Medioevo Dossier n. 1 - 2014

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MEDIOEVO DOSSIER

EDIO VO M E

Dossier capitali del medioevo parte I europa centro-settentrionale

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aquisgrana ♦ lubecca vienna ♦ londra edimburgo ♦ dublino parigi ♦ avignone ♦ praga budapest ♦ stoccolma ♦ kiev

N°1 2014

Bimestrale - My Way Media Srl

capitali del medioevo parte I: europa centro-settentrionale

€ 6,90



capitali

a cura di Francesco

del medioevo

europa centro-settentrionale testi di Alessandro Barbero, Vito Bianchi, Patrick Boucheron, Fabio Brioschi, Franco Franceschi, Francesco Colotta, Minna Conti, Francesco Troisi

Presentazione

Francia

4 L’Europa delle città

78 Parigi Al centro del mondo

Germania e Austria 8 Aquisgrana La Roma di Carlo Magno 18 Lubecca La regina dell’Hansa 32 Vienna Sotto il segno dell’aquila Gran Bretagna 44 Londra Il potere sul Tamigi 58 Edimburgo L’orgoglio di Scozia 68 Dublino Il piú bel libro del Medioevo

92 Avignone L’altro Vaticano Boemia e Ungheria 104 Praga Un’Atene dell’Est 114 Budapest Tre perle sul Danubio Scandinavia e pianura russa 128 Stoccolma La città che sorse dalle acque 140 Kiev 400 chiese sulla via dei Variaghi

Colotta


capitali del medioevo

Presentazione

L’Europa delle città I

l fascino autentico di una città è spesso racchiuso nella sua atmosfera di perduto splendore. Borghi ora dimenticati ebbero un tempo il ruolo di potenze assolute e le stesse capitali moderne contavano quasi come imperi. In memoria di quell’egemonia «Medioevo» presenta una retrospettiva di luoghi in cui popolazioni, sovrani, papi, ordini militari e leghe commerciali stabilirono le proprie roccaforti, favorendo la sensibile crescita demografica dei relativi abitati. Siamo certi che sarà per molti una sorpresa scoprire quale fosse l’aspetto medievale, oltre che l’effettivo ruolo politico, di metropoli come Londra, Parigi, Vienna, Praga, Budapest, Kiev o delle «piccole» Aquisgrana, Avignone e Lubecca, investite anch’esse, in passato, dello status di capitali dell’Occidente. Si rivelerà, poi, sorprendente apprendere quanto abbiano inciso nel destino di grandi regni altre località meno note, come la francese Samoussy, la scozzese Perth, l’ungherese Esztergom, la svedese Uppsala e la russa Novgorod, solo per fare qualche esempio. Dedicato in questa prima parte all’Europa centro-settentrionale, il Dossier intende colmare una lacuna nella pubblicistica sul Medioevo: la carenza di compendi sulla storia delle città relativa all’arco di tempo che spazia dalla caduta dell’impero romano fino alla scoperta dell’America. Compito primario di un’indagine urbanistica è studiare l’evoluzione degli insediamenti umani: quale eredità aveva lasciato l’era antica nel panorama cittadino? I luoghi del vec-


chio potere riuscirono a conservare la loro egemonia? O vennero scalzati da centri di nuova fondazione? Sul versante nordico, in particolare nei territori non compresi nell’impero romano d’Occidente, si affermò una tendenza diversa rispetto al Meridione: le capitali dell’età classica furono progressivamente soppiantate dalla rapida ascesa di borghi emersi dall’anonimato. Talvolta, bastava la nomina a diocesi per assicurare a piccoli abitati un notevole peso politico-religioso, come spesso accadeva in Germania, in Scandinavia e in Russia. A partire dal XII secolo, soprattutto in Germania, si affermarono potenze municipali che amministravano per conto proprio la giustizia, la riscossione delle tasse, l’emissione monetaria, l’ordine pubblico e i traffici di merci. E in territorio tedesco nacquero anche le prime leghe commerciali tra città, che aspiravano non solo ad assumere il controllo totale dei mercati, ma anche a condizionare le politiche dei sovrani. In area germanica si profilò, quindi, quella netta cesura tra modello urbanistico antico e medievale che lo storico Henri Pirenne riteneva, probabilmente a torto, fosse avvenuta in tutta Europa sotto la spinta di esigenze commerciali: nel Nord del continente un certo numero di centri sorse in corrispondenza di un portus (ossia di un mercato) che si univa di solito a un vicino nucleo ben fornito di difese militari. A determinare la nascita e lo sviluppo di queste città, pertanto, era il potenziale capitalistico che dipendeva dalla vocazione «aperta» di un sito, ossia dalla facilità di accesso alle vie del commercio globale. Secondo il sociologo Max Weber i cittadini medievali erano «orientati al perseguimento di fini economici», mentre l’abitante dell’antichità «era in primo luogo soldato» e non pianificava attività speculative limitandosi a consumare beni. Tuttavia, come accennato, l’Età di Mezzo non fu ovunque sinonimo di mercantilismo. In Francia, per esempio, si assistette non di rado a una certa continuità con i valori e la struttura della polis, di frequente allargata ai territori rurali (come nel caso delle villes), e altrettanto accadde, almeno in parte, in Gran Bretagna. All’inizio del Cinquecento le dimensioni topografiche e demografiche dei grandi centri apparivano rilevanti, soprattutto in Francia e in Italia. Il piú popoloso risultava essere Parigi, con oltre 200 000 abitanti, mentre nel Sud del continente Milano, Venezia e Napoli superavano la soglia dei 100 000 residenti. Lione, Praga e Londra, invece, ne contavano rispettivamente 80 000, 70 000 e 60 000. Numeri inferiori facevano registrare la Germania e i Paesi scandinavi le cui città-mercato avevano un ruolo egemone, ma non raggiunsero mai cifre da primato in termini demografici. I principali centri e le capitali del Medioevo con il loro articolato microcosmo amministrativo fornirono le fondamenta socio-giuridiche agli Stati nazionali e, non a caso, questi ultimi, irrompendo sulla ribalta della storia, segnarono il declino dei governi comunali. Come in un simbolico passaggio di testimone. Una veduta di Lubecca (Germania), uno dei centri piú importanti dell’unione commerciale tra varie città rivierasche del Mare del Nord e del Baltico nota come Lega anseatica (vedi l’articolo alle pp. 18-31).


Stralsund Rostock Wismar

Lubecca

Amburgo Luneburgo

Brema

Pila

POLONIA

Berlino

germania e austria

Koszalin

PAESI Münster Hildesheim BASSI

Goslar

Poznan

Magdeburgo

Paderborn

Aquisgrana

BELGIO

Colonia Bonn

Magonza

Treviri

Erfurt

Wroclaw

GERMANIA

Francoforte

Praga

Bamberga REPUBBLICA CECA Worms Heidelberg Norimberga Brno Ratisbona Stoccarda Krems Tubinga Augusta Linz

FRANCIA Nancy Friburgo

Monaco di Baviera

Basilea

Vienna

Salisburgo

AUSTRIA

SVIZZERA

Graz Maribor

ITALIA

N

Dresda

SLOVENIA

el periodo della colonizzazione romana, alcune città rivestivano un ruolo politico di primo piano nelle regioni dell’odierna Germania: Treviri (Augusta Treverorum), la piú antica; Augusta (Augusta Vindelicum); POLONIA Bonn (Bonna); Colonia (Colonia Agrippina), che, con l’avvento dei Franchi, Poznan divenne una vera e propria capitale. Con l’ascesa di Carlo Magno, nell’VIII secolo, i confini del regno arrivarono a comprendere anche alcune zone dell’Italia del Nord, oltre alla Francia. Divenuto imperatore, Carlo elesse come sua roccaforte Aquisgrana. La Germania, come entità geografica simile a quella che conosciamo oggi, cominciò a costituirsi all’indomani della divisione dell’impero carolingio: le regioni tedesche si trovarono inglobate nel Erfurt Regno dei Franchi orientali, il cui principale centro politico, dopo il trattato di Verdun (843), era Francoforte. Lo stretto legame con la Chiesa cattolica saldato da Carlo Magno garantí prestigio e potere a numerose città nominate sedi vescovili: Magonza, Brema, Münster, Paderborn e Hildesheim. A partire dal X secolo si aprí l’epoca dei ducati (Sassonia, Franconia, Baviera, Svevia e Lotaringia), al cui interno città come Ratisbona e Bamberga conquistarono un maggiore spazio politico rispetto alle altre; ma era la Sassonia a fare la parte del leone, grazie al duca Ottone I, il quale stabilí la sua residenza a Magdeburgo. Ottone restaurò il modello amministrativo dell’impero carolingio, assicurando ai suoi successori un lungo periodo di predominio sul territorio tedesco. Durante il regno di Enrico III il Nero, nell’XI secolo, il restaurato impero germanico sottomise la Chiesa e stabilí una delle sue sedi a Goslar, nella Bassa Sassonia. Ma il predominio sui papi fu di breve durata e si interruppe nell’epoca di Enrico IV, costretto, nel 1075, a umiliarsi a Canossa al cospetto di Gregorio VII. Nel 1122, poi, monarchi e pontefici raggiunsero un accordo sulla questione della nomina dei vescovi e lo sottoscrissero nella città di Worms, l’antica capitale della tribú germanica dei Burgundi, divenuta un’importante sede vescovile. L’epoca dei Comuni, nel XII secolo, vide il proliferare di potenti città che si costituirono in lega commerciale, l’Hansa. Lubecca ne divenne la guida e al suo fianco si affermarono le ricche Amburgo, Rostock, Luneburgo, Wismar e Stralsund. Sebbene funestata dalla guerra


civile tra Welfen (Guelfi) e Waiblingen (Ghibellini), la Germania si impose come la piú grande potenza mercantile europea, dominando sui mari del Nord per tutto il Medioevo. Con l’avvento di Federico Barbarossa l’asse politico tedesco, sempre piú sotto il segno dell’impero, si spostò verso il Meridione del continente trascurando i problemi interni. E proprio durante il regno di Federico, nel 1156, l’Austria conquistò una certa autonomia come ducato separato. Le sue città principali, Vienna e Salisburgo, erano state insediamenti già in epoca romana con il nome di Vindobona e Juvavum. Successivamente aumentarono di spessore politico anche Linz, Krems e Graz. In una Germania sempre piú frazionata, alcune municipalità acquisirono una certa influenza, ottenendo lo status di città libere, Norimberga su tutte. Altre emersero come poli della cultura grazie al livello delle loro università: Heidelberg, Erfurt, Friburgo e Tubinga, insieme alle piú rinomate Monaco e Colonia.

In alto veduta di Heidelberg (Germania). La città, di origine celtico-romana, fiorí nel Medioevo divenendo un importante polo culturale. La sua università, fondata nel 1386, è la piú antica della Germania e in età contemporanea ebbe tra i docenti i filosofi Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Karl Jaspers e Jürgen Habermas. A sinistra Vienna (Austria). Chiesa gotica di Maria am Gestade (XIV sec.). Il celebre Hornberger Votivbild, olio su tela del 1462.

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Aquisgrana (Germania). La splendida cattedrale di S. Maria costruita nell’VIII sec. per volere di Carlo Magno, che ne fece uno dei simboli del suo impero. Fin dall’Alto Medioevo venne utilizzata come sede della cerimonia di incoronazione dei re tedeschi. Il nucleo piú antico dell’edificio, la rinomata Cappella Palatina, conserva ancora in buona parte la fisionomia originaria.

La Roma di di Alessandro Barbero

Carlo Magno


Di Aquisgrana, il grande sovrano cominciò ad apprezzare i benefici ricavati dalla frequentazione delle sue terme. Ma presto maturò in lui la decisione di eleggerla a residenza imperiale, dando cosí l’avvio a una vera e propria rifondazione che dotò la città di edifici grandiosi


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Aquisgrana

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i è soliti affermare che Aquisgrana (in tedesco: Aachen) fu la capitale dell’impero di Carlo Magno; ma non tutti sono d’accordo che sia proprio cosí. Una capitale, infatti, è il luogo in cui risiede un’amministrazione stabile, con i suoi uffici, il suo personale e i suoi archivi, che rimangono sul posto anche quando il sovrano si allontana. Nell’impero carolingio non esisteva niente di tutto questo, perché il re conduceva un’esistenza vagabonda, e tutto il personale di governo si spostava con lui. Perciò la presenza fisica del sovrano era sufficiente per trasformare qualunque luogo, foss’anche un accampamento militare, nel centro decisionale dell’impero. Al ritorno dalle campagne militari estive e dalle cacce autunnali, Carlo Magno, per svernare e trascorrere le festività religiose, sceglieva uno qualunque dei suoi palazzi, Quierzy o Herstal, Worms o Thionville, che, fino alla primavera successiva, si trasformava nella capitale provvisoria dell’impero. È vero, però, che, a partire dal 794, il re cominciò a trattenersi di preferenza ad Aquisgrana, antica sede termale romana, dove già da qualche anno aveva intrapreso la costruzione d’un imponente palazzo. La nuova sede distava appena una giornata di viaggio da un’altra residenza favorita, Herstal, e non venne dunque scelta per ragioni geopolitiche, ma soltanto per l’attrazione delle acque, eccellenti per un uomo che invecchiava e doveva curare l’artrosi. Grazie, dunque, a quelle acque da cui prende il nome (vedi box a p. 14), Aquisgrana divenne il luogo in cui sempre piú spesso si era sicuri di trovare l’imperatore. L’età avanzata del sovrano, che aveva sempre meno voglia di muoversi, fece il resto: dopo l’807 non lo vediamo piú lasciare Aquisgrana, né d’inverno, né d’estate, eccezion fatta per le irrinunciabili cacce nell’attigua foresta delle Ardenne. E proprio la vicinanza della foresta, da cui Aquisgrana era circondata, contribuí alla scelta di Carlo Magno, benché il luogo fosse piuttosto isolato e lontano dalle grandi vie di comunicazione.

Una Versailles del Medioevo

Aquisgrana, insomma, è una residenza imperiale, piú che una capitale amministrativa: possiamo paragonarla a Versailles, piuttosto che a Parigi. E, del resto, non era nemmeno una città, nel senso tecnico del termine, perché non era sede di un vescovo; né Carlo Magno si preoccupò mai di rimediare, come avrebbe potuto fare con la massima facilità. A differenza della maggior parte delle città medievali, il cui cuore è la cattedrale, Aquisgrana era dunque organizzata intorno al palazzo. Questo si componeva, in realtà, di un insieme di edifici, di cui gli archeologi hanno ritrovato le 10

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una magnifica eccezione La sostanziale povertà dell’architettura carolingia, che usava il legno come principale materiale da costruzione, fa sí che non sia giunto fino a noi assolutamente nulla dell’edilizia abitativa, nemmeno d’un complesso imponente come il palazzo di Aquisgrana. I maggiori edifici ecclesiastici, per cui si impiegavano piú volentieri la pietra e il mattone, avevano maggiori probabilità di durata, ma nel corso dei secoli il cambiamento del gusto e la crescente disponibilità di risorse economiche hanno fatto sí che fossero quasi sempre rifatti da capo a piedi. Aquisgrana, per fortuna, rappresenta una parziale eccezione, giacché qui è tuttora visibile la testimonianza piú importante dell’architettura carolingia, la Cappella Palatina. L’interno voluto da

Carlo Magno è ancora in gran parte riconoscibile, nonostante il restauro compiuto già in età ottoniana, e i successivi rimaneggiamenti di età gotica. Le colonne e i capitelli saccheggiati in Italia sono ancora lí, come pure le balaustre di bronzo che racchiudono il trono di candido marmo. L’alterazione piú vistosa è data dall’ambientazione complessiva dell’edificio, che in origine era inserito nel complesso del palazzo imperiale, e si apriva su un cortile capace, a quanto si dice, di contenere 8000 persone. Ora, invece, l’aggiunta della torre campanaria, di numerose cappelle e del grandioso coro gotico hanno trasformato la Cappella nella cattedrale di Aquisgrana, ed è necessario uno sforzo d’immaginazione per rappresentarsela nelle sue condizioni originarie.


In alto la volta della Cappella Palatina con il mosaico raffigurante Cristo che appare ai vegliardi dell’Apocalisse. Le opere oggi visibili sono frutto di un rifacimento del XIX sec. A sinistra un particolare dei mosaici della Cappella Palatina, oggetto di un intervento di restauro protrattosi per oltre vent’anni e ultimato nel 2011.

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Aquisgrana

il palazzo imperiale di aquisgrana Le case per i familiari e i notabili Una serie di edifici minori,

in legno e traliccio, riempivano gli spazi intorno al palazzo. Si trattava di scuole palatine, case per i familiari del sovrano, per i notabili di corte e per gli artigiani.

la galleria per la guarnigione

Una galleria a due piani, lunga circa 120 m, univa la Cappella Palatina all’Aula Regia. Nella galleria era forse ospitata la guarnigione del posto di guardia. Esattamente alla sua metà , e disposto ortogonalmente rispetto a essa, si ergeva un edificio a due piani, dove si ipotizza venisse esercitata la magistratura.

A sinistra spaccato della Cappella Palatina, la costruzione piĂş grande e artisticamente rilevante del periodo carolingio. Ăˆ un edificio molto complesso, formato da un nucleo centrale ottagonale, illuminato da otto 12

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finestre poste al di sotto delle imposte della volta. Le pareti sono perforate da archi a tutto sesto, i quali immettono in una galleria anulare che circonda il perimetro ottagonale formando un poligono a sedici facce.


le terme

residenza prediletta

La Cappella Palatina è l’unico edificio superstite del complesso palaziale edificato intorno all’800, quale residenza prediletta, da Carlo Magno. Dalla sua struttura centrale si dipartono due ambienti molto ampi. All’interno di uno di questi, e piú precisamente nel matroneo, di fronte all’altare, si trovava il trono dell’imperatore, di fattura molto semplice, in lastre di marmo.

fondamenta e ricostruito la pianta, benché non resti quasi piú nulla di visibile. A nord del complesso sorgeva la residenza imperiale vera e propria, protetta da un torrione; secondo l’abitudine germanica, essa si sviluppava intorno a una grande sala, in cui Carlo poteva ricevere e banchettare. A sud sorgeva la Cappella Palatina, consacrata alla Vergine, e dove i chierici di corte celebravano ogni giorno il servizio divino

A breve distanza dal nucleo centrale del complesso, sul lato est, sono emerse le strutture delle terme, alle quali Aquisgrana deve il privilegio di essere stata la residenza preferita di Carlo Magno.

alla presenza dell’imperatore. Il collegamento fra i due edifici era assicurato da un portico ligneo, in cui, nell’801, fu eretta una statua bronzea di Teodorico, asportata da Ravenna. A est, le terme e i servizi, comprese le abitazioni dei domestici, degli artigiani, dei mercanti che servivano il palazzo; tutt’intorno si affollavano le residenze private dei nobili e dei prelati. (segue a p. 16) capitali del medioevo

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Aquisgrana

da capitale a meta di pellegrinaggio

A

quisgrana non fu solo Carlo Magno. Già prima della dominazione romana (I secolo d.C), la città aveva vissuto i suoi primi capitoli di storia, quando il territorio era frequentato da popolazioni celtiche, habituées delle terme che sorgevano in quel sito. Con l’arrivo delle legioni di Roma sorse un castrum, Aquae Grani, il cui nome traeva origine dalle locali sorgenti sulfuree e dal dio dei Celti, Granno, protettore della salute. Le acque, sgorgando a una temperatura compresa tra i 40 e i 75 gradi, costituivano le fonti piú calde di tutta l’area continentale compresa a nord delle Alpi. E presto intorno a esse sorse un impianto termale (Büchelthermae), fornito di grandi bacini e di numerose vasche singole. Un altro stabilimento (Münsterthermae) trovò spazio, poi, nel luogo in cui nel Medioevo sorse la carolingia Cappella Palatina. La città prese, quindi, lentamente forma intorno alle sue sorgenti di acqua calda, estendendosi in particolare verso sud, nella zona detta Varnenum (oggi Kornelimünster), dove abbondavano i templi. Nel V secolo giunsero nel territorio i Franchi, i quali, con l’ascesa di Carlo Magno, stabilirono in quell’antico insediamento romano la «residenza» del loro impero. La capitale conservò il suo ruolo regale, sebbene

Particolare di uno dei mosaici della Cappella Palatina raffigurante Carlo Magno con il modellino della Cappella medesima.

non investito di ufficialità, anche dopo la morte del grande monarca e lo mantenne fino a Rinascimento inoltrato. Dal X secolo, infatti, la cattedrale concepita da Carlo ospitò la cerimonia di incoronazione di ben 37 imperatori, primo fra tutti Ottone I. Nel XII secolo, Aquisgrana, su disposizione di Federico I Barbarossa, ottenne lo status di città libera e poté battere moneta, divenendo una delle roccaforti del Sacro Romano Impero. Nonostante le sue poderose mura difensive (Barbarossa-Mauer), però, nel 1248, fu espugnata da Guglielmo II d’Olanda, eletto re dei Germani dal partito guelfo. Col tempo la città perse il suo peso politico, ma acquisí una crescente autorevolezza simbolica per la presenza, nella cattedrale, delle spoglie di Carlo Magno. E si affermò come una delle mete piú frequentate dai pellegrini, che accorrevano per rendere omaggio a reliquie come il lenzuolo della decapitazione di san Giovanni, le fasce di Cristo neonato e un abito di Maria. La fine del Medioevo accompagnò il declino della vecchia capitale carolingia, teatro di ripetuti scontri tra cattolici e sostenitori della Riforma. Il nome di Aquisgrana tornò in auge soltanto nel XVII e nel XVIII secolo, ma solo perché vi vennero firmati importanti trattati. Nel 1668 il re di Francia Luigi XIV vi siglò un accordo con i nemici, inglesi, svedesi e olandesi, con il quale si concluse la guerra di devoluzione per la conquista delle Fiandre. Nel 1748 nella città fu ratificato un altro trattato che pose termine alla guerra di successione austriaca alla quale avevano preso parte molti Stati europei. In epoca contemporanea Aquisgrana ebbe un destino molto tormentato e all’insegna di frequenti cambi di bandiera: alla fine del XVIII secolo passò sotto il dominio dei Francesi e poi dei Prussiani, mentre la zona ovest, con l’epilogo della prima guerra mondiale, finí nelle mani del regno del Belgio. Nel 1945, infine, fu amministrata per un periodo dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra e, ancora una volta, dal Belgio. I bombardamenti subiti nella seconda guerra mondiale danneggiarono gravemente il suo patrimonio architettonico non cancellandone, tuttavia, l’autentica anima medievale che ancora sopravvive nell’odierna struttura urbanistica.

le date da ricordare I sec. d.C. I Romani fondano Aquae Grani, che prende il nome dalle vicine sorgenti termali. 794 Aquisgrana diviene la residenza preferita del re.

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814 Carlo Magno muore ad Aquisgrana ed è sepolto nella Cappella Palatina.

843 Lotario I, nipote di Carlo Magno, mantiene la capitale dell’impero ad Aquisgrana.


Pianta a volo d’uccello di Aquisgrana disegnata per il Civitates orbis terrarum (1572-1616), raccolta di

936 Inaugurando una tradizione, Ottone I è incoronato re di Germania ad Aquisgrana.

1165 Carlo Magno è canonizzato, e Aquisgrana diviene meta di pellegrinaggio.

1002 Ottone III, imperatore del Sacro Romano Impero, muore in Italia, ma è sepolto ad Aquisgrana.

mappe delle città di tutto il mondo curata dai geografi tedeschi Franz Hogenberg e Georg Braun.

1171 I cittadini di Aquisgrana pagano per l’edificazione delle mura della città.

1168 L’imperatore Federico Barbarossa fa collocare il lampadario di bronzo della cattedrale.

1250 Aquisgrana diviene una libera città dell’impero.

1215 Le spoglie di Carlo Magno sono poste in una teca d’oro.

1531 Ferdinando I è l’ultimo re di Germania incoronato ad Aquisgrana. 1330 Comincia la costruzione del Rathaus (municipio) sulle rovine del palazzo di Carlo Magno.

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Aquisgrana

La costruzione del palazzo, personalmente voluta e diretta da Carlo, fu anche un atto politico, carico di connotazioni simboliche. Gli architetti avevano istruzioni precise: Aquisgrana doveva entrare in concorrenza con Roma e Costantinopoli, con Ravenna e Gerusalemme. Il re dei Franchi dichiarava la sua intenzione di emulare gli antichi imperatori romani e i re d’Israele, i re goti d’Italia, i moderni sovrani bizantini e anche i papi, edificando un complesso residenziale in grado di rivaleggiare con il palazzo imperiale di Bisanzio e con la sede papale del Laterano.

Tra Bisanzio e Ravenna

La carica simbolica era concentrata soprattutto nella Cappella, di forma ottagonale, e dominata dal mosaico del Cristo Pantocratore. Sotto il mosaico era installato il trono del sovrano, in una posizione elevata che faceva di lui, agli occhi di tutti, il mediatore fra Dio e la comunità dei fedeli. Nel commissionare l’edificio, Carlo Magno s’ispirò forse al battistero del Laterano in Roma; ma l’ispirazione piú importante, e politicamente piú significativa, veniva dal cosiddetto Triclinio Aureo, al tempo stesso chiesa e sala del trono, eretto al centro del palazzo imperiale di Bisanzio. Carlo non A sinistra busto di Carlo Magno realizzato in oro e argento che contiene alcune reliquie dell’imperatore, tra cui la calotta cranica. XIV sec. Aquisgrana, Tesoro della Cattedrale. A destra il trono dell’imperatore, collocato nel matroneo della grande chiesa.

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In alto, a sinistra il coro della cattedrale di Aquisgrana con la pala dell’altare maggiore (XI sec.) composta da pannelli di lamina d’oro nella quale sono rappresentati in rilievo alcuni episodi della Passione di Cristo. Sullo sfondo, i finestroni delle vetrate policrome, i secondi piú alti d’Europa dopo quelli della cattedrale di Metz. In alto, a destra il Marienschrein, reliquiario in argento posto alle spalle dell’altare maggiore che contiene il pannolino e il perizoma di Gesú, il sudario di san Giovanni Battista e un abito della Vergine Maria. XIII sec.

era mai stato laggiú, benché s’informasse avidamente dai suoi ambasciatori; ma si sapeva che il Triclinio Aureo assomigliava alla chiesa di S. Vitale a Ravenna, e un architetto mandato a studiare quest’ultimo edificio tornò ad Aquisgrana con piani e misure sufficienti per costruirne uno simile. Naturalmente, non bisogna esagerare nell’attribuire all’imitazione dei modelli romani o bizantini un preciso intento programmatico. La statua bronzea di Teodorico eretta nel portico del palazzo può essere stata messa lí per far concorrenza alla celebre statua equestre di Marco Aurelio, che allora non stava, come oggi, in Campidoglio, bensí nel palazzo papale del Laterano, ed era creduta un ritratto di Costantino. Ma non si può nemmeno escludere che il possesso di quel capolavoro dell’arte antica fosse considerato in sé appropriato alla magnificenza d’un grande sovrano, senza alcuna implicazione programmatica; un po’ come l’elefante che arrivò l’anno dopo, mandato in regalo dal califfo di Baghdad, e che Carlo portò ovunque con sé, finché il bestione non morí nell’810. In altri casi, piú che d’imitazione si trattava semplicemente del desiderio di reimpiegare materiali antichi, la cui qualità non era piú raggiungibile dagli artigiani contemporanei: Eginardo scrive che Carlo, non potendo procurarsi

altrove le colonne e i marmi necessari alla costruzione, li fece venire da Roma e da Ravenna. Infine, non bisogna dimenticare che, rispetto all’epoca di Carlo Magno, quasi tutto quello che ancor oggi vediamo ad Aquisgrana è stato rimaneggiato: a lungo, per esempio, si è creduto che il trono imperiale fosse stato costruito a imitazione del trono di Salomone, cosí com’è descritto nella Bibbia, finché la scoperta di alcuni disegni non ha dimostrato che era stato rimodellato in quella forma nel XIX secolo! E tuttavia, è pur vero che un poeta di corte parla di Aquisgrana come d’una «nuova Roma», e che uno degli edifici del palazzo era soprannominato «il Laterano», mentre Alcuino paragona la Cappella Palatina al Tempio di Salomone, e Aquisgrana a una nuova Gerusalemme: la storia romana e l’Antico Testamento convergevano a designare nel re dei Franchi l’uomo della Provvidenza, caricando la sua residenza favorita di un’altissima portata simbolica.

Dove e quando cattedrale e cappella palatina Orario aprile-dicembre: tutti i giorni, 7,00-19,00; gennaio-marzo: tutti i giorni, 7,00-18,00 Info www.germany.travel/it; www.aachendom.de (solo in lingua tedesca)

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La regina dell’Hansa di Francesco Colotta

Nata in un rapido succedersi di fondazioni, distruzioni e ricostruzioni, Lubecca divenne il piú importante centro della Lega anseatica. Un ruolo che le consentí di affermarsi come una delle capitali indiscusse dell’economia medievale

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Lubecca (Germania). Scorcio della città vecchia lungo la pittoresca an der Obertrave, strada turistica che costeggia il canale. Dietro l’ordinata schiera di palazzi, alcuni con i tipici frontoni a gradoni in stile baltico, si stagliano i profili delle chiese medievali di S. Maria e di S. Pietro.

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Lubecca

«B “

ancarotta”… era una cosa piú atroce della morte, era disordine, crollo, rovina, vergogna, scandalo, disperazione e miseria»: da una delle pagine del romanzo simbolo di Lubecca, I Buddenbrook (1901), traspare con inquietante evidenza quanto il commercio fosse vitale per gli abitanti del capoluogo anseatico. L’epopea familiare raccontata da Thomas Mann fornisce un ritratto fedele della città che, fin dal Medioevo, aveva assunto il ruolo di capitale economica della Germania e dell’intera area del Baltico: un exploit prodigioso, favorito dai successi dell’Hansa, la lega delle potenze mercantili nordeuropee capeggiata a lungo proprio dall’opulenta Lubecca. Nel VII secolo il territorio della città era occupato da tribú di stirpe slava. Avevano la medesima origine gli Obodriti, che, nel X secolo, fondarono Liubice, eleggendola loro capitale insieme alla vicina Starigrad (l’odierna Oldenburg, in Holstein). La Lubecca slava, sorta circa 4 km a nord dell’odierno centro storico, alla confluenza tra i fiumi Trave e Schwartau, fu piú tardi

A favorire la crescita di Lubecca contribuí in maniera decisiva l’Artlenburger Privileg, un trattato commerciale stipulato nel 1161

Bergen Novgorod

Visby

Danzica

Lubecca Brema

Amburgo

Braunshweig

Londra Bruges

Colonia

Magdeburgo Breslavia Cracovia

Principali città anseatiche Filiali Principali rotte commerciali marittime

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A sinistra un’immagine di Lubecca, cosí come doveva presentarsi alla fine del Medioevo, nella riproduzione di una delle tavole del Liber Chronicarum, opera pubblicata nel 1493 a Norimberga, nella quale erano riuniti i profili di molte capitali dell’Occidente.

distrutta dai Rami, un’altra popolazione slava. Nel 1143 cominciò la vera e propria storia di Lubecca, risorta dalle ceneri in un’area diversa, nel luogo in cui scorreva un affluente del fiume Trave, il Wakenitz. Ben presto l’ideale posizione strategica del nuovo insediamento urbano, concepito da Adolfo II conte di Schauenburg e Holstein, stimolò gli appetiti di altri nobili germanici, in particolare del duca di Sassonia Enrico il Leone, che decise di fondare una cittadina mercato nelle immediate vicinanze, a sudest, chiamandola Löwenstadt, («città del leone»). La concorrenza tra i due signori non generò un conflitto distruttivo, ma un accordo che diede luogo all’ennesima ricostruzione di un borgo sul canale Wakenitz, nel 1159, nello stesso sito già scelto da Adolfo.

Nella pagina accanto le rotte commerciali delle maggiori città appartenenti all’Hansa nel XIV sec. In basso uno degli atti ufficiali promulgati dall’Hansa, la lega commerciale nordeuropea della quale Lubecca fu la guida politica. Si notano i sigilli delle numerose città affiliate. XV sec. Lubecca, Archiv der Hansestadt Lübeck.

cessivi, controllò l’intero traffico di merci del Nord Europa. La capitale baltica, inoltre, beneficiò di una serie di provvedimenti sottoscritti dai monarchi del Sacro Romano Impero: nel 1188 acquisí altri importanti privilegi in ambito mercantile e in seguito lo status di «libera città» (Freie Reichsstadt), titolo che mantenne fino al 1937. All’inizio del XIII secolo Lubecca cadde nelle mani dei Danesi e restò sotto il loro dominio per diversi anni fino al 22 luglio del 1227. Quel giorno, nella vicina Bornhöved, un esercito di Tedeschi prevalse sulle armate degli oppressori scandinavi, ricacciandoli sulla sponda opposta del Baltico. Dopo quella vittoria l’economia lu-

La città del leone

Appena trent’anni dopo Lubecca si rese protagonista di una rapidissima espansione commerciale, soprattutto verso est, sfruttando l’Artlenburger Privileg, un trattato del 1161 che consentiva ai mercanti dell’isola svedese di Gotland di transitare liberamente sulle coste della Germania settentrionale, con diritto di reciprocità per i Tedeschi. Attraverso quell’avamposto sul Baltico i Lubecchesi penetrarono nei mercati orientali fino a giungere alla lontana e prospera Novgorod, nella pianura russa. Erano i prodromi della costituzione ufficiale dell’Hansa, l’organizzazione commerciale, che, negli anni succapitali del medioevo

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Lubecca

becchese riprese a marciare a ritmi vertiginosi potendo contare anche sull’accresciuto potere politico dei commercianti locali che amministravano in prima persona il Comune attraverso un consiglio di 20 membri (Ratsherrn). Alcune disposizioni imperiali (il cosiddetto Lübische Recht) rendevano possibile questa forma di autonomia nel segno degli affari: i governanti erano eletti direttamente dalle gilde dei mercanti e restavano in carica a lungo, spesso a vita, assicurando un’efficiente continuità di gestione delle strategie politico-commerciali. I 20 membri, a loro volta, nominavano quattro borgomastri, selezionati in genere tra le personalità di maggior spicco. La crescita economica andava di pari passo con lo sviluppo urbanistico certificato dalla costruzione della grandiosa chiesa di S. Maria nel 1250, la Marienkirche, e dal proliferare dei magazzini dei mercanti a ridosso del canale.

lubecca e il suo contado alla fine del Xv secolo gli acquitrini bonificati Le zone acquitrinose intorno all’abitato vennero in parte bonificate, in parte sfruttate come canali minori e, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo, trasformate in fossati a protezione dei bastioni.

Da Visby a Lubecca

L’Hansa si era di fatto già costituita sotto il controllo delle egemoni Lubecca, Brema, Amburgo, Rostock e Visby, ma ottenne l’imprimatur ufficiale solo nel 1256. Altre città situate al di fuori della Germania e affiliate alla Lega risultavano, in realtà, colonie dei mercanti tedeschi, come, per esempio, Tallinn, Riga e Visby. Anche la neonata Stoccolma, sebbene non fosse iscritta alla grande alleanza, gravitava nell’orbita di Lubecca come una sorta di satellite. Uno dei segreti della fortuna commerciale della Lega Anseatica furono le imbarcazioni per il trasporto delle merci, le cosiddette «cocche»: di forma circolare, avevano una stazza che poteva raggiungere le 200 t e vele di forma quadrata piú ampie che permettevano navigazioni lunghe e sicure. Solcavano in lungo e in largo il Baltico, che rappresentava uno snodo cruciale per i traffici provenienti da ben quattro diversi emisferi: da oriente giungevano soprattutto cera e pellicce, da occidente lana e sale, da nord aringhe, minerali e merluzzi, da sud, infine, il vino.

quasi una metropoli

Con una popolazione di oltre 20 000 abitanti, Lubecca, insieme a Colonia, era la città piú grande della Germania.

le date da ricordare X sec. Gli Obodriti, di origine slava, fondano Liubice, circa 4 km a nord dall’odierno centro storico.

1188 Lubecca, già parte dell’accordo di mutuo soccorso siglato a Visby da diverse città tedesche, ottiene lo status di «città libera» nell’ambito del Sacro Romano Impero.

1158 Enrico il Leone duca di Sassonia fonda il borgo di Löwenstadt, sul canale Wakenitz.

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1256 L’Hansa, l’unione commerciale dei mercanti tedeschi, già costituita tra Lubecca, Brema, Amburgo, Rostock e con capitale Visby, ottiene il riconoscimento ufficiale.

1250 Edificazione della chiesa di S. Maria, la piú nota e imponente della città, e della parte piú antica del Lübecker Rathaus (municipio).

1361 Lubecca è capitale dell’Hansa.

1276 Fondazione dell’ospedale di Santo Spirito, rimasto in funzione fino agli anni Sessanta del XX sec.

1380 Rivolta popolare detta «dei macellai».


magazzini e cantieri

Sul canale si trovavano i magazzini dei mercanti, le rimesse dei pescatori e i cantieri navali. In questi ultimi alla fine del XV secolo si costruivano le grosse Kraecks o caracche (navi di alto bordo con due castelli atte al trasporto mercantile).

1397 L’Unione di Kalmar tra gli Stati scandinavi indebolisce la città, già provata da crisi interne.

1429 Il re Eric di Pomerania impone una tassa a carico delle imbarcazioni che attraversano il braccio di mare tra Danimarca e Svezia. Conflitto con i Danesi.

XV sec. Costruzione dell’Holstentor, la porta di Lubecca, simbolo del prestigio della città.

1474 Pace di Utrecht con gli Inglesi, con parziale recupero dei privilegi e dei monopoli commerciali sul Mare del Nord.

1441 In seguito allo scontro con le città olandesi, il trattato di Copenaghen sancisce la sconfitta di Lubecca e dei suoi alleati.

posizione strategica

Lo sviluppo della città è dovuto alla sua posizione strategica sul Mar Baltico, a 20 km dalla foce del fiume Trave, di cui sfruttava un’ansa come canale. Il trasporto fluviale era piú veloce di quello terrestre.

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l’holstentor

Lubecca

Emblema di Lubecca è l’Holstentor, la magnifica porta d’accesso, che testimonia la ricchezza e il prestigio che la città rivestiva nel Medioevo. Concepita dal mastro Heinrich Helmsted, risale al Quattrocento e rappresenta uno dei monumenti tardo-gotici piú suggestivi della Germania. Sopra il portale d’ingresso è inciso il motto in latino «Concordia domi foris pax» («Unità dentro, pace fuori»), una sorta di comandamento per una capitale che viveva di commerci e non amava le guerre. Sulla facciata interna del monumento si legge, invece, la curiosa sigla SPQL, che, sulla falsariga del piú celebre motto romano, indicherebbe la formula «Senatus Populusque Lubecensis». La porta è composta da un maestoso edificio centrale a quattro piani, affiancato da due torri circolari, edificato con i tipici mattoni rossi che si ritrovano in molte città di origine medievale dell’area baltica. A metà del XIX secolo il monumento rischiò di essere abbattuto. Al suo posto doveva sorgere la stazione ferroviaria ma il progetto, fortunatamente, venne abbandonato. A Lubecca esiste un’altra porta di accesso, la Burgtor, anch’essa costruita nel Quattrocento, ma con sezioni ancora piú antiche.

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i magazzini del sale

Una delle testimonianze dell’antico splendore commerciale di Lubecca sono i Magazzini del sale (Salzspeicher), che si trovano accanto all’Holstentor, lungo il fiume Trave. Gli edifici piú antichi risalgono al Cinquecento, ma riecheggiano lo stile architettonico baltico a frontoni.

Nella pagina accanto, in alto una veduta della Holstentor, la gotica porta quattrocentesca, simbolo dell’antica potenza di Lubecca capitale dell’Hansa. Nella pagina accanto, in basso un particolare dell’edificio centrale in mattoni rossi della porta, che reca la scritta «unità dentro, pace fuori».

I sei palazzi storici dei Magazzini lubecchesi del sale (Salzspeicher), costruiti tra il Cinquecento e il Settecento lungo il canale Trave. Rifornivano soprattutto il mercato scandinavo e oggi sono Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO.

La prima capitale dell’Hansa fu Visby, che nel 1361 fu però costretta ad abdicare dopo essere stata invasa dalle truppe danesi di re Valdemaro IV Atterdag. Alla guida della Lega, pertanto, subentrò Lubecca che aveva ulteriormente consolidato la propria posizione sul Baltico acquisendo la zona costiera di Travemünde, dalla quale si poteva subito accedere al mare aperto. Nel 1370 annesse al proprio territorio anche la signoria di Bergedorf (nei pressi di Amburgo), parte del Sachsenwald e Geestacht (entrambe nella zona meridionale dello Schleswig-Holstein).

La decapitazione del borgomastro

La nuova leader dell’Hansa impose una linea di governo molto aggressiva all’alleanza ricorrendo subito a un’opzione militare: la guerra ai Danesi nel tentativo di arginare il loro espansionismo nel Nord Europa. Nel 1362 una flotta armata della Lega Anseatica si spinse fino a Helsingborg (oggi in Svezia), dove il sovrano Valdemaro risiedeva, ma venne respinta con perdite. L’assalto fallí anche per gli errori tattici del comandante della spedizione, il borgomastro di Lubecca Johann Wittenborg che aveva utilizzato troppi uomini per uno sterile attacco via-terra. Tornato nella sua città, lo sconfitto fu sottoposto a processo per le cattive scelte strategiche e, riconosciuto colpevole, venne messo a morte per decapitazione. Bruno von Warendorp, un altro borgomastro lubecchese, ebbe

maggiore fortuna nella guerra contro i Danesi nel 1369: anch’egli attaccò Helsingborg, riuscendo a prevalere, ma non sopravvisse all’impresa. La sua affermazione consentí, comunque, alla Lega di imporre al nemico il versamento nelle casse dell’alleanza di ben il 15% di tutti i profitti commerciali, secondo quanto disposto dal trattato di Stralsund del 1370. Lubecca incise in modo significativo sulla storia della Germania medievale anche in ambito finanziario. La valuta della città, il Courantmark, serví da modello per il varo del Wendischer Münzverein, un sistema di unità monetaria al quale aderirono vari centri tedeschi dell’Hansa e che restò in vigore fino al XVI secolo. Il Courantmark continuò a circolare per molti anni e scomparve solo alla fine dell’Ottocento, con l’avvento del Goldmark, la moneta unica dell’impero. La città, sempre proiettata verso le relazioni con altri regni, dovette fronteggiare gravi problemi interni nel 1380 a causa di un sommovimento popolare che prese il nome di «rivolta dei macellai» (Knochenhaueraufstand) perché si riteneva fosse guidata da alcuni venditori di carne. In verità il leader della protesta, Hinrik Paternostermaker, era un uomo d’affari con problemi di liquidità che aveva solo buoni rapporti con la corporazione dei macellai, una delle categorie piú insoddisfatte della linea d’azione del consiglio comunale. Gli insorti capitali del medioevo

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Lubecca

Il porto di lubecca nella seconda metà del xiv secolo legno e mattoni

Nella maggior parte delle case, strutture portanti in legno formavano intelaiature nelle quali si inserivano muri in mattoni.

movimentare le merci

Per sollevare le merci si usavano sia semplici carrucole sia argani piú complessi, a ruota avvolgente, posizionati all’esterno o all’interno delle costruzioni.

alla maniera vichinga

Ancora nel XIV secolo, le imbarcazioni piú piccole mantenevano la struttura dello Knörr vichingo.

volevano contare di piú nelle decisioni dell’amministrazione e progettarono un colpo di mano che, però, all’ultimo momento fallí. Qualcuno, secondo i resoconti, aveva tradito consentendo alle autorità di arrestare gran parte dei rivoltosi: una ventina di cospiratori finirono nelle mani del boia, altri riuscirono a fuggire subendo la confisca di tutti i beni. 26

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Dietro la forza politica della città, tuttavia, si nascondeva l’inizio di una crisi economica generata proprio dal malgoverno del consiglio. Ingenti risorse pubbliche, infatti, erano state spese per finanziarie avventate campagne militari, prima contro i Danesi, e in seguito contro i pirati tedeschi detti Vitalienbrüder. Molto erano costati, inoltre, i lavori per colle-


botteghe e magazzini

Oltre che ad abitazioni, le case dei mercanti erano adibite a botteghe nei piani inferiori e a magazzini in quelli superiori.

le cocche

La nave piĂş comune, nei porti della Lega anseatica, era la Kogge, o cocca, veliero di grande stazza adatto al trasporto delle merci negli agitati mari del Nord.

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Lubecca

le chiese

Lubecca vanta molti edifici religiosi risalenti al Medioevo. La chiesa piú nota e imponente occupa la parte alta del centro storico ed è dedicata a S. Maria (Marienkirche). Costruita nel XIII secolo in stile romanico, assunse forme gotiche in seguito a ripetuti rimaneggiamenti, che la dotarono di due poderose torri alte 120 m. Il duomo (Lübecker Dom) è, invece, l’edificio piú antico. Risale al 1173 e fu concepito da Enrico il Leone duca di Baviera e Sassonia. Ricostruito dopo i gravi danneggiamenti della seconda guerra mondiale ospita un capolavoro dell’arte medievale: la «croce trionfale» di Bernt Notke del 1477. In stile gotico è anche la chiesa conventuale trecentesca di S. Caterina (Katharinenkirche). La chiesa di S. Giacomo (Jakobikirche), detta dei Naviganti, ha anch’essa un’origine trecentesca ed è rinomata per i suoi organi antichi. Tra gli altri luoghi della fede sorti nell’Età di Mezzo si possono ricordare la duecentesca chiesa di S. Pietro (Petrikirche) e la piccola S. Egidio (Aegidienkirche).

gare il canale Trave con il fiume Elba, in modo da facilitare il passaggio dal Baltico al Mare del Nord. Sullo sfondo, la nascita, nel 1397, dell’Unione di Kalmar (colossale Stato scandinavo che riuniva i regni di Svezia, Norvegia e Danimarca) contribuí a ridurre il giro d’affari della Lega anseatica. L’Unione, concepita anche per fini commerciali, si mise in concorrenza con gli interessi tedeschi, nonostante le resistenze degli Svedesi, sempre fedeli alleati di Lubecca. All’inizio del XV secolo la crisi politico-finanziaria degenerò in una drammatica impasse istituzionale. Le nuove onerose tasse imposte dall’amministrazione urbana, per coprire i vistosi buchi di bilancio, suscitarono le proteste dei ceti produttivi della popolazione. Per sedare una potenziale rivolta, il consiglio provvide, allora, a costituire un piú ampio organismo consultivo eletto dai cittadini, che presto si pose in costante polemica con i governanti. Nel 1408 i borgomastri vennero di fatto esautorati dalle loro cariche e andarono in esilio.

Un impero al tramonto

I nuovi gestori della capitale anseatica entrarono in conflitto anche con l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo e persero temporaneamente i preziosi privilegi di autonomia che la città vantava da anni. Intanto i vecchi amministratori in esilio avevano stretto un’alleanza con la monarchia danese nel tentativo di riprendere il potere. Gli esuli poterono, finalmente, tornare in patria, ma furono costretti ad accordarsi con i nuovi padroni della città ponendo fine alla guerra civile. I sovrani danesi, nonostante i buoni rapporti con la vecchia classe dirigente cittadina, inflissero un colpo terribile alle fortune economiche di Lubecca. Nel 1429 il re Eric di Pomerania impose la cosiddetta ‘Øresundtolden, una tassa a carico delle imbarcazioni che attraversavano il braccio di mare tra la Danimarca e la Svezia particolarmente battuto dai commercianti te28

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il municipio

Accanto alla chiesa di S. Maria e vicino alla Buddenbrookhaus, dove visse per molti anni la famiglia dello scrittore Thomas Mann, si erge il massiccio edificio del municipio (Lübecker Rathaus), la cui parte piú antica venne realizzata nel XIII secolo con mattoni derivanti da un insolito impasto, tra i cui componenti vi erano il sangue di bue e la cenere.

In alto il caratteristico profilo del municipio di Lubecca (XIII secolo), uno dei piú grandi e antichi della Germania. A sinistra veduta dall’alto del centro cittadino con il municipio sulla destra e le due torri della chiesa di S. Maria la cui costruzione fu iniziata nel 1250.

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Lubecca

l’ospedale santo spirito

Fondato nel 1276, l’Ospedale di S. Spirito (Heiligen-Geist-Hospital) è una delle case di cura medievali meglio conservate d’Europa. Il nosocomio è rimasto ininterrottamente in funzione dall’Età di Mezzo fino agli anni Sessanta del XX secolo. Sono tuttora visibili le originarie stanze dei ricoverati, le cosiddette Kabäuschen, collocate nell’attigua chiesa.

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In alto l’ospedale di S. Spirito, uno dei piú antichi ricoveri d’Europa. Nella pagina accanto l’interno gotico della chiesa che appartiene al complesso del vecchio ospedale di S. Spirito (XIII sec.) rimasto inalterato nel suo aspetto medievale.

deschi. Molti aderenti alla Lega anseatica subirono un grave danno dall’odiosa imposta ed entrarono di nuovo in conflitto con i Danesi. La pace di Vordinsborg del 1435 calmò le acque solo dal punto di vista politico-militare, ma non sancí una tregua commerciale. La potenza di Lubecca stava ormai tramontando. Nel frattempo, un altro pericoloso nemico si era profilato all’orizzonte. Le città olandesi rappresentavano ormai una seria minaccia per il monopolio tedesco sulle rotte mercantili lungo il Mare del Nord e il Baltico.

La fine dell’età dell’oro

La concorrenza tra i due blocchi commerciali divenne talmente spietata da causare una guerra che si concluse con la sostanziale sconfitta di Lubecca e dei suoi alleati, secondo quanto disposto dal trattato di Copenaghen del 1441. Gli Olandesi ottennero l’autorizzazione di poter liberamente navigare sul Baltico e in modo graduale si impadronirono di fette di mercato, soprattutto nel settore ittico. Nel XV secolo anche in Inghilterra l’ambiente per i mercanti tedeschi era diventato ostile e le tensioni culminarono nell’attacco alla sede dell’Hansa a Londra, lo Stalhof. Per la Lega si aprí un altro fronte di guerra che si protrasse fino agli ultimi anni del Medioevo. Con la pace di Utrecht del 1474, gli anseatici riaprirono i propri uffici londinesi e ottennero dal re britannico Edoardo IV importanti privilegi che

consentirono loro di riconquistare parte dei monopoli di cui avevano goduto in precedenza sul Mare del Nord. Nel Cinquecento Lubecca si scontrò nuovamente con i re danesi, con Cristiano II in particolare, ma successivamente strinse un patto con il successore Federico I che diede in regalo alla città tedesca l’isola di Bornholm. Nel periodo della Riforma entrò a far parte della Lega di Smalcalda, composta da principi protestanti tedeschi che sottoscrissero un patto di mutua assistenza in caso di attacco del Sacro Romano Impero. Sembrava una nuova Hansa, ma l’età dell’oro era ormai finita.

Dove e quando holstentor Orario aprile-dicembre: lu-do, 10,00-18,00; gennaio-marzo: ma-do, 11,00-17,00 Info www.lubecca-turismo.de ospedale di s. spirito Am Koberg Orario aprile-settembre: tutti i giorni, 10,00-17,00 ottobre-marzo: tutti i giorni, 10,00-16,00; lu chiuso Info www.lubecca-turismo.de municipio Breite Straße 64 Orario lu-ve, visite alle 11,00, 12,00 e 15,00 Info www.lubecca-turismo.de

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Sotto il segno dell’aquila di Francesco Troisi

Presidio militare romano (vi morí, forse, l’imperatore Marco Aurelio), nei primi secoli del Medioevo il controllo di Vienna passò piú volte di mano. Fino al 1278, quando venne conquistata e scelta come residenza da Rodolfo I d’Asburgo. Da quell’anno, per la città sul Danubio iniziò una nuova, grande stagione, protrattasi fino ai primi del Novecento Vienna. Particolare della facciata del duomo di S. Stefano, cuore medievale della città, con le sue torri gemelle. Costruito a partire dal XII sec., subí una radicale ristrutturazione nel Trecento, assumendo la fisionomia tardo-gotica che conserva ancora oggi.



austria

Vienna

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opo averli conquistati in età augustea, i Romani fondarono nei territori dell’odierna Austria due importanti presidi militari: Carnuntum e Vindobona. Quest’ultima sorgeva nella stessa zona in cui ancora oggi si ammira la parte vecchia di Vienna, l’Innere Stadt, conosciuta anche come primo Bezirk, nella cui area, accanto a monumenti gotici, barocchi e neoclassici, spiccano appunto ruderi di epoca romana. Nell’antico sito della capitale austriaca, teatro delle nozze di Attila e Crimilde nel poema Nibelungenlied, avrebbe trovato la morte l’imperatore Marco Aurelio, nel 180 d.C., durante una spedizione contro i Marcomanni. Verso la fine dell’età antica l’insediamento contava ben 20 000 abitanti ma, quando giunsero i barbari, si spopolò e cadde nell’oblio. La ricostruzione, lenta, seguí il tracciato delle mura dell’accampamento romano e si sviluppò intorno al Berghof, piú o meno nella zona in cui oggi transita la Salvatorgasse. È stato ipotizzato che i nomi dei quartieri Waehring, Dobling e Lainz derivino dallo slavo, parlato dalle popolazioni barbariche che risiedevano nella regione danubiana austriaca all’inizio dell’Età di Mezzo. Amplissimo appare l’arco temporale che, in pieno Medioevo, porta alla comparsa del primo toponimo, Wenia (forse dalla parola illirico-celtica Vedunja che significa «corso d’acqua in una foresta»), da cui derivò quello attuale: lo si legge in un documento dell’arcivescovado di Salisburgo datato 881. L’abitato si era già ingrandito rispetto al periodo successivo alle invasioni barbariche e non corrispondeva piú alla descrizione di piccolo agglomerato di case di pescatori sorto intorno a una piccola chiesa. Ancora nel IX secolo Carlo Magno, con i suoi Franchi, occupò il territorio a ovest di Vienna che fu denominato Ostmark, cioè Marca Orientale. Su quella regione si abbatté la furia devastatrice dei Magiari, gli anti-

In alto veduta della città di Vienna, realizzata per l’opera Civitates orbis terrarum di Franz Hogenberg e Georg Braun. 1572-1616. A sinistra particolare della vetrata del duomo di Vienna nel quale compare il ritratto di Rodolfo I (1218-1291), il sovrano con cui cominciò l’ascesa della dinastia austriaca degli Asburgo. 1340-50.

le date da ricordare V sec. L’antica cittadella romana di Vindobona, sorta su un preesistente villaggio celtico, è saccheggiata dagli Unni.

955 Battaglia di Lechfeld: Ottone il Grande sconfigge i Magiari. Con Leopoldo I di Babenberg la regione passa sotto la nobiltà bavarese. La città assume l’attuale nome di Wien.

IX sec. Carlo Magno occupa il territorio della Marca Orientale (a ovest di Vienna). In seguito i Magiari invadono e saccheggiano la regione.

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XII sec. Fondazione della chiesa di S. Ruprecht.

1147 Costruzione del duomo di S. Stefano e delle fortificazioni per proteggere il fronte orientale della città.


chi ungheresi, e solo l’imperatore Ottone il Grande riuscí ad averne ragione grazie alla vittoria nella battaglia di Lechfeld (955). Ristabilitasi la pace, la zona contesa passò al governo di Leopoldo I di Babenberg, membro autorevole della nobiltà bavarese, che detenne il potere per quasi tre secoli.

La capitale austriaca è citata per la prima volta, con il nome di Wenia, in un documento che porta la data dell’881

La porta per l’Oriente e l’Occidente

Il territorio intorno a Vienna si configurò, presto, come Stato sovrano ottenendo l’elevazione a ducato. Nella città danubiana il conte Enrico II vi trasferí il suo governo, nella zona ancora oggi denominata Am Hof, cioè «a corte», proprio per essere stata residenza dei potenti. Inoltre, per la sua posizione strategica al confine tra Oriente e Occidente, Vienna divenne un

1155 Enrico II avvia la costruzione del monastero degli Scozzesi.

crocevia tra aree geografico-culturali che spesso avevano incrociato le armi tra loro: il mondo germanico, slavo, magiaro e italiano. I Babenberg, con abile fiuto politico, riuscirono a imporre l’autorità sui nobili rivali attraverso una serie di accordi privati. Garantendosi la

XIII sec. Viene fondata la chiesa dei Minoriti (la Chiesa Nazionale Italiana di Maria della Neve) per opera di alcuni frati francescani. Sorge l’Alte Burg, la parte piú antica della Hofburg.

1192 Riccardo Cuor di Leone cade prigioniero di Leopoldo V. Due anni dopo viene liberato, dietro il pagamento di un riscatto ingente, con il quale si finanziano importanti opere urbanistiche, tra cui la cinta muraria.

1276 Vienna è devastata da un incendio.

XIV sec. Sorge la chiesa di S. Maria sulla Riva.

1338 Vienna è invasa dalle locuste. Qualche anno dopo si diffonde la peste, e un nuovo incendio colpisce la città.

1278 Ottocaro II è sconfitto e ucciso dalle truppe di Rodolfo I d’Asburgo. Nove anni dopo, viene represso un tentativo di rivolta contro il dominio asburgico.

1420 Gli Ebrei sono oggetto di crudeli persecuzioni, promosse dal re Alberto V e dalla Chiesa.

1485-1490 Vienna è occupata dai Magiari.

1533 Gli Ottomani assaltano le mura della città, che riesce a resistere all’assedio.

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Vienna

pace sociale, Vienna ebbe presto la sua prima, rilevante crescita economica, sfruttando l’intenso traffico marittimo sul Danubio alimentato dall’attività colonizzatrice e missionaria della Baviera. Nella futura capitale austriaca, che in quegli anni assunse il suo attuale nome di Wien, si verificò anche un repentino boom demografico, mentre la rete urbanistica si arricchiva di opere dell’architettura sacra. Enrico II promosse nel 1155 la costruzione del monastero degli Scozzesi (Schottenstift) oggi situato nella zona centrale della Freyung. Quasi un secolo dopo i Francescani Minori ottennero da Leopoldo V il possesso di un convento, e cosí anche i Domenicani.

150 000 marchi per Riccardo

Vienna divenne la piú grande città dell’Austria e i segni tangibili della prosperità e dell’accresciuto ruolo politico si manifestarono nel 1147 con l’edificazione dello Stephansdom, il duomo di S. Stefano (all’inizio in stile romanico poi, risorto da un incendio, in gotico) e di imponenti fortificazioni per difendersi dagli attacchi, soprattutto da est. Di lí a poco Vienna ottenne lo status di città libera, cosí preziosa e opulenta da sollecitare le ambizioni espansioniste della contigua Boemia. La ricchezza della città crebbe in modo ulteriore con la cattura del re inglese Riccardo I Cuor di Leone da parte dell’arciduca austriaco Leopoldo V, nel 1192, che intendeva cosí vendicarsi degli attriti intercorsi durante la terza crociata. Tenuto prigioniero a Dürnstein per ben due anni, il monarca britannico ottenne la libertà solo dietro il pagamento di un riscatto astronomico (si suppone circa 150 000 marchi), che serví per finanziare alcune importanti opere urbanistiche a Vienna, tra cui la cinta muraria. In un periodo di grande fervore culturale che coincise con la diffusione della poesia cortese tedesca, il Minnesang, la

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città divenne una delle capitali letterarie europee al tempo di Leopoldo VI. Il duca, però, favorí anche i mercanti, non solo la produzione di versi, consentendo cosí la diffusione delle gilde e stabilendo che i commercianti stranieri in transito nel territorio dovessero vendere sul posto le proprie merci.

Gli Asburgo nel destino

Dopo la fine dell’era dei Babenberg, i destini di Vienna cambiarono di segno e il devastante incendio scoppiato nella primavera del 1276 sembrò costituirne l’avvisaglia. Il re boemo Ottocaro II, nel frattempo salito al potere, si accollò subito l’onere finanziario della ricostruzione. Il sovrano era molto amato dalla popolazione per essersi non soltanto impegnato a restaurare i palazzi bruciati, ma anche a fondare un ospizio e un lebbrosario. Cadde, però, in disgrazia per un peccato d’orgoglio: l’aver trascurato di giurare fedeltà all’imperatore del Sacro Romano Impero, Rodolfo I d’Asburgo, il quale gli dichiarò guerra e lo sconfisse pesantemente a Marchfeld nel 1278, dove Ottocaro trovò la morte. Da quel momento il destino di Vienna si legò alla dinastia asburgica e per la città si aprí una nuova epoca di splendore sociale ed economico promosso da Rodolfo e dal figlio e successore Alberto I. Quest’ultimo, però, impose un regime di restrizioni commerciali e inasprimenti fiscali non graditi dai Viennesi che si ribellarono nel 1287 subendo, alla fine, una violenta repressione. Tra i dissidenti c’erano molti partigiani del vecchio re Ottocaro. Anche il XIV secolo si aprí in modo turbolento, con le ribellioni antiasburgiche scatenatesi contro il nuovo re, Federico I il Bello, e proseguí nel


LE CHIESE MEDIEVALI Vienna possiede un ricco patrimonio di architetture religiose che riflettono la varietà di stili succedutisi nei secoli. Numerosi sono gli edifici medievali che conservano ancora elementi originari, risalenti al periodo della fondazione, a partire dal duomo di S. Stefano (Stephansdom). Costruito nel 1147 con un impianto romanico, assunse un aspetto tipicamente gotico dal XIV secolo. Dell’iniziale struttura sono sopravvissute la Porta del Gigante (Riesentor) e la Torre dei Barbari (Heidentürme). L’altissima torre meridionale, che raggiunge i 137 m di altezza, fu eretta nel Trecento e la prima pietra venne posta personalmente da Rodolfo IV d’Asburgo con una cazzuola e una vanga d’argento. Altre modifiche alla cattedrale furono apportate nel Cinquecento. Ancora piú antica è la chiesa di S. Ruprecht (Ruprechtskirche) che, secondo la tradizione, risalirebbe all’VIII secolo. Citata in un documento duecentesco, fu fondata presumibilmente all’inizio del XII secolo. Molto antica è anche la chiesa di S. Maria sulla Riva (Maria am Gestade), edificata nel Trecento in stile gotico e oggi ritrovo della comunità ceca. Ha un’anima italiana la chiesa dei Minoriti (Italienische Nationalkirche Maria Schnee), edificio del XIII secolo integrato da una facciata barocca. Nel Medioevo aveva una torre molto piú alta di quella attuale, che appare decisamente tozza, e a mutilarla furono gli invasori turchi nel Cinquecento. Subí un destino analogo la chiesa am Hof, nata nel Trecento e dotata nel Seicento di una facciata barocca, che porta i segni di un assedio musulmano (una palla di cannone conficcata nel muro). Tra gli altri edifici religiosi dell’Età di Mezzo vi sono la chiesa dell’Ordine Teutonico (Deutschordenskirche) e quella di S. Michele (Michaelerkirche).

In basso, sulle due pagine la torre sud del duomo di S. Stefano, che raggiunge i 137 m di altezza, detta «Steffl» dai Viennesi. Sul sottostante tetto maiolicato si riconosce lo stemma degli Asburgo con la caratteristica aquila bicefala.

In alto, a destra la navata centrale della cattedrale. Qui accanto la facciata e il campanile della chiesa gotica di S. Maria della Riva (Maria am Gestade), fondata nel XIV sec. e oggi divenuta punto di ritrovo della comunità ceca della capitale austriaca.

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Vienna

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segno delle calamità naturali: nel 1338 uno sciame di locuste invase il bacino di Vienna, qualche anno dopo arrivò la peste e infine un altro rovinoso incendio. La Morte Nera decimò la popolazione e molti cristiani accusarono gli Ebrei di aver diffuso l’epidemia, cosicché, pur godendo della protezione della monarchia, la comunità israelitica subí gravi persecuzioni.

Un modernizzatore al potere

Dimenticata l’epidemia, Vienna trasse vantaggio dall’ascesa di Rodolfo IV, figlio del duca Alberto II che governava la città. Sposandosi con la figlia dell’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, contribuí all’ascesa degli Asburgo sullo scacchiere politico internazionale. I matrimoni di convenienza divennero una delle prerogative della dinastia germanica, tanto che fu presto coniato il motto «gli altri fanno le guerre, tu Austria felice, sposati!». Ereditato il trono nel 1358, Rodolfo IV si rivelò un modernizzatore, capace di dotare la capitale di una propria università, di innovative norme sociali e di piani urbanistici piú razionali. Le difese militari, intanto, cominciavano a dare segni di cedimento. Si temevano, in partico-

Nella pagina accanto il pulpito settecentesco del duomo di S. Stefano, dedicato a san Giovanni da Capestrano (1386-1456). Proprio in quel punto della chiesa, nel XV sec., il francescano esortò i cittadini a partecipare alla crociata antiturca. In basso particolare del portale con, sulla sinistra, la statua di Rodolfo IV d’Asburgo, il duca che, nel XIV sec., avviò la ristrutturazione del duomo in stile gotico.

lare, gli assalti degli Ussiti e dei Moravi, in un’epoca in cui la crisi economica aveva contribuito all’indebolimento politico della città. Dei rovesci finanziari e di tradimento vennero incolpati, ancora una volta, gli Ebrei, contro i quali, nel 1420, il re Alberto V e la Chiesa organizzarono un violentissimo pogrom. L’accusa costò loro l’esproprio dei beni, la tortura e in molti casi la vita, tra cui quella di quanti preferirono suicidarsi piuttosto che finire nelle mani degli armati asburgici. Eletto imperatore del Sacro Romano Impero, Federico III d’Asburgo, duca d’Austria, decise di lanciare il suo ducato alla conquista del mondo, in ossequio al motto «Austria est imperator orbi». Il monarca trascinò in guerra il re ungherese Mattia Corvino, ma il conflitto ebbe un esito disastroso: l’occupazione di Vienna da parte dei Magiari per cinque anni, dal 1485 al 1490. Piú abilmente si mosse suo figlio, Massimiliano I, il quale, grazie a nuovi matrimoni combinati, riuscí a impossessarsi della Borgogna. Non fu da meno il figlio, Filippo, che acquisí la Spagna con tutte le terre delle Americhe. E grazie a ulteriori nozze gli Asburgo poterono avere in dote la Boemia e l’Ungheria.

Il potere degli Asburgo derivò soprattutto da un’accorta politica matrimoniale

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la HOFBURG La Hofburg, il quartiere monumentale, sfoggia lo sfarzo architettonico del potere asburgico fin dal XIII secolo. La parte piú antica del complesso è l’Alte Burg, la fortezza di origine duecentesca poi chiamata Schweizertrakt, perché un tempo presidiata dalle guardie svizzere. Nel nucleo della fortificazione sopravvivono evidenti tracce medievali, mentre la facciata ha un profilo tipicamente rinascimentale. Risale all’Età di Mezzo anche un altro gioiello della Hofburg, la Cappella reale (Burgkapelle), dove, però, dominano gli elementi barocchi, aggiunti in età moderna. Cinquecenteschi, infine, sono la rocca Stallburg e il palazzo Amalienburg.

In alto, a sinistra l’Amalienburg, palazzo cinquecentesco compreso nello storico quartiere monumentale degli Asburgo, la Hofburg. In alto, a destra la corona asburgica di Rodolfo II (1552-1612). Camera del Tesoro della Hofburg. XVII sec. Nella pagina accanto, in basso stampa ottocentesca raffigurante la piazza della Hofburg, dominata dal palazzo imperiale.

Sotto il regno di Massimiliano I Vienna visse un’autentica rinascita culturale, che coincise con la diffusione dell’umanesimo in Europa. In città fiorirono gli studi e cosí la musica, con la fondazione della Hofmusikkapelle, poi divenuta Wiener Sängerknaben, il celebre coro dei «Piccoli cantori di Vienna». Tanto espansionismo esigeva un governo in grado di esercitare il potere su tutto il territorio in maniera duratura, e per questo l’area austriaca fu affidata a Ferdinando I, fratello dell’imperatore Carlo V, una scelta contro la quale i Viennesi insorsero. La ribellione fu però domata e il sindaco e i consiglieri vennero decapitati. Nel 1533 un altro evento epocale scosse l’impero fin dalle fondamenta: i Turchi diedero l’assalto alle mura di Vienna inducendo Ferdinando a rinforzarne le strutture.

La rivoluzione barocca

Le vicende successive della capitale asburgica si intrecciano con la Riforma protestante, con la conseguente Controriforma cattolica e la guerra dei Trent’Anni (1618-1648). Il fattore religioso incise in profondità, fra ondeggiamenti della monarchia austriaca pro e contro la sortita luterana, fino alla supremazia del cattolicesimo, di cui furono fautori l’arciduca Ernesto e soprattutto Leopoldo I, che lasciò nel tessuto urbano della città opere ancora oggi ammirate per lo sfarzo e per l’arte raffinata, a gloria dello stile barocco e rococò. Vienna divenne una vera metropoli solo nell’Ottocento, nel periodo del suo

maggior splendore, quando regnava Francesco Giuseppe. Ma perse alcuni gioielli medievali. Proprio il grande imperatore, infatti, dispose l’abbattimento delle antiche mura che circondavano il centro storico, e dalle loro macerie nacque la moderna Ringstrasse.

Dove e quando Duomo di S. Stefano (Stephansdom) Stephansplatz Orario lu-sa, 6,00-22,00, do e festivi, 7,00-22,00; visite guidate: lu-sa, 10,30 e 15,00, do e festivi, 15,00 Info www.stephanskirche.at (in lingua tedesca e inglese); www.wien.info/it Kunsthistorisches Museum Maria-Theresien-Platz Orario ma-do, 10,00-18,00 (giovedí apertura serale fino alle 21,00); lu chiuso Info www.khm.at (in lingua tedesca e inglese); www.wien.info/it Albertina (collezioni di grafica) Albertinaplatz 1 Orario tutti i giorni, 10,00-18,00 (mercoledí apertura serale fino alle 21,00) Info www.albertina.at (anche in lingua italiana)

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SCOZIA

Aberdeen

Dundee Perth Saint Andrews Stirling Dunfermline Edimburgo Glasgow Berwick-upon-Tweed

IRLANDA DEL NORD

Carlisle

York

Sligo

IRLANDA Limerick Cork

I

Durham

REGNO UNITO Liverpool

Norwich Nottingham Lincoln Derby Stamford Lichfield Kilkenny Thetford Dunwich Waterford Leicester Cambridge Gloucester Oxford Colchester Londra Sandwich Cirencester Windsor Canterbury Glastonbury Winchester Dorchester Plymouth New Hastings Romney Dover Chichester Hythe Dublino

Romani hanno lasciato impronte profonde nell’assetto urbanistico dell’Inghilterra. Colchester (Camulodunum) fu il loro primo insediamento, affiancato, poi, da centri piú popolosi, come Londra (Londinium), York (Eburacum), Cirencester (Corinium Dobunnorum), Lincoln (Lindum), Carlisle (Luguvalium) e Gloucester (Glevum). Agli albori dell’Età di Mezzo l’isola fu invasa da genti germaniche, gli Angli e i Sassoni, che ebbero la meglio sulle genti stanziate sul territorio, Celti e Britanni. All’indomani della conquista, si formò la cosiddetta «eptarchia anglosassone» con la costituzione di sette regni: Kent, con capitale Canterbury; Wessex, i cui centri principali erano Winchester e Dorchester; Essex, nei cui confini si trovava Londra; Sussex, con roccaforte a Chichester; Mercia, che aveva come base politica Lichfield; Anglia Orientale, con i capoluoghi Dunwich e Thetford, e Northumbria, con roccaforte a York. Dopo l’invasione vichinga, nel IX secolo, la Northumbria acquisí un maggior peso perché scelta dagli Scandinavi come luogo di residenza. Tuttavia, quando Alfredo il Grande liberò l’isola britannica dai predoni nordici, il suo regno, il Wessex, assunse il ruolo di guida di quella che cominciava a delinearsi come un’entità statale inglese. Una colonia vichinga restò confinata nel territorio del cosiddetto Danelaw, in particolare nelle città di Leicester, Lincoln, Nottingham, Stamford e Derby. I successori di Alfredo portarono a termine l’impresa di unire i tanti regni, ma dovettero nuovamente confrontarsi con i Vichinghi, che, dopo la vittoria riportata a Maldon del 991, conquistarono tutta l’Inghilterra. Di stirpe scandinava era anche il duca di Normandia Guglielmo il Bastardo che si impossessò della corona nel 1066. In quel periodo alcune città della costa meridionale ebbero un rapido sviluppo commerciale e cinque di esse, Hastings, Dover, New


In alto un drappello di guardie reali sfila davanti al castello di Windsor (XI sec.), una delle residenze della monarchia britannica.

Romney, Sandwich e Hythe, diedero vita alla Confederazione dei Cinque Ports. Cent’anni piú tardi il trono fu conquistato dai Plantageneti. Nel frattempo altre città irruppero sulla ribalta della storia guadagnandosi il titolo di capitali: Norwich, Dunwich e Windsor, il luogo dove si trovava la residenza reale; alcuni luoghi di pellegrinaggio come Canterbury, Glastonbury e Durham e le rinomate sedi universitarie di Oxford e Cambridge. Fallita la rivolta dei nobili, la monarchia inglese soddisfece con successo le proprie mire espansionistiche, sottomettendo, nel XIII secolo, il Galles e poi, con maggiori difficoltà, la Scozia. Fallí, invece, l’ambizioso tentativo di conquistare la Francia dopo la lunga e incerta Guerra dei Cent’Anni. Per i sovrani d’Inghilterra il Medioevo si chiuse con un altro conflitto, fratricida, tra i casati di York e Lancaster, che si affrontarono nella Guerra delle Due Rose, vinta dai secondi. In Scozia, che per un periodo si chiamò regno di Alba, dominavano alcune città dichiarate «libere» come Edimburgo, Stirling e Berwick-upon-Tweed. La capitale scozzese, fino al 1492, fu Perth, mentre altri centri, già nel XII secolo, avevano assunto ragguardevoli dimensioni: Dunfermline, Dundee, Glasgow, allora sede vescovile, e Aberdeen, che nel Duecento divenne anch’essa una comunità indipendente. La capitale ecclesiastica veniva considerata Saint-Andrew. L’Irlanda, invece, subí la dominazione dei Danesi e, in seguito, degli Anglo-Normanni, che stabilirono il centro del potere politico a Dublino. Seconda città in ordine di importanza era Waterford. Una delle corone imperiali inglesi facenti parte della collezione dei gioielli della Corona conservati nella Torre di Londra. capitali del medioevo

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Veduta di Londra lungo il Tamigi con la torre dell’orologio e il palazzo di Westminster, la cui parte piú antica risale agli inizi del Basso Medioevo.

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Il potere sul di Vito Bianchi

Tamigi

Quasi una seconda Roma, Londra nasce nei pressi di un guado fluviale. E nel Medioevo, ormai da tempo indipendente, cresce a vista d’occhio e diviene ben presto una delle città piú ricche d’Europa

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Londra

A

l Great Fire fu innalzato The Monument, un totem litico di 62 m. L’onda della morte era durata cinque giorni: fra il 2 e il 6 settembre del 1666, il fuoco aveva avviluppato inesorabile oltre 14 000 edifici. Era già accaduto nel disastroso incendio del 1077 e ancora nel 1136, quando le fiamme avevano divorato tutte le case fatte prevalentemente in legno. Ma questa volta, con le architetture di Inigo Jones (1573-1652; architetto, urbanista e scenografo, firmò numerosi importanti progetti per la corte inglese e a Londra la sistemazione della piazza del Covent Garden e delle vie adiacenti è il primo esempio di piano urbanistico, n.d.r.) fresche di fabbrica, i viali, i parchi e le residenze che ornavano lo splendido baricentro di un impero in divenire, il rogo apparve piú feroce che mai. Fu un solco decisivo, il margine profondo fra un prima e un dopo, la linea di confine fra rovina e nuova vita: dalla distruzione si passò alla riedificazione, e, nel rifacimento, venne generata la Londra di Cristopher Wren (1632-1723) e delle sue cinquantadue chiese, in una progettualità urbana perpetuata da John Nash (1752-1835), ideatore di Buckingham Palace e affini. In mezzo alla rinascita londinese affioravano qua e là le tracce medievali di una lunga e intensa cronaca cittadina, fluita in parallelo al corso d’acqua che aveva originato le fortune della metropoli, il Tamigi. Tutto era cominciato con un guado fluviale, presso il quale i Romani fondarono nel 43

un’ascesa irresistibile Poco piú di 160 ettari: l’area urbana bassomedievale di Londra era tutto sommato modesta, rispetto ai 600 ettari di Venezia, ai 560 di Colonia o ai 440 di Parigi. I dati sulla popolazione sono poi piuttosto incerti: se alla fine del Duecento i Londinesi dovevano essere al massimo in 20-25 000, un secolo piú in là il tasso di urbanizzazione era lievitato fino a circa 40 000 anime. Ben poca cosa, rispetto a metropoli d’Oriente come Costantinopoli e Baghdad, con centinaia di migliaia di residenti. D’altronde, in Occidente, nei secoli XIII e XIV, non esistevano megalopoli, ma solo numerose città di media portata. Le piú grandi ospitavano fra i 50 000 e i 150 000 abitanti. In Inghilterra, in ogni caso, Londra emergeva largamente, se si pensa che Liverpool, nel 1375, contava appena 1000 individui. E, soprattutto, i flussi di mercanti e mercanzie incrementavano la periodica presenza nel Londinese di gente non censibile. Londra viveva di commerci e prosperava: nel 1269 era la prima tributaria del fisco con 285 sterline (contro le 200 di York al secondo posto), mentre nel 1373 ne versava 733 (York era scesa a 162). I postumi della peste trecentesca e la rivolta dei contadini che nel 1381 saccheggiarono la City non frenarono lo sviluppo economico che ne fece un fondamentale punto di riferimento per la finanza internazionale. Nel 1567, la Borsa di Londra era realtà.

le date da ricordare 600 I Sassoni costruiscono una città portuale, Lundenwic.

670-870 Londra è sotto il controllo degli Anglo-Sassoni del regno di Mercia.

604 Si inaugura la cattedrale di St. Paul.

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871 I Danesi invadono l’Inghilterra e conquistano Londra.

1065 Edoardo il Confessore amplia e consacra l’abbazia di Westminster.

886 Alfred, re del Wessex, riprende la città.

1066 I Normanni invadono l’Inghilterra, ma risparmiano Londra.


A sinistra pianta di Londra, dal Civitates Orbis Terrarum di Georg Braun e Franz Hogenberg, opera pubblicata in 6 volumi tra il 1572 e il 1617. Qui sotto la tomba del re Enrico III (1207-1272) nell’abbazia londinese di Westminster. In basso, sulle due pagine particolare di una mappa di Londra disegnata dall’incisore boemo Wenceslaus Hollar raffigurante il Palazzo del Parlamento, l’abbazia e la Westminster Hall. 1647.

1176 L’Old London Bridge, costruito in pietra, sostituisce un ponte di legno.

1348-1349 L’epidemia di peste nera miete migliaia di vittime.

1381 Rivolta dei contadini.

1485 Enrico VII, primo della dinastia Tudor, sconfigge Riccardo III.

1189 Henry Fitz Ailwyn è il primo sindaco (mayor).

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Londra

Intorno al centro si sviluppano i poli urbani dell’abitato sassone di Ludenwic e quello nell’area di Westminster un ponte grandioso, con case e negozi Per il loro ruolo di fondamentale mezzo di comunicazione, anche nel Medioevo i ponti avevano una valenza quasi sacra. Non sfuggiva alla regola il famoso London Bridge, realizzato sul Tamigi fra il 1180 e il 1209 dalla confraternita religiosa dei Fratres Pontis su disegno di Pietro, sacerdote di S. Maria di Colechurch. Una ventina di piloni in pietra, collegati da archi e rinforzati da antibecchi per attutire la corrente fluviale, sostenevano una carreggiata stradale folta di case e negozi, i cui proprietari versavano un tributo per la manutenzione dell’imponente costruzione. Al centro del ponte si ergeva la cappella di S. Tommaso di Canterbury. Dopo aver funzionato fino al 1834, il vecchio London Bridge fu sostituito, 60 m piú a ovest, dall’odierna struttura, concepita da John Rennie.

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d.C. Londinium, nome forse derivante dai vocaboli celti Llyn (lago) e Din (città): prima che i colonizzatori latini realizzassero gli argini, le piene avevano infatti formato una palude intorno alle colline di Cornhill e St. Paul’s, intervallate dal torrente Walbrook. Una volta bonificato un paesaggio tanto «acquatico», dalle odierne Oxford Street e Edgware Road fu fatta passare la via che collegava Dover a St. Alban’s, mentre il gioco delle maree continuava a garantire un ottimo ancoraggio dal Tamigi. Quel formidabile crocevia assurse in breve a emporio internazionale, decantato negli Annali di Tacito come abbondante in mercati e vettovaglie: era l’irrinunciabile riferimento per qualsiasi commercio del continente con la Britannia, e a questa sua vocazione non venne mai meno.

Una città aperta

Sul fiume fu presto gettato un ponte con un pilone in pietra, scoperto in Fish Street Hill. E sulla riva sinistra, in corrispondenza dell’attuale City, venne stesa la maglia ortogonale delle insulae romane. Londinium fu all’inizio una città aperta: le mura di cinta vennero alzate solo all’inizio del III secolo, abbracciando un nucleo urbano di 132 ettari che, non troppo ingrandito, fu il cuore anche del municipio medievale. La fine della dominazione romana, l’invasione dei Sassoni e le incursioni dei Danesi non inficiarono i traffici altomedievali: fra il VII e l’VIII secolo, il Venerabile Beda descrive il cosmopolitismo di una località che era meta inesauribile di genti, merci e schiavi, nonché sede episcopale del vescovo Mellitus attestato per il 604. Negli immediati dintorni del centro spuntavano nel frattempo ulteriori villaggi: gli scavi condotti in Covent Garden dal Museum of London Archeology Service hanno evidenziato presso la Royal Opera House l’assetto di Ludenwic, una cittadina sassone del 735 che aveva

dimore erette con travature lignee e attività legate alla tessitura. A sud-ovest si espandeva invece il polo di Westminster: qui, almeno dal X secolo si trovava un convento benedettino, che Edoardo il Confessore (1042-1066) intese omaggiare con la costruzione di un tempio cristiano dedicato a san Pietro. Non era riuscito, il sovrano, a sciogliere il voto di recarsi in pellegrinaggio a Roma, ma intendeva comunque sdebitarsi col Padreterno: offrí dunque un decimo dei suoi averi per l’edificazione della chiesa, e per meglio sovrintendere ai lavori spostò la corte a fianco all’abbazia, dove è oggi il Parlamento. Il 28 dicembre del 1065 St. Peter’s Church era consacrata. Il pio monarca fece giusto in tempo a vederla ultimata: vi finí sepolto di lí a una settimana. Soltanto la Pyx Chapel conserva però il tratto originario delle esili colonne dell’XI secolo, poiché il resto di Westminster Abbey è frutto di ripetuti ritocchi, sommati a un paio di sostanziali aggiunte moderne. Il grosso risale al regno di Enrico III (1216-1272) e al progetto del 1245 dell’architetto Henry of Reyns, che elevò il lato orientale. A completare le navate intervenne poi fra il 1376 e il 1399 Henry Yevele. Concepito in uno stile gotico dalle ascendenze francesi, con il suo bel chiostro di raccordo e l’ottagono luminoso della Chapter House (o Sala Capitolare), il complesso abbaziale costituisce un autentico sacrario nazionale, da sempre luogo di tumulazioni e di incoronazioni regie, compresa quella di Elisabetta II nel 1953. A inaugurare l’usanza di intronizzarvi i re era stata nel 1066 la dinastia normanna, con Guglielmo il Conquistatore. Salito al trono d’Inghilterra, il duca di Normandia riconfermò a Londra le franchigie godute da diversi secoli in qualità di importante snodo portuale, provvedendo all’erezione dei castelli di Baynard (in (segue a p. 55)

In alto il Ponte di Londra e il centro della città in una delle tavole della mappa di Wenceslaus Hollar. 1647. Londra, British Library. In basso disegno ricostruttivo del Ponte di Londra nel XIV sec.

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le molte vite di una torre

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i bus o di metropolitana, la fermata è comunque a Tower Hill. Il Tamigi vi scorre di fianco colorito di ruggine urbana, passando sotto al caos formicolante del Tower Bridge, prima di ritrovare una quiete da laguna veneziana negli adiacenti docks, i canali del porto fluviale. Londra possiede in quest’angolo cittadino un’oasi di Medioevo intessuta di una storia ininterrotta: è la Tower of London, che narra dei Normanni, dei Plantageneti, dei Lancaster, dei Tudor, degli Stuart, degli Hannover e dei Windsor, regnanti in serie sulla Gran Bretagna. Il fossato e la doppia cinta muraria, irrobustita da una foresta di torri, racchiudono i simboli e i luoghi delle alterne vicende del regno inglese, dipanatesi fra congiure, torture, incoronazioni e abdicazioni: cosí, quella millenaria stratificazione di edifici ed eventi finisce per attirare annualmente migliaia di visitatori, richiamati dalla fama di un monumento che, a seconda delle necessità, è servito da fortilizio, reggia, prigione e braccio della morte per nobili candidati alla decapitazione. Come Anna Bolena, che, nel 1536, per farsi decollare con l’accusa di adulterio, pretese, al posto della solita mannaia, una piú «aristocratica» spada, appositamente importata da Calais: e suo marito, il ben noto re Enrico VIII, aduso a cambiar moglie, fu lesto a esaudirne l’estremo desiderio

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sul patibolo del Tower Green, di fronte alla cappella di S. Pietro ad Vincula, che pareva quasi esser stata ricostruita dal corpulento sovrano giusto in tempo per accogliere le spoglie fedifraghe della seconda consorte. Imitata poco dopo da Caterina Howard, altra regina caduta in disgrazia nel 1542. Corvi e «mangiatori di manzo» Aperta al pubblico dal 1660, la Tower of London si presenta oggi ripulita dalle fatiscenti taverne, locande e caserme sei e settecentesche, che la riempivano fino ai restauri «rimedievalizzanti» di Anthony Salvin e di John Taylor nella seconda metà dell’Ottocento. È una rocca abitata attualmente dal corpo di guardia degli Yeomen Warders (i sottufficiali dell’esercito in pensione, definiti beefeaters, cioè mangiatori di manzo che, inamidati in abito da cerimonia, fungono lieti da guida turistica) e da una folta colonia di corvi dalle ali tarpate: dall’epoca di Carlo II (1660-1685) si tramanda che la monarchia britannica cadrà non appena quegli uccelli neri si saranno definitivamente volatilizzati. E siccome tutto il mondo è paese, per superstizione (regia?) si continua ad allevare i pennuti nel recinto della cittadella fortificata. Che ha origini normanne: approdava infatti proprio dalla Normandia il duca Guglielmo, detto il Bastardo e poi il Conquistatore, che il 14 ottobre del

1066 sconfisse ad Hastings l’esercito anglosassone guidato da Harold di Wessex. Divenuto rex Normanglorum, fondendo razze e nomi, l’illegittimo figlio di Riccardo innalzò un’ottantina di castelli, atti a feudalizzare e controllare meglio il territorio conquistato tramite il governo di parenti e vassalli fedeli: prese pertanto a incastellare Hastings, Pevensey, Windsor, Corfe. E, naturalmente, l’antica Londinium, nella cui area avanzi delle mura romane d’età adrianea e severiana servirono ad appoggiare nell’angolo sud-orientale della città le prime massicce pareti della Tour Blanche, il mastio elevato con la candida pietra francese di Caen su progetto di Gundulf, vescovo di Rochester. L’imponente mole della Torre Bianca dovette essere completata con Guglielmo II il Rosso entro il 1100, per assurgere a fiera icona della potenza reale col successore Enrico I. Dotato di un ampio cortile recintato e presto fiancheggiato dalla Torre dei Rifornimenti, l’edificio risultò multifunzionale: a vari livelli furono dislocati l’appartamento del sovrano e quello del connestabile suo vice, i magazzini e le cucine, mentre in una sporgenza semicircolare della poderosa fabbrica venne ricavata l’abside della St. John Chapel, una chiesetta a tre navate di mirabile linearità romanica, curiosamente collocata al secondo piano e dedicata all’Evangelista.


Dida da scrivere, rinvenuto nel 1877 a Decima di Gossolengo, nei pressi della città emiliana. Databile tra la seconda metà del II e gli inizi del I sec. a.C., è un modello in bronzo del fegato di una pecora sul quale sono definite caselle recanti i nomi delle divinità del pantheon etrusco. Simili modelli erano utilizzati dai sacerdoti che praticavano l’epatoscopia, cioè la predizione del futuro basata appunto sull’osservazione del fegato.

Non poteva mancare la cella per i detenuti illustri: e se nel 1101 Ranulf Flambard, vescovo di Durham, riuscí a evadere con una corda nascosta in un boccale di vino, andò peggio al principe gallese Gruffyd ap Llewelyn, prigioniero di Enrico III, che nel 1244 cadde nel vuoto tentando di fuggire da una finestra con le classiche lenzuola annodate. A eccezione dell’ormai rovinatissima porta di Coldharbour, aggiunta nel XIII secolo sul versante occidentale, il maquillage effettuato nel corso dei secoli non ha intaccato la forma complessiva della White Tower, che accoglie una bella mostra di armature appartenute ai Tudor e agli Stuart.

Fu intorno, piuttosto, che il palazzo si allargò, con i rinnovati apprestamenti difensivi predisposti da William Longchamp, vescovo di Ely, nonché cancelliere di Riccardo Cuor di Leone (1189-1199) alle prese con la crociata in Terra Santa: a quest’epoca risale il primigenio nucleo poligonale della Torre della Campana, inserita in un recinto murario che giunse a raddoppiare l’area precedente. Gli interventi di Enrico III Ma era comunque un rinvigorimento insufficiente, visto che Giovanni Senza Terra (1199-1216) si impossessò della fortezza per affermare il suo

In alto miniatura raffigurante Carlo d’Orleans, uno dei nobili francesi sconfitti dagli Inglesi ad Azincourt nel 1415, nella Torre di Londra, dove venne tenuto prigioniero per 25 anni: lo si vede scrivere, affacciarsi alla finestra e consegnare una lettera, dal manoscritto Poems of Charles, Duke of Orleans. 1500 circa. Londra, British Library. Nella pagina accanto veduta della Torre di Londra. Costruita nell’XI sec. su iniziativa del re normanno Guglielmo il Conquistatore (1028-1087), fu utilizzata come fortezza, reggia e prigione.

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Londra

la morte fa spettacolo Uscendo dalla fermata della metropolitana piú vicina alla Torre di Londra (Tower Hill), si è subito ai Trinity Gardens di Tower Hill, la collinetta del patibolo. Lí, dal 1381 al 1747, il boia ha «operato» su circa 120 prigionieri. Perlopiú mediante un colpo di mannaia, dato che la decapitazione era considerata la morte piú onorevole per gentlemen rei di tradimento. Ma non mancavano il rogo per gli eretici o l’impiccagione per gli appartenenti ai ceti inferiori. Che, all’occorrenza, potevano anche subire un trattamento speciale: lo stiramento o lo squartamento. In pubblico: le esecuzioni erano infatti seguite da una folla urlante che si assiepava

diritto a regnare. L’opera di fortificazione fu pertanto ripresa in grande stile con l’avvento di Enrico III (1216-1272), il quale, innanzitutto, attrezzò la Torre Wakefield ad alloggio del re e la Torre della Lanterna ad alloggio della regina, avviando l’erezione della Torre Maledetta e regalandosi una porta fluviale privata. Non contento, e forse preoccupato dai baroni intemperanti, nel 1238 rialzò a est e a nord una fenomenale cortina rinforzata dalla Torre del Sale, dalla Torre Martin, dalla Torre di Mattone, dalla Torre di Selce e dalla Torre Deveraux. Per ulteriore sicurezza, ai piedi dei massicci baluardi, l’ingegnere fiammingo John Le Fosser impiantò un profondo fossato. L’elefante di Luigi IX E in piú, per la prima volta, il complesso turrito assolse alle funzioni 52

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intorno al luogo dello spettacolo. Per l’occasione, venivano spesso approntate tribune lignee. Oltre al patibolo esterno, ce n’era anche uno interno alla Torre di Londra, nello spiazzo del Tower Green. A quel prato gettarono l’ultima occhiata da vivi lord William Hastings nel 1483, un paio di mogli di Enrico VIII, lady Jane Grey e Robert Deveraux, giovane conte di Essex, prima favorito di Elisabetta I e poi condannato dalla regina: considerata la sua enorme popolarità fra i Londinesi, si ritenne troppo pericoloso decapitarlo sulla Tower Hill, per timore di sommosse. Era il 1601: alla sua esecuzione fecero quindi da possente paravento le mura della Torre di Londra.

di serraglio, e annoverò, fra l’altro, un inusuale elefante, donato da Luigi IX di Francia nel 1255. Salito al trono nel 1272, Edoardo I decise di proseguire i lavori iniziati dal padre. In un decennio completò la Torre Beauchamp, spostò piú avanti il fossato e costruí l’ennesima muraglia, concentrica alla precedente e dotata di due accessi: uno meridionale, dal corso d’acqua, sotto la Torre di San Tommaso (anche detta Cancello dei Traditori); e uno occidentale, da terra, comprensivo della Torre di Mezzo, di quella della Parola d’Ordine e della distrutta Torre dei Leoni con le gabbie per le fiere. L’approvvigionamento idrico fu inoltre agevolato dalla Torre del Pozzo, apparecchiata con scivoli per calare i secchi. Sette erano adesso gli ettari inespugnabili. Totale della spesa: oltre 21 000 sterline dell’epoca

(corrispondenti a circa 10 milioni di sterline odierne)! Logico che da quel costosissimo emblema della sovranità dovesse partire fra il 1236 e il 1685 lo sfarzoso corteo che si concludeva a Westminster Abbey per la proclamazione d’ogni re. Di converso, nella Tower of London si decise nel 1303 di trasportare dall’abbazia di Westminster i gioielli della Corona, che sono custoditi tuttora all’interno della caserma chiamata Waterloo Barracks. Il saccheggio di Wat Tyler Se un tempo erano i ponti levatoi a garantire il passaggio alla Torre di Londra, ora il cammino è fatto in muratura e conduce nel Water Lane, il vicolo dell’acqua sulla sponda del Tamigi: nel percorrerlo si giunge fino alla Torre dell’Invasatura, un ulteriore ingresso fluviale concepito da


Edoardo III (1327-1377) insieme alla ricostruzione della parte alta della Bloody Tower e all’ampliamento del Molo della Torre. La celebre Rivolta dei Contadini fece tremare nel 1381 quello che era il simbolo fisico e psicologico del dominio monarchico: le truppe rivoluzionarie di Wat Tyler saccheggiarono infatti la Tower of London, cancellando la debole opposizione della guarnigione reale. Attacco intenso ma breve, tanto che Riccardo II poté tornare nei suoi appartamenti della Torre Bianca, in cui si rifugiava nei periodi di lotte intestine. Lí, incolpato di tirannia, il 29 settembre del 1399 rinunciò al trono a favore di Enrico IV. Si apriva il Quattrocento, e si schiudeva il sipario sulle efferatezze di corte, lievitate dal 1455 con la Guerra delle due Rose (bianca per gli York e rossa per i Lancaster):

maltrattato per lunghi mesi dai carcerieri, Enrico VI venne infine assassinato nel 1471, mentre pregava nella Lanthorn Tower. Una specie di legge del contrappasso toccò invece nella Torre Bowyer a un altro detenuto di rango, Giorgio, duca di Clarence, che, nel 1478, finí per essere annegato in una botte della prediletta malvasia. Riccardo III, lo zio assassino Trascorse un quinquennio, e i figli non ancora dodicenni dell’appena defunto Edoardo IV furono destinati alla Torre di Londra sotto le cure dello zio Riccardo, duca di Gloucester. Il quale non esitò a ucciderli per eliminare fastidiose discendenze: e grazie al duplice delitto, entrò per sempre nel novero dei re e nella letteratura shakespeariana, col titolo di Riccardo III. L’abitudine a liberarsi

In alto riproduzione settecentesca della pianta della Torre di Londra disegnata nel 1597 da William Hayward e John Gascoigne. È evidenziata l’area in cui veniva allestito il patibolo per le esecuzioni. Nella pagina accanto l’esecuzione, davanti alla Torre di Londra, di Thomas Wentworth duca di Strafford nel maggio del 1641. di personaggi scomodi non cessò certo con il Cinquecento e il Seicento, tutt’altro: lo rammenta il Wall Walk, il cammino di ronda del lato orientale, dove si infittiscono i graffiti dei prigionieri, in attesa di un giudizio che, fra il XVI e il XVII secolo, sovente si traduceva nella pena capitale. Dai muri sprizzano decine e decine di «firme», frasi e disegni incisi nella roccia con la forza della fede o della disperazione: ricorrono per esempio gli autografi del prete gesuita Henry capitali del medioevo

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Londra Walpole o di Giovanni Battista Castiglione, precettore della principessa Elisabetta, assieme a quelli di Ambrose Rookewoode e di sir Everard Digby, cospiratori nella Congiura delle Polveri e perciò soppressi nel 1606. Un crogiuolo d’epigrafi è pure la Torre Beauchamp, riservata alle reclusioni di duchi, conti e lord, secondo un’usanza ben consolidata: qui Guildford Dudley trascorreva le lunghe ore della detenzione scolpendo nei conci litici il nome della sua sposa Jane Grey, regina per soli nove giorni nel luglio del 1553, fra la morte di Edoardo VI e l’ascesa di Maria la Cattolica. Marito e moglie, ventenne lui e sedicenne lei, finirono decollati.

prigionieri eccellenti Ecco una lista dei piú celebri personaggi detenuti nella Torre di Londra: •Giovanni di Scozia (1249 circa 1314) •Giovanni II di Francia (1319-1364) •Davide II di Scozia (1324-1371) •Sir William de La Pole (1396-1450) •Enrico VI d’Inghilterra (1421-1471) • Margherita d’Angiò, moglie di Enrico VI (1430-1482) •Tommaso Moro (1478-1535) •Anna Bolena (1501-7-1536) • Elisabetta I d’Inghilterra (1533-1603) Rinchiusa nella torre per due mesi nel 1554, per la sua presunta partecipazione alla ribellione di Wyatt. • Lady Jane Grey (1537-1554) Regnò per soli nove giorni, fu deposta e imprigionata da Maria la Cattolica fino alla sua esecuzione. • Maria Stuart (1542-1587) Imprigionata da Elisabetta I, che la fece giustiziare. • Guy Fawkes (1570-1606) Condannato per aver partecipato alla «congiura delle polveri», ordita da un gruppo di cattolici inglesi ai danni del re e del parlamento.

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• Walter Raleigh (1552-1618)

Avventuriero e scrittore, favorito di Elisabetta I, cadde in disgrazia con l’avvento di Giacomo I. • Niall Garve O’Donnell (1569-1626) • John Gerard (1564-1637) • Lord George Gordon (1751-1793) • Johan Anders Jagerhorn (1757-1825) La piú celebre evasione è quella del conte di Nithsdale, che fuggí dalla Torre travestito da cameriera con l’aiuto della moglie, nel 1716. La Torre di Londra fu utilizzata come prigione anche nel 1900, tra le due guerre. Roger Casement, nazionalista irlandese, fu detenuto per un breve periodo prima dell’impiccagione nel 1916. Rudolf Hess fu ospitato nella Torre per qualche giorno nel 1941, quando si recò a Londra per chiedere la pace. L’ ultimo prigioniero fu Josef Jakobs, una spia tedesca che qui venne giustiziata il 14 agosto 1941, e che, per la frattura di una caviglia, ebbe il privilegio di potersi sedere di fronte al plotone di esecuzione.

Travi e mattoni La prassi voleva ormai che traditori, oppositori e disturbatori della monarchia venissero tutti spediti nella famigerata torre. In cui aveva non a caso trascorso i suoi ultimi giorni Tommaso Moro, giustiziato nel 1535 con il vescovo Fischer di Rochester per non essersi allineato allo scisma anglicano. Era l’età dei Tudor, e i corpi di fabbrica venivano realizzati con travi frammiste a mattoni: si tratta di una tecnica edilizia tipica di quel periodo, lasciata archeologicamente in evidenza nel vano d’entrata del cosiddetto Palazzo Medievale, che raggruppa gli appartamenti della Torre di San Tommaso e della Torre Wakefield fino alla Torre della Lanterna. Rimaneggiato a piú riprese, il quartiere è stato riattato di recente in stile Edoardo I, con tanto di attori in costume che raccontano storie antiche sulla vita di corte fra camere di rappresentanza, aule private, stanze con caminetti, cappellette e la restauratissima sala del trono, dal soffitto a volta e dall’arredo posticcio e luccicante.

In alto graffiti incisi dai prigionieri della Torre di Londra tra il XVI e il XVII sec. Nella pagina accanto miniatura raffigurante il re Riccardo II condotto come prigioniero nella Torre di Londra, da un’edizione delle Chroniques di Jean Froissart. 1470-1475. Londra, British Library.


in carcere con tutto il seguito Non inganni il nome al singolare: la Tower of London, di torri vere e proprie, ne contiene una ventina. A pianta rotonda, rettangolare, quadrata o poligonale: ciascuna è composta da due o tre piani con relativi ambienti, dove spesso trovavano posto i residenti illustri. Gli ospiti piú importanti disponevano addirittura di un intero torrione, per albergarvi il proprio numeroso seguito di cortigiani e servitú. Non solo: in caso di ospitalità... coatta, i prigionieri appartenenti alla nobiltà o al clero potevano occupare anch’essi un’intera torre, con codazzo di inservienti e parenti. I reclusi altolocati risiedevano sovente in alloggi di qualità comparabile allo status, ed era in quelle prigioni dorate che talora si raccoglievano, quasi come se niente fosse, pure le loro famiglie. Fra i primi detenuti di rango ci fu il re di Scozia John Baliol, sconfitto da Edoardo I e imprigionato nella Torre del Sale fra il 1296 e il 1299, prima di essere esiliato in Francia. Nel 1358 la porta Coldharbour si spalancò dinanzi al re francese Giovanni II il Buono e a suo figlio, prigionieri di guerra. Dalla Porta dei Traditori dovette entrare nel 1554 persino la futura Elisabetta I, relegata per un paio di mesi nella Torre della Campana per il presunto complotto ordito alle spalle della sorellastra regnante, Maria I la Sanguinaria (o la Cattolica).

prossimità di Blackfriars), di Monfichet (in Ludgate Circus) e della possente Torre Bianca, il corpo primigenio di una fortezza che fra ripetuti ampliamenti divenne poi la celebre Tower of London (vedi box alle pp. 50-54). Il Port londinese stava ormai acquisendo la leadership sulle piazze commerciali britanniche, e il suo prestigio dovette aumentare quando Enrico II (1154-1189) istituzionalizzò a Westminster l’ufficio dello Scacchiere, il ministero delle finanze che controllava le entrate erariali su un apposito drappo a scacchi. Da Winchester, una sorta di «con-capitale» depositaria del tesoro regio, fu risucchiata la tesoreria: Londra coronava i regnanti, li accoglieva nel palazzo reale e, ora, amministrava concretamente il regno. Da un lato le ribolliva dentro la City, simbolo dell’emergente classe mercantile, e dall’altro le lievitava accanto Westminster, sede del governo e della religione ufficiale: alla convergenza degli interessi di monarchia, clero e borghesia, la città possedeva gli attributi di grande capitale.

Antiche libertà e libere consuetudini

Oltre a conseguire lo statuto civico nel 1131, le vennero riconosciuti altri privilegi fiscali e l’agognata indipendenza municipale, che nel 1191 istituiva il mayor a sostituire il vecchio portreeve (il balí del porto) e ad amplificarne le prerogative: non a caso, fra i venticinque mallevadori della Magna Charta libertatum del 1215, c’era proprio il potente sindaco londinese, e solo lui, a incarnare tutti gli empori d’Inghilterra. Nel testo ratificato da Giovanni Senza Terra si chiariva espressamente: «La città di Londra godrà di tutte le sue antiche libertà e libere consuetudini». L’inurbamento selvaggio aveva frattanto creato nei decenni una sorta di Babele d’Oltremanica. Una città bifronte, un po’ Dr. Jekyll e un po’ Mr. Hyde: il monaco Richard Devize denunciava sullo scorcio del XII secolo come per Londra si aggirassero persone d’ogni razza e nazione, e parassiti, attori, buffoni, ciarlatani, danzatrici del ventre, adulatori, mimi, estortori, stregoni, pederasti, maghi e mendicanti che andavano a ingrossare la parata dei furfanti e delle oscenità. Ma pure, nello stesso momento, Guillaume Fitz Stephen poteva elogiare la finezza degli abitanti di un luogo benedetto dal cielo, ricco e glorioso, dotato di clima salubre e ampie fortificazioni, di costumi eleganti e profonda religiosità, di uomini nobili e donne virtuose. Era forse il contrasto fra miseria e nobiltà di uno sviluppo urbanistico destinato a connotarsi tanto lussuoso e mondano nel West-End, quanto degradato e povero nell’East-End. capitali del medioevo

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A una terza specie doveva inoltre appartenere il sobborgo di Southwark, cresciuto sulla riva destra del Tamigi, subito al di là del ponte, per accogliere una folta brigata di prostitute. Il quotidiano meretricio finiva praticamente per assediare la chiesa che i monaci agostiniani avevano eretto nel 1106 sui resti di St. Mary Overie (cioè over the river), la futura e smagliante Southwark Cathedral. E nella sempiterna mistione di sacro e profano, passeggiando all’ombra dell’ospedale dedicato a san Tommaso Becket nel 1170, le lucciole si ritrovavano a bazzicare a fianco dell’attiguo palazzo del vescovo di Winchester. D’altronde, in quella caratteristica comunità, sottratta alla giurisdizione della City, era proprio il vescovo che rilasciava le licenze per esercitare la prostituzione e che stabiliva gli orari di lavoro...

Lane fiamminghe e vini francesi

«Business is business», e Londra attirava sempre piú numerose colonie di mercanti e finanzieri stranieri: i Tedeschi, che avevano costituito una filiale della loro Hansa nel 1157; i Fiamminghi, che commerciavano lana e tessuti; i Francesi, che importavano i vini di Guascogna; e soprattutto gli Italiani, abili banchieri, ricordati tuttora dalla centralissima Lombard Street. In tanta effervescenza finanziaria si imposero progressivamente le Guilds, corporazioni che

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proteggevano e regolavano specifici settori lavorativi, riunendosi nella Guildhall: in Gresham Street è rimasta un’enorme sala delle adunanze databile fra il 1411 e il 1435. Ogni giorno, merci e negoziatori si accalcavano vicino alla banchina portuale di Queenbite, mentre in Billings­ gate si teneva il rumoroso mercato del pesce, e Westcheap ed Eastcheap erano fiere permanenti: insomma, circolava parecchio denaro, propulsore di un fervore edilizio che vide fra il 1180 e il 1209 la ricostruzione del possente London Bridge, destinato a essere usato sino al 1834. Al viavai di cristiani vocianti si contrapponeva in periferia la quiete dei luoghi di preghiera, a coronare l’epicentro religioso di Old St. Paul, cresciuto dal 1087 sull’omonimo colle in forme romaniche. Presso Holborn, nel quartier generale dei Templari si ergeva Temple Church, deliziosa chiesetta ad avancorpo circolare, elaborata nel 1185 sul modello del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Nei paraggi sorgeva St. Clement Danes fin dal IX secolo, età di Alfredo il Grande e della ristrutturazione degli apprestamenti difensivi londinesi. Piú a nord erano St. Andrew e St. Etheldreda, che fungeva da cappella per la residenza dei vescovi di Ely. E nel confinante West Smithfield si trovava dal 1123 St. Bartholo-


In alto la ricostruzione del moderno London Bridge, in un disegno acquerellato di Gideon Yates (1790-1840). Nella pagina accanto veduta del nuovo ponte alla fine del XIX sec. La struttura fu costruita tra il 1823 e il 1831.

mew-the-Great: a fondare la chiesa fu Rahere, giullare di corte di Enrico I (1100-1135), convertitosi al monachesimo a causa della visione notturna di san Bartolomeo che lo salvava da un mostro alato.

La città moderna prende forma

Nell’articolarsi di funzioni e strutture urbanistiche, Londra andava definendo la sua forma, e il Duecento e il Trecento furono decisivi. L’allineamento di complessi residenziali lungo la Strand del Tamigi saldò pian piano la City e Southwark a Westminster, deputato pure alle sedute parlamentari: la Westminster Hall mantiene l’impianto planimetrico del 1097 e il soffitto a travi sporgenti del XIV secolo, in un palazzo che è stato rimaneggiato piú volte e completato nel 1870. Era dai tempi di Edoardo I (1272-1307) che esistevano le due tradizionali Camere: quella Alta o dei Lords, per i nobili del regno e i dignitari della Chiesa; e quella Bassa o dei Comuni, che accoglieva due cavalieri da ogni contea e due cittadini eminenti da ogni città. Il mosaico era completo: per la sua complessa stratificazione sociale e politica, per il livello economico raggiunto e per l’apertura all’Europa, Londra aveva in sé tutti i crismi di una modernità radicata nella sua storia.

Dove e quando torre di londra Orario marzo-ottobre: ma-sa, 9,00-17,30, do-lu, 10,00-17,30 novembre-febbraio, ma-sa, 9,00-16,30, do-lu, 10,00-16,30 Info www.hrp.org.uk (info anche in italiano) museum of london 150, London Wall Orario tutti i giorni, 10,00-18,00 Info www.museumoflondon.org.uk; www.visitlondon.com/it/ national gallery Trafalgar Square Orario tutti i giorni, 10,00-18,00 (venerdí fino alle 21,00) Info www.nationalgallery.org.uk (info anche in italiano) the british museum Great Russell Street Orario tutti i giorni, 10,00-17,30 (venerdí fino alle 20,30) Info www.britishmuseum.org (info anche in italiano)

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L’orgoglio di di Francesco Colotta

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Il piú insigne monumento medievale di Edimburgo è la poderosa fortezza innalzata sulla collina di Castle Rock. Un presidio strategico decisivo, intorno al quale si sviluppò la capitale del fiero regno di Davide I e dei suoi successori

Una veduta del castello di Edimburgo, costruito sulla collina di Castle Rock, sulla quale, nel X sec., si sviluppò anche il primo nucleo della città.

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ons Meg, il cannone medievale lungo piú di 4 m, domina ancora la città dall’alto, ma non esplode da tempo i micidiali proiettili da 180 kg. Nel 1558, uno dei suoi spari celebrò il matrimonio di Maria Stuarda con il delfino di Francia Francesco II nel castello di Edimburgo, il luogo in cui molti secoli prima la storia dell’antica capitale scozzese aveva avuto inizio. Tutto nacque a 250 m d’altezza, in cima a una roccia di origine vulcanica, dove nell’Alto Medioevo sorgeva un edificio chiamato Din Eidyn, la «fortezza di Eidyn». A chi si riferisse quel nome, però, è ancora incerto, forse a un monarca dei Gododdin, popolazione della Britannia nord-orientale del V secolo oppure a un re della Northumbria. Presto, intorno a quella struttura, prese forma un villaggio con i poteri di una piccola monarchia indipendente verso il quale diressero le mire gli Angli della Bernicia. Le testimonianze archeologiche, però, suggeriscono che solo nel X-XI secolo si sviluppò in loco una prima struttura urbana sormontata da un vero e proprio castello, nel periodo dell’ascesa del re Malcolm II.

Quella visione che salvò il re

Nel secolo successivo la giovane Edimburgo divenne il cuore politico del regno per espresso volere del monarca Davide I di Scozia, che fissò nel maniero sua residenza, preferendolo a Dunfermline. Il sovrano, figlio della futura santa Margherita del Wessex, aveva una profonda sensibilità religiosa e fece costruire nel nuovo centro del potere regio una cappella romanica che tuttora rappresenta l’edificio piú antico della città. Dotò il borgo anche di un grande eremo, la sontuosa abbazia di Holyrood, che la leggenda afferma sia stata edificata in seguito a una visione mistica: il sovrano, attaccato da un cervo, aveva visto una croce apparire tra le corna dell’animale e, grazie a quel prodigio, era riuscito a salvarsi. Per omaggiare la Provvidenza concepí, allora, l’eremo di cui ora restano solo alcune rovine sul cosiddetto Royal Mile, l’insie-

In alto pianta a volo d’uccello di Edimburgo, dal Civitates Orbis Terrarum di Franz Hogenberg e Georg Braun. 1572-1616.

me di strade che collegano il castello con il sito dell’abbazia adiacente al cinquecentesco Holyrood Palace. A Edimburgo, alle soglie del XIII secolo, una popolosa comunità di mercanti viveva sul pendio della collina, nei cosiddetti tofts (o burgages), lotti concessi con l’obbligo di costruire nel terreno una casa entro un anno e un mese. Si formò, di conseguenza, una lun-

le date da ricordare X-XI sec. XI-X sec. a.C. Primi insediamenti Sorge una nell’area della città. struttura urbana munita di un castello. VIII sec. d.C. Sul luogo di un abitato romano nasce un nuovo borgo.

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XII sec. Costruzione della Saint Margaret’s Chapel.

1128 Davide I fonda l’Holyrood Abbey (l’Abbazia del Santo Crocifisso).

1120 Sulle rovine di una chiesa del IX sec. sorge S. Egidio, la cattedrale di Edimburgo.

XIII sec. Prima guerra d’indipendenza scozzese nei confronti degli Inglesi, innescata dalle rivolte popolari guidate da William Wallace. XIV sec. In seguito alla conclusione della seconda guerra d’indipendenza Davide II fa restaurare la rocca, ormai tornata sotto il controllo scozzese.


A destra litografia ottocentesca nella quale si immagina il messaggero del re di Scozia Robert Bruce (1274-1329) che comunica una dichiarazione di sfida al sovrano inglese Edoardo III (1312-1377).

XVI sec. John Knox, a capo del movimento protestante, si scontra con la cattolica Maria Stuart. La popolazione della cittĂ supera le 12 000 unitĂ . 1558 Nel castello di Edimburgo viene celebrato il matrimonio tra Maria Stuart e Francesco II di Francia.

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Edimburgo ga direttrice commerciale che scendeva a valle, mentre un altro nucleo di abitazioni cominciava a spuntare intorno all’abbazia di Holyrood, dando vita all’area di Canongate. Dal punto di vista mercantile la giovane città si mise presto in competizione con le piú ricche Stirling, Perth e Berwick. Alla fine del XIII secolo, dopo l’occupazione inglese, scoppiò la prima guerra d’indipendenza scozzese sulla scia dalle rivolte popolari guidate dal condottiero William Wallace. I patrioti ottennero ripetute vittorie, fino alla morte del loro leader. A raccoglierne il testimone, al comando della resistenza contro l’espansionismo di Londra, fu Robert Bruce che, incoronato monarca di Scozia, continuò la serie di successi del suo predecessore. Una clamorosa

L’abbazia del santo crocifisso Una testimonianza importante del Medioevo scozzese si può rintracciare nelle vicinanze del castello, lungo la Royal Mile: si tratta dei resti della Holyrood Abbey, l’abbazia del «Santo Crocifisso» fondata nel 1128 dal re Davide I. Fu per un periodo gestita da un gruppo di canonici agostiniani e in seguito ospitò anche alcune riunioni del parlamento scozzese. Nel Cinquecento l’abbazia subí gravi danneggiamenti e un secolo piú tardi fu distrutta. Diverse proposte, anche recenti, di ricostruire l’edificio medievale sono cadute nel vuoto. Della struttura originaria rimangono ancora una delle torri d’ingresso, la navata destra, il portale e i resti di alcune lapidi.

In alto veduta aerea dei resti dell’abbazia di Holyrood (XII sec.) e dell’attiguo palazzo reale, di aspetto cinquecentesco, oggi residenza ufficiale in Scozia dei sovrani britannici. A sinistra le rovine del complesso abbaziale, gestito nel Medioevo da una congregazione agostiniana, e che divenne anche sede delle riunioni del parlamento scozzese.

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impresa si rivelò la riconquista della rocca di Edimburgo. Nel 1314 il nipote di Bruce, Thomas Randolph, sorprese i nemici impiegando un manipolo di appena 30 uomini, secondo quanto riportato da un poema narrativo trecentesco di John Barbour.

Come il cavallo di Troia

Con l’affermazione a Bannockburn nello stesso anno e in altre battaglie, la guerra di liberazione di Bruce procedette a gonfie vele, parallelamente alla crescita di Edimburgo, che ormai dominava su gran parte della campagna circostante. Di fatto la città poteva essere considerata il centro piú importante del regno, la sua capitale morale. La morte del condottiero sul campo, quindici anni piú tardi, segnò il minaccioso ri-

torno degli Inglesi che riconquistarono il territorio perduto stabilendo il proprio governo a Edimburgo. Tuttavia, nel 1341, la rocca tornò in mano scozzese grazie a una nuova sortita, che sembra evocare lo stratagemma del cavallo di Troia. Uno sparuto gruppo di indipendentisti, guidati dal nobile William Douglas, si nascose in un carro destinato a rifornire le guardie della fortezza di foraggi e altre forniture. Non appena il veicolo ebbe varcata la porta del maniero, gli armati balzarono fuori e presero di sorpresa la guarnigione inglese, in tutto piú di 100 effettivi, trucidandola. Dopo la fine della seconda guerra d’indipendenza, nel XIV secolo, Edimburgo rimase sotto il controllo scozzese e del suo sovrano Davide II, che promosse il restauro della rocca. In que-

Veduta dal castello di Edimburgo sulla zona del Royal Mile, la rete di strade che, fin dal Medioevo, collega la rocca al sito in cui sorge il palazzo reale di Holyrood.

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i secoli di una fortezza

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a rocca di Edimburgo fu concepita nell’XI secolo, ma la maggior parte della struttura ha subito radicali rimaneggiamenti a partire dal Cinquecento. L’edificio piú antico del complesso è la Saint Margaret’s Chapel, edificata nel XII secolo in stile normanno e rimasta intatta. Lo splendido bastione di difesa che sporge sul versante orientale della fortezza, la Half Moon Battery, prese il posto nel 1588 della trecentesca David’s Tower di cui conserva qualche elemento. A est del cortile principale del castello, la quattrocentesca Crown Square, si trovano alcuni appartamenti reali dello stesso periodo, i King’s Lodging, che comprendono la camera in cui la regina Maria Stuarda partorí il futuro sovrano di Scozia Giacomo VI, poi divenuto Giacomo I d’Inghilterra. A sud della Crown Square, invece, si trova la cinquecentesca Great Hall, grande salone da pranzo utilizzato anche per le

riunioni del parlamento scozzese fino al 1639. Un’altra sala celebre del castello è la Crown Room che custodisce gli antichi gioielli della corona scozzese. Di fabbricazione medievale, infine, è il Mons Meg, gigantesco cannone fabbricato in Belgio nel XV secolo.

Qui sotto un complesso bandistico delle Royal Scots Dragoon Guards nel cortile del castello di Edimburgo che ospita la statua equestre del generale scozzese Sir Douglas Haig (1861-1928).

LA PIETRA DEL DESTINO Una delle attrazioni del castello di Edimburgo è la Pietra del Destino (Stone of Destiny), una lastra in arenaria rossa incastonata nel trono utilizzato fino al XIII secolo per l’incoronazione dei re di Scozia (foto qui accanto). Secondo una leggenda, Giacobbe, posando il capo su quel sasso, aveva avuto una visione. Si credeva anche che la pietra possedesse poteri sovrannaturali.

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In alto il complesso di edifici che compongono la fortezza di Edimburgo: 1. Palazzo Reale; 2. Porta d’ingresso; 3. Half Moon Battery; 4. Mons Meg; 5. Great Hall.

In basso il Mons Meg, il colossale cannone di fabbricazione belga, donato al re di Scozia da Filippo il Buono. XV sec. Lungo 4 m, poteva sparare colpi del peso di 180 kg.

gli anni, scrisse il cronista francese Jean Froissart, il borgo era composto da circa 400 abitazioni e somigliava vagamente a una piccola Parigi. Nel Quattrocento, con l’avvento degli Stuart, la vita politica del regno si svolgeva quasi interamente nell’area del castello. L’incoronazione dei re, infatti, avveniva nell’abbazia di Holyrood e le sedute del parlamento si tenevano spesso nella rocca. Verso la fine del Medioevo la crescita urbanistica fu ancor piú significativa di quella politica. Una lunga cinta muraria circondava il centro storico, estendendosi fino alla zona di Netherbow a est e di Grassmarket a sud, un’area ad alta densità abitativa. Il poco spazio disponibile aveva obbligato gli architetti dell’epoca a sviluppare quella zona in altezza costruendo case strette e lunghe che arrivavano anche a 6 piani, una fisionomia ancora visibile in alcune palazzine dell’attuale Old Town.

Gli intrighi della «cena nera»

Nel castello, intanto, continuava a non regnare la pace. Dopo gli assedi inglesi, al suo interno si consumò una resa dei conti tra fazioni rivali dell’aristocrazia scozzese. Il clan Douglas, con gloriose tradizioni di famiglia nelle guerre di indipendenza, aveva conquistato un tale potere politico da oscurare la figura del re e dei nobili a lui piú vicini. Due giovani espocapitali del medioevo

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Edimburgo

LA CATTEDRALE di s. egidio Dedicata a S. Egidio, la cattedrale di Edimburgo ha una storia molto antica. Il sito che occupa, lungo il Royal Mile, ospitava infatti una chiesa fin dal IX secolo. L’odierna cattedrale sorse, invece, intorno al 1120 come parrocchiale e in quel periodo apparteneva alla congregazione dei Vincenziani. Lo stile romanico-normanno delle origini venne in modo progressivo soppiantato dal gotico, ancora evidente nelle sembianze della torre quattrocentesca e degli interni.

nenti di quel clan subirono un’imboscata durante la macabra Black Dinner («cena nera»), organizzata per celebrare i dieci anni di governo del monarca Giacomo II. Finito il pasto, i due Douglas si videro servire un’agghiacciante pietanza, la testa nera di un toro, che in sostanza preannunciava la loro morte. Gli ospiti, infatti, sottoposti a un rapido processo nei cortili della rocca, vennero decapitati. I parenti delle vittime reagirono duramente all’omicidio dei due ragazzi assediando armi in pugno il castello che subí gravi danni. Qualche anno piú tardi nella fortezza si consumò un altro intrigo. Nel 1479 Alexander Stewart duca di Albany, fratello del sovrano Giacomo III, fu rinchiuso nella torre di Davide perché sospettato di voler ordire un complotto. Il prigioniero, però, riuscí a distrarre la sorveglianza facendo ubriacare le guardie e poi si calò da una finestra con una corda.

L’arma segreta

Alla fine del Medioevo il castello di Edimburgo si trasformò in un arsenale e disponeva di un’arma gigantesca, il già ricordato Mons Meg, 66

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tori della Riforma. I protestanti, guidati dal predicatore calvinista John Knox, la guardavano però con sospetto e cercarono subito di delegittimarne l’autorevolezza politica. E nel corso della festa popolare organizzata per il suo ingresso in città diedero vita a una pesante contestazione lungo la strada verso il castello. Maria, dopo varie vicissitudini, dovette abdicare e, in seguito, fu condannata a morte dalla regina di Inghilterra Elisabetta I, sua cugina. Il figlio che la sovrana scozzese aveva partorito proprio nei locali della rocca, Giacomo VI, non seguí, da grande, le orme della madre e si mostrò servile nei riguardi dei monarchi d’Inghilterra. Non ne trasse giovamento Edimburgo, la cui corte fu trasferita a Londra.

Gelosa della propria autonomia

In alto la facciata della cattedrale di Edimburgo, dedicata a sant’Egidio, che si trova al centro del Royal Mile. Costruita nel XII sec., è la chiesa piú grande della città. Nella pagina accanto il soffitto decorato della novecentesca Cappella Thistle della cattedrale, sede dell’antico Ordine cavalleresco del Cardo.

un cannone di costruzione belga del peso di oltre 6 t, lungo 4 m e alto quasi 3. Era stato donato al re di Scozia dal sovrano di Borgogna Filippo il Buono, si dice, per dotare di una bombarda micidiale uno dei principali nemici dell’Inghilterra. Il cannone sprigionava una tale potenza di fuoco da poter essere usato al massimo dieci volte in una giornata e, malgrado il peso, poteva essere spostato all’occorrenza nelle zone del regno in cui infuriavano i conflitti. Secondo diversi storici, fu usato per la prima volta nel 1460, non a Edimburgo, ma nella rocca di Roxburgh durante una battaglia contro gli Inglesi.

La guerra di Maria Stuarda

All’inizio del Rinascimento la città fu travolta da nuove turbolenze. Nel pieno dei movimenti e delle rivolte protestanti, tornò in patria la cattolicissima regina Maria Stuarda, dopo un periodo di esilio forzato in Francia. Incoronata da bambina, in seguito alla morte del padre Giacomo V, era rientrata nel 1561 in Scozia per esercitare i diritti di sovranità sul suo Paese, contando di ottenere anche il sostegno dei fau-

La città conservò, comunque, il primato di luogo piú popoloso della Scozia e la sua forza commerciale. Nel XVI secolo il numero degli abitanti superava le 12 000 unità, senza contare i distretti del porto di Leith e le campagne circostanti. I mercanti locali controllavano il consiglio della città e spesso riuscivano a svincolarsi dal centralismo del governo di Londra, tanto da obbligare i monarchi inglesi all’utilizzo di speciali agenti per imporre di nuovo la loro autorità. La vecchia capitale non conobbe pace nemmeno nei due secoli successivi, investita di nuovo da guerre di religione, dai raid delle truppe del lord protettore Oliver Cromwell e dalle rivolte giacobite. Nel Settecento la Old Town medievale, decadente e malsana, fu in gran parte abbandonata da nobili e mercanti, che si trasferirono nei piú vivibili quartieri di nuova costruzione. L’aspetto medievale della città, tuttavia, restò intatto e non venne stravolto nemmeno in epoca contemporanea nonostante le discutibili commistioni tra antico e moderno.

Dove e quando castello di edimburgo Orario aprile-settembre: tutti i giorni, 9,30-18,00; ottobre-marzo: tutti i giorni, 9,30-17,30 Info www.edinburghcastle.gov.uk; www.visitscotland.com/it cattedrale di s. egidio Royal Mile Orario ottobre-aprile: lu-sa, 9,00-17,00; do, 13,0017,00 (e durante la celebrazione delle messe) maggio-settembre: lu-ve, 9,00-19,00; sa, 9,00-17,00; do, 13,00-17,00 (e durante la celebrazione delle messe) Info www.stgilescathedral.org.uk; www.visitscotland.com

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Il piú bel libro del Medioevo di Vito Bianchi

Un tempo capitale vichinga, Dublino conserva nella sua leggendaria biblioteca un documento straordinario della prima letteratura cristiana nordeuropea: il Book of Kells, un vangelo datato tra l’VIII e il IX secolo

L’immensa biblioteca del Trinity College di Dublino, istituto universitario fondato nel Cinquecento dalla regina Elisabetta I (1533-1603) al fine di diffondere la cultura protestante in Irlanda. Tra i volumi piú preziosi conservati tra i suoi scaffali spiccano il Book of Kells e una delle prime edizioni della Divina Commedia.

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xcalibur e Braveheart. Ma anche Barry Lindon, Salvate il soldato Ryan e Cuori ribelli: l’Irlanda è una terra da Oscar. Capace di offrire ai set cinematografici lo smeraldo dei suoi prati e la mutevolezza dei suoi cieli. Sono gli effetti speciali di una natura intensa e per lunghi tratti incorrotta, fatta di boschi, scogliere, corsi fluviali, insenature. Dublino, la capitale, è cresciuta in faccia al Galles, incuneandosi in una baia che riceve le acque del fiume Liffey, sul Mare d’Irlanda. A settentrione la penisola di Howth, a meridione il promontorio di Dalkey. Era una zona frequentata probabilmente sin dall’età neolitica. Gli autoctoni, la cultura gaelica, la prima cristianità non dovettero mancarle. Tuttavia, solo alla metà del IX secolo vi si stabilí una comunità piú consistente: una piazzaforte vichinga via via sempre piú numerosa e stabile, dimore di legno e paglia aggrumate nel Baile Atha Cliath, la «città del guado di graticci». Le indagini archeologiche hanno rivelato in piú punti, i resti di un terrapieno e di robuste palizzate che, alla destra del Liffey, costituivano l’originario sistema difensivo di un borgo «straniero» (e dunque inviso agli Irlandesi), che verosimilmente spazzò via un precedente monastero. La tradizione vorrebbe che lí esistesse un Dubh-Linn, uno «stagno nero» – da cui il nome della città –, corrispondente all’attuale DubhLinn Garden, di fianco alla Chester Beatty Library: in quest’area sono state scoperte numerose tombe di guerrieri vichinghi, inumati con il loro corredo d’armi.

Un’isola frammentata

Di fatto, il nuovo stanziamento divenne una delle basi marittime da cui i Vichinghi partivano per effettuare scorrerie nell’entroterra, in un’isola frammentata dalle tante tuatha, le tribú dell’antica società celtica: ciascuna col suo territorio, il suo capo, i suoi druidi, la sua aristocrazia guerriera ricca di terre e bestiame, i suoi contadini e i suoi artigiani. La cultura dei Celti

Il primo nucleo urbano della futura Dublino prese forma nel IX secolo, con l’arrivo dei Vichinghi

le date da ricordare VI sec. San Kevin fonda il monastero di Glendalough, a sud del sito di Dublino.

1014 Battaglia di Clontarf, nei pressi di Dublino. Brian Boru sconfigge i Vichinghi, ma muore nello scontro.

IX sec. Una fortezza danese occupa l’area dell’odierna Dublino.

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1170 Conquista anglonormanna. Poco anni dopo l’Irlanda è sottomessa da Enrico II d’Inghilterra, che elegge Dublino a sede del governo dell’isola.

1038 Fondazione della Christ Church Cathedral, completata nel secolo successivo.

1190 Sorge la cattedrale di St. Patrick, nel leggendario luogo del «Pozzo di San Patrizio».

1185 Viene eretto il castello di Malahide, appartenente alla famiglia dei Talbot, pochi chilometri a nord di Dublino.


A destra la cattedrale di Christ Church, ricostruita nell’Ottocento su una precedente struttura in legno risalente all’epoca del re vichingo-gaelico Sigtrygg Barba di Seta (XI sec.). Nella pagina accanto mappa di Dublino in una edizione del Civitates Orbis Terrarum di Franz Hogenberg e Georg Braun. 1572-1616. Londra, British Library. In basso i simboli mistici dei quattro Evangelisti nella pagina introduttiva del Book of Kells. VIII-IX sec. Dublino, Trinity College.

un capolavoro in 340 fogli Alla Old Library del Trinity College di Dublino è custodito il piú bel libro dell’Alto Medioevo, il Book of Kells: 340 fogli traboccanti di meraviglie, ai quali lavorarono almeno quattro miniaturisti e tre amanuensi. A loro si devono i circa 2000 capolettera finemente decorati, e le 40 pagine di miniature lussureggianti, con motivi astratti, effigi degli Evangelisti e figure del Vangelo resi in forme e colori mirabili. C’è però incertezza sullo scriptorium che produsse un simile capolavoro, databile fra l’VIII e il IX secolo: la maggior parte degli studiosi è orientata per un centro culturale collocabile presso l’isola di Iona, nelle Ebridi. Altri ne assegnano la fattura a Kells, altri ancora alla Scozia. Nei fatti, è un volume che conferma il sublime livello dell’arte miniaturistica nordeuropea.

XIII sec. Edificazione del Dublin Castle, di origine anglo-normanna e piú volte modificato nel corso del tempo. 1591 La regina Elisabetta I promuove la fondazione del Trinity College.

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era sopravvissuta perché i Romani avevano ritenuto inutile, economicamente e politicamente, sottomettere l’Hibernia (come era chiamata in latino l’Irlanda). Al contrario, alle soglie del Mille gli invasori scandinavi ne avevano intuito l’importanza strategica per i traffici e la pirateria. Sicché la rada dublinese, cosí ben ritagliata nella costa e cosí ben protetta, apparve un approdo irrinunciabile per Norvegesi e Danesi, che fecero di tutto per conservarne il possesso, di fronte alle effimere reazioni degli indigeni, sparpagliati in troppi e litigiosi clan per costituire un reale pericolo.

Il primo re supremo

Soltanto fra X e XI secolo, il condottiero Brian Boru fu capace di coordinare sotto il proprio comando schiere ingenti di Irlandesi. Divenne dapprima re di una tuath alla foce dello Shannon, e poi, dopo aver battuto le milizie vichinghe a Sulcoit, nel 976, assunse nel 1002 la carica di ard righ, una sorta di «re supremo» di stanza a Tara, scalzando il legittimo detentore del titolo, Mael Sechnaill. L’intento era quello di imporre e stabilizzare un forte governo centrale. La reazione dei Vichinghi di Dublino si tradusse nell’allestimento di un esercito rafforzato non solo da guerrieri provenienti dall’isola di Man e dalle Orcadi, ma anche da diversi contingenti inviati dalle tuatha ribelli all’ard righ. La battaglia di Clontarf, nei dintorni dublinesi, se serví ad allentare la pressione degli Scandinavi, segnò nel 1014 la morte di Brian Boru e il naufragio del progetto di unificazione irlandese. Da quel momento, tuttavia, nel regno di Dublino la componente vichinga prese ad amalgamarsi col substrato locale, grazie anche alla conversione al cristianesimo. In questa fase si verificò un ampliamento dell’abitato, che si sviluppò attorno alla Christ Church Cathedral, fondata verso il 1038 (per essere completata nel XII secolo e restaurata nel 1877). Frammenti architettonici medievali sono ancora affastellati nella cripta, scorie di avvenimenti plurisecolari, espressi pure dalla varietà del cospicuo Tesoro. Una suggestiva cappella custodisce inoltre le reliquie del patrono, St. Laurence O’Toole. Altri monumenti sepolcrali, consunti dal tempo, sono riferiti dalla leggenda a personaggi eminenti, come il celebre 72

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la dublino dei vichinghi Il Calice di Ardagh, il Pastorale di Clonmacnoise, il Fermaglio di Tara: il National Museum of Ireland di Kildare Street possiede molti manufatti preziosi, ma anche materiali curiosi rinvenuti negli scavi archeologici della Dublino medievale. Nelle sezioni riservate agli oggetti del «Potere», del «Lavoro» e della «Preghiera» si trovano, per esempio, calzature per ogni piede, oppure contenitori che conservano ancora il burro (un po’ indurito...) di sei o settecento anni fa, in alternanza con vasellame e reperti vari. Ad attirare il pubblico è poi soprattutto la mostra sull’insediamento vichingo di Dublino, con una tipica imbarcazione, i corredi femminili, le armature, lo scheletro di un guerriero riproposto in tutta la sua lunghezza, e i resti di schiavi in catene: indizio dei commerci del tempo.

In basso il calice di Ardagh, in argento con ornamenti d’oro, rinvenuto per caso nel 1868 da un contadino della contea di Limerik. VIII sec. Dublino, National Museum of Ireland.

A destra lo splendido pastorale in bronzo dorato e argento degli abati di Clonmacnoise, risalente all’era vichinga. XI sec. Dublino, National Museum of Ireland.


Strongbow, che nel 1170 s’impadroní di Dublino, per cederla quasi subito al re d’Inghilterra Enrico II. Con il potere in mano a Hugh de Lacy, per la città cominciò il periodo «anglo-normanno», caratterizzato dall’apertura a coloni provenienti da Bristol. Nel cosiddetto Pale (il Recinto), alla rappresentanza inglese venne unito un parlamento irlandese, e in quell’epoca si pose mano al Dublin Castle, realizzato con quattro torrioni angolari nel settore orientale della cinta urbica. La possanza della costruzione è visibile soprattutto nella Record Tower, rimasta quasi intatta. La Birmingham Tower, invece, è stata ingentilita da una spalmata di colore azzurro, mentre della Powder Tower e della Cork Tower non rimangono che esigue porzioni, appena riconoscibili fra le addizioni delle architetture georgiane che conferiscono alla capitale l’odierna fisionomia. Dalle membrature urbanistiche sette e ottocentesche si stacca nettamente il tempio di St. Audoen, svettante su un ampio giardino, vicino all’omonimo arco che immetteva al lungo-fiume. L’intitolazione a un santo caro ai Normanni come Audoeno e la fattura del portale assegnano la chiesa al XII-XIII secolo, allorché Dublino ebbe un’ulteriore espansione urbanistica. Nel fermento edilizio sorse intorno al 1190 la cattedrale di St. Patrick, successivamente corredata dal campanile trecentesco con cuspide settecentesca. Al di là della credenza che vi vedrebbe il luogo del «Pozzo di San Patrizio», la chiesa accoglie uno scenografico coro con la Lady Chapel del XIII secolo, insieme a tutta una serie di arredi e monumenti piú recenti, fra cui il Boyle Monument del primo Seicento e il sepolcro di Jonathan Swift, autore dei Viaggi di Gulliver, che qui fu decano dal 1713 al 1745.

Un polo di cultura protestante

Del resto, la passione per la letteratura sfiora a Dublino la venerazione. Nella patria di Joyce e di Wilde, di Yeats e Beckett, di Sheridan e Shaw, come pure di Bram Stoker (l’ideatore di Dracula), fra musei, statue, targhe, lapidi e intestazioni collocate per ogni dove in onore degli scrittori dublinesi, si avverte per i libri una devozione quasi cultuale, che parrebbe avere origini remote. Il Book of Kells, considerato il piú bel manoscritto miniato prodotto dalla civiltà europea nell’Alto Medioevo (vedi box a p. 71), è la gemma del Trinity College, la grande università istituita nel 1591 dalla regina Elisabetta con un Charter reale, allo scopo di creare in Irlanda un polo di cultura protestante.

A quel tempo Dublino poteva ben dirsi un centro anglo-irlandese, nonostante le resistenze e le ricorrenti sommosse anti-britanniche che per secoli agitarono le vicende cittadine e nazionali, appigliandosi talora al sentimento religioso peculiare in un’isola che aveva vissuto l’intensa diffusione del cristianesimo celtico. Delle predicazioni che san Patrizio, san Columba e san Columbano praticarono dal V-VI secolo, e dell’evangelizzazione propagata nelle antiche province gaeliche è testimone il monastero di St. Kevin a Glendalough, a sud di Dublino. Immersi nelle campagne, i resti di case, officine, chiese e oratori altomedievali, inglobati nei giri di mura tipici dei villaggi celtici, si alternano alle centinaia di tombe attirate dalla sacralità del suolo. Su tutto s’erge l’alta Round Tower, che assolveva alle funzioni di avvistamento, protezione delle persone e custodia dei beni. In piú di un caso, il tetto delle abitazioni e dei laboratori artigianali è scomparso, perché di paglia. Nondimeno, simili coperture sono tuttora in uso a Malahide, sobborgo facilmente raggiungibile a nord di Dublino. Era, questo, agro dei Talbot, il cui castello, eretto nel 1185 e ristrutturato in varie circostanze, domina oggi un parco enorme, a breve distanza dalla costa.

case «polifunzionali» L’archeologia dublinese ha permesso di ricostruire l’aspetto delle dimore vichinghe. Avevano forma grossomodo rettangolare, ed erano realizzate con intelaiatura in legno e cannucciata, e tetto in paglia. Due ingressi, principale (1) e retrostante (2), si aprivano sui lati brevi. L’interno, scandito longitudinalmente, prevedeva una parte centrale per il transito e l’accensione del fuoco (3), e due ali leggermente sopraelevate (5), per lavorarvi di giorno e dormirvi di notte. Gli angoli (4) erano infine adibiti a ripostiglio, in unità abitative dove si svolgeva gran parte della vita lavorativa e familiare dei Vichinghi di Dublino.

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In alto cattedrale di S. Patrizio. Particolare del Boyle Monument, realizzato nel 1632 su iniziativa del conte di Cork Richard Boyle e raffigurante alcuni membri della sua famiglia. A destra scultura che ritrae il re irlandese Brian Boru (941-1014), nel castello di Dublino. Il monarca sconfisse i Vichinghi nella battaglia di Clontarf del 1014, salvando il proprio Paese dalla dominazione scandinava, ma trovò la morte nello scontro. 74

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Nel gioco delle maree, il litorale dublinese sa esaltare il fascino del quartiere portuale di Dún Laoghaire, oppure la solitudine della torre di Sandycove, la Martello Tower, eretta nel 1804 per prevenire gli attacchi di Napoleone, ed eternata nella descrizione dell’Ulysses joyciano.

Anche il rock tra le glorie nazionali

Non lontano sta Dalkey, frazione marittima che nel Quattrocento costituiva uno fra gli approdi piú importanti di Dublino: al tardo Medioevo rimontano infatti un paio di tower houses che si levano per le vie ridenti e tranquille, nelle quali è facile incontrare i fan che cercano la casa di Bono Vox, il cantante del gruppo rock degli U2: altra icona nazionale, immortalata in un quadro della National Gallery of Ireland, tra i personaggi che hanno marcato l’identità irlandese. Neanche cento anni sono trascorsi da quando, nel 1921, l’Irlanda è divenuta Repubblica, affrancandosi dalla Gran Bretagna. L’orgoglio nazionale è ancora forte, e i cartelli recano sempre la doppia dicitura, in inglese e in un gaelico (di ceppo comune a quello scozzese),


In alto, a destra la Torre per gli annali, una delle poche parti originarie del castello di Dublino che a oggi si conservino. XIII sec.

che è lingua ufficiale dell’Eire. Eppure Dublino, la capitale, ha conosciuto i Gaeli non meno dei Vichinghi, dei Normanni e degli Inglesi. Ha subito nel Trecento l’invasione di Edward Bruce, la Peste Nera, i provvedimenti di Riccardo II che accentuavano la soggezione alla corona inglese. Ha vibrato per le rivolte nel 1486 di Lambert Simnel e nel 1534 di lord Thomas Fitzgerald. Ha goduto dell’atteggiamento filocattolico degli Stuart, ha patito le angherie di Oliver Cromwell e ha accolto benevolmente Giacomo II, cacciato dall’Inghilterra con la rivoluzione dei whigs (1688). Ha prosperato, infine, grazie al consolidarsi, nel Settecento, di una vivace imprenditoria. Il National Museum di Kildare Street, a fianco della Leinster House che ospita Camera e Senato, riassume il passato dublinese con le sue collezioni dedicate in buona parte al Medioevo, epoca nodale per la genesi cittadina. Talché non si può dubitare che la «giustezza» d’una metropoli moderna e comunque a misura d’uomo sia scaturita dall’efficace melting pot di genti e culture fermentato proprio in quel crogiuolo che fu per Dublino l’Età di Mezzo.

Dove e quando dublin castle (castello di dublino) Orario lu-sa, 10,00-16,45; do, 12,00-16,45 Info www.dublincastle.ie cattedrale di Christ Church Christchurch Place, Dublin 8 Orario mar-mag: lu-sa, 9,00-18,00; do, 12,30-14,30 e 16,30-18,00; giu-set: lu-sa, 9,00-19,00; do, 12,30-14,30 e 16,30-19,00; ott-feb: lu-sa, 9,0017,00; do, 12,30-14,30 Info www.christchurchdublin.ie cattedrale di s. patrizio Saint Patrick’s Close, Dublin 8 Orario mar-ott: lu-ve, 9,00-17,00; sa, 9,00-18,00; do, 9,00-10,30, 12,30-14,30 e 16,30-18,00; nov-feb: lu-sa, 9,00-17,00; do, 9,00-10,30 e 12,30-14,30 Info www.stpatrickscathedral.ie National Musuem of Ireland Kildare Street, Dublin 2 Orario ma-sa: 10,00-17,00; do, 14,00-17,00; lu chiuso Info www.museum.ie

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INGHILTERRA GERMANIA

BELGIO

Calais

Francoforte

Samoussy Rouen

Soissons

Le Mont-Saint-Michel Rennes Angers Nantes

Parigi

Tours

Poitiers

franciA

Bourges

FRANCIA

La Rochelle

Limoges

Bordeaux Lectoure Bilbao Burgos

SPAGNA

C

Auch

Metz

Reims

Rodez Albi Arles Tolosa

Digione

SVIZZERA Cluny Lione Vienne Torino

ITALIA

Avignone Marsiglia

Saragozza

hiamata Gallia dai Romani, che ne portarono a termine la conquista all’indomani della vittoria di Alesia, nel 52 a.C., l’antica Francia era abitata da genti celtiche che avevano fondato insediamenti di un certo rilievo nelle zone di Marsiglia, Vienne, Bourges, Poitiers e Rodez. A inizio Medioevo la popolazione germanica dei Franchi si stabilí nell’area gallica e, trionfando nella battaglia di Vouillé (507), cacciò dalla regione i Visigoti la cui roccaforte era Tolosa. Altre genti di stirpe barbarica furono costrette a emigrare, primi fra tutti i Burgundi, che avevano eletto a loro sede di governo Lione. In seguito alla morte del sovrano franco Clodoveo, il regno si spaccò in due macroregioni: la Neustria a ovest, con capitali Parigi e Soissons, e l’Austrasia a est, i cui luoghi del potere erano Reims e Metz. Al termine di un lungo periodo di conflitti tra i due Stati prevalsero gli Austrasiani grazie all’intervento del condottiero Carlo Martello. L’irruzione sulla scena della storia di Carlo Magno, nell’VIII secolo, indirizzò i destini dell’antica Francia frammentata verso un assetto unitario: i centri di Samoussy e Aquisgrana (oggi in territorio tedesco) ne rappresentavano il cuore politico. Presto i confini si allargarono andando a costituire un impero, a guida germanica, che si estendeva dai Pirenei ai Carpazi, con l’appoggio della Chiesa di Roma. Ancora una volta, però, con la scomparsa del sovrano, il regno perse la sua integrità e si divise in tre parti: la Francia orientale e l’Italia finirono nelle mani di Lotario, la Francia occidentale fu data a Carlo il


Calvo e la Germania a Ludovico il Bavaro. Le spinte autonomiste contribuirono a un’ulteriore frammentazione, rafforzando il potere di ducati come la Bretagna che aveva come capoluoghi Rennes e Nantes, mentre a sud si consolidava il regno indipendente di Arles. Nell’XI secolo presero il potere i Capetingi, ereditando un regno smembrato, nel quale si impose il ruolo commerciale della Normandia. Quel ducato settentrionale, che aveva il suo centro politico a Rouen, divenne protagonista della storia medievale nel 1066, anno dell’invasione francese dell’isola britannica. Proveniva da lí il duca Guglielmo il Bastardo, che, trionfando ad Hastings, conquistò l’Inghilterra. Nel XIII secolo gli Inglesi, riconquistata l’autonomia, cercarono di impossessarsi del trono francese. Lo fece Edoardo III che vantava diritti di discendenza da parte di madre. Le armi furono di nuovo incrociate nella Guerra dei Cent’anni (1337-1453) che in un primo momento premiò gli Inglesi e, alla fine, vide invece prevalere i Francesi. Quel conflitto si sovrappose allo scontro fratricida che in Francia oppose i Borgognoni agli Armagnacchi: i luoghi del potere dei primi si trovavano a Digione e Bruges (nell’odierno Belgio), mentre i secondi avevano le loro capitali a Auch e Lectoure. Nel XIII e XIV secolo altre città rivestirono un ruolo significativo: Bordeaux, per esempio, che amministrava uno Stato indipendente, Angers, luogo storico della casata d’Angiò e La Rochelle, il porto sull’Atlantico dei Cavalieri Templari. Ma la Francia ebbe anche molte capitali religiose come Tours, dove nacque il culto di san Martino, Avignone, sede del papato dal 1309 al 1377 (vedi l’articolo alle pp. 92-101), Cluny, nota perché ospitava una dei piú importanti monasteri d’Europa, Mont-Saint-Michel, una delle mete piú frequentate dai pellegrini e Albi, dove nacque il movimento ereticale dei Catari.

Nella pagina accanto Cluny (Borgogna), abbazia. Testa maschile scolpita sulla facciata del palazzo di papa Gelasio II (XIV sec.). Il pontefice morí nella città borgognona il 29 gennaio 1119. In basso l’abbazia di Mont-Saint-Michel (X sec.) in Normandia, storica meta di pellegrinaggi che si affaccia su una baia a poca distanza dal canale della Manica.

grandi capitali

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Al centro del mondo di Patrick Boucheron

Parigi, cattedrale di Notre-Dame (XII sec.). Le chimere raffiguranti l’uccello del malaugurio Strige e il diavolo che dominano dall’alto il panorama della città.

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Per Parigi il destino di capitale era scritto fin dall’età antica. Un ruolo confermato anche nel corso del Medioevo, quando la città bagnata dalla Senna cominciò ad assumere i contorni di una vera e propria metropoli, ricca, colta e cosmopolita

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Francia

Parigi

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he se ne lamentino, o che siano invece rassegnati all’idea, i Francesi sono almeno d’accordo su una cosa: la centralizzazione parigina è una delle costanti della loro storia. Quello che talvolta si chiama «giacobinismo» – ovvero, in senso polemico, l’intransigente atteggiamento politico di chi crede con fermezza nelle proprie idee rivoluzionarie – ha in realtà radici ben piú antiche della Rivoluzione francese. Già molto tempo prima del 1789, infatti, chi controllava Parigi aveva in mano la Francia. Capitale incontestata – al contrario di tante città europee che hanno dovuto o devono ancora difendere il loro statuto di città-capitale – Parigi lo è almeno dal Medioevo. E questo per la ragione fondamentale che essa è senza alcun dubbio una delle poche grandi città dell’Occidente medievale a concentrare tre funzioni urbane essenziali: Parigi è capitale politica, crocevia economico, metropoli intellettuale. Ed è la permanenza di queste funzioni urbane che spiega certi aspetti della sua storia, disegna i

A destra mappa della Parigi cinquecentesca, dal Civitates Orbis Terrarum. 1572-1616.

In basso una gara di barcaioli sulla Senna nei pressi del vecchio Pont Neuf. Olio su tela di Nicolas e Jean Baptiste Raguenet. XVIII sec. Parigi, Musée Carnavalet.

le date da ricordare 360 La città è chiamata Parisea Civitas in un documento ecclesiastico.

542 Costruzione dell’abbazia benedettina di Saint-Germaindes-Prés.

451 Gli Unni di Attila attaccano la Gallia, ma risparmiano Parigi.

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885 I Vichinghi attaccano Parigi. Le invasioni continuano per anni.

751 Pipino III (il Breve) diviene re dei Franchi.

1163 Comincia la costruzione di Notre-Dame.

987 Ugo Capeto fa di Parigi la sua capitale.

1190 Edificazione di bastioni e fortificazioni intorno a Parigi; diventano il Louvre.

1179-1223 Durante il regno di Filippo II le strade di Parigi vengono lastricate.

1220 Sono istituite tasse sull’importazione di beni e stabilite unità standard di misura.


una città senza strade

1257 Fondazione dell’università della Sorbona.

1429 Giovanna d’Arco non riesce a prendere Parigi, controllata dagli Inglesi.

1348-1350 La Peste Nera colpisce Parigi e ne arresta lo sviluppo.

1470 Lo stampatore tedesco Ulrich Gering inaugura il primo torchio per la stampa a Parigi.

Parigi è, dal Medioevo, una capitale imbottigliata, che si fa fatica ad attraversare. Il suo reticolo viario è strutturato sull’antico cardo romano che impronta, sulla riva destra, la rue Saint-Denis e, sulla sinistra, la rue Saint-Jacques. Poiché Lutetia era sprovvista di decumanus, questa strada con andamento nord-sud non incrociava grandi assi perpendicolari al cardo, prima dei grandi lavori voluti nella seconda metà dell’Ottocento da Georges-Eugène Hausmann, prefetto della Senna dal 1853 al 1870. Di piú, la rue Saint-Denis non è in asse con la rue Saint-Jacques: per passare da una riva all’altra bisogna dunque attraversare il complesso intrico di viuzze dell’Île de la Cité. Se a questo si aggiunge il fatto che fino a tutto il Quattrocento Parigi non era dotata che di due ponti in legno, che regolarmente crollavano sotto il peso delle abitazioni che reggevano, si comprende quanto gli ingorghi e la circolazione caotica fossero all’ordine del giorno nella vita dei Parigini del Medioevo.

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Veduta della cattedrale di Notre-Dame e dei suoi dintorni. La grande chiesa in stile gotico rappresenta il principale luogo di culto per i cattolici di Francia e fu costruita nel XII sec. su una delle piú grandi isole della Senna, nel sito in cui anticamente sorgeva un tempio pagano dedicato a Giove. contorni dei gruppi sociali che la abitano e lascia il segno nel suo spazio. Nel momento in cui, con Clodoveo (466 circa-511), i re merovingi impongono una monarchia territoriale e non piú solamente un potere sugli uomini, la scelta di Parigi, come capitale, si impone. Fondata nel III secolo d.C., la città dei Parisii, che in epoca gallo-romana si chiamava Lutetia, si era sviluppata sull’Île de la Cité, sito strategico dal quale passava la grande via terrestre degli scambi nord-sud, prima di estendersi sulla riva sinistra della Senna. Parigi si trova nel cuore dei possedimenti territoriali dei re franchi ed è per questa ragione che vi si riunisce un gran numero di concili merovingi, cosí come la grande corte di Clotario II (584-629), crogiolo culturale delle élite franche.

Il trionfo definitivo

Solo i Carolingi rimettono in causa questa centralità: l’impero di Carlo Magno, esteso ben al di là del Reno, sposta il proprio centro di gravità verso Aquisgrana (vedi l’articolo alle pp. 8-17). Ma il ridimensionamento capetingio restituisce a Parigi il suo ruolo di capitale politica. L’elezione del conte di Parigi, Eudo, a re della Francia occidentale nell’888 chiude la parentesi carolingia e assicura il definitivo trionfo della città. In seguito, la storia di Parigi si confonde con quella della centralizzazione politica dei Capetingi. L’una e l’altra culminano nel regno decisivo di Filippo II Augusto (1165-1223), periodo nel quale si procede alla pavimentazione delle strade e al miglioramento dei canali di derivazione delle acque; il quadro monumentale si arricchisce, delimitato dalla cinta di mura costruita fra il 1190 e il 1210, che ingloba a nord (riva destra) le Halles, ovvero la zona dei mercati generali, e i quartieri nei quali si concentrano le attività economiche, e a sud (riva sinistra) i nuovi quartieri dell’Università. All’epoca Parigi è una città che si estende su oltre 270 ettari; le mura non saranno allargate che alla fine del regno di Carlo V, e solamente sulla riva destra, dove si installeranno le residenze dei patrizi, la cui fortuna fu direttamente collegata alla presenza del re, che aveva la sua superba manifestazione nel blocco monumentale dell’Île de la Cité. Mentre la cattedrale di Notre-Dame, consacrata nel 1182, domina la parte orientale dell’isola, il Palazzo Reale occupa tutto il terzo (segue a p. 86) capitali del medioevo

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il palais de la citĂŠ alla metĂ del xiv secolo

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una casa per le reliquie della passione

Il Palais de la Cité occupa la punta occidentale dell’isolotto omonimo e sorge probabilmente su un palazzo fortificato di età romana. Sede del potere reale fin dal X secolo, conobbe il suo apogeo a partire da Filippo Augusto, re di Francia dal 1180. Luigi IX il Santo, entrato in possesso delle reliquie della Passione, per custodirle fece costruire, fra il 1241 e il 1248, la SainteChapelle. Alla fine del XIII secolo Filippo il Bello ampliò notevolmente il complesso, per insediarvi gli organismi finanziari, amministrativi e giudiziari del regno, e fece costruire la Grande Salle (1), enorme struttura a due navate unita alla Sainte-Chapelle dalla Galerie des Merciers (2). Tra gli altri edifici, ricordiamo ancora: la Torre Maestra (3), il palazzo del duca d’Orléans (4), la Torre della Libreria (5), gli appartamenti reali (6), la Torre quadrata (7) e la Salle sur l’eau (8).

In alto le vivaci vetrate a mosaico della Sainte-Chapelle (XIII-XV sec.) che raffigurano episodi del Vecchio e Nuovo

Testamento. Anticamente gli ecclesiastici le utilizzavano come supporto visivo per la loro attività di catechesi. capitali del medioevo

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Il palazzo de La Conciergerie (X-XIV sec.) lungo la Senna, nella parte settentrionale dell’Île de la Cité a poca distanza dalla Sainte-Chapelle. Un’ala dell’edificio, fino al Trecento, fu adibita a residenza del re di Francia, mentre verso la fine del Medioevo l’intero palazzo divenne una prigione.

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occidentale di questo luogo che, fin dall’antichità, fu sede del potere. Qui erano ospitati, tra l’altro, la Cancelleria, la Camera dei Conti, il Parlamento e la Camera del Tesoro: ogni creazione istituzionale contribuiva all’ingrandimento del palazzo della Cité, il cui dispositivo monumentale fu completato dalla Sainte-Chapelle, fatta costruire tra il 1241 e il 1248 da Luigi IX, il futuro san Luigi. Monarchia amministrativa e monarchia sacra forgiano dunque il cuore di Parigi, nel quale si concentrano gli ingranaggi centrali dello Stato che si sviluppano attorno alla persona del re. Questi preferisce ben presto risiedere altrove piuttosto che nel palazzo sovrappopolato: vicino alla città, come nel caso del Louvre o del palazzetto Saint-Paul, o molto piú lontano, come in quello di Vincennes. Ma se la monarchia rimane ancora nomade, le sue istituzioni, i suoi archivi e i suoi uomini

hanno ormai sede permanente a Parigi. Per questa ragione, la capitale rappresenta la posta in gioco nelle lotte politiche del XV secolo, che vedono opposti i differenti clan, impegnati nel disputarsi il potere: dal 1412 al 1418, Parigi è il sanguinoso teatro della guerra civile tra Armagnacchi e Borgognoni. Ed è sempre per questa ragione che Parigi rimane capitale del regno, anche quando non è piú la città del re. Carlo VII, salito al trono nel 1422, deve attendere il 1437 per compiere il suo ingresso solenne a Parigi, dove l’amministrazione reale, controllata dal reggente Bedford, non aveva mai smesso di attendere ai suoi riti.

Mercato dei beni di lusso

Per il fatto di essere il centro della decisione politica, Parigi è luogo d’elezione del consumo aristocratico. La presenza del sovrano, della sua


corte e dell’amministrazione del regno assicurano la fortuna della città, incrementandovi il mercato dei generi di lusso che è una delle leve fondamentali della crescita economica nel Medioevo. Si sviluppa cosí, dal XIV secolo, l’habitat aristocratico, nel cui ambito si va diffondendo il modello reale della corte e del palazzo: riunite all’inizio intorno al Louvre, queste residenze principesche guadagnano ben presto tutto lo spazio urbano. Una tale concentrazione di capitali attira le principali compagnie commerciali e bancarie d’Europa, per la maggior parte italiane. Parigi è uno dei grandi mercati monetari dell’Occidente, sede di una fiera permanente, e, già dal XIII secolo, il suo sviluppo economico eclissa l’importanza internazionale delle Fiere della Champagne. La funzione politica di capitale non ha fatto altro che rafforzare le potenzialità economiche di Parigi, promesse alla città dalla sua stessa posizione di crocevia, dalla quale dipendono anche i tratti salienti della sua topografia: la grande via terrestre, che mette in comunicazione le Fiandre con le località della Loira, incrocia nell’Île de la Cité la via fluviale che, attraverso la Senna, collega Auxerre a Rouen. Il traffico riguarda in un primo tempo, come nel caso di tutti i commerci medievali, i prodotti alimentari: basti pensare al traffico del sale di Bretagna e dei prodotti ittici pescati lungo le

coste della Normandia, o al gran commercio del vino di Borgogna. La ricca regione cerealicola del bacino parigino assicura il rifornimento della città, che, all’epoca, è un grande cantiere di costruzione, continuamente approvvigionato di legno e pietre provenienti dalle foreste e dalle cave che circondano Parigi. Questi scambi fanno la fortuna dei porti, il principale dei quali è quello della Grève, ma che si sgranano lungo tutto il corso del fiume. Magazzini, mulini, ma anche taverne e alberghi completano il paesaggio di questa città laboriosa e animata, interamente volta verso il suo fiume. E proprio assicurandosi il monopolio della circolazione fluviale sulla Senna, dal XII secolo, i «mercanti dell’acqua» raggiungono una straordinaria potenza sociale e costituiscono la matrice del patriziato parigino.

Case, palazzi, ma anche campi e orti

Parigi deve dunque la propria crescita demografica alla sua attività economica, di scambi piú che di produzione. Il censimento del 1328 conta 61 098 nuclei familiari, il che equivale a poco piú di 200 000 abitanti. All’epoca lo spazio urbanizzato oltrepassa largamente la cinta di mura di Filippo Augusto e si sviluppa essenzialmente sulla riva destra della Senna, dove, secondo i registri fiscali dell’epoca, già nel 1350, sono domiciliati i quattro quinti dei contribuenti parigini. Le nuove mura, dette (segue a p. 91)

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Parigi

dai Bassifondi di Parigi di Franco Franceschi

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a sera di Natale del 1456, in una Parigi paralizzata dal gelo, un giovane poco meno che venticinquenne è rintanato nel suo provvisorio rifugio a comporre versi. È François Villon, «maestro d’arti» e poeta, ma anche amico dei banditi e malvivente egli stesso. E infatti ha appena partecipato, con altri quattro compagni, al furto di cinquecento scudi d’oro al Collège de Navarre, una delle innumerevoli istituzioni universitarie cittadine. Il poema che sta scrivendo, di quaranta versi, si chiamerà semplicemente Lais (Lascito) e, insieme al Testamento, diverrà l’eredità piú importante di

ragazzo di malavita La leggenda della vita dissoluta di François Villon ha accompagnato di pari passo la sua fama di poeta. Da adolescente è un brillante studente dell’Università di Parigi: nel 1449, a soli diciassette anni, ottiene il baccellierato, tre anni piú tardi la licenza e il titolo di «maestro d’atti». Campione della bohème studentesca, giocatore, prodigo con le prostitute e le taverne, attaccabrighe, è parimenti in contatto con i circoli della borghesia agiata e dei funzionari parigini. Nella malavita entra nel 1455, dopo avere ucciso in una rissa il prete Philippe Sermoise. Comincia allora a vagabondare fra Parigi e la Francia; piú volte imprigionato, viene condannato all’impiccagione nel 1463, pena poi commutatagli in dieci anni di bando da Parigi. Da questo momento se ne perdono le tracce, ma le sue opere poetiche giungono sulle piazze, nei mercati, nelle fiere. E nel Testamento, riflettendo sul suo destino di «povero piccolo scolaro», «a metà tra saggezza e follia», scampato alla «dura prigione dove la vita ho quasi lasciata», promette di tornare un uomo onesto, e alla stessa scelta esorta i «ragazzi di malavita» a cui tante volte si è accompagnato.

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questa figura di letterato «maledetto» e una preziosa testimonianza sul mondo dei bassifondi di Parigi. una contro-città sommersa Nella galleria di ritratti e di ambienti offerta dalle due opere, prende corpo un universo vasto e sorprendente, una sorta di contro-città sommersa, i cui punti nodali erano certe viuzze sordide, vicoli e cortili seminascosti, le capanne cresciute presso il recinto delle fortificazioni, gli angoli piú oscuri sotto i ponti o sui porti della Senna, le taverne e le locande, i postriboli e le prigioni. Un popolo di marginali senza lavoro, spinti sulle strade dagli effetti delle trasformazioni avvenute nelle campagne a partire dal XIV

secolo, cresciuto nelle difficoltà provocate dalla guerra dei Cent’anni (1339-1453); una società alternativa e al tempo stesso complementare a quella della Parigi capitale di una monarchia in espansione e centro economico e intellettuale di prima grandezza. Una società pericolosa. «Nella buona città di Parigi – si legge negli ordinamenti relativi al funzionamento della municipalità, stampati per la prima volta all’inizio del Cinquecento – molti sono gli errori e gli abusi a cui si deve riparare, vale a dire che molti oziosi non abituati alla vita onesta, ma avvezzi alle rapine, a commettere furti di giorno e di notte, a provocare risse e avvisaglie, e a fare altre cattive cose,


Ritratti di mendicanti in un’incisione seicentesca del pittore francese Jacques Callot (1592-1635). Parigi, Bibliothèque des Arts Décoratifs.

BALLADE DE BONNE DOCTRINE

BALLAta di buona dottrina

«Car ou soies porteur de bulles, Pipeur ou hasardeur de dez, Tailleur de faulx coings et te brusles, Comme ceulx qui sont eschaudez, Traistres parjurs, de foy vuidez; Soies larron, ravis ou pilles: Ou en va l’acquest, que cuidez? Tout aux tavernes et aux filles.

«Perché, trafficante di bolle sia tu, imbroglion, baro ai dadi, falsario, e a quale fuoco ti scotti come quelli che son sbollentati, vili, spergiuri, spudorati; sia tu esperto nel rapinare: dove il bottino va? che pensate? Tutto a taverne e a puttane.

Ryme, raille, cymballe, luttes, Comme fol, fainctif, eshontez; Farce, broulle, joue des fleustes; Fais, es villes et es citez, Farces, jeux et moralitez; Gaigne au berlanc, au glic, aux quilles; Aussi bien va, or escoutez! Tout aux tavernes et aux filles.

Verseggia, burla, il cembalo suona e il liuto, istrione sfacciato; scherza, imbroglia, i flauti intona; fai, in città e per il contado, farse, ludi e moralità; vinci a birilli e a carte: che vale? Pure questo, ascoltate!, va tutto a taverne e a puttane.

De telz ordures te reculles, Laboure, fauche champs et prez, Sers et pense chevaux et mulles, S’aucunement tu n’es lettrez; Assez auras, se prens en grez. Mais, se chanvre broyes ou tilles, Ne tens ton labeur qu’as ouvrez Tout aux tavernes et aux filles?

Ti ritrai da tali lordure, vanga e falcia campi e prati, cura e accudisci cavalli e mule, se mai di lettere tu non sai; avrai abbastanza, se l’hai accettato. Ma se maciulli o gramoli canapa, non dài il prodotto ch’hai lavorato tutto a taverne e a puttane?

Chausses, pourpoins esguilletez, Robes, et toutes vos drappilles, Ains que vous fassiez pis, portez Tout aux tavernes et aux fllles.»

Brache, giubbe ben appuntate, vestiti e vecchie palandrane, prima difar peggio, portate tutto a taverne e a puttane».

(traduzione)

(da François Villon, Poesie, traduzione di Luigi de Nardis, Feltrinelli, Milano 1996)

soggiornano nella suddetta città e non si catturano né si puniscono affatto»: i consiglieri del re Carlo VII (1422-1461), stendendo questa relazione, alludevano a precise categorie di persone, ritenute oggetto privilegiato di controllo e repressione: vagabondi, mendicanti, ladri. L’ambiente dei ladri è quello che emerge con piú vivezza dai componimenti di Villon, del resto legato alla banda dei «Coquillards», nota per le sue imprese a Parigi e nella Francia della seconda metà del Quattrocento. Nella prima edizione delle opere del poeta (1489), figuravano addirittura sei ballate a lungo considerate stramberie o non-sense, che invece furono scritte nel linguaggio segreto dei ladri. I professionisti del borseggio, del furto con scasso, della rapina a mano armata operavano spesso in gruppi

dotati di proprie regole e di una certa coesione interna. Era inoltre previsto un periodo di apprendistato sotto la guida di veri e propri maestri, in particolare nell’arte di maneggiare il grimaldello, l’onnipotente «re David» del gergo ladresco. Bande grandi e piccole Poteva trattarsi di grandi bande, come quelle composte in prevalenza da soldati rimasti disoccupati dopo la fine della guerra dei Cent’anni, o di piccoli sodalizi, simili a quello costituitosi a Parigi nel 1417 fra Jean Cuignet, il cimatore Robin du Chesne e il prete Jean de Villers, incontratisi per il tramite di un orafo al quale portavano la refurtiva dei rispettivi «colpi». La presenza di religiosi fra le fila dei malviventi non deve stupire. Alla fine del Medioevo la situazione materiale del clero era in netto peggioramento a

causa dell’eccessivo numero di candidati a cariche e benefici ecclesiastici; cosí che sempre piú elevato era il numero di preti erranti da una parrocchia all’altra in cerca di fonti di guadagno, i cui circuiti e il cui stile di vita finivano per somigliare in tutto a quelli dei vagabondi. Gli archivi giudiziari parigini segnalano, inoltre, il frequente passaggio di una speciale categoria di chierici, gli studenti e anche i professori dell’università, a cui lo Statuto clericale, che era loro assicurato automaticamente, permetteva di sfuggire alla giustizia civile in favore di quella episcopale. A questi intellettualidelinquenti con la tonsura il chierico Villon si sente piú vicino e a loro riserva, nel Testamento, un monito speciale: «Scolari dalla mano vischiosa, se andate a Scanno o a Sgraffinello, badate alla vostra pelle»... capitali del medioevo

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un conflitto inevitabile Legata alla monarchia nel bene e nel male, la città di Parigi non poté mai sviluppare vere e proprie istituzioni comunali ed è questa una specificità istituzionale che sopravvive ancora oggi. Dal XII secolo, Parigi è governata da un regime eccezionale. Alla sua testa è il prevosto del re, che ha sede al Grand Châtelet, all’estremità del Pont Neuf. Nominato dal sovrano, egli ne difende i diritti in materia di giustizia e di dominio. Nel 1261, Luigi IX sceglie, per occupare questa funzione, Etienne Boileau, in precedenza balivo di Orléans, autore del celebre Libro dei mestieri, fondamento giuridico di tutta la regolamentazione professionale della capitale. Il potere di questo funzionario del re è bilanciato da quello del prevosto dei mercanti e dei quattro giudici che lo affiancano, i quali rappresentano la lega dei potenti negozianti della capitale. In materia di edilità – ovvero del settore della pubblica amministrazione che si occupava dei lavori pubblici – e di polizia dei mercati, la prevostura dei mercanti esercita un potere di tipo municipale, ma senza averne il titolo. Il conflitto è inevitabile: esso scoppia nel 1358, quando Etienne Marcel si pone alla testa della rivolta «comunale» dei Parigini. Il suo insuccesso rafforza il dominio del re sulla sua capitale: la prevostura dei mercanti è ormai tenuta da ufficiali del sovrano, uomini di legge o suoi inservienti, che si integrano perfettamente in una classe dirigente unica, al servizio del re e della prosperità economica di Parigi.

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«di Carlo V» – ma terminate in realtà nei primi anni del XV secolo – inglobano cosí tutti questi nuovi quartieri, dove si trovano fianco a fianco dimore patrizie e borghi industriali, ma anche campi coltivati e orti. Dal Louvre alla Bastiglia (costruita nel 1380), la linea dei bastioni risalente alla fine del Medioevo si ritrova oggi a far parte della topografia parigina, poiché corrisponde ai «grandi boulevards», dalla Porta Saint-Honoré alla Porta Saint-Antoine, passando per quella di Saint-Denis. Se si aggiungono a questi 439 ettari all’interno dei nuovi bastioni i diversi sobborghi che, soprattutto verso Saint-Denis, si estendono lungo le vie di comunicazione, si è autorizzati a ritenere che, negli anni Settanta del XV secolo, la superficie urbanizzata globale fosse di 600 ettari.

Il potere e il sapere

In alto, sulle due pagine la fortezza della Bastiglia nel XV sec. in un dipinto di Theodor Josef Hubert Hoffbauer (1839-1922). Parigi, Musée Carnavelet. A destra sigillo duecentesco dell’Università di Parigi. Parigi, Centre Historique des Archives Nationales. Nella pagina accanto, in basso la statua di Étienne Marcel (1315-1358), leader della rivolta contadina della jacquerie, che insanguinò le strade di Parigi nel XIV sec. Scultura in bronzo di Jean-Antoine-Marie Idrac (1849-1884) e Laurent Marqueste (1848-1920).

Alla «Ville», vale a dire lo spazio urbanizzato della riva destra, animato dallo sviluppo economico, e alla «Cité», il luogo di concentrazione del potere religioso e di quello statale, i Parigini del Medioevo opponevano l’«Università». La vita intellettuale domina infatti tutta la riva sinistra di Parigi e plasma il suo spazio urbano. Il filosofo e teologo Abelardo (10971142), in lotta contro i maestri della teologia parigina, si installa lontano dalla Cité e dalla sua scuola cattedrale, sulla collina di Sainte-Geneviève, quasi per assediare la roccaforte del vecchio sapere difeso dal vescovo. Di fatto, l’effervescenza intellettuale attorno all’abbazia di Sainte-Geneviève e soprattutto a quella di Saint-Victor, fondata nel 1113, sulla riva sinistra del piccolo fiume, oggi ricoperto, della Bièvre, da Luigi VI e dal grande teologo parigino Guillaume de Champeux, prepara l’istituzione dell’Università. Creata nei primissimi anni del XIII secolo, riconosciuta dal legato pontificio Robert de Courson nel 1215 e difesa dalla bolla Parens scientiarum di Gregorio IX nel 1239, l’Università di Parigi riunisce una facoltà delle arti, facoltà superiori di teologia, di medicina e di diritto. Attorno a essa sorgono i collegi universitari, in teoria riservati agli studenti poveri – è nel 1254 che Robert de Sorbon fonda il collegio che porta ancora il suo nome – e gli

studia mendicanti. Passato il Petit Pont, che collega l’Île de la Cité alla riva sinistra, si entra dunque in un’altra città, tutta a misura di studente: collegi, taverne, librerie, botteghe di copisti e fabbriche di pergamene fanno di Parigi una città interamente incentrata sulla vita universitaria. Una vita spesso tumultuosa. Scioperi, conflitti violenti, partecipazione degli universitari alla guerra civile: nel XV secolo, l’Università di Parigi attraversa un periodo di grave crisi ed è questa la ragione per cui gli umanisti francesi si sono schierati in parte contro la sua preminenza. Ciò non toglie che nel 1400, piú della metà degli 8000 studenti che conta la Francia siano concentrati a Parigi. Questa centralizzazione universitaria, che alcuni oggi giudicano eccessiva, risale dunque all’epoca medievale. È proprio la presenza del generale studium che fa di Parigi, agli occhi dei chierici, la madre di tutte le città e, insieme, un’immagine del Paradiso terrestre. Essa è «il bello e chiaro sole di Francia se non addirittura di tutta la cristianità», come scrive il teologo francese Jean Gerson (1363-1429). Perché se Parigi è il crocevia di una regione economica e la capitale di un regno, per i chierici essa è soprattutto la metropoli intellettuale dell’intero mondo cristiano. Come si vede, l’arroganza degli universitari parigini non data da ieri…

Dove e quando sainte-chapelle Palais de la Cité, 4, boulevard du Palais Orario mar-ott: tutti i giorni, 9,30-18,00; nov-feb: tutti i giorni, 9,00-17,00 Info sainte-chapelle.monuments-nationaux.fr (info in piú lingue e miniguida in italiano scaricabile) Musée de Cluny (museo nazionale del medioevo) 6, place Paul Painlevé Orario tutti i giorni, 9,15-17,45; ma chiuso Info www.musee-moyenage.fr Cattedrale di Notre-Dame de Paris 6, Parvis Notre-Dame - Place Jean-Paul II Orario lu-ve, 8,00-18,45; sa-do, 8,00-19,15 Info www.notredamedeparis.fr

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Avignone (Francia). Il trecentesco Palazzo dei Papi, che per un periodo del Medioevo divenne la residenza ufficiale dei pontefici. Costruito in stile gotico fu completato unendo due diversi segmenti: il Palais Vieux, concepito da Benedetto XII, e il Palais Neuf, eretto per volere di Clemente VI.

di Minna Conti

L’altro

Vaticano

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Avignone fu sede papale per meno di un secolo. Eppure, quei settant’anni, tra gli inizi e la seconda metà del Trecento, furono sufficienti a trasformarne il volto, dotandola di monumenti grandiosi, che ancora oggi ne connotano l’inconfondibile profilo

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Avignone

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hi non ha visto Avignone all’epoca dei papi, non ha visto nulla. Allegria, vita, animazione, feste in continuo: la città non era mai stata cosí». Ma anche: «È una fogna in cui vengono a confluire tutte le immondizie dell’universo. Vi si disprezza Dio, vi si adora il danaro, vi si calpestano le leggi divine e umane». Opinioni diverse. Modi differenti di descrivere lo stesso ambiente. Ma chi avrà avuto ragione tra lo scrittore Alphonse Daudet (1840-1897), sostenitore dell’epoca papale, e Francesco Petrarca (1304-1374), testimone del tempo, sconvolto e inorridito da quegli «spettacoli»? Chi tra i due è piú vicino alla verità? Oggi, solo con un occhio ben allenato e una notevole dose di fantasia si può intravedere, dietro le folle dei turisti e le concessioni ai venditori di souvenir, la vita quotidiana che si svolgeva nelle strade dell’unica città di papi posta al di fuori dell’Italia. Ciononostante, visitare Avignone e perdersi tra le sue piazze e i suoi palazzi aiuta a comprendere piú di mille saggi quel momento cosí particolare e cosí delicato

nella vita non solo della Chiesa di Roma, ma dell’Europa intera. Nel dolce susseguirsi delle terre di Provenza, che alternano campi di girasole a bianche cittadine, Avignone appare, seppur preannunciata da lontano, con il suo dedalo di vicoli medievali dietro l’anello protettivo, rinforzato da possenti torri, che la circonda e quasi la isola dalla realtà moderna.

Un evento epocale

Avignone. Il piccolo borgo sulle rive del Rodano che, un po’ per caso, un po’ per scelta, vide stravolto il suo ruolo nella storia, divenendo per qualche anno la nuova Roma. Ma perché Avignone? Dipese dalla combinazione di piú elementi: la lotta esasperata per il potere a Roma, un papa francese, Clemente V, la forte autorità del re di Francia, Filippo il Bello, ma anche ragioni «temporali», quali il potere, la ricchezza, il prestigio nazionale. Per Avignone, la salita al soglio pontificio di Clemente V fu la chiave di volta. Un evento epocale: il tempo riparte da

Nella pagina accanto, in alto pianta a volo d’uccello di Avignone disegnata per il Civitates Orbis Terrarum, una raccolta di mappe delle città del mondo curata dai geografi tedeschi Franz Hogenberg e Georg Braun e pubblicata tra il 1572 e il 1616. In basso veduta del Palazzo dei Papi e del circondario.

le date da ricordare 933 L’ex municipio romano della Gallia Narbonense, Avenio, dopo aver subito la dominazione dei Burgundi, degli Ostrogoti e dei Franchi viene annesso al regno di Arles. 1069 Consacrazione della chiesa che piú tardi sarà inglobata nella cattedrale di Avignone: Notre-Dame des Doms.

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XIII sec. Avignone è vittima della crociata indetta da Innocenzo III contro gli Albigesi, e le sue mura vengono distrutte. 1251 Carlo d’Angiò sottomette la città. XIV sec. Costruzione della Tour de l’Horloge, nell’Ottocento inglobata nel Municipio. Benedetto XII avvia la costruzione del Palazzo dei Papi, i cui lavori proseguono con i pontificati di Clemente VI e di Innocenzo VI. Viene innalzato il Fort Saint-André.

1356-1370 Edificazione dei Remparts, la cinta muraria papale. 1358 Fondazione della chiesa di S. Agricola.

1377 Fine della «cattività avignonese» e rientro della corte papale a Roma.


quell’istante e la narrazione si suddivide in «prima dei papi» e «dopo i papi». Avignone, «prima» paese come altri dell’arcidiocesi di Arles, diventa «dopo» un centro culturale, oltre che economico, tra i piú vivi sulla ribalta del mondo, dove si confrontano e si fondono esperienze diverse. Una realtà che non si esaurisce con il rientro del papato nella Città Eterna (1377): prosegue durante lo scisma d’Occidente, quando ragioni di «immagine» e di legittimazione nei confronti di Roma sono uno sprone costante e, ancora, per tutto il Quattrocento quando, divenuta piccola enclave

papale in terra angioina, la città sarà ancora zona franca per incontri e scambi a ogni livello. Ma questi sono altri capitoli della storia.

I cardinali in gara

In basso un tratto delle mura medievali con cui i pontefici cinsero la città a partire dal 1356.

Avignone fu corte sfarzosa e, per circa settant’anni, anche un incessante cantiere: vengono ricostruiti o totalmente ristrutturati tutti o quasi gli edifici religiosi esistenti, fondate nuove chiese ed erette ben trentuno livrées, le residenze dei cardinali (i quali, in gara tra loro, le vogliono una piú bella dell’altra). Di tutto ciò rimane oggi ben poco. La città dei papi, in altre

1791 Avignone è sottratta all’autorità papale e annessa alla Francia.

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PRIMO PIANO

In alto pianta del primo piano del Palazzo dei Papi: 1. torre di Trouillas; 2. torre delle Latrine; 3. torre delle Cucine; 4. torre St.-Jean; 5. cappella di St.-Martial;

6. sala dei Festini; 7. torre dello Studio; 8. anticamera del papa; 9. torre degli Angeli; 10. camera da letto del papa; 11. torre del Guardaroba; 12. torre St.Laurent; 13. cappella di Benedetto XII; 14. chiostro

di Benedetto XII; 15. sala da pranzo del papa; 16. corte d’onore; 17. cucina; 18. altare; 19. torre della Campana; 20. torre d’angolo; 21. finestra dell’Indulgenza; 22. torre della Gache; 23. cappella Clementina.

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Qui sopra pianta del pianterreno del Palazzo dei Papi: 1. torre di Trouillas; 2. torre delle Latrine; 3. torre delle Cucine; 4. torre St.-Jean; 5. giardino di Benedetto XII; 6. cappella di St.-Jean; 7. concistoro; 8. torre di Urbano V; 9. torre dello Studio; 10. sala di Gesú; 11. torre degli Angeli; 12. torre del Guardaroba; 13. torre St.-Laurent; 14. Notre-Dame; 15. chiostro di Benedetto XII; 16. palazzo dei Congressi; 17. corte d’onore; 18. pozzo; 19. sala della Grande Udienza; 20. torre della Campana; 21. porta di Notre-Dame; 22. torre d’angolo; 23. porta dei Champeaux; 24. torre della Gache. 96

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In alto il soffitto della cappella di S. Marziale, ornato dagli affreschi di Matteo Giovannetti. 1344-1346. Nella pagina accanto, in basso a sinistra trono episcopale della cattedrale di Notre-Dame des Doms (XII sec.) decorato dal leone di san Marco.

parole, è nascosta sotto mentite spoglie ad Avignone, e per ritrovarla si deve saper leggere oltre le apparenze. Col tempo, gli storici hanno smontato antiche convinzioni che volevano i papi totalmente succubi o «complici» del re di Francia. Appare infatti certo che i sette pontefici succedutisi ad Avignone, nonostante le pressioni della Corona, non optarono mai esplicitamente per la scelta della sede francese piuttosto che per quella di Roma, lasciando sospeso nell’aria un che di provvisorio. Una sensazione, questa, che ancora si avverte, per quanto nel corso dei secoli interventi successivi abbiano modificato sky line e facciata della cittadina che ospitò non solo papi ma anche antipapi. Prendiamo per esempio le mura, primo impatto obbligato con Avignone: si sviluppano per poco piú di 4 km in forma ellittica. Eppure, se non ci si lascia fuorviare dagli ottocenteschi restauri di Eugène Viollet-le-Duc (1814-1879), che in pratica ne raddoppiarono lo spessore, è facile intuire come sia stata davvero una fortuna che i Remparts – altro nome della cinta papale, eretta tra il 1356 e il 1370 – non abbiano mai dovuto essere sottoposti alla «prova del fuoco». Le mura avevano una funzione quasi unicamente decorativa, che null’altro se non la provvisorietà può giustificare. I pontefici, d’altronde, contavano già, per la loro sicurezza, sul Palazzo, in realtà una fortezza, quella sí, imprendibile!

Secoli di prosperità

Oltrepassate le mura, magari penetrando in città dalla Porte de la République, non ci si imbatte piú in quella «varia umanità» di alchimisti e falsari, contrabbandieri e prostitute che, approfittando della notevole tolleranza manifestata in quei tempi in città per i perseguitati in generale, accorse da ogni dove, dando cosí al Petrarca materia per le sue reprimende. Piuttosto, troverete segni tangibili della prosperità che accompagnò Avignone fino a quando, nel 1791, fu annessa alla Francia, esautorando la potestà papale. La città ha un impianto medievale e quindi distanze ridotte, al punto che la sua strada principale, all’incirca in un chilometro, porta dalle mura al Palais des Papes. Attorno a questa strada, comunque, si apre tutto il borgo: scontato il doverla percorrere, muovendo proprio dalla Porte de la République. Attenzione, però, diversi sono i nomi che assume: corso Jean Jaurès in un primo tratto, poi rue de la République fino alla place de l’Horloge (XV secolo), l’antico forum della romana Avenio. La piazza è dominata dalla gotica Tour de l’Horloge, conglobata nell’ottocentesco Municipio, che risale proprio al XIV secolo (al suo interno resistono

alcuni affreschi coevi), quando fu aggiunta alla residenza del cardinale Pietro Colonna che lí sorgeva. Nota anche come Tour de Jacquemart, la torre è dotata di un carillon con due automi che batte ancora oggi le ore. A questo punto vi suggeriamo – invece di procedere per la rue Jean Vilar, che conduce alla place du Palais – di prendere un’altra delle stradine laterali, magari quella alla vostra destra, ma solo per ritrovarvi nella zona della città in cui allora si parlava italiano (una delle tre lingue «ufficiali» dell’Avignone papale, insieme al latino e al provenzale). Qui, infatti, risiedeva la numerosa colonia italica, composta di prelati, di banchieri e di artisti, che costituivano una formidabile lobby per il rientro del papato a Roma. Il quartiere era raccolto intorno alla chiesa di Saint-Pierre, oggi nascosta sotto linee cinquecentesche tra il gotico e il rinascimentale. Altrettanto rimaneggiata, a fronte di questa, la residenza che fu del cardinale di Preneste, attuale Musée Théodore Aubanel.

Una chiesa per il vescovo

Si può quindi tornare sui propri passi e raggiungere la place de l’Horloge. Qui, indirizzando lo sguardo in direzione del Rodano, oltre l’Hotel de Ville (il Municipio), si nota, a pochi metri, la facciata della chiesa di Saint-Agricole, forse fondata dallo stesso vescovo Agricola nel VII secolo e il cui aspetto è dovuto ai successivi rimaneggiamenti quattro-cinquecenteschi che non hanno, però, stravolto la pianta a tre navate, rara allora per il Mezzogiorno francese, voluta da Giovanni XXII. Frammenti, particolari, null’altro, come gli originali soffitti dipinti e gli affreschi a motivi araldici ancora conservati in due grandi sale della Bibliothèque Municipale, ospitata nel merlato edificio già Livrée Ceccano, che troverete ripercorrendo all’inverso rue de la République. A pochi passi, la chiesa di Saint-Didier: a navata unica, in stile gotico-provenzale, è rimasta immutata da sei secoli. Al suo interno, per di piú, sopravvivono alcuni affreschi della stessa epoca a tema religioso. Quanto fossero difficili quei momenti per la Chiesa lo si percepisce di colpo, non appena si percorre, dalla place de l’Horloge, la breve rue Jean Vilar, che immette nella place du Palais: lí il Palazzo appare come una munita fortezza medievale, a cui chiedere innanzitutto protezione fisica. Poco distante la cattedrale, ovvero Notre-Dame des Doms (forse dal latino Dominus, termine un tempo riservato ai dignitari ecclesiastici): le testimonianze piú significative dell’Avignone del «prima» e di quella del «dopo» affacciate sulla medesima piazza di cui non sfuggono le gradevoli proporzioni. capitali del medioevo

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Scena di pesca da una vasca per la piscicoltura, particolare del grande affresco di Matteo Giovannetti (XIV sec.) situato nella Camera del Cervo del Palazzo dei Papi. Nel Medioevo la stanza fungeva da studio privato dei pontefici. In basso, a destra la camera da letto dei papi.

Il piú antico tempio della città, la cattedrale, è il documento di pietra piú significativo del periodo pre-papale e perciò, anche se resta poco della chiesa consacrata nel 1069, vi suggeriamo di soffermarvi innanzitutto su questa grande costruzione in romanico provenzale, dal portico, edificato qualche anno piú tardi, straordinariamente classico. Ritroverete segni dell’epoca papale in alcune delle cappelle, che giusto dal XIV secolo vanno ad ampliare l’unica navata originaria e, ancora, nel campanile di forma quadrata, ricostruito in quei tempi.

Due palazzi in uno

Un po’ di stanchezza, a questo punto, è inevitabile. Ci si può dunque concedere una pausa e studiare il profilo del Palazzo dei Papi, che, per il continuo oscillare tra richiamo di Roma e pressioni di Francia, fu voluto solo da Benedetto XII, mentre Clemente V si era spostato tra conventi e monasteri e Giovanni XXII aveva optato per l’antico palazzo vescovile. La costruzione è in realtà l’assemblaggio di due diversi palazzi, il Palais Vieux e il Palais Neuf; per di piú l’edificio di Benedetto XII, il Vieux, consiste in una serie di appartamenti, torri, cappelle, costruite all’impronta, senza un disegno di fondo, a sostituire, magari ingrandendole, sezioni dell’antica sede episcopale, via via che venivano demolite. La parte piú interessante è la lunga facciata che guarda verso oriente e che parla di una tecnica di fortificazione in 98

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parte già abbandonata, articolata com’è in quella serie di torri – con alti contrafforti e caditoie sporgenti – tra cui quella degli Angeli, ma detta anche «del Papa». Non tarderete a riconoscerla nel massiccio e potente donjon che ospitava, infatti, la camera del signore (ovvero il papa) e la sala del tesoro. Un complesso di edifici, insomma, sviluppato sui lati di un cortile irregolarmente quadrangolare (il chiostro), e che si traduce in un grande bastione che domina il digradante Rocher des Doms: la mole rocciosa che sovrasta il Rodano scelta dalla tribú gallica dei Cavari per insediarvi il primo agglomerato della futura Avignone. A complicare le cose il palazzo, del tutto diverso, costruito da Clemente VI. Qui ogni elemento parla di un progetto attento: le due ali, disposte attorno a una corte quadrata; la corte stessa dall’ampio respiro (1800 mq), detta forse per questo Gran Corte o Corte d’Onore e che funge da trait d’union tra i vari corpi di fabbrica; la bella ala sud che vi apparirà decisamente moderna, per i tempi, con le due uniche sale amplissime e sovrapposte: al piano terra, quella della Grande Udienza, dove l’attenzione viene catturata dai capitelli scolpiti con soggetti faunistici delle colonne che ritmano le due navate e, al piano superiore, la Grande Cappella o Cappella Clementina, dalle impressionanti nude pareti, che si animavano con raffinati arazzi solo in occasione di cerimonie. Cappella che comunica, poi, con la log-


gia in cui si apre, sulla corte, la Finestra dell’Indulgenza: da qui il pontefice si affacciava per impartire le benedizioni. L’ingresso è ancora oggi protetto da due svelte torrette, con le guglie «a ganci», che vi sovrastano mentre attraverserete la Porta dei Santi Pietro e Paolo (detta anche des Champeaux, a ricordo della via che univa i piccoli campi, in latino campelli, che attorniavano il Palazzo). E occorre fare attenzione per non perdersi nel labirinto di stanze e corridoi (che si estende per oltre 15 000 mq), dove la rabbia violenta che accompagnò la Rivoluzione francese travolse quasi tutto. I due palazzi sono un’ottima cartina di tornasole per comprendere quanto eterogeneo fosse l’ambiente ecclesiastico: se le severe, quasi sobrie linee del Palais Vieux ricordano il monaco cistercense Benedetto XII che rifuggiva dagli orpelli, la cura dei particolari (finestre gotiche, abbondanza di sculture decorative) del Palais Neuf riflette l’inclinazione all’arte e alla mondanità di Clemente VI, il papa che nel 1348 acquisí Avignone

alla Chiesa, pagando 80 000 fiorini d’oro alla contessa di Provenza Giovanna d’Angiò. Ma è sulle pareti e le volte che si deve far correre lo sguardo, laddove frammenti d’affreschi suggeriscono l’atmosfera che si respirava un tempo. Nella Camera del Papa, per esempio, alla cui decorazione pare abbiano collaborato pittori francesi e italiani; e nel ciclo sui passatempi all’aperto, soggetto profano allora di moda, che compare nella cosiddetta Camera del Cervo, al terzo piano della Torre del Guardaroba.

Il contributo di Simone Martini

Ulteriori suggerimenti arrivano dalle poche tracce rimaste nella sala del Conclave, scoperte solo nel 1969; e poi, nell’aula del concistoro, centro della vita ufficiale di corte, dagli affreschi di Simone Martini, già nel portico della cattedrale. I dipinti hanno però anche una funzione introspettiva: il dubbio su Avignone come nuova Roma era sempre presente a corte, e continua era la ricerca di legittimazione. Un dato di fatto, questo, che aiuta, per esempio, a capire il racconto iconografico del «santo limosino» (dalla storica regione in cui era nato Clemente VI), che si può leggere visitando, nella Tour Saint-Jean, la cappella dedicata a Saint-Martial. Numerosi i cartigli e i tituli, a volte preponderanti sull’immagine; decisa l’attenzione alla ritrattistica, particolari alcuni tagli fuori dagli schemi dati alle scene, fusione fra stilemi toscani e linee del gotico francese. Tutte caratteristiche che denotano un’unica mano, quella di Matteo Giovannetti, uno degli artisti piú richiesti di quegli anni. Se manca ancora qualche tessera al vostro mosaico di Avignone papale, l’ultimo sopralluogo che vi suggeriamo in città è quello al Petit Palais, per l’antica livrée appartenuta prima al grande penitenziere di Clemente V, Bérenger Fredol (detto l’Anziano), e in seguito ad Arnaud de Via, nipote di Giovanni XXII. Al di là dell’aspetto quattrocentesco legato ai restauri successivi alle guerre di religione, l’edificio conserva l’articolazione in quattro ali e una corte che risale al XIV secolo, quando già era vescovado; oggi museo dedicato all’arte medievale e rinascimentale, consente «incontri ravvicinati» con la tensione culturale di quegli anni nei vari campi: della pittura, dove, come nell’oreficeria, predominarono i nostri artisti; della scultura, che di contro subí il forte influsso nordico, e cosí via. Il Petit Palais si incontra mentre, prima di lasciare l’acciottolato di Avignone, si sale al Rocher des Doms, per ammirare l’ormai capitali del medioevo

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francia

Avignone

Un’ala della cappella del Palazzo papale di Avignone. XIV sec.

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mitico paesaggio. Villeneuve sembra a portata di mano con i ponti sul Rodano quanto mai vicini. Papi, cardinali, villici attraversavano il fiume sullo stretto ponte di Saint-Bénézet, protagonista di una canzone notissima in Francia, che vale una visita. La leggendaria costruzione, che in ventidue arcate (oggi ne restano solo quattro) collegava le rive con l’isola della Barthelasse e che, dopo diverse traversie, nella seconda metà del Seicento fu messa fuori uso da una tremenda tempesta, già esisteva all’arrivo dei pontefici, cosí come la cappella di SaintNicolas, che sopravvive sul secondo pilone; nei due piani della costruzione coesistono romanico e gotico e una lunetta scolpita con un cavaliere armato ricorda l’antico palazzo comunale situato vicino a quello episcopale, sempre sul Rocher des Doms.

Con i papi, arrivò anche l’opulenza. Con i suoi pro e i suoi contro. Quali la frenesia, ormai padrona di Avignone. E per qualcuno fu proprio per fuggire dalla ressa (la città aveva decuplicato i suoi abitanti), secondo altri per sottrarsi al caldo, che nacque la moda di Villeneuve-lèsAvignon quale buen retiro estivo. E la «città nuova», nata per volere di Filippo il Bello sull’altra riva del Rodano, a fronteggiare Avignone, caposaldo dell’impero divenuto dépendance della Curia, conobbe un momento d’oro.

Quasi una caccia al tesoro

Anche a Villeneuve molto è stato fagocitato dai secoli che seguirono. Attraversato il fiume sul ponte Daladier – purtroppo il Saint-Bénézet è ormai impraticabile – gli indizi delle quindici livrées cardinalices o degli altri edifici coevi che


arricchirono il panorama della «città dei cardinali» vanno cercati con cura. Percorrendo la rue de la République, via principale di Villeneuve, qualcosa si riesce a individuare. Al civico 1, per esempio, proprio di fronte al Municipio, la bertesca difensiva indica la residenza del cardinale Arnaud de Via, e poco distante, a lato di essa, camuffata nell’aspetto seicentesco, si ritrova la livrée del cardinale di Pamplona, Pietro Selva de Montirac, attualmente Museo Municipale. Qui si conserva, tra l’altro, uno dei piú grandi dipinti del Medioevo: l’Incoronazione della Vergine di Enguerrand Quarton (XV secolo). Conserva invece i suoi tratti gotico-provenzali la vicina chiesa di Notre-Dame, di cui colpisce innanzitutto la torre fortificata che ospita l’abside. È comunque un edificio da osservare con molta attenzione nel suo insieme, visto che fu pensata quale gigantesco monumento funebre del fondatore, il già citato Arnaud de Via.

Uno scorcio dell’abitato moderno di Avignone, sormontato dalle imponenti fortificazioni medievali sulla collina. La città conta oggi circa 92 000 abitanti ed è il capoluogo del dipartimento della Valchiusa.

La riconoscenza di Innocenzo VI

Nei pressi del portico che apre la rue de la République, si incontra uno straordinario «regalo» papale: la Chartreuse du Val-de-Bénédiction. La certosa, infatti, era in origine la livrée estiva del cardinale Étienne Aubert, papa con il nome di Innocenzo VI. Immediatamente prima di lui era stato chiamato al soglio pontificio il generale dei Certosini, il quale aveva però rifiutato, consentendo cosí all’Aubert di salire sul trono di Pietro. E questi, riconoscente, nel 1356 insedia i Certosini nella sua antica residenza. La certosa, ai piedi del Puy Andaon, fu ampliata una prima volta dopo la morte del papa per volere del cardinale di Pamplona, e poi tra il XVII e il XVIII secolo. Il monumento piú significativo del XIV secolo

in tutta l’area, oltre al Palais des Papes, è però il Fort Saint-André, che domina Villeneuve dal ricordato poggio Andaon. Una cittadella vera e propria, chiusa in una cinta di mura cadenzata da torri circolari, che pare quasi sorta a difesa dell’antica abbazia benedettina lí fin da prima dell’anno Mille. Infine, non si può lasciare Villeneuve-lès-Avignon senza salire i centosettantasei gradini della Tour Philippe le Bel, costruita ben prima dell’inizio dell’epopea papale. Sia perché proprio nei pressi della torre si trova ancora la livrée del cardinale di Déaux, divenuta nel 1400 sede della Zecca, sia perché cosí si mancherebbe una delle vedute piú spettacolari di Avignone: proprio qui, dalla cima della torre, dove non è raro doversi riparare dalle raffiche del mistral, il terribile vento che flagella la valle del Rodano. Ed è tutta colpa sua se ad accompagnare questo itinerario sulle bianche carrarecce come sulle autostrade è stata un’intensa fragranza di lavanda. Il potente vento che soffia nel Sud della Francia rimane nel ricordo, a riproporre emozioni, sensazioni, momenti unici, di questa «storica» puntata nella memoria d’Europa.

Dove e quando palazzo dei papi Orario aperto tutto l’anno, tutti i giorni, con i seguenti orari: set-nov: 9,00-19,00; nov-feb: 9,30-17,45; mar: 9,00-18,30; apr-giu: 9,00-19,00; lug: 9,00-20,00; ago: 9,00-20,30 Info www.palais-des-papes.com

chiesa di s. agricola Orario lu-sa, 8,00-20,00 Info www.ot-avignon.fr musée du petit palais Place du Palais des Papes Orario tutti i giorni, 10,00-13,00 e 14,00-18,00: ma chiuso Info www.petit-palais.org

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Czestochowa

Dresda

Kielce

REPUBBLICA CECA

POLONIA

Praga

Střibro

Kutná Hora

Plzen Tábor

České Budějovice

boemia e ungheria

GERMANIA Salisburgo

Linz

AUSTRIA

Vienna Sopron Szombathely Zalaegerszeg

Udine

ITALIA

I

Tarnów

Havlíčkūv Brod Jihlava

SLOVENIA Zagreb

Poprad

SLOVACCHIA

Visegrád Esztergom Komárom Eger Vác Budapest Szèkesfehérvár Veszprém Kecskemét

UNGHERIA

CROAZIA

Kalocsa Pécs

ROMANIA SERBIA Timisoara

l regno di Boemia nacque nel 1198 con il sovrano Ottocaro I. Il suo cuore politico si trovava a Praga che, nel XIII secolo, poteva essere considerata la capitale dello Stato piú potente del Sacro Romano Impero. Il merito della rapida ascesa fu della dinastia dei Premyslidi, di cui Ottocaro faceva parte, che annetterono ai propri domini zone della Slovacchia, dell’Austria, della Slesia e anche del Nord Europa. Boema era anche Kaliningrad, oggi enclave russa sul Baltico, all’epoca chiamata Královec. Come accadde nel vicino regno d’Ungheria, i sovrani, in cerca di alleati, favorirono l’arrivo di coloni da Occidente, in particolare dalla Germania. Alcune città come Stríbro, Kutná Hora, Havlíckuv


Brod e Jihlava beneficiarono della presenza di immigrati tedeschi, soprattutto in ambito mercantile. Nel XIV secolo il regno accrebbe ulteriormente il proprio prestigio con i monarchi della casa di Lussemburgo che, nel contempo, erano anche sovrani dell’impero germanico. Con la Bolla d’Oro del 1356 la Boemia entrò nella ristretta cerchia dei regni chiamati a eleggere l’imperatore. Il XV secolo, invece, passò alla storia come l’era dei conflitti interni, soprattutto religiosi, che esplosero con l’affermarsi delle tesi del teologo boemo Jan Hus (1369-1415) in aperta polemica con la Chiesa di Roma. Capitale del radicalismo piú estremo del movimento era Tábor, nella parte meridionale del regno, mentre Plzen rappresentava la roccaforte degli antihussiti insieme a Ceské Budejovice. In età antica l’Ungheria faceva parte di una grande regione, chiamata Pannonia (comprendente anche zone delle odierne Austria, Croazia e Slovenia) e abitata da popolazioni traco-illiriche. In epoca romana, a partire dal 35 a.C., il territorio assunse una notevole rilevanza strategica per l’impero come argine nei confronti delle invasioni barbariche provenienti da est. Prima del Medioevo diversi centri si dividevano il potere politico nella regione ungherese: Aquincum (Budapest), Brigetio (Komárom), Sabaria (Szombathely), Scarbantia (Soprom) e Sopianae (Pécs). Dopo la dominazione di Avari, Longobardi e Unni giunsero in quel distretto i Magiari, guidati dal principe Árpád, che stabilirono il loro presidio a Esztergom. Uno dei suoi successori, Stefano I, si convertí al cristianesimo e ottenne da papa Silvestro II la corona reale nel 1000. Del ruolo di capitale, in quegli anni, venne investita Székesfehérvár e al suo fianco si svilupparono centri di potere ecclesiastico come Kalocsa, Veszprém, Eger e Vác. La dinastia di Árpád compí prestigiose conquiste, annettendo al proprio regno la Slavonia e la Dalmazia, ma si estinse nel 1301 dopo essere sopravvissuta alle invasioni mongole. La corona ungherese, che faceva gola a molte famiglie reali europee, finí in mano alla famiglia francese degli Angiò anche per volere della Chiesa di Roma. In quel secolo i nuclei abitativi sul Danubio di Óbuda, Buda e Pest (che nell’Ottocento, unendosi, formarono Budapest) sottrassero agibilità politica agli altri capoluoghi. Nel XV secolo l’Ungheria visse il suo momento d’oro durante il regno di Mattia Corvino, che stabilí le sue residenze a Buda e a Visegrád. I centri di Kecskemét e Zalaegerszeg conseguirono prestigio, invece, per i loro successi commerciali.

Nella pagina accanto Veszprém (Ungheria). Le statue del sovrano magiaro Stefano I (969-1038) e della moglie Gisella poste sulla collina dell’antica città. Opera di József Ispánky, 1938. In basso veduta dal basso del castello di Visegrád (Ungheria) che fu residenza del potente monarca magiaro Mattia Corvino (1443-1490).

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Un’Atene dell’Est di Fabio Brioschi

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Nel 1347 Praga salutò l’elezione di Carlo IV di Lussemburgo a re di Boemia. L’evento segnò l’inizio di un vero e proprio rinascimento, che trasformò la città bagnata dalla Moldava in una delle capitali del Sacro Romano Impero

Praga (Repubblica Ceca). Veduta panoramica del Ponte Carlo (XIV sec.) sul fiume Moldava e dell’antico quartiere di Malá Strana con le sue abitazioni dai caratteristici tetti rossi. capitali del medioevo

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Boemia

Praga Statua del re boemo Carlo IV di Lussemburgo (1316-1378) situata nella Križovnické námešti, la piazza antistante il celebre ponte che porta il nome del monarca. Nella pagina accanto veduta di Praga nel Cinquecento, dal Civitates Orbis Terrarum di Franz Hogenberg e Georg Braun. 1572-1616.

A

l centro della piazza della Città Vecchia di Praga (Staromestské námestí) si erge maestoso il monumento dedicato all’uomo simbolo dell’orgogliosa nazione ceca: Jan Hus. Il grande riformatore religioso, però, non è la sola grande personalità ad avere lasciato nella Boemia medievale una traccia profonda; un altro personaggio, senza il quale forse non si sarebbe prodotto l’ambiente culturale e politico in cui si sviluppò il movimento hussita, domina la storia di Praga: Carlo IV di Lussemburgo, re di Boemia dal 1347 e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1355. Nato nel 1316 a Praga da Giovanni di Lussemburgo, figlio di Enrico VII di Lussemburgo, e dalla principessa ceca Eliska (Elisabetta), ultima erede dei Premyslidi, sovrani autoctoni della Boemia, scelse Praga come sua residenza imperiale e ne fece una delle piú grandi corti d’Europa, risollevando il regno e la sua capitale fino all’apice della ricchezza e della prosperità dopo un periodo di crisi e di abbandono. Sul finire del XIII secolo, infatti, il progressivo indebolimento della dinastia premyslide – estintasi nel 1306 con la morte di Venceslao III – aveva gettato la Boemia nell’instabilità politica e sociale, causate dall’insanabile conflitto apertosi fra la borghesia di origine tedesca, che aveva il controllo della città di Praga, e l’inquieta nobiltà ceca, che aveva le proprie roccheforti nelle campagne boeme e che approfittò della debolezza della corona per impossessarsi di terre e ricchezze.

Un patriziato di matrice germanica

Da sempre nell’orbita germanica, la Boemia contava numerosi abitanti di lingua tedesca, concentrati perlopiú a Praga e nelle piú grandi città del Paese, nelle quali costituivano l’ossatura dell’emergente patriziato cittadino. A Praga essi controllavano le magistrature della città e fra di loro venivano eletti i membri del consiglio municipale della Città Vecchia. Si trattava in gran parte di commercianti, di gestori delle ricche miniere d’argento e di grandi proprietari terrieri;

le date da ricordare X sec. Boleslav II fa edificare il Vyšehrad, il castello più antico della città.

973 Praga è eletta sede del vescovado.

XI-XII sec. Ampliamento e fortificazione del castello di Hradcany.

1347 Carlo IV di Lussemburgo viene eletto re di Boemia.

1257 Con Ottocaro II nasce la Città Piccola (Malá Strana).


una piazza simbolo Uno dei libri piú famosi su Praga è Praga magica del grande slavista Angelo Maria Ripellino (Einaudi, Torino 1973¹) su cui si è costruito il mito di una città esoterica e profondamente pervasa da un costante simbolismo magico, quasi stregonesco. Il libro, bellissimo e per certi versi commovente per il grande amore che legò Ripellino alla capitale boema, tuttavia, ha forse un po’ offuscato gli altri mille motivi di interesse di questa città. Praga nasconde il proprio fascino, storico e artistico, in ogni angolo, in ogni via dei suoi cinque quartieri antichi, il cui difficile nome in lingua ceca aggiunge ulteriore fascino: Staré Mesto (la Città Vecchia), Nové Mesto (la Città Nuova), Josefov (il Quartiere Ebraico), Malá Strana (la Piccola Parte), Pražský hrad a Hradcany (il Castello). Principale luogo simbolo della città è piazza della Città Vecchia, il cuore di Praga, spazio deputato allo svolgimento dei principali eventi cittadini e nazionali. Proprio in questa piazza il 21 giugno 1621 – all’indomani della battaglia della Montagna Bianca, dalla quale uscirono sconfitti i protestanti boemi ribellatisi al dominio cattolico degli Asburgo – il boia Jan Mydlá giustiziò ben 27 signori cechi, capi della ribellione anti-cattolica. L’esecuzione fu talmente efferata da prostrare per secoli l’orgoglio della nazione ceca e colpire in profondità l’immaginario collettivo dei cittadini praghesi. Non è certo un caso se proprio in questa piazza nel 1915, nel 500° anniversario della morte di Jan Hus, sia stato posto l’imponente monumento dedicato al riformatore religioso: esso rappresenta gli hussiti vittoriosi e i protestanti costretti a lasciare la Boemia all’indomani della sconfitta, mentre una giovane donna rappresenta la rinascita della nazione ceca; su tutti domina la statua di Jan Hus, considerato il padre della patria ed eroe della rinascita del nazionalismo ceco. Tale è la considerazione di cui gode che, all’indomani dell’invasione nazista della Cecoslovacchia nel 1939, ignote mani della Resistenza gli posero un velo sulla testa per impedirgli di vedere l’atroce disgrazia che stava per abbattersi sulla nazione ceca.

1348 Carlo IV di Lussemburgo edifica la Città Nuova (Nové Mesto) sulla riva destra della Moldava. Fondazione dell’Università di Praga e costruzione della Cattedrale. 1350 Cola di Rienzo è a Praga.

1356 Francesco Petrarca è inviato alla corte di Carlo come ambasciatore dei Visconti.

1367 Carlo ordina l’abbattimento delle mura che dividono la Città Vecchia dalla Città Nuova. 1357 Comincia la costruzione del Ponte Carlo sulla Moldava.

XV sec. Sorge il cimitero del quartiere ebraico della città, in uso fino alla sua chiusura nel Settecento, quando vengono abolite le misure discriminatorie nei confronti degli Ebrei.

1378 Morte di Carlo IV. Praga è all’apice del suo prestigio.

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Boemia

Praga

attività che li ponevano spesso in conflitto con i medesimi interessi della grande nobiltà boema, mal disposta a sopportarne la concorrenza. Gli ultimi premyslidi – in particolare Ottocaro II (†1278) e Venceslao II (†1305) – erano riusciti a stabilire un buon equilibrio politico all’interno del Paese, acquisendo l’ereditarietà della corona in cambio di alcuni importanti benefici concessi alla nobiltà. La consuetudine prevedeva che la corona divenisse elettiva solo in caso di estinzione della linea maschile della famiglia reale, il che si verificò, appunto, nel 1306.

Dal Lussemburgo alla Boemia

Il regno fu affidato in un primo tempo a Enrico di Carinzia (1307-10), sostenuto dalla ricca borghesia tedesca di Praga, ma la situazione instabile e i continui conflitti fra il patriziato e la nobiltà spinsero a cercare l’intervento di Enrico VII di Lussemburgo, appena eletto re dei Romani. Una

In basso la principessa veggente Libussa che, secondo la leggenda, fondò nell’VIII sec. la dinastia boema dei Premyslidi e la città di Praga. Dipinto di Karl Vitezlav Masek, 1893. Parigi, Musée d’Art Moderne.

famiglie che contano La preminenza della parte tedesca nel governo di Praga è desumibile anche grazie al fatto che, dal 1310 si cominciò a tenere un registro della Città Vecchia, in cui si annotavano i regolamenti, le ordinanze e i piú importanti avvenimenti cittadini. Fra le famiglie piú in vista si segnalarono i Wölflin (Wölfel in ceco), noti finanziatori del nuovo re Giovanni, gli Olbram, gli Stuck, i Fridinger, i von Stein, tutti di origine tedesca, e solo gli Junos e i Kokot di origine ceca. La progressiva importanza assunta da queste famiglie nel governo della città di Praga è testimoniata dal fatto che nel 1338 Giovanni di Lussemburgo autorizzò il consiglio municipale ad acquistare un palazzo sulla piazza della Città Vecchia, centro sociale e politico per eccellenza di

delegazione di nobili cechi, patrizi praghesi e autorevoli religiosi chiese al Lussemburgo che il figlio Giovanni sposasse l’ultima erede dei Premyslidi, la principessa Eliska, con l’evidente prospettiva di incoronarlo re di Boemia e riportare il baricentro dell’azione politica regale verso il solco della tradizione premyslide. Giovanni di Lussemburgo divenne cosí il nuovo re di Boemia. Tuttavia, nonostante una certa prosperità economica e il sopimento degli antichi conflitti fra nobili cechi e patrizi tedeschi, le aspettative degli uni e degli altri rimasero ben presto deluse quando fu palese che Giovanni di Lussemburgo non avrebbe privilegiato la Boemia fra tutti i suoi territori di famiglia e, anzi, l’avrebbe trascurata. Intrighi e gelosie ripresero il sopravvento, al punto che Giovanni fece imprigionare la moglie Eliska e il figlio Venceslao, per poi spedire la

Le visioni di libussa Una delle piú belle e note leggende ceche narra la storia di come la principessa Libussa e il contadino Premysl fondarono Praga. La bellissima giovane era dotata del potere della preveggenza e discendeva da Czech, una sorta di Mosè ceco che guidò la sua tribú dall’Est europeo fin sulle rive della Moldava. In uno dei suoi sogni premonitori, Libussa vide Premysl e decise che l’avrebbe sposato per farne il capo della propria tribú. Poco dopo Libussa ebbe un’altra visione e vide una grande città sulla sponda opposta del fiume, una città che avrebbe avuto grande fama e grandi onori. Si mise in marcia a capo del suo popolo finché si imbatterono in un uomo che stava intagliando la soglia (prah in ceco) della propria casa. Libussa, allora, ordinò che lí venisse edificato un castello che sarebbe stato chiamato «Praga» e che avrebbe costretto ogni principe a chinare la testa.

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Praga, per farne la sede di rappresentanza e il Palazzo municipale. La carica simbolica della posizione scelta è comprovata, fra l’altro, dal fatto che la sede della municipalità praghese è tuttora ospitata nel medesimo palazzo. La restante parte del popolo praghese era costituita perlopiú da Cechi, che si dedicavano all’artigianato e ai lavori manuali, e, in gran parte, da poveri che vivevano alla giornata, come in ogni altra grande città europea. A partire dalla fine del XIII secolo i lavoratori delle arti e dei mestieri cominciarono a riunirsi in confraternite e gilde, dandosi un’organizzazione stabile e duratura e contribuendo a una notevole rinascita economica della città, che si avviava a diventare un centro propulsivo e commerciale di riferimento per tutta l’area dell’Europa orientale.

In alto la casa occidentale del Municipio di Praga nella quale si apre la cinquecentesca finestra tirpartita sormontata dalla scritta «Praga caput regni». A sinistra l’orologio astronomico (XV sec.) situato nella piazza della Città Vecchia (Staromestské námestí). Ogni ora, dalle due finestrelle superiori si materializzano le figure dei 12 Apostoli.

prima in Baviera e il secondo alla corte reale dello zio Carlo IV a Parigi (un evocativo caso di omonimia) per esservi convenientemente educato, ma, in realtà, per allontanarlo dalle trame della corte ceca. A Parigi, dove rimase per sette anni, Venceslao fu ribattezzato Carlo. Il padre cercò in seguito di tenerlo in ogni modo lontano dalla Boemia, mandandolo ora in Italia ora in Lussemburgo a trattare le proprie faccende e combattere le proprie guerre.

Castelli in rovina

Quando Carlo decise autonomamente di tornare a Praga, sua città natale, vi trovò i simboli del potere regio in rovina: le macerie del castello reale di Pražský hrad, sulla collina di Hradcany, e del castello di Vysehrad, il nucleo originale e piú antico della dinastia materna dei capitali del medioevo

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Boemia

Praga

Cola di Rienzo e Petrarca alla corte di carlo I legami di Carlo IV con l’Italia sono assai noti, per via dei suoi lunghi soggiorni e della sua predilezione per la città di Lucca, ma la presenza di alcuni Italiani a Praga è invece alquanto curiosa, come quella del tribuno romano Cola di Rienzo e del grande poeta Francesco Petrarca. Il primo, appassionato ed eclettico sostenitore della riforma della Chiesa, giunse a Praga nel 1350 e fu introdotto a corte dal farmacista reale Angelo. Alla presenza del re cominciò a rivelare le proprie profezie sulla riforma della Chiesa romana, che si sarebbe potuta verificare grazie alla collaborazione fra Carlo e Cola stesso. Il Romano venne arrestato a causa delle sue idee circa la necessità di rinnovamento delle istituzioni ecclesiastiche e divenne presto una pedina di scambio nei travagliati rapporti fra la corte boema e la curia avignonese: in palio c’era l’incoronazione imperiale di Carlo. Rispedito a Roma, Cola fu liberato da papa Innocenzo VI, ma venne poi assassinato in un tumulto di piazza nel 1354. Anche Petrarca in qualche modo sognava una rinascita dell’autorità e del prestigio dell’impero romano e aveva anch’egli individuato in Carlo re di Boemia colui che avrebbe potuto raggiungere questo scopo. I due si incontrarono una prima volta nei pressi di Mantova nel dicembre del 1354, mentre Carlo si recava a Roma per l’incoronazione imperiale, e una seconda volta nel 1356, a Praga, dove Petrarca fu inviato come ambasciatore dai Visconti di Milano. Il poeta fu accolto con tutti gli onori e fu addirittura nominato conte palatino. Carlo e Petrarca si incontrarono ancora in occasione del secondo viaggio dell’imperatore in Italia e le relazioni si mantennero cordiali per tutta la durata della loro vita.

In questa pagina la cattedrale praghese di S. Vito (XIV sec.) con l’entrata principale, la «Porta d’oro» (a sinistra), e un particolare delle decorazioni della facciata (qui sotto).


regno del padre, ma solo grazie al suo impulso, la città fu sottratta all’arcidiocesi di Magonza ed elevata a sede arcivescovile (1344), un fatto importante che permise a Carlo di instaurare con la Chiesa boema un dialogo proficuo a sostegno della propria regalità, celebrato con l’avvio dei lavori di costruzione della nuova cattedrale, che sorse nei pressi del castello di Hradcany. Tenendo a mente le proprie origini premyslidi, che erano per il nuovo re un punto di riferimento assai importante, Carlo intervenne con acume e decisione nella struttura urbanistica e sociale di Praga. Contemporaneamente alla costruzione della nuova cattedrale e alla ristrutturazione del castello di Hradcany, Carlo si dedicò anche alla costruzione del castello di Karlstejn, a pochi chilometri da Praga, ma, soprattutto, procedette alla ristrutturazione del maniero di Vysehrad, il piú antico e piú significativo del regno premyslide, caduto in rovina negli anni bui successivi all’estinzione della dinastia e già in parte sostituito da quello di Hradcany, piú vicino e agevole rispetto alla Città Vecchia.

Un progetto grandioso

Premyslidi, dovettero fare una grande impressione al giovane, che, nel frattempo, era stato nominato margravio di Moravia dal padre. Carlo iniziò a operare nel solco della tradizione regale della famiglia materna, riallacciando relazioni con la nobiltà ceca e con la municipalità praghese, ristabilendo i contatti con la Chiesa boema e dimostrando interesse per le sorti del proprio Paese, ma non poté rendere definitivo il proprio ritorno in Boemia, perché re Giovanni, irritato dai successi che il figlio stava riscuotendo in patria, lo spedí nuovamente in missione: una missione che durò ben sei anni e che lo portò nuovamente in giro per l’Europa a curare gli interessi dei Lussemburgo.

Giovanni abbandona il trono

Il vecchio re, tuttavia, ormai al termine della propria vita, si decise infine a lasciare il trono al figlio. Giovanni morí nella battaglia di Crécy nel 1346, affrontando gli Inglesi al comando della cavalleria francese; Carlo fu eletto re dei Romani nello stesso anno, re di Boemia nel 1347, re d’Italia e imperatore del Sacro Romano Impero nel 1355. Il neoeletto confermò la scelta di Praga come sede della sua corte imperiale e vi si dedicò con passione e intelligenza, al fine di accrescerne la fama e la bellezza. Già sotto il

In alto il monumento novecentesco innalzato in onore del teologo boemo Jan Hus, collocato al centro della piazza della Città Vecchia. Il religioso fu condannato al rogo per eresia nel 1415.

In quest’ottica decisamente imperiale Carlo promulgò nel 1348 due decisioni di portata storica per la città di Praga: la fondazione della Città Nuova (Nové Mesto), un progetto talmente grandioso che non fece in tempo a essere terminato prima della morte del re, e l’istituzione dell’Università, la prima dell’Europa orientale. All’epoca del ritorno di Carlo a Praga, la città era costituita dal nucleo antico della Città Vecchia, contornata da piccoli borghi sparsi intorno alle mura, dall’insediamento del castello di Hradcany, circondato da piccoli agglomerati di case, e dal piccolo nucleo di Malá Strana (Piccola Parte). Il suo progetto di rilancio della città prevedeva in un primo tempo la fondazione della Città Nuova, una superficie vasta tre volte quella dell’antico nucleo della Città Vecchia, circondata da bastioni imponenti che comprendevano nel proprio sistema anche il Vysehrad rinnovato. L’impulso sociale e urbanistico impresso dal re fu notevole: furono costruiti chiese e monasteri (S. Enrico nella parte settentrionale, S. Stefano in quella meridionale, il Karlov, in onore di Carlo Magno, al fine di sottolineare la continuità del potere imperiale); il commercio fu favorito con l’istituzione di numerosi mercati, che trovarono posto in piazze oggi molto note e significative di Praga, come piazza Carlo (mercato del bestiame) e piazza Venceslao (mercato dei cavalli). Il re ebbe cura di fare inserire nel perimetro delle mura tutti i borghi che si trovavano nei pressi o poco distanti dalle mura della Città Vecchia, accapitali del medioevo

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Boemia

Praga

tesori medievali Gli amanti dell’arte medievale non possono mancare la visita della Galleria Nazionale di Arte Medievale in Boemia, sede distaccata della Naródní Galerie, situata presso il convento di S. Agnese di Boemia. Il convento venne fondato nel 1233 per volere di Venceslao II in favore della sorella Agnese, suora clarissa, proclamata Santa nel 1989. Dopo secoli di abbandono, l’edificio è stato recuperato sul finire degli anni Novanta del Novecento e oggi ospita un museo di arte medievale molto ben strutturato e ricco di opere pregiate. Fra i reperti, sebbene probabilmente poco noti al pubblico italiano, meritano una menzione la predella lignea di Roudnice (inizi XIV secolo), parte del polittico del Maestro dell’Altare di Vyssi Brod, il ciclo della Passione del Maestro dell’Altare di Trebon (fine XIV secolo).

quisendo legittimamente i terreni e incorporandoli in un unico sistema urbano, i cui nuovi abitanti avrebbero goduto per dodici anni dell’esenzione dalle tasse. In un secondo tempo ordinò che tutti gli agglomerati di case sparsi sulla collina di Hradcany venissero incorporati nel distretto amministrativo del castello, sottoponendoli cosí alla propria giurisdizione regale. Nel 1367 Carlo ordinò di abbattere le mura che dividevano la Città Vecchia dalla Città Nuova, con l’evidente intento di favorire la fusione dei due corpi urbani, ma i gruppi sociali delle due conformazioni erano troppo diversi e ormai sedimentati per fondersi, cosí la divisione fu ripristinata pochi anni dopo. Anche il ponte di pietra sulla Moldova (Karluv most) faceva parte della visione imperiale di Praga e andò a sostituire il ponte di legno preesistente che collegava la Parte Piccola (Malá Strana) alla Città Vecchia, ma Carlo non riuscí a vedere completata l’opera.

La nascita dell’Università

Sul finire del suo regno, dunque, la città era organizzata in quattro entità amministrative, che ancora oggi disegnano sulle cartine i confini dei distretti storici di Praga: la Città Vecchia (comprendente il quartiere ebraico di Josefov), la Città Nuova, Hradcany, Malá Strana. Nell’insieme, questi distretti contavano circa 30 000 abitanti (altre stime parlano di 100 000), con i Tedeschi concentrati perlopiú nella Città Vecchia e i Cechi nei restanti tre. L’altra grande invenzione di Carlo fu la fondazione dell’Università, autorizzata da papa Clemente VI nel 1347 e istituita nel 1348. Essa nacque dal comune interesse del pontefice, che voleva contrastare in tal modo l’azione condotta da Guglielmo di Ockham nell’Università di Monaco, e del sovrano boemo, strenuo sostenitore della Curia 112

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avignonese, ma anche genuinamente interessato alla gloria propria e della città. Nelle memorie di Carlo, l’Università appare come un servizio necessario per i Boemi, costretti altrimenti a pericolosi e dispendiosi viaggi e soggiorni all’estero. Sotto questo punto di vista si può affermare che l’età carolina è stata una piccola età dell’oro per l’educazione nelle terre boeme. La sinergia con la Chiesa boema ne fece una delle istituzioni piú importanti del regno carolino e l’Università fu dotata anche di una facoltà di teologia, che ben presto cominciò a competere per fama dei propri docenti e studenti con Parigi e Oxford. Il raggio di influenza del nuovo ateneo si estese presto a tutta l’Europa orientale, attraendo studenti dall’Ungheria, dalla Polonia e dalla Slesia. Jan Hus ne fu prima studente e poi grande e scomodo docente.

In basso la torre gotica attraverso cui dal versante della Città Vecchia si accede al Ponte Carlo. Realizzata nel XIV sec. riporta nella facciata gli stemmi di tutti i regni della Boemia e le statue di alcune grandi personalità della storia praghese.


un colle carico di storia Sebbene dell’antico castello voluto da re Boleslav II (972-999) siano rimasti scarsi resti della cinta muraria, la collina del Vysehrad vale la visita. Dominato dalla chiesa dei SS. Pietro e Paolo, il luogo si trova al di fuori degli itinerari turistici piú comuni ed è facilmente raggiungibile in metropolitana. Dopo avere visitato la rotonda di S. Martino, la piú antica chiesa romanica di Praga, si può accedere alla spianata del colle, che accoglie opere ottocentesche dello scultore Josef Václav Myslbek, raffiguranti i piú noti personaggi della mitologia ceca: Premysl e Libussa. Proprio qui, infatti, la leggenda della fondazione di Praga a opera della principessa Libussa fa iniziare la storia della capitale boema (vedi box a p. 108). Sarà la suggestione della leggenda stessa o forse il fascino delle poche mura che si affacciano sullo sperone roccioso a picco sulla Moldava, ma qui sembra di essere immersi nella storia di questa magnifica città. Adiacente alla chiesa dei SS. Pietro e Paolo è il cimitero delle personalità illustri della Boemia. Un tempo era un semplice camposanto parrocchiale, ma proprio per suggellare il valore che questo luogo ha nella storia del Paese, verso la fine del XIX secolo esso fu scelto per farvi riposare le spoglie delle personalità piú illustri della Cechia: vi si possono trovare le tombe degli scrittori Jan Neruda (1834-1891) e Karel Capek (1890-1938), dei musicisti Antonín Dvorák (1841-1904) e Bedrich Smetana (1824-1884) e di altri famosi personaggi.

Uno scorcio del Ponte Carlo sul versante del quartiere di Malá Strana.

Una delle conseguenze piú significative delle attività universitarie fu la rivalutazione della lingua ceca, normalmente non utilizzata nei documenti ufficiali della corte e della municipalità praghese, a vantaggio del latino e del tedesco almeno fino alla seconda metà del secolo XIV. La fondazione dell’Università carolina fu di grande stimolo all’evoluzione dell’ambiente culturale praghese, di corte e non, grazie alla capacità di attrarre, ma anche di produrre nel proprio seno, un gran numero di intellettuali e artisti, e spingendo addirittura Francesco Petrarca a dire che il re e il suo seguito avrebbero meritato di godere di fama imperitura come se fossero nati nell’antica Atene. Carlo IV morí nel 1378, lasciando la sua amata Praga all’apice della fama e della ricchezza. In breve, tuttavia, sulla Boemia sarebbero calati nuovamente i tempi bui della guerra e della sottomissione alle potenze straniere.

Dove e quando Pražský hrad (castello di praga) Orario apr-ott: tutti i giorni, 5,00-24,00; nov-mar: tutti i giorni, 6,00-23,00; gli orari si riferiscono all’intero complesso: i monumenti e i musei che ne fanno parte hanno orari differenziati; le informazioni sono disponibili sul sito ufficiale del castello Info www.hrad.cz (info anche in lingua inglese) convento di s. agnese di boemia (esposizione permanente sull’arte medievale della boemia e dell’europa centrale) U Milosrdných 17, Praha 1 Orario tutti i giorni, 10,00-18,00; lu chiuso Info www.ngprague.cz (info anche in inglese) Municipio della Città Vecchia e Orologio Astronomico Staromestské námestí 1/3, Praha 1 Orario sale: lu, 11,00-18,00; ma-do, 9,00-18,00; torre: lu, 11,00-22,00; ma-do, 9,00-22,00 Info www.staromestskaradnicepraha.cz, www.praguewelcome.cz (info anche in inglese)

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ungheria Budapest (Ungheria). Veduta dal basso della città vecchia di Buda arrampicata sulla collina che si erge sopra la riva destra del Danubio. Sulla sinistra è visibile il profilo della duecentesca chiesa di Mattia e, a fianco, il Bastione dei Pescatori.

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Budapest

Budapest nacque dall’unione di vari nuclei urbani sviluppatisi sulle sponde del maestoso fiume. Una città dalle radici antiche, segnata da una storia travagliata, e la cui fondazione è legata a un nome leggendario


Tre perle sul di Francesco Troisi

Danubio

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ungheria

Budapest

L

a storia e la leggenda di Budapest sono custodite in alto, sui rilievi di una capitale dalle molte anime, spesso dipinta come «la Parigi dell’Est». All’alba del Medioevo sulla collina sopra la riva destra del Danubio, nacque la vecchia Buda, fondata, secondo la leggenda, dal re degli Unni Bleda, poi ucciso in circostanze misteriose durante una battuta di caccia. La tradizione identificò l’omicida nel fratello Attila, il famigerato «flagello di Dio», il quale, per cancellare la memoria della vittima decise di chiamare quel luogo in un altro modo.

L’impronta del terribile condottiero, sebbene frutto della fantasia popolare, restò a lungo nella memoria della città e si trova ancora testimoniata dalla grande diffusione del suo nome di battesimo tra gli abitanti.

Un’anima romana

La capitale ungherese, però, ha radici ancora piú antiche. Molto prima che Buda fosse fondata, su quella collina esisteva un insediamento celtico risalente all’età del Ferro chiamato Akink, cioè «acqua abbondante». Il nu-

le date da ricordare I sec. I Romani occupano la Pannonia inferiore e fondano il municipium di Aquincum. V sec. Invasione degli Unni.

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X sec. Alle dominazioni di Ostrogoti, Longobardi e Avari succede quella magiara.

XIV sec. Subentrano gli Angiò. Costruzione della rocca che domina la città. In seguito l’Ungheria passa sotto il controllo dell’imperatore Sigismondo I di Lussemburgo. La fortezza di Buda recupera il ruolo di capitale.

1241 Invasione e saccheggio della città da parte dei Tartari.

1367 Inaugurazione dell’università.

1456 L’avanzata degli Ottomani è interrotta dalle truppe di János Hunyadi, presso Belgrado.

1541 Gli Ottomani marciano su Buda e la occupano. XVII sec. Le truppe asburgiche liberano la città. Pest è la capitale politica e culturale del nuovo regno.


cleo abitativo si era sviluppato sul monte Gellért, uno dei punti piú elevati della città, mentre in basso, a valle, il villaggio risultava scarsamente popolato. A partire dal I secolo d.C., i Romani presero possesso di quell’area, allora conosciuta come Pannonia Inferiore, e sul sito dell’insediamento celtico fondarono Aquincum, che divenne prima municipium e poi colonia. Nel III secolo la città visse un periodo di splendore, generato da una considerevole fioritura economica, che però non durò a lungo. L’abitato romano sorgeva piú a nord rispetto a dove, in seguito, nacque la medievale Buda, e si dotò di un sistema di fortificazioni per neutralizzare i continui assalti dei barbari, in particolare nella zona a ridosso del fiume che nel Medioevo assunse il nome di Pest. Al tempo dell’imperatore Adriano, in precedenza governatore della Pannonia, si stima che ad Aquincum vivessero circa 20 000 persone. Con il tramonto dell’impero romano nel territorio dell’odierna Ungheria fecero irruzione gli Unni, una popolazione nomade di origine siberiana. Era l’inizio del V secolo e anche la capitale pannonica dovette arrendersi agli invasori. Risalirebbe a quegli anni, come già ricordato, la fondazione di Buda da parte del re Bleda, dal quale la città trasse il nome, sebbene esso derivi piú verosimilmente da un termine protosla-

vo, «voda», che significava «acqua», in relazione alla vicinanza del Danubio. A valle si sviluppava Pest con una vocazione meno politica e piú incline al commercio. Anche il suo toponimo era composto dalla radice di un termine slavo, con il significato di «stufa» in riferimento alle sorgenti calde del fiume. I due abitati subirono altre dominazioni, dopo quella degli Unni: prima giunsero gli Ostrogoti, quindi i Longobardi e gli Avari. Un transito continuo di genti bellicose che costrinse gli abitanti del luogo ad asserragliarsi nella zona in cui nel IV secolo era stata costruita una fortezza.

La resistenza pagana sulla collina

Le invasioni, però, continuarono e, alle soglie del X secolo, la città cambiò di nuovo padrone. Sette tribú di origine asiatica, i Magiari, guidate dal principe Árpád, occuparono la pianura danubiana espandendosi, poi, verso occidente, fino all’Italia. Il condottiero nomade si stabilí sull’isola Csepel, tra Buda e Pest, ma i suoi discendenti scelsero la collina sopra il Danubio come loro roccaforte. A Buda si concentrarono anche sacche di resistenza ostili alla rivoluzione religiosa decisa dai sovrani che, intanto, si erano convertiti al cristianesimo. Nel 1046 alcuni estremisti pagani, guidati dal pecenego Vata, scaraventarono giú dall’altura il vescovo veneziano Gerardo

In alto veduta di Budapest nel Rinascimento, dal Civitates Orbis Terrarum di Franz Hogenberg e Georg Braun. 1572-1616. Nella pagina accanto il re ungherese Mattia Corvino (1443-1490) rientra da una battuta di caccia. Olio su tela di Antal Ligeti. 1872. Budapest, Galleria Nazionale Ungherese. Il suo regno coincise con un periodo di grande fioritura culturale e architettonica della città.

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Budapest


IL PALAZZO REALE Uno dei simboli della vecchia Buda medievale è il castello (Budai Vár) che sorge fin dal Duecento sul versante sud della collina. A concepire la prima ossatura della fortezza fu il monarca Bela IV che fissò in quel sito la residenza reale di cui oggi non resta piú nulla. La parte piú antica dell’attuale castello, infatti, risale al Quattrocento, al periodo in cui il principe ungherese Stefano di Slavonia operò un ampliamento della struttura: si tratta della torre di Stefano (István-torony) la cui base è visibile nella pavimentazione di una terrazza panoramica della rocca. Il maniero subí, poi, notevoli modifiche su iniziativa dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo che fece erigere intorno all’edificio una doppia cinta di mura ancora in parte visibili nel versante meridionale, nei resti dei cosiddetti zwingers. Arricchí, quindi, la parte settentrionale con il «Palazzo fresco» (Friss-palota), la cui sala delle cerimonie era stata concepita a imitazione degli interni del palazzo comunale di Padova. Durante il regno di Mattia Corvino furono realizzate la Cappella reale e il Palazzo gotico, ma le maggiori novità avevano un’impronta rinascimentale. Nel Cinquecento la rocca subí numerosi rimaneggiamenti e una delle testimonianze ancora vive di quel restyling è il bastione della Grande Rondella nella parte meridionale, progettato da architetti italiani. Gravemente danneggiato dalle invasioni turche nel XVI secolo, il castello rifiorí nel Settecento con lo stile tipicamente barocco che tuttora lo connota.

Veduta del castello di Buda che, nel Medioevo, fu la residenza della monarchia ungherese. Edificato nel XIV sec., subí in seguito ripetuti rimaneggiamenti, che gli hanno conferito la fisionomia barocca che tuttora conserva.

all’interno di un barile pieno di chiodi. Il rilievo sopra il fiume, in memoria di quel martirio, assunse in seguito il nome di monte Gellért. Il monarca magiaro Stefano I, però, considerava la città alta inadatta a svolgere le mansioni di capitale del regno e decise di spostare l’asse politico del governo 60 km a sud-ovest, a Székesfehérvár. Qualche anno dopo Bela III, invece, stabilí una delle sue residenze a Óbuda, la parte piú antica dell’abitato sulla collina (adiacente a Buda) che rappresentava anch’esso un nucleo urbano autonomo

Arrivano i Tedeschi

Il suo successore, Bela IV, alle prese con una rivolta di nobili feudatari e allarmato dalla minaccia di un’imminente invasione mongola, si rivolse all’estero in cerca di alleati. Inoltre, per favorire lo sviluppo commerciale del regno, accolse gruppi di immigrati tedeschi e slovacchi. L’uragano tartaro si abbatté sull’Ungheria nel 1241. I tre segmenti urbani di Óbuda, Buda e Pest bruciarono e molti dei residenti, circa 100 000, vennero uccisi. I re magiari ricostruirono presto i tre borghi che, rapidamente, si ripopolarono. Sulla collina si formarono due forti comunità: quella ungherese, che si stanziò nei pressi della chiesa di S. Maria Maddalena, e quella tedesca, concentrata intorno al tempio di Mattia. Bela IV provcapitali del medioevo

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LA PORTA ANTICA DI BUDA Bécsi kapu è la «porta di Vienna», l’accesso alla città vecchia dominata dal castello. Il nome si riferisce alla strada che in passato collegava il centro con Vienna. Nel Medioevo era chiamata anche Szombat-kapu, «porta del sabato», perché nelle vicinanze, in quel giorno, si svolgeva il mercato.

vide anche a far edificare un imponente castello sul lato sud dell’altura di cui oggi non rimangono tracce.

I Francesi e il decollo economico

La dinastia degli Árpad si estinse all’inizio del XIV secolo e molte famiglie nobiliari europee si contesero la corona ungherese. Alla fine prevalsero i francesi Angiò, all’inizio poco amati dalla popolazione. Ciononostante, i monarchi angioini stimolarono la crescita economica del regno e, per favorirla, prescrissero a ogni mercante in transito nella zona di Buda e di Pest di vendere lí i suoi prodotti, imponendo una sorta di diritto di scalo. Iniziarono, poi, la costruzione della rocca che tuttora domina la città, ma stabilirono il loro quartier generale a nord, a Visegrád, e non a Buda, che, fino a tutto il Trecento, rivestí un ruolo politico di secondo piano. Alla rinascita politica ed economica fece seguito un’epoca di grande fervore culturale iniziata con l’inaugurazione dell’università nel 1367. L’arte e l’architettura sbocciarono dopo l’uscita di scena degli Angioini, quando l’Ungheria passò sotto il controllo dell’imperatore Sigismondo I di Lussemburgo. La fortezza, amplia120

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In alto la porta attraverso cui si accede al distretto del castello. Di struttura originaria medievale, fu ricostruita nel 1939. A destra la chiesa di Mattia (o dell’Assunta) eretta nel XIII sec. in stile romanico francese e poi trasformata in un gioiello dell’architettura gotica. È l’edificio religioso piú importante della città e dopo la fondazione divenne, per un periodo, il luogo di culto della comunità tedesca. ta, divenne residenza dei sovrani, restituendo a Buda il vecchio ruolo di capitale, mentre sul Danubio il traffico mercantile proliferava. Pest seppe sfruttare la brillante congiuntura economica e mantenne la sua autonomia politica ottenuta al tempo di Bela IV in virtú degli statuti di Magdeburgo. Il re, in sostanza, manteneva alcuni poteri di indirizzo generale, ma delegava tutto il resto agli amministratori locali.


una città e le sue CHIESE Il Medioevo nell’odierna Budapest si ritrova soprattutto nell’architettura religiosa, a partire dalla chiesa di Mattia (Mátyás-templom) che domina la centralissima «piazza della Santa Trinità» (Szentháromság tér) con le sue tracce di gotico medievale nei palazzi. Costruita ai tempi del regno di Bela IV, nel XIII secolo, la chiesa fu trasformata in moschea durante l’occupazione turca. Tornata cattolica, venne parzialmente ricostruita in stile neogotico nell’Ottocento. Sempre nella città vecchia di Buda si trovano le rovine della basilica di S. Maria Maddalena (Mária Magdolnatemplom) di origine duecentesca. Scavi effettuati nel quartiere ebraico di Budapest hanno riportato alla luce i resti di una sinagoga medievale che si possono ammirare in un locale museo.

All’orizzonte, nel frattempo, andava profilandosi una nuova invasione, non meno temibile di quella mongola. Gli Ottomani, dilagati nel Balcani, puntarono decisi verso nord, ma furono bloccati nel 1456 all’altezza di Belgrado (allora chiamata Nándorfehérvár, perché sotto la dominazione ungherese) dalle truppe del condottiero János Hunyadi. L’espansionismo turco sarebbe tornato a turbare il sonno

dei monarchi qualche anno piú tardi, durante il florido regno di Mattia Corvino, figlio di Hunyadi. Con lui Buda divenne una capitale europea e visse il suo periodo di maggior splendore, soprattutto sul piano culturale. Nella città danubiana si ritrovarono artisti e intellettuali stranieri, molti dei quali provenienti da Firenze in virtú del rapporto di amicizia che legava Mattia Corvino a Lorenzo de’ capitali del medioevo

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Medici. Buda fu abbellita da splendidi palazzi e monumenti e si popolò di aristocratici ed eruditi. Il sovrano amava molto l’Italia e sposò Beatrice d’Aragona, figlia del re di Napoli Ferdinando I. La regina introdusse nella corte della capitale danubiana la sensibilità artistica tipica dell’umanesimo e Mattia, da lodevole mecenate, permise alla sua città di assaporare in anticipo, rispetto al resto d’Europa, il clima rinascimentale italiano.

Il ciclone ottomano

Il Rinascimento, però, fu segnato anche da ripetuti conflitti. Nel 1514 il cardinale ungherese Tamás Bakócz, dopo aver sfiorato l’elezione a papa, si impegnò nell’organizzazione di una crociata nell’Est Europa contro i Turchi. A Pest si diedero appuntamento gruppi di volontari pronti a partire sotto la guida del soldato di ventura transilvano György Dózsa, ma il raduno sfociò in una rivolta contadina contro i proprietari terrieri. La sommossa fu subito sedata dal nobile Giovanni Szapolyai che sterminò oltre 70 000 ribelli. Tra le vittime figurava

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anche il leader dei rivoluzionari, Dózsa, che fu arso vivo su un trono con indosso una corona arroventata a Timisoara, nella sua terra. Nel 1541 gli Ottomani marciarono su Buda. Per la città alta significò la fine del suo momento d’oro che, nel XV secolo, aveva portato anche un notevole incremento demografico. All’arrivo degli Ottomani, la maggior parte della popolazione fuggí e i tre abitati storici si trasformarono in una specie di avamposto militare turco. Gli invasori lasciarono molte tracce della loro lunghissima dominazione, a cominciare dalle moschee e dai numerosi bagni termali, alcuni ancora oggi in funzione. Durante il periodo ottomano, Buda andò incontro a una rapida decadenza, pur essendo sede del governo turco, e anche Pest cadde in rovina. Solo nel XVII secolo, con l’avanzata asburgica, gli abitati medievali tornarono a vivere, primo fra tutti Pest, che assunse il ruolo di capitale politica e culturale del nuovo regno. Gli Austriaci, con l’aiuto di soldati polacchi e di truppe locali, avevano liberato l’Ungheria piegando le ultime resistenze dei musulmani. Nel

Nella pagina accanto l’altare e le vetrate policrome della chiesa di Mattia. In basso lunetta del portale ovest della chiesa di Mattia. XIII sec.


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ungheria

Budapest

Il Bastione dei Pescatori, in stile neoromanico e neogotico. XIX sec. Il nome evoca l’età medievale, quando la zona era presidiata dalla corporazione dei pescatori.

1686 Buda venne espugnata dopo ben due mesi e mezzo di assedio, durante i quali il castello subí pesanti danneggiamenti. I liberatori, tuttavia, si comportarono, anch’essi, da oppressori, suscitando lo scontento della popolazione. E non bastò concedere a Buda e Pest lo status di città libere reali per calmare il dissenso. Nel XVIII secolo il principe Ferenc Rákóczi gui-

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dò una violenta rivolta antiasburgica, che impegnò l’esercito imperiale austriaco per otto anni. Alla fine non arrivò l’indipendenza ma una crescita complessiva dal punto di vista politico, economico e demografico per i principali capoluoghi ungheresi: Buda e Pest passarono dai 12 000 abitanti complessivi degli inizi del Settecento ai 35 000 della fine dello stesso se-


Dove e quando chiesa di mattia Orario lu-ve, 9,00-17,00; sa, 9,00-13,00; do, 13,00-17,00 Info www.matyas-templom.hu (info anche in inglese)

A destra, in alto la duecentesca chiesa di S. Maria Maddalena, nel quartiere di Buda. Sono originari solo una parte del campanile gotico, il finestrone del coro e le fondamenta.

colo. L’incremento della popolazione assunse dimensioni esponenziali nell’Ottocento, in particolare a Pest che raggiunse i 600 000 abitanti. In quel secolo le tre perle del Danubio, Óbuda, Buda e Pest furono unite generando Budapest, la capitale del neonato governo autonomo ungherese. Le differenze tra le ex città, un tempo concor-

galleria nazionale ungherese Orario ma-do, 10,00-18,00; lu chiuso Info www.mng.hu (info anche in inglese)

renti, permangono sempre, anche solo osservandole con l’occhio del turista. Sulla collina domina il silenzio e un profilo architettonico maestoso tipico di un quartiere che deteneva il potere regio. Lungo il fiume, invece, a Pest, il caos del cuore pulsante della city lascia facilmente intendere che gli affari si concludono ancora oggi in maggior parte qui. capitali del medioevo

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scandinavia e pianura russa

SVEZIA Trondheim FINLANDIA

NORVEGIA

Hamar Uppsala Helsinki Bergen Sigtuna Staraja Ladoga Oslo Björkö Stoccolma Sarpsborg Velikij Novgorod RUSSIA Helgö Stavanger Skara Linköping ESTONIA Jaroslavl Pskov Aarhus Vadstena Visby DANIMARCA Tver Roskilde LETTONIA Suzdal’ Lund Viborg LITUANIA Mosca Ystad Ribe Haderslev Copenaghen Kaunas Schleswig Næstwed Rjazan Odense BIELORUSSIA POLONIA GERMANIA Lublino REP. Monaco CECA AUSTRIA

SVIZZERA ITALIA

S

Kiev

SLOVENIA

UCRAINA Donetsk

UNGHERIA ROMANIA

ebbene lontana dal cuore politico del continente, la penisola scandinava ha rivestito un ruolo di grande rilievo nell’Età di Mezzo e non solo perché luogo d’origine di popolazioni che colonizzarono varie regioni d’Europa (Goti, Longobardi, Eruli, Vichinghi, Burgundi). Svezia, Norvegia e Danimarca irruppero sul palcoscenico della storia in un alternarsi di conflitti e alleanze. In Svezia, all’inizio del Medioevo, due tribú si contendevano il potere sul territorio dell’odierno regno: i Sueoni, che avevano come capitale Uppsala e i Geati, stanziati a sud-est. A partire dall’VIII secolo bande di predoni, comunemente definite «Vichinghi», partirono via mare in cerca di fortuna e i loro viaggi si concludevano spesso con assalti alle coste. Abili commercianti, avevano le loro basi in territorio svedese, a Birka (oggi Björkö), Sigtuna e Helgö e, attraversando il Baltico verso oriente, si spinsero fino all’interno della pianura russa. Intorno all’anno Mille, i Sueoni si imposero sulle altre tribú, componendo un primo assetto di regno unitario, in un periodo in cui la Scandinavia si stava cristianizzando. All’inizio del XIV secolo un neonato borgo, Stoccolma, divenne di fatto, ma non ufficialmente, la capitale del regno, scalzando Uppsala che pagava il suo passato di principale luogo di culto pagano. In Svezia erano sorti anche potenti centri vescovili, Skara e Linköping, mentre Vadstena conquistò notorietà perché sede dell’ordine monastico fondato dalla futura compatrona d’Europa Santa Brigida. Sul piano commerciale, invece, si affermarono Visby, che per un periodo fu anche capitale della Lega Anseatica, e Ystad. In Norvegia la situazione politica nell’Alto Medioevo era caratterizzata da una frammentazione di piccoli Stati, retti da signori locali. Nel IX secolo, grazie ad Harald I, nacque il regno unitario come effetto della guerra civile conclusasi con la battaglia di Hafrsfjord. La capitale era la città di Sarpsborg (allora chiamata Borg), ma dopo la conversione al cristianesimo, portata a compimento nell’XI secolo dal sovrano Olav II, venne spostata a Nidaros, l’attuale Trondheim. Un secolo piú tardi la vocazione al commercio cominciò a prevalere sui simboli della fede e se ne avvantaggiò Bergen, una delle città di punta della Lega Anseatica. Anche Stavanger era una potenza mercantile, mentre Hamar ospitava un’importante diocesi. Nel Trecento iniziò il declino politico della Norvegia, la cui capitale era stata nel frattempo spostata a Christiania (l’odierna Oslo).


La storia medievale della Danimarca iniziò con la costruzione di una lunga cinta muraria, il Danevirke, che si estendeva dallo Jütland occidentale alla città, ora tedesca, di Schleswig. Il centro piú antico fu il covo vichingo di Ribe, oggi uno dei borghi medievali meglio conservati della Scandinavia. Nel X secolo il sovrano Aroldo I Dente Azzurro diede vita a una prima forma di regno unitario con capitale Roskilde. Dopo la conversione dei Danesi, alcune città rivaleggiarono con Roskilde, affermandosi quindi come centri della cristianità: Lund (oggi in Svezia), Odense, Viborg, Aarhus, Næstved, che poi divenne uno dei piú floridi porti commerciali, come del resto Haderslev. Dall’XI secolo, il regno si impegnò in una fortunata politica di espansione che produsse la conquista dell’Inghilterra. Dopo un breve periodo di decadenza, la Danimarca, nel Trecento, riprese a dominare nel Nord Europa grazie a Valdemaro IV il quale, però, commise l’errore di prendere le roccheforti della Lega Anseatica. La reazione dell’Hansa fu durissima e portò alla distruzione del porto di Copenaghen, una delle nuove capitali mercantili del regno. Secondo la storiografia occidentale furono gli scandinavi Variaghi a concepire il primo Stato russo nel Medioevo. Nell’VIII secolo si stabilirono prima ad Aldeigjuborg, oggi Staraja Ladoga, e in seguito a Velikij Novgorod, sotto la guida di Rjurik I. Navigando lungo il Dnepr, i Variaghi scoprirono un insediamento che appariva strategicamente perfetto per allacciare contatti commerciali con il Medio Oriente e gli diedero il nome di Kiev. La città, oggi ucraina, divenne in breve tempo la capitale di un grande Stato, la Rus’, e visse il suo periodo di maggior splendore nell’XI secolo con Vladimir I il Santo. Potenti erano anche Tver’, Rjazan’ e Jarloslavl’. Il declino della Rus’, provocato dalle invasioni mongole, comportò una frammentazione di poteri favorendo l’ascesa di principati-città: i piú forti erano quelli di Vladimir-Suzdal’ e di Novgorod. Pskov, nell’orbita di Novgorod, ottenne uno statuto autonomo e assunse la forma costituzionale di una vera e propria repubblica. Mosca, invece, si affermò solo nel XIV secolo, rivestendo all’inizio la funzione di centro religioso.

In alto Trondheim (Norvegia), cattedrale. XI sec. Da sinistra: le statue di san Nicasio di Reims, san Dionigi di Parigi e san Francesco d’Assisi collocate in epoca piú recente nella facciata ovest della chiesa.

A destra elmo scandinavo, dalla necropoli di Vendel, presso l’antico abitato di Uppsala (Svezia). VII sec. Stoccolma. Historiska Museet. il medioevo nascosto

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La cittĂ che sorse dalle acque di Francesco Colotta

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Un isolotto del Mar Baltico fu popolato nel Duecento da nobili svedesi e commercianti tedeschi. In breve, la piccola Stoccolma, protetta da un arcipelago sterminato, divenne protagonista di un’ascesa politico-economica inarrestabile, affermandosi come capitale del Grande Nord scandinavo

Stoccolma (Svezia). Veduta della città vecchia (Gamla Stan), sorta nel Duecento su un isolotto alla confluenza tra il Mar Baltico e il Lago Mälaren. Tra i tetti delle tipiche case color pastello svettano le torri campanarie della Chiesa tedesca (XVI sec.) e di Riddarholmen (XIII sec.). il medioevo nascosto

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scandinavia

L

Stoccolma

a brezza proviene da est e da ovest, dal mare e dal lago. Da due distese d’acqua opposte e vicine, che si incontrano a Slussen. Ogni tanto, nel nugolo di vicoli stretti, sfilano in lontananza sagome appena percepibili. Si dirigono in gran parte verso Västerlånggatan, la strada dello shopping, dei turisti e dello «struscio». In questa suggestiva intimità il tempo, come sospeso, conduce l’immaginazione a ritroso, fino alle origini. E qui a Gamla Stan, nel vecchio centro di Stoccolma, le pagine piú antiche di storia sono ambientate in pieno Medioevo. Come del resto una delle sue leggende, popolata di incantesimi e di Ondine, le Sirene del folclore scandinavo. In quell’epoca un pescatore le avvistò nelle isole sulle quali ora sorge la città. Notò che si erano spogliate delle loro pelli di foca, lasciandole sulla riva. Incuriosito, ne prese una e la nascose sotto un sasso. Fu cosí che una delle Ondine non riuscí piú a rientrare in

acqua e conservò il suo aspetto femminile. Divenne poi promessa sposa dell’uomo, dimenticando il suo passato. Il giorno delle nozze, però, riacquistò l’altro lato della propria identità, quando il suo futuro marito, un po’ per gioco, le mostrò la pelle di foca rubata. La donna allora la prese e si tuffò nel punto in cui il lago sfiorava il mare. Alla fine scomparve negli abissi, ferita con una fiocina dal pescatore, accorso al suo inseguimento. Di lei restarono solo rivoli di sangue sulla superficie dell’acqua, che all’improvviso scintillò in modo miracoloso, perché contagiata dal plasma magico. Cosí, a partire da quell’imprecisato periodo medievale le coste di Stoccolma «godono del privilegio di suscitare amore in chiunque le contempli».

Ritratto di una capitale

Con queste parole cala il sipario su una leggenda concepita dalla penna di Selma Lagerlöf (1858-1940), premio Nobel per la Letteratura nel 1909 e monumento della cultura nazionale. La scrittrice, nata e vissuta a Mårbacka nella regione del Värmland, non era una vera stoccolmiana. Eppure in uno dei suoi capolavori, Nils Holgerssons Underbara Resa Genom Sverige (Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson, 1906), compose probabilmente il piú fedele profilo della capitale svedese. Ritraendola, in modo fiabesco, accanto alla sua genitrice naturale da cui tuttora continua a ereditare fascino e misteri: l’acqua blu intenso, un po’ marina e un po’ lacustre, capace di riflessi imprevedibili, abbaglianti. Ma Stoccolma, Stockholm in lingua madre, emerse davvero dalle onde un giorno lontano. Affiorò nel XII secolo come nucleo di palafitte adagiate su una piccola isola tra il Baltico e il lago Mälaren. In un’area particolarmente battuta da mercanti

Nella pagina accanto, in alto l’aspetto di Stoccolma alla fine del Medioevo in un particolare del Vädersolstavlan, dipinto cinquecentesco che descrive il fenomeno atmosferico del cosiddetto «parelio». Si tratta della testimonianza figurativa piú antica sulla capitale svedese. In questa pagina il monumento innalzato in onore del fondatore di Stoccolma, il nobile Birger Jarl (1210-1266), che domina la piazza principale del quartiere di Riddarholmen. L’aristocratico, incaricato dai sovrani svedesi di espandere i domini del regno a oriente, fu sconfitto dal condottiero russo Aleksandr Nevskij nella battaglia della Neva del 1240.

le date da ricordare XII sec. Sorge un primo nucleo di palafitte su un’isola tra il Baltico e il lago Mälaren.

1270 Viene edificata la chiesa dei Cavalieri (Riddarholmskyrkan).

1252 Fondazione della città. Risale alla metà del Duecento la costruzione della cattedrale (Storkyrkan).

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1397 Unione di Kalmar tra Svezia, Norvegia e Danimarca.


e pirati, che fu disciplinata con l’apposizione di barriere di tronchi nell’acqua. La fondazione ufficiale, però, giunse nel 1252 grazie a Birger Jarl (1210-66), che scorse un formidabile sistema di difesa in quelle sponde abitate e nell’arcipelago-labirinto verso il mare aperto. Il nobile allora piazzò un forte inespugnabile a guardia del lembo di terra che divideva l’acqua salata da quella dolce. Un baluardo imponente, chiamato in seguito Tre Kronor e sulle cui ceneri fu edificato l’attuale Kungliga Slottet, il barocco Palazzo reale, ora sguarnito, però, della residenza del sovrano, che dal 1981 vive nella sua Versailles, a Drottningholm. Nei primi anni di vita la città fu spesso devastata da incendi che divampavano facilmente nelle case, quasi tutte in legno. Nel centro

1520 Il re di Danimarca, Cristiano II, occupata la città, ordina esecuzioni di massa. 1523 Cacciata delle truppe danesi.

1530 Viene eretta la Birger Jarls torn, la torre difensiva.

Qui sopra una lettera del 1252, firmata da Birger Jarl e da Valdemaro I, che sancisce il patronato regio sull’abbazia di Fogdö e in cui è citata per la prima volta Stoccolma. capitali del medioevo

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Stoccolma

sorsero subito una grande chiesa e un convento francescano, tuttora in parte sopravvissuti nelle strutture della cattedrale e della Riddarholmskyrkan. Poco o niente si è salvato, invece, di altri due importanti edifici religiosi delle origini: il monastero dei Frati Neri (Svartbrödraklostret) e quello delle Clarisse (Sankta Klara kloster).

Tetti a punta e comignoli bianchi

Stoccolma conobbe uno sviluppo repentino intorno alla fine del Duecento, a danno delle precedenti potenze della zona, come l’antico covo vichingo di Birka e la deliziosa Sigtuna. Già nel 1289 era il luogo con la densità piú alta di popolazione dell’intera Svezia, nonché il cuore dei traffici mercantili. Al suo progresso economico contribuirono alcuni gruppi di com-

A destra veduta aerea del nucleo centrale della città vecchia di Stoccolma. Nell’immagine spicca il profilo del duomo duecentesco (Storkyrkan) e, a fianco, la sagoma dell’imponente palazzo reale (Kungliga Slottet), costruito nel Settecento sulle rovine di una fortezza medievale.

l’epopea vichinga, un naufragio misterioso e... pippi calzelunghe Stoccolma è una città di musei dal contenuto anche bizzarro. Alcuni sono dedicati ai francobolli, ai vini, ai telefoni, ai tram, alla danza, a Pippi Calzelunghe... Ma nella lista non mancano «esposizioni-principe», come quelle che ricostruiscono il mondo dei Vichinghi. Per gli appassionati del genere i luoghi da visitare sono soprattutto due. Il primo è l’Historiska Museet, nell’elegante quartiere di Östermalm: al pianterreno si può ammirare un’intera sezione riservata all’antica popolazione scandinava, con la splendida stanza Guldrummet, stipata di tesori. L’altro museo è quello archeologico dell’isola di Björkö sul lago Mälaren, allestito in seguito al ritrovamento di numerosi reperti in loco. L’itinerario espositivo nella città transita obbligatoriamente anche per il museo Tre Kronor, nei sotterranei del Palazzo reale, che conserva una buona parte del muro duecentesco della vecchia fortezza. Meritano un cenno anche il Nationalmuseum con opere d’arte del periodo medievale, il Kungliga Myntkabinettet con le sue monete del X secolo, e il Vasamuseet a Djurgården, che espone una gigantesca nave da guerra affondata misteriosamente nel 1628. Naufragò in una giornata di sole a causa di un’improvvisa raffica di vento, pochi metri dopo la partenza.

A sinistra lo splendido bratteato in oro di Gerete. V sec. Stoccolma, Historiska Museet.


mercianti originari della Germania del Nord, che colonizzarono la zona di Gamla Stan. I piú facoltosi si fecero costruire eleganti abitazioni in pietra, sullo stile gotico delle loro città, a immagine e somiglianza soprattutto di Lubecca. Erano case piccole, con il tipico tetto a punta e il comignolo bianco, che in breve si moltiplicarono. Ma, visto lo scarso spazio disponibile, crebbero le une molto vicine alle altre, cosí ammassate e ordinatamente diverse come sono

ancora adesso nel centro storico. In virtú di quella prima rivoluzione urbanistica, Stoccolma diventò subito bellissima. Agli occhi di molti navigatori forestieri appariva come un posto ammaliante, seppur spazzato da venti gelidi e talvolta troppo fangoso. La nuova città non conquistò all’istante il ruolo di capitale, allora saldamente in mano a Uppsala, ma lo era di fatto. All’inizio del XIV secolo vantava già un acerbo prototipo di welfare state, capitali del medioevo

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La Piazza grande (Stortorget) con i suoi palazzi rossi rinascimentali che all’interno conservano ancora tracce di precedenti costruzioni del Medioevo. Nell’Età di Mezzo lo slargo era il luogo in cui veniva solitamente collocata la gogna e nel 1520 fu teatro del celebre «bagno di sangue».

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Stoccolma

con un ospedale collaudato da un centinaio di anni (l’Helgeandshuset) e con un giovanissimo Istituto d’istruzione. Dopo i primi splendori, però, giunse un periodo oscuro, segnato dalle guerre fratricide tra la Svezia e gli altri Paesi scandinavi, paradossalmente proprio negli anni successivi all’accordo che annetteva il regno a un super-Stato con Norvegia e Danimarca: l’Unione di Kalmar del 1397.

Un bagno di sangue

Stoccolma fu cosí teatro di assedi, tra cui la battaglia di Brunkeberg (una zona dell’odierno quartiere di Norrmalm) del 1471, in occasione della quale venne respinto l’esercito aggressore danese. Tuttavia, fu solo il primo

episodio di una lunga contrapposizione. Il secondo si consumò qualche anno piú tardi, in una delle vicende piú cruente che la storia svedese abbia conosciuto: il bagno di sangue del 1520, con esecuzioni di massa a Stoccolma da parte dei Danesi, che vendicarono cosí la disfatta di Brunkeberg. Il loro re Cristiano II (1481-1559) non ebbe alcuna pietà: dopo aver trionfato sugli Svedesi, promise in un primo tempo amnistie agli sconfitti in cambio di consensi politici; poi invitò alcune personalità illustri della città nella fortezza Tre Kronor, allestendo banchetti e mostrando una cordialità sorprendente. Ma, trascorsi alcuni giorni di festeggiamenti, gettò la maschera, e fece imprigionare tutti i


Nel 1520 venne scritta una delle pagine piú tragiche della storia di Stoccolma: la piazza di Stortorget si fece rossa del sangue delle decine di cittadini decapitati per ordine del re danese Cristiano II, assetato di vendetta dopo la disfatta patita a Brunkeberg suoi ospiti di rango insieme ad altri loro piú umili concittadini. L’indomani ne ordinò la condanna a morte, che fu eseguita mediante decapitazione a Stortorget, una delle piazze del centro. La pioggia accompagnò il macabro sterminio e fece scorrere il sangue anche per le vie, che tuttora da quello spiazzo si snodano in discesa. Le prime teste a cadere furono quelle di due vescovi. Le altre rotolarono nelle successive 48 ore. Nella lista del boia, il mercenario tedesco Jörgen Holmuth, finí anche uno spettatore, colpevole solo di aver pianto di fronte alle atrocità a cui stava assistendo. Il suo nome era Lars Hass, e faceva il commerciante. I carnefici alla fine, però, commisero un errore, destinato a rivelarsi fatale: giustiziarono una novantina di persone, tra cui molti aristocratici, ma non il nobile Gustav Eriksson Vasa (1496-1560). E fu proprio lui, nel 1523, a sbaragliare le truppe danesi, guadagnandosi l’immediata ascesa al trono. Negli anni a venire i suoi successori garantirono alla Svezia un ruolo di grande potenza, che nel XVII secolo dominò tutto il Nord Europa. In quel periodo, per la precisione nel 1634, Stoccolma divenne ufficialmente capitale del Regno. Ma tra gli storici c’è chi afferma lo fosse già dal XV secolo. A destra la cattedrale di Stoccolma (Storkyrkan) il cui nucleo originale risale ai tempi della fondazione della città. Costruita in stile gotico, ha assunto nei secoli un aspetto tipicamente barocco.

Contro le demolizioni

Molte tracce di quell’intensa vita medievale sopravvivono tra i ciottoli della città vecchia. Basta un’occhiata anche sfuggente alla sua rete stradale per capire che l’ossatura è in buona parte quella dell’epoca, nonostante gli aggressivi rimaneggiamenti edilizi del Sei-Settecento. Eppure Stoccolma ha rischiato di perdere completamente le sue radici, scampando per poco all’ansia di rinnovamento, che ispirò in alcuni urbanisti drastici progetti di demolizione del centro storico. Il discutibile piano, partorito alla fine dell’Ottocento, suscitò forti critiche, alcune anche particolarmente illustri, come quelle dello scrittore August Strindberg (1849-1912) e del pittore Carl Larsson (1853-1919).

un pezzetto di italia C’è un’accesa pennellata italiana a Stoccolma. Non solo per il numero cospicuo di emigrati provenienti dalle nostre latitudini e per i molti ristoranti con insegne «tricolori». Ma anche per un quartiere di strategica importanza della periferia nord, occupato da una vera e propria «cittadella della cultura», con numerosi istituti universitari. L’area si chiama «Frescati», per un omaggio che il re Gustavo III (1746-92) volle tributare alla cittadina alle porte di Roma, della quale si innamorò durante un viaggio. Il sovrano dedicò alla perla dei Colli Albani una villa settecentesca della zona, tuttora denominata Frescati. In seguito l’appellativo si estese all’intero quartiere.

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Stoccolma

dallo scavo al museo Un profilo della Stoccolma medievale è ben conservato in un locale museo sotterraneo nella città vecchia, a due passi dal Ponte Nord. Il Medeltidsmuseum è una tappa che non può mancare, lungo un ideale itinerario di visita della capitale svedese. Una delle sue attrazioni è una porzione delle mura cittadine dell’inizio del Cinquecento, ritrovate in seguito all’intensa attività archeologica compiuta dal 1978 al 1980 nella zona di Helgeandsholmen. L’area espositiva si estende in circa 1800 mq di superficie e regala molte altre emozioni da macchina del tempo, come la ricostruzione del porto originario di Stoccolma. Non manca poi il reparto adibito alle esecuzioni capitali, con la gogna e gli arnesi del boia.

In alto un tratto superstite delle mura di Stoccolma innalzate all’inizio del Cinquecento, oggi visibile all’interno del Museo della Stoccolma medievale.

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Le tracce del passato piú remoto sono disseminate soprattutto nell’isola grande della città vecchia, a Stadsholmen, tra i palazzi dai colori accesi e i viottoli dalla fisionomia vagamente veneziana. Cercarle è una sorta caccia al tesoro, presto resa fruttuosa dalla vista della cattedrale Storkyrkan, a due passi dal Palazzo reale. Vanta una data di nascita molto antica, intorno alla metà del XIII secolo, ma ha subíto in seguito sostanziose ristrutturazioni. Connessa in qualche modo alla chiesa è la vicina Prästgatan («via del Prete»), cosí chiamata perché nei primi del Cinquecento vi abitavano alcuni cappellani. Per curioso contrasto, la parte nord della strada in epoca medievale portava un nome demoniaco: Helvetesgränd («vicolo dell’Inferno»). Non perché fosse particolarmente malfamata, ma in conformità a un’antica credenza che considerava l’area a settentrione di un luogo religioso come dannata. La negati-

va reputazione della via fu poi ulteriormente rafforzata dall’ipotesi che il boia cittadino abitasse proprio lí ed esercitasse la sua professione in un vicino patibolo. Nei pressi si incontra anche la celebre Stortorget, la piazza della gogna nel Medioevo nonché palcoscenico del «bagno di sangue» del 1520. Molto è cambiato rispetto ai tempi dell’esecuzione. I soli testimoni di quel massacro sono alcuni muri dello Schantzka huset, uno stabile che si dice simboleggi le teste dei cittadini decapitate dai Danesi. In realtà, l’edificio attira gli sguardi piú per le sue forme rinascimentali olandesi, o per il suo rosso fiammeggiante, e non certo per un leggendario fascino sinistro. Imboccando una delle traverse di Stortorget, l’angusta Kåkbrinken, si sfiora un frammento di storia preesistente alla fondazione della città. È una pietra runica incastonata sul muro all’angolo con Prästgatan, che riporta il tempo fino agli albori dell’anno Mille.

Sulla via del Commerciante

Il tour medievale può proseguire lungo l’attigua Köpmangatan («via del Commerciante»), una strada che non ha mai cambiato nome fin dal Trecento, dal periodo in cui rappresentava il collegamento tra il centro e il mercato del pesce posto fuori dalle ristrette mura cittadine. Dirigendosi poi verso sud, nella in parte ripida Baggensgatan, al numero 27 si trova una delle case piú antiche della città, costruita nel 1336 e ben conservata. Dello stesso secolo sono i po-


chi resti del monastero dei Frati Neri, rintracciabili in un edificio sulla limitrofa Södra Benickebrinken. Non lontano, lo slargo di Järntorget brulica di gente che sfocia dalla passeggiata dello shopping su Västerlånggatan, lungo la quale resiste al tempo la Jakob Sauers hus, una sezione di palazzina risalente sempre al Trecento. E sono molti i turisti che raggiungono la piazza senza accorgersi di una stradina-gioiello nascosta in una fenditura sulla sinistra di Västerlånggatan, qualche metro prima: al numero 81, quello che appare come lo scheletro di un antico portone introduce a Mårten Trotzigs gränd, vicolo largo appena 90 cm, che nel Medioevo era chiamato Trångsund.

Un segno del destino

In direzione nord-ovest c’è l’altra Stoccolma antica, quella della silenziosa isola di Riddarholmen, che si affaccia sul lago. Sulla sua sommità svetta una chiesa conventuale del 1270, la Riddarholmskyrkan. Piú volte modificata nel corso dei secoli, ospita all’interno le spoglie di molti reali del passato. A poca distanza vigila sulle acque del Mälaren la Birger Jarls torn, torre difensiva costruita nel 1530. Il monumento riesuma anche una leggenda medievale che si intreccia con la fondazione della città. La tradizione popolare racconta di un incendio scoppiato nella vicina Sigtuna nel 1187. I sopravvissuti al disastro seguirono un tronco nel lago, fino a giungere nella zona in cui ora sorge la torre. E interpretarono quell’approdo come il segno di un destino che indicava loro la nuova terra su cui rifarsi una vita. Anche nella pittura la Birger Jarls torn è avvolta da prodigi. Compare infatti nell’enigmatico quadro Vädersolstavlan, mentre è investita da un fenomeno luminoso insieme alle altre poche costruzioni della Stoccolma di diversi secoli fa. Custodita nella cattedrale Storkyrkan, l’opera è una delle piú antiche raffigurazioni della

alla scoperta dei dintorni In principio erano Birka e Sigtuna, poi venne Stoccolma. Le località si trovavano a una manciata di chilometri di distanza dalla futura capitale svedese, che le avrebbe soppiantate. Tutte e due in posizione strategica sul lago Mälaren. Birka fu fondata nell’VIII secolo e non ha lasciato molti indizi sul proprio passato. Nemmeno sulla sua esatta posizione geografica, oggi comunemente collocata sull’isola di Björkö. Era considerata comunque una sorta di capitale dei Vichinghi, ricca e temutissima. L’insediamento cominciò a spopolarsi nel X secolo, parallelamente all’ascesa della limitrofa Sigtuna. Quest’ultima, invece, è ancora viva, presente sulla cartina e fa parte della contea di Stoccolma. Le sue origini, risalenti al 980, costituiscono un’anzianità da record rispetto alle odierne città dell’intera Svezia. Una buona parte della sua struttura medievale è tuttora visibile, a partire da Stora gatan, la strada principale, e dalla chiesa di S. Maria, edificata dai Domenicani nel XIII secolo. Ulteriori testimonianze di notevole valore storico, sempre all’interno della contea di Stoccolma, sono le chiese di Solna, Salem, Botkyrka, Ekerö, Munsö, Lovö, Järfälla (tutte del XII secolo) e quelle duecentesche di Huddinge e Södertälje. Appartengono alla contea di Södermanland invece, ma si trovano a pochi chilometri da Stoccolma, altri luoghi in possesso di tracce significative di Medioevo. Strängnäs prima di tutto, con la sua cattedrale del XIII secolo (Domkyrkan) e poi nelle vicinanze le chiese di Ytterselö (XII secolo), Fogdö (dello stesso periodo) e Aspö (XV secolo). Nella zona di Strängnäs, infine, sorgono due castelli meritevoli di una menzione: il cinquecentesco Gripsholms Slott di Mariefred, uno dei piú bei manieri di tutta la Svezia, e quello duecentesco di Tynnelsö.

In alto una moneta proveniente dalla città-mercato di Birka, una delle principali roccaforti dei Vichinghi in Scandinavia, situata sull’isola di Björkö, a poca distanza da Stoccolma. A sinistra i resti del monastero domenicano dei Frati Neri (Svartbrödraklostret), ritrovati in uno scantinato del viottolo di Södra Benickebrinken. XIV sec.


scandinavia

Stoccolma capitale e riporta l’orologio della storia alla mattina del 20 aprile 1535. Quel giorno nel cielo fluttuarono cerchi bianchi e archi luminosi, come se il sole avesse moltiplicato la propria presenza. Molti cittadini interpretarono l’evento come un presagio di vendetta divina contro l’introduzione del protestantesimo in Svezia. La scienza, invece, lo classificò come un tipico «parelio», effetto ottico provocato da piccoli cristalli di ghiaccio nell’atmosfera. Un altro evento sconvolgente del passato riecheggia a poche centinaia di metri da Riddarholmen. Su Blasieholmen, isola decantata dalle guide turistiche per via degli appariscenti Nationalmuseum e Grand Hotel. Il suo nome rievoca però un drammatico accadimento del 1389, noto come «Käpplingemorden». All’epoca l’area si chiamava Käpplingeholmen e non era granché abitata. In una delle poche baracche in legno presenti, furono rinchiusi e bruciati vivi alcuni Stoccolmiani, vittime della furia degli Hättebröderna, miliziani tedeschi che volevano far pagare alla città l’opposizione nei riguardi del sovrano germanico Alberto di Meclenburgo (1338-1412), allora reggente di Svezia. Anche lontano dal centro storico si rintracciano segni del passato medievale. I piú eloquenti si incontrano nella periferia nord e sud, rispettivamente nelle zone di Bromma e Älvsjö, con esempi di chiese del XII secolo.

La «città tra i ponti»

i ricordi di un grande regista Döden spelar schack (La morte gioca a scacchi). Sfidando un cavaliere in una partita senza storia, già vinta in partenza. La lugubre immagine campeggia su una pittura murale quattrocentesca nella chiesa di Täby, in un sobborgo della contea stoccolmiana. L’opera, firmata da Albertus Pictor (1440-1507), piacque molto a un giovanissimo Ingmar Bergman, che poi la animò nella sequenza dominante del suo capolavoro sul Medioevo, Il settimo sigillo (1956). Non fu la sola fonte d’ispirazione per il film, ma certamente tra le piú incisive nella mente del grande regista che, da bambino, trascorse molto tempo in luoghi religiosi al seguito del padre, pastore luterano. «Mentre lui predicava dal pulpito – rivelò un giorno – io concentravo la mia attenzione sul mondo segreto della chiesa, fatto di volte basse, muri spessi, profumo d’eternità, luce naturale che filtrava dalle vetrate colorate, e mi soffermavo sulla strana vegetazione di pitture medievali, di figure scolpite o dipinte sui muri».

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capitali del medioevo

La capitale conserva ancora quell’aspetto originario di staden mellan broarna («città tra i ponti»), con isole e quartieri gelosi della propria identità specifica. Fuori dalla città vecchia c’è per esempio la Stoccolma «parigina» di Östermalm, l’area della borghesia un po’ snob, delle ambasciate e dei locali alla moda. C’è la Stoccolma di Södermalm, un tempo patria della working class, della protesta giovanile e ora scenografia trendy, che pullula di pub, caffè, artisti e anche di casette in legno tipiche della tradizione contadina. C’è poi, sempre a Södermalm, una Stoccolma alternativa e un po’ hippy nella zona a sud di Folkungatan, chiamata Sofo per identificarla con la Soho londinese: tra le sue strade trascorse un’adolescenza disagiata Greta Lovisa Gustafsson, destinata poi a sfondare a Hollywood con il nome di Greta Garbo. C’è invece, contrapposta, la Stoccolma di Norrmalm, fatta di qualche grattacielo, di appuntamenti di lavoro, di palazzi della politica e del potere finanziario. C’è la Stoccolma di Kungsholmen, l’area residenziale a ridosso del municipio dove si celebra la festa per i Nobel (lo Stadshuset). Accanto si trova la Stoccolma di Vasastan, affollata di giovanissimi, di auto e di palazzetti a schiera, che


contende a Södermalm la palma di zona a maggiore densità abitativa. C’è infine la Stoccolma delle periferie: quella della città satellite di Vällingby, quella del polo tecnologico di Kista o quella del sobborgo di Rinkeby, dove gli stranieri sono di gran lunga piú degli Svedesi. Periferica è anche la Stoccolma dell’arcipelago, 24 000 isolette sul Baltico prese d’assalto nel periodo estivo, tra le quali spiccano le piú frequentate Sandhamn, Utö, Grinda e Vaxholm. I bagni, però, si fanno soprattutto in città sul lago Mälaren, dove la temperatura dell’acqua tocca spesso i 20 gradi nei mesi di luglio e agosto. Nel corso dei rigidissimi inverni, su quello stesso lago, ricoperto di ghiaccio, impazza invece la mania del pattinaggio.

Tra foreste e acque limpide

Stoccolma è anche «resistenza» di primati. Quello della capitale verde, con il parco nazionale urbano piú grande del mondo (Ekoparken), che si estende per 27 kmq lungo bellezze naturali come Djurgården, Ladugårdsgärdet, Hagaparken, Skeppsholmen, Kastellholmen e altre ancora. Proverbiale è poi la pulizia delle strade, ma soprattutto quella del lago e del mare. L’acqua limpidissima è un fiore all’occhiello che Stoccolma può sfoggiare ormai da molti anni. Un sogno che gli amministratori della città, nel Medioevo, inseguirono con minor fortuna, malgrado l’impegno e una legislazione all’avanguardia. Anche nel XV secolo i rifiuti erano smaltiti in zone periferiche e mai gettati nel Baltico o nel Mälaren. Ma in quel tempo le misure ecologiche e i rigorosi controlli non bastarono, frustrati dalla massiccia presenza di bestiame allo stato brado e da un sistema fognario improvvisato. Persiste inoltre l’immagine di capitale della cultura, con una quantità record di mostre, musei, teatri, concerti e librerie rispetto al numero di abitanti. Costeggiando il Baltico sui magnificati vialoni di Strandvägen e Skeppsbron o sulla lussuosa isola di Lidingö si passano in rassegna centinaia, forse migliaia di barche ormeggiate. Alle quali vanno aggiunte le altre «in parcheggio» sul lago lungo le passeggiate di Norr e Söder Mälarstrand, oltre alle tante sparse in zone piú periferiche. Un tale affollamento di vele, motori fuoribordo, remi, canoe e traghetti fa quasi balenare il sospetto che gli scafi siano piú numerosi delle automobili. Un altro primato? Se lo fosse, apparirebbe frutto anche del trängselskatt, il «pedaggio di congestione» istituito nel 2007 per chi intenda girare con la macchina nel centro. Ma forse è l’anima di Stoccolma che si ribella e magicamente riconduce ogni cosa nel luogo dove tutto iniziò: nell’acqua. Come nel 1252.

Dove e quando

In alto la Birger Jarls torn, torre cinquecentesca posta a guardia della città vecchia di Stoccolma sul versante del Lago Mälaren. Nella pagina accanto la partita a scacchi tra un uomo e la morte dipinta da Albertus Pictor (1440-1507) nella chiesa di Täby, piccola località compresa nella contea della capitale svedese.

STOCKHOLMS MEDELTIDSMUSEUM Strömparterren 3 Orario ma e gio-do, 12,00-17,00; me, 12,00-19,00; lu chiuso Info www.medeltidsmuseet.stockholm.se (info anche in inglese) RIDDARHOLMSKYRKAN Birger Jarls torg Orario tutti i giorni, 10,00-17,00; chiuso dal 16 settembre al 14 maggio Info www.kungahuset.se/kungligaslotten/ riddarholmskyrkan (info anche in inglese) HISTORISKA MUSEET Narvavägen 13–17 Orario ma-do, 11,00-17-00 (mercoledí apertura fino alle 20,00) Info www.historiska.se (info anche in inglese)

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pianura russa

Kiev

di Francesco Colotta

400 chiese sulla via dei

Variaghi Kiev. Le cupole innevate della grandiosa cattedrale di S. Sofia (XI sec.), che, fin dal Medioevo, rappresenta il principale monumento della capitale ucraina. Ăˆ una delle poche testimonianze risalenti al periodo della Rus’ di Kiev, potente Stato slavo fondato dagli scandinavi Variaghi nel IX sec.

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Capitale del potente Stato della Rus’, per oltre tre secoli Kiev fu uno dei centri piú importanti dell’Europa orientale. Fino al 1240, quando la sua lunga stagione di gloria venne bruscamente interrotta dall’arrivo dei Mongoli...

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pianura russa

Kiev

E

ra destinata a diventare grande e santa, secondo quanto predetto dall’apostolo Andrea che aveva posato una croce di legno proprio sul luogo in cui ora sorge la città, facendo ritirare le acque marine. Quella leggendaria profezia di gloria, poi, divenne cronaca nel Medioevo, quando Kiev diede il nome a un potentissimo Stato cristiano, il primo slavo-orientale della storia, progenitore del moderno impero russo. Ma gli antichi fasti dell’odierna capitale ucraina erano scritti fin dalla nascita nel suo DNA geografico e non certo nei racconti tramandati dalla fantasia popolare: sorta sul fiume Dnepr, rappresentava, per vocazione naturale, un crocevia chiave per il passaggio di merci tra il Mediterraneo, il Medio Oriente, i Balcani e l’Europa del nord in un’epoca in cui i commerci si stavano sempre piú globalizzando. Ebbero dunque un’intuizione felice gli scandinavi Variaghi che, nel IX secolo, secondo le cronache del Manoscritto Nestoriano, giunsero in quella zona dando inizio all’epopea dello stato della Rus’ di Kiev che solo l’invincibile armata mongola seppe piegare.

La scoperta di Rjurik

Le origini della città furono slave? Un insediamento nella zona esisteva già intorno al VII secolo a.C., ma era scitico e si presume fosse molto florido dal punto di vista commerciale, grazie ai rapporti di vicinanza con i centri greci sul Mar Nero. Un’altra leggenda identifica invece gli Slavi come i fondatori di Kiev, per la precisione i fratelli, Kij, Šcek e Choriv, insieme alla sorella Lybid, che appaiono tuttora immortalati in una statua cittadina lungo il Dnepr, nei pressi del Parco Navodnytsky. Il primo avrebbe dato il nome al villaggio piú antico, sorto intorno al V secolo. Dalle origini la storia compie, poi, un balzo fino all’Alto Medioevo, al periodo delle migrazioni dei Vichinghi che dalla Scandinavia si diressero verso tre diverse direttrici. Dalla Danimarca le bande puntarono soprattutto verso le coste della Francia; dalla Norvegia, invece, le imbarcazioni partivano avendo come destinazione l’isola britannica; mentre dalla Svezia, i predoni si spinsero a est fino alle coste del Golfo di Finlandia e di Riga. Sbarcati nelle zone paludose in cui, nel Settecento, nacque San Pietroburgo, i Vichinghi svedesi o Variaghi, navigarono verso l’interno della pianura russa sul Volga e sul Dnepr in cerca di luoghi da saccheggiare. Il loro condottiero Rjurik aveva, però, un’indole mercantile e piú che alle azioni di pirateria mirava a impiantare una remunerativa attività imprenditoriale. 142

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LA CHIESA DI S. SOFIA Il monumento religioso piú importante della città rievoca il periodo d’oro della Rus’ di Kiev. Fu costruito nell’XI secolo, all’epoca del regno di Jaroslav, per celebrare la sua ascesa al trono e la vittoria contro i Peceneghi. I lavori, cominciati nel 1037, durarono circa vent’anni al termine dei quali la nuova chiesa dedicata a santa Sofia apparve simile all’omonima cattedrale di Novgorod con ben 13 cupole in stile bizantino. Presa di mira dai Mongoli nell’invasione del 1240, fu restaurata nel XVII secolo e subí profondi rimaneggiamenti nella parte superiore della struttura, assumendo un profilo barocco. Nel 1920, nei primi anni dell’Unione Sovietica, la chiesa rischiò di essere abbattuta, ma scampò alla distruzione grazie alle campagne di intellettuali e scienziati. A differenza delle cupole, gli interni della cattedrale sono in buona parte rimasti immutati dal Medioevo a oggi: molti affreschi e mosaici risalgono al periodo 1017-31, proprio agli anni della fondazione. Uno dei capolavori contenuti nella chiesa è il mosaico della Madonna Orante, alto 6 m, molto venerato dagli ortodossi ucraini. Un altro mosaico raffigura Jaroslav, la cui tomba si trova nel pianterreno, insieme alla sua famiglia.

In alto, a sinistra l’abside centrale di S. Sofia, con i mosaici tra i quali campeggia la fisionomia della Madonna Orante. XI sec.. In alto, a destra il battesimo del re Vladimir I il Santo (958-1015). Acquerello di Viktor Vasnetsov. 1890. Mosca, Galleria Tretyakov.


La zona dell’attuale Kiev gli apparve subito ideale per possibili affari con i mercati piú ricchi del Mediterraneo, Bisanzio e Baghdad, dai quali provenivano molte richieste di beni reperibili soltanto nelle foreste del Nord Europa (pellicce, ambra e avorio), in particolare proprio nella pianura russa. Una circostanza, però, ostacolava i piani di Rjurik. L’area intorno al Dnepr apparteneva ai Cazari, una popolazione seminomade turca molto aggressiva e difficile da sconfiggere sul campo di battaglia. Nonostante le difficoltà, il condottiero intendeva prendere ugualmente l’insediamento sul fiume con la forza, ma i suoi uomini non appoggiarono la scelta e alcuni dei dissidenti preferirono utilizzare metodi piú pacifici per scacciare i Cazari. Infiltrandosi nelle istituzioni della città, crearono di fatto un partito pronto a prendere il potere senza dover fare ricorso alle armi.

Tra Baltico e Mar Nero

Kiev divenne variaga intorno alla fine del IX secolo grazie anche alla determinazione del nuovo leader, Oleg, che, ufficialmente, concepí lo Stato della Rus’. I nuovi padroni, come aveva previsto Rjurik, in poco tempo fecero fortuna sfruttando la posizione strategica della città sulla rotta mercantile che univa il Baltico al Mar Nero, la cosiddetta «via dai Variaghi ai Greci». Imposero gravosi pedaggi a ogni nave che transitava sul Dnepr e impressero un giro di vite fiscale anche sui meno abbienti, riscuotendo in autunno e in primavera una tassa (il poljudie). La ricchezza acquisita spinse i sovrani della Rus’ a cambiare strategia nei rapporti con i Bizantini. Si sentivano piú forti degli alleati e tentarono di espugnare Costantinopoli con un incursione lampo, ma l’impresa fallí e rappresentò una grande sconfitta politica per Oleg. Dopo di lui, a parte la breve parentesi di Igor, il potere passò nelle mani di una donna, Olga che provvide subito a migliorare l’organizza-

le date da ricordare IX sec. I Variaghi fondano lo Stato della Rus’ di Kiev.

X sec. Ascesa al trono di Vladimir I.

988 Conversione della popolazione al cristianesimo.

1037 Cominciano i lavori per la costruzione della chiesa di S. Sofia.

XI sec. Guerra civile con Novgorod. A questo secolo risalgono le prime notizie sulla Porta d’Oro di Kiev che, distrutta dai Mongoli due secoli dopo, ha subito un radicale restauro nel Novecento.

XII sec. Regno di Vladimir II Monomaco.

1240 La città, già sottomessa dai Cumani, viene assediata e devastata dai Mongoli.

1169 Kiev cade sotto l’attacco del principe di VladimirSuzdal’.

XV sec. Invasione tartara.

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pianura russa

Kiev

zione dello Stato. Attratta dal cristianesimo, compí i primi passi per la conversione della città e dei suoi altri domini nella pianura russa, malgrado le resistenze degli estremisti pagani guidati dal figlio Svjatoslav. Alla fine del X secolo a Kiev si insediò un nuovo sovrano, Vladimir I, futuro santo. Fu lui a convertire definitivamente il suo popolo e, a differenza dei suoi predecessori, si comportò da buon alleato con Costantinopoli. Non a caso Vladimir impose una forma di governo centralizzato, proprio sul modello di Bisanzio, che gli permetteva di controllare meglio i vasti possedimenti dello Stato della Rus’, come la lontana vice-capitale Novgorod. Tra questa e Kiev c’era una grande riva-

LA PORTA D’ORO Il Medioevo può essere recuperato anche a distanza di secoli attraverso ambiziose ricostruzioni. È il caso della Porta d’Oro di Kiev (Zoloti Vorota) la cui riedificazione ha suscitato molte polemiche tra storici. Fin dall’XI secolo nella capitale della Rus’ esisteva una porta d’accesso ispirata, nelle sembianze architettoniche, alla Porta Aurea di Costantinopoli. Anche’essa, come gran parte della città, venne distrutta dalla furia dei Mongoli nel XIII secolo e cadde progressivamente in rovina. In età contemporanea si decise di restituirla integra agli abitanti, prima con la creazione di un museo nel sito e, poi, nel 1982 con una colossale operazione di restauro in occasione del 1500° anniversario della nascita della capitale. La Porta d’Oro riapparve, ma è difficile stabilire quanto sia fedele all’originale.

istituzionale dotandosi di un rilevante apparato burocratico. Il principe di Kiev aveva una milizia personale (la družina) che occupava un ruolo di grande prestigio nella scala gerarchica della società. Dopo gli armati d’élite era la duma dei boiari a detenere i maggiori poteri, una sorta di piccolo parlamento composto dai ricchi proprietari terrieri che potevano anche essere reclutati per la družina. Esistevano infine, i «cittadini liberi» che provenivano dalla classe media dei ljudi e i contadini, gli smerdy, all’ultimo livello. All’inizio dell’XI secolo la città si trovò coinvolta nella guerra civile scatenata da Novgorod. Nella vice-capitale regnava Jaroslav, il figlio di Vladimir, il quale, sfruttando le spinte autonomiste degli abitanti, aveva attaccato Kiev. In realtà si trattava di un regolamento di conti tra i discendenti del defunto Vladimir, che poi sfociò in ulteriori atti di guerra. Jaroslav salí al potere e con lui la Rus’ raggiunse il culmine della sua parabola politica. lità che sfociò in uno scontro politico difficilmente arginabile. Novgorod, il cuore produttivo dello Stato, accusava la capitale di essere troppo mondana e di utilizzare male le risorse pubbliche che rastrellava.

Il dio gettato nel fiume

La conversione al cristianesimo fu celebrata nel 988 con un battesimo di massa. Tutti i cittadini di Kiev ricevettero l’ordine di recarsi al fiume per ricevere il sacramento e, in quell’occasione, la statua del vecchio dio pagano piú popolare, Perun, fu gettata nelle acque del Dnepr. Dopo l’evento, Vladimir progettò anche la costruzione di una chiesa, la prima in pietra della città, intitolandola alla Dormizione della Vergine. Lo stato della Rus’ intanto si era ulteriormente rafforzato dal punto di vista 144

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La fine della Rus’ L’interno della cupola della cattedrale di S. Sofia con il mosaico che raffigura il Cristo Pantocratore, nel tipico atteggiamento di severa maestà, circondato da quattro arcangeli. XI sec.

I domini si allargarono fino alle coste del Mar Baltico, mentre in città sorsero numerosissimi edifici religiosi (secondo lo storico tedesco Titmara Merseburg le chiese in totale erano 400), tra cui la celebre cattedrale di S. Sofia, tuttora uno dei luoghi simbolo della capitale, dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO. Costruita in vent’anni, la basilica apparve al vescovo Adalberto di Brema come «la rivale per scettro a Costantinopoli, il piú bell’ornamento della cristianità greca» e negli anni serví da modello per tante cattedrali dell’impero russo (vedi box a p. 142). Nel contempo, le abitazioni, soprattutto in legno e con un’altezza di solito di due piani, si moltiplicarono, come del resto le attività commerciali, artigianali e agricole. Lo Stato di Kiev visse il suo ultimo periodo di


fulgore nel XII secolo, durante il governo di Vladimir II Monomaco, il quale difese in modo efficace i confini dagli attacchi dei Cumani, dei Bulgari e dei Finni. Mostrando una brillante lungimiranza politica, poi, il sovrano riuscí a sedare le rivolte popolari con la promulgazione di leggi che rendevano meno pesanti le condizioni degli schiavi e che limitavano la pratica dell’usura. Nella seconda metà del XII secolo cominciò, invece, l’era del declino come conseguenza delle lotte di successione e della crescita di influenza delle province. Nel 1169 Kiev subí l’attacco del principe di Vladimir-Suzdal’ Andrej Bogoljubskij e venne annientata. Un altro nemico infierí, poi, sulla città ridotta ormai a periferia del vecchio stato della Rus’, i feroci Cumani, che resero impraticabili le vie commerciali sul Dnepr decretando di fatto la crisi economica di Kiev. La capitale non poté nemmeno ricevere sostegno dagli amici di Bisanzio, impegnati nella lotta contro i Crociati che ebbe come epilogo la caduta di Costantinopoli nel 1204.

Resistenza sui tetti

Il colpo di grazia alla Rus’ fu assestato dai Mongoli, nell’inverno del 1240. La loro marcia di avvicinamento alle mura di Kiev produsse un tale frastuono che gli abitanti non riuscivano a parlare tra loro. Gli invasori trovarono una breccia sul lato occidentale della Porta Polacca, nei pressi

della zona oggi attraversata dalla strada piú alla moda della città, il Khreshchatyk. Due giorni di bombardamenti con palle di pietra e pece bollente furono sufficienti per neutralizzare le difese e dilagare nel centro cittadino. Molti abitanti si riversarono nella zona alta, ma rimandarono solo di qualche ora la loro capitolazione. L’ultima resistenza si concentrò sul coro della chiesa della Decima che, per l’eccessivo peso sostenuto, crollò all’improvviso, decretando la definitiva caduta di Kiev. Solo pochi monumenti religiosi sopravvissero e parte del quartiere Podil, lungo il fiume: la cattedrale di S. Sofia, la cupola del monastero Vydubitsky e la chiesa delle Decime. La dominazione tartara durò a lungo e a poco servirono gli appelli russi alle monarchie cristiane d’Europa o alla Chiesa affinché arginassero una minaccia che poteva investire anche l’Occidente.

L’imponente Porta d’Oro (Zoloti Vorota) di Kiev, ricostruita nel 1982 sul modello medievale. Anticamente rappresentava il principale accesso alla città, mentre oggi ospita un museo storico.

Dove e quando cattedrale di s. sofia Vladimirskaya 24 Orario tutti i giorni, 10,00-18,00 (sa, 10,00-17,00); gio chiuso Info http://sophia.sophiakievska.org/ (info anche in inglese) museo nazionale di storia dell’ucraina Volodymyrksaya 2 Orario tutti i giorni, 10,00-18,00; lu chiuso Info www.nmiu.org.ua (solo in lingua ucraina)

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