Archeo n. 460, Giugno 2023

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STATUINA NEOLITICA DALLA SABINA

SICILIA BIZANTINA

MALTA ROMANA

OLIMPIADE

NATALE DI ROMA

SPECIALE SAN CASCIANO DEI BAGNI

GLI ANNI DEL DOMINIO ROMANO

EG IT T S O

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ESCLUSIVA

I BRONZI DI SAN CASCIANO

SCAVI

DONNE E POTERE

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RIEVOCAZIONI

LE MAGIE DI OLIMPIADE

IL NATALE DI ROMA

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IN EDICOLA IL 10 GIUGNO 2023

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2023

Mens. Anno XXXIX n. 460 giugno 2023 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

ARCHEO 460 GIUGNO

I BIZANTINI IN SICILIA

€ 6,50



EDITORIALE

MISSIONI ECCELLENTI Molti sono già noti ai nostri lettori. Per decenni hanno documentato, spiegato, rivelato i risultati del loro lavoro sulla rivista. Senza quei racconti le nostre pagine sarebbero apparse piú monotone, piú «provinciali». Lo scorso 9 maggio si sono riuniti a Roma, in Campidoglio, per una giornata dedicata a comunicare la loro esperienza di ricerche, di scavi e di restauri condotti nei cinque continenti. Credo ci fossero davvero tutti, i direttori delle 246 missioni archeologiche, antropologiche ed etnologiche, chiamati a raccolta in questa prima Giornata dell’Archeologia Italiana all’Estero, promossa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Una giornata che ha segnato – sono le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella – «un doveroso riconoscimento a tutti coloro che ogni giorno con dedizione portano avanti il testimone di questa eccellenza italiana nel mondo». Ecco qualche dato: le missioni italiane sono attive in 66 Paesi e coprono ambiti disciplinari diversi, dalla paleoantropologia alla preistoria, dall’archeologia pre- e protostorica a quella classica, dall’egittologia all’archeologia del Vicino e dell’Estremo Oriente, a quella bizantina e medievale, islamica, precolombiana. Di queste missioni, 42 sono impegnate in 37 siti UNESCO presenti in 20 Paesi. Grazie al MAECI sono impegnati all’estero 55 tra università, istituzioni di ricerca ed enti privati, e sono circa 3000 gli studiosi e i ricercatori italiani e stranieri coinvolti. È stato sottolineato piú volte lo spessore politico e diplomatico che questo piccolo e pacifico «esercito» di studiosi e operatori culturali ha assunto nei decenni a partire dal 1955, quando l’allora Direzione Generale per le Relazioni Culturali istituí un ufficio con specifica competenza sulle missioni archeologiche. Possiamo, oggi, affermare – e senza alcuna retorica – che l’archeologia italiana svolge un ruolo rilevante – per lo piú lontano dai riflettori – nell’ambito delle relazioni internazionali. I suoi protagonisti sono interlocutori credibili e apprezzati, qualità che, talvolta, permettono di arrivare là dove la diplomazia ufficiale si arresta. Andreas M. Steiner Un momento della prima Giornata dell’Archeologia Italiana all’Estero, tenutasi a Roma il 9 maggio scorso.


SOMMARIO EDITORIALE

Missioni eccellenti 3 di Andreas M. Steiner

Attualità NOTIZIARIO

SCAVI Il «Nubiano» che viene da Menfi ALL’OMBRA DEL VULCANO Un’insula dalla A alla Z

Tesori del mare nostrum 18 di Luciano Calenda

SCOPERTE

Memorie bizantine 6 6

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RIEVOCAZIONI

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di Emiliano Africano, Maria Chiara Alati, Cristina Genovese e Tiziana Sorgoni

Se a sfilare è Spartaco

24 STORIA

di Andreas M. Steiner

www.archeo.it

o. it

EG IT T S O SC OP ER TE A

w.a rc

Federico Curti

Comitato Scientifico Internazionale

SPECIALE SAN CASCIANO DEI BAGNI

Mens. Anno XXXIX n. 460 giugno 2023 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

NATALE DI ROMA

amministrazione@timelinepublishing.it

OLIMPIADE

Amministrazione

In copertina testa femminile votiva in bronzo restituita dagli scavi del santuario del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni (Siena).

Presidente

MALTA ROMANA

Impaginazione Davide Tesei

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SICILIA BIZANTINA

Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it

€ 6,50

STATUINA NEOLITICA DALLA SABINA

Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it

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2023

Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it

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ARCHEO 460 GIUGNO

Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Angelo Poliziano, 76 – 00184 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it

IN EDICOLA IL 10 GIUGNO 2023

ARCHEOFILATELIA

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AQ QA RA

di Mara Sternini

Anno XXXIX, n. 460 - giugno 2023 Registrazione al tribunale di Milano n. 255 del 07.04.1990

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di Fabrizio Polacco

«Un luogo dove i nostri nemici approdarono spesso...» 40

A TUTTO CAMPO Archeologi per un giorno

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di Gianluca Cuniberti

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di Cecilia Conati Barbaro

FRONTE DEL PORTO Per il futuro del passato

Olimpiade, donna dei misteri

testi di di Elie Essa Kas Hanna, Liborio Calascibetta, Rosario Pietro Antonio Patané, Antonina Arena, Gianluca Rosso, Giuseppe Labisi e Manfredi Mangia

di Alessandra Randazzo

SCOPERTE La signora della grotta

DONNE DI POTERE/4

ESCLUSIVA

I BRONZI DI SAN CASCIANO SCAVI

DONNE E POTERE

MALTA

RIEVOCAZIONI

I BIZANTINI IN SICILIA GLI ANNI DEL DOMINIO ROMANO

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LE MAGIE DI OLIMPIADE

Maxwell L. Anderson, Bernard Andreae, John Boardman, Mounir Bouchenaki, Wim van Es, M’Hamed Fantar, Louis Godart, Svend Hansen, Friedrich W. von Hase, Thomas R. Hester, Donald C. Johanson, Venceslas Kruta, Henry de Lumley, Javier Nieto

IL NATALE DI ROMA

30/05/23 17:53

Comitato Scientifico Italiano

Enrico Acquaro, Carla Alfano, Ermanno A. Arslan, Andrea Augenti, Sandro Filippo Bondí, Francesco Buranelli, Carlo Casi, Francesca Ceci, Francesco D’Andria, Giuseppe M. Della Fina, Paolo Delogu, Francesca Ghedini, Piero Alfredo Gianfrotta, Pier Giovanni Guzzo, Eugenio La Rocca, Daniele Manacorda, Danilo Mazzoleni, Cristiana Morigi Govi, Lorenzo Nigro, Sergio Pernigotti, Sergio Ribichini, Claudio Saporetti, Giovanni Scichilone, Paolo Sommella, Romolo A. Staccioli, Giovanni Verardi, Massimo Vidale, Andrea Zifferero Hanno collaborato a questo numero: Emiliano Africano è restauratore. Antonina Arena è archeologa. Maria Chiara Alati è funzionaria archeologa del Parco archeologico di Ostia Antica. Liborio Calascibetta è direttore del Parco Archeologico di Morgantina e della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina. Luciano Calenda è consigliere del CIFT, Centro Italiano Filatelia Tematica. Francesca Ceci è archeologa presso la Direzione dei Musei Capitolini di Roma. Francesco Colotta è giornalista. Cecilia Conati Barbaro è professoressa associata di ecologia preistorica presso «Sapienza» Università di Roma. Gianluca Cuniberti è professore ordinario di storia greca all’Università di Torino. Luciano Frazzoni è archeologo. Cristina Genovese è funzionaria archeologa del Parco archeologico di Ostia Antica. Paola Gulinelli è bibliotecaria presso il Deutsches Archäologisches Institut di Roma. Elie Essa Kas Hanna è professore incaricato presso il Pontificio Istituto Orientale, Roma. Giuseppe Labisi è dottore di ricerca in archeologia islamica. Manfredi Mangia è archeologo. Rosario Pietro Antonio Patané è funzionario del Parco Archeologico di Morgantina e della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina. Fabrizio Polacco è autore di reportage di viaggio, archeologici e fotografici, e fondatore del PRISMA. Alessandra Randazzo è giornalista. Gianluca Rosso è membro fondatore dell’Associazione Culturale no-profit Hisn al-Giran, Calascibetta (Enna). Tiziana


Rubriche TERRA, ACQUA, FUOCO, VENTO

Quando la storia si fa in laboratorio 106 di Luciano Frazzoni

106 L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA

Un mito in tre parole 110 di Francesca Ceci

74 SPECIALE

Dèi e prodigi a San Casciano

LIBRI

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74

rielaborazione a cura della redazione da testi di Jacopo Tabolli, Emanuele Mariotti, Gabriella Carpentiero, Massimiliano Papini, Ada Salvi, Mattia Bischeri, Barbara Arbeid, Adriano Maggiani, Gian Luca Gregori, Marco Pacifici, Maria Anna De Lucia Brolli, Giacomo Pardini, Mauro Buonincontri, Helga Maiorana, Valentino Gasparini

Sorgoni è funzionaria archeologa del Parco archeologico di Ostia Antica. Mara Sternini è professoressa associata di archeologia classica all’Università degli Studi di Siena.

Pubblicità e marketing Rita Cusani e-mail: cusanimedia@gmail.com – tel. 335 8437534

Illustrazioni e immagini: Soprintendenza ABAP per le province di Siena, Grosseto e Arezzo-Comune di San Casciano dei Bagni: foto di Emanuele Mariotti, Michele Ledda, Ludovico Salerno, Jacopo Tabolli e Francesco Marsili: copertina e pp. 74/75, 76 (basso), 77, 78-105 – Andreas M. Steiner: p. 3 – Cortesia Ufficio stampa della Fondazione Museo delle Antichità Egizie: pp. 6-7 – Cortesia Parco Archeologico di Pompei: pp. 8-9 – Cortesia «Sapienza» Università di Roma, Dipartimento di Scienze dell’antichità: pp. 10-11 – Archivio Fotografico del Parco archeologico di Ostia antica: pp. 12-13 – Cortesia Università di Siena, Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali: pp. 14, 16 – Cortesia Pontificio Istituto Orientale di Roma: pp. 24/25 (alto), 31; Elie Essa Kas Hanna: pp. 26 (alto), 30 (alto), 36 (basso, a sinistra); Antonina Arena: pp. 26 (centro e basso), 27, 29, 30 (basso), 36 (alto e basso, a destra); Elie Essa Kas Hanna e Antonina Arena: rilievo a p. 28; Gianluca Rosso: pp. 32-35 – Cortesia Parco archeologico regionale di Morgantina e della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina: pp. 24/25 (basso) – Doc. red.: pp. 40-41, 42 (basso), 43 (destra), 45, 46 (alto), 47, 48-49, 50, 51 (alto), 54-57, 58 (basso), 60, 62 (alto), 66, 107, 108, 110-111 – Daniel Cilia: pp. 42 (centro,a sinistra), 43 (sinistra, alto e basso), 44/45, 46 (basso), 51 (basso) – Shutterstock: pp. 59, 62 (basso) – Staatliche Museen zu Berlin, Antikensammlung: Uwe Peltz: p. 64 – Fabrizio Polacco: pp. 68-72 – Alamy Stock Photo: p. 106 – Cippigraphix: cartine alle pp. 42, 58, 65, 76 (alto).

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Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.

Arretrati Il Servizio Arretrati è a cura di: Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia Srl - 20090 Segrate (MI) I clienti privati possono richiedere copie degli arretrati tramite e-mail agli indirizzi: collez@mondadori.it e arretrati@mondadori.it Per le edicole e i distributori è inoltre disponibile il sito:

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L’indice di «Archeo» 1985-2022 è disponibile sul sito www.ulissenet.it Registrandosi sulla home page si ottengono le credenziali per la consultazione di prova


n otiz iari o SCAVI Egitto

IL «NUBIANO» CHE VIENE DA MENFI

L

a necropoli di Saqqara, situata 30 km a sud del Cairo, è stata teatro di un nuovo, importante ritrovamento: si tratta della tomba,risalente al primo periodo ramesside (1250 a.C.), di Panehsy, responsabile del tempio dedicato ad Amon. La scoperta si deve alla spedizione composta da archeologi del Museo Egizio di Torino, del Ministero delle Antichità Egiziane e del Museo Nazionale di Antichità di Leida in Olanda e guidata dal direttore dell’Egizio, Christian Greco e della curatrice della Collezione Egiziana e Nubiana del Museo di Leida, Lara Weiss. La tomba di Panehsy ha la forma di un tempio, con un ingresso monumentale e una corte con portico colonnato, al cui centro c’è un pozzo che dà accesso alle camere sepolcrali ipogee. Sul lato ovest la corte è chiusa da tre cappelle. Il complesso funerario di forma rettangolare (13,4 x 8,2 m), confina a sud con la tomba di Maya, alto funzionario, responsabile del tesoro del faraone Tutankhamon. I muri di mattoni crudi della struttura superiore della tomba di Paneshy sono ancora in piedi e raggiungono un’altezza di un metro e mezzo e sono decorati da ortostati, lastre di rivestimento in pietra calcarea, che mostrano rilievi colorati in cui si distinguono il proprietario della tomba Panehsy e sua moglie Baia, cantante di Amon, e diversi sacerdoti e portatori di offerte. Il nome di Panehsy significa il Nubiano, ma questo non necessariamente è una indicazione delle sue origini. Con l’aggiunto «da Menfi», Panehsy vuole

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Qui sotto e nella pagina accanto: immagini della tomba di Panehsy e delle cappelle funerarie recentemente riportate alla luce a Saqqara. In basso: Lara Weiss (Museo di Leida) e Christian Greco (Museo Egizio di Torino) esaminano le lastre in calcare decorate della tomba di Panehsy.


sottolineare il suo legame con questa città, un importante centro amministrativo e religioso al tempo in cui visse Panehsy, che quindi potrebbe essere nato lí. Il nome Panehsy era relativamente comune a quel tempo, ma questo specifico responsabile del tempio che veniva da Menfi era sconosciuto agli studiosi fino a oggi. La rappresentazione piú bella di Panehsy è quella in cui lo si vede impegnato ad adorare la dea Hathor, rappresentata nella sua tipica iconografia di mucca che esce

dalla montagna. Al di sotto, Panehsy e sua moglie Baia siedono insieme davanti a una tavola. Un uomo calvo con una pelle di leopardo che gli cinge le spalle si trova di fronte alla coppia deceduta. È il sacerdote che si occupa del culto funerario dei defunti. Il testo in geroglifico identifica il sacerdote come Piay, lo scriba della tavola sacrificale e forse il secondo di Panehsy. Il titolo suggerisce che Piay fosse subordinato al proprietario della tomba Panehsy. Non era cosí strano che Piay si occupasse del culto della morte del suo superiore, anche se idealmente questo compito spettava al figlio maggiore del defunto. Si può quindi ipotizzare che forse Panehsy non avesse figli. A est della tomba di Panehsy, gli archeologi italiani, egiziani e olandesi hanno scoperto quattro cappelle funerarie piú piccole, una delle quali apparteneva a Yuyu,

artigiano responsabile della produzione delle lamine d’oro presso il tesoro del faraone. Molto affascinanti sono le decorazioni e i dettagli della decorazione del muro. In questa cappella funeraria, quattro generazioni della famiglia di Yuyu erano rappresentate in splendidi rilievi colorati. Si vedono il corteo funebre di Yuyu e il rituale dell’apertura della bocca, momento supremo del funerale, oltre alla venerazione della dea vacca hathorica e della barca del dio locale di Saqqara, Soqar. Un altro ritrovamento degno di nota nell’area est della tomba di Panehsy è una cappella, ancora anonima, nella quale si conserva una rara rappresentazione del proprietario della tomba e della sua famiglia, il cui stile artistico potrebbe ispirarsi alle statue vicino alla tomba di Maya e Merit. (red.)

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ALL’OMBRA DEL VULCANO di Alessandra Randazzo

UN’INSULA DALLA A ALLA Z SOLO PARZIALMENTE INDAGATA TRA LA FINE DELL’OTTOCENTO E I PRIMI DEL NOVECENTO, L’INSULA 10, NELLA REGIO IX, È IL FULCRO DI UN PROGETTO DI INDAGINE ESTENSIVA E SISTEMATICA, CON L’OBIETTIVO DI RICOSTRUIRNE LE MOLTE VITE E LE RIPETUTE TRASFORMAZIONI

C

i sono intere aree di Pompei ancora inesplorate e altre in cui le indagini hanno interessato soltanto le facciate e i primi ambienti prospicienti le strade. La Regio IX è una di queste e gli scavi tardo-ottocenteschi e di inizio Novecento non hanno riportato alla luce che una parte limitata degli isolati di questa zona della città antica. Qui l’insediamento è testimoniato a partire dall’epoca arcaica (VII-VI secolo a.C.), con trasformazioni importanti alla fine del IV secolo, quando gli isolati vengono progressivamente

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occupati dalle abitazioni che poi, a partire dal II secolo a.C. e fino alla tarda età sannitica, si trasformeranno fino a ospitare complessi edilizi monumentali e di grandissimo respiro, come le Domus di Marco Lucrezio (IX, 3 5-24), di Giulio Polibio (IX, 13 1-3), del Centenario (IX, 8 3-6) di Obellio Firmo (IX, 14 3-4). Proprio accanto alla vasta e ricca Domus di Obellio Firmo, il Parco Archeologico di Pompei ha da pochi mesi intrapreso nuovi scavi archeologici, con l’obiettivo di riportare alla luce l’intera

Qui sotto: materiali ceramici restituiti dagli scavi condotti nell’Insula 10 della Regio IX di Pompei.


estensione dell’Insula 10, che copre una superficie complessiva di circa 3400 mq, della quale, alla fine dell’Ottocento, furono scavati solo 275 mq. Le attuali indagini mirano dunque a documentare l’intero isolato antico, disposto longitudinalmente tra la via di Nola, la parte già scavata, e la víu mef[íru], uno dei decumani minori della città, del quale si vuole anche definire il tracciato, finora rilevato solo dalle prospezioni geofisiche.

RICERCA E PREVENZIONE Accanto a quello della conoscenza, obiettivo principale del progetto è la riduzione del rischio idrogeologico che affligge questo settore ancora non scavato di Pompei. Per farlo, è prevista la realizzazione di cunette sommitali ai nuovi fronti di scavo per garantire il deflusso delle acque meteoriche e il miglioramento delle condizioni di conservazione delle strutture archeologiche, sia di quelle già scavate, sia di quelle ancora sepolte. La sfida dello scavo dell’Insula 10 è quella di documentare le continue trasformazioni subite dalle aree, in età antica ma anche in epoca moderna, durante la quale le In alto e in basso, sulle due pagine: immagini del cantiere di scavo che sta interessando l’Insula 10 della Regio IX. L’area è stata a lungo frequentata e, nel tempo, variamente utilizzata, sia a scopo abitativo, sia per attività commerciali.

testimonianze dell’uso agricolo si sono alternate all’attività di cava di lapilli. Buche grandi e piccole penetrano negli strati di cinerite per stabilizzare i pali di strutture agricole o anche per poter estrarre il lapillo; altrove vengono scavate fosse e trincee che sconquassano il terreno e gli stessi muri antichi. Laddove la lettura stratigrafica si fa piú complessa, per documentare ogni fase e carpire le informazioni anche minime sulla storia del paesaggio agricolo successivo all’eruzione, intervengono le vedute settecentesche di Jakob Philipp Hackert – che mostrano i festoni delle viti maritate agli olmi e agli alberi da frutta, i fienili di legno con i pali di legno conficcati nel terreno e le piccole costruzioni rustiche –, ma anche le cartoline e le fotografie del dopoguerra con le serre e i vigneti ancora presenti sul pianoro fino al 2016. Gli scavi condotti alla fine dell’Ottocento dall’architetto Michele Ruggiero e quelli ultimati nel 1912 sotto Vittorio Spinazzola seguirono la prassi allora ordinaria dello «scavo ordinario» e dello «sterro controllato», al termine dei quali si procedeva al consolidamento delle strutture rimesse in luce. Emersero allora due uniche unità edilizie, individuate come civico 1 e civico 2. Entrambi gli edifici sembrerebbero essere stati già realizzati nel corso del III secolo a.C. con facciata in grandi blocchi e pareti interne in opera a telaio, trasformati poi, forse già prima del terremoto neroniano (62-63 d.C.), in strutture commerciali, con un panificio nel settore sud-occidentale dell’insula e una fullonica, che trasforma l’atrio della precedente residenza con l’installazione di una vasca. Le indagini odierne sono condotte secondo i criteri piú avanzati della ricerca archeologica e multidisciplinare, cosí da documentare ogni tassello della

trasformazione antica, fino al momento dell’eruzione e ogni evento che, al di sopra dei lapilli, ha modificato il paesaggio agrario e, al di sotto della coltre eruttiva, ha trasformato le strutture e tutto ciò che fu travolto dalla furia del vulcano nel 79 d.C.

POSEIDONE INNAMORATO Tra gli ambienti tornati alla luce, una parete rivela un affresco con una raffigurazione del mito di Poseidone e la ninfa Amimone, una delle Danaidi, figlia di Europa, che fu mandata dal padre in cerca di acqua quando Poseidone, irato contro l’Inaco, asciugò tutte le fonti di Argo. Dopo essere intervenuto in suo soccorso per salvarla dalle insidie di un satiro, Poseidone le concesse il suo amore e col tridente fece sgorgare la fonte da lei chiamata Amimone. Dall’unione con il dio nacque Nauplio. Il mito, famoso in antico e variamente rappresentato anche a Pompei nella Casa di Fabio Rufo, ebbe notevole rilievo tanto che Eschilo ne trasse un dramma satiresco. Per notizie e aggiornamenti su Pompei: pompeiisites.org; Facebook: Pompeii-Parco Archeologico; Instagram: Pompeii-Parco Archeologico; Twitter: Pompeii Sites; YouTube: Pompeii Sites.

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n otiz iario

SCOPERTE Italia

LA SIGNORA DELLA GROTTA

A

nche l’archeologia ha le sue leggi non scritte e una di queste vuole che in occasione delle campagne di scavo, anche di lunga durata, le scoperte piú clamorose e inaspettate avvengano, non sempre, ma molto spesso, nell’ultimo giorno di lavoro sul campo. È andata cosí anche in Sabina, nella grotta di Battifratta (Poggio Nativo, Rieti), che dal 2021 è oggetto di un progetto di ricerca della «Sapienza» Università di Roma guidato da chi scrive. Le indagini condotte nel 2022 si sono infatti chiuse con l’eccezionale ritrovamento di una statuina in argilla di epoca neolitica che, sebbene frammentaria, conserva tratti fisici e somatici tali da permettere di identificarla con una figura femminile. Una connotazione che evoca, com’è facile intuire, scenari In alto: la statuina in argilla, di epoca neolitica, rinvenuta nella grotta di Battifratta, nel territorio del Comune di Poggio Nativo (Rieti). In basso e sulle due pagine: immagini del sito in corso di scavo. La grotta venne frequentata a lungo, anche perché situata allo sbocco di un’antica sorgente, ma, oltre a consentire l’approvvigionamento d’acqua, ebbe certamente un utilizzo a scopo sepolcrale e rituale, come del resto prova la presenza della statuina.

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di grande suggestione, anche se, a oggi, è senz’altro prematuro dire se la piccola scultura possa essere, per esempio, l’immagine di una divinità oppure di un personaggio simbolico. Appare invece evidente come i tratti del volto siano stati accennati in modo schematico, mentre una cura maggiore sembra essere stata riposta nella rappresentazione dell’acconciatura e delle

decorazioni corporali. Elementi destinati a essere valutati nell’ambito dello studio multidisciplinare, coordinato dal Dipartimento di Scienze dell’antichità della «Sapienza», che è stato avviato sugli aspetti tecnologici e stilistici del prezioso reperto, per ricostruire le modalità della sua realizzazione e verificare se rispecchi modelli iconografici riconducibili a tradizioni culturali ben precise. Databile intorno ai 7000 anni fa, la statuina è, come detto, riferibile al Neolitico, un periodo nel quale la penisola italiana era abitata dalle prime comunità agricole, e l’importanza del suo rinvenimento deriva anche dal fatto che oggetti di questo tipo sono molto rari in Italia e pressoché assenti nelle regioni del versante tirrenico. Il sito che ha restituito la figurina, la grotta di Battifratta, si apre su un

costone di travertino, lungo la valle di un piccolo affluente del fiume Farfa. L’attuale ingresso della cavità corrisponde allo sbocco di una antica sorgente, probabilmente a regime stagionale, che costituiva un punto di attrazione per le comunità umane del passato. Gli scavi finora condotti hanno infatti permesso di documentare una stratigrafia frutto di una lunga frequentazione e nei cui livelli è stato possibile recuperare ceramica, industria litica, reperti faunistici e botanici. Presenze che provano l’utilizzo della sorgente e della grotta non soltanto per l’approvvigionamento di acqua, ma anche per scopi sepolcrali e rituali, come testimoniano i resti scheletrici umani rinvenuti e, ora, la statuina in argilla. Un quadro che candida il sito sabino ad assumere un ruolo chiave nelle dinamiche culturali della preistoria del Lazio e dell’Italia centrale. Le ricerche, che riprenderanno nelle prossime settimane, sono condotte nell’ambito di un piú ampio progetto di ricerca sul popolamento preistorico deIla valle del Farfa e territori limitrofi finanziato dal fondo Grandi Scavi «Sapienza». Lo scavo si svolge su concessione del Ministero della Cultura, nel territorio della Soprintendenza ABAP Roma metropolitana e provincia di Rieti e si avvale del supporto logistico del Comune di Poggio Nativo. L’impostazione fortemente interdisciplinare della ricerca vede la partecipazione, accanto agli archeologi, di specialisti di diversi ambiti scientifici (geologi, paleobotanici, archeozoologi, antropologi, fisici, chimici, ecc.), con l’obiettivo di ricostruire modi di vita, risorse e ambienti del passato. Cecilia Conati Barbaro

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FRONTE DEL PORTO a cura di Claudia Tempesta e Cristina Genovese

PER IL FUTURO DEL PASSATO I RESTAURATORI DEL PARCO DI OSTIA HANNO AVVIATO NUOVI INTERVENTI A BENEFICIO DELLE TOMBE DELLA NECROPOLI DI PORTO ALL’ISOLA SACRA. OPERAZIONI MIRATE A FRENARE IL DEGRADO DEI MONUMENTI E AD ASSICURARNE LA CONSERVAZIONE E LA FRUIZIONE

S

in dai primi scavi nella necropoli di Porto all’Isola Sacra, condotti da Guido Calza negli anni Venti e Trenta del secolo scorso (vedi «Archeo» n. 435, maggio 2021; on line su issuu.com), gli edifici funerari, che per secoli erano stati ricoperti da cumuli di sabbia a causa dell’avanzamento della linea di costa iniziato già in antico, hanno evidenziato problematiche conservative tali da rendere necessari, talvolta, oltre ai restauri, anche il distacco di apparati decorativi (stucchi, pitture e mosaici), quando non il loro reinterro. Negli anni seguenti, l’attenta conoscenza del contesto ha consentito di acquisire maggiori informazioni sui principali fattori di degrado che interessano la necropoli, da imputare alle caratteristiche geomorfologiche (tra cui l’innalzamento della falda

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idrica) e, in generale, alle peculiarità ambientali del territorio, nonché alle variazioni microclimatiche e all’inquinamento biologico.

UN EQUILIBRIO DELICATO Per far fronte a tali condizioni, che rendono alquanto precaria la conservazione dei manufatti, il Parco archeologico di Ostia antica ha avviato negli ultimi anni azioni che si inseriscono nel solco di una piú ampia e rinnovata attenzione alle problematiche della tutela, alla ricerca di un delicato equilibrio tra le istanze di fruizione e quelle di conservazione. Nel caso della necropoli, le attività di monitoraggio condotte dal personale del Parco hanno consentito di individuare, in alcuni edifici sepolcrali, una serie di criticità nello stato di conservazione dei paramenti murari e delle

superfici decorate, che hanno richiesto l’esecuzione di interventi conservativi e di messa in sicurezza, in attesa che si realizzino i restauri già programmati, di maggiore entità e complessità. In particolare, sono state risarcite porzioni di muratura, utilizzando i materiali di recupero, quali, per esempio, elementi laterizi e di tufo, rinvenuti nelle zone attigue ai relativi crolli: è quanto è stato eseguito nella parte inferiore della parete esterna delle Tombe 33, 40, 41, per crolli causati dall’erosione per effetto degli agenti atmosferici; nella parete di fondo della Tomba 94, in cui una lacuna di grande entità metteva a rischio la sussistenza stessa della parete; nella Tomba 92, dove un albero cresciuto all’interno della muratura aveva creato dissesti; nei pilastrini degli arcosoli nel recinto della


In alto: trattamento biocida a spruzzo all’interno della Tomba 93. A sinistra: due superfici affrescate della Tomba 93: la prima, a sinistra, interessata dalla presenza di efflorescenze saline e la seconda dopo la rimozione delle stesse. Nella pagina accanto: il mosaico della Tomba 43, prima e dopo l’intervento di disinfezione con prodotto biocida ad ampio spettro. Tomba 34, in parte collassati per la pressione delle radici di un albero. Per quanto riguarda gli elementi decorativi, le operazioni di pulitura e trattamento biocida hanno restituito maggiore leggibilità e migliorato la presentazione estetica, tra gli altri, di uno dei mosaici piú noti della necropoli, ovvero quello che decora il recinto della Tomba 43, raffigurante due navi che si avvicinano a un faro, evidente metafora del momento di trapasso nell’aldilà. A una piú ampia revisione conservativa sono state sottoposte le decorazioni pittoriche e a stucco della Tomba 93, fortemente intaccate dalla presenza di diffusa patina biologica, di efflorescenze saline e con distacchi tra gli strati preparatori dell’intonaco. Inoltre, l’asportazione dei materiali di restauro utilizzati in precedenza ha

consentito di poter nuovamente apprezzare gli apparati decorativi nel loro aspetto originale. Pur nel loro carattere diffuso e puntuale, tali interventi hanno consentito di rimediare a situazioni di rischio per la conservazione degli edifici e delle loro decorazioni e di ripristinarne anche le condizioni di decoro, che sono fattori essenziali per la tutela, quale presupposto imprescindibile e necessario per ogni attività di valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale, anche in termini di sostenibilità.

ATTUALITÀ DI UNA LEZIONE Molto significativa e attuale è, al riguardo, la definizione di restauro che Cesare Brandi dà nella sua opera Teoria del restauro, quale «momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte,

nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro». Ed è nella solidità del connubio «tutela e conservazione/ valorizzazione/fruizione» che si gioca la piú importante e complessa sfida nella gestione di tale patrimonio, la cui conoscenza concorrerà a perpetuarne la tangibilità a eterna memoria, nel futuro, del nostro passato. Quella memoria presso i posteri, di cui, del resto, si coglie eco attraverso le parole delle iscrizioni, i temi e le immagini delle decorazioni, l’architettura degli edifici e i riti funerari di uno dei sepolcreti meglio conservati nel mondo antico, la necropoli di Porto all’Isola Sacra. Emiliano Africano, Maria Chiara Alati, Cristina Genovese e Tiziana Sorgoni

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A TUTTO CAMPO Mara Sternini

ARCHEOLOGI PER UN GIORNO UN PROGETTO SVILUPPATO NEL QUADRO DELLE ATTIVITÀ DI ORIENTAMENTO DESTINATE ALLE SCUOLE SUPERIORI HA OFFERTO A STUDENTI E STUDENTESSE L’OPPORTUNITÀ DI TRASFORMARSI IN DIVULGATORI E COMUNICATORI. CON RISULTATI DECISAMENTE POSITIVI

T

ra le ricadute positive del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza va certamente annoverato anche il finanziamento delle attività di orientamento, che gli Atenei svolgono con regolarità ogni anno nelle scuole superiori. Scopo di queste iniziative è sottoporre agli studenti degli ultimi anni, in procinto di concludere il proprio percorso scolastico, un esempio delle attività didattiche e di laboratorio che si svolgono nei diversi dipartimenti universitari, in modo da offrire a ragazze e ragazzi l’opportunità di scegliere, con maggiore consapevolezza, il corso di studi piú adatto ai loro interessi ed inclinazioni. Il finanziamento previsto dal PNRR ha creato l’opportunità di elaborare specifici progetti didattici, messi a punto in collaborazione con il corpo docente degli istituti superiori coinvolti, in modo da renderli molto attrattivi per gli studenti e,

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Due dei pannelli didattici realizzati da studenti del Liceo Artistico di Grosseto nell’ambito del progetto didattico mirante a illustrare la catena delle operazioni che consentivano la fabbricazione della ceramica in età romana. allo stesso tempo, adeguati al livello di formazione raggiunto con i programmi scolastici. Uno dei progetti presentati dal Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università di Siena aveva l’obiettivo di coinvolgere gli studenti nella realizzazione di pannelli didattici, che illustrassero alcuni aspetti dei processi di lavorazione all’interno di



una bottega ceramica di età romana. L’istituto coinvolto è stato il Liceo Artistico di Grosseto, afferente al Polo Bianciardi, in collaborazione con il Laboratorio di Ceramica Classica, diretto da chi scrive, allestito nella sede del Polo Universitario Grossetano.

TESTI ESSENZIALI I 26 studenti partecipanti hanno assistito prima di tutto a una lezione introduttiva, dedicata a illustrare le fasi di studio dei materiali provenienti dallo scavo, dalla classificazione tipologica dei reperti all’analisi delle tecniche di lavorazione. Una volta forniti gli strumenti necessari, gli studenti sono stati suddivisi in cinque gruppi, ciascuno dei quali aveva il compito di elaborare un progetto per la realizzazione di un poster che illustrasse, in modo chiaro e accessibile anche ai non addetti ai lavori, gli aspetti piú rilevanti della produzione ceramica nel mondo romano. Ogni gruppo era libero di scegliere la forma grafica dei testi e le immagini da inserire, creando cosí cinque diversi poster, ciascuno con caratteri originali, ma senza mai perdere di vista l’obiettivo finale, cioè comunicare in modo semplice e chiaro concetti anche piuttosto complessi, ricorrendo soprattutto a disegni esplicativi e riducendo al minimo indispensabile il testo scritto, per rendere i pannelli ancora piú efficaci nella comunicazione del messaggio. Dopo le prime tre ore di introduzione al tema, il progetto è proseguito nell’aula di informatica del Liceo, dove, in dieci ore di lavoro, ciascun gruppo ha messo in bozza il

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proprio elaborato e, una volta rivisto e corretto, ne ha realizzato la versione digitale definitiva. Dei cinque pannelli confezionati, il primo si è concentrato sulla localizzazione dello scavo che ha permesso di portare alla luce lo scarico della bottega ceramica, trovata ad Arezzo negli anni Cinquanta del secolo scorso; il secondo presenta i tipi di tornio impiegati nel mondo greco e romano, mettendo in risalto i dubbi che ancora sussistono sull’introduzione del tornio a piede, secondo alcuni archeologi già in uso presso i Romani, secondo altri invece no. Il terzo mostra le fasi di lavorazione dei vasi non decorati, con l’adozione di una grafica da

Un altro poster realizzato ed esposto nel Liceo Artistico di Grosseto e nel Polo Universitario Grossetano.

fumetto per rendere il pannello ancora piú accattivante, soprattutto per il pubblico piú giovane; il quarto mostra le fasi, leggermente piú complesse, della tecnica di lavorazione dei vasi decorati a matrice; il quinto pannello illustra, infine, i tipi di forno utilizzati per realizzare i vasi a rivestimento rosso, tipici prodotti della bottega presa in esame.

COLLABORAZIONE VINCENTE Pensati in origine per rimanere in formato digitale, i poster sono risultati cosí gradevoli dal punto di vista grafico e cosí efficaci dal punto di vista didattico, che si è deciso di produrne una versione a stampa per esporli sia nella sede del Liceo Artistico che presso il Polo Universitario Grossetano. Il lavoro si è concluso con una visita al Museo Archeologico Nazionale di Arezzo dove la direttrice, Maria Gatto, ha illustrato ai partecipanti alcune sale delle collezioni presenti, in particolare quelle in cui sono esposti vasi a rivestimento rosso provenienti dalle numerose botteghe attive ad Arezzo nella prima età imperiale. Il progetto, il cui obiettivo era di aiutare gli studenti del Liceo nella scelta del percorso universitario da intraprendere dopo l’esame di maturità, si è cosí trasformato in una splendida occasione di collaborazione tra scuola e università, dove la creatività dei ragazzi ha saputo veicolare, attraverso le immagini da loro elaborate, alcuni aspetti della ricerca archeologica anche piuttosto complessi. In conclusione, una bella esperienza per tutti. (mara.sternini@unisi.it)



n otiz iario

ARCHEOFILATELIA

Luciano Calenda

TESORI DEL MARE NOSTRUM Lo spunto per la rubrica di questo mese è il «Protocollo d’intesa» firmato il 2 maggio scorso ad Agrigento (1), dal Ministro per la 1 Protezione Civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, e da Gennaro Sangiuliano, Ministro della Cultura. Scopo principale dell’intesa, in estrema sintesi, è quello di «definire strategie e obiettivi comuni volti a favorire la conservazione, la fruizione pubblica e la valorizzazione del patrimonio culturale subacqueo». L’Archeologia subacquea è un tema di sempre crescente interesse, tanto che l’Unione Postale del Mediterraneo (PUMed), che fa parte dell’UPU (Unione Postale Universale), nel 2022 ha lanciato una emissione tra i 23 Paesi incidenti (non proprio tutti) sul mare nostrum con un tema comune: «Archeologia sottomarina e antiche città del Mediterraneo». Presentiamo, allora, la produzione filatelica dei 14 Paesi che hanno aderito all’iniziativa, includendo anche i valori dedicati solo alle «antiche città». Cominciamo con la striscia di 3 francobolli emessi dall’Egitto che ha ospitato a Luxor la 15ª assemblea della PUMed e che raffigura reperti giacenti sui fondali marini (2). Continuiamo coi francobolli che raffigurano altri reperti subacquei: Albania (3, due valori), Grecia (4, altri due valori 12 emessi in foglietto da due serie, Francia (5), Libia (6, un solo valore stampato in un minifoglio da 16 valori relativi a sport acquatici) Israele (7, uno dei 4 francobolli della serie emessa in foglietto da 4 serie), e infine Malta (8). Poi è la volta dei reperti già recuperati dalle acque ed esposti nei 15 vari musei: Cipro (9), Montenegro (10), Spagna (11) e Turchia (12). Quanto alle antiche città, ecco la Tunisia, che ha scelto uno scorcio di Tunisi (13); il Portogallo (14, uno dei due emessi con una appendice superiore senza valore in tema); la Croazia ha ricordato Pola con l’anfiteatro romano costruito da Augusto agli inizi del I secolo d.C. (15); Malta con un altro francobollo della stessa serie ha presentato la cittadina marinara di Gozo (16).

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IL CIFT. Questa rubrica è curata dal CIFT (Centro Italiano di Filatelia Tematica); per ulteriori chiarimenti o informazioni, si può scrivere alla redazione di «Archeo» o al CIFT, anche per qualsiasi altro tema, ai seguenti indirizzi:

Segreteria c/o Sergio De Benedictis Corso Cavour, 60 - 70121 Bari segreteria@cift.club oppure

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Luciano Calenda C.P. 17037 - Grottarossa 00189 Roma lcalenda@yahoo.it www.cift.it


INCONTRI Paestum

i n f o r m a z i o n e p u b b l i c i ta r i a

CHE VINCA LA MIGLIORE!

S

ono state annunciate le 5 scoperte archeologiche del 2022 candidate alla vittoria della 9ª edizione dell’International Archaeological Discovery Award «Khaled alAsaad», premio che, promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da «Archeo», sarà consegnato a Paestum venerdí 3 novembre. Il Premio viene assegnato in collaborazione con le testate internazionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), arCHaeo (Svizzera), Archäologie in Deutschland (Germania), Archéologia (Francia), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia). Il Direttore della BMTA, Ugo Picarelli, e il Direttore di «Archeo», Andreas M. Steiner, hanno condiviso questo cammino in comune, consapevoli che «le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante assumono oggi sempre piú un’importanza legata alla riscoperta delle identità, in una società globale che disperde sempre piú i suoi valori». Il Premio, dunque, si caratterizza per la volontà di divulgare uno scambio di esperienze, rappresentato dalle scoperte internazionali, anche come buona prassi di dialogo interculturale e cooperazione tra i popoli. L’International Archaeological Discovery Award «Khaled al-Asaad» – intitolato all’archeologo di Palmira che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale – è l’unico riconoscimento a livello mondiale che sia dedicato al mondo dell’archeologia e, in particolare, ai suoi protagonisti, gli archeologi, i quali affrontano il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Nel 2015 il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri per la scoperta della Tomba di Amphipolis (Grecia); nel 2016 all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del Presidente Dominique Garcia, per la Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner, direttore della missione archeologica, per la città dell’età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel Nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, responsabile degli scavi, per la «piccola Pompei francese» di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel Mar Nero del piú antico relitto intatto del mondo; nel 2020 a Daniele Morandi Bonacossi, direttore della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan

Iracheno, per la scoperta dei rilievi rupestri assiri di Faida; nel 2021 alla scoperta di «centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto»; nel 2022 a Zahi Hawass, Direttore della Missione Archeologica che ha scoperto «la città d’oro perduta», fondata da Amenhotep III, riaffiorata dal deserto nei pressi di Luxor. Il Premio sarà selezionato tra le 5 finaliste segnalate dai direttori di ciascuna testata e sarà consegnato alla presenza di Fayrouz, Omar e Waleed Asaad, archeologi e figli di Khaled. Inoltre, sarà attribuito uno «Special Award» alla scoperta, tra le cinque candidate, che avrà ricevuto il maggiore consenso dal grande pubblico nel periodo 5 giugno-5 ottobre sulla pagina Facebook della Borsa (borsamediterraneaturismoarcheologico). Le cinque scoperte archeologiche del 2022 finaliste della 9ª edizione dell’International Archaeological Discovery Award «Khaled al-Asaad» sono: • Egitto: nell’antica necropoli di Saqqara a Giza, a circa 30 km a sud del Cairo, la piramide della regina Neith con 300 bare e 100 mummie • Guatemala: le tracce del piú antico calendario Maya • Iraq: dal fiume Tigri nel bacino idrico di Mosul riappare una città dell’età del Bronzo • Italia: inToscana nella provincia di Siena, a San Casciano dei Bagni dal fango riaffiorano 24 statue di bronzo di epoca etrusca e romana nascoste per millenni • Turchia: a Midyat, nella provincia di Mardin, una grande città sotterranea risalente a 2000 anni fa. Per informazioni: www.bmta.it La consegna a Zahi Hawass, a Paestum, dell’8° International Archaeological Discovery Award «Khaled al-Asaad», nel 2022.

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CALENDARIO

Italia ROMA La mummia di Ramses Il faraone immortale Museo del Vicino Oriente, Egitto e Mediterraneo, «Sapienza» Università di Roma fino al 14.06.23

Colori dei Romani

I Mosaici dalle Collezioni Capitoline Musei Capitolini, Centrale Montemartini fino al 25.06.23

Raffaello e l’antico nella Villa di Agostino Chigi Villa Farnesina fino al 02.07.23

La Roma della Repubblica Il racconto dell’archeologia Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli fino al 24.09.23

Bronzo e oro

Roma, Papa Innocenzo III: racconto immersivo di un capolavoro Vittoriano, Sala Zanardelli fino al 01.10.23

Caere

Storie di dispersione e di recuperi Museo delle Antichità Etrusche e Italiche, «Sapienza» Università di Roma fino al 28.02.24

BRESCIA Luigi Basiletti e l’Antico

Brescia, palazzo Tosio-Ateneo di Brescia fino al 03.12.23

CANINO (VITERBO) La «prima» Vulci

All’origine della grande città etrusca Museo Archeologico Nazionale di Vulci fino al 31.12.23

CAPO DI PONTE (BRESCIA) Sotto lo stesso sole Europa 2500-1800 a.C. MUPRE-Museo Nazionale della Preistoria della Valle Camonica fino al 30.09.23

MILANO La stele di Vicchio

Fondazione Luigi Rovati, Piano Ipogeo fino al 16.07.23

Felice Barnabei «Centum deinde centum»

Alle radici dell’archeologia nazionale Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia fino al 09.07.23

L’istante e l’eternità

Tra noi e gli antichi Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano fino al 30.07.23

Lex

Giustizia e diritto dall’Etruria a Roma Museo dell’Ara Pacis fino al 10.09.23 20 a r c h e o

Le vie dell’acqua a Mediolanum

Civico Museo Archeologico fino al 31.03.24


Sarà gradito l’invio di informazioni da parte dei direttori di scavi, musei e altre iniziative, ai fini della completezza di questo notiziario.

NAPOLI Alessandro Magno e l’Oriente Museo Archeologico Nazionale fino al 27.08.23

Picasso e l’antico

Museo Archeologico Nazionale fino al 27.08.23

MODENA DeVoti Etruschi

La riscoperta della raccolta di Veio del Museo Civico Museo Civico fino al 17.12.23

PORTICI (NAPOLI) Materia

Il legno che non bruciò ad Ercolano Reggia di Portici fino al 31.12.23

VITERBO Sfingi, leoni e mani d’argento

Lo splendore delle famiglie etrusche a Vulci Museo Nazionale Etrusco di Rocca Albornoz fino al 15.06.23

Francia PARIGI Ramesse e l’oro dei faraoni Grande Halle de la Villette fino al 06.09.23

TORINO Bizantini

Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario Palazzo Madama-Museo Civico d’Arte Antica fino al 28.08.23

Germania

Il dono di Thot

Il segreto del rame nero Staatliche Museen, Neues Museum fino al 27.08.23

Leggere l’antico Egitto Museo Egizio fino al 07.09.23

VIGEVANO La Collezione Strada

Mosaico che ritrae papa Giovanni VII.

Quasi 30 secoli di storia in piú di 260 reperti Museo Archeologico Nazionale della Lomellina fino al 04.12.23

BERLINO Aes corinthium

Grecia ATENE Ritorno a casa

Contrappeso di collana (menat) in bronzo. 880 a.C.

Tesori delle Cicladi nel loro viaggio di ritorno Museo d’Arte Cicladica fino al 31.10.23

Regno Unito LONDRA Lusso e potere

Dalla Persia alla Grecia British Museum fino al 13.08.23 a r c h e o 21


TE O L RI LO P E T GI AR AR CO CO QU D IN I IA

G CE AR UID RV CH A E E A

LA NUOVA MONOGRAFIA DI ARCHEO

CERVETERI CAPITALI D’ETRURIA

TARQUINIA C

erveteri e Tarquinia sono state città etrusche di primaria importanza e hanno lasciato straordinarie testimonianze di quel glorioso passato, tanto che sono state entrambe inserite dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Una «comunanza» ribadita, in tempi piú recenti, dall’istituzione del PACT, il Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia, ai cui tesori è dunque dedicata la nuova Monografia di «Archeo». L’ampia trattazione – questa volta il fascicolo ha un numero di pagine maggiore del consueto, 160 – è un viaggio alla scoperta dei due siti, ciascuno dei quali comprende aree archeologiche e musei. Si comincia quindi con Cerveteri, la cui attrattiva maggiore è costituita dalle monumentali tombe a tumulo della necropoli della Banditaccia. Complessi che provano la maestria sviluppata dagli architetti e dagli scalpellini etruschi nell’esaltare le proprietà plastiche del tufo, la roccia vulcanica tipica della zona. Nell’arco di oltre quattro secoli, presero forma tombe magnifiche che sono anche uno specchio fedele di come le case dovevano essere strutturate. Corollario irrinunciabile dell’esperienza en plein air è la visita del Museo allestito nel Castello Ruspoli, divenuto casa, fra gli altri, del prezioso cratere di Eufronio. Altrettanto emozionante e suggestiva è la rassegna dei monumenti tarquiniesi, fra i quali spiccano le splendide tombe dipinte della necropoli dei Monterozzi, che, in un tripudio di colori, restituiscono scene allegoriche, episodi mitologici e vivaci spaccati della vita quotidiana. Anche in questo caso, non può mancare la visita del Museo, che ha sede nell’elegante Palazzo Vitelleschi e vanta collezioni di primissimo piano.

GLI ARGOMENTI • LA NECROPOLI DELLA BANDITACCIA DI CERVETERI • IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE CERITE

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• LE TOMBE DIPINTE DEI MONTEROZZI • IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI TARQUINIA

in edicola



SCOPERTE • SICILIA

MEMORIE BIZANTINE NECROPOLI, ABITATI RUPESTRI E SITI D’ALTURA: UNA MISSIONE DEL PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE GUIDA UN PROGETTO DI RICERCA IN SICILIA, NELL’AREA DEI MONTI EREI E, IN PARTICOLARE, NELLA ZONA DI CALASCIBETTA (ENNA). OBIETTIVO DELLE INDAGINI È LA DOCUMENTAZIONE DELLE VICENDE DI CUI L’ISOLA FU TEATRO FRA LO SBARCO DI BELISARIO E LA DOMINAZIONE ARABA testi di Elie Essa Kas Hanna, Liborio Calascibetta, Rosario Pietro Antonio Patané, Antonina Arena, Gianluca Rosso, Giuseppe Labisi e Manfredi Mangia

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n importante progetto di ricognizioni di superficie è stato avviato dal Pontificio Istituto Orientale dall’estate del 2021 in Contrada Realmese e Cozzo San Giuseppe nel comune di Calascibetta (Enna). Le attività, che si inquadrano nel progetto di 24 a r c h e o

ricerca «La città tra i due fiumi. Forme di vita e religiosità tra le Valli del Morello e dell’Imera meridionale, dalle facies preistoriche alle bizantine memorie» e hanno portato, nella rilettura delle testimonianze identificate durante le indagini degli anni Cinquanta,


La necropoli di Realmese (Calascibetta, Enna). Indagato tra il 1949 e il 1950 da Luigi Bernabò Brea, il sepolcreto si compone di tombe a grotticella artificiale e fu in uso tra l’XI e il VI sec. In basso, sulle due pagine: due piccoli crateri rinvenuti in Contrada Quattrocchi. VI-V sec. a.C. Enna, Museo regionale interdisciplinare.

all’inaspettata scoperta di un nuovo sito fortificato di grandi dimensioni.

NUOVI PADRONI L’occupazione bizantina della Sicilia ebbe inizio nel 535, quando Belisario sbarcò nell’isola dopo aver

portato vittoriosamente a termine la guerra contro i Vandali d’Africa. A eccezione di Palermo, l’ultima città da lui conquistata, Catania e Siracusa e le città orientali non opposero alcuna resistenza al generale. Al governo della nuova provincia di Bisanzio fu insediato un praetor, con a r c h e o 25


SCOPERTE • SICILIA

funzioni civili e responsabile direttamente di fronte al quaestor sacri palatii di Costantinopoli, mentre il comando militare venne affidato a un dux, sottoposto al magister militum per Orientem. Al tempo della guerra greco-gotica (535-553), l’isola fu presa da Totila, fino all’arrivo di Artabano, inviato da Giustiniano per recuperare i territori perduti. All’indomani della conquista bizantina, la Sicilia divenne subito il caposaldo estremo dal quale l’impero d’Oriente non intendeva ritirarsi. I Bizantini, di conseguenza, avviarono opere di riorganizzazione delle difese e dell’assetto urbanistico per trasformare In alto: foto satellitare della Sicilia sulla quale sono indicate le principali presenze attestate fra il VI e il IX sec. A sinistra, dall’alto in basso: la Grotta 1 di Realmese: l’accesso e il muro antistante la cavità. Ricavata dall’allargamento di precedenti tombe a grotticella, la grotta fu occupata tra l’età bizantina e quella araba. Nella pagina accanto: l’interno della Grotta 1 di Realmese, con un pilastro ricavato a risparmio nella roccia.

l’isola in una base militare, dai cui porti le flotte imperiali potevano intervenire in qualunque momento nel Mediterraneo. A sedici anni dalla grande conquista della penisola italiana, la restaurazione territoriale voluta da Giustiniano patí un arretramento letale a causa dell’arrivo dei Longobardi nel 568, guidati da Alboino. Tuttavia, solo la Sicilia e una parte dell’Italia meridionale rimasero a lungo ancorate a Costantinopoli. Una prova di quanto l’isola fosse ritenuta fondamentale per l’impero bizantino si ha con l’imperatore Maurizio, il quale, nel 582, istituí una zecca a Catania, affiancata poi da quella di Siracusa, che continuò a coniare fino all’878. Una terra certamente strategica, come conferma anche, nel 663, il trasferimento 26 a r c h e o


a Siracusa di Costante II e della sua corte, scelta che spostò di fatto la capitale sullo Ionio. In questo periodo Siracusa venne munita di ulteriori sistemi difensivi, che rallentarono la defunzionalizzazione degli spazi urbani, soprattutto nella zona di Ortigia, luogo di residenza privilegiata dell’imperatore.

L’ORDINAMENTO AMMINISTRATIVO A causa delle frequenti incursioni delle flotte musulmane al tempo di Giustiniano II, e forse già prima con Costante II, la Sicilia fu costituita in thema, avente giurisdizione anche sugli altri possedimenti bi-

zantini della Penisola. Lo strategòs, che risiedeva a Siracusa, era a capo di ogni thema, al comando delle forze di terra e di mare e controllava le autorità civili. Il thema di Sikelía, uno dei due themata in Italia – l’altro era quello di Langobardía –, comprendeva la Sicilia, il ducato di Calabria e quello di Napoli, diviso in due turmai: quella siciliana e quella calabra. Nel 730, dopo la sconfitta degli Arabi a Costantinopoli, né l’Italia, né la Sicilia aderirono all’editto promulgato da Leone III contro il culto delle immagini. Nell’VIII secolo due terzi del territorio dell’isola appartenevano alla Chiesa, cosicché,

EDUCARE ALLA MEMORIA Le ricerche di cui si dà conto in queste pagine sono condotte grazie alla Convenzione sottoscritta tra il Pontificio Istituto Orientale, rappresentato da Elie Essa Kas Hanna, direttore scientifico, e il Parco Archeologico di Morgantina e della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, rappresentato da chi scrive, e alla fattiva collaborazione di Antonina Arena, archeologa. La missione del Parco Archeologico si declina attraverso un’educazione alla memoria, con l’inesauribile impegno nel patrocinare un dialogo continuo con le nuove generazioni, anche mediante la connessione con l’intero sistema culturale e scientifico. Per la realizzazione di questi obiettivi il Parco è impegnato nella tutela, conservazione, ricerca e valorizzazione del proprio patrimonio archeologico. L’autonomia gestionale permette al Parco un percorso piú diretto con i partner, anche nell’ottica di rappresentare un volano per l’economia cittadina. Liborio Calascibetta

prima della caduta di Ravenna, Leone III riprese il diretto controllo di queste proprietà per garantire al thema una solida base economica. Con Costantino V si ebbe il definitivo distacco delle sedi episcopali della Sicilia e della Calabria dall’Archidiocesi romana, subordinandole al Patriarcato di Costantinopoli: ciò determinò la totale ellenizzazione della gerarchia episcopale, rafforzando inoltre i rapporti tra il clero e le comunità monastiche dell’isola e a r c h e o 27


SCOPERTE • SICILIA

quelli delle altre provincie bizantine, come attesta la presenza di un Siciliano fra i monasteri del Monte Athos e la diffusione di culti siciliani a Costantinopoli (sant’Agrippino e san Pancrazio di Taormina). A seguito dalla battuta d’arresto delle incursioni subite a Costantinopoli (718) e a Poitiers (732), i musulmani concentrarono tutte le loro forze per il controllo di Sicilia, Sardegna, Corsica e Creta. Salpando dall’Africa e dalla Spagna, essi iniziarono nell’VIII secolo le incursioni in Sicilia e, dopo essere sbarcati a Mazara, nell’827, i Berberi mirarono su due direttrici: una verso nord, con Palermo conquistata nell’831, e l’altro verso sudest, con Siracusa presa nell’878. Nel VI-IX secolo, le dinamiche insediative della Sicilia orientale e di quella occidentale non seguono le stesse direzioni: nella zona occidentale prosegue infatti un lento processo di ruralizzazione, probabilmente legato all’interrompersi delle tratte commerciali con il Nord d’Africa, mentre in quella orientale si assiste allo sviluppo di diversi centri sia di carattere difensivo-militare – come Castrum Hennae (Enna) e Catania, dove si rileva un fenomeno tipico della fase tardo-antica, ovvero il restringimento dello spazio abitato all’interno di uno spazio ben difeso, soprattutto presso le acropoli –, sia di tipo difensivo, come nel caso del Monte Kassar, situato presso Castronovo di Sicilia, forse identificabile con Qasr al-Gadid («Castello Nuovo»), conquistato dalle popolazioni berbere nell’857/858. (M. M.)

DALLA PREISTORIA ALL’ETÀ GRECA Nel 1944 Luigi Bernabò Brea, Soprintendente alle Antichità per la Sicilia Orientale, compie ricognizioni archeologiche in provincia di Enna in collaborazione con le autorità militari, per verificare i danni di guerra e riprendere il controllo 28 a r c h e o

del territorio. Si avvale dell’ospitalità del governatore della provincia di Enna, il maggiore britannico I. Del Radice, «di vivacissimi interessi culturali», di remote origini piemontesi (era un discendente di un esule risorgimentale rifugiatosi a Londra nel 1821) e della collaborazione di diversi ispettori onorari, oltre ovviamente a ricorrere alla consultazione della carte dell’archivio della Soprintendenza. La relazione costituisce una messa a punto della situazione, sempre con occhio attento al dato topografico. Seguono le prime ricerche sistematiche, tra 1949 e 1951, nelle necropoli intorno a Calascibetta. I risultati confluiscono in varie pubblicazioni di Bernabò Brea, a partire da La Sicilia prima dei Greci (1958), mentre la pubblicazione definitiva di quelle campagne si avrà negli anni Ottanta, con la collaborazione

di Rosa Maria Albanese Procelli. Nelle estati del 1949 e del 1950 si procede all’esplorazione della necropoli di Cozzo San Giuseppe, in Contrada Realmese, mettendo in luce 288 tombe a grotticella artificiale. La necropoli risulta utilizzata già in un momento finale della fase di Pantalica II-Cassibile (1000-850 a.C) e il suo uso continua dalla metà del IX secolo a.C. per tutta l’età del Ferro, fino all’età arcaica (prima metà del VI secolo a.C.). I corredi presentano materiali tipici dell’area centro-occidentale (ceramiche della classe di Sant’Angelo Muxaro-Polizello e materiali, soprattutto per ciò che riguarda i metalli, tipici delle culture di Pantalica Sud [850-730 a.C.] e del Finocchito [740-650 a.C.]) proprie della prima e seconda età del Ferro nell’area orientale. Quest’area centrale interna appare quindi come una zona di contatto

In basso: rilievo del sito fortificato scoperto nel 2021 sul Cozzo San Giuseppe, del quale sono stati riconosciuti tre ambienti (A, B e C). L’insediamento sembra databile a un momento compreso fra la presenza bizantina e l’arrivo degli Arabi. Nella pagina accanto: i resti delle murature dell’ambiente A.


tra la Sikania e la Sikelia, oltre a evidenziare una precoce presenza di materiali greci, nella seconda metà del VII secolo a.C. Nella campagna del 1951 si avvia l’esplorazione della necropoli della Calcarella: 78 tombe a grotticella con corredi dell’età del Bronzo finale (Pantalica II-Cassibile, 1000850 a.C.) e dell’età del Ferro. In contrada Valle Coniglio si intraprendono le ricognizioni di una necropoli arcaica e vengono individuate 21 tombe a camera rettangolare, con banchine laterali e soffitto a spioventi. Le tombe e i corredi appartengono all’orizzonte culturale tipico dei centri indigeni ellenizzati: ai materiali locali propri della facies di Licodia Eubea si associano pochi prodotti importati di fabbrica corinzia e attica, che permettono di fissare la cronologia tra la metà del VI e la metà del V secolo a.C. Un altro momento di esplorazione sistematica del territorio ha luogo nel 1957, in seguito alla scoperta di due tombe a camera in Contrada Quattrocchi, nel corso di lavori

stradali. La tipologia delle camerette ipogee è quella corrente per le tombe locali di età greca; e cosí i corredi, databili tra la metà del VI e la metà del V secolo a.C. Il primo editore notava la singolarità di alcuni oggetti: due piccoli crateri e un cofanetto su quattro zampe zoomorfe, che si rifà a una decorazione subgeometrica. I piccoli crateri d’imitazione sono stati ripetutamente richiamati per la definizione delle aree culturali della Sicilia indigena di età greca, che presentano stringenti confronti con il vasellame dell’area centrale. Si è parlato di frangia orientale della Sikania, di permeabilità tra queste aree culturali, e l’area a est del Salso e a sud dell’Etna svolge un ruolo di cerniera tra l’area sicana e quella sicula. Figure di volatili stilizzate provengono da diverse località, nel Nisseno e attorno al lago di Pergusa. È stato osservato come la gran parte dei volatili dipinti su ceramiche locali siano imitati da prototipi corinzi. Nel caso del cratere da Calascibetta l’elegante stilizzazione del

corpo del volatile non ha nulla di greco: il corpo prosegue nella spessa coda con un unico movimento a onda e la testa, rivolta all’indietro e con il lungo becco aperto, bilancia l’ampia voluta della coda. Il gusto per il decorativismo con nessuna attenzione per la costruzione della struttura è appunto una caratteristica dell’arte locale. (R.P.A.P.)

FRA BIZANTINI E ARABI L’area di Realmese, tra l’età bizantina e quella araba, sembra conoscere un nuovo momento di frequentazione, attestato dall’utilizzo della necropoli, che viene convertita in un piccolo centro abitato rurale. Tale scelta potrebbe derivare da esigenze antropiche, naturali ed economiche fondamentali alla sopravvivenza dell’uomo, necessità che l’abitato rupestre poteva soddisfare appieno grazie alle sue caratteristiche. Il territorio è ricco di sorgenti di acqua che da sempre permettono l’insediamento umano, agevolato dall’alta difendibilità dei luoghi e a r c h e o 29


SCOPERTE • SICILIA

dalla posizione defilata in una stretta valle, accessibile solo da sud. La Grotta 1 si trova a ovest della vallata con orientamento nord-sud, accessibile da sud attraverso una grande apertura. Frutto dell’allargamento di precedenti tombe a grotticella, la cavità presenta al suo interno due ambienti separati da un pilastro risparmiato nella roccia, con nicchie e tracce in negativo di canali di scolo. Di particolare interesse è lo spazio esterno antistante, marcato distintamente da muretti che, per le tecniche costruttive, trovano un confronto puntuale con le murature del pianoro superiore di Cozzo San Giuseppe, sopra la necropoli di Realmese. Nell’estate del 2021 sul Cozzo San Giuseppe, a sud di Enna, uno dei punti piú alti del territorio circostante, sono stati scoperti resti murari e rupestri di un sito fortificato, ascrivibili preliminarmente al periodo tra l’età bizantina e l’arrivo degli Arabi. La parte principale del sito consta di una struttura rettangolare 30 × 19 m, suddivisa in diversi ambienti. Il vano A (11,90 × 5 m) si presenta in uno stato di conservazione mediocre: i muri ovest, nord e sud sono conservati fino a 2 m, mentre il muro est non supera oggi il metro d’altezza. Con una superficie pari a 450 mq circa, il vano B è uno degli ambienti piú estesi della struttura. Cosí co-

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Ortofoto della cortina muraria annessa al sito fortificato di Cozzo San Giuseppe. In basso: la cisterna (C1) scoperta al centro del vano B del sito fortificato.

me gli ambienti A e C, presenta uno strato di crollo, ricco di materiale litico, frammenti di ceramica locale e di importazione, anfore di origini mediterranee, tegole e coppi di periodi differenti. Al centro è stata identificata una cisterna (denominata C1), intonacata e profonda circa 4 m, con un’apertura avente un diametro di 1 m, realizzata con una bordura di pietre di medie e piccole dimensioni di forma poligonale. La parete meridionale della struttura presenta una grossa apertura, forse collegabile a un’altra cisterna, a oggi non identificata. Oltre all’edificio principale è balzata all’occhio, per la dimensione e la composizione, un’immensa cortina muraria, annessa a nord-est alla

struttura precedente. Si tratta di un lungo muro in opera in corsi irregolari, caratterizzata da un allineamento di pietre poligonali di medie dimensioni e pietre dalla forma irregolare di piccole dimensioni. La cortina delimita un ampio spazio del pianoro, pari a 3200 mq, che sovrasta il Cozzo San Giuseppe e dove oggi sappiamo che insistono interessanti strutture sepolte, parzialmente visibili dalle creste murarie. Indicatori cronologici dell’attribuzione di questa fase di uso all’età bizantina, sono le quindici tombe e la piastra di bronzo rinvenuta da Bernabò Brea nei terreni soprastanti la necropoli. La piastra è un disco di bronzo che veniva sospeso con catenelle che reggevano il Polycandelon (lampadario), adoperata nella liturgia greca (V-VII secolo). (A. A.)


PRESENZE NOTE E NUOVE ACQUISIZIONI

L

a Necropoli di Vallone Calcarella venne indagata negli anni Cinquanta del Novecento da Luigi Bernabò Brea, il quale ne evidenziò soprattutto la fase protostorica, rappresentata da tombe a grotticella e materiali databili tra il tardo Bronzo e l’età del Ferro. Molteplici sono i rimaneggiamenti e le trasformazioni avvenuti in alcune tombe, tanto che nel pendio meridionale di contrada Foresta, che delimita a sud il Vallone Calcarella, venne identificato un vecchio mulino ricavato in un ipogeo forse di età tardo-antica, che ospita al suo interno una tomba a grotticella artificiale. Sullo stesso versante, vi è un piccolo oratorio rupestre do-

tato di abside e di una piccola fossa rettangolare adiacente, utilizzata probabilmente come tomba. Sul fianco opposto, ovvero dove si aprono la maggior parte delle tombe indagate da Bernabò Brea, vi è la probabile presenza di un edificio di culto bizantino con tetto a doppio spiovente, collegato attraverso un’apertura praticata nella parete a un ambiente adiacente di dimensioni minori e con tetto piano. Caratteristiche, queste, comuni anche agli edifici di culto di Contrada Gazzana e del villaggio bizantino di Vallone Canalotto. In Contrada Facchiumello sono state localizzate varie testimonianze archeologiche, mai indagate approfonditamente pri-

ma d’ora. L’area si trova a poche centinaia di metri da quelle che in passato dovevano essere le rive del Lago Stelo – prosciugato in età fascista – e attorno al quale sono rilevabili molte presenze, riferibili a epoche diverse. Accanto alle tombe a grotticella ricadenti in proprietà private, all’interno dell’area forestale e nelle zone immediatamente adiacenti, in questa contrada si trovano almeno altre tre tombe a camera, una tomba a forno, due piccole tombe a fossa e un grande palmento a doppia vasca. Le tracce piú interessanti in questa zona sono una escavazione mai portata a termine e una struttura ricavata su una parete di roccia di circa 1,80 m

Una veduta della Valle del Morello, nel territorio di Calascibetta, una delle aree interessate dal progetto di ricerca del Pontificio Istituto Orientale.

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SCOPERTE • SICILIA

di altezza. Si tratta di una nicchia rettangolare, profonda 30 cm, con un’apertura a doppio spiovente e il colmo coronato da una croce latina. All’interno, invece, nella parete di fondo, vi è un foro munito di una pietra mobile, ma non estraibile, come se facesse da filtro per qualcosa che vi colava da sopra. Alla base della nicchia – a sormontare la parete rocciosa – è stata identificata una vasca rettangolare, ancora riempita di terra, larga circa 1 m. Ad avvalorare la tesi che all’interno della piccola struttura scorresse una sostanza liquida, vi è un canaletto alla base di questa, intagliato esternamente, e molto probabilmente collegato ad altri canali ricavati nelle piccole balze rocciose sottostanti. Sulla parete a vista vennero incise una croce, del tipo detto «del Calvario», e un titulus, ad attestare una qualche funzione di natura religiosa. Strutture simili sono state identificate in contesti bizantini in area medio-orientale (Siria, Asia Mino-

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re), dove sovente sono state interpretate come reliquiari a nicchia a circolazione d’olio, oppure come luoghi legati alla presenza di sorgenti d’acqua miracolose.

CONTRADA GAZZANA Un’altra area di notevole interesse è quella di Contrada Gazzana. Qui si conservano alcune tombe a grotticella – sia circolari che quadrangolari – della necropoli, il cui villaggio doveva trovarsi sul pianoro che la sovrasta. L’utilizzo del sepolcreto ebbe verosimilmente inizio tra il Bronzo Finale e l’età del Ferro. mentre in età bizantina appare piuttosto evidente come alcune parti delle tombe siano state ampliate e poi trasformate in abitazioni e in luoghi di preghiera. Ne sono testimonianza i numerosi simboli ed emblemi cristiani incisi in varie zone dell’area. Si tratta, in particolare, di due «Croci del Calvario», una delle quali incisa in un grande ambiente dotato di un muro a secco,

Qui accanto e in basso, a destra: le «Croci del Calvario» scoperte in Contrada Gazzana. Nella pagina accanto, in alto e in basso, a sinistra: una «Croce del Calvario» e una nicchia sormontata da una croce latina nella struttura rupestre scoperta in Contrada Facchiumello. In basso, sulle due pagine: l’insediamento rupestre in Contrada Gazzana.

per un probabile e piú recente utilizzo come abitazione o ricovero per il bestiame. L’altra è rilevabile in un ambiente che oggi si mostra come semi-ipogeo a causa di probabili crolli avvenuti nel tempo. L’emergenza piú importante in questa contrada è una cappella di probabile età tardo-bizantina (VIIIIX secolo), che mostra ancora evidenti tracce di affreschi nella centrale nicchia ad arco, sulle pareti laterali e nel soffitto. Ulteriori elementi di rilievo sono i palmenti vinari presenti nell’area: uno, di grandi dimensioni, in prossimità della necropoli di Gazzana e altri due poco distanti, localizzati in Contrada Sinatra. Questi, assieme ai due presenti all’interno del vicino villaggio bizantino e a un sesto palmento in Contrada Buonriposo, altra area contigua alla necropoli di Gazzana, fanno ipotizzare una importante produzione vinicola in antico. (G. L. R.)

IL MONTE ALTESINA Il Monte Altesina (Nicosia) conserva una traccia importantissima del passato islamico: si tratta di un’epigrafe in arabo, recante una professione di fede databile, su base paleografica, alla metà del IX secolo, e correlabile al coevo assedio musulmano di Enna. La circostanza ha indotto un gruppo di ricercatori del Dipartimento Ausonius (Università a r c h e o 33


SCOPERTE • SICILIA

Bordeaux-Montaigne) a condurre indagini sistematiche nel sito, d’intesa con la Soprintendenza di Enna e grazie al sostegno del Comune di Nicosia (che si avvale a sua volta del supporto dell’associazione «Ecomuseo Petra D’Asgotto»). I risultati preliminari testimoniano la presenza di materiale archeologico riferibile a questo contesto storico, cosí 34 a r c h e o

come la presenza di tegole pettinate prova l’occupazione bizantina del sito. A partire dall’età islamica centro dei tre valli (divisioni geografico-amministrative dell’isola), l’Altesina si rivela essere un sito fondamentale per la comprensione delle dinamiche insediative tra età bizantina e islamica. (G. L.)

UN QUADRO INEDITO Obiettivo di questo contributo è quello di presentare i nuovi risultati della ricerca raggiunti dal Pontificio Istituto Orientale nell’entroterra siciliano e illustrare, grazie alla collaborazione con alcuni studiosi locali, i numerosi siti editi e inediti del territorio. Queste realtà archeologiche, attraverso la già so-


Contrada Gazzana, cappella di probabile età tardo-bizantina (VIII-IX sec.), al cui interno si conservano tracce di affreschi.

lerte operosità del Parco Archeologico di Morgantina e della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina e del Comune di Calascibetta, potrebbero consentire lo sviluppo di nuovi percorsi turistici, didattici e naturalistici unici nel loro genere; oltre a essere altresí fonti imprescindibili per le future tesi degli studenti universitari.

Il sito fortificato recentemente scoperto sul Cozzo San Giuseppe è un unicum, non solo per la sua tipologia e forma ma perché ricco di resti di viabilità antica. A valle, infatti, passa attualmente una strada realizzata con ciottoli di 200 m di lunghezza, avente una larghezza massima di 3,50 m, che separa geomorfologicamente la necropoli dal cozzo. In

base ai dati archeologici raccolti, tale sito fortificato è interpretabile come un insediamento di altura (site perché). La tipologia di tali siti, assimilabile a quello di Realmese, si individua in quel gruppo di fortilizi semirupestri che presentano strutture in muratura e vani ricavati nella parete rocciosa e adatti a ospitare una guarnigione militare, posta a a r c h e o 35


SCOPERTE • SICILIA

controllo e a presidio del territorio circostante, oppure a un piccolo centro abitato a vocazione non militare, in cui la popolazione ha prediletto un luogo difficilmente accessibile e di posizione dominante. I siti presentati in queste pagine non sembrerebbero essere sorti in modo spontaneo, ma potrebbero essere il frutto di una colonizzazione simultanea per agglomerazioni, realizzata secondo un progetto sistematico di occupazione del territorio. In assenza di indagini approfondite, la loro cronologia resta una problematica aperta: Paolo Orsi propose di ascriverli al periodo bizantino, mentre un quadro piú tardo è stato proposto da Illuminato Peri in riferimento alla colonizzazione dei Berberi a partire dal IX secolo, senza però escludere una precoce conoscenza di questa architettura nel periodo pre-islamico. La lettura storica conferma che la scelta della Sicilia, quale nodo essenziale per i Bizantini, era guidata dall’esistenza di una popolazione ampiamente ellenizzata, dai benefici derivanti dalla consistente prosperità economica e dalla posizione geografica dell’isola, che consentiva il controllo delle principali rotte ma-

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Resti di una carraia nel pianoro superiore di Monte Altesina. In basso, a sinistra: foto aerea del pianoro superiore di Cozzo San Giuseppe. In basso, a destra: veduta del Monte Altesina dal pianoro di Cozzo San Giuseppe.

rittime. Questi motivi possono essere stati, in parte, gli stessi che hanno spinto, successivamente, i Berberi musulmani a stanziarsi in Sicilia, nell’ottica di una strategia militare mediterranea. Per tali avvenimenti, l’area tra Enna (Castrum Hennae) e Calascibetta (Cozzo San Giuseppe), ricca di siti fortificati e strutture

rupestri chiuse, può aver avuto un ruolo nelle dinamiche delle guerre tra Bizantini e Berberi. A conferma di un possibile limes fra le due potenze in questa parte della Sicilia, ancora da tracciare, è l’identificazione di altri siti simili da parte di équipes europee sul Monte Altesina. (E. E. K. H)





STORIA • MALTA

«UN LUOGO DOVE I NOSTRI NEMICI APPRODARONO SPESSO...» COSÍ MARCO TULLIO CICERONE DESCRIVE IL PICCOLO ARCIPELAGO MALTESE, DISTANTE MENO DI 100 CHILOMETRI DALLA COSTA DELLA SICILIA. NELL’ANNO 218 A.C., CON L’INIZIO DELLA SECONDA GUERRA PUNICA, ROMA OCCUPA MANU MILITARI LE ISOLE SITUATE NEL CUORE DEL MEDITERRANEO. ECCO UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DI UNA STORIA PER LUNGO TEMPO NEGATA... di Andreas M. Steiner A sinistra: ritratto in marmo di Cicerone. Metà del I sec. a.C. Roma, Musei Capitolini. A destra: l’arcipelago maltese in una carta di Nicolaes Visscher (1649-1702).

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STORIA • MALTA

C

hiunque visiti per la prima volta le isole maltesi, rimane colpito da quel particolare «linguaggio architettonico» che pervade – e talvolta invade – l’intero arcipelago, riscontrabile sia nell’edilizia residenziale (moderna, otto e novecentesca), sia nei grandi edifici pubblici, rinascimentali e barocchi, nonché nelle innumerevoli chiese di Malta e Gozo. Un fondamentale denominatore, inoltre, accomuna tutti i secoli – nonché i

millenni – dell’architettura maltese: la tipica pietra da costruzione, un calcare denominato globigerina, estratto dalle cave dell’isola e dalla caratteristica tonalità dorata (colore evocato dallo stesso nome antico di Malta, ovvero Melita, che racchiude la parola meli, greco per miele). Il visitatore, inoltre, scoprirà presto che, nonostante la millenaria e complessa storia dell’arcipelago, due sole furono le grandi stagioni dell’architettura maltese, per di piú

separate tra loro da alcuni millenni: quella dei grandi templi megalitici, eretti nel corso di un periodo compreso tra la metà del III e la metà del II millennio a.C. e, all’altra estremità cronologica, il periodo dei Cavalieri, iniziato il 26 ottobre del 1525, con l’insediamento sull’Isola dell’Ordine degli Ospedalieri di San Giovanni, già Cavalieri di Rodi (l’isola prospiciente la costa turca da cui, dopo una permanenza di quasi duecento anni, i Cavalieri furono A sinistra: veduta aerea da nord delle isole maltesi (in primo piano Gozo, seguita dall’isolotto Comino e, sullo sfondo, l’isola di Malta). Marsalforn Gharb Ghasri Xaghra San Victoria GOZO Lawrenz Xewkija Ghajnsielem Xlendi Sannat Comino

EUROPA

COMINO

Malta AFRICA

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Millieha

St S t P Paul’s aul’s au aul’ aul a u ul’s l’s B Bay ay St.

Mar Mediterraneo

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Mdina Rabat

N

MALTA

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Zurrieq

0

Particolare della decorazione musiva della Domus Romana di Rabat, con maschera tragica e festone di fiori e frutta. I sec. a.C. Rabat, Museo della Domus Romana.

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10 Km

FILFLA

BirzebbugIa


re geopolitico ed economico che aveva visto protagoniste le grandi civiltà marinare del passato. Sappiamo cosí, a dispetto di testimonianze archeologiche meno spettacolari e tuttavia significative, che l’arrivo dei Fenici sulle frastagliate coste di Malta, verificatosi a partire dall’VIII secolo a.C., segna l’irrompere della «storia» nell’arcipelago (vedi «Archeo» n. 430, dicembre 2020; on line su issuu.com). E i Romani? Impensabile credere

In alto: diritto e rovescio di una moneta gozitana di età romana (40 a.C.).

espulsi nel 1522 da Solimano il Magnifico). Le testimonianze delle altre epoche maltesi, che pure hanno visto l’avvicendarsi di Fenici, Punici, Romani, Bizantini, rimangono in larga parte nascoste.

IN POSIZIONE STRATEGICA Eppure, non è difficile immaginare quanto questo straordinario arcipelago, strategicamente posto «nel cuore» del Mediterraneo – a circa 300 km dalla costa dell’Africa settentrionale e a 93 da quella meridionale della Sicilia –, formato da due grandi isole – Malta (di circa 246 kmq) e Gozo (di circa 67 kmq), una terza, piú piccola, Comino (circa 2 kmq), e altri minuscoli isolotti disabitati) – e che oggi rappresenta uno Stato insulare tra i piú densamente popolati al mondo, abbia potuto svolgere un ruolo rilevante nello scacchie-

A destra: lo storico e archeologo britannico Thomas Ashby (1874-1931), secondo il quale non esisteva una storia romana dell’arcipelago maltese. In basso: diritto e rovescio di una moneta di epoca romanorepubblicana, battuta dalla zecca di Melita.

che l’impero non abbia preso possesso di quella strategica base mediterranea, dotata, tra l’altro, di un territorio pianeggiante, fertile e agevolmente coltivabile e munito di approdi naturali e protetti. Scrive, infatti, a proposito dell’arcipelago, lo storico Diodoro Siculo nel I secolo a.C.: «Ciascuna [delle isole] possiede una città e porti in grado di offrire sicurezza alle navi sorprese dalla burrasca. La prima è quella che si chiama Malta: (...) possiede molti porti (e fra i piú co-

«Durante il periodo romano le isole maltesi non hanno storia»

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STORIA • MALTA

modi) e abitanti ben forniti di beni. (...) Malta è colonia dei Fenici i quali, estendendosi con i loro traffici fino all’oceano occidentale, avevano in quest’isola, fornita di buoni porti e situata in mare aperto, un luogo di rifugio. (...) Dopo quest’isola ve n’è un’altra che si chiama Gozo, in mare aperto, abbellita da comodi porti e colonia dei Fenici» (Biblioteca Storica, Libro V, 12). Eppure, le indagini sul periodo romano di Malta sono rimaste, per lunghi anni, nel cono d’ombra della dominante esplorazione archeologica rivolta alle spettacolari emergenze monumentali del Tardo Neolitico maltese, al periodo cosiddetto dei Grandi Templi. Una «scelta» per certi versi comprensibile (considerata l’assoluta unicità di quel fenomeno) che, però, ha portato ad 44 a r c h e o

affermazioni apodittiche come quella del celebre archeologo britannico Thomas Ashby (era stato direttore della British School at Rome dal 1906 al 1925 e divenne uno dei piú acclamati topografi della città di Roma) secondo cui «durante il periodo romano le isole maltesi non hanno storia».

POETA E TESTIMONE DEGLI EVENTI A quel giudizio affrettato aveva certamente contribuito la scarsità delle fonti letterarie antiche che riferiscono, essenzialmente, di due soli eventi storici: il primo riguarda la spedizione militare condotta a Malta da Attilio Regolo nel 257-256 a.C., quando l’arcipelago era ancora sotto dominio cartaginese. La noti-

zia di quel raid viene fornita dal poeta e drammaturgo Gneo Nevio (264-195 a.C.), che nel suo Bellum Poenicum – il poeta aveva personalmente partecipato al primo conflitto – racconta come l’isola fosse stata ripetutamente saccheggiata e data alle fiamme. Il secondo evento riportato dalle fonti risale a una quarantina di anni dopo, allo scoppio della seconda guerra punica nel 218 a.C., e si riferisce all’arrivo nelle isole di Tiberio Sempronio Longo. La flotta del console romano era partita dalla Sicilia con un esercito di 2000 uomini e, sbarcati nell’arcipelago, costrinsero alla resa Amilcare, il comandante cartaginese. Non si è a conoscenza di testimonianze archeologiche che attestino l’esistenza di


In alto: l’antica città di Melite (in seguito divenuta Mdina), secondo la ricostruzione ipotetica di una stampa del 1647. A sinistra: vedura aerea di Mdina (a destra) e Rabat (a sinistra), al centro di Malta. In evidenza (nel quadrato) l’area della Domus Romana e del museo omonimo.

un contingente militare cartaginese nell’arcipelago ed è molto plausibile che gli abitanti non avessero opposto alcuna resistenza all’invasore. Una volta assicurate al dominio di Roma, le isole non dovettero piú rappresentare una priorità sotto il punto di vista strategico, mantenendo invece il loro ruolo di comodo approdo intermedio tra l’Italia e la costa africana. Eppure, già nell’antichità, Malta e Gozo assumono un’aura che rimarrà nei secoli. Lontane dalla vita politica, «isolate» nel senso piú letterale del termine, sono viste come un porto sicuro: lo stesso Cicerone descrive Melita come «un luogo dove i nostri nemici approdarono spesso e i pirati hanno l’abitudine di trascorrere inverno dopo inverno». E Cicerone stesso

aveva considerato di rifugiarsi a Malta durante le guerre civili. La storia di Malta romana (quella ancora negata da Ashby…) emergerà lentamente, grazie a una serie di rilevanti scoperte archeologiche. Sebbene – come è stato recentemente sottolineato dalla studiosa Claudia Sagona – gli abitanti dell’arcipelago appaiano per molti decenni ancora gelosi della propria identità locale, fortemente improntata all’eredità del Levante fenicio, di importanza non secondaria fu l’introduzione di elementi di assoluta novità nella storia dell’arcipelago, tra cui l’autorizzazione, accordata da Roma, di battere moneta. Una concessione che sembra indicare uno status di relativa autonomia di Melita e Gaulos (questi i nomi delle

due isole in età classica), forse elargita come ricompensa per il «cambio di alleanza» messa in atto dagli abitanti dell’arcipelago.

VERRE ALLA SBARRA Come possiamo immaginare l’amministrazione delle isole durante il dominio romano? Facciamo ricorso a un episodio ricordato da Claudia Sagona e che ha come protagonista lo stesso Cicerone, in veste di accusatore nella causa legale intentata a Gaio Licinio Verre, governatore (propretore per l’esattezza) della provincia Sicilia – sotto la cui giurisdizione cadeva l’arcipelago – dal 73 al 71 a.C. Verre aveva saccheggiato il grande tempio di Giunone (la fenicia Astarte) a Tas-Silg, nell’estremità sud-occidentale di Malta, aveva trasformato il villaggio di Melita in una fabbrica per tessuti di lusso a uso proprio e aveva perseguitato un tale Diodoro, maltese benestante, al fine di impossessarsi delle sue preziose coppe d’argento. Il comportamento a r c h e o 45


STORIA • MALTA Un’immagine dello scavo della Domus Romana di Rabat, durante il quale vennero alla luce numerose sepolture islamiche, riferibili all’XI sec. In basso, a sinistra: una veduta di Mdina, la «Città Notabile».

dell’occupazione romana dell’arcipelago, Melite godeva dello status di foederata civitas e i suoi abitanti erano considerati alla stregua di socii. Successivamente la città ottenne la nomina di municipium, potendosi UNA LUNGA FIORITURA Per farsi oggi un’idea di quanto avvalere cosí degli stessi diritti delle «romano» fosse veramente l’arcipe- altre città dell’impero. lago durante il dominio di Roma, vale la pena recarsi al centro della maggiore delle isole. Qui, su un’altura, sorge l’antica capitale fortificata dell’isola, Mdina, e, appena separata da un fossato, la città di Rabat. Le bellissime architetture medievali, barocche e otto/novecentesche delle due città nascondono i resti di Melite (o Melita), già insediamento dell’età del Bronzo, trasformatosi nella Maleth fenicia e destinata a diventare centro amministrativo dell’isola. La città venne conquistata da Roma nel 218 a.C. e continuò a prosperare durante tutto il periodo romano e poi bizantino, fino a quando non venne distrutta durante la conquista araba dell’arcipelago, nell’870. Durante i primi anni di Verre strideva contro l’immagine di un’amministrazione benevola che riteneva i propri governatori responsabili di ogni abuso di potere…

46 a r c h e o


Dopo l’870 la città venne ricostruita e rinominata Medina – che in arabo significa «città» –, da cui l’attuale Mdina, mentre la cittadina rimasta all’esterno delle mura venne chiamata Rabat, l’equivalente di «sobborgo» (altrettanto accadde con l’imponente cittadella che ancora oggi si erge al centro di Gozo, ribattezzata direttamente «Rabat», mentre il suo nome moderno, «Victoria», le fu conferito molti secoli piú tardi, nel 1887, in onore dell’omonima regnante britannica). Mdina rimase capitale dell’isola fino al 1530, quando nell’arcipelago giunsero i cavalieri dell’Ordine di San Giovanni, i quali stabilirono il proprio quartiere generale a Birgu, sulla costa orientale di Malta, presso

L’ingresso, in stile neoclassico, del Museo della Domus Romana a Rabat. In basso, sulle due pagine: l’area archeologica della Domus Romana, estesa sul retro del museo.

l’odierna Valletta. Negli anni Mdina assunse anche la denominazione di «Città Vecchia» o «Città Notabile»: venne ripetutamente ampliata e ricostruita, fino ad assumere il suo aspetto attuale, caratterizzato per lo piú dall’ultimo, significativo intervento di potenziamento delle sue fortificazioni, risalente agli anni Venti del Settecento.

È stato calcolato che, sin da quando la città entrò nell’orbita di Bisanzio (divenne parte della provincia bizantina di Sicilia nel 535) e in seguito alla costruzione di una nuova cinta fortificata (eretta probabilmente nell’VIII secolo, per far fronte alla minaccia musulmana), le dimensioni della città si siano ridotte a un terzo rispetto a quelle della

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

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STORIA • MALTA

UNA VILLA IN CAMPAGNA Oltre alla quelle della Domus di Rabat, testimonianze archeologiche dell’età romana sono sparse in tutto l’arcipelago: rare sono, purtroppo, quelle relative alla già menzionata cittadella di Gozo (alcuni reperti sono esposti nel piccolo ma affascinante museo archeologico), piú significativi sono i resti dei quarantasette insediamenti agricoli, finalizzati soprattutto alla produzione dell’olio d’oliva, rinvenuti nelle campagne di Malta e Gozo. Alcune di queste ville potenziarono preesistenti strutture di età punica. Tra gli esempi piú rimarchevoli figura la Villa di San Pawl Milqi (San Paolo Naufrago) situata nei pressi della baia intitolata al santo, sulla costa nord-occidentale di Malta. La struttura, scavata negli anni Sessanta del secolo scorso da archeologi italiani, è databile tra il

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II e il I secolo a.C. ed era composta da una serie di ambienti abitativi e complesse installazioni agricole, tra cui strumenti per la spremitura delle olive, bacini e vasche di decantazione. Secondo alcuni, la villa apparteneva al governatore

locale, altri sostengono che si tratti del luogo dove aveva soggiornato san Paolo, dopo che la sua imbarcazione, secondo quanto narrano gli Atti degli Apostoli, intorno all’anno 60 d.C. era naufragata nella baia.


ve sparse nell’isola, tra cui la stessa Cattedrale di S. Paolo a Mdina, la grotta-santuario dedicata al santo a Rabat, la chiesa francescana di Maria e Gesú e altri edifici.

LABILI TRACCE Oggi, della città punica e poi romana rimangono solo poche testimonianze: resti di una porta urbica e di una torre sono stati scoperti a Rabat,

a circa 5 m di profondità dall’attuale piano di calpestio. Nel 2010, alcuni blocchi di pietra squadrati, facenti parte delle fortificazioni di età punico-romana, sono stati identificati nel corso di indagini archeologiche svoltesi nella parte occidentale di Mdina. A Rabat sono emersi tratti di una strada romana e resti di cisterne e canalizzazioni. Nessuna traccia rimane, invece,

Statua in marmo dell’imperatore Claudio e, in basso, il volto della statua di Claudia Antonia, figlia dell’imperatore, rinvenuti nella Domus Romana di Rabat ed esposti nell’omonimo museo. Nella pagina accanto: due vedute dell’area archeologica della villa romana di San Pawl Milqi.

città punico-romana, la cui estensione, come già accennato, copriva quella, attuale, dei due centri di Mdina e Rabat. Ed è ragionevole supporre, inoltre, che le nuove mura siano state costruite utilizzando le pietre provenienti dagli edifici demoliti della città antica. Secondo una testimonianza del «padre della storiografia maltese», l’archeologo Giovanni Francesco Abela (1582-1655), molti resti della Melite romana erano ancora visibili all’interno di Mdina e, nei secoli successivi, le colonne e gli elementi scultorei dei templi di Apollo e Proserpina e di altri edifici pubblici vennero inglobati all’interno delle case padronali e delle numerose chiese nuo-

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.


STORIA • MALTA

degli edifici pubblici che, un tem- In questa pagina: il pavimento musivo del peristilio della Domus Romana, oggi po, dovevano plasmare l’aspetto all’interno del museo. dell’antica città (fa eccezione il rinvenimento del podio del Tempio di Apollo, identificato nel 2002 all’interno di Mdina). Un caso eccezionale è rappresentato, invece, dalle vestigia di una grande domus situata al confine tra i due centri di Mdina e Rabat. Costruita nel I secolo a.C. all’interno della città, la casa romana di Melite si presume sia rimasta in uso fino al II secolo d.C. Le dimensioni e l’opulenza degli arredi suggeriscono che dovesse appartenere a una famiglia dell’aristocrazia cittadina. La Domus Romana di Rabat venne scoperta casualmente nel 1881 e, in seguito, scavata da eminenti archeologi maltesi, tra cui Sir Themistocles Zammit. Durante lo scavo vennero scoperti i resti di un cimitero musulmano, con circa 245 sepolture e 14 pietre tombali, iscritte con caratteri cufici. Orientate in direzione

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In alto: sarcofagi e stele in calcare, dal cimitero islamico scoperto durante lo scavo della domus. Gozo, Museo Archeologico della Cittadella. In basso: bottiglia in vetro traslucido, rinvenuto in una sepoltura di età romana a Rabat. Gozo, Museo Archeologico della Cittadella.

est-ovest, le tombe erano state adagiate direttamente sulle fondamenta della struttura di età romana. Nel 1882 il sito della Domus (all’inizio ancora denominata, erroneamente, Villa romana, poiché solo in seguito

(l’imperatore Claudio e la figlia Claudia Antonia), insieme a monete, vetri, anfore e altri oggetti di vita quotidiana. La storia delle isole maltesi durante il periodo romano, dunque, appare oggi tutt’altro che irrilevante, e la sua riscoperta dovrà far parte del programma dei viaggiatori che raggiungono l’arcipelago, attratti, soprattutto, dal richiamo dei suoi celebri monumenti megalitici. Infatti, le tessere che compongono l’identità UNA DIMORA culturale di queste isole nel cuore PRESTIGIOSA La grande Domus era composta da del Mediterraneo sono infinite, rafun peristilio colonnato, decorato, finate e multicolori. Come quelle come anche gli ambienti che lo dei mosaici della Domus di Rabat. circondano, da una serie di raffinati mosaici policromi – rinvenuti in PER SAPERNE DI PIÙ ottimo stato di conservazione – raffiguranti scene mitologiche. Gli Claudia Sagona, The Archaeology scavi portarono alla luce, inoltre, of Malta. From the Neolithic through tracce di pareti affrescate nel primo the Roman Period, Cambridge e secondo stile pompeiano. Nel University Press, Cambridge 2015 museo sono poi esposte alcune pre- Anthony Bonanno, Malta, gevoli statue rinvenute nella domus Phoenician, Punic, and Roman, e raffiguranti la famiglia imperiale Midsea Books, Malta 2005 ci si convinse che era situata all’interno della città) venne aperto al pubblico, con l’allestimento di un apposito museo, il primo edificio del genere costruito nell’arcipelago. Inizialmente denominato «Museo di Antichità Romane» (ora «Museo della Domus Romana»), nel 1922 fu ampliato e munito di una facciata in stile neoclassico, cosí come appare ancora oggi.

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DONNE DI POTERE/4

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OLIMPIADE DONNA DEI MISTERI

UN GRANDE TUONO, UN FULMINE CHE NE COLPISCE IL VENTRE, IL PRESAGIO DI UN FIGLIO «LEONE»: RICORDATA SOPRATTUTTO PER AVER MESSO AL MONDO IL PIÚ FAMOSO DEI MACEDONI, LA TERZA MOGLIE DI FILIPPO II NON SI LIMITÒ A ESERCITARE IL RUOLO DI REGINA MADRE, MA FU ATTRICE PROTAGONISTA DELLE CONVULSE VICENDE POLITICHE DEL SUO TEMPO di Gianluca Cuniberti Nella pagina accanto: ritratto di una figura femminile tradizionalmente identificata con Olimpiade sul dritto di un medaglione in oro, da Abukir. III sec. d.C. Salonicco, Museo Archeologico. In basso: affresco raffigurante Ade che rapisce Persefone in una delle tombe reali di Verghina. IV sec. a.C.

C

on i capelli rossi, di una bellezza indomita, come il figlio Alessandro, come, forse, la Persefone delle tombe reali di Verghina e di Anfipoli, e come i Traci dai capelli rossi che con la regina condividono misteri e riti magici; affascinante e distante, giovane donna che Filippo chiede in

moglie, forte sempre, anzitutto per difendere se stessa e suo figlio, pronta ad assumere la guida di un esercito quando, in ultimo, cerca di non lasciarsi portar via il «suo» regno. E i serpenti. Come Angelina Jolie in Alexander. Come madre che cede al figlio un protagonismo che, sia pure a frammenti, riemerge potente dalle

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DONNE DI POTERE/4

fonti. Prima regina di regine che, pur senza averne il nome, cambiò e segnò un intero periodo storico, l’inizio di una nuova epoca. Cosí possiamo immaginare e poi tratteggiare Olimpiade, la figlia del re molosso Neottolemo della dinastia degli Eacidi, la moglie di Filippo II di Macedonia, la madre di Alessandro (che divenne il Grande, megas in greco, magnus in latino). E però, ogni volta che proviamo a tracciarne un profilo biografico, qualcosa sfugge, qualcosa non è coerente, molto rimane da indagare e capire. Nulla di questo profilo può essere dato per scontato. A partire dal nome. Secondo una consuetudine della propria casata il re Filippo, poligamo, amava segnare le proprie mogli cambiando loro il nome e cosí fece anche con la terza, quando, nel 356 a.C., gli diede un figlio, Alessandro. In quegli stessi mesi Filippo ottenne anche un’importante vittoria contro gli Illiri, a opera di Par-

menione, e un’altra vittoria non meno importante, quella a Olimpia nella corsa dei cavalli: per questo, in un anno trionfale, diede alla moglie il nome di Olimpiade con il quale la ricordiamo.

TRAME SENZA FINE E prima? Le fonti antiche ci riportano tre nomi: Myrtale, Polissena, Stratonice. Il primo sembra riferirsi ai culti dionisiaci che certo interessarono la regina. Il secondo, Polissena, forse il nome di nascita, rimanda all’Iliade e al ciclo troiano. Infatti, la dinastia degli Eacidi (e piú tardi Alessandro esaltando l’origine da parte di madre) amava presentarsi come da lí originata: Eaco è padre di Peleo e nonno di Achille; successivamente il figlio di Achille, Neottolemo/Pirro, fa convergere discendenza achea e troiana, unendosi con Andromaca, moglie di Ettore, per regnare con lei in Epiro e generare un figlio (anche se, secondo il mito, in ultimo

Neottolemo/Pirro abbandonerà Andromaca per Ermione, figlia di Menelao ed Elena, suscitando la vendetta di Oreste: le trame e le reti di personaggi della mitologia dei Greci rimangono irraggiungibili anche per una società che vive di serie tv, prequel e sequel). Stratonice, il terzo nome, greco, usato dalla corte macedone, potrebbe invece essere stato dato da Filippo alla donna nel momento del matrimonio per poi mutarlo in Olimpiade alla nascita del figlio. Se è consuetudine del re macedone cambiare i nomi a chi lo circonda a corte, non di meno l’operazione è riconoscibile come azione tesa ad affermare un possesso, a definire una persona come a lui meglio sembra anche per fini di comunicazione e di potere. A quella corte Olimpiade (continueremo a chiamarla cosí nonostante tutto) vi è arrivata giovanissima a sedici anni. È nata in Epiro, ha una sorella maggiore, Troade, e un fratello (minore?) Alessandro,

Nella pagina accanto: statere aureo coniato dalla zecca di Pella al tempo di Filippo II o Alessandro III. 340-328 a.C. In basso: miniatura raffigurante il faraone e mago Nectanebo che, introdottosi nella stanza di Olimpiade, la seduce e la fa cadere vittima dei suoi sortilegi, da un’edizione della La Vraye Histoire du Bon Roy Alixandre. Inizi del XV sec. Londra, British Library. Secondo il Romanzo di Alessandro, dall’unione fra i due sarebbe nato Alessandro il Grande.

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I RE MACEDONI ALESSANDRO I FILELLENO (498-454 CIRCA) PERDICCA II

ALCETA

FILIPPO

sp. (SIMICHE) sp. (CLEOPATRA) ARCHELAO I

ALESSANDRO

sp. (XA) sp. (CLEOPATRA) ORESTE

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MENELAO

A(R)RIDEO

sp. SEUTE DI

AMINTA IL PICCOLO

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FIGLIA

ALESSANDRO MAGNO (336-323)

sp. BARSINE

sp. ROXANE

ERACLE

ALESSANDRO IV

ALESSANDRO II

EURINOE

PERDICCA III FILIPPO II

(359-336)

AMINTA

sp. CINNA

sp. CLEOPATRA

sp. AUDATA

sp. FILINNA

sp. NICESIPOLI

EUROPA

CINNA

FILIPPO III A(R)RIDEO

TESSALONICE

CLEOPATRA

sp. AMINTA

sp. ALESSANDRO D’EPIRO

ADEIA

detto il Molosso. Sono presto rimasti orfani e loro tutore è Ariba, che prenderà in sposa Troade e che, nelle fonti antiche, ora è definito cugino, ora, piú probabilmente, zio di Olimpiade e dei suoi fratelli. Da Troade nascerà Eacide che salirà sul trono d’Epiro dopo Alessandro il Molosso e lascerà il trono al figlio Pirro, che passerà alla storia per le sue spedizioni militari nella penisola italica e per il detto di vittoria inutile a lui attribuita. Filippo ha circa venticinque anni quando la chiede in moglie al tutore Ariba, che organizza il matrimonio e certo vi attribuisce significati di alleanza fra Epiro e Macedonia, un’intenzione condivisa dal re macedone, che vede la possibilità, in Epiro, di un accesso all’Adriatico

TOLOMEO DI ALORO

A(R)RIDEO MENELAO

DI ALORO

sp. OLIMPIADE

FILIPPO

sp. EURIDICE

sp. TOLOMEO

sp. FILA

TRACIA

AMINTA III

sp. GIGEA

FIGLIA

sp. AMINTA II FIGLIA

AMINTA

sp. EURIDICE

sp. MEDA

sp. CASSANDRO

sp. A(R)RIDEO

sulla linea di una via carovaniera che, attraverso il Nord della Grecia, lí arriva prendendo origine dal Ponto. È la via che i Romani svilupperanno ulteriormente e chiameranno Egnatia. Tuttavia, anche perché inserito in

un contesto poligamico inadatto alla personalità da protagonista e non da comprimaria della nobile epirota, il matrimonio riserva esiti complessi a Filippo, il quale, prima di Olimpiade, si è già sposato due volte (l’illira Audata, che prenderà a r c h e o 57


DONNE DI POTERE/4

La Macedonia sotto Filippo II (359-334 a.C.) 335

335

Odessa

339 Cabila

Apollonia

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337-334

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il nome di Euridice, e Fila) e ha avuto altri figli anche da due altre donne tessale, e continuerà in uno sviluppo coniugale della corte inaccettabile per Olimpiade e per la realizzazione di obiettivi che la neosposa ha presto ben chiari.

PRATICHE BACCHICHE Non sappiamo esattamente quando, ma certo Olimpiade fa esperienza dei tiasi citati da Plutarco (vedi box a p. 59), associazioni dionisiache custodi delle pratiche misteriche, di rituali cosí sfrenati da sembrare, nei modi, negli abiti e nei luoghi, esperienza ferina e selvaggia. Di essi, alla

P E RS I A N O C a

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Nasso Melo (Milo)

Citera (Cerigo)

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338

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Ambracia

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Perinto Maronea

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340

342

Filippi

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58 a r c h e o

Ponto Eusino (Mar Nero)

342

356

344

Pella

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Battaglia e data

342-341

Filippopoli

Corcira (Corfù)

La Macedonia all’avvento di Filippo II (359 a.C.) Territori conquistati da Filippo II dal 350 al 336 a. C. Lega panellenica contro Filippo II Impero persiano Campagne di Filippo II Campagne di Alessandro 342-341 Anno delle conquiste

Rodi

Mar di Creta Creta

r r a n

Carpato (Scarpanto)

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corte macedone, Olimpiade porta pratiche bacchiche nei sacrifici e nei culti, ma, soprattutto, caratterizza la sua figura costantemente, riconducendola alla consuetudine con i serpenti e con i pharmaka, sostanze di origine vegetale dalle proprietà allucinogene, venefiche o terapeutiche. E su queste competenze costruisce un muro che abbraccia il figlio e tiene lontano il marito, il re Filippo, nonostante proprio la condivisione dei culti misterici di Samotracia sarebbe stata l’occasione di incontro fra i due. È sempre Plutarco a raccontarlo nel secondo capitolo della Vita di

a

L’assetto geopolitico della Macedonia alla metà del IV sec. a.C. Nella pagina accanto: i resti dell’antica città di Dodona, in Epiro. In basso: busto marmoreo di Filippo II, copia romana da un originale greco. I sec. d.C. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Chiaramonti.


Alessandro, là dove descrive Filippo che, iniziato ai misteri insieme a Olimpiade, se ne innamora e subito si accorda per il matrimonio. Una notizia senza riscontro, teneramente affascinante, ma non in linea con quanto di quel rapporto ci è poi raccontato e soprattutto con il profondo disagio che costantemente Filippo prova di fronte a Olimpiade, proprio a causa del continuo sospetto verso di lei. Un sospetto cosí grande da limitare ogni relazione, soprattutto intima, per timore di subire incantesimi magici e di avere rapporti sessuali con una donna già posseduta da un dio. Infatti, la tradizione antica, che cosí caratterizza Olimpiade nella pienezza della dimensione misterica, narra che già la notte precedente a quella delle nozze iniziano presagi di grande rilievo: alla giovane donna una visione, presumibilmente in sogno, mostra un grande tuono, un fulmine che la colpisce nel ventre, un gran fuoco che si leva dalla ferita e si divide in fiamme che si diffondono in tutte le direzioni prima di spegnersi. Dopo le nozze anche Filippo ha un sogno: imprime un sigillo sul ventre di sua moglie e si accorge che il sigillo riporta la figura di un leone, presagio di un figlio che arriverà a avrà natura di un le-

one. Un’altra volta è un serpente a comparire in visione disteso al fianco di Olimpiade addormentata.

IL BACIO DEL SERPENTE La presenza dei serpenti accanto a Olimpiade trova poi sviluppo nel Romanzo di Alessandro (I, 10 rec. b) che amplifica l’immagine del rapporto erotico della donna con il serpente. I convitati del re vedono un serpente e balzano in piedi spaventati, non Olimpiade, che tende la mano al rettile, vedendo in esso il proprio amante: questo si alza raggiungendo la regina sulle ginocchia e quindi, con la lingua bifida, si alza ancora e la bacia, innamorato di lei. Ancora Plutarco, nel capitolo successivo a quello sopra citato, ricorda che Filippo ha perso un occhio in battaglia perché con quell’occhio aveva spiato la moglie che si univa a Zeus Ammone in forma di serpente. Un’unione che scopriremo fondamentale per costruire l’origine divina di Alessandro, e forse proprio alla luce e in funzione della successiva definizione divina del figlio vanno letti e ridiscussi i rapporti e le relazioni misteriche e divine di Olimpiade. Un episodio è particolarmente significativo a questo proposito. Lo troviamo nei Moralia plutarchei

CULTI MISTERICI E SERPENTI Cosí Plutarco riferisce della familiarità di Olimpiade con le pratiche misteriche: «C’è una diversa tradizione, secondo la quale tutte le donne di queste parti, da tempo antico, sono legate ai riti orfici e dionisiaci, e si chiamano Clòdoni e Mimallone, e compiono molte azioni simili a quelle delle Edoni e delle donne di Tracia che abitano presso l’Emo: da qui sembra che sia derivato il termine “tracizzare” per indicare riti fuori dal normale e magici. Olimpiade, che piú di qualunque altra donna praticava questi riti abbandonandosi all’invasamento in un modo davvero selvaggio, conduceva nei tiasi grandi serpenti addomesticati, i quali spesso, uscendo dalle foglie di edera che ricoprivano le ciste sacre e avvolgendosi attorno ai tirsi e alle corone delle donne, spaventavano a morte gli uomini» (Vita di Alessandro, 2, 7-9).

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DONNE DI POTERE/4

(141b-c): il re Filippo cerca di scusarsi per la relazione con una donna della Tessaglia e dice a Olimpiade di essere stato stregato con pharmaka. Di fronte alla bellezza, all’educazione e all’intelligenza di questa donna, è Olimpiade, esperta di pratiche magiche, a dire che quelle di Filippo sono solo calunnie e che in se stessa quella donna ha l’incantesimo magico. Filippo sembra ingenuamente approfittare della sensibilità della moglie all’irrazionale e al magico, ma ancora una volta Olimpiade lo spiazza con la propria affermazione, nella quale il moderno esegeta ha voluto vedere una propensione omoerotica di Olimpiade stessa: di sicuro, l’incantesimo magico che quella donna ha in se stessa è la capacità fascinatoria, persua60 a r c h e o

siva della bellezza e dell’intelligenza femminile (come quella di Aspasia con Pericle e di altre donne della storia antica) e ancora una volta esclude Filippo non solo da una comprensione della dimensione misterica che a lui proprio non appartiene, ma anche da una comprensione del femminile e del suo valore in sé anche senza la dimensione magica e religiosa.

UNA MOGLIE DI TROPPO: L’OMICIDIO DI FILIPPO Se non registriamo contrasti fra Olimpiade e le mogli di Filippo a lei precedenti (tanto che i commentatori moderni hanno pensato che fossero prematuramente morte, magari nel parto; solo se morte non avrebbero avuto dissidi con Olim-

Giove, entrato nel letto di Olimpiade in forma di serpente, ha ripreso sembianze umane e si appresta a congiungersi alla regina di Macedonia, affresco di Giulio Romano. 1526-1528 circa. Mantova, Palazzo Te, Camera di Amore e Psiche.

piade: un pregiudizio), ben diversa è la situazione quando Filippo, dopo Olimpiade, sposa prima Meda, figlia del re dei Traci, Cotela, e poi Cleopatra, chiamata anche Euridice, nipote di Attalo, sposata per assicurare la fedeltà dell’aristocrazia macedone prima di partire per la spedizione contro l’impero persiano. Questa scelta di Filippo è probabilmente legata al grande potere che Olimpiade ha esercitato in Macedonia durante le prolungate assen-


ze del marito: dopo averne fatto oggetto di astio e maldicenza, l’aristocrazia guerriera, con quest’ultimo matrimonio, ha suggerito a Filippo una soluzione forse proprio contro Olimpiade. L’incisiva presenza esercitata a corte da Olimpiade è evidente anche nella formazione del giovane Alessandro: maestri e pedagoghi (fra essi Aristotele) si occupano della sua educazione, in tanti, ma coordinati da Leonida, un parente di Olimpiade che possiamo immaginare lo abbia fatto arrivare apposta dall’Epiro. Una curiosità evidenziata da Lorenzo Braccesi, nella sua biografia su Olimpiade: ad Aristotele, sia pure in forma dubitativa, è attribuita la formazione di Alessandro in medicina e in particolare nella preparazione di pozioni medicinali, una pratica che possiamo immaginare ispirata dalle competenze di Olimpiade e sistematizzata, nella conoscenza, da Aristotele. Un’ipotesi di sinergia davvero suggestiva. Un ruolo forte di Olimpiade lo si vede anche in Epiro, da dove la regina di Macedonia fa venire in Macedonia il fratello, Alessandro il Molosso, quando, nel 351 a.C., ha dodici-tredici anni: secondo Giustino, che sintetizza Pompeo Trogo, il ragazzino sarebbe entrato nelle attenzioni sessuali di Filippo secondo una pratica aristocratica presente nella tradizione greca, ma non per questo in alcun modo spiegabile o tanto meno giustificabile se non come atto di potere violento, di imprinting fallocratico, sicuramente contro-educativo. Il suo rientro in Epiro avviene nel 342 quando lo zio Ariba viene deposto da Filippo (e da Olimpiade) e sul trono è insediato Alessandro il Molosso, poco piú che ventenne. Ariba si reca ad Atene che non solo lo accoglie, ma gli tributa anche onori in funzione antimacedone. I fatti ora ricordati in Macedonia e in Epiro sottolineano un’intesa fra Filippo e Olimpiade, un’intesa però

che si interrompe nel 337. Alla corte di Pella entra la nuova moglie Cleopatra/Euridice: da lí a un anno sarà incinta. Olimpiade è furiosa e viene forse ripudiata: di certo lascia la corte, portata via da Alessandro, che la conduce in Epiro, mentre lui si reca in Illiria. Da quell’ultima unione Filippo ha una figlia, Europa. La nascita di una femmina tranquillizzerà Alessandro, ma fino ad allora la situazione è precipitata in un modo che sembra irrecuperabile: al matrimonio del padre, ha attaccato Attalo quando costui ha espresso la richiesta agli dèi affinché l’unione fra Filippo e Cleopatra/Euridice generi un legittimo erede al trono. Alessandro ha reagito con veemenza reclamando la propria legittimità: Filippo si è lanciato contro di lui sguainando la spada, tuttavia inciampando e cadendo per l’ira e il troppo vino. È allora che Alessandro ha sentenziato: «Dunque è costui, o amici, quel che si preparava a transitare dall’Europa all’Asia: passando da un letto all’altro è andato a gambe all’aria». Proprio a seguito anche di questo episodio, Olimpiade e Alessandro lasciano la corte, o da essa sono allontanati: abbiamo visto che però vanno in direzione diverse, difficile dire se coordinandosi o differenziandosi, certo meditando entrambi di organizzare da lí un attacco al potere di Filippo e alla sua corona.

UNA MOSSA SPIAZZANTE All’allontanamento di Olimpiade e Alessandro la situazione è dunque tesa. Filippo caccia dalla corte anche i principali amici di Alessandro in modo da evitare eventuali pericoli di una rivolta contro di lui. Allo stesso tempo compie una mossa che probabilmente spiazza Olimpiade e anche lo stesso Alessandro il Molosso, che non possono certo rifiutare il matrimonio consanguineo: si assicura l’amicizia di Alessandro il Molosso, dandogli in moglie l’altra Cleopatra, figlia di Olimpiade e sorella di Alessandro. Proprio in occasione

di queste nozze Alessandro, già rientrato in Macedonia per invito del padre, incontra sua madre Olimpiade, giunta per la festa nuziale. Durante i festeggiamenti a Ege (Verghina), presenti anche i rappresentanti delle città greche da poco domate e riunite nella Lega di Corinto, Filippo viene ucciso, pugnalato da Pausania, un aristocratico macedone secondo alcuni, una guardia del corpo del re secondo altri. Sarebbe stato spinto a compiere l’omicidio dal sofista Ermocrate che gli avrebbe suggerito l’assassinio di un uomo potente e molto conosciuto per diventare molto famoso. E cosí avviene: Filippo entra nel teatro affollato, in veste bianca, accanto a lui il figlio Alessandro e Alessandro il Molosso; l’attentatore lo pugnala senza trovare ostacolo, perché Filippo ha tenuto le guardie lontane per ostentare sicurezza (mossa incauta o tranello teso a fare l’imboscata?). Alla morte del padre, Alessandro è subito acclamato re dall’assemblea dell’aristocrazia guerriera, ma contestualmente si scatena la violenza di Alessandro e di sua madre: il primo si occupa di Attalo, che insieme a Parmenione era stato incaricato da Filippo di preparare la grande spedizione in Asia; Olimpiade uccide la piccola Europa tra le braccia della madre Cleopatra/Euridice che, a fronte di questa tragedia, è spinta al suicidio. A essere eliminato, insieme ad altri presunti complici, è anche Aminta, figlio del re Perdicca, predecessore di Filippo il quale era salito al trono approfittando del ruolo di tutore assunto proprio nei confronti di Aminta stesso. Fin dall’antichità gli storici che si sono occupati dell’omicidio di Filippo hanno indagato per individuare i mandanti. Pausania sembra aver agito anche per motivi personali, vittima di violenza sessuale da parte di Attalo, lasciato impunito da Filippo (ce lo testimonia Aristotele, Politica,V 1311b, un osservatore pria r c h e o 61


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vilegiato della corte macedone). Tuttavia, potrebbe essere stato spinto a compiere il gesto da un intervento esterno ben congeniato. Tre le ipotesi che già gli antichi ci hanno offerto circa chi avrebbe ordinato o anche solo suggerito o ispirato l’omicidio: il Gran Re dell’impero persiano o Atene (o entrambi congiuntamente uniti nell’odio antimacedone), ma anche, non ultimi e sulla base di ipotesi credibili, Olimpiade e Alessandro. Le vicende recenti avvenute a corte con le nuove politiche matrimoniali sono già di per sé un movente, cosí come l’impossessarsi della guida della Macedonia e della spedizione militare in Oriente. Tuttavia sono alcuni episodi nell’immediatezza della morte di Filippo che, ancora una volta, rendono enigmatico, se non sospetto, il comportamento di Olimpiade.

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cade, raggiunto cosí dagli inseguitori che lo trafiggono (Diodoro XVI 94, 4). Quindi, prosegue Giustino, all’annuncio della morte di Filippo Olimpiade si precipita a rendere omaggio alla salma, ma non solo a quella del re, ormai ex marito, Filippo, ma anche a quella di Pausania sul capo del quale, crocifisso, pone una corona d’oro. Un gesto eclatante, certo non contrastato da nessuno, tanto meno dai due Alessandro, fratello e figlio, che hanno accompagnato Filippo alla morte affiancandolo. Dalla narrazione di Giustino (IX 7 Ma a Olimpiade questo gesto non 7-14) deduciamo che Olimpiade è bastato: assumendo il nome di non è presente nel teatro al mo- Myrtale consacra ad Apollo la spamento dell’attentato. È sospettata da dell’assassino e fa cremare Paudi essere in azione all’esterno, im- sania là dove è stato cremato Filippegnata nel far tenere pronti i ca- po, cenere su cenere, e anche a valli per la fuga dell’assassino: Pau- Pausania fa erigere un tumulo sul sania balza a cavallo, ma, impiglia- quale ogni anno si celebrerà un tosi inopinatamente nella sella, sacrificio funebre.


FIGLIO DI ZEUS GRAZIE A UN ERRORE DI PRONUNCIA È ancora Plutarco a dare conto di un singolare episodio accaduto durante la visita di Alessandro al santuario di Zeus Ammone nell’oasi di Siwah: «Quando, attraversato il deserto, giunse alla meta, il profeta di Ammone gli rivolse il saluto in nome del dio come se il dio fosse suo padre; Alessandro allora chiese se era sfuggito al castigo qualcuno degli assassini di suo padre. Il profeta gli impose di badare a quanto diceva, in quanto suo padre non era mortale, e allora, cambiata la forma della domanda, egli chiese se aveva punito tutti gli uccisori di Filippo. Poi chiese del suo impero, e cioè se gli concedeva di diventare signore di tutti gli uomini. Il dio rispose che questo gli era concesso, e che Filippo era completamente Nella pagina accanto, in alto: statere in argento del regno d’Epiro, battuto al tempo della spedizione in Italia di Alessandro il Molosso, chiamato dai Tarantini. Dopo il 334 a.C. Nella pagina accanto, in basso: l’area archeologica di Pella. In primo piano, l’agorà, pavimentata con un mosaico di ciottoli bicolore. III sec. a.C.

Ma perché una tale enfasi sull’attentatore, una tale esposizione pubblica con l’omaggio congiunto a Filippo e al suo carnefice? Un ulteriore fatto potrebbe aver scatenato l’organizzazione dell’attentato proprio in quel momento e reso necessaria la normalizzazione del re mischiato e assimilato al suo uccisore fin nelle ceneri. Nell’occasione di quelle nozze, ci riferisce Diodoro (XVI 92, 5), Filippo aveva organizzato la propria apoteosi. Immaginatelo come la fonte ce lo descrive: assiso a fianco dei dodici dèi portati in processione con le relative statue, alle quali è affiancata una tredicesima, quella di Filippo. Questo è troppo: ben altro dio è lo sposo di Olimpiade e solo Alessandro può essere dio, figlio di un dio che non è certo Filippo, ma il vero re, quello degli dèi, Zeus. Divenuto re, Alessandro intraprende la grande spedizione militare pro-

vendicato; poi Alessandro fece splendide offerte al dio e diede ai sacerdoti abbondanti somme di danaro. Questo tramandano la maggior parte delle fonti; lo stesso Alessandro in una lettera alla madre dice di aver avuto alcune rivelazioni segrete che al suo ritorno avrebbe rivelato a lei sola. Alcuni dicono che il profeta volendo rivolgersi a lui con affetto, in greco, dicendogli: “o paidion” (“o figlio”), alla fine della parola, data l’imperfetta conoscenza della lingua, pronunziò “s” in luogo di “n”, e ne risultò: “o paidios” (“o figlio di Zeus”); Alessandro fu lieto per questo errore di pronuncia, e si diffuse poi la voce che il dio stesso lo aveva chiamato figlio di Zeus» (Vita di Alessandro, 27).

gettata dal padre: sono ben note le grandi vittorie, la spedizione indiana, il ritorno a Babilonia e le ultime strategie per un regno che abbracciasse il mondo intero abitato. L’itinerario di conquista è tuttavia anche un percorso di progressiva definizione della figura di Alessandro.

LA VISITA AL SANTUARIO Il momento piú significativo è sicuramente la visita di Alessandro al santuario di Zeus Ammone nell’oasi di Siwah, in Egitto, in occasione della quale si verifica un episodio, narrato da Plutarco (vedi box in questa pagina), che molto ci dice di lui e della costruzione del suo personaggio: è qui in primo luogo che ridefinisce la propria regalità, nuova e sacra, rideterminando la storia della propria nascita, del proprio padre e della propria madre, giungendo anche a spiegare diversamente la morte di Filippo e la ricerca dei colpevoli dell’assassinio. Probabilmente proprio da questa ridefinizione di sé scaturisce la rilettura della figura materna nella sua relazione con Zeus-serpente. Il passo di Plutarco rappresenta inoltre una preziosa testimonianza del controllo della comunicazione da parte di Alessandro quale strumento funzionale anche al successo della spe-

dizione militare. È già successo a Gordio e ora anche a Siwah: le testimonianze antiche ci riportano la versione ufficiale, certo accuratamente definita da Alessandro e dalla propaganda intorno a sé, ma anche quella parallela, qui attestata nel gioco di parole che ridurrebbe l’appellativo di figlio di Zeus a un banale appellativo di ragazzino che il sacerdote avrebbe rivolto ad Alessandro. Si tratta evidentemente di versioni alternative a quelle ufficiali, destinate tuttavia a rimanere solo come frustoli anomali in una potente lettura di successo e divinizzazione di Alessandro. Con lo sguardo rivolto a Olimpiade alla ricerca di comprendere le evoluzioni del suo ruolo e della sua figura non possiamo tuttavia guardare alla grande spedizione di Alessandro senza voltarci a Occidente dove, contemporaneamente, Alessandro il Molosso ha intrapreso un’altra grande spedizione. L’invito a intervenire arriva da Taranto fra il 334 e il 333 e presto il re dei Molossi ottiene importanti successi: avanza rapidamente, si allea con gli Iapigi contro Sanniti, Lucani e Bruzi (Bretti nelle varianti del nome), anche con Roma stringe amicizia. Tuttavia, quando Taranto lascia la coalizione a fronte di chiari a r c h e o 63


DONNE DI POTERE/4

propositi del Molosso circa la conquista dell’intera Italia meridionale dall’Adriatico al Tirreno (e poi la Sicilia e, chissà, l’Africa di Cartagine), la situazione militare si capovolge improvvisamente: mentre, presso Cosenza, cerca di sfuggire all’attacco nemico, è ucciso da un profugo lucano e il corpo cade in un fiume la cui corrente porta il cadavere fra nemici che si accaniscono su di esso, mutilandolo. I poveri resti saranno poi condotti a Metaponto e da lí in Epiro dalla moglie Cleopatra e la sorella Olimpiade (Livio VII 24, 13-17). Certamente la morte del fratello prima e del figlio poi diventano non l’opportunità, ma la necessità per Olimpiade di occupare direttamente lo spazio politico e militare, inventando, di fatto, ma non formalmente, la figura della regina che, da sola in un regno «occidentale», governa. La prima indicazione l’abbiamo alla morte del Molosso quando Olimpiade è esplicitamente indicata dalle fonti (Iperide, Per Eusenippo, 25, e un’ iscrizione di Cirene, GHI 196) padrona della Molossia che nel suo nome è identificata (a dire il vero anche in quello di Cleopatra, vedova del Molosso: insieme detenevano una sorta di coreggenza in nome del giovane parente Eacide, figlio di Ariba e futuro padre di Pirro). In Macedonia, intanto, i rapporti fra Olimpiade e Antipatro (incaricato da Alessandro del governo della regione in sua assenza) sono presto compromessi, sicuramente già a partire dal 330: da allora sia Olimpiade che Antipatro inviano lettere ad Alessandro per lamentare l’altrui arroganza (Arriano VII 12 5-7, là dove Alessandro teme che fra i due accada qualcosa di irreparabile, ma anche Diodoro XVII 118 e Plutarco, Alessandro 39, 68, ma le accuse 64 a r c h e o

di Olimpiade colpiscono presto anche i compagni di Alessandro: oltre a Diodoro e Giustino, Curzio Rufo VII 1, 12, 36-39, e in ultimo anche Efestione ne è vittima: Diodoro XVII 114).

ACCUMULO DI SIMBOLI Anche per questo conflitto Olimpiade ritorna nel suolo di famiglia in ribellione proprio ad Antipatro e consolida il controllo sul santuario di Dodona, dove Zeus è venerato nella forma coincidente con quella di Zeus Ammone del citato santuario dell’oasi di Siwah. Nel suo ruolo religioso, secondo Iperide, troviamo Olimpiade attiva anche ad Atene, nell’atto, discusso, di offrire una coppa a una statua di Igea, figlia di Asclepio, rappresentata mentre abbevera il serpente sacro al dio: se si aggiunge che l’autore della statua si chiama Pirro, è facile individuare l’accumulo di simboli che muove l’interesse di Olimpiade a partire dal serpente sacro. Forse proprio con questo

Elmo in bronzo, da Milo (Isole Cicladi, Grecia). Età ellenistica. Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung. Nella pagina accanto: l’estensione dell’impero macedone ai tempi di Alessandro il Grande.

atto si aprono i suoi interventi ad Atene in favore della richiesta di Alessandro di essere riconosciuto e celebrato come eroe, anzi come dio invincibile. Tuttavia, le lettere fra Alessandro e la madre ci permettono di cogliere una dimensione privata e sincera che in parte ridimensiona o per lo meno riduce ironicamente il percorso di divinizzazione fin qui descritto. Per esempio là dove Ateneo (XIV 659f) ci riferisce una delle lettere della madre, la quale raccomanda un cuoco, un certo Peligna, che conosce bene le regole con le quali si compiono le cerimonie sacrificali. «Non lasciartelo scappare, ma prendilo e rispondimi al piú presto» scrive sollecita Olimpiade. Sia pure nella costante di un contesto religioso, colpisce la quotidianità alla quale i due, fra loro, fanno riferimento. Le lettere a Olimpiade poi sono da Alessandro accuratamente archiviate e anche «selezionate» al momento dell’archiviazione: questa volta è Arriano (VI 1) a mostrarci Alessandro che prima scrive alla madre di aver scoperto le sorgenti del Nilo, poi però, dopo aver meglio indagato, toglie la lettera dall’archivio. Significative lettere di questo archivio dovevano poi essere quelle relative al citato episodio presso l’oasi di Siwah: fra i frustoli di documentazione pervenuti per citazione, conosciamo il disappunto di Olimpiade, che, ad Alessandro che si presenta come figlio di Zeus Ammone, risponde che deve cessare di calunniarla e incolparla di fronte a Era (Plutarco, Alessandro 3-4; Aulo Gellio XIII 4), la moglie di Zeus, pronta ad adirarsi e vendicarsi con le amanti del marito, facendo passare loro brutti guai. Da queste parole scaturisce


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Le spedizioni in Asia (334-326 a.C.) Esercito di Alessandro in marcia verso est

Il ritorno in Occidente Esercito di Alessandro Esercito di Cratero Flotta di Nearco

Anno delle conquiste

Battaglie e data

Limite estremo dell’impero

Città fondate da Alessandro

un’Olimpiade ironica, che riporta alla realtà il figlio, che si schernisce pensando di poter finire come Io, la giovane sedotta da Zeus e punita da Era con la trasformazione in giovenca e la persecuzione di un tafano (spietato il mito nel rappresentarci l’impunità del maschio adulto potente a fronte di violenze sessuali perpetuate). Rimangono, significative a ricordarsi, altre parole di Alessandro ancora in riferimento alla madre. Esse ci portano all’ultima fase della vita di Olimpiade, quella in assenza del figlio Alessandro ormai morto, ma in presenza di una delle mogli di Ales-

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Produzioni e attività nel periodo ellenistico Au Oro

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Profumi

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Cantieri navali

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sandro, Rossane, «la piú bella donna dell’Asia dopo la moglie di Dario» (Plutarco,Alessandro 47, 7), alla quale Alessandro si era unito affascinato da lei, ma anche per un esplicito obiettivo politico: generare da lei un figlio che avrebbe dovuto regnare su Asia e Europa, su vinti e vincitori (Curzio Rufo VIII 4 25-29).

LO STESSO NOME DEL PADRE Rossane è incinta quando Alessandro muore nel 323 a Babilonia: è di cinque o di otto mesi a seconda della fonte. Alla nascita il neonato non può che chiamarsi Alessandro e

N 0

400 Km

fin da subito è al centro delle tensioni che immediatamente animano il diverso posizionamento dei generali di Alessandro. Nel 321, a seguito degli accordi di Triparadiso, Antipatro viene nominato reggente dei re, il piccolo Alessandro e Filippo Arrideo, fratellastro di Alessandro il Grande, e con loro rientra in Macedonia. Qui muore nel 319 dopo aver previsto il passaggio della reggenza non al figlio Cassandro, ma a Poliperconte. È quest’ultimo che manda a chiamare Olimpiade dall’Epiro proponendole di assumere la tutela del nipotino, tornare in Macedonia godendo dea r c h e o 65


DONNE DI POTERE/4

gli onori regali. Olimpiade accetta, pronta ad affrontare un nuovo scontro che questa volta la contrappone a Filippo Arrideo e, soprattutto, a sua moglie Euridice, entrambi sostenuti da Cassandro, a sua volta in conflitto con Poliperconte in pieno disconoscimento della scelta compiuta dal padre Antipatro. Olimpiade fa le sue mosse: ha già mandato in Asia la figlia Cleopatra perché vada in moglie a Perdicca, che tuttavia viene ucciso prima che il matrimonio si realizzi; quindi, tornata in Macedonia, giunge ad affrontare in armi Euridice, la moglie di Filippo Arrideo, la quale di fatto ha il potere anche per i problemi o limiti mentali che la tradizione indica nel marito. Quando gli eserciti delle due regine (lo sono di fatto, anche se l’attribuzione del titolo non è mai formale, né ora, né in precedenza) sono schierati, i soldati della parte di Euridice si rifiutano di combattere, passano dalla parte di Olimpiade e catturano prima l’Arrideo, poi Euridice (Diodoro XIX 11, che poi si sofferma sulla prigionia, sull’uccisione di Filippo Arrideo e sul suicidio di Euridice, sollecitato da Olimpiade; diversamente Duride, F 52, citato da Ateneo che accenna allo scontro fra Olimpiade, piú sfrenata di una Baccante, e Euridice, ben istruita militarmente). Infine, Olimpiade arriva al conflitto diretto con Cassandro: gode dell’appoggio di Atene e della Lega etolica; attaccata e sotto pressione militare, si prepara a resistere, rifugiandosi lei e i propri familiari a Pidna, con il sostegno esterno delle sole Anfipoli e Pella. In ultimo, condannata a morte dall’assemblea dei Macedoni su proposta di Cassandro, a Olimpiade è offerta la fuga insieme a Rossane e ad Alessandro, ma lei si rifiuta e chiede il processo davanti all’assemblea. Cassandro manda duecento 66 a r c h e o

Dritto di un medaglione aureo raffigurante il busto corazzato di Alessandro il Grande, da Abukir. Prima metà del III sec. a.C. Berlino, Staatlichen Museen, Münzkabinett.

soldati a ucciderla, ma anch’essi, di fronte a lei, si sottraggono al comando: sono i parenti delle persone uccise da Olimpiade stessa che si fanno carico di ucciderla, lapidandola. Cosí Olimpiade muore… come un uomo, scrive Giustino (Giustino XIV 6, 9-11): non fugge, non si mette a urlare come una donna, ma al contrario affronta la morte come gli uomini forti.

FUORI DAGLI SCHEMI Sia pure in termini che vogliono essere positivi nella sensibilità della fonte, la figura di Olimpiade è snaturata dalla visione maschilista che ne legge ogni momento alterandolo, e lo fa anche quest’ultimo, nel quale Olimpiade trova cosí la morte violenta. A noi rimane invece il ritratto di una donna determinata a lottare non come un maschio, ma proprio interpretando il proprio ruolo di donna e contrastandone anzitutto i limiti imposti dal contesto sociale e politicomilitare. Per lei non si realizzano

quelle parole di Alessandro alle quali ho fatto riferimento iniziando la descr izione di quest’ultima fase della vita di Olimpiade. Di esse riferisce Curzio Rufo (IX 6 26): Alessandro il Grande ha voluto esprimere un desiderio molto meditato e sentito affinché sua madre fosse «consacrata all’immortalità» al momento della sua morte. Alessandro potrà fare personalmente questa consacrazione se sarà ancora in vita, ma, se fosse già morto, invoca l’aiuto di tutti affidando un vero e proprio incarico di «consacrare all’immortalità» sua madre Olimpiade. Cosí non ha fatto la tradizione antica eternando un’immagine complessa, spesso negativa, violenta, ma certo generatrice. Generatrice di Alessandro, di decisioni politiche e militari, di consigli, di esperienze religiose e di divinizzazione. Generatrice generosa di progetti politici innovativi, senza sottrarsi a essere usata affinché a essere consacrata non fosse lei, ma il figlio. Figlio che sembra presagire che morirà prima della madre e vuole perciò affidare una consacrazione all’eternità che, con gli strumenti della storia, è oggi laicamente e oggettivamente affidata alla ricostruzione di un personaggio che inventa un nuovo modo di essere donna e regina in un mondo trasformato dal figlio, a detta dei piú, o forse proprio da Olimpiade, come forse queste parole di sintesi hanno provato a mostrare. PER SAPERNE DI PIÚ Lorenzo Braccesi, Olimpiade regina di Macedonia. La madre di Alessandro Magno, Salerno Editrice, Roma 2019

NELLA PROSSIMA PUNTATA • Giulia



RIEVOCAZIONI • ROMA

SE A SFILARE È SPARTACO IL 21 APRILE SCORSO ROMA HA FESTEGGIATO I 2776 ANNI DALLA SUA FONDAZIONE. IN QUELL’OCCASIONE, L’AREA ARCHEOLOGICA CENTRALE È STATA ANIMATA DA UN VARIOPINTO CORTEO STORICO E DAI GIOCHI GLADIATORI DISPUTATI NEL CIRCO MASSIMO. UNA GRANDE «RIEVOCAZIONE», RESA POSSIBILE DALL’IMPEGNO DI VOLONTARI CHE – PROVENIENTI DALL’ITALIA, MA ANCHE DA NUMEROSI PAESI EUROPEI – SI RIUNISCONO, IN NUMERO SEMPRE CRESCENTE, PER METTERE IN SCENA MOMENTI DI VITA QUOTIDIANA AL TEMPO DELL’IMPERO testo e foto di Fabrizio Polacco

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces. 68 a r c h e o


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fila ogni anno a Roma, lungo via dei Fori Imperiali, ma non è la parata del 2 giugno. Vi si festeggia una importante ricorrenza storica, ma non quella della nascita della Repubblica Italiana. Vi sono impegnate alcune migliaia di persone, tra cui molte in divisa militare, ma non delle nostre Forze Armate. Stiamo parlando del Festival Euro Mediterraneo (cosí si chiama ufficialmente, come mi precisa il suo fondatore, Sergio Iacomoni), organizzato con la partecipazione di oltre settanta associazioni storiche nazionali ed estere in occasione del Natale di Roma, che cade, come è noto, il 21 aprile di ogni anno. La manifestazione si svolge da oltre vent’anni (precisamente dal 2000), ed è seguita da un pubblico internazionale di curiosi e appassionati che si riversa per l’occasione nel cuore archeologico della capitale. Questa parata di legionari romani,

di pretoriani e di auxilia (le truppe d’appoggio degli alleati di Roma – i socii – privi della cittadinanza dell’Urbe), ma anche di gladiatori, magistrati, senatori, sacerdoti, danzatrici, fino a chi riveste i panni dell’imperator o del princeps, non è che il momento culminante di un insieme di rievocazioni storiche distribuite nell’arco di piú giorni (quattro, nell’ultima edizione dell’aprile scorso).

IL GIURAMENTO DELLE RECLUTE Il programma prevede infatti convegni, concerti di bande musicali e, soprattutto, ricostruzioni scientificamente attendibili di cerimonie ed eventi pubblici dell’antichità, quali la festa religiosa delle Palilia in onore della dea della pastorizia e dell’agricoltura Pales (descritta da Ovidio nei Fasti), e il Sacramentum militare, cioè il giuramento di fedeltà delle

Sulle due pagine: rievocatori in abiti militari e civili sfilano in via dei Fori Imperiali, in occasione dei festeggiamenti per il Natale di Roma, la cui fondazione, secondo la tradizione, sarebbe avvenuta il 21 aprile del 753 a.C.

reclute verso il comandante della legione (fino ai tempi della repubblica) e successivamente verso lo stesso imperatore. Infine, arriva la rievocazione dal vivo del piú appassionante dei ludi, o meglio dei ludi circenses (sí, quelli deprecati da Giovenale nel famoso verso sui panem et circenses), vale a dire le esibizioni che si svolgevano nel circus e, quando poi ne saranno costruiti, in anfiteatri come quello Flavio, il Colosseo. E proprio al ludus forse piú universalmente noto e spettacolare, quello dei gladiatori, assiste un pubblico di grandi e piccini, di Romani odierni e di turisti stranieri, tutti in visibilio, a r c h e o 69


RIEVOCAZIONI • ROMA

Sulle due pagine: immagini dei ludi gladiatorii disputati nel Circo Massimo, in occasione dell’ultima edizione del Festival Euro Mediterraneo, rassegna che si svolge per celebrare il Natale di Roma.

seduti come me sui pendii erbosi che oggi segnano il perimetro del Circo Massimo, un tempo occupato dalle gradinate in pietra del grandioso edificio.

(QUASI) COME UN VERO COMBATTIMENTO Mi spiega Sergio Iacomoni che le armi usate nei duelli dai gladiatori di oggi sono le cosiddette arma lusoria, utilizzate per esercitazioni e allenamenti, distinte quindi dalle arma acuta, perché, quando pure siano di metallo e non di legno, sono comunque prive di filo di lama e di punta. E davvero, se questo dettaglio non lo avessi già immaginato per mio conto mentre assistevo allo scontro tra due mirmillones (dotati di elmo, spada corta e scudo), o tra un 70 a r c h e o

mirmillo e un retiarius (con la sua rete e il tridente), mi sarei preoccupato della sorte dei due avversari sotto colpi che, ben portati e sonoramente assestati com’erano, non avevano molto da invidiare a quelli di un vero combattimento. E, in verità, coloro che si affrontano non sono propriamente «figuranti», bensí atleti, lungamente e faticosamente allenati, di quello che può essere definito un vero sport «di contatto», come mi chiarisce un «gladiatore» tedesco con il quale parlo durante una pausa dei ludi; un’arte marziale, quindi, esercitata in varie scuole ormai sparse in Europa e non solo, dalle quali provengono tutti coloro che vengono a duellare con autentico spirito agonistico sotto le solenni e austere

pendici del Palatino. Per questo, secondo Iacomoni, sarebbe opportuno che venisse regolamentata e riconosciuta come una disciplina sportiva ufficiale.

UNA PASSIONE SENZA CONFINI A mio giudizio, molte altre cose sarebbero opportune e auspicabili per queste complesse e articolate attività celebrative, organizzate ed effettuate esclusivamente su base volontaria. Ad animarle sono appunto volontari di tutte le età, appartenenti a ceti sociali diversi e impegnati nella vita quotidiana nei piú vari mestieri, i quali provengono non solo da molte regioni d’Italia, ma da una quantità di altri Paesi, come Spagna, Repubblica Ceca,


Slovacchia, Didascalia da fare Germania, Ibusdae Svizzera, Bulgaria, Polonia, Ungheria, evendipsam, officte erupit antestoGran Bretagna, Romania, ecc., fino alla taturi cum ilita aut quatiur restrum piú lontana Georgia. E, seium ne aveseicaectur, testo blaborenes sero i mezzi, verrebbero da zone quasped quos non etur reius nonem ancorexpercipsunt piú lontane quos del globo. Vi sono quam rest magni

infatti associazioni simili al Gruppo Storico Romano (cosí si chiama l’Associazione fondata e diretta da Iacomoni) persino in Paesi come gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda. E altre associazioni simili potrebbero

essere costituite da appassionati – già se ne contano alcuni – in Egitto e Tunisia: magari interessati, questi ultimi, a ricostruire armi e tecniche di combattimento dei Cartaginesi. Non stiamo parlando, è bene chia-

autatur apic teces enditibus teces.

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

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RIEVOCAZIONI • ROMA

rirlo, di gruppi di nostalgici dei fasti di un impero che fu. Ma di persone che condividono un interesse per un passato che, a distanza di duemila anni, ora unisce e affratella i popoli dell’area euromediterranea, e in particolare amanti, cultori e studiosi del mondo antico: come il gruppo dei Romeni che ovviamente hanno sfilato non come legionari romani, ma con armi e abbigliamento dei Daci allora nemici dell’impero, cosí come vengono raffigurati, per esempio, sulla Colonna Traiana. Un altro problema è che una vera armatura, come quelle viste sfilare nel lungo corteo per circa un paio d’ore e realizzate con grande cura filologica, può costare oltre mille euro: e se è comprensibile che una tale spesa sia a carico dei partecipanti, trovo eccessivo che chi è disposto ad allenarsi e a impegnarsi per anni al fine di venire a celebrare qui da noi la festa piú importante in onore di Roma debba sobbarcarsi spese di viaggio e di permanenza che potrebbero e dovrebbero essere assunte, o quanto meno alleviate, dalle istituzioni locali e nazionali. Come del resto avviene per analoghe rievocazioni della romanità totalmente spesate, quando non direttamente organizzate dagli enti pubblici, in altri Paesi europei, come, per esempio, in Spagna, a Mérida, Linares o Lugo.

UN EVENTO DA VALORIZZARE Personalmente ritengo che, oltre a essere opportuno, sarebbe anche bello se la parata non fosse coordinata solo attraverso contatti presi in rete tra vari gruppi distanti tra loro, ma venisse affidata alla regia di un professionista dello spettacolo, con l’effettuazione di prove adeguate e con l’ausilio di un apparato sonoro avvincente: come avviene, per esempio, per la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, che non per nulla viene poi seguita in mondovi72 a r c h e o

L’equipaggiamento da legionario di alcuni rievocatori coinvolti nella rassegna.

sione da un paio di miliardi di spettatori. Può sembrare un’esagerazione proporre un tale modello? Si pensi soltanto a che cosa vorrebbe dire se, oltre a un paio di migliaia di legionari appiedati, sfilassero tra il Palatino, i Fori e il Colosseo le turmae scalpitanti della cavalleria, i carri da guerra, da cerimonia e da competizione, quando non addirittura le macchine d’assedio usate

dall’antica Roma, delle quali alcune ricostruzioni sono visibili nella sede del Gruppo Storico Romano, situata all’inizio dell’Appia Antica. Ne sortirebbe uno spettacolo dalla sicura risonanza mondiale, dotato di risvolti economici e di immagine che, sono convinto, meriterebbero d’essere valutati dalle istituzioni politiche e culturali locali, nazionali e anche – perché no? – europee…



SPECIALE • SAN CASCIANO DEI BAGNI

DÈI E

PRODIGI A SAN CASCIANO La sesta campagna di scavi al Santuario Ritrovato del Bagno Grande a San Casciano, conclusasi l’autunno scorso, ha permesso il rinvenimento del piú grande deposito di statue in bronzo di età etrusca e romana mai scoperto nell’Italia antica e uno dei piú significativi di tutto il Mediterraneo. Si tratta di oltre venti statue raffiguranti divinità venerate nel luogo sacro assieme agli antichi dedicanti. I reperti si datano tra il III e il I secolo a.C., a un periodo storico di grandi trasformazioni nella Toscana antica, nel passaggio tra Etruschi e Romani. In quest’epoca di grandi conflitti tra Roma e le città etrusche, nel santuario nobili famiglie etrusche e romane dedicarono assieme le statue all’acqua sacra. Delle precedenti campagne di scavo in questo eccezionale luogo abbiamo già dato notizia in due precedenti numeri di «Archeo» (nn. 434 e 440, aprile e ottobre 2021). Nelle pagine seguenti vi presentiamo una sintesi delle ultime scoperte, della loro analisi e della lettura storica che ne consegue. E vi annunciamo che i reperti di Bagno Grande verranno per la prima volta esposti in una mostra dal titolo «I Bronzi di San Casciano» allestita, a partire dal prossimo 22 giugno, a Roma, al Palazzo Quirinale San Casciano dei Bagni (Siena), Bagno Grande. Veduta aerea dell’area di scavo, estesa a ridosso delle polle tuttora utilizzate per i bagni. 74 a r c h e o


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IL SANTUARIO

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l Bagno Grande è la principale e piú ele- Casciano dei Bagni spicca tra i rilevanti comvata, come quota altimetrica, tra le oltre prensori con concentrazioni di acque termomineralogiche d’Italia. quaranta sorgenti L’area è oggetto di studel comprensorio terEmilia-Romagna dio fin dal 2017. In parmale di San Casciano ticolare, fu condotta da dei Bagni, con una porGiorgio Franco Pocotata di circa 25 lt al seMas asssssa ass a Pist Pis Pi P i toia oi Lucc L ucc uccca Prato Prat belli una prima ricocondo e una temperaFirenz Fir enz nz z e rno gnizione di superficie tura che si aggira tra i A Pisa i a isa volta alla creazione di 39 e i 42 gradi. Il sito si Arez Are Ar A re rrez e ezzzo o Liv vorn rno rn no n o una Carta Archeologicolloca ai piedi del cenca. Risalgono invece al tro abitato medievale, Sien S iena 2018 le prime indagini sul versante ovest e codi geofisica applicata, stituisce l’inizio dell’inSan Casciano dei Bagni Umbria mentre gli scavi si sustero sistema termale Port rto oferrai ferraio seguono dal 2019, mocassianense, esteso per Gros ossseto et et Isol solaa d’E d’Elba mento in cui si scelse di oltre 1 chilometro e Lag Lag Lago go go di Bo olse ols ol ls naa ls operare un primo sagmezzo. Bisogna ricorLazio Isola di Mon ontecr tec isto gio nei pressi della sordare, a questo proposito, gente e a nord dei «vache il territorio di San

Nella pagina accanto: l’area di scavo del santuario vista da nord-ovest. In basso: cartina che mostra la posizione del Bagno Grande all’interno della rete degli insediamenti distribuiti nella valle dell’Albegna, al confine con il territorio di Chiusi.

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I SECOLI DEL BAGNO GRANDE Per le strutture del Bagno Grande, allo stato attuale delle ricerche, si riconoscono sei grandi fasi per l’età antica: la prima ascrivibile al periodo tardo-etrusco, con la «vasca ovale», definitivamente dismessa all’inizio dell’età tiberiana. Cinque sono invece le fasi riferibili al periodo romano imperiale. In epoca moderna, nuove strutture per la balneazione e le cure vengono impiantate direttamente sui crolli di epoca antica; di queste, demolite alla fine dell’Ottocento, restano i cosiddetti «vasconi» utilizzati ancora oggi. PERIODO TARDO-ETRUSCO Fase della vasca ovale. PERIODO ROMANO Fase I, primo trentennio del I secolo d.C. Costruzione dell’edificio sacro con la realizzazione della vasca centrale «a osso» sulla precedente vasca ovale, del porticato intorno a essa, del propileo di ingresso e dell’impianto generale delle strutture. Fase II, epoca flavia (II metà I secolo d.C.) In seguito probabilmente a un incendio e a un conseguente cedimento delle strutture

viene rifatto il tetto e restaurata la parte est del santuario. All’interno dell’edificio sacro, nell’angolo sud-est, vengono collocate tre mensole in travertino, che dovevano sorreggere una banchina (scamnum), dove probabilmente si preparavano pasti rituali. Fase III, fine del II secolo d.C. Ricostruzione del bordo vasca e posizionamento delle are con dedica a Fortuna Primigenia, Iside e Apollo a opera di importanti famiglie senatorie. Inserimento nei bordi della vera di vestigia in piombo con impronte di piedi, orecchie e zoccoli (vedi box alle pp. 102-103). Fase IV, inizio del IV secolo d.C. Un evento traumatico provoca il crollo dell’angolo sud-ovest dell’edificio. Fase V, fine del IV-inizi del V secolo d.C. Dismissione, smontaggio delle strutture e chiusura rituale del deposito votivo all’interno della vasca. Età moderna, XVII-XVIII secolo Costruzione di nuove strutture dedicate alla balneazione salutare.

Statua di offerente, in atteggiamento di orante, che presenta evidenti malformazioni, a sottolineare come il devoto, con il suo dono, chieda la guarigione alla divinità (vedi anche foto a p. 88).

sconi» (vasche termali libere, porzioni rimanenti del complesso mediceo, ancora utilizzate). Il 2020 ha visto la scelta definitiva dell’area immediatamente a sud di questi ultimi. Nonostante la presenza di numerose canalizzazioni agricole di epoca moderna, nella campagna del 2020 è stata messa in luce parte del complesso monumentale di età etrusca e romana del Bagno Grande. Le successive indagini, nel 2021 e 2022, hanno riguardato sia l’interno che l’esterno dell’edificio antico individuato nel 2020, con un sensibile allargamento dell’area di scavo verso le cosí dette «vasche moderne». Gli obiettivi della ricerca hanno riguardato la comprensione del monumento nelle sue fasi di vita e dismissione, la destinazione dello spazio circostante e le finalità d’uso della vasca centrale. L’edificio messo in luce finora, di costruzione al piú tardi tiberiana, su preesistenti strutture di età etrusca, ha una pianta quadrangolare,

con andamento nord-sud. Il fronte sud del santuario vede un propileo di ingresso con due colonne: da qui si entrava all’interno del recinto sacro, con la grande vasca centrale, di forma «a osso»; intorno alla vasca è un porticato con almeno sei colonne. Lo scavo ha restituito anche due rampe di scale, poste piú o meno a metà della struttura, in corrispondenza di un arco, che dovevano permettere l’accesso a un piano superiore. Al momento, si ignora come potesse svilupparsi la parte nord dell’edificio, anche se una testimonianza del 1770 cita, per il Bagno Grande, cinque teste di leone per altrettanti canali gettanti acqua, incastonati in «muraglie fortissime». Si può ipotizzare, pertanto, che alle spalle del santuario verso nord, in corrispondenza della sorgente maggiore, vi fosse una struttura monumentale con nicchie, muraglioni rialzati e fontane, secondo esempi mediorientali. a r c h e o 79


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LA STRUTTURA DEL SANTUARIO: LE NUOVE RIVELAZIONI

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l santuario del Bagno Grande, e in particolare l’edificio sacro dedicato alle acque, appare come il cuore di un sistema piú ampio e articolato, anche se in buona parte ancora «invisibile», concepito secondo gli schemi caratteristici di molti dei santuari centroitalici. Elementi emersi nella campagna del

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COM’ERA FATTO? Due ipotesi ricostruttive dell’edificio sacro. I gradini ai lati della vasca porterebbero in un caso (qui accanto) a un livello rialzato, mentre nell’altro darebbero accesso a un ambiente chiuso, forse un sacello.

Nella pagina accanto, dall’alto: pianta generale del Bagno Grande, con l’indicazione dei settori di scavo; vista zenitale del sito, invaso dall’acqua, e dei «vasconi».

2022 permettono una restituzione sia in pianta che in elevato diversa rispetto a quanto ipotizzato precedentemente, facendo pensare a un edificio su due livelli, con una sorta di terrazza digradante a partire dalla sorgente vera e propria. La vasca sormontata da un grosso arco di sostruzione e fiancheggiata da due rampe di scale, che permettevano di accedere a un livello superiore, conferisce alla struttura la conformazione a grotta tipica dei santuari di sorgente di età preromana e romana.

UN COMPLESSO SU PIÚ LIVELLI Pur non essendo stato documentato dalle prospezioni geofisiche, e nonostante l’esigua area di scavo rispetto al contesto generale, circa 12 m a ovest dell’edificio sacro si può ipotizzare la presenza di una struttura rettangolare, forse il podio di un tempio, con dire-

zione est-ovest. Immediatamente a nord della sorgente si localizza una struttura in cementizio, preliminarmente interpretata come cisterna per la raccolta di acqua piovana potabile, a servizio del complesso termale. Nel declivio adiacente, verso est, le prospezioni geofisiche hanno accertato la presenza di altre strutture. Procedendo invece verso sud, si registra la presenza di edifici e spazi annessi, e di un tratto stradale. Il santuario del Bagno Grande doveva dunque inserirsi all’interno di un complesso piú ampio conformato su vari livelli e terrazzamenti, con edifici di culto, locali terapeutici oltre a eventuali ambienti termali pubblici e strutture legate alla pratica della medicina, inducendo a ipotizzare una separazione funzionale e topografica tra area sacra e area pubblica del sito. a r c h e o 81


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LA VASCA SACRA

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li scavi all’interno della vasca, della quale attualmente non si conosce ancora l’estensione complessiva, hanno permesso di delineare non solo le macrofasi relative al suo utilizzo (vedi box a p. 79), ma anche di differenziare al suo interno alcune aree: una centrale, dove si concentra il deposito piú antico, e una nel lato sud, corrispondente alla parte absidata, dove si focalizzano i depositi rituali di epoca imperiale fino alla fine del IV-inizi del V secolo d.C. Gli scavi hanno permesso di stabilire che, prima della vasca con forma «a osso» di età imperiale, al di sotto vi era un’altra vasca, di forma probabilmente ovale, che si può supporre appartenere al periodo etrusco, date anche le iscrizioni rinvenute. Nel primo trentennio del I secolo d.C. hanno luogo una deposizione rituale degli oggetti votivi (databili tra il III secolo a.C. e l’età tiberiana) nella vasca sacra e il successivo riempimento di questa, sigillato da tegole e coppi.

LA SAETTA E LE PIETRE Da sottolineare la presenza, tra il sigillo formato da tegole, di un fulmine in bronzo associato ad alcune selci preistoriche, tra cui una punta di freccia: si tratta, verosimilmente e come già suggerito, della rappresentazione di un fulgur conditum associato ai keraunia (pietre considerate utili alla protezione dai fulmini). In questa prospettiva, il deposito della statuaria in bronzo e delle offerte all’interno della vasca piú antica di epoca etrusca potrebbe 82 a r c h e o

essere forse associato alla caduta di un fulmine nell’area sacra prospiciente la sorgente, con la conseguente necessità di sotterrare statue e offerte «toccate» dalla saetta. Con la chiusura del bacino piú antico, viene ampliata la vasca monumentale verso sud, conferendole la forma a «osso», probabilmente riutilizzando i blocchi piú antichi, come nel caso del blocco con la testa di toro (vedi «Archeo» n. 440, ottobre 2021; on line su issuu.com). È da notare che, da questo momento, le deposizioni votive di età imperiale si concentrano nel settore sud, in modo da evitare che coprissero l’area piú centrale del probabile fulgur conditum. Queste deposizioni si succedono dalla metà del I secolo d.C., continuando anche in quello successivo. Una ristrutturazione della vasca avviene alla fine del II secolo d.C., quando sui suoi bordi vengono collocati i tre altari (arae) con dediche a Fortuna Primigenia e a Iside.Tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C. avviene la complessa azione di chiusura istituzionale del deposito votivo. L’operazione di dismissione, come già proposto nel 2021, potrebbe riflettere le trasformazioni istituzionali in atto. È difficile stabilire se l’eco degli editti di Teodosio di chiusura dei culti pagani abbia trovato un riflesso diretto in questa propaggine meridionale del territorio del municipio di Clusium o se, invece, la chiusura del santuario non costituisca un evento di carattere locale, fluido e mediato tra culto pagano e il nuovo contesto cristiano, peraltro cosí precoce nel territorio.


L’area di scavo sommersa dall’acqua, vista da nord. Nella pagina accanto: gli altari (arae) ancora in posto sulla vera della vasca.

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IL PRODIGIO DEL FULMINE Nell’ambito del variegato sistema religioso documentato dal deposito votivo, dal III secolo a.C. al V secolo d.C. sono soprattutto gli elementi divinatori a scandire alcuni momenti di deposizione all’interno dell’acqua calda. Il seppellimento di un fulmine in bronzo, associato ad alcune selci preistoriche, al momento del sigillo con tegole e coppi della vasca pre-imperiale dismessa, segnò la chiusura della fase piú antica seguita, probabilmente, alla caduta di un fulmine, e aprí la strada alla monumentalizzazione della vasca, avvenuta nel primo trentennio del I secolo d.C. Secondo il principio dell’ars fulguratoria, di tradizione etrusca, ciò che veniva colpito da un fulmine doveva infatti essere sepolto sul luogo stesso del prodigio. Il rinvenimento a San Casciano del fulmine bronzeo ha permesso di ipotizzare il riconoscimento di un legame tra il seppellimento delle statue in bronzo all’interno della vasca piú antica – in associazione con il resto delle offerte – con un fulgur conditum (il rito riguardante il luogo dove si era scaricato un fulmine e che, di conseguenza, veniva sacralizzato e nel quale, in un pozzo appositamente scavato, veniva gettato tutto quanto era stato colpito, n.d.r.) che avrebbe reso la vasca stessa un monumento sacro perché colpito da un fulmine. Inoltre, potrebbe essere l’unico caso in cui il fulmine stesso in bronzo è presente nel deposito sacralizzato in associazione con le selci lavorate, riconosciute come segno della caduta del fulmine a terra. Immagini del fulmine in bronzo che, insieme ad alcune selci preistoriche, venne seppellito quando la vasca fu sigillata con tegole e coppi nel primo trentennio del I sec. d.C., avviandone la monumentalizzazione.

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I DONI VOTIVI

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a campagna di scavo del 2021 e soprattutto quella del 2022, hanno restituito una grande quantità di reperti votivi in bronzo, eterogenei per dimensioni, qualità, cronologia e tipologia, ponendo il Bagno Grande come uno dei depositi archeologici A sinistra, in alto: particolare del volto di una testa femminile con diadema in origine facente parte di una statua. Nella pagina accanto, a destra, in basso: ritratto virile con iscrizione in etrusco. Qui sopra: ritratto virile con iscrizione etrusca dopo il rinvenimento (confronta con foto alla pagina successiva, a destra, in basso).

Statua di un’orante, vestita con chitone e mantello, con lunghe trecce che ricadono sul petto e riccamente ingioiellata. Seconda metà del II sec. a.C. 86 a r c h e o


A sinistra: statua raffigurante una donna che tiene una patera nella mano destra e ha un serpente attorcigliato alla sinistra. Seconda metà del II sec. a.C.

II secolo a.C. Un’altra statua femminile presenta una patera nella mano destra, mentre intorno all’avambraccio sinistro si attorciglia un serpente. L’iscrizione etrusca sulla piega centrale della veste e la testa coronata con un diadema turrito inducono a riconoscere nella figura il nume della fonte. La figura è databile attorno alla seconda metà del II secolo a.C. Una testa femminile, in origine appartenente a una statua piú grande rispetto alla precedente, presenta un’acconciatura simile e un diadema triangolare, e si può datare alla fine del II-inizi del I secolo a.C. Tra le statue maschili, spicca quella di un

piú importanti degli ultimi anni. Tra i bronzi, alcuni rappresentano sia le divinità, sia i devoti che a esse dedicarono le offerte presso la vasca sacra. La maggior parte proviene dallo strato sigillato con coppi e tegole, testimoniando cosí la vita del santuario in epoca pre-imperiale.

LUNGHE TRECCE E GIOIELLI Fra le numerose statue, figura quella di un’orante con chitone e mantello, lunghe trecce che ricadono sul petto e riccamente ornata da gioielli. La statua richiama esempi tardoellenistici, e può datarsi alla seconda metà del a r c h e o 87


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giovane con tunica e mantello, in gesto di preghiera. Le scarpe chiuse indossate ricordano, pur con qualche differenza, quelle della famosa statua bronzea dell’Arringatore, con il quale la statua di San Casciano sembra condividere anche la cronologia nella prima metà del I secolo a.C. (anche se alcuni studiosi la datano al primo quarto del II a.C.). Alcuni busti maschili, databili tra il terzo quarto del I secolo a.C. e l’età tiberiana, presentano sul collo delle iscrizioni di dedica, in etrusco, al nume della Fonte. All’età augustea risale una statua di offerente, nudo con le braccia in atteggiamento di orante, che presenta nel corpo evidenti malformazioni, a sottolineare lo stato di salute del devoto che implora, con il suo dono, la guarigione alla divinità; l’iscrizione sulla gamba destra lo connota come Lucio Marcio Grabillo (vedi foto in questa pagina). Altri busti, sia maschili che femminili, sono databili tra l’età augustea e quella tiberiana. Per la rarità dello schema con cui viene raffigurato, eccezionale risulta infine una statua di Apollo, in atto di scagliare una freccia con l’arco teso (non conservato), databile nell’ambito del II secolo a.C.

La statua del giovane affetto da malformazioni, sulla cui coscia destra è incisa un’iscrizione in lingua latina che lo identifica come L. Marcius Grabillo, il quale dedica la scultura e altri ex voto a Fons.

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Particolare di una statua raffigurante un personaggio togato.

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

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MEDICI A BAGNO GRANDE? Oltre ai singoli votivi anatomici, il quadro delle testimonianze sul legame tra pratiche mediche e il santuario è arricchito dal ritrovamento, durante la campagna del 2022, di due placche

poliviscerali in bronzo, a oggi le uniche documentate. Entrambi gli esemplari provengono dal gruppo nord-est all’interno della vasca sacra, dove si concentra parte della statuaria raffigurante divinità.

Il primo fu deposto sulle braccia di Apollo, quasi in una posizione sostituiva dell’arco, e anche a contatto con la statua di divinità femminile, con dedica al flere di Havens, che era deposta


immediatamente al di sopra della placca; il secondo invece è parte di un pastiche votivo complesso ed era deposto a contatto con la serie di infanti in fasce, in prossimità del sigillo di tegole.

Mentre il primo si presenta come un disco ovale con il retro a guscio di noce, e con due fori di sospensione, il secondo è un disco ovale piatto, innestato in un secondo momento su una base cilindrica configurata ad

arula o cista mistica, poggiante su supporto quadrato con quattro piedini a zampa di leone. Sulla sommità del poliviscerale era innestato un piccolo busto maschile, forse raffigurante un auriga. Sulla base cilindrica è incisa un’iscrizione con dedica alla dea Fortuna da parte dello schiavo Atimetus, contabile della matrona Sulpicia Triaria. Gli organi presenti sono raffigurati in maniera realistica; nella parte superiore la trachea, i polmoni, il cuore, divisi dal diaframma che segna la ripartizione tra torace e addome; qui sono rappresentati lo stomaco, il fegato, la milza e gli intestini. Sono assenti gli organi genitali, in genere rappresentati a parte. Per quanto riguarda la datazione, si possono collocare entrambi i reperti tra il II e gli inizi del I secolo a.C. Il secondo poliviscerale, agli inizi del I secolo d.C. sarebbe poi stato risemantizzato nella nuova realizzazione in pastiche e dedicato a Fortuna. In questo caso è possibile sottolineare la straordinarietà di un ex voto metallico che viene votato una seconda volta in una nuova realizzazione formale. L’accuratezza della raffigurazione anatomica, induce a pensare che entrambi i poliviscerali siano stati mutuati da tavole anatomiche lignee, e che, in via del tutto ipotetica, vi fosse presso il santuario termale una scuola medica. Il rinvenimento di uno strumento chirurgico insieme agli ex voto anatomici, inoltre, parrebbe confermare la presenza di medici presso il santuario del Bagno Grande.

Il recupero di una lastra poliviscerale sorretta da una basetta cilindrica. a r c h e o 91


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Una figura di infante in fasce ancora in posto nel riempimento della vasca.

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IL MONDO DELL’INFANZIA

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el corso delle campagne di scavo 2021 e 2022 sono venute alla luce tredici rappresentazioni di bambini e fanciulli, spesso in fasce, che assumono una valenza ancor piú significativa in associazione con altri elementi anatomici connessi alla Una figura di infante in fasce con un amuleto al collo e una fibula che chiude le fasce stesse. Quest’ultima è assimilabile a tipi della cultura di La Tène diffusi tra il III e il II sec. a.C.

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A sinistra: infante in fasce con una lunula appesa al collo e, poco sotto, una fibula. A destra: infante in fasce che presenta due alloggiamenti, all’altezza del cuore e del femore, forse collegati a specifici rituali.

In alto: fronte di una lastra in bronzo la cui sagoma richiama il modello dell’infante in fasce.

protezione e alla salute della maternità e alla fertilità, quali uteri, seni e falli. La salute dei neonati e dei fanciulli costituiva indubbiamente una questione di primaria importanza nella vita quotidiana nell’antichità, legata alla sopravvivenza e alla perpetuazione non solo dei singoli nuclei familiari, ma anche dell’intera comunità, visti gli alti tassi di mortalità infantile. Si tratta di ex voto offerti per l’esaudimento della richiesta di gravidanza o di buon esito del parto, o per ringraziamento per la protezione e la salute del neonato. Alcuni degli infanti indossano fibule per tenere le fasce, e amuleti appesi al collo, tra cui un pendente a forma di crescente lunare (lunula), e la bulla, segno distintivo dei fanciulli di condizione libera, che veniva consacrato ai

Lares domestici al momento dell’assunzione della toga virile, segnando cosí il passaggio dall’età puerile a quella adulta.

UNA SAGOMA MISTERIOSA Una delle attestazioni piú ermetiche rinvenute nel Bagno Grande è costituita da una grande sagoma stilizzata ricavata da una lastra di bronzo, che richiama la figura di un infante in fasce. La completa mancanza di particolari rende la figura una sorta di stele antropomorfa, che sembra rappresentare l’essenza stessa dell’infanzia. Il mondo infantile è rappresentato nella vasca sacra non solo nel momento della nascita, ma anche in quello della fanciullezza: lo testimonia la bellissima effigie bronzea a r c h e o 95


SPECIALE • SAN CASCIANO DEI BAGNI Una testa votiva femminile subito dopo il recupero.

di putto raffigurato in posizione seduta, con un pomo in una mano e un volatile nell’altra, con bulla al collo e iscrizione in etrusco su una gamba. La presenza di queste immagini, soprattutto nei bambini in fasce qui attestate per la prima volta in bronzo e non in terracotta, denota una committenza di alto livello sociale nei dedicanti, ma anche le particolari esigenze legate agli aspetti rituali del culto praticato nella vasca, le cui acque salutari sono strettamente connesse con la nascita e la rinascita. 96 a r c h e o

La vasca ha restituito anche diversi bronzetti votivi di piccole dimensioni, inquadrabili per la maggior parte tra la metà del III e la metà del II secolo a.C., con alcuni esemplari databili tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C., e comprendenti figure di offerenti sia femminili che maschili, divinità, tra cui forse il nume (flere) della Fonte o Igea, e un lare danzante con corno potorio. Da notare lo scarsissimo numero di figure animali; al momento ne sono state ritrovate soltanto due, una raffigurante una lucertola, databile nella


prima metà del I secolo d.C., l’altra un cane, probabilmente un molosso, sdraiato sul ventre in posizione di vigile riposo, con il muso appoggiato a terra tra le zampe anteriori. La totale assenza di ossa di animali all’interno della vasca (fanno eccezione alcuni gusci di uova, interpretabili come resti di attività ri-

GLI ANIMALI Statuette di una lucertola (in alto) e di un cane. La loro presenza potrebbe essere dettata dal fatto che i due animali erano accomunati dall’avere un ruolo nella cura delle infezioni oftalmiche.

tuali), unitamente a queste uniche testimonianze legate al mondo animale nel contesto del Bagno Grande, fanno pensare che gli animali dovessero restare fuori da questa area sacra, dove non erano neanche previsti sacrifici cruenti. La lucertola e il cane – quest’ultimo legato al culto di Asclepio e Igea – sembrano avere come fattore in comune il fatto di svolgere un ruolo nella cura delle infezioni oftalmiche.

BRACCIA, MANI, DITA... Un nucleo considerevolmente consistente di ex voto in metallo è costituito da reperti raffiguranti parti anatomiche, aventi la funzione di impetrare alla divinità la sanatio dell’organo rappresentato, o di ringraziare per l’avvenuta guarigione, o, piú dubitativamente, di richiedere il miglioramento della funzionalità dell’organo o dell’arto. In tutto, tra gli esemplari rinvenuti nelle campagne comprese tra il 2019 e il 2022, si contano ben 42 reperti quasi tutti in lega di rame, raffiguranti sia arti – braccia, mani, dita, gambe e piedi – che organi interni, come uteri e poliviscerali (uno o piú visceri, n.d.r.). Prevalente, tra questi votivi anatomici, è l’organo dell’udito (sono stati ritrovati 14 esemplari), raffigurato a tutto tondo o realizzato su lamina (uno di questi reca anche un’iscrizione in latino). Sono anche presenti mammelle e lamine in rame riproducenti un torace e parte dell’addome maschile. Tra gli organi genitali, è attestato un utero in bronzo, in stato di prolasso, e un fallo con evidenti segni di affezione fimotica.Tra gli organi interni, attestati solo da tre esemplari, figurano un oggetto che probabilmente rappresenta l’organo cardiaco, una vescica e un organo di incerta interpretazione. La maggior parte dei votivi si colloca cronologicamente tra il II secolo a.C. e l’età tiberiana, essendo stata rinvenuta nello strato che ha sigillato, con un piano di tegole, la fase di epoca pre-imperiale. Per quanto riguarda l’interpretazione degli ex voto, occorre rilevare come la presenza cosí preponderante di orecchie non sia soltanto indizio di richieste o dell’avvenuta guarigione di patologie otoiatriche, ma anche un mezzo per far sí che le preghiere rivolte alla divinità venissero ascoltate con maggiore forza, costituendo cosí una sorta di «citofono» per le divinità «ascoltatrici». a r c h e o 97


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LE DIVINITÀ E I DEDICANTI

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ai reperti epigrafici rinvenuti negli scavi del Bagno Grande, si possono ricavare importanti informazioni sia per ciò che concerne le divinità oggetto del culto legato alle acque salutari della sorgente termale, sia per quanto riguarda i

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personaggi che offrivano a tali divinità le offerte votive trovate nel santuario. Le iscrizioni rinvenute sono sia in lingua etrusca che in latino, costituendo cosí anche un fondamentale documento del passaggio da una cultura all’altra.

L’iscrizione in lingua etrusca realizzata sulle pieghe della veste della figura femminile in bronzo che si ipotizza possa essere identificata con la divinità della fonte. Il testo è la dedica della statua da parte di Aule Scarpe, figlio di Aule e di una Velimnei.


LE CERAMICHE Nel corso delle campagne dal 2020 al 2022 lo scavo del Bagno Grande ha restituito considerevoli quantità di materiale ceramico, che denota la frequentazione del sito dall’età repubblicana (III-II secolo a.C.) fino all’età moderna, con una soluzione di continuità tra l’età tardo-antica (dopo il V secolo d.C.) e l’età rinascimentale. Una maggiore concentrazione si registra per il periodo tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale, con una forte presenza nell’età flavia, mentre scarse sono le testimonianze per la media e tarda età imperiale. Prevalgono le ceramiche destinate alla mensa e alla dispensa, insieme a quelle da cucina, mentre piú scarse sono le ceramiche fini, le lucerne e le anfore. Accanto alle produzioni diffuse in tutto l’impero, come la sigillata italica, la ceramica a pareti sottili e le sigillate africane, le ceramiche comuni sembrano invece rispecchiare caratteri piú strettamente locali, e testimoniare scambi commerciali a piú breve raggio, con le aree contermini dell’alto Lazio, della Val di

Chiana e della Val d’Orcia, con estensioni nel territorio umbro e nelle Marche, riflettendo in gran parte una circolazione attraverso i percorsi di viabilità stradale e fluviale noti nel territorio, nel senso nord-sud ed est-ovest. Le attestazioni ceramiche sono da mettere in relazione alle attività di stoccaggio, preparazione e cottura di prodotti legati alla vita quotidiana del santuario, nonché a un verosimile impiego in celebrazioni o pratiche cultuali, in cui si preparavano e consumavano pasti rituali, come testimonia la presenza in situ di un’olla e di tegami all’interno dell’edificio sacro, e di due mortai utilizzati per la preparazione del cibo rinvenuti nei pressi dei propilei di accesso a esso. Valore cultuale hanno anche i vasetti miniaturistici, utilizzati per contenere piccole quantità di cibo e di liquidi da offrire alle divinità, e gli incensieri, contenitori per bruciare incenso e sostanze profumate destinate alle divinità durante le pratiche rituali, e per purificare cosí le offerte votive.


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LE MONETE Le campagne di scavo nel Bagno Grande del 2021 e del 2022 hanno restituito ben 5311 monete (2511 nel 2021 e 2700 circa nel 2022), in ottimo stato di conservazione. Il lotto recuperato nel 2022, sembra rilevare un incremento delle serie imperiali collocabili tra l’età antonina, quella severiana e il III secolo d.C., e anche una maggiore presenza di monete d’argento (denari di età repubblicana e imperiale) e la comparsa dell’oro, testimoniata da due aurei, uno di Nerone e uno di Traiano. Il nucleo di monete recuperate nel 2021, presenta pezzi per lo piú riconducibili alle emissioni imperiali, coprono un arco cronologico che va dalla fine del I secolo a.C. al III secolo d.C., con scarsi esemplari di Roma repubblicana e di epoca tardo-antica (entro il IV secolo d.C.). Tra i nominali attestati spicca l’asse, con una presenza pari all’85% (2130 esemplari), seguito dal dupondio con il 5% (106 esemplari) e dal sesterzio, con una percentuale di poco superiore al 2% (54 esemplari).

Tutte monete in rame o in una sua lega, come si vede, mentre l’argento è presente con una percentuale pari solo all’1,5% circa (36 denarî).

REPERTI LIGNEI E FRUTTI I reperti lignei rinvenuti nella vasca sacra del Bagno Grande sono costituiti da tipi di querce caducifoglie (cerro e roverella) che erano la componente dominante nei boschi delle vallate fluviali toscane interne preappenniniche, e comprovano, per l’età medio e tardo-imperiale, una vegetazione simile a quella attuale del territorio di San Casciano dei Bagni. Resta da approfondire, invece, la presenza di conifere come abete e tasso, definibili attualmente come specie tipicamente montane e, di conseguenza, alloctone al

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territorio. Tra i resti di frutti si trovano il susino e il pesco, una specie importata dal Vicino Oriente presente in Italia dai primi decenni del I secolo d.C. La sua presenza nel contesto sacro della vasca del santuario è legata all’uso votivo di questo frutto considerato di origine «esotica». Lo scavo del 2022 ha portato alla luce, nel quadrante nord-occidentale, anche una concentrazione di ex voto in bronzo affastellati intorno a un grande tronco di quercia che – indipendentemente da un’eventuale interpretazione rituale da verificarsi con la

prosecuzione dello scavo – costituisce indubbiamente il fulcro del gruppo. Tra i materiali in legno rinvenuti durante il corso delle campagne del 2021 spicca un pettine, con denti a maglia stretta su un lato e a maglia larga sull’altro, decorato a cerchielli impressi a punzone. L’interpretazione come offerta rituale è oggetto di indagine, anche in relazione allo studio che deve ancora essere affrontato su una ciocca di capelli rinvenuta nella vasca sacra, proveniente però da una unità stratigrafica diversa, e che dunque nulla ha a che fare con il pettine.


Si tratta, dunque, di circolante «spicciolo», che veniva utilizzato per le transazioni quotidiane, ma anche della moneta piú comunemente offerta Sesterzio di Claudio a nome di Agrippina, coniato a Roma nel 42-43 d.C.

nelle acque secondo quanto dimostrato dalle fonti archeologiche, offerta pro salute o come ex voto suscepto, per sancire la promessa fatta in cambio del beneficio terapeutico che si è ricevuto. Lo straordinario stato di conservazione delle monete fa pensare che queste abbiano circolato poco, o addirittura affatto, e siano giunte al santuario del Bagno Grande poco dopo la loro emissione dalla Zecca di Roma, almeno fino al principato di Traiano. Si tratterebbe quindi di lotti di monete fresche di conio, trasportate direttamente da Roma a San Casciano, per essere offerte come nuclei unitari piú o meno consistenti, da parte forse di fedeli di elevato stato sociale. Oltre a questi depositi unitari, non dovevano mancare singole offerte da parte di piú umili frequentatori del santuario: un’offerta verosimilmente indiretta, mediata probabilmente dagli addetti al culto, considerato che la vasca sembra rappresentare il fulcro sacro del santuario inaccessibile ai fedeli.

A oggi sono state ritrovate cinque iscrizioni in lingua etrusca, provenienti dai livelli di interro al di sotto dello strato di tegole che sigilla la stratigrafia piú profonda della vasca sacra, e che testimoniano come questo luogo fosse già sacralizzato in età etrusca, prima della rifondazione del culto al tempo di Augusto. Questi reperti costituiscono inoltre una delle novità venute alla luce nelle ultime campagne di scavo del 2021 e del 2022. Le iscrizioni sono incise su votivi in bronzo di varie dimensioni. Due si trovano sul collo di teste maschili, una su un bronzetto femminile di piccole dimensioni, che riproduce l’offerente; una sulla piega centrale del mantello di una grande statua femminile con serpente avvolto attorno al polso sinistro, del quale si conserva anche la testa, raffigurante molto probabilmente la divinità, infine, sulla coscia destra dell’immagine di un fanciullo, con grande bulla sul petto. Per quanto riguarda la cronologia, quella proposta da Adriano

Maggiani va dalla metà del II secolo a.C. (la piú antica sarebbe quella sulla figura di divinità) alla prima metà del I secolo a.C.

IL NUME DELLA FONTE In tutte e cinque le iscrizioni compare la parola fleres, da sola in un caso, accompagnata dal termine havensl su altre quattro. Secondo l’interpretazione di Maggiani, si può tradurre questa formula come una dedica al «nume» (fleres) della fonte, della sorgente (havensl) da parte dei dedicatari, da identificare in importanti personaggi provenienti soprattutto dall’area perugina. In particolare, l’iscrizione sulla statua di fanciullo si potrebbe interpretare come dono per l’adempimento di un voto alla divinità da parte della madre per la buona salute del figlio, e tradurre: «per conto della perugina Ancari (moglie) di Amthne questo come cosa sacra in favore del figlio al Numen della Fonte è posto per (voto) adempiuto». (segue a p. 104) a r c h e o 101


SPECIALE • SAN CASCIANO DEI BAGNI

PER INCONTRARE GLI DÈI E… FARSI ASCOLTARE Come si è visto dalla rassegna degli oggetti votivi rinvenuti nel santuario, si possono distinguere due modi diversi di ottenere la benevolenza delle divinità tutelari legate alle acque termali. Uno era di rivolgersi direttamente al dio prescelto, attraverso l’offerta di statue che ne riproducevano le sembianze, oltre che invocarlo esplicitamente nelle iscrizioni incise sugli ex voto, l’altro di indicare attraverso ex

voto anatomici la parte del corpo di cui si chiedeva la guarigione. Per alcuni di questi vi possono essere anche ulteriori livelli di interpretazione, come sostiene Valentino Gasparini: se, per esempio, gli ex voto riproducenti le orecchie, rinvenuti all’interno e sul bordo della vasca, richiamano certamente un reale problema dell’apparato uditivo del dedicante, a un’analisi piú approfondita possono

In alto: ex voto in forma di orecchio sul quale è incisa la dedica a Fortuna Primigenia da parte di A. Nonius uiscus. A sinistra: dedica in bronzo appartenente alla categoria degli Ohrenweihungen, dall’Iseion di Kyme (Nemrut, Turchia). III sec. d.C. (?). Praga, Università Carolina. Nella pagina accanto: foto e restituzione grafica delle cavità ricavate sul bordo della vasca: al centro, si riconosce una coppia di orecchie.

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essere anche concepiti come un efficace mezzo per trasmettere la richiesta di guarigione al dio, una sorta di materializzazione della disponibilità divina ad ascoltare la richiesta e agire in tal senso. È infatti ragionevole supporre che la prima preoccupazione di un devoto fosse quella di far giungere la propria voce, e quindi i propri desideri e le proprie necessità, al dio invocato presso la vasca sancascianese, attraverso una sorta di «citofono» predisposto innanzi alla

porta della casa del dio. In quest’ottica, anche le cavità a forma di piede umano (i cosiddetti vestigia) presenti sul bordo della vasca possono essere considerate un modo per visualizzare il luogo d’incontro tra il dio e il devoto, cosí come le impronte pertinenti probabilmente a zoccoli di toro (vestigia tauri), la cui presenza sembra evocare l’atto sacrificale e costituire quindi una sorta di «sigillo» di autentificazione rituale dello spazio della vasca. a r c h e o 103


SPECIALE • SAN CASCIANO DEI BAGNI

DALLO SCAVO AL MUSEO Lo scavo di San Casciano dei Bagni è una concessione di scavo della Direzione Generale Archeologia, belle arti e paesaggio, diretta da Luigi La Rocca. La Direzione Generale ha supportato lo scavo, coordinando le attività della Soprintendenza locale e le delicatissime operazioni di restauro, fornendo un fondamentale

contributo alla diagnostica applicata alle operazioni di conservazione. La Direzione Generale Musei, diretta da Massimo Osanna, ha supportato il progetto, favorendo l’acquisto del Palazzo dell’Arcipretura a San Casciano dei Bagni, dove sorgerà il nuovo Museo per il racconto delle scoperte presso il santuario e nel territorio.

Dallo scavo del 2022 sono emerse altre iscrizioni latine, incise su quattro votivi in bronzo recuperati all’interno della vasca sacra del Bagno Grande. Rispetto alle epigrafi sulle due are in travertino già note a partire dal XVI secolo, attualmente esposte all’interno dello stabilimento termale Fonteverde SPA (le cosiddette Terme del Portico), dedicate ad Asclepio-Igea e ad Apollo, e alle altre rinvenute adagiate a bordo vasca nel 2020 – appartenenti a un orizzonte cronologico non anteriore alla tarda età antonina e dedicate a divinità varie (Apollo, Aesculapius et Hygeia, Fortuna Primigenia, Isis) da schiavi o liberti impiegati nelle proprietà di alcuni esponenti di famiglie senatorie (Erucii, Pomponii, Asinii) 104 a r c h e o


A destra: le Stanze Cassianensi allestite nel Palazzo Comunale di San Casciano dei Bagni, nel maggio 2021. Nella pagina accanto, in alto: visita ai reperti rinvenuti nello scavo del Bagno Grande: da sinistra, Massimo Osanna, Ada Salvi, Jacopo Tabolli, Luigi La Rocca e Gabriele Nannetti, soprintendente ABAP per le province di Siena, Arezzo e Grosseto. Nella pagina accanto, in basso: Agnese Carletti, sindaca di San Casciano dei Bagni (prima, a sinistra), con Ada Salvi ed Emanuele Mariotti.

–, quelle sui votivi in bronzo, testimoniano un quadro piú antico, collocabile non oltre l’età tiberiana (primo trentennio del I secolo d.C.), quando avvenne il «seppellimento» dei materiali colpiti dal fulmine e prima della monumentalizzazione della vasca. Piú vario si rivela ora il quadro relativo ai devoti, composto da uomini di nascita libera, oltre a una probabile liberta e allo schiavo di una donna di rilievo; solo quest’ultimo sembra connesso con una delle famiglie senatorie già attestate al Bagno Grande in epoca antonina. Le divinità rappresentate sui bronzi sono in questo caso Fons (la Fonte sacra) e Fortuna Primigenia. La varietà riguarda anche la natura degli ex voto, pur se tutti in bronzo: una statua, un orecchio, un piede e una basetta circolare sorreggente un poliviscerale.

UN CULTO CHE DURA NEL TEMPO L’iscrizione su una statua maschile, databile all’inizio dell’età augustea, indica che essa venne dedicata da Lucio Marcio Grabillo alla Fonte dell’acqua calda che sgorgava sul posto (Fonti Calidae) o, come suppone Gian Luca Gregori, alla Ninfa che abitava presso la fonte, di nome Calida. Il dedicante sembra essere il discendente di una famiglia d’area chiusina di un certo rilievo nell’età tardo-etrusca, la quale, pur avendo acquisito la cittadinanza romana, era rimasta legata alle proprie tradizioni onomastiche (Marcni in etrusco, Marcii in latino). Inoltre, la dedica a Fons testimonierebbe la continuità di culto con la precedente fase etrusca del santuario, rappresentata dalle dediche al Flere Havens. Un’altra iscrizione, incisa a punzone su un piccolo orecchio in bronzo, reca la dedica a Fortuna Primigenia da parte di un altro uomo di condizione libera, Aulo Nonio Visco, anch’esso forse discendente di una famiglia chiusina di origine etrusca. La terza iscrizione,

su un piede in bronzo, riporta il nome di una liberta, Minicia Myrine, con la dedica a Fortuna Primigenia; la stessa divinità compare su una basetta circolare facente da supporto a un poliviscerale, in questo caso dedicato dallo schiavo Atimetus, contabile (actor) di una matrona di nome Sulpicia Triaria. Tutte le iscrizioni qui descritte, sembrano testimoniare al Bagno Grande, a partire dall’età augustea, un culto di Fons, ma anche di Fortuna Primigenia, a cui nel corso del II secolo si aggiungeranno i culti di Apollo, Esculapio e Igea e Iside, divinità accomunate dalle valenze terapeutiche e mediche. Da notare, infine, anche la matrona di Atimetus, Sulpicia Triaria, appartenente all’aristocrazia senatoria che aveva proprietà terriere nel territorio chiusino, successivamente passate in via ereditaria a Pomponia Triaria e al marito Erucius Clarus, nella seconda metà del II secolo, e poi alla loro figlia Erucia Triaria e al marito Asinius Fabianus, personaggi presenti sulle are in travertino già conosciute. PER SAPERNE DI PIÚ Emanuele Mariotti e Jacopo Tabolli (a cura di), Il Santuario Ritrovato. Nuovi Scavi e Ricerche al Bagno Grande di San Casciano dei Bagni, Sillabe, Livorno 2021 Emanuele Mariotti, Ada Salvi e Jacopo Tabolli (a cura di), Il Santuario Ritrovato 2. Dentro la Vasca Sacra. Rapporto Preliminare di Scavo al Bagno Grande di San Casciano dei Bagni, Sillabe, Livorno 2023 a r c h e o 105


TERRA, ACQUA, FUOCO, VENTO Luciano Frazzoni

QUANDO LA STORIA SI FA IN LABORATORIO PER DEFINIZIONE, L’ARCHEOMETRIA «MISURA L’ANTICO» SERVENDOSI DI TECNICHE BASATE SUL RICORSO ALLA CHIMICA, ALLA FISICA O, ANCHE, ALLE INDAGINI RADIOGRAFICHE. RISORSE CAPACI DI FORNIRE INDICAZIONI PREZIOSE E PARTICOLARMENTE UTILI NELLO STUDIO DELLA CERAMICA

L’

archeometria è la disciplina applicata all’archeologia che si avvale di metodi scientifici e analisi di laboratorio, per rispondere a esigenze specifiche nello studio dei materiali. Essa ha, pertanto, molteplici finalità, che vanno dalla datazione o dalla provenienza dei reperti, alla ricostruzione delle antiche tecniche di fabbricazione dei manufatti. Il termine deriva dalla denominazione della rivista scientifica inglese Archaeometry, pubblicata dal 1958 dal Research

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Laboratory for Archaeology and the History of Art di Oxford proprio per favorire la collaborazione tra scienze e archeologia. Uno dei quesiti piú importanti ai quali l’archeometria cerca di rispondere è la determinazione dell’origine di una ceramica, stabilendo relazioni tra la composizione dell’argilla e il luogo di fabbricazione. Per farlo, ci si basa sulle proprietà chimiche e fisiche delle ceramiche. Il primo obiettivo, quindi, consiste nel definire i cosiddetti «gruppi di riferimento»,

ossia un insieme di campioni ceramici statisticamente sufficiente, di cui si conoscono sia il luogo di produzione, sia la composizione chimica e mineralogica, e che, di conseguenza, è stato già sottoposto ad analisi di laboratorio. I gruppi piú sicuri sono costituiti dai reperti rinvenuti in scavi di fornaci, principalmente sotto forma di scarti derivanti da cotture mal riuscite, che vengono generalmente alla luce nei pressi delle strutture produttive. Tuttavia, si possono avere anche gruppi di riferimento


formati da ceramiche che hanno la stessa composizione, anche se di origine sconosciuta. Una volta stabiliti, i gruppi di riferimento serviranno come punto di partenza per il confronto con ceramiche delle quali non si conosce la provenienza. I metodi per determinare l’area geografica

di produzione delle ceramiche sono l’analisi chimica e l’analisi mineropetrografica. In genere, si preferisce l’analisi chimica per le ceramiche fini, con impasti piú depurati (per esempio la vernice nera o la sigillata), mentre quella minero-petrografica è piú adatta alle ceramiche piú grossolane, con

impasti che presentano inclusi piú evidenti usati come degrassanti (come nel caso delle stoviglie da cucina). Entrambi i metodi richiedono prelievi di campioni, piú o meno invasivi, dal frammento che si intende analizzare.

I SEGRETI DEGLI IMPASTI Per l’analisi chimica delle argille, i metodi utilizzati sono la fluorescenza a raggi X (XRF, X-Ray Fluorescence), l’assorbimento atomico (AAS, Atomic Absorption Spectroscopy), la spettrometria di emissione (ICPS, InductivelyCoupled Plasma Spectroscopy) e l’attivazione neutronica (NAA, Neutron Activation Analysis). Questi metodi permettono di individuare numerosi elementi chimici che compongono l’impasto ceramico e, quindi, di creare gruppi ceramici con caratteristiche simili. Tuttavia, occorre sapere che anche argille con caratteristiche diverse possono provenire dalla stessa zona, e le differenze possono essere causate dall’utilizzo di argilla sí locale, ma avente una differente composizione chimica, oppure per A sinistra: resti di un forno per ceramica a La Graufesenque (Francia) e, in alto, vasi in terra sigillata di cui il sito fu uno dei maggiori produttori dell’impero romano. Nella pagina accanto: l’utilizzo di un microscopio elettronico nel Research Laboratory for Archaeology & the History of Art dell’Università di Oxford.

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effetto dell’aggiunta di degrassanti particolari nell’impasto. Per eseguire l’analisi della fluorescenza a raggi X è necessario prelevare un campione ceramico del peso di circa 1 o 2 grammi, che, dopo essere stato macinato, viene ridotto in pastiglie pressate, oppure fuso o portato in soluzione. Il campione cosí ottenuto viene quindi irradiato con raggi X. Dall’esame delle linee di emissione di fluorescenza e sulla base delle intensità registrate, si possono calcolare le concentrazioni di 24 elementi diversi che compongono l’impasto. La fluorescenza a raggi X può anche essere utilizzata per analizzare il rivestimento delle ceramiche, senza prelevare alcun campione, quindi con un metodo non distruttivo. Questa tecnica, che ha il vantaggio di poter essere realizzata con apparecchiature portatili anche in loco, per esempio in un museo, senza dover trasferire il reperto in laboratorio, è particolarmente indicata per lo studio delle maioliche medievali e rinascimentali, per le quali può determinare il valore della presenza di stagno e di piombo nello smalto. L’analisi mineropetrografica si effettua su campioni di ceramica ridotti in lamine sottili mediante speciali frullini, che tagliano il frammento ricavandone una striscia (le cosiddette sezioni sottili). Inglobate tra due vetrini, le sezioni sottili possono quindi essere osservate al microscopio polarizzatore. Questo tipo di analisi, che ha il vantaggio di non avere costi elevati (a differenza

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delle analisi a fluorescenza e ad attivazione neutronica), permette di accertare quali minerali sono contenuti nelle argille. Individuando minerali tipici di una determinata area geografica, si può pertanto risalire alla possibile provenienza dell’argilla impiegata come materia prima per la Il fisico e archeologo francese Maurice Picon (1931-2014).

ceramica, e dunque alla sua zona di produzione. Va però tenuto presente, come già detto, che una stessa zona può fornire argille diverse, che sono state usate da una stessa officina.

DATI CONDIVISI In generale, un obiettivo fondamentale delle tecniche di indagine archeometrica dev’essere la costituzione di banche di dati

standardizzati facilmente consultabili, in modo che gli studiosi che si occupano di tali aspetti della ricerca archeologica possano disporre di confronti sicuri. Per avere un’idea delle informazioni ricavabili dall’analisi delle composizioni chimico-fisiche, si possono prendere come esempio le ricerche condotte su ceramiche romane rinvenute in Italia e in Francia da Maurice Picon (19312014) nel Laboratorio di Ceramologia di Lione. Sulla base delle composizioni delle argille, è stato in quel caso possibile distinguere le sigillate prodotte ad Arezzo rispetto a quelle dell’area padana e dell’area laziale e campana. Ancora, per quanto riguarda le ceramiche aretine, si è potuto stabilire che quelle piú antiche hanno una maggiore percentuale di calcare rispetto a quelle di epoca piú recente. La comparazione tra le composizioni chimiche ha inoltre consentito di ascrivere ceramiche prodotte in Francia a La Graufesenque, o, per quanto riguarda il vasellame a ceramica a vernice nera rinvenuto nel Magdalensberg, in Austria, è stato possibile stabilire che si tratta di produzioni ascrivibili all’area di Arezzo e di un centro padano ancora non identificato. Le analisi archeometriche sulle ceramiche possono insomma contribuire in maniera decisiva alla definizione delle varie fasi di produzione del vasellame e alle modalità della sua diffusione, elementi fondamentali per ricostruire gli aspetti economici e sociali del mondo antico.



L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Francesca Ceci

UN MITO IN TRE PAROLE LA CITTÀ DEI CESARI FU PER SECOLI PADRONA INCONTRASTATA DEL MONDO E QUELLA SUPREMAZIA VENNE EFFICACEMENTE SINTETIZZATA DAL MOTTO ROMA CAPUT MUNDI. RECUPERATO NEL MEDIOEVO DA CHI, NON A CASO, ASPIRAVA A RINNOVARE I FASTI DELL’IMPERO

U

tilizzata ancora oggi nei piú disparati contesti legati alla città eterna, l’espressione Roma caput mundi è universalmente nota per evocare la supremazia planetaria dell’Urbe durante il lungo periodo storico che dalla Roma dei re arriva sino al tramonto dell’impero. Oggi vi si può fare ricorso per esprimere l’ammirazione nei confronti della grandezza dei costruttori di Roma, per esempio davanti al suggestivo e maestoso panorama del Foro Romano con il Colosseo e il Palatino sullo sfondo, visti dall’alto del colle capitolino. Magari accompagnata da un sospiro di estatica contemplazione, essa dà voce al pensiero di chi guarda e rende sinteticamente il fascino e la bellezza di Roma. La prima definizione della città di Romolo e di Augusto come caput mundi ricorre nella Pharsalia, opera epica del poeta Marco Anneo Lucano, dedicata alla guerra civile tra Cesare e Pompeo, in cui si legge: ipsa, caput mundi, bellorum maxima merces Roma capi facilis («la stessa Roma, capitale del mondo, massimo premio di guerra, facile preda», Libro II, 655-666). Nel pieno Medioevo queste tre parole divennero la prima parte di un vero e proprio motto redatto in versi poetici detti leonini: Roma caput mundi regit orbis frena rotundi («Roma capitale del mondo regge le redini dell’orbe rotondo»),

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che ricorre nei sigilli e nelle bolle imperiali, cosí come nelle indicazioni cartografiche dell’epoca.

L’IMPERO DEL MONDO L’iscrizione compare per la prima volta sui sigilli di Corrado II il Salico (990-1039), il primo a farsi chiamare Rex Romanorum, e alcuni ne attribuiscono l’invenzione al cappellano, storico

e poeta di corte Wipo. Il motto viene commentato dal grande storico Ferdinand Gregorovius, nella sua Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter (1872), che cosí lo spiega, come si legge nella prima traduzione italiana curata da Renato Manzato: «Da Virgilio in poi si affermava la fede che i Romani fossero il popolo eletto alla signoria universale, laonde si


credeva che l’Impero romano fosse l’impero del mondo». Federico I Hohenstaufen, detto Barbarossa (1122-1190), imperatore del Sacro Romano Impero, mirò a ripristinare in Italia l’autorità regia connessa al titolo imperiale mantenendola indipendente dal papato; nel 1155 fu incoronato imperatore a Roma da papa Adriano IV. Una sua magnifica bolla d’oro (5,9 cm), databile al 11541155, raffigura al dritto una città murata con una porta centrale e due edifici con tetto a cupola, che sembrano fungere da trono dal quale emerge il busto dell’imperatore abbigliato «alla romana», con il bel volto barbato sormontato dalla corona, dalla quale discendono lateralmente due lunghe fasce di stoffa decorata; in una mano regge il globo con la croce e, nell’altra, tiene lo scettro

concluso da un giglio fiorito. Intorno corre la legenda FREDERIC DEI GRA ROMANORV IMPERATOR AVGS [Fridericus Dei Gratia Romanorum Imperator Augustus]. Sull’altro lato è redatta un’efficace veduta di Roma, circondata dal motto Roma caput mundi regit orbis frena rotundi.

FRA MURA E TORRI La città è simboleggiata da pochi edifici e pare essere racchiusa in una cinta muraria con due torri, rese in visione prospettica, e, dietro, altre due torri con tetto a punta. Al centro si apre una porta affiancata da due torrioni entro la quale si legge, dall’alto verso il basso, ROMA. Al centro campeggia e sovrasta il panorama la mole dell’Anfiteatro Flavio, perfettamente riconoscibile con i suoi tre piani di arcate intatte

Sulle due pagine: bolla d’oro di Federico II di Svevia. 1154-1155. Berlino, Staatlichen Museen, Münzkabinett. Al dritto, l’imperatore; al rovescio, la città di Roma. sormontate da una serie di merlature, quasi fiammeggianti, entro le quali è inscritto AVREA. Questa immagine della sommità del Colosseo è stata interpretata come la raffigurazione della parte culminante del monumento dove si trovano le mensole che servivano per dispiegare il velarium, destinato a proteggere gli spettatori dagli agenti atmosferici. Ma è piú probabile che si tratti di una ricostruzione evocativa dell’anfiteatro, la cui parte terminale assomiglia a quella di una grande torre merlata, difesa e vanto della città. L’Aurea Roma e il suo enorme anfiteatro erano all’epoca il simbolo, quasi mitico, della tradizione imperiale universale antica e moderna, e Federico Barbarossa volutamente omette di rappresentare nella bolla luoghi sacri, per ben esemplificare, anche visivamente, la sua posizione di preminenza sull’autorità papale.

PER SAPERNE DI PIÚ Nicolas Bock, Roma caput mundi. The Seal of the Roman Senate in 1144, in Survivals, revivals rinascenze. Studi in onore di Serena Romano, Viella, Roma 2017 Peter Stotz, Wipo, in Dizionario storico della Svizzera (on line: https://hls-dhs-dss.ch/it/ articles/013083/2013-11-05/) Giulia Bordi, Fino al terremoto del 1349: immagine della città e cristianizzazione dentro e fuori il Colosseo, in Colosseo, Mondadori Electa, Roma 2017; pp. 76-91 Eugenio D’Anna, Pier Gabriele Molari, Il velarium del Colosseo: una nuova interpretazione (on line, http:// amsacta.unibo.it/id/eprint/6307/1/ Velarium%2007-01-2020+.pdf)

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I LIBRI DI ARCHEO

DALL’ITALIA Paolo Re e Tommaso Serafini (a cura di)

REGILLA, LUCE DELLA CASA Le epigrafi del Triopio sull’Appia Antica prefazione di Simone Quilici, Arbor Sapientiae, Roma, 127 pp., ill. col. e b/n 18,00 euro ISBN 978-88-94820-06-5 www.arborsapientiae.com

Una guida epigrafica, un «invito alla lettura» storica e un chiaro intento divulgativo: ecco i tre ingredienti di questo volumetto elegante e molto curato, redatto da un docente di lettere appassionato di iscrizioni e da un giovane laureando in lettere classiche. Il libro consiste nella pubblicazione, rigorosa e commentata, delle sette iscrizioni riferibili al Pago Triopio, al III miglio dell’Appia, e, nel contempo, narra un’avvincente e tragica storia familiare dell’impero romano al suo apogeo. Sulla via Appia, nel II secolo d.C., 112 a r c h e o

si intrecciano le esistenze di due persone di nobili origini, appartenenti a due famiglie tra le piú in vista dell’epoca; Erode Attico, nato in Grecia ma eccezionalmente educato in parte a Roma, e Annia Regilla, romana, ma poi sposata e trasferitasi con la famiglia in Grecia. Costituiscono per la loro epoca il simbolo dell’unione di due mondi, di due mentalità, di due tradizioni; i loro figli muoiono a causa della peste antonina, sopravvive un erede maschio che sembra poco adeguato e forse mai davvero accettato da suo padre. I due coniugi coltivano un grande sogno che, dopo due decenni vissuti apparentemente al massimo, è troncato dalla morte di Regilla, seguita dalla denuncia (di uxoricidio) contro Erode, formulata dal cognato, senatore ed ex console. A questo punto viene indetto un processo senatorio, presieduto da Marco Aurelio, sfociato in un’assoluzione e seguito da grandi manifestazioni di lutto da parte di Erode Attico; ma restano, nei contemporanei, molti dubbi, che nei secoli nessuno ha potuto dissipare. Sette testimonianze epigrafiche, rinvenute tra la Caffarella e l’Appia Antica, raccontano «in diretta» la storia di questa famiglia; esse vengono qui riproposte al completo, nell’originale

greco e in una moderna traduzione, con ampie considerazioni di contesto per poterne comprendere al meglio il senso. In questa vicenda personale e familiare Annia Regilla viene definita come «la luce della casa», molto probabilmente il nomignolo familiare che Erode impiegava per chiamarla nella vita quotidiana, metafora splendida, tenerissima, che romanticamente è emersa anche dagli scavi effettuati nel terzo millennio nella tenuta di Capo di Bove, sulla via Appia. Il libro è arricchito da un efficace apparato iconografico, da elementi interattivi (codici che si collegano a letture metriche dei poemetti greci, ricostruzioni 3D di alcuni monumenti antichi, fonti testuali e bibliografiche on line…), da un’aggiornata bibliografia e dalla pubblicazione della traduzione dei due poemetti redatta nel 1816 da Giacomo Leopardi (e rifiutata dall’editore…). Paola Gulinelli Sergio Valzania

LE VIE DELLE MONETE Ritrovare l’Europa, il Mulino, Bologna, 245 pp., ill. b/n. 16,00 euro ISBN 978-88-15-38293-1

Merito principale del volume è il tentativo, riuscito, di raccontare il mondo delle monete con un approccio originale e vivace, che libera la

numismatica dal cliché di disciplina polverosa e antiquata, spesso suggerito dalle collezioni esposte nei musei. L’esito nasce dalla scelta di Valzania di «trattare l’argomento da tre punti di vista», analizzando le monete in una prospettiva numismatica, per ruolo avuto nella storia economica e come mezzi di comunicazione. Ciascuno dei nove capitoli del libro si sofferma dunque su casi emblematici – la prima monetazione greca, il sesterzio romano, i fiorini medicei, solo per citarne alcuni –, per proporre osservazioni e riflessioni di ampia portata, nelle quali l’autore non si limita a ripercorrere lo svolgersi degli eventi o le caratteristiche tecniche dei pezzi battuti, avvicinando il lettore ai contesti culturali di volta in volta evocati, con frequenti e interessanti paralleli con la realtà moderna e contemporanea. Stefano Mammini



presenta

SACRO ROMANO IMPERO

LA STORIA I LUOGHI I PROTAGONISTI

Nella notte di Natale dell’anno 800, la basilica vaticana di S. Pietro fu teatro di un evento epocale: papa Leone III consacrò imperatore Carlo Magno e quell’atto, al di là degli aspetti formali, assunse una valenza simbolica straordinaria, destinata a segnare le sorti dell’intero Occidente medievale. Prendeva infatti avvio un grandioso progetto politico e culturale, il Sacro Romano Impero, che, come la denominazione stessa lascia intuire, ambiva, nelle intenzioni del re franco, a restaurare i fasti dei Cesari nei secoli cristiani. Questa eccezionale vicenda è l’argomento scelto per il nuovo Dossier di «Medioevo», che ne ripercorre l’intero svolgersi, passando in rassegna tutti i protagonisti e gli eventi piú importanti di una storia che andò ben al di là dei confini temporali dell’età di Mezzo, chiudendosi alle soglie dell’epoca contemporanea. Oltre, quindi, che per Carlo Magno, c’è spazio per una schiera di figure che hanno davvero fatto la storia. A reggere le sorti del Sacro Romano Impero si sono infatti avvicendati personaggi del calibro di Federico Barbarossa, Federico II di Svevia, Massimiliano I d’Asburgo e Carlo V, il re che arrivò a vantarsi di controllare un territorio talmente esteso da poterlo attraversare senza mai veder tramontare il sole... Quello del Sacro Romano Impero fu insomma un millennio cruciale, del quale il Dossier non manca di descrivere i molteplici risvolti politici, culturali ed economici.

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