nell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano, già utilizzata, nel passato, come planetario.

♦ Come verrà organizzato il nuovo percorso museale all’interno delle Terme di Diocleziano? «Nella galleria intorno al chiostro di Michelangelo, al primo piano, saranno esposti i contesti dalle origini fino alla fine della repubblica, cioè dall’XI-VIII al I secolo a.C. Dopo le necropoli protostoriche, già presentate, di Roma e dell’Osteria dell’Osa a Gabii, si continuerà nella seconda ala con quelle orientalizzanti di Castel di Decima, Laurentina e Ficana, contesti di cui finora è stato esposto pochissimo. Grazie a un finanziamento della Confederazione Elvetica stiamo restaurando una grande tomba principesca della necropoli della Laurentina, la n. 93, che ha restituito centinaia di oggetti di corredo (alcuni prelevati in un pane di terra che stiamo scavando nei laboratori del museo). Con un contributo della Fondazione Droghetti stiamo restaurando la tomba 359 di Decima, femminile, molto ricca. Le collezioni che provengono dalle necropoli di Decima, Laurentina e Ficana, che solo per esigenze di ricerca erano state divise e in parte conservate nei magazzini del Museo delle Civiltà (Museo dell’Alto Medioevo), verranno spostate e riunificate in unico patrimonio alle Terme di Diocleziano. Nella terza ala della galleria del chiostro grande saranno presenti i centri del Lazio arcaico dove sono state fatte molte scoperte recenti, come Crustumerium, Fidene e Gabii, oppure Lanuvio, con la famosa Tomba del Guerriero. Nella quarta ala a r c h e o 41


L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO Particolare del volto della statua in bronzo di pugilatore seduto (vedi anche a p. 33). Colpisce il realismo con il quale sono state rese le ferite e le tumefazioni subite dall’atleta a causa dei combattimenti.


verrà raccontata la trasformazione di Roma e dei cen- ♦ Come verrà rinnovato, invece, il percorso musetri del Lazio antico dall’epoca medio-repubblicana fino ale di Palazzo Massimo? al II-I secolo a.C., con santuari ed ex voto provenienti «A Palazzo Massimo verrà raccontata la storia di Rodal Tevere o da centri come Ariccia». ma come centro dell’impero. Al piano terra verranno esposti reperti dall’epoca di Augusto a quella di Mas♦ Si tratta di materiali sconosciuti al pubblico e, senzio, con le celebri insegne e reperti come i Fasti e spesso, inediti. Sarà anche l’occasione per studia- i Ludi secolari. Il primo piano sarà dedicato all’impero, alle sue conquiste, alle tante religioni che vi erano re e pubblicare reperti a lungo dimenticati? «Sí certo. Alcune cose sono state studiate, molte non rappresentate, dall’Egitto all’Oriente. Vi troveranno sono pubblicate.Vi sono contesti archeologici impor- posto materiali esotici provenienti da Asia e Africa. Il tanti non valorizzati. O dimenticati, come una tomba secondo piano è dedicato all’otium, con le grandi vila camera di epoca medio-repubblicana (IV secolo le suburbane come quella di Livia e della Farnesina, a.C.), trovata sotto S. Stefano Rotondo, con urne di animate da splendide pitture, ma anche da una ricca peperino e statuine di terracotta, che dopo una mostra vita intellettuale, con la letteratura greca e latina. A negli anni Settanta è tornata nei depositi e lí è stata Palazzo Massimo c’è, poi, il piú grande medagliere dimenticata. Vorremmo anche presentare l’enorme antico che si conservi, con 600mila monete, che, a lavoro fatto fino a oggi dalla Soprintendenza Speciale breve, potremo finalmente riaprire: è ancora chiuso Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, in par- dall’emergenza Covid, poiché, trovandosi nel sottoticolare per la TAV, con un partenariato tra i due suolo, non era nelle condizioni di aprire al pubblico. istituti che consentirà di fare delle sale del museo la Ci sono contesti di tesoretti e monete singole provevetrina dell’attività della soprintendenza, con scavi e nienti dalle necropoli mai resi visibili. Vorremmo studi non ancora conosciuti dal pubblico. Un patri- ampliare il numero di monete esposte inserendole in monio che va raccontato dando un’immagine attuale tutti i percorsi del Museo Nazionale Romano, cosí da creare una sorta di medagliere diffuso nelle quattro dell’archeologia di Roma». sedi, Il nostro obiettivo è rendere visibili non solo le ♦ Quali altri reperti verranno presentati nel rinno- monete già esposte nel medagliere di Palazzo Massimo, ma anche e soprattutto quelle nei depositi. Le vato percorso delle Terme di Diocleziano? «Nelle gallerie disponibili al primo piano del Chio- monete sono documenti preziosi anche per la topostro Ludovisi, il piú piccolo della Certosa, faremo grafia di Roma o per conoscere monumenti antichi una presentazione della città imperiale partendo da oggi scomparsi, che altrimenti rimarrebbero sconofatti concreti. Come funzionava la città? Come si sciuti. Pensiamo ai Ludi secolari, noti solo dalle iscricostruiva a Roma? Come ci si nutriva? A partire dai zioni e dai reperti numismatici». recenti ritrovamenti della Soprintendenza, racconteremo la città dei vivi dall’epoca di Augusto fino a ♦ Nella sede di Palazzo Altemps, invece, si farà un quella di Diocleziano. Una sezione a parte è riservapercorso a ritroso nella storia della scultura greta alla città dei morti, con la documentazione funeca a Roma e si racconterà anche la storia dell’eraria. Anche questa verrà attualizzata grazie alle ultidificio: come verrà organizzata l’esposizione? me ricerche antropologiche della Soprintendenza, «Adesso la lunga storia del palazzo non viene racconper esempio sullo stato di salute della popolazione, tata, questo è uno dei nostri obiettivi. Ci sarà una sele patologie, le epidemie. Verranno esposte insieme zione che mostrerà in modo concreto cosa era una iscrizioni funerarie, sarcofagi, rilievi, urne, corredi collezione di scultura nella Roma nel Seicento: attrafunerari tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C. Il per- verso la collezione Ludovisi racconteremo come venicorso sulle necropoli continuerà nei giardini, con vano scelte le opere, come venivano restaurate, come moltissimi reperti, e nella forica, cioè nella latrina. Ci venivano realizzate creazioni originali a partire da sarà anche una sezione dedicata alla storia del com- frammenti o creati i falsi. Una seconda sezione sarà plesso delle Terme di Diocleziano e alla sua trasfor- dedicata ai diversi usi della scultura greca nella Roma mazione in Certosa nel Cinquecento, infine un’ul- imperiale. Nei nuovi spazi intorno al cortile del Giotima sezione, ricavata all’interno delle sette grandi iello creeremo un percorso con originali greci come il aule attorno alla basilica di S. Maria degli Angeli, Trono Ludovisi, le principali copie romane di grandi quando saranno aperte al pubblico, con un percorso opere di Mirone, Policleto e Fidia – magari trasferite breve e spettacolare, che possa essere visitato in un’o- da Palazzo Massimo o dalle Terme di Diocleziano – e ra dai viaggiatori in attesa del treno nella vicina le creazioni romane originali elaborate a partire da Stazione Termini, sempre nell’ottica di integrare ar- modelli greci, come le Erme Ludovisi, realizzate riuticheologia e vita moderna». lizzando i modelli di sculture greche del V secolo a.C. a r c h e o 43


L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

Al primo piano troveranno posto le rielaborazioni romane delle opere e degli stili degli scultori greci considerati a Roma, da Plinio in poi, come i piú grandi maestri, come Prassitele e Lisippo: si farà vedere al pubblico quanto è labile la frontiera tra originali greci, copie romane e adattamenti romani di opere greche. Continueremo, poi, con la complessità dei rapporti tra scultura greca e romana in epoca ellenistica, concludendo con un contesto eccezionale e poco conosciuto: il gruppo di sculture da giardino di Fianello Sabino di fine II-inizi I a.C., che costituisce la prima collezione di sculture greche conosciuta nella zona di Roma». ♦ Come verrà organizzato, invece, il percorso della Crypta Balbi? «In tre grandi sezioni. Una prima sulla Roma da Costantino fino al Medioevo, per rendere la complessità 44 a r c h e o


A sinistra: particolare della decorazione della volta del teatro di Palazzo Altemps. A destra: il Discobolo Lancellotti, replica romana di un originale greco di Mirone. Età tardoadrianea o antonina. Roma, MNR, Palazzo Massimo. Nella pagina accanto, in basso: l’altana di Palazzo Altemps, la piú antica struttura del genere esistente a Roma, datata tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento.

delle trasformazioni del IV secolo a.C. nell’Urbe e nel resto dell’impero. Lo spazio espositivo sarà fortemente ampliato, con l’annessione del cortile su via delle Botteghe Oscure. Tra i reperti esposti, il Ponte di Valentiniano, antenato di Ponte Sisto: abbiamo molti elementi del ponte trovati a fine Ottocento, come iscrizioni e statue di bronzo, con la rappresentazione dell’imperatore, conservati in parte nei magazzini, in parte tra le varie sedi del Museo Nazionale Romano. Si tratta di reperti poco noti, ma molto importanti. Al primo piano racconteremo il passaggio al Medioevo, con i Longobardi, dal VI a r c h e o 45


L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

fino all’VIII secolo, mentre al secondo piano l’età A sinistra e a Carolingia, fino all’XI secolo. Il secondo percorso destra: particolari riguarderà il quartiere della Crypta Balbi, nel quale della decorazione sarà inserita la visita dei resti archeologici intorno su fondo nero del all’esedra, al mitreo e al quartiere abitativo antico. Il triclinio C della terzo percorso, su via dei Delfini, verso il ghetto, si Villa della concentrerà sulla storia moderna e contemporanea di Farnesina. Roma, da Ignazio di Loyola fino ad Aldo Moro. La II stile, I sec. a.C. Roma, MNR, Palazzo Massimo. Nella pagina accanto, in basso: due monete facenti parte del ricchissimo medagliere del Museo Nazionale Romano, che tornerà a essere visitabile e sarà arricchito dall’esposizione di numerosi pezzi finora custoditi nei depositi.

Crypta Balbi è un isolato molto grande. Attorno al cortile vi saranno spazi per eventi culturali e concerti, un centro studi di archeologia e storia, un centro di archivio e documentazione, dei laboratori artigianali. Vorremmo far rivivere questo luogo, con una parte centrale che sarà completamente gratuita, cosí da restituire un pezzo della città di Roma alla comunità». ♦ Infine, il terzo e ultimo obbiettivo del progetto: la creazione di un collegamento fisico e culturale tra le quattro sedi del Museo Nazionale Romano e, in senso piú ampio, con il Parco Archeologico dell’Appia Antica. Come verrà realizzato? «Le quattro sedi saranno collegate meglio tra di loro quando aprirà, per il giubileo del 2025, la nuova linea di tram che porterà dalla Stazione Termini fino alla basilica di S. Pietro, unendo i principali musei della 46 a r c h e o


Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

capitale. Dobbiamo lavorare insieme al Comune di Roma per creare una complementarietà tra il Museo Nazionale Romano e la rete dei Musei in Comune. In tal modo, arrivando alla stazione, le due sedi delle Terme di Diocleziano e di Palazzo Massimo diventano la porta di ingresso alla storia di Roma. Rinforzeremo anche il collegamento con il Parco Archeologico dell’Appia Antica, individuando nel nuovo percorso di visita (e attraverso un’app dedicata) i reperti che provengono dai monumenti delle vie Appia e Latina. Dobbiamo fare rete anche con i musei del Lazio – quelli di competenza della Direzione regionale dei Musei del Lazio – e con i musei civici. Il programma “100 opere tornano a casa” promosso

dal ministro Franceschini, ci ha permesso di accordare una serie di prestiti di lunga durata (10 anni) a diversi musei statali e civici. Si tratta per lo piú di reperti che prima erano conservati nei depositi a Roma e adesso, invece, vengono presentati al pubblico nella località di provenienza. Abbiamo già avviato l’esperimento. Il Museo Nazionale Romano ha riportato una testa di leone appartenente alla nave di Caligola al Museo di Nemi, il cosiddetto “efebo di Sutri” al Museo Civico di Sutri e altre opere ai musei di Civitavecchia, Anzio, Valmontone e presto anche a Norma (l’antica Norba). Le collezioni dei grandi e piccoli musei e dei parchi archeologici del Lazio verranno collegate e messe in rete a r c h e o 47


L’INTERVISTA • IL FUTURO DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO

per dare al visitatore l’idea di un’unica realtà archeo- un lavoro enorme e il personale è molto ridotto. La logica. I siti minori del Lazio aiutano a capire la storia principale difficoltà per far funzionare il museo è proprio la carenza dell’organico. In tutto ci sono 23 di Roma, talvolta, anche meglio». funzionari, me compreso: cinque archeologi, quattro ♦ Quanti anni serviranno per portare a compimen- architetti, cinque restauratori e otto funzionari amministrativi. I custodi sono 71 per quattro sedi. A Palazto tutti questi progetti? «Dobbiamo terminare tutto entro il 2026. Sono cer- zo Altemps sono cinque in tutto. Questa è una grande difficoltà: senza un supporto esterno di vigilanza non to che ce la faremo». riusciremo ad aprire tutti i nuovi spazi. Con il Covid i concorsi sono stati rallentati e adesso molti istituti ♦ Qual è l’aspetto piú critico? «Proprio il tempo ridotto: abbiamo solo quattro anni. hanno una forte carenza di personale». Dobbiamo fare in fretta. C’è la scadenza del giubileo del 2025 e la fine del PNRR (Piano Nazionale di ♦ Per concludere, il suo sogno? Resistenza e Resilienza) nel 2026. Abbiamo da fare «Quello di fare del Museo Nazionale Romano una

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Qui sopra e in alto: particolari dell’allestimento della Crypta Balbi. A sinistra, sulle due pagine: sarcofagi ed elementi architettonici depositati nei magazzini ricavati all’interno delle Terme di Diocleziano.

realtà a immagine di Roma, in cui si comprenda la complessità della storia della città, attraverso le acquisizioni piú recenti dell’archeologia contemporanea. Il mio sogno è fare del museo una realtà unitaria, che dia un’immagine attuale della storia di Roma, con un linguaggio accessibile a tutti ma al tempo stesso moderno e aperto verso la comunità di oggi». DOVE E QUANDO Museo Nazionale Romano Terme di Diocleziano Roma, via Enrico de Nicola 78 Palazzo Massimo Roma, largo di Villa Peretti 2 Palazzo Altemps Roma, piazza Sant’Apollinare 46 Crytpa Balbi Roma, via delle Botteghe Oscure 31 Museo dell’Arte Salvata Aula Ottagona del Museo Nazionale Romano Roma, via Giuseppe Romita 8 Orario martedí-domenica, 11,00-18,00; lu chiuso Info https://museonazionaleromano.beniculturali.it a r c h e o 49


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MOSTRE • EMILIA-ROMAGNA

QUELL’OPERAIO CON UN VASO IN BRACCIO... …VENIVA DESCRITTO COSÍ, ESATTAMENTE CENTO ANNI FA, L’ARRIVO A COMACCHIO DEI PRIMI REPERTI RINVENUTI NEL CORSO DELLA BONIFICA DELLE VICINE LAGUNE. SIAMO NEL 1922 ED È L’INIZIO DI UN’AVVENTURA ARCHEOLOGICA STRAORDINARIA: LA SCOPERTA DELLA NECROPOLI E DELLA CITTÀ DI SPINA, UNO DEI PIÚ IMPORTANTI CENTRI PORTUALI ETRUSCHI AFFACCIATI SULL’ADRIATICO di Giuseppe M. Della Fina 52 a r c h e o


Salvo diversa indicazione, tutte le immagini si riferiscono all’allestimento e agli oggetti della mostra «Spina 100. Dal mito alla scoperta», visitabile a Comacchio fino al prossimo 16 ottobre.

In alto: l’archeologo Salvatore Aurigemma seduto sui bordi di una trincea di scavo a Spina, in località Valle Trebba, dove venne alla luce la prima necropoli della città. Sulle due pagine: un particolare dell’allestimento della mostra. A sinistra: un’altra immagine degli scavi in località Valle Trebba. a r c h e o 53


MOSTRE • EMILIA-ROMAGNA

L

a scoperta di Spina, una delle grandi avventure dell’archeologia italiana, ha compiuto 100 anni. Un’avventura che prese avvio a seguito della bonifica dei bacini lagunari dell’area di Comacchio, localmente chiamati «valli». Ad annunciare il primo ritrovamento, casuale, fu l’ingegnere Aldo Mattei, allora direttore del Genio Civile di Comacchio, con una lettera datata 3 aprile 1922, nella quale, con un linguaggio burocratico che non riesce a nascondere (e non vuole) la sorpresa della scoperta, scrive: «Il giorno 31 marzo del corrente anno entrava in Comacchio un opera-

io, recando in braccio una kelebe attica a colonnette, figurata e intatta. Entro il vaso erano frammenti di vasi minori e materiale fittile facente parte di una tomba etrusca».

LE PRIME INDAGINI SISTEMATICHE Dalla metà di quello stesso mese di aprile ebbero inizio ricerche sistematiche, dirette dell’ispettore archeologo Augusto Negrioli, che portarono alla scoperta delle prime trecento tombe. Dal 1924 le campagne di scavo passarono quindi sotto la direzione di Salvatore Aurigemma, il primo Soprintendente archeologo dell’Emilia-

Romagna. Aurigemma proseguí le esplorazioni sino al 1936, completando di fatto le indagini nella necropoli di Valle Trebba. A fianco dei due archeologi operò un assistente di scavo, Francesco Proni, al quale si deve una documentazione esauriente delle scoperte effettuate, costituita da otto grandi volumi autografi, la cui lettura è ancora utile nell’affrontare lo studio della necropoli. Aurigemma non si preoccupò solo della continuazione degli scavi, ma li promosse. L’attenzione che riuscí a suscitare nel mondo culturale e politico del tempo e nella società locale consentí, nel 1935, d’istituire un

ALLA RICERCA DI SPINA La lettura delle fonti classiche, che parlavano dell’importanza di Spina, suscitò interesse per la città ben prima che scavi regolari prendessero avvio nel 1922 e ne portassero alla scoperta. Uomini di cultura iniziarono a interessarsi al sito, infatti, fin dal tardo Medioevo e dall’Umanesimo. Se ne occuparono, per esempio, Giovanni Boccaccio e Flavio Biondo. Sulla loro scia, altri studiosi ne ipotizzarono l’ubicazione in punti diversi del delta padano.

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In basso, a sinistra: lo scavo delle tombe della necropoli di Valle Trebba in una foto d’epoca.


Chioggia

SR104

Casale di Scodosia

Solesino

San Martino di Venezze

Ad ig

e

Ad ig

Lendinara Trecenta

A 13

Rovigo

Stellata

Po

Porto Viro

Isola d’Ariano Ariano

Ro

SS16

Mesola Copparo

Bondeno A 13

San Martino Poggio SS64 Renatico

Goro

Isola della Donzella

Codigoro

Tresigallo

Lido di Velano Migliarino

Voghiera

Lagosanto Lido delle nazioni

Ostellato

Santa Maria Codifiume

San Pietro in Casale

Pomposa

Cona

Parco Regionale Veneto del Delta del Po

SS309

Ferrara

Vigarano Mainarda

SS16

Comacchio

Portomaggiore

Spina Lido di Spina

Baricella

Molinella

Funo

Argenta

SS309

Longastrino

Lavezzola

A 13

Unigrà Conselice

Budrio

Bologna San Lazzaro di Savena

Rosolina

Adria

Po

Polesella

SS64

Villadose

SS434

Po

Argelato

Rosolina Mare

e

Badia Polesine

Medicina E 45

Casalborsetti Marina Romea Alfonsine

Fusignano Massa Lombarda Lugo

museo a Ferrara, nel quale conservare ed esporre i reperti nel frattempo riportati alla luce. Dopo la seconda guerra mondiale, nuove bonifiche portarono alla scoperta di un’altra necropoli in località Valle Pega, immediatamente a sud della prima. Tra il 1953 e il 1962 furono scoperte quasi tremila tombe, a ridosso di alcuni dossi litoranei che furono ribattezzati con le lettere dell’alfabeto: dalla A alla E. Alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, in conseguenza del taglio del canale Mezzano, furono riportati alla luce i primi resti della città, fra Valle Lepri e Valle del Mezzano, e

SS16 A 14

Marina di Ravenna

Ravenna

A sinistra: cartina del Delta del Po e dell’area retrostante. In basso: vasellame e altri materiali riferibili a corredi tombali recuperati grazie agli scavi condotti a Spina.

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MOSTRE • EMILIA-ROMAGNA

non si perse l’occasione per indagare l’area a fondo: protagonisti di questa impresa furono il nuovo Soprintendente, Paolo Enrico Arias, e, soprattutto, Nereo Alfieri che dirigeva il Museo di Ferrara. Quest’ultimo, nel 1960, osservò senza esagerazione che si trattava dell’«impresa archeologica piú importante nell’ambito dell’Italia settentrionale preromana».

UN TESTIMONE ILLUSTRE Pochi anni prima lo scrittore e giornalista Guido Piovene – l’autore del Viaggio in Italia, pubblicato in prima edizione nel 1957 e che costituisce un eccezionale reportage sull’Italia in trasformazione di quegli anni – giunto nella zona di Comacchio, aveva scritto: «le valli paludose dedite alla pe-

sca dell’anguilla e del cefalo, popolate di uccelli acquatici, e in parte oggetto di bonifica, celano tre necropoli già scoperte e una grande città non scoperta ancora».

Piovene, che aveva visitato il Museo di Ferrara in compagnia di Nereo Alfieri, ricorda i tempi e i modi della ricerca e, a proposito della necropoli di Valle Trebba, osserva: «Le acque

STRADE ORTOGONALI E ISOLATI RETTANGOLARI L’area urbana di Spina sorse in un paesaggio lagunare. Ne conosciamo una superficie che occupa sei ettari, ma la città doveva essere piú estesa. L’impianto mostrava un piano regolare: le strade si tagliavano ortogonalmente e le case risultavano distribuite in isolati a pianta rettangolare. I confini dell’abitato erano segnati da argini consolidati, realizzati con pali allineati e disposti in diverse file e le strade erano talvolta sostituite da

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canali. Il legno e i rivestimenti in argilla erano i materiali da costruzione privilegiati. All’interno dello spazio urbano trovavano posto abitazioni, laboratori artigianali, magazzini per lo stoccaggio delle merci. Gli scavi sono stati ripresi nel 2007 per iniziativa dell’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna in collaborazione con varie Università, tra le quali va ricordata, in particolare, quella di Zurigo.


Nella pagina accanto, in alto: un’immagine che mostra uno degli accorgimenti presi per consentire lo scavo delle tombe di Spina, che giacevano in un’area acquitrinosa. Nella pagina accanto, in basso: ricostruzione del possibile aspetto degli isolati che componevano l’area urbana di Spina. In questa pagina: una sezione della mostra nella quale vengono proiettate foto d’archivio degli scavi di Spina.

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MOSTRE • EMILIA-ROMAGNA

salvarono i sepolcri dalle manomissioni che svuotarono altri sepolcreti ben prima dell’arrivo degli archeologi». Si sofferma anche sul mercato di antichità che si era sviluppato e sul modo di operare degli scavatori clandestini, davvero singolare: «La loro tecnica consiste nel gettarsi nell’acqua ed ivi, agitando le mani, provocare un mulinello di sabbia che porta a galla l’oggetto celato». Sulla base della testimonianza di Alfieri, ricorda che i tombaroli diedero filo da torcere agli archeologi e 58 a r c h e o

alle forze dell’ordine preposte alla tutela anche dopo il 1922. Nei suoi anni – lo scrittore attraversò l’Italia tra il maggio 1953 e l’ottobre del 1956 – la situazione iniziava a essere sotto controllo: «la difesa contro i furti è oggi rigida, benché dotata di scarsissimi mezzi».

UN PAESAGGIO D’ACHERONTE Rammenta, in proposito, gli sforzi di Alfieri: «Il direttore del museo di Ferrara mi ha narrato di alcune sue gite di ricerca e

di sorveglianza in barca, nel cuore dell’inverno, in quel paesaggio d’Acheronte, lui stesso rompendo il ghiaccio mentre un pescatore remava». Da allora il quadro si è completato e conosciamo, da un lato, le ricchissime necropoli della città e, dall’altro, i quartieri nei quali gli abitanti di Spina vivevano riuscendo a raggiungere un equilibrio mirabile con il difficile ambiente naturale. Ora, nella mostra «Spina 100. Dal mito alla scoperta», allestita a Comacchio, negli spazi


della Galleria d’Arte di Palazzo Bellini (ma destinata a essere riproposta anche a Ferrara e a Roma), i reperti da abitato e da necropoli sono posti per la prima volta in strettissima relazione, restituendo l’immagine di una città portuale importante e particolarmente vivace come le fonti storiche e letterarie antiche suggerivano. Intorno all’etruscità o meno della città si è a lungo dibattuto, poiché piú di una fonte antica definisce Spina una città greca, mentre la grecità non è

Una sezione della mostra nella quale è stato ricostruito il contesto ambientale in cui vennero alla luce le tombe delle necropoli di Spina.

IL RITORNO DEGLI EROI Nelle fonti letterarie antiche le origini di Spina vengono ricollegate ai Pelasgi, il popolo mitistorico che avrebbe raggiunto l’alto Adriatico partendo dalla Grecia settentrionale. L’arrivo sarebbe avvenuto al tempo di Nanas, ovvero Ulisse secondo una denominazione che aveva assunto in Italia, e quindi in coincidenza con il movimento dei ritorni degli eroi che avevano preso parte alla guerra di Troia. Per Ellanico, in particolare, Spina sarebbe stata una tappa del loro viaggio verso l’Etruria propria – quella compresa tradizionalmente tra i fiumi Arno e Tevere –, dove avrebbero fondato diverse città.

a r c h e o 59


MOSTRE • EMILIA-ROMAGNA Dinos (grande vaso che poteva essere utilizzato anche per abluzioni) a figure rosse con scena di simposio su sostegno (holmos), dalla tomba 11C di Valle Pega. Nella pagina accanto, in alto: kantharos (tazza a due manici) attico a figure rosse in forma di testa di Dioniso, dalla tomba 256B di Valle Pega. Nella pagina accanto, in basso: brocchetta in metallo (ricostruita nella parte inferiore del corpo).

60 a r c h e o


secolo a.C., quindi nella fase finale del centro. Va segnalato, infine, che le iscrizioni di carattere pubblico sono redatte in lingua etrusca.

UNA CITTÀ FIORENTE E MULTIETNICA Di conseguenza, l’analisi delle testimonianze epigrafiche suggerisce la prevalenza dell’elemento etrusco, ma anche la presenza considerevole di stranieri. Tra di essi, la comunità di origine greca appare fedele alle proprie tradizioni linguistiche e religiose e probabilmente era molto attiva nei contatti commerciali, ma anche politici – come sembra suggerire la presenza di un thesauros di Spina nel santuario panellenico di Delfi – con l’area geografica e culturale di origine. Ciò potrebbe spiegare l’accento posto sull’elemento greco da parte di storici e scrittori dell’antichità soprattutto se di origine greca, o dipendenti da fonti elaborate in quel mondo. Il percorso espositivo della mostra consente di ripercorrere le tappe della riscoperta confermata dalle fonti archeologiche. In proposito Giovannangelo Camporeale, nel suo manuale Gli Etruschi. Storia e civiltà, ha osservato come Spina abbia restituito oltre 200 iscrizioni, di cui quelle etrusche sono circa 180 e sono distribuite sull’intero arco di esistenza della città. Riportano il nome del proprietario dell’oggetto iscritto e provengono sia dall’abitato che dalle necropoli. Alcuni nomi etruschizzati rivelano un’origine venetica, umbra o gallica, a segnalare fenomeni di mobilità sociale e il pieno inserimento di genti di altre etnie nella comunità di arrivo. Le iscrizioni greche sono circa

una ventina, per lo piú in dialetto attico, ma alcune in caratteri eolici e dorici che rinviano ad aree diverse della Grecia. Anch’esse sono state recuperate sia in area di abitato che di necropoli e sono distribuite durante l’intero periodo di vita della città, ma si concentrano soprattutto tra il 475 e il 350 a.C. Esse registrano il nome del possessore dell’oggetto e talvolta la dedica a una divinità (Apollo, Dioniso, Hermes), che potrebbe essere stata venerata in ambiente domestico. Le iscrizioni venetiche sono meno di dieci e risultano concentrate tra la seconda metà del IV e la prima metà del III a r c h e o 61


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della città, ma anche le sue vicende stor iche. Vi sono, inoltre, approfonditi tre temi centrali: il banchetto, il quotidiano, i miti. Spina venne fondata nella seconda metà del VI secolo a.C. nell’ambito di un riassetto profondo della presenza etrusca nella Valle Padana, che comportò la nascita di altri importanti insediamenti: a Marzabotto (il cui nome etrusco era Kainua, come è stato riconosciuto

di recente), a San Polo-Servirola e a Bagnolo San Vito. Per Spina le prime frequentazioni sembrano risalire al 540-520 a.C., ma la fondazione vera e propria – realizzata seguendo il rito etrusco – va collocata alla fine del secolo. Lo sviluppo della città, caratterizzata da subito da una forte presenza gentilizia – suggerita dai recinti funerari organizzati attorno alle tombe dei «capostipiti» – e dalla frequentazione

di genti straniere, fu rapido. Durante il V secolo a.C. Spina divenne uno dei porti piú importanti dell’area adriatica in stretto contatto con Atene, come indica la mole dei vasi attici importati. Dal capoluogo dell’Attica giungevano anche vino, olio e marmi. Da Spina verso Atene e la Grecia partivano, invece, soprattutto cereali coltivati nel fertile entroterra, ma anche metalli, sale e ambra proveniente dal Baltico.

IL THESAUROS A DELFI Il benessere raggiunto si accompagnò alla considerevole crescita demografica e al consistente afflusso di altre genti etrusche, attratte dalle possibilità che la città portuale poteva offrire. Il prestigio acquisito e il buon rapporto con il mondo greco sono testimoniati, come già accennato, dalla costruzione di un thesauros nel santuario di Delfi. All’interno della comunità emersero singoli individui di grande prestigio come indica la presenza di sepolture che si staccavano nettamente dalle altre per la posizione nell’ambito della necropoli, per le caratteristiche della struttura tombale, o per qualche forma di ritualità. Il caso piú significativo è rappresentato dalla tomba 128 di Valle Trebba. A partire dai primi decenni del IV secolo a.C., la pressione esercitata dai Celti modificò l’assetto dell’intera area padana, che aveva raggiunto un pieno equilibrio, destinato ad andare in frantumi. Inizialmente, gli Etruschi costretti a lasciare gli altri territori si spostarono verso i centri costieri: le paludi dell’area lagunare del Po sembravano poter assicurare rifugio, ma la crisi era prossima. Su di essa influí anche la poli62 a r c h e o


In alto: un’anfora per il trasporto di derrate alimentari. Spina ebbe un ruolo di primo piano nei traffici commerciali dell’area adriatica, intessendo relazioni e scambi con numerosi partners, fra cui, in particolare, Atene e la Grecia. A sinistra e nella pagina accanto: brocchette di varia foggia e tipologia restituite dagli scavi di Spina.

zione della popolazione. Il porto iniziò a ridimensionarsi pur restando in attività. Le classi dirigenti locali riuscirono, comunque, a tracciare nuovi itinerari commerciali: iniziarono a guardare infatti verso l’Etruria settentrionale, riuscendo a inserirsi nei meccanismi centro-italici. UNA NUOVA RIPRESA A Spina, già durante i decenni Al punto che si ebbe una riprecentrali del IV secolo, le sepol- sa della produzione locale di ture documentano la contra- ceramica, che guardava a motica aggressiva di Siracusa, iniziata sotto Dionigi il Vecchio, che intendeva arrivare a esercitare un pieno controllo sui traffici che si svolgevano nell’Adriatico, prevedendo, a tale scopo, un’alleanza con i Celti in chiave antietrusca.

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GLI ARTEFICI DI «SPINA 100»

«LA GEMMA IN PIÚ» Il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara venne inaugurato il 20 ottobre 1935 alla presenza del principe Ferdinando di Savoia, duca di Genova, e del Ministro dell’Educazione Nazionale, conte Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon. Come sede della raccolta – che accolse gli straordinari rinvenimenti avvenuti a Spina a partire dal 1922 – fu scelto un palazzo legato tradizionalmente alla figura di Ludovico Sforza, duca di Milano, ma che, in realtà, era stato fatto costruire da Antonio Costabili, suo segretario. Il museo venne voluto soprattutto da Salvatore Aurigemma, il quale lo definí: «una gemma in piú nella costellazione di grandi istituti scientifici di cui l’Italia si onora». Ora occupa gran parte del palazzo per un totale di quasi duemila metri quadrati. Un giudizio lusinghiero sulle sue collezioni venne dato alcuni decenni or sono dal maggiore conoscitore della ceramica greca, Sir John Beazley, il quale affermò che ci troviamo di fronte alla «piú completa collezione esistente di vasi attici di stile protoclassico e classico». Info: www.archeoferrara. beniculturali.it

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La mostra «Spina 100. Dal mito alla scoperta» si avvale di un Comitato scientifico dove figurano i protagonisti principali delle attività attualmente in corso su Spina. È cosí composto: Christoph Reusser (Università di Zurigo), Caterina Cornelio Cassai (Direttrice Museo Delta Antico di Comacchio), Sara Campagnari (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna, e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara), Tiziano Trocchi

(Direttore Museo Archeologico Nazionale di Ferrara), Andrea Gaucci (Dipartimento Storia Cultura e Civiltà-«Alma Mater Studiorum» Università di Bologna), Marco Bruni (archeologo del Comune di Comacchio), Laura Ruffoni (Capo servizio del settore Cultura del Comune di Comacchio), Roberto Cantagalli (Dirigente del settore Cultura del Comune di Comacchio) e il referente del Comando Provinciale della Guardia di Finanza.

IL DELTA E LA SUA STORIA Il Museo del Delta Antico di Comacchio è stato inaugurato nel 2017. Ospitato nel settecentesco Ospedale degli Infermi, espone materiali archeologici recuperati nel delta del Po. Il percorso espositivo copre un ampio arco temporale: dall’età del Bronzo finale all’Alto Medioevo. La fase romana, in particolare, è testimoniata dal carico di una nave di età augustea, dai reperti provenienti da alcune ville di prima età imperiale e da stele funerarie rinvenute

nell’entroterra di Comacchio. L’allestimento, particolarmente curato, presenta soluzioni innovative e interessanti. Info: www.museodeltaantico.com


delli iconografici attici, etrusco-meridionali e falisci, nei decenni finali del IV secolo a.C. come indicano i risultati degli scavi da abitato e da necropoli. La stessa popolazione aumentò di nuovo anche a seguito dell’aggravarsi della crisi in altre zone dell’area padana. Su questa ripresa influí la pirateria, di cui il porto divenne una delle basi principali: in una nota epigrafe di Atene del 325/324 a.C. (IG II, 809; IG II², 1629) si riporta il decreto di deduzione di una colonia in Adriatico per proteggere gli interessi ateniesi dalle azioni di pirateria compiute degli Etruschi di Spina. Inoltre, la città doveva essere divenuta un centro di reclutamento per mercenari.

IL PORTO SI INTERRA E ARRETRA Nel corso del III secolo a.C. la crisi dell’etrusca Spina divenne palese anche a fronte di un nuovo nemico: Roma. Già alla metà del secolo si registrano l’interramento del porto e il suo arretramento rispetto alla linea di costa. Nel volgere ancora di qualche decennio, Roma, come ha osservato l’archeologo Andrea Gaucci, ebbe la forza di rompere «quel sistema di porti che si era protratto nei secoli con alterne vicende e riorganizzato dopo l’avvento dei popoli celtici transalpini» e ponendo le basi «per una configurazione economica e politica per la prima volta di respiro veramente panadriatico». Nell’età di Augusto – stando alla testimonianza di Strabone (V, 1,7) – della grande cittàporto di Spina, una delle capitali dell’Adriatico, restava solo un modesto villaggio a piú di sedici chilometri dal mare.

Cimasa di candelabro in bronzo raffigurante Enea che sorregge il vecchio padre Anchise. Il manufatto fu rinvenuto nel 1668, prima dell’inizio degli scavi intensivi.

DOVE E QUANDO «Spina 100. Dal mito alla scoperta» Comacchio, Galleria d’Arte di Palazzo Bellini fino al 16 ottobre Orario fino al 31 agosto: tutti i giorni, 9,30-18,30; 1° settembre-16 ottobre: lu-ve, 9,30-13,00 e 15,00-18,30; sa-do, 9,30-18,30 Info tel. 0533 311316 o 314154; e-mail: info@museodeltaantico.com; www.museodeltaantico.com a r c h e o 65


PARCHI ARCHEOLOGICI • VALLE CAMONICA

MINERVA SOLIDALE

LA ROMANIZZAZIONE DELLA VALLE CAMONICA HA LASCIATO TRACCE SIGNIFICATIVE, FRA LE QUALI SPICCA IL SANTUARIO DEDICATO ALLA DEA GUERRIERA. L’AREA, TRASFORMATA IN PARCO ARCHEOLOGICO, È STATA RECENTEMENTE TEATRO DI UN’INIZIATIVA DI GRANDE SIGNIFICATO SOCIALE, OFFRENDO UN ESEMPIO VIRTUOSO DI COME ANCHE L’ARCHEOLOGIA POSSA FARSI STRUMENTO DI INCLUSIONE di Serena Solano e Carlo Cominelli 66 a r c h e o


N

el panorama archeologico dell’Italia Settentrionale la Valle Camonica (Brescia) si distingue per il consistente e diffuso patrimonio, caratterizzato nella sua forma piú nota e studiata, dall’arte rupestre. Solcata dal fiume Oglio ed estesa per 80 km dal Passo del Tonale alla testa del lago d’Iseo, la Valle, in un’areale di circa 1500 kmq, vanta due Musei archeologici Nazionali, quattro Parchi Archeologici Nazionali, una Riserva Regionale delle Incisioni Rupestri e una decina di altre realtà fra aree archeologiche, Parchi Archeologici Comunali e sovracomunali e percorsi di valorizzazione pluritematici (archeologici/minerari/naturalistici/ della Grande Guerra). Oltre all’arte rupestre, riconosciuta Sito UNESCO nel 1979, conserva anche un importante e monumentale patrimonio archeologico di età romana che ruota intorno ai comuni di Breno e Cividate Camuno. Quest’ultimo, che oggi conta circa 3000 abitanti, sorge sulle vestigia dell’antica Civitas Camununnorum, vera e propria città romana fondata alla fine del I secolo a.C. nell’ambito del piú vasto programma augusteo di conquista delle Alpi culminato nelle cosiddette guerre retiche del 17-15 a.C.

Svizzera Adda

Lago Maggiore Varese

Trentino Alto Adige

Breno

Lago di Como

Cividate Camuno

Como Bergamo

Lago d’Iseo

Milano

Lago di Garda

Brescia

Vigevano Pavia Piacenza

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Cremona

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Spinera (Breno, Brescia), Parco Archeologico del santuario di Minerva. I lavori condotti per rimettere in luce l’altare protostorico (vedi anche le foto alle pp. 72 e 74).

IN POSIZIONE NEVRALGICA Contraddistinta dall’impianto urbanistico regolare di cui si coglie ancora l’impronta antica nelle trame del paese moderno, la città sorge in un punto nevralgico del sistema viario del territorio, ai margini di un’area pianeggiante naturalmente protetta dalle montagne, vicino al fiume Oglio. Il nome conserva saldamente la componente indigena che anche durante l’età romana ebbe un ruolo di spicco, sia nel controllo delle attività produttive, sia nella partecipazione attiva alla vita culturale e politica. L’integrazione a r c h e o 67


PARCHI ARCHEOLOGICI • VALLE CAMONICA

dei Camuni nella compagine imperiale avvenne in maniera pacifica e originale: dopo un’iniziale condizione di adtributio e dipendenza dalla città piú vicina, la Colonia Civica Augusta Brixia, i Camuni vennero riconosciuti nell’arco di pochi decenni dapprima come Civitas e poi come Res Publica, con autonomia giuridico-amministrativa e magistrati propri. Gli aspetti caratterizzanti la realtà camuna nella seconda età del Ferro, modalità insediative e cultuali, forme della cultura materiale, sopravvissero a lungo e continuarono, pur con esiti e soluzioni differenti, fino alla tarda età romana. Dell’antica Civitas Camunnorum nel tempo sono stati riportati alla luce uno spaccato dell’area forense, visibile nell’area archeologica di via Palazzo, ricche domus, le terme, le necropoli e il quartiere degli edifici da spettacolo con un teatro e un anfiteatro, oggi valorizzati nel Parco Archeologico inaugurato nel 2003. Un paio di chilometri a nord di Cividate Camuno, in un’area extraurbana di grande fascino paesaggistico e che conserva forti elementi di naturalità, si trova il Parco Archeologico del Santuario di Minerva. Posto lungo il fiume Oglio, ai piedi di una rupe rocciosa percorsa

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da grotte e cunicoli naturalmente scavati dall’acqua, il sito, oggi amministrativamente sotto il comune di Breno, era in età romana un santuario suburbano, strettamente collegato alla Civitas Camunnorum.

SIMBOLO DELLA ROMANIZZAZIONE Inaugurato nel 2007 ed esteso per una superficie di circa 6000 mq, il parco conserva resti monumentali di un edificio ad ali porticate e corte centrale, con pavimenti a mosaico e raffinati affreschi. Il complesso era dedicato a Minerva, la cui bellissima statua, in marmo pentelico e di dimensioni superiori al vero, è stata rinvenuta adagiata nello strato di crollo dell’aula centrale nell’ottobre 1986, dando avvio alle ricerche nell’area. Minerva, che interpreta ed eredita i caratteri di un culto indigeno, doveva affermare in chiave ideologica e politica l’avvenuta conquista romana del territorio. La statua e i materiali sono conservati al Museo Archeologico Nazionale della Valle Camonica a Civida-

te Camuno recentemente riallestito in una nuova e piú ampia sede (vedi «Archeo» n. 437, luglio 2021; anche on line su issuu.com). L’area nella quale si trova il Parco Archeologico di Minerva è oggi alla confluenza dei paesi di Breno, Cividate Camuno e Malegno, luogo di confine e di frontiera e allo stesso tempo di incontro, grazie alla pista ciclopedonale accanto al fiume aperta per collegare i luoghi per collegare i luoghi della Valle Camonica romana. Le indagini archeologiche, eseguite dalla ex Soprintendenza Archeologia della Lombardia dal 1986 al 2003, hanno rivelato una lunga e straordinaria frequentazione della zona, in un arco temporale di oltre 1500 anni. Le tracce piú antiche si datano al X secolo a.C. quando ai piedi della rupe rocciosa vennero deposti materiali selezionati (olle e oggetti d’ornamento) all’interno di semplici fosse scavate nella terra, in forma di devozione individuale e spontanea. Tra la fine del VI e gli inizi del V

Sulle due pagine: località Spinera di Breno (Brescia). Veduta panoramica del Parco Archeologico del santuario di Minerva, con le coperture realizzate

a protezione delle strutture antiche. Nella pagina accanto, in alto: Breno. Il Ponte di Minerva con la chiesa dedicata a santa Maria.


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secolo a.C. fu attuata una strutturazione organizzata del pianoro, con muri di terrazzamento, grandi altari e recinti in pietra a secco. Il rituale, che in questa fase prevedeva la reiterata accensione di fuochi, il sacrificio di animali, la deposizione di offerte, avvicina il sito ai luoghi di culto caratterizzati da grandi roghi votivi e aree per offerte combuste (Brandopferplätze), diffusamente attestati nell’arco alpino centro-orientale. In età augustea, in concomitanza con la fondazione della città romana di Cividate Camuno, intorno al 16 a.C., a Spinera fu eretto un primo edificio monumentale che, dato rilevante, venne realizzato accanto alle principali strutture protostoriche, non si sovrappose agli apprestamenti preesistenti, ma, per circa 100 anni, convisse con il santuario indigeno. L’importanza del santuario nel contesto territoriale indigeno fu certo ben compresa e abilmente sfruttata dai Romani, che monumentalizzarono la conca di Spinera nel rispetto delle strutture protostoriche, riuscendo gradualmente a trasferire i contenuti del culto antico in un nuovo codice religioso.

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Parco Archeologico del santuario di Minerva

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DA UN SANTUARIO ALL’ALTRO Alla fine del I secolo d.C., con l’età flavia, le strutture preromane vennero ritualmente sigillate e il culto si trasferí definitivamente nel santuario romano. Una moneta dell’85 d.C. trovata nella ricarica che sigilla le strutture piú antiche è importante dato cronologico per gli avvenimenti della fine del I secolo d.C., che in qualche modo sembrano indicare il compimento della romanizzazione del territorio. Dopo una nuova ristrutturazione in età severiana, l’edificio di culto venne disattivato alla fine del IV secolo d.C., in coincidenza con l’avvio della cristianizzazione della Valle. La memoria della sacralità del luogo continuò tuttavia a resistere nel

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Area Archeologica di via Palazzo

Cividate Camuno

Parco del Teatro e Anfiteatro

Museo Archeologico Nazionale


tempo, come testimoniano l’edificazione, non molto lontano, di una chiesa dedicata a santa Maria «al ponte di Minerva» e i toponimi contrada e ponte di Minerva, Manervio, Manerbij, Manerbio, Manerbe. Minerva rimane e sopravvive intorno al ponte sul fiume Oglio, dove si sviluppa una delle piú importanti contrade brenesi, caratterizzata da una serie di attività strettamente connesse allo sfruttamento dell’acqua. In qualche modo l’immagine della dea arriva alla modernità e, nei suoi diversi attributi, sembra riemergere in vari momenti e luoghi nel paese di Breno, portando con sé la potenzialità di un simbolo contemporaneo per l’abitato. Ecco che oltre alla presenza nel santuario romano, alla sopravvivenza toponomastica e alla ricorrenza

nel nome del Ponte sul fiume, Minerva ritorna come copia della statua trovata nel sito archeologico davanti al Municipio di Breno e addirittura nel 2019 come Premio Minerva per le persone che hanno dato lustro al paese per iniziative culturali e sociali. La dea ritorna soprattutto in una gigantesca (480 mq) raffigurazione realizzata su una parete di cemento ai piedi della collina del Castello dallo street artist Ozmo nel 2015 che la sceglie come immagine iconica del paese.

NEL SEGNO DELL’ACCOGLIENZA In occasione del 35° anniversario della scoperta del sito archeologico, nell’ottobre 2021 è stata avviata l’iniziativa «INTORNO A MINERVA. Il contatto culturale fra

mondo antico e contemporaneità», dedicata all’incontro interculturale fra passato e presente. L’iniziativa è stata costruita anche per celebrare il 10° anniversario del progetto di micro-accoglienza diffusa per i migranti forzati nel territorio, promosso dalla Cooperativa Sociale K-Pax, che ha sede a Breno. Si intende per micro-accoglienza una formula di inclusione sociale basata sul rafforzamento pratico del concetto di contatto culturale per i migranti attraverso un percorso guidato e costruito sulla base delle caratteristiche dei diversi territori, secondo un modello che viene esportato in molte aree della Penisola. La Cooperativa K-Pax prende il nome da un film visionario, nel quale un alieno o un folle incontra, dialoga e interagisce con la nostra Nella pagina accanto, in alto: la statua di Minerva al momento della scoperta, nel 1986. Nella pagina accanto, in basso: cartina del territorio in cui sono compresi il Parco Archeologico del santuario di Minerva e gli altri siti archeologici dell’area di Cividate Camuno. A sinistra: i resti del santuario di Minerva al termine degli scavi, prima che, con l’istituzione del Parco, ne fosse realizzata la copertura.

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società contemporanea, definendo strane e potenti connessioni tra mondi e subculture umane. L’organizzazione gestisce per il Comune di Breno il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati politici e interviene continuativamente sul territorio per promuovere il dialogo tra nuovi e vecchi abitanti, la mediazione linguistica e culturale, l’accoglienza dei rifugiati. La missione di incontro culturale che K-Pax porta avanti si espande nel tempo fuori dalla Valle Camo-

nica iniziando a operare per conto della Provincia di Brescia e della Città di Brescia nella gestione dei progetti di protezione dei rifugiati politici e del dialogo interculturale. A Brescia, dove viene aperta una sede secondaria, una rassegna annuale «Umanità Migrante» ripropone confronti e riflessioni sulla migrazione e sull’incontro tra culture, in Valle Camonica si avvia una riflessione permanente sull’incontro tra culture nel festival «Abbracciamondo». Si speri-

menta con successo la proposta dei siti archeologici e del patrimonio museale alla popolazione straniera nelle diverse edizioni di «Arte un Ponte tra Culture» sotto il patrocinio del distretto culturale di Valle Camonica. L’evento «INTORNO A MINERVA» è stato promosso dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia e dalla Cooperativa Sociale K-Pax in collaborazione con la Comunità Montana di Valle Camonica e i Comuni di Breno, Cividate Camuno e Malegno. In particolare, nella giornata di sabato 16 ottobre 2021 si è tenuto un incontro di studi, seguito da una visita al Parco Archeologico con traduzione in lingue straniere e un concerto. Dedicato al contatto culturale fra passato e presente, l’incontro di studi ha proposto, a partire dal contesto archeologico e territoriale, un dialogo multidisciplinare fra archeologi, storici, anIn questa pagina: due momenti dell’intervento che ha portato alla messa in luce dell’altare protostorico facente parte del del santuario dell’età del Ferro che si estendeva nell’area prospiciente l’edificio romano dedicato a Minerva. Nella pagina accanto: l’aula centrale di culto del santuario di Minerva con la replica della statua della dea.

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tropologi, sociologi e psichiatri intorno ai temi dell’identità, dello scontro, del contatto, della resistenza, dell’integrazione culturale. Ne è scaturito un confronto particolarmente intenso e produttivo che ha generato importanti sinergie tra professionisti e organizzazioni e ha permesso alcuni significativi spunti di riflessione e di accrescimento reciproco. Come naturale conseguenza è stato sviluppato ulteriormente il progetto nella direzione di una nuova valorizzazione del contesto archeologi-

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co focalizzando per esso e con esso dificio romano dedicato a Minerva. il messaggio del contatto culturale. Viene cosí restituito visivamente il tema della coesistenza e del contatto tra la cultura camuna e COESISTENZA quella romana: come già ricordato E CONTATTO In piena coerenza con questo per- infatti, alla fine del I secolo a.C., corso, nelle giornate del 28 e 29 con la romanizzazione del territomarzo 2022, come tangibile testi- rio e la fondazione di Cividate monianza del contatto culturale nel Camuno, quando a Spinera venne mondo antico, a 19 anni dalla sco- costruito un primo edificio moperta e dal successivo e immediato numentale, il culto indigeno per reinterro, è stato riportato alla luce quasi 100 anni continuò a essere l’altare protostorico, parte del san- praticato accanto a quello romano tuario dell’età del Ferro che si e sull’altare continuarono a essere estendeva nell’area prospiciente l’e- accesi fuochi rituali.


La struttura, una piattaforma quadrangolare di terra su cui si impostano grandi pietre a secco a formare una base di circa 3,5 x 4,5 m, nel 2003 era stata coperta con TNT e reinterrata. La rimessa in luce nel marzo 2021 è stata effettuata con mezzo meccanico a benna liscia e seguito da archeologi professionisti. La ri-scoperta della struttura è quindi stata effettuata con scavo manuale, cui hanno partecipato attivamente anche alcuni rifugiati politici accolti nel sistema ministeriale di accoglienza (SAI) gestito dalla

A sinistra, sulle due pagine: uno dei rifugiati politici coinvolti nell’intervento che ha riportato alla luce l’altare protostorico. In alto: un momento dell’inaugurazione

dell’altare protostorico, all’alba del 19 giugno 2022, in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia e della Giornata Mondiale del Rifugiato. In basso: la locandina dell’evento.

Cooperativa Sociale K-Pax nel comune di Breno. Si è quindi successivamente proceduto al restauro delle strutture e alla sistemazione del sito con un pannello didatticoesplicativo dell’intervento e del significato dell’altare, aggiungendo un nuovo e importante elemento che va ad arricchire il percorso di visita del Parco Archeologico. A conclusione dell’intera operazione, lo scorso 19 giugno è stato organizzato un momento di inaugurazione ufficiale, in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia 2022 (17-18-19 giugno) e della Giornata Mondiale del rifugiato (20 giugno). All’inaugurazione sono stati invitati i rifugiati politici impegnati attivamente nella rimessa in luce dell’altare e, vista la progettazione fortemente orientata a una valorizzazione del sito nel segno del dialogo tra culture, i rappresentanti delle principali fedi religiose attive sul territorio: il parroco di Breno, il presbitero della Chiesa ortodossa, rappresentanti

della comunità islamica. Tale coinvolgimento, che non ha precedenti sul territorio, pone le basi anche per un dialogo inter-religioso particolarmente importante e attuale a partire dal sito archeologico. Per saperne di piú, si può visitare il sito: www.k-pax.eu

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SPECIALE • HEINRICH SCHLIEMANN

HEINRICH SCHLIEMANN (1822-1890)

L’UOMO DEI SOGNI

IL PIÚ CELEBRE E DISCUSSO PROTAGONISTA DELL’ARCHEOLOGIA DI TUTTI I TEMPI NACQUE IN GERMANIA DUECENTO ANNI FA, IL 6 GENNAIO DEL 1822, E MORÍ IN ITALIA, A NAPOLI, IL 26 DICEMBRE DEL 1890. LA BIOGRAFIA DI HEINRICH SCHLIEMANN, «GENIO» E «PADRE DELL’ARCHEOLOGIA MICENEA» SECONDO I SUOI EREDI E AMMIRATORI, POSSIEDE TRATTI QUASI LEGGENDARI: CAPACE DI UNA MOBILITÀ E DI UN DINAMISMO INTELLETTUALE STRAORDINARI, FU INSTANCABILE NEI PIÚ SVARIATI CAMPI DEL SAPERE E DELLA VITA PRATICA. OGGI, NEL BICENTENARIO DELLA SUA NASCITA, LA SUA VITA, LE SUE SCOPERTE E LA SUA EREDITÀ SONO RICORDATE IN UNA GRANDE MOSTRA AI MUSEI STATALI DI BERLINO… di Tsao Cevoli e Lidia Vignola

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e comincio con la storia della mia Un settore dei resti di Troia all’epoca degli scavi condotti sul sito vita, non sono mosso da vanità, ma dall’architetto Wilhelm Dörpfeld, già assistente e fedele collaboratore dal desiderio di mettere in chiaro di Heinrich Schliemann, del quale continuò l’operato. 1890 circa. che tutto il lavoro degli anni successivi fu determinato dalle impressioni della mia primissima infanzia, e che anzi esse ne furono la conseguenza necessaria; si può dire che il piccone e la pala per gli scavi di Troia e delle tombe reali di Micene furono già forgiati e affilati nel piccolo villaggio tedesco dove ho passato otto anni della mia prima giovinezza». Con queste parole Heinrich Schliemann, uno dei padri dell’archeologia moderna, inizia il suo libro dedicato alla scoperta di Troia. La cronaca di questa straordinaria esplorazione archeologica si fonde, cosí, con un’autobiografia romanzata, in un misto ammaliante tra il diario di scavo e il racconto d’avventura. Il futuro scopritore di Troia e di Micene nasce il 6 gennaio 1822 in Germania, a Neubukow, da una famiglia di modeste condizioni eco-

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Ritratto di Heinrich Schliemann, olio su tela di J. Sydney Willis Hodges. 1877. Berlino, Staatliche Museen.


SPECIALE • HEINRICH SCHLIEMANN

nomiche. Figlio di un pastore protestante, trascorre l’infanzia ad Ankershagen, un piccolo villaggio della Germania settentrionale, a cui resterà per sempre sentimentalmente legato. Sta per compiere otto anni, quando, a Natale del 1829, riceve in regalo un libro per ragazzi che segnerà tutta la sua vita e, con essa, il destino dell’archeologia: La storia mondiale narrata ai bambini di Georg Ludwig Jerrer.

«TROIA ESISTE, E IO LA SCOPRIRÒ» Una delle illustrazioni del libro raffigura Enea in fuga dalla città di Troia in fiamme, mentre tiene per mano il figlioletto Ascanio e porta sulle spalle l’anziano padre Anchise. Osservando la scena, Heinrich intuisce che una città dalle mura cosí possenti non può essere stata spazzata completamente via dallo scorrere del tempo e che da qualche parte devono pur ancora restare le sue rovine, in attesa di essere scoperte: «Papà, se mura simili sono esistite, non possono essere state distrutte del tutto, ma saranno certamente nascoste dalla polvere, dai detriti dei secoli», afferma con determinazione, insistendo anche di fronte al tentativo di suo padre di dissuaderlo dal vagheggiare cose cosí irrealizzabili. Racconterà: «[Mio padre] era di parere contrario, ma io restai fermo nella mia idea e alla fine concordammo che un giorno io avrei scavato Troia».

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Eppure ad alimentare la passione per l’antico è proprio suo padre, di cui ricorda: «Pur non essendo né un filologo, né un archeologo, mio padre s’interessava con passione della storia antica; spesso mi raccontava con caldo entusiasmo della tragica scomparsa di Ercolano e di Pompei e sembrava considerare fortunatissimo chi aveva i mezzi e il tempo di visitare gli scavi di quelle città. Spesso mi raccontava ammirato anche le gesta degli eroi omerici e i fatti della guerra di Troia». Il piccolo Schliemann sogna a occhi aperti. Sul fatto che la città di Priamo sia realmente esistita non nutre il minimo dubbio, avendo fede assoluta nelle parole di Omero. Ma ben presto una serie di disgrazie lo costringeranno ad accantonare per

In questa pagina: due particolari dell’allestimento della mostra «I mondi di Schliemann», realizzata dai Musei di Stato di Berlino e visitabile fino al prossimo 6 novembre (vedi box alle pp. 104-105). Nella pagina accanto, in alto: Heinrich Schliemann nel 1860, a San Pietroburgo, quando operava come mercante. Nella pagina accanto, in basso: la seconda moglie di Schliemann, Sofia Engastromenou, con i figli Andromaca e Agamennone. 1879. Atene, American School of Classical Studies.


LE DATE DI HEINRICH SCHLIEMANN 1822, 6 gennaio Nasce a Neubukow, in Germania. 1836 Abbandona gli studi e comincia a lavorare come commesso. 1841 Si imbarca per le Americhe, ma il brigantino a bordo del quale è partito naufraga. Tratto in salvo, viene portato ad Amsterdam, dove inizia a lavorare in una ditta commerciale e inizia a studiare da solo le lingue straniere (arriverà a parlarne 17). 1846 Viene inviato come rappresentante commerciale in Russia, a San Pietroburgo, dove poi si mette in affari in proprio. 1852 Sposa Ekaterina Petrovna Lyshina, da cui ha tre figli, Sergej, Nadeshda e Natalia. 1864 Dopo aver liquidato i suoi affari, intraprende un viaggio di due anni intorno al mondo, su cui pubblica nel 1867 il diario di viaggio La Chine et le Japon au temps present. Si stabilisce a Parigi, dove intraprende gli studi alla Sorbona. 1868 Parte per la Grecia e l’Asia Minore alla ricerca dei luoghi descritti da Omero. Cerca il palazzo di Ulisse a Itaca, nel Peloponneso visita le rovine di Corinto, Micene e Tirinto. Poi in Asia Minore inizia la ricerca di Troia. 1869 Pubblica il suo secondo libro, Ithaka, der Peloponnes und Troja, in cui avanza le sue teorie sulla localizzazione dei luoghi omerici. Grazie a questi studi ottiene il dottorato presso l’Università di Rostock. Nello stesso anno sposa in seconde nozze Sofia Engastromenou, di trent’anni piú giovane, con cui condivide la passione per Omero e da cui ha due figli, Andromaca e Agamennone. 1870 Inizia a scavare in Turchia sulla collina di Hissarlik, individuando l’antica città di Troia. 1873 Scopre il cosiddetto «Tesoro di Priamo», che gli dà fama mondiale. 1876 Scopre a Micene tombe ricche di tesori, che identifica con quelle degli eroi omerici. Pubblica i risultati delle sue ricerche a Troia e a Micene e scava anche a Orchomenos e Tirinto. 1880 Si fa costruire una residenza ad Atene dall’architetto Ernst Ziller, a cui dà il nome di «Iliou Melathron». 1881 Dona la sua collezione di antichità troiane «al popolo tedesco per la custodia eterna a Berlino», dove è ancora oggi in gran parte custodita. Il «Tesoro di Priamo», tuttavia, portato via dalle truppe sovietiche durante la seconda guerra mondiale e rintracciato solo negli anni Novanta grazie al giornalista Luigi Necco, si trova al Museo Pushkin di Mosca. 1890, 26 dicembre Heinrich Schliemann muore a Napoli. È sepolto nel Primo Cimitero di Atene, dedicato alle personalità illustri, nel mausoleo in stile neoclassico progettato dall’architetto Ernst Ziller.

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OMERO E LA FORZA DELLA TRADIZIONE ORALE Una delle questioni da sempre piú dibattute tra gli studiosi è se le informazioni fornite da Omero siano frutto della sua fantasia o se, al contrario, abbiano un fondamento storico. All’estremo di queste due posizioni abbiamo chi nega l’esistenza stessa del poeta e chi, come Schliemann, crede fermamente in lui e in ogni sua parola. Con la scoperta di Troia, Micene e di altre leggendarie città dell’età del Bronzo, egli ha senz’altro dimostrato che nei racconti omerici vi è un fondamento di verità. Oggi, però, siamo anche consapevoli che le informazioni tratte da Omero vanno vagliate criticamente, tenendo ben presente sia che le sue opere sono state composte con finalità poetiche, non certo storiche, sia

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che tra la fine della civiltà micenea e la loro stesura passano circa cinquecento anni, durante i quali ogni ricordo è affidato solo alla tradizione orale. Ciò rende, tuttavia, ancora piú sorprendente la perfetta corrispondenza che a volte rileviamo fra gli oggetti scoperti negli scavi e quelli che Omero descrive con dovizia di dettagli, benché ai suoi tempi fossero ormai scomparsi da secoli. È il caso, per esempio, dell’elmo posto da Merione sul capo di Ulisse che si prepara ad affrontare con Diomede una missione notturna nel campo troiano: «Merione diede a Odisseo arco, faretra e spada, e in testa gli pose un elmo, fatto all’interno di molte strisce di cuoio saldamente intrecciate, mentre all’esterno era rivestito da bianche zanne di

cinghiale» (Iliade, X, 260-265). L’elmo descritto da Omero, rinforzato con zanne di cinghiale, è veramente esistito e fu una delle armi piú caratteristiche e di piú ampio e duraturo utilizzo presso i Micenei. Gli scavi archeologici ne hanno restituito innumerevoli raffigurazioni e reperti in diverse località della Grecia. La sua scomparsa coincide con il crollo della civiltà micenea nel XIII-XII secolo a.C., per cui ai tempi di Omero se ne doveva essere ormai persa traccia. Il fatto che il suo ricordo sia stato tramandato con tale precisione per quasi cinquecento anni è una prova della forza della tradizione orale degli aedi e dimostra ancora una volta quanto possano essere preziose le informazioni che ci fornisce Omero.


Nella pagina accanto: un altro particolare dell’allestimento della mostra «I mondi di Schliemann». A destra, al centro: l’Iliou Melathron, la residenza che Schliemann si fece costruire ad Atene, in uno schizzo acquarellato di Ernst Ziller, l’architetto che progettò l’edificio. 1878. Atene, Galleria Comunale. In basso: il vestibolo dell’Iliou Melathron, oggi sede del Museo Numismatico.

molto tempo i propri sogni: a soli dieci anni Heinrich perde sua madre. Di lí a poco suo padre affida lui e gli altri figli ad alcuni parenti. Le difficoltà economiche lo costringono anche a rinunciare agli studi, per iniziare, a soli quattordici anni, a guadagnarsi da vivere come commesso in un negozio, lavorando dalle cinque di mattina alle undici di sera. Dopo aver tentato per alcuni anni varie strade, ridotto in miseria, decide di imbarcarsi per le Americhe, in cerca di fortuna. «Ero sempre stato povero, ma mai cosí completamente privo di mezzi come proprio in quel momento: per potermi procurare una coperta dovetti vendere il mio unico vestito», scrive lo stesso Schliemann sulla sua condizione economica al momento di partire. Ancora una volta, però, una fatalità segna il suo destino. La traversata dell’Atlantico si rivela ben presto tutt’altro che una passeggiata. Il brigantino Dorothea, su cui Schliemann si è imbarcato, è

sorpreso da una tempesta. Dopo essere stato per alcuni giorni in balía delle onde, una notte la situazione precipita: «Tutti i passeggeri sopra coperta! L’imbarcazione corre un gravissimo pericolo!» grida il capitano. Il brigantino affonda al largo delle coste europee. Tratto fortunosamente in salvo, il giovane Heinrich viene portato ad Amsterdam e ricoverato all’ospedale per i poveri. Appena si rimette in salute, il console tedesco lo informa che potrà tornare in Germania con gli altri naufraghi superstiti ma Schliemann rifiuta l’offerta: gli risponde che intende restare in Olanda. Sente che il suo destino è là.

IL FIUTO PER GLI AFFARI Inizia a lavorare, prima come fattorino, poi in una ditta commerciale. A spianargli la strada è il suo straordinario fiuto per gli affari, unito a un incredibile talento nell’apprendere rapidamente le lingue straniere, al cui studio dedica

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giorno e notte, in ogni attimo libero dal lavoro. Avendo imparato il russo, viene spedito come agente di commercio a San Pietroburgo. Poco dopo, riesce addirittura a mettersi in affari in proprio. Sposa Ekaterina Petrovna Lyschina, da cui ha tre figli – Sergej, Nadeshda e Natalia –, ma il matrimonio non durerà. Come un novello Odisseo dantesco, anche Schliemann è inquieto, sente l’irresistibile richiamo dell’avventura. Comincia a viaggiare per il mondo, non solo per affari, ma soprattutto per soddisfare la propria inappagabile sete di conoscenza, senza mai dimenticare il sogno che custodisce e coltiva sin da bambino. Scriverà: «anche in mezzo ai vortici della vita degli affari, non avevo mai cessato di pensare a Troia e alla decisione di scavarla (...). Il mio cuore era sempre attaccato al denaro, ma solo perché lo consideravo un mezzo per raggiungere questo grande scopo della mia vita (...). Ma prima di dedicarmi del tutto all’archeologia e di passare all’attuazione

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del sogno della mia vita, volli vedere qualcosa di piú del mondo».

Gli operai impegnati negli scavi di Troia in una foto del 1890.

NESSUN LUOGO È LONTANO Raccontare i viaggi di Heinrich Schliemann è un’impresa quasi impossibile. Dall’Europa all’Africa, dall’America all’Asia: a parte l’Oceania e l’Antartide, non c’è continente che prima o poi egli non visiti, osservi, studi, mosso non solo dai suoi affari – il cui raggio d’azione diventa sempre piú ampio e internazionale –, ma soprattutto da una incontenibile sete di conoscenza di popoli e civiltà. Arriva fino in India, in Cina e in Giappone. Si sposta continuamente, come se nulla fosse, da Amsterdam a Mosca, dalla Francia alla Grecia e alla Turchia, dall’Europa agli Stati Uniti d’America. Diventato ricco, può sfoggiare vestiti eleganti, soggiornare negli alberghi piú lussuosi: del resto, per un uomo d’affari come lui, tutto ciò è quasi necessario, per mostrare il proprio


potere economico ai potenziali interlocutori commerciali, ma la povertà estrema che ha sperimentato nella propria vita gli ha lasciato un senso del risparmio. È, dunque, disposto a spendere cifre esorbitanti per finanziare le proprie imprese, per inseguire i propri sogni, ma non a sprecare denaro per ciò che ritiene un’inutile velleità. Ecco allora la soluzione, come egli stesso racconta durante uno dei suoi tanti viaggi: «Ho adottato il mio vecchio sistema di combinare l’economia con un certo decoro, scegliendo il miglior albergo, ma prendendo una stanza al sesto piano. Quest’albergo è il piú grande che io abbia mai visto; ha piú di cinquecento camere, che variano di prezzo da cinque a venti franchi. La mia ne costa due». Mete frequenti dei suoi viaggi sono, naturalmente, anche i piú importanti musei e luoghi di interesse archeologico del Mediterraneo.Visita la Turchia, la Grecia e, ovviamente, l’Italia. Tra le città italiane visitate piú spesso, almeno una decina di volte, c’è Napoli: a portarlo cosí di frequente nella città che da pochi anni, con l’unità d’Italia, ha svestito i panni di capitale del Regno delle Due Sicilie, ma che ne conserva il fascino e l’autorevolezza, è un duplice motivo, culturale e logistico. Grazie a un collegamento ferroviario diretto con Parigi e ai collegamenti marittimi, compresa una linea per il Pireo, il porto di Atene, Napoli è in questo periodo un punto di passaggio privilegiato per i viaggiatori che arrivano dal resto d’Europa e vogliono salpare per la Grecia e il Mediterraneo orientale.

LA CORRISPONDENZA CON FIORELLI Come si può facilmente intuire, il motivo culturale è l’attrazione esercitata da Pompei ed Ercolano, vere e proprie miniere di informazioni su ogni aspetto della vita dell’antichità, sempre teatro di nuove scoperte di case ed edifici pubblici e prodighe di un’enorme quantità e varietà di opere d’arte e reperti

Il permesso con il quale le autorità ottomane autorizzarono gli scavi di Heinrich Schliemann a Troia. 1873. Atene, American School of Classical Studies.

archeologici di ogni genere che, come un flusso incessante, tornano alla luce dagli scavi e vanno continuamente ad arricchire le collezioni del Museo Archeologico di Napoli. Di Pompei, in particolare, Schliemann è un frequentatore assiduo, inoltre si tiene sempre informato sulle nuove scoperte tramite un costante contatto epistolare con il direttore degli scavi, l’archeologo Giuseppe Fiorelli. Come sottolinea con rammarico l’archeologo Umberto Pappalardo, «Purtroppo di tale carteggio si sono conservate le lettere dello Schliemann al Fiorelli, ma risultano, però, ancora oggi introvabili le minute delle lettere del Fiorelli allo Schliemann. Non è da escludere pertanto che «le belle» di queste lettere potranno reperirsi in futuro negli archivi dello stesso Schliemann». L’archeologo tedesco è tanto ammaliato dall’antica città ai piedi del Vesuvio che alle pitture e agli arredi pompeiani vorrà ispirare la decorazione e l’arredamento della propria dimora ateniese, a r c h e o 83


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perché, dopo aver girato il mondo, è lí, nella città di Pericle, che deciderà di stabilirsi. Nel 1869, di ritorno dagli Stati Uniti d’America, di cui ha ottenuto la cittadinanza che gli ha consentito di divorziare da Ekaterina Petrovna Lyschina secondo la legge americana, Schliemann si stabilisce in Grecia. Scrive all’arcivescovo Theoklitos Vimpos, suo ex insegnante di greco, chiedendogli di aiutarlo a trovare moglie.Vuole una compagna con cui condividere non solo la vita privata, ma anche le passioni, perciò non gli importa che sia povera, gli interessa relativamente anche quanto sia bella, ma dev’essere soprattutto istruita, amare Omero, condividere l’amore per la conoscenza. Di lí a poco Schliemann sposa una nipote dell’arcivescovo Vimpos, Sofia Engastromenou, che dell’archeologo tedesco è di trent’anni piú giovane. Insieme avranno due figli, Andromaca e Agamennone, i cui nomi rifletteranno in modo lampante la passione per i poemi omerici.

NEL «PALAZZO DI ILIO» Per risiedere ad Atene si fa costruire un elegante palazzetto aristocratico al centro della città. Lo commissiona all’architetto tedesco Ernst Ziller spiegandogli: «Ho vissuto tutta la vita in una casa piccola, ma in questi anni che mi restano da vivere voglio abitare in una casa grande. Desidero ampiezza di spazi e niente piú: scegli lo stile che preferisci, la sola condizione che pongo è che vi sia una scala di marmo che parta dal piano terra e arrivi fino ai piani superiori e alla terrazza». Ispirandosi alle architetture del Rinascimento italiano, riadattate al gusto neoclassico ed eclettico di fine Ottocento, Ziller progetta e realizza uno degli esempi piú rappresentativi dell’architettura neoclassica in Europa. Schliemann gli darà il soprannome di Iliou Melathron (letteralmente «palazzo di Ilion») e vorrà farne un vero e proprio tributo all’antichità classica e alle proprie scoperte archeologiche, a cominciare dal giardino, dove espone copie di statue classiche, per continuare con le pareti all’interno dell’edificio, dipinte dal pittore serbo Juri Stubic e da altri pittori dell’epoca su modello degli affreschi pompeiani, talvolta aventi a soggetto le scoperte archeologiche di Schliemann. A parte i continui viaggi, egli resta ad abitarvi per il resto della sua vita, con la moglie Sofia e i figli Andromaca e Agamennone. Nel suo 84 a r c h e o

testamento lascerà la casa a sua moglie, che tuttavia, trent’anni dopo, sarà costretta a venderla per far fronte alle pretese economiche della ex moglie di Agamennone. La acquisterà lo Stato greco, che ne farà la sede prima dell’Areios Pagos, la suprema corte di giustizia greca, e poi del Museo Numismatico.

SULLE TRACCE DI TROIA Prima di Schliemann, molti altri studiosi e cacciatori di tesori avevano cercato di individuare il sito dell’antica Troia, sia che inseguissero finalità puramente scientifiche e storiche, sia che bramassero la gloria che avrebbe portato la scoperta, sia che mirassero piú materialmente a procacciarsi manufatti da vendere sul sempre fiorente mercato antiquario.Tra loro c’era anche il viceconsole britannico, Frank Calvert, il quale, nel 1853, aveva intrapreso scavi su una collina della Troade, scoprendo sepolture a incinera-


zione che sembravano ricordare i rituali funebri descritti da Omero. Non si era trattato di uno sterro sommario, ma per l’epoca di veri e propri scavi archeologici, con tanto di pubblicazione dei dati e un pionieristico tentativo di studio e interpretazione degli strati individuati. In quegli anni si dedica agli scavi anche un ufficiale britannico con le sue truppe, John Brunton. Il suo. invece, è un semplice e brutale sterro, che permette però il ritrovamento di diversi reperti destinati al mercato delle antichità, tra cui un mosaico che finirà al British Museum. Senza rendersene conto, Brunton intercetta prima di Schliemann i resti di Troia. Qualche tempo dopo, nel 1865, spinto non solo

In alto: elemento di collana in faïence attribuita al «Tesoro di Minyas», con l’etichetta compilata da Sofia Schliemann, da Orchomenos. Seconda metà del II mill. a.C. Atene, Museo Archeologico Nazionale. Nella pagina accanto: Sofia Schliemann indossa gioielli facenti parte del «Tesoro di Priamo». 1873.

dal desiderio di portare avanti le sue scoperte scientifiche, ma anche dalla necessità di trovare altri reperti da vendere per far fronte alle proprie difficoltà economiche, Frank Calvert riprende e intensifica gli scavi sulla collina di Hissarlik. Le sue scoperte, per quanto non sensazionali, sono piú che sufficienti per catturare l’attenzione di Heinrich Schliemann.

IL SOGNO SI AVVERA Nel 1868, Schliemann mette piede nella Troade, determinato a realizzare l’impresa che sogna sin da bambino. La vita, in tutti questi anni, gli ha inflitto innumerevoli disgrazie familiari, di salute e finanziarie. Ha perso i genitori da piccolo, sperimentato la fame, la solitudine e la povertà, ma si è ogni volta rialzato contando sulle proprie forze, ha accumulato caparbiamente ricchezze insperate, tanto da Vasi in ceramica di tipo zoomorfo e antropomorfo, da Troia. III mill a.C. Berlino, Staatliche Museen.

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SPECIALE • HEINRICH SCHLIEMANN Ritratto dell’architetto e archeologo tedesco Wilhelm Dörpfeld (1853-1940). Atene, Istituto Archeologico Germanico.

potersi ritirare dagli affari e dedicare alla sua vera passione. Ora è finalmente arrivato proprio in quel luogo leggendario che aveva visto molti anni addietro disegnato nell’illustrazione di un libro per bambini.Troia è lí, da qualche parte, a pochi passi da lui. Non gli resta che trovarla e portarla alla luce. Consapevole degli studi e delle ipotesi degli altri studiosi, si reca a Bunarbaschi, da molti considerato il sito piú probabile in cui identificare l’antica Troia. Fa anche qualche tenta-

tivo di scavo. Ben presto, però, si persuade che non è lí che va cercata la città di Priamo. Ne è sicuro grazie alla sua fede incrollabile in Omero, nel cui racconto si parla dei tanti rapidi spostamenti dei Greci e dei Troiani dalle navi greche alle mura della città: Bunarbaschi è troppo distante dal mare per adattarsi a questa descrizione. Schliemann osserva: «In realtà è incomprensibile che si sia potuto vedere il sito di Troia nell’altura di Bunarbaschi. Non si può far altro che supporre che i viaggiatori vengano qui con opinioni preconcette, che per cosí dire li accecano: infatti se guardassero con occhio sereno e libero da pregiudizi vedrebbero subito che è affatto impossibile far coincidere la posizione di queste alture con le indicazioni dell’Iliade». Vi è un altro sito, al contrario, che gli sembra corrispondere perfettamente alle parole di Omero, la collina di Hissarlik, piú vicina al mare e situata tra i fiumi Scamandro e Simoenta. Nel 1870, ancor prima di ottenere l’autorizzazione dalle autorità turche, comincia a scavare con una squadra di ben centocinquanta operai. Preso dalla smania di ottenere subito risultati concreti, fa scavare in fretta una grande trincea. Lo rimpiangerà piú tardi, accorgendosi di avere distrutto vari strati e perso informazioni importanti. Gli scavi continuano: ottenere le conferme sperate è solo questione di tempo. Scrive: «le difficoltà non fanno che accrescere il mio desiderio di raggiungere finalmente, dopo tante delusioni, lo scopo che mi prefiggo e di dimostrare che l’Iliade è fondata su fatti

WILHELM DÖRPFELD: IL BRACCIO DESTRO DI SCHLIEMANN Archeologo e architetto tedesco, Wilhelm Dörpfeld nasce il 26 dicembre 1853 a Barmen, nella Prussia renana. Dopo aver lavorato con l’archeologo Ernst Curtius agli scavi di Olimpia, affianca Schliemann nelle sue ricerche, fornendo un contributo cosí importante dal punto di vista metodologico e scientifico, che l’archeologo Sir Arthur Evans, scopritore di Cnosso, scriverà di lui: «non si è detto a torto che Dörpfeld sia stato la «migliore scoperta» di Schliemann». Quanto Schliemann lo stimi e tenga a lui si può cogliere da queste parole che gli scrive:

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reali e che alla grande nazione greca non si deve togliere la corona della sua gloria. Non risparmierò né fatiche né spese per arrivarci». Ad affiancarlo negli scavi è un archeologo e architetto tedesco di trent’anni piú giovane, Wilhelm Dörpfeld, il cui contributo scientifico agli scavi sarà fondamentale (vedi box in queste pagine).

IL TESORO DI PRIAMO Nel concedere a Heinrich Schliemann il permesso di scavare a Troia, le autorità ottomane gli impongono una serie di condizioni: innanzitutto, tutti i reperti devono essere divisi tra le autorità ottomane e lo scavatore, in secondo luogo le rovine scoperte devono essere lasciate nello stato in cui sono trovate, infine tutte le spese di scavo vanno coperte da lui. Ottenuto il permesso, l’11 ottobre 1871 Schliemann inizia i suoi scavi autorizzati a Troia. Per assicurarsi il rispetto degli accordi, le autorità turche, temendo che l’archeologo tedesco non li rispetti e cerchi

«Sinora abbiamo compiuto assieme grandi cose, e altre ne dobbiamo compiere, soltanto e sempre assieme, che sarebbero impossibili senza di noi. (...) Tra noi non deve mai sorgere nemmeno l’ombra del disaccordo. E se mai Lei avesse ragione d’essere inquieto con me, Lei deve dirmi sinceramente, sul viso, che cosa ha contro di me, e mi troverà sempre pronto e felice di fare ciò che è giusto e retto. Prima di tutto, questo malinteso va eliminato e subito, perché io ne soffro molto. (...) Spero che lavoreremo ancora insieme per molti anni». Dopo la morte di Schliemann, Dörpfeld

ne continua gli scavi a Troia, dove si dedica all’esplorazione dei margini del sito e scopre le fasi della media e tarda età del Bronzo, contribuendo a definire meglio la complessa stratigrafia e cronologia del sito. Conduce scavi anche a Olimpia, a Tirinto e a Corfú. Studia numerosi monumenti di Atene e del resto della Grecia, sui quali pubblica diversi scritti. Fino al 1912 ha il compito e l’onore di dirigere una delle piú autorevoli istituzioni archeologiche al mondo, l’Istituto Archeologico Germanico di Atene. Muore in Grecia il 25 aprile 1940.

In alto: tavola raffigurante Schliemann e sua moglie che curano l’ordinamento dei reperti di Troia portati a Berlino, dalla rivista Daheim, vol. 18, 1882. A sinistra: Hissarlik. La casa abitata da Schliemann durante gli scavi condotti tra il 1871 e il 1879. a r c h e o 87


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di appropriarsi di quanto trovato, gli impongono anche la presenza di un sorvegliante: una misura che, tuttavia, non basterà a prevenire il suo colpo piú grande. Dagli scavi, dopo essere tornati alla luce i resti sovrapposti delle varie fasi della città, le sue mura, le Porte Scee ricordate da Omero, nel 1873, al termine del terzo anno di lavori, riemerge quello che passerà alla storia come il «Tesoro di Priamo»: una grande quantità di gioielli in oro e altri oggetti preziosi, che Schliemann ribattezza in questo modo, in riferimento al leggendario re di Troia ricordato da Omero, e che ancor oggi continuiamo a chiamare cosí, benché ormai consapevoli che risalgono a un’epoca piú antica di quella della guerra di Troia. Racconta Schliemann: «Per sottrarre il tesoro all’avidità degli operai e salvarlo per la scienza, occorreva agire con la massima fretta: sebbene non fosse ancora l’ora di colazione, feci subito ordi88 a r c h e o

nare (...) il riposo, e mentre gli operai mangiavano e si riposavano estrassi il tesoro con un grosso coltello, ciò che non fu possibile senza compiere uno sforzo enorme e senza affrontare un terribile pericolo di morte, perché il grande muro di fortificazione che dovevo scalzare minacciava a ogni istante di rovinarmi addosso. Ma la vista di tanti oggetti, ognuno dei quali ha un valore inestimabile per la scienza, mi rendeva temerario e io non pensavo al pericolo». Pur arricchita dal tono avventuroso e romanzesco tipico dei suoi racconti autobiografici, dalle parole che Schliemann affida a una lettera si coglie il senso di urgenza che egli avvertiva nel voler portar via quel tesoro, perché, osserva, «Se i Turchi fossero venuti in possesso del tesoro, lo avrebbero fuso e ne avrebbero ricavato 12 000 franchi, mentre, in mano mia, esso ha un valore incalcolabile per gli studiosi». E in un’altra lettera

Una collana e un diadema (nella pagina accanto) in oro facenti parte del Tesoro di Priamo, scoperto a Troia da Schliemann nel 1873. Scomparsi durante la seconda guerra mondiale, i preziosi reperti sono ricomparsi nel 1993, e sono conservati nel Museo Pushkin di Mosca.


«Estrassi il tesoro con un grosso coltello, ciò che non fu possibile senza compiere uno sforzo enorme e senza affrontare un terribile pericolo di morte...» scrive: «Questo tesoro, che ebbi la fortuna di dissotterrare, è il tesoro di Priamo, il mitico Re di un mitico Stato, appartenente all’età mitico-eroica, e vale piú di un milione di franchi, mentre ha un valore incalcolabile per gli studiosi». Dopo appena un paio di giorni, riesce a imbarcare di nascosto il tesoro e a portarlo via dalla Turchia. Per questa azione è costretto ad affrontare un processo, che si conclude con la condanna a pagare 10 000 franchi di risarcimento. Per tutta risposta Schliemann, di propria volontà, versa agli Ottomani il quintuplo, 50 000 franchi.

ORO CHE SCOTTA Con questa somma non solo riesce a chiudere la vicenda giudiziaria, placando il malcontento ottomano, ma anche a ottenere il possesso legittimo del tesoro. Ma cosa farne? Dove esporlo? Negli anni successivi esaminerà varie opzioni, discutendone con

i suoi contatti in diversi Paesi europei: potrebbe decidere di lasciarlo ad Atene, in Grecia, o di portarlo al British Museum a Londra, al Louvre a Parigi, oppure a San Pietroburgo, in Russia. Tra le varie opzioni prese in considerazione in quegli anni, ce n’è anche una in Italia. Dei suoi frequenti viaggi a Napoli si è detto, come pure dei suoi cordiali rapporti con l’archeologo Giuseppe Fiorelli, prima direttore degli scavi di Pompei, poi del Museo Nazionale di Napoli e infine a capo della direzione centrale degli scavi e dei musei del Regno d’Italia. È proprio lui a offrirgli una sistemazione prestigiosa: il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che, grazie alla straordinaria varietà e quantità di opere e reperti esposti, è entrato nel novero dei grandi musei europei. Schliemann gli risponde: «la ringrazio per la Sua offerta (...), già l’esposizione del tesoro di Priamo solo a r c h e o 89


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Mar Nero Istanbul Tokat Sivas

Ankara

Troia

Kız ılır ma k

Kayseri N

Antalya

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SE

O

E

Mar Mediterraneo

nel Suo museo basterebbe ad attrarre a Napoli migliaia di forestieri. (...) La scienza guadagnerà certo moltissimo da questa esposizione, perché tutti gli eruditi che ne hanno il tempo e il mezzo verranno a esaminare il tesoro e ne scriveranno la loro opinione. Molto ne guadagnerà pure Napoli». L’idea, però, non ha seguito. Nel 1880 Schliemann vende la maggior parte del tesoro ai Musei di Berlino, dove resta finché a segnarne il destino sarà la seconda guerra mondiale. Dopo la morte di Schliemann, migliaia di reperti si trovano ancora nei sotterranei dell’Iliou Melathron: circa 2650 vasi, 2205 manufatti di terracotta, 2179 di pietra, 350 di bronzo, insomma una collezione di dimensioni colossali, che, dopo il rifiuto da parte del governo ellenico di realizzare ad Atene un «Museo Schliemann», sarà portata anch’essa a Berlino, secondo le sue ultime volontà testamentarie. Eppure a Napoli qualcosa di lui resta: l’archeologo tedesco, infatti, ha qui stretto amicizia anche con Giustiniano Nicolucci, pioniere dell’antropologia, disciplina che è il primo a insegnare all’Università di Napoli. 90 a r c h e o

S

Schliemann nel 1878 gli dona 196 manufatti litici provenienti dagli strati piú antichi di Troia, che finiranno nel Museo di Antropologia istituito nel 1881, dove sono tuttora esposti. Cosí, come osserva la curatrice del museo, Lucia Borrelli: «grazie allo scienziato Nicolucci, il nascente Museo di Antropologia di Napoli fu legato per sempre a una delle piú memorabili e leggendarie scoperte archeologiche di tutti i tempi». Del resto altri reperti delle collezioni di Schliemann, attraverso donazioni e scambi, sono finiti in vari musei italiani, tra cui il Museo Civico di Bologna, il Museo Archeologico di Firenze e il Museo Nazionale Preistorico Etnografico «Luigi Pigorini» di Roma.

DA TROIA A MICENE La scoperta di Troia non fa che consolidare l’assoluta fiducia di Schliemann in Omero. Se essa è esistita davvero e le sue rovine sono sopravvissute allo scorrere dei millenni, non vi è motivo di dubitare che lo stesso valga per Micene, la città di Agamennone, il sovrano che nell’Iliade guida gli Achei proprio contro Troia. Del resto c’era anche un’altra

Sulle due pagine: una veduta del sito di Troia (nell’odierna Turchia). Nella pagina accanto, in basso: la ricostruzione del cavallo di legno, protagonista del celebre stratagemma grazie al quale gli Achei riuscirono a espugnare la città di Priamo.


LA CITTÀ DELL’ILIADE La città di Troia era situata nell’Anatolia settentrionale, a pochi chilometri dalla costa, in una posizione geografica strategica tra il Mediterraneo e il Mar Nero. È detta anche Ilion, da cui deriva il nome Iliade del poema di Omero incentrato sulla guerra tra Greci e Troiani. Andando contro corrente rispetto all’opinione all’epoca prevalente, secondo la quale Troia sorgeva sulla collina di Bunarbaschi, Schliemann la individuò sulla piccola altura di Hissarlik, alla confluenza dei fiumi Scamandro e Simoenta. Dopo Schliemann, con il proseguire degli scavi, si è chiarita sempre meglio la complessa stratigrafia e cronologia del sito, con livelli sovrapposti che vanno dal Neolitico all’età romana.

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TUTTO INIZIÒ CON UNA MELA D’ORO... Nel mito greco la guerra piú celebre dell’antichità nasce dalle invidie e dai risentimenti tra gli dèi dell’Olimpo. Tutto comincia con le nozze del re della Tessaglia, Peleo, con la ninfa Tetide, figlia di Nereo. Alle nozze sono presenti tutte le divinità, tranne una: Eris, dea della discordia, che, per vendicarsi dell’affronto, si presenta al banchetto nuziale e lascia cadere una mela d’oro sul tavolo, destinata «alla piú bella delle dee». Ne nasce un’aspra contesa tra Afrodite, Era e Atena, che chiedono a Zeus di indicare chi sia la piú bella. Zeus, scaltramente, decide di lasciar giudicare a un mortale, un umile pastore. Ma egli è Paride, figlio del re di Troia Priamo, che il padre, spaventato dalle terribili profezie secondo cui avrebbe portato grande sciagura alla città, aveva abbandonato appena nato sulle montagne, dove era stato salvato e allevato da un pastore. Ciascuna delle tre dee cerca di farsi scegliere, promettendogli in cambio doni divini. A spuntarla è Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, che gli offre come ricompensa la donna piú bella del mondo, Elena. Ufficialmente figlia di Tindaro, re di Sparta, e di Leda, era in realtà figlia di Zeus, che aveva sedotto Leda trasformandosi in cigno. Quando Elena era cresciuta, Tindaro aveva invitato re e principi affinché se ne contendessero la mano. Giunti a Sparta, essi erano rimasti cosí rapiti dalla bellezza d’Elena da scatenare una lotta. Tindaro, timoroso di sbagliare, aveva fatto giurare ai pretendenti che si sarebbero rimessi alla decisione di Elena e che, se qualcuno avesse un giorno arrecato ingiuria a suo marito, avrebbero riunito le loro forze contro di lui. Elena aveva scelto come sposo Menelao, figlio di Atreo e fratello minore di Agamennone. Quando Paride, accecato dalla passione e dall’imprudenza, rapisce la bella Elena e la porta a Troia, Menelao invoca perciò il patto a suo tempo stretto tra i pretendenti, organizzando con l’aiuto di Agamennone una spedizione per riprendersela: è scoppiata la guerra di Troia.

La città di Troia come doveva apparire alla metà del II mill. a.C. Sullo sfondo, le isole di Imbro e Samotracia, sulla sinistra la foce dello Scamandro. 92 a r c h e o


Nella pagina accanto, in alto: anfora attica a figure nere del Gruppo di Leagros, con il trascinamento del corpo di Ettore. 510 a.C. Boston, Museum of Fine Arts. Qui sotto: disegno ricostruttivo di un tratto delle mura di Troia VI all’altezza della Porta Sud della città bassa.

fonte a testimoniarlo: Pausania, il quale, nel II secolo d.C., scriveva d’aver visto il tesoro di Atreo e dei suoi discendenti nella città bassa e altri tesori fuori le mura, dove, secondo Schliemann, erano sepolti Clitemnestra ed Egisto, perché indegni d’avere sepoltura entro la cinta muraria. Appena scoperto il Tesoro di Priamo, l’anno successivo Schliemann è già a Micene, a cercare nuove conferme al racconto omerico. Le sue ricerche, anche in questo caso, non partono dal nulla: già dal 1840, per conto della Società Archeologica di Atene, la piú antica e prestigiosa istituzione archeologica greca, l’archeologo Kyriakos Pittàkis aveva scavato a Micene per liberare dalla terra che parzialmente li copriva l’esterno della tomba di Atreo, alcune strutture nei pressi della tomba di Clitemnestra e, soprattutto, l’imponente

Porta dei Leoni, riportandoli alla luce. Questi monumenti, dunque, benché nessuno ne comprenda ancora la reale importanza, sono già noti e visibili quando Schliemann arriva per la prima volta a Micene.

«SCAVI CLANDESTINI» Davanti alla Porta dei Leoni, memore delle parole di Omero che definisce «ricca d’ oro» la città di Agamennone, il re a cui era affidato il comando della spedizione greca contro Troia, Schliemann si convince che lí dietro si celano certamente una città e tesori di importanza pari a quelli che ha trovato a Troia. È proprio tale pensiero a indurlo a lanciarsi in questa nuova impresa: iniziare a scavare per trovare la città di Agamennone e le tombe degli eroi achei. Racconta uno dei maggiori studiosi al mondo della figura di Schliemann, l’archeologo greco Georghios Korres: «Nel 1874, senza curarsi di attendere l’autorizzazione dal neonato Stato ellenico iniziò le prime ricerche: si trattava di veri e propri “scavi clandestini”. Solo dopo due anni, infatti, superate le resistenze delle autorità, poté iniziare scavi regolari. Ufficialmente la direzione degli scavi fu però affidata alla Società Archeologica di Atene, che impose a Schliemann la presenza dell’archeologo greco Panaghiòtis Stamatàkis». A quest’ultimo spetta il compito di tenere sotto stretto controllo l’operato del collega tedesco, cosí da evitare il ripetersi di quanto era accaduto a Troia, da dove, eludendo il controllo dei Turchi, Schliemann aveva trafugato il tesoro di Priamo.

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«Con estrema gioia annuncio a Vostra Maestà che ho trovato le tombe che la tradizione ripresa da Pausania indica come le sepolture di Agamennone, di Cassandra, di Eurimedonte e dei loro compagni, tutti uccisi durante il pasto offerto da Clitemnestra e dal suo amante Egisto. Erano circondate da un doppio cerchio parallelo di lastre che può solo essere stato eretto in onore dei suddetti personaggi. Nelle tombe ho trovato tesori immensi, fatti di oggetti arcaici di oro puro. Questi tesori bastano da soli a riempire un grande museo, che sarà il piú bello del mondo e che, nei secoli a venire, attirerà in Grecia migliaia di stranieri da ogni parte del mondo. Poiché lavoro per puro amore della scienza, non ho naturalmente alcuna pretesa riguardo a questi tesori che do con vivo entusiasmo alla Grecia.Voglia Iddio che diventino la pietra angolare di una immensa ricchezza nazionale». Nel 1876, con questo telegramma, Heinrich Schliemann annuncia emozionato al re di Grecia, Giorgio I, la scoperta delle tombe reali di Micene, colme di tesori tali da giustificare le parole di Omero, che aveva definito «ricca d’oro» la città di Agamennone. Nonostante studi successivi abbiano accertato una datazione piú antica di queste tombe, ciò non sminuisce la portata della scoperta di Schliemann, che, per la prima volta, tramite un riscontro archeologico, riportava indietro al II millennio a.C. le origini della civiltà greca, dando sostanza concreta a nomi di città e di popoli che fino a quel momento potevano essere considerati frutto della fantasia di Omero. Come osserva l’archeologo Massimo Cultraro: «Poche civiltà del Mediterraneo antico possono vantare una data di battesimo che segna l’ingresso ufficiale nel mondo scientifico e l’avvio delle prime ricerche sistematiche: nel caso del mondo miceneo è l’agosto del 1876, quando Heinrich Schliemann, sulla scorta dei poemi omerici e della descrizione del periegeta Pausania, riconosceva, nelle imponenti rovine che emergevano su un colle ai margini della pianura di Argo, il 94 a r c h e o

Ornamento in oro in forma di elemento floreale, da una delle tombe reali del Circolo A di Micene. XVI sec. a.C. Atene, Museo Archeologico Nazionale. Nella pagina accanto: la ricostruzione del grande rilievo con i leoni che dà nome alla famosa porta di Micene realizzata per la mostra in corso a Berlino, messa a confronto con una foto d’epoca del monumento.

sito di Micene, capitale del regno di Agamennone». L’incontenibile Schliemann, mai appagato dalle proprie scoperte, ora che ha dimostrato che quell’antichissima civiltà greca cantata da Omero non è invenzione letteraria, ma che è realmente esistita e il suolo greco ne cela i resti monumentali, non si accontenta di esplorare solo Micene: altri luoghi leggendari nominati da Omero attendono di tornare alla luce. Nel 1880 decide di mettersi sulle tracce di un altro tesoro, quello di Minyas, mitico antenato dei Mini, di cui parla Omero. Partito da Atene, affronta un avventuroso viaggio attraverso gole, paludi e passi di montagna. Arrivato a Orchomenos, in Beozia, si trova a dover fare i conti con le difficoltà del terreno, ma non si lascia scoraggiare. Arriva ad assumere oltre cento persone e porta alla luce una monumentale tomba «a tholos». Ma anche nel Peloponneso c’è da scoprire ancora un importante luogo omerico:Tirinto, su cui, oltre che su Micene, regnava Euristeo, il leggendario re, discendente di Perseo e di Zeus, che, istigato da Era, aveva imposto a Eracle le dodici fatiche. Dopo alcuni sondaggi nel 1876, nel 1884 inizia a scavare, riportando alla luce un palazzo miceneo. Tra le strutture piú imponenti e sorprendenti che emergeranno dagli scavi di Tirinto ci sono le mura, che qui formano anche gallerie fortificate che, come osserverà l’archeologo greco George Mylonas «ricordano gli interni piú elaborati dei castelli medievali».

CRETA, LA SCOPERTA MANCATA Dopo aver portato alla luce Troia, Micene e Tirinto, Schliemann si mette sulle tracce di un altro sito da strappare alle nebbie del mito e portare nella storia. Il mito è quello di Minosse, del labirinto, del Minotauro, di Teseo e del filo di Arianna. Possibile che sia tutto inventato? Accompagnato dal suo inseparabile collaboratore Wilhelm Dörpfeld, approda sull’isola di Creta alla ricerca del luogo in cui, secondo il mito, sorgeva il leggendario palazzo di Minosse, con il labirinto


progettato da Dedalo per rinchiudere il feroce Minotauro. Di questa nuova avventura Schliemann stesso scrive: «Vorrei concludere l’opera della mia vita con una grande impresa: lo scavo del piú antico palazzo preistorico di Creta, quello di Minosse». Esplorando l’isola, effettivamente si imbatte in un luogo che sembra promettente: dal terreno spuntano resti di costruzioni simili a quelle di Tirinto. Dev’essere il punto giusto. Schliemann ne è convinto, tanto da intavolare le trattative per acquistare i terreni e iniziare gli scavi. Il proprietario gli chiede una somma esorbitante, ma non ha certamente di fronte uno sprovveduto. La trattativa, lunga ed estenuante, approda finalmente a un accordo. Prima di firmare il contratto, Schliemann vuole fare un ultimo sopralluogo. Arrivato sul posto, si accorge che, nel frattempo, il venditore ha spostato i confini del terreno.Tra i due scoppia una lite furibonda e la compravendita del terreno va in fumo. Ed è cosí che solo a r c h e o 95


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UN MACABRO BANCHETTO Secondo il mito, uno dei primi re della Grecia meridionale fu Pelope, da cui fu dato a questa terra il nome di Peloponneso. Egli ebbe due figli, il primogenito, Atreo, e Tieste. Atreo divenne re di Micene, ma Tieste, geloso, ne sedusse la moglie per vendetta e capeggiò una ribellione contro Atreo. Il re soffocò la rivolta, uccise la moglie e mandò in esilio Tieste. Tempo dopo, tornò da Atreo, supplicando il perdono. Atreo ordí una vendetta atroce: finse di perdonarlo e gli offrí un banchetto. In realtà, aveva fatto uccidere, tagliare a pezzi e cucinare i figli di Tieste. Al termine della cena, quando gli rivelò cosa aveva appena mangiato, Tieste, sconvolto e inorridito, invocò dagli dèi la maledizione su Atreo e sui suoi discendenti, fuggendo con l’ultimo figlio rimastogli vivo, Egisto. Quando il re Atreo morí, il figlio maggiore, Agamennone, diventò re di Micene e il figlio minore, Menelao, sposò la bella Elena, figlia di Tindaro (in realtà di Zeus, che in forma di cigno aveva sedotto Leda), che abdicò e gli cedé il trono di Sparta. Agamennone, re bellicoso e crudele, intanto sconfisse e uccise Tantalo, re di Pisa, uccidendone anche il figlioletto ancora neonato e costringendo la vedova Clitemnestra a sposarlo. Dalla loro unione nacquero un figlio, Oreste, e tre figlie,

Elettra, Crisotemi e Ifigenia. Quando Paride, figlio del re di Troia, Priamo, rapí Elena, moglie di Menelao, gli Achei si riunirono in armi, pronti a una spedizione contro Troia. Ma la flotta non riusciva a salpare a causa dell’ira di Artemide contro Agamennone, che aveva ucciso uno dei suoi cervi sacri. Quando l’indovino Calcante rivelò che la dea si sarebbe placata solo con un sacrificio umano, Agamennone non esitò a uccidere la propria stessa figlia Ifigenia. Secondo un altro racconto, all’ultimo momento Artemide, impietosita, salvò la giovane, sostituendola con una cerva. Clitemnestra, in ogni caso, covò la vendetta nel cuore per dieci anni, mentre Agamennone combatteva sotto le mura di Troia. Dieci anni dopo, terminata la guerra, il re di Micene fu ucciso da Egisto e Clitemnestra la notte stessa del suo ritorno a Micene. La vendetta dei discendenti di Tieste sui discendenti di Atreo era compiuta. I figli di Agamennone, però, Oreste ed Elettra, per vendicare il padre a loro volta uccidono i due amanti, perpetuando a loro volta la maledizione e subendo la persecuzione da parte delle Erinni, finché Oreste trova scampo ad Atene, dove è prosciolto dall’Areopago e le feroci Erinni possono finalmente tramutarsi nelle benevole Eumenidi. Un particolare della celebre Porta dei Leoni, l’ingresso monumentale alla città di Micene, circondata e difesa dalle mura ciclopiche.

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Viaggiatori dei primi del Novecento in visita a Micene, dove Heinrich Schliemann aveva condotto gli scavi che portarono alla scoperta delle tombe reali.

la sua caparbietà e il suo orgoglio da navigato uomo d’affari, certo non disponibile a lasciarsi truffare dal proprietario di un terreno, non permettono a Schliemann di annoverare anche il Palazzo di Minosse tra le sue grandi scoperte archeologiche. A portare alla luce Cnosso, scoprendo quella civiltà alla quale dal leggendario re Minosse volle dare il nome di «minoica», sarà l’archeologo inglese Artur Evans, che scriverà di Schliemann: «Per quanto vasti siano stati gli effetti politici ed economici della loro azione, né Napoleone, né Bismarck, né Guglielmo II possono pretendere, come Heinrich Schliemann, d’aver posto su nuove basi le piú belle tradizioni del genere umano. La sua profonda fede ha reso veri ed effettivi i fatti storici fondamentali della “divina Ilio”, i tesori e le tragedie del regno di Agamennone, che per molti non erano che il parto di una poetica

fantasia». E ancora: «Troia fu la vera precorritrice di Bisanzio e Costantinopoli. Anche soltanto da questo punto di vista, la scoperta graduale della sua prima esistenza fu un importantissimo contributo alla storia delle origini della civiltà europea».

L’ULTIMO VIAGGIO Heinrich Schliemann è afflitto sin da ragazzo da problemi di salute, che una vita intensa e frenetica come la sua non hanno fatto che acuire. Negli ultimi anni soffre, in particolare, di problemi alle orecchie. Nel novembre del 1890 è in Germania, ad Halle, per sottoporsi a un’operazione. Ma pochi giorni dopo, ancora convalescente, è di nuovo in viaggio, senza dare tempo al suo corpo di rimettersi. Da Halle va a Lipsia, Berlino, Parigi e infine in treno arriva a Napoli, dove, come scrive a sua moglie, vuole fermarsi un paio di giorni a r c h e o 97


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e poi imbarcarsi per raggiungere la famiglia ad Atene. Alloggia presso uno degli alberghi piú lussuosi e in voga della città durante la belle époque, il Grand Hotel, fondato nel 1880 dall’albergatore svizzero Alfred Hauser, situato sul lungomare della città, all’incrocio tra via Caracciolo e piazza della Repubblica (vedi foto a p. 102). Sarà danneggiato dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e, nel dopoguerra, abbattuto e sostituito da un edificio moderno per ospitare il Consolato Americano, che tuttora vi sorge. In quei giorni il dolore all’orecchio si riacutizza, tanto da costringere Heinrich Schliemann a rinviare la partenza per Atene. Le precarie condizioni di salute, tuttavia, non lo trattengono certo dal visitare per l’ennesima volta gli scavi di Pompei, che suscitano in lui sempre un vivo interesse. Il giorno di Natale del 1890 a Napoli, in piazza Carità (oggi piazza Salvo d’Acquisto) viene colto da un collasso. Attorno a lui una piccola folla si ferma a soccorrerlo. Non riesce a parlare, non ha con sé soldi, né documenti. Viene portato all’ospedale, dove non lo ricoverano. Nelle sue tasche qualcuno trova il recapito di un medico che lo ha da poco visitato, il quale, chiamato e giunto sul posto, riconosce Schliemann e lo fa riportare in albergo. Qui lo visita e si rende conto che l’infezione all’orecchio ha ormai raggiunto il cervello. Il giorno dopo, mentre un consulto di medici discute sul da farsi, a Napoli, a due passi dal mare, Schliemann esala l’ultimo respiro. È il 26 dicembre 1890.

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Ad assistere alla scena c’è un testimone d’eccezione, lo scr ittore polacco Henryk Sienkiewicz, autore del celebre romanzo Quo vadis?, che nel 1905 riceverà il Premio Nobel per la letteratura e che la ricorda cosí: «Quella sera ero seduto nel salone dell’hotel in Piazza Umberto [oggi piazza della Repubblica], quando entrarono quattro uomini che sostenevano un corpo esanime. Il volto di questo era senza espressione, gli occhi chiusi, le mani e la testa pendevano privi di vita. Il direttore dell’albergo mi chiese se lo conoscevo. Risposi di no. È il grande Schliemann, mi spiegò. Povero grande Schliemann. Aveva scavato Troia e Micene, si era assicurato la memoria eterna e ora era morto».

UNA TOMBA DA EROE Il fido Dörpfeld, che lo ha affiancato in tanti viaggi e tante avventure, accompagna le spoglie mortali di Heinrich Schliemann nell’ultimo viaggio da Napoli ad Atene, fino alla sua residenza ateniese, l’Iliou Melathron, dove lo depongono accompagnato da un busto di Omero e con l’Iliade sul petto. Allo scopritore di Troia e Micene la Grecia riserva un funerale con tutti gli onori, a spese dello Stato, alla presenza delle massime autorità nazionali, primo tra tutti il re di Grecia, Giorgio I. Viene sepolto al Primo Cimitero di Atene, riservato alle personalità illustri, dove, terminata la costruzione, due anni dopo, riposerà nella tomba che egli stesso in vita ha com-

Kantharos (coppa a due manici) in oro (a sinistra) e brocca in ceramica dipinta, dalle tombe reali del Circolo A di Micene. XVI sec. a.C. Atene, Museo Archeologico Nazionale.


Veduta aerea del Circolo funerario A (sulla destra), compreso all’interno delle mura della cittadella di Micene. A poca distanza dalla necropoli reale, si riconosce la Porta dei Leoni, ingresso alla città alta, che si apre tra due poderosi muri.

LA CULLA DELLA CIVILTÀ DEGLI ACHEI Occupato sin dal Neolitico, il sito di Micene acquista progressivamente importanza nell’età del Bronzo, raggiungendo il suo massimo splendore in età micenea, dal 1650 al 1200 a.C. circa. La cittadella è situata in cima a una collina e protetta da imponenti mura poligonali, soprannominate «mura ciclopiche». Vi si accede attraverso una grande porta, detta «Porta dei Leoni» dalla raffigurazione che la sormonta, con due felini

scolpiti. Il palazzo del re, che in epoca micenea è chiamato wanax, sorge sulla sommità della collina o acropoli. Due circoli funerari sono situati uno all’interno e l’altro all’esterno delle mura, dove ci sono anche imponenti tombe del tipo «a tholos». Dalla città di Micene la civiltà greca dell’Età del Bronzo è stata chiamata dagli studiosi «micenea», essa corrisponde alla civiltà degli Achei ricordati nei poemi omerici.

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con fatica per i mortali». L’iscrizione è scritta in versi, in greco antico, cosí da celebrare al tempo stesso Schliemann e la sua passione per la poesia di Omero. Davanti al mausoleo un busto dell’archeologo volge fiero lo sguardo verso l’Acropoli (vedi foto a p. 106).

missionato al suo architetto di fiducia, Ernest Ziller, un vero e proprio mausoleo in stile neoclassico, ispirato al Tempietto di Atena Nike e dedicato «all’eroe Schliemann» come riporta un’iscrizione. È decorato da un fregio che raffigura scene dell’Iliade e dell’Odissea, insieme alle sue grandi scoperte archeologiche: Troia, Micene, Tirinto e Orcomenos. All’ingresso un’altra iscrizione recita: «Custodisco Heinrich Schliemann, di cui grande è la gloria. Bisogna che tu imiti lui, che tante cose ha compiuto

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UN GIALLO INTERNAZIONALE Mezzo secolo dopo la morte di Schliemann, infuria la seconda guerra mondiale. Dopo i primi anni, in cui la Germania nazista estende inarrestabile il proprio dominio sull’Europa e sul Mediterraneo, le sorti del conflitto si capovolgono. Sul fronte occidentale gli Alleati, sbarcati in Sicilia e in Normandia, conquistano rapidamente terreno. Altrettanto fanno le truppe sovietiche sul fronte orientale. I nemici del Terzo Reich avanzano ormai incontenibilmente verso Berlino. Per la Germania nazista la fine è vicina. Il 30 aprile 1945 Adolf Hitler, ormai accerchiato, si suicida nel suo bunker insieme alla compagna Eva Braun. Pochi giorni dopo, l’8 maggio, arriva la resa tedesca. La Germania è stabilmente presidiata dai vincitori.

In alto: pittura murale con una figura femminile, dalla «stanza dell’affresco» nell’area di culto di Micene. XIII sec. a.C. Nauplia, Museo Archeologico. In basso: replica della maschera funeraria in oro, dalla tomba V del Circolo A di Micene. Berlino, Humboldt Universität. Tradizionalmente attribuita ad Agamennone, il mitico re di Micene che guidò gli Achei contro Troia, l’originale della maschera si data al XVI sec. a.C.: è quindi di almeno tre secoli piú antica della guerra e non può essere appartenuta al leggendario sovrano.


Comincia la conta delle vittime e dei danni provocati dalla guerra, anche quelli al patrimonio culturale. Le truppe anglo-americane e sovietiche iniziano a cercare i tesori depredati dai nazisti in giro per l’Europa, tra cui decine di migliaia di opere d’arte sottratte agli Ebrei e ai territori occupati. Negli ultimi convulsi momenti della guerra, molte di esse sono anche finite nelle mani dei gerarchi nazisti, che se ne sono appropriati per trarne un personale profitto economico. Tra le sparizioni piú misteriose ed eclatanti vi è quella del Tesoro di Priamo dai Musei di Berlino. All’indomani della guerra non ve n’è piú notizia. I Tedeschi lo credono distrutto nei martellanti bombardamenti subiti dalla città, i Sovietici affermano di non saperne nulla.

L’INTUIZIONE VINCENTE Tanti, negli anni e decenni successivi, cercano di fare luce sulla vicenda. Tra loro vi è il giornalista napoletano Luigi Necco. Mosso da un brillante intuito e da una straordinaria passione per l’archeologia, riesce a scovare una serie di indizi in Germania, Europa orientale e Unione Sovietica. Da scaltro intervistatore qual è, sfruttando la sua conoscenza del russo, riesce a strappare qualche informazione ad alcuni testimoni, tra cui Saveli Yamshikov, capo della commissione per il recupero delle opere d’arte russe trafugate durante l’invasione tedesca, e Irina Antonova, custode del tesoro, infrangendo l’assoluto silenzio imposto fino a quel momento dai servizi segreti sovietici e rivelando al mondo la verità: da quasi mezzo secolo il tesoro di Priamo è nelle mani dei Sovietici, che lo tengono nascosto nei depositi del Museo Pushkin. Di lí a poco arriva la conferma ufficiale delle autorità sovietiche e nel 1993 il tesoro viene finalmente di nuovo esposto al pubblico. La Germania tenta di ottenerne invano la restiCorazza bronzea a lamelle, con elmo di forma conica guarnito da zanne di cinghiale, dalla necropoli di Dendra, situata una decina di km a sud di Micene. XV sec. a.C. Nauplia, Museo Archeologico. Si tratta di un raro esempio di armatura micenea, che mostra sorprendenti affinità con le descrizioni delle armi degli Achei fatte da Omero, che pure non poteva avere visto oggetti cosí antichi. a r c h e o 101


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tuzione: le autorità sovietiche dichiarano di trattenerlo a titolo di parziale risarcimento per i danni di guerra provocati dai nazisti alle loro città. Cosí, come ricorderà lo stesso Necco: «Schliemann, che era morto a Napoli, veniva ripagato da un napoletano, che aveva ritrovato il suo tesoro a Mosca» (vedi anche «Archeo» n. 137, luglio 1996). Cosí come quella di Troia, anche la scoperta di Micene è legata alla grande personalità di Heinrich Schliemann. E a lui spetta, effettivamente, l’indiscusso merito di avere svelato al mondo una civiltà scomparsa da millenni, il cui ricordo si perdeva nelle leggende delle origini greche e nei racconti omerici.Tuttavia Schliemann, in realtà, non è stato né il primo, come abbiamo visto, né l’ultimo archeologo a scavare a Micene. Dopo aver riportato alla luce parte del palazzo reale, la tomba «a tholos» di

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Clitemnestra e cinque tombe a fossa nel cosiddetto «Circolo A», Schliemann lascia Micene, convinto di aver scoperto tutte le tombe reali. Si sbaglia: di lí a poco, infatti, l’archeologo greco Panaghiotis Stamatakis, che sino a quel momento lo ha affiancato e che ora continua in prima persona gli scavi, scopre una sesta tomba all’interno del «Circolo A» e tracce della piú antica fase abitativa di Micene. Nei decenni successivi il testimone viene raccolto da un altro grande archeologo greco, Chrístos Tsoúntas, il quale, nell’arco di dodici anni, dal 1886 al 1898, porta alla luce anche altre otto tombe «a tholos» e diversi ambienti dentro e fuori il palazzo, per poi dedicarsi per un altro decennio al restauro e al consolidamento di tutte le strutture. Una delle sue scoperte piú importanti è la cisterna sotterranea del palazzo. Dal 1920 iniziano,

A sinistra: lo scrittore polacco Henryk Sienkiewicz (1846-1916), autore del romanzo Quo vadis? (1896), che assistette alla morte di Schliemann. In basso: il Grand Hotel di Napoli (oggi non piú esistente), nel quale Heinrich Schliemann finí i suoi giorni, il 26 dicembre 1890.


I resti del teatro di Orchomenos, in Beozia (Grecia centrale).

infine, le missioni della Scuola Archeologica Britannica, guidate prima da Alan John Bayard Wace e successivamente da William Taylour. Piú tardi si aggiungono gli archeologi greci della Società Archeologica di Atene, guidati prima da Georghios E. Mylonas e poi da Spyridon Iakovidis. Se il merito della scoperta di Micene, dunque, va principalmente a Schliemann, la sua conoscenza sempre piú approfondita si deve agli scavi e alle ricerche che continuarono dopo di lui e che proseguono ancor oggi, a opera della Società Archeologica di Atene, della Scuola Archeologica Britannica e della Soprintendenza Archeologica dell’Argolide.

I CONTINUATORI DELL’IMPRESA A raccogliere, invece, la pesante eredità di Schliemann a Troia sarà negli anni successivi Wilhelm Dörpfeld, dando un contributo fondamentale alla classificazione e datazione degli strati, seguito poi nel secolo successivo prima dall’archeologo americano Carl Blegen

e, in tempi piú recenti, dall’archeologo tedesco Manfred Korfmann (vedi «Archeo» n. 398 aprile 2018; anche on line su issuu.com). Wilhelm Dörpfeld continuò gli scavi di Schliemann anche a Tirinto. Tanto a Troia quanto a Micene, gli scavi, le ricerche e gli studi che si sono succeduti nel corso degli ultimi centocinquanta anni, grazie ad approcci e strumenti sempre piú raffinati, hanno portato ad approfondire e ampliare continuamente la nostra conoscenza di questi due straordinari siti archeologici e delle civiltà egee dell’età del Bronzo. Gli scavi di Schliemann, inoltre, diedero impulso in generale alla riscoperta archeologica di un mondo di cui fino a quel momento si conoscevano solo le tracce lasciate nel mito e nella letteratura. L’elenco degli archeologi che nei secoli e decenni successivi si sono dedicati a esplorare il mondo delle civiltà egee è lungo e prestigioso. Tra loro Arthur Evans, il quale, proprio sulla scia di quanto intuito da Schliemann, portò alla luce a Cre-

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L’OMAGGIO DI BERLINO ALLO SCOPRITORE DI TROIA

I

Musei di Stato di Berlino celebrano il bicentenario della nascita dello scopritore di Troia con la mostra «I mondi di Schliemann: la sua vita, le sue scoperte, la sua eredità». Per la prima volta il progetto espositivo non è incentrato

solo sulle scoperte, ma anche sulla vita e sulla personalità del grande archeologo tedesco, che con le sue avventurose imprese e i suoi avvincenti scritti autobiografici, spesso conditi da dettagli romanzeschi, contribuí ad

Qui sotto: l’ingresso della mostra «I mondi di Schliemann». In basso: vasellame ceramico di produzione micenea di varia foggia e tipologia. 1700-1100 a.C. Berlino, Staatliche Museen. Nella pagina accanto: ancora un particolare dell’allestimento della mostra.

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alimentare il mito attorno alla propria figura. La prima parte della mostra, alla James-Simon-Galerie, è dedicata al percorso della sua vita dall’infanzia, quando già sognava di scoprire un giorno la città di Troia, fino alla svolta segnata dall’inizio degli scavi. Attraverso ricostruzioni e oggetti d’uso quotidiano, si ripercorrono gli anni della giovinezza e quelli della maturità, con le fondamentali tappe di Amsterdam e San Pietroburgo, nonché i successivi viaggi in giro per il mondo. Nella seconda parte, al Neues Museum, si raccontano le straordinarie scoperte di Schliemann, con molti reperti inediti provenienti dai fondi della Collezione Troia e gli ori di Micene, che costituiscono il clou della mostra. I visitatori sono infine accompagnati negli ambienti della sua raffinata dimora ateniese, l’Iliou Melathron, ricostruiti anche grazie ai mobili originali. Attarverso le installazioni multimediali, l’attrice Katharina Thalbach fa rivivere Schliemann attraverso filmati che raccontano momenti particolari della sua vita. Aperta fino al 6 novembre, la mostra è curata da Marion Bertram, Bernhard Heeb, Susanne Kuprella, Sebastian Olschok, Benjamin Wehry e Anton Gass sotto la direzione di Matthias Wemhoff, Direttore del Museo di Preistoria e Protostoria di Berlino. Oltre che dai numerosi prestiti e contributi museali da tutta la Germania, la mostra è stata resa possibile grazie al sostegno e alla collaborazione del Ministero della Cultura e dello Sport della Repubblica Ellenica, del Museo Archeologico Nazionale di Atene, della Galleria Municipale d’Arte di Larissa - Museo G.I. Katsigras, e della Scuola Americana di Studi Classici di Atene, che conserva la vasta eredità scritta di Schliemann.


DOVE E QUANDO «I mondi di Schliemann: la sua vita, le sue scoperte, la sua eredità» Berlino, Staatliche Museen, James-Simon-Galerie e Neues Museum fino al 6 novembre Orario ma-do, 10,00-18,00 Info www.smb.museum

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ta il palazzo di Cnosso. Ma innumerevoli e delle piú varie nazionalità, anche italiane, sono le missioni archeologiche che, dall’Ottocento a oggi, hanno portato e continuano a portare alla luce testimonianze di civiltà che, senza Schliemann, forse non avremmo nemmeno creduto essere realmente esistite. Scrive di lui l’archeologo italiano Doro Levi, che fu per quasi trent’anni Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene: «Malgrado le imperizie dei suoi primi scavi e l’ingenuità e l’infatuazione dei suoi libri, al suo profetico entusiasmo la scienza archeologica deve indubbiamente la scoperta di un mondo prima insospettato, e l’avviamento verso nuove mete e nuovi indirizzi».

UN’ICONA DISCUSSA La controversa personalità di Heinrich Schliemann ha suscitato e continua a suscitare ancora oggi giudizi contrastanti. Per tutta la vita è stato aspramente osteggiato da gran

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parte del mondo accademico a lui contemporaneo, tanto da contestarne le scoperte finché ha potuto, persino di fronte all’evidenza. Fin dalla scoperta di Troia ha dovuto portarsi dietro la cattiva fama di ladro e di falsario, che ancor oggi offusca il giudizio di molti. Le autorità ottomane, infatti, lo accusavano di essersi indebitamente appropriato di una parte dei tesori scoperti negli scavi e di averne fatti creare lui stesso altri, falsi. Delle due accuse, quella di essersi appropriato di parte degli oggetti scoperti a Troia era veritiera, come abbiamo raccontato. La seconda, invece, era certamente infondata, probabilmente nata dal tentativo di screditarlo agli occhi dell’opinione pubblica, sempre piú entusiasta delle sue scoperte, da parte sia delle autorità ottomane, sia di alcuni esponenti del mondo accademico, riluttanti allora come oggi a riconoscere a un archeologo autodidatta e con un passato da mercante, il merito di scoperte tanto importanti.

La tomba di Heinrich Schliemann nel Primo Cimitero di Atene.


Eppure, periodicamente, c’è chi prova a insinuare, con argomenti risibili, che alcuni reperti da lui scoperti a Micene sono falsi. Sembrano ignorare che, per decisione del governo, a soprintendere costantemente sul suo operato è la Società Archeologica di Atene, la piú antica e prestigiosa istituzione archeologica ellenica, che gli ha affiancato l’archeologo greco Panaghiòtis Stamatàkis, il quale osserva ed elenca meticolosamente tutto ciò che torna alla luce dagli scavi, come egli stesso riferisce: «Dopo aver trascorso tutto il giorno, fino alle nove di sera, sugli scavi, Schliemann e io ci ritiriamo fino alle due di notte a elencare gli oggetti trovati».

FRA AMMIRATORI E DETRATTORI Heinrich Schliemann, in definitiva, è stato variamente giudicato nei decenni e secoli successivi, che spesso hanno visto e vedono ancor oggi ammiratori e detrattori schierarsi su posizioni rigide e preconcette. Che abbia commesso irregolarità, come iniziare a scavare senza attendere le autorizzazioni o trafugare reperti, ed errori, come scavi talvolta frettolosi che hanno impedito un’adeguata comprensione della stratigrafia, è vero. Tuttavia, è sbagliato giudicarlo senza contestualizzare e storicizzare il suo operato. Siamo in un’epoca in cui l’archeologia su campo è una disciplina giovanissima, con metodi e procedure di scavo non ancora scientificamente codificati: una situazione in cui finanche il mondo accademico appare spesso impreparato. Eppure, benché abbia prodotto una mole impressionante di ricerche e pubblicazioni, corredate da disegni, stratigrafie e persino fotografie, cosa pionieristica per l’epoca, Schliemann non è passato alla storia come un grande studioso, ma come un cacciatore di tesori dalla vita avventurosa, quasi una sorta di Indiana Jones ante litteram. Del resto è stato lui stesso, in fondo, ad alimentare questa immagine di sé, attraverso scritti autobiografici che raccontano viaggi e scoperte archeologiche in modo romanzato. Dietro questa facciata volutamente romantica, c’è però anche un precursore dell’archeologia scientifica. Lui, una personalità sui generis, estranea al mondo accademico dell’epoca e non di rado in contrasto con esso, eppure dotato di una cultura vasta e interdisciplinare, è tra i primi a rendersi conto che l’archeologia che sta nascendo richiede un approccio scientifico.

Come ricorda uno dei maggiori studiosi del mondo egeo, Louis Godart, «Schliemann ha capito che scoprire tesori è importante, ma che la disciplina archeologica richiede ben altro: bisogna poter disporre di piante precise e aggiornate che consentano di collocare al loro punto effettivo di ritrovamento gli oggetti rinvenuti, di ripercorrere le tappe delle scoperte, di interpretare i resti recuperati. Bisogna quindi poter contare sulla presenza di architetti e disegnatori competenti». Ecco perché vuole avere al suo fianco proprio un archeologo, disegnatore e architetto estremamente capace come Wilhelm Dörpfeld, che lo affiancherà per anni, contribuendo alla pionieristica costruzione di un’archeologia scientifica. Grazie alle sue scoperte, il mondo degli eroi cantato nei poemi omerici e nella tragedia greca usciva dal mito ed entrava nella storia. E qualunque sia il giudizio critico che ognuno di noi voglia farsi su Heinrich Schliemann, è incontestabile che, per quanto qualcuno possa essere ancor oggi riluttante ad attribuirgli questo ruolo, egli è uno dei grandi pionieri dell’archeologia: portando alla luce città come Troia, Micene, Tirinto e Orchomenos, ha riportato indietro di almeno sette secoli le origini della civiltà greca, regalandoci un nuovo, fino ai suoi tempi ignoto, capitolo della storia umana. Come sottolinea l’archeologo Massimo Cultraro: «Schliemann continua a suscitare simpatia e ammirazione e, nonostante le zone grigie del suo operato e della poliedrica personalità, lo scopritore di Troia è destinato a restare l’icona piú solenne di un’archeologia che travalica i tempi della storia, un percorso di ricerca del Passato fatto di duro lavoro e sogno». DA LEGGERE Heinrich Schliemann, La scoperta di Troia, Einaudi, Torino 1962 Louis Godart, L’invenzione della scrittura. Dal Nilo alla Grecia, Einaudi, Torino 1992 Massimo Cultraro, I Micenei, Carocci editore, Roma 2006 Emil Ludwig, Schliemann. Storia di un cercatore d’oro, Castelvecchi, Roma 2019 Umberto Pappalardo, Sybille Galka, Amedeo Maiuri, Carlo Knight, Lucia Borrelli, Massimo Cultraro, Heinrich Schliemann a Napoli, Francesco D’Amato editore, Salerno 2021 a r c h e o 107


L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Francesca Ceci

UNA TRIADE SENZA TEMPO L’IMMAGINE DELLA LUPA CHE ALLATTA I GEMELLI HA CONOSCIUTO UNA FORTUNA STRAORDINARIA. GRAZIE A REPLICHE E VARIAZIONI SUL TEMA SUCCEDUTESI DALL’ANTICHITÀ AI GIORNI NOSTRI

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ell’ambito di un progetto di studio che intende riconsiderare le iconografie monetali incentrate sulla lupa di Roma in età antica e moderna, è interessante concentrare l’attenzione su alcune raffigurazioni prodotte nel corso del XVI secolo e dedicate a questo gruppo umanoanimale, da sempre simbolo dell’Urbe. Si tratta delle creazioni del medaglista padovano Giovanni da Cavino (15001570), già piú volte ricordato in queste pagine (vedi «Archeo» nn. 445, 447 e 448, marzo, maggio e giugno 2022; anche on line su issuu.com), il quale realizzò pezzi alla romana o all’antica, consistenti in medaglie dedicate a personaggi a lui contemporanei, in una ricca ed eccezionale serie di sesterzi perfettamente corrispondenti a quelli romani, ma anche con varianti, piú o meno fedeli agli originali, e, ancora, di altri esemplari realizzati sempre su modello classico, ma con tipi di sua invenzione. Tralasciando la discussione sui cosiddetti Padovanini e la loro natura, nati come ammirata imitazione dell’antico e poi divenuti anche

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perfetti falsi destinati al mercato del collezionismo, qui presentiamo gli esemplari al cui rovescio domina la lupa con i gemelli.

L’ETERNA PROGENIE Intorno al 1547-50, Giovanni da Cavino crea una medaglia in bronzo per il nobile veneziano Francesco Querini, con al dritto il suo busto raffigurato alla romana e, al rovescio, la lupa che allatta Romolo e Remo, prendendo come modello lo schema iconografico dei didrammi romano-campani del III secolo a.C. Mentre in questi ultimi la legenda che compare in esergo è ROMANO, l’esemplare realizzato dall’incisore padovano riporta PERPETVA SOBOLES, ovvero «eterna progenie», motto che doveva celebrare la discendenza dei Querini veneti dalla gens romana dei Sulpici, un ramo della quale aveva come cognome Quirino. Giovanni aveva usato questo rovescio già nella sua celebre serie dei Dodici Cesari, realizzata tra il 1525 e il 1535, ispirata all’opera di Svetonio e nata dalla collaborazione e amicizia con il dotto antiquario e umanista


Alessandro da Bassiano, autore dell’Interpretatio historiarum ac signorum in numismatibus excussarum excussorumne duodecim primorum Caesarum. Tra le medaglie di invenzione, anzi si potrebbe dire di giustapposizione dell’antico con il moderno, ve ne sono due che ripropongono il rovescio poi dedicato a Francesco Querini con la stessa legenda, mentre al dritto sono raffigurati Augusto e Antonino Pio.

AVG PIVS PP TR P XVI e, al rovescio, sempre la lupa con gemelli dei didrammi romanocampani e la legenda PERPETVA SOBOLES.

DENTRO UNA GROTTA

MONETE IBRIDE L’esemplare augusteo riporta al dritto il profilo di Augusto laureato con legenda DIVVS AVGUSTVS PATER, ripreso da una serie bronzea emessa da Tiberio (14-37 d.C.), figlio di Livia asceso al soglio imperiale, per celebrare il padre adottivo divinizzato. Tiberio innalzò un tempio al divo Augusto nel Foro Romano, nel quale venne poi collocata anche la statua di Livia. Negli originali tiberiani Augusto porta per lo piú la corona radiata, attributo del dio Sole e simbolo dell’essere divenuto un dio post mortem (come accadrà a tutti i membri della famiglia imperiale qualora non incappati nella damnatio memoriae), mentre da Cavino preferí conferire all’imperatore, modestamente, la corona d’alloro, presente ma piú rara sugli originali tiberiani. La seconda medaglia imperiale «di invenzione» è dedicata al dritto ad Antonino Pio (138-161 d.C.), raffigurato con corazza e corona d’alloro e leggenda ANTONINVS

In alto: medaglia realizzata dall’incisore padovano Giovanni da Cavino, con Antonino Pio e la lupa di Roma. XVI sec. Basilea, Historisches Museum Basel. Nella pagina accanto: un’altra medaglia di Giovanni da Cavino, con Augusto e la lupa. XVI sec. Basilea, Historisches Museum Basel.

Se nella monetazione augustea e tiberiana la lupa con i gemelli non compaiono mai nelle emissioni dell’epoca, in quella di Antonino Pio l’immagine iconica di Roma ricorre nelle monete, spesso racchiusa entro una grotta stilizzata in forma di un evocativo semicerchio, e si data, di regola, tra il 140 e il 144 d.C., nel corso del terzo consolato imperiale. La datazione iscritta sulla medaglia moderna con Antonino Pio è invece quella che parte dal 10 dicembre 152 d.C., quando l’imperatore assunse per la sedicesima volta la potestà tribunizia [ANTONINVS AVG(ustus) PIVS P(ater) P(atriae)TR(ibunicia) P(otestate) XVI]. Concludendo, nella creazione di queste medaglie ispirate ai sesterzi imperiali, Giovanni da Cavino creò pezzi ibridi usando l’iconografia monetale piú antica della lupa con i gemelli, riferendola dapprima a due imperatori romani e poi a un nobiluomo veneto del suo tempo, corredando il tutto con una leggenda di invenzione ma decisamente beneagurante, a sigillare l’eternità dell’immagine della lupa romana.

PER SAPERNE DI PIÚ Michael Matzke (a cura di), All’antica. Die Paduaner und die Faszination der Antike, Historisches Museum Basel, 2018

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I LIBRI DI ARCHEO

DALL’ITALIA Martina Piperno

L’ANTICHITÀ «CRUDELE» Etruschi e Italici nella letteratura italiana del Novecento Carocci editore, Roma, 164 pp. 19,00 euro ISBN 9788843098859 www.carocci.it

In un memorabile saggio di Massimo Pallottino (1909-1996), pubblicato nel 1957 con il titolo Scienza e poesia alla scoperta degli Etruria (Quaderni dell’Associazione

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Culturale Italiana, 24) poi riproposto come prefazione alla traduzione italiana di Etruscan Places di D.H. Lawrence (Paesi etruschi, Nuova Immagine Editrice, Siena, prima edizione 1985), il padre della moderna etruscologia aveva riconosciuto dignità assoluta a un fenomeno che, «per quella certa rigorosa e quasi puritana intransigenza che caratterizza i giovani studiosi», in passato lo aveva infastidito. Il grande studioso si riferiva a quello che egli stesso chiama il

«problema etrusco»: ovvero quell’aspetto della storia antica caratterizzato da «perplessità cosí strane, polemiche tanto furiose tra i dotti e reazioni cosí varie, sconcertanti, straordinarie nel mondo della cultura moderna» che è la storia degli Etruschi. Oltre che al mondo degli studiosi, Pallottino fa riferimento al grande pubblico (due anni prima aveva curato la «Mostra dell’Arte e della Civiltà Etrusca» tenutasi a Palazzo Reale di Milano nella primavera del 1955), il cui attaccamento agli aspetti misteriosi della civiltà etrusca, alla sua componente «indecifrabile e incomprensibile», non veniva affatto scalfito dalle pur evidenti conquiste della ricerca scientifica. «Non credo ci sia dato mai – scrive Pallottino – in altri campi dello scibile umano, un cosí stravagante divorzio tra le conquiste della scienza e gl’irremovibili convincimenti dell’opinione pubblica». Ma come spiegare questo fenomeno? «Parlare di “ignoranza” sarebbe troppo facile» mette in guardia lo studioso. Perché mai, infatti, «proprio e soltanto a proposito degli Etruschi, si avrebbe una tradizione di ignoranza cosí profonda (...) felice di sé, refrattaria a ogni (...) magistero?». La conclusione dell’archeologo rivoluziona e formalizza una nuova visione

del problema etrusco: «La verità è un’altra (...) questo fenomeno singolare e multiforme non ha rapporti con la scienza perché risponde ad altre esigenze, (...) ha una sua verità che non è quella della scienza, ma piuttosto quella della immaginazione. C’è, infatti, una Etruria degli studiosi ed una Etruria dei letterati le cui tradizioni corrono per due vie divergenti e, in certo senso, incomunicabili: quella della ricerca obbiettiva e quella della intuizione poetica». Ci piace pensare che siano state proprio queste parole illuminanti del grande studioso ad aver ispirato il filo conduttore di L’antichità «crudele». Etruschi e Italici nella letteratura italiana del Novecento, volume apparso (troppo in sordina) nella primavera del 2020, in piena emergenza sanitaria. Argomento di queste intense e brillanti 144 pagine è, infatti, proprio «l’Etruria dei letterati» di Pallottino, limitatamente in massima parte (ma non è un limite!) ai suoi rappresentanti italiani. Il quadro che emerge dalla lettura è sorprendente, non solo per archeologi e etruscologi, ma per chiunque abbia a cuore la storia culturale (oltreché letteraria) del nostro Paese. Come recita il sottotitolo, lo sguardo dell’autrice è rivolto agli Etruschi e agli Italici, grandi antagonisti – nella


realtà storica come anche nella ricezione storicocritica – dell’antichità classica grecoromana, protagonisti di un’antichità senza tradizione scritta, un’antichità che non parla, e pertanto «piú misteriosa e crudele» (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli 1945). E, sebbene tra i popoli italici con cui Roma dovette confrontarsi per la supremazia in Italia ve ne furono altri – si pensi soltanto ai piú minacciosi, i Sanniti –, la fortuna antagonistica per eccellenza spetta agli Etruschi che, nel libro di Martina Piperno, fanno, dunque, «la parte del leone». E, come i lettori potranno verificare di persona, la pervasività di quest’ultimi è, davvero, impressionante! Gli autori esaminati dall’autrice sono numerosi, riuniti e distribuiti in quattro sezioni: nella prima è la stessa critica dantesca a doversi confrontare con la questione etrusca (quando e perché si è voluto, e chi ha voluto, che Dante fosse «etrusco»?); Alberto Savinio e il tarquiniese (e, dunque, legittimamente «etrusco») Vincenzo Cardarelli, Corrado Alvaro, Dino Garrone e Curzio Malaparte popolano la sezione intitolata agli itinerari sepolcrali etrusco-italici; nella terza sezione è il già menzionato Carlo Levi a rileggere Virgilio e Vico; la quarta sezione chiude il volume con la riscoperta

di un rapporto dalle molteplici diramazioni letterarie e esistenziali, quello del «ferrarese» Giorgio Bassani con le terre dell’Etruria. Quanto ha potuto stimolare l’immaginazione di scrittori e intellettuali l’«alterità» etrusca e quanto è, ancora oggi, viva e percepita? Quell’intrigante questione, semmai fosse stata archiviata, grazie al prezioso volume di Martina Piperno è oggi nuovamente all’ordine del giorno… Andreas M. Steiner In alto: calcografia (successivamente colorata) raffigurante una delle tombe dipinte della necropoli di Tarquinia, da un’opera per bambini di Carl Bertuch in cui il monumento viene definito come «catacomba etrusca» 1810. Berlino, Sammlung Archiv für Kunst und Geschichte. A destra: il poeta tarquiniese Vincenzo Cardarelli (1887-1959) in una foto del 1936 (è il secondo da destra). a r c h e o 111


Marco Chioffi, Giuliana Rigamonti

ANTICO REGNO. I «DECRETI REALI» I Decreti del II Pepy: Decreto 24 Copto B, Decreto 28 (Dakhla), Decreto dell’Horo Demedjibtaui (Decreto Copto R) Editrice La Mandragora, Imola, 222 pp., ill. col. e b/n 32,00 euro ISBN 978-88-7586-640-2

ANTICO REGNO. I «DECRETI REALI» II PARTE I Decreto dell’Horo Netjerybau (Copto I) Editrice La Mandragora, Imola, 302 pp., ill. col. e b/n 32,00 euro ISBN 978-88-7586-673-0 www. editricelamandragora.it

Chioffi e Rigamonti aggiungono due nuovi e importanti capitoli alla loro opera di pubblicazione sistematica delle testimonianze epigrafiche riferibili all’Antico Regno dell’Egitto. Per entrambi i volumi sono stati scelti alcuni «Decreti reali» e, seguendo una prassi ormai consolidata, di ciascun documento gli

autori riportano il testo originale e la traduzione in italiano, nella versione letteraria e in quella critica. Né mancano notizie sulle circostanze del ritrovamento dei diversi testi e il loro inquadramento storico, arricchiti da un ampio e puntuale corredo Restituzione grafica del Decreto Copto I.

iconografico. Sebbene si tratti di opere di taglio prettamente specialistico, la loro consultazione può rivelarsi interessante – oltre che per gli aspetti linguistici e lessicali – per il valore documentario insito nei vari brani. Nonostante il carattere formale e l’uso di formule canonizzate nel tempo si possono infatti ricavare notizie puntuali e preziose, per esempio, su molti aspetti dell’organizzazione amministrativa del regno, cosí come sulle complesse usanze legate alla pratica religiosa. Da segnalare, infine, che i due volumi si avvalgono di altrettante autorevoli prefazioni, firmate dagli egittologi Bernard Mathieu e Paul T. Nicholson. Stefano Mammini

DALL’ESTERO Luciano Altomare

GLI ENOTRI IN ITALIA MERIDIONALE Paesaggi e interazioni nell’area ionica tra IX e VI secolo a.C. BAR International Series 3071, BAR Publishing, Oxford, 192 pp., ill. col. e b/n 48,00 GBP ISBN 978-1-4073-5927-4 www.barpublishing.com

Volume di taglio specialistico, il lavoro di Luciano Altomare analizza la storia degli Enotri, popolo che, nel corso dell’età del Ferro, fu uno 112 a r c h e o

dei principali protagonisti dello scenario culturale dell’Italia meridionale, distinguendosi per l’elevato livello di articolazione sociale e politica. La ricerca condotta dall’autore ha avuto come filo conduttore il rapporto con il paesaggio e la mobilità delle varie comunità all’interno dell’area indagata. Dopo aver illustrato i criteri adottati nello svolgimento dell’indagine, viene presentata la rassegna dei dati acquisiti e, in particolare, dei siti individuati e censiti. Un patrimonio di informazioni che fa da presupposto alle considerazioni finali, nelle quali si succedono le ricostruzioni dei modelli di insediamento, la descrizione dei caratteri del popolamento enotrio nell’area ionica e, soprattutto, il significativo rapporto che questa gente indigena stabilí con i coloni provenienti dalla Grecia. (S. M.)



presenta

ORVIETO

LA STORIA, I MONUMENTI, L’ARTE di Giuseppe M. Della Fina Città di antica e nobile fondazione, Orvieto visse nei secoli dell’età di Mezzo una stagione di grande fioritura e questa considerazione ha ispirato la realizzazione del nuovo Dossier di «Medioevo». In realtà, la storia della «regina della rupe» è ben piú lunga e fin dall’età preromana il centro umbro ebbe un ruolo di notevole rilevanza, come conferma, del resto, la presenza, ai piedi dell’abitato, del grande santuario confederale etrusco del Fanum Voltumnae, a cui è dedicato uno dei capitoli iniziali dell’opera. A partire da quegli esordi, Giuseppe M. Della Fina, autore del Dossier, ripercorre quindi tutti i capitoli salienti di una vicenda plurisecolare, testimoniata da opere straordinarie, come il magnifico Duomo e gli altri insigni monumenti tuttora racchiusi nella cerchia delle mura cittadine. E c’è spazio anche per importanti interventi di restauro – come quello condotto sui mosaici della facciata della chiesa cattedrale – o per la scoperta di un inedito Dante Alighieri con barba e baffi. Né mancano riflessioni sulla società orvietana nel millennio medievale, di cui gli studi piú recenti hanno accertato la predisposizione all’accoglienza, in virtú della quale la città si popolò di una folta comunità di forestieri. Un ritratto, dunque, vivace ed esauriente, che, forte di un ricco corredo iconografico, vuol essere un invito alla conoscenza o alla riscoperta di una delle gemme della Penisola.

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