Archeo n. 451, Settembre 2022

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PORTO TORRES

ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

RAM FILM FESTIVAL

MUSEO DI PROCIDA

MIKA WALTARI

SPECIALE PITTORI DI POMPEI

ROMA

SPECIALE

POMPEI LA CITTÀ DEI PITTORI

L’ARCHEOLOGIA SUL GRANDE SCHERMO

LA VERA STORIA DELLA CONQUISTA D’ITALIA LETTERATURA

UN FINLANDESE SULLE TRACCE DEGLI ANTICHI

UN NUOVO MUSEO PER I MILLENNI DELL’ISOLA

PROCIDA

www.archeo.it

IN EDICOLA L’ 8 SETTEMBRE 2022

o. i t

DE LA CO LL’ NQU ITA ISTA ww LIA w. a rc he

2022

Mens. Anno XXXVIII n. 451 settembre 2022 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

ARCHEO 451 SETTEMBRE

ROVERETO

€ 6,50



EDITORIALE

UN PECCATO IMPERDONABILE Cosa ha portato il figlio di un pastore luterano, nato e cresciuto nelle fredde terre della Finlandia, a cimentarsi in una serie di romanzi (destinati al successo planetario) ambientati nell’antichità del Mediterraneo? Il «caso» di Mika Waltari, giornalista, poeta, autore di gialli e sceneggiature teatrali, scrittore raffinato e prolifico, inaugura la nuova serie curata da Giuseppe Della Fina, dedicata alla riflessione su un fenomeno rilevante, complesso e – giustamente – dibattuto: la ricezione dell’antico nella letteratura moderna e contemporanea. La scelta di iniziare con lo scrittore finlandese non è casuale: Della Fina è un etruscologo e tra le opere di maggior successo di Waltari figura Turms l’Etrusco, racconto pubblicato nel 1955 e ambientato nelle terre dell’Etruria (che Waltari visitò ripetutamente) in un preciso periodo storico, i decenni tra il VI e il V secolo a.C. E dalla rilettura che il nostro collaboratore compie dell’opera di Waltari (alle pagine 78-91) emergono elementi di giudizio rimarchevoli… Per i successivi incontri tra letteratura e antichità vale la domanda che ci siamo posti all’inizio: perché un’intellettuale poliedrica e raffinata come Marguerite Yourcenar, grande viaggiatrice e autrice di poesie, romanzi e saggi, sceglie la figura di un uomo, l’imperatore Adriano, come protagonista di un’«autobiografia» narrata in prima persona, ottenendo fama mondiale? Quale percorso ha portato un professore di letteratura della provincia americana, John E. Williams, a scegliere, come soggetto della sua ultima fatica, nientemeno che l’imperatore Augusto (dopo i successi di Butchers Crossing, racconto di frontiera ambientato nel Kansas di fine Ottocento, e Stoner, considerato tra i piú grandi romanzi americani del ventesimo secolo, con Augustus lo scrittore vincerà il National Book Award per la narrativa nel 1973)? L’elenco di romanzi ispirati alla storia antica è scandito da opere di assoluta qualità letteraria:

Giuseppe e i suoi fratelli, la tetralogia scritta da Thomas Mann nell’arco di sedici anni e ambientata nel periodo amarniano, è da molti critici considerato il capolavoro dello scrittore tedesco e premio Nobel per la letteratura dell’anno 1929… È comprensibile, d’altra parte, lo scetticismo di studiosi (storici del mondo antico, archeologi) nei confronti del proliferare di pubblicazioni dalle pretese letterarie e storiche che, molto spesso, non assolvono ai criteri minimi né delle prime, né delle seconde. Eppure – e lo dimostreremo nelle puntate prossime della nostra indagine «archeo-letteraria» – barricarsi dietro le proprie certezze scientifiche ignorando il contributo che alla conoscenza del passato può provenire dall’«intuizione poetica» (Massimo Pallottino) sarebbe un peccato davvero imperdonabile. Andreas M. Steiner


SOMMARIO EDITORIALE

Un peccato imperdonabile 3 di Andreas M. Steiner

Attualità NOTIZIARIO

6

SCAVI Una difesa dalle piene del fiume 6 di Giampiero Galasso

PASSEGGIATE NEL PArCo Le Muse dell’imperatore

RESTITUZIONI La carica dei 130 MUSEI Un indovino come guida ARCHEOFILATELIA Un matrimonio ben riuscito

INCONTRI 26

Scene da un patrimonio 56

28

di Claudia Beretta

30

di Luciano Calenda

LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

Non di sola guerra... 36 10

di Nicola Terrenato

56

di Francesca Guarneri e Armando Cristilli

MOSTRE Domiziano riabilitato ALL’OMBRA DEL VULCANO L’insula delle meraviglie

MUSEI

12

Piccola grande Procida 64

16

a cura di Alessandro Mandolesi e Alessandra Randazzo

FRONTE DEL PORTO Un culto di grande successo

di Nicola Scotto di Carlo, Federica Bertino e Monica Scotto di Covella

20

di Alessandro D’Alessio

36

64

PORTO TORRES

Impaginazione Davide Tesei Amministrazione amministrazione@timelinepublishing.it

Mens. Anno XXXVIII n. 451 settembre 2022 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

SPECIALE PITTORI DI POMPEI

Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it

MIKA WALTARI

Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it

MUSEO DI PROCIDA

Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it

Federico Curti

LA CITTÀ DEI PITTORI

ROVERETO

L’ARCHEOLOGIA SUL GRANDE SCHERMO ROMA

LA VERA STORIA DELLA CONQUISTA D’ITALIA

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In copertina particolare di un affresco dalla Villa di Fannio Sinistore a Boscoreale. I sec. a.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Presidente

SPECIALE

Comitato Scientifico Internazionale

RAM FILM FESTIVAL

Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Alessandria, 130 – 00198 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it

€ 6,50

POMPEI

ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

Anno XXXVIII, n. 451 - settembre 2022 Registrazione al tribunale di Milano n. 255 del 07.04.1990

IN EDICOLA L’ 8 SETTEMBRE 2022

2022

ww

w.a rc

o. it

ARCHEO 451 SETTEMBRE

DE LA CO LL’I NQU TA ISTA LIA he

di Carlo Citter

www.archeo.it

A TUTTO CAMPO I secoli di un castrum 22

LETTERATURA

UN FINLANDESE SULLE TRACCE DEGLI ANTICHI

Maxwell L. Anderson, Bernard Andreae, John Boardman, Mounir Bouchenaki, Wim van Es, M’Hamed Fantar, Otto H. Frey, Louis Godart, Svend Hansen, Friedrich W. von Hase, Thomas R. Hester, Donald C. Johanson, Venceslas Kruta, Henry de Lumley, Javier Nieto

PROCIDA

UN NUOVO MUSEO PER I MILLENNI DELL’ISOLA

05/08/22 14:09

Comitato Scientifico Italiano

Enrico Acquaro, Ermanno A. Arslan, Andrea Augenti, Sandro Filippo Bondí, Francesco Buranelli, Carlo Casi, Francesca Ceci, Francesco D’Andria, Giuseppe M. Della Fina, Paolo Delogu, Francesca Ghedini, Piero Alfredo Gianfrotta, Pier Giovanni Guzzo, Eugenio La Rocca, Daniele Manacorda, Danilo Mazzoleni, Cristiana Morigi Govi, Lorenzo Nigro, Sergio Pernigotti, Sergio Ribichini, Claudio Saporetti, Giovanni Scichilone, Paolo Sommella, Romolo A. Staccioli, Giovanni Verardi, Massimo Vidale, Andrea Zifferero Hanno collaborato a questo numero: Agnes Allroggen-Bedel è archeologa. Claudia Beretta è coordinatrice del programma del RAM Film Festival di Rovereto. Federica Bertino è assistente di cattedra presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Luciano Calenda è consigliere del CIFT, Centro Italiano Filatelia Tematica. Francesca Ceci è archeologa presso la Direzione dei Musei Capitolini di Roma. Carlo Citter è professore associato di archeologia medievale all’Università degli Studi di Siena. Francesco Colotta è giornalista. Armando Cristilli è professore a contratto di archeologia classica presso l’Università degli Studi di Roma «Tor Vergata». Alessandro D’Alessio è direttore del Parco archeologico di Ostia antica. Giuseppe M. Della Fina è direttore scientifico della Fondazione «Claudio Faina» di Orvieto. Giampiero Galasso è giornalista. Paola Giovetti è direttrice del Museo Civico Archeologico di Bologna. Mario Grimaldi è curatore della mostra «I pittori di Pompei». Francesca Guarneri è funzionario archeologo del Parco archeologico del Colosseo. Federica Guidi è responsabile della sezione etrusco-italica del Museo Civico Archeologico di Bologna. Alessandro Mandolesi si occupa di comunicazione archeologica per conto del Parco archeologico di Pompei. Marinella Marchesi è responsabile del lapidario del Museo Civico Archeologico di Bologna. Alessandra Randazzo è giornalista. Nicola Scotto di Carlo è direttore pro tempore del Museo Civico «Sebastiano Tusa» di Procida. Monica Scotto di Covella è co-curatrice della sezione «Storia Antica»


ARCHEOLOGIA E LETTERATURA/1 Un finlandese in Etruria

78

di Giuseppe M. Della Fina

78 Rubriche L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA

Tutte le medaglie portano a Roma

110

di Francesca Ceci

SPECIALE

110 LIBRI

92 Gli splendidi inganni di Pompei

112

92

testi di Mario Grimaldi, Paola Giovetti, Federica Guidi, Marinella Marchesi e Agnes Allroggen-Bedel

del Museo Civico «Sebastiano Tusa» di Procida. Nicola Terrenato è Esther Van Deman Collegiate Professor of Roman Studies presso la University of Michigan.

Illustrazioni e immagini: Cortesia Uffici Stampa Studio ESSECI di Sergio Campagnolo e Istituzione Bologna Musei: copertina (e pp. 92/93) e pp. 94-99, 104/105, 106 – Cortesia Soprintendenza ABAP per le province di Sassari e Nuoro: Franco Satta: pp. 6-9 – Parco archeologico del Colosseo: pp. 10-11 – Cortesia Ufficio stampa Zètema Progetto Cultura: Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali: Zeno Colantoni: p. 12 (alto); RMN-Grand Palais/Musée du Louvre: Hervé Lewandowski: p. 12 (basso); Governatorato SCVDirezione dei Musei: p. 13 (alto); Badisches Landesmuseum Karlsruhe: Thomas Goldschmidt: p. 13 (centro) – Parco archeologico di Pompei: p. 17; Alessandro Russo: p. 16 – Archivio Fotografico del Parco archeologico di Ostia antica: pp. 20-21 – Archivio Università degli Studi di Siena: pp. 22 – Cortesia Carlo Citter: p. 24 – Cortesia Ufficio Stampa Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale: p. 26 – Su concessione del MiC-Museo Nazionale di Matera: Pio Foglia: p. 28 – Doc. red.: pp. 36-39, 40 (alto), 41, 52, 71 (alto), 79, 81 (destra), 82-83, 84 (basso), 85, 86-87, 90, 108-109 – Mondadori Portfolio: Zuma Press: p. 42 (sinistra); AKG Images: pp. 42 (destra), 78, 80, 81 (sinistra), 89, 102/103; CM Dixon/ Heritage Images: p. 84 (alto); The Print Collector/Heritage Images: p. 88; Index/Heritage Images: pp. 90/91; Archivio dell’Arte Luciano Pedicini/Luciano Pedicini: p. 101 – da: La grande trattativa, Carocci editore, Roma 2022: pp. 43, 46 (basso) – Cortesia Dan Diffendale: cartine alle pp. 45, 46, 49; foto a p. 48 – Stefano Mammini: p. 47 – Alamy Stock Photo: p. 51 – Archivio RAM Film Festival, Rovereto: pp. 56-63 – Shutterstock: pp. 64/65, 71 (basso), 72/73, 100/101, 102 – Cortesia Museo Civico «Sebastiano Tusa», Procida: pp. 66, 66/67, 67 (basso), 68-69, 70, 72, 73, 74-77 – Biblioteca dell’Archiginnasio, Bologna: p. 107 – National Gallery of Art, Washington: p. 110 – Cortesia dell’autore: p. 111 – Cippigraphix: cartine alle pp. 40, 50 e 67. Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.

Pubblicità e marketing Rita Cusani e-mail: cusanimedia@gmail.com – tel. 335 8437534 Distribuzione in Italia Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia srl Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Stampa Roto3 Industria Grafica srl via Turbigo 11/B - 20022 Castano Primo (MI) Servizio Abbonamenti È possibile richiedere informazioni e sottoscrivere un abbonamento tramite sito web: www.abbonamenti.it/archeo; e-mail: abbonamenti@directchannel.it; telefono: 02 49572016 [lun-ven, 9-18; costo della chiamata in base al proprio piano tariffario]; oppure tramite posta scrivendo a: Direct Channel SpA Casella Postale 97 – Via Dalmazia, 13 – 25126 Brescia (BS) L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno. Arretrati Il Servizio Arretrati è a cura di: Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia Srl - 20090 Segrate (MI) Le edicole e i privati potranno richiedere le copie degli arretrati tramite e-mail agli indirizzi: collez@mondadori.it e arretrati@mondadori.it e accedendo al sito https://arretrati. pressdi.it L’indice di «Archeo» 1985-2021 è disponibile sul sito www.ulissenet.it Registrandosi sulla home page si ottengono le credenziali per la consultazione di prova


n otiz iari o SCAVI Sardegna

UNA DIFESA DALLE PIENE DEL FIUME

A

Porto Torres, sulla sponda orientale del Rio Mannu e in corrispondenza dell’area del Ponte Romano, è stata appena conclusa la prima fase dei saggi di archeologia preventiva finalizzati alla realizzazione del PIT (Piano Integrato Territoriale) fluviale. Il progetto mira a ridisegnare e mettere in sicurezza le sponde del fiume, contribuendo alla valorizzazione della piú imponente opera architettonica dell’epoca romana in Sardegna, il Ponte Romano, appunto. I lavori hanno previsto l’apertura di un saggio all’imboccatura del ponte, quasi in aderenza con l’intervento di scavo condotto da Antonietta Boninu nel 2010, dove era stato messo in luce un sensibile abbassamento della quota del piano stradale del ponte in prossimità della sponda orientale. Architetti e ingegneri idraulici dei nostri tempi hanno messo a punto un progetto che, a quanto emerge dagli scavi, tende a ripristinare la sistemazione dell’area messa a punto dai Romani già all’atto della costruzione del ponte. «Le nuove Sulle due pagine: Porto Torres (Sassari). Vedute dell’area del Ponte Romano in cui un intervento di archeologia preventiva ha riportato alla luce apprestamenti realizzati in antico per creare una valvola di sfogo in grado di garantire il deflusso delle acque nel caso di piene del Rio Mannu, nonché un argine a protezione della Colonia Iulia Turris Libisonis.

6 archeo


ricerche – dichiara Nadia Canu, funzionaria archeologa responsabile di zona e direttrice scientifica dell’intervento – hanno confermato che il piano stradale antico procede sulla terraferma direttamente sul piano roccioso, con una sistemazione che, ove conservata, presenta ciottoli legati con malta, continuando ad

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n otiz iario In alto: un tratto della poderosa struttura forse identificabile con una banchina fluviale, realizzata con blocchi lavorati di grandi dimensioni. In basso: il Ponte Romano di Porto Torres e il cantiere di scavo. Nella pagina accanto, in alto: l’équipe che ha condotto le ricerche.

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abbassarsi per poi risalire sensibilmente dopo circa 20 m. Questa sistemazione era dovuta con grande probabilità alla necessità di garantire una valvola di sfogo per le piene del fiume e, al tempo stesso, un argine a protezione della Colonia Iulia Turris Libisonis; il rinvenimento di frammenti di ceramica databili al I secolo d.C., contemporanei alla data di costruzione del ponte, sembra indicare che tale sistemazione possa essere stata pensata non molto tempo dopo la fondazione della città. Una serie di saggi condotti nelle aree in cui il georadar aveva indicato numerose anomalie e ci si aspettava di riportare alla luce banchinamenti e altre strutture, non hanno avuto buon esito. Si è pertanto deciso un cambio di strategia, concentrando le ricerche a sud delle prime arcate del ponte, dove risultavano un cumulo di blocchi e indizi della presenza di


una possibile struttura, come documentato da alcune foto d’archivio. È stata cosí messa in luce una struttura poderosa, lunga oltre 40 m, estremamente regolare e realizzata su piú livelli con grandi blocchi lavorati. Si tratta forse della banchina fluviale, che non si esclude possa essere connessa al primo porto della colonia romana, raggiungibile

dalle imbarcazioni attraverso le arcate del ponte e che doveva garantire un approdo riparato in immediata prossimità di uno degli accessi principali della città antica. A breve distanza si trovano infatti le mura occidentali e le officine produttive della colonia, mentre dai nuovi saggi basta attraversare la strada moderna per giungere a uno degli accessi del parco

archeologico, caratterizzato da impianti termali pubblici e ricche domus con decorazioni marmoree e mosaici, sia geometrici sia figurati. Di concerto tra il Comune e la Soprintendenza lo scavo verrà ampliato nei prossimi mesi, per chiarire la connessione tra i due saggi che hanno dato riscontro positivo, ma sopratutto per chiarire la natura e la cronologia della poderosa struttura lineare messa in luce e il suo rapporto con il Ponte, le mura e con l’accesso alla città antica, di cui costituisce il limite verso il fiume». I lavori di archeologia preventiva per il PIT fluviale sono stati eseguiti per il Comune di Porto Torres dall’impresa Habitat di Thiesi con la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari e Nuoro e con il coordinamento sul campo dell’archeologo Luca Sanna. Giampiero Galasso

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PASSEGGIATE NEL PArCo a cura di Federica Rinaldi e Martina Almonte

LE MUSE DELL’IMPERATORE LE STATUE DELLE PROTETTRICI DELLA POESIA, TERSICORE, E DELLA COMMEDIA, TALIA, SONO TORNATE LÀ DOVE NERONE LE AVEVA VOLUTE. E SONO ORA INSERITE IN UN PERCORSO DI VISITA DELLA DOMUS AUREA ARRICCHITO DA UNA SUGGESTIVA ESPERIENZA SENSORIALE

«L

e piú famose opere d’arte ora da me riferite furono dedicate in Roma dall’imperatore Vespasiano nel Tempio della Pace e negli altri suoi edifici; ma erano state già prima trasportate a Roma in seguito ai brutali saccheggi di Nerone e disposte nei saloni della Domus Aurea» (Plinio, Storia Naturale, XXXIV, 84). Le fonti antiche raccontano dell’amore di Nerone per le arti figurative, del suo ruolo di committente e mecenate, della forte dedizione al collezionismo di capolavori dell’arte greca. Raccontano di una passione dovuta anche alla sua formazione, che ha affiancato le arti liberali alle attività manuali dei pittori e degli scultori, restituendo il modello di un principe-artista che cerca di affermare uno stile di vita e un modo di governare basato sulle arti e sull’otium. Nerone è un imperatore colto e anticonformista; un cultore delle lettere, appassionato di poesia, musica e teatro (recita anche in prima persona). Una figura poliedrica e visionaria, che ben si riflette nel suo progetto piú suggestivo, la Domus Aurea, costruita dopo l’incendio del 64 d.C. e organizzata come una gigantesca villa suburbana nel cuore della

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La statua di Tersicore (sulla sinistra, in basso) e il Ninfeo di Polifemo. Nella pagina accanto, a sinistra: la statua di Tersicore, Musa della poesia lirica e della danza. Metà del I sec. d.C.

città, con edifici, padiglioni, portici immersi in un paesaggio di giardini, boschi e pascoli.

EFFETTI SPECIALI Della Domus Aurea rimane oggi solo il Padiglione del Colle Oppio a testimoniare, attraverso le 150 stanze conservate, la grandezza e la magnificenza di un progetto che è frutto dell’ingegno degli architetti Severus e Celer, descritti dalle fonti come magistri et machinatores, quindi ingegneri, creatori di macchinazioni (potremmo dire di effetti speciali), ma anche maestri, capaci di manipolare l’architettura e condurla fino a esiti allora sconosciuti, creando con l’artificio «quanto la natura aveva negato»

(Tacito, Annali, XV, 42). Attraverso espedienti architettonici innovativi, lo spazio viene infatti dominato e modellato dalla luce e al suo interno le opere d’arte acquistano un nuovo respiro, diventando protagoniste di quel gioco scenico ed estetico che l’imperatore crea per meravigliare i suoi ospiti. Seguendo questa suggestione, si è scelto di caratterizzare il percorso di visita con l’esposizione permanente di materiale scultoreo proveniente dai depositi, restituendo al complesso monumentale la funzione di padiglione «dinamico» che aveva in passato, in cui camminare godendo della spazialità dell’edificio e delle opere d’arte in esso esposte.


Per questo, nelle adiacenze del Ninfeo di Polifemo, sono state esposte le statue di Tersicore, Musa della poesia lirica e della danza, e di Talia, Musa della commedia, inserendole nel settore della Domus Aurea in cui sono state rinvenute in frammenti durante gli scavi del 1958. Del gruppo, che probabilmente riuniva tutte le nove sorelle, è sopravvissuta anche Erato, Musa del canto corale e della poesia amorosa, che per il suo stato estremamente frammentario non è stata esposta al pubblico. Si tratta di opere di grande qualità,

DOMUS AUREA EXPERIENCE

La reggia com’era

Domus Aurea Experience è un vero e proprio viaggio nel tempo, un corto circuito cognitivo ed emozionale del tutto nuovo nel panorama delle tecnologie applicate ai beni culturali. Il racconto guidato si alterna a una suggestiva esperienza sensoriale con un percorso caratterizzato da effetti dinamici dell’illuminazione, pannelli ricostruttivi innovativi, videomapping della galleria di ingresso e ricostruzione della Sala della Volta Dorata con tecnologia immersiva. La realtà virtuale viene vissuta attraverso visori bioculari ad alta risoluzione del tipo Oculus che permettono al visitatore di fruire lo spazio ricostruito del complesso neroniano, immergendosi nelle sue atmosfere. Il sito è accessibile esclusivamente con visita didattica dal venerdí alla domenica (dalle 9,15 alle 17,00). Acquisto del biglietto on line: https://www.coopculture.it/it/poi/domus-aurea/ Fino al prossimo ottobre sarà possibile visitare la Domus Aurea accompagnati dai funzionari archeologi, architetti e restauratori del Parco archeologico del Colosseo.

Statua di Talia, Musa della commedia. Metà del I sec. d.C.

come dimostrano la resa raffinata del panneggio e delle vesti, la cura dei dettagli e l’equilibrio compositivo generale. Sono realizzate in marmo pentelico e databili alla metà del I secolo d.C. Tersicore siede su una roccia con tunica, chitone e mantello (himation) e ai piedi calza sandali chiusi. I capelli sono raccolti in una cuffia (sàkkos) che lascia visibili le ciocche sulle tempie e sul vertice del capo. Talia doveva essere

anch’essa seduta, indossa un chitone, stretto sotto il seno da una cintura, e su questo un mantello, che crea sul braccio una cascata di pieghe con un contrasto di grande effetto. Le sculture ripetono modelli di influsso prassitelico (IV secolo a.C.) ben noti alla bottega di scultori assunta per soddisfare la visione estetica di un imperatore, amante dell’arte, come Nerone. Francesca Guarneri e Armando Cristilli

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n otiz iario

MOSTRE Roma

DOMIZIANO RIABILITATO

F

rutto della collaborazione tra i Musei Capitolini e il Rijksmuseum van Oudheden della città olandese di Leida, le sale di Villa Caffarelli ospitano la mostra dedicata a Domiziano, l’ultimo imperatore della gens Flavia. Lungo il percorso espositivo, articolato in 15 sale, viene raccontata la complessa figura di un principe e tiranno non compresa dai contemporanei e successivamente dai posteri, che hanno basato il loro giudizio su fonti storiche e letterarie sostanzialmente avverse a Domiziano. Piú recentemente, l’analisi delle fonti materiali, in particolare epigrafiche, ha restituito l’immagine di un imperatore attento alla buona amministrazione e al rapporto con l’esercito e con il popolo, devoto agli dèi e riformatore della moralità degli

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Ritratto in marmo di Domiziano. Roma, Musei Capitolini. In basso: ritratto in marmo di Domizia Longina. Parigi, Museo del Louvre.


uomini. Un principe che non pretese e non incoraggiò la formula autocratica «dominus et deus», ritenuta da molti la motivazione profonda del clima di sospetti, terrore e condanne a morte sfociato nella congiura nella quale egli perse la vita. La violenta damnatio memoriae che, secondo la drammatica testimonianza di Svetonio e Cassio Dione, avrebbe comportato subito dopo la sua morte l’abbattimento delle statue che lo ritraevano e l’erasione del suo nome dalle iscrizioni pubbliche, fu in realtà limitata ad alcuni contesti e non trova conferma nel numero di ritratti giunti fino a noi. Il racconto della vita di Domiziano è affidato alle 58 opere provenienti dall’edizione olandese della mostra e alle 36 aggiunte per l’edizione romana: ritratti in marmo e in bronzo di personaggi imperiali e di divinità, elementi di decorazione architettonica in marmi bianchi e colorati e oggetti di piccole dimensioni in oro e bronzo. Tra gli importanti prestiti accordati da prestigiose raccolte italiane e straniere, spiccano l’aureo a nome di Domizia Longina, moglie dell’imperatore, con la rappresentazione del figlioletto divinizzato del British Museum; il

In alto: rilievo appartenente alla ricca decorazione della tomba degli Haterii, Inizi del II sec. d.C., Città del Vaticano, Museo Gregoriano Profano. Qui sopra: specchio in argento con ritratto di Domiziano. Karlsruhe, Badisches Landesmuseum. ritratto sempre di Domizia Longina del Louvre; il rilievo del Mausoleo degli Haterii dei Musei Vaticani; le teste colossali di Vespasiano e di Tito divinizzati dal Museo Nazionale Archeologico di Napoli e i frammenti del Dono Hartwig del Museo Nazionale Romano. L’esposizione è arricchita inoltre da opere della Sovrintendenza Capitolina normalmente non esposte al pubblico. Tra i reperti dell’Antiquarium si segnala uno dei

pannelli con affreschi della domus romana ricomposti all’inizio degli anni Duemila nella «sala E. Pastorelli» del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di via Genova, reso disponibile per la mostra grazie al rapporto di collaborazione tra le due istituzioni. Tra le sculture in marmo dei depositi capitolini spiccano due opere poco note provenienti dallo stadio di Domiziano: il torso della statua di Ermete che si slaccia un sandalo, visto solo nella mostra Lisippo a Palazzo delle Esposizioni nel 1995, e la testa di giovane satiro ridente coronato di pino. Tra quelle della collezione permanente dei Musei Capitolini ricordiamo il ritratto femminile della «Dama Flavia» (il cosiddetto «busto Fonseca»). (red.)

DOVE E QUANDO «Domiziano imperatore. Odio e amore» Roma, Musei Capitolini-Villa Caffarelli fino al 29 gennaio 2023 Orario tutti i giorni, 9,30-19,30 Info tel. 060608 (tutti i giorni, 9,00-19,00); www.zetema.it; www.museicapitolini.org; www.museiincomune.it

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ALL’OMBRA DEL VULCANO a cura di Alessandro Mandolesi e Alessandra Randazzo

L’INSULA DELLE MERAVIGLIE GLI INTERVENTI DI SCAVO E DI RESTAURO IN ALCUNE RESIDENZE DI UNO DEI QUARTIERI PIÚ ESCLUSIVI DI POMPEI AGGIUNGONO NUOVI TASSELLI ALLA STORIA DELLA CITTÀ, SVELANDO FRAMMENTI DELLA SUA VITA QUOTIDIANA

D

ivisa tra due Regiones, la VI e la VII, l’Insula Occidentalis di Pompei è una delle zone residenziali piú esclusive della città antica, posta al suo limite occidentale, appunto, con un affaccio scenografico sul Golfo di Napoli e sulle isole. A partire dal II secolo a.C. l’Insula ebbe un progressivo inurbamento grazie alla costruzione di vere e proprie «ville urbane» disposte al di sopra delle mura e provviste di ampie terrazze aperte sul panorama. Queste abitazioni di lusso furono dotate inoltre di giardini pensili, portici, di ricchi e lussuosi ambienti da cui era possibile godere della vista del mare, di ambienti termali personali, di ninfei con grandiosi giochi d’acqua e spazi triclinari connessi ai giardini e alle terrazze. Dopo la deduzione in colonia da

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parte di Silla, nell’80 a.C., quando Pompei prese il nome del dittatore e della dea Venere da lui particolarmente amata (Colonia Veneria Cornelia Pompeianorum), le abitazioni preesistenti si espansero ulteriormente, con nuove terrazze digradanti sul mare che via via vennero ad appoggiarsi sulle mura della città, ormai non piú funzionali al loro ruolo di difesa da attacchi esterni.

DILATARE GLI SPAZI Ecco cosí le case di M. Castricius di M.F. Rufus, del Bracciale d’oro, della Biblioteca; complessi residenziali tra i piú belli della città che furono messi in luce sin dai primi scavi effettuati dai Borbone e poi nell’Ottocento. L’abitazione si apre cosí alla vista del paesaggio circostante, quasi a volerne dilatare

gli spazi e con la natura che si insinua all’interno con ricercate soluzioni architettoniche, restituendo un’immagine colta della casa tanto da esplodere nel lusso e nella bellezza all’interno degli ambienti. Nel corso del I secolo d.C. e precisamente nel 62, anche l’Insula, come il resto della città antica, venne gravemente danneggiata dal terremoto, i cui segni sono ancora oggi visibili tra le murature e i pavimenti delle ville. I danni furono l’occasione per i proprietari per rimodernare gli ambienti e rinnovare pitture e mosaici con la moda del momento. A sinistra: una base di statua con piede rinvenuta nello scavo della Casa della Biblioteca. A destra: il peristilio della Casa di M. Castricius.


Lo sciame sismico che precedette l’eruzione del 79 d.C. causò nuovi danni alle abitazioni, tanto che in molti ambienti sono stati ritrovati gli attrezzi, i campionari, i materiali abbandonati frettolosamente durante la fuga. Gli scavi avviati tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento hanno messo in luce non solo arredi, oggetti preziosi e suppellettili, ma anche i resti di chi non riuscí a salvarsi dalla sciagura eruttiva. Tra i fuggiaschi una donna portava con sé un monile prezioso, il famoso «bracciale d’oro», oggetto che dà il nome anche alla domus e dall’incredibile peso di 610 grammi. Ma un’altra e piú recente tragedia colpí la città antica e anche l’Insula Occidentalis: il bombardamento degli Alleati nel settembre 1943: quasi 200 bombe caddero su Pompei e distrussero ulteriormente il complesso delle ville. Scavi recenti hanno permesso di individuare tre ordigni esplosi nella sola Casa della Biblioteca e i loro danni si leggono negli elevati dell’abitazione, deformati dagli effetti delle esplosioni e che invece nelle case adiacenti furono in gran parte risarciti dai restauri degli anni Settanta. La casa fu battezzata «della Biblioteca» dallo studioso Volker Michael Strocka, che identificò appunto come «biblioteca» uno degli ambienti interni, nel quale ancora oggi si può ammirare un affresco raffigurante un personaggio con capo coronato da edera e che reca con sé gli strumenti per le composizioni poetiche: un volumen, la lyra e una capsa per i libri. Il poeta ritratto è probabilmente Filosseno di Citera, vissuto nella seconda metà del V secolo a.C., a testimonianza dell’ambiente colto e raffinato che doveva contraddistinguere il proprietario della casa. Oggi le case di M. Castricius di M. F. Rufus, del Bracciale d’oro e della Biblioteca sono oggetto di un cantiere di scavo e messa in

A destra: un momento del restauro nella Casa di M. Castricius. In basso: l’olla in rame rinvenuta nella Casa della Biblioteca e nella quale è contenuto un crogiuolo in ferro probabilmente utilizzato per produrre pigmenti. sicurezza che sta facendo emergere numerose testimonianze della vita quotidiana a Pompei nei giorni precedenti l’eruzione.

LAVORI IN CORSO Un disco di pietra lavorato che formava la base per un piccolo mortaio e un vaso di bronzo, un’olla, testimoniano dei lavori che dovevano essere in corso nella Casa della Biblioteca per riparare i danni causati dalle scosse di terremoto; si tratta di oggetti semplici ma raffinati, forse abbandonati dall’artigiano fuggito per l’eruzione accanto alla soglia di un ambiente. Il disco di pietra, perfettamente circolare e dalla superficie finemente levigata, conserva ancora un piccolo cumulo di frammenti di pasta vitrea pronti per la molitura che era necessaria alla produzione del famoso pigmento Blu Egizio, la cosiddetta «fritta egizia» utilizzata per il blu/ azzurro degli affreschi. Dalla parte opposta della soglia dell’apertura che metteva in comunicazione il vasto ambiente voltato con la terrazza antistante – splendidamente affacciata sul Golfo di Napoli – un’olla in rame reca al suo interno un piccolo crogiuolo di ferro che probabilmente era utilizzato per la cottura degli ossidi nel processo di

produzione dei pigmenti. In un ambiente adiacente la Casa della Biblioteca, anche una soglia mosaicata che sorprende per la curiosa iscrizione che reca la frase: LITIGARE NOLI, «non litigare». L’iscrizione fu già individuata negli anni Settanta, ma poi ricoperta da strati di livellamento. La casa di pertinenza fu scavata al livello del piano stradale nei primi anni dell’Ottocento e disegnata da Mazois, poi bombardata nel 1943 e in parte restaurata negli anni Settanta del Novecento. Per notizie e aggiornamenti su Pompei: pompeiisites.org; Facebook: Pompeii-Parco Archeologico; Instagram: Pompeii-Parco Archeologico; Twitter: Pompeii Sites; YouTube: Pompeii Sites.

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i n f o r m a z i o n e p u b b l i c i ta r i a

n otiz iario

INCONTRI Paestum

APPUNTAMENTI «STORICI» E GRANDI NOVITÀ

L

a XXIV Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, a Paestum presso il Tabacchificio Cafasso, l’area archeologica e il Museo Nazionale, la Basilica da giovedí 27 a domenica 30 ottobre 2022, si presenta con tutti i numeri in positivo con 100 conferenze in 5 sale in contemporanea, 500 tra moderatori e relatori tutti in presenza, 150 espositori (ben 18 regioni e il Ministero della Cultura con 500 mq dedicati ai Parchi e Musei autonomi, dal Colosseo a Ostia, Sibari, Campi Flegrei, dal MANN di Napoli al Museo Nazionale di Matera e ancora Europa Creativa, Ales, Parco di Vulci, Parco di Gaiola), 20 Paesi Esteri, 40 buyer europei selezionati dall’ENIT e nazionali. Fiore all’occhiello sarà la presentazione ufficiale da parte del Ministero della Cultura della candidatura della via Appia Antica, nel percorso integrale da Roma a Brindisi e comprensivo della variante traianea, per l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO (4 le Regioni interessate dal percorso e 100 gli enti territoriali competenti: 73 Comuni, 15 Parchi, 12 tra Città Metropolitane e Province). La BMTA, anche in questa edizione, metterà in campo buone pratiche per sviluppare il turismo esperienziale e il turismo sostenibile, affinché istituzioni, enti locali e organizzazioni datoriali possano farle proprie e concretizzarle a breve medio termine. Fra le iniziative in programma, segnaliamo: il primo Incontro Nazionale delle Città Ipogee intende dare risalto ai tanti luoghi sotto le nostre città realizzati dall’uomo, quali caverne, cripte, catacombe, gallerie, labirinti per individuare contenuti e strumenti per promuovere una offerta contrassegnata da bellezza, unicità, percorsi emozionali, sostenibilità, dove città e territori sono protagonisti. Il coinvolgimento della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e della Conferenza Episcopale Italiana, dei Comuni e delle Direzioni del Turismo delle Regioni, dell’ENIT, delle organizzazioni datoriali del turismo organizzato e dell’intermediazione, del Touring Club Italiano ha l’obiettivo di sviluppare un progetto interregionale dei territori protagonisti. La Conferenza sul sostegno del PNRR a favore delle destinazioni turistico-archeologiche, in collaborazione con l’Ufficio Italia del Parlamento Europeo, è

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l’occasione per presentare proposte migliorative alla luce dell’iter in corso con la partecipazione dei vertici del Parlamento Europeo, del Ministero del Turismo e della Cultura, delle Commissioni Attività Produttive della Camera e dei Beni Culturali del Senato, delle Organizzazioni Datoriali, dei principali Parchi Archeologici. ArcheoIncoming vuole incrementare la domanda turistica di prossimità europea e nazionale da parte dei tour operator specializzati, da sempre vocati all’outgoing, ma dalla pandemia in poi proiettati anche sul nostro Bel Paese. La loro partecipazione in qualità di buyer caratterizzerà il Workshop in programma nella giornata di sabato 29 ottobre anche su base nazionale. L’International Archaeological Discovery Award «Khaled al-Asaad», all’8ª edizione, alla presenza di Fayrouz Asaad, figlia di Khaled, e archeologa anch’essa, andrà a Zahi Hawass per la scoperta della città fondata da Amenhotep III (1391-1353 a.C.), «la piú grande città mai trovata in Egitto» in buono stato di conservazione e con mura quasi complete, vicino al palazzo dello stesso faraone, dall’altra parte del fiume Nilo rispetto alla città e capitale di Tebe (oggi Luxor). Il Premio Internazionale di Archeologia Subacquea «Sebastiano Tusa», alla 2ª edizione, premia quale riconoscimento alla carriera Eric Rieth, Direttore emerito del CNRS Centre National de la Recherche Scientifique di Francia e Responsabile del Dipartimento di archeologia navale presso il Museo Nazionale della Marina di Parigi. Il Parco Archeologico di Paestum e Velia, per il quale fu ideata nel 1998 la BMTA per affiancare il processo di valorizzazione del sito, inserito da quell’anno nel Patrimonio mondiale dell’Umanità, riaprirà le porte del Museo di recente rinnovato nelle sale e nei percorsi espositivi e sarà presente con la neodirettrice Tiziana D’Angelo e il consigliere di amministrazione Alfonso Andria, Presidente della Provincia alla nascita della BMTA, che ha sempre seguito da allora, avendo al suo fianco Mounir Bouchenaki, ora Presidente Onorario della Borsa, che all’epoca della candidatura del sito all’UNESCO ne era Direttore dell’Ufficio del Patrimonio e dopo Vice Direttore Generale per la Cultura. Per info: www.bmta.it



FRONTE DEL PORTO a cura di Claudia Tempesta e Cristina Genovese

UN CULTO DI GRANDE SUCCESSO LO SCAVO E IL RESTAURO DELLA DOMUS DEI CAPITELLI DI STUCCO HA PORTATO ALLA SCOPERTA DEL VENTESIMO MITREO OSTIENSE. A CONFERMA DELLA PRESENZA IN CITTÀ DI UNA FOLTA SCHIERA DI SEGUACI DEL DIO DI ORIGINE ORIENTALE, DEDITI ALLA PRATICA DEI SUOI PARTICOLARI RITI MISTERICI

U

na società multietnica e multiculturale, quale fu senza dubbio quella ostiense, non poteva non condividere anche credenze religiose e culti fra i piú disparati: da quelli tradizionali del pantheon greco-romano (dei cui templi e santuari la città è largamente disseminata), ai sopraggiunti monoteismi, cristiano (basilica) ed ebraico (sinagoga). Spicca in particolare,

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fra tutti, il culto riservato al dio Mitra, antichissima divinità orientale di carattere misterico (o misteriosofico) e salvifico, diffusosi in ambito romano già dalla tarda età repubblicana e primo-imperiale, ma che conobbe un vero e proprio exploit a partire dal II e fino al IV-V secolo d.C., con capillari e significative attestazioni nelle province e presso gli eserciti di stanza sul

limes e nelle principali città del continente europeo.

UN CASO UNICO A Ostia, quello di Mitra sembra essere per certi versi il culto «dominante» tra tardo II e IV secolo, raggiungendo una disseminazione, nel contesto urbano e in spazi prevalentemente domestici, che non ha praticamente eguali nel mondo antico: fra i piú


In alto: il rilievo in stucco policromo con Mitra tauroctono scoperto nel mitreo della Domus dei Capitelli di stucco. A destra: mosaico della Domus a tessere nere con inserti marmorei policromi. Nella pagina accanto: il mitreo al termine dello scavo. noti, i mitrei cosiddetti di Felicissimo, di Fruttuoso, di Lucrezio Menandro, delle Pareti Dipinte, dei Serpenti, delle Sette Porte, delle Sette Sfere e quello forse maggiormente suggestivo delle Terme del Mitra, impreziosito dall’inserimento al suo interno del Mitra tauroctono in marmo opera dello scultore ateniese Kriton (prima metà del I secolo d.C.?), ora conservato nel Museo Ostiense, di prossima riapertura. Di recente, nel corso dei lavori di scavo, sistemazione e restauro della Domus dei Capitelli di stucco (Regio V, Insula VII,4) – una delle piú vaste e meglio conservate fra le grandi case gentilizie della tarda repubblica (costruzione tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C., con susseguenti e radicali ristrutturazioni fino a epoca tardoantica) – è venuto alla luce, all’interno di un vano di risulta e ipogeo posto sul margine occidentale del complesso edilizio, quello che a giusta ragione possiamo enumerare come il ventesimo mitreo ostiense. L’intervento ha portato al «ritrovamento» del bellissimo pavimento in mosaico a tessere nere con inserti marmorei policromi (variamente distribuiti tra file di losanghe in giallo antico),

posto nell’ala meridionale dell’originario peristilio a colonne di tufo e travertino finemente stuccate (da cui il moderno nome della casa), che, come altri che adornarono la Domus nel corso del tempo, il Parco ha subito provveduto a restaurare e mettere in sicurezza per la riapertura e fruizione pubblica dell’intera casa. Soprattutto, però, in un ambiente situato a ridosso della strada che fiancheggia l’isolato a ovest, sono tornati alla luce i resti di un piccolo eppure affascinante luogo di culto, che può a tutti gli effetti prendere il nome di «Mitreo della Domus dei Capitelli di stucco».

DUE FASI DI VITA Pur non conoscendo l’identità dei proprietari del complesso/isolato in cui esso venne installato tra il II e il III secolo d.C. – ma ne preciseremo la cronologia in base allo studio dei materiali rinvenuti durante lo scavo – è comunque già chiaro che esso ebbe almeno due fasi di vita: una iniziale in cui lo spazio ipogeo, accessibile tramite una scala posta nell’angolo nord-orientale, era verosimilmente piú esteso in lunghezza, e una successiva, dovuta a un probabile incendio che ne aveva compromesso struttura e decorazione e che indusse a

raccorciarlo e risistemarlo alla meglio. Alla prima fase appartiene certamente la meravigliosa decorazione architettonica e figurata in stucco dipinto policromo che ne adornava pareti, volta di copertura (a botte?) e soprattutto il lato di fondo meridionale (sancta sanctorum), qui costituita dalla consueta iconografia del dio colto nell’atto di sgozzare il toro e della quale è stato rinvenuto un cospicuo frammento in cui ben si riconoscono l’animale prostrato e la gamba destra di Mitra (la scena è generalmente completata dalla presenza di un cane e di un serpente sotto la ferita del toro e/o che ne bevono il sangue, e di uno scorpione che ne attacca i testicoli). Proprio l’insolita fattura materica di tale decorazione figurata – lo stucco policromo – e l’alto livello qualitativo della sua resa stilistica, fanno di questo nuovo mitreo ostiense una vera e propria rarità nel panorama dei mitrei noti, a ulteriore riprova di quanto ancora la città possa offrire alla conoscenza di ricercatori e studiosi e al godimento del piú vasto pubblico dei suoi fruitori, ai quali la Domus dei Capitelli di stucco è stata oggi finalmente restituita al termine di un accurato lavoro di restauro. Alessandro D’Alessio

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A TUTTO CAMPO Carlo Citter

I SECOLI DI UN CASTRUM IL PRIMO NUCLEO DEL CASTELLO DI LOMBARDIA, SORTO NEL PUNTO PIÚ ELEVATO DELLA CITTÀ DI ENNA, RISALE ALL’ETÀ GRECA. È L’INIZIO DI UNA VICENDA MILLENARIA, I CUI EPISODI CRUCIALI HANNO LUOGO NEL CORSO DEL MEDIOEVO

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l castello di Lombardia costituisce la propaggine orientale di Enna e raggiunge il punto piú alto della città, con 1000 m slm. L’imponente complesso architettonico, oggetto di pesanti ricostruzioni nel Novecento, è ancora leggibile nelle parti che lo compongono: numerosi interventi di scavo hanno documentato una

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presenza sul luogo dal periodo greco fino al pieno Medioevo. Il castello attuale si articola su tre cortili: San Martino, che è anche il piú elevato, La Maddalena, in posizione intermedia, e San Prospetto fotogrammetrico del cortile di San Niccolò, sul versante del cortile di San Martino.

In alto: visione panoramica del castello di Lombardia, ottenuta con la ricomposizione dei prospetti e dei rilievi in pianta.



Niccolò, in posizione piú bassa, dotato di rivellino di accesso (cioè di una fortificazione indipendente) dalla piazza antistante. Il progetto di ricerca triennale, condotto dall’Università di Siena, è parte di un accordo di collaborazione con il Comune di Enna, che ha finanziato le indagini, e con la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Enna. Il rilievo sistematico degli elevati mediante fotogrammetria digitale ha permesso di cogliere le grandi fasi di formazione e trasformazione del sito, ma anche di porre numerosi interrogativi da approfondire negli anni a venire.

BLOCCHI DI UGUALE MISURA Un primo punto fermo sembra essere un lacerto di muro isodomo (cioè formato da filari di blocchi di uguale misura), databile al periodo greco, su cui si imposta un edificio completamente fuori asse rispetto a quelli di età successiva. Entrambi i resti si collocano sul punto piú alto del cortile di San Martino: dal momento che non è possibile effettuare datazioni delle malte a causa del degrado e degli interventi di restauro, la costruzione del primo edificio si colloca per ora tra la fase a cui appartiene il muro greco (VI secolo a.C.?) e la costruzione della fortezza bizantina (VII-IX sec. d.C.). Un’ipotesi plausibile è che si tratti di un edificio tardo-antico, forse un piccolo castrum, legato alle vicende della guerra gotica (535553 d.C.). Ricordiamo, tuttavia, che nell’elenco dei presidi militari bizantini, redatto da Giorgio Ciprio nel VII secolo, Enna non compare: questo è un elemento per datare invece il grande cantiere del castrum bizantino, che è la vera novità emersa dalla campagna di ricerca. Se il sigillo del funzionario imperiale rinvenuto fuori contesto a Enna, databile fra la fine del VII e l’VIII secolo, provenisse dal centro

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urbano, avremmo un indizio che si somma al confronto tipologico piuttosto stringente fra le strutture murarie della fase bizantina del castello di Lombardia e quelle di altri importanti siti dell’Italia meridionale. L’intervento fu consistente: sulla parte piú alta, dove forse era già un castrum, fu realizzato un recinto fortificato dotato di quattro torri (l’attuale cortile di San Martino), che si affaccia sui due restanti cortili, anch’essi cinti da muri (La Maddalena e San Niccolò). Il castrum trova ampi confronti nelle fortificazioni bizantine, che prevedevano un ridotto fortificato e aree cinte da mura per accogliere la popolazione in caso di assedio: gli assedi islamici, a partire dal tardo VII secolo, dettero un forte impulso per migliorare le strategie difensive. È questo dunque il castrum che le truppe islamiche assediarono. Al momento, le fasi islamica (8591088) e normanna (1088-1198) ci sfuggono nei contorni: un indizio che la struttura bizantina fosse ancora efficiente e conservata.

AL TEMPO DI FEDERICO II Un discorso a parte merita la fase sveva (1198-1266), su cui la letteratura si è sempre concentrata per quella tipica distorsione dovuta all’impatto che la fonte scritta ha sulla produzione scientifica e sull’immaginario locale: la figura di Federico II è infatti cosí predominante da travalicare di molto i confini dell’effettivo impegno profuso a Enna. Esso fu certamente significativo, al punto che negli anni successivi non si fecero che aggiustamenti, secondo un oculato e mirato progetto di ripresa della planimetria bizantina, seppure in un quadro diverso, perché la funzione del castello svevo era mutata. Anche i Bizantini non avevano costruito dal nulla, ma avevano

Visione panoramica del cortile di San Martino: in evidenza, oltre alla torre bizantina restaurata in età federiciana o successiva, il muro greco (A) e l’edificio tardo-antico (B). spoliato (immaginiamo anche in funzione esaugurale, cioè di sconsacrazione), l’acropoli di età classica, perché non c’è un solo concio di pietra che provenga da una nuova cava. I costruttori di Federico II poterono quindi approfittare di una base già pronta, adattandola alle nuove esigenze: il cortile di San Martino divenne un vero e proprio palatium, ovvero un recinto fortificato con cortile e vari edifici di rappresentanza. Il luogo era il centro del potere signorile, la residenza del proprietario, che nel caso specifico è anche una corte imperiale. Qualunque fosse l’articolazione degli edifici nel periodo bizantino e in quelli successivi, è con gli Svevi che si struttura l’articolazione visibile oggi. Il castello ha avuto una vita lunga fino, virtualmente, all’età contemporanea, con la costruzione del cinema sotto le stelle, che ha avuto un certo impatto sulle strutture e sulle stratigrafie del cortile di San Niccolò. (3 – fine) (carlo.citter@unisi.it)



n otiz iario

RESTITUZIONI Stati Uniti d’America

LA CARICA DEI 130

S

i è tenuta a New York la cerimonia di restituzione all’Italia di 130 reperti archeologici di grande rilevanza storica e artistica, oggetto di traffici illegali e recuperati dalle autorità giudiziarie statunitensi grazie alla collaborazione tra il Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) dell’Arma dei Carabinieri e il Manhattan District Attorney’s Office. I beni sono stati formalmente consegnati al Console Generale d’Italia a New York, Fabrizio Di Michele, alla presenza del Procuratore Distrettuale della New York County, Alvin Bragg, e del

Comandante TPC, il Generale di Brigata Roberto Riccardi. «Si tratta della seconda significativa restituzione all’Italia di opere in pochi mesi», ha commentato il Console Generale a New York Fabrizio Di Michele, «dopo quella di 200 reperti dello scorso dicembre, in occasione della quale avevamo esposto vari artefatti presso il Consolato Generale e l’Istituto di Cultura. La restituzione delle opere conferma l’eccellente livello di cooperazione tra le Autorità dei due Paesi, che permette di riportare in Italia tesori di valore inestimabile». I beni restituiti coprono un ampio Dall’alto in basso: immagini dei reperti riconsegnati all’Italia dagli USA e un momento della cerimonia di restituzione svoltasi a New York nello scorso luglio.

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arco temporale compreso tra il 2500 a.C. e il VI secolo d.C. «Ancora un concreto segno della collaborazione delle Autorità statunitensi per il recupero dei beni culturali trafugato. Il mio ringraziamento al Colonnello Matthew Bogdanos e ai suoi collaboratori», ha commentato il Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, Generale di Brigata Roberto Riccardi. La notizia segue di pochi mesi il rimpatrio di altri 201 reperti archeologici, che erano stati illegalmente esportati negli Stati Uniti nel corso degli ultimi decenni, smerciati dai grandi trafficanti internazionali e acquisiti – a volte dopo vari passaggi di mano – da importanti musei, case d’asta, gallerie antiquarie e collezionisti privati. Su quei reperti i Carabinieri TPC avevano indagato insieme ai colleghi di Federal Bureau of Investigation (FBI) e Homeland Security Investigations (HSI), riportando a casa in aereo i tesori. (red.)



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MUSEI Matera

UN INDOVINO COME GUIDA

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l Museo Nazionale di Matera, in collaborazione con l’Università degli Studi della BasilicataDipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo per «Tiresia, il mito tra le tue mani» e con il Centro Jean Berard di Napoli per la «Collezione Rizzon», presenta un nuovo percorso espositivo che, attraverso uno straordinario patrimonio iconografico, metterà in luce le diverse sfumature della società, potenziando il ruolo inclusivo e partecipativo dei luoghi della cultura. La voce di Tiresia, indovino cieco della mitologia greca, guida i visitatori in un percorso multisensoriale, alla scoperta dei reperti legati ai racconti mitologici. A tale scopo alcuni vasi magno greci sono stati riprodotti per essere esplorati con le mani e con l’olfatto. Nella prima sala, dedicata proprio all’olfatto, si trovano i vasi rituali legati al mito di Scilla e Atteone e quelli che contenevano incensi e oli profumati, legati alle vicende di Afrodite. Nella seconda sala è presente un grande cratere a volute del IV secolo a.C., molto usato nei

In questa pagina: particolari del nuovo percorso espositivo realizzato nel Museo Nazionale di Matera. banchetti e legato al mito di Artemide. Nella terza sala una tavola a rilievo riproduce la scena principale del cratere, ossia il sacrificio di Ifigenia in Tauride. Il percorso prosegue con un nuovo allestimento della collezione Rizzon, dove le scene figurate dei vasi raccontano le tematiche principali della società antica e della vita degli uomini, dal rapporto tra uomo e donna, alla convivialità, all’aldilà. La collezione Rizzon comprende settantaquattro vasi, prodotti in botteghe lucanometapontine e apule tra il terzo quarto del V secolo a.C. e la fine del IV secolo a.C. Questi pezzi sono giunti al Museo Ridola nel 1990 a seguito di una procedura di compravendita tra l’Amministrazione e un collezionista privato. (red.)

DOVE E QUANDO Museo Nazionale di Matera Matera, via Domenico Ridola 24 Orario tutti i giorni, 9,00-20,00 Info tel. 0835 310058; e-mail: mn-mt@cultura.gov.it; www.museonazionaledimatera.it

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ARCHEOFILATELIA

Luciano Calenda

UN MATRIMONIO BEN RIUSCITO In questo numero usciamo dallo «schema» consueto per dare conto di un evento svoltosi durante la cerimonia di premiazione di Latinphil 2022, una Manifestazione Filatelica Nazionale tenutasi a Borgo Faiti (Latina). Nell’occasione, il CIFT (Centro Italiano di Filatelia Tematica, l’associazione che cura questa pagina) ha proceduto alla consegna materiale del premio di Filatelia Tematica «Michele Picardi». Il riconoscimento è andato agli studiosi che hanno firmato l’articolo Evocazioni filateliche fra orientalismo e propaganda. Il vicino Oriente antico nei francobolli di Turchia, Siria, Libano ed Iraq. Oltre alla copertina del volume in cui il contributo è compreso, ecco dunque la targa assegnata agli studiosi e i vincitori appena premiati: da sinistra, Marco Bonechi, Silvia Alaura, Andrea Ercolani e Umberto Livadiotti, alla cui sinistra ci sono Angelo Picardi, promotore del Premio, e Paolo Guglielminetti, Presidente del CIFT. Ci fa piacere riportare il testo integrale della motivazione perché spiega anche lo stretto connubio tra archeologia e filatelia e come quest’ultima possa essere uno strumento di «vera cultura»: «Questa pubblicazione, molto particolare perché inserita in un ponderoso studio dal titolo Scavando negli Archivi, frutto della collaborazione di archeologi e studiosi del Medio Oriente nell’ambito dei progetti culturali del CNR, è stata quasi unanimemente riconosciuta meritevole dell’assegnazione del Premio per una serie di motivi: è sicuramente di alto contenuto tematico, sia pure limitatamente alle emissioni archeologiche di alcuni paesi mediorientali; la struttura dell’opera, con la presentazione di oltre 300 francobolli, una decina di annulli, una dozzina di banconote ed un paio di medaglie è estremamente utile per i collezionisti tematici interessati ai temi di archeologia, storia e politica dei citati Paesi; i francobolli sono tutti catalogati a piè di pagina e molti di essi sono stati raramente usati nelle collezioni nostrane a causa della difficoltà nella individuazione dei soggetti rappresentati (località, siti e oggetti di interesse archeologico) perché spesso descritti solo in lingua araba e non sempre adeguatamente spiegati dai cataloghi internazionali. Inoltre sono moltissime le note aggiuntive ed esplicative anche di natura non filatelica. La pubblicazione ha contribuito alla diffusione della filatelia tematica in ambienti non filatelici e questo è uno degli obiettivi principali dell’istituzione del Premio sulla scia del pensiero del compianto Michele Picardi. Per tutte queste considerazioni la Giuria è particolarmente lieta di assegnare il Premio Michele Picardi per l’anno 2021 ai professionisti e studiosi che hanno realizzato la pubblicazione in questione» (anche on line: www. cift.club/?3d-flip-book=liviadotti-premio-picardi). IL CIFT. Questa rubrica è curata dal CIFT (Centro Italiano di Filatelia Tematica); per ulteriori chiarimenti o informazioni, si può scrivere A quasi 15 anni dal debutto di questa rubrica alla redazione di «Archeo» o al CIFT, anche per qualsiasi altro tema, (iniziata nel 2008) ci piace sottolineare come ai seguenti indirizzi: l’archeologia sia uno dei temi di maggiore interesse Segreteria c/o Luciano Calenda per i collezionisti tematici ed esprimere la Sergio De Benedictis C.P. 17037 - Grottarossa gratitudine del CIFT alla direzione di «Archeo» per Corso Cavour, 60 - 70121 Bari 00189 Roma aver creduto, sin dall’inizio, alla validità di questo segreteria@cift.club lcalenda@yahoo.it appuntamento mensile. oppure www.cift.it

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SU ARC BA HEO CQ LOG UE IA A

LA NUOVA MONOGRAFIA DI ARCHEO

I BRONZI DI RIACE

MERAVIGLIE DAL MEDITERRANEO a cura di Luigi Fozzati e Alessandra Ghelli


Il volto del Bronzo di Riace denominato B. Metà del V sec. a.C. Reggio Calabria, Museo Archeologico Nazionale.

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agosto 1972. Un chimico romano con la passione per la pesca subacquea, Stefano Mariottini, si tuffa nelle acque antistanti Riace Marina. Nuotando con l’occhio attento per scorgere possibili prede, vede, semisepolto dalla sabbia, «qualcosa che – come dichiarerà nel verbale redatto dai Carabinieri – somigliava vagamente a un gomito e braccio umano». Attirato dalla scoperta, smuove la sabbia e scopre una grande statua adagiata sul fondale; e non gli ci vuole molto per individuarne un’altra, a non molta distanza dalla prima… È l’inizio di una delle piú straordinarie avventure archeologiche di sempre: il recupero dei Bronzi di Riace, opere di splendida fattura, che oggi sappiamo essere originali greci della metà del V secolo a.C. e che fanno bella mostra di sé nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. A cinquant’anni dall’evento, la nuova Monografia di «Archeo» ripercorre l’intera vicenda, ma non solo, affiancando alla storia – antica e moderna – degli «eroi venuti dal mare», una rassegna delle piú importanti scoperte compiute nei mari e nelle acque interne della Penisola nell’arco di oltre cinque secoli. Una lunga e affascinante «immersione» nel mondo dell’archeologia subacquea, corredata da un apparato iconografico particolarmente ricco e spettacolare.

GLI ARGOMENTI

in edicola

• L’ARCHEOLOGIA SUBACQUEA IN ITALIA • I L MUSEO ARCHEOLOGICO DI REGGIO CALABRIA • LA STORIA DELLA SCOPERTA • L ’IDENTIFICAZIONE DEI BRONZI DI RIACE • UNA STATUA BRONZEA DA ARGO • FILMARE LA STORIA • CINQUECENTO ANNI DI RITROVAMENTI E DI STUDI: DA GENOVA AL FIUME PO

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CALENDARIO

Italia ROMA 1932, l’elefante e il colle perduto

Mercati di Traiano- Museo dei Fori Imperiali. fino al 02.10.22

Cursus Honorum

Il governo di Roma prima di Cesare Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori fino al 02.10.22

BARUMINI (SU) Al di là del Mare

Etruria e Sardegna in mille anni di storia Centro di Comunicazione e Promozione del Patrimonio Culturale «G. Lilliu»-Area archeologica «Su Nuraxi» fino al 31.12.22

BOLOGNA I Pittori di Pompei

Museo Civico Archeologico fino al 19.03.2023 (dal 23.09.22)

Vulci: il patrimonio disperso e ritrovato

Dalle ricerche ottocentesche al digitale «Sapienza» Università di Roma, Museo di Antichità Etrusche e Italiche fino al 26.11.22

Colori dei Romani

I mosaici dalle Collezioni Capitoline Centrale Montemartini fino al 15.01.23

COMACCHIO Spina 100

Dal mito alla scoperta» Galleria d’Arte di Palazzo Bellini fino al 16.10.22

FOGGIA Arpi riemersa

Dalla rete idrica alla scoperta delle necropoli (Scavi 1991-1992) Museo del Territorio fino al 31.12.22

GAIOLE IN CHIANTI (SIENA) I Romani nel Chianti ex Cantine Ricasoli fino al 18.09.22

Domiziano Imperatore

Odio e amore Musei Capitolini, Villa Caffarelli fino al 29.01.23

ACQUI TERME (ALESSANDRIA) Goti a Frascaro

Archeologia di un villaggio barbarico Museo Archeologico di Acqui Terme fino al 27.05.23 34 a r c h e o

GROSSETO Gli Etruschi di Casenovole

Passato remoto di una comunità Museo Archeologico e d’Arte della Maremma fino al 15.09.22


Sarà gradito l’invio di informazioni da parte dei direttori di scavi, musei e altre iniziative, ai fini della completezza di questo notiziario.

MASSA MARITTIMA(GROSSETO) Gli ultimi Re di Vulci L’aristocrazia etrusca vulcente alle soglie della conquista romana Museo Archeologico «G. Camporeale» fino al 01.11.22

TRENTO Lascaux Experience

La grotta dei racconti perduti MUSE-Museo delle Scienze fino all’08.01.23

MILANO I Marmi Torlonia

Collezionare Capolavori Gallerie d’Italia fino al 18.09.22

NAPOLI Sardegna Isola Megalitica

Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo Museo Archeologico Nazionale fino all’11.09.22

Sing Sing. Il corpo di Pompei Fotografie di Luigi Spina Museo Archeologico Nazionale fino al 30.09.22

VERONA Vasi antichi

Museo Archeologico al Teatro Romano fino al 02.10.22

VETULONIA (GROSSETO) A tempo di danza

In Armonia, Grazia e Bellezza Museo Civico Archeologico di Vetulonia fino al 06.11.22

VICENZA Palafitte e Piroghe del Lago di Fimon Legno, territorio, archeologia Museo Naturalistico Archeologico fino al 31.05.23

Germania

OSTIA ANTICA (ROMA) Chi è di scena!

BERLINO I mondi di Schliemann

POMPEI Arte e sensualità nelle case di Pompei

Regno Unito

Cento anni di spettacoli a Ostia antica (1922-2022) Parco archeologico di Ostia antica fino al 30.10.22

Palestra Grande fino al 15.01.23

RIO NELL’ELBA (LIVORNO) Il ferro e l’oro

Rotte mediterranee tra Etruria e Oriente Museo Archeologico del Distretto Minerario fino al 02.10.22

TORINO Champollion a Torino

Ciclo «Nel laboratorio dello studioso» Museo Egizio fino al 30.10.22

La sua vita, le sue scoperte, la sua eredità Staatliche Museen (James-Simon-Galerie e Neues Museum) fino al 06.11.22

SUTTON HOO Spade reali

Il tesoro dello Staffordshire a Sutton Hoo Exhibition Hall fino al 30.10.22

USA NEW YORK Chroma

La scultura antica a colori The Metroplitan Museum of Art fino al 26.03.23 a r c h e o 35


LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

NON DI SOLA GUERRA... IL PROCESSO CHE PORTÒ ALL’UNIFICAZIONE DELL’ITALIA NEL IV E III SECOLO A.C. NON FU, ESCLUSIVAMENTE, L’ESITO DI OPERAZIONI MILITARI: ALLA MINACCIA BELLICA, ROMA AFFIANCÒ UN’INTENSA ATTIVITÀ DIPLOMATICA, FATTA DI ALLEANZE E CONTRATTAZIONI TRA FAMIGLIE NOBILIARI ROMANE E ITALICHE, FINALIZZATA ALLA COSTITUZIONE DI UNA NUOVA ENTITÀ POLITICA. È LA NUOVA – E PER CERTI VERSI RIVOLUZIONARIA – INTERPRETAZIONE DELL’ESPANSIONE ROMANA NELLA PENISOLA, ELABORATA DALL’ARCHEOLOGO NICOLA TERRENATO SULLA BASE DI UN’AMPIA RASSEGNA DELLE FONTI STORICHE, EPIGRAFICHE E ARCHEOLOGICHE, E CONFLUITA IN UN VOLUME APPENA PUBBLICATO DALL’EDITORE CAROCCI di Nicola Terrenato

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La battaglia di Tullo Ostilio contro i Veienti e i Fidenati, olio su tela del Cavalier d’Arpino (al secolo Giuseppe Cesari). 1595-1598. Roma, Galleria Borghese.

P

ochi altr i temi hanno avuto un ruolo paragonabile a quello della conquista romana nella storiografia occidentale. Non mancano casi celebri di espansionismo, da Alessandro a Carlo Magno, che hanno avuto grande fortuna; ma l’icona di Roma, con la sua enfasi sull’azione collettiva

piuttosto che individuale, è sempre rimasta inarrivabile. Proprio a causa della sua ubiquità culturale, il dibattito su Roma è spesso rimasto confinato entro un ambito interpretativo relativamente ristretto: alcuni postulati sono talmente radicati nella percezione universale di Roma da non essere

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LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

mai stati seriamente messi in discussione, malgrado l’enor me produzione scientifica che si è andata accumulando nei secoli. L’apparente paradosso può trovare spiegazione proprio nella centralità di Roma per l’intero sistema culturale, filosofico e educativo occidentale: scuotere tale fondamentale pilastro equivale a mettere in pericolo l’intero edificio. La discussione sull’imperialismo romano dev’essere iniziata insieme alla nascita di quest’ultimo, ma ci resta assai poco dei primi secoli (IV-III a.C.); mancano le voci di coloro che trasformarono un piccolo stato in una potenza mediterranea, mentre abbiamo quelle di Cesare o di Traiano, vale a dire di un periodo in cui l’impero già

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Torques (collare celtico) e armilla in argento lavorato a serpentina, proveniente dagli scavi di Carpenedolo (Bs). Civiltà celtica, III sec. a.C. Brescia, Museo di Santa Giulia.

«Non è piú sufficiente interpretare la complessa trasformazione che va sotto il nome di “imperialismo romano” invocando semplicemente le caratteristiche o i comportamenti degli abitanti originari di Roma: aggressività innata, competizione politica interna, reazioni difensive, avidità, rabbia e sovrappopolazione non riescono a spiegare l’unificazione in modo soddisfacente»


non aveva piú rivali. I rari frammenti, come l’epitaffio di Scipione Barbato, morto nel 280 a.C., indicano una retorica basata sulla virtú e la rettitudine del magistrato repubblicano. L’espansione ci viene presentata come la conseguenza naturale degli atti, valorosi e legittimi, degli aristocratici romani.

PROGETTO IMPERIALISTICO Molta della retorica romana successiva presenterà guerre e conquiste come doverose reazioni a minacce o aggressioni esterne, mentre osservatori

Nella pagina accanto, in basso: il sarcofago di Lucio Cornelio Scipione Barbat (il cui originale è oggi conservato nei Musei Vaticani) in una incisione di Giovanni Battista Piranesi. 1756. Avo del trionfatore della seconda guerra punica, Scipione l’Africano, il Barbato fu console nel 298 a.C. ed è ricordato dall’iscrizione dipinta sul coperchio e dall’elogio inciso sulla cassa. In questa pagina: altorilievo in terracotta policroma in forma di testa di guerriero, dal santuario della Mater Matuta di Satrico, una delle piú importanti città dei Volsci. V sec. a.C. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. a r c h e o 39


LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

Cartina che mostra la distribuzione delle popolazioni italiche in età preromana. 40 a r c h e o


greci come Polibio non esitarono ad attribuire a Roma un progetto imperialistico, senza necessariamente deplorarlo. In epoca imperiale, trascorsi ormai secoli dall’espansione in Italia, la riflessione sull’etica della conquista o sulle forme della sua amministrazione continuava ancora, ma in un contesto in cui l’impero era talmente ben radicato che la sua natura veniva ormai data per scontata. Nel suo complesso, la percezione romana della conquista poneva i Romani stessi come unici veri protagonisti. In un’epoca in cui venivano redatte le grandi opere di storiografia, si riteneva con certezza che gli ingredienti dell’ascesa imperiale non andassero cercati al di fuori di Roma, ma nella sua posizione geografica ideale e nelle impareggiabili qualità morali, religiose, militari e politiche dei suoi abitanti. Gli altri popoli della Penisola erano, invece, trattati in modo sbrigativo e prestando principalmente at-

tenzione al loro atteggiamento nei confronti di Roma; anche quei nemici (come i Galli, oppure Annibale) che nel ricordo apparivano particolarmente aggressivi o terribili, in definitiva non erano riusciti a cambiare l’impero in modo significativo.

Le strategie di espansione piú sottili – per esempio la diplomazia, le trattative private, la corruzione, la messinscena – non venivano quasi mai ricordate nella narrazione ufficiale.

PRIMA DELLA CONQUISTA A un attento esame della storiografia sull’imperialismo romano risulta evidente il limitato interesse per il contesto piú ampio dell’espansione, sia sotto l’aspetto cronologico sia sotto quello geografico; in particolare, quanto accaduto nei secoli precedenti la conquista non è stato di norma ritenuto rilevante nel dibattito su quella importante transizione storica. I re etruschi e le colonie cartaginesi possono suscitare una certa curiosità, ma nei resoconti dell’espansione vengono menzionati solo all’avvicinarsi degli eserciti romani, relegati quindi a un ruolo di oggetto dell’azione politica: il che non deve sorprendere, la costante Didascalia da faredata Ibusdae enfasi posta evendipsam, offictesulle erupitmotivazioantesto nicum deiilita Romani, spesso sostetaturi aut quatiur restrum nuta dal eicaectur, testopresupposto blaborenes iumche la quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

Nella pagina accanto, in alto: elmo di produzione celtica. VI sec. a.C. Bologna, Museo Civico Archeologico.

Gambali in bronzo, dalla Tomba del Guerriero di Sesto Calende (Va). Età del Ferro, Cultura di Golasecca. Varese, Museo Archeologico. a r c h e o 41


LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

In alto: statuetta in bronzo raffigurante un guerriero, dalla stipe votiva del monte Falterona. 420-400 a.C. Londra, British Museum. A destra: elmo in bronzo crestato, dalla necropoli di Casal del Fosso, a Veio. 730-720 a.C. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

loro superiorità potesse facilmente spiegarne il successo. Nella percezione dominante il loro successo senza precedenti acquisí uno status paradigmatico talmente universale da distaccarsi del tutto dalle circostanze temporali e geografiche che con ogni probabilità l’hanno invece plasmato. Di conseguenza, si è affermata la convenzione che la narrazione del42 a r c h e o

la conquista non abbia alcun bisogno di preoccuparsi di quanto accaduto prima dell’inizio del IV secolo a.C. – con la presa di Veio e il sacco di Roma da parte dei Galli. Prima di quel momento la storia romana era (ed è tuttora) densa di incertezze, data la problematicità delle fonti disponibili. Per quanto riguarda il resto dell’Italia del periodo arcaico, le informazioni di-

sponibili sono ancora piú scarse; e, comunque, nella maggior parte delle spiegazioni della conquista essa non è mai stata considerata una variabile significativa. La profonda interconnessione degli sviluppi mediterranei è stata sottolineata molte volte a partire dall’opera di Fernand Braudel (1949; edizione italiana: Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età diFilippo II,


LE ARISTOCRAZIE TRADIZIONALI E IL «SENSO DELLO STATO» Il sistema delle aristocrazie terriere della Penisola trova le sue origini all’inizio del I millennio a.C.: l’esistenza all’epoca di casate aristocratiche è desumibile dalle testimonianze archeologiche e dalle memorie storiche, e la loro persistenza e florida crescita caratterizzano l’intera storia della regione nel periodo in esame e oltre. Questi gruppi di parentela vivevano in villaggi fortificati e combattevano piccole guerre di scorreria, tenuti insieme da uno stretto vincolo di fedeltà familiare; possedevano dei dipendenti sociali di vario genere e presentavano dinamiche interne molto complesse. Il Mediterraneo centrale ospitava già da secoli una miriade di casate di questo tipo quando sulla costa tirrenica si verificò un nuovo sviluppo: tra il IX e il VI secolo a.C. alcune élite confinanti si unirono per formare piú ampie comunità statali, che assunsero quasi sempre una forma urbana; le singole casate, tuttavia, non si dissolsero nelle nuove entità, alle quali cedettero semplicemente una parte del loro potere in alcuni specifici contesti pubblici. Erano disposti a compiere questo passo perché le città andavano rapidamente trasformandosi in nuovi strumenti che facilitavano un’azione coordinata, nonché i contatti politici e commerciali a lunga distanza. In origine, tuttavia, i centri urbani costituivano semplicemente spazi di tregua in cui le élite sospendevano le reciproche ostilità e si impegnavano nella difesa comune; successivamente divennero anche veicolo e forma di autorappresentazione per degli aristocratici piú che mai impegnati a cercare di espandere la propria influenza e il proprio prestigio. E, di fatto, le casate si trasferivano spesso in una città diversa o creavano forti legami di matrimonio e adozione con famiglie di altri centri, influenzando la scena politica locale, architettando colpi di stato e combattendo persino guerre private. Durante l’intera

2010), e tuttavia si è rivelato difficile integrare pienamente l’ascesa di Roma nel flusso generale della storiografia; non dovrebbe invece stupire che l’unificazione dell’Italia sia stata solo un episodio di una dinamica globale complessa e di lungo periodo. Esistono, per esempio, tendenze culturali e socioeconomiche macroscopiche che si verificano su una scala di millenni e un’estensio-

esistenza delle città stesse, la fedeltà nei confronti della casata aveva, in genere, la precedenza sul senso dello stato. Restituzione grafica delle armi e degli altri oggetti in bronzo che componevano il corredo della tomba AA1 della necropoli dei Quattro Fontanili a Veio. Metà dell’VIII sec. a.C.

ne di migliaia di chilometri, come la diffusione delle istituzioni statali, dell’urbanismo, della moneta o dell’alfabetizzazione, per citarne solo alcune delle piú evidenti: ebbero inizio prima della conquista romana, operarono durante e dopo di essa, e continuarono dopo la caduta dell’impero romano. Queste tendenze e strutture preesistenti nel Mediterraneo devono aver condi-

zionato e diretto l’espansione, eppure sono state considerate parte della questione solo occasionalmente e in modo parziale.

MASSACRI E SACCHEGGI Nella maggior parte delle analisi sugli effetti dell’espansione romana, viene dato ampio spazio alla violenza e alle distruzioni associate (segue a p. 46) a r c h e o 43


LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

UNA PENISOLA CONTESA X sec. a.C.

Età del Bronzo Finale: prodromi della

civiltà etrusca in diversi siti compresi nel territorio dell’Etruria. IX-VIll sec. a.C. Età del Ferro, detta in Etruria facies villanoviana. Formazione del popolo etrusco. 775 a.C. circa Fondazione dell’emporio di Pithecusa da parte degli Eubei. 753 a.C. Fondazione di Roma da parte di Romolo. 750 a.C. circa Fondazione della colonia di Cuma da parte degli Eubei. Ultimo quarto Secondo le fonti, primi scontri tra Roma dell’VIll sec. a.C. e Veio per il possesso delle saline alla foce del Tevere. VIll-VI sec. a.C. Presenza di manufatti etruschi, in genere bronzi, nei santuari ellenici di Olimpia, Delfi, Dodona, Samo, Perachora, Atene-Acropoli. 615 a.C. Inizio del governo etrusco a Roma con l’ascesa al potere di Lucumone, figlio di Demarato, che assume il nome di Lucio Tarquinio Prisco. 600 a.C. circa Fondazione della colonia di Marsiglia da parte dei Focei. 578-534 a.C. Regno di Servio Tullio a Roma e riforme «democratiche». 565 a.C. Fondazione della subcolonia di Alalia (Corsica) da parte dei Focei di Marsiglia.

540 a.C. circa 534-509 a.C. 525 a.C.

509 a.C.

504 a.C. 485 a.C. 480 a.C. 428 a.C. 426 a.C. 415-413 a.C.

Battaglia del Mare Sardo e

affermazione della talassocrazia etrusca. Regno di Lucio Tarquinio il Superbo a Roma. Vittoria di Aristodemo di Cuma su un esercito di Etruschi dell’Italia settentrionale, di Umbri, di Dauni e di altri «barbari». Dedica del tempio di Giove Capitolino a Roma, per il quale avevano lavorato lo scultore Vulca di Veio e altri artefici etruschi. Espulsione di Lucio Tarquinio il Superbo da Roma e istituzione della repubblica. Arrivo a Roma di Larth Porsenna, re di Chiusi e di Volsinii, in aiuto di Tarquinio, ma con il chiaro intento di impossessarsi del potere. Vittoria di Aristodemo di Cuma e dei Latini sull’esercito di Arrunte figlio di Larth Porsenna, ad Ariccia. Vittoria di Coriolano sui Volsci. Vittoria dei Siracusani sui Cartaginesi a Himera. Guerra tra Roma e Veio e morte in battaglia del re veiente Lars Tolumnio. Conquista di Fidene da parte di Roma e tregua tra Roma e Veio. Partecipazione degli Etruschi (tre navi)

TUTTI I VANTAGGI DEGLI «IMPERIALI PARALLELI» Un’ampia e sincronica rivalutazione della storia del Mediterraneo centrale tra la fine del V e l’inizio del III secolo a.C. rivela l’esistenza di tendenze globali in atto contemporaneamente in tutta la regione: l’impulso verso la creazione di piú vasti stati territoriali fu solo uno dei tanti processi interconnessi in corso nel medesimo periodo, e non era di certo peculiare a Roma. Una convergenza cosí sorprendente nella politica estera richiede una spiegazione di

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carattere globale, piuttosto che basata su fattori locali o clichés etnici, come i sogni di gloria della tirannia siracusana, l’avidità commerciale cartaginese o il coraggioso militarismo romano. È probabile che fossero all’opera, contemporaneamente, diversi processi interconnessi nella sfera socioeconomica, dalla diffusione di piccole fattorie nelle campagne all’emergere di una borghesia urbana, dalle scorrerie galliche e sannite ai disordini sociali nei governi delle città. Gli imperi territoriali fornirono una

risposta funzionale a molti dei problemi provocati dalle trasformazioni in corso: permisero di arginare le incursioni, la pirateria e le scorrerie che rappresentavano un costo troppo elevato per l’agricoltura e il commercio, il che a sua volta liberò maggiori risorse, necessarie a sostenere una piú massiccia burocrazia statale. Ma gli imperi mitigarono in modo significativo anche gli effetti dei disordini sociali, riunendo insieme le classi dominanti cosí da forgiare una base di potere molto


405-396 a.C.

Inizi del IV sec. a.C. 390 a.C. circa 358-351 a.C. 343-341 a.C. 340-338 a.C. 328 a.C. 327 a.C. 308 a.C. 298-291 a.C. 295 a.C. 282 a.C.

a fianco degli Ateniesi all’assedio (fallito) di Siracusa. Guerra tra Roma e Veio, che si conclude con l’occupazione e la distruzione della città etrusca e l’annessione del suo territorio a quello di Roma. Discesa dei Galli in Etruria, su istigazione di Arrunte di Chiusi, e sacco di Roma. Fondazione da parte dei Siracusani delle subcolonie adriatiche di Ancona, Adria e Issa. Guerra tra Roma e Tarquinia, che si conclude con una tregua di quaranta anni. Prima guerra sannitica, Guerra di Roma contro la Lega latina e i Campani. Roma padrona di Lazio, Etruria e Campania. Seconda guerra sannitica. Rinnovo della tregua quarantennale tra Roma e Tarquinia. Terza guerra sannitica. Battaglia di Sentino e vittoria dei Romani su Etruschi, Sanniti, Umbri e Galli. Roma padrona dell’Italia, tranne

piú ampia. Quando si acquisisce una visione sufficientemente ampia della formazione dell’impero romano, diventa subito evidente che il problema non sta nello spiegare perché sia accaduta: le condizioni regionali erano mature per la nascita di un impero territoriale, il che produsse le giuste circostanze per un’alterazione dell’equilibrio esistente fino ad allora. La vera domanda è invece perché il tentativo di Roma di porsi alla guida di una rivoluzione, per quanto ormai matura, abbia prevalso su quelli degli altri concorrenti.

272 a.C. 225 a.C. 217 a.C. 205 a.C.

189 a.C. 90-88 a.C.

83 a.C. 83-82 a.C. 49-42 a.C. 41-40 a.C. 7 a.C. circa

Cisalpina, Bruzii e Magna Grecia. I Romani conquistano Taranto e controllano tutto il Sud. I Romani vincono i Galli a Talamone. Battaglia tra Romani e Cartaginesi presso il lago Trasimeno. Contributo di Cerveteri, Populonia, Tarquinia, Volterra, Arezzo, Perugia, Chiusi e Roselle alla preparazione della spedizione con cui Publio Cornelio Scipione affronterà Annibale a Zama. Fondazione della colonia di diritto latino a Bologna. Guerra sociale ed estensione del diritto di cittadinanza romana agli Italici abitanti a sud del Po (lex Iulia de civitate). Affermazione del latino come lingua ufficiale in Italia. Fine delle culture italiche preromane. Fondazione della colonia di diritto romano a Capua. Campagne di Silla contro le città dell’Etruria settentrionale filomariane. Estensione della cittadinanza romana ai popoli dell’Italia settentrionale. Guerra tra Roma e Perugia. Assedio di Perugia. Divisione amministrativa dell’Italia in undici regioni da parte di Augusto.

Cartina del Mediterraneo centrale nella quale sono indicati alcuni dei principali stati in via di epsansione nel IV e nel III sec. a.C.

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LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA A sinistra: la distribuzione delle città saccheggiate nel corso della conquista romana. Nella pagina accanto: Mastarna libera dalle catene Celio Vibenna, affresco proveniente dalla Tomba François di Vulci. Seconda metà sel IV sec. a.C. Roma, Villa Albani. In basso: restituzione grafica del monumento noto come Elogia Tarquininensia. I sec. d.C.

alle operazioni militari. Alle perdite in battaglia si aggiungono le vittime civili quando gli insediamenti venivano catturati e saccheggiati; i prigionieri poi potevano essere giustiziati o ridotti in schiavitú, le loro proprietà devastate o confiscate come bottino. Dal momento che la guerra viene

spesso considerata la norma per l’integrazione della maggior parte delle comunità, ne risulta un quadro di distruzione totale e di trasferimento delle risorse verso Roma, ma se le operazioni belliche furono effettivamente limitate ad alcune aree, altrettanto vale per le violenze che le accompagnarono.

La cattura di una città importante era invece un evento estremamente raro, per non parlare degli assedi (vedi la cartina qui sopra): a meno che non si verificasse un evento di questo genere, era assai insolito che l’esercito romano penetrasse all’interno delle mura, e ancor di piú che gli venisse concessa licen-

GLI SPURINNA E TARQUINIA Un’eccezionale raccolta di testi consente di dare uno sguardo alle strategie adottate da alcune élite di Tarquinia: le imprese dei membri della casata degli Spurinna, nel corso del tardo V secolo e in quello successivo, furono celebrate molto piú tardi in alcune frammentarie iscrizioni latine, da cui si ricava che nell’arco di diverse generazioni questa famiglia aristocratica fu coinvolta in complessi eventi politici all’estero, tra i quali una guerra in Sicilia, un colpo di stato nella vicina Cerveteri e la repressione di disordini sociali ad Arezzo. Sebbene tutto ciò fornisca piú indizi suggestivi che fatti concreti, basta per concludere che alcune casate di Tarquinia erano alacremente impegnate in nuove forme di interazione politica a lunga distanza: ambivano a un genere di potere e di influenza inimmaginabili nel periodo precedente, per esempio nel VI secolo. Cosí facendo si servivano naturalmente dell’antica tradizione di legami e di solidarietà delle élite della regione di fronte ai cambiamenti sociali; allo stesso tempo, aiutavano a mantenere anche in altri stati l’ordine favorevole all’aristocrazia terriera, una politica che sarebbe stata fondamentale anche nell’iniziativa romana dello stesso periodo. Un’entità politica piú ampia e in grado di offrire una maggiore sicurezza interna e un piú rigido controllo sociale poteva rappresentare una soluzione molto efficace alle difficoltà di quel momento storico.

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Alla fine i tentativi espansionistici di Tarquinia non ebbero alcun successo, ma diedero probabilmente all’aristocrazia della città una piú solida posizione contrattuale al momento di salire sul carro romano; già alla fine del IV secolo Tarquinia aveva firmato un trattato con Roma e successivamente ottenne il diritto di cittadinanza. Le élite locali rimasero al potere anche dopo la sua incorporazione e continuarono a far erigere tombe imponenti; in seguito, alcuni aristocratici tarquiniesi arrivarono ad assumere cariche pubbliche a Roma e assursero al rango senatoriale.


za di saccheggio in uno dei centri principali, prassi invece comune per le fattorie e i villaggi. I pochi esempi attestati riguardano i rari conflitti combattuti ferocemente o i casi di grave tradimento dell’alleanza; talvolta il saccheggio aveva invece lo scopo di minare la forza e le potenzialità dei progetti imperialisti rivali: non era cioè diretto alle maggiori accumulazioni di ricchezza, ma invece contro que-

gli oppositori ritenuti incompati- centrale e si creavano nuovi equilibili o alternativi all’espansione. bri. Sebbene una rinegoziazione non fosse impossibile, i rapporti instaurati all’indomani della conDIPLOMAZIA E POLITICA Per una comunità, a fare la differen- quista – rapporti che non erano za piú importante per l’esito dell’an- incentrati esclusivamente sui terminessione erano probabilmente i pri- ni del trattato di pace – spesso manmi anni successivi all’ingresso tenevano la loro rilevanza per seconell’alleanza: si trattava di un perio- li. Si trattava infatti di un assetto do fondamentale in cui venivano molto piú ampio, che poteva inclucompletamente ridefinite le relazio- dere anche i vincoli di clientela e ni tra le entità politiche e il potere altri legami fra la popolazione loca-

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LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

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FEDELTÀ TRIBALE E VINCOLI DI CLASSE Molti studiosi accettano oggi il fatto che nell’esercito romano del periodo arcaico e in altre forze italiche la fedeltà alle casate e alle fazioni aristocratiche avesse un ruolo estremamente importante nel determinare non solo la struttura militare, ma anche lo stesso comportamento sul campo di battaglia; quando si passa al periodo della conquista, tuttavia, si ritiene che fosse avvenuto un cambiamento radicale da cui sarebbe emerso un esercito romano puramente civico. Le varie centurie in cui era suddiviso l’esercito erano però di composizioni diverse, cosí come potenzialmente diverso era il grado di fedeltà dovuta ai propri comandanti in base all’origine tribale e di classe; i loro sottufficiali, i centurioni, condividevano la stessa estrazione sociale ed erano con ogni probabilità legati ai propri soldati da vincoli familiari e sociali. Un ulteriore fattore da considerare è che le forze che venivano schierate in un dato anno potevano essere radicalmente differenti da quelle dell’anno precedente, e ciò in virtú del processo di

le e i Romani, riconfigurazioni costituzionali nella comunità aggregata, i possibili riequilibri di potere tra le sue famiglie principali, e molto altro ancora. Le sorti politiche delle casate locali subirono spesso un notevole cambiamento dopo la con-

selezione dei coscritti effettuato dai due consoli, all’inizio di ogni stagione militare (significativamente chiamato dilectus o «scelta»). Lungi dall’essere quell’esercito professionale spesso postulato dagli studiosi moderni, le legioni romane nel IV e III secolo venivano arbitrariamente formate dai loro comandanti neoeletti; ciò poteva comportare un rimpasto generale in cui molti soldati che avevano prestato servizio l’anno precedente venivano congedati mentre altri ne prendevano il posto. I generali avrebbero ovviamente cercato di massimizzare la fedeltà del proprio esercito scegliendo i cittadini piú legati a loro. Visto in questa luce, il rapporto tra gli eserciti romani di un dato anno e i loro generali ricorda fortemente i comandi personali delle epoche precedenti. Sarebbe quindi imprudente presumere che le centinaia di incarnazioni annuali dell’esercito romano fossero sempre entità monolitiche all’esclusivo servizio degli interessi di quello stato che nominalmente rappresentavano.

quista, soprattutto per quelle gentes che avevano compiuto la mossa giusta al momento giusto. Le reti di rapporti fra élite, come pure i legami clientelari, si potevano trasformare: vecchie solidarietà si spezzavano e se ne creavano di nuove, con im-

portanti ripercussioni sugli scenari della mediazione politica. Infine, la concessione della cittadinanza, individuale o comunitaria, le fondazioni coloniali e le modifiche alle leggi locali avrebbero ridefinito le regole del gioco per generazioni a venire.

Nella pagina accanto: placchette in avorio con raffigurazioni di guerrieri, da Praeneste (Palestrina). Prima metà del IV sec. a.C. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. In basso: la distribuzione delle concessioni della cittadinanza romana in Italia fra il 334 e il 175 a.C.

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LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

L’assetto geopolitico dell’Italia dalla seconda guerra punica alla fine dell’età dei Gracchi (201-121 a.C.).

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LA CASATA DEI NOBILI I Plauzi erano una casata nobile che sembra abbia avuto origine principalmente in una zona a una quarantina di chilometri a sud-est di Roma. Qualche tempo prima del 358 a.C., almeno un ramo della gens deve essersi insediato a Roma acquisendone la piena cittadinanza, poiché qui si registra la loro prima carica politica: niente meno che un consolato, carica che prevedeva il comando di uno dei due eserciti romani schierati ogni anno; al neoeletto console Plauzio fu dato mandato di muovere contro Priverno, una città situata una sessantina di chilometri a sud-est di Roma, missione che portò a termine con successo. È certo degno di nota, a paragone con altri imperi, come dei nuovi arrivati nel corpo politico romano potessero ottenere cosí rapidamente accesso alla principale magistratura esecutiva. Una decina d’anni dopo, un altro Plauzio fu incaricato di attaccare e sconfiggere Priverno, che aveva infranto la pace con Roma e aveva preso a razziare le comunità vicine. Nel 330, tuttavia, Priverno si ribellò di

nuovo, proprio nel momento in cui occupava il consolato un terzo Plauzio, che venne incaricato del comando delle operazioni, proseguite poi da un quarto Plauzio l’anno successivo. Per riassumere, in quattro dei cinque anni tra il 358 e il 328 in cui un Plauzio ricopriva il consolato, al Senato capitò di affidare guerre contro Priverno al membro di una gens che casualmente proveniva da una regione vicina: una coincidenza cosí impossibile indica fortemente che i meccanismi della leadership potevano essere truccati e che con ogni probabilità i Plauzi coltivavano ben precisi progetti su Priverno; il loro scopo principale era probabilmente quello di insediare nelle posizioni di vertice delle élite amiche, e di incorporare l’intera città nella loro feudo politico. L’esempio dei Plauzi e di Priverno illustra come, senza alcuno scandalo, a una gens che non era neanche romana di lunga data venisse in alcune occasioni concesso di dirigere una parte della macchina imperiale per scopi strettamente legati alle proprie ambizioni personali.

Marco Fannio e Quinto Fabio Massimo in un affresco proveniente dalla tomba dei Fabii sull’Esquilino. Prima metà del III sec. a.C. Roma, Musei Capitolini.

Gli studiosi hanno spesso considerato lo status di una comunità dopo la sua integrazione come determinato in massima parte dalle decisioni unilaterali adottate da Roma, o almeno dai comandanti militari romani sul posto: un punto determinante della nostra ricostruzione è che una visione di questo genere costituisce il prodotto di moderne proiezioni nazionalistiche ed è contraddetta da tutta una serie di indizi. La libertà di azione romana non era priva di vincoli, anche nei casi – e non erano rari – di una resa totale; dopo uno scontro militare, infatti, una comunità poteva decidere di a r c h e o 51


LA ROMANIZZAZIONE DELL’ITALIA

Copia di un rilievo raffigurante legionari all’assalto. Roma, Museo della Civiltà Romana. L’originale fa parte della decorazione di un cippo rinvenuto nell’area di Mogontiacum (l’odierna Magonza). Seconda metà del I sec. d.C.

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«darsi» a Roma: si affidava, cioè, simbolicamente ai Romani, utilizzando una terminologia tradizionale (deditio, deditio in fidem) che probabilmente derivava da piú antichi rapporti clientelari. La resa non seguiva necessariamente una disfatta

in battaglia, ma poteva essere motivata dalla minaccia di un nemico in avvicinamento, o anche semplicemente dal desiderio di unirsi alla politica espansionistica romana. In conclusione, il panorama politico e diplomatico del periodo iniziale

NICOLA TERRENATO Romano di nascita, 58 anni, Nicola Terrenato è l’Esther Van Deman Collegiate Professor of Roman Studies presso la University of Michigan, dove dirige anche il locale museo di archeologia. Formatosi alla «Sapienza» di Roma e a Pisa, partecipa fin da ragazzo a scavi e ricognizioni in Italia centrale, appassionandosi al periodo che va dalla nascita delle prime città fino al definitivo consolidamento dello stato romano nella Penisola, corrispondente al I millennio a.C. Sviluppa contemporaneamente interessi metodologici e teorici connessi specialmente all’interpretazione storica del dato archeologico su scala regionale. Nel 1994 pubblica (con Franco Cambi) Introduzione all’archeologia dei paesaggi, che resta per decenni il testo di riferimento in materia. Dal 1996 insegna prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, dove trova ispirazione nell’archeologia del Medio Oriente e del Centroamerica, e soprattutto nell’antropologia storica. Allo stesso tempo continua indefessamente a lavorare sul campo, scegliendo esclusivamente progetti che siano rilevanti per la questioni storiografiche che affronterà poi ne La grande trattativa. Scava e pubblica le fasi arcaiche delle Pendici Settentrionali del Palatino, la villa dell’Auditorium, ville, villaggi e fattorie di epoca

repubblicana in Lazio, Toscana e in Basilicata. Dal 2008 conduce scavi e ricerche nel Foro Boario a Roma che stanno portando a una nuova comprensione dello sviluppo di Roma arcaica, con particolare riferimento all’area sacra di S. Omobono e alla Regia. Il suo nome è legato in particolare allo scavo del centro di Gabii, città del Lazio che ha un potenziale unico per lo studio della storia urbana dal IX al II secolo a.C. Qui da quindici anni coordina uno dei piú grandi scavi internazionali nel Mediterraneo, alla testa di un consorzio di sette università americane, canadesi, scozzesi e italiane. Il Gabii Project, all’avanguardia nel campo della fotogrammetria digitale e della pubblicazione archeologica on line, è anche un grande laboratorio metodologico, dove si formano centinaia di studenti da ogni parte del mondo.

dell’integrazione di una comunità appare dominato da trattative complesse e di ampio respiro tra i vertici incaricati delle operazioni militari o diplomatiche romane e quelli locali. In questi delicati negoziati i Romani dovevano raggiungere un compromesso accettabile che alimentasse e premiasse i meccanismi della conquista, ma nel contempo non fosse troppo umiliante per chi entrava a far parte del progetto.

UN CERTO EQUILIBRIO DI POTERE Lungi dall’essere completamente liberi di imporre qualunque condizione volessero, i Romani dovevano invece trovare un compromesso che impressionasse favorevolmente le altre popolazioni della Penisola: ne andava del successo complessivo della loro strategia espansionistica. Anche dopo la conquista un certo equilibrio di potere sopravvisse, sebbene certamente sbilanciato a favore di Roma: in termini di autonomia locale, non devono esservi state molte alternative a quell’atteggiamento di laissez faire che aveva caratterizzato gran parte del periodo iniziale dell’espansione, anche fuori dall’Italia. L’inclusività etnica, il conservatorismo sociale, le opportunità globali e molto altro erano tutti aspetti indispensabili di quel pacchetto che veniva offerto, piuttosto che imposto, alle élite locali: il mito dell’onnipotenza politica romana – per quanto edificante per i leader del futuro, da Augusto a Napoleone, insieme ai loro storici – corrisponde ben poco alla realtà dell’Italia del IV e III secolo a.C. PER SAPERNE DI PIÚ Nicola Terrenato, La grande trattativa. L’espansione di Roma in Italia tra storia e archeologia, Carocci editore, Roma www.carocci.it a r c h e o 53


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SCENE DA UN PATRIMONIO C’è un festival in una piccola città incastonata fra le montagne, a metà strada tra Trento e il lago di Garda, dove da oltre trent’anni, all’inizio dell’autunno, per una settimana si parla di patrimonio culturale, di siti archeologici, di scoperte, e lo si fa attraverso linguaggi che arrivano a tutti, non solo agli specialisti. È il RAM (Rovereto Archeologia Memorie) Film Festival, in Trentino, che si occupa di beni culturali. L’edizione 2022, la trentatreesima, si svolgerà dal 28 settembre al 2 ottobre. È l’unico e il piú longevo film festival italiano dedicato al patrimonio culturale mondiale a tutto tondo, quello che crea l’identità dei popoli e delle culture di Claudia Beretta

N

ato nel lontano 1990 con il nome di Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico, organizzato dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto, con il comune di Rovereto e la Provincia di Trento, a margine di un convegno dedicato a uno dei suoi cittadini piú illustri, Paolo Orsi, un grande innovatore della ricerca archeologica, il festi56 a r c h e o

val continua oggi nella sua missione di divulgazione della cultura attraverso il cinema. L’ente promotore è il museo civico cittadino, uno dei piú antichi d’Italia, e, in particolare, la sua sezione di archeologia affiancata da un team di esperti di cinema. A Rovereto si possono vedere ogni anno le migliori e le piú recenti produzioni a livello internaziona-

le: opere di grande valore, che tuttavia non trovano spazio nei tradizionali circuiti cinematografici e spesso nemmeno sulle piattaforme digitali. L’intenso programma offre cinque giorni di spunti e di attività non solo per gli appassionati di documentari, di storia e archeologia, ma per chiunque abbia la passione della scoperta, di tempi e di luoghi lontani,


Il pubblico affolla il Teatro Zandonai in una delle passate edizioni del RAM Film Festival di Rovereto.

delle origini individuali e collettive, dell’altrove ma anche dei territori vicini, con proiezioni, incontri, escursioni guidate nei siti archeologici e storici del territorio, aperitivi con i protagonisti della ricerca e della cultura, presentazioni e spettacoli, e la nuova formula dell’Archeobook brunch. La rivista «Archeo» è da tre anni partner editoriale della manifestazione.

Il RAM sposta l’archeologia e la cultura dai luoghi tradizionalmente deputati, dalle sale dei musei, dalle aule delle università, dalle accademie, e accende i proiettori e la pros p e t t iva e s p e r i e n z i a l e e d emotiva del cinema, molto diversa dalla fruizione piú distratta della tv o del proprio pc, su monumenti, luoghi, popoli, tradizioni lontane.

Location degli schermi RAM è il settecentesco Teatro Zandonai nel centro cittadino, una cornice d’eccezione che si fa cinema per una settimana e accoglie i piú bei documentari del genere. Il festival lavora tutto l’anno alla selezione delle opere in concorso, e propone nel suo palinsesto un ventaglio delle piú nuove, interessanti e speta r c h e o 57


INCONTRI • ROVERETO

tacolari produzioni italiane e internazionali selezionate sul tema del World Heritage, da grandi produzioni internazionali – come Gedeòn Programmes, Bonne Piòche, ZDF e Rai Cultura –, ma anche da promettenti produzioni indipendenti, giovani registe e registi. Una cinquantina le opere in concorso per il 2022, tutte recentissime, spesso in prima assoluta o internazionale, suddivise in quattro sezioni: «Cinema Archeologico», dedicata ai siti, ai reperti e alle ricerche archeologiche piú importanti e attuali; «L’Italia si racconta», sulle tradizioni e il patrimonio storico artistico italiano; «Sguardi dal Mondo», su popoli e culture dal resto del mondo; e «Cultura animata», una sezione speciale riservata a meravigliosi corti animati, ogni anno una sorpresa, creati per dar nuova vita a leggende, siti o aspetti del patrimonio mondiale. Sono stati oltre 1300 i documentari

giunti da tutto il mondo, che hanno passato il vaglio di un comitato di selezione formato da archeologi, storici ed esperti di comunicazione e di documentario. Nel programma

sono rappresentati 20 Paesi e tutti i continenti. Ogni sezione ha un premio assegnato da una giuria qualificata, formata da archeologi, scrittori, storici, registi e videomaker, coorIn alto: la facciata del settecentesco Teatro Zandonai di Rovereto, sede del RAM Film Festival. A sinistra: una scena del documentario tedesco The Gift of the Glaciers (Il dono dei ghiacciai). Nella pagina accanto: l’interno del Teatro Zandonai.

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dinati dal comitato scientifico del festival formato dalla scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti, l’archeologa Barbara Maurina, l’antropologo Duccio Canestrini, il disegnatore e autore Andrea Artusi e il regista Emanuele Gerosa. Tra i filoni dell’edizione 2022, alcuni spettacolari film a carattere paleontologico e geologico, come The time of the giants (L’era dei giganti), della francese Bonne Pioche, che combinando le immagini 3D altamente realistiche di NHK con le evidenze paleontologiche piú recenti, mostra le strategie di crescita e sopravvivenza dei dinosauri al largo delle coste del Giappone. Altrettanto spettacolare il film Gift of the glaciers (Il dono dei ghiacciai), documentario tedesco di Heiko De Groot per Doclights, che mostra come l’Europa sia stata letteralmente forgiata dallo scioglimento dei ghiacciai. Il breve documentario Fossils in London, invece, rac-

conta come anche in una città come Londra, se si sa cosa e dove cercare, ci si possa imbattere anche oggi in un numero sorprendente di ritrovamenti fossili.

UN TEMA TRASVERSALE Uno degli altri filoni classici del festival è quello della tutela e della conservazione del patrimonio, che taglia un po’ trasversalmente tutti i documentari. Non delude la francese Gedeon Programmes che presenta il recentissimo (2022) film Jurassic Cash, di Xavier Lefebvre, in collaborazione con Gilles Deiss, che racconta delle grandi aste dedicate ai reperti paleontologici come Big John, lo scheletro di triceratopo piú grande del mondo, venduto all’asta a un privato nell’ottobre 2021 per 6,6 milioni di euro, impossibile da acquisire a quella cifra da un ente culturale, e che solleva quesiti morali se sia o meno lecita una tale spoliazione del patrimonio

universale, sottratto di fatto alla scienza e alla fruizione pubblica. Di grande interesse anche un breve documentario turco, The survivor Hagia Sofia (Santa Sofia, la sopravvissuta), che parla della storica basilica/moschea di Santa Sofia, uno dei simboli della Turchia, che è riuscita a sopravvivere nonostante molti grandi terremoti nel corso della sua esistenza, rivelando informazioni e segreti interessanti sull’architettura e la costruzione dell’edificio. Ogni filmato è una piccola e nuovissima chicca scelta tra centinaia di proposte, che presenta al pubblico un aspetto particolare di popoli, culture, tradizioni diverse, come The Fall of the Maya Kings (La caduta dei re maya), film canadese del 2022 con le piú recenti ipotesi sulle ragioni del collasso del grande impero del Sudamerica, o Mamody, the last baobab digger (2022; Mamody, l’ultimo intagliatore di baobab) di

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INCONTRI • ROVERETO

Cyrille Cornu, sugli abitanti del piccolo villaggio di Ampotaka nel Madagascar e la loro soluzione, unica nel suo genere, per immagazzinare l’acqua, oppure l’iraniano Saffron Base Lifestyle (Una vita basata sullo zafferano), di Parisa Bajelan, o ancora Felting (2022; La lavorazione del feltro), sempre dall’Iran che illustra con splendide immagini l’arte dell’infeltrimento tradizionale della lana che sta gradualmente svanendo. Ogni documentario rivela un mondo tutto da scoprire.

LA CULTURA ANIMATA Costituiscono un capitolo a parte le animazioni. Ogni anno sorprendono la qualità della proposta e la creatività unica del genere nell’affrontare le tematiche del festival da parte delle animatrici e degli animatori. Sono una ventina le opere selezionate, tutte con spunti interessanti che riescono 60 a r c h e o

spesso a intrecciare i temi culturali con quelli sociali, come lo statunitense Nobody (Nessuno), di Mia Incantalupo, del 2022, una rivisitazione dell’Odissea dal punto di vista del Ciclope, che fa riflettere su diversità e discriminazione, co-

In alto: una scena de L’enigma delle ossa: una rivoluzione di genere. In basso: uno dei grandiosi complessi monumentali che fanno da sfondo a The Fall of the Maya Kings (La caduta dei re maya).


me anche l’indiano Dyia (2022), che parte da un festival tradizionale indiano per parlare di inclusione, o ancora il brevissimo Humanity (2022), un’ironica sintesi sulla natura, non proprio amabile, dell’essere umano.

UN FOCUS TUTTO «AL FEMMINILE» Il RAM ha scelto per il 2022 un focus particolare, dal titolo «Sguardi al femminile», un riflettore puntato sul ruolo delle donne nella storia, su parità di genere e opportunità attraverso film e testimonianze di registe, archeologhe, scrittrici, soprattutto da zone dove per una donna è ancora difficile far sentire la propria voce. Ma il focus viene proposto anche per riflettere su quanto le ricostruzioni storiche e archeologiche, fortemente influenzate dalla cultura moderna, abbiano interpretato la presenza femminile nel passato secondo schemi, idee che oggi vengono messi in discussione. L’idea, per esempio, che nei villaggi preistorici fosse l’uomo a dedicarsi alla caccia mentre la donna si occupava della prole e della raccolta di cibo non ha attendibilità scientifica. È oggi largamente accettata l’idea che non vi fosse una vera distinzione dei ruoli in base al genere e che nella caccia, nella pesca, o anche nei combattimenti, le ragazze fossero coinvolte al pari e al fianco dei maschi. All’interno del programma del festival si trovano alcune grandi produzioni che contribuiscono a rivoluzionare la concezione del ruolo delle donne nell’antichità, a partire dalla preistoria. Nella sezione «Cinema Archeologico», Lady sapiens, nuovissimo documentario francese prodotto nel 2021 di Thomas Cirotteau è uno di questi, insieme a un film tedesco della serie «Terra X», dal titolo L’enigma delle ossa:

rivoluzione di genere. In entrambi, le piú recenti scoperte archeologiche dimostrano esattamente come la donna non avesse il ruolo tradizionalmente attribuitole di raccoglitrice e custode del focolare domestico, ma anche quello di cacciatrice e guerriera.

RITRATTI DI GRANDI REGINE Di Rai Storia sono due produzioni, dedicate rispettivamente alle Donne di Augusto, per la serie «Cronache dall’Impero» e a Hatshepsut e Nefertiti: l’Egitto delle regine, per la serie «Cronache di donne leggendarie», sulle regine piú celebri della XVIII dinastia e l’inizio del Nuovo Regno: due regine per raccontare la complessità del mondo femminile egizio. Nella sezione Sguardi dal Mondo, sempre sul tema, alcuni filmati mostrano aspetti poco conosciuti di un panorama al femmi-

In alto: una sequenza tratta dall’opera di animazione Dyia, una produzione indiana sul tema dell’inclusione. In basso: una scena da The Time of Giants (L’era dei giganti).

nile, come l’indiano The knitting circle (Il circolo del lavoro a maglia), che ha saputo trasformare una abilità tradizionale in attività imprenditoriale, ma anche molti film scelti tra gli altri per lo sguardo particolare di giovani registe. Oltre ai film poi, saranno dedicati al focus due aperitivi, durante i quali il pubblico avrà la possibilità di interagire da vicino con i protagonisti, uno, venerdí 30 settembre, dal titolo «Donne che minacciano il potere» con Mariarosaria Barbera, notissima archeologa e scrittrice, e uno, sabato 1° ottobre, con Sahraa Karimi, regista e produttrice cinematografica afghana, che parlerà della sua esperienza di documentarista donna in a r c h e o 61


INCONTRI • ROVERETO A sinistra: una scena di Mamody, the last baobab digger (Mamody, l’ultimo intagliatore di baobab). Nella pagina accanto: una sequenza tratta dal documentario francese Lady sapiens, che invita a ripensare la visione del ruolo svolto dalle donne nelle prime comunità umane.

una terra martoriata dai cambiamenti e dalla guerra e che ha dovuto fare scelte difficili. Sempre al focus è dedicata la grande serata del sabato, con Serena Dandini, autrice e conduttrice televisiva, racconterà le storie di «Donne Valorose», che hanno cambiato la storia, la scienza, la letteratura, la filosofia ma sono rimaste sempre nell’ombra, protagoniste straordinarie per forza e valore eppure invisibili ai piú. Anche i nuovissimi Archeobook

brunch, nel bar del teatro, un pranzo informale immersi tra libri e archeologia, faranno parte del focus. Il primo incontro dal titolo L’archeologia che riscrive il web, sabato 1° ottobre, è con l’archeologa Antonia Falcone, autrice di Archeosocial, il primo volume interamente dedicato alla comunicazione social delle discipline archeologiche, aggiornato nel 2022 in Archeosocial 2.0. Il secondo brunch, domenica 2 ottobre, ha per titolo «L’uomo preistorico era

anche una donna», con Enza Elena Spinapolice, archeologa, che insegna preistoria e protostoria del Mediterraneo e Archeologia e culture del Paleolitico alla «Sapienza» Università Roma che introdurrà i libri Lady Sapiens (2022) e La Preistoria è donna (2021).

TRA STORIA E FICTION Due le serate speciali del festival: Oltre al sabato con Serena Dandini, venerdí sera lo schermo si accende su Power of Rome, una gran-

CI VEDIAMO A ROVERETO Il RAM film festival 2022 ha in programma una serie di incontri speciali davvero da non perdere. Quattro sono gli aperitivi con i protagonisti, tre Incontri al Bistrot di Alfio Ghezzi, al Polo culturale della città, e uno al Circolo operaio di Santa Maria, uno dei piú antichi quartieri cittadini. Al Bistrot dello Chef stellato, oltre agli incontri con Sahraa Karimi e Mariarosaria Barbera legati al tema del focus «Sguardi al femminile», il 28 settembre l’aperitivo sarà dedicato al «Patrimonio in ostaggio», cioè al tema del furto e del mercato nero di opere d’arte e beni culturali, il terzo in termini di volume d’affari dopo armi e droga, in compagnia di Giusseppe Guastella, cronista di giudiziaria del Corriere della Sera, e il maggiore Lorenzo Pella, comandante del nucleo dei carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Udine, che ha condotto negli ultimi anni numerose indagini che hanno portato al recupero di moltisismi beni storico-artistici restituiti al patrimonio comune. Giovedí 29 settembre, il quartiere di Santa Maria, il primo nucleo della città sorto sul torrente Leno, ospiterà nel suo circolo operaio un «Aperitivo al Circolo» dal titolo «La legge della spada» con Andrea Rossini, esperto di scherma storica che ha aperto la prima sala in cui praticare la disciplina e in particolare la tradizione italiana medievale e rinascimentale, alla scoperta di un’epoca, il Medioevo, in cui la giustizia e l’onore si difendevano con la spada piuttosto che in tribunale.

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de produzione ideata per il compleanno di Roma nel 2022 e inUN VIAGGIO EMOZIONALE E SCIENTIFICO terpretata da Edoardo Leo, in cui si intrecciano fiction e documentaNel pomeriggio di domenica 2 ottobre è prevista anche la rio. Leo presta il volto a un attore presentazione del nuovissimo libro edito da Marsilio e scritto a due determinato a rifiutare i soliti climani da Maurizio Zulian e Graziano Tavan, Nella terra di Pakhet, ché legati a Roma, e accompagna Carnet de voyage nelle province centrali dell’Alto Egitto. Appunti di lo spettatore alla scoperta della trent’anni di esplorazioni, un viaggio, emozionale e scientifico al storia della Città Eterna, vista con contempo, alla scoperta di un Egitto «nascosto», lontano dai percorsi gli occhi di un suo abitante e deturistici, nell’Egitto Centrale: oltre agli appuntamenti programmati, ci scritta anche attraverso le parole sarà la possibilità per il pubblico di incontrare, in un piacevole spazio dei grandi imperatori, tratte da dedicato al bar del teatro, magari davanti a un caffé, i registi e gli cronache e testi tramandati nei autori presenti al Festival. secoli, ma anche da citazioni da scrittori contemporanei. A presentare il film il regista Giovanni nisti anche grazie al risultato di dell’audiovisivo» con Emanuele Troilo e gli autori Luca Lancise e progetti educational in collabora- Vernillo, tutor didattico della ZeDonato Dallavalle. zione con il Festival. Inoltre, mer- LIG-Scuola di documentario di coledí 28 settembre, si terrà un Bolzano, oltre a un corso organizcorso di formazione per giornalisti zato dalla Trentino Film CommisLA FORMAZIONE Al festival non mancano momenti in collaborazione con l’Ordine del sion e riservato ai videomaker. dedicati all’educazione, sia rispetto Trentino Alto Adige, con il gior- Sul territorio saranno inoltre dispoai temi della tutela e della valoriz- nalista Giuseppe Guastella e il nibili attività e visite guidate a siti zazione del patrimonio culturale maggiore Lorenzo Pella, sul Patri- come il castrum dell’Isola di Sant’Ansia della cultura all’immagine, che monio in ostaggio, e, giovedí 29 drea sul Lago di Loppio, e tante valorizzano il cinema stesso come settembre, un corso di formazione iniziative in collaborazione con prezioso documento e patrimonio. per insegnanti dal titolo «Appunti APT e distretti cittadini. Tre sono le mattine dedicate alle di storia e analisi del cinema Tutte le informazioni aggiornate sul scuole con un programma apposi- documentario-Incontro di in- programma sul sito www.ramfilmto, che vedranno i ragazzi protago- t ro d u z i o n e a l l i n g u a g g i o festival.it e sui relativi canali social. a r c h e o 63


MUSEI • CAMPANIA

PICCOLA GRANDE PROCIDA L’ISOLA DI ORIGINE VULCANICA, POSTA FRA ISCHIA E LA TERRAFERMA, HA DA POCHI MESI UN SUO MUSEO ARCHEOLOGICO. REALIZZATO SECONDO I PIÚ MODERNI CRITERI MUSEOGRAFICI, ATTI A SODDISFARE I NUOVI LINGUAGGI DELLA COMUNICAZIONE E DELLA RAPPRESENTAZIONE, DOCUMENTA E RACCONTA AMBIENTE, MARE E STORIA ANTICA DELL’AREA. CON PARTICOLARE ATTENZIONE AGLI SCAVI DELL’ISOLOTTO DI VIVARA, STRAORDINARIO LUOGO DI INCONTRI E SCAMBI INTERNAZIONALI A PARTIRE DALLA PROTOSTORIA di Nicola Scotto di Carlo, Federica Bertino e Monica Scotto di Covella

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P

rocida. Invisibile. Uno scoglio, quasi piatto, esteso all’incirca per tre chilometri quadrati e mezzo e il cui punto piú alto non supera i 110 m, affiora delicatamente dalle acque, quasi a ignorare la propria genesi vulcanica, un’attività violenta di cui Vivara e il promontorio di Santa Margherita sono la testimonianza geologica piú antica. Toti Scialoja, artista e pittore italiano, cita in una conversazione del 1992: «Procida è un’isola vulcanica. Dal fondo del mare che la teneva sepolta, essa venne fuori allo scoperto per virtú di sotterraneo fuoco. La sua fede di nascita la porta con sé, nella sua stessa natura – e aggiunge – una terra meravigliosa, che riceve nutrimento dalla salsedine stessa; come se le radici umide di questo brulicante giardino attingessero la loro linfa direttamente dalla profondità del mare. Un miracoloso equilibr io per cui quell’humus si imbeve di salso, di

iodio, e risponde al mare con i suoi rami protesi, col suo profumo». Una raffinata descrizione dell’isola che, tuttavia, quasi duemila anni prima, non veniva narrata con la stessa enfasi: «Ego vel Prochytam praepono Suburae» («Io persino Procida preferisco alla Suburra») – cosí Procida veniva menzionata da Giovenale in una delle Satire (III Sat., vers. 7-16), lasciando intendere che si trattava di un luogo ameno appena preferibile all’infernale Suburra. Nulla di cui meravigliarsi.

LO SPIRITO DEL LUOGO Fortunatamente la storia, oggi, ci racconta altro. «Prochyta» avvolta dal mare, silenziosa, oggi, come duemila anni fa, è diffusamente percepita come uno «scoglio» all’ombra di Ischia e Capri, famose una per le acque termali, l’altra per le bellezze naturali. Ma questo non deve far pensare a un luogo privo d’identità. L’identità si determina proprio gra-

zie alla contemporanea presenza di genius loci, lo spirito del luogo, di elementi immateriali e fisici in grado di restituire una caratterizzazione formale e sostanziale dello spazio abitato, delle relazioni sociali e di quelle culturali che, in Procida, sono interconnesse con quelle mediterranee e di oltreoceano. Ciò che dev’essere indagato è il rapporto ancestrale tra i Procidani e il mare, un legame intimo e primitivo che solo apparentemente risulta essere scontato, ma è, in realtà, unicamente originale e contemporaneo oltre che, seppur nella sua evoluzione, coerente nel tempo. È quindi il territorio, nelle sue declinazioni storiche e sociali oltre che delle sue caratteristiche geomorfologiche, a essere il soggetto d’indagine di cui, mediante la costruzione di relazioni tematiche tra diverse discipline, si intende evidenziarne le molteplici letture. Percorso non semplice, se non fosse che…

Veduta di Procida, una delle Isole Partenopee (o Flegree), situata nel Golfo di Napoli.

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MOSTRE • CAMPANIA

Inaugurato nello scorso maggio, il Museo Civico di Procida «Sebastiano Tusa» è, in realtà, lo spin off di un precedente progetto chiamato «TERRA» (TEchnology and ReseaRch for Archaeology). Un’area espositiva frutto delle attività di ricerca compiute nel periodo 2010-2012 dai gruppi di studio degli atenei napoletani Centro Euro Mediterraneo dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa e DISTAR dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Tali attività furono finanziate da un progetto PON, de-

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nominato SINAPSIS (SIstema NAzionale Protezione SIti Sensibili), che mirava alla realizzazione di un Sistema integrato per la valorizzazione, fruizione e salvaguardia del patrimonio culturale, emerso e sommerso, attraverso lo sviluppo di soluzioni innovative e la relativa integrazione di tecnologie esistenti. Tale progetto, di cui oggi il Museo porta in dote le esperienze, nacque per tutelare e proteggere le opere dal tempo, dal conseguente degrado, dal rischio di furti o danneggiamenti. I temi oggetto del progetto

A destra: cartina del Golfo di Napoli con l’ubicazione dell’isola di Procida. Sulle due pagine: la sede del Museo Civico «Sebastiano Tusa» (al centro) e alcuni particolari dell’allestimento.

Somma Vesuviana

Quarto

Mar Tirreno

Pozzuoli Baia

Bagnoli

Napoli

Vesuvio Torre del Greco

Procida

Torre Annunziata

Ischia

di ricerca compresero una gamma molto ampia di interventi, che andavano dalla tutela dei beni sommersi, alla protezione di ampie aree archeologiche, dalla conservazione dei manufatti preistorici alla tutela delle opere musive, dalla valorizzazione delle opere immagazzinate alla fruizione via web dei beni culturali non facilmente visitabili.

NELL’EX CONSERVATORIO In questo progetto, Procida era un dimostratore e fu individuata come il luogo idoneo da destinare alla disseminazione dei risultati, in particolare a quelli riferiti agli strumenti prototipali per la digitalizzazione 3D e ai sistemi per la musealizzazione dei beni culturali sommersi ed emersi. Tenuto conto che il piano ipogeo del palazzo dell’ex Conservatorio delle Orfane, in località Terra Murata, era già sede del laboratorio di Conservazione e Restauro dell’Università Suor Or-

Castellammare di Stabia

Golfo di Napoli

Sorrento

Positano

Nerano

Capri

sola Benincasa in cui erano custoditi, e lo sono tutt’oggi, i reperti archeologici relativi agli scavi di Vivara, gli atenei coinvolti nel progetto, insieme al Comune di Procida, presero la decisione di realizzare il sistema espositivo/informativo digitale e virtuale «TERRA», dedicato alla divulgazione delle tecnologie e delle ricerche applicate al patrimonio archeologico, culturale, unico nel mondo dei siti «minori» mediterranei. Il modello di convergenza tra ricerca e divulgazione, di cui ancora oggi l’attuale Museo Civico si fa vanto, fu messo a regime connettendo le attività di ricerca archeologica della «Missione Vivara» con il laboratorio di conservazione e restauro dei reperti, con il piano espositivo che all’epoca conteneva solo copie digitali dei reperti e repliche realizzate in archeologia sperimentale. (segue a p. 70)

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MUSEI • CAMPANIA

IL PERCORSO ESPOSITIVO Il Museo Civico «Sebastiano Tusa» si articola in tre sezioni tematiche: Ambiente, Mare e Storia Antica dell’Isola di Procida. La Sezione Ambiente include la Sala della Geologia dedicata alla narrazione della genesi vulcanica del comprensorio Procida-Vivara e alla conoscenza delle tipicità geologiche della medesima area, tramite l’esposizione di campioni di roccia e della piú recente mappa geologica del territorio. Un percorso necessario per comprendere la leggibilità del vulcanesimo flegreo sull’attuale orografia e per prendere conoscenza dei materiali che caratterizzano il territorio grazie alla lettura dei depositi causati dalle diverse eruzioni succedutesi negli ultimi 75 000 anni. La Sezione Mare, in questa prima fase, è definita nella Sala della Marineria Procidana, e qui si è scelto di descrivere e narrare l’intenso legame esistente tra il territorio procidano, e dei suoi abitanti, con il mare.

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In particolare, gli argomenti sono organizzati in queste classi di contenuto: Il naviglio a Procida tra Sei e Settecento, Vita di mare a Procida nel Settecento: sito reale e città regia (1734-1806), La gente di mare e la mutua assistenza: il Pio Monte dei Marinai di Procida (1617-2019), dalla rete degli armatori un sostegno alla scuola nautica (1815-1833), la rete degli armatori nel post-unitario. In questa sala, il Museo accoglie le collezioni private delle famiglie procidane che, dopo un’attenta analisi e selezione, sono state valorizzate con la loro esposizione. In dettaglio, gli oggetti esposti si riferiscono agli strumenti di costruzione delle navi nel periodo ottocentesco e agli strumenti di navigazione e carteggio nautico oltre ai diplomi di capitano di lungo corso che venivano rilasciati ai Capitani dalla scuola nautica. La Sezione Storia Antica dell’isola di Procida espone le tracce e le testimonianze archeologiche evidenziate


Sulle due pagine: le sale del Museo Civico «Sebastiano Tusa» allestito nell’ex Conservatorio delle Orfane di Procida, in località Terra Murata. In basso: la vetrina della Sala della Geologia in cui sono esposti frammenti piroclastici prodotti da alcune delle eruzioni vulcaniche succedutesi nell’isola di Procida negli ultimi 75 000 anni.

dagli scavi di Vivara e si articola in: Sala «ProcidaVivara nell’età del Bronzo», Sala «Il Porto-Approdo, la vita quotidiana, gli incontri e gli scambi» e Sala «Il Villaggio di Vivara-Punta d’Alaca». Quest’ultimo tema, che mette in connessione geologia e archeologia – che

nello sviluppo espositivo si integrano con quello storico-marinaresco, evidenziando l’antichissima discendenza dei Procidani e il loro innato spirito marino – viene anche approfondito nella seconda parte dell’articolo (vedi alle pp. 72-77).

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MUSEI • CAMPANIA

SPERIMENTAZIONE E NUOVE FORME DI COMUNICAZIONE Viviamo ormai nell’era delle Digital Humanities, in cui la cultura umanistica si ibrida con quella digitale. Il Museo deve essere capace di interpretare un nuovo modo di comunicare il patrimonio culturale, paesaggistico, demo-etno-antropologico e ambientale. Una metodologia che riesca a cogliere le nuove esigenze di valorizzazione dei beni culturali e che sappia interpretare il loro contesto di inserimento nelle epoche passate, ma anche in quelle presenti in una socialità rinnovata ed evoluta. Il Museo Civico di Procida vuole interpretare questa «nuova contemporaneità», in cui l’aumento esponenziale delle nuove tecnologie nella cosiddetta società complessa ha determinato una dematerializzazione dei processi di apprendimento. Questa caratteristica, come hanno evidenziato gli economisti Joseph Stiglitz e Bruce Greenwald è «la determinante piú importante dell’innalzamento degli standard di vita: in parte, se non in ampia misura, è anche quasi di sicuro endogeno». Il museo può e deve essere parte di questo processo. Come sostiene Fabrizio Manuel Sirignano, dalla società fondata sul lavoro siamo passati alla «società che apprende», in cui «il sapere diviene il nuovo capitale a fondamento dell’economia, dello sviluppo sociale e della realizzazione degli individui, e la condizione per la partecipazione e la cittadinanza attiva, aprendo cosí inedite prospettive per l’istruzione e la formazione lungo l’intero corso della vita degli individui». Questo processo si annoda intorno a un altro concetto

Nel 2017, fu approvato lo Statuto del nascente Museo Civico di Procida, che fu dotato di una struttura di gestione e una tecnico-scientifica. Grazie al Comune di Procida, alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli, ai due citati atenei campani – insieme ai tanti professori, ricercatori, studiosi e studenti universitari che vi hanno profuso lungo tempo ed energie –, il Museo Civico, quindi, inizia oggi il suo percorso per diventare una realtà culturale di tipo «infrastrutturale» attiva nella valorizzazione del proprio territorio e di tutte le dinamiche culturali che lo caratterizzano. 70 a r c h e o

fondamentale in cui si ritrova l’uomo nella sua capacità di comprensione, ovvero il linguaggio. Quindi, nel piccolo del nostro Museo Civico, è presente una introduzione trasversale ai linguaggi e agli spazi della connessione digitale; immaginiamola come un’esperienza di alfabetizzazione digitale trasversale e a tappeto, come una forma e un canale di relazione sociale. Tra i progetti realizzati, e che nel 2023 potrà trovare una nuova collocazione presso gli spazi espositivi, si cita MareXperience. Un progetto nato all’interno del Museo Civico insieme al gruppo di ricerca del Suor Orsola Benincasa. Con questa iniziativa si volle verificare una metodologia di registrazione di corpi in movimento, di trasferimento dei parametri cinematici in un ambiente digitale di simulazione quale quello di una delle «grotte» che caratterizzano il porto della Marina grande di Procida. Tramite sistemi e procedure di acquisizione tridimensionale dell’ambiente sottomarino, si registrarono le traiettorie di banchi di pesce. Dopo l’acquisizione, con l’uso di software di Intelligenza Artificiale, si produssero elaborati che furono interpretati in chiave digitale e creativa da designer che produssero una bellissima videoproiezione mappata all’interno della grotta, abbinandola a suoni spazializzati tridimensionali. Questa sperimentazione, oltre ad altre tipologie di studio, contribuí a verificare l’efficacia di determinati linguaggi di rappresentazione come mezzo di aggregazione e di trasmissione del sapere.


Sebastiano Tusa (1952-2019), l’archeologo al quale si è scelto di intitolare il Museo Civico di Procida. In basso: un’altra veduta di Procida. Nella pagina accanto: una delle sezioni del museo dedicate agli scavi condotti nell’isolotto di Vivara.

In un territorio piccolo come quello di Procida, per di piú nella sua natura di isola, realizzare un museo strutturato secondo logiche che appartengono alle realtà di proprietà statale o dei musei civici delle gran-

di città è una sfida stimolante. Una sfida che si fa ancora piú ardua quando il museo stesso, considerate le premesse di luogo e dimensione, intende essere progettato secondo i valori espressi dalla museologia e

museografia contemporanea. Il ruolo, quindi, di una realtà del genere si estende fino a divenire un elemento attivo nel ripensamento sociale. Il «luogo» contenitore delle collezioni diventa un riferimento formale per dotarsi di identità riconoscibile e compiere i propri compiti istituzionali, ma le «azioni» che esso promuove e realizza possono essere anche esterne a se stesso proponendosi come attuatore di iniziative di divulgazione e promozione o partner di enti di tutela e/o di ricerca. Non a caso, si insinua in quest’ambito l’esteso settore della «economia della conoscenza», che nell’epoca attuale significa riuscire a sviluppare, in quel contesto, progettualità e prodotti che abbiano nelle proprie corde la visione olistica necessaria per soddisfare i nuovi linguaggi della comunicazione e della rappresentazione, a cui oggi i cittadini sono abituati, e necessari per valorizzare il patrimonio culturale.

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MUSEI • CAMPANIA

LA STORIA PIÚ ANTICA DELL’ISOLA

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ome accennato all’inizio di questo articolo, il Museo è stato progettato per mettere in connessione diverse aree disciplinari. L’evoluzione geologica dell’isola, in particolare quella piú recente, risulta essere in stretta connessione con le dinamiche di insediamento: le ricerche hanno infatti dimostrato che durante la media età del Bronzo, l’intero comprensorio Procida-Vivara doveva presentare un’altezza maggiore di circa 14 m e l’attuale golfo di Genito, specchio d’acqua tra Vivara e il promontorio di Santa Margherita, doveva essere un ampio arenile costituito da ciottoli e sabbia, luogo ideale dove approdare dopo lunghe navigazioni. Questi cambiamenti morfologici, verificatisi nel corso dei secoli, sono attentamente esposti tramite un sistema di proiezione zenitale su plastico tridimensionale. Oggi, la storia piú antica dell’isola è stata ricostruita grazie alle ricerche archeologiche effettuate sull’isolotto di Vivara, i cui ritrovamenti caratterizzano la «Sala II» e la «Sala III», entrambe dedicate all’esposizione delle principali categorie di reperti provenienti dall’area archeologica di Punta d’Alaca. Le ricerche archeologiche, iniziate 72 a r c h e o

già negli anni Trenta del secolo scorso con attività di scavo sistematiche, hanno portato alla luce tracce di insediamenti riconducibili a una frequentazione umana risalente al

XVII secolo a.C. I risultati piú significativi furono raggiunti con l’apertura di un’area di scavo presso una delle terrazze soprastanti la (segue a p. 76)


In alto: l’isolotto di Vivara, oggetto di scavi archeologici che hanno restituito importanti attestazioni riferibili all’età del Bronzo. A destra: visione zenitale del battuto pavimentale e indicazioni degli elementi strutturali della Capanna 2 e della Fossa beta dell’insediamento di Punta d’Alaca a Vivara. Nella pagina accanto: boccale con decorazione a «barbotine», orlo leggermente svasato, corpo ovoidale, fondo piatto e piccola ansa canaliculata, leggermente sopraelevata (parzialmente ricostruita), dagli scavi di Vivara.

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MUSEI • CAMPANIA

I RAPPORTI CON LA GRECIA D

all’isolotto di Vivara al Museo Civico di Procida «Sebastiano Tusa» il passo è stato breve. I tanti ritrovamenti archeologici di questi ultimi anni hanno imposto la creazione, all’interno del nuovo spazio culturale, di una sezione interamente dedicata alle ceramiche vivaresi. Teche, ricostruzioni grafiche, plastici e videoproiezioni in grado di riportare indietro le lancette della storia e condurre i visitatori alla scoperta della vita sull’isola durante l’età del Bronzo. Nel corso del II millennio a.C., Vivara assunse un ruolo di grande rilievo nell’ambito dei traffici marittimi che collegavano la Grecia micenea con l’Occidente. L’interesse delle nuove élites micenee nei confronti del bacino occidentale del Mediterraneo era certamente dettato dalle possibilità che questo offriva per l’approvvigionamento di materie prime metalliche (rame e stagno). Attraverso queste rotte, prodotti e manufatti di pregio raggiungono gli ambienti insulari occidentali. Le ricerche di terra e subacquee condotte a Vivara hanno accertato la presenza stabile sull’isola di un insediamento capannicolo già dagli inizi del XVII secolo a.C. e hanno individuato l’originario assetto dell’area interna al cratere, che durante l’età del Bronzo presentava una vasta spiaggia oggi sommersa tra i 3 e i 16 m. Il complesso costituiva un formidabile porto naturale che offriva diverse possibilità di

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approdo e di alaggio dei navigli. Navigli che, provenienti dalle coste della Messenia, della Laconia e dell’Argolide, giungevano a Vivara portando con sé beni di prestigio, collane in pasta vitrea e vesti decorate con applique in lamina d’oro, ma, soprattutto, grandi vasi da trasporto e raffinate coppe e tazzette dipinte, brocche di finissima fattura e vasetti contenenti oli profumati, come testimoniano i numerosi reperti rinvenuti durante le campagne di scavo e oggi in parte esposti nelle teche del Museo. Il corpus delle ceramiche egee di Vivara comprende infatti una vasta tipologia di vasi di fabbrica fine, torniti e decorati con pittura brillante, spesso riferibili a piccoli contenitori per l’esportazione di oli ed essenze, e un altrettanto vasta tipologia di ceramiche cosiddette coarse, per lo piú giare di medio-grandi dimensioni adatte al trasporto via mare e/o all’uso quotidiano. Le ceramiche di questo tipo viaggiavano sulle navi, svolgendo spesso funzione di «container». La maggior parte dei frammenti di fabbrica fine rinvenuti è riconducibile a forme chiuse quali brocche, giare, alabastra, askoi, mentre le forme aperte maggiormente attestate sono la tazzetta emisferica e di tipo Vaphiò e il calice o goblet. I motivi decorativi attestati sono vari: numerosa è la presenza di decorazioni lineari a bande parallele e orizzontali e di bande ad andamento curvo


A sinistra: applique in lamina d’oro probabilmente a forma di farfalla o di ape, con piccoli fori perimetrali tondi per l’originaria cucitura su indumento di carattere cerimoniale. Il manufatto è stato rinvenuto sul fondo della struttura ipogeica denominata Fossa alfa, situata sul pianoro soprastante Punta d’Alaca e appartenente alla fase piú antica dell’insediamento dell’età del Bronzo di Vivara. A destra: askos con decorazione a croco, dagli scavi di Vivara. Nella pagina accanto: frammento di vaso con motivo decorativo geometrico in corso di scavo.

interpretabili, per lo piú, come porzioni del motivo a spirale. Sono inoltre accertati ulteriori motivi decorativi come quelli piú propriamente floreali (edera, croco, steli multipli), a racchetta, a doppia ascia, a linee sinuose, a cerchietti e puntini. Tra i reperti esposti all’interno del Museo, particolare attenzione va attribuita a un askos di piccole dimensioni che presenta una peculiare decorazione in vernice brillante nerastra composta da piante di croco poggianti su due bande parallele orizzontali. Questo tipo di decorazione, associata alla forma, ha permesso di datare il reperto a una fase

avanzata del Tardo Elladico IIA. Le analisi gascromatografiche hanno inoltre rilevato la presenza di residui organici riferibili a olio di oliva aromatizzato con estratti di erbe. Un patrimonio, questo, che il Museo Civico di Procida «Sebastiano Tusa» conserva gelosamente, operando quotidianamente per migliorarne la leggibilità e la comprensione con azioni di disseminazione e con la partecipazione attiva a progetti e iniziative in collaborazione con gli istituti di formazione primaria e secondaria, con le università e le tante forze presenti sul territorio. a r c h e o 75


MUSEI • CAMPANIA

Ciraccio Punta Capitello

Chiaiolella

S. Margherita

GOLFO DI GENITO Punta d’Alaca

Punti di ormeggio

Aeree di alaggio

Aerea dell’insediamento dell’età del Bronzo

Aree di lavorazione del metallo

Grotte-magazzino

Aeree scavate

Sorgenti di acqua dolce

Odierna linea di costa

Punta d’Alaca; qui, al di sotto di circa 3 m di accumulo, furono individuate due strutture circolari (le cosiddette Fossa alpha e Fossa beta), e strutture capannicole, due delle quali (le cosiddette Capanna 1 e Capanna 2) sono state sottoposte a scavo integrale. I dati piú interessanti e utili per la ricostruzione storica, provengono dalle indagini 76 a r c h e o

Grotta-arsenale

Linea di costa dell’età del Bronzo

A sinistra: mappa che ricostruisce l’antico portoapprodo e l’arenile in ciottoli e sabbia antistante l’isolotto di Vivara. In basso: plastico con proiezione zenitale per la rappresentazione dei cambiamenti geomorfologici di Vivara e dell’attuale golfo di Genito. Nella pagina accanto, in alto: una ciotola carenata, una coppetta e un piccolo boccale. Nella pagina accanto, in basso: frammento di matrice di fusione; sulla faccia superficiale vi è la forma di una spada a lingua da presa.


effettuate presso la Capanna 2, nella quale, al di sotto dei crolli delle strutture portanti, vennero alla luce reperti di vario tipo, tra i quali contenitori fittili d’importazione, manufatti in metallo, strumenti litici, importanti tracce di carattere bioarcheologico (probabilmente da riferire alla preparazione e consumazione di pasti) e contenitori di produzione locale riconducibile alla facies protoappenninica. Un’intera teca è infatti dedicata all’esposizione di cinque differenti tipologie di contenitori ceramici di tipo «locale», riconducibili sia a forme chiuse che a forme aperte, quali un’olla biconica di medie dimensioni, una ciotola carenata, un boccaletto decorato con piccole bugne, una tazzetta e un particolare boccale con decorazione a «barbotine», forme tipiche dell’arredo domestico, utilizzate per contenere cibi e bevande; al centro di una delle sale, troveranno posto due grandi pithoi (grandi contenitori per derrate).

LA VITA QUOTIDIANA Per delineare al meglio gli aspetti della vita quotidiana e delle attività svolte nel piccolo abitato dell’età del Bronzo, trovano spazio all’interno dell’esposizione, parte dei reperti archeozoologici riconducibili a caprovini, suini, bovini e resti di ittiofauna, e reperti archeobotanici quali orzo, farro e fave. Altra evidenza riscontrata presso l’insediamento di Punta d’Alaca è la grande quantità di materiale riconducibile alla lavorazione dei metalli; tali evidenze attestano come la comunità vivarese avesse un alto livel-

lo di interazione culturale con le comunità egee, in particolar modo nel settore della metallurgia. Lo testimonia il ritrovamento del frammento di una forma di fusione in pietra di una spada riconducibile a un modello tipicamente miceneo. Tra i rinvenimenti vanno segnalati anche due punte di freccia con innesto a cannone, spilloni in bronzo e residui di operazioni di fusione. Altro indicatore della forte presenza di attività legate al commercio marittimo è il ritrovamento di numerosi «tokens» (letteralmente, gettoni) di forme e dimensioni differenti: ricavati dal riutilizzo di frammenti di vaso o direttamente plasmati ad hoc, essi erano utilizzati per mantenere memoria delle quantità e delle tipologie di beni in circolazione. Il racconto della storia piú antica del comprensorio Procida-Vivara prosegue con un sistema di proiezioni finalizzato alla ricostruzione di una delle due capanne «vivaresi»,

sulla cui proiezione sono collocate alcune copie pertinenti a reperti ceramici originali. L’utilizzo di repliche di manufatti ceramici è previsto allo scopo di fornire un’ottima esperienza tattile per visitatori non vedenti, ipovedenti e/o bambini. DOVE E QUANDO Museo Civico «Sebastiano Tusa» Procida, via San Michele 1 Orario ve-do, 10,00-13,00 e 16,00-19,00 Info tel. 081 8967253

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ARCHEOLOGIA E LETTERATURA/1

UN FINLANDESE IN ETRURIA FINZIONE LETTERARIA E RICERCA STORICO-ARCHEOLOGICA SONO INCOMPATIBILI? NON SI DIREBBE, SE CONSIDERIAMO L’ATTENZIONE VERSO IL MONDO ANTICO DI TANTI SCRITTORI, MODERNI E CONTEMPORANEI. PRENDIAMO L’ESEMPIO DI MIKA WALTARI, AUTORE DI BESTSELLER INTERNAZIONALI AMBIENTATI NELL’ANTICO EGITTO E NELLA TERRA DEGLI ETRUSCHI... di Giuseppe M. Della Fina

I

n un articolo, ormai celebre, di Massimo Pallottino, uno dei maggiori archeologi di quel secolo e il rifondatore dell’Etruscologia, l’autore s’interrogava sul rapporto tra l’Etruria degli studiosi e quella dei letterati e osservava che le due tradizioni corrono per vie divergenti e, all’apparenza, incomunicabili: «quella della ricerca obbiettiva e quella dell’intuizione poetica». In chiusura del saggio, suggeriva che un etruscologo – ma vale per qualsiasi altro archeologo – dovesse accogliere invece la sollecitazione emotiva della letteratura e non temere: «il contagio dell’entusiasmo. In questo senso le vie divergenti si ricongiungono; e la scienza può riconoscere ancora una volta il suo debito alla poesia» («Scienza e poesia alla scoperta degli Etruschi», in

Lo scrittore finlandese Mika Waltari (1908-1979) in una foto del 1957. Nella pagina accanto: Tarquinia, necropoli dei Monterozzi. Particolare di una delle pitture murali della Tomba del Triclinio raffigurante un suonatore di doppio flauto. 470 a.C. circa. 78 a r c h e o


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ARCHEOLOGIA E LETTERATURA/1

SINUHE L’EGIZIANO Il romanzo storico piú noto di Mika Waltari è Sinuhe Egyptiläinen, pubblicato in Finlandia nel 1945 e riproposto, piú volte in Italia, con il titolo di Sinuhe l’egiziano. Proprio, in apertura del romanzo, lo scrittore fa dichiarare la sua idea di letteratura al protagonista Sinuhe: «Io, Sinuhe, figlio di Senmut e di sua moglie Kipa, dichiaro questo. Non scrivo per la gloria degli dei della terra di Kem, poiché sono stanco di dei, né per la gloria dei Faraoni, dato che sono stanco delle loro gesta. Scrivo non per timore, né per alcuna speranza di futuro, ma per me stesso soltanto». Il romanzo divenne un bestseller internazionale tradotto in 41 lingue, tra le quali il croato, l’ebraico, l’arabo, il farsi, il giapponese. Testa colossale di Amenofi IV (Akhenaton), faraone della XVIII dinastia, 1348-1331 a.C., da Karnak. Luxor, Museo. Nella pagina accanto; a sinistra: la locandina del film Sinuhe l’Egiziano. Nella pagina accanto; a destra: Mika Waltari nel 1934. 80 a r c h e o


Quaderni dell’Associazione Culturale Italiana (24, 1957, pp. 5-22). Un suo allievo, l’etruscologo Mauro Cristofani – il docente con il quale mi sono laureato in anni ormai lontani presso l’Università di Siena – dava a noi (a nostra volta suoi allievi) un suggerimento: «Studiate i materiali e leggete I Promessi Sposi». In fondo – con altre parole e in un contesto diverso – suggeriva la stessa indicazione di Massimo Pallottino. Da qui l’idea di una serie di articoli che vogliono gettare uno sguardo sulla narrativa e provare a rico-

UN LIBRO DIVERSO Mika Waltari si è interrogato sul suo romanzo di maggiore successo, ovvero Sinuhe l’egiziano e ha osservato: «Sinuhe sarebbe un libro totalmente diverso, se l’avessi scritto prima della seconda guerra mondiale. La mia visione del corso della storia sarebbe stata del tutto diversa, non avessimo dovuto vivere quella assoluta, crudele e sanguinosa politica di potere da parte delle grandi potenze, senza riguardo alcuno per i diritti dei piccoli paesi».

UN AUTORE PROLIFICO Figlio di un pastore luterano, Mika Waltari nacque a Helsinki nel 1908, dove si laureò nel 1929. Nel frattempo, nel 1925, aveva pubblicato il suo primo libro Jumala paossa (La fuga da Dio). Nel 1928 riuscí a suscitare l’attenzione della critica con Suuri illusio (La grande illusione), romanzo sulla gioventú negli «anni del jazz» e scritto a Parigi in una stanza di un albergo. Durante la seconda guerra mondiale fu arruolato nell’Ufficio Propaganda dell’Alto comando dell’esercito finlandese, dove fu molto attivo. Nei primi anni del dopoguerra si affermò come scrittore di successo, orientandosi verso il romanzo storico. L’elenco delle sue pubblicazioni comprende un centinaio di lavori: è stato quindi un autore prolifico e il pioniere di una letteratura che voleva parlare – riuscendoci a pieno nel suo caso – a un pubblico ampio e internazionale pur non perdendo in qualità. Fu anche giornalista, autore di teatro e poeta. È morto nel 1979.

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ARCHEOLOGIA E LETTERATURA/1 A sinistra: antefissa con testa femminile. VI sec. a.C. Capua, Museo Provinciale Campano.

struire i tempi e i modi dell’attenzione che essa ha manifestato e manifesta verso il mondo antico. Si scoprirà con sorpresa che numerosi sono stati gli scrittori che con esso si sono misurati: autori diversi tra loro per epoca, per lingua, per formazione, per genere letterario, per aspirazioni. Come differenti e var i sono i popoli dell’antichità che hanno saputo interessarli e anche questa osservazione può risultare sorprendente.

GRANDI SCOPERTE E GENTE COMUNE Alcuni scrittori sono stati attratti dall’avventura della scoperta, altri da un passato ritenuto in grado d’illuminare il presente, altri ancora da singole personalità capaci di caratterizzare il loro tempo. Non mancano nemmeno le ricostruzioni della vita di persone comuni conosciute soltanto da qualche riga di un’iscrizione, o di personaggi non reali ma 82 a r c h e o

immaginari, come un romanziere può fare. Il nostro viaggio alla scoperta degli intrecci tra archeologia e letteratura prende avvio da Mika Waltari (1908-1979), autorevole rappresentante di una letteratura «periferica» quale è quella finlandese e, al contempo, autore di bestseller internazionali e in collegamento con l’industria cinematografica.


Waltari è noto soprattutto per il successo di Sinuhe egyptiläinen (Sinuhe l’egiziano nella versione italiana) pubblicato nel 1945 in Finlandia e che ebbe una pronta traduzione in lingua inglese (New York 1949), da cui, nel 1954, venne tratto un film diretto da Michael Curtiz, che – a sua volta – ebbe un successo enorme, dando un contributo notevole alla notorietà interna-

zionale dello scrittore. L’esperienza del romanzo storico non risulta isolata nella sua produzione, anzi ne ha costituito l’asse portante, pur non essendo la sua unica forma di espressione letteraria: si possono ricordare, in proposito, alcuni racconti gialli aventi come protagonista il commissario di polizia Palmu, in servizio a Helsinki (vedi box a p. 90),

o un libro di viaggio, Lähdin Istanbuliin, scritto nel 1947 (vedi box a p. 89).

FRA BISANZIO E ROMA Tra gli altri romanzi storici di Waltari vanno citati almeno Johannes Angelos (1954), di cui nel 2014 è uscita una versione in lingua italiana con il titolo Gli amanti di Bisanzio (vedi box a p. 88), o i due ambientati nel mondo romano: Valtakunnan salaisuus (1959) e Ihmiskunnan viholliset (1964). Il primo è noto, nel mondo anglosassone, come The Secret of the Kingdom e il secondo come The Roman (1966), mentre in Italia sono stati pubblicati rispettivamente con i titoli Marco il romano (1961) e Lauso il cristiano (1967). Uno dei romanzi storici piú riusciti dello scrittore è, però, Sulle due pagine: Cerveteri, Interno della Tomba dei Rilievi, acquerello di Samuel J. Ainsley. 1843. In basso: la copertina dell’edizione italiana di Turms l’etrusco, il romanzo storico che Waltari pubblicò nel 1955.

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ARCHEOLOGIA E LETTERATURA/1

Turms kuolematon – Turms l’etrusco nell’edizione italiana – pubblicato nel 1955 in Finlandia e riproposto prontamente in lingua inglese (Londra 1956) e in lingua spagnola (Città del Messico 1957 e Barcellona 1958). Ha per protagonista un personaggio etrusco e su di esso ci soffermeremo per indicare come una civiltà meno nota – rispetto a quella romana, o greca, o egiziana – abbia saputo suscitare, comunque, interesse. Va tenuto presente che, negli anni della pubblicazione di Turms l’etrusco, si era avuta in Europa quasi una riscoperta del mondo etrusco grazie al successo dell’esposizione «Mostra dell’arte e della civiltà etrusca», che, tra il 1955 e il 1956, venne allestita a Zurigo, Milano, Parigi, L’Aja, Oslo e Colonia.

In alto: lastra in terracotta policroma del tipo Campana raffigurante un uomo di fronte a un altare, da Cerveteri. 550-525 a.C. Parigi, Museo del Louvre. A sinistra: base di statua in trachite con un’iscrizione, dagli scavi in località Campo della Fiera (Orvieto), identificata con il sito del santuario del Fanum Voltumnae. 84 a r c h e o

Proviamo a vedere il romanzo di Mika Waltari piú da vicino e a riassumerne la complessa trama. Il protagonista, Turms, si muove in decenni importanti per la storia del Mediterraneo del I millennio a.C.: i decenni, a cavallo tra il VI e il V secolo a.C., che videro la distruzione della polis di Sibari in Magna Grecia (510 a.C.); la rivolta ionica terminata con la rovina di Mileto (500-494 a.C.); il superamento della monarchia e l’affermazione della Repubblica a Roma (509 a.C.) con le tensioni immediatamente successive; la vittoria dei Greci sui Persiani a Maratona (490 a.C.) e nella battaglia navale di Salamina (480 a.C.) e sui Cartaginesi a Imera (480 a.C.); il ridimensionamento dell’influenza etrusca nel Mar Tirreno con la


Testa coperchio in terracotta di un canopo, da Dolciano. Prima metà del VI sec. a.C. Chiusi, Museo Archeologico Nazionale. I canopi sono cinerari caratteristici del territorio di Chiusi e vengono cosí denominati per la somiglianza formale con i vasi funerari che gli Egiziani destinavano alla conservazione delle viscere estratte dal corpo dei defunti, al momento della mummificazione.

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ARCHEOLOGIA E LETTERATURA/1

sconfitta avvenuta nelle acque di fronte a Cuma (474 a.C.). Di quest’ultimo scontro Waltari dimostra di avere compreso a pieno le conseguenze per il mondo etrusco: «Al largo di Cuma la nostra flotta patí la piú grave sconfitta toccata a navi etrusche. Il mare non è piú nostro. I greci seguitano a fondare nuove colonie sulle isole del nostro antico mare. Al posto di navi abbiamo incominciato a costruire mura per difendere le nostre città. Ora che i greci hanno distrutto il nostro commercio stiamo spendendo le ricchezze di intere generazioni in86 a r c h e o

torno a queste mura. E intanto di cercando sé stesso e scoprendo, al anno in anno Roma si fa piú auda- termine di varie peripezie, di essere ce, piú arrogante, piú intollerabile». figlio di Lars Porsenna, il condottiero piú noto e celebrato della storia etrusca. La sua vera identità viene, UN POPOLO infatti, svelata: «Ti abbiamo riconoSENZA FUTURO Quando s’iniziano a costruire mura sciuto. Tra poco ti mostrerò le semal posto delle navi significa che la bianze di tuo padre, perché nelle fase espansiva di un popolo è termi- viscere della sua tomba egli riposa nata, che esso si concentra sulla di- per l’eternità sul proprio sarcofago, fesa del suo passato ritenendo a tor- una coppa sacrificale nella mano to o a ragione, cosciamente o inco- (…) Lars Porsenna fu il piú valoroso sciamente, di non avere piú un fu- dei governanti dell’entroterra (…) turo: Waltari lo sa e sembra volerlo conquistò persino Roma, pur non suggerire.Turms si muove in mezzo costringendo i romani a reinsediare agli avvenimenti storici ricordati il loro governante esiliato».


Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

Nella sua personale odissea, Turms ha modo di conoscere personaggi sia realmente esistiti sia immaginari come l’affascinante Arsinoe, che è di fatto la protagonista femminile del libro, e di vagare per il Mediterraneo raggiungendo Sibari, la Ionia, Delfi, diverse città della Sicilia, Roma e, in Etruria, Veio, Tarquinia, Cerveter i, Populonia, Chiusi, Volsinii (Orvieto) e il Fanum Voltumnae, per limitarci solo ad alcune delle tappe del suo lungo viaggio alla riscoperta della sua vera identità e del suo destino. Il quadro storico delineato è credi-

Sulle due pagine: immagini relative alle recenti campagne di scavo condotte in località Campo della Fiera (Orvieto). In alto, scultura in terracotta raffigurante una divinità maschile, al momento della scoperta, databile tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C.; nella pagina accanto, veduta zenitale dell’area in cui si conservano i resti del Tempio C lungo la Via Sacra.

bile? Prima di rispondere a tale domanda occorre ricordare che a uno scrittore non si deve chiedere una perfetta coerenza storica: un romanzo non può e non deve essere un trattato di storia. Narrativa e saggistica sono due realtà distinte, dotate di caratteristiche proprie. A uno scrittore di romanzi storici – come è autorevolmente Mika

Waltari – si può chiedere di tracciare un quadro credibile del periodo preso in esame senza svarioni grossolani e, soprattutto, di cercare di cogliere gli aspetti ancora vitali di una civiltà scomparsa e lontana nel tempo e nello spazio. Il nostro giudizio deve essere espresso inoltre alla luce delle conoscenze scientifiche degli anni in cui il roa r c h e o 87


ARCHEOLOGIA E LETTERATURA/1

GLI ULTIMI GIORNI DI BISANZIO Tra i numerosi romanzi storici di Mika Waltari va annoverato Johannes Angelos pubblicato nel 1954 e tradotto di recente in Italia con il titolo Gli amanti di Bisanzio (Milano, Iperborea). Il romanzo è ambientato a Bisanzio nei mesi precedenti e subito dopo la conquista della città da parte di Maometto II avvenuta il 29 maggio del 1453 con uno sguardo sulle decisioni e gli avvenimenti piú lontani nel tempo come il tentativo, culminato nel Concilio di Firenze (1439), di arrivare a una unificazione poi non riuscita tra la Chiesa greca e latina, e la battaglia di Varna (1444) dove i Turchi – guidati dal sultano Murad II – sconfissero l’esercito cristiano comandato da Ladislao III e Giovanni Hunyadi. Gli eventi nel libro sono raccontati con l’espediente narrativo – riuscito – d’immaginare un diario scritto dal protagonista Johannes Angelos che si apre il 12 dicembre 1452 e si chiude il 30 maggio

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dell’anno successivo; con un breve epilogo redatto dal servitore Manuele. Nelle pagine che si succedono vengono narrati i giochi politici non limpidi che precedettero e accompagnarono la caduta della città; le ambizioni personali, rivelatesi quasi sempre smodate ed errate, dei maggiorenti locali pur eredi di una tradizione millenaria; le aspirazioni semplici e la fede della povera gente che fa da sfondo all’avvenimento epocale; la determinazione e la spietatezza di Maometto II. Nell’ampia cornice delineata trova posto anche un amore intenso, difficile, contrastato tra Johannes Angelos e Anna Notaras, figlia del comandante in capo della flotta imperiale. Secondo i canoni narrativi di Mika Waltari, a conclusione del volume c’è una rivelazione che riguarda il protagonista e che – ovviamente – non si può né si vuole svelare.


Tavola nella quale si immagina l’assalto finale alle mura di Costantinopoli da parte delle truppe di Maometto II nel 1453. 1890. A destra: la basilica di Santa Sofia a Istanbul in una cartolina dei primi del Novecento.

manzo venne composto: la storia continua a essere riscritta e alcune verità assodate possono in seguito non apparire piú tali.

TESI ANTIQUATE Un caso concreto tratto dal romanzo di Waltari è rappresentato dal Fanum Voltumnae, il santuario federale degli Etruschi che viene collocato in prossimità del lago di Bolsena: «Il lago piú luminoso e piú azzurro tra quanti io abbia veduto era il lago sacro del nostro popolo, e alte montagne lo circondavano (...) Piú sacro di tutti era tuttavia per me il tempio del Mutevole, l’edificio, adorno di colonne di pietra del dio Voltumna, dove la camera centrale era vuota (...) per le feste d’autunno grandi folle erano convenute da

tutte le città, ancorché fosse consentito solo ai delegati e al loro seguito di entrare nel recinto sacro». Una tesi che negli anni Cinquanta del Novecento aveva un certo seguito e che oggi appare superata propendendo gli archeologi per posizionarlo ai piedi della rupe orvietana. Allo stesso tempo va segnalato che Waltari sembra collocare Velzna (Volsinii, in lingua latina) a Orvieto quando afferma: «La ricca e potente città di Volsinii sorgeva in cima ad una montagna a mezza giornata di cammino [dal lago di Bolsena]. Celebre per le sue arti e i suoi commerci, le feste d’autunno le recavano grandi benefici». Un’ipotesi avanzata per la prima volta nel 1828 da Karl Otfried Müller ma che, negli anni in cui lo scrittore finlandese scriveva, era ritenuta ancora dubbia, essendo stata riconosciuta pienamente valida soltanto negli anni Sessanta del Novecento. In questo caso possiamo dire che Waltari anticipò un giudizio critico fatto proprio solo qualche tempo dopo dalla maggioranza degli archeologi e degli storici. Con queste necessarie premesse, si può affermare che il quadro storico delineato dallo scrittore è coerente e ha i suoi punti di forza nello sguardo d’insieme che egli mostra di avere sull’intera storia del Mediterraneo nei decenni nei quali aveva scelto di ambientare le avventure di Turms. Uno sguardo d’insieme – va segnalato – che si ritrova in tutti i suoi romanzi storici. I singoli eventi vengono interpretati in maniera corretta alla luce dello scontro tra Greci, Persiani e Cartaginesi, le «superpotenze» dell’epoca, della crescita progressiva di Roma

pronta ad allargare il proprio raggio di azione e a comportarsi da «potenza regionale», e del ridimensionamento delle ambizioni etrusche. Un gioco di potere che sembra rinviare indirettamente al confronto tra Stati Uniti d’America, Unione

I SOGGIORNI A ISTANBUL Per preparare i suoi romanzi storici, lo scrittore viaggiò spesso. Soggiornò in Italia per i suoi romanzi ambientati in Etruria e nel mondo romano e fu piú volte a Istanbul – da lui chiamata Konstantinopoli – città nella quale ha ambientato Johannes Angelos: lo fece nel 1929, nel 1947 e poi nel 1968, questa volta invitato dallo Stato turco. Non ha mai visitato, invece, l’Egitto.

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ARCHEOLOGIA E LETTERATURA/1

IL COMMISSARIO SI TIENE INFORMATO Mika Waltari non scrisse soltanto romanzi storici di successo, ma anche tre polizieschi che hanno come protagonista il commissario finlandese Palmu. Il poliziotto fece la sua prima apparizione nel racconto giallo Kuka murhasi rouva Skrofin? (Helsinki 1939), tradotto in italiano nel 2014 con il titolo Chi ha ucciso la signora Skrof? (Milano, Iperborea). Da questi lavori di Waltari, negli anni Sessanta del Novecento, il regista e sceneggiatore Matti Kassila (1924-2018) ha tratto quattro film di successo notevole. Un particolare: il commissario Palmu detesta essere disturbato quando legge il giornale.

Sovietica ed Europa che caratterizzava il mondo negli anni Cinquanta del Novecento. Si può segnalare che un’interpretazione degli Etruschi alla luce della guerra fredda si ritrova anche in un articolo di Massimo Pallottino apparso sull’Osservatore Romano (27 aprile 1958), che è stato valorizzato di recente da Filippo Delpino. Il grande etruscologo li vedeva come 90 a r c h e o

«una terza forza», intermedia tra Occidente e Oriente.

UNA PROFONDA RELIGIOSITÀ Si è affermato che un romanzo storico deve saper individuare gli aspetti vitali di una civiltà scomparsa e anche questa operazione appare riuscita in Turms l’etrusco. Degli Etruschi viene colta l’intensa reli-


Tarquinia, necropoli dei Monterozzi. La parete di fondo della Tomba degli Auguri nella quale compare una finta porta a due battenti, da interpretarsi simbolicamente, ai cui lati stanno due uomini (forse sacerdoti) in un gesto di compianto. 520 a.C. circa. Nella pagina accanto, in basso: l’attore finlandese Joel Rinne nei panni del commissario Palmu, in uno degli adattamenti cinematografici dei romanzi di Mika Waltari imperniati sulla figura del poliziotto.

inutilmente, non tormentare gli dèi. (...) Ancorché tu sia il sommo sacerdote, il sommo legislatore, il giudice supremo, meno sarai invocato tanto meglio sarà. Le nazioni e le città devono imparare a vivere senza lucumoni». Sulle caratteristiche attribuite all’alta funzione di lucumone e sulle modalità del riconoscimento vi sono forzature evidenti: Waltari sembra instaurare un collegamento ideale tra una religione scomparsa e una vitale, tra la religiosità etrusca e il buddismo lamaista: il lucumone appare simile a un Dalài-lama. Gli storici della religione e gli antichisti sanno che ci troviamo di fronte a un’incomprensione, ma occorre riconoscere che l’espediente consente al lettore non specialista di comprendere meglio una religiosità profonda e diversa dalla nostra. PER SAPERNE DI PIÚ

giosità, con una presenza divina che sembra essere immanente nella natura e nella storia. Un aspetto della loro civiltà che era stato osservato già da Seneca: «Questa è la differenza tra noi e gli Etruschi che sono espertissimi nell’arte fulgurale: noi crediamo che i fulmini si producano perché le nubi entrano in collisione, essi invece ritengono che le nubi si scontrino per emettere fulmini» (Quaestiones naturales, II, 32,

Luigi De Anna, Introduzione, in Mika Waltari, Fine van Brooklin, Iperborea, Milano 1995; Giuseppe M. Della Fina, Turms Kuolematon, in Illusioni. Mika Waltari-Seuran Vuosikirja, 2006, pp. 109-114; Markéta Hejkalová, Mika Waltari. The Finn, WSOY, Helsinki 2008; Mika Waltari, Turms l’etrusco, Castelvecchi, Roma 2013

2). Un passo, con ogni probabilità, noto a Waltari e sul quale sembra avere ragionato. Senza svelare altri particolari, va segnalato che, al termine del romanzo, Turms viene riconosciuto come un lucumone: «Tu sei un Lucumone. Puoi molte cose, ma non tutte possono essere benefiche. Im- NELLA PROSSIMA PUNTATA para a scegliere, impara a discernere, impara a limitare. Non angustiarti • Marguerite Yourcenar

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SPECIALE • PITTORI DI POMPEI

GLI SPLENDIDI INGANNI DI POMPEI DALLA COLLEZIONE DEGLI AFFRESCHI DEL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI È APPRODATA A BOLOGNA, AL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO, UNA STRAORDINARIA SELEZIONE DELLE PITTURE PROVENIENTI DALLE CITTÀ VESUVIANE. UN’OCCASIONE PER AMMIRARE LA CREATIVITÀ DEI LORO ARTEFICI, MA ANCHE PER RIFLETTERE SU RUOLO E POSIZIONE SOCIALE DEI PICTORES testi di Mario Grimaldi, Paola Giovetti, Federica Guidi, Marinella Marchesi e Agnes Allroggen-Bedel

«M

a agli occhi dei Greci non era tra i marmi, i bronzi e gli ori la suprema bellezza: dei grandi eventi dell’arte fu la pittura l’inganno splendido, l’artificio per la perfetta realizzazione dell’immaginario, dove il tangibile e l’irreale si confondevano, e la memoria e i sensi erano condotti a esaltanti visioni». Con queste parole Paolo Moreno introduceva una delle sue principali opere sullo studio e la conoscenza della pittura che definiva «inganno splendido» cogliendo cosí il reale senso che tale manifestazione d’arte ebbe soprattutto per le società antiche.

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Filosofo con Macedonia e Persia, affresco dalla Villa di Fannio Sinistore a Boscoreale. I sec. a.C. Napoli, MANN.

Tale concetto se da un lato accomunava il senso intrinseco di tale arte, dall’altro dava vita a differenti concezioni del valore dell’artista a seconda delle società di riferimento. Per confrontare il diverso utilizzo e concetto di arte tra il suo passato (inteso come origine e storia della pittura in Grecia) e il suo presente (inteso come l’utilizzo che se ne fece in età romana periodo al quale ci riferiamo per

gli oggetti esposti nella mostra) possiamo riprendere le parole di un contemporaneo quale Plinio il Vecchio: «In verità però non c’è gloria se non per coloro che dipinsero quadri; e a questo proposito tanto piú ammirevole appare la saggezza degli antichi. Essi infatti non abbellivano le pareti soltanto per i signori e i padroni, né decoravano case che sarebbero rimaste sempre in quel luogo e sottoposte quindi alla distruzione per gli

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SPECIALE • PITTORI DI POMPEI

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A destra: affresco raffigurante una donna che dipinge un’erma di Priapo, dalla Casa del Chirurgo, a Pompei. I sec. d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale. Nella pagina accanto: affresco raffigurante Ercole e Onfale, dalla Casa di Marco Lucrezio, a Pompei. I sec. d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

incendi (…) Non ancora era di moda dipinger tutta la superficie delle pareti; l’attività artistica di quei pittori era rivolta verso gli edifici cittadini e il pittore era considerato proprietà dell’universo» (Plinio il Vecchio, NH, XXXV, 118).

MAESTRI SCONOSCIUTI Per Plinio la differenza non risiede tanto nel concetto che è alla base dell’arte di dipingere, la ricerca di quell’inganno splendido che crea un rapporto tra l’opera e l’osservatore, ma nel diverso concetto di artista, tra quello che dipinge quadri e decora lo spazio pubblico (uomo o donna che fosse in ambito greco) considerato e da considerare proprietà dell’Universo, e quello a egli contemporaneo, che semplicemente abbelliva le pareti delle case creando un’arte senza maestri conosciuti. Nella società romana dunque, che comun-

que riconosceva nelle sue origini l’arte del dipingere – «Anche presso i Romani la pittura ebbe onore assai presto, dal momento che una celebre gens dei Fabi derivò da quest’arte il cognome di Pittori; e il primo che portò questo cognome dipinse di propria mano il Tempio della Salute» (Plinio il Vecchio, NH, XXXV, 19) –, tale originario rapporto tra pittura e alta società patrizia andò deteriorandosi, riportando la manifestazione d’arte della pittura ai margini piú bassi della comunità, relegandola come opera propria di liberti, schiavi, donne e persone inabili alla vita politica e militare, legata piú al mondo del teatro. Il caso delle città seppellite dall’eruzione vesuviana del 79 d.C., Ercolano, Pompei e Stabia, appare uno dei piú completi per l’eccezionale contestualizzazione degli apparati decorativi che, conservati perfettamente in a r c h e o 95


SPECIALE • PITTORI DI POMPEI

nalità dei pictores che operarono in modo anonimo in quelle case. Le ricerche inerenti alla pittura romanocampana hanno, nel loro evolversi, rivolto l’attenzione sempre di piú verso i contesti spaziali. Infatti si è integrato all’analisi tipologica degli «stili» l’interesse verso i rapporti esistenti tra la decorazione degli ambienti e la loro funzione. Studiosi quali per esempio Bianchi Bandinelli e Schefold hanno avuto nel secolo scorso il merito di cambiare il punto di vista di tale campo di ricerca passando da un’analisi di tipo estetico e storicoartistico a una lettura di tale attività all’interno di contesti sociali propri e definiti e di analizzare attraverso la ripetizione di temi, soggetti, schemi iconografici e particolari, la possibilità di individuare pittori e maestranze specializzate all’opera.

situ, permettono cosí di ricomporre quei rapporti spazio-funzionali del contesto decorativo dandoci la possibilità di tener fede metodologicamente al concetto di rapporto tra spazio e decorazione e soprattutto di contesto. Infatti sempre piú si è integrato all’analisi tipologica degli «stili» l’interesse verso i rapporti esistenti tra la decorazione degli ambienti e la loro funzione. In questo contesto la figura del pictor appare essere fondamentale per tradurre in immagini il rapporto esistente e necessario per il committente, tra lo spazio, la sua casa e la decorazione. L’esperienza che si propone con questa mostra è dunque quella di rileggere, all’interno di questa prospettiva metodologica, alcuni grandi esempi decorativi facenti parte della Collezione degli Affreschi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli provenienti da quelle città che seppellite dalla grande eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. ci offrono ancora oggi la possibilità di indagare e far parte di quell’inganno splendido attraverso la perso96 a r c h e o

IL RUOLO DELLE «BOTTEGHE» Si è giunti cosí a un riconoscimento sempre maggiore della valenza che nel mondo antico ebbero le organizzazioni temporanee di artigiani specializzati (da alcuni identificati come vere e proprie «botteghe») e la scelta di specifici programmi decorativi. Tale tendenza ha avuto il merito di arricchire la precedente visione ponendo le pitture alla luce della società contemporanea giungendo cosí ad avere la possibilità di contemplare un quadro molto piú ampio, in termini non solo di In alto: affresco aspetti socio-culturali e tecnici ma anche di raffigurante Pero quantità e varietà degli esempi confrontabili che allatta il provenienti da un panorama geografico molvecchio padre to piú ampio, che necessita di una definizione Micon, da e contestualizzazione di tale attività decoratiPompei. va entro il tempo e lo spazio a essa propri. I sec. d.C. La ricerca che si sta conducendo vuole conNapoli, Museo nettivizzare la tradizione di studi storici artiArcheologico stici attraverso la metodologia di riconosciNazionale. mento dei «motivi firma» dei singoli artisti a Nella pagina accanto: affresco quella di ambito storico-archeologico meraffigurante le Tre diante l’analisi puntuale dei contesti presi in Grazie, dall’Insula esame, territoriali e urbanistici, da rileggere in chiave sociale ed economica. Se infatti sinora Occidentalis di ci si era soffermati sul riconoscimento e idenPompei. tificazione delle cosiddette «botteghe» che I sec. d.C. operavano all’interno di un contesto chiuso Napoli, Museo quale quello delle città vesuviane coperte Archeologico dall’eruzione del 79 d.C. analizzandone gli Nazionale. aspetti comuni in una visione diacronica che vantava anche la possibilità di una microcronolgia di tipo stilistico, piú recentemente alla


Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

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SPECIALE • PITTORI DI POMPEI

QUANTO COSTAVA UN COLORE? Il prezzo dei pigmenti in epoca romana poteva variare considerevolmente a seconda di una serie di fattori tra cui fornitura/disponibilità, costi di estrazione o produzione, trasporto, e purezza. Plinio il Vecchio ha fornito un elenco dei prezzi dei pigmenti risalenti al I secolo d.C. Mentre Plinio non ha elencato i prezzi per tutti i pigmenti disponibili, quelli forniti danno un’idea delle scelte economiche coinvolte nella commissione di un dipinto. A seconda dalla varietà, le ocre rosse e gialle potevano essere acquistate da 6 a 32 asses per libbra ed erano alcuni dei colori piú economici disponibili. Per fare un confronto, in questo stesso periodo, un soldato romano guadagnava circa 10 asses al giorno, e circa mezzo litro di vino (un sextarius, 0,545 l) si vendeva da 2 a 4,5 asses a Ercolano. Il blu egiziano, caeruleum Aegyptium, era un pigmento artificiale di silicato di rame e calcio e uno dei coloranti piú costosi. La maggior parte dei tipi di blu egiziano sono stati venduti per 128-176 asses per libbra. C’era una varietà piú economica di blu egiziano, nota come tritum, che costava solo 5 asses per libbra; questo era probabilmente gli avanzi macinati del blu egiziano e di colore molto diffuso. Esistevano molti altri pigmenti costosi, come il cinabro rosso arancio (solfuro di mercurio; minium), che poteva essere venduto per non piú di 280 asses.

luce dell’apporto dei risultati provenienti da analisi di tipo archeometrico e riletture contestuali sembra sempre piú improbabile affidarsi a cronologie esclusive su base stilistica emergendo invece la necessità di rileggere nel suo complesso tali fenomeni. Con questa metodologia sincronica (storico artistica e archeologica) si è inteso rileggere e individuare i «motivi firma» dei singoli pittori all’interno dei contesti presi in esame e qui esposti in un campione rappresentativo.

SCELTE AUTONOME Sebbene l’indirizzo della moderna ricerca nel campo della tradizione iconografica individuabile alla base delle scelte decorative operate dai pictores in età romana, tenda sempre di piú a indicare e rivendicare un’autonomia nelle scelte e nelle innovazioni dei temi ado98 a r c h e o

Il pigmento rosa in esposizione era costituito da robbia selvatica tinta su un substrato argilloso. Non è stato possibile identificare in modo definitivo se il colorante porpora (purpurissum) – ottenuto dal murex, della famiglia delle lumache di mare – sia stato utilizzato anche come colorante per produrre questo pigmento. Il pigmento porpora è stato solo parzialmente analizzato; sappiamo che è fatto in parte di blu egiziano, mescolato con un porpora indeterminato. Purpurissum era uno dei colori piú costosi e poteva costare da 16 a 480 asses per libbra. Non si sa quanto sarebbe costato, al tempo di Plinio, un pigmento a base di robbia selvatica (Rubia peregrina), o una miscela di robbia e porpora di murex. L’Editto dei prezzi di Diocleziano (301 d.C.) rivela che i coloranti porpora e rosso scuro a base di kermes o licheni costano notevolmente meno per libbra del porpora fatta di murex.

In alto: coppetta con pigmenti azzurri, da Pompei. I sec. d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale. Nella pagina accanto: affresco raffigurante Giasone e Pelia, dalla Casa di Giasone a Pompei. I sec. d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

perati da parte di questi «artigiani specializzati», non può però essere negata la presenza di una base comune di modelli e schemi iconografici di origine ellenica pervenuti nell’Occidente europeo, metabolizzati e riletti poi in maniera differente a secondo del contesto sociale di riferimento. Ciò non vuol dire che tali schemi e motivi decorativi giungessero o gravitassero necessariamente ed esclusivamente su Roma e i suoi canali preferenziali, ma, al contrario, appare indubbio come questi potessero giungere in ogni luogo «romanizzato» per poi essere riletti, reinterpretati e rinnovati a seconda delle società di riferimento e dei singoli committenti. I pictores chiamati a decorare le case dei cittadini romani con nuove iconografie e modelli potevano cosí rifornirsi di «parole», per cosí (segue a p. 104)


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ERCOLANO: UNO STILE LOCALE I

dipinti murali ancora esistenti nelle città distrutte dal Vesuvio, o da esse provenienti, sono generalmente considerati come un unico gruppo e, le decorazioni rinvenute a Pompei ne costituiscono di gran lunga la quota piú consistente. La suddivisione cronologica in quattro «stili pompeiani» consecutivi è stata sviluppata da August Mau principalmente sulla base del materiale rinvenuto a Pompei. 100 a r c h e o

«Pompeiano» divenne una specie di concetto generico relativo ad antichi dipinti murali, indipendentemente dalla loro provenienza. Il fatto che le pitture murali ercolanesi siano state esaminate solo di recente come un gruppo a sé stante è dovuto al particolare modo in cui sono state tramandate. Quando, nel XVIII secolo, fu scoperta l’antica città di Ercolano, la si esplorò con un sistema sotterraneo di pozzi e cunicoli.

Statue e altri oggetti trasportabili furono dapprima portati alla Villa Reale di Portici e, successivamente, esposti nel museo appositamente allestito per i reperti. I dipinti murari furono scoperti per la prima volta nel 1738. Si decise di asportare singole parti delle pareti per incorniciarle come fossero quadri e appenderle «nella galleria del Re». Come conseguenza di questa pratica, dalle murature gravemente danneggiate lasciate sul


A sinistra: una sala del Collegio degli Augustali di Ercolano, con un affresco a soggetto mitologico raffigurante Ercole, Giunone e Minerva.

almeno graficamente, ove possibile. La maggior parte delle pitture murarie prelevate a partire dal 1738 si trovano al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. A causa della documentazione archeologica piuttosto imprecisa relativa agli scavi del XVIII secolo e della perdita di molti dei progetti originali e dei rapporti di scavo, si conosce tutt’al piú il luogo in cui sono stati trovati, mai l’edificio di provenienza. Sono soprattutto le somiglianze dei motivi tra i dipinti del museo e le pareti in

A destra: affresco raffigurante una menade danzante, da Ercolano. I sec. d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

posto mancano tutti i motivi che gli archeologi del Settecento consideravano interessanti e meritevoli di essere conservati. Quando l’antica città fu portata alla luce nei secoli XIX e XX, furono ritrovate solo poche decorazioni completamente conservate. Per poterle valutare complessivamente, le pareti andrebbero dunque ricostruite

situ che consentono di ricollocare i singoli frammenti nel loro contesto originario e di restaurare almeno in teoria, in una sorta di puzzle, i complessi decorativi perduti. In questo modo, si è potuta integrare notevolmente la conoscenza delle pitture murali ercolanesi e, quindi, è stato possibile creare una base per lo studio di questo gruppo. Lo scavo della Villa dei Papiri alla periferia della città e le indagini archeologiche nell’area della Basilica Noniana e della cosiddetta


SPECIALE • PITTORI DI POMPEI Un altro degli affreschi che ornano gli ambienti del Collegio degli Augustali.

Palaestra hanno ampliato la conoscenza delle decorazioni ercolanesi. Sebbene piú della metà della città antica sia ancora sepolta sotto la lava, si conoscono già tipologie edilizie molto diverse e si può quindi presumere che le pitture murali conosciute fino a oggi siano uno spaccato rappresentativo. Di seguito verranno descritte per prime alcune caratteristiche della pittura murale ercolanese. Saltano all’occhio i colori smorzati e il tono brunastro di molti dipinti di Ercolano. Si tratta però di scolorimenti causati dall’intenso calore generato dall’eruzione del Vesuvio. Sono tipiche le macchie rosse su un frammento originariamente a fondo giallo proveniente dalla Villa dei Papiri. Alcune delle pareti, oggi di colore rosso, originariamente erano costituite da campiture rosse e gialle, scoloriti dal calore. Oltre a questi dipinti murali divenuti «successivamente monocromatici», c’è una notevole quantità di 102 a r c h e o

decorazioni monocromatiche a Ercolano, non solo in rosso, giallo e nero, ma anche in colori costosi come il blu e il verde. La loro grande diffusione nell’area di Ercolano in diversi momenti stilistici suggerisce una loro lunga e consolidata preferenza. Per quanto riguarda motivi decorativi e temi pittorici, non sembra esserci un repertorio «ercolanese» distinto. A parte i tre edifici pubblici sul Decumano, in cui Ercole svolge un ruolo speciale, i temi delle immagini mitologiche sono gli stessi di Pompei e di altre parti dell’impero romano. Tuttavia, è possibile identificare alcune preferenze per determinati motivi, per esempio, i tendaggi riccamente drappeggiati, che sono particolarmente comuni a Ercolano sia nelle decorazioni molto elaborate che in quelle piú semplici. L’esempio piú noto è la famosa «prospettiva barocca», la cui estremità superiore forma un sipario finemente plissettato. Tendaggi particolarmente elaborati sono

raffigurati nella Casa del Gran Portale entro un prezioso decoro a fondo azzurro. Sembrano essere state particolarmente apprezzate a Ercolano anche le figure, simili a statue, inserite all’interno delle architetture. Ne è un tipico esempio il frammento di decorazione a fondo rosso risalente al Terzo Stile, proveniente probabilmente da un edificio nelle vicinanze del teatro. Numerosi sono anche gli esempi nel quarto stile, che indicano una continuità nel gusto. Poiché tali rappresentazioni erano molto apprezzate dagli archeologi del XVIII secolo, esse venivano spesso asportate e risultano, dunque, assenti dalle decorazioni oggi visibili. In molti casi, i resti in situ e i rapporti di scavo hanno permesso


In basso, sulle due pagine: particolare dell’affresco della Casa del Gran Portale che riproduce una teoria di tendaggi particolarmente elaborati, all’interno di un elegante decoro a fondo azzurro.

di colmare, almeno in teoria, queste lacune come, per esempio, nel triclinio della Casa di Nettuno e Anfitrite nella cui zona alta c’era tutta una serie di tali figure. A Ercolano, rappresentazioni mitologiche di grande formato sono state finora trovate solo in edifici pubblici, come la cosiddetta basilica e il Collegio degli Augustali. Sulle pareti degli ampi saloni attigui alla palestra, erano dipinte solo scene di piccolo formato, ma di ottima fattura. Lí si trovava anche una serie di quadretti, già asportati dal muro nell’antichità, che erano evidentemente ritenuti cosí preziosi da dover essere riutilizzati. Anche nell’elegante Casa dei Cervi erano presenti solo pochi e piuttosto modesti quadri mitologici, ma c’erano alcune nature morte

particolarmente splendide con vasi artisticamente dipinti in vetro e argento oltre a una serie di graziose scene di genere con eroti. Per quanto riguarda le immagini mitologiche, si differenziano dal resto delle decorazioni di Ercolano attraverso uno stile pittorico vagamente impressionistico. Alla decorazione con fondo rosso appartengono le famose scene del culto di Iside e una serie di campi pittorici a fondo nero dipinti molto piú liberamente rispetto agli elementi architettonici. Questo contrasto si ritrova anche nel quarto stile, per esempio nella Casa dell’Atrio a Mosaico e nella Casa dell’Atrio Corinzio, dove elementi architettonici di straordinaria delicatezza contrastano con le

scene mitologiche dipinte con immagini piú carnose. In una stanzetta della Casa Sannitica, dipinta solo di verde, è particolarmente marcato il contrasto tra il pannello centrale, con una goffa raffigurazione di Europa che cavalca il toro, e il resto della decorazione. I motivi architettonici dipinti con la tecnica del chiaro scuro, in cui compare anche il motivo del tendaggio, cosí come l’inserimento di nature morte con vasi di vetro trasparente, testimoniano il virtuosismo dei pittori attivi nell’area. La preferenza per alcuni motivi usati a Ercolano sia nel terzo che nel quarto stile rende le differenze tra i due stili meno evidenti che a Pompei; le transizioni sembrano essere piú fluide. Le caratteristiche delle pitture murali di Ercolano qui delineate non erano confinate a un’unica fase stilistica. Di conseguenza, esse non rappresentavano mode transitorie ma preferenze di lunga durata che le hanno differenziate dalla vicina Pompei. «Le pareti hanno un aspetto diverso», come afferma Andrew Wallace-Hadrill. Condizioni politiche, economiche e sociali diverse plasmarono la vita quotidiana degli abitanti di Pompei ed Ercolano, influenzando anche gli arredi degli edifici. In una città piccola come Ercolano c’erano poche botteghe di artisti che lavoravano sia in case ricche che umili. Ciò incoraggiò lo sviluppo di uno «stile» locale, basato sui gusti dei clienti e sulle abilità degli artigiani locali. Non si tratta di un percorso stilistico unico per Ercolano, ma di modifiche locali dello «stile del tempo», che possono essere descritte come «stile locale». Agnes Allroggen-Bedel a r c h e o 103


SPECIALE • PITTORI DI POMPEI

dire, con le quali compiere nuovi periodi e temi, organizzati secondo una sintassi ellenico-romana da realizzare in situ o a cavalletto (picturae excisae/inclusae). Le grandi megalografie di II stile offrivano infatti tale possibilità creando lo spazio necessario in cui far muovere figure «quasi al vero», entro architetture e scenografie adattate al contesto architettonico di riferimento. Il tema di base della sala veniva creato di concerto tra il committente e l’artista che rendeva in immagini le parole e i pensieri del padrone di casa in un riuscito tentativo di traduzione. La scelta dei soggetti e dei modelli utilizzati nelle singole abitazioni risponde infatti a un necessario confronto e scambio tra committente e pictor che può essere riletto e riconosciuto.

MODELLI E TECNICHE DI ARTISTI ANONIMI Il riconoscimento dei pittori che operarono nelle singole case può avvalersi anche di modelli unici di riferimento riscontrabili nelle composizioni delle figure rappresentate, che però tradiscono sempre la personalità del singolo artista. L’esistenza di modelli da utilizzare e consultare al momento della realizzazione delle opere di decorazione da parte del redemptor, cioè colui che organizzava il lavoro degli artigiani-pittori, è attestata sia su base iconografica che materiale oltre che essere citata nelle fonti: «Di lui (Xenokrates) restano molti disegni e abbozzi a matita su tavole e papiri, dai quali si dice che traggan profitto gli artisti» (Plinio il Vecchio, NH, XXXV, 68). L’arrivo poi di originali opere greche a Roma e in quasi tutte le città d’Italia a partire dal II secolo a.C. contribuí alla creazione di un linguaggio iconografico sicuramente piú vario. La riproduzione seriale di molte di queste opere è facilmente intuibile dall’analisi tecnica qui possibile di diversi esemplari con identici soggetti reinterpretati da pittori differenti, come l’esempio delle Tre Grazie di cui certamente esisteva un modello originale realizzato da un’artista di età ellenistica, non sappiamo se scultore o pittore, che le fonti tacciono, ma che ha avuto grande fortuna in tutta la storia dell’arte attraverso le illustri repliche di artisti quali Botticelli, Raffaello, Canova, e Picasso per citarne alcuni. Accanto ai modelli di ambito ellenistico esistevano anche nuove iconografie peculiari del linguaggio, della storia e della società romana. 104 a r c h e o

È il caso per esempio del racconto per immagini della codificazione del sentimento di pietas con Micone e Pero che divenne un esempio di comportamento, dal forte e naturale impatto evocativo, da essere recuperato e valorizzato non solo a Roma con la costruzione del Tempio della Pietas, come raccontato da Valerio Massimo, ma anche in città come Pompei dove si ritrovano diversi esempi dei quali uno ancora in situ (Casa di Marco Lucrezio Frontone a Pompei, Reg.V, 4, a, oecus 6, parete sud), completato dal motto inneggiante la pietas e dai nomi dei personaggi rappresentati: «Quegli alimenti che la madre offriva ai piccoli nati il destino ingiusto mutò in cibo per il padre. Il gesto è degno di eternità. Guarda: sullo scarno collo le vene senili già pulsano del latte che scorre mentre la stessa Pero accostato il volto accarezza Micone. C’è un triste pudore misto a pietà» (CIL IV, 6635c).

Affresco raffigurante Dioniso ebbro, dalla Casa di Meleagro a Pompei. I sec. d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.


Anche questo racconto per immagini entrò a far parte del repertorio storico-artistico di molti illustri successori chiamati a replicare tale tema in contesti spaziali diversi, sia in età romana che successiva, come per esempio ebbero a fare Rubens o Caravaggio nella sua mirabile opera di sintesi per il Pio Monte della Misericordia di Napoli, le Sette opere di Misericordia.Tecnicamente la realizzazione e la riproduzione di molti di questi temi su supporti diversi e con misure differenti era possibile grazie all’utilizzo di disegni di riferimento precisi realizzabili mediante l’uso di griglie per gli schemi decorativi di insieme e sinopie per le figure che permettevano cosí la riproduzione di uno stesso soggetto in scale diverse. Tali soluzioni tecniche non erano utilizzate solo per le pareti affrescate ma anche per la realizzazione dei mosaici in un possibile scambio di immagini che non aveva cosí li-

miti di supporto, dimensioni e tempo se si pensa ai meravigliosi mosaici della Villa di Piazza Armerina o al grande Mosaico di Alessandro e Dario. Un esempio di come ciò potesse accadere ci viene da quanto visibile al di sotto del mosaico con tessere policrome e motivo a meandro con cubi prospettici, rinvenuto negli scavi del giardino della Casa di Marco Fabio Rufo, dove è conservato il reticolo ortogonale visibile nella sinopia incisa e dipinta. La preparazione fu realizzata dopo la lisciatura dell’ultimo strato del cocciopesto di preparazione, sulla quale fu realizzata l’incisione di un reticolo regolare formato da quadrati e rettangoli utile per la riproduzione in scala del disegno originale; all’interno del reticolo furono stese fasce di colore che servivano a indicare la scelta cromatica e il numero delle linee delle tessere.

UN MONDO DINAMICO Il quadro d’insieme che si delinea ai nostri occhi è quello di un mondo antico molto piú dinamico e differenziato nel quale la figura del pittore viveva una condizione sociale di anonimato pubblico ma non economico ancora da comprendere sotto molti punti di vista. Il destino di questi uomini che decorarono e abbellirono le case di tutti i cittadini di Roma e delle città a essa legate, a partire almeno dalla metà del I secolo a.C., era quello di restare senza identità in un anonimato artistico che oggi tentiamo di riconoscere, comprendere e attribuire. Tuttavia, quando entriamo in quelle case dove sono conservate le loro opere o le possiamo ammirare all’interno di musei ed esibizioni riusciamo a percepire e comprendere la loro tecnica, la scelta dei colori, il concetto di rapporto fra spazio e decorazione. Il contesto spaziale, lí dove è possibile recuperarlo, è infatti elemento imprescindibile per la ricerca di quei dettagli che ci possano dare informazioni utili sugli esecutori materiali di quelle immagini che tanto ci colpiscono a distanza di secoli. Cosí appare indubbio, dopo aver osservato con occhi nuovi i casi presentati ed esposti in mostra come quelli provenienti dalla Casa di Giasone per esempio, di poter riconoscere l’opera di quell’artista che realizzò i quadri centrali del grande triclinio (f) della casa e dell’annesso cubicolo (e) qui riprodotto, portandoci in quell’inganno splendido che continua nel suo anonimato. Mario Grimaldi a r c h e o 105


SPECIALE • PITTORI DI POMPEI

EDOARDO BRIZIO: UN PIEMONTESE TRA POMPEI E BOLOGNA

L

a mostra «I Pittori di Pompei» si apre a quarant’anni esatti dall’unica altra esposizione temporanea dedicata alla città vesuviana mai ospitata dal Museo Civico Archeologico di Bologna, cui fu dato il titolo «Pompei 1748-1980. I tempi della documentazione». Ma, se in quella mostra si rendevano noti al grande pubblico gli esiti di una lunga e impegnativa campagna di riprese fotografiche dell’intera città da parte dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, offrendo anche un quadro complessivo della documentazione esistente sulla decorazione pompeiana attraverso disegni, acquerelli e immagini fotografiche, in questa occasione la generosa disponibilità del Museo Archeologico Nazionale di Napoli permette di godere per la prima volta, all’inter no delle sale del Museo bolognese, degli originali di quelle stesse decorazioni, porzioni di pareti strappate dalla loro collocazione originale all’interno delle domus e delle ville che sorgono nelle città sepolte dall’eruzione del Vesuvio. L’interesse, insieme all’emozione, che suscitano questi ricchi ed eleganti lacerti di ambienti, in cui quotidianamente gli abitanti delle città campane svolgevano la propria vita, si amplifica in una città come Bologna, dei cui edifici di età romana rimangono ben poche vestigia sia nel tessuto urbano, come sempre 106 a r c h e o

accade ai siti che hanno conosciuto una continuità di frequentazione senza interruzioni, sia all’interno del Museo Archeologico, dove è piuttosto l’ambito funerario a essere prevalentemente documentato; le numerose stele iscritte, conservate nella vasta sezione lapidaria, provengono infatti dai contesti cimiteriali estesi lungo la via Emilia, alle porte della città, e dal territorio circostante. La civiltà e l’epoca romana, come le altre culture e fasi cronologiche del mondo antico, trovano testimonianza nel Museo Civico bolognese, oltre che nel Lapidar io, all’interno di due ulteriori sezioni: l’una dedicata ai materiali rinvenuti in città e nelle zone limitrofe, che permettono di restituire l’immagine sia dell’abitato che delle aree sepolcrali della colonia di Bononia; l’altra costituita da circa 4000 oggetti provenienti da diverse raccolte collezionistiche, tra cui i due nuclei principali rappresentati dalla collezione Universitaria e dal lascito Palagi. La vasta collezione romana di Pelagio Palagi (1775-1860), pittore bolognese neoclassico di larga fama, si componeva di una grande quantità di materiali seriali, perciò generalmente di scarso valore artistico e qualitativo, selezionati soprattutto per la loro capacità di testimoniare i piú svariati aspetti della vita quotidiana al tempo dei Romani. Palagi, che risiedette a lungo tra Milano e

Nella pagina accanto: pagina della lettera del 7 settembre 1876, con la quale Felice Barnabei, compagno romano del Brizio e figura di primo piano per l’archeologia romana, si congratula con l’amico per la vincita del concorso alla cattedra di Archeologia e Numismatica dell’Università di Bologna. Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, fondo speciale Edoardo Brizio. A sinistra: l’archeologo e paletnologo Edoardo Brizio (1846-1907) in un ritratto del 1869.


(inv. Rom 1364) la cui provenienza da Ercolano e il ritrovamento nel luglio del 1831 sono testimoniati da un cartellino. Nulla, invece, deriva dagli altri piú piccoli lasciti che si aggiunsero nel tempo ai due nuclei principali, quali i doni Banzi, Bignami, Brunelli e Labella, composti per lo piú da materiali provenienti dall’area centrale della Penisola. Rimangono, infine, ancora da studiare sia sotto il profilo collezionistico che archeologico quattro piccoli frammenti di affreschi parietali composti a due a due entro cornici di legno (invv. Rom 2056-2057), appesi agli ingressi della sala dedicata alla collezione romana, per i quali non è esclusa la provenienza da una delle città vesuviane.

Torino, ebbe l’opportunità di procurarsi tali oggetti nei numerosi scavi allora avviati in tutta l’Italia settentrionale, ma anche dai territori del limes renano, mentre i pochi pezzi di pregio furono per lo piú acquistati dai Sanquirico, importanti antiquari veneti. L’eco degli scavi di Pompei ed Ercolano, già in corso alla metà del XVIII secolo, arrivò in questa raccolta solo marginalmente: dalla prima città provengono due cilindretti di cerniera in osso (invv. Rom 1756-1757), che sappiamo rinvenuti nel luglio 1821 grazie a un’etichetta manoscritta applicata su di essi; dalla seconda, una piccola matassa di fibre vegetali

UN GIOVANE PROMETTENTE Ciò nonostante, pur in assenza di documentazione materiale, un sottile quanto importante legame unisce il Museo Archeologico di Bologna con Pompei, attraverso la figura del suo primo direttore, Edoardo Brizio (1846-1907). Piemontese di nascita e formatosi alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino, partecipò nel 1867, appena ventunenne, al concorso per entrare nella Prima Scuola Archeologica Italiana, con sede proprio a Pompei. Alla partecipazione al concorso fu incoraggiato da Ariodante Fabretti, professore di archeologia, poi direttore del Museo Egizio di Torino, che aveva intuito le sue grandi capacità e potenzialità. Questa Scuola era stata istituita quello stesso anno dall’allora direttore del Museo di Napoli e degli Scavi di Pompei, Giuseppe Fiorelli, con l’intento di creare un luogo di alta formazione per una nuova generazione di archeologi, destinata a dare vita ad attività di ricerca, scavo e tutela rigorose e metodiche, degne della neonata nazione italiana. Fallito il primo tentativo, Brizio risultò vincitore l’anno successivo, insieme ad altri due candidati che tuttavia si ritirarono dopo pochi mesi, e approdò a Pompei per frequentare una scuola pensata dal suo creatore senza maestri e tradizionali lezioni, perché le attività principali dovevano essere l’assistenza continua agli scavi, condotti finalmente secondo i piú recenti metodi scientifici, lo studio e la lettura dei classici e degli ultimi scritti di carattere archeologico. Nei tre anni a r c h e o 107


SPECIALE • PITTORI DI POMPEI

di permanenza a Pompei Brizio pubblicò anche numerosi testi di argomento pompeiano sul Giornale degli Scavi di Pompei, divenuto nel 1868, con l’inizio della nuova serie, il periodico ufficiale della Scuola. Tra questi interventi – relazioni di scavi da lui stesso effettuati e analisi di monumenti per lo piú pittorici – ve n’è anche uno dedicato a uno dei quadri a soggetto mitologico esposti proprio in questa mostra, quello raffigurante Ippodamia, Piritoo e Floro proveniente dall’esedra della casa di Gavio Rufo, domus alla cui esplorazione aveva partecipato in prima persona l’archeologo torinese. Questa prima esperienza pompeiana, a stretto contatto con ciò che di nuovo emergeva dal terreno ma anche con le vaste collezioni del Museo Archeologico di Napoli, ebbe senza dubbio un peso importante nella successiva attività di Brizio all’interno del Museo di Bologna, dapprima, nella fase formativa dell’istituto, come redattore del catalogo di tutti gli oggetti esposti nel primo allestimento del 1871, poi, nel 1878, come artefice della riorganizzazione scientifica della sezione archeologica del definitivo Museo, che sarebbe stato inaugurato il 25 settembre 1881. Fu quindi lo 108 a r c h e o

stesso Brizio a raccogliere gli oggetti romani nelle sale VII e IX del nuovo percorso, laddove ancora oggi sono esposti, disponendoli in ordine tipologico e affiancando, all’epoca, i pochi reperti di provenienza locale ai materiali collezionistici, che nella sua concezione dovevano offrire «importanti elementi di A sinistra, in alto: confronto» ai primi. il cortile del

STILE «POMPEIANO» PER LA COLLEZIONE ROMANA Anche a queste sale, come a tutte le altre del primo piano dell’edificio, fu riservata una «decorazione appropriata» alla collezione ospitata, che richiamasse modi e gusti decorativi propri dell’epoca e della civiltà cui erano attribuibili i materiali esposti nelle vetrine. Nel generale progetto decorativo del Museo, databile al 1880, rispetto al quale sicuramente un ruolo fondamentale ebbe lo stesso Brizio e che vide, soprattutto, la realizzazione da parte di Luigi Busi (1837-1884) delle copie delle pitture etrusche nel grande salone X – tuttora vanto del Museo – per la sala di collezione romana fu scelto fin da subito un comparto decorativo di stile «pompeiano», a fondo monocromo rosso e riquadri

Museo Civico Archeologico di Bologna.


In alto, sulle due pagine: una delle sale che ospitano l’esposizione permanente del Museo Civico Archeologico di Bologna.

ocra al centro delle pareti, affiancati da esili colonnine decorate a fasce; su di esso si impostano le grandi vetrine parietali in legno. Un modo semplice, quanto efficace, di contestualizzare quelle numerose testimonianze di instrumentum domesticum all’interno di un ambiente che ricordasse immediatamente, anche ai visitatori meno colti ma ai quali sicuramente Pompei era già ben nota, gli spazi domestici in cui quei materiali venivano quotidianamente utilizzati. Veniva cosí rispettato, anche nella sala romana, quel forte proposito didattico-didascalico che aveva ispirato l’intero progetto decorativo dei nuovi grandiosi spazi museali: quello stesso proposito che, con ben altri mezzi e possibilità tecnologiche, ha ispirato tutti i soggetti coinvolti nell’organizzazione di questa Mostra, per aiutare il pubblico a entrare nell’atmosfera delle domus delle città campane, prima della loro definitiva distruzione, e a comprendere i

ruoli e le modalità operative dei pittori e dei loro piú o meno ricchi committenti. Paola Giovetti, Federica Guidi, Marinella Marchesi I testi di questo Speciale sono tratti dal catalogo della mostra e appaiono per gentile concessione degli organizzatori e dell’editore MondoMostre. DOVE E QUANDO «I Pittori di Pompei» Bologna, Museo Civico Archeologico fino al 19 marzo 2023 (dal 23 settembre) Orario tutti i giorni esclusi i martedí non festivi; lunedí, mercoledí, giovedí e venerdí, 10,00-19,00; sabato, domenica e festivi infrasettimanali, 10,00-20,00 Info www.ipittoridipompei.it a r c h e o 109


L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Francesca Ceci

TUTTE LE MEDAGLIE PORTANO A ROMA NELL’IMMAGINARIO RINASCIMENTALE, ALLA SUPREMAZIA DELLA «CITTÀ PERFETTA» DOVETTERO PIEGARSI PERFINO LEGGENDE COME CARTAGINE E TROIA

N

elle opere ispirate al mondo classico, i medaglisti cinquecenteschi creavano soggetti che, pur rifacendosi a modelli iconografici antichi, potevano anche essere armoniosamente fusi con stilemi iconografici tipici del loro tempo. Ne sono buoni esempi alcune medaglie all’antica create da Alessandro Cesati, detto il Grechetto, attivo a Roma tra il 1538 e il 1561. Come abbiamo già visto, l’artista cipriota dedicò una medaglia a Didone, che risalta sul dritto (vedi «Archeo» n. 450, agosto 2022; anche on line su issuu.com), mentre sul rovescio appone, significativamente, la celebre fondazione della regina, la città di Cartagine, resa secondo una visione prospettica a piani sfalsati (vedi foto in questa pagina). Nel campo si staglia una calligrafica città ideale, racchiusa da una cinta muraria esagonale e aperta sul mare solcato da tre navi

110 a r c h e o

Rovescio di una medaglia in bronzo di Alessandro Cesati con una veduta di Cartagine. XVI sec. Washington, National Gallery of Art. Nella pagina accanto: medaglia in bronzo di Alessandro Cesati con Priamo al dritto e Troia al rovescio. XVI sec. a vele ripiegate, ognuna con il suo equipaggio. Le mura sono in blocchi rettangolari, delimitati alla base da cerchielli, e concluse in alto da una merlatura a coda di rondine (detta «ghibellina»); sotto corrono festoni decorativi e al centro si apre una grande porta, anch’essa con festoni, tra due colonne per lato e timpano con cerchiello centrale, dalla quale esce un uomo.

I MONUMENTI SIMBOLO All’interno sono chiaramente riconoscibili i monumenti simbolo della nemica di Cartagine: il Pantheon, il Colosseo, il Teatro di

Marcello, la Colonna Traiana, un grande arco di trionfo, un paio di obelischi, un altare e un grande monumento figurato. Cartagine in questa immagine è dunque riproposta come Roma, la città dalla quale verrà distrutta. Celeberrima è la frase Ceterum censeo Carthago delenda est («Per quanto riguarda il resto, ritengo che Cartagine debba essere distrutta») pronunciata, alla fine di ogni suo discorso, da Marco Porcio Catone detto il Censore (24-149 a.C.), il quale aveva avuto modo di constatare di persona, nel corso di una sua missione diplomatica, la ricchezza della città e del suo


territorio. Egli fu il principale fautore della terza guerra punica e della distruzione di Cartagine, avvenuta nel 146 a.C., che fu poi ricostruita al tempo di Giulio Cesare e prosperò sino al VII secolo. Ma perché Cesati volle raffigurare Cartagine tratteggiandola con monumenti che evocano inequivocabilmente l’Urbe? Le motivazioni potrebbero essere le piú diverse, dal voler semplicemente proporre il topos della città ideale basata sulla topografia dell’Urbe, immediatamente riconoscibile ai colti collezionisti che fruivano di queste medaglie ispirate all’antico. Come è pure possibile supporre processi creativi piú meditati e magari suggeriti da colti antichisti e letterati della cerchia dell’autore, con un concettoso riferimento all’Eneide virgiliana: Cartagine e Roma sono indissolubilmente legate ai loro fondatori, la regina Didone e il profugo Enea, progenitore di Rea Silvia e quindi di Romolo e Remo. La maledizione scagliata dalla regina abbandonata e tradita è la base poetica, creata dall’estro di Virgilio, della violenta contrapposizione e inimicizia tra le due città. O, ancora, potrebbe immaginarsi un ulteriore volo poetico dell’autore, il quale vede Cartagine come un’altra Roma, quella che avrebbe potuto diventare se Enea, ribellandosi a ciò che le divinità gli imponevano, fosse rimasto con Didone, rendendo grande la città già fondata e cambiando cosí la storia mitica del mondo occidentale.

LA PRESA DI TROIA Alessandro Cesati creò anche un’altra medaglia che si ricollega al troiano Enea. È quella con al dritto il re di Troia, Priamo, reso con lunga capigliatura con diadema e fluente barba che ne rappresenta l’anzianità, e legenda in greco Priamos basileus (vedi foto in

questa pagina). Il rovescio ripropone lo schema usato per la medaglia di Didone, ma qui l’immagine è meno netta ma densa di personaggi e monumenti, e rende bene il momento del concitato ingresso dei Greci a Troia, presa d’assalto e conquistata con immane strage. La città è resa in una visione prospettica che, partendo dal basso, con il mare solcato da quattro imbarcazioni, soldati e il cavallo di legno dello

stratagemma di Ulisse davanti alla porta della città circondata da mura, sale verso l’alto con edifici di vario genere, compreso un obelisco e si conclude, quasi come una ziqqurat (edifici cultuali fioriti nella regione mesopotamica), con la legenda Troia. Priamo, Troia, Didone, Enea assente ma immanente, e Cartagine-Roma: il Grechetto, con le sue medaglie, esalta e magnifica la città dei Cesari, ora sotto il dominio dei loro eredi, i pontefici.

a r c h e o 111


I LIBRI DI ARCHEO

DALL’ITALIA Emanuele Stolfi

COME SI RACCONTA UN’EPIDEMIA Tucidide e altre storie Carocci editore, Roma, 142 pp. 16,00 euro ISBN 978-88-290-1282-4 www.carocci.it

Scrive Emanuele Stolfi nella Premessa che la pandemia da Covid-19 ha rappresentato una cesura, nella nostra storia moderna, il cui impatto è paragonabile a quelli determinati dalla caduta del Muro di Berlino (1989) e dall’attentato al World Trade Center (2001) e che «Non saremo mai piú quelli di prima». Affermazioni condivisibili e dalle quali prende le mosse una trattazione di grande interesse, che ci riporta alla Grecia del V secolo a.C. e poi ancora piú indietro, per descrivere come eventi analoghi furono raccontati e, soprattutto, vissuti. L’autore, infatti, non propone una storia «medica» 112 a r c h e o

delle pestilenze, ma si concentra soprattutto sui risvolti sociali e politici delle antiche epidemie e su come esse incisero sulla psiche di quanti ne furono vittime e testimoni. Per farlo, si affida a un quartetto d’eccezione, composto da Tucidide, Omero, Sofocle e Lucrezio. Il primo, in particolare, ha consegnato alla storia una cronaca mirabile della peste che flagellò Atene nel 430 a.C., resa ancor piú incisiva dal fatto che l’autore stesso venne contagiato, ma riuscí poi a sopravvivere. In Omero l’epidemia è invece una delle potenti invenzioni narrative che aprono l’Iliade, mentre Sofocle ne fa un passaggio chiave dell’Edipo tiranno, alludendo a una pestilenza che avrebbe colpito Tebe, ma per la quale non esistono, a oggi, riscontri storici certi. Lucrezio, infine, dedica alla peste un passo della Natura delle cose, tornando a evocare i fatti di Atene. Quattro prospettive diverse, dunque, ma nelle quali Stolfi ravvisa anche elementi ricorrenti, analizzati nelle pagine conclusive del volume. Chiara Frugoni

LA FORTUNA DI ALESSANDRO MAGNO Dall’Antichità al Medioevo Officina Libraria, Roma, 260 pp., 21 tavv. col. 19,50 euro ISBN 978-88-3367-157-4 www.officinalibraria.net

soprattutto, la ricezione della sua vicenda nel corso dei secoli. Alfonsina Russo, Federica Rinaldi (a cura di)

GERUSALEMME AL COLOSSEO Il dipinto ritrovato

Electa, Milano, 144 pp., ill. col. e b/n 28,00 euro ISBN 9788892820999 www.electa.it

È difficile trovare figure paragonabili a quella di Alessandro Magno, non solo per la fama che acquisí già presso i contemporanei, ma, soprattutto, per la fortuna di cui ha goduto e continua a godere fin da quando la sua breve ma fulminante parabola terrena si è conclusa. E questo saggio di Chiara Frugoni ne offre una conferma puntuale, confermandosi, a quasi cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione, una lettura davvero godibile, ricca di notizie e impreziosita dalle acute osservazioni della grande studiosa. Nella prima sezione del volume viene proposta una rassegna della percezione della figura di Alessandro da parte degli storici antichi, per poi passare, dopo una serie di tavole a colori, a una ricca raccolta di fonti. Il saggio si chiude quindi con una raccolta di brani tratti da opere di storici moderni, che completano il profilo del Macedone, ma

Un intervento di restauro condotto nell’estate del 2020 sulla Porta Triumphalis del Colosseo ha rivelato la presenza di un dipinto del XVII secolo raffigurante una veduta della città di Gerusalemme. Si è trattato di una scoperta sorprendente e, al contempo, l’immagine ha fin da subito colpito gli studiosi per le sue caratteristiche e, in particolare, per le soluzioni adottate nel rendere l’immagine della Città Santa. Una nuova e importante acquisizione alla quale è ora dedicato il volume curato da Alfonsina Russo e Federica Rinaldi. (a cura di Stefano Mammini)



presenta

TEMPLARI

STORIA

LEGGENDA

MEMORIA

di Federico Canaccini Nel 1095, a Clermont Ferrand, papa Urbano II pronuncia il fatidico discorso con il quale esorta la cristianità a strappare il Santo Sepolcro di Gerusalemme dalle mani degli «infedeli»: le sue infuocate parole danno l’avvio all’epopea delle crociate ed è questa l’atmosfera nella quale germoglia il glorioso Ordine del Tempio, protagonista del nuovo Dossier di «Medioevo». Gli uomini che ricamano sulle loro bianche uniformi la croce rossa si dedicano, inizialmente, all’assistenza dei pellegrini diretti verso i luoghi santi, ma presto scelgono di imbracciare le armi e danno cosí vita a una congregazione di veri e propri monaci-cavalieri, di cui Bernardo di Chiaravalle esalta le virtú. L’ascesa dei Templari diviene inarrestabile, anche grazie all’accumulo di ricchezze sempre piú consistenti, che consentono loro di moltiplicare le sedi, non piú soltanto in Oriente, ma, soprattutto, li fanno entrare a pieno titolo nei grandi giochi finanziari del tempo. E proprio questa svolta sarà all’origine della fine: agli occhi di molti l’Ordine del Tempio si è trasformato in una potenza pericolosa e incontrollabile e cosí, fomentata dal re di Francia Filippo il Bello, ha inizio una campagna denigratoria che assume in poco tempo i contorni della persecuzione. Si susseguono arresti, torture, condanne a morte e, con l’avallo di papa Clemente V, nel 1312, la nobile confraternita viene definitivamente soppressa. Una storia dapprima gloriosa e poi sempre piú fosca che il nuovo Dossier di «Medioevo» ripercorre passo dopo passo, fino ai non pochi tentativi di rivitalizzare l’Ordine templare in età moderna.

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