Medioevo Dossier n. 61 – Marzo/Aprile 2024

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MEDIOEVO DOSSIER

EDIO VO M E Dossier

NASCOSTO LUOGHI ♦ STORIE ♦ ITINERARI PARTE I: ITALIA CENTRO-SETTENTRIONALE

N°61 Marzo/Aprile 2024 Rivista Bimestrale

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MEDIOEVO NASCOSTO. I NUOVI ITINERARI. PARTE I ITALIA CENTRO-SETTENTRIONALE

MEDIOEVO

IN EDICOLA IL 22 MARZO 2024



MEDIOEVO NASCOSTO LUOGHI, STORIE, ITINERARI

PARTE I: ITALIA CENTRO-SETTENTRIONALE a cura di Francesco Colotta testi di Silvia Beltramo, Franco Bruni, Carlo Casi, Dario Canzian, Francesco Colotta, Luciano Frazzoni, Paola Anna Marina De Marchi, Sonia Merli, Luca Pesante, Francesco Pirani e Nicoletta Zullino

6 Presentazione Un’altra Italia 28 Valle d’Aosta 30. Étroubles. Sulla via delle Gallie 33. Châtillon 34 Piemonte 36. Saluzzo. Una città «non ultima in possanza» 40. Il Ricetto di Candelo 42.Oglianico 44 Liguria 46. Apricale. L’autonomia tra boschi e uliveti 50. Triora 51. Castelnuovo Magra

72 Veneto 74. Monselice. Ai piedi dei Colli Euganei 79. Montagnana 80. Soave 81. Arquà Petrarca 82 Friuli-Venezia Giulia 84. Gradisca d’Isonzo. Un baluardo contro gli Ottomani 89. Clauiano 90 Emilia-Romagna 92. Castell’Arquato. Il tempo ritrovato 95. Bobbio 96. Verucchio 97. Vignola 98 Toscana 100. Vitozza. Nella città fantasma 105. Radicofani 106. Sorano 108. Pitigliano

52 Lombardia 54. Castelseprio. Nel castello di Desiderio 62. Civate 63. San Fedelino

110 Marche 112. Tolentino. Il Medioevo in fiera 117. Corinaldo

64 Trentino-Alto Adige 66. Curon Venosta. Se una notte d’inverno le campane... 71. Canale di Tenno

118 Umbria 120. Acquasparta. Un gioiello nelle Terre Arnolfe 128. Monteleone di Spoleto MEDIOEVO NASCOSTO

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È

trascorso oltre un decennio da quando presentammo il primo «catalogo» di un Medioevo nascosto: una guida alla riscoperta di un patrimonio architettonico e artistico a torto ritenuto «minore», forse per il predominio esercitato sull’immaginario del pubblico – nazionale e internazionale – dai grandi tesori delle nostre città d’arte. Sono, invece, centinaia e migliaia – tra borghi e contrade cittadine, pievi e abbazie, castelli e fortificazioni – le testimonianze di questo «Medioevo diffuso», spesso calato all’interno di contesti paesaggistici anch’essi plasmati dall’operare umano e che ne esaltano la suggestione e il fascino. Un Medioevo che ci circonda e ci accompagna quotidianamente, ma che, forse per assuefazione, tendiamo a vivere in maniera distratta, inconsapevole. Eppure il messaggio che i secoli dell’età di Mezzo hanno materialmente impresso sul nostro territorio è ancora miracolosamente lí, sotto i nostri occhi, a ricordarci la vicenda di una straordinaria e irrepetibile eredità artistica, civile, di costumi e di storia. Nell’introduzione di questo numero, dedicato all’Italia centro-settentrionale (e al quale seguirà un secondo, incentrato sulle regioni meridionali e sulle isole), riproponiamo il racconto della nascita, della funzione e dell’evoluzione dei luoghi simbolo del vivere medievale (il borgo, la piazza, il castello, la cattedrale…) nel contesto del millennio che li ha visti sorgere. Segue, in ordine regionale (dalla Valle d’Aosta all’Umbria), una nuova scelta di luoghi dove oggi possiamo ritrovarli. Alcuni di essi non vi appariranno piú come «nascosti», altri invece saranno delle assolute novità. Anche questa volta si tratta di una scelta inevitabilmente, e consapevolmente, parziale. Intesa, nondimeno, a suggerire la via da percorrere per costruire un vostro, personalissimo, «catalogo» dedicato a un patrimonio di inestimabile valore e bellezza. Andreas M. Steiner


Veduta panoramica di Sorano (Grosseto), borgo medievale arroccato su uno sperone di tufo.


UN’ALTRA

ITALIA di Luca Pesante

C

on la curiosità intelligente che accomuna ogni storico di qualità, Jacques Le Goff ha scritto: «L’Italia è donna, nel mondo medievale: gli altri sognano di possederla, in vario modo. E talvolta vi riescono». E, in effetti, la nostra Penisola, serbatoio inesauribile di meraviglie, nell’Età di Mezzo attira e appassiona stranieri di ogni tipo: dal pellegrino che va a Roma per inginocchiarsi in preghiera sulla tomba di Pietro, al predone che sogna i suoi tesori d’arte, fino al principe o al signore che cerca in Italia un titolo o una corona. A questo punto, però, si impone una premessa: che cosa sapevano vedere gli occhi di un uomo del Medioevo? Gli uomini di quel tempo non sanno, ovviamente, osservare e descrivere come potremmo fare noi oggi. I paesaggi sfuggono alla loro attenzione, se si escludono alcuni luoghi comuni letterari frequentati dai soliti Dante e Petrarca; ciò che li interessa è la realtà simbolica, dunque quel che si cela oltre l’apparenza. Il viandante, pertanto, non è attratto dalla bellezza dei monumenti, delle rovine e del paesaggio, egli è sensibile quasi unicamente al significato religioso e al trascendente che domina la sua vita. Ma, allora, come spiegare il fascino travolgente di Palazzo Vecchio a Firenze, degli affreschi di Assisi o della facciata del duomo di Orvieto? È la forza del simbolo che lí si traduce in bellezza, ma prima di tutto essa deve rappresentare, appunto, il simbolo di un altro significato. In un certo senso oggi viviamo ancora immersi nel Medioevo, molto spesso abitiamo, senza saperlo, spazi e luoghi medievali nati quasi un millennio fa. Ogni giorno passiamo davanti a un’infinità di simboli medievali che in qualche modo condizionano la nostra percezione estetica della realtà. Percorriamo le stesse strade, usiamo le stesse parole. Tutto ciò forma un patrimonio straordinario, una ricchezza unica: uno dei pochi elementi che davvero uniscono tutti i particolarismi della nostra Italia. La cultura materiale medievale che oggi circonda la nostra esistenza, nel senso di ciò che possiamo vedere e toccare, è senza dubbio una risorsa vitale per il nostro Paese, e proprio da lí, dalla sua riscoperta e valorizzazione, sarà possibile ridare dignità a una nazione che, talvolta, sembra aver dimenticato la sua storia.

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L’abbazia di S. Galgano (Chiusdino, Siena). Iniziata nel 1218, la costruzione ebbe termine nel 1288, dando vita a uno degli esempi piú interessanti dello stile gotico cistercense. L’abbazia visse il suo massimo splendore nel XIII e XIV sec., ma a partire dal XV, cominciò a decadere. Un declino che culminò nel 1781 con il crollo delle volte di copertura della chiesa abbaziale, nel 1786 con la rovina del campanile, nel 1789 con la sentenza ecclesiastica di profanazione.



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Un’altra Italia

Nel cuore d’Italia, a Roma, il Medioevo inizia nell’agosto del 410, quando cioè Alarico e i Goti saccheggiano e devastano la città, provocando una carestia gravissima. La fatidica data del 476 passa a questo punto in secondo piano: in effetti ciò che avvenne in quell’anno, l’invio a Costantinopoli delle insegne del potere imperiale romano da parte del capo barbarico Odoacre, signore di Roma, non segna grandi trasformazioni rispetto a tutto quello che si era da tempo messo in moto (gli stessi contemporanei se ne accorsero a malapena). Fu invece la storiografia dei secoli seguenti a rivitalizzare tale data: lo fece, per esempio, Paolo Diacono alla fine dell’VIII secolo, parlando del 476 come dell’anno in cui l’impero perse il suo potere.

Un processo già in atto

La civiltà medievale trae origine dalle rovine del mondo romano, già in crisi a partire dal III secolo poi precipitato definitivamente con le invasioni barbariche del V secolo che accelerano un processo già in atto. Lo sviluppo demografico, l’attrazione verso territori piú ricchi, i cambiamenti climatici, ma, soprattutto, la fuga da altri popoli invasori spingono Goti e Longobardi verso la nostra Penisola. E il mondo medievale è risultato dallo scontro tra cultura romana e cultura barbarica. La città romana perde le sue strutture vitali, i pochi abitanti sono ormai raggruppati all’ombra di qualche grande rovina, molti si spostano nelle campagne che, a causa

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A destra, sulle due pagine Firenze, sagrestia della basilica di S. Miniato al Monte. La costruzione dell’abbazia di Montecassino e la miracolosa resurrezione di un frate deceduto a causa di un crollo, affresco facente parte del ciclo delle Storie di san Benedetto dipinto da Spinello Aretino, dopo il 1387. In basso miniatura di scuola italiana raffigurante l’abate Desiderio di Montecassino che offre codici e possedimenti a san Benedetto, dal Codice Vaticano Latino 1202. XI sec. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana.


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Un’altra Italia

MOMENTI DI UN MILLENNIO CRUCIALE 476 La deposizione di Romolo Augustolo segna la fine dell’impero romano d’Occidente 529 A Montecassino Benedetto da Norcia fonda l’oratorio conventuale di S. Martino; nasce l’Ordine benedettino 568-575 I Longobardi arrivano in Italia e fanno di Pavia la capitale del loro regno 800 Carlo Magno è incoronato imperatore dal papa: nasce il Sacro Romano Impero 846 Gli Arabi saccheggiano Roma 1081 In Italia si diffonde l’istituzione dei Comuni 1095 Papa Urbano II bandisce la guerra santa per la liberazione di Gerusalemme: nascono le crociate 1120-1150 Primi statuti delle corporazioni di arti e mestieri 1154-1155 Prima discesa in Italia di Federico Barbarossa 1167 A Pontida viene costituita la Lega Lombarda 1220 Federico II di Svevia diventa imperatore 1226 Si apre lo scontro tra guelfi e ghibellini 1347-1351 Pandemia di peste in Europa, che permane allo stato endemico con recrudescenze nei decenni e secoli successivi 1447 Gutenberg stampa la Bibbia con caratteri mobili

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dello sfaldamento della rete economica, si sono sempre piú allontanate dal centro urbano. Non si è piú in grado di mantenere le antiche e grandi strade basolate, che scompaiono in breve tempo, interrate dalle alluvioni a favore delle vie fluviali e dei percorsi naturali. Seppure mossi da un impeto travolgente e distruttivo, gli invasori, ormai stanziati nel nostro territorio, sanno riconoscere ciò che del vecchio impero può essere loro utile, soprattutto nel campo della cultura e dell’organizzazione politica. Fondamentalmente incapaci di creare, essi riadoperano e riutilizzano, segnando in tal modo un regresso tecnico che lasciò a lungo il Medioevo privo di molti «saper fare»: l’incapacità di estrarre e lavorare la pietra ne farà per lungo tempo un’epoca caratterizzata dall’uso del legno pressoché in ogni attività umana, dall’abitare al mangiare, fino al giocare. Lo sforzo estetico si concentra


Miniatura raffigurante la città di Venezia, realizzata sulla base della carta disegnata dal navigatore e geografo turco Piri Reis. XVII sec. Istanbul, Biblioteca Universitaria. Nella pagina accanto miniatura raffigurante papa Leone III che, nella notte di Natale dell’800, consacra Carlo Magno imperatore, dalle Chroniques de France. Seconda metà del XIV sec. Londra, British Library.

nella decorazione: cosí l’oreficeria, gli avori e i mosaici mostrano una raffinatissima forma d’arte barbarica. Tuttavia, per trovare il cuore della civiltà altomedievale si deve entrare in un monastero: luogo di conservazione e di trasmissione di arti e di saperi oltre che centro religioso, produttivo e modello economico. I centri urbani piú importanti in questi anni restano quelli in cui risiedono re barbarici e vescovi, o posti lungo le principali vie di pellegrinaggio; per il resto uno scenario di abbandono e desolazione avvolge ogni cosa. Già dai primi secoli del Medioevo l’Italia è sostanzialmente un insieme di città: cosí è vista dagli altri Paesi della cristianità, e tale rimane per lungo tempo, quando anche nello sviluppo europeo del Quattro e Cinquecento la realtà geopolitica è articolata sulla base dei centri urbani. Del resto, questa è una delle grandi costanti della storia italiana: il regionalismo, ben forte anche nella nostra età contemporanea, ha origine nei secoli medievali. Anche se ciò non ha escluso il persistere, fin dall’antichità, dell’idea di Italia come una chiara e definita entità geografica, chiusa com’è

dalle Alpi e dal mare. Tuttavia, il regnum Italiae, a partire da Carlo Magno – e poi sotto i re e gli imperatori germanici –, coincide soltanto con una parte della Penisola: ne restano di solito fuori Venezia, le terre pontificie e l’Italia del Sud. Lo stesso Carlo Magno parla di Italia come sinonimo di Lombardia, riferendosi al territorio compreso dalle Alpi al ducato di Benevento, esclusa l’area veneta, le terre ancora soggette al dominio bizantino e il Patrimonio di San Pietro, da poco donato al papa. Ma è probabile che egli avesse in mente, fin dall’incoronazione della notte di Natale dell’800 a Roma, di assumere, in quanto re dei Franchi e dei Longobardi, oltre alla guida del Sacro Romano Impero, anche quella di una cristianità occidentale unita. In realtà, quando nell’888 si chiude formalmente l’età carolingia, tramonta in modo definitivo il disegno di unificazione politica dell’Europa tradizionalmente attribuito a Carlo Magno, ma proprio in questo periodo si iniziano a sperimentare strumenti politici e forme istituzionali che segneranno la storia europea dei secoli successivi. (segue a p. 16) MEDIOEVO NASCOSTO

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Un’altra Italia

LA CURTIS, PERNO DEL PRIMO FEUDALESIMO Il disegno ricostruttivo raffigura una curtis, cosí come possiamo immaginarla agli inizi del X sec.: 1. stalle; 2. abitazioni per contadini liberi, legati al signore da un rapporto di dipendenza; 3. abitazioni per i servi; 4. magazzini; 5. dimora signorile, con torre ancora in costruzione; 6. cappella.

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IL SISTEMA FEUDALE

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Il sistema feudale, tipica invenzione dei primi secoli del Medioevo, è un sistema che mette insieme un tipo di società, un modo di produzione e un sistema di valori totalmente innovativi rispetto all’antichità classica. Si possono distinguere due epoche feudali, separate dal fatidico Anno Mille. Una prima epoca, che eredita la struttura della villa tardo-antica, si distingue per una proprietà fondiaria chiamata curtis, che è al tempo stesso un centro di produzione rurale, un luogo di rapporti sociali, e uno spazio in cui si esercitano poteri giuridici e politici. La seconda, che segue il Mille, è definita convenzionalmente «epoca signorile», poiché il sistema della curtis ha lasciato il posto a un sistema di castelli e villaggi guidato da un signore. Il sistema poggia su due fondamenti: la terra e i rapporti personali. Ogni regione ha completato questo passaggio con modalità e tempi estremamente differenti, anche perché il processo di feudalizzazione si lega alla fioritura urbana che si compie tra il X e il XIV secolo, in molti casi con significative differenze tra aree diverse della Penisola. E proprio nelle città si sperimentano pratiche di libertà che mettono in crisi il sistema feudale. La borghesia cittadina, con i suoi valori, estranei ai rapporti feudali di vassallaggio, inizia a corrodere da dentro il vecchio ordinamento. L’altro fattore che cambiò il volto del feudalesimo va ricercato nella lenta genesi degli Stati moderni che si sviluppa in due modi diversi: secondo un modello monarchico e un modello di città-stato. Il primo (attuato per esempio nella monarchia pontificia) che contrasta la frammentazione e la dispersione dei poteri; il secondo che invece conserva i poteri delle autonomie locali cittadine.

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UN MONASTERO BENEDETTINO DELL’ALTO MEDIOEVO 1. la chiesa, piú o meno grandiosa a seconda delle possibilità economiche della comunità monastica a cui appartiene, è l’edificio piú importante; 2. lo scriptorium è destinato alla copiatura dei testi; 3. il chiostro, spazio in cui i monaci possono meditare e trovare un po’ di svago, è il centro della vita monastica; 4. la foresteria accoglie pellegrini e altri ospiti di passaggio; 5. la sala del Capitolo, al pianoterra, è il luogo in cui l’abate amministra il monastero; al piano superiore, si trova il dormitorio dei monaci; 6. nel refettorio comune i monaci consumano i pasti; 7. fuori dalla clausura, vi sono laboratori destinati ad attività di varia natura; 8. questo settore del complesso ospita anche la cucina e il magazzino per le provviste.

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IL MONACHESIMO

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Ma da dove trae origine quel monachesimo che molto ha contribuito alla formazione dell’Italia medievale? Già dal III secolo, in Oriente, alcuni uomini in cerca della salvezza ultraterrena si allontanano dalla città nel rifiuto del piacere della carne, del cibo, della superbia, della vanità, ecc. Dal V secolo, anche in Occidente, fa la sua comparsa questa figura inedita, il monaco, l’uomo solo. Il suo deserto è la foresta, dove i monaci costruiscono i loro monasteri per vivere in piccole comunità. Tuttavia, essi non abbandonano completamente le città: a Roma, anche grazie a papa Gregorio Magno, nascono verso la fine del VI secolo monasteri urbani e suburbani. Ma solo a partire dal XIII secolo le comunità monastiche degli Ordini mendicanti assunsero un ruolo di grande rilievo nell’organizzazione della città medievale. Il grande protagonista resta Benedetto da Norcia, fondatore del monastero di Montecassino, la cui Regola, equilibrata e pragmatica, ebbe un successo straordinario con la diffusione dell’Ordine benedettino, anche grazie a Carlo Magno e Ludovico il Pio, che la imposero all’insieme del monachesimo occidentale. I Benedettini seppero sempre mantenere l’equilibrio tra lavoro manuale, come forma di penitenza e di auto-sostentamento, e la preghiera (e con essa il lavoro intellettuale e artistico). La cultura monastica, inoltre, introdusse modelli per il computo e misurazione del tempo che ancora oggi vengono in parte utilizzati. Il tempo scandito dalla liturgia delle ore, cosí come la diffusione dell’uso delle campane, nel VII secolo, estese il tempo della liturgia anche alla vita quotidiana. Dal X secolo, in concomitanza con il grande risveglio economico e demografico dell’Occidente, si sviluppò in Italia un grande movimento eremitico che diede origine a nuovi ordini orientati alla semplicità evangelica del cristianesimo primitivo; tra questi ebbe grande fortuna quello di Cîteaux, fondato in Borgogna nel 1098, promosso dal grande monaco Bernardo di Chiaravalle (1091-1153).

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Un’altra Italia

Tra il V e il IX secolo l’Italia perde gran parte dei suoi caratteri originali: le città collegate da un’imponente rete di strade, le grandi strutture urbane che hanno segnato e favorito la vita sociale, circhi, teatri, templi, fori, terme, sopravvivono come ombre di un passato che a volte non si è piú in grado di ricordare. Papa Gregorio Magno scrive tra il VI e il VII secolo: «Le città sono state distrutte, i luoghi fortificati rovinati, i campi spopolati, la terra ridotta a solitudine. Quasi non ci sono piú contadini nelle campagne, né abitanti nelle città». In realtà, già dalla fine del II secolo, tutte le strade non portavano piú a Roma, e anche le rotte marittime decadono fino ad allontanare progressivamente le sponde del Mediterraneo una dall’altra. È questo il periodo in cui l’Italia inizia a non parlare piú la lingua latina: si diffonde la lingua «volgare», come ci testimonia il famoso Indovinello veronese, databile alla fine dell’VIII secolo. Il latino poteva essere ascoltato soltanto nelle chiese e nei monasteri. A Roma continua l’ascesa del potere papale, celebrato verso la fine dell’VIII secolo con l’intervento in Italia dei Franchi, grazie ai quali si viene a costituire uno Stato pontificio: il Patrimonio di San Pietro. Tutto questo si inserisce in un processo continuo di regionalizzazione dell’Italia, nonostante i vari tentativi sia con i Goti, che con i Longobardi e i Franchi, di tornare a una certa forma unitaria. In verità la nostra Penisola è caratterizzata da un policentrismo economico, politico e religioso. Basti pensare al potere sempre crescente delle grandi diocesi di Milano o di Aquileia o alla capacità attrattiva dei grandi monasteri del monachesimo benedettino: Bobbio, S. Giulia a Brescia, Nonantola, Montecassimo, solo per citarne alcuni. Questi ultimi, oltre a diffondere un potente influsso culturale, costituiscono veri e propri microcosmi e modelli di sfruttamento agricolo delle campagne: i loro dissodamenti, canalizzazioni, allevamenti vengono imitati altrove per lungo tempo.

Caput mundi e caput fidei

Fin dall’inizio del Medioevo esiste dunque la tradizione di un’Italia regionale. Un misterioso geografo dell’VIII secolo, l’Anonimo Ravennate, elenca diciotto province: la Liguria Transpadana; la Venezia e l’Istria; l’Emilia; la provincia marittima di Luni; la Toscana; la Flaminia Ravennate; la Pentapoli; la Pentapoli annonaria; lo Spoletano; la Nursia; la Tuscia romana; la Campania; il Beneventano; l’Apulia; la Calabria; la Campania; la Lucania; il Bruzio di Reggio. Come appare evidente, sono già formate alcune costanti che attraversarono il Medioevo e l’età moderna, per giungere intatte fino ai nostri giorni. Ogni area ha la sua particolarità: Roma, carica di infiniti simboli e significati; Venezia, privilegiata per i suoi rapporti con Bisanzio; la Sicilia, con il succedersi di dominazioni: bizantina, araba, normanna, germanica, francese, aragonese; la Lombardia, ricchissima e in grado di estendersi fino all’intera Italia settentrionale per poi ridursi ai dintorni di Milano; e la Toscana, l’antica Tuscia, 16

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compresa in un ducato sotto i Goti, in una marca con Carlo Magno, con Matilde di Canossa giunta al culmine del prestigio, il cui punto di forza maggiore fu la posizione a sud dell’Appennino, sulla strada verso Roma. Quest’ultima, si è detto, non ha pari: essa incarna per tutto il Medioevo il mito della dominazione politica e culturale del mondo. Tanto che ogni progetto politico in Italia prendeva poi il nome di renovatio, nel senso di tentativo di ritorno alla grandezza imperiale. Molte altre città hanno cercato di passare per «seconda» Roma, vi riuscí solo in parte Costantinopoli. In realtà Roma non è mai stata una grande città medievale: verso il 1300 contava poche decine di migliaia di abitanti quando Firenze e Venezia raggiungevano i 100 000. Infestata perennemente dalla malaria e senza grandi attività produttive o mercantili, essa tuttavia rappresentava il museo delle meraviglie d’Italia, fra cui le piú note erano il Palatino, il Pantheon, il Colosseo e la Mole Adriana. Inoltre, nelle leggende medievali, Roma è anche la città degli acquedotti e dei ponti, mirabili opere che stupiscono e meravigliano l’uomo medievale. Dal 1300 è di nuovo al centro della cristianità, grazie ai Giubilei, istituiti inizialmente uno ogni mezzo secolo, poi ogni venticinque anni: in questo Roma è insieme caput mundi e caput fidei. Ai quattro modelli di impronta politica e culturale che si avvicendano nella nostra Penisola nel Medioevo (definiti da Jacques Le Goff: nazionale con i Goti, territoriale con i Longobardi, unitario con i Franchi e mediterraneo con i Normanni) si affianca dunque, dal X-XI secolo circa, il modello delle città. Oltrepassando i caratteri nazionali di ogni singolo Stato, la civiltà medievale definisce in modo estremamente chiaro, ancora oggi, la civiltà europea. L’Italia era il cuore della cristianità latina medievale, e, pertanto, in una posizione emblematica nella geografia d’Europa. Vale qui la pena di ripetere una considerazione molto spesso citata dagli storici: la storia d’Italia negli ultimi secoli del Medioevo coincide in gran parte con quella delle sue città. Dagli anni a cavallo tra l’XI e il XII secolo, lo sviluppo urbano si lega al fiorire dei liberi Comuni nel CentroNord della Penisola e alla formazione delle strutture del regno di Sicilia (1130) nel Mezzogiorno. Questa diversità e separazione è stata piú volte sottolineata, mettendo in luce da un lato l’esercizio del potere pubblico nell’Italia comunale dall’altro la politica accentratrice dei sovrani, che limitava la libertà delle città del Sud. In realtà sembra che i caratteri di ogni singolo centro fossero ben piú complessi per sopportare oggi una tale interpretazione.

Da rustici a cittadini

A partire dal Mille le città cominciano a rinascere. Molte erano scomparse con la lenta fine dell’impero romano e a causa di epidemie, carestie e invasioni che seguirono. La crescita economica va ora di pari passo con la coltivazione piú intensiva delle terre: le eccedenze agricole permettono di sfamare una popolazione sempre maggiore. Le attività


L’esterno di una delle absidi del duomo di Monreale (Palermo), intitolato a Santa Maria Nuova. La chiesa, con l’annesso monastero, venne edificata per volontà del re Guglielmo II di Sicilia, detto il Buono, tra il 1174 e il 1189. Negli stessi anni (1183), la cittadina siciliana divenne sede arcivescovile. artigianali impegnano uomini e donne che spesso reinvestono i guadagni per migliorare la loro qualità di vita urbana. I grandi cantieri (palazzi pubblici, cattedrali, ecc.) attirano una vasta manodopera dalle campagne, e i rustici in breve tempo si trasformano in cittadini. All’inizio dell’XI secolo, quando la maggior parte della popolazione viveva nelle campagne, esisteva già una componente di cittadini costituita da mercanti. I signori, i prelati e i nobili, oltre a un gruppo sempre piú numeroso appartenente a un ceto medio-alto, necessitavano di articoli e mercanzie di vario genere, che però non erano prodotti nel luogo in cui vivevano e dovevano essere pertanto importati da altri luoghi a volte lontani. Non solo vesti e tessuti pregiati, o vasellame e piccoli oggetti d’arte, ma anche merci ordinarie venivano spesso fornite dai mercanti lungo le vie d’acqua o di terra. Il progresso del commercio favorisce la spettacolare espansione dell’economia monetaria, che porta al ritorno della coniazione di monete d’oro e d’argento in Europa. Gli scambi ormai avvengono su due livelli: i mercati cittadini e le fiere; queste ultime, le grandi fiere annuali, radunavano mercanti di ogni parte d’Italia, e venivano in alcuni casi istituite (si pensi alle fiere promosse da Federico II) per rilanciare l’economia di un territorio e di una città. L’accumulazione di denaro, primo effetto di questo processo, pose diversi problemi di tipo religioso, e soprattutto Domenicani e Francescani si attivarono per risolverne alcuni, adattando l’atteggiamento ideologico e psicologico della religione alla dirompente evoluzione economica.

Una nuova agricoltura

Le campagne appaiono deserte prima di questa rinascita. I pochi uomini si raccolgono intorno alle mura di un castello o di un’abbazia per trovare un minimo di sicurezza dalla violenza che caratterizza pressoché ogni rapporto umano. Dopo il Mille, dunque, molte cose cambiano. Le guerre si erano diradate, le campagne tornano a essere solcate dagli aratri, anche grazie a nuove scoperte che perfezionano l’uso degli animali come forza motrice. Altri terreni vengono conquistati con il taglio degli alberi delle foreste. Il commercio e l’artigianato rendono la vita migliore, producendo ricchezze spesso reinvestite nella pratica dell’abitare. In tal modo i minuscoli castelli vedono il moltiplicarsi dei propri abitanti, si allargano le mura di cinta, si costruiscono nuovi spazi, si compie cioè quel passaggio da castrum a civitas, che tale potrà dirsi solo grazie alla presenza di un vescovo. Ma il fenomeno piú significativo dello sviluppo urbano è la formazione degli enti comunali. La parola «comune» MEDIOEVO NASCOSTO

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Un’altra Italia

indica l’assetto istituzionale di una comunità cittadina che si autogoverna. In particolare nell’Italia centro-settentrionale, è possibile leggere, con grande evidenza, la transizione fra città vescovile e città comunale tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del successivo: un passaggio, questo, che può dirsi compiuto quando si insedia al governo della città una magistratura permanente, anche se rinnovata periodicamente, costituita da un gruppo di consules coadiuvati da un consiglio cittadino. Ciò accadde – per esempio – nel 1085 a Pisa e a Lucca, nel 1095 ad Asti, nel 1098 ad Arezzo, nel 1099 a Genova, nel 1105 a Pistoia e Ferrara, e nel 1112 a Cremona.

Una realtà inedita

Alla formazione dei Comuni contribuirono in sostanza tre fattori: le aristocrazie militari, spesso legate al vescovo e dententrici di grandi beni fondiari; le élite commerciali, cioè gli uomini ricchi, come mercanti, cambiatori, banchieri; e i ceti intellettuali, gli uomini di cultura, come giudici, notai, in possesso del sapere necessario per le attività di governo. Questa varietà segna pertanto una specificità tutta italiana e dà forma a una realtà inedita ed estremamente innovatrice. Un altro elemento fondativo delle nostre cittadine comunali è il contado, la campagna che si apriva subito oltre le mura urbane. Pochi decenni dopo il suo sorgere, il Comune italiano, anche grazie alla forza militare, si proietta verso il territorio circostante, nel tentativo di costruirsi un proprio spazio rurale. La città, dunque, dà origine a una nuova società, fondata sulle attività economiche e commerciali e sperimenta diverse tecniche intellettuali necessarie per la vita urbana, per esempio la pratica del diritto. Con il movimento comunale, ampiamente diffuso in Italia settentrionale e centrale, un gruppo di uomini che costituisce il consiglio municipale detiene il governo della città. A differenza del 18

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I PAESAGGI I paesaggi medievali sono il risultato delle attività umane svolte nell’ambiente naturale. Si è già detto come l’Età di Mezzo nasca dalle ceneri e dalle rovine dell’antichità classica, e ciò appare oltremodo evidente dalle forme e strutture dei paesaggi urbani e rurali; vale tuttavia la pena di ripetere che nei primi secoli medievali viene a perdersi quella imponente struttura razionale, costituita da centuriazioni, strade, ville, fattorie, centri produttivi di diversa natura, che in gran parte ha definito la grandiosa organizzazione economica dell’antichità. Nell’Alto Medioevo non si è piú in grado di mantenere le complesse infrastrutture dei secoli precedenti, le campagne vengono progressivamente abbandonate, il paesaggio rurale è dominato da boschi, foreste e paludi. Solo dopo il Mille, nell’ambito di un consistente aumento demografico, nuove tecniche agricole, un maggiore uso del ferro nella lavorazione della terra, e altre conquiste (o riconquiste), volte a migliorare la qualità e la resa del lavoro, portano alla lenta rioccupazione delle campagne. Il taglio dei boschi permette di ottenere nuove superfici seminative, in grado di produrre gli alimenti necessari per una popolazione sempre in crescita. Ma una radicale trasformazione dei paesaggi si deve all’età comunale, quando le città iniziano a estendere un controllo politico ed economico oltre le proprie mura, fino a creare un legame inscindibile tra centro urbano e campagna.

In alto particolare dell’Allegoria ed Effetti del Buon Governo, affresco realizzato da Ambrogio Lorenzetti e dalla sua bottega nel Palazzo Pubblico di Siena tra il 1338 e il 1339. Al di là del valore artistico, il ciclo è una vivida testimonianza del paesaggio dell’epoca, con minuziosi

dettagli, per esempio, sulla gestione dei terreni coltivati. Nella pagina accanto particolare di una miniatura raffigurante mercanti al lavoro nelle loro botteghe, da un’edizione del De Sphaera di Leonardo Dati. 1470. Modena, Biblioteca Estense Universitaria.


sistema feudale, il potere urbano è ora in mano a cittadini teoricamente di pari dignità, anche se in realtà molte differenze (economiche e giuridiche) pesano nell’avanzamento in una carriera politica. In tutto questo fanno la loro comparsa nuovi valori, come, per esempio, il senso della bellezza, dell’ordine e della pulizia. A partire dal XII secolo la città diviene pertanto anche centro di cultura: presso le scuole urbane si può imparare a leggere, scrivere e far di conto, ma nasce anche una cultura ludica fatta di processioni, feste e giochi, che costituirono, tra l’altro, l’occasione di rinascita del teatro.

Corporazioni e confraternite

L’uomo medievale vede nella città un luogo di prosperità, bellezza e ricchezza. Le sue linee verticali che si impostano su torri e campanili conducono idealmente verso il cielo e a Dio. Nuova solidarietà, inoltre, si crea all’interno delle città: le corporazioni delle arti, regolate da statuti, controllano e proteggono i membri all’interno delle loro strutture. Cosí accade per le altre grandi organizzazioni di mutua solidarietà sorte a partire dall’XI secolo e che in breve tempo divennero potenti e ricche istituzioni religiose: le confraternite. La gran parte delle città italiane che noi oggi abitiamo ha pertanto origine nel Medioevo, e ancora oggi gli spazi, la distribuzione delle strade, i loro nomi, sono gli stessi che uomini vissuti secoli addietro hanno abitato e utilizzato. A questi esempi si potrebbero aggiungere infiniti elementi dei quali abbiamo dimenticato l’origine medievale, ma ce n’è uno che, piú di altri, merita di essere citato, perché rimasto in alcuni casi intatto e che ha contribuito a formare la nostra idea di città: è il loro profilo, lo skyline che si osserva nell’approssimarci oggi a piedi o in macchina verso città come Siena, Perugia o Orvieto, solo per citarne alcune. Possiamo facilmente immaginare

lo stupore che un pellegrino o un viandante del XIV secolo, dopo giorni di cammino, avrà avuto scorgendo le torri e i campanili del centro abitato. L’immagine carica di simboli di una città si manifestava – e ancora oggi spesso si manifesta – attraverso le sue mura, che la proteggono e la definiscono, e attraverso le torri e i campanili che ne indicano i luoghi di potere. Due dimensioni dunque saltano ancora oggi all’occhio: una orizzontale e una verticale. Nella prima si comprende il legame inscindibile della città con la campagna che la circonda (la stessa parola civitas va intesa proprio nel rapporto tra il centro abitato e il contado), nella seconda si comprende la topografia delle varie forme di potere. Se le mura di una città aiutavano a racchiudere un sentimento collettivo, un senso di appartenenza e una coscienza di unità, soprattutto durante epidemie, carestie o qualsiasi altro evento drammatico, normalmente, al loro interno, serpeggia una continua lotta fratricida per il potere: famiglie rivali gareggiano per esibire la propria ricchezza e costruire torri piú alte di quelle degli avversari. Molto spesso si rimediava distruggendo quella dei rivali. Esistevano pertanto vere e proprie fortificazioni, quasi piccole cittadelle murate, all’interno del paesaggio urbano di ogni città. La forma dell’abitato urbano medievale è quasi sempre radiocentrica: lo sviluppo edilizio che osserviamo ancora oggi avvolge solitamente un elemento generatore, che può essere l’abbazia, il castello o la piazza del mercato (in altri casi alcune città medievali ereditano la struttura ortogonale della città romana, senza sostanziali modifiche). Da un nucleo centrale posto nella posizione piú eminente e difendibile le case e le strade si dispongono dunque progressivamente seguendo l’orografia del terreno. In questo c’è un carattere fondamentale che definisce l’Età di Mezzo: se nell’antichità classica ogni intervento umano ha MEDIOEVO NASCOSTO

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inciso profondamente la forma naturale, imponendo strutture geometriche e rigidi modelli urbani, il Medioevo, al contrario, si adatta e in un certo senso si conforma, anche metaforicamente, al paesaggio rurale e alla natura. Del resto la pratica del diritto, prima ancora di essere basata sui codici normativi, ha origine dalla consuetudine, cosí come una grande via di pellegrinaggio deriva da uno stretto sentiero percorso inizialmente da pochi uomini poi da un numero sempre piú consistente di viandanti che tornano sui loro passi.

Il teatro della vita quotidiana

All’interno delle mura di una città esiste una marcata suddivisione tra gruppi, comunità, etnie, mestieri e poteri diversi. E tutte queste diversità si riflettono sulla forma della città, sui nomi delle strade e sull’aspetto delle abitazioni. Il ghetto – per esempio – è il luogo degli Ebrei, che vivono lí, senza obbligo (almeno sino alla fine del Medioevo), per meglio mantenere le proprie caratteristiche e tradizioni di vita; ma cosí fanno, sebbene in modo diverso, i funari, i calderari, i frati mendicanti, i nobili, i forestieri ecc. ecc. Meglio che altrove tale specializzazione si «legge» nelle piazze. Le piazze, teatro principale della vita in una città medievale, sono di solito tre: la piazza del potere religioso, quella del potere politico e quella del potere economico. La prima è la piazza della cattedrale, cioè il luogo delle sacre rappresentazioni e della liturgia, che, attraverso le campane della chiesa, regolava il ritmo della vita di ogni giorno. La seconda, la piazza dominata dai palazzi pubblici, è di solito la piú vasta e mostra ben in evidenza i simboli del potere politico. La terza, la piazza del mercato, non si discosta di molto dalla precedente; in realtà piú piazze potevano servire per il mercato, suddivise in base alle merci in vendita. Ancora oggi moltissimi splendidi esempi sopravvivono nelle nostre città e non è raro trovare il mercato del pesce o delle verdure esattamente nel medesimo luogo utilizzato per lo stesso scopo secoli fa. Detto questo, vale forse la pena di ripetere come la società italiana medievale fosse una società prevalentemente agricola; anche nell’Italia urbanizzata del Centro-Nord, nel momento di massima espansione demografica delle città, gli abitanti delle campagne erano di gran lunga piú numerosi rispetto ai cittadini. La popolazione agricola viveva generalmente in villaggi, che potevano essere privi di fortificazioni o cinti da mura o altre opere di difesa. Si allontanavano al mattino con il sorgere del sole per recarsi al lavoro nei campi circostanti, per raccogliere frutta nei boschi, per condurre al pascolo il bestiame, per cacciare o per pescare. Esisteva anche un popolamento sparso, con strutture isolate rispetto al villaggio. Le famiglie contadine erano nella maggior parte dei casi famiglie nucleari, cioè composte dai genitori, uno o due figli e dai nonni. Il sistema delle colture regolava i ritmi e i tempi del lavoro, orientato ad assicurare a tutti i componenti della famiglia i cereali necessari per il sostentamento. Chi abitava le campagne ha sempre perseguito un desi20

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IL CASTELLO Nell’antichità classica, il termine latino castrum indicava l’accampamento militare, ma già nell’Alto Medioevo definisce un centro abitato o una civitas fortificati. Dall’epoca carolingia signori, grandi proprietari, ma anche vescovi e abati, edificano fortezze e strutture di difesa per proteggere i propri possedimenti. Dunque la facoltà di erigere castelli non spetta piú soltanto al re, ma anche a chiese e a privati. Il proliferare delle fortificazioni accentua il processo di frammentazione del potere regio e imperiale. Verso il Mille il castello è ancora una semplice struttura collocata su un’altura e circondata da una palizzata in legno e da un terrapieno. A volte si cercava la protezione di un corso d’acqua o di un impervio

PER LA DIFESA, MA NON SOLO 1. il mastio, solida torre principale, non era soltanto adibito a rifugio in caso di attacco, ma ospitava anche le stanze padronali (2); 3. e 4. all’interno del castello si aprivano solitamente due corti, una delle quali riservata alla famiglia padronale; 5. una grande sala centrale era il cuore del complesso: vi si amministrava la giustizia, ma poteva anche ospitare feste e banchetti.

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declivio. Al suo interno, oltre al signore, iniziano a trasferirsi i contadini, essendo questo molto spesso l’unico modo per sopravvivere alle scorribande di predoni e malviventi. In alcune regioni, per esempio nel Lazio, l’incastellamento ha innescato una radicale trasformazione del paesaggio e dell’economia rurale. Da una forma di insediamento a carattere sparso gli abitanti delle campagne si concentrano in nuclei abitati fortificati. In seguito, si assiste in molti casi a due ulteriori e significative trasformazioni: il passaggio definitivo dal legno alla pietra per la costruzione degli edifici, e l’accorpamento progressivo, entro nuove mura, delle strutture costruite a ridosso della vecchia cinta muraria.

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derio di autosufficienza, ha sempre cercato di non dipendere dall’esterno. E ciò appare chiaro se si considera l’estrema fragilità della vita agricola di fronte ai capricci della natura, con la conseguente e costante minaccia di carestia e la difficoltà di spostamento per il trasporto di beni. Oltre agli stanziali, un folto gruppo di rustici era invece in continuo movimento, come per esempio i pastori transumanti che si spostavano continuamente alla ricerca di nuovi pascoli per il bestiame. In ogni caso il contadino era parte di una comunità rurale locale, cioè membro di una parrocchia, dove probabilmente era stato battezzato dopo la nascita, e parte di una famiglia che costituiva la prima e naturale cellula sociale. Alla comunità rurale si sovrapponeva il potere di un signore, laico o ecclesiastico, proprietario di appezzamenti piú o meno estesi che, soprattutto negli ultimi secoli del Medioevo, ridimensionava la signoria rurale sulla spinta di una riorganizzazione promossa dai governi cittadini. Nel Mezzogiorno esistevano invece terreni dichiarati «demaniali», non sottoposti a un signore, ma dipendenti direttamente dalla corona. In generale, nel primo caso citato, le terre erano suddivise in tre grandi parti: la

L’ESEMPIO DI SIENA Disegno ricostruttivo del duomo senese: iniziato nel 1229, fu compiuto nelle strutture fondamentali nel 1264 e portato a termine nel XIV sec. 1. la facciata gotica tricuspidata, ornata di tre portali e di numerose statue, è dovuta nella parte inferiore a Giovanni Pisano e allievi (1284-96), nella superiore a Giovanni di Cecco (137682); 2. il campanile, costruito in stile romanico nel 1313, presenta una decorazione a strisce marmoree bianche e nere; 3. l’interno si articola in tre navate, scandite da pilastri polistili; 4. dalla chiesa si accede alla Libreria Piccolomini, costruita nel XV sec. per custodire la biblioteca di Pio II e affrescata dal Pinturicchio e allievi (Scene della vita di Pio II); 5. la cupola, esagonale, fu ultimata nel 1263; 6. nel 1339 si decise di ampliare il duomo, facendo in modo che l’attuale ne diventasse solo il transetto, ma i lavori furono interrotti nel 1357 a causa di vari imprevisti e della Peste del 1348; di quell’intervento, oggi noto come Duomo Nuovo, rimangono la navata est e la facciata (detta il «Facciatone»). prima direttamente lavorata dal signore, la seconda frazionata in concessioni familiari e assegnata ai contadini, la terza costituita da boschi e incolti d’uso comune. La società medievale si muoveva costantemente, con un movimento continuo e frenetico, spostandosi da un luogo all’altro e spingendo sempre oltre la linea dell’orizzonte. Gli uomini del Medioevo conoscono due orizzonti: quello oltre il terreno o la foresta che i loro occhi vedono ogni giorno dal luogo in cui abitano e l’orizzonte vasto – in verità piú spirituale che geografico – della cristianità. Santiago di Compostella, Roma, Gerusalemme sono luoghi compresi entro quest’ultima linea. I veri eroi sono reputati coloro che oltrepassano tale frontiera per giungere in Africa, Crimea o nella lontanissima Asia. La maggior parte degli uomini medievali è spinta a mettersi in cammino dallo spirito stesso della religione cristiana: ognuno è pellegrino in questa terra, fino alla morte.

Il trionfo di Roma e del papato

Il viaggio ha sempre origine da un impulso di trasgressione e di conoscenza: una dura prova che offre la possibilità di riscattarsi da una condizione esistenziale di frustrazione, incapacità morale, identità perduta. Nei secoli dopo il Mille almeno tre circostanze determinano una forte intensificazione dei viaggi: lo sviluppo dell’economia di mercato, le crociate, e la pratica di pellegrinaggio in occasione dei Giubilei. In quest’ultimo caso – già dal 1300, anno del primo Giubileo – si compie una delle piú grandiose manifestazioni di massa della cristianità medievale, che fu pertanto anche un evento politico ed economico. Con essa si celebrava innanzitutto il trionfo di Roma e del papato, ma rappresentava anche la rispo22

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LA CATTEDRALE

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Nalla pagina accanto ancora un particolare dell’Allegoria ed Effetti del Buono e Cattivo Governo in città e nel contado, ciclo affrescato tra il 1338 e il 1339 da Ambrogio Lorenzetti e dalla sua bottega nel Palazzo Pubblico di Siena.

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La cattedrale è uno dei simboli della città medievale, al punto che solo la sua presenza, cioè la presenza di una sede vescovile, permette di definire una città come tale (civitas). All’origine del nome vi è la cathedra del vescovo, anticamente posta in fondo all’abside, che di norma era situata nella chiesa principale della diocesi. Dopo il Mille si costruiscono cattedrali sempre piú imponenti in grado di contenere una popolazione sempre maggiore e, soprattutto, capaci di esibire il potere e la ricchezza della città. La cattedrale funge spesso da elemento generatore della topografia urbana di una città: piazze, strade, palazzi pubblici e privati si orientano a partire da essa, vero emblema cittadino. Al suo interno, o al suo riparo, si compiono pertanto le svolte e le conquiste decisive in ambito religioso, intellettuale, economico, artistico. Basti pensare all’intento pedagogico, oltre che puramente artistico, dei cicli decorativi interni o esterni, quando posti sulle facciate. La parola «duomo», dal latino domus (casa), designa anch’essa in molti casi la cattedrale, ma piú che la casa del vescovo essa indica la casa di Dio.

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LA PIAZZA In molte città europee è possibile osservare una continuità d’uso tra il foro della città antica e la piazza principale della città medievale. La sovrapposizione della chiesa al tempio conferma tale continuità anche nell’impostazione rettangolare dello spazio aperto; tuttavia, già dall’età tardo-antica, i nuovi edifici del culto cristiano (il battistero o il palazzo vescovile) modificano la forma della piazza religiosa. Con l’avvento dell’età comunale, nella piazza del potere pubblico si celebrano il simbolo del governo della città stessa e la sua supremazia sulle campagne e sulle terre circostanti: i palazzi, le logge, le fontane, sono generalmente disposti in modo da rendere subito riconoscibile la gerarchia dei poteri. Nelle piazze delle cattedrali tardo-medievali, lo spazio è organizzato allo stesso modo, cioè con l’intenzione di dare massimo slancio e imponenza agli edifici emblematici. In molte città, oltre alla piazza del palazzo comunale e della cattedrale, figura una terza piazza, in cui si esercitano la mercatura, il cambio e altre attività commerciali.

In alto, sulle due pagine particolare di una miniatura raffigurante una piazza animata da scene di vita quotidiana, da un’edizione del De Sphaera di Leonardo Dati. 1470. Modena, Biblioteca Estense Universitaria. 24

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Nella pagina accanto, in basso veduta di San Gimignano (Siena). La città, ancora cinta dalle mura duecentesche, conserva quasi intatta la struttura urbanistica e architettonica medievale, con 13 delle originarie 72 torri.

sta a una forte istanza del popolo cristiano che dal XII secolo, dalla nascita di un nuovo luogo dell’aldilà chiamato Purgatorio, aveva iniziato a fare seriamente i conti con la propria vita ultraterrena. E proprio con la concessione di un’indulgenza, una volta giunti a Roma dopo giorni e giorni di cammino, la Chiesa poteva abbreviare la durata dei tormenti «purgatori» che ogni peccatore avrebbe sofferto post mortem, un privilegio questo che accrebbe ancor piú il potere del papa. Il bagaglio del viaggiatore è scarso, per lo piú una bisaccia, qualche moneta per chi ne aveva la possibilità. I piú ricchi portano con sé un cofanetto con alcuni oggetti preziosi, che costituisce in molti casi l’intero patrimonio personale. Il simbolo del viaggiatore è il bastone, come possiamo vedere in innumerevoli miniature, a forma di tau per permettere l’appoggio ai malfermi viandanti. Quando è possibile, si sceglie la via fluviale, perché l’imponente rete di strade romane è da tempo abbandonata, scomparsa e dimenticata; altrimenti si è costretti a percorrere viottoli o tratturi che soltanto il continuo calpestio degli uomini rende visibile e percorribile.

Il richiamo delle reliquie

Il viaggiatore per eccellenza resta per lungo tempo il pellegrino. All’alba dell’XI secolo i traguardi piú sognati sono Roma, Gerusalemme e Santiago di Compostella, cioè i piú celebri santuari del Medioevo; a essi si vengono poi ad aggiungere moltissimi luoghi santi, di mi-


nore rilievo, in cui si poteva vedere o toccare una particolare reliquia, venerare un’immagine santa, come il santuario dell’Arcangelo sul Gargano, in Puglia; o Lucca, dove era conservata l’immagine lignea del Cristo detta «Santo volto»; dal 1164 circa, Milano, dov’erano stati portati i corpi dei Re magi; o Loreto in cui, dal tardo Duecento, era possibile venerare la «Santa casa» di Maria, misteriosamente lí trasportata dagli angeli per salvarla dalla furia distruttrice degli infedeli in Asia Minore; o ancora Orvieto, dov’era conservata la straordinaria reliquia del Sangue del Cristo. Una fittissima rete di percorsi e di stazioni di posta e di conforto punteggiava i collegamenti tra questi luoghi del Sacro. Fin dalla tarda antichità le inventiones, cioè le scoperte improvvise, e le traslationes, di ogni tipo di reliquia, erano all’origine di grandi movimenti devozionali e di culti spontanei. Attorno ai santuari si animava ben presto un ricco mercato, di solito in occasione della festa del santo: erano le fiere, che non solo favorirono la crescita economica di un territorio, ma resero possibile anche una vasta diffusione della cultura. La rete stradale andò cosí strutturandosi insieme al processo di sviluppo urbano e rurale negli ultimi tre-quattro secoli di Medioevo. Il Cammino di Santiago, la via segnata dalla presenza di straordinarie chiese e cittadine che conduceva sulla tomba dell’apostolo Giacomo, attraversava la Spagna settentrionale per poi ramificarsi in una miriade

di diverticoli in Francia, Italia e Germania proprio per collegare le diverse stationes, anch’esse in grado di offrire qualche indulgenza.

Dalla Francia verso Roma

In Italia, a partire dall’XI secolo andò sempre piú consolidandosi l’itinerario chiamato «via Francigena» (vedi box alle pp. 26-27): i pellegrini provenienti dalla Francia, diretti a Roma, scendevano dal Moncenisio, passando poi in Piemonte e in Lombardia, attraversavano il Po a Piacenza per dirigersi verso l’Appennino e immettersi lungo l’antico percorso della via Cassia per toccare Siena, Acquapendente, Viterbo e, infine, Roma. Una volta giunti sulla tomba di Pietro i pellegrini potevano proseguire verso Montecassino, dove riposava il corpo di san Benedetto, e ancora verso il Monte Gargano, in Puglia, nei cui pressi era possibile imbarcarsi per l’Epiro, da dove la via Egnazia li conduceva a Costantinopoli, e da qui, via mare o scendendo lungo l’Anatolia, fino a Gerusalemme. Come accade lungo il Cammino di Santiago, anche lungo la via Francigena è possibile imbattersi in edifici che, in un modo o nell’altro, ripetevano la forma o la struttura dei luoghi santi di Gerusalemme: cosí, per esempio, il Santo Sepolcro di Acquapendente (VT), un’edicola che riproduce al suo interno il Sepolcro gerosolimitano. Il Giubileo del 1300 portò un grande numero di pellegrini lungo le strade verso Roma, Dante li chiama

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Un’altra Italia

L’ITINERARIO DI SIGERICO E L’ORIGINE DELLA VIA FRANCIGENA Stade Amsterdam Utrecht Londra

Canterbury

Bruxelles Sombre

Praga

Arras Laon Parigi

Magonza

Lussemburgo Reims Chàlons-sur-Marne

Troyes

Strasburgo

Bar-sur-Aube

Basilea

Besançon Pontarlier

Vaduz

Berna

Losanna St. Maurice

Bourg-Saint-Pierre Aosta Ivrea Pavia Piacenza Vercelli

Lione

Susa Tolosa Verso Compostela

Andorra

Arles

Lubiana

Berceto Luni Lucca San Gimignano Siena

Pontremoli

San Quirico Bolsena Viterbo Sutri

Roma Verso Gerusalemme

Madrid

Esiste una fonte eccezionale che ci mostra il percorso della via Francigena nell’Alto Medieovo: si tratta della descrizione del viaggio che l’arcivescovo di Canterbury, Sigerico, fece a Roma nel 990. Eletto arcivescovo nel 989, Sigerico si mise in cammino per ricevere il pallium da papa Giovanni XV. Giunto al cospetto del pontefice nel luglio del 990, nel corso del suo breve soggiorno a Roma Sigerico annota nel suo diario tutti i luoghi da lui visitati. Nella Vita di San Dunstano, l’arcivescovo elenca, una dopo l’altra, tutte le submansiones incontrate sulla strada de Roma usque ad mare (le 78 tappe del viaggio di ritorno, da Roma fino a Calais sulla Manica). Sono indicati borghi, città, santuari, chiese, ospedali cosí come punti di attracco di traghetti, punti di ristoro e stalle per il ricovero

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Napoli

delle cavalcature. Ne risulta una sorta di guida al viaggio lungo la via Francigena. SI TRASCRIVONO DI SEGUITO LE TAPPE DA ROMA FINO AD AOSTA: I Urbs Roma (Roma, Borgo Leonino); II Iohannis VIIII (La Storta); III Bacane (Valle del Baccano, Campagnano di Roma); IV Suteria (Sutri); V Furcari (Vetralla); VI Sc.e Valentine (Bullicame, presso Viterbo); VII Sc.e Flaviane (Montefiascone); VIII Sc.a Cristina (Bolsena);


IX Aqua Pendente (Acquapendente); X Sc.e Petir in Pail (Podere in Voltore, Abbadia San Salvatore); XI Abricula (Le Briccole, Castiglione d’Orcia); XII Sc.e Quiric (San Quirico d’Orcia); XIII Turreiner (Torrenieri, Montalcino); XIV Arbia (Ponte d’Arbia, Monteroni d’Arbia); XV Seocine (Siena); XVI Burgenove (Abbadia a Isola, Monteriggioni); XVII Aelse (Pieve d’Elsa, località scomparsa, nei pressi di Gracciano d’Elsa, Colle Val d’Elsa); XVIII Sc.e Martin in Fosse (Molino d’Aliano, Colle Val d’Elsa); XIX Sc.e Gemiane (San Gimignano); XX Sc.e Maria Glan (Pieve di S. Maria Assunta a Chianni, Gambassi Terme); XXI Sc.e Petre Currant (Pieve dei SS. Pietro e Paolo a Colano, Castelfiorentino); XXII Sc.e Dionisii (Borgo San Genesio, San Miniato); XXIII Arne Blanca (Fucecchio); XXIV Aqua Nigra (Ponte a Cappiano, Fucecchio); XXV Forcri (Porcari); XXVI Luca (Lucca); XXVII Campmaior (Camaiore); XXVIII Luna (Luni, Ortonovo); XXIX Sc.e Stephane (Santo Stefano di Magra); XXX Aguilla (Aulla); XXXI Puntremel (Pontremoli); XXXII Sc.e Benedicte (Montelungo, Pontremoli); XXXIII Sc.e Moderanne (Berceto); XXXIV Philemangenur (Felegara, Medesano, o forse Fornovo di Taro); XXXV Metane (Medesano o forse Costamezzana, Noceto); XXXVI Sc.ae Domnine (Fidenza); XXXVII Floricum (Fiorenzuola d’Arda); XXXVIII Placentia (Piacenza); XXXIX Sc.e Andrea (Corte Sant’Andrea, Senna Lodigiana); XL Sc.e Cristine (Santa Cristina); XLI Pamphica (Pavia); XLII Tremel (Tromello); XLIII Vercel (Vercelli); XLIV Sc.e Agath (Santhià); XLV Everi (Ivrea); XLVI Publei (Montjovet); XLVII Agusta (Aosta). Facendo il percorso inverso, si osserva come i viaggiatori britannici, attraversata la Manica, da Calais si dirigevano ad Arras, Reims e Besançon, seguendo poi la valle del Rodano fino al lago Lemano. Dopo aver visitato l’abbazia di Saint-Maurice, i pellegrini si dirigevano verso il Gran San Bernardo, che, una volta attraversato, conduceva ad Aosta. Molte strade percorse fino a questo punto erano di origine romana. Per esempio, oltre Lucca, si sarebbe potuta raggiungere Roma, non solo con la Cassia, ma anche tramite la via Aurelia, che transitava da Pisa. Ma la via costiera viene preferibilmente scartata, sia perché esposta agli attacchi provenienti dal mare, sia perché per lunghi tratti attraversava territori infestati dalla malaria, come le paludi della Maremma.

Il cortile interno del Palazzo Comunale di San Gimignano, affrescato con stemmi dei personaggi che avevano ricoperto cariche pubbliche nel contesto del Comune. L’edificio venne edificato fra il 1289 e il 1298, sui resti di una costruzione preesistente. «romei», da distinguersi con coloro diretti sulla tomba di San Giacomo che invece vengono indicati semplicemente come «pellegrini». La via Francigena, nata in età longobarda, ben presto si raccorda ai percorsi d’Oltralpe, divenendo il principale collegamento tra l’Italia e l’Europa, ma soprattutto essa fu la principale via di pellegrinaggio verso Roma e poi verso la Terra Santa. In effetti Roma, per lungo tempo, non rappresentò il punto di arrivo del lungo cammino; fu invece da molti considerata come una tappa intermedia del viaggio. Dall’età carolingia la Francigena assume un rilievo europeo: i Franchi intendono rafforzare i collegamenti tra i luoghi del potere e, pertanto, si preoccupano di assicurare un agevole attraversamento alpino. Attribuita a Carlo Magno è la fondazione dell’abbazia di S. Antimo, vicino a Montalcino, ma prima ancora (726) i Franchi fondarono l’abbazia dei santi Pietro e Andrea a Novalesa, nella val Cenischia, sulla grande strada romana tra Susa e il Moncenisio, da dove partivano le due strade per Avignone e per Parigi. Nel IX secolo la via Francigena diviene dunque l’asse del collegamento tra l’impero carolingio e il papato. Nei secoli successivi sorgono nuove abbazie nei punti chiave del percorso, a dimostrazione di come il suo ruolo non passò mai in secondo piano rispetto ad altre direttrici. In ogni caso non va dimenticato che la via Francigena, come del resto ogni itinerario medievale, non era percorsa solo da pellegrini; essa era anche, e soprattutto, una via di commercio e di scambi culturali. L’intensificazione dei trasporti terrestri nel corso del Medioevo si riflette sul potere delle città: la proiezione europea di Milano, per esempio, molto dipese dalle direttrici stradali che la collegavano con il Centro Europa, e lo stesso vale per molte altre città italiane. MEDIOEVO NASCOSTO

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SVIZZERA FRANCIA

Cervinia

Étroubles Courmayer

Aosta Aymavilles

Châtillon Quart Nus

Fénis

Montjovet Verrès

Introd Issogne Cogne

VALLE D’AOSTA

FRANCIA

Bard

PIEMONTE

A

lcuni tra gli abitanti originari della Valle d’Aosta si chiamavano Salassi, una popolazione di origine celtica che occupò la regione fino all’avvento dei Romani (25 a.C.). Alla fondazione di Augusta Praetoria Salassorum (l’odierna Aosta) fece seguito la nascita di piccoli centri come Quart, Châtillon, dove si conservano resti dell’età romana, il fundus Charvensod e Nus, sede di un castello che la leggenda vuole abbia ospitato il procuratore Ponzio Pilato. Questi insediamenti conobbero un certo sviluppo urbano solo nel Medioevo, quando i loro possenti castelli vigilavano su vie e valichi chiave per il traffico commerciale. Nel V e VI secolo la Valle d’Aosta subí l’invasione dei Burgundi, dei Longobardi e degli Ostrogoti; poi passò nelle mani dei Franchi (774) e dei Borgognoni (904). Poco dopo l’anno Mille si appropriò della regione il conte Umberto I Biancamano, capostipite della dinastia dei Savoia. La Valle d’Aosta, comunque, mantenne una sostanziale indipendenza nei secoli in cui fu annessa alla Savoia, grazie alle concessioni di carte di franchigia alle comunità locali, che progressivamente diventavano sempre piú organizzate e numerose. Questa tendenza particolarista favorí lo sviluppo di fortezze a difesa di piccole porzioni di territorio e vide l’affermarsi di alcuni borghi di importanza strategica per loro ubicazione naturale, primo fra tutti Bard, il cui castello assunse il nome di inexpugnabile oppidum. Imponenti rocche segnarono la storia anche di Verrès, uno dei centri di potere della Valle d’Aosta nel XV secolo, e di Fénis, sul cui modello venne costruito nell’Ottocento il Museo del Borgo Medievale del Valentino, a Torino. Furono bastioni parimenti solidi, infine, i castelli di Aymavilles e Introd, località oggi nota come luogo di soggiorno estivo dei pontefici.

Nella pagina accanto, in basso il castello di Fénis. Fondata nel XIII sec. la fortezza ha assunto il suo aspetto attuale in seguito alle modifiche apportate dapprima con Aimone e poi con Bonifacio I di Challant, rispettivamente all’inizio e alla fine del XIV sec. A queste si sono aggiunte le ricostruzioni promosse durante il regime fascista, tra cui, in particolare, la reintegrazione della doppia cinta muraria, che ha avuto un esito suggestivo, ma filologicamente discutibile.


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO»

•AYMAVILLES acquedotto romano e rocca medievale. •BARD forte medievale e geosito archeologico. •CHÂTILLON (vedi box alle pp. 32-33). •ÉTROUBLES (articolo alle pp. 30-32). •FÉNIS rocca e chiesa dell’età di Mezzo. •INTROD maniero del XII secolo. •ISSOGNE chiesa del X secolo e rocca medievale. •MONTJOVET rocca di Chenal. •NUS castelli di Nus e di Pilato. •QUART necropoli di Vollein e fortezza del XII secolo. •VERRÈS castello degli Challant e prevostura di Saint-Gilles. In alto la bottega di uno speziale, particolare di uno degli affreschi con scene di vita quotidiana che ornano le lunette del porticato del castello di Issogne. Il ciclo pittorico fa parte del fastoso apparato decorativo voluto dal priore Giorgio di Challant, che, tra il 1487 e il 1509, volle celebrare nell’edificio la grandezza della propria famiglia.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Valle d’Aosta

ÉTROUBLES

Sulla via delle Gallie

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di Francesco Colotta

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orto nel cuore della valle del Gran San Bernardo, a 1270 m di altezza, il borgo di Étroubles ha rivestito un ruolo strategico fin dall’antichità grazie alla sua posizione chiave lungo il tracciato della via delle Gallie (arteria che collegava la zona del Po con le regioni alpine). I Romani gli diedero il nome di Eudracinum e anche di Restapolis, utilizzandolo presumibilmente come residenza invernale per la guarnigione militare. Nell’età di Mezzo, il borgo si sviluppò in seguito all’intensificarsi del transito dei pellegrini cristiani che dal Nord Europa si recavano a Roma: l’area di Étroubles costituiva un passaggio obbligato, perché era attraversata della via Francigena (l’insieme di strade che collegava il Settentrione del continente con la Città Eterna, che comprendeva il tracciato della via delle Gallie) e rappresentava la tappa che precedeva Aosta. Proprio in virtú del grande afflusso di fedeli, il piccolo abitato si organizzò per fornire loro le migliori condizioni di accoglienza, allestendo un ospizio per viaggiatori che rimase attivo fino al XVIII secolo.

Gruppo scultoreo in legno policromo raffigurante la Pietà, dalla cappella di Vachéry. Opera di scultore valdostano, prima metà del XVII sec. Étroubles, Trésor de la Paroisse. Nella pagina accanto Étroubles (Aosta). Veduta del borgo, dominato dal campanile quattrocentesco progettato dal maestro lapicida di Gressoney Yolli de Vuetto.

I «soldati della neve»

In epoca bassomedievale, su disposizione dei Savoia – negli anni di governo della famiglia sabauda su gran parte dell’odierno territorio valdostano –, a Étroubles vennero costituiti gruppi di marroniers (chiamati in seguito anche Soldats de la Neige), vere e proprie guide alpine incaricate di accompagnare mercanti e pellegrini sulle alture del colle del Gran San Bernardo sia nel tragitto di andata che in quello di ritorno, un servizio rimasto in funzione fino al 1783. Insieme ai tanti pellegrini, nel piccolo abitato transitarono anche papi e imperatori, tra cui Napoleone Bonaparte, il quale, nella notte del 20 maggio 1800, soggiornò presso la locale casa dell’Abbé Veysendaz, sorta nel luogo in cui, nell’età di Mezzo, si trovava l’ospizio. L’architettura di Étroubles conserva un aspetto tipicamente medievale: lungo strette stradine in ciottolato sorgono antiche abitazioni dai tetti in lose (termine di origine incerta che indica lastre in pietra utilizzate come tegole. n.d.r.), ristrutturate in epoca recente, mentre dall’alto un imponente campanile quattrocentesco domina l’abitato, unica testimonianza rimasta di quella che nel Medioevo era la principale chiesa del borgo. Risale all’Ottocento, invece, l’edificio adiacente la chiesa oggi dedicata a santa Maria Assunta, la cui struttura

originaria venne abbattuta a causa delle estreme condizioni di degrado in cui versava. Una torre si conserva nella vicina frazione di Vachéry ed è uno dei gioielli architettonici dell’intera valle del Gran San Bernardo. Costruita nel XII secolo con funzioni militari, divenne in periodo piú tardo residenza di potenti famiglie nobiliari, i Vachéry soprattutto, da cui ereditò il nome, e anche i La Tour.

Una breccia leggendaria

La torre ha la struttura di un parallelepipedo a pianta quadrata, con mura spesse circa 2 m. Nel lato occidentale è ancora visibile l’antico accesso – oggi murato – posto a una ragguardevole altezza dal suolo per rendere difficilmente espugnabile l’edificio. L’accesso odierno, al piano terra, venne ricavato in seguito, mentre la presenza di una breccia di origine ignota ha ispirato una leggenda di ambientazione medievale: si narra che un conte di Savoia, recatosi ad Aosta per impegni politici, venne sorpreso da una bufera durante il viaggio e si MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Valle d’Aosta

CHÂTILLON

M

olti borghi della Valle d’Aosta hanno rivestito un ruolo da protagonisti nella storia perché sorti accanto a vie commerciali o nel mezzo di valli militarmente strategiche, e, insieme a Verrès, Châtillon ne è uno degli esempi emblematici. Secondo alcune fonti, nel Medioevo, la cittadina fu il centro piú importante della regione dopo

Sulle due pagine uno scorcio di Châtillon. Sulla sinistra, la chiesa parrocchiale di S. Pietro, di fondazione medievale, e, sulla destra, il castello Passérin d’Entrèves.

In alto la poderosa torre medievale di Vachéry, frazione di Étroubles. vide costretto a trovare rifugio nella località piú vicina. Bussò dunque alla porta della torre dei Vachéry e ricevette accoglienza, ma non venne trattato con i riguardi dovuti a un uomo del suo rango. L’indomani, indispettito, il conte diede ordine di abbattere l’edificio, ma, impietosito dalle suppliche della dama di Vachéry, che si era gettata ai suoi piedi, tornò sulla sua decisione. Tuttavia, in segno di ammonimento e per punire la mancanza di rispetto di cui era stato vittima, stabilí che un’ampia breccia della torre rimanesse sempre aperta. Tra i monumenti locali sono da menzionare anche le «cinque cappelle»: la piú antica è quella di Échevennoz, risalente al XV secolo, mentre le altre (Bezet, Saint-Roch, Eternod e Vachéry) hanno origini databili fra il Cinquecento e il Settecento. Divenuto negli anni un luogo a vocazione turistica, il borgo ospita À Étroubles, avant toi sont passés…, un museo permanente a cielo aperto che espone nelle strade dell’abitato opere di artisti di fama internazionale, con la collaborazione della Fondation Gianadda di Martigny. 32

MEDIOEVO NASCOSTO

la capitale Aosta. Chi vi transitava, per esempio, era obbligato a pagare un pedaggio e spesso si fermava nelle «strutture ricettive» dell’epoca. Già in età romana Châtillon era un luogo celebre in quanto posto sulla via consolare delle Gallie, di cui oggi resta ancora qualche traccia nel territorio del Comune: il ponte sul torrente


Marmore e alcune strutture nei pressi del castello Gamba. Nell’età di Mezzo le sorti del borgo si legarono ai potenti Challant, in particolar modo alla battagliera Caterina che, nel XV secolo, scelse una rocca della zona come sua residenza. Il castello di Châtillon (detto anche di Passerin d’Entrèves) domina ancora la città dall’alto, ma nei secoli ha subito

massicce ristrutturazioni, a causa dei molti assedi subiti. Il borgo era famoso durante il Medioevo anche per la sua industria di cannoni, probabilmente la prima della storia nel territorio che comprendeva la Valle d’Aosta e il Piemonte. Un ulteriore contributo all’economia locale veniva dall’attività estrattiva delle miniere di ferro di Ussel.

Châtillon conserva abitazioni di pregio risalenti al Rinascimento, ma nel circondario si contano varie testimonianze riferibili al Medioevo, prima fra tutte la torre di Conoz, che alcuni documenti fanno ritenere sia stata costruita nel XIV secolo. La torre a pianta quadrata di Nèran, invece, sarebbe stata edificata ancor prima, nel XII secolo.

MEDIOEVO NASCOSTO

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SVIZZERA

Vogogna

Verbania Avigliana VALLE D’AOSTA

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Lanzo Torinese Criè Rivoli

Avigliana Pecetto Torinese

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Carmagnola

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Biella Magnano

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Guardabosone

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a regione etimologicamente «ai piedi dei monti» fu abitata in età antica da genti di origine celtica – Liguri, Taurini, Graioceli e Bagienni –, che convissero con altri gruppi provenienti dalla Gallia. Le difficili condizioni ambientali ostacolarono lo sviluppo urbano, che fece registrare un’impennata solo nel periodo della dominazione romana, a partire dal II secolo a.C. Oltre all’attuale capoluogo della regione, Iulia Augusta Taurinorum (Torino), sorsero nella parte orientale Tortona, Asti, Alba e Acqui Terme, borghi destinati in un primo periodo ad assolvere alla funzione di campi militari. Nel 402 i Romani respinsero i Visigoti a Pollenzo, nell’odierna Bra, ma presto capitolarono di fronte ad altre truppe barbariche. Con il tramonto dell’impero romano d’Occidente nella regione presero il sopravvento i Burgundi, gli Ostrogoti, i Bizantini e i Longobardi, sconfitti, poi, nell’VIII secolo da Carlo Magno, presso Chiusa di San Michele. Nel X secolo in Piemonte, finito sotto l’egida del regno italico, si diffuse il feudalesimo, con la conseguente ascesa di potenti piccole realtà locali come Chieri e Rivoli nella zona del Torinese.

Volpedo

MAR LIGURE

Qualche anno piú tardi cominciava a prendere forma uno dei borghi tuttora meglio conservati, il ricetto di Candelo, nel Biellese, un conglomerato di duecento edifici medievali che introduce un modello urbanistico che ritroviamo, per esempio, anche a Oglianico. In alcuni documenti comparivano con frequenza i nomi di Volpedo, già dotato di un villaggio fortificato e Carmagnola, città di manzoniana memoria. Anche il Cuneese ebbe una vivace storia altomedievale e ne furono protagoniste le cittadine di Cortemilia, nota per i suoi caratteristici porticati antichi, la misteriosa Saliceto, Revello e Saluzzo, che nel XII secolo diventò marchesato. Altri piccoli borghi acquisirono celebrità perché attraversati dalla rotta del pellegrinaggio sulla via Francigena, come Roppolo, con il suo splendido castello. Nel XII secolo, con l’epoca dei Comuni, il localismo esplose nella sua forma piú compiuta, come testimoniato dall’adesione di diverse città piemontesi alla Lega Lombarda. Altre piú indifese realtà urbane, come la piccola Avigliana per esempio, riuscirono a tener testa alle mire centraliste del figlio di Federico Barbarossa, Enrico VI.


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di Alessandria

•ACQUI TERME castello medievale e chiese del X secolo. •CASSINE chiesa gotica e palazzi quattrocenteschi. •OVADA centro storico di struttura medievale. •TORTONA resti di mura del I secolo a.C., chiese e palazzi antichi. •VOLPEDO pieve romanica altomedievale. Provincia di Asti

•PORTACOMARO ricetto del X-XI secolo. •ROCCAVERANO torre duecentesca. Provincia di Biella

•CANDELO (vedi box alle pp. 40-41). •MAGNANO ricetto medievale. •ROPPOLO chiesa romanica di S. Michele del XII secolo. Provincia di Cuneo

•ALBA torri e chiese medievali. •BAROLO castello risalente al X secolo. •CORTEMILIA centro storico con numerosi monumenti dell’Età di Mezzo. •REVELLO chiese medievali e ruderi di un’antica rocca. •SALICETO castello del XII secolo. •SALUZZO (articolo alle pp. 36-42). •SERRALUNGA D’ALBA castello del XIV secolo.

Nel Duecento sulla regione dominavano i Savoia e nelle cronache conquistarono spazio centri come Pecetto Torinese e Lanzo Torinese, legati a doppio filo alla politica torinocentrica di quel periodo. Sofferto fu il destino del borgo di Ovada, situato al confine con la Liguria, che i Savoia riuscirono solo saltuariamente a strappare al controllo di Genova. La cittadina divenne in modo definitivo piemontese solo dopo l’età napoleonica.

In alto Asti. Il castelletto in stile neogotico realizzato agli inizi del Novecento nel centro cittadino, annesso alla duecentesca Torre Comentina (o «di San Bernardino»). I suoi 38,55 m ne fanno la seconda torre civile per altezza. A sinistra Saliceto (Cuneo). Particolare delle decorazioni affrescate all’interno del castello dei Del Carretto.

Provincia di Novara

•ORTA SAN GIULIO basilica e castello del XII secolo. Città metropolitana di Torino

•AVIGLIANA rovine del castello (X sec.) e chiesa romanico-gotica. •CARMAGNOLA castello e collegiata medievali. •CHIERI duomo del V secolo e altre chiese antiche. •CHIUSA SAN MICHELE resti di mura longobarde. •LANZO TORINESE torre duecentesca e ponte trecentesco. •OGLIANICO (vedi box alle pp. 42-43). •PECETTO TORINESE chiesa duecentesca. •RIVOLI castello medievale e casa del Conte Verde (XIV secolo). Provincia di Verbano-Cusio-Ossola

•VOGOGNA castello e palazzi medievali. Provincia di Vercelli

•GUARDABOSONE centro storico ricostruito nell’aspetto medievale originario.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Piemonte

SALUZZO

Una città «non ultima in possanza»

di Silvia Beltramo

C’

è stato un tempo in cui Saluzzo era una delle raffinate capitali dei numerosi principati nei quali era diviso il Nord-Ovest dell’Italia. Di questa lunga fase di «piccola capitale» del marchesato omonimo, Saluzzo e il suo territorio conservano edifici civili e religiosi di grande qualità e pregio. D’altra parte, già Silvio Pellico definiva la città «non ultima in possanza», ma addirittura «altera» proprio per i suoi castelli «governati da prodi». Tra Medioevo e prima età moderna, infatti, il marchesato di Saluzzo (XII-XVI secolo) vive una stagione di straordinario sviluppo politico,

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MEDIOEVO NASCOSTO

economico e artistico, grazie alle relazioni che la famiglia marchionale seppe instaurare con le piú importanti corti d’Europa, come, per esempio, quella del re di Francia. Molte delle architetture realizzate in quest’epoca arricchiscono ancora oggi la città e il suo circondario, dando forma e sostanza a un paesaggio culturale unico, compreso tra la fertile pianura che unisce le province di Cuneo e Torino e le vallate alpine dominate dal Monviso. Testimonianze della cultura costruttiva romanica si conservano nel territorio, che ha accolto grandi insediamenti monastici e una fitta rete di chiese pievane all’epoca ancora soggette alla arcidiocesi di Torino.

In alto veduta panoramica di Saluzzo, cuore dell’omonimo marchesato. Nella pagina accanto, in basso particolare degli affreschi che ornano la Sala Baronale del Castello della Manta, pochi chilometri a sud di Saluzzo. XV sec.


Tra i monasteri emerge per rilevanza architettonica e paesaggistica il complesso di Villar San Costanzo, costituito da due abbazie di origine altomedievale (la fondazione è attribuita da fonti tarde al re longobardo Ariperto II, 701712), suddivise tra il sito di S. Costanzo al Monte, situato sulle pendici del monte San Bernardo, e S. Pietro in Vincoli, nella parte pianeggiante prossima all’abitato di Villar. Un’altra abbazia risalente al periodo longobardo è l’antica abbazia dei Ss. Pietro e Colombano a Pagno, voluta dal re Astolfo a metà dell’VIII secolo e costituita dai monaci di S. Colombano di Bobbio; conserva tracce della chiesa antica, nell’originaria facciata a ovest e nella cripta riemersa a seguito degli scavi archeologici condotti dal 2005. Nei primi decenni del XII secolo, sono però i monaci cistercensi a segnare profondamente il paesaggio medievale delle terre saluzzesi. L’insediamento monastico di S. Maria di Staffarda rappresenta ancora oggi uno degli esempi piú interessanti e meglio conservati dell’architettura religiosa medievale del Nord Italia, ed è anche uno dei pochi luoghi che restituisce al visitatore l’atmosfera del mondo spirituale e agricolo cistercense. Situata nella pianura saluzzese e caratterizzata dal profilo inconfondibile del Monviso che si staglia come fondale, l’abbazia di S. Maria è uno dei primi siti dei monaci bianchi fondati in Italia, dopo Tiglieto e Lucedio, tra il 1127 e il 1138, su proprietà donate da Manfredo, primo marchese di Saluzzo. Il monastero ha goduto fin dall’inizio dell’appoggio della famiglia marchionale, destinato a consolidarsi nel tempo, accogliendo le sepolture signorili, un vero e proprio mausoleo dinastico simbolo del prestigio dei marchesi. Pochi anni piú tardi, questo legame si afferma anche con successive fondazioni, quella dell’abbazia di Casanova (1142), vicino a Carmagnola, e di Rifreddo (1219), sul Montebracco.

Crissolo Pian del Re

Barge

Torre San Giorgio

Staffarda

Calcinere Paesana

Monviso

Revello Pian Munè

Saluzzo Lagnasco Castello della Manta Verzuolo

Castellar Pagno

Casteldelfino Sampeyre

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San Damiano Macra Dronero

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Villar San Costanzo

Valgrana Monterosso Grana

Costigliole Saluzzo Villafalletto Busca Tarantasca SS20 Roata Rossi

Caraglio San Defendente

Cuneo

SS705

In alto l’ubicazione dei castelli e delle abbazie descritti nel testo.

Una vita ben regolata

Entrando nel complesso monastico di Staffarda, il rosso mattone dei muri caratterizza gli edifici destinati all’attività agricola e quelli riservati alla clausura monastica, con una continuità d’impiego che giunge fino ai giorni nostri. Il primo nucleo dell’abbazia era costituito dalla chiesa, dal monastero e da un’area esterna alla clausura, caratterizzata dalla presenza di un piccolo borgo, nel quale risiedevano i laici dipendenti del monastero. All’interno della clausura la vita dei monaci si svolgeva negli ambienti disposti, secondo un preciso MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Piemonte

ordine, intorno al chiostro, il centro dell’abbazia. A fianco della chiesa, al piano terra sul lato est, si conservano la sacrestia, la sala capitolare, l’auditorio e la sala dei monaci, mentre il piano superiore è occupato interamente dal dormitorio, riplasmato in età moderna. In queste strutture i monaci bianchi si attennero scrupolosamente ai modelli progettuali cistercensi provenienti dalla Borgogna, con l’ascetico rigore che si riscontra anche nella scultura architettonica degli ambienti del cenobio. Conclusa intorno agli anni Cinquanta del XII secolo, la chiesa di S. Maria conserva l’impianto medievale, caratterizzato dalla bicromia dei 38

MEDIOEVO NASCOSTO

materiali da costruzione, il mattone usato per la muratura e la pietra per i capitelli e per altri elementi architettonici di pregio. Non segue modelli cistercensi, ma mostra chiari riferimenti all’architettura lombarda, in particolare pavese, nella planimetria a tre absidi semicircolari, nei pilastri polistili, nel transetto non sporgente, nei capitelli cubici e nelle volte a crociera costolonate. Le maestranze utilizzano una tecnica costruttiva e modelli consolidati, e guardare a Pavia, allora capitale del regno d’Italia, significava fare scelte all’avanguardia nel panorama architettonico. La committenza marchionale si consolida nel

L’abbazia di S. Maria di Staffarda, fondata dai monaci cistercensi tra il 1127 e il 1138, su proprietà donate dal primo marchese di Saluzzo, Manfredo.


In alto, sulle due pagine veduta della Castiglia, il castello dei marchesi di Saluzzo voluto da Tommaso I e sorto fra il 1270 e il 1286. A destra l’esterno della cappella marchionale della chiesa di S. Giovanni a Saluzzo, di epoca tardo-gotica. corso dei secoli centrali e del tardo Medioevo, investendo in cantieri architettonici impegnativi, che hanno dato esito ad alcuni degli edifici che ancora oggi costituiscono emergenze assolute nel territorio saluzzese.

Alla corte dei signori di Saluzzo

Una preziosa testimonianza si riscontra nel sistema dei castelli che costellano i crinali delle prime colline tra le valli Varaita e Bronda, a ridosso dei centri urbani di Verzuolo, Lagnasco, Castellar, Costigliole, Revello e Saluzzo, sedi dei rispettivi rami della famiglia. Per avere sentore della vita della corte signorile saluzzese, una

visita al castello della Manta, di proprietà del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) fin dal 1985, permette di conoscere alcuni «tesori» dell’architettura e dell’arte di corte della fine del Medioevo. Al nucleo piú antico dell’edificio, risalente alla fine del XIII secolo e oggi riconoscibile nella torre circolare centrale, si sommano corpi di fabbrica aggiunti nel corso del tardo Medioevo e dell’età moderna, seguendo le esigenze della famiglia Saluzzo Della Manta. Valerano, il capostipite di questo ramo dinastico, ingrandí il castello, trasformandolo in una residenza signorile, adeguando la struttura militare e ingentilendola con nuovi spazi: MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Piemonte

RICETTO DI CANDELO

U

tra questi, grande rilevanza riveste la sala baronale, arricchita dal famoso ciclo di affreschi raffiguranti Prodi ed Eroine e la Fontana della Giovinezza, datato agli anni Venti del XV secolo, e che inaugura una nuova stagione culturale per il marchesato.

Una duplice cinta muraria

La capitale del marchesato, Saluzzo, conserva un centro storico di straordinario interesse, che documenta il tessuto edificato di una città tardomedievale ancora in buona parte integro. Adagiato lungo le pendici della collina, coronato dalla presenza del castello costruito alla fine del XIII secolo, oggi noto come la Castiglia, il borgo medievale – racchiuso in un doppio cerchio di mura – arriva fino al piano, dove si erge la maestosa collegiata, poi cattedrale, ricostruita alla fine del XV secolo. Percorrendo le caratteristiche vie che seguono le curve della collina o si inerpicano con ripide scale realizzate in acciottolato antico, si svela poco a poco l’abitato di Saluzzo con la sua forma e le sue architetture, tra domus medievali e palazzi aggiornati al nuovo gusto dell’età moderna, che racchiudono ancora giardini e prospettive di rara bellezza, esito di un patrimonio stratificato e che costituisce tuttora un’eredità culturale a lascito della comunità. Tra le architetture che si incontrano nella parte alta di Saluzzo, dietro l’antica platea – l’asse principale della città medievale che accoglie le residenze signorili e l’antica sede comunale– vi 40

MEDIOEVO NASCOSTO

n borgo irreale di appena duecento abitazioni contadine, tutte di origine medievale, un capolavoro della storia e un miracolo di sopravvivenza architettonica. Il ricetto (dal latino receptum, ritiro, rifugio) di Candelo, piccolo paese della provincia di Biella, appare ancora come una tipica struttura fortificata del XIII-XIV secolo che serviva alla conservazione di riserve di vettovaglie per i signori locali e solo in casi estremi poteva essere utilizzato come rifugio contro gli attacchi dei nemici. Costituiva di certo un ottimo nascondiglio, ma non era in grado di resistere a lungo a eventuali assalti militari per l’estrema fragilità delle costruzioni. Nei secoli sono stati apportati pochi rimaneggiamenti alle case, alle splendide mura difensive costruite con semplici ciottoli di torrente e anche alle strettissime stradine interne, le cosiddette rue. Secondo alcuni recenti studi di università straniere, il ricetto di Candelo è uno dei borghi medievali meglio conservati d’Europa. Situato nel Comune omonimo, occupa una superficie di 13 000 mq, ha un perimetro di circa 500 m. Quasi tutti gli edifici sono a due piani tranne il palazzo del principe che risale alla fine del Quattrocento e fu voluto dal feudatario Sebastiano Ferrero.

LA CINTA MURARIA è realizzata in ciottoli a spina di pesce e racchiude l’intero complesso. È interrotta solo nel lato sud dal Palazzo Comunale, edificato agli inizi del XIX sec. In alto, a sinistra il monumento funebre del marchese Ludovico II, all’interno della cappella marchionale della chiesa saluzzese di S. Giovanni. Primi decenni del XVI sec. A destra, sulle due pagine veduta a volo d’uccello del ricetto di Candelo.

LE TORRI sorgono agli angoli del ricetto. Originariamente erano aperte all’interno, per rendere piú agevoli le operazioni di difesa. Due di esse presentano dimensioni e forme differenti: la piú antica è quella piú alta, utilizzata nel Cinquecento come prigione.


A sinistra e in basso la casa del principe e la torre-porta del ricetto di Candelo.

LE STRADE, dette rue, sono realizzate con ciottoli di torrente, come le mura di cinta, e hanno una leggera pendenza da sud verso nord, per consentire all’acqua di superficie di defluire verso la torre di cortina.

LA CASA DEL PRINCIPE

GLI ISOLATI si affacciano sulle rue e sono composti da numerose «cellule» edilizie, di dimensione e forma sostanzialmente uguali. Ciascuna di esse si articola su due piani: uno inferiore, dotato di portone e utilizzato per gli animali, e uno superiore, a cui si accedeva tramite una lobbia – balconcino in legno raggiungibile con una scala volante –, nel quale erano conservati il fieno e i prodotti agricoli. In caso di pericolo qui si stipava anche la famiglia. Ogni cellula, priva di scale fisse, camino, servizi igienici o altro era separata da quella corrispondente sul lato opposto dell’isolato da un’intercapedine (rettana).

s’incontra appena superato l’ingresso del ricetto, di cui è l’edificio piú imponente. Si tratta dell’abitazione che si fece costruire nel 1496 Sebastiano Ferrero, dopo avere ottenuto il feudo di Candelo dal duca Filippo di Savoia. Ferrero, a un certo punto, pretese la piena proprietà del ricetto, ma si scontrò con l’ostinata opposizione dei Candelesi, che si appellarono al duca e vinsero la causa.

MEDIOEVO NASCOSTO

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è il complesso conventuale dei frati predicatori di S. Giovanni di Saluzzo, al cui interno sorge il gioiello tardo-gotico della cappella marchionale. La chiesa è l’esito di una serie di cantieri che si sono svolti lungo il corso del Trecento e che ne hanno definito l’impianto basilicale a tre navate separate da pilastri polistili, coperto da volte a crociera costolonate. La complessa stratificazione dell’architettura, insieme alla non chiara documentazione relativa all’origine dell’edificio, non permettono di definirne compiutamente tutte le fasi di costruzione, ma emerge, fin da subito, l’importanza rivestita dalla chiesa per la famiglia marchionale. La committenza signorile, iniziata nei primi decenni del XIV secolo, si conclude con la costruzione della cappella, il «mausoleo del principe», un cantiere lunghissimo che, dalla volontà testamentaria di Tommaso dei primi anni del XV secolo, termina nei primi decenni del XVI secolo con la realizzazione del monumento funebre per Ludovico II.

L’ultima dimora dei marchesi

La posizione rilevata dell’edificio lo fa emergere nel panorama del centro storico con il forte dislivello esistente tra la facciata della chiesa e l’abside. Lo spazio quadrangolare della cappella, illuminato da quattro finestre archiacute, è concluso da un’abside poligonale limitata da tre lati di un esagono. Gli articolati profili delle modanature verticali, che scandiscono i prospetti laterali, presentano una sequenza di elementi di diversa sezione che si uniscono per sorreggere l’arco d’imposta della volta e i costoloni privi della mediazione dei capitelli. Nelle pareti senza finestre, nella seconda campata, si aprono due grandi nicchie, destinate a ospitare le sepolture dei marchesi e impreziosite da un ricco apparato scultoreo. La cappella funeraria dei marchesi riveste un carattere eccezionale per la cultura locale ed europea. I lapicidi Anechino Sambla e magistro Perineto Soqueto, impegnati nell’edificazione della cappella a partire dal 1491 su incarico del marchese Ludovico II, provengono dalla Francia meridionale; in particolare, la presenza di Perineto Zochelli è testimoniata, tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, nelle chiese di Avignone, Aix-en-Provence e a Carpentras, esempi che costituiscono l’appendice piú tarda nel gotico flamboyant che dialoga con le straordinarie e uniche soluzioni adottate a Saluzzo e che non teme i confronti con altre sedi auliche e maggiormente note, come le cappelle signorili di Vincennes, Chambery, Riom e Bourges. 42

MEDIOEVO NASCOSTO

OGLIANICO

N

ella seconda metà del Trecento, per difendersi dalle frequenti razzie di uomini armati e dalle aggressioni di popolazioni vicine, gli abitanti di Oglianico costruirono un ricetto, struttura urbanistica particolarmente diffusa nel Canavese, destinata al ricovero dei raccolti e degli animali e necessaria soprattutto quando il borgo era privo di mura e posto in una zona pianeggiante. A Oglianico il ricetto, a pianta quadrata, fu edificato a sud-est del borgo fino a inglobare anche la cappella campestre di S. Evasio. Sul lato est il torrente Levesa forniva una difesa naturale; il resto era protetto da una cinta muraria e da un fossato che all’occorrenza poteva essere chiuso. Al ricetto si accedeva per la torre-porta, tipico esempio di torre medievale a tre lati con il quarto aperto verso l’interno, dotata di ponte levatoio. La torre, di quattro piani, fungeva anche da punto di avvistamento, sul quale


A sinistra e in basso particolari del ciclo affrescato della cappella campestre di S. Evasio, databile nella prima metà del XV sec. A sinistra, il Cristo in Maestà e, in basso, un telamone. Nella pagina accanto la torre-porta che dà accesso al ricetto di Oglianico, in origine provvista di ponte levatoio.

montavano la guardia in coppia gli uomini di Oglianico. Dentro le mura, l’organizzazione dello spazio era rigidamente regolata dalla funzione di stoccaggio e conservazione dei beni e dei raccolti. La strada principale, in asse con la porta d’accesso e orientata come un decumano (est-ovest), doveva essere larga abbastanza da consentire il passaggio contemporaneo di due carri nelle opposte direzioni e collegava il doppio anello di strade secondarie, delle quali una delimitava i due isolati centrali e l’altra, detta «di lizza», seguiva il perimetro delle mura. Le costruzioni, essenziali, si componevano di un piano terreno o seminterrato e di un piano rialzato, collegati da una scala esterna; molte erano dotate di un piccolo balcone in legno per l’essiccazione dei cereali. Nel corso dei secoli, venuta meno l’esigenza difensiva, la struttura del ricetto è stata completamente inglobata nel borgo e le cellule edilizie trasformate in abitazioni. Tuttavia, il nucleo centrale attraversato dal decumano è conservato intatto. Molte case di Oglianico sono decorate da affreschi esterni di carattere devozionale, arricchiti da stemmi riferibili a vari personaggi di casa Savoia. Questo perché il borgo, sin dal Trecento, fu legato alla dinastia sabauda e a essa rimase sempre fedele, a dispetto di guerre, sequestri, prigionie e contenziosi di ogni genere avuti soprattutto con la vicina Favria, fedele ai Monferrato. Una «scelta di campo» che valse a Oglianico una privilegiata autonomia e il sostegno del castellano sabaudo di Rivarolo.

Le fonti ci informano che, almeno fino al 1329, S. Evasio era una cappella campestre, situata a breve distanza dal borgo; poco piú tardi, come abbiamo visto, finí incorporata nel ricetto e divenne parte di una cellula edilizia. Acquisita e recuperata dall’amministrazione comunale, la piccola chiesa custodisce al suo interno una parte importante delle testimonianze pittoriche offerte da Oglianico. Si tratta di un piccolo ciclo affrescato databile alla prima metà del Quattrocento, che ha come tema la raffigurazione degli Apostoli sovrastati dal Cristo in Maestà circondato dai simboli degli Evangelisti. Si tratta di un’iconografia frequente nelle decorazioni absidali del periodo, che nella cappella di S. Evasio è arricchita dalla scena della Crocifissione con la Vergine e San Giovanni. Altra peculiarità è rappresentata dall’inserimento di due figure grottesche che fungono da capitello dell’arco absidale. In un tratto lacunoso dell’affresco si può intravedere una traccia pittorica di epoca precedente, probabilmente trecentesca, nella quale sembra di riconoscere vesti dai bordi ondulati, forse riferibili a figure di Apostoli. L’affresco quattrocentesco è stato attribuito con qualche probabilità alla bottega di Giacomino da Ivrea, molto attiva nel Canavese; solo un futuro e auspicabile restauro, però, sarà in grado di fare chiarezza sulla effettiva paternità dell’opera. Nicoletta Zullino MEDIOEVO NASCOSTO

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Ronco Scrivia EMILIA-ROMAGNA

PIEMONTE

Sassello

Tana

Cuneo

ro

Albisola Sup.

Savona

Vado Ligure Noli Finale Ligure

Zuccarello

Loano

Bajardo Lingueglietta Apricale Taggia Dolceacqua Imperia

Ventimiglia

Monaco

Monterosso Al Mare

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di

Sanremo

Bordighera

MAR LIGURE

Castelnuovo Magra

La Spezia Ortonovo

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Porto Venere

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Lerici (La Spezia). La cittadina è dominata dalla mole possente del castello: edificato nel XIII sec. dai Pisani, deve il suo aspetto attuale alle successive modifiche genovesi (XIV-XVI sec.).

LIGURIA

Rapallo Chiavari S. Margherita Lavagna Lig. Brugnato Sestri Levante Moneglia

Golfo di Genova

Albenga Alassio

Varese Ligure

Genova

Millesimo

Pieve di Teco FRANCIA Triora

Torrigia

Campo Ligure

i Le

vant

e

Lerici Isola Palmaria


I

l territorio dell’odierna Liguria vanta antenati illustri: innanzitutto i Liguri, il popolo che le ha dato il nome, dopo i quali si avvicendarono Celti, Greci, Fenici e Cartaginesi. I Romani vi giunsero nel II secolo a.C. e la governarono unitamente al sud del Piemonte. A quell’epoca erano sorte le città di Genova, Savona, Vado Ligure – il cui nome antico (Vada Sabatia) è citato nelle lettere del politico Marco Giunio Bruto e dallo storico greco Strabone –, Ventimiglia – città che ricevette lo status di municipium da Giulio Cesare –, Lavagna e Moneglia, luogo strategico lungo la via Aurelia. Altri centri di rilievo erano Bajardo – con un passato celtico testimoniato dai suoi obelischi –, Porto Venere – la «perla» del Golfo dei Poeti –, Albenga – un tempo conosciuta come «città delle 100 torri» – e Luni, i cui resti romani sono tuttora visibili nella zona del Comune di Ortonovo. Eruli e Goti incutevano terrore nell’era delle invasioni barbariche, ma furono i Longobardi alla fine, nel V secolo, a dominare sulle terre ex romane. Alle soglie dell’anno Mille la regione, funestata dagli assalti via mare dei Saraceni e dei Normanni, venne divisa in tre principali aree: la Marca Arduinica (dal territorio piemontese a Ventimiglia), la Marca Aleramica (il Monferrato con Albenga e Savona) e la Marca Obertenga (una parte della Lombardia fino a Genova e Luni). Nell’elenco dei centri arduinici figuravano i suggestivi borghi di Triora, la «cittadina delle streghe» e Taggia. Roccaforti aleramiche, oltre a Savona e Albenga, erano invece Finale Ligure, che ebbe un proprio marchesato nel Basso Medioevo, e Millesimo, fondata secondo la leggenda da un soldato stanco di marciare in ultima fila nelle divisioni romane. Tra i centri amministrati dalla Marca Obertenga, infine, spiccavano i nomi di Moneglia, Lerici e Monterosso al Mare, tappa costiera delle Cinque Terre. Nel periodo dei Comuni molti piccoli centri si dotarono di propri statuti: uno dei primi a compiere l’ardito passo fu Apricale, nel 1267. Dal XII secolo la Liguria visse progressivamente sotto l’influenza di Genova, divenuta potentissima Repubblica e in perenne lotta contro la rivale Venezia, che avrebbe in seguito sconfitto nella battaglia di Curzola del 1298 e nell’epilogo della guerra di Chioggia del 1381. L’espansione genovese coincise con la crisi dei Comuni, che in gran parte dovettero giurarle fedeltà. Mantennero piú a lungo la loro autonomia i borghi della Riviera di Ponente, come Savona, Ventimiglia, Albenga, Noli e Finale Ligure.

I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Città metropolitana di Genova

•CAMPO LIGURE castello Spinola (XII sec.). •LAVAGNA chiese medievali, ponte della Maddalena (XIII sec.). •MONEGLIA fortezza di Villafranca (XII sec.), chiese medievali. Provincia della Spezia

•BRUGNATO cattedrale e adiacente palazzo vescovile del XII sec. •CASTELNUOVO MAGRA (vedi box a p. 51). •LERICI castello del XII sec., chiese quattrocentesche. •MONTEROSSO AL MARE chiese del XII e del XIII sec. •LUNI resti dell’antica Luni, rocche medievali. •PORTO VENERE le isole di Palmaria e Tino furono sede di monasteri medievali •VARESE LIGURE «borgo rotondo» di impianto medievale, castello Fieschi (XV sec.). Provincia di Savona

•ALBENGA battistero paleocristiano (IV-V sec.), cattedrale (XII sec.), torri medievali. •FINALE LIGURE convento di S. Caterina, Palazzo del Tribunale, Castel Gavone. •MILLESIMO castello del XIII sec. •NOLI rocca (XII sec.), torri cittadine (XIII sec.), palazzi quattrocenteschi. •VADO LIGURE resti di una rocca, ponte Filippo Maria Visconti (XV sec.). •ZUCCARELLO porte medievali, chiesa duecentesca. Provincia di Imperia

•APRICALE (articolo alle pp. 46-49). •BAJARDO chiese medievali. •DOLCEACQUA castello Doria del XII secolo, ponte romanico e chiese dell’Età di Mezzo. •LINGUEGLIETTA (CIPRESSA) vicoli di impianto medievale, chiesa-fortezza romanica. •PIEVE DI TECO chiese e oratori medievali. •TAGGIA chiesa del X sec., palazzi quattrocenteschi. •TRIORA (vedi box a p. 50).

Una veduta di Porto Venere (La Spezia), dall’isola di Palmaria. Sulla sinistra, la chiesa di S. Pietro (XIII sec.), che ingloba i resti del tempio pagano di Venere e di una chiesetta paleocristiana. MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Liguria

APRICALE

L’autonomia tra boschi e uliveti

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MEDIOEVO NASCOSTO


Veduta di Apricale (Imperia), che, arroccata su un costone collinare, conserva una tipica fisionomia medievale e pregevoli testimonianze architettoniche del periodo in cui beneficiò di una sostanziale autonomia politica.

di Francesco Colotta

L

e case di Apricale, nell’Imperiese, sembrano costruite ordinatamente a scale, ricalcando fedelmente il profilo della collina sulla quale sorsero molti secoli fa. Il borgo ha origini antiche, come hanno dimostrato le indagini archeologiche condotte in località di Cian deu Re (Piano del Re), dove è stata rinvenuta una necropoli della tarda età del Bronzo con tombe a tumulo. Arroccata su un costone a picco sul mare, Apricale era frequentata fin dalla preistoria, verosimilmente per le favorevoli condizioni climatiche di cui godeva, una qualità che risulterebbe iscritta nel suo stesso toponimo – forse derivato dal latino «apricus», cioè «soleggiato» –, apparso per la prima volta in una carta del monastero francese di Lérins (fondato sull’isola di Saint-Honorat, nelle acque antistanti Cannes), nel 1092, con la forma di Avrigallo. Altre ipotesi ritengono piú credibile che l’etimo del nome discenda dall’antica espressione dialettale àvregu, con il significato di «pietra dura», in riferimento alla composizione del terreno su cui sorge il paese. L’abitato nacque per iniziativa dei conti di Ventimiglia intorno al perimetro di una fortificazione piú antica. Tra il XII e il XIII secolo, il borgo conobbe uno sviluppo notevole, che ebbe anche effetti politici, il piú significativo dei quali fu l’emergere di una pressante richiesta di autonomia. Un passo decisivo nella lotta per l’indipendenza si ebbe nel 1216 – ma la data è incerta –, con l’elezione dei primi consoli locali, chiamati ad amministrare la giustizia motu proprio, senza l’influenza dei nobili ventimigliani. Piú solida fu l’affermazione autonomista concretizzatasi nella promulgazione, nel 1267, degli Statuti di Apricale, tra i piú antichi della Liguria, chiamati a regolare ogni singola attività del borgo applicando norme tratte dal diritto romano e da quello longobardo. Si tratta di un documento eccezionale, tuttora custodito nel locale castello, grazie al quale gli storici hanno potuto ricostruire nei dettagli la vita quotidiana di una piccola comunità del Basso Medioevo.

Pene disumane

Tra le numerose informazioni contenute nel testo, riguardo alle sanzioni contro i crimini piú gravi, veniva contemplata una forma di «Giudizio di Dio», che prevedeva la possibilità per l’imputato di essere assolto nel caso in cui fosse riuscito ad attraversare una strada con un ferro rovente in mano, senza subire ustioni. Tra le altre disposizioni, figura l’atroce pena previMEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Liguria

sta per gli assassini, condannati a essere sepolti vivi accanto alle loro vittime, e la decapitazione comminata alle donne che si macchiavano del reato di adulterio. Tuttavia, l’indipendenza non fu del tutto compiuta, secondo quanto risulta dai numerosi accordi sottoscritti con i conti di Ventimiglia in materia di versamento dei tributi e di elezione dei governanti (podestà e consoli): nel 1276 venne stabilito che ai nobili spettassero onerose imposte e il diritto di nominare gli amministratori locali, come anche la facoltà di annullare in appello sentenze comminate per ogni tipo di reato. In seguito, Apricale cambiò signoria di riferimento e passò sotto l’egida dei Doria di Dolceacqua, i quali disposero di unire il borgo con la vicina Isolabona. Il XIV secolo fu segnato da numerose dispute con i Comuni vicini per questioni riguardanti i confini, liti che sfociarono anche in veri e propri atti di violenza, in particolare con Dolceacqua, Briga, Pigna, Baiardo e Perinaldo. Le dispute vennero finalmente appianate nel Quattrocento, grazie agli accordi che garantirono ai borghi compresi nel territorio dell’odierna provincia di Imperia un lungo periodo di pace. Una faida all’interno della famiglia Doria riac48

MEDIOEVO NASCOSTO

In alto uno degli affreschi quattrocenteschi nella navata della chiesa di S. Maria degli Angeli ad Apricale. A destra e nella pagina accanto due scorci del borgo di Apricale, con le tipiche stradine che si inerpicano sul rilievo collinare, i portici e le abitazioni in pietra.


cese, però, le ostilità: nel 1523 Bartolomeo, che aveva ereditato i feudi dell’Imperiese, uccise con trentadue pugnalate lo zio Luciano Grimaldi, signore di Monaco, con l’intento di conquistarne i domini. I Monegaschi reagirono con veemenza, inviando un esercito nei territori di Bartolomeo e presero di mira diversi abitati tra cui Apricale, che capitolò dopo una strenua resistenza. In seguito, tuttavia, i Doria tornarono in possesso del borgo e sottoscrissero una pace con i Grimaldi, sancita anche da matrimoni dinastici tra membri delle due famiglie.

Il castello della Lucertola

Dalla sommità del colle sul quale è adagiato, il borgo domina una valle dalla vegetazione rigogliosa, con fitti boschi e uliveti. All’interno delle sue mura, parzialmente sopravvissute al tempo e lungo le quali sono dislocate tre porte duecentesche ad arco acuto, si trovano molte testimonianze del passato medievale, a partire dal castello della Lucertola (secondo la tradi-

zione, il nome richiamerebbe il simbolo adottato da una popolazione di Celto-Liguri stanziatasi anticamente in quel sito), affacciato nella piazza principale del paese. Edificato nel X secolo, fu in seguito soggetto a rimaneggiamenti che lo trasformarono in una grande fortezza. Dopo il rovinoso assalto monegasco del 1523, il castello venne in gran parte ricostruito in forme meno imponenti e oggi ospita il Museo della storia di Apricale. Un altro monumento simbolo, la chiesa parrocchiale della Purificazione di Maria Vergine (XII secolo), subí anch’essa diversi rifacimenti, che hanno finito con il conferirle le attuali sembianze barocche. Il campanile della parrocchiale è stato ricavato dalla torre quadrata del vicino castello della Lucertola. Piú autenticamente medievali sono, invece, la chiesa di S. Antonio Abate (XIII secolo), la chiesa di S. Maria degli Angeli (nella cui navata sono presenti affreschi del XV secolo) e i ruderi della romanica chiesa di S. Pietro in Ento (XI secolo). MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Liguria

TRIORA

L

a «Salem d’Italia» ha un aspetto tipicamente medievale, ma la sua storia evoca soprattutto il Rinascimento. Nel 1587, in questo suggestivo borgo della provincia di Imperia, si svolse uno dei piú grandi processi di stregoneria della storia d’Italia. Nel mirino dell’Inquisizione finirono alcune donne, accusate di aver provocato la carestia di cui il paese era da tempo vittima. Furono i rappresentanti del parlamento locale a denunciare il fatto, attivando subito le autorità inquisitorie che, giunte sul posto, avevano sottoposto a tortura le sospette. Una delle accusate, Isotta Stella, morí per le ferite ricevute, mentre un’altra imputata si suicidò in carcere. Echi dei tragici eventi giunsero a conoscenza dei vertici politici della Repubblica genovese – di cui Triora era un dominio – che attivarono un’indagine e che, in seguito all’accertamento di informazioni contraddittorie, fecero sospendere il processo. Il borgo oggi affascina per il suo profilo urbanistico: posto a 780 m sul livello del mare, presenta pregevoli esempi di architettura religiosa medievale, come le chiese della Madonna delle Grazie (XII secolo), S. Dalmazio (XIII secolo), S. Caterina di Alessandria (XIV secolo) e S. Bernardino (XV secolo).

Uno scorcio del borgo di Triora, definito la «Salem d’Italia», perché teatro, nel XVI sec., di un celebre processo di stregoneria. 50

MEDIOEVO NASCOSTO


CASTELNUOVO MAGRA

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imbolo delle lotte tra aristocrazia locale e potere ecclesiastico, Castelnuovo Magra compare nelle cronache del XIII secolo, che lo descrivono come luogo fortificato. Era stato il vescovo della vicina Luni, Gualtiero II, a concepirlo, per difendere la Lunigiana dalle incursioni degli acerrimi nemici Malaspina. Un altro porporato, Enrico da Fucecchio, vi edificò poi un castello imponente, che divenne la sede della diocesi di Luni, al cui interno fu firmata, nel 1306, la pace tra i vescovi e i Malaspina, tregua che sarebbe stata siglata alla presenza di Dante Alighieri.

Nei secoli successivi Castelnuovo appartenne al marchesato di Fosdinovo, ai Genovesi e, per un breve periodo, anche ai Fiorentini. La rocca di origine duecentesca domina tuttora l’abitato, con le sue torri che vennero erette in periodo tardo-medievale. Le strutture medievali convivono invece con piú radicali rifacimenti di età rinascimentale nelle facciate delle chiese antiche.

Una veduta dall’alto del borgo medievale di Castelnuovo Magra, nello Spezzino, roccaforte diocesana fin dal Duecento. MEDIOEVO NASCOSTO

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SVIZZERA

Bormio Chiavenna Novate Mezzola

TRENTINO A LT O A D I G E

San Fedelino Meraggio

Castiglione Olona

Varese

Castelseprio

Varenna

Lecco Camerata

Lasnigo

Como

Cornello Civate

Bergamo

Trento Gromo Clusone Rogno Gardone V. Trompia

Monza Fara Chiari Gera Milano d’Adda Truccazzano Soncino Morimondo Pizzighettone

Brescia

Novara

Pavia

Tremosine Gargnano

Sirmione

VENETO

Verona Leno

Cremona

Monzambano

Mantova

Meda

Voghera

Alessandria

LOMBARDIA

PIEMONTE

Fortunago

Piacenza EMILIA-ROMAGNA

Zavattarello Varzi

Parma

Reggio nell’Emilia Modena

S

toria e leggenda si alternano nel definire il profilo della Lombardia nel corso dell’antichità. La presenza degli Etruschi fu cronaca reale, mentre la presunta impronta gallica nella fondazione di Milano sembra piuttosto il frutto di una tradizione popolare, riportata da Tito Livio. I Galli, a ogni modo, abitarono la regione intorno al IV secolo a.C. e presto dovettero sottomettersi a Roma. Piccoli insediamenti erano già popolati in quell’epoca, accanto alle antiche Milano, Bergamo, Brescia e Mantova: Fortunago, il cui nome deriverebbe da un suffisso celtico; Voghera, che divenne municipio; il castrum di Sabbioneta; la bella Sirmione, citata da Catullo; e Clusone, oggi nota per il misterioso orologio planetario che svetta nella torre del palazzo comunale. Nel territorio dell’odierno Bergamasco esistevano in epoca romana un gruppo di centri minerari riuniti sotto la denominazione di pagus Brembanum che comprendeva insediamenti nelle zone di San Giovanni Bianco e Lenna. Dopo il crollo dell’impero romano la Lombardia subí per un lungo periodo il dominio dei Longobardi, a partire dal VI secolo. La caratteristica divisione in fare (gruppi omogenei di famiglie) della loro popolazione permise lo sviluppo di autonomie urbane: a testimoniare quella tendenza localistica è il nome del borgo di Fara Gera d’Adda, nel quale si possono ammirare i resti di una basilica del VI secolo. Altri luoghi che presentano segni della dominazione longobarda sono Castelseprio, rinomata soprattutto per il suo parco archeologico, Castiglione Olona e Rogno. Nell’VIII secolo ebbe inizio la dominazione dei Franchi e,


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di Bergamo

•CLUSONE torre medievale con orologio astronomico cinquecentesco, palazzo del Comune (XIV sec.). •CORNELLO DEI TASSO (CAMERATA CORNELLO) borgo medievale, Museo dei Tasso e della Storia Postale. •FARA GERA D’ADDA basilica Autarena del VI sec. •GROMO rocche medievali, chiesa parrocchiale del XIV sec. •ROGNO resti di mura medievali. Provincia di Brescia

•SIRMIONE rocca scaligera (XIII sec.). •TIGNALE santuario della Madonna di Montecastello (XIII sec.). Provincia di Como

•LASNIGO chiesa romanica di S. Alessandro. •SAN FEDELINO (vedi box a p. 63). Provincia di Cremona

con essa, l’età del feudalesimo che nel Basso Medioevo – come nel resto d’Europa – fu soppiantata dalla nascita dei Comuni. Nel XII secolo la fondazione della Lega Lombarda e la rivolta di alcune autonomie cittadine contro i nuovi padroni del Nord Italia – gli imperatori germanici – coinvolse nella lotta politica anche centri poco popolosi situati sul lago di Como: Varenna e Tremezzo si schierarono dalla parte dei ribelli, con Milano, insieme ad altri borghi della zona come Lasnigo. Nutrita era anche la lista delle cittadine che non aderirono all’alleanza, la cremonese Soncino, per esempio, acerrima rivale di Milano e Brescia. Alla fine del Medioevo in Lombardia si avvicendarono le signorie (i Gonzaga, gli Sforza e i Visconti), poi i Francesi e gli Spagnoli. Seguí un destino diverso, invece, la parte orientale della regione, che nel Quattrocento finí sotto l’influenza di Venezia. Gromo, uno dei centri piú floridi del Bergamasco, divenne una delle industrie d’armi di riferimento per la repubblica dei dogi. Altro piccolo borgo molto operoso dal punto di vista economico nel Basso Medioevo fu Cornello dei Tasso, frazione dell’odierno Comune di Camerata Cornello, grazie alla sua attività di spedizione della corrispondenza della quale si servirono in quel periodo le piú grandi potenze europee.

Sulle due pagine Clusone (Bergamo). Nella pagina accanto, in basso una veduta dell’oratorio voluto dalla confraternita dei Disciplini come sede del proprio Ordine. L’edificio, di origine medievale, sorse di fronte alla basilica di S. Maria Assunta. In questa pagina, Danza macabra, particolare di uno degli affreschi che ornano l’esterno del suddetto oratorio. Le pitture si devono al pittore clusonese Giacomo Borlone de Buschis, che le realizzò nel 1485.

•PIZZIGHETTONE resti di mura bastionate (XI sec.). •SONCINO Rocca Sforzesca, pieve di S. Maria Assunta. Provincia di Lecco

•VARENNA castello di Vezio (XI sec.) •CIVATE (vedi box a p. 62). Provincia di Mantova

•CASTELLARO LAGUSELLO (MONZAMBANO) rocca dell’XI sec. Provincia di Milano

•CORNELIANO BERTARIO (TRUCCAZZANO) castello Borromeo (XIV sec.). •MORIMONDO abbazia cistercense del XII sec. Provincia di Pavia

•FORTUNAGO chiesa parrocchiale medievale ricostruita nel Cinquecento. •VARZI torre di Porta Sottana (XIII sec.). •VOGHERA castello visconteo del XIV sec. •ZAVATTARELLO rocca del X sec. Provincia di Varese

•CASTELSEPRIO (articolo alle pp. 54-61). •CASTIGLIONE OLONA battistero con affreschi di Masolino da Panicale.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Lombardia

CASTELSEPRIO

Nel castello di Desiderio vati: chiese, mura turrite, abitazioni civili o destinate alla vita monastica e al clero. Il pianoro su cui, nel V-VI secolo, sorse il castrum di Castelseprio, è frequentato in età preistorica e protostorica (X-VIII secolo a.C.), come attestano i materiali rinvenuti in tutta l’area e una necropoli a incinerazione scavata presso la chiesa di S. Maria foris portas; sono invece ancora molto labili le testimonianze relative a un abitato. È poco chiara anche la presenza di un insediamento romano-imperiale. Forse un abitato (vicus) si trovava poco distante, in pianura, nel territorio dell’odierno Comune di Castelseprio, o a Gornate, lungo la valle dell’Olona, dove poi sorsero le difese di Torba, complementari al castrum in altura.

Una posizione nevralgica di Paola Anna Marina De Marchi

C

astrum Sibrium: cosí è ricordato Castelseprio (oggi in provincia di Varese) sulle monete d’oro fatte coniare dal re longobardo Desiderio (756-774). Il cuore del castrum si trova su un’altura a 350 m slm circa, che si estende per oltre 8 ettari, isolata dai colli circostanti e naturalmente difesa da profondi valloni che ne impediscono l’accesso su piú di un fronte. La posizione dominante permette di controllare la pianura verso la valle dell’Olona, l’area collinare e il fronte subalpino, nonché la rete viaria che collegava i maggiori centri urbani della regione (Milano, Varese, Como, Bergamo) ai valichi alpini. Il carattere principale di questa città-castello è dato dalla continuità di centro di potere che resiste dall’età tardo-antica al pieno Medioevo. Una storia ricca di nobiltà – regia, longobarda, dei conti al servizio di Carlo Magno (774-814) e, in seguito, degli imperatori germanici e dell’aristocrazia milanese con le famiglie dei Della Torre e dei Visconti, che segnano il suo inesorabile declino –, in parte raccontata dai documenti dell’epoca, in parte dalle diverse tecniche murarie degli edifici conser54

MEDIOEVO NASCOSTO

La posizione è al centro della rete viaria romana. La via dell’Olona univa Milano a Varese e a Mendrisio; poco distante correva la BergamoComo-Novara, con percorsi minori diretti alla pedemontana, che da Bergamo portava ai laghi di Como, di Lugano e Maggiore. Altre strade si collegavano alla via Milano-Angera, importante porto sul lago Maggiore. La rete di vie di terra e d’acqua (fiumi e laghi) è percorsa da uomini e merci e segna un territorio ricco di materie prime: argilla, legno, ghiande, miele, tratti dai folti boschi, dove si praticavano l’allevamento brado e la caccia; pesce, limo, sabbie silicee per produrre vetro da fiumi e laghi. Il paesaggio è vario: selve si alternavano a piccoli poderi coltivati a cereali minori, a vite, a pometi e oliveti, a castagni e noci. Epigrafi, are votive, pietre recuperate da edifici romani documentano la pratica del reimpiego nelle strutture del castrum, con un invito a riflettere sulla vicinanza di un insediamento romano che forniva materiali già lavorati, e su un’aristocrazia che, nell’Alto Medioevo, poteva permettersi di pagare trasporti su lunghe distanze. L’originario presidio militare risale alle prime invasioni germaniche in pianura, probabilmente al IV secolo. A questo primo nucleo si attribuiscono le tre torri poste nel pianoro, una delle quali divenne in seguito la torre campana-


Il Sogno di Giuseppe, uno degli episodi del ciclo affrescato nella chiesa di S. Maria foris portas, a Castelseprio (Varese). Le pitture, variamente datate, sono attribuite a un artista ignoto, convenzionalmente designato come «Maestro di Castelseprio». Nella pagina accanto Castelseprio. I resti della basilica di S. Giovanni, parte della cui abside si conserva per un’altezza di 10 m circa. Il complesso è frutto di piú fasi costruttive, la prima delle quali si data alla metà del V sec.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Lombardia

ria della basilica di S. Giovanni. Le mura di Castelseprio vennero erette nel V-VI secolo e costituirono un importante nodo del sistema fortificato circa Alpium, documentato nella Notitia Dignitatum, un testo figurato che descrive l’organizzazione militare imperiale tra la fine del IV e gli inizi del V secolo.

L’organizzazione degli spazi

In età gota Castelseprio era popoloso, come provano i recipienti in ceramica e vetro restituiti dagli scavi archeologici. I Longobardi lo elessero capoluogo di una giudicaria (distretto territoriale fiscale), retto da funzionari regi (gastaldi). Il primo riferimento a Castelseprio si trova nella Cosmografia Ravennate, opera anonima scritta nel VII secolo, che qualifica il castrum col doppio appellativo di città-castello, al pari di Angera e Pombia, la prima sul Lago Maggiore, la seconda sulla sponda piemontese del Ticino. Sono abitati fortificati di tipo urbano, dei quali oggi è difficile ricostruire l’organizzazione degli spazi. L’edilizia monumentale conservata fa immaginare una città che emerge sulla pianura per l’imponenza delle mura turrite, degli edifici di culto, delle abitazioni, collegati tra loro da vie lastricate. Le case civili occupavano prevalentemente il settore sud-occidentale lungo le mura, secondo un modello simile a quello di altri castelli. Questa immagine risponde alle raffigurazioni di città fortificate contenute nella Notitia Dignitatum e alla piú tarda Iconografia Rateriana (opera redatta dal vescovo Raterio, 890-974), che fotografa Verona nel IX-X secolo. L’aristocrazia di Castelseprio ha lasciato testimonianza nell’epigrafe funeraria del nobile Wideramn (VII secolo); nella tomba di un cavaliere ricavata nella facciata della basilica di S. Giovanni (VII secolo); e nelle sepolture coperte da pietre decorate da croci astili, rinvenute a S. Giovanni e a S. Maria foris portas, che distinguono in Italia e Oltralpe centri abitati romani, divenuti sedi di culto religioso. Tra i simboli del potere vi sono la moneta d’oro di Giustiniano (tardo VI secolo), rinvenuta in un pozzo vicino alla basilica di S. Giovanni; gli abiti in broccato d’oro indossati dal defunto deposto presso la chiesa nobiliare di S. Maria foris portas; i calici in vetro; gli apparati liturgici (recinti presbiteriali, plutei) che orna56

MEDIOEVO NASCOSTO

vano S. Giovanni; gli affreschi di S. Maria, testimonianza di una committenza ricca e raffinata, che attrae artigiani e artisti di grande sensibilità e tecnica, padroni della cultura pittorica romano-bizantina. Nel castello, accanto alla classe dirigente – laica e religiosa –, viveva una popolazione dedita al lavoro quotidiano. Sono documentate la filatura e la tessitura, una modesta agricoltura, praticata soprattutto con strumenti in legno, l’allevamento del bestiame e la caccia, un’attività metallurgica, con cicli completi di lavorazione di ferro, rame e bronzo. Le donne indossavano, senza sfoggio di ricchezza, mantelli chiusi da spilloni, utilizzati anche per fermare l’acconciatura; pochi sono i monili, limitati a qualche bracciale e anello in bronzo. L’analisi degli scheletri sepolti presso la basilica di S. Giovanni parla di una popolazione dedita a lavori pesanti, con degenerazioni ossee e periostiti, e traumi provocati da oggetti contundenti, segni di una vita talvolta violenta. Nell’abitato la componente maschile e femminile è equilibrata, con una buona media di vita per bambini e adolescenti. Le analisi condotte su resti animali indicano il prevalente consumo di carne di capra, di pecora e di maiale; in percentuale minore si consumavano buoi macellati perlopiú in età matura. I resti botanici confermano quanto riportato dalle fonti scritte del tempo: il consumo di pane e polenta di farina di castagne, di zuppe d’orzo, segale, miglio.

Un territorio vasto e ricco

Nel 721 si ha la prima testimonianza della giudicaria del Seprio, contenuta nel Codice Diplomatico Longobardo, una giurisdizione amministrativo-burocratica con capoluogo a Castelseprio. Il testo attribuisce significativamente agli abitanti del distretto il titolo di cives, sottolineando il ruolo civile del Seprio. La giudicaria si estendeva su un vasto territorio ricco economicamente e commercialmente: a nord doveva raggiungere il Sottoceneri, l’Alto Comasco, a sud Turate sfiora Milano, a occidente le sponde del Ticino. Il primo atto che traccia, sia pur in modo incompleto, i confini del distretto risale al 1185, quando l’imperatore Federico II concede ai Milanesi tutte le regalie che l’impero posse-

Nella pagina accanto, al centro planimetria del sito di Castelseprio: 1. mura; 2. basilica di S. Giovanni; 3. abitazioni; 4. chiesa di S. Paolo; 5. conventino di S. Giovanni; 6. chiesa di S. Maria foris portas; 7. monastero di Torba. Nelle foto intorno alla planimetria, dall’alto: S. Maria foris portas, un tratto delle mura e i resti della casa dei canonici. In questa pagina, in basso calice in vetro. VIII sec. Castelseprio, Antiquarium del Parco Archeologico.


LA FORTIFICAZIONE E I SUOI MONUMENTI

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MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Liguria

deva nel Seprio. Il titolo di Flavia, attribuito a Castelseprio da Desiderio, è simbolico: per i Longobardi sono «flavi» il sovrano, le città e i castelli a lui collegati. Sono «auree» Milano, Pavia, Treviso, Novara, e i castelli di Castelnovate, che domina il Ticino, e di Pombia, che lo fronteggia sulla sponda opposta del fiume. Gli abitati flavi controllano, in posizione di privilegio, le principali vie commerciali e militari. Forse erano città in cui dimorava transitoriamente il re, che elargiva loro i benefici derivati dal battere moneta; per alcuni storici erano invece centri fortificati, le cui truppe venivano premiate dal re in vista di una guerra con i Franchi, memore della sconfitta presso le chiuse di San Michele subita da re Astolfo (749-756) a opera dal sovrano merovingio Pipino, che soccorse papa Stefano II quando i Longobardi occuparono Ravenna e le altre terre bizantine. Il nesso tra queste città e il re era, in ogni modo, molto stretto. L’età d’oro di Castelseprio corrisponde, dunque, al regno longobardo; dal 774, con i Carolingi, la giudicaria divenne comitato, e anche Carlo Magno lasciò un segno impresso in una moneta d’oro del Seprio, rinvenuta a Ilanz nei Grigioni. Per questi motivi il castello, le chiese, il borgo di Castelseprio fanno parte del sito seriale «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)», che, nel 2011, è stato inserito dall’UNESCO nella lista dei beni del Patrimonio dell’Umanità. Nel sito sono compresi altri luoghi fa58

MEDIOEVO NASCOSTO

La chiesa di S. Maria di Torba, sorta nell’area in cui, all’origine, correva un tratto del sistema difensivo del castrum e dove, in seguito, si insediò una comunità monastica. L’edificio oggi visibile è frutto della ricostruzione romanica del luogo di culto, operata nel XII-XIII sec. In basso ricostruzione in 3D della III fase costruttiva del complesso composto dalla basilica e dal battistero di S. Giovanni.

mosi per la presenza di architetture longobarde: i tempietti di Cividale del Friuli e di Campello sul Clitunno, le basiliche di S. Salvatore a Brescia e di Spoleto, la chiesa di S. Sofia di Benevento e, infine, il santuario di S. Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo in Puglia.

Il declino dell’autonomia

Nel IX secolo, imperatori Lotario e Ludovico, il conte del Seprio, Leo, ebbe grande potere nel quadro del regno italico, operando – tra l’altro – come notaio nel monastero di Farfa. Suo figlio Giovanni si piegò, invece, ai poteri forti di Milano, città in costante ascesa economica e sociale, bella per magnificenza e ricchezza degli edifici, come ricorda la lode intitolata Ver-


sus de Mediolana civitate. È avviato il processo di erosione dell’autonomia di Castelseprio, coinvolta nelle lotte tra Comuni lombardi e imperatore, rifugio della nobile famiglia dei Della Torre, feroci antagonisti dei Visconti per il dominio di Milano. Nel 1287 l’esercito di Ottone Visconti sconfisse il nemico, espugnò il castello, ne ordinò la demolizione e impedí alla popolazione di ricostruire le case e di continuare a viverci. Perduto il ruolo di città, Castelseprio conservò la funzione pievana, rappresentata dall’antico complesso monumentale della basilica di S. Giovanni, con il battistero e il vicino cimitero. A questi edifici religiosi si aggiunsero, nei secoli XIV-XV, la casa dei canonici, che ammontavano a 12 individui nel 1398 e a ben 17 ecclesiastici nel 1564, e un’ampia struttura adibita a modeste attività artigianali di servizio al clero. Queste strutture, situate sul fianco settentrionale del S. Giovanni, formarono una corte chiusa. Le visite pastorali condotte dal gesuita Leonetto Clivone (1566), da san Carlo Borromeo (1583) e, pochi anni dopo, da Federico Borro-

L’interno dell’abside della chiesa di S. Maria foris portas. Vi si conservano affreschi con vari soggetti, tra i quali spicca il Cristo Pantocratore collocato in un medaglione sopra la finestra centrale.

meo testimoniano l’abbandono dei luoghi, pericolosi per l’isolamento e frequentati da briganti. Ragioni che motivano il trasferimento della pieve da Castelseprio a Carnago. Resta attivo il conventino francescano di S. Giovanni (XIII-XIV secolo), poi trasformato in cascina rurale, ora Antiquarium dell’area archeologica, e la chiesa extramuranea di S. Maria foris portas, dedicata al culto della Madonna e frequentata dai fedeli fino al 1933, quando i celebri affreschi alto-medievali erano ancora invisibili, coperti da uno strato di calce. Le fortificazioni d’altura (V-VI secolo) sono caratterizzate da una cortina muraria spessa da 1,10 a 2,20 m, dotata di torri di diversa dimensione, poste alla distanza regolare di 30-35 m. Sul pianoro il muro di cinta segue i rilievi del terreno compiendo un giro di 900 m circa, per proteggere una superficie di 4,5 ettari circa, in cui si sviluppò l’abitato.

Le mura e le torri

Dal borgo si accedeva al castello attraverso un ponte, di cui si conservano le pile. Sul fronte orientale un secondo muro turrito scendeva a valle a inglobare l’area di Torba, che costituiva l’antemurale difensivo della via dell’Olona. Le mura del castrum sono uno splendido esempio di edilizia fortificata, supportate da contrafforti interni, alleggerite da arcature cieche e nicchie che sostengono i camminamenti di ronda, e trovano un confronto significativo nelle mura dei castelli di Albenga, di Castelfeder, di Brescia, di Trino Vercellese, di S. Antonino di Perti. Dell’ampliamento della cinta, che comprende Torba, si conservano due torri. La piú avanzata verso valle, forse piú antica delle altre, è un robusto torrione contraffortato, alto 17 m, le cui murature contengono molto materiale romano di spoglio; subí nel tempo alcune modifiche: i piani superiori si debbono, infatti, alla volontà delle monache di acquisire nuovi spazi, a partire dall’VIII secolo, quando queste difese di pianura si trasformarono in monastero nobiliare. Si datano all’VIII-IX secolo gli interventi che trasformarono il piano inferiore della torre a mausoleo delle badesse, le celebri Alessandra e Aliperga, raffigurate sulle pareti o ricordate da epitaffi dipinti datati alla tarda età longobarda. Il secondo piano divenne un oratorio monastico, affrescato da suore colte e con doti artistiche. È significativo il ciclo di affreschi che raffigurano Cristo in Gloria, al quale si volgono vescovi, sante e martiri, oltre alle stesse Benedettine ritratte in preghiera, secondo una rara iconoMEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Lombardia sepolture scavate lungo i perimetrali esterni. Sul pianalto del castrum, la parte a settentrione è occupata dal complesso religioso di S. Giovanni, il battistero, la basilica, l’area cimiteriale, la torre tardo-romana poi campanaria, e da un’ampia cisterna, impermeabilizzata da un rivestimento in cocciopesto, probabilmente coeva alla torre. All’età tardo-antica si è soliti attribuire la costruzione del battistero ottagonale absidato dedicato al Battista, con vasca battesimale a immersione simile a quella del battistero di Grado. L’edificio era riccamente ornato: pareti affrescate, vasca battesimale ricoperta da lastre marmoree, abside pavimentata con piastrelle in marmo bianco e nero, materiali utilizzati sia nel pavimento di S. Giovanni (perduto) che di S. Maria foris portas, piú ricco di gradazioni cromatiche grazie alla inserzione di mattonelle, dai differenti toni di grigio e da inserti in marmo rosso.

Molteplici rifacimenti e restauri

La badessa Aliperga, ritratta nelle pitture murali al primo piano della torre del sistema difensivo del castrum poi trasformata in mausoleo.

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grafia connessa ad atti di devozione. Gli affreschi non hanno la raffinata eleganza del ciclo pittorico di S. Maria foris portas: rappresentano una sperimentazione, che ricorda gli affreschi di S. Procolo in Val Venosta. A Torba, con l’insediamento della comunità monastica, sorse la chiesa di S. Maria, piú volte ricostruita. La prima chiesa con cripta risale probabilmente al VII-VIII secolo; dopo il crollo, determinato dall’instabilità del terreno, si ricostruí nell’VIII-IX secolo una seconda chiesa, piú piccola, ad aula unica con abside. Al XII-XIII secolo risale la ricostruzione romanica dell’abside e di parte dei muri, che si osserva nella chiesa odierna. Le pareti interne conservano brani di affreschi riferibili a due epoche diverse: la prima all’Alto Medioevo, la seconda ai secoli XI, XII e XIII. Le funzioni cimiteriali di questa chiesa, durate a lungo, sono documentate da

La basilica di S. Giovanni mostra piú momenti costruttivi, da verificare cronologicamente. Gli studiosi hanno indicato una sequenza edilizia che parte da una prima aula quadrangolare di tipo alto-adriatico (metà del V secolo), alla quale seguono un edificio ad aula unica con abside poligonale (VI secolo?) e un successivo impianto a tre navate, di cui resta buona parte dell’alzato dell’abside (VII secolo?), al quale si aggiunse poi l’absidiola meridionale. Rifacimenti e restauri successivi sono leggibili nelle murature conservate in alzato. La basilica attuale misura 14 x 22 m. I suoi apparati liturgici sono poco conservati, ma si può immaginare che nel VI-VIII secolo un recinto presbiteriale sorretto da colonnette separasse l’area absidale dalla navata, che vetri chiudessero le finestre, e che l’illuminazione fosse garantita da lampade in vetro a olio, montate su lampadari a piú bracci, come in uso nella tradizione bizantina. Nei secoli piú tardi i sottarchi delle finestre furono affrescati con girali vegetali, documentati da fotografie pubblicate da Gian Piero Bognetti, che riscoprí il castrum e S. Maria foris portas negli anni Quaranta del secolo scorso. Nel Basso Medioevo poche tombe ad arcosolio vennero ricavate nei muri perimetrali, una delle quali conteneva le spoglie di un cavaliere, di cui restano gli speroni (XIV secolo). Il corridoio che collega la chiesa al battistero mostra un rapporto con le murature della basilica che denuncia l’adeguamento operato tra strutture incoerenti, prodotto di rifacimenti attuati nell’area absidale della chiesa.


IL TRONO VUOTO IN ATTESA DEL GIUDIZIO Nel ciclo pittorico dedicato all’Infanzia di Cristo e alla Vita di Maria fino alla nascita annunciata del figlio è bandito ogni riferimento alla vita ministeriale di Cristo. Le fonti sono il Vangelo dello Pseudo-Matteo (noto da manoscritti dell’XI secolo e incluso nella Legenda Aurea di Iacopo da Varazze, detta anche Historia lombardica e composta alla metà del XIII secolo), che riprende il Protovangelo di Giacomo (metà del II secolo d.C.), testi apocrifi noti come Vangeli dell’Infanzia di Gesú, perché prediligono argomenti miracolistici, poco dottrinali rispetto ai Vangeli storici ufficiali. I temi preferiti sono: la Nascita di Maria; la Presentazione al Tempio; la scelta di Giuseppe come sposo verginale; la Prova delle acque amare per verificare l’Immacolata Concezione; la Nascita di Cristo; la Fuga da Betlemme; Giuseppe in raccoglimento. Tutti questi temi si ritrovano nel ciclo dipinto a S. Maria di Castelseprio, che culmina al centro dell’arco trionfale con la raffigurazione dell’Etimasia, motivo iconografico bizantino che rappresenta il trono vuoto (con sopra il libro della vita, una croce o una corona) su cui siederà Cristo nel giorno del Giudizio. Di fronte a questo, al centro della conca absidale, è dipinto il volto del Cristo Benedicente, che può essere ricondotto a un diverso pittore coevo all’autore del ciclo.

Per tutto il Medioevo le abitazioni interne al castello si concentravano tendenzialmente nel settore sudoccidentale, dove sono emersi muri, resti di basolato stradale, case con alzati lignei poggianti su muretti in pietra, attribuite a età longobarda, ma talvolta abitate fino al pieno Medioevo. Un edificio si distingue per le dimensioni e si compone di due ambienti, disposti attorno a un ampio cortile centrale (16 x 8-10 m). Le tecniche costruttive sono diverse: muri legati con calce, altri con limo e argilla, altri con basi in pietra e alzato in legno, che suggeriscono numerosi rifacimenti dovuti a un lungo utilizzo (VII-XII secolo). Un altro edificio, vicino alla chiesa preromanica di S. Paolo, ha restituito scorie, crogioli e parti di mantici, che documentano la pratica della metallurgia. In posizione isolata e protetta dalle mura si erge la casaforte, edificio in muratura forse sede dell’autorità che governava il castrum o la giudicaria. Esterna alle mura, nella parte nord-occidentale

del borgo, presso un incrocio viario, sorge la chiesa nobiliare di S. Maria foris portas, un impianto tricoro di tradizione romano-bizantina, la cui datazione oscilla, secondo i vari pareri degli studiosi, tra VII e IX-X secolo. La struttura ha grande nobiltà spaziale, ma le murature sono realizzate con una tecnica edilizia povera, molto diffusa nell’Alto Medioevo. Si deve a Carlo Bertelli l’analisi degli affreschi che illustrano le scene della Vita di Maria e dell’Infanzia di Cristo (vedi box in questa pagina), di cui sono tuttora in discussione sia la cronologia (che oscilla tra il VI e il IX secolo), sia l’origine e la cultura dell’artista (tradizione romana, o orientale). Il «Maestro di Castelseprio», cosí felicemente definito – forse un monaco in fuga dalla furia iconoclasta che sconvolse l’impero d’Oriente dai primi decenni dell’VIII secolo –, era dotato di una profonda sensibilità e di freschezza pittorica, imbevuto di cultura pittorica romana ed ellenistica, come testimoniano le prospettive architettoniche.

In questa pagina due particolari degli affreschi che si conservano all’interno della chiesa di S. Maria foris portas. Nella foto in alto compare la scena della Vergine alla Prova delle acque amare per verificare l’Immacolata Concezione; in basso è invece raffigurato il viaggio a Betlemme di Giuseppe e Maria.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Lombardia

A sinistra disegno ricostruttivo del complesso abbaziale di Civate, comprendente la basilica di S. Pietro al Monte e l’oratorio di S. Benedetto.

CIVATE

P

er i Romani era uno snodo nevralgico, come si evince dal nome stesso, Clavis («chiave»), scelto per la posizione prossima alla strada che veniva da Aquileia. Ma è con l’arrivo dei Longobardi e dei Franchi che la futura Civate – ribattezzata Clavate nell’Alto Medioevo – visse il suo apogeo, testimoniato da splendide architetture. A partire dall’abbazia di S. Pietro al Monte, edificata – secondo una leggenda – nell’VIII secolo, durante il regno del sovrano longobardo Desiderio, in omaggio alla miracolosa guarigione del figlio Adelchi. Il complesso odierno, che sorge sul Monte Cornizzolo a oltre 600 m di quota, è frutto di ricostruzioni operate nell’XI secolo e si compone di tre edifici: la basilica di S. Pietro, l’oratorio dedicato a san Benedetto e le rovine dell’antico monastero. L’interno della basilica conserva uno straordinario ciclo di affreschi databili al XII secolo: il piú celebre si ispira all’Apocalisse di san Giovanni, con un gruppo di angeli che combattono un drago; nella volta è raffigurata invece la Gerusalemme Celeste, mentre nelle cappelle spiccano teorie di angeli e santi. Alla dominazione franca risale la prima traccia della presenza di una comunità di religiosi, che fu protagonista di un’intensa attività culturale. Figura di spicco fu Ildemaro, che nell’845 scrisse un importante commento alla Regola di san Benedetto, recepito in seguito dagli esegeti in tutta Europa. L’abbazia ebbe una «vocazione nordica», collegandosi ai prestigiosi centri religiosi e culturali di San Gallo, Coira, Reichenau e Fulda. Guardò al nord anche sul piano politico, con l’appoggio al Barbarossa nella guerra contro Milano.

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MEDIOEVO NASCOSTO

In alto la controfacciata orientale del nartece della basilica di S. Pietro al Monte, con le absidiole laterali decorate e l’affresco dell’Apocalisse sopra le arcate. Le pitture sono databili tra la fine dell’XI e gli inizi del XII sec. In basso una veduta della basilica di S. Pietro al Monte (a sinistra) e dell’oratorio di S. Benedetto (a destra).


SAN FEDELINO

A

ll’imbocco della Valchiavenna, dove il fiume Mera si getta nel Lago di Mezzola, è nascosto un gioiello dell’architettura medievale lombarda. Nel territorio del comune di Sorico, sorge l’oratorio di S. Fedele (detto anche di S. Fedelino), edificato nel X secolo in memoria di un protomartire ucciso nel 303-305, al tempo delle persecuzioni degli imperatori Diocleziano e Massimiano. Secondo la tradizione, Fedele, un valoroso legionario convertito al cristianesimo, aveva rifiutato di compiere le offerte sacrificali agli dèi previste nell’imminenza di una battaglia. Condannato a morte insieme ad altri soldati della sua stessa unità militare – che la letteratura agiografica identifica nella celebre Legione Tebea impegnata nella difesa contro gli attacchi di Quadi e Marcomanni e contro le rivolte delle popolazioni locali – fuggí sul Lago di Como e raggiunse la località piú a settentrione affacciata sul bacino. Presto, però, Fedele fu scovato dai sicari dell’imperatore e subí la pena capitale mediante decapitazione. Nel sito che era stato teatro del martirio venne eretto un sacello, ma di quel luogo, con il passare degli anni, scomparvero le tracce. Solo nel X secolo una donna, in seguito

Uno scorcio dell’oratorio di S. Fedelino, a ridosso del fiume Mera. all’apparizione di Fedele, lo scoprí e provvide a informare del ritrovamento il vescovo di Como, Valdone. I resti del martire furono, quindi, traslati presso la basilica di S. Eufemia di Como, per poi tornare nel luogo del martirio una volta ultimata la costruzione di un oratorio (la cui presenza si trova attestata dal 973). Il piccolo edificio, a pianta quadrata e di appena 3,5 m per lato, è rimasto pressoché intatto dal periodo della sua fondazione, nonostante i numerosi utilizzi impropri come ricovero per animali, fortino delle truppe del Ducato di Milano, deposito per gli operai delle vicine cave di granito e anche cucina. Le sue forme rappresentano, pertanto, rari e autentici esempi di architettura romanica lombarda degli esordi. All’interno del tempietto, grazie ai restauri succedutisi nel tempo, sopravvivono splendidi affreschi, databili all’XI secolo: nell’abside si nota innanzitutto il Cristo Pantocratore tra due angeli adoranti che regge un libro aperto; pregevole è anche la teoria degli Apostoli, di cui sono visibili però solo alcune teste e parti delle vesti. MEDIOEVO NASCOSTO

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I

l Trentino e l’Alto Adige hanno storie parallele ma diverse. Il primo, colonizzato dai Reti nel 500 a.C., subí in modo piú evidente l’influsso della successiva dominazione romana, a differenza del secondo, che conservò un’anima prevalentemente germanica. Le strade si separarono anche nel primo Medioevo: il Trentino fu occupato da popolazioni barbariche poi latinizzate, mentre il Sud Tirolo subí in modo piú profondo la dominazione dei Bavaresi e dei Goti che imposero i loro costumi nordici. In quel periodo, nel VI-VII secolo, diversi borghi piú o meno celebri si erano già affacciati alle cronache della storia: in Alto Adige accanto a Bolzano risultava attiva una stazione militare, l’odierna Vipiteno, allora chiamata Vipitenum. In Trentino – oltre all’antica Trento – le prime notizie sui borghi risalgono al IX secolo e riguardano Ala e Avio, dove sorse uno dei piú bei castelli d’Europa. Quasi tutta la regione, comunque, andò incontro allo stesso destino dell’intero Nord Italia: dopo i Longobardi arrivarono i Franchi e, poi, la longa manus dell’impero germanico che prese possesso del territorio nel 962 assegnandone in seguito l’amministrazione al ducato di Carinzia. Alcune città mantennero, comunque, una certa indipendenza, come Trento e Bressanone, che nel 1207 divennero principati ecclesiastici in seguito alla divisione in feudi voluta dall’imperatore Corrado II. Presto, però, molte zone furono cedute ai signori locali, in particolare ai conti del Tirolo, che rafforzarono politicamente alcuni piccoli presidi strategici: nei documenti dell’epoca risaltano i nomi di Chiusa, importante stazione doganale; Glorenza, che ancora conserva le mura risalenti all’età di Mezzo; Brunico; Curon Venosta, balzato alle cronache in età contemporanea per il suo campanile medievale parzialmente sommerso dalle acque del lago di Resia, e Castelrotto. Con la morte dell’ultimo erede dei conti del Tirolo, nel XIV secolo, il territorio del Trentino-Alto Adige entrò nell’orbita politica della casata degli Asburgo, un assoggettamento destinato a durare fino alla prima guerra mondiale.


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia autonoma di Bolzano

•BRESSANONE abbazia fortificata di Novacella (XII sec.). BRUNICO maniero del XIII sec. •CASTELROTTO Castelvecchio di Siusi, rocca romanica del X sec. •CASTEL TIROLO (TIROLO) rocca del XII sec. •CHIUSA chiesa parrocchiale di S. Andrea, Castel Branzoll. •CURON VENOSTA (articolo alle pp 66-70). •GLORENZA cinta muraria medievale ricostruita nel XVI sec. •VIPITENO chiesa parrocchiale della Nostra Signora della palude, Torre delle Dodici. Provincia autonoma di Trento

In alto veduta di Glorenza (Bolzano), che conserva la cinta muraria medievale intervallata da sette torri e nella quale si aprono tre porte di accesso all’abitato. Qui sopra Vipiteno (Bolzano), la torre delle Dodici, detta anche Civica (1328).

•ALA chiesa di S. Maria Assunta. •ARCO rocca dell’XI sec. •AVIO castello dei Castelbarco con pregevoli affreschi nella Camera di Amore. •BLEGGIO SUPERIORE chiesa di S. Croce (XII sec.). •CANALE DI TENNO (TENNO) (vedi box a p. 71). •STENICO rocca del XIII sec.

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ITINERARI

Trentino-Alto Adige

CURON VENOSTA Se una notte d’inverno le campane... di Francesco Colotta

C

ome in un miraggio, si staglia sulla superficie del lago di Resia, nello splendido scenario della Val Venosta, a pochi chilometri dal confine con Austria e Svizzera: il campanile della trecentesca chiesa di S. Caterina d’Alessandria, a Curon Venosta, svetta tra le acque del bacino artificiale, a testimonianza di un Medioevo immortale che resiste al logorio delle infiltrazioni, ma soprattutto ai progetti invasivi di modernizzazione. Tale prodigio deriva, infatti, dalle grandi opere di ingegneria idraulica concepite a inizio Novecento e portate a compimento nel 1950 con la costruzione di una diga. Conseguenza di quegli interventi fu il considerevole innalzamento del livello delle acque che sommerse l’intero abitato, tranne il suo edificio di maggiore altezza.

Influenze elvetiche

L’alta Val Venosta, abitata anticamente da genti alpine di origine celtica o retica, divenne tappa lungo la via Claudia Augusta, arteria romana di cui si suppone la realizzazione nel I secolo d.C. per collegare l’Italia settentrionale al mondo germanico. Agli inizi del Medioevo, nella regione, affluirono gruppi di religiosi da Coira – città svizzera che rivestí un rilievo politico nella storia valligiana – con il proposito di evangelizzare il territorio. La prima traccia effettiva di Curon Venosta risale, tuttavia, a un’epoca piú tarda – al 1140 circa – nel toponimo Curun apud lacum, in seguito menzionato come Curunes, con il presumibile significato di «balza» (luogo scosceso, dirupo), in riferimento alle caratteristiche geografiche. Sempre nel 1140, nella località Muta – attuale frazione di San Valentino alla Muta – risulta attivo un ospizio per l’accoglienza di 66

MEDIOEVO NASCOSTO

Curon Venosta (Bolzano). La chiesetta di S. Anna, edificata in stile tardo-gotico e consacrata nel 1521. Sullo sfondo, il lago di Resia, dal quale emerge il campanile romanico (XIV sec.) della chiesa del borgo, che, nel 1950, all’apertura dell’invaso (il bacino è artificiale e fu realizzato per la produzione di energia idroelettrica), venne per il resto completamente sommerso.


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ITINERARI

Trentino-Alto Adige

pellegrini e carrettieri, adiacente a una cappella. La chiesa principale, dedicata a santa Caterina d’Alessandria, viene eretta, invece, nel 1357 in stile romanico, e con i successivi ampliamenti diverrà il piú grande santuario della Val Venosta. Nel Trecento la regione, che vive per lo piú di allevamento e versa le imposte al principato vescovile di Coira, è investita dal flagello della peste, mentre a fine quattrocento subisce l’invasione, da nord, degli Engadini.

Alla mercé degli Spagnoli

L’intera valle, nel Rinascimento, resta stabilmente sotto il dominio del vescovo di Coira e della Repubblica delle Tre Leghe, Stato in strette relazioni politico-militari con la Confederazione svizzera e dalle cui fondamenta nascerà il Canton Grigioni. Tra le comunità della valle, all’epoca, era diffuso il romancio (lingua romanza parlata in territorio elvetico), destinato poi a cadere in disuso con il processo di germanizzazione della zona compiutosi negli anni della Controriforma. In quel periodo Curon fu devastata delle scorribande di Spagnoli e truppe imperiali, ma in seguito subí maggiormente la furia della natura: l’evento piú rovinoso, nel XVIII secolo, fu lo straripamento del limitrofo torrente Rio Carlino. 68

MEDIOEVO NASCOSTO

Una veduta panoramica di Curon Venosta e del lago di Resia. Nella pagina accanto un’altra immagine della torre campanaria della chiesa di Curon Venosta, parzialmente sommersa dalle acque del bacino artificiale.

Si giunge ai primi del Novecento, alla fase di annessione – dopo la fine del primo conflitto mondiale – del Trentino-Alto Adige al Regno d’Italia. Sono gli anni in cui prende corpo il progetto di sfruttare i bacini della Val Venosta per la produzione di energia elettrica. I tre laghi esistenti in un ristretto quadrante del territorio – Resia, Curon e San Valentino alla Muta – richiamano l’interesse di politici e imprenditori, nonostante precedenti ipotesi di sbarramento del deflusso idrico avessero evidenziato problemi di carattere geologico. Nel 1920 si fa strada il progetto di costruzione di una diga che prevede un modesto innalzamento del livello delle acque dei due laghi settentrionali (Resia e Curon); successivamente, però, una variante lo eleva fino a 22 metri. Siamo nel 1939, il governo fascista imprime un’accelerazione al piano di sviluppo intensivo delle centrali idroelettriche in Alto Adige, essenziale per l’approvvigionamento energetico delle industrie regionali e dei territori limitrofi. Per l’impresa il regime assume molte maestranze italiane, nel quadro di un piú ampio disegno di degermanizzazione dell’area. Il progetto della diga, elaborato dalla concessionaria Montecatini, prende quindi corpo e intraprende il suo iter esecutivo. Si provvede a


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ITINERARI

Trentino-Alto Adige effettuata con grande sollecitudine nel 1949, con una situazione ancora incerta riguardo alle evacuazioni da compiere e agli indennizzi da corrispondere agli sfollati. Ormai la sorte di Curon Venosta sembra segnata. Prima della messa a regime dell’opera, nel 1950, si procede all’abbattimento con esplosivi degli edifici, a partire dalla chiesa trecentesca di S. Caterina d’Alessandria, della quale viene però risparmiato il campanile per intervento della Soprintendenza regionale. Nulla sopravvisse, invece, della vecchia parrocchiale di S. Sebastiano, nella frazione di Resia anch’essa in gran parte sommersa, santuario che era stato edificato nell’Ottocento sul modello di una precedente struttura quattrocentesca (l’odierna parrocchiale è stata ricostruita, invece, dopo le demolizioni del 1950). Cancellato risultò, inoltre, il borgo di Arlundo, un gioiello che conservava esempi di edilizia contadina del XIV secolo. Dopo una serie di appelli della popolazione, infine, vennero almeno trasferite le salme dal locale cimitero, che inizialmente si voleva obliterare sotto una gettata di cemento. Il varo della diga determinò anche un pesante impatto dal punto di vista naturalistico, visibile in un esteso scavo dal quale furono ricavati i materiali per la costruzione dello sbarramento idrico.

Un parziale risarcimento

compiere i primi espropri e a informare la popolazione sulle pesanti conseguenze che l’opera avrebbe comportato: la sommersione dell’intero abitato, dei campi coltivati e degli allevamenti. Sorprendentemente, poi, con l’infuriare della fase piú critica del secondo conflitto mondiale, i lavori si interrompono e il progetto viene accantonato. È il 1943, Curon Venosta può ritenersi salva?

Addio al borgo

Nel dopoguerra l’evenienza di allagare il piccolo centro della Val Venosta incombe di nuovo e in modo ancora piú minaccioso. Nel 1947 l’azienda concessionaria mette a punto i progetti definitivi, confermando l’innalzamento del livello dei due laghi a 22 m, come nei propositi degli anni Trenta. Una prova di invaso viene 70

MEDIOEVO NASCOSTO

La nuova chiesa di Resia, una frazione di Curon Venosta. Nella pagina accanto uno scorcio di Canale di Tenno (Trento), borgo che conserva alcuni autentici esempi di abitazioni contadine del Medioevo.

Oggi la nuova Curon Venosta – sorta a un livello rialzato sulle sponde orientali del lago artificiale – ha ottenuto dal destino un indennizzo per l’inabissamento del suo passato. Un risarcimento innanzitutto economico, con la riscossione di parte del canone per la concessione delle acque, ma anche di natura turistica. Il campanile parzialmente sommerso – oggetto di recenti restauri per alcune inevitabili lesioni – è divenuto negli anni un’attrazione per tanti visitatori e una fonte di introiti per le attività del luogo, in tutte le stagioni. «Questa è una storia che merita di essere raccontata», si legge nelle prime pagine del volume Curon. Il paese sommerso (2020), curato da Brigitte M. Pircher e Georg Lembergh, che contiene preziose testimonianze sul vecchio abitato. Anche la letteratura, il cinema e la televisione hanno scoperto il fascino di questa storia, traendone ispirazione per romanzi, film e fiction. Un fascino, come spesso accade per molte località italiane, amplificato dalle leggende: si narra che nelle serate d’inverno le campane della chiesa di S. Caterina d’Alessandria, rimosse durante i lavori di demolizione del 1950, tornino inspiegabilmente a suonare…


CANALE DI TENNO

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olo poche decine di abitanti vivono oggi a Canale di Tenno, una delle piú straordinarie sopravvivenze di abitato contadino medievale. Questa frazione, ubicata nel territorio del Comune di Tenno ha resistito allo spopolamento, conservando la sua identità originaria. Sorto presumibilmente sul finire dell’Alto Medioevo, il borgo risulta citato per la prima volta nel Duecento, ma nel suo sito era già da tempo presente

un castello. Nel Quattrocento, durante il conflitto che opponeva Milano a Venezia, nella rocca trovò rifugio il condottiero Niccolò Piccinino, al comando delle forze meneghine, il quale riuscí poi a fuggire durante l’assedio nemico. Il toponimo Canale potrebbe riferirsi all’agevole approvvigionamento idrico che il suo territorio offriva fin dall’età di Mezzo, vista la vicinanza del Lago di Garda e di corsi d’acqua.

MEDIOEVO NASCOSTO

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AUSTRIA A LT O A D I G E Cortina d’Ampezzo

Bolzano

Pieve di Cadore

TRENTINO

Trento

GIULIA

Trichiana

Feltre

Rovereto

Vittorio Veneto

Conegliano Bassano del Grappa Oderzo Asolo Marostica Treviso

Malcesine Valdagno

Malo

Montecchio Maggiore

Verona Soave

Villafranca di Verona Valeggio sul Mincio Montagnana

Mantova

VENEZIA

Belluno Sedico

FRIULI

Cittadella

Castelfranco

Caorle

Vicenza Veneto Brendola

Padova

Arquà Petrarca

Este

Concordia Sagittaria

Mirano

Torcello

Murano

Piove Venezia di Sacco

Monselice

Chioggia

MARE ADRIATICO

Legnago

LOMBARDIA

EMILIA ROMAGNA

Rovigo

Adria

Ferrara

VENETO

A

bitata fin dalla preistoria, la regione deve il suo nome alla popolazione dei Veneti. Venne poi colonizzata pacificamente dai Romani nel III secolo a.C. che preferirono allearsi in funzione anti-celtica con le comunità allora stanziate nella zona. In quel periodo molti borghi erano già sorti in vari territori della regione: Oderzo, che nel II secolo d.C. contava circa 50 000 abitanti, Concordia Sagittaria, l’antica Iulia Concordia, l’indipendente Este, Feltre, sviluppatasi grazie alla vicinanza con la via Claudia Augusta e Adria. In epoca romana assunse un ruolo significativo Asolo, provvista di terme, di un teatro e di un acquedotto. Anche il Veneto, dopo la caduta dell’impero romano, fronteggiò le invasioni barbariche: nel V e VI secolo irruppero gli Unni, gli Eruli, gli Ostrogoti e i Longobardi. Di questi ultimi resta ancora l’impronta nel toponimo del borgo di Valeggio (l’odierna Valeggio sul Mincio) che deriverebbe da un termine longobardo il cui significato era «luogo pianeggiante». Notevole risultò anche l’influenza bizantina rintracciabile nelle origini della cittadina fortificata di Monselice e nelle suggestive chiese dell’isola di Torcello. Per un periodo l’entroterra regionale risultò soggetto al controllo longobardo, mentre la parte costiera era saldamente in mano ai Bizantini. Spesso


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di Belluno

•FELTRE basilica dell’XI sec., castelli dell’VIII e del X sec. •PIEVE DI CADORE fortilizio di origine medievale, palazzo quattrocentesco della Magnifica Comunità. Provincia di Padova

•ARQUÀ PETRARCA (vedi box a p. 81). •CITTADELLA cinta muraria duecentesca. •ESTE castello carrarese. •MONSELICE (articolo alle pp. 74-78). •MONTAGNANA (vedi box a p. 79). Provincia di Rovigo

•ADRIA resti romani, cattedrale dell’XI sec. Provincia di Treviso

Torcello (Venezia). La chiesa di S. Fosca, risalente al XII sec. e costruita probabilmente su un martyrion del VII sec. Nella pagina accanto, in basso il campanile romanico del duomo di Caorle (Venezia). XI sec. La torre evoca modelli ravennati, con un loggiato a metà altezza e cuspide conica.

le incursioni dei barbari costrinsero le popolazioni a fuggire verso le zone costiere e fu in seguito a questa dinamica che un centro marino come Caorle si popolò nel V secolo, diventando sede vescovile. Il X e l’XI secolo furono un’epoca turbolenta, segnata dal dominio del Sacro Romano Impero e dal terrore per l’invasione da est degli Ungari: Montagnana, uno dei borghi medievali piú suggestivi, rappresentava in quegli anni il classico esempio di architettura studiata solo per la guerra, cosí come il castello di Soave. Nel frattempo era nata la Marca di Verona, struttura politica locale attraverso cui l’impero governava sulla regione grazie anche a potenti dinastie feudali di discendenza tedesca: centri come Marostica, oggi conosciuta per il rito della partita a scacchi con pedine umane, e Bassano del Grappa erano baluardi, per esempio, degli Ezzelini, i cui avi provenivano dalla Germania. Il grande sviluppo economico, che aveva avuto inizio nell’anno Mille, sfociò nel potenziamento politico-commerciale dei Comuni piú celebri e dei centri minori che, prima si ribellarono all’impero, e poi lottarono strenuamente fra loro. La splendida Cittadella fu fortificata dai Padovani per combattere contro feudi confinanti, mentre Castelfranco Veneto serví ai Trevigiani per controllare il confine con i possedimenti di Vicenza e Padova. La stessa Conegliano venne sfruttata da Treviso per la sua posizione strategica di confine con il Patriarcato di Aquileia. A partire dal XIV-XV secolo Venezia, con la sua repubblica, assunse il ruolo di guida sull’intera regione ed estese i domini anche nei Balcani e a Occidente, in Lombardia.

•ASOLO fortezza del XII secolo, palazzi e chiese medievali. •CASTELFRANCO VENETO cinta muraria con castello. •CONEGLIANO rocca medievale, casa del Re di Cipro (XV sec.). •ODERZO resti romani, chiese gotico-romaniche. Città metropolitana di Venezia

•CAORLE duomo dell’XI secolo e altre chiese medievali. •CONCORDIA SAGITTARIA resti romani, cattedrale quattrocentesca. •TORCELLO (VENEZIA) basilica di S. Maria Assunta, con splendidi mosaici dell’XI-XII sec., chiesa di S. Fosca, trono di Attila. Provincia di Verona

•MALCESINE castello scaligero medievale. •SOAVE (vedi box a p. 80). •VALEGGIO SUL MINCIO castello scaligero duecentesco e ponte visconteo trecentesco. •VILLAFRANCA DI VERONA chiese e oratori medievali. Provincia di Vicenza •BASSANO DEL GRAPPA chiese medievali, Ponte Vecchio (XVI sec.). •BRENDOLA rocca dei Vescovi (X sec.) e chiese medievali. •MAROSTICA Castello Inferiore e Superiore del XIV sec. •MONTECCHIO MAGGIORE castelli di Romeo e Giulietta.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Veneto

MONSELICE

Ai piedi dei Colli Euganei

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MEDIOEVO NASCOSTO


Monselice (Padova). Una veduta del castello, detto «Ca’ Marcello». Si tratta di un complesso grandioso, in cui emergono parti del fortilizio eretto nel XIII sec., e i tre nuclei rispettivamente innalzati nei sec. XI-XII, alla metà del XIII (ampliato dai Carraresi) e dei sec. XV-XVI (ingrandito dai Marcello, che realizzarono anche la merlatura che unisce i diversi corpi di fabbrica).

In alto recto della bolla d’oro di Federico II (1299). Recanati, Archivio Comunale. Agli ingegneri dell’imperatore svevo si deve il torrione del castello monselicense.

di Dario Canzian

N

el giugno del 1256 Padova era stata sottratta al dominio di Ezzelino da Romano, prima vera avvisaglia che la parabola del signore della Marca volgeva ormai precipitosamente verso il basso. L’eco dell’impresa dei crociati antiezzeliniani giunse immediatamente nella vicina Monselice, dove, secondo il cronista Rolandino da Padova, cominciò a diffondersi grande fermento nella villa e nel borgo ai piedi del colle. La piazzaforte monselicense era governata da due ufficiali del da Romano. Il primo, Gerardo da Treviso, già presbitero e poi «apostata», controllava l’abitato alla base del colle; l’altro, un certo Profeta, aveva invece la responsabilità della rocca. Non appena si diffusero i rumori, Gerardo abbandonò la villa e riparò all’interno della cinta del castello, ma Profeta non gli permise di entrare nella fortezza, perché non si fidava di lui; per parte sua Profeta da lí, da quel torrione munitissimo costruito dagli ingegneri di Federico II, giorno e notte «bombardava» i tetti delle case del borgo sottostante con le sue artiglierie. Le paure di Profeta si rivelarono fondate. Tra la fine del 1256 e l’inizio del 1257 Gerardo scese a patti con il marchese d’Este, il comandante degli assedianti – e del resto gli rimaneva poca scelta. Quindi, temendo di essere abbandonato dai soldati vicentini con cui era asserragliato, dopo aver contrattato un lauto compenso, anche il capitano della rocca cedette le armi. Circa ottant’anni dopo a Monselice si riprodusse una circostanza quasi identica. Nell’agosto del 1338 era ormai trascorso piú di un anno e mezzo da quando i borghi e il castello, questa volta in mano ai della Scala, erano stati posti sotto assedio. Gli assalitori, un esercito confederato veneziano-fiorentino cui si erano aggregati i padovani Marsilio e Uberto da Carrara con i loro sostenitori, avevano già tolto ai signori di Verona la città di Padova e si erano poi spinti alla conquista della via dell’Adige in direzione di Verona stessa.

Allo stremo delle forze

Ma Monselice, governata con polso fermo dal podestà Pietro Dal Verme, non si era piegata. Quella sacca di resistenza, concentrata in un punto altamente strategico del territorio padovano, poteva mettere a repentaglio le altre conquiste dei collegati. Non si erano dunque MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Veneto

NEL SEGNO DI FEDERICO L’impronta lasciata dal signore della Marca nel centro di Monselice, secondo la tradizione, è di quelle forti. In realtà, ciò che si può dire con certezza è che i due principali edifici medievali della cittadina, il palazzo detto appunto «di Ezzelino», alla base del colle, e la rocca sommitale furono edificati in età federiciana. Il palazzo di Ezzelino, un imponente parallelepipedo di tre piani completato alla fine del XIII secolo, fa parte di un piú vasto «quartiere medievale» nel quale si distinguono quattro corpi di fabbrica, di datazione compresa tra l’inizio del XIII secolo e il XV. Oggi il complesso edilizio, ampiamente restaurato dal conte Vittorio Cini negli anni 1935-1940, è noto come Ca’ Marcello, dal nome dei nobili veneziani che ne mantennero il possesso dal XV secolo fino al 1840. Ospita preziose collezioni d’armi, di mobili e suppellettili d’epoca. Quanto alla rocca, essa venne edificata a partire dal 1239 per iniziativa di Federico II, demolendo le strutture preesistenti, probabilmente risalenti alla tarda età bizantina, tra cui la pieve di S. Giustina, trasferita piú in basso. La rocca consiste in una cinta ellittica al centro della quale sorge un poderoso e tozzo mastio con base a tronco di piramide. Da questa struttura si dipartivano le cortine che abbracciavano l’abitato sottostante. La costruzione è stata fatta oggetto di un attento restauro che ha riportato i blocchi di trachite alla chiarezza loro propria e ha permesso di individuare anche le tracce degli edifici che precedettero l’edificazione della rocca.

lesinati gli sforzi per avere la meglio sui difensori del centro euganeo, col risultato che la guerra aveva raggiunto livelli esasperati di ferocia: le esecuzioni sommarie di prigionieri a fini dimostrativi e di ritorsione erano pratica comune dell’una e dell’altra parte. La popolazione urbana, stremata, era disposta a correre il rischio dell’amputazione del naso o della pena capitale pur di riuscire a fuggire dalla città ormai alla fame. Infine, i Monselicensi si arresero; non prima però di aver contrattato punto per punto la consegna della città. Il 19 agosto, dunque, Pietro Dal Verme, ottenute le dovute garanzie, lasciò Monselice nelle mani di Ubertino da Carrara. Ma ancora qualcuno non si era rassegnato. In cima al colle, infatti, nella rocca, si era asserragliato il capitano scaligero Fiorino da Lucca, e da lí continuava a infierire sul sottostante borgo con lanci di proiettili e frecce. Ubertino dovette addirittura procurarsi presso i Veneziani una grande macchina da guerra per cercare di stroncare quest’ultimo, pervicace avversario, che venne comunque catturato (dopo tre mesi) solo corrompendo i suoi collaboratori, i custodi della torre. Consegnato ai Padovani, Fiorino venne immediatamente impiccato. I due episodi, tra i piú noti e pregnanti della storia di Monselice, rappresentano momenti focali della secolare vicenda di questo centro, vicenda per un verso segnata dal costante coinvolgimento dell’insediamento in clamorosi fatti d’arme a causa delle elevate valenze militari del suo complesso sistema di fortificazioni, per un altro connotata politicamente dal periodico tentativo di svincolarsi dall’abbraccio di Padova nello sforzo di proporre una propria, distinta identità. Per queste ragioni tanta era stata la tensione accumulatasi tra il capoluogo e l’inquieto castello del territorio che, dopo la vittoria del 1338, quasi a sancire una resa dei conti finale, i Padovani proclamarono la ricorrenza della presa di Monselice – il 19 agosto, San Luigi – festa «nazionale» della città, da celebrarsi con una apposita processione.

Il «comitato monselicense»

Di fronte a questi fatti viene da chiedersi su quali fondamenti storici potessero poggiare le velleità autonomistiche di Monselice nei confronti di Padova. La risposta va cercata nel rapporto privilegiato che aveva legato il centro euganeo al potere pubblico. È questo un dato rintracciabile fin dall’età longobarda, quando attorno a Monselice si costituí un distretto di cui ben poco si sa, ma che probabilmente forní 76

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L’Armeria del castello di Monselice. Allestita dal conte Vittorio Cini negli anni Trenta del Novecento, occupa il pianoterra della torre ezzeliniana del XIII sec. Nella pagina accanto la Torre di Ezzelino, compresa nel complesso del castello, noto anche come Ca’ Marcello. Possente struttura difensiva della prima metà del XIII sec., l’edificio mantiene il suo aspetto bellico anche nella suddivisione interna dei tre piani.

lo scheletro territoriale per la costituzione nel periodo carolingio del meglio documentato «comitato monselicense». Entro i confini di questa circoscrizione forse era compresa la stessa Padova, come sembra di capire da una donazione – a dire il vero non proprio esplicita, su questo specifico punto – del vescovo padovano Rorio all’abate del monastero urbano di S. Giustina (874). Dell’esistenza del comitato di Monselice si hanno numerose menzioni fino alla metà circa del X secolo, tuttavia senza che mai si faccia il nome di un conte. Poi le cose cambiano. Dagli anni 969-970 si parla dell’esistenza di un comitato padovano. È a questo punto che si cominciano anche a rinvenire le tracce del declassamento di Monselice. Nel 970 abbiamo l’attestazione che il centro veniva considerato come capoluogo di una iudiciaria, ovvero di un distretto pubblico minore rispetto al comitato. Della iudiciaria si sa per certo che nel 1013 erano titolati i marchesi Azzo e Ugo, appartenenti al ramo degli Obertenghi da cui in futuro deriveranno gli Estensi, in quanto ufficiali pubblici. In quell’anno, infatti, essi, insieme al conte di Padova Todello, sedettero a rendere giustizia in un placito che si tenne in una «magione pubblica», ubicata probabilmente in

prossimità dell’antica chiesa di S. Paolo, importante centro religioso dell’abitato. Dopo il declassamento, dunque, pare che cominciasse a stendersi su Monselice l’ombra di Padova. Tuttavia, ancora per tutto il XII secolo, numerose sono le attestazioni relative alle proprietà demaniali dell’imperatore in quella terra. Quando poi al trono ascese Federico I Barbarossa, la sua azione volta al controllo delle città italiane si ripercosse immediatamente in una valorizzazione di Monselice come perno della politica militare italiana del sovrano: di fatto in questo contesto Monselice, sicuramente Comune a partire dal 1162, ridivenne distretto autonomo da Padova.

In assemblea con l’imperatore

Nel 1160, ad esempio, il conte Pagano, delegato imperiale, sedeva in giudizio nella «casa donicata» presso la chiesa di S. Paolo e nel 1161 presiedeva un placito contornato dai notabili locali e dai rappresentanti degli abitanti «maggiori» e dei «minori». Nel 1161 e nel 1184 a Monselice era presente l’imperatore in persona, che vi tenne assemblee giudiziarie. Solo nei decenni che fanno seguito alla pace di Costanza e alla morte di Federico I Monselice venne piú decisamente integrata nel distretto MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Veneto Erede di una radicata tradizione di sede del potere pubblico, come si è visto, Monselice non godette mai della definizione di città se non in un documento del 1050, peraltro oggi molto discusso. D’altra parte il centro non fu mai sede vescovile, e questa era una clausola quasi certa di esclusione dal novero delle città propriamente dette. Tuttavia, le caratteristiche di questo centro, nelle fonti definito solitamente con il termine di «castello» o «terra», erano a tutti gli effetti urbane. A cominciare dal numero degli abitanti. Alla fine del Duecento vi si contavano 1093 fuochi familiari, per una stima approssimativa di piú di 5000 abitanti: un valore numerico vicino a quello di Torino o Trento.

Una realtà dinamica e fiorente

La parte sommitale della torre civica, la cui costruzione risale probabilmente al 1244. L’attuale sagoma è frutto dei rimaneggiamenti operati nel XVI sec. Domina sui resti della piú esterna delle cinque cinte murarie della cittadina.

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padovano, come è provato, tra l’altro, dall’escavazione del canale che unisce ancor oggi i due centri, l’attuale canale di Battaglia, intrapresa nel 1189 e completata in dodici anni di lavori. Tuttavia, nel 1237, quando si profilò per tutto il Padovano la minaccia, poi attuata, dell’occupazione da parte delle truppe di Ezzelino e di Federico II, i maggiorenti locali dichiararono immediatamente che Monselice era possesso diretto e patrimonio dell’impero. E in effetti subito vi venne accolto il nunzio dell’imperatore. Nel 1239 Federico II, visitando il centro, da lui considerato «camera speciale dell’impero» e «terra dell’impero», secondo i cronisti fondò il castrum che si trova sulla sommità, quello che poi diventerà la «Rocca». Come poi sia terminata l’esperienza federiciano-ezzeliniana, già si è visto. Ma la memoria delle antiche tradizioni ghibelline continuò a covare sotto la cenere e, occasionalmente, tornò a ripresentarsi fino a quando l’avvento della dominazione veneziana, nel 1406, non pose davvero la parola fine sulla questione.

Nella seconda metà del Duecento Monselice è senza dubbio il piú importante tra i capoluoghi del distretto padovano. Il podestà che la città vi invia, non a caso, è il meglio pagato tra tutti quelli che erano chiamati a governare i vari poli del territorio di Padova. Peraltro, le strutture di governo locali appaiono articolate in un ventaglio di specializzazioni e competenze piuttosto diversificato: si va dai banditori ai responsabili della sorveglianza sulle coltivazioni, ai custodi del patrimonio animale, ai controllori dei pesi e delle misure. Monselice aveva inoltre conservato anche sotto il dominio padovano la consuetudine di ospitare nella pieve la pubblica assemblea, l’arengo: nel 1317 all’elezione di un procuratore comunale partecipano ben 664 aventi diritto. Vivace è anche il quadro delle imprese produttive, sulle quali spicca l’attività di estrazione di pietra da costruzione, la trachite dei Colli Euganei. Il centro ospitava anche numerose botteghe o stazioni di artigiani: il Comune ne possedeva tredici nelle vicinanze della chiesa di S. Paolo, ai piedi del colle, affittate a operatori di settori diversi. La ricchezza di Monselice aveva inoltre attirato in loco alla fine del Duecento una colonia di una quindicina di prestatori toscani, operanti sulla piazza locale e qui domiciliati. Ma molti altri erano gli immigrati a Monselice. Ne ricordiamo solo uno, particolarmente illustre, ovvero il poeta Guido Guinizzelli, che in questo centro giunse esule e vi morí nel 1276. Il completamento della cerchia muraria piú esterna, i cui ampi lacerti sono ancora oggi visibili, operato dai Carraresi alla metà del Trecento, coronò, col contributo di un elemento strutturale dall’elevato contenuto simbolico, la promozione di Monselice a quella che, con espressione moderna, viene definita una «città murata».


MONTAGNANA

I

l Medioevo autentico ha tra i suoi luoghi simbolo Montagnana, piccolo centro in provincia di Padova. La sua cinta muraria, ancora sorprendentemente intatta, risale al XIV secolo e permette di realizzare un compiuto viaggio a ritroso nel tempo. Questo prodigio architettonico viene considerato una delle perle europee nell’ambito delle costruzioni di tipo militare dell’Età di Mezzo. Il borgo, già vicus romano sull’itinerario della via Annia, subí numerose dominazioni nell’era delle invasioni barbariche e cominciò a popolarsi nell’XI secolo, quando era governato dai signori d’Este che provvidero a fortificarlo. Le difese vennero ulteriormente potenziate nel XIII secolo, nel periodo in cui spadroneggiava il condottiero umbro Ezzelino da Romano. Per conquistare il borgo quest’ultimo aveva usato il fuoco, incendiando numerose abitazioni, ma subito dopo si era impegnato in un’intensa opera di ricostruzione. In quel periodo la rocca (Castel Zeno) fu ampliata e ammodernata. La città tornò poi estense e, nel 1275, ebbe la prima versione della sua cinta muraria che circondava, però, solo una parte dell’abitato. I successivi padroni di Montagnana, i Da Carrara, completarono l’opera nel 1362. I Da Carrara erano signori di Padova e, in quel territorio che confinava con i possedimenti della nemica Verona, avevano bisogno di erigere fortificazioni imponenti. La cinta muraria, come la si può ammirare oggi, misura circa 2 km e ha una forma rettangolare. È munita di numerose torri e di un fossato.

Montagnana (Padova). Un tratto della cinta muraria, innalzata in varie epoche, ma prevalentemente sotto Ezzelino da Romano e i Da Carrara (XIII-XIV sec.). Circondata da un fossato a prato, e costituita da cortine merlate rafforzate da 24 torri collegate da un cammino di ronda, si snoda attorno alla cittadina con un perimetro rettangolare di circa 2 km.

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ITINERARI

Veneto Soave (Verona), l’antica strada che conduce verso il castello medievale.

SOAVE

F

ondata forse in epoca longobarda, nel Duecento Soave era compresa tra i domini del Comune di Verona, ma venne poi conquistata da due potenti aristocratici: Rolando de Rossi e Martino II Della Scala. Altre famiglie nobiliari si contesero il paese che passò prima sotto il controllo dei Visconti e in seguito di Padova. All’inizio del XV secolo, Soave passò sotto l’amministrazione veneziana, alla quale rimase a lungo fedele, tanto da meritarsi, nel 1517, l’Antenna e lo Stendardo di San Marco. La Serenissima volle dotare di

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efficaci difese il castello del borgo: posta sulla cima del Monte Tenda, la rocca vigila tuttora sulla valle sottostante con il suo svettante mastio, i tre cortili e la lunga cinta muraria che lo racchiude. Altre architetture significative del borgo sono la duecentesca parrocchiale, il santuario di S. Maria della Bassanella (XII secolo), la quattrocentesca chiesa di S. Maria dei Domenicani, il trecentesco Palazzo di Giustizia, il Palazzo Sambonifacio (XIII secolo), il Palazzo Scaligero (XIV secolo) e il Palazzo Cavalli (XV secolo).


ARQUÀ PETRARCA

N

el X secolo, una rocca presidiava dall’alto il territorio dell’odierna Arquà Petrarca e intorno a quel fortilizio cominciò a svilupparsi il primo nucleo di abitazioni. Progressivamente sorsero anche i primi edifici di culto, le chiese di S. Maria e della Trinità, parte delle cui strutture originarie sono tuttora visibili. Nel XIII secolo, il borgo divenne feudo degli Este, ma passò presto sotto il dominio del Comune di Padova e, nel Trecento, si trovò coinvolto nella faida tra le famiglie dei Da Carrara e Della Scala. Francesco Petrarca decise di stabilirvisi e trascorse ad Arquà gli ultimi anni della sua vita. In seguito, la memoria di quei raffinati echi letterari, spinse alcune famiglie aristocratiche del Padovano e del Veneziano a costruire nel paese eleganti edifici. Proprio i palazzi rappresentano il tratto storico-monumentale piú interessante dell’attuale borgo: la casa del Petrarca, la cui originaria struttura duecentesca fu oggetto di profonde ristrutturazioni curate proprio dal poeta; la Loggia dei Vicari, anch’essa databile al XIII secolo; il quattrocentesco Palazzo Contarini, ornato da bifore e trifore ad arco acuto. Da menzionare sono anche la tomba dello stesso Petrarca, realizzata sei anni dopo la sua morte (avvenuta nel 1374), l’oratorio della SS. Trinità (XIV secolo) e la chiesa di S. Maria Assunta, la cui costruzione originaria risale all’XI secolo.

In alto Arquà Petrarca (Padova), la chiesa di S. Maria Assunta, la cui costruzione originaria risale all’XI sec. A sinistra gli interni dell’abitazione duecentesca in cui Francesco Petrarca trascorse gli ultimi anni di vita.

MEDIOEVO NASCOSTO

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FRIULI-VENEZIA GIULIA

Villago

Forni Avoltri Tarvisio Ampezzo

Tolmezzo

Sella Nevea

Venzone Erto

SLOVENIA

Gemona del Friuli

Redona

Tarcento

Maniago

Pulfero

Faedis

Spilimbergo

Pordenone

Fagagna

Udine

Cividale del Friuli

Valvasone Codroipo

Gorizia

Clauiano Palmanova

Gradisca d’Isonzo

Sesto Al Reghena Oderzo

Portogruaro

Cervignano del Friuli Aquileia

Grado San Donà di Piave

Duino Aurisina

Trieste Muggia

L

iguri e Veneti erano stanziati in quello che oggi è il Friuli-Venezia Giulia prima dell’arrivo dei Carni, una popolazione celtica, nel V secolo a.C. Allora il territorio si estendeva oltre gli attuali confini orientali, nell’area culturale del cosiddetto Caput Adriae, che comprendeva anche l’Istria e l’alta valle dell’Isonzo. Furono i Romani a dare una prima solida impronta politica, culturale e architettonica al Friuli-Venezia Giulia: la rinomata colonia di Aquileia ricevette un’investitura quasi da capitale e divenne sede vescovile. Già in età antica, comunque, il confine odierno con Slovenia e Croazia era una zona turbolenta e per questo sorse un castrum nei pressi di Muggia come baluardo per i temuti attacchi da est degli Istri e degli Avari. Con le invasioni barbariche gli equilibri politici della regione mutarono. Cividale del Friuli, fondata da Giulio Cesare con il nome di Forum Iulii, divenne «capitale» della romana Regio X Venetia et Histria e, successivamente, del ducato dei Longobardi (dal V al VII secolo) che poteva contare su altre roccaforti, tra cui l’attuale Gemona del Friuli. In precedenza l’irruzione degli Unni di Attila – come era accaduto anche in Veneto – aveva costretto molti abitanti alla fuga verso le zone costiere, popolando piccoli centri abitati solo da pescatori, in particolare Grado. La conquista franca e le incursioni degli Slavi e degli Ungari rivoluzionarono nuovamente gli assetti della regione che entrò a far parte della grande Marca di Verona, poi annessa al ducato di Carinzia. Nel X secolo Aquileia, tornata a dettare legge, controllava un cospicuo numero di città, borghi e fortificazioni tra cui Udine, Venzone, nel cui territorio sono state scoperte alcune mummie, la zona di Trivignano Udinese, il castello di Fagagna, il villaggio agricolo di Gradisca d’Isonzo, Valvasone e Marano Lagunare. Nel Basso Medioevo la regione ebbe uno sviluppo politico disarmonico: nell’entroterra prevalse il sistema feudale, amministrato dalle signorie, mentre sulla costa le città si organizzarono nella forma di liberi Comuni uniformandosi a quanto stava accadendo in gran parte del Nord Italia. Il decentramento politico provocò l’insorgere di lotte tra potentati locali, che resero piú vulnerabile il territorio agli attacchi esterni. Ne approfittarono i Veneziani che annetterono grandi porzioni del Friuli alla loro Repubblica, un’operazione che avrebbe in seguito rappresentato un valido ostacolo contro l’imperialismo asburgico.


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di Trieste

•DUINO AURISINA rocca del XIV sec. •MUGGIA parco archeologico, maniero del XIV sec. Provincia di Udine •CIVIDALE DEL FRIULI Tempietto

Longobardo e Museo Archeologico Nazionale. •CLAUIANO (TRIVIGNANO UDINESE) (vedi box a p. 89). •FAEDIS castelli e ville medievali. •FAGAGNA rocche risalenti al Basso Medioevo. •GEMONA DEL FRIULI duomo trecentesco. •PALMANOVA città fortificata rinascimentale. •PULFERO chiese medievali. •TARCENTO parrocchiale del IV-V sec., rovine di antiche rocche. •VENZONE palazzo comunale, duomo di S. Andrea, porta di S. Genesio. Provincia di Pordenone •SESTO AL REGHENA abbazia dell’VIII sec. •SPILIMBERGO torre

In alto particolare delle pitture sulla facciata del Palazzo Dipinto, uno degli edifici compresi nel castello di Spilimbergo (Pordenone). Qui sopra veduta aerea di Palmanova (Udine). La planimetria dell’abitato ha conservato l’impianto topografico cinquecentesco, caratterizzato da una compatta pianta a struttura radiale, tuttora racchiusa entro la cerchia delle mura, che disegnano una stella a nove punte.

occidentale (XIV sec.), castello (XI sec.) e duomo duecentesco. •VALVASONE castello del XIII sec. e duomo quattrocentesco. Provincia di Gorizia •GRADISCA D’ISONZO (articolo alle pp. 84-88). •GRADO santuari e basiliche del

VI sec.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Friuli-Venezia Giulia

GRADISCA D’ISONZO

Un baluardo contro gli Ottomani 84

MEDIOEVO NASCOSTO


Gradisca d’Isonzo (Gorizia). Un torrione innalzato lungo le mura della fortificazione costruita nel Quattrocento dai Veneziani per difendere il borgo dalle incursioni ottomane.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Friuli-Venezia Giulia

di Francesco Colotta

I

l destino di Gradisca d’Isonzo è scritto nel nome: il toponimo, infatti, deriva dallo slavo gradišce, ossia «luogo fortificato», una funzione strategica che la cittadina ha assunto fin dal Medioevo, grazie alle sue possenti difese architettoniche. Inoltre, il sito nel quale si sviluppò l’abitato poteva contare su una formidabile protezione naturale, garantita dalla vicinanza dell’Isonzo. Il fiume scorreva a ridosso delle mura e dunque, oltre a facilitare l’approvvigionamento idrico, era in grado, al bisogno, di offrire una rapida via di fuga. La fama del borgo come baluardo difficile da espugnare emerse solo a partire dal XV secolo, ma è verosimile che anche in precedenza Gradisca abbia costituito un caposaldo efficace nell’arginare le incursioni degli Ungari. Le prime notizie sul paese si possono rintracciare in un documento ufficiale del Capitolo di Aquileia che risale al XII secolo e riporta i nomi dei pochi abitanti del luogo, all’epoca un piccolo villaggio: si tratta di sette coloni, la maggior parte di chiara origine slava.

Sulle due pagine la Porta Nuova, che costituiva l’accesso a Gradisca sul lato settentrionale dell’abitato. In basso disegno raffigurante l’assedio austriaco di Gradisca del 1616, che impegnò a lungo le truppe veneziane.

L’avamposto «perfetto»

Una sistemazione urbanistica vera e propria del borgo si ebbe nel Quattrocento, per iniziativa della Repubblica veneziana, interessata a mettere in sicurezza un territorio minacciato dalle incursioni ottomane. Quel luogo, situato su una collinetta e sulla riva destra dell’Isonzo, rappresentava un avamposto militare ideale, secondo quanto testimonia anche l’iscrizione in latino incisa su una lapide oggi custodita nella Loggia dei Mercanti, uno dei piú celebri monumenti

del paese: «Gradiscam viculi appellatione Turcorum incursionibus oppositam condidere Veneti» («Gradisca [è] il nome del villaggio fondato dai Veneziani di fronte alle invasioni turche»). Provenienti dai vicini Balcani, i Turchi erano già penetrati piú volte nel territorio della Serenissima, oltrepassando l’Isonzo, e avevano seminato il terrore in vari paesi senza incontrare resistenze. Venezia, pertanto, ritenne che nei pressi del fiume occorresse erigere una serie di fortificazioni e la piú imponente proprio a presidio di 86

MEDIOEVO NASCOSTO


Gradisca. Nel 1474 la costruzione era stata quasi ultimata, mentre una nuova sortita dei Turchi aveva colpito la zona dell’Isonzo. Il neonato fortilizio venne ulteriormente ampliato e il borgo che proteggeva, in omaggio al capitano di Venezia Giovanni Emo, avrebbe dovuto assumere il nome di Emopoli, ma il proposito non venne attuato. Gradisca continuò a rivestire il ruolo di baluardo sull’Isonzo e si popolò di abitazioni, anche in seguito alla firma di un trattato di pace con gli Ottomani.

A dimostrare la presenza di un’intensa vita civile all’interno delle mura, fu la nomina da parte del governo lagunare di un provveditore speciale per il borgo, chiamato a venire incontro alle richieste dell’ormai numerosa popolazione, relativamente ai servizi essenziali. Nel 1481 la rocca, che ancora oggi si può ammirare all’interno della cittadina, venne ultimata, mentre il completamento delle mura – le cui dimensioni nei progetti avrebbero dovuto raggiungere i 20 m di altezza – fu portato a termiMEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Friuli-Venezia Giulia

Uno scorcio di Gradisca d’Isonzo, con un tratto delle mura venete, nella zona del castello.

ne in seguito. Nel borgo sorgeva anche un santuario, l’odierna chiesa della Beata Vergine Addolorata, all’epoca gestita dall’Ordine dei Servi di Maria, che venne poi ufficialmente consacrato a inizio Cinquecento. L’opera di fortificazione del borgo continuò comunque in modo intenso, sulla struttura della cinta muraria e sul fossato, soprattutto in prossimità della scadenza dell’armistizio firmato con gli Ottomani. I timori di nuove sortite dell’esercito turco si rivelarono fondati, e i ripetuti interventi volti a consolidare le architetture militari salvarono Gradisca. Alla fine del XV secolo, infatti, gli Ottomani, che avevano ancora una volta attaccato il territorio giuliano, preferirono non assediare quel luogo munito di imponenti fortificazioni e saccheggiarono, invece, le zone circostanti. Vista l’importanza strategica del baluardo gradiscano, i Veneziani disposero l’ennesimo puntellamento delle difese, servendosi anche della consulenza di Leonardo da Vinci, inviato nel borgo per ottimizzarne gli armamenti. Sventata la minaccia turca, gli attacchi giunsero da un altro fronte, la cui pericolosità era stata sottovalutata. La politica espansionista dell’imperatore austriaco Massimiliano d’Asburgo stava da tempo minacciando le regioni che confinavano con i suoi possedimenti, in particolare quelle del Goriziano: con la morte del filo-austriaco conte di Gorizia, la città era passata di fatto sotto il controllo imperiale. Dopo aver attaccato con scarsi successi altri domini limitrofi della Repubblica di Venezia,

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MEDIOEVO NASCOSTO

Massimiliano lanciò nel 1511 un’offensiva piú decisa, potendo contare sull’appoggio della Chiesa, della Francia, del re Ferdinando d’Aragona e dei duchi di Mantova e Ferrara, i quali avevano aderito alla Lega di Cambrai.

Sotto l’ala dell’aquila bicefala

Colpita da massicci bombardamenti, Gradisca riuscí a resistere, ma dovette alla fine firmare la resa e divenne, pertanto, austriaca. Restò sotto la dominazione asburgica per molti anni, nonostante i ripetuti tentativi dei Veneziani di riprenderla, e visse periodi di grande splendore in età moderna, durante la quale fu eletta capoluogo di una contea principesca. Solo dopo la prima guerra mondiale, nel 1921, per effetto degli accordi di pace che seguirono la sconfitta dell’esercito austro-ungarico, venne annessa al Regno d’Italia. Oggi Gradisca conserva solo una parte delle sue possenti fortificazioni tardomedievali e rinascimentali, a partire dalle magnifiche mura quattrocentesche, sulle quali sorgono i torrioni del Portello, della Calcina, della Campana, della Marcella, della Spiritata, di San Giorgio e due varchi d’accesso, la Porta Nuova e la Porta del Soccorso. Del celebre castello si può ancora ammirare gran parte della struttura risalente agli interventi veneziani, con il Palazzo del Capitano e l’Arsenale Militare. Tra le altre testimonianze del periodo della Serenissima spiccano la Casa dei Provveditori e il Palazzo del Fisco, entrambi risalenti al XV secolo, ma che presentano ritocchi di epoche successive.


CLAUIANO

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no dei piú autentici esempi di borgo medievale è nascosto nella campagna friulana, nel territorio del comune di Trivignano Udinese. Clauiano conserva il suo aspetto antico, con le caratteristiche abitazioni in pietre e sassi estratti dal torrente Torre, e in mattoni e coppi prodotti dalle fornaci un tempo attive nella zona. La prima traccia documentale del piccolo centro risale al 1031, in una pergamena che lo cita tra i possedimenti del Capitolo della basilica di Aquileia, ma l’impronta delle sue architetture è databile al Quattrocento, quando il borgo venne ricostruito in seguito alle distruzioni perpetrate dai Turchi. Dal XV alla fine del XVIII secolo Clauiano fu compresa nei domini della Repubblica di Venezia. Tra le stradine e le tipiche costruzioni, spesso provviste di ampi portici, spiccano i principali monumenti, le chiese: una sola di evidente fisionomia medievale, la trecentesca e periferica S. Marco, mentre la centrale S. Giorgio ha fattezze moderne. La piú antica abitazione, invece, Casa Gardellini – una delle prime costruzioni in muratura di Clauiano – si presenta come un edificio rurale di datazione tardo-quattrocentesca, con pregevoli decorazioni a losanghe.

In alto la chiesa di S. Marco a Clauiano. In basso una via del borgo friulano, la cui prima menzione è contenuta in un documento del 1301.

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Po

d’Arda

Agazzano

Soragna Fontanellato Castell’arquato Castell’Arquato Parma Correggio Bobbio Torrechiara o Tar

Reggio nellEmilia nell’Emilia

Canossa

Rovigo Mirandola

Carpi

Copparo

Ferrara

Mesola

Foci del Po

S. Giovanni Modena in PersicetoPortomaggiore Scandiano

Sassuolo

Berceto

Secchia

Mantova

Piacenza Fiorenzuola

Bologna

Budrio Conselice

Vignola Casalecchio Ravenna A Serramazzoni Monteveglio di Reno Imola p p Dozza en Faenza Riolo Terme Vergato ni no Forlimpopoli Brisighella T

EMILIA-ROMAGNA

La Spezia

osco- E mili

Massa Lucca Pisa

ano

Pistoia Prato

Firenze

Forlí

Cesena

Bertinoro Rimini Verucchio San Leo Montefiore Conca Montegridolfo

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truschi, Umbri e Galli si avvicendarono nel territorio emiliano prima della conquista romana, portata a termine nel II secolo a.C. Nei primi anni dopo la nascita di Cristo si trovano tracce di Bologna, Modena, Rimini e Ravenna. Crescevano inoltre centri come Forlimpopoli, Faenza, Bobbio – che divenne uno dei luoghi religiosi piú importanti dell’Alto Medioevo – e Fiorenzuola d’Arda. Ravenna fu capitale dell’impero d’Occidente nel 402, ma pochi anni dopo cadde, per mano di Odoacre. La regione subí l’invasione longobarda e alcuni borghi «alti» nacquero proprio come rifugio dalle ripetute incursioni: Bertinoro, il cui antico abitato fu trasferito sul piú protetto monte Cesubeo, e Montefiore Conca, sorta anch’essa su una collina. Altri centri fiorirono, invece, proprio grazie ai Longobardi, come, per esempio, l’odierna San Giovanni in Persiceto, che fu ducato, e Soragna, citata in un documento del re Liutprando. Nell’Alto Medioevo la parte orientale della regione fu conquistata dai Bizantini che lasciarono molte tracce della loro presenza soprattutto nel Ravennate. La resistenza delle truppe di Costantinopoli al tentativo di espansione longobarda comportò una cesura di fatto tra due zone: il nord-ovest assunse un’identità culturale germanica, mentre il Ravennate (chiamato «Romandiola») conservò, per volere bizantino, le tradizioni romane. La Romagna e gran parte dell’Emilia, in seguito, passarono nelle mani dello Stato pontificio, per concessione dei nuovi padroni dell’area, i Franchi. La divisione, però, continuava, seppur sotto forme diverse: a Occidente prevaleva la casa nobiliare di Canossa, a Oriente l’arcivescovado di Ravenna. Negli anni del dominio dell’impero germanico, San Leo, una delle capitali del regno italico di Berengario II, e Vignola furono luoghi militarmente caldi. A Canossa si consumò uno dei piú importanti capitoli della lotta tra papato e impero: la sottomissione dell’imperatore Enrico IV a papa Gregorio VII nel 1077. Monteveglio, nelle vicinanze, rappresentò un importante difesa contro le truppe del monarca germanico, deciso a vendicarsi dopo l’umiliazione subita da Gregorio. L’era dei Comuni vide il proliferare di centri potenti, governati da signori locali, nella maggior parte dei casi schierati con il pontefice e, pertanto, contro i sovrani germanici. Emersero Mirandola, uno dei borghi piú danneggiati dal terremoto del 2012, Carpi, Correggio, Scandiano, Fontanellato e Verucchio, cittadina storicamente fedele ai Malatesta.


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Città metropolitana di Bologna

•DOZZA Rocca Sforzesca. •MONTEVEGLIO pieve di origine romanica. •SAN GIOVANNI IN PERSICETO impianto urbanistico medievale, torre muraria. Provincia di Forlí-Cesena

•BERTINORO rocca (XI sec.), palazzo comunale trecentesco. •FORLIMPOPOLI Rocca Albornoziana (XIV sec.), santuario trecentesco. Provincia di Parma

•FONTANELLATO Rocca Sanvitale (XII sec.). •SORAGNA castello trecentesco. •TORRECHIARA (LANGHIRANO) rocca e badia benedettina del XV sec. Provincia di Piacenza

•AGAZZANO castelli del XIII sec. •BOBBIO (vedi box a p. 95). •CASTELL’ARQUATO (articolo alle pp. 92-95). •FIORENZUOLA D’ARDA parrocchiale del XIII sec. Provincia di Modena

•CARPI Palazzo dei Pio (XIV-XVII sec.). •MIRANDOLA chiesa di S. Francesco, palazzo comunale. •VIGNOLA (vedi box a p. 97). Provincia di Ravenna

•BRISIGHELLA maniero duecentesco, pieve dell’VIII sec. •FAENZA duomo ed edifici medievali in piazza del Popolo. •RIOLO TERME castello trecentesco. Provincia di Reggio Emilia

•CANOSSA rocca del X sec. •CORREGGIO chiesa di S. Francesco (XV sec.). •SCANDIANO Rocca dei Boiardo (XII sec.), torre civica (XV sec.). Provincia di Rimini

Fontanellato (Parma), la Rocca Sanvitale. Primo nucleo dell’edificio fu una torre, eretta nel 1124 a scopo difensivo. Fu trasformato in sontuosa dimora da Galeazzo Sanvitale agli inizi del Cinquecento.

•MONTEFIORE CONCA castello (XI-XIV sec.). •MONTEGRIDOLFO rocca duecentesca. •SAN LEO fortezza medievale ridisegnata da Francesco di Giorgio Martini. •VERUCCHIO (vedi box a p. 96).

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ITINERARI

Emilia-Romagna

CASTELL’ARQUATO Il tempo ritrovato di Francesco Colotta

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a tradizione assegna a Castell’Arquato un rango elevato fin dall’età antica, attribuendone la fondazione – leggendaria – a un patrizio romano di nome Caio Torquato, che avrebbe disposto la costruzione di un castrum in quel territorio. L’importanza dell’insediamento, sorto a presidio della Val d’Arda, è in ogni caso storicamente accertata: nell’VIII secolo, per esempio, rappresentava per gli occupanti longobardi una roccaforte strategica per la difesa dagli attacchi dei Bizantini. Amministrato da un aristocratico di nome Ma-

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gno, il borgo era a quel tempo sede di una vera e propria curtis (organizzazione agricola del territorio), nonché di un tribunale, una pieve e un mercato; una realtà sociale articolata, a cui faceva da corollario un efficiente apparato produttivo. Verso la fine dello stesso secolo, Castell’Arquato passò sotto il controllo del vescovato di Piacenza. Prestigio e prosperità erano destinati a durare nel tempo, come attestano testimonianze riferibili all’XI secolo, che segnalano lo svolgimento di ben tre fiere nel corso dell’anno e descrivono il fiorire di virtuose attività commerciali. L’influenza vescovile perdurò fino al 1220 e, al

Una veduta di Castell’Arquato (Piacenza), di cui appare evidente l’impronta architettonica medievale.


suo esaurimento, Castell’Arquato divenne libero Comune, in cambio di un corrispettivo di 700 lire piacentine e di un irrisorio canone annuo da versare all’autorità episcopale. Era tuttavia il Comune di Piacenza a nominare i podestà incaricati di amministrare il borgo, scegliendoli tra i membri di famiglie nobiliari, che per legge restavano in carica per tre anni: accanto ai podestà, dotati di poteri esecutivi e legislativi, venne insediato un Consiglio Generale, nel quale era cooptato anche un ecclesiastico. Il dominio della guelfa Piacenza espose il borgo alle incursioni dei ghibellini, una delle quali, nel 1256, si tradusse in un lungo assedio, senza

esito, guidato da Oberto Pallavicino. Alla fine del XIII secolo, la famiglia Scotti, appoggiata dalla fazione guelfa, dai mercanti e dalle corporazioni degli artigiani prese il sopravvento e diede inizio alla sua signoria, interrotta solo per un breve periodo all’inizio del Trecento. Nel 1316, la guerra tra gli Scotti e i Visconti coinvolse anche Castell’Arquato: gli uomini di Galeazzo Visconti assediarono la rocca, nella quale gli Scotti si erano asserragliati con un’armata le cui file erano state considerevolmente infoltite dai contadini della zona e, dopo una battaglia durata circa un anno, la espugnarono. Il governo dei Visconti fu caratterizzato dalla MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Emilia-Romagna

In alto, uno degli affreschi quattrocenteschi dedicati alla vita di santa Caterina d’Alessandria, che ornano l’interno della collegiata di S. Maria di Castell’Arquato, una delle chiese piú antiche del Piacentino. A sinistra, una delle strutture esterne della trecentesca Rocca Viscontea, eretta nella parte piú elevata del borgo nel periodo delle guerre tra i nobili milanesi e i piacentini Scotti.

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concessione di ampi spazi di autonomia per le istituzioni locali, che poterono emanare un corpus di norme legislative. Nel 1324, quando l’amministrazione del borgo passò di nuovo sotto l’egida del Comune di Piacenza, gli Arquatesi lottarono per preservare gli spazi di autogoverno che avevano conquistato e riuscirono a mantenerli, anche grazie al ritorno al governo dei Visconti. Alla metà del XIV secolo, i nobili milanesi si impegnarono a proteggere piú efficacemente il borgo, promuovendo la costruzione di una nuova rocca, che tuttora sopravvive al centro dell’abitato. Tali interventi architettonici, tuttavia, non evitarono, nel 1404, l’ennesima capitolazione militare, ancora una volta per mano degli Scotti. L’alternarsi tra le due storiche famiglie lombarde nella gestione politica di Castell’Arquato continuò anche nel XV secolo: agli Scotti, strategicamente non piú interessati a mantenerne il


controllo, subentrarono di nuovo i Visconti. Il destino del borgo seguí, pertanto, quello della dinastia viscontea, poi soppiantata dall’ascesa degli Sforza. Nel 1453, Francesco Sforza ne affidò il governo a Bartolomeo Colleoni, ma in seguito, a causa del passaggio di quest’ultimo nelle fila della Repubblica di Venezia, lo cedette ad altri condottieri: prima a Sceva da Corte e poi a Tiberio Brandolino. Alla fine del Quattrocento, Castell’Arquato fu conquistata dai Francesi e rimase in loro possesso per un breve periodo, tornando poi saldamente nelle mani degli Sforza che la tennero fino al 1707.

Un passato glorioso

Castell’Arquato è uno dei borghi medievali meglio conservati dell’intero Settentrione d’Italia e vanta una nutrita schiera di monumenti che ne testimoniano il glorioso passato, prima fra tutti la Rocca viscontea, posta nella

parte piú elevata del paese. Costruita – secondo il Registrum Magnum di Piacenza – tra il 1342 e il 1349, è munita di quattro torri quadrate, delle quali solo quella orientale riveste ancora integralmente l’aspetto originario, e di un imponente mastio, alto circa 35 m. Un’altra splendida architettura dell’età di Mezzo, il Palazzo del Podestà – situato nella Piazza Monumentale – risale all’epoca del dominio della famiglia Scotti (XIII secolo), e conserva nel mastio rettangolare e nella grande scalinata esterna evidenti testimonianze del periodo della fondazione. Nei pressi sorge la collegiata di S. Maria, la cui struttura originaria (VIII secolo) venne completamente distrutta da un terremoto: gran parte dell’edificio fu, quindi, riedificato nel XII e nel XIV secolo, e della costruzione piú antica resta solo il fonte battesimale. Della trecentesca cinta muraria, invece, sono ancora visibili alcuni tratti e la Porta di Sasso.

BOBBIO

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A destra il Ponte Gobbo di Bobbio, che attraversa il fiume Trebbia.

a stagione d’oro di Bobbio coincide con la fondazione dell’abbazia di S. Colombano (614), divenuta negli anni celebre per lo scriptorium e l’annessa grande biblioteca. Si ritiene che il complesso religioso, fino al IX secolo, fosse il principale centro di produzione libraria della Penisola. Per tali eccellenze la città conseguí la fama di «Montecassino del Nord», affermandosi come uno dei poli culturali d’Europa. Si mostrò, tuttavia, particolarmente attiva anche sul piano politico: nel XII secolo aderí alla Lega Lombarda, partecipando alla battaglia di Legnano. In quel periodo i governanti munirono l’abitato di fortificazioni, a partire dalla cinta muraria, tuttora parzialmente visibile. Tra i monumenti simbolo del passato spiccano anche il duomo (XI secolo) e il Ponte Gobbo (detto anche «Vecchio» o «del Diavolo») – di origine romana. ma riedificato nell’Alto Medioevo –, che porta il curioso nome per le gibbosità degli archi. La leggenda narra che un giorno il demonio sfidò il monaco irlandese Colombano: promise di costruire un ponte in una notte, ottenendo in cambio la facoltà di rapire la prima anima che lo avesse attraversato. Realizzò l’impresa con l’aiuto di altri diavoli i quali, essendo di statura diversa, eressero le arcate ad altezze irregolari. Al momento di incassare il compenso il maligno si sentí, però, ingannato, in quanto Colombano aveva inviato un cane a inaugurare il ponte. Infuriato, colpí allora con un calcio la costruzione, che da allora assunse una forma un po’ storta... MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Emilia-Romagna La Rocca Malatestiana di Verucchio (Rimini),detta anche «Del Sasso» per la sua posizione sulla sommità di uno sperone roccioso che domina l’abitato. Nella pagina accanto una delle lunette affrescate nella cappella della Rocca di Vignola.

VERUCCHIO

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en prima che Verucchio prendesse forma, ai piedi della roccia su cui sorge il borgo attuale, si era sviluppato un insediamento, la cui nascita va verosimilmente attribuita alla vicinanza delle vie Flaminia ed Emilia. Lo spostamento sull’altura fu deciso al tempo delle invasioni barbariche e l’abitato divenne prima dominio dei Goti e poi bizantino. Nel Basso Medioevo, da questo avamposto nella vallata del Marecchia ebbe origine l’epopea della celebre famiglia Malatesta, la cui giurisdizione si estese progressivamente a gran parte dell’odierno Riminese. La potente casata governò sulla regione per molti secoli e la sua influenza si ridusse dalla metà del Trecento, quando il cardinale Egidio Albornoz, su incarico di papa Innocenzo VI, lanciò un’offensiva nel Centro Italia volta a riconquistare i territori un tempo appartenuti allo Stato Pontificio. I Malatesta riuscirono a mantenere un’influenza su alcune roccaforti, tra cui Verucchio, ma, nel XV secolo, dovettero

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MEDIOEVO NASCOSTO

cederla ai nuovi padroni dell’Italia centro-settentrionale, i Visconti. Il borgo tornò solo per un breve periodo sotto l’amministrazione dei suoi antichi signori, che ne ristrutturarono la rocca, per poi essere conquistato dalle truppe di Federico di Montefeltro. Nel Cinquecento, Verucchio perse la sua centralità politica e, in seguito, né i Borgia, né lo Stato Pontificio seppero restituirgliela. I simboli che evocano l’antico splendore del borgo sono i monumenti databili all’epoca malatestiana: la rocca detta «del Sasso» (XII secolo), appunto perché edificata in un’ampia area ricavata sul punto piú alto del «sasso» di Verucchio; la rocca del Passarello, della quale oggi sopravvive solo una porta; i resti della cinta muraria e la Torre civica. Tra le architetture religiose si segnalano la pieve di S. Antonio, risalente al X secolo, e il convento di S. Francesco, nel cui chiostro si trova un cipresso che, secondo la tradizione, sarebbe stato piantato dallo stesso Assisiate.


VIGNOLA

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uole la tradizione che il primo nucleo della rocca di Vignola si debba far risalire all’VIII secolo, quando sant’Anselmo, vescovo di Nonantola, mise questo avamposto a protezione delle terre della sua abbazia. Tuttavia, tale ipotesi non pare sufficientemente suffragata dalla lettura dei documenti storici, che la retrodaterebbero di circa un secolo come caposaldo romano contro le invasioni longobarde. Quali che siano le origini della rocca, appare però chiara e indiscussa la sua posizione strategica, a guardia del fiume Panaro e di un territorio che fu a lungo di confine o di prima retrovia. Alla fine del Trecento, la rocca conservava ancora le sembianze di un piccolo avamposto fortificato, una sorta di quadrato di mura dotato di un’unica torre. A cambiarne i connotati in modo radicale fu Uguccione Contrari, che la ricevette in dono nel gennaio del 1401 da Niccolò d’Este, marchese di Ferrara. Uguccione, braccio destro di Niccolò, suo ministro e uomo d’arme, era ben consapevole che Vignola costituiva uno dei punti chiave del sistema militare estense, fondamentale soprattutto per il controllo di tutte le operazioni belliche che in quegli anni si susseguivano senza sosta nel Modenese, nel Bolognese, nel Reggiano e nel Parmense. Del resto, Uguccione stesso operava in zona, nelle sue vesti di condottiero, politico e diplomatico. Sono quindi attestati già dal 1402 i primi interventi di rafforzamento e consolidamento delle strutture difensive (realizzazione di una nuova cinta muraria, edificazione di altre due torri e di un rivellino, ecc.), lavori che avevano lo scopo di rendere la rocca piú sicura e in grado di ospitare un maggior numero di soldati. A partire dal 1409, con la definitiva affermazione della signoria estense, cambiò anche il ruolo di Vignola e della sua rocca che, nel ventennio seguente, Uguccione provvide a trasformare da fortilizio inespugnabile a splendida residenza nobiliare. L’imponente costruzione si sviluppa su cinque piani, di cui uno interrato, che aveva un tempo la funzione principale di dispensa e che, durante l’ultima guerra, svolse assai bene anche quella di rifugio antiaereo. Oggi i sotterranei ospitano due sale, dette «dei Grassoni» (proprietari della rocca prima di Uguccione) e «dei Contrari», entrambe adibite a spazio culturale. Le sale del piano terra erano dedicate alla vita pubblica che aveva luogo nella rocca; qui erano anche le cucine e le prigioni. Al secondo piano erano alloggiate le truppe di stanza nella fortezza. Il livello piú alto era quello degli spalti o camminamenti di ronda, che girano tutt’attorno la rocca e collegano tra loro le tre torri – la già citata torre di

Nonantola, quella delle Donne e quella del Pennello. Oggi i camminamenti sono coperti e prendono luce da piccole finestre; all’epoca di Uguccione sfoggiavano invece una possente merlatura ghibellina. Al primo piano, ovvero il piano nobile, dove si trovavano gli alloggi privati del signore del castello e della sua famiglia, vi è anche una piccola, meravigliosa cappella affrescata. Destinata al raccoglimento e alla preghiera di un personaggio d’alto rango, è di piccole dimensioni ma di grande interesse per l’originalità degli affreschi, che ne decorano unicamente la parte superiore, mentre quella inferiore doveva essere in origine rivestita con tappezzeria lignea. Le lunette ogivali presentano quattro momenti della vita di Cristo dopo la morte, ossia la Resurrezione, l’Ascensione, la Pentecoste e infine l’Assunzione della Vergine, che è qui raffigurata in modo assai particolare, anziana e molto provata. Nelle vele della volta a crociera sono ritratti i quattro Evangelisti impegnati nella scrittura, ciascuno dei quali è riconoscibile non attraverso il simbolo consueto ma da alcuni passi dei relativi Vangeli. Cosí abbiamo Marco accostato al Cristo risorto, Luca all’Agnello mistico, Giovanni all’albero con la Trinità e, infine, Matteo al piccolo Gesú nella mangiatoia. L’analisi dell’apparato iconografico (che risulta peraltro non compiuto e anzi bruscamente interrotto) è stata messa in ombra dall’annoso dibattito sulla paternità del ciclo di affreschi e sulla possibile datazione. Ma è importante ricordare almeno alcune parole di uno studioso, Andrea Barbieri, che nell’interpretare il ciclo vi ha letto «una sorta di “trattato teologico cattolico”, incentrato sulla figura di Maria, protagonista sul piano di salvezza e mediatrice di grazia». Nicoletta Zullino MEDIOEVO NASCOSTO

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EMILIA-ROMAGNA

Pontremoli LIGURIA

Fosdinovo

La Spezia Carrara Massa

Firenzuola

Pistoia

Lucca

MAR

Calci

Pisa

Ravenna Forlí

Castiglione di Garfagnana

Pescia Altopascio Prato

Viareggio

Bologna

Fiesole

Signa

Vicopisano

Scarperia

Firenze

Greve in Chianti

Loro Ciuffenna Sansepolcro Certaldo Radda Lari Peccioli Anghiari Bucine Colle in Chianti Arezzo di Val d’Elsa Castelnuovo Castiglion Monteriggioni Berardenga Fiorentino Siena Lucignano Bibbona Isola Sinalunga Lago Murlo di Capraia Trasimeno Sassetta Suvereto Perugia Castiglione Roccastrada d’Orcia Massa Marittima Radicofani Piombino UMBRIA Arcidosso Arcipelago Follonica Roselle Piancastagnaio Isola

LIGURE

d’Elba

Cascina

Livorno

Castiglione Grosseto Scansano Sorano Vitozza della Pescaia To s c a n o Manciano Pitigliano

MAR TIRRENO

TOSCANA

L

A destra una veduta di Anghiari (Arezzo), teatro, nel 1440, della vittoria su Milano delle truppe della coalizione guidata dalla Repubblica di Firenze: un successo che segnò l’apogeo della potenza medicea. In basso la sagoma inconfondibile di Monteriggioni (Siena), che conserva la cinta muraria medievale, scandita da 14 torri a pianta quadrata.

Viterbo Isola del Giglio

a Toscana ha radici etrusche, di cui si trova traccia, per esempio, a Chiusi e Volterra, o a Vetulonia (nell’odierno Comune di Castiglione della Pescaia), Murlo e Piombino. L’espansione romana, nel III secolo a.C., favorí l’emergere di borghi importanti, come Fiesole, l’antica Faesulae, e Cosa, presso Orbetello. Nel VI secolo gli invasori longobardi fondarono il ducato di Tuscia, fissando la capitale a nord, a Lucca. La città della Garfagnana mantenne un ruolo autorevole anche nel periodo della dominazione franca, durante il quale sorse un marchesato che portava il suo nome. Negli stessi anni gruppi di famiglie nobiliari fortificarono i loro borghi con splendidi castelli. Gli esempi sono numerosi: Monteriggioni – oggi una delle piú suggestive

LAZIO

città murate d’Italia –, Lucignano – uno dei gioielli della Val di Chiana –, Radicofani e Fosdinovo. Delicate funzioni difensive ebbero anche molti altri insediamenti posti a sud della regione: Bucine; Piancastagnaio, roccaforte aldobrandesca; Arcidosso, centro dai misteriosi monumenti esoterici; Manciano e Scansano. Nell’XI secolo gran parte dei territori furono trasferiti alla Chiesa. Il passaggio di proprietà divenne oggetto di contestazione da parte degli imperatori germanici, sfociando nell’epocale scontro tra guelfi e ghibellini. Nel Basso Medioevo la repubblica marinara di Pisa estese i suoi domini sull’intera costa della regione e anche su Sardegna e Corsica. Alcuni suoi piccoli, ma utili alleati erano Calci – che riforni-


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di Arezzo

•ANGHIARI badia S. Bartolomeo (XII sec.), Palazzo Pretorio (XIV sec.). •BUCINE resti del castello di Cennina (XII sec.), badia a Ruoti (XI sec.). •CASTIGLION FIORENTINO Palazzo Comunale e torre del Cassero (XIV sec.). •LORO CIUFFENNA mulino dell’XI sec., ponte medievale. •LUCIGNANO chiese di S. Biagio (XI sec.) e di S. Francesco (XIII sec.). •SANSEPOLCRO Fortezza del Sangallo, Palazzo della Residenza o dei Conservatori. Città metropolitana di Firenze

•CERTALDO la zona alta dell’abitato conserva una struttura medievale autentica. •FIESOLE duomo romanico (XI sec.).•GREVE IN CHIANTI pieve di S. Donato a Mugnana (XII sec.). •SCARPERIA chiesa di S. Maria a Fagna (XI sec.), palazzo trecentesco dei Vicari. Provincia di Grosseto

•ARCIDOSSO mura medievali, Rocca Aldobrandesca (X sec.). •CASTIGLIONE DELLA PESCAIA rovine di Vetulonia, Palazzo Pretorio medievale. •MANCIANO chiesa trecentesca di S. Leonardo. •PITIGLIANO (vedi box a p. 108). •ROSELLE area archeologica, fortificazione medievale Tino di Moscona. •SCANSANO cinta muraria, castello di Montepò (XI sec.). •SORANO (vedi box alle pp. 106-107)•SOVANA borgo medievale e rinascimentale •VITOZZA (vedi articolo alle pp. 100-105). Provincia di Livorno

va di legna l’industria navale pisana –, Cascina – con la sua rocca che vigilava sul confine fiorentino –, Peccioli, e Lari, una sorta di capitale amministrativa. Pisa controllava fasce di territorio del Livornese, in particolare le cittadine di Bibbona, che riuscí a conquistare una parziale autonomia, Sassetta, dominata dai nobili Orlandi, e Suvereto. Con la sconfitta di Pisa nella battaglia della Meloria contro Genova (1284), Firenze prese il sopravvento grazie alla politica espansionista dei Medici. Molti borghi storici conservano ancora l’impronta dell’antica dipendenza dalla potente Repubblica: Loro Ciuffenna; Anghiari, dove i Fiorentini sconfissero i nemici del ducato di Milano nel 1440; Scarperia, sede del vicario di Firenze; Radda in Chianti, capoluogo della Lega del Chianti; Sansepolcro. Anche Siena godette di un periodo di splendore e rafforzò i piccoli centri del suo circondario per difendersi dai rivali: possiamo in questo caso ricordare Castiglione d’Orcia; Colle Val d’Elsa, teatro di uno scontro tra Siena e Firenze nel 1269; Castelnuovo Berardenga, dalla quale si potevano controllare i movimenti dei Fiorentini al confine dei loro possedimenti; e Montefollonico.

•BIBBONA pieve del XII sec. •PIOMBINO complesso della «Cittadella» (XV sec.), chiese medievali. •SASSETTA resti del castello degli Orlandi. •SUVERETO Rocca Aldobrandesca, antiche porte cittadine. Provincia di Lucca

•ALTOPASCIO campanile della Magione degli Ospitalieri. •CASTIGLIONE DI GARFAGNANA mura, rocca e ponte medievale. Provincia di Massa-Carrara

•FOSDINOVO castello Malaspina (XIV sec.). Provincia di Pisa

•CALCI pieve dell’XI sec. •CASCINA chiese medievali. •LARI (CASCIANA TERME LARI) chiesa di S. Niccolò (XIII sec.). •PECCIOLI chiesa di S. Maria Assunta (X sec.). •VICOPISANO 12 torri, palazzi e rocca medievali. Provincia di Pistoia

•PESCIA Palazzo del Vicario e duomo del XIII sec. Provincia di Siena

•CASTELNUOVO BERARDENGA castello di Montalto in Chianti (X sec.), monastero longobardo di S. Salvatore (VII sec.) •CASTIGLIONE D’ORCIA rocca di Tentennano (IX sec.). •COLLE DI VAL D’ELSA casa torre di Arnolfo di Cambio (XIII sec.), palazzo Pretorio (XIV sec.). •MONTERIGGIONI cinta muraria medievale. •PIANCASTAGNAIO Rocca Aldobrandesca. •RADDA IN CHIANTI mura, palazzo del Podestà (XV sec.). •RADICOFANI (vedi box a pag. 105).

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ITINERARI

Toscana 6

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VITOZZA

Nella città fantasma di Carlo Casi e Luciano Frazzoni

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ntrare in una città fantasma è un po’ come perdersi nella memoria di tempi passati, che non abbiamo vissuto, ma che, grazie al fermo immagine dell’abbandono, ci sembra di poter rivivere. È questa la prima sensazione che si prova entrando a Vitozza, dove lo sviluppo ininterrotto di grotte – molte delle quali utilizzate chiaramente come abitazioni – rimanda a immagini di centri sicuramente piú famosi con cui condivide la medesima sorte, almeno sino a un passato non troppo recente. Conosciamo i nomi e le storie degli ultimi abi100

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tanti, veri e propri cavernicoli moderni, che si sono progressivamente trasferiti in alcuni paesi limitrofi e hanno dato origine al piú moderno centro di San Quirico, posto a circa 1 chilometro. Ci troviamo in quell’ultimo brandello di Toscana che si affaccia sul Lazio e sull’Umbria, protetta alle spalle dall’alto massiccio del Monte Amiata e che a sud strizza l’occhio alle sabbiose coste tirreniche vulcenti, dove sfocia il fiume principale della zona: il Fiora. Con le sue 200 e piú grotte, Vitozza risulta uno dei piú importanti ed estesi siti rupestri medie-


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vali in Italia. Sorge su uno sperone tufaceo delimitato dai valloni dei torrenti Lente e San Quirico, ed è delimitato a sud-est da una rocca, la Rocca Sud, e da un fossato artificiale; nella parte opposta, a nord-ovest, l’insediamento ha come limite naturale il profilo del promontorio, caratterizzato da pareti molto scoscese. Un varco che si apre nella cinta muraria, collegata alla Porta Sud, assicurava il controllo e la difesa nel punto di accesso verso il lato sud-ovest, mentre un altro fossato artificiale separa la rocca dal pianoro retrostante. In alto Vitozza (San Quirico di Sorano, Grosseto). I resti della «Chiesaccia», luogo di culto forse dedicato a san Quirico e la cui costruzione si può attribuire a maestranze romaniche senesi. Sulle due pagine pianta a volo d’uccello dell’insediamento di Vitozza: 1. abitazioni rupestri; 2. Rocca Sud; 3. II castello 4. «Chiesaccia»; 5. colombari; 6. acquedotto.

La «città diruta chiamata Vitozzo» non è stata visitata da George Dennis (1814-1898; archeologo e diplomatico inglese, che compí numerosi viaggi in Etruria, raccontati nel libro The Cities and Cemeteries of Etruria, n.d.r.), il quale afferma di averla vista solamente dal lato opposto di un ampio burrone, privandoci dunque di una delle sue preziose descrizioni, ma viene comunque da lui definita di epoca medievale. Piú tardi, nel 1927, l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975) parla dei colombari situati presso lo sperone di Sant’Angiolino, indicandoli come di origine romana.

Le prime ricerche e la valorizzazione

Dopo questi sporadici riferimenti, il sito sembra di nuovo cadere nell’oblio per molti decenni. Le prime ricerche archeologiche vennero infatti condotte tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta del secolo scorso, quando 67 grotte furono rilevate e numerate dal professor Roberto Parenti. In seguito, tra il 1983 e il 1984, Vitozza fu interessata da un intervento di ricerca e valorizzazione, curato della Cooperativa Archeologia di Firenze, durante il quale fu effettuato il rilievo di altre grotte, dei colombari, delle strutture della cinta muraria sud-ovest e del pianoro centrale (l’area II), e venne predisposto un percorso attrezzato di visita al sito. Dal 1998 Vitozza fa parte del Parco Archeologico «Città del Tufo» del Comune di Sorano. Per scoprire questa città fantasma, si può partire da San Quirico e seguire la strada indicata dai MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Toscana

cartelli per Vitozza; lungo il sentiero, in località Piancistalla, si incontrano un piccolo oratorio rupestre, riconoscibile dalla piccola croce, e alcune grotte, in parte ancora utilizzate dagli abitanti di San Quirico come pollai, rimesse e magazzini per gli attrezzi agricoli.

In alto Vitozza. Il ponte in legno che oggi permette di superare il fossato difensivo e, in secondo piano, i resti della Rocca Sud, la cui costruzione si può collocare nel XII sec. A sinistra una «pestarola», vasca scavata nel tufo che poteva essere adibita alla pigiatura dell’uva o a operazioni connesse alla concia delle pelli.

Pietra e polvere da sparo

Poco prima di giungere a Vitozza, si trovano le grotte n. 9, 10 e 11. La prima, presenta tre aperture lungo il sentiero, che danno accesso a un vasto ambiente circolare al centro e a pianta rettangolare sul lato sinistro; si tratta probabilmente di una cava di materiale inerte, utilizzato per la preparazione della malta; la seconda grotta (n. 10) era una cava di materiale lapideo da costruzione, come indicano i segni delle zeppe sul banco di tufo posto sulla destra; la terza (n. 11) presenta quattro aperture ed è formata all’interno dall’unione di almeno tre ambienti; conosciuta come «grotta della salnitraia», veniva probabilmente sfruttata nel XVIII secolo per la fabbricazione del salnitro, utilizzato per la polvere da sparo. Data la vicinanza di queste grotte alla struttura fortificata sullo sperone sud, è possibile pensare che servissero per la realizzazione dei conci di tufo e della malta per costruire le murature difensive. La prima struttura muraria che si incontra è la 102

MEDIOEVO NASCOSTO

Rocca Sud, posta sullo sperone roccioso della parte sud-est dell’abitato, a difesa e controllo della porta di accesso da questo lato, a cui è collegata da un muro a conci di tufo poggiante sulla nuda roccia. Definita «fortilizio diruto» nella stima catastale del 1783 (redatta in relazione all’alienazione dei beni del Granducato), era probabilmente costituita, in origine, da una se-


rie di edifici, in parte crollati o franati. Sul lato nord, si nota un largo fossato artificiale profondo circa 4 m, da cui probabilmente si accedeva alla struttura fortificata mediante un ponticello di legno. Di questa, sono attualmente riconoscibili un torrione e un tratto di muro pertinente forse a un altro ambiente, su cui si aprono due finestre; nella parete interna si notano inoltre cinque fori quadrangolari, nei quali erano alloggiate le travi del solaio del piano superiore. In base alla tecnica muraria, la fortificazione si può datare intorno alla metà del XII secolo. Proseguendo il percorso in direzione del pianoro, nel tratto tra la Rocca Sud e la chiesa, si possono notare i resti di strutture murarie in blocchi di tufo, probabilmente pertinenti ad abitazioni medievali.

Le vasche e la porta

Scendendo lungo il sentiero a sinistra, si incontra un pianoro dove sono presenti alcune «pestarole», vasche scavate nel tufo e utilizzate per la pigiatura dell’uva o la concia delle pelli. Al di sotto di quest’area, sul lato sud-ovest, si trova l’altra porta di accesso che conduceva alla parte centrale dell’abitato, e che si apre entro una imponente cortina muraria a conci di tufo, che termina a strapiombo sul fosso San Quirico. Larga 2,5 m e alta 3, la porta era sormontata da un arco, non piú conservato, ma di cui rimangono tracce negli stipiti, e presenta su un lato una mensola ancora in situ. Sulla sinistra della porta si aprivano tre feritoie, di cui una soltanto conservata. Non è chiaro se questo tratto di mura con la porta di accesso sia contemporaneo alle altre strutture difensive, o se sia stato realizzato in un momento successivo, per difendere meglio l’insediamento sul lato sud-ovest, dopo una prima fase di espansione dall’estremo sperone di Sant’Angiolino verso sud. Al centro del pianoro si trova la cosiddetta «Chiesaccia», cosí chiamata nel catasto del 1783 in quanto già diruta. Potrebbe forse trattarsi della chiesa dedicata a san Quirico citata nelle decime del 1276-77 e del 1296-1324. L’edificio è a pianta rettangolare con abside e campanile a vela. Le pareti laterali, a filaretti di blocchi squadrati di tufo, presentano finestre; su quella del lato est si apre inoltre una porta ad arco ribassato. La presenza di peducci in tufo all’interno delle pareti laterali farebbe pensare a una copertura a volta in muratura. L’abside presenta almeno due fasi costruttive, identificabili dalle diverse tecniche murarie, come si riscontra anche nel campanile. È probabile che l’edificio, nella sua fase originaria,

sia opera di maestranze romaniche senesi, a cui si devono molti degli edifici ecclesiastici presenti tra la Bassa Toscana e l’Alto Lazio. Dopo la chiesa, il pianoro termina in direzione nord-ovest con un altro fossato artificiale, al di là del quale si trova un altro edificio fortificato, che controlla una via tagliata nel tufo che conduce all’ultima parte dello sperone dell’insediamento, chiamato Sant’Angiolino dai resti di una chiesa definita nel catasto del 1783 «di S. Angelo». Oggi ne rimangono uno spigolo con la mazzetta di una porta e un’imponente massa di macerie costituite da blocchi squadrati di tufo. Non si può stabilire se la struttura fosse in origine dedicata a san Bartolomeo o san Vittore, come riportano le notizie delle decime. Non vi sono comunque tracce di altre chiese

Altre immagini delle grotte di Vitozza. È in generale molto difficile stabilire una datazione precisa per la realizzazione delle cavità e ricostruirne la frequentazione in epoca antica, poiché molte di esse hanno continuato a essere utilizzate fino a tempi recenti.

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ITINERARI

Toscana

nell’insediamento di Vitozza. Su questo pianoro, di forma pressappoco triangolare, che domina la valle del Lente e dei suoi affluenti, si trovano anche un fossato artificiale tagliato in senso nord-sud, alcuni silos e cisterne, tre grotte, di una delle quali rimangono solo due pareti e i gradini di accesso scavati nel tufo (grotte nn. 66 e 67), e due colombari.

Usi diversi e di lunga durata

Come si è detto, a Vitozza si contano oltre 200 grotte, realizzate secondo schemi e in tempi diversi. Si possono suddividere in grotte destinate al solo uso abitativo, grotte utilizzate sia come abitazione che come stalla, grotte utilizzate soltanto come stalle e ricovero per animali, e infine grotte per altri usi (forni, ricovero per attrezzi agricoli, ecc.). È da notare che quelle usate come abitazione si trovano concentrate prevalentemente sullo sperone sud-ovest, meglio esposto al sole, mentre le cavità adibite a stalle si trovano su quello nord-est. Gli ambienti utilizzati come abitazioni presentano al loro interno, sia sul pavimento che sulle pareti, tracce di manufatti funzionali alla vita quotidiana: nicchie scavate per fungere da dispensa o per appoggiarvi fonti di illuminazione; fori per graticci lignei per i giacigli (rapazzole), silos per la conservazione delle derrate alimentari o sfruttati come riserve d’acqua, in quest’ultimo caso con le pareti intonacate per renderle impermeabili. Inoltre, presentano spesso fori verticali, utilizzati come canne fumarie per disperdere il fumo dei focolari accesi per cuocere i cibi, e canalette per lo scolo delle acque piovane. Le grotte piú antiche risalgono a un periodo compreso tra il IX e il X secolo, mentre il loro utilizzo è testimoniato almeno sino al XIX secolo; si pensi che ancora tra il XVII e il XVIII secolo il costo dell’affitto di una grotta era di poco inferiore a quello di una normale abitazione.

Un confronto fuorviante

Come già ricordato, nello sperone sud-ovest, chiamato di Sant’Angiolino, Bianchi Bandinelli segnalò nel 1927 la presenza di almeno 10 grotte-colombari, da lui datate in epoca romana (I secolo a.C.-I secolo d.C.) e destinate secondo lo studioso a uso funerario per conservare le urnette con le ceneri dei defunti, in base a confronti con i numerosi colombari presenti a Roma. Di queste, soltanto tre sono attualmente visibili e praticabili, cioè la grotta n. 36, la n. 67 e un altro piccolo ambiente posto a un livello inferiore della parete tufacea in direzione della Porta Sud-Ovest. Questi ambienti sono carat104

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I resti della porta di accesso alla Rocca Sud dell’abitato di Vitozza.

terizzati da piccole nicchie disposte sulle pareti; gli studi su questo tipo di manufatti portano a escluderne l’uso funerario (le cellette sono oltretutto troppo piccole per contenere le urne in terracotta); tali ambienti venivano invece utilizzati, in varie epoche, a partire dall’età tardo-repubblicana, ma soprattutto dal Medioevo fino ai nostri giorni, per l’allevamento dei colombi a scopo alimentare. La grotta n. 36 è costituita da un primo ambiente con una porta di servizio laterale per permettere l’accesso agli allevatori; sul pavimento sono tracce di piccoli recinti, vasche e canalette per l’acqua; le pareti presentano una fitta serie di nicchie di forma ogivale; da qui si passa a una seconda stanza, anch’essa con nicchie alle pareti, e una piccola porta aperta sul dirupo, da dove i volatili potevano entrare e uscire. Con la visita ai colombari si conclude l’itinerario di Vitozza.


RADICOFANI

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adicofani si trova in una posizione centrale rispetto a vecchie e nuove vie di comunicazione: posta all’incrocio di Toscana, Lazio e Umbria, si staglia con il suo inconfondibile profilo sulla linea dell’orizzonte per chi osserva fin da Orvieto o da alcune rocche dell’alto Lazio. Con la sua Rocca e grazie alla via Francigena, Radicofani è al centro anche di quel paesaggio definito «lunare» che caratterizza i comuni meridionali della provincia di Siena. Da secoli è non solo luogo di passaggio, ma soprattutto di sosta, specialmente da quando i Senesi, nel XV secolo, spostarono la strada dal fondovalle sul crinale, perché fosse meglio controllata dalla Rocca. E infatti quasi ogni viaggiatore diretto a Roma, nel proprio diario non manca di annotare la sua sosta o il passaggio a Radicofani. La strada che saliva non entrava nel borgo ma passava davanti l’Osteria Grossa: luogo di ristoro, di ricovero per cavalli e viaggiatori, ampliata dai Medici alla fine del XVI secolo. Era l’ultima sosta prima di entrare – se diretti verso Roma – nello Stato pontificio (il confine era presso Centeno). L’importanza di Radicofani nasce dalla via Francigena, cioè da quando, al tempo dei Longobardi, il percorso della via Cassia era ormai in gran parte impraticabile e il sempre maggiore flusso di pellegrini e viandanti diretti a Roma dal Centro-Nord Europa si sposta piú verso l’interno. A ciò si lega la fondazione della potentissima abbazia di S. Salvatore, sul Monte Amiata (attribuita a tale Erfone, vicino ai re longobardi Rachi e Astolfo), che deteneva un controllo senza pari su terre e uomini dalla zona di Chiusi fino all’alto Lazio, in particolare sulla val di Paglia, il fiume che scorre ai piedi di Radicofani. La prima menzione del castello risale al 973: doveva trattarsi, probabilmente, di una sola torre in muratura, con

Due immagini di Radicofani (Siena). La cittadina è dominata dalla rocca, la cui struttura originaria, databile al XIII sec., fu distrutta nel Settecento. Quel che si vede oggi è frutto dei restauri effettuati nel 1929. Il mastio, oggetto di una completa ricostruzione, è oggi sede del Museo del Cassero, che custodisce reperti archeologici e documenti che illustrano la storia della fortezza e del suo restauro. alcune strutture in legno attorno, ed è quasi fin dalle origini al centro della contesa tra i principali signori della Tuscia meridionale, gli Aldobrandeschi, e l’abate di S. Salvatore. Tuttavia, un secolo piú tardi, Radicofani finí nelle mani dei Manenti-Firidolfi, conti di Chiusi, che proiettarono il castello verso l’ambito dei territori della val di Chiana e, infine, verso la grande potenza nascente della Toscana meridionale, Siena. Rientrata in possesso dell’abbazia di S. Salvatore, Radicofani fu oggetto di interventi di fortificazione da parte di papa Adriano IV e di Innocenzo III che nel 1198 ne sopraelevò le mura difensive. Nel 1201 il Barbarossa riconobbe Radicofani come avamposto settentrionale delle proprietà pontificie nella Tuscia. Luca Pesante

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ITINERARI

Toscana

SORANO

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l 25 ottobre 1293 Anastasia degli Aldobrandeschi di Sovana, figlia della contessa Margherita e nipote di Ildebrandino, sposò Romano di Gentile Orsini: le nozze furono cariche di conseguenze per il piccolo borgo di Sovana, al quale gli Orsini preferirono altre sedi. Il castello di Sorano divenne allora un caposaldo difensivo della vasta «Contea di Pitigliano» e assunse un ruolo decisivo nel XV secolo, quando le mire espansionistiche della Repubblica di Siena causarono aspre lotte con gli Orsini, costretti a firmare, nel 1417, una dichiarazione di indiretta sovranità dello Stato senese sulle loro terre. Alla caduta di Siena, avvenuta nel 1555, il conte Niccolò Orsini ritornò a Sorano: la famiglia ne mantenne il possesso fino al 1604 quando nulla poté contro nuovi nemici, i Medici di Firenze. L’abitato di Sorano, che conserva il caratteristico impianto medievale, è dominato dalla mole della Fortezza Orsini: costruito sotto gli Aldobrandeschi nel XIII secolo, l’edificio fu ampliato sotto il dominio degli Orsini che ne fecero un funzionale esempio di architettura militare, rispondente alle nuove esigenze dettate dall’uso delle armi da fuoco. L’assetto definitivo fu raggiunto nel 1522, con la costruzione di due bastioni angolari e del mastio centrale, a opera dell’architetto senese Anton Maria Lari. Lo stesso

Sorano (Grosseto). La poderosa Fortezza Orsini, divenuta sede del Museo del Medioevo e del Rinascimento.

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MEDIOEVO NASCOSTO

Cosimo I de’ Medici apprezzò le qualità e le soluzioni architettoniche del complesso militare, definendolo come lo «zolfanello delle guerre d’Italia». La visita della Fortezza è una scoperta continua. Nei resti dell’antico cassero, inglobati piú tardi nella ristrutturazione cinquecentesca, il Museo del Medioevo e del Rinascimento propone raffinate ceramiche recuperate nei «butti» rinvenuti non solo nella fortezza, ma anche a Sovana, Vitozza e Castell’Ottieri; è inoltre possibile ammirare, nella torre ottagonale, una stanza decorata da affreschi eseguiti intorno al 1580, che, fra grottesche e scene mitologiche, ripropongono


anche la partitura musicale di un madrigale musicato a quattro voci. Il mastio centrale, che un tempo, oltre al corpo di guardia e all’armeria, ospitava anche il magazzino della polvere da sparo e del salnitro, la fonderia e le prigioni, oggi è la sede del Centro Informazioni del Parco tematico degli Etruschi. Il mastio era collegato ai bastioni angolari, detti di San Marco (a levante) e di San Pietro (a ponente), che a loro volta ospitavano baluardi minori, abitazioni per la famiglia comitale e per i soldati, cisterne e magazzini, oltre a mulini per la lavorazione delle granaglie e della polvere da sparo. Una fitta rete di camminamenti sotterranei su piú livelli, muniti di feritoie a bocca di lupo per l’utilizzo di archibugi e colubrine, permetteva lo spostamento delle truppe nel caso di assalto nemico, attraversando rapidamente l’intero complesso, che era ulteriormente difeso, all’esterno, da un doppio fossato. Non resta dunque che andare alla scoperta di questo capolavoro dell’architettura militare rinascimentale, compresi i suoi suggestivi sotterranei: basta seguire le indicazioni suggerite nel sito web (www. museidimaremma.it), dove si ricorda che «nella visita agli ambienti sotterranei si consiglia l’uso di una giacca»! Carlo Casi

In alto ceramiche rinascimentali di varia tipologia conservate nel Museo del Medioevo e del Rinascimento di Sorano. Qui sopra la partitura di un madrigale per quattro voci riprodotta in un affresco nella torre ottagonale della Fortezza Orsini. 1580 circa.

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ITINERARI

Toscana

PITIGLIANO

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a «piccola Gerusalemme» ha origini etrusche, ma la sua vera epopea prese avvio nell’XI secolo, con una bolla di papa Niccolò II, che attesta l’esistenza del borgo chiamato Pitigliano. Nel XII secolo, era un possedimento degli Aldobrandeschi, la cui egemonia si estendeva su gran parte della Maremma, i quali dotarono il primo abitato di vari fortilizi. Nel XIV secolo, con l’avvento degli Orsini – eredi per via matrimoniale degli Aldobrandeschi –, Pitigliano divenne addirittura capitale di una contea, in guerra costante prima

con il Comune di Orvieto e poi con Siena. Un secolo piú tardi, sotto l’amministrazione del capitano di ventura Niccolò III, il borgo venne ampliato e abbellito, beneficiando del talento architettonico di personalità come Baldassare Peruzzi e Antonio da Sangallo. A partire dal Cinquecento, all’interno delle sue mura, trovarono rifugio numerosi Ebrei, in fuga dalle persecuzioni papali, che negli anni formarono una comunità stabile, incidendo in modo significativo nella vita culturale ed economica della cittadina.


L’odierna Pitigliano conserva le sembianze assunte nel suo periodo d’oro, tra Quattro e Cinquecento: arroccata su uno sperone di tufo, è cinta da splendide mura, frutto delle ristrutturazioni operate da Antonio da Sangallo sul complesso di fortificazioni di epoca aldobrandesca. Numerose sono le chiese di origine medievale tra le quali possiamo ricordare la cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo (rimaneggiata piú volte a partire dal Rinascimento), il trecentesco santuario della Madonna delle Grazie e la

chiesa dei Ss. Maria e Rocco (XII secolo). Conserva traccia dell’originario impianto medievale Palazzo Orsini (databile all’XI-XII secolo), mentre sono rinascimentali gli edifici del ghetto ebraico, tra cui la sinagoga. Fuori dalle mura del borgo si trovano resti di architetture militari dell’età di Mezzo (il castello dell’Aquila e la rocca di Morrano).

Veduta di Pitigliano (Grosseto), il cui periodo di massimo splendore è testimoniato dalle architetture quattro-cinquecentesche.


EMILIA ROMAGNA

Gradara G rra radar adaara MARE

Novilara

Urbania

ADRIATICO

Cartoceto Fossombrone Mondavio Corinaldo Offagna

Serra San’Abbondio Arcevia Sassoferrato

Cantiano Fonte Avellana

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Sirolo

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Ancona

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Acquasanta Terme

ABRUZZO

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MARCHE

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e Marche sono state, fin dalla preistoria, un’area di interazione culturale tra genti del Nord, del Sud e dell’Oriente, in virtú della posizione strategicamente centrale sull’Adriatico. In principio la regione era abitata dai Piceni, poi arrivarono i Galli e i Greci di Siracusa, che fondarono Ancona. Oltre a quest’ultima e all’antica Ascoli erano sorti da tempo altri centri abitati: Novilara, oggi frazione di Pesaro, Cupra Marittima e Belmonte Piceno. Nel 295 a.C., presso l’odierna Sassoferrato (l’antica Sentino), i Romani e i Piceni sconfissero un’alleanza composta da Galli, Etruschi e Sanniti, prendendo il controllo della regione. Fermo – che poteva battere moneta –, Jesi, Osimo – dotata di mura ciclopiche –, Camerino e Porto Recanati furono le colonie romane piú importanti, insieme a Pesaro. Intorno sorsero altri centri: Tolentino, citata da Plinio il Vecchio; Matelica, nel cui territorio sono state rinvenute numerose testimonianze d’età romana; Suasa, che all’epoca possedeva un grande foro e un anfiteatro; Fossombrone, centro strategico sulla via Flaminia; e Acquasanta, con le sue terme decantate da Tito Livio. Altre due potenti città romane, Treia e Civitanova Marche, si svilupparono su un precedente insediamento etrusco. Goti, Bizantini e Longobardi detennero anche in questo ambito un’egemonia politica dopo la caduta dell’impero romano. Fin dai primi anni del Medioevo la particolare conformazione della regione, con numerose alture e valli, favorí la nascita di borghi fortificati con velleità autonomiste. È il caso del presidio militare di Arcevia, dell’antica Cartoceto, di Force, centro di produzione del rame, della «bella del Conero», Sirolo, di Acquaviva Picena e di Serra di Sant’Abbondio. Nella guerra tra l’impero germanico e la Chiesa, quando l’Alto Medioevo volgeva al termine, prevalse il potere di Roma e le Marche, insieme al Lazio, rappresentarono la roccaforte piú antica dello Stato pontificio. Nel periodo dei Comuni molte cittadine combatterono armi in pugno per la propria indipendenza, potendo spesso contare sull’aiuto dei papi. Ancona, per esempio, non si piegò di fronte alla prepotenza di Venezia e di Federico Barbarossa. L’incantevole Visso riuscí anch’essa a difendere le proprie mura, come del resto l’inespugnabile Ripatransone. Le signorie divisero il territorio, già ampiamente frammentato, in diversi piccoli Stati: Fano e Pesaro, nel XIV secolo, presero il sopravvento, guidate dai Malatesta, mentre altri centri di potere si formarono intorno alle figure dei Montefeltro, dei Della Rovere e dei Da Varano. Molti borghi si trovarono assoggettati prima all’uno e poi all’altro nobile di turno: Corinaldo passò dal dominio dei Malatesta a quello dei Della Rovere, Gradara, luogo in cui la tradizione ambienta la vicenda di Paolo e Francesca, finí invece nelle mani dei Montefeltro dopo anni di governo malatestiano, e la stessa sorte toccò a Mondavio.


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di Ancona

•ARCEVIA mura e castelli medievali. •CORINALDO (vedi box a p. 117). •OFFAGNA rocca quattrocentesca. •OSIMO chiesa di S. Leopardo (VIIXIII sec). •SASSOFERRATO abbazia medievale di S. Croce. •SIROLO rocca dell’XI sec. Provincia di Ascoli Piceno

•ACQUASANTA TERME Castel di Luco (XIV sec.), chiesa di S. Giovanni (XIII sec.). •ACQUAVIVA PICENA rocca trecentesca. •CUPRA MARITTIMA resti della rocca di Sant’Andrea (XI sec.). •FORCE torre campanaria duecentesca. •OFFIDA chiesa gotica di S. Maria della Rocca (XIV sec.). •RIPATRANSONE Palazzo del Podestà, cinta muraria, chiese medievali. Provincia di Macerata

La rocca di Gradara (Pesaro-Urbino). La fortezza ebbe come primo nucleo il mastio poligonale (1150), attorno al quale si sviluppò il complesso oggi visibile, frutto degli interventi promossi dai Malatesta nel XIV sec. e da Alessandro Sforza nel secolo successivo. In basso Madonna del Rosario, dipinto su tela di Lorenzo Lotto noto anche come Pala di Cingoli ed eseguito dal maestro veneziano per l’altare maggiore della locale chiesa dei Domenicani. 1539. Cingoli (Macerata), Palazzo Comunale.

•CALDAROLA castello Pallotta (IX sec.). •CAMERINO Palazzo Ducale (XV sec.). •CINGOLI chiesa di S. Domenico. •CIVITANOVA MARCHE cinta muraria quattrocentesca. •MATELICA cattedrale quattrocentesca, Palazzo Ottoni (XV sec.). •MONTECASSIANO borgo medievale. •PORTO RECANATI castello svevo del XIII sec., abbazia di S. Maria in Potenza (XI sec.). •TOLENTINO (articolo alle pp. 112-116). •TREIA porte medievali, chiesa trecentesca di S. Francesco. •VISSO collegiata di S. Maria e Palazzo dei Governatori del XIII sec. Provincia di Fermo

•BELMONTE PICENO resti della cinta muraria fortificata (XV sec.). •FERMO duomo (XIII sec.), chiesa del Carmine (XIV sec.). •MORESCO rocca del XII sec. Provincia di Pesaro-Urbino

•CANTIANO chiesa duecentesca di S. Agostino, pieve di S. Crescentino (XI sec.). •CARTOCETO abitato in stile medievale. •FOSSOMBRONE Palazzo vescovile (XV sec.) e altri edifici quattrocenteschi. •GRADARA Rocca Malatestiana (XII sec.). •MONDAVIO Rocca Roveresca (XV sec.). •NOVILARA (PESARO) necropoli. •URBANIA duomo del IX sec., Palazzo Ducale. •SERRA SANT’ABBONDIO abbazia di Fonte Avellana.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Marche

TOLENTINO Il Medioevo in fiera di Francesco Pirani

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er trovare annoverato il nome della città di Tolentino nei manuali di storia occorre sfogliarne a lungo le pagine, fino ad arrivare all’età napoleonica. Si leggerà allora che, con il trattato di Tolentino, firmato nel febbraio 1797, papa Pio VI, dopo i fulminanti successi del generale Bonaparte nella campagna d’Italia, fu costretto a cedere alla Francia le regioni settentrionali dello Stato della Chiesa, nonché numerosi manoscritti e opere d’arte. Una pagina della grande storia, questa, in cui è iscritto anche il nome della cittadina marchigiana posta lungo la vallata del fiume Chienti. Se però si torna indietro nei secoli, il nome di Tolentino è destinato a scomparire dai libri. Occorre allora accantonare la storia dei grandi avvenimenti per volgersi a quelle dei numerosi centri minori che, negli ultimi secoli del Medioevo, costituirono il tessuto connettivo dell’Italia comunale. E in questo la Tolentino medievale sa mostrare una ricchezza di memorie, di monumenti e di forme d’arte tale da rendere unica e affascinante la sua storia. Tolentino conosce la sua fase di massima espansione e anche la sua fioritura artistica tra la fine del Duecento e il primo Trecento. Un piccolo Comune di castello era sorto soltanto sullo scorcio del XII secolo, ma nel corso del Duecento si era reso promotore di una forte crescita politica, economica e demografica, tanto da fare di Tolentino un vero e proprio centro cittadino. Lo dimostrano l’assetto urbanistico e l’imponente cinta muraria che ancora oggi caratterizza l’abitato. Appena fuori delle mura si innalza il duecentesco ponte del Diavolo, con ampie arcate sorrette da possenti piloni e affiancate da una torre quadrangolare merlata. A chi percorre la superstrada che collega Roma alla costa adriatica attraverso la valle 112

MEDIOEVO NASCOSTO


Il chiostro trecentesco della basilica di S. Nicola.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Marche con i Da Varano, non riuscirono nella stessa impresa a Tolentino. A dire il vero Accorrimbono, il fondatore della dinastia, era stato capace di imporre nel primo Trecento la propria autorità signorile sulla sua terra, al termine di una brillante carriera di funzionario guelfo che lo aveva visto podestà nelle piú importanti città dell’Italia centrale, quali Firenze e Siena. Ma soltanto una trentina d’anni piú tardi Accorrimbono II, suo figlio, inviso ai Tolentinati, venne trucidato nel corso di un’insurrezione popolare e la città ritornò sotto il domino diretto dello Stato della Chiesa. Se dunque il nome degli Accorrimboni non risuona piú nelle vie e nelle piazze della città marchigiana, quello di un santo frate vissuto negli stessi anni è invece largamente conosciuto in tutta Europa.

Un umile frate agostiniano

del Chienti, il ponte del Diavolo e, appena piú oltre, il profilo tipicamente medievale delle mura e delle chiese si impongono alla vista, invitando a una sosta alla scoperta della cittadina. Nel primo Trecento vivevano entro la cerchia delle mura all’incirca 4000 abitanti, molti dei quali immigrati nel corso del secolo precedente dai vicini castelli d’altura. Tolentino costitutiva allora un centro di media grandezza entro i confini della Marca d’Ancona, nello Stato della Chiesa, vivacemente animato dai conflitti fra famiglie per l’egemonia sulla città. Diversamente dai vicini Da Varano di Camerino, che seppero instaurare una duratura dominazione signorile e dar vita a una fiorente corte rinascimentale, gli Accorrimboni, imparentati 114

MEDIOEVO NASCOSTO

Cristo fra i dottori, scena compresa nel ciclo affrescato del Cappellone di S. Nicola, che secondo le proposte critiche piú recenti, andrebbe attribuito a maestranze riminesi, capeggiate dal pittore Pietro da Rimini. Primi decenni del XIV sec. Le pitture furono realizzate nel luogo che in origine ospitava la tomba del santo.

Sí, perché poche città hanno legato cosí indissolubilmente il loro nome a un santo come Tolentino a quello di san Nicola, un umile frate agostiniano vissuto nella seconda metà del Duecento e morto in odore di santità nei primi anni del secolo successivo. Il culto per il frate agostiniano si diffuse molto presto: appena una ventina di anni dopo la sua morte, precisamente nel 1325, papa Giovanni XXII inviò a Tolentino alcuni vescovi legati per istruire un’inchiesta sulla vita e i miracoli di Nicola, in vista della sua canonizzazione. Disponiamo ancora dei verbali di quell’inchiesta, che costituisce una fonte storica di eccezionale valore, poiché le 366 persone che furono interrogate (quasi la metà erano donne) ci informano su molti aspetti della società, della mentalità e della vita quotidiana dell’epoca. Molti degli intervenuti si dichiarano miracolati dal frate agostiniano e attestano che la fama di santità si era rapidamente diffusa non solo nelle Marche e nell’Umbria, ma anche nel regno di Napoli. È quanto afferma, per esempio, il notaio Berardo Appilliaterra, uno dei personaggi della Tolentino medievale che meglio conosciamo attraverso le fonti. Berardo apparteneva all’alta borghesia locale e il suo nome risulta iscritto fra i cento cittadini «di maggiore apprezzo», cioè quelli con piú beni dichiarati al fisco. Svolse la sua professione di notaio anche fuori delle Marche: in Romagna, Toscana, e anche in varie città pugliesi, per conto di re Roberto d’Angiò. Tutta la famiglia di Berardo era particolarmente devota a frate Nicola: Margherita, moglie del notaio, preparava per il religioso pane fresco nei periodi di digiuno e piatti leggeri a


In alto Transito di san Nicola, un’altra scena compresa nel ciclo affrescato del Cappellone di S. Nicola. Primi decenni del XIV sec. A destra un ex voto facente parte della ricca collezione di questi manufatti custodita nel Museo del Santuario di San Nicola. La raccolta si compone di 381 esemplari, databili fra il XV e il XIX sec.

base di verdura quando era malato. Subito dopo il trapasso del sant’uomo, la donna lavò i piedi e le mani del cadavere e mise da parte l’acqua, che a distanza di anni conservava ancora virtú taumaturgiche. A Nicola si rivolsero anche le figlie di Berardo, miracolosamente guarite da varie malattie. Anche il genero Antonio fu salvato grazie a un provvidenziale intervento del santo, che lo strappò dal mare in tempesta nell’Adriatico. Come risulta da altre testimonianze rese all’inchiesta, per i soccorsi in mare san Nicola da Tolentino ci sapeva fare almeno quanto il piú «collaudato» omonimo santo di Bari.

Una biografia per immagini

Per appassionarsi alle numerose scene di vita quotidiana rappresentate nei miracoli di san Nicola non occorre leggere in biblioteca gli atti dell’inchiesta del 1325, redatti in latino. Molto piú piacevole una gita a Tolentino per ammirare gli splendidi affreschi trecenteschi del Cappellone di S. Nicola, l’elemento senza dubbio di maggior valore artistico della basilica dedicata al santo. Il ciclo pittorico fu realizzato nel luogo dove in origine era collocata la tomba del santo, attorno al 1320, da un esponente della scuola

riminese, sulla cui precisa identità gli studiosi dell’arte hanno avanzato varie ipotesi. Le rappresentazioni della vita di Cristo, della Madonna e naturalmente di san Nicola sono tese tutte a esaltare la spiritualità dell’Ordine Agostiniano. Nella fascia che illustra la vita e i miracoli del frate alcune scene sono di taglio narrativo, come quella che ritrae Nicola fanciullo in atteggiamento da scolaro diligente, pronto a far propri gli insegnamenti religiosi. MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Marche ti studiosi di storia religiosa, la prima sicura menzione di ex voto dipinti che si conosca. Il Cappellone è senz’altro la punta di diamante, a livello storico e artistico, del vasto complesso della basilica di S. Nicola, che emerge discretamente sull’armonioso tessuto urbanistico di Tolentino. Uno sguardo attento merita la facciata della chiesa, rivestita in travertino e decorata da un bel portale marmoreo, ricco di sculture – espressione del gusto gotico fiorito – e, nella parte superiore, da un gran sole raggiante, simbolo di san Nicola. Il convento agostiniano, che affianca la chiesa, racchiude un monumentale chiostro, costruito nella seconda metà del Trecento da maestranze locali. Da notare le colonne, ognuna diversa dall’altra, costruite in cotto, di quel tipico colore brunito di cui si accendono tutte le cittadine marchigiane. Ad arricchire la basilica è il Museo del Santuario, che ospita, tra l’altro, una preziosa raccolta di ex voto, testimoniati dal XV secolo in poi, a dimostrazione della secolare devozione verso il santo. La storia religiosa di Tolentino è rimasta impressa anche in altri edifici. Inoltrandosi nelle viuzze della cittadina si scoprirà la chiesa di S. Francesco, che non poteva certo mancare in una terra serafica come le Marche. Dell’edificio duecentesco si possono ancora ammirare l’abside poligonale, finemente decorata, e all’interno pregevoli affreschi di scuola riminese.

Nel nome del santo patrono

Altre scene testimoniano invece l’intervento del soprannaturale: in una il frate risuscita una giovane donna, in un’altra risana post mortem i malati accorsi numerosi sulla sua tomba; fra questi si individuano alcune indemoniate che vomitano diavoli dalla bocca. Gli affreschi, che si impongono allo sguardo del visitatore per la loro straordinaria bellezza e cura formale, costituiscono anche una prova della rapida e ampia diffusione della fama sanctitatis di Nicola. Secondo le testimonianze raccolte nell’inchiesta del 1325, i pellegrini che si recavano sulla tomba del santo lasciavano qui non soltanto abiti e oggetti personali in segno di riconoscenza, ma anche ex voto dipinti per conto di chi era impossibilitato a intraprendere il pellegrinaggio. È questa, a detta di importan116

MEDIOEVO NASCOSTO

Il ponte del Diavolo, eretto nel 1268 su disegno di Mastro Bentivegna. Nella pagina accanto la scalinata di via Piaggia nel borgo di Corinaldo (Ancona), con il pozzo della Polenta, edificato nel Quattrocento su iniziativa del tiranno Antonello Accattabriga.

All’ingresso del centro storico si incontra invece il duomo intitolato a san Catervo, patrono della città, che presenta eleganti forme neoclassiche; nel Medioevo era una chiesa benedettina, di cui sopravvive il portale romanico posto sul fianco. Il sarcofago di san Catervo, del IV secolo, vede raffigurato nei bassorilievi che lo adornano il protomartire di Tolentino, e testimonia gli splendori della città in età tardo-antica. Oltre alle spoglie del santo, l’arca conserva i corpi della moglie Settimia Severina e del figlio Basso. All’epoca di san Nicola la festa di san Catervo radunava a Tolentino, fra il 9 e il 10 settembre di ogni anno, fedeli, viaggiatori e mercanti. In quei giorni veniva organizzata una grande fiera, che si protraeva per altri quindici giorni. Il Comune si impegnava a retribuire i giullari venuti per l’occasione e nominava un comitato di cinquanta uomini per i festeggiamenti. Ancora oggi, attraversando le vie cittadine, si può respirare la stessa atmosfera e avvertire l’eco di quello spirito civico che nei secoli ha animato, qui come altrove, la vita dei centri minori della Penisola.


CORINALDO

L

La tradizione identifica Corinaldo come un luogo destinato a rifugio, che avrebbe preso nome dall’espressione latina «curre in altum» («fuggi in alto»), a evidenziare una ben protetta posizione collinare. Sorto intorno all’XI secolo, il borgo occupa in effetti un sito di notevole importanza strategica. Ottenne l’autonomia comunale nel XIII secolo e si schierò dalla parte guelfa durante i conflitti tra papato e impero fino ai primi anni del Trecento. Conquistato dal condottiero ghibellino, Nicolò Boscareto, vicario sul territorio del monarca Ludovico il Bavaro, si espose agli attacchi delle truppe papali che, nell’estate del 1360 assediarono il borgo. Guidati da Galeotto Malatesta, i guelfi ebbero la meglio e distrussero gran parte dell’abitato, con una tale furia da rendere necessaria, negli anni seguenti, una lunga opera di ricostruzione, che si concluse nel 1367. Alla dominazione malatestiana subentrarono il governo degli Sforza e, agli inizi del Quattrocento, l’era dei Della Rovere, che resistettero con successo all’assedio del capitano di

ventura Braccio da Montone (al secolo Andrea Fortebracci, 1368-1424). Alla fine del Medioevo, le mura malatestiane vennero rafforzate, soprattutto sul versante meridionale, e alla progettazione dell’intervento contribuí il celebre architetto senese Francesco di Giorgio Martini. Nel 1517, le imponenti fortificazioni ressero l’urto anche dell’esercito del duca di Urbino che, dopo 23 giorni di assedio, si vide costretto a rinunciare all’impresa. Il borgo odierno è ancora difeso dalla possente cinta, tra le meglio conservate del Centro Italia, con i suoi 912 m di lunghezza, i merli a coda di rondine, le torri, le numerose feritoie, i camminamenti di ronda e le porte. All’epoca medievale sono inoltre riferibili la Casa del Trecento; la chiesa di Madonna del Piano; la collegiata di S. Francesco (XIII secolo), che, però, dopo ripetuti rimaneggiamenti, si mostra oggi in forme seicentesche. Risale invece al XVIII secolo la chiesa di S. Nicolò, comunemente detta di S. Agostino e poi trasformata nel santuario dedicato a santa Maria Goretti (che a Corinaldo nacque il 16 ottobre 1890).

MEDIOEVO NASCOSTO

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Sansepolcro

Città di Castello

Arezzo

Tevere

Montone

TOSCANA Cortona Lago Trasimeno

Pietralunga

MARCHE

Gubbio

Fabriano

Umbertide

Tolentino

Gualdo Tadino Corciano

Perugia

Castiglione del Lago Panicale

Città della Pieve

Bettona

Nocera Umbra

Assisi

Deruta

Spello

Cannara

Foligno

Bevagna

Gualdo Cattaneo

ra Trevi Ne Campello sul Clitunno

Montefalco Massa Martana Acquasparta

Todi Orvieto Lago di Bolsena

Montecastrilli

Avigliano Umbro

Alviano Lugnano Amelia in Teverina

Ferentillo

Terni

UMBRIA

Lago di Vico

G

li Umbri furono gli abitanti originari del «cuore verde» dell’Italia prima dell’arrivo degli Etruschi e si insediarono nei luoghi delle odierne città di Bettona, Otricoli, Trevi, Pietralunga, Assisi, Gubbio, Città di Castello, Perugia, Terni e Spoleto. L’arrivo degli Etruschi inaugurò un periodo di conflitti che fece da preludio all’invasione romana del 259 a.C, dopo la vittoria di Sentino. Molti borghi preesistenti si espansero e altri vennero fondati ex novo: Bevagna, nota oggi per l’annuale mercato delle Gaite, Massa Martana e Cascia, la futura città di Santa Rita. Nel 552 gli Ostrogoti furono sconfitti dai Bizantini a Gualdo Tadino, ma riuscirono a penetrare in seguito in territorio umbro. Con l’arrivo dei Longobardi, nel 575, si creò anche a quelle latitudini una netta separazione tra aree. Una zona, sotto la guida del ducato di Spo-

LAZIO

Monteleone di Spoleto

Cascata delle Marmore

Narni Otricoli

Norcia

Cascia

Rieti

ABRUZZO

Orte Viterbo

Spoleto

leto, era in mano longobarda, mentre il cosiddetto «corridoio bizantino» permetteva a Costantinopoli di mantenere il controllo su alcuni centri ben fortificati come Amelia – già potente città romana –, Narni, Todi, Perugia, Orvieto e Gubbio. I centri piú importanti del ducato spoletino erano, oltre a Spoleto, Spello – importante sede vescovile –, Nocera Umbra – nella delicata posizione di confine con i possedimenti bizantini –, Norcia, Assisi e Terni. Altri borghi rivestivano un ruolo fondamentale per la difesa del territorio, in particolare Scheggino, Monteleone di Spoleto, sorta intorno a una rocca che dominava la Valnerina, Ferentillo e Arrone. Le spinte autonomiste delle città umbre trovarono sfogo all’indomani del crollo dell’impero di Carlo Magno. Molti territori appartenenti ai Franchi passarono allo Stato pontificio. Nel X secolo alcune zone, sotto l’influenza dell’imperatore germanico Ottone I, furono inglobate in una struttura autonoma,


I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di Perugia

le terre Arnolfe, di cui facevano parte Montecastrilli, Acquasparta, Avagliano Umbro e Sangemini. Nel periodo dei Comuni si rafforzarono i poteri amministrativi delle singole città che continuarono a essere contese tra l’impero germanico e la Chiesa. I papi prevalsero e, nel 1198, riuscirono a impossessarsi dell’intera Umbria. Una delle conseguenze della svolta politico-religiosa della regione fu il proliferare di movimenti spirituali e il moltiplicarsi di santuari. Con lo scisma avignonese la Chiesa perse influenza temporale nei suoi territori italiani, favorendo il sorgere di potenti signorie che si mostrarono, talvolta, molto rispettose della volontà di autodeterminazione delle cittadine sottomesse. Panicale, assoggettata ai nobili di Perugia, ebbe un suo statuto. Nel XV secolo il signore Braccio da Montone conquistò per un breve periodo una cospicua fetta di territorio umbro mostrandosi, invece, piú dispotico. Alcuni borghi combatterono con valore per non essere espugnati: Corciano, per esempio, che riuscí a respingere gli attacchi del celebre condottiero.

In alto Spello (Perugia), S. Maria Maggiore, Cappella Baglioni. Conosciuto anche come Cappella Bella, l’ambiente fu affrescato dal Pinturicchio tra il 1500 e il 1501. Fra le scene del ciclo, nella parete centrale, vi è la Natività qui illustrata. Nella pagina accanto, in basso piatto in ceramica al cui interno è raffigurato un angelo annunciante. Manifattura di Deruta (Perugia), XVI sec. Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Dalle botteghe della cittadina umbra uscirono le piú raffinate maioliche rinascimentali.

•BETTONA cinta muraria con resti etruschi. •BEVAGNA chiesa di S. Michele Arcangelo, cinta muraria. •CAMPELLO SUL CLITUNNO castello medievale di Campello Alto, eremo francescano. •CANNARA chiesa duecentesca di S. Biagio. •CASCIA monastero di S. Rita, chiesa di S. Antonio Abate (XIV sec.). •CASTIGLIONE DEL LAGO fortezza duecentesca. •CORCIANO cinta muraria medievale. •DERUTA porta medievale, ospedale quattrocentesco. •GUALDO CATTANEO castello di Simigni (XII sec.). •GUALDO TADINO Rocca Flea (XII sec.), chiesa monumentale di S. Francesco (XIV sec.). •MASSA MARTANA porta di accesso medievale, chiesa di S. Maria della Pace in stile rinascimentale. •MONTEFALCO cinta muraria, chiesa trecentesca di S. Agostino. •MONTELEONE DI SPOLETO (vedi box alle pp. 128-129). •MONTONE rocca di Braccio, chiese medievali. •NOCERA UMBRA torrione Campanaccio risalente all’XI sec. •PANICALE Palazzo del Podestà, collegiata di S. Michele Arcangelo. •PIETRALUNGA pieve di S. Maria (VIII-X sec.), rocca longobarda. •SPELLO mura romane, chiesa duecentesca di S. Maria Maggiore. •TREVI centro storico dalla struttura concentrica d’origine medievale. Provincia di Terni

•ACQUASPARTA (vedi articolo alle pp. 122-127). •ALVIANO castello Doria Pamphili. •AMELIA duomo del IX sec. •FERENTILLO borgo di assetto medievale. •LUGNANO IN TEVERINA chiesa romanica di S. Maria Assunta (XII sec.). •MONTECASTRILLI chiesa romanica di S. Lorenzo in Nifili (XI sec.). •OTRICOLI resti di epoca romana. •NARNI borgo in gran parte medievale; palazzo del Podestà (XIII sec.), cattedrale (XI sec.), rocca trecentesca.

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Umbria

ACQUASPARTA

Un gioiello nelle Terre Arnolfe di Sonia Merli

«N

omina sunt consequentia rerum» («I nomi sono conseguenti alle cose»). Cosí asseriva Giustiniano nelle Institutiones (II, 7, 3) e la definizione trova ancora una volta conferma analizzando l’etimologia del toponimo Acquasparta, luogo da sempre rinomato per le sue acque. Prova ne sia il fatto che i Romani chiamavano quell’area ad Aquas Partas, con ciò alludendo alla posizione tra le fonti dell’Amerino e del Furapane, ove si raccolgono le acque del vicino bacino idrogeologico dei Monti Martani «che naturalmente vanno spargendosi», come scriveva nel 1765 Giovan Battista Alvi nel suo Dizionario topografico tudertino. Accantonando per un momento i confini attuali dell’Umbria, «cuore verde d’Italia», e prendendo invece come riferimento la viabilità e la

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MEDIOEVO NASCOSTO

geografia storica, Acquasparta si colloca da secoli in posizione strategicamente sopraelevata lungo il tracciato della via Flaminia, a metà strada fra Todi e Terni (l’antica Interamna). Piú in particolare, a partire dal X secolo, a costituire la cornice di riferimento furono le Terre Arnolfe, ovvero quella porzione di territorio costellata di castelli che si estendeva tra Spoleto, Terni e Narni e che, al tempo di Innocenzo III (11981216), si configurò come distretto amministrativo – di cui Cesi era il centro dominante – «in demanio e dominio della Chiesa Romana».

Riaffermare i diritti della Santa Sede

Nel lungo e travagliato processo di trasformazione da entità patrimoniale a soggetto statuale che interessò il Patrimonio di San Pietro, si deve infatti all’energico pontefice la tenace messa in


atto di una strategia di riaffermazione dei diritti della Santa Sede tramite la cosiddetta politica delle recuperationes. Una politica volta, prima di tutto, a ricomporre la frammentaria base territoriale del dominio temporale della Chiesa, che faceva leva sulle «promesse» e sulle «donazioni» dei re franchi, riassunte dapprima nel patto di conferma stretto da Ludovico il Pio con Pasquale I, nonché rinnovate e successivamente confermate da vari imperatori. Se la denominazione Terra domini Arnolfi o Terre Arnulforum sembra dunque riconducibile a un antico signore dei luoghi di nome Arnolfo – verosimilmente di origine germanica e feudatario dell’imperatore –, di fatto quelle terre di diritto imperiale si tramandarono ai discendenti di Arnolfo – dei quali si trovano ripetute menzioni nel corso dell’XI secolo in atti di donazione di chiese alle potenti abbazie di Montecassino e di S. Maria di Farfa – nel piú ampio quadro dei possedimenti rivendicati dalla Chiesa. E proprio per questa ragione, in una sorta di rovesciamento di fronte, fu l’imperatore Enrico II a donare a Benedetto VIII, in cambio di certi territori della Carinzia, le cosiddette Terre Arnolfe, cosí indicate nel privilegio imperiale del 1020: «Ecclesie Sancti Petri transcribimus, concedimus et confirmamus omnem illam terram quam, inter Nar-

niam, Teramnem vel Spoletum, ex Regni nostri parte habimus» («alla Chiesa di San Pietro assegniamo, concediamo e confermiamo ogni terra che, tra Narni, Terni e Spoleto, possediamo in quanto facente parte del nostro Regno»). I discendenti di Arnolfo divennero perciò vassalli del pontefice all’interno di una piú ampia area geografica (detta, a partire da Innocenzo III, Patrimonium beati Petri in Tuscia), posta sotto la giurisdizione diretta della Santa Sede e destinata a divenire parte integrante dello Stato della Chiesa.

Un autentico cardine militare

Veduta di Acquasparta (Terni). Sulla destra, si riconosce la maestosa mole del Palazzo Cesi, una splendida architettura rinascimentale progettata dall’architetto Gian Domenico Bianchi, che fu sede dell’Accademia dei Lincei e dimora del duca Federico Cesi.

In tale scenario, le fonti duecentesche evidenziano a piú riprese la rilevanza strategica di questa circoscrizione territoriale minore, che lo storico Filippo Orsini ha definito come un vero e proprio «cardine militare per fronteggiare le irrequietezze del ducato di Spoleto» e, nei momenti di massima tensione con l’impero, le incursioni degli Svevi. Se già nel 1227 fu infatti rettore delle Terre Arnolfe fra’ Giovanni, cavaliere gerosolimitano, nel 1262 Urbano IV stabilí che una parte delle entrate della chiesa di S. Erasmo fosse stanziata per il mantenimento della rocca di Cesi e del suo castellano, ripetutamente reclutato tra persone di fiducia del pontefice provenienti dalle fila dell’Ordine ospeda-

MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Umbria

liero di San Giovanni di Gerusalemme, peraltro già capillarmente insediatosi nel territorio. Tale circostanza prova che, in quel torno di anni, i rettori e i castellani inviati in loco avevano prima di tutto una funzione stabilizzante, evidentemente corroborata dall’esperienza e autorevolezza acquisite in ambito diplomatico, politico e militare: basti pensare al caso di fra’ Biancuzio da Lucca, che fu addirittura uno degli ostiari di Martino IV. E delle prerogative del «castellanus, qui ponitur et mictitur per sanctam Romanam Ecclesiam et dominum camerarium domini pape» («castellano che è posto e inviato da santa Romana Chiesa e dal camerario del papa»), si parla a piú riprese nei Capitula Terre Arnulforum, precoce esempio di statuto rurale con il quale si regolamentava la vita di questo esteso territorio, già al tempo articolato in «castellati» comprendenti al loro interno borghi fortificati e ville.

Lo smembramento del feudo

Partendo dunque dal presupposto – come scrive Renzo Nobili – che «il nucleo originario della concessione imperiale al conte Arnolfo comprendeva anche i territori di Massa Martana, Acquasparta, Montecastrilli e San Gemini», ecco che, dagli inizi del XIII secolo, si assiste al progressivo smembramento del lato ovest dell’antico feudo, i cui castelli piú importanti divennero oggetto delle mire dei Comuni circostanti, impegnati nell’accrescimento dei loro rispettivi territori di pertinenza. Lo comprova, a posteriori, l’elenco fatto redigere nel 1364 dal cardinale legato Egidio Albornoz, da cui risulta che le Terre Arnulforum si componevano di cin122

MEDIOEVO NASCOSTO

La commenda gerosolimitana di S. Giovanni de Buttis o de Budes, in un disegno tratto da un manoscritto. Situata poco a sud di Acquasparta, è un esempio eccezionale del capillare sistema insediativo creato dall’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme all’indomani della prima crociata.

que castellati – Cesi, Portaria, Macerino, Castiglione e Gallicitoli –, ciascuno dei quali governato da due ufficiali nominati dagli stessi abitanti: il capitanius e il massarius. In questo complesso e mutevole scenario, era dunque inevitabile che le vicende di Acquasparta si andassero a incrociare con quelle della vicina Todi, Comune in forte ascesa e, dagli inizi del Duecento, impegnato in un’ambiziosa politica di espansione della propria giurisdizione a danno di quella cinta di signorie territoriali e di feudi che, a sud-est, si traduceva giustappunto nel dominio dei discendenti di Arnolfo, nel frattempo attestati nelle fonti come Bentivenga o nobili di Acquasparta. In particolare, risale al 1208 la sottomissione di Amelia e al 1217 quella ancora piú strategica di Terni, che garantiva a Todi il controllo della conca circostante attraversata dalla via Flaminia, l’asse viario che collegava Roma all’Adriatico, allungandosi oltre gli Appennini. Dopodiché, tra il 1217 e il 1232, si registra la sottomissione di varie terre appartenenti all’antico feudo degli Arnolfi: in quest’area, infatti, Todi obbligò dapprima i signori del castello di San Gemini a lasciare libero il passaggio lungo il tratto di Flaminia da esso dipendente e, nel 1229, ricevette la dedizione degli uomini di San Gemini; quindi acquisí i territori di Pian dell’Ammeto dei conti di Marsciano (1220) e la tenuta degli Arsicciali (1232). Dal Registrum vetus instrumentorum, costituito dalla raccolta dei diritti e delle prerogative giurisdizionali vantate dai tuderti sulle comunità sottomesse, risulta inoltre che il 28 marzo 1233 Rinaldo di Uffreduccio di Bonconte, signore di Alviano, oltre all’omonimo castello aveva ceduto al Comune di Todi anche Porchiano, Attigliano e i possedimenti di Guardea. E tutto ciò alle medesime condizioni della già avvenuta sottomissione del castello di Acquasparta, di cui, purtroppo, non si è tramandato l’atto, né in originale, né in copia.

Mille cavalieri per la difesa

A fornire un’idea dell’estensione raggiunta dalla Dominante è invece il libro dei fuochi dei castelli e delle ville della città di Todi, da cui risulta che, nel 1290-1292, nel castrum di Acquasparta erano stati censiti e registrati 189 foculares. Va da sé che un territorio cosí esteso andava adeguatamente protetto e che le autorità cittadine, in caso di chiamata alle armi, dovevano poter contare su forze adeguate, ragione per cui il Comune di Todi giunse nel tempo a disporre di una milizia (detta accavallata) che si compo-


In alto particolare dell’affresco raffigurante la città di Todi e il suo territorio. Todi, Museo Civico. A destra una veduta esterna del complesso architettonico di S. Giovanni de Buttis. XIV sec.

neva di ben 1300 cavalieri, i cui cavalli, a fronte di una pena pecuniaria, dovevano obbligatoriamente essere forniti dalle famiglie residenti tanto in città quanto nel comitatus. Sulla base della propria capacità contributiva, periodicamente accertata e registrata nei catasti, le varie famiglie erano dunque tenute ad accudire da un massimo di quattro cavalli a un minimo di un quarto (nel qual caso, evidentemente, in socie-

tà), come dimostra quella fonte eccezionale che è il Libro dell’accavallata dell’anno 1340, da cui risulta che al tempo gli uomini de castro Aquasparte si facevano carico (individualmente o in società) della tenuta di 47 cavalli e un quarto. Come prevedibile, nella lista spiccavano Galgano e Raniero di Bonaccorso dei nobili di Acquasparta, con ben quattro cavalli. L’affermazione definitiva, nei primi decenni del MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Umbria Trecento, della parte popolare alla guida della città di Todi trova il suo massimo riscontro nello Statuto del 1337, corpus normativo alla base del governo del Comune, ma anche specchio di quel riassetto di tipo istituzionale promosso dalla pars Populi che si tradusse, tra le altre cose, nella repressione dei comportamenti violenti e in una serie di provvedimenti antimagnatizi. E infatti, di lí a poco, in ottemperanza a quanto prescritto nel capitolo 89 del Libro IV dello Statuto («Qualiter fiat liber dividens magnates civitatis et comitatus a popolaribus», «In quale modo sia fatto il libro con il quale si distinguono i magnati della città e del comitato dai popolari»), fu realizzato un apposito registro nel quale si elencavano i nomi dei casati appartenenti al gruppo dei «potenti e magnati» residenti in città e nel comitato. In particolare, nel caso di Acquasparta, tra le famiglie magnatizie estromesse dal governo cittadino comparivano nelle posizioni di vertice della lista Mannuccio di Simone e i suoi discendenti, appartenenti a quella stessa stirpe dei Bentivenga che, secondo la tradizione locale – non recepita però dalla storiografia piú aggiornata –, nella seconda metà del Duecento avrebbe dato i natali a ben due cardinali: Bentivenga In alto e in basso particolari della decorazione parietale ad affresco in cui compaiono i ritratti dei due cardinali della famiglia Bentivenga. Todi, Museo Civico. In alto, Matteo Bentivenga; in basso Bentivenga Bentivegni. A destra l’atto con cui Matteo d’Acquasparta destinava la propria biblioteca al Sacro Convento di Assisi e al convento di S. Fortunato di Todi.

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MEDIOEVO NASCOSTO


Bentivegni (1230 circa-1290) e Matteo Bentivenga d’Acquasparta (1240 circa-1302). Matteo d’Acquasparta entrò giovanissimo nell’Ordine francescano nel convento di S. Fortunato di Todi e completò gli studi a Parigi, dove, conseguito il grado di «baccelliere biblico» e di «baccelliere sentenziario», esercitò la docenza per vari anni, nel corso dei quali conseguí anche la licenza e il dottorato in teologia. Rientrato in Italia nel 1279, proseguí l’insegnamento nello Studium Curiae in qualità di lettore del Sacro Palazzo; fu quindi ministro generale dell’Ordine nel 1287-1289 e cominciò la sua brillante carriera in Curia, con l’incarico di penitenziere maggiore.

Seppellito con tutti gli onori

Fu creato cardinale prete di S. Lorenzo in Damaso nel 1288 dal suo confratello Niccolò IV (il primo papa francescano) e, nel 1291, venne promosso cardinale vescovo di Porto e Santa Rufina. Salito al soglio pontificio Bonifacio VIII, Matteo ne divenne uno dei piú vicini collaboratori, impegnandosi nell’organizzazione e nella predicazione della crociata contro i Colonna. Morí nell’ottobre del 1302 e fu seppellito con tutti gli onori nella basilica di S. Maria in

Due pagine del Libro dell’accavallata, registro in cui erano censite le famiglie piú benestanti di Todi e del comitatus tenute a contribuire al mantenimento della milizia cittadina. 1340.

Aracœli, al cui interno è ancora oggi visibile lo splendido monumento funebre. Matteo d’Acquasparta fu menzionato da Dante nella Commedia, ove, per bocca di san Bonaventura, si dice: «Non fia da Casal né d’Acquasparta / là onde vegnon tali alla scrittura, / ch’uno la fugge, e l’altro la coarta» (Paradiso, XII, 124-126). Il cardinale è noto tra gli studiosi di storia del libro antico per un atto di donazione del 1287, con il quale – dopo aver lasciato l’insegnamento e prima di essere eletto generale dell’Ordine – egli disponeva, previa licenza di Onorio IV, che la sua ricca biblioteca personale fosse destinata, in parti piú o meno uguali, al Sacro Convento di Assisi (36 codici) e al convento di S. Fortunato di Todi (40 codici). Si trattava di libri, spesso miscellanei, contenenti opere nelle quali si riassumevano tutti i momenti piú significativi del sapere medievale e dunque funzionali alla cultura scolastico-universitaria dell’epoca. Ma, soprattutto, questo ricco e vario corpus di opere riflette la vitalità intellettuale di un frate minore dotto e militante, rinomato docente e scrittore dalla mente acuta, ma anche uomo di curia al fianco di Bonifacio VIII nella affermazione della plenitudo potestatis. MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Umbria

Roma, basilica di S. Maria in Aracoeli. Particolare del monumento funebre del cardinale Matteo d’Acquasparta, opera di Giovanni di Cosma. Nella lunetta, affresco coevo di Pietro Cavallini. 1302-1303.

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poraneamente estromessa da Todi – fu assalita ed espugnata da Altobello Chiaravalle. I priori di Todi, stanchi delle continue scaramucce e scorrerie che stavano affliggendo i territori dell’Umbria meridionale, chiesero allora aiuto a Lucrezia Borgia, al tempo governatrice di Spoleto.

L’assedio e la presa della città

Pergamena con sigillo in ceralacca del cardinale Matteo d’Acquasparta.

Acquasparta rimase sotto la giurisdizione di Todi fino all’8 agosto 1489, allorché Innocenzo VIII, con breve papale, la dichiarò «terra franca». Tale libertà fu però ben presto insidiata dagli «effetti collaterali» della rivalità fra gli Atti e i Chiaravallesi, che da oltre due secoli tormentava la città di Todi, mettendone a dura prova gli equilibri di governo. Fu cosí che, nel settembre del 1499, l’incauta Acquasparta – eletta a roccaforte della fazione avversa degli Atti, tem-

La reazione di Alessandro VI non si fece attendere: nell’agosto dell’anno successivo, infatti, contro il ribelle Altobello, che si era rintanato ad Acquasparta con 8000 uomini, fu inviato un esercito di 13 000 soldati posti sotto la guida dei migliori capitani di ventura dell’epoca. Dopo un lungo assedio e un bombardamento durato diverse ore, gli assedianti riuscirono finalmente ad aprire una breccia nelle mura del castello. Catturato Altobello, della sua esecuzione si occuparono personalmente Giampaolo Baglioni e Vitellozzo Vitelli. A fare le spese di questa drammatica situazione fu ovviamente l’antico borgo, messo a sacco e dato alle fiamme senza pietà. Da quel momento Acquasparta fu nuovamente riunita alle Terre Arnolfe, tornando cosí a essere demanio inalienabile sotto il diretto controllo della Camera Apostolica. MEDIOEVO NASCOSTO

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ITINERARI

Umbria

MONTELEONE DI SPOLETO

«A

dhuc vivit», «ancora resiste», recita un motto latino datato al 1517, inciso sull’architrave di una delle finestre di palazzo Pantalei in uno sperduto borgo dell’Umbria. Fa molto piacere, dopo cinque secoli, poterlo ancora leggere, nonostante i numerosi eventi sismici che hanno tristemente segnato la storia di questi luoghi, a cui il motto sembra alludere. Parliamo di Monteleone di Spoleto (Perugia), le cui imponenti architetture risalenti al Medioevo ci narrano di un passato ricco di storia. Situato nell’Appennino centrale umbro, dominato dalla maestosità del monte Terminillo, in un’area di confine con la provincia reatina, a pochi chilometri da Leonessa, Cascia e Spoleto, la storia di questo luogo ha inizio con l’epoca in cui queste terre erano abitate da popolazioni proto-italiche. Lo attestano i ritrovamenti effettuati presso la necropoli protovillanoviana di Colle del Capitano, una località in cui, agli inizi del XX secolo, furono peraltro recuperati i resti di una biga lignea ricoperta in bronzo (databile al VI secolo a.C.), che oggi sono uno dei vanti della collezione di antichità del Metropolitan Museum of Art di New York. Passata nel III secolo a.C. sotto la dominazione romana e, successivamente, inglobata nel ducato longobardo di Spoleto, è nel V secolo che si inizia a parlare piú concretamente di Monteleone, anzi di Brufa, come fu denominata la rocca sorta nella parte piú alta dell’attuale paese, e di cui sono ancora visibili alcuni resti. A partire dai secoli X-XI e soprattutto in seguito alle scorrerie saracene, il borgo fu dotato di una prima cinta muraria, con torri oggi in parte dirute a causa appunto dei sismi. A contraddistinguere il borgo di Monteleone, rispetto ad altri paesi limitrofi, è proprio l’imponenza di queste mura che, a causa di continui scontri con i vicini Comuni, vennero ampliate a piú riprese con altre due cerchie murarie, tanto da creare, agli occhi del moderno visitatore, un effetto di straniamento dovuto al contrasto tra le ridotte dimensioni dell’abitato rispetto al possente apparato difensivo. Attraverso le tre porte della seconda cinta di mura, risalente alla seconda metà del XIII secolo, si accede al nucleo piú antico del borgo, che si sviluppa in un dedalo di viuzze secondo un impianto urbanistico medievale. In corrispondenza della Torre dell’Orologio che domina il paese, si trovano la graziosa piazzetta del mercato, anticamente fulcro della vita cittadina, e il convento trecentesco di S. Francesco, senza dubbio la piú interessante architettura sacra del luogo. La chiesa superiore, caratterizzata da un ricco portale gotico, è impreziosita da affreschi tre-quattrocenteschi. Tra un orpello barocco e l’altro, si distinguono quelli raffiguranti la Morte della Vergine, San Giorgio a cavallo, Madonna con Bambino e Santi.

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Nella chiesa inferiore, al piano sottostante, oltre a due edicole del Trecento – ma una sola ben visibile – raffiguranti Madonna con Bambino e Santi, troviamo un’abside interamente affrescata (tardo XIV secolo) con tanto di bestiario, e una moltitudine di santi e sante da costituire una variegata iconografia agiografica. Con l’acquisizione della propria autonomia, Monteleone continuò, nei suoi alti e bassi, a scontrarsi in un rapporto di amore-odio con Spoleto, sino al 1560, quando papa Paolo IV riafferma la totale autonomia del Comune sotto il controllo della legazione pontificia di Perugia. Grazie al ritrovato equilibrio, Monteleone conosce una crescita demografica con la conseguente costruzione di una terza cerchia di mura con sei torri a difesa del nuovo spazio urbano. E agli ampliamenti urbanistici corrisponde l’introduzione di nuovi stili architettonici. Accanto ai numerosi edifici tardo-medievali, ecco sorgere nuovi palazzi in cui le ogive lasciano gradualmente spazio alle finestre architravate e a portali bugnati, di squisito sapore rinascimentale. Dal XVI secolo, un’altra singolare abitudine da parte dei Monteleonesi fu quella di far incidere motti latini sui portali dei palazzi. Queste facciate «parlanti» costituiscono una vera curiosità, e la loro presenza è un altro sintomo della mutata sensibilità verso il panorama culturale affermatosi con l’Umanesimo. Sebbene i disastrosi terremoti del passato abbiano infierito su queste terre, lasciando ampie ferite sul patrimonio artistico e architettonico, del borgo antico sopravvive incorrotto, ancora oggi, tutto l’incanto delle stradine, delle case arroccate, delle ampie cinte murarie, grazie anche a una premurosa politica di recupero e salvaguardia che ha permesso di preservarne tutta l’antica bellezza… Come d’altronde leggiamo in un altro motto latino inciso sul portale di palazzo Barnabò, «Enitendum ad virtutem», «occorre impegnarsi per raggiungere la virtú»: ed è proprio quello che le autorità locali hanno dimostrato di saper fare nel caso di Monteleone di Spoleto. Franco Bruni

Monteleone di Spoleto (Perugia). La Torre dell’Orologio, che, aperta da un arco ogivale, dà accesso alla fiancata della chiesa di S. Francesco (XIV sec.).


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VO MEDIO E Dossier n. 61 (marzo/aprile 2024) Registrazione al Tribunale di Milano n. 233 dell’11/04/2007

Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Angelo Poliziano, 76 – 00184 Roma tel. 06 86932068 - e-mail: info@timelinepublishing.it Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it Lorella Cecilia (Ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it Impaginazione Alessia Pozzato Amministrazione amministrazione@timelinepublishing.it Gli autori Silvia Beltramo è professoressa associata di Storia dell’Architettura al Politecnico di Torino. Franco Bruni è musicologo. Dario Canzian è ricercatore di storia medievale presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Padova. Carlo Casi è direttore scientifico della Fondazione Vulci. Francesco Colotta è giornalista. Paola Anna Marina De Marchi è archeologa medievista, già direttrice del Parco Archeologico ed Antiquarium di Castelseprio. Luciano Frazzoni è archeologo. Sonia Merli è storica del Medioevo. Luca Pesante è archeologo medievista. Francesco Pirani è professore associato di storia medievale presso l’Università degli Studi di Macerata. Illustrazioni e immagini Shutterstock: copertina e pp. 4/5, 30, 32/33, 44, 46/47, 48/49, 49, 50-51, 54, 57 (alto), 65 (alto), 66-71, 72 (basso), 74/75, 76-77, 79, 80, 83 (alto), 84/85, 86/87, 90/91, 92-93, 94 (basso), 95, 96, 98/99, 105, 112/113, 117, 120/121, 128/129 – Doc. red.: pp. 6/7, 8-9, 18-19, 22-23, 25, 27, 29, 31, 32, 34/35, 35, 36, 38-43, 45, 48, 52 (basso), 52/53, 56, 56/57, 57 (basso), 58-63, 65 (basso), 73, 75, 78, 81, 83 (basso), 86, 88-89, 94/95, 97, 98 (basso), 100-103, 104, 106-109, 110/111, 114, 115 (basso), 116, 118 (basso), 119, 122-127; Giorgio Albertini: pp. 12-15, 20/21 – Mondadori Portfolio: p. 24; AKG Images: pp. 10-11; Electa/Marco Ravenna: pp. 16/17; Archivio Lensini/ Fabio e Andrea Lensini: p. 37 (basso); Electa/Sergio Anelli: pp. 54/55; Electa/Antonio Quattrone: p. 111; Fototeca Gilardi: p. 115 (alto) – Patrizia Ferrandes: cartine alle pp. 25, 28, 34, 37, 44, 52, 64, 72, 82, 90, 98, 110 e 118.

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Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.

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