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NU MED OV IOE I IT VO N IN ASC ER OST AR O I/2
MEDIOEVO DOSSIER
EDIO VO M E Dossier
NASCOSTO LUOGHI ♦ STORIE ♦ ITINERARI PARTE II: ITALIA CENTRO-MERIDIONALE N°62 Maggio/Giugno 2024 Rivista Bimestrale
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MEDIOEVO NASCOSTO. I NUOVI ITINERARI. PARTE II ITALIA CENTRO-MERIDIONALE
MEDIOEVO
IN EDICOLA IL 22 MAGGIO 2024
MEDIOEVO NASCOSTO LUOGHI, STORIE, ITINERARI
PARTE II: ITALIA CENTRO-MERIDIONALE a cura di Francesco Colotta testi di Giovanni Antonio Baragliu, Vito Bianchi, Franco Bruni, Carlo Casi, Francesca Ceci, Francesco Colotta, Roberto Comunale, Luciano Frazzoni, Domenico Gambardella, Francesco Miraglia, Luca Pesante, Anita Sepe, Clara Tartaglione, Corrado Valente, Grazia Villani e Nicoletta Zullino
6 Presentazione Questioni meridionali 26 Lazio 29. Sutri. Sulla strada per Roma 34. Anagni 38. Farnese 40. Acquapendente 42 Abruzzo 44. Pacentro. Nel castello di ser Jacopo 50. Calascio 52. Santo Stefano di Sessanio 54 Molise 56. Agnone. Suona l’ora della storia 61. Bojano 62 Campania 64. Carinola. Echi catalani in Terra di Lavoro 72. Cimitile 76. Teggiano 77. Vairano Patenora
78 Puglia 80. Oria. Culla della tolleranza 88. Vico del Gargano 89. Sant’Agata di Puglia 90 Basilicata 92. Venosa. Perla del Vulture 99. Tricarico 100 Calabria 102. Gerace. Santa e fiera 108. Pentedattilo 109. Morano Calabro 110 Sicilia 112. Caccamo. L’inespugnabile rifugio dei congiurati 117. Castiglione di Sicilia 119. Gangi 120 Sardegna 122. Bosa. La roccaforte del giudicato 127. Posada 128. Iglesias
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In alto frontespizio di un’edizione di Spaziergang nach Syrakus im Jahre 1802 (Passeggiata a Siracusa nell’anno 1802) di Johann Gottfried Seume. 1803. Collezione privata.
Sulle due pagine veduta dell’interno e dei gradini del teatro di Siracusa, disegno acquerellato di Louis Ducros, facente parte della serie Voyage en Italie, en Sicile et à Malte. 1778. Amsterdam, Rijksmuseum.
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a percezione di un mutamento netto – di colori, paesaggi, sonorità – assale anche il piú distratto viaggiatore che, provenendo dall’Italia settentrionale, attraversi l’Appennino in direzione di Roma e, da lí, proceda verso meridione. È cosí oggi, come lo è stato al tempo dei grandi «turisti» sette e ottocenteschi che nelle terre del Sud si recarono in carrozza o anche, piú semplicemente, a piedi (come fece lo scrittore tedesco Johann Gottfried Seume, partito dalla lontana Sassonia nel 1801 per raggiungere, cinque mesi dopo, Siracusa). Forse, un’impressione non dissimile la ebbero condottieri, papi e re stranieri, che nei secoli ancora precedenti, elessero il Meridione d’Italia a loro nuova patria. Questa diversità – dalle altre regioni d’Italia come dal resto d’Europa – ha il suo periodo di incubazione, di nascita e di pieno dispiegamento nel millennio medievale. Ne traccia un affresco Luca Pesante nelle pagine che aprono questo secondo Dossier dedicato alla riscoperta del Medioevo nascosto nell’Italia centro-meridionale (che fa seguito a quello incentrato sulle regioni centro-settentrionali): mai prima la nostra Penisola aveva vissuto un’epoca simile, segnata da scontri e incontri di identità culturali fortissime, che hanno imposto a questa terra un andamento storico dalle caratteristiche singolari e irripetibili. Alla riscoperta dei luoghi che custodiscono la memoria di quell’epoca sono dedicati gli itinerari (o, talvolta, le semplici segnalazioni) proposti da Francesco Colotta nella seconda parte del Dossier: luoghi nascosti, di fragile antichità, che a tratti emergono alla nostra attenzione come miraggi avvolti dalla nebbia di un passato che ancora – fortunatamente – ci appartiene. Andreas M. Steiner
QUESTIONI MERIDIONALI di Luca Pesante
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ra il VI e il XV secolo si verifica nell’Italia centromeridionale qualcosa di unico e straordinario: un confronto continuo tra forze di tradizione romanogermanica, greco-ortodossa e, in seguito, arabo-islamica, le quali, scontrandosi e integrandosi, danno vita e forma a una delle piú affascinanti civiltà del Medioevo occidentale. In bilico tra Oriente e Occidente, la storia della metà inferiore della Penisola e delle isole – a diretto contatto con le altre culture gravitanti intorno al bacino del Mediterraneo – si sviluppa secondo ritmi e caratteri del tutto singolari rispetto alla parte centro-settentrionale. Non si può negare come sia tuttora viva l’idea di una marcata marginalità del Mezzogiorno italiano rispetto alle altre regioni d’Italia e d’Europa. Eppure, a ripercorrere la storia di questo lembo meridionale del continente europeo, viene alla luce una realtà molto diversa: quella di un Meridione che si configura come crocevia delle civiltà mediterranee, al centro di una rete di legami che mette in comunicazione mondi lontani e diversi; l’Oriente islamico e l’Occidente germanico, per esempio, a riprova di come il confronto tra culture diverse sia sempre stato – ed è ancora oggi – fonte inesauribile di crescita e progresso. Fino alla seconda metà dell’XI secolo, le vicende delle regioni meridionali d’Italia seguono la storia dell’impero di Bisanzio, fondato da Roma e traslato in Oriente da Costantino (324-337). Per secoli, la nuova Roma fondata sulle rive del Bosforo esercitò un potere diretto su gran parte dell’Italia meridionale, in particolare sui domini che, al culmine della sua espansione, coincidevano con le attuali regioni di Calabria, Basilicata e Puglia. I segni della dominazione bizantina sono tuttora ben riconoscibili, non solo nelle invenzioni lessicali derivate dalla presenza di uomini di lingua greca, ma anche nell’ordinamento politico e nello sviluppo urbano di alcune aree. Mentre altrove il dissolvimento delle strutture dell’impero romano andava provocando un impoverimento generale – caratterizzato dal forte calo demografico, dall’abbandono delle campagne e dalla contrazione degli spazi urbani –, nei domini bizantini l’economia tornò a prosperare,
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garantendo continuità di vita a molte città di antica origine, nonché la fondazione di nuovi nuclei urbani, oltre a un rinnovato uso delle campagne e delle vie di comunicazione antiche. Furono questi, in sostanza, i caratteri principali della transizione tra antichità e Medioevo in buona parte dell’Italia meridionale, e da qui si deve partire per comprendere le vicende del suo sviluppo medievale, in una dimensione orientale e mediterranea.
I militari amministrano il potere
Nel tentativo di restaurazione della civiltà romana imperiale, l’imperatore Giustiniano (482-565) riuscí nell’impresa di riconquistare le province occidentali perdute e di riorganizzare gli ordinamenti politico-territoriali. Il centro del potere, però, gravitava ormai intorno a Costantinopoli e alla sua corte, mentre la Penisola, riordinata attorno a Ravenna, era ridotta alla condizione di semplice provincia amministrata non piú da membri dell’aristocrazia senatoria, ma da funzionari militari, come il generale Narsete (478-574), residente, appunto, a Ravenna. Tuttavia, la restaurazione imperiale fu ben presto interrotta dall’invasione longobarda. L’instabilità provocata dagli interventi di Giustiniano contribuí ad attrarre i Franchi dal Reno e i Longobardi dalla Pannonia. Questi ultimi, guidati dal re Alboino (560-562), erano entrati in Italia tra il 568 e il 569, spingendosi rapidamente oltre la pianura padana, fino alla Tuscia e all’Umbria. Alcuni gruppi autonomi, privi di un coordinamento unitario, giunsero fino alla Calabria, percorrendo la dorsale appenninica. La presenza longobarda sconvolse profondamente ogni precario equilibrio stabilito precedentemente e portò alla formazione, nell’Italia centro-meridionale, di nuclei territoriali indipendenti, controllati da duchi che mal sopportavano la volontà accentratrice della corte di Pavia (che con Teodorico era divenuta una delle sedi principali del regno ostrogoto, n.d.r.). In questo contesto si colloca la genesi dei ducati di Spoleto e di Benevento, quest’ultimo forse a opera di quel Zottone (571-591), citato dallo storico Paolo Diacono (720-799), che riuscí
Amalfi. La sommità del campanile del Duomo, dedicato a sant’Andrea. La torre campanaria (XII-XIII sec.) conserva la policromia, tipica dell’architettura romanica della zona.
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Tesori del Mezzogiorno
LA PRESENZA ARABA L’Europa latino-barbarica vedeva nell’Islam, al pari di Bisanzio, un mondo affascinante, all’avanguardia per tecnica, gusto, cultura. L’incontro tra le due civiltà avvenne in un’epoca segnata da un forte incremento demografico, oltre che dal potenziamento della produzione agricola e dallo sviluppo della vita urbana. Le condizioni di vita andavano velocemente migliorando, come dimostra la rinnovata domanda di beni di lusso. In Sicilia vissero insieme per quasi due secoli e mezzo, da Asad (nato nel 759) al normanno Ruggero († 1101), due culture e due fedi: la cristiano-latina e la cultura segnata dall’Islam e dalla lingua araba. Non c’è traccia qui di quegli episodi di intolleranza e di fanatismo che erano invece frequenti, nello stesso periodo, nella Spagna musulmana: il cristianesimo poté sopravvivere nella Sicilia araba senza la minaccia delle persecuzioni. Con la conquista araba dell’isola (827) venne meno l’elemento che aveva determinato fin dall’antichità la vita dei contadini: il latifondo. La proprietà terriera si frazionò in una grande quantità di piccoli fondi, occupati dagli agricoltori arabi liberi di esercitare le loro attività senza coercizioni. Tutto ciò ha lasciato profonde tracce nel paesaggio, nelle tecniche e nella lingua stessa dell’isola. In quegli anni la terra appare ricca di acque e di boschi, ancora poco sviluppate sono la coltivazione della vite e quella dell’olivo a favore però del cotone, della canapa, della canna da zucchero, degli agrumi e degli ortaggi esportati anche sulle coste nord-africane. Si è parlato di una sorta di «Rinascimento» per descrivere la ricchezza dell’isola di quel periodo. La capitale, Palermo, brulicava di volti e lingue di ogni genere, luoghi e culti cristiani, mercanti di ogni tipo, viaggiatori estasiati dal palazzo dell’emiro, dalla prigione e dalla tomba miracolosamente sospesa di Aristotele. Alla fine del X secolo si contavano circa trecento moschee, non tutte di dimensioni monumentali (alcune dovevano essere piccole cappelle private), come la «Moschea dei macellari», che poteva contenere fino a 7000 persone in preghiera. Nel campo delle arti visive l’Islam impone la propria influenza specialmente su due categorie di manufatti: le suppellettili, perlopiú oggetti domestici (bronzi, avori, ceramiche, legni e tessuti) e l’architettura. Anche ben oltre la presenza musulmana in Italia meridionale e in Sicilia, la cultura islamica ha lasciato influenze stilistiche profondissime facilmente riconoscibili ancora oggi. Il giardino, ricco di acque, simmetrico, armonioso nelle variazioni dei volumi e dei ritmi, con i suoi percorsi lineari, non è altro che un riflesso diretto dell’universo mentale islamico.
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a radicarsi nell’antico Sannio e a formare quell’ampia area che fu poi chiamata «Longobardia minore» per distinguerla dai territori dell’Italia centro-settentrionale compresi nella «Longobardia maggiore». Sotto Arechi (590-640 circa) la Longobardia minore si costituí in ducato indipendente espandendosi nei possedimenti bizantini di Calabria, Basilicata e Puglia. In questi anni si dissolsero definitivamente l’unità antica dell’Italia e la civiltà fondata sulla sua rete di centri urbani e venne interrotta anche la contiguità tra le province del Mezzogiorno bizantino e i superstiti possedimenti imperiali dell’Italia centro-settentrionale. La celebre frase di papa Gregorio Magno (540 circa-604) è una descrizione delle conseguenze di tutto questo: «Le città furono distrutte e ridotte in macerie le fortificazioni, le province si spopolarono, deserte e incolte vennero rese le campagne», cioè a dire la fine di una civiltà che perseguiva una comunanza italica e l’inizio di un marcato dualismo politico e culturale tra i territori costieri bizantini e quelli longobardi dell’interno.
Piú in generale, si può evocare ancora una volta l’ormai consolidata idea del Mezzogiorno come area di confine aperta a molteplici influenze. Una terra di confronto tra diverse forze politiche: Bisanzio con i suoi possedimenti pugliesi, le città-stato di Napoli e Amalfi, i Longobardi di Salerno e di Benevento, le incursioni del mondo islamico, l’Occidente latino e cristiano. In qualche modo il Meridione d’Italia elaborò tali presenze, fungendo da tramite per civiltà diverse e giocando il ruolo di frontiera tra Oriente e Occidente.
Il principe dal bel cappello
Nella Cronaca salernitana è riportato un interessante racconto, che forse aiuta a comprendere meglio la multiculturalità di questa terra: Guaiferio (835 circa-880), principe longobardo di Salerno, tornava un giorno dalle terme poste all’interno della corte e incontrò un arabo, che
Territorio del regno d’Italia Patrimonio di San Pietro Ducati longobardi
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Stati dipendenti in teoria da Bisanzio, ma di fatto autonomi Territori musulmani
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Territorio governato da Bisanzio
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L’assetto geopolitico dell’Italia intorno all’anno Mille. Nella pagina accanto miniatura raffigurante l’assalto di Siracusa portato dagli Arabi, dal Madrid Skylitzes, manoscritto illustrato facente parte della Sinossi della Storia di Giovanni Scilitze. XII sec. Madrid, Biblioteca Nacional.
SICILIA Siracusa Pantelleria
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TERRANEO Malta
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Tesori del Mezzogiorno
CRONOLOGIA 535-553 In Italia scoppia la guerra gotica tra i Goti e Giustiniano, imperatore dell’impero romano d’Oriente 568-575 I Longobardi arrivano in Italia e Pavia è la loro capitale 603 I Longobardi si convertono al cristianesimo 711 Gli Arabi arrivano in Spagna 800 Carlo Magno viene incoronato imperatore dal papa: nasce il Sacro Romano Impero 814 Muore Carlo Magno 827 Inizia la penetrazione degli Arabi aghlabiti in Sicilia 843 Trattato di Verdun: divisione dell’impero carolingio in regno di Francia, d’Italia e di Germania 846 Gli Arabi saccheggiano Roma 870 A Bari effimera vittoria dell’imperatore Ludovico sui Saraceni 881-887 In Italia regno di Carlo il Grosso
lo salutò facendogli i complimenti per il bel copricapo; il principe gli rispose con un gesto cosí cordiale da gratificarlo al punto che, una volta tornato in Nord Africa e venuto a conoscenza di un imminente attacco organizzato da alcuni emiri contro Salerno (siamo nell’871), l’arabo si affrettò ad affidare un messaggio a un mercante amalfitano per informare Guaiferio del pericolo. In pochi anni le province romane di Siria, Egitto e Africa settentrionale, da lungo tempo cristianizzate, si abbandonarono senza opporre resistenza alla forza travolgente della conquista araba: era la fine dell’egemonia bizantina sul Mediterraneo. L’espansione araba dei secoli VII e VIII, prima di fermarsi a oriente davanti alle truppe del sovrano bizantino Leone III (675 circa-741) e a occidente di fronte ai Franchi, si era limitata a veloci e occasionali scorrerie sulle coste italiane. Nel IX secolo l’Italia fu oggetto di tentativi di conquista ben piú incisivi da parte delle potenze musulmane d’Egitto e dell’emirato di Kairouan, nell’attuale Tunisia, intenzionate ad acquisire il controllo della Sicilia bizantina.
La conquista della Sicilia
Miniatura raffigurante il re Arechi, dal Codex matritensis legum langobardorum. XI sec. Madrid, Biblioteca Nacional. 10
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Nel giugno dell’827 iniziò a Mazara la conquista dell’isola da parte di un’armata musulmana formata da un’etnia composita. L’avanzata incontrò diversi ostacoli, tra cui la solida rete di insediamenti fortificati bizantini, tanto che la città-simbolo della cultura ellenica in Sicilia, Siracusa, cadde soltanto nell’878, dopo un lunghissimo assedio. La perdita della capitale del thema (circoscrizione) siciliano significò, in realtà, la fine del dominio bizantino sull’isola. Palermo venne scelta come capitale dell’emirato – sebbene fosse una città di meno di tremila abitanti – e già qualche decennio piú tardi era popolata da una moltitudine di musulmani residenti nei nuovi quartieri da poco costruiti. In pochi anni divenne una straordinaria città cosmopolita, ricca di giardini, acque, bagni, con una sinagoga in cui si raccoglieva la principale comunità ebraica d’Italia, e una moschea che nel X secolo i racconti di viaggio dicono fosse in grado di ospitare fino a settemila persone. Non solo Palermo beneficiò della presenza musulmana nell’isola: molte altre città si arricchirono grazie ai rapporti commerciali e culturali che i Saraceni intrattenevano dall’Andalusia all’Oriente musulmano, e tale fioritura culminò nei novant’anni di governo dei Kalbiti, che, nei primi decenni del X secolo, avevano ottenuto per delega l’isola dai Fatimidi, i governatori dell’Africa settentrionale. Il periodo kalbita (948-1053) rappresentò dunque il momento piú fecondo dell’avventura araba in Italia, trasformando la Sicilia in una ricca terra agricola, in un prospero centro di commercio e in un tollerante luogo di compresenza tra musulmani, Ebrei e cristiani. Dopo aver preso la Sicilia, nonostante i ripetuti tentativi e la conquista temporanea di Taranto (840) e Bari (847), gli Arabi non riuscirono, però, a impadronirsi mai dello Ionio, né dell’Adriatico. Diversamente accadde sul fron-
Amalfi. La parte terminale della facciata del Duomo. Dedicata a sant’Andrea, la chiesa fu costruita nel IX sec., rinnovata nel 1203 in forme arabo-normanne e piú volte rimaneggiata. La facciata, decorata con sottili lamine d’oro, e il portico che la precede sono stati interamente rifatti nel XIX sec.
te del Tirreno: la pressoché totale assenza del potere centrale di Bisanzio, poco interessato a quei possedimenti, e le lotte intestine tra i Longobardi favorirono una veloce penetrazione del potere islamico, al punto che, già all’indomani della presa di Palermo, si pensava agli Arabi come a possibili alleati nelle vicende della terraferma. Risale infatti agli anni Trenta del IX secolo l’intervento delle loro navi in soccorso di Napoli, sotto attacco da parte dei Longobardi di Benevento, e, da allora, essi divennero elemento decisivo nella storia del Mezzogiorno, coinvolti perfino nelle contese interne tra i principi longobardi di Benevento e di Salerno. Da un lato, dunque, gli Arabi accelerarono il processo di dissoluzione del dominio bizantino e longobardo, ma, dall’altro, essi determinarono la fortuna commerciale di molte città dell’Italia centro-meridionale come, per esempio, Gaeta e Amalfi, che, nel corso del IX secolo, avevano conquistato piena autonomia rispetto a Napoli, trasformandosi in ducati indipendenti, fortemente protesi verso il mondo arabo. Un episodio per certi versi marginale rispetto alle vicende fin qui narrate, ma estremamente gravido di conseguenze, fu la scorreria di un gruppo di Saraceni a Roma, nell’agosto dell’846. Essi riuscirono (per la seconda volta) a depredare le basiliche di S. Pietro e S. Paolo, suscitando il
DUE CITTÀ «MEDITERRANEE» Come una sorta di avamposto di Costantinopoli nell’Adriatico, Venezia aveva sviluppato rapporti commerciali verso le regioni bizantine, verso l’Oriente islamico e verso il Maghreb, consolidatisi già nel corso del IX secolo. Nel X secolo la città lagunare rappresentava il tramite privilegiato nei commerci tra Bisanzio e l’Occidente continentale, forte com’era dell’esenzione dal pagamento delle tasse e dai controlli doganali. Venezia, inoltre, accrebbe il proprio potere economico grazie all’aumento della domanda nelle regioni dell’entroterra, in rapido sviluppo demografico. Una funzione simile giocò Amalfi, le cui navi e i cui mercanti erano presenti tra il X e l’XI secolo nell’impero bizantino e ancor piú nel mondo musulmano. La città campana rappresentava il vertice settentrionale del triangolo commerciale che la univa ad Alessandria e Madia in Tunisia. Mercanti amalfitani gestivano i loro affari nel X secolo da Cordova, Costantinopoli, Bari e Il Cairo, svolgendo inoltre una sorta di intermediazione culturale tra l’impero bizantino, il mondo musulmano e il retroterra cristiano, al punto che Amalfi, almeno per tutto il secolo, era la città piú famosa del Mediterraneo. Nell’XI secolo aumentarono i contatti in direzione del Maghreb, come indica l’emissione di una moneta amalfitana – e come del resto era accaduto qualche anno prima a Salerno – che costituiva una sorta di imitazione di un quarto di dinaro siciliano, coniata sul modello della moneta musulmana e non di quella bizantina. MEDIOEVO NASCOSTO
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MOMENTI DI UN MILLENNIO CRUCIALE 999 circa Un gruppo di cavalieri normanni sbarca a Salerno dalla Terra Santa 1017-1018 Seconda rivolta di Melo, aristocratico barese, contro il potere bizantino. Al suo servizio ci sono alcuni cavalieri normanni 1027 Il longobardo Guaimario IV diventa principe di Salerno. Tra il 1038 e il 1047 è anche principe di Capua e dal 1043 porta il titolo di duca di Puglia 1030 circa Rainulfo e altri cavalieri normanni fondano Aversa. Nel 1038 Rainulfo fu investito della contea di Aversa dall’imperatore germanico Corrado II, dietro richiesta di Guaimario IV di Salerno
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1042 circa I maggiori capi normanni si dividono a Melfi le principali città della Puglia, quelle già conquistate, e quelle ancora da conquistare 1047 circa Arrivo in Italia di Riccardo Quarrel e Roberto il Guiscardo 1052 Guaimario IV, principe di Salerno, viene ucciso da una congiura di palazzo. Suo figlio, Gisulfo II, riesce poco dopo a riprendere il controllo della città, con l’aiuto determinante dei Normanni 1053 I Normanni sconfiggono le truppe papali a Civitate, nella Puglia settentrionale 1058 Riccardo Quarrel conquista Capua e ne diventa principe 1059 A Melfi il Guiscardo giura fedeltà al papa Niccolò II, assume il titolo di duca e viene investito dei territori di Puglia e Calabria (ancora in gran parte in mano ai Bizantini) e della Sicilia ancora araba 1071-1072 Il Guiscardo conquista Bari, capoluogo dei domini bizantini nell’Italia meridionale (1071); Ruggero I conquista, con l’aiuto del Guiscardo, Palermo, capitale dell’emirato arabo di Sicilia (1072) 1073 L’ultimo principe beneventano, Landolfo VI, si sottomette al papa. Benevento si sottrae in tal modo alla conquista normanna; rimarrà per secoli sotto il dominio pontificio 1077 Il Guiscardo conquista Salerno 1081 Il Guiscardo inizia la sua impresa di conquista dei Balcani: sbarca a Valona, conquista Corfú e assedia Durazzo 1085 Il Guiscardo si ammala e muore nei Balcani; il suo corpo viene poi riportato in Puglia e sepolto a Venosa, nell’abbazia della SS. Trinità 1087 Alcuni marinai baresi trafugano le reliquie di san Nicola a Mira, in Asia Minore, e le portano a Bari 1089 Dopo un’aspra lotta, il ducato di Puglia viene diviso fra i figli del Guiscardo. Ruggero, il nuovo duca, conserva Campania meridionale, Puglia settentrionale, Calabria e la Basilicata occidentale. Boemondo I acquisisce la Puglia centro-meridionale e la parte orientale della Basilicata 1111 Muore il duca di Puglia Ruggero. Gli succede il figlio Guglielmo 1127 Muoiono quasi contemporaneamente il duca di Puglia Guglielmo e Boemondo II, figlio di Boemondo I. Entrambi non hanno eredi maschi. Ruggero II, conte di Sicilia, rivendica la successione, in quanto appartenente al ceppo degli Altavilla 1130 Ruggero II, dopo aver esteso la sua autorità all’Italia meridionale continentale, si fa incoronare re con il consenso dell’antipapa Anacleto II 1139 Ruggero II viene riconosciuto re dal pontefice legittimo Innocenzo II, dopo la morte di Anacleto II 1154 Muore Ruggero II. Gli succede il figlio Guglielmo I
prendersi il pieno controllo dell’Adriatico. In generale i Bizantini miravano a ripristinare l’autorità imperiale in Occidente e misero pertanto in atto una riconquista delle terre meridionali, che ricondusse sotto la loro sovranità gran parte della Puglia, della Calabria e della Basilicata, impedendo cosí il progetto dei Longobardi di Pavia di una restaurazione franca nell’Italia meridionale. Come si verificò anche in altre province dell’impero, in Italia l’applicazione di modelli di organizzazione politica e territoriale bizantina influenzò alcuni processi di formazione culturale nelle regioni meridionali, favorendo, per esempio, la diffusione dei culti propri della religiosità orientale. Nel nuovo assetto amministrativo la Puglia era compresa nel thema di Longobardia con capitale a Bari, che avrebbe dovuto designare tutti i possedimenti del sovrano bizantino in Italia meridionale, al di fuori della Calabria, con capitale Reggio, che costituí in seguito un thema a sé.
Massicci trasferimenti
Mosaico raffigurante il re normanno Ruggero II di Sicilia che riceve la corona da parte di Cristo. XII sec. Palermo, chiesa della Martorana. Nella pagina accanto particolare del candelabro pasquale in marmo. XII sec. Palermo, Cappella Palatina. forte risentimento della cristianità occidentale, che invocò l’intervento diplomatico e militare dei Carolingi. In questa situazione segnata dalla minaccia araba, dalla debolezza di Bisanzio e dal disordine tra i Longobardi, l’imperatore franco-germanico Lotario I (795-855) propose di provvedere alla fortificazione di S. Pietro mediante contributi da riscuotere da ogni suddito dell’impero. Intorno alla metà del IX secolo, le conquiste arabe di Taranto e di Bari avevano spinto Bisanzio a un intervento piú incisivo nel Sud Italia, sia per soccorrere la popolazione ormai stremata dalle incursioni saracene, sia per ri-
La formazione di una nuova cultura fu condizionata dall’azione del monachesimo italo-greco e dal massiccio trasferimento di genti di origine orientale, per bilanciare il grave calo demografico, che fecero seguito agli scontri del IX secolo. Per iniziativa dell’imperatore bizantino Basilio I (811-886), in Puglia furono trasferiti moltissimi abitanti di etnia armena, una presenza, questa, testimoniata anche dalla fondazione a Bari, intorno al Mille, della chiesa di S. Giorgio degli Armeni, mentre in Calabria e in Lucania giunsero numerosi uomini del Peloponneso e della Bitinia. A rendere ancora piú variegato il quadro etnico dell’Italia meridionale, oltre a qualche gruppo di Slavi e Bulgari, vanno comunque considerati i Saraceni, insediati un po’ ovunque e in molti casi in perfetta pacifica convivenza con le popolazioni locali. Nei centri urbani piú importanti risiedevano invece le grandi comuntà ebraiche che giocavano un ruolo determinante nell’attività intellettuale, in specie scientifica, in un contesto di profonda integrazione con le altre componenti sociali. Dal X secolo in Calabria si mantenne viva la fiammella della cultura greco-bizantina – soffocata invece in Sicilia dalla conquista araba –, che produsse e diffuse fino al Lazio non solo testi religiosi, ma anche opere di carattere scientifico, filosofico e giuridico. Allo stesso modo il monachesimo greco contribuí in modo determinante all’opera di ellenizzazione dell’Italia meridionale. Dalla Sicilia devastata dalla presenza araba esso si era esteso in Calabria, in Lucania e Puglia, in luoghi dalla conformazione geografica impervia e difficilmente raggiungibili. I simboli e modelli della cultura religiosa bizantina raggiunsero anche i territori non compresi tra i possedimenti imperiali, e sebbene non disponessero di alcun elemento capace di competere con la potenza delle grandi fondazioni benedettine, i monaci italo-greci operarono efficacemente anche sul piano economico e sociale in un’azione aggregante tra diverse entità. MEDIOEVO NASCOSTO
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Tesori del Mezzogiorno
Al deciso consolidamento della presenza bizantina in Italia corrisposero la riorganizzazione dei Longobardi di Capua e di Benevento (siamo nei primi decenni del X secolo) e il rinnovato progetto, da parte degli imperatori della casa di Sassonia, di imporre il proprio controllo sull’Italia meridionale. Gli Ottoni tentarono di allearsi con tutti quei potentati che in qualche modo osteggiavano Bisanzio, e principalmente con Pandolfo Capodiferro († 981), principe di Capua e di Benevento, intenzionato a riunire sotto di sé tutti i domini longobardi, e che proprio grazie a Ottone I entrò in possesso della Marca di Spoleto e di Camerino. Durante il tentativo di invasione della Puglia da parte dell’imperatore germanico, lo stesso alleato Pandolfo fu preso priginioniero e condotto a Costantinopoli. Nonostante alcuni successi iniziali anche la politica di Ottone II (955 circa-983) nel Sud Italia si rivelò ben presto fallimentare. Il 13 luglio del 982, presso Capo Colonna, nel tentativo di allontanare l’emiro kalbita di Sicilia, l’imperatore subí una sconfitta disastrosa, che decimò la gran parte dei militari dell’aristocrazia tedesca. Come nel caso dei Franchi, dunque, anche l’impero germanico usciva battuto nel tentativo di affermare il proprio potere nell’Italia meridionale.
L’arrivo dei Normanni
Con l’arrivo dei guerrieri che dal Nord Europa si stabilirono nel Mezzogiorno inizia un capitolo profondamente diverso per la storia dell’Italia centro-meridionale. In 14
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Particolare della decorazione a mosaico nella stanza di re Ruggero. XII sec. Palermo, Palazzo dei Normanni. Nella pagina accanto una veduta del Palazzo dei Normanni di Palermo. L’edificio assunse il ruolo di residenza regia per iniziativa di Ruggero II, il quale, nel 1130, fece trasformare a tale scopo la fortezza preesistente. In seguito si sono succeduti numerosi rifacimenti, fino a quando, nel 1930, hanno avuto inizio gli interventi di restauro del complesso. pochi anni i Normanni riunificarono l’area mediterranea d’Italia, sostituendosi a tutti quei poteri frammentati che si contrapponevano l’un l’altro, cioè Bizantini, Longobardi e musulmani, ma, soprattutto, ne spostarono l’orizzonte politico e culturale di riferimento: se prima era naturalmente legato alla civiltà orientale ora appare rivolto verso l’ambito della civiltà medievale europea. Un significativo aumento demografico in Normandia fu una delle cause dell’emigrazione di numerosi gruppi dell’aristocrazia militare, che non avevano ormai quasi piú nulla in comune con i progenitori scandinavi che avevano saccheggiato le coste settentrionali dell’Europa cristiana. In breve tempo un nucleo di cavalieri, perlopiú apparteneneti alla famiglia degli Altavilla, conquistò grandi porzioni dei domini bizantini ormai indeboliti e privi di difese. Uno di questi cavalieri, Roberto il Guiscardo (1015 circa-1085), intensificando le azioni militari portò a termine l’occupazione delle terre bizantine con la presa di Reggio (1059) e di Bari (1071), spostandosi poi piú a sud verso la Sicilia musulmana. Tutto ciò
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Tesori del Mezzogiorno A sinistra Paternò (Catania). Il castello normanno, costruito nel 1073, ma riedificato nel Trecento. La struttura ha un aspetto massiccio, alleggerito dalle grandissime finestre bifore al primo e al secondo piano. Sulle due pagine disegno ricostruttivo di una tipica motta normanna, un impianto fortificato cinto da un fossato che veniva solitamente approntato su un’altura artificiale oppure ai margini dell’abitato.
I PAESAGGI Agli inizi dell’XI secolo, il paesaggio dell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Basilicata, appare organizzato secondo un ordine militare, attraverso una rete, non ancora coesa e organica, di insediamenti fortificati. Le precedenti fortificazioni longobarde, bizantine o saracene, costituite da palizzate, fossati o torri erano funzionali sia al popolamento del territorio, sia allo sfruttamento agricolo delle campagne. Molte fonti parlano dell’attività normanna nella ristrutturazione delle fortificazioni longobardo-bizantine poste lungo le frontiere e della creazione di nuove strutture. È un fenomeno in un certo senso rivoluzionario, perché interessò non solo l’ambito politico e amministrativo, ma anche il tessuto sociale degli insediamenti. La lotta tra gli stessi conquistatori costituí un ulteriore spinta alla fortificazione di quei luoghi scelti come residenze signorili. Il particolarismo feudale che si sviluppa con i Normanni ha dunque tra le varie ricadute «materiali» il forte impulso all’edificazione ex novo di rocche, mura, torri, poi inglobati, in molti casi, nelle strutture di età sveva e angioina. Racconta l’abate Alessandro di Telese, vissuto nella prima metà del XII secolo, che «non solo i viandanti avevano continua paura ma ancora mancava la quiete della sicurezza ai contadini che desideravano uscire a coltivare i campi». Negli stessi anni si trasformano in castelli casali nati e sviluppati nel quadro delle attività di dissodamento attuate dai Benedettini. In generale, la fortificazione normanna si distingue per la posizione ai margini del centro urbano oppure su un’altura artificiale, la «motta», delimitata da un fossato: un modello importato con ogni probabilità dalla Normandia.
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fu reso possibile anche grazie a un rapporto privilegiato che il capo normanno strinse con il pontefice di Roma, il quale vide con favore la sconfitta e l’eliminazione degli «scismatici» bizantini dal Mezzogiorno, sancito dall’accordo di Melfi (1059) che conferiva al Guiscardo il titolo di duca di Puglia e Calabria.
Come un corpo estraneo
L’immagine dei guerrieri venuti dal Nord era quella di uomini spietati, e anche la seconda generazione (alla quale apparteneva il Guiscardo) si contraddistinse per il carattere estremamente violento, sia nella conquista sia nel mantenimento dell’ordine tra le genti sottomesse. Perfino quando Roberto corse in aiuto di papa Gregorio VII a Roma, la città fu devastata dai saccheggi operati dai Normanni, e anche per queste ragioni essi rimasero a lungo come un corpo estraneo nella società del Mezzogiorno.
In pochi anni Roberto e il fratello Ruggero, forti dell’alleanza con uno dei potentati musulmani di Sicilia e dell’assegnazione da parte di papa Niccolò II della contea stessa di Sicilia, e, grazie a una serie di spedizioni militari, giunsero a controllare i maggiori centri dell’isola: già con la conquista di Catania (1071) e di Palermo (1072), nonostante piú di un territorio fosse ancora in mano musulmana, l’occupazione totale dell’isola da parte degli Altavilla era solo questione di tempo. Con la possibilità accordatagli dal pontefice di nominare vescovi e istituire nuove diocesi Ruggero divenne il promotore della diffusione del cristianesimo tra le genti musulmane di Sicilia, sviluppando un potere che mai sarebbe riuscito a ottenere con la sola forza militare. La forte componente di immigrati provenienti sia dal Mezzogiorno sia dal Monferrato (sottoposto a un potere legato agli Altavilla) e insediatisi nei centri urbani delle
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aree centrali dell’isola giocò a ulteriore sfavore della popolazione rurale, prevalentemente musulmana o cristiana di rito greco. Queste condizioni, originatesi dall’intreccio della secolare varietà culturale dell’isola, segnarono una netta diversità fra la regione continentale e quella insulare dell’insediamento normanno. Le differenze riguardavano in primo luogo la composizione etnica e religiosa della popolazione, ma anche le tecniche di governo e la distribuzione della proprietà: tutto ciò segnò per secoli i caratteri peculiari della Sicilia rispetto alla Penisola. Nel 1130 Ruggero II (figlio di Ruggero I e di Adelasia di Monferrato) fu incoronato a Palermo re di Sicilia. Il titolo regio comportò un ulteriore dissesto negli equilibri tra i diversi potentati normanni del Mezzogiorno e nei rapporti con il pontefice di Roma. Si veniva a comporre un regno sui generis, soprattutto in considerazione del ceto dei funzionari musulmani e greci, delle modalità di amministrazione della giustizia attuate da Ruggero – nelle quali il re figurava non solo come garante della tradizione, ma anche come legislatore –, oltre che della sua missione come difensore della pace, della giustizia e della Chiesa. Soprattutto durante il regno di Guglielmo I si manifestarono forti elementi di instabilità tra i diversi esponenti dell’aristocrazia normanna, molti dei quali non tolleravano piú la componente musulmana 18
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Bitonto, cattedrale. Particolare del rilievo che orna uno dei fianchi dell’ambone, realizzato nel 1229 da un artista che si firma Nicolaus sacerdos et magister. Vi sono rappresentati gli imperatori svevi: da sinistra, Federico I Barbarossa, Enrico VI, Federico II, Corrado. dell’amministrazione regia mentre cercavano di orientarsi verso l’Europa cristiana. Una duratura pacificazione interna poté compiersi solo con il successore, Guglielmo II: con lui il regno entrò definitivamente nell’ambito dell’Occidente medievale e il Mezzogiorno nel contesto europeo. Negli ultimi anni del suo governo ecclesiastici e funzionari spinsero per definire la successione a favore dell’impero d’Occidente. Il matrimonio tra la figlia di Ruggero II, Costanza, e l’erede di Federico Barbarossa, Enrico VI di Germania (1150-1106), segna una svolta nelle vicende del regno. Sconfitti gli oppositori, il potere passò dall’ultima erede della dinastia normanna, Costanza, direttamente sotto la corona del Sacro Romano Impero. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo il regno siciliano attraversava un periodo di profondo sconvolgimento istituzionale, politico e militare, e tale incertezza dovette persistere fino a quando Federico, figlio di Costanza, dopo essere stato incoronato imperatore nel 1215, tornò nel
Palermo, Cappella Palatina. Particolare del soffitto della navata centrale. XII sec. Il tetto ligneo a muqarnas (alveolato e intagliato con stalattiti pendenti) è decorato in rosso, oro e azzurro, con pitture a tempera che presentano scene di vita cortigiana, di battaglia e di caccia, danzatori e musici. MEDIOEVO NASCOSTO
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I LUOGHI DELLO STUPOR MUNDI Federico non fissò mai la propria dimora in una città o castello particolari, in cui la corte avrebbe dovuto risiedere in maniera continua come i Normanni avevano fatto con Palermo. Nato nel 1194 sotto una tenda nella piazza di Jesi (poi indicata come rinnovata Betlemme), quando non era in guerra o in missione, l’imperatore prediligeva la Capitanata e le terre del Vulture come residenza. Il nomadismo di Federico fu ben presto avvolto da leggende di vario tipo, ma sembra che corrispondesse a realtà il seguito di animali esotici, oltre al trono mobile e al carico con le insegne imperiali che completavano il convoglio del sovrano. Il primo cantiere edilizio di Federico, una volta tornato dalla Germania, fu il palazzo imperiale di Foggia; seguirono molte ricostruzioni o progettazioni ex novo di strutture fortificate, come i due grandi monumenti simbolici che celebrano la figura stessa dell’imperatore: la Porta di Capua e Castel del Monte. La Porta Capuana, oggi nota solo attraverso alcuni disegni, era posta sul confine delle terre del papa con quelle dell’imperatore: era costruita e ornata da reperti antichi, che avrebbero dovuto, anche materialmente, indicare un collegamento con l’antichità classica, oltre che ricordare – caso unico tra i monumenti laici – la biblica ianua iustitiae. Sulla strada adriatica fu costruito Castel del Monte, a dominare una vasta pianura da sopra un’altura e ad alimentare ancora fino ai nostri giorni la forza del mito federiciano. La forma dell’edificio riproduce in grande quella di una corona, rappresentando, cosí, un’enorme insegna imperiale, visibile a tutti.
regno meridionale nel 1220. Le prime disposizioni del neosovrano mirarono a ristabilire la situazione dell’epoca di Guglielmo II (1153-1189), pesantemente compromessa sul piano politico e territoriale. Egli rivendicò a sé l’onere del mantenimento della pace interna, riservando al solo re il diritto di costruire fortificazioni e ordinando la demolizione dei castelli sorti a difesa delle signorie territoriali. Ogni forma di usurpazione e appropriamento di beni e dignità pubblici venne duramente perseguita.
Un disegno accentratore
Una fitta rete di castelli regi, situati soprattutto all’interno dei centri urbani permetteva una protezione efficace da parte del potere centrale e, al tempo stesso, il controllo militare capillare delle città e del territorio. Il complesso apparato di governo costruito da Federico II (1194-1150) poté funzionare solo grazie alla grande specializzazione delle competenze di governo, precedentemente inesistente. In tal modo si cercava di evitare ogni nucleo di potere autonomo rispetto all’autorità centrale: quando Messina e altre città siciliane rivendicarono una loro autonomia 20
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Castel del Monte (Andria). Situato su un’altura delle Murge, in una posizione tale da dominare ampi scorci della Puglia e della Basilicata, venne fatto costruire da Federico II intorno al 1240. È uno dei capolavori dell’architettura gotica dei primordi e una leggenda vuole che sia stato progettato dall’imperatore in persona.
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Termoli
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in virtú di alcuni privilegi locali, la repressione fu talmente dura che alcuni centri abitati vennero interamente rasi al suolo. Altrettanto duro fu lo scontro con i musulmani siciliani, allontanati dalle campagne piú ricche dell’isola in seguito all’arrivo di nuclei «lombardi». Le comunità rurali di Saraceni concentrate intorno a Monreale avevano ritrovato una certa autonomia durante la crisi della fine del regno normanno, e anche con Federico proseguirono in una continua e aperta ribellione, 22
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Castello
Torre
Residenza
Porta
MAR MEDITERRANEO
al punto che l’imperatore concentrò contro di loro una serie di campagne militari fino alla deportazione dei superstiti nel castello di Lucera in Puglia. Emerge dunque una contraddizione fra lo spirito che animava la corte imperiale, compreso lo stesso Federico, nei rapporti con le culture musulmane e la concreta azione politica rivolta contro la multietnica società siciliana, che vanificava quella coesistenza tra cristiani e musulmani ottenuta grazie alle politiche della corte normanna.
Siracusa. Castel Maniace. Nella pagina accanto cartina dei castelli e delle residenze dell’imperatore Federico II di Svevia.
Piú in generale, l’intenzione di Federico era quella che già i suoi predecessori avevano intuito essere centrale nella politica dell’impero: la riconduzione, cioè, delle ricche città comunali dell’Italia centro-settentrionale sotto l’autorità imperiale. Questo, insieme al continuo confronto con il pontefice romano, costituí il maggior impegno del sovrano. Il regno meridionale aveva già una struttura politica ben consolidata in grado di assicurare una gestione relativamente agile e un’azione di governo piú incisiva. Federico potenziò tale condizione
collegando l’economia del regno meridionale al circuito commerciale mediterraneo, sia nella vendita del surplus produttivo direttamente dalla corte, sia attraverso la mercatura e l’intermediazione commerciale di beni di lusso provenienti dall’Oriente. Alla morte di Federico II (1250), il potere venne rilevato dal figlio Manfredi (1232-1266), l’ultimo re svevo di Sicilia, venuto a capo di forze filo-papali, ma che, tuttavia, continuava a rappresentare una violazione dell’aspirazione pontificia a controllare i MEDIOEVO NASCOSTO
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I VESPRI SICILIANI Dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento e la decapitazione a Napoli di Corradino (1268) il controllo sul regno di Sicilia era passato nelle mani del sovrano francese Carlo d’Angiò. La politica di quest’ultimo aveva in breve tempo limitato le libertà dei signori locali e imposto un pesante carico fiscale. Tutto ebbe inizio il 30 marzo del 1282, lunedí di Pasqua, a Palermo, sul sagrato della chiesa del Santo Spirito. A causa di un incidente nato dall’insulto di un soldato francese a una donna che si recava ai Vespri, la preghiera del tardo pomeriggio (da cui il nome del moto), un tumulto popolare scatenò una rivolta che constrinse truppe e funzionari angioini ad abbandonare la Sicilia. Gli insorti, organizzati in una lega comprendente diverse città, invocarono l’aiuto del pontefice per liberarsi della tirannide di Carlo d’Angiò. Non avendo ottenuto l’aiuto da Roma, offrirono la corona del regno a Pietro III d’Aragona, marito dell’erede sveva Costanza, figlia di Manfredi e nipote di Federico II.
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Il re aragonese venne incoronato a Palermo, assicurando la gestione separata dei domini iberici e di quelli del regno siciliano. Carlo tentò piú volte di riprendersi l’isola, anche con il favore di papa Martino IV che si affrettò a lanciare la scomunica su Pietro e sui Siciliani, ma la potente flotta catalana e gli insorti siciliani impedirono la riconquista dell’isola. D’ora in poi un nuovo soggetto entra come protagonista nella scena mediterranea: la corona d’Aragona. I poli commerciali di Barcellona e di Maiorca penetrano dunque nella rete già consolidata tra i nuovi detentori del controllo mercantile mediterraneo: Genova, Pisa e Venezia. I Vespri segnarono dunque l’inizio del grande capitolo della storia tardo-medievale che vede la vicenda siciliana legarsi per i secoli successivi a quella degli Aragona. Numerose famiglie dell’aristocrazia catalana si trasferirono in Sicilia, marcando un carattere duraturo della cultura siciliana ancora oggi vivo e riconoscibile.
In alto I Vespri siciliani (particolare), olio su tela di Erulo Eroli. 1890-1891. Palermo, Galleria d’Arte Moderna. A sinistra, sulle due pagine il Castello di Lombardia, a Enna. Importante fortificazione già durante la dominazione bizantina, araba e normanna, la fortezza fu oggetto di un intervento federiciano e di una vasta ristrutturazione dopo il 1258.
destini del regno. Le lunghe assenze di Manfredi, molto impegnato nelle vicende politiche delle città dell’Italia centro-settentrionale, favorirono l’esplosione di dure rivolte nel Mezzogiorno. La piú violenta delle quali fu forse a Monte San Giuliano, l’odierna Erice, dove, nel 1260, fu ucciso il governatore dell’isola, Federico Maletta, zio materno di Manfredi.
Uno scontro inevitabile
L’elezione al pontificato del francese Urbano IV (12611264) poneva l’imperatore nella necessità di cercare un accordo con la Chiesa, ormai orientata ad affidare al re di Francia, Luigi IX, la questione italiana, a favore del fratello Carlo I d’Angiò (1226-1285). Svanita ogni speranza di accordo a causa della morte del pontefice, con l’elezione di Clemente IV (1265-1268) Carlo si apprestava a scendere in Italia. Lo scontro con il sovrano di Sicilia si era fatto quindi inevitabile e, nel 1266, a Benevento, Manfredi perdeva il regno e la vita, e Carlo diventava il nuovo sovrano del Regnum Siciliae. Il disastro di Benevento spazzò via un progetto politico e culturale inaugurato da Federico II e fondato sul culto dell’immagine dell’imperatore stesso e della sua corte. MEDIOEVO NASCOSTO
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TOSCANA
Proceno Onano
MARCHE
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Bolsena Amatrice Lago Civita di Bagnoregio Valentano di Bolsena Labro Graffignano Farnese Leonessa Terni Montefiascone Celleno Vitorchiano Greccio Tuscania Viterbo Rieti Bagnaia Torri in Sabina Soriano Castel Cittàducale L’Aquila ABRUZZO nel Cimino Sant’Elia Civita Roccantica Castellana Tarquinia Ronciglione Faleria Fara in Sabina Nepi La Farnesiana Sutri Calcata Castel di Tora Canale Monterano Tolfa Orvinio Collalto Sabino Lago di Bracciano Sasso Isola Farnese Ceri
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San Donato Val di Comino
Vicalvi Arpino
Frosinone Boville Arce Norma
Sermoneta Nettuno
Sora
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Campodimele Castelforte Sperlonga CAMPANIA Terracina Minturno
M
prando e del re franco Pipino il Breve, il Lazio entrò a far parte formalmente dello Stato della Chiesa. Anche i pontefici, tuttavia, non riuscirono ad assoggettare l’intera regione, in particolare la zona della Sabina, ambita dal ducato di Spoleto, e quella di Gaeta, in mano bizantina.
Il destino del Lazio seguí la parabola ascendente della potenza romana e, in modo inevitabile, il suo tramonto che si manifestò nel periodo delle invasioni barbariche. La regione, però, non subí totalmente la dominazione delle genti del Nord – gli Ostrogoti e i Longobardi –, né dei Bizantini che si trovarono a fronteggiare i papi. Nell’VIII secolo, grazie alle donazioni del sovrano longobardo latinizzato Liut-
Nel XII secolo l’ascesa dei Comuni rese ardua qualsiasi forma di governo centralizzato sul territorio. Protagoniste di questa fase autonomista furono la stessa Roma e Viterbo, ma anche altri borghi minori, in virtú della loro importante posizione strategica e, in alcuni casi, del loro ruolo di centri spirituali: Castel di Tora, Castel Gandolfo, Anagni, Corneto (l’attuale Tarquinia), Priverno, Sermoneta, Subiaco, Civita Castellana, Cittàducale e Acquapendente. Solo a partire dal XII secolo i papi assunsero in modo compiuto il controllo dell’odierno Lazio, con l’avvento al soglio di Pietro di Innocenzo III. I suoi successori, invece, dovettero tener testa a spinte autonomiste molto violente facilitate dal trasferimento della sede papale ad Avignone. In quel periodo turbolento, a dettare legge a Roma e dintorni erano le famiglie nobiliari come gli Orsini, i Savelli, i Frangipane e i Colonna. In seguito, gli aristocratici si combatterono a piú riprese, favorendo la restaurazione del potere della Chiesa, portata abilmente a compimento dal cardinale Egidio Albornoz, nel XIV secolo.
olti furono gli antichi abitatori della regione: Pelasgi, Volsci, Equi, Aurunci, Falisci, Sabini, Latini ed Etruschi. Tra di essi, nel IV secolo a.C., grazie alla vittoria nella battaglia di Ariccia, presero il sopravvento i Latini, e per gli sconfitti, gli Etruschi, fu l’inizio del declino. Tuttavia, le tracce della grandezza di quella che fu una delle civiltà piú importanti dell’Italia preromana e del Mediterraneo si conservarono in numerose località, prime fra tutte le storiche roccaforti di Tarquinia, Cerveteri, Vulci e Veio. Annientati a Sentino nel 295 a.C., gli stessi Etruschi lasciarono poi il campo ai Romani che impressero alla regione un intenso sviluppo urbanistico. L’ascesa politica dell’Urbe fu accompagnata dalla crescita di centri limitrofi a sud come Ostia, Anzio, Albano Laziale e Velletri. Anche altri abitati, piú distanti da Roma, si popolarono rapidamente: Minturno, Priverno, Sora, Anagni, Alatri, Arpino, Ferentino, Rieti, Terracina e Tuscania.
Il borgo fortificato di Calcata (Viterbo). Parte del ducato romano, fu donato nell’VIII sec. alla Chiesa da Carlo Magno. Divenne quindi feudo degli Anguillara, che eressero il castello e la cinta muraria, e tornò alla Chiesa nel 1465.
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ITINERARI
Lazio
I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di FROSINONE
•ALATRI Mura antiche, basilica concattedrale dell’Alto Medioevo e altri edifici religiosi. •ANAGNI (vedi box alle pp. 34-37). •ARCE Torre saracena del Pedaggio (XIII secolo) e santuari dell’età di Mezzo. •ARPINO Mura antiche, torre di Cicerone e castello Ladislao (XII-XIII secolo). •BOVILLE ERNICA Cinta muraria medievale con torri, chiesa di S. Pietro Ispano (XII secolo). •CERVARO Ruderi del castello di Monte Trocchio (XI secolo) e santuario quattrocentesco. •FERENTINO Duomo (XII secolo), chiese medievali e cinta muraria poligonale. •FUMONE Castello Longhi del X secolo e diverse chiese dell’età di Mezzo. •PIGLIO Convento duecentesco di S. Lorenzo e Castello Colonna (IX secolo). •SAN DONATO VAL DI COMINO Porta dell’Orologio e torre del XIII secolo, santuario di S. Donato. •SORA Cattedrale di S. Maria Assunta (XI secolo), resti della cinta muraria e rocca dei Ss. Casto e Cassio. •VEROLI Abbazia di Casamari (XIII secolo) e resti della rocca di San Leucio (IX secolo). •VICALVI Borgo medievale, castello longobardo. Provincia di LATINA
•CAMPODIMELE Mura del X secolo con torri, monastero di S. Onofrio (XI secolo). •CASTELFORTE Resti delle mura e della rocca medievali, chiesa romanica di S. Giovanni Battista. •CORI Mura, chiese di S. Maria della Pietà e di S. Oliva (XII secolo). •MAENZA Castello baronale (XII secolo), ex chiesa di S. Giacomo (XIII secolo), ruderi della rocca trecentesca di Montacuto. •MINTURNO Castello baronale (IX secolo) e chiese medievali. •NORMA Monastero di S. Maria di Monte Mirteto (XIII secolo). •PRIVERNO Mura antiche, torri e porte, abbazia di Fossanova, chiese medievali. •SONNINO Porte e chiese dell’età di Mezzo. •SPERLONGA Centro storico medievale, chiesa di S. Maria
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(XII secolo) e di S. Rocco (XV secolo).•TERRACINA Duomo (VI secolo), castello dei Frangipane (X-XV secolo), case medievali. Provincia di RIETI
•AMATRICE Torre civica del XIII secolo, santuari e chiese medievali. •CASTEL DI TORA Resti di un castello dell’XI secolo, torrette quattrocentesche e convento di S. Anatolia. •CITTADUCALE Numerosi edifici medievali ricostruiti nel Settecento. •COLLALTO SABINO Castello baronale, mura cittadine del XV secolo. •FARA IN SABINA Abbazia di Farfa e palazzi quattrocenteschi. •GRECCIO Santuario duecentesco di San Francesco d’Assisi. •LABRO Porta Reatina, torrione medievale, castello Nobili Vitelleschi (X -XI secolo). •LEONESSA Doppia cerchia di mura del XIII secolo, chiesa Madonna del Popolo (XIV secolo). •ORVINIO Castello del XII secolo rimaneggiato nel Cinquecento e santuario di Vallebona (XIII secolo). •ROCCANTICA Chiese gotiche. •TORRI IN SABINA Rocchette e Rocchettine (manieri del XIV secolo), siti archeologici e chiese dell’età di Mezzo. Città metropolitana di ROMA CAPITALE
•ARSOLI Castello Massimo (X secolo) e chiese del Medioevo. •CANALE MONTERANO Monterano Vecchia, resti del borgo medievale. •CENCELLE (località La Farnesiana, presso Allumiere) Ruderi di Leopoli, la città concepita da Leone IV nel IX secolo. •CERI (CERVETERI) Borgo medievale. •ISOLA FARNESE (ROMA) Castello e borgo medievale. •MARINO Cinta muraria intatta romana e medievale. •NETTUNO Centro storico con mura e torrioni cilindrici di origine medievale. •OLEVANO ROMANO Resti del castello, chiesa di S. Margherita di origine altomedievale e palazzo baronale. •PALESTRINA Palazzo Colonna Barberini (XV secolo), cattedrale di S. Agapito
martire (IV-V secolo). •SASSO (CERVETERI) Borgo medievale. •SUBIACO Monasteri e chiese medievali. •TOLFA Rocca dei Frangipane. •VICOVARO Convento di origine altomedievale, chiese quattrocentesche. Provincia di VITERBO
•ACQUAPENDENTE (vedi box alle pp. 40-41). •BAGNAIA (VITERBO) Torre del borgo, chiesa di S. Maria (XIII secolo). •BOLSENA Rocca Monaldeschi della Cervara (XII secolo) e chiesa romanica di S. Cristina. •CALCATA Borgo vecchio. •CASTEL SANT’ELIA Basilica di S.Elia (XI secolo), santuario Maria SS. ad Rupes (VI secolo). •CELLENO VECCHIO (CELLENO) Borgo antico abbandonato. •CIVITA CASTELLANA Centro storico con edifici e chiese dell’età di Mezzo. •CIVITA DI BAGNOREGIO (BAGNOREGIO) Borgo medievale. •FALERIA Castello degli Anguillara (XIII secolo) e resti della rocca di Paterno. •FARNESE (vedi box alle pp. 38-39). •GRAFFIGNANO Castello Baglioni (XIII secolo) e chiese dell’età di Mezzo. •MONTEFIASCONE Chiesa di S. Flaviano (XI secolo) e rocca dei Papi. •NEPI Duomo di origine altomedievale, torri e castello dei Borgia. •ONANO Palazzo Madama del XIV secolo e chiesa della Madonna delle Grazie in stile romanico. •PROCENO Borgo con numerose costruzioni del Medioevo. •RONCIGLIONE Chiesa romanica del VII secolo e castello di origine altomedievale. •SORIANO NEL CIMINO Castello Orsini (XII-XIII secolo), porta del Ponte, chiesa di S. Giorgio (X-XI secolo). •SUTRI (vedi articolo alle pp. 29-33). •TARQUINIA Mura medievali, resti del palazzo dei Priori, torri, chiese. •TUSCANIA Chiese medievali di S. Pietro e S. Maria Maggiore, mura. •VALENTANO Rocca dei Farnese (XI secolo) e chiese medievali. •VITORCHIANO Cinta muraria duecentesca, palazzo Comunale e chiesa di S. Maria Assunta (XIII secolo).
SUTRI
Sulla strada per Roma
di Franco Bruni
R
icordata in molte fonti epiche e nelle chansons dedicate al paladino Orlando, e per secoli passaggio obbligato di pellegrini, imperatori, re e papi, Sutri – tranquillo borgo della Tuscia viterbese – ha vissuto nel Medioevo un periodo straordinariamente ricco di eventi, grazie alla collocazione lungo l’importante via Cassia, tra il lago di Bracciano e i Monti Cimini, anticamente confine tra l’area di influenza etrusca e quella falisca e, piú tardi, avamposto della Roma pontificia. Mentre per l’epoca preromana sono pochi gli indizi archeologici che permettono di stabilirne l’univoca appartenenza all’area falisca o etrusca, dopo l’occupazione romana di Veio, nel 396 a.C., si comincia a parlare di Sutrium inizialmente come oppidum, cioè come insediamento fortificato, successivamente trasformato in colonia. Oltre alla naturale difesa costituita dalle rupi tufacee, Sutri si giovò, e non poco, della presenza della Cassia, che, nel Medioevo, fu la principale via di comunicazione tra Roma e la Francia, da cui il nome di via Francigena o Romea. La cittadina, infatti, era una delle tappe piú importanti del percorso verso o da Roma. La storia e lo sviluppo urbano di Sutri, nel suo
Una veduta di Sutri, sulla quale svetta il campanile della concattedrale di S. Maria Assunta, edificata su una chiesa preesistente (IX sec.) e piú volte rimaneggiata nel corso dei secoli.
progressivo adeguamento a luogo di «ricezione» e di assistenza ospedaliera ai pellegrini che numerosissimi vi accorrevano, vanno dunque letti in virtú del suo status di città di transito, peraltro incuneata in una zona del Patrimonio di San Pietro particolarmente contesa dalle baronie romane. La vocazione ricettiva, d’altronde, oltre a costituire un buon business per la popolazione locale, rappresentava anche un introito per le casse pontificali. Illuminante, in proposito, è il riferimento nel Liber Censum della Chiesa di Roma, uno dei cui capitoli elenca consuetudini e diritti che la Chiesa stessa aveva sui beni dei pellegrini in caso di avvenuta morte a Sutri… senza contare le tasse di pedaggio.
Luogo di sosta e di rifugio
Se dall’anonimato dei pellegrini passiamo ai personaggi legati alla storia locale, non mancano le sorprese. Dalle fonti letterarie sappiamo che Carlo Magno soggiornò a Sutri prima di arrivare a Roma per l’incoronazione da parte del papa. Eventi importanti costellano la storia medievale sutrina, soprattutto in relazione alle vicende che portarono imperatori, papi e antipapi a scontrarsi a piú riprese durante il travaMEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Lazio A sinistra veduta esterna della chiesa della Madonna del Parto, ricavata all’interno di una struttura scavata nella roccia e interpretata come mitreo, cioè come antico luogo di culto del dio Mitra. A destra veduta panoramica di Sutri. In basso affresco raffigurante san Michele Arcangelo. XIV sec. Il dipinto si trova nella chiesa della Madonna del Parto.
CULTI ESOTICI La chiesa della Madonna del Parto di Sutri è stata ricavata all’interno di una struttura scavata nel tufo, generalmente identificata con un mitreo. Tale termine indica un luogo di culto nel quale si celebravano i riti in onore di Mitra, una divinità di origine iranica che ebbe ampia diffusione in tutto l’impero romano, soprattutto tra i soldati, forse a conferma dell’originaria funzione guerriera del dio. Particolarmente diffusi a cominciare dal II secolo d.C., i mitrei erano grotte naturali o templi sistemati come una «grotta», riservati ai soli uomini; l’ingresso era sfalsato, per impedire la visione dall’esterno dell’ambiente che, fiancheggiato da banchi per i fedeli, si concludeva in una nicchia che racchiudeva l’immagine (scolpita o dipinta, raramente a mosaico) del dio Mitra. Il mitraismo nacque in Asia Minore, e s’inserí in culti locali convenzionalmente qualificati come agrari (fecondità agraria). Muoveva da un tema soteriologico fondato su una lotta contro le forze del male «mortificanti», condotta da un Mitra «vivificante», secondo la concezione iranica dualistica e vitalistica; forse l’idea della vita-fecondità anatolica si innestava sull’idea iranica della vita-solarità, per la quale Mitra compariva come un dio-sole. L’interpretazione del mitraismo è tuttora allo stato ipotetico, in quanto si fonda quasi esclusivamente sulle raffigurazioni. Si sa che era un culto iniziatico, o un mistero, a cui si accedeva per sette gradi: corax (corvo), criphius (celato), miles (soldato), leo (leone), perses (persiano), heliodromus (messaggero solare) e pater (padre). Il carattere di «milizia» dei misteri di Mitra fu ripreso dallo stesso cristianesimo, e, insieme con esso, il disprezzo per i «borghesi» o pagani (donde ha origine l’idea di un paganesimo contrapposto al cristianesimo). Anche altri elementi del mitraismo passarono al cristianesimo: il piú noto è la festa del solstizio d’inverno, fissato al 25 dicembre, che era considerata la nascita di Mitra-Sole, diventata, per i cristiani, il Natale di Cristo. Mitra era raffigurato come un giovane con berretto frigio e aureola solare raggiata; perlopiú in atteggiamento di uccidere un toro (Mitra tauroctono). Il sacrificio del toro era inteso nel mitraismo come un atto cosmogonico.
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gliato periodo della lotta per le investiture. Tra i sinodi qui tenutisi, si ricorda quello del 1046, convocato dall’imperatore Enrico III, in seguito all’elezione di tre papi in contesa per il soglio; episodio che si concluse con l’elezione di un quarto papa, Clemente II. A seguire, quello del 1059, voluto da Nicola II, con cui fu deposto l’antipapa Benedetto X, appoggiato dalla fazione romana. Tra l’XI e il XIV secolo, Sutri appare, spesso, oltre che come luogo di sosta privilegiato per imperatori e papi, anche come rifugio di antipapi, o papi scomunicati, insomma una sorta di terra franca nella quale attendere le mosse strategiche da farsi. Vi soggiornò piú volte l’imperatore Enrico IV, negli anni Ottanta dell’XI secolo, durante i continui scontri con i papi romani. Come residenza pontificia, Sutri ospitò per brevi periodi papi come Eugenio III (1146) e Adriano IV (1155). La posizione strategica contribuí alla fortuna e
alla fama di Sutri, ma la rese una postazione quanto mai ambita dalle varie potenze, che la sottoposero a forme di controllo piú o meno dirette. Nonostante le ingerenze esterne, vi furono forme embrionali di rappresentanza cittadina, anche se si deve attendere fino al 1236 per vedere utilizzato il termine «Comune» nella documentazione locale.
Famiglie illustri e influenti
In basso l’anfiteatro romano di Sutri. Interamente scavato in un banco di roccia tufacea, venne realizzato tra il I sec. a.C e il I sec. d.C.
Oltre a papi e imperatori, anche le belligeranti famiglie della nobiltà romana si intromisero nelle lotte per il controllo del territorio sutrino. Appoggiandosi ora all’una ora all’altra fazione, ci furono scontri tra i filoimperiali Prefetti di Vico e i filopapali Anguillara nel corso del XIII secolo. La situazione divenne ancora piú complicata quando si intromisero tentativi da parte delle autorità capitoline di imporsi nell’elezione dei podestà, in contrasto con il consiglio sutrino che, al contrario, era filopapale. Agli inizi del XIV secolo è la volta degli Orsini: a loro è dovuta la rocca, ancora oggi visibile, fatta costruire da Rinaldo e Giordano Orsini nei pressi di Porta Moroni. Nel 1331 un’altra famiglia influente, quella degli Anguillara, grazie al conte Francesco occupa, per breve tempo, la città, per arrivare poi a un accordo pacifico col papa. Dal XIV secolo, Sutri passò definitivamente sotto il controllo papale. Anche lo sviluppo urbanistico di Sutri, fin dall’antichità, è stato influenzato dalla presenza della via Cassia. Lungo di essa, a poche centinaia di metri dal pianoro che ospita la civitas, furono scavati interamente nel tufo la necropoli monumentale e il suggestivo anfiteatro romano del I secolo a.C. Dell’antica civitas sono invece pochissime le testimonianze, fagocitate dalle sovrastrutture architettoniche dei periodi successivi. L’allargamento del tessuto urbano è ben evidente nel corso del Medioevo, quando l’abitato viene ampliandosi dal pianoro verso la valle (il cosiddetto burgus) con un progressivo adeguamento della cinta muraria. Oltre alla civitas e al borgo sottostante, un terzo nucleo piú piccolo, oggi abbandonato, sorto intorno al convento di S. Stefano – da cui il nome di Borgo di S. Stefano – completava l’abitato. Oggi se ne conservano poche ma significative testimonianze, tra cui la Torre degli Arraggiati (XIV secolo) e i resti semisepolti del convento. Percorrendo la Cassia in direzione sud, verso il Colle Savorelli, si incontrano, non lontano dall’anfiteatro, alcuni monumenti importanti, fra cui la chiesetta di S. Cecilia, oggi trasformata in un’attività commerciale, e, poco distante, la chiesa di S. Maria al Tempio, del XV secolo, MEDIOEVO NASCOSTO
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Una delle facciate del Palazzo Vescovile, impreziosita da finestre bifore gotiche.
ora sede del centro di accoglienza al parco archeologico. Su tutti, primeggia però il mitreo (luogo di culto del dio iranico Mitra; vedi box a p. 30), scavato nella rupe tufacea e ricavato probabilmente dalla fusione di piú ambienti sepolcrali di origine etrusca. Il mitreo assunse l’attuale forma architettonica intorno al I secolo a.C., per poi essere convertito in tempio cristiano, inizialmente dedicato all’Arcangelo Michele, ritratto in un affresco trecentesco nell’area presbiteriale e, piú tardi, alla Madonna del Parto, come attesta un altro affresco raffigurante la Natività. Non lontano, sul Colle Savorelli vi sono altre presenze medievali di una certa consistenza. Del XIII secolo è la chiesetta di S. Giovanni in Monte, anticamente dedicata alla Madonna, ma pesantemente trasformata nel XVII secolo; a questa era annessa una piccola struttura ospedaliera, scomparsa, e il tuttora esistente Palazzo Anguillara o «di Carlo Magno» (XIV secolo) che leggende locali associano a un «improbabile » – per incompatibilità cronologica – soggiorno dell’imperatore Mentre la zona del borgo, sviluppatasi lungo la via Francigena, si arricchí di strutture ricettive atte ad accogliere il gran numero di pellegrini di passaggio, sul pianoro, naturalmente piú difeso, andò predominando la funzione rappresentativa e residenziale. L’a-
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bitato era anticamente raggiungibile da piú porte, alcune delle quali oggi distrutte o murate come la Porta «Furia», del II secolo a.C., che prende il nome da Furio Camillo, e accesso principale in epoca romana, e la seicentesca Porta «Romana», distrutta nel XX secolo per esigenze di viabilità. Del periodo medievale restano le porte risalenti al XII-XIII secolo: Porta Franceta (detta Porta Vecchia o Porta S. Pietro) e Porta Moroni (XV secolo). Altri accessi si avevano lungo le mura che circondavano il borgo a valle e delle quali rimangono sporadiche tracce. Il circuito murario oggi visibile è riferibile al XIII secolo, anche se non mancano resti delle mura romane che cingevano la civitas.
Per vicoli e piazzette
L’attuale impianto urbanistico è percorso longitudinalmente da una via principale, che ricorderebbe l’antico decumano. Partendo da Porta Moroni, lo si percorre tutto sino a piazza del Comune, anticamente sede del Foro, preceduto da un fornice romano che immette nella piazza, oggi integrato in una porta di accesso. Dalla piazza ci si inoltra per i vicoli del paese in un susseguirsi di edifici e piazzette. Accanto ai motivi ricorrenti dell’edilizia medievale si nota una scarsa presenza di case-torri, cosí diffuse nel resto della Tuscia, e qui testimoniata solo dalla
Un edificio del centro storico di Sutri sviluppatosi su una casa di età medievale. In basso la Torre degli Arraggiati (o di S. Paolo). XIV sec. L’edificio sorge nell’area denominata Borgo di S. Stefano, sviluppatosi intorno all’omonimo convento.
slanciata Torre Fortebracci, del XIII secolo. Una significativa testimonianza altomedievale è la cripta della cattedrale risalente all’XI-XII secolo, con otto navate suddivise da colonne di spoglio con capitelli medievali. Dedicata a santa Maria Assunta, la chiesa sovrastante, sorta sulle fondamenta di un edificio di culto paleocristiano, fu ampliata nel XII secolo e completamente rimaneggiata nel Settecento. Della cattedrale antica restano, oltre alla cripta, il bellissimo pavimento cosmatesco e la torre campanaria. Alla fase tardo-medievale dell’edilizia sacra sutrina appartengono la trecentesca chiesa di S. Francesco, la già citata chiesa della Madonna del Tempio, lungo la via Cassia, appartenuta all’Ordine dei Cavalieri di Malta, che accoglie un bell’affresco quattrocentesco, mentre sono numerose le chiese purtroppo distrutte o abbandonate nel corso dei secoli come quella di S. Giuliano (XII secolo), S. Lorenzo in Fornice (XIV secolo) e S. Tommaso (XV secolo). Nonostante le inevitabili perdite e trasformazioni in nome di una piú o meno giustificata modernizzazione, dopo oltre duemila anni di storia Sutri, col suo antico e discreto fascino, continua a osservare dall’alto l’antica via Cassia/Francigena, un tempo transito di pellegrini, eserciti e personaggi di nobile stirpe, oggi sempre piú percorsa da distratti e frettolosi automobilisti. MEDIOEVO NASCOSTO
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Lazio
ANAGNI
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l centro storico di Anagni offre l’occasione di immergersi in un ambiente tipicamente medievale, caratterizzato da chiese, edifici pubblici e privati, vicoli e atmosfere che inducono a compiere un viaggio nel tempo. In epoca arcaica, Anagnia era il piú importante centro ernico (gli Ernici erano un’antica popolazione italica dell’Lazio meridionale, n.d.r.). Dopo la sconfitta inflitta da Roma alla Lega Latina, nel 306 a.C., la città fu annessa allo Stato romano e perse ogni autonomia politica (civitas sine suffragio), pur continuando a essere un importante centro religioso, con numerosi templi e santuari e la presenza di collegi sacerdotali. Tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. venne innalzata la cinta muraria, ancora ben conservata in alcuni tratti del centro storico, realizzata in opera quadrata, formata da blocchi di travertino dello spessore di circa 3 m, disposti alternativamente di testa e di taglio, e rinforzata da un terrapieno retrostante. Il tratto nel quale si apre la cinquecentesca Porta S. Maria costituiva anche il muro di terrazzamento della parte piú alta dell’abitato, nel sito in cui si trovava l’acropoli e dove, nel Medioevo, sorsero il vescovado e la cattedrale. Nel corso dell’età di Mezzo Anagni riconquistò la sua antica rilevanza e, tra l’XI e gli inizi del XIV secolo, divenne uno dei luoghi di residenza dei papi, al centro delle vicende
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legate alla lotta tra il papato e l’impero. Qui soggiornarono Adriano IV, Alessandro III – che da Anagni emanò la scomunica contro Federico Barbarossa –, e ben quattro furono i papi originari di Anagni: Innocenzo III, il pontefice che approvò la Regola francescana; Gregorio IX, che dalla cattedrale di Anagni scomunicò Federico II; Alessandro IV, che continuò la lotta contro il potere svevo, e canonizzò santa Chiara d’Assisi; infine Bonifacio VIII, appartenente alla potente famiglia Caetani, il papa che piú di ogni altro operò al fine di ristabilire l’autonomia del pontefice contro il potere imperiale, e per ripristinare l’autorità assoluta della Chiesa. Tra gli edifici medievali di Anagni, spicca la cattedrale, sorta su una precedente chiesa di epoca carolingia degli inizi del IX secolo dedicata a san Magno. La nuova cattedrale, intitolata a S .Maria, è in stile romanico lombardo, con successive aggiunte in stile gotico; fu avviata per iniziativa del vescovo Pietro da Salerno nel 1073, ma, nonostante la consacrazione nel 1074, la costruzione della torre campanaria nel piazzale antistante la facciata (1141) e la realizzazione del ciborio (1179), i lavori proseguirono nel corso del Duecento. Tra il 1224 e il 1231 fu posata la pavimentazione cosmatesca sia della chiesa che della cripta sottostante, e fu realizzato dal Vassalletto e la sua bottega il monumentale trono episcopale.
Qui sotto la facciata di Casa Barnekow. XIII sec.
L’interno è suddiviso in tre navate separate da pilastri, e si chiude con un presbiterio rialzato chiuso da tre absidi. Alla fine del XIII secolo la famiglia Caetani fece realizzare sul fianco meridionale della chiesa una monumentale cappella di famiglia, e la loggetta pensile con la statua di Bonifacio VIII benedicente, che prospetta su piazza Innocenzo III. Al di sotto della cattedrale sono altri edifici di notevole importanza per l’arte medievale, che segnano il passaggio dai moduli bizantineggianti a quelli occidentali. La cripta di S. Magno presenta sulle pareti e sulle volte un ciclo di affreschi attribuito da Pietro Toesca a tre diversi pittori anonimi, il Maestro delle Traslazioni, il Maestro Ornatista e il Terzo Maestro, attivi il primo forse agli inizi del XII secolo, gli altri due nel secondo quarto del Duecento. Le pitture rappresentano storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, con l’origine del mondo, l’Apocalisse, la storia dell’arca dell’alleanza, le vite di san Magno e santa Secondina, per concludersi con una simbologia del Giudizio Universale. Annesso alla cripta è l’oratorio
In alto, a sinistra l’edicola della cattedrale che accoglie la statua di papa Bonifacio VIII. Nella pagina accanto e a destra due vedute della cattedrale di Anagni, la cui costruzione risale agli anni 1072-1104, a opera del vescovo Pietro da Salerno e per la munificenza dell’imperatore d’Oriente Michele VII Ducas. L’esterno si presenta in forme romaniche, mentre l’interno ha assunto i caratteri del gotico lombardo dopo il restauro del 1250 da parte del vescovo Pandolfo. MEDIOEVO NASCOSTO
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In alto uno scorcio della cripta di S. Magno, costruita dal vescovo Pietro da Salerno contemporaneamente alla cattedrale, tra il 1072 e il 1104. A destra la Sala delle Scacchiere del Palazzo di Bonifacio. Qui, secondo la tradizione, si sarebbe consumato, nel 1303, l’episodio dello «schiaffo di Anagni», l’umiliazione inflitta a papa Caetani.
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In alto, a destra affresco raffigurante la popolazione di Anagni, capeggiata dal vescovo Zaccaria, che attende il ritorno del corpo di san Magno, trafugato dai Saraceni, ai quali fu pagato un riscatto per la restituzione. Fine del XIIinizi del XIII sec. Anagni, cripta di S. Magno.
intitolato a san Tommaso Beckett, che occupa un ambiente anticamente adibito a chiesa paleocristiana e a mitreo. Gli affreschi, probabilmente mai completati, rappresentano scene bibliche e una teoria di santi benedettini, tra cui San Tommaso. Dalla cattedrale, scendendo in piazza Innocenzo III, contornata da edifici medievali, si giunge al Palazzo di Bonifacio VIII, un complesso su piú piani, sorretto nella parte posteriore da grandi arcate. All’interno, si trovano tre sale per piano; quelle dell’ultimo sono riccamente affrescate con motivi araldici, geometrici e zoomorfi risalenti alla fine del Duecento. Secondo la tradizione, proprio in una di queste, la Sala delle Scacchiere, sarebbe avvenuto il drammatico episodio noto come «schiaffo di Anagni», di cui parla anche Dante («Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso / e nel vicario suo Cristo esser catto», Purgatorio, XX, 86-87) a danno di papa Bonifacio VIII, che fu catturato dai rappresentanti del re di Francia Filippo il Bello e delle famiglie baronali avverse ai Caetani, comandate da Sciarra Colonna. Dopo tre giorni di prigionia, il papa fu liberato grazie all’insurrezione dei cittadini di Anagni e portato a Roma, dove morí poco dopo, l’11 ottobre 1303.
Tra gli altri edifici del centro storico di Anagni, va ricordato il Palazzo comunale, eretto tra il 1159 e il 1163 e caratterizzato da un passaggio coperto con una serie di poderosi archidiaframma sui quali poggia la grande Sala della Ragione, accessibile attraverso uno scalone esterno. La facciata posteriore, su cui sono gli stemmi di Anagni e dei Caetani, presenta bifore e trifore, e una loggia quattrocentesca detta «del banditore». Lungo via Vittorio Emanuele si trova poi la cosiddetta Casa Barnekow, uno degli esempi piú caratteristici dell’architettura privata del XIII secolo. Prende nome dal barone svedese Alberto Barnekow, che qui visse nella metà dell’Ottocento. Presenta una scala esterna coperta da un loggiato sorretto da due archi a tutto sesto, che ricorda molto da vicino i profferli (scale a una sola rampa che correvano lungo le facciate e terminavano con piccole logge che precedevano gli ingressi alle abitazioni, n.d.r.) del Viterbese. Secondo una tradizione, qui soggiornò Dante Alighieri durante una sua permanenza ad Anagni, e la casa fu anche disegnata dallo storico tedesco Ferdinando Gregorovius (1821-1891), colpito dalla particolarità della sua facciata. Luciano Frazzoni MEDIOEVO NASCOSTO
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Lazio
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Tuscania Viterbo
Montalto di Castro Tarquinia
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l pianoro tufaceo sul quale sorge oggi il borgo medievale di Farnese fu abitato già dall’età del Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.). In seguito il sito fu però abbandonato e numerosi insediamenti sorsero nel suo territorio, che, nel tempo, fu controllato da Etruschi, Romani e, infine, Longobardi. A partire dall’XI secolo, quando tutta l’area conosce il fenomeno dell’incastellamento nasce anche il castrum Farneti, nello stesso luogo occupato dalle capanne dell’età del Bronzo. È probabile che il nome «Farnese» o «Farneto», derivi dalla presenza di boschi di farnie (Quercus robur), un tipo di quercia ora pressoché scomparsa. Il nome di Farnese è documentato per la prima volta in un diploma d’infeudazione del 1210, rilasciato dall’imperatore Ottone IV a Ildebrandino Ildebrandeschi sulle terre precedentemente appartenute al conte Ranieri di Bartolomeo, e che costituivano la cosiddetta «Terra Guiniccesca», un grande feudo tra la bassa Toscana e l’Alto Lazio, compreso tra le sedi vescovili di Castro e Sovana. Per tutto il XIII e almeno fino alla metà del XIV secolo Farnese è sottomessa al comune di Orvieto. Il castro di
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Farnese compare anche nell’elenco delle decime della diocesi di Castro per gli anni 1274-1280 («presbitero Gorgio de Franneto X sol. Cort»). Dal punto di vista urbanistico Farnese si presenta oggi diviso in due parti: il borgo medievale, sviluppatosi con espansione di tipo «centripeta» sulla rupe tufacea tra due fossi, e il borgo rinascimentale, formato da tre assi stradali disposti a tridente sulla direttrice che collega Farnese a Ischia di Castro, e che portano alla piazza su cui s’affaccia Palazzo Chigi, oggi sede del Municipio. Questa seconda parte del paese fu edificata nel Cinquecento dai Farnese per ospitare i propri sudditi. Qui si trovano, tra l’altro, il monastero delle Clarisse, con l’annessa chiesa di S.Maria delle Grazie, e il bel palazzo detto «Casa del Platonio», realizzato nel corso del XVI secolo da un certo mastro Sallustio, senese. Fa da cerniera tra i due nuclei dell’abitato la Porta Nuova, realizzata nel 1613 dall’architetto Ettore Smeraldi sulle strutture di una porta precedente. Già al servizio di Mario Farnese nella fortezza di Ferrara, Smeraldi realizzò nei primi anni del Seicento molte opere a Farnese: un’altra porta di
Sulle due pagine mappa e veduta aerea del centro storico di Farnese con l’indicazione dei monumenti piú importanti: 1. Palazzo Farnese o Rocca. 2. Porta Nuova. 3. Viadotto o Corridore. 4. Chiesa del SS. Salvatore. 5. Chiesa di S. Maria della Neve. 6. Butti a Tralipozza. 7. Fontana monumentale. 8. Edifici della Galeazza. 9. Palazzo Ceccarini Chigi (Municipio). 10. Borgo. 11. Palazzo Platoni. 12. Monastero di S. Maria delle Grazie. 13. Convento di S. Rocco. 14. Convento di S. Francesco (o dei Cappuccini). 15. Chiesa di S. Anna (o S. Maria della Cavarella). 16. Santuario della Madonna delle Grazie. 17. Museo Civico «Ferrante Rittatore Vonwiller».
negli anni 1615-1617, è opera dello Smeraldi, al quale si deve la facciata con l’imponente portale con colonne in peperino e bugnature in travertino, Di fronte alla Rocca si trova la chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, risalente almeno al XV secolo, con una facciata moderna realizzata nel 1954 dall’architetto Vincenzo Fasolo. La chiesa di S. Maria della Neve è situata nel centro storico, nell’odierna piazza del Plebiscito. Tradizionalmente è considerata il piú antico luogo di culto di Farnese; fu la prima sede parrocchiale del paese fino al XV secolo, quando fu sostituita dalla chiesa del SS. Salvatore. Nel 1560 Giulia Acquaviva, moglie di Pier Bertoldo Farnese, fece edificare a sue spese una chiesa con annesso convento, dedicata a san Rocco. Dopo soli 57 anni Mario Farnese, figlio di Pier Bertoldo, chiese ai frati che vi risiedevano di utilizzare il convento e la chiesa per la figlia, suor Maria Francesca, monaca dell’Ordine di Santa Chiara, che intendeva fondare un monastero di clausura nel quale venissero applicate le sue regole, ispirate a un rigido misticismo. Il duca si impegnava con i frati a costruire per loro un altro convento. Il 9 maggio 1618 le Clarisse poterono prendere possesso della nuova dimora. La chiesa annessa al convento fu dedicata a S. Maria delle Grazie. Morto il duca Mario Farnese nel 1619, senza che, come promesso, fosse stato costruito il nuovo convento per i frati, questi decisero di edificarlo da soli con i proventi delle elemosine, accanto alla chiesa esistente in località
accesso al paese in direzione di Castro, detta Porta Sant’Angelo, ora sostituita da un piacevole belvedere; il recinto delle mura, del quale resta parte di un bastione in località Cortinaro; la risistemazione delle strade e diverse case di abitazione private. Entrati dalla Porta Nuova si incontra la Rocca, residenza dei Farnese, che da edificio fortificato medievale, fu trasformato in un’elegante dimora signorile. Anche l’ampliamento della Rocca in forma di palazzo, realizzato
Sant’Umano, posta fuori del paese sulla strada che conduce a Pitigliano e Manciano. Il nuovo edificio fu consacrato nel 1733 e dedicato nuovamente a S. Rocco. Situato all’ingresso del paese venendo da Ischia di Castro, il convento di S. Francesco (o dei Cappuccini) fu edificato nel 1585 da Mario Farnese. I frati cappuccini vi rimasero fino al 1926, quando il complesso fu ceduto alle suore Mercedarie, che ancora oggi vi risiedono. Giovanni Antonio Baragliu, Carlo Casi e Luciano Frazzoni
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A destra la Rocca dei Farnese, che, da edificio fortificato, venne progressivamente trasformata in un elegante palazzo signorile.
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Lazio
ACQUAPENDENTE
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cquapendente, forse da identificarsi in Acula o Aquae Taurinae – stazione romana menzionata negli itinerari antichi – è racchiusa tra i verdi boschi della riserva naturale di Monte Rufeno, sorvegliata dalle moli severe dei limitrofi castelli di Torre Alfina e di Trevinano, rallegrata da numerose cascatelle che confluiscono nel fiume Paglia e dalle quali deriverebbe il nome. Nel IX secolo, intorno alla pieve intitolata a Santa Vittoria, si formò un borgo che divenne ben presto fiorente in quanto situato lungo la via Cassia-Francigena, luogo di sosta obbligato per i pellegrini, ma anche di eserciti e regnanti in cammino verso Roma. Proprio per la sua posizione nodale lungo il piú importante itinerario stradale del Medioevo, Acquapendente fu sempre al centro di conflitti, tra Longobardi e «Romani», tra papato e impero, combattendo anche contro Orvieto, quando venne sottoposta alla diocesi dell’antico centro etrusco. Castello imperiale di Ottone I, che vi soggiornò nel 964, passata agli Svevi, appartenne poi ai possedimenti di Matilde di Canossa, che la donò con i suoi beni alla Chiesa, facendola cosí rientrare nel patrimonio di San Pietro. Sottoposta al dominio di Siena e alle scorrerie di capitani di ventura, ottenne finalmente da papa Eugenio IV, nel 1443, la concessione di sovranità e dunque di libertà cittadina. Acquapendente era il primo centro urbano nei possedimenti papali e l’intera cittadina era destinata all’accoglienza di chi si trovava ormai poco lontano da Roma. Le sue porte, per le quali passava la via Francigena, rimanevano sempre aperte verso Siena e verso Roma. Restano poche tracce della città muraria turrita, distrutta quasi del tutto, quali la Torre del Barbarossa, unica superstite del Castello imperiale poi distrutto, e la Torre Julia de Jacopo, del XII secolo, alla quale è annesso il museo dedicato alla ceramica medievale di Acquapendente. Tra gli edifici religiosi spicca la cattedrale del Santo Sepolcro in piazza del Duomo, consacrata nel 1149 e rimaneggiata nella parte superiore in forme settencentesche; le eleganti e severe forme romaniche furono parzialmente riportate alla luce dopo la seconda guerra mondiale. Da non mancare è la cripta con il sacello del Santo Sepolcro, del IX-X secolo, divisa in tre navate trasversali e nove longitudinali, con affreschi duecenteschi e una foresta di 24 colonne con capitelli romanici figurati. Qui si conservano due sacre memorie: quella della colonna della Flagellazione di Cristo, posta su di un cippo pagano, e, a un livello sottostante, il sacello con una delle piú antiche riproduzioni del Santo Sepolcro di Gerusalemme. A partire dal IX secolo, infatti, si diffuse in tutta l’Europa cristiana l’uso di riprodurre tempietti e sacelli ispirati al luogo in cui Cristo era stato sepolto, siti devozionali che diedero origine a importanti santuari e mete di pellegrinaggio. La replica di Acquapendente affida la sua suggestiva sacralità a due piccole pietre bianche che si dice provengano dal palazzo pretorio di Ponzio Pilato, impreziosite da alcune macchie che la tradizione vuole del sangue di Cristo: reliquie preziose e sante, portate ad Acquapendente dai crociati dopo la presa di Gerusalemme. Le principali tradizioni locali sono riferibili alla storia vissuta da Acquapendente nell’anno Mille. La Fiera delle Campanelle, celebrata ogni prima domenica dopo Pasqua, e che risale al 1150, si ispira ai pellegrini di ritorno dalla Terra Santa, quando allestivano nella piazza della Comunità un variopinto mercato ricolmo di mercanzie insolite riportate dal viaggio in Oriente e tintinnanti campanelli erano appesi al collo degli animali per attirare curiosi e acquirenti. C’è poi la Festa dei Pugnaloni, creazioni artistiche composte da petali di fiori, che si celebra la prima domenica dopo il 15 maggio, per ricordare la sollevazione popolare del 1166 contro Federico Barbarossa, quando i paesani insorsero brandendo i pungoli per i buoi nascosti sotto fiocchi e decori per farli somigliare a rami fioriti. Francesca Ceci
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La cripta della chiesa del Santo Sepolcro ad Acquapendente. Risalente al IX-X sec., contiene la reliqua della colonna della Flagellazione di Cristo e, a un piano sottostante, una delle piú antiche riproduzioni del luogo in cui Cristo venne sepolto.
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MARCHE
Ascoli Piceno Ancarano UMBRIA
Civitella del Tronto Campli
Giulianova
Roseto degli Abruzzi
Teramo Pietracamela
Città Sant’Angelo
Assergi
Pescara
Penne Santo Stefano di Sessanio Calascio Castelvecchio Calvisio Capestrano
L’Aquila Rocca di Cambio
Tagliacozzo
Casoli Cocullo
Sulmona
Pacentro Introdacqua
Avezzano Anversa degli Abruzzi
Civitella Roveto
Ortona Bucchianico Fara Filiorum Lanciano Petri
Guardiagrele
Ovindoli
Pereto
Chieti
Pretoro
Navelli
Celano
M A R A D R I AT I C O
Scanno
Atessa
Vasto
Fara San Martino Palena
Pescocostanzo
Pescasseroli LAZIO
Alfedena
ABRUZZO
MOLISE
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bitato da numerose popolazioni italiche – Sabini, Vestini, Peligni, Marsi, Marrucini, Sanniti e Frentani –, il territorio abruzzese entrò nell’orbita di Roma sul finire del IV secolo a.C. La prima colonia romana fu Lanciano, allora chiamata Anxanum, che poi divenne municipium insieme alla potente Corfino. Con Augusto, l’odierno Abruzzo fu inglobato quasi interamente nella IV regione, Sabina et Samnium, mentre all’epoca di Diocleziano venne amministrato insieme alla Campania. Il nome Aprutium comparve all’inizio del Medioevo, prima della dominazione dei Longobardi, i quali divisero in seguito il territorio in due settori ripartiti fra il ducato di Spoleto e quello di Benevento. I segni della presenza longobarda sono ancora rintracciabili nei toponimi e nei monumenti di Fara San Martino e Guardiagrele. Dal IX secolo, con l’epoca dell’incastellamento, sorsero molti borghi fortificati che progressivamente si dotarono di maggior autonomia politica: Castel di Sangro, Capestrano, Civitella del Tronto, Tagliacozzo, Pacentro, Borrello, Popoli, Pescocostanzo e Scanno. Nel XII secolo la regione fu occupata dai Normanni – che ne fecero un possedimento del regno di
Sicilia – e in seguito passò sotto il controllo degli Svevi. E l’abruzzese Tagliacozzo, nel 1268, fu teatro di una delle battaglie chiave del conflitto tra gli Svevi e gli Angioini. Negli stessi anni veniva fondata L’Aquila, che, in breve tempo, assunse un ruolo predominante nel territorio come centro militare, mentre Chieti rivestí la funzione di una sorta di capitale politico-economica. L’ascesa dei Comuni continuò anche nel XIV secolo dando spinta alla crescita di piccoli abitati come Santo Stefano di Sessanio, Città Sant’Angelo – precedentemente distrutta da Federico II – e Pietracamela. Nel XV secolo irruppero nella regione gli Aragonesi, che scalzarono gli Angioini, inglobando il territorio abruzzese nel regno di Napoli. La guerra tra le dinastie francesi e spagnole caratterizzò gli ultimi anni del Medioevo e il primo Rinascimento. Molte città vissero uno stato di guerra quasi permanente e si trasformarono in presidi militari dotati di imponenti fortificazioni. Nella pagina accanto, in alto Ortona (Chieti). Il castello aragonese, eretto nel XV sec. per iniziativa di Alfonso d’Aragona e oggi solo parzialmente conservato, in quanto alcune delle sue strutture franarono in mare nel 1946.
I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO»
Provincia dell’AQUILA
•ALFEDENA Torre del castello altomedievale di Alfedena e chiesa dei SS. Pietro e Paolo (XIII secolo). •ANVERSA DEGLI ABRUZZI Ruderi del castello normanno, chiese medievali e borgo fortificato nella frazione di Castrovalva. •ASSERGI (L’AQUILA) Mura dell’XI secolo e chiesa di S. Maria Assunta (XII secolo). •CALASCIO (vedi box alle pp. 50-51). •CAPESTRANO Castello Piccolomini (XV secolo), convento francescano di S. Giovanni. •CASTELVECCHIO CALVISIO Cinta muraria medievale, torre di guardia, chiesa di S. Cipriano (VII secolo). •CELANO Rocca Piccolomini (XIV secolo), chiese del Medioevo. •COCULLO Cinta muraria, chiesa di S. Maria delle Grazie (XIII secolo). •FONTECCHIO Torre medievale, convento di S. Francesco (XII secolo), palazzi castellati. •INTRODACQUA Torre e castello del XII secolo, palazzo Trasmondi (XIII secolo) e chiese. •NAVELLI Porte e palazzi medievali. •PACENTRO (vedi articolo alle pp. 44-49). •PERETO Santuario della Madonna dei Bisognosi, con affreschi del XIV-XV secolo. •PESCOCOSTANZO Borgo d’impronta medievale, con pregevoli chiese e palazzi signorili. •ROCCA DI CAMBIO Abbazia gotico-romanica di S. Lucia e collegiata di S. Cocullo (L’Aquila). La statua del patrono, san Domenico, con attorcigliate serpi vive, catturate dai cosiddetti «serpari», viene portata in processione per il paese in occasione della festa che si svolge ogni anno in maggio.
Pietro. •SANTO STEFANO DI SESSANIO (vedi box alle pp. 52-53). •SCANNO Palazzi nobiliari e chiese dell’Età di Mezzo. •SULMONA Acquedotto, porte cittadine e chiese medievali. •TAGLIACOZZO Frazione medievale di Altolaterra e chiesa di S. Francesco del XIII secolo. Provincia di CHIETI
•ATESSA Porte e chiese medievali. •BUCCHIANICO Chiese dell’Età di Mezzo. •CASOLI Cinta muraria e castello ducale (IX secolo). •FARA FILIORUM PETRI Porta d’accesso al borgo, cunicoli e chiese dell’Età di Mezzo. •FARA SAN MARTINO Abitato di origine medievale. •GUARDIAGRELE Torri e chiese di origine medievale. •LANCIANO Molti edifici religiosi risalenti al Medioevo, porte e torri dell’XI secolo. •ORTONA Castello aragonese del XV secolo e cattedrale medievale. •PALENA Rocca del XII secolo ed eremo della Madonna dell’Altare. •PRETORO Chiese medievali. •VASTO Castello Caldoresco (XV secolo), torri, palazzi nobiliari e chiese dell’età di Mezzo. Provincia di PESCARA
•CARAMANICO TERME Chiese ed eremi medievali. •CITTÀ SANT’ANGELO Collegiata di S. Michele Arcangelo e convento dei Francescani (XIV secolo). •PENNE Duomo (X secolo) e altre chiese di origine medievale. •POPOLI TERME Castello Cantelmo (X secolo), Taverna ducale trecentesca. •ROCCACARAMANICO (SANT’EUFEMIA A MAIELLA) Borgo medievale. •TOCCO DA CASAURIA Castello e chiesa di S. Eustachio del XII secolo. Provincia di TERAMO
•ANCARANO Porte e resti delle mura medievali. •CAMPLI Palazzo del Parlamento, torre trecentesca dei Melatino e chiese dell’età di Mezzo. •CIVITELLA DEL TRONTO Fortezza (XIII secolo), chiesa di S. Francesco (XIV secolo), santuario e convento di S. Maria dei Lumi (XV secolo). •PIETRACAMELA Abitazioni e chiese di origine medievale. •ROSETO DEGLI ABRUZZI Borgo medievale nella frazione di Montepagano.
MEDIOEVO NASCOSTO
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PACENTRO Nel castello di ser Jacopo di Francesco Colotta
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’econdo una leggenda popolare, l’eroe troiano Pacinus, compagno di Enea, si sarebbe stanziato in terra d’Abruzzo, sulle pendici del Monte Morrone, dopo aver attraversato il Sannio. La storia, invece, conduce nell’epoca meno remota dell’incastellamento, quando i Longobardi intuirono le potenzialità strategiche di quell’altura che dominava la Valle Peligna e la dotarono di una torre d’avvistamento, donando poi l’area edificata all’abbazia di S. Vincenzo al Volturno. Qualche secolo piú tardi – la prima menzione risale al 951 nelle pagine del Chronicon Casauriense – nel luogo sorse un castello, oggi monumento simbolo del borgo di Pacentro, uno dei gioielli architettonici dell’Aquilano. Progressivamente, intorno alla rocca cominciò a svilupparsi un centro abitato che negli anni sopravviverà a devastanti fenomeni sismici, in particolare nel XVIII secolo e nel recente 2009. Nel XII secolo, secondo le informazioni riportate nel Catalogus baronum del Regno di Sicilia, il nucleo abitativo di Pacentro era composto da quasi cinquanta famiglie.
Una stagione di guerre
Un secolo piú tardi il borgo passò sotto il controllo di Federico II di Svevia, che provvide ad ampliarne il castello. La fortificazione seguí poi il destino – e in età moderna ne prese il nome – del nobile Jacopo Caldora, protagonista della battaglia contro il condottiero Braccio da Montone, suo ex comandante, nel quadro piú ampio della guerra dell’Aquila, che vide coinvolti anche il Regno di Napoli, il Ducato di Milano, la Repubblica di Firenze e lo Stato della Chiesa. Con la sconfitta di Braccio nel 1424, Jacopo Caldora acquisí territori nella Valle Peligna, tra i quali figuravano Pacentro e il suo ambito castello, 44
MEDIOEVO NASCOSTO
Veduta aerea di Pacentro (L’Aquila).
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ITINERARI
Abruzzo
che venne ulteriormente fortificato. Il dominio di Caldora non durò comunque a lungo e si esaurí, di fatto, con la morte dell’aristocratico – nel 1443 – decretando il trasferimento dei suoi possedimenti alla famiglia dei Cantelmo di Popoli. Alla fine del Medioevo e nei secoli successivi il governo del borgo fu gestito da famiglie nobiliari di maggiore rilievo politico come gli Orsini, i Colonna e i Barberini.
L’epopea delle torri
La storia di Pacentro si snoda dal perimetro del suo celebre castello, uno dei piú antichi d’Abruzzo, fiore all’occhiello della zona di Borgo Caldora-Contrada Colle, che racchiude le piú significative testimonianze architettoniche del 46
MEDIOEVO NASCOSTO
Medioevo. Le imponenti torri di controllo della fortificazione si innalzano sul punto piú alto del paese, a oltre 700 m di quota: l’antica Torre d’Assedio, a sud-est, si ritiene riporti ancora le lesioni cagionate dall’attacco di Federico II nel 1230; a nord-ovest la pentagonale Torre del Possesso (o del Re), anch’essa di costruzione medievale, raffigura il potere feudale, il punto della rocca dal quale i signori locali erano soliti affacciarsi durante il rito di insediamento; la misteriosa Torre Fantasma, a nord-est, evoca infine la leggenda del barone Roberto di Licinardo che nell’edificio avrebbe fatto scolpire il volto della moglie Margherita di Brai, suicidatasi dopo la falsa notizia del decesso del consorte. I torrioni circolari sono invece frutto di
La chiesa della Madonna di Loreto, fondata sul finire del XVI sec. e poi riedificata alla fine del Settecento, probabilmente a causa di un incendio.
In alto, a destra veduta del castello di Pacentro, il cui profilo è reso inconfondibile dalle torri quadrangolari del primo impianto e dai successivi bastioni cilindirici. A destra la pietra Tonna, un grosso blocco incavato, usato per calcolare 1 tomolo, una unità di misura del grano, corrispondente a 56 litri.
interventi rinascimentali, come anche la cinta muraria a base trapezoidale. Sempre sulla sommità dell’altura si concentrano gli altri monumenti medievali di maggior rilievo, raccolti intorno alla suggestiva piazza del Popolo e lungo la via di Santa Maria Maggiore. La quattrocentesca chiesa della Misericordia, santuario principale di Pacentro, presenta una facciata a tre portali nella parte inferiore e un maestoso campanile decorato da bifore che rivaleggia in altezza con le torri del vicino castello. Nelle vicinanze sorge l’edificio religioso piú antico, la chiesa di S. Marcello: costruita nell’XI secolo in omaggio a papa Marcello I (255-309), ha una fisionomia trecentesca nella facciata e conserva pregevoli affreschi databili al XV secolo. Nello stesso quadrante del borgo, si trovano la chiesa della Madonna di Loreto (XVI secolo) e un altro santuario cinquecentesco, la chiesa rurale di S. Maria degli Angeli.
La «pietra della vergogna»
Di rilievo storico sono anche numerose architetture civili, a partire dalle tre porte urbiche: Mulino, della Rosa e della Rapa. Nei pressi MEDIOEVO NASCOSTO
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I LONGOBARDI E LA CORSA DEGLI ZINGARI Una gara a piedi scalzi lungo un percorso impervio di oltre 800 m, tra le rocce e i sentieri del Colle Ardinghi, traversando il torrente Vella, per giungere al traguardo collocato nel borgo di Pacentro, presso la chiesa della Madonna di Loreto. La Corsa degli Zingari, la cui prima edizione ufficiale venne celebrata nel 1726, prevede come premio un pezzo di stoffa con cui in passato si cuciva l’abito per le occasioni importanti. In calendario nei primi giorni di settembre, la manifestazione affonderebbe le radici – secondo alcune indagini storiografiche – nel Medioevo. Si ipotizza un fondamento religioso, riferito alla traslazione della Santa Casa a Loreto avvenuta nel XIII secolo, oppure un simbolico reclutamento militare per il condottiero Jacopo Caldora (1369-1439). O ancora un’origine piú remota, connessa all’avvento dei Longobardi, secondo quanto sostenuto dall’archeologo Andrea R. Staffa nel volume Pacentro e i Longobardi in Abruzzo. Alle origini della Corsa degli Zingari (2019): la manifestazione presenta infatti somiglianze con alcune tradizioni germaniche e potrebbe configurarsi come una sopravvivenza di antichi riti di iniziazione dei giovani nel passaggio all’età adulta. Si legherebbe, inoltre, ad altri riti di matrice longobarda del Sud Italia, dall’albero sacro di Benevento all’omaggio con i fuochi alle divinità della luce. Il riferimento al termine «zingaro» non si identifica con la figura classica del nomade, ma alla condizione dei poveri costretti a camminare scalzi – nel dialetto locale l’espressione indica una persona con pochi stracci indosso –, che affidano alla preghiera la speranza del proprio riscatto. Come in molte realtà della tradizione religiosa italiana, credenze di matrice pagana convivono con forme di devozione cristiana.
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MEDIOEVO NASCOSTO
In alto un momento della tradizionale Corsa degli Zingari. Sulle due pagine un’altra veduta di Pacentro.
della prima, di presumibile origine duecentesca, è collocata la cosiddetta «pietra Tonna», che veniva utilizzata come unità di misura per il grano, ma che è nota anche come «pietra della vergogna»: su di essa venivano infatti costretti a sedere, nudi, i debitori insolventi, in segno di pubblico disprezzo. L’odierna sede del Municipio è ospitata nel
cinquecentesco Palazzo La Rocca, maestoso edificio dedicato a una potente famiglia feudale del territorio. Da menzionare sono anche Palazzo Granata (XVI secolo) e Palazzo Tonno, complesso, invece, seicentesco. Un cenno anche sul Fontanone rinascimentale che campeggia in piazza del Popolo e sulla Fontana del Vallone, di costruzione trecentesca.
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CALASCIO
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ul versante meridionale del Gran Sasso, con vista sulla valle del Tirino e dell’altopiano di Navelli, il fascino del Medioevo seduce con straordinaria suggestione. Un abitato storico, sulle pendici del rilievo, sorge a notevole distanza – circa 3 chilometri – dal suo principale monumento che si trova arroccato a 1460 m di altezza: il castello di Rocca Calascio, la cui avvenenza non ha lasciato indifferente il cinema nella scelta di scenografie per film di successo come Amici miei-Atto II (1982), Ladyhawke (1985) e The American (2010). Il borgo di Calascio ha una storia piú antica rispetto alla sua fortificazione e appare citato già nell’816 – con il toponimo Calaso – in un privilegio dell’imperatore carolingio Ludovico I il Pio, che lo annoverava tra i possedimenti dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno. Informazioni piú accurate si rintracciano nei secoli X e XI, periodo in cui il piccolo centro figura nel dominio dei nobili Berardi, noti come Conti di Marsi. Nel XII secolo, con l’arrivo dei Normanni, presumibilmente su iniziativa di Ruggero II d’Altavilla, prende forma il progetto di proteggere militarmente il territorio con un castello e si stabilisce di edificarlo in cima all’altura. Le prime attestazioni sulla sua esistenza risalgono al secolo successivo, per la precisione al 1239, in riferimento a una costruzione dotata di un torrione centrale quadrangolare. Solo nel XV secolo, con la proprietà del nobile e militare Antonio Todeschini Piccolomini, il castello assunse una fisionomia piú compiuta, con il preesistente mastio centrale oggi parzialmente mozzato, la cerchia muraria e quattro torri ad angolo a base circolare. Nel borgo e nei suoi pressi si segnalano anche pregevoli architetture religiose: le chiese di S. Maria delle Grazie e di S. Maria della Pietà, entrambe cinquecentesche, e la piú antica S. Leonardo che risale al XIII secolo. Mentre tra le architetture civili spiccano le quattrocentesche Casa Piccolomini e Casa torre la Palmara. Francesco Colotta
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MEDIOEVO NASCOSTO
Sulle due pagine il castello di Rocca Calascio, sorto in età normanna, forse per volere di Ruggero II d’Altavilla. Nella pagina accanto, nel riquadro uno scorcio del borgo di Calascio.
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SANTO STEFANO DI SESSANIO
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anto Stefano di Sessanio è un piccolo Comune montano in provincia dell’Aquila, all’interno dello splendido scenario del Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga. Si tratta di un borgo medievale dai nobili trascorsi, di cui troviamo tracce certe e numerose nelle fonti, a partire dal XIII secolo. Centro strategico e nevralgico lungo la grande via della transumanza che scendeva ai pascoli delle Puglie, Santo Stefano conosce la massima fioritura dal 1579, quando diventa possedimento dei Medici. Strettissimo è il rapporto con Firenze, soprattutto grazie al fiorente commercio della lana nera, detta «carfagna», ricavata da pecore allevate in loco. Passano i secoli e l’Italia diventa unita. Con la scomparsa della transumanza, il borgo si ritrova tagliato fuori dalle rotte del progresso e comincia a essere decimato da un’emigrazione pesantissima. Il regio censimento del 1901 conta nel piccolo Comune la presenza di 1407 anime. Un secolo dopo, nel 2001, le anime sono 116. Ma un giorno arriva in paese un giovanotto biondo, a cavallo di una motocicletta: è Daniele Kihlgren, figlio di un’italiana e di uno svedese: Kihlgren si guarda intorno e ciò che vede gli piace: senza sapere bene perché, compra una di quelle case vuote, poi un’altra e un’altra ancora. L’incontro tra Daniele e un architetto pescarese produce un’idea: far rinascere il borgo attraverso un restauro filologicamente corretto, nel pieno rispetto dell’autenticità e dell’identità autoctona, e restituire a ogni edificio e a ogni ambiente l’aspetto e la destinazione originari, sposando la storia alla tecnologia. Il progetto ha significato la trasformazione del borgo mediceo in «albergo diffuso». Ciò vuol dire che non c’è «una» struttura in grado di accogliere i turisti, ma che il paese stesso è «la» struttura: quelle in cui si dorme sono proprio le camere da letto di quattro o cinque secoli fa, cosí come i laboratori artigiani sono le autentiche botteghe e ogni cosa, dai materassi alle coperte alle lenzuola, proviene dagli antichi corredi o è realizzata con le stesse tecniche di una volta. Dietro tutto questo, nell’ombra, sta anche un paziente e scrupoloso lavoro di ricerca, compiuto con la collaborazione del Museo delle Genti d’Abruzzo, dell’Università di Pescara, di tanti storici e studiosi abruzzesi e, infine, della memoria di ferro degli anziani del posto. La bontà del recupero di Santo Stefano di Sessanio ha convinto e affascinato tutti: dai numerosi turisti italiani e stranieri alla piccola comunità di Inglesi che qui si è stabilita, preferendo il borgo abruzzese all’affollato «Chiantishire». Nicoletta Zullino
Sulle due pagine scorci del borgo di Santo Stefano di Sessanio. Nella foto grande, a destra, si riconosce la sagoma della poderosa torre cilindrica, risalente al XIV sec.
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MEDIOEVO NASCOSTO
In basso, a destra i resti della Torre Medicea, simbolo del borgo, sormontati da una struttura in metallo che ne simula lo sviluppo originario: la costruzione è stata distrutta dal sisma che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile 2009. Il terremoto ha gravemente danneggiato anche numerose abitazioni. MEDIOEVO NASCOSTO
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M A R A D R I AT I C O Termoli
ABRUZZO Montenero di Bisaccia
o
rn
fe Bi
Agnone
San Martino in Pensilis
Larino
Pietrabbondante San Vincenzo al Volturno
Rocchetta a Volturno LAZIO
Venafro
Pescolanciano
Trign o
MOLISE
Palata
Petrella Tifernina
Torella del Sannio
Isernia
Castropignano Oratino
Bojano
Ripalimosani
Pesco Farese PUGLIA
Campobasso Riccia
Sepino CAMPANIA
T
erra dei Sanniti, il Molise, dopo la battaglia di Sentino del 295 a.C. – nella quale Roma sconfisse una coalizione di popoli italici – fu assoggettato dai vincitori dello scontro. I Romani fondarono colonie importanti – Isernia, Venafro, Larino – e altri abitati di origine sannita, come per esempio Sepino, che vennero fortificati. L’economia della regione prosperava grazie alla fertilità delle terre e alla pastorizia. Nel VI secolo molti centri furono devastati dai Goti e successivamente caddero nelle mani dei Longobardi. Nel periodo dell’ascesa delle signorie feudali (VII-VIII secolo) comparve per la prima volta il nome Molise, associato alla potente famiglia normanna dei de Moulins, che possedeva una vasta contea nella zona.
Negli stessi anni, una delle abbazie benedettine sorte nella regione, quella di S. Vincenzo al Volturno, si affermò come uno dei centri religiosi di maggior rilievo dell’intera Italia meridionale. Con la dominazione normanna, nell’XI secolo, il Molise fu diviso in due contee: Loritello e Bojano. Tra il 1123 e il 1144 si costituí il cosiddetto Comitatus Molisi, uno dei piú potenti Stati normanni della Penisola, che fu posto sotto il controllo della contea di Bojano. Il suo momento d’oro si esaurí alle soglie del XIII secolo, nel pieno della guerra svevo-normanna per la conquista del Sud. Nel 1221 gli Svevi sottomisero la grande contea e governarono lasciando una parziale autonomia giurisdizionale ai feudatari del luogo. L’indipendenza dei feudi svaní dopo la metà del XIII secolo, con l’avvento degli Angioini. Durante l’amministrazione francese vari nobili locali scatenarono un conflitto che proseguí anche nel periodo in cui il Molise fu colonizzato dagli Aragonesi. Tra gli aristocratici in lotta emersero in modo prepotente i conti di Campobasso, che dominarono la scena fino al XV secolo. Nel 1531, con gli Spagnoli al potere, il Molise appartenne alla Capitanata, zona della Puglia che comprendeva quasi l’intero Foggiano.
I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di ISERNIA
•AGNONE (vedi articolo alle pp. 56-59). •CASTEL SAN VINCENZO Borgo medievale, parte del monastero di S. Vincenzo al Volturno. •PESCOLANCIANO Castello dell’VIII secolo, cinta di S. Maria dei Vignali. •PIETRABBONDANTE Centro storico di struttura insediativa medievale. •ROCCHETTA A VOLTURNO Castello Battiloro (XII secolo), parte del monastero di S. Vincenzo al Volturno. •VENAFRO Concattedrale di S. Maria Assunta (V secolo), chiesa dell’Annunziata, torre del Mercato di origine medievale e resti delle mura. Provincia di CAMPOBASSO
•BOJANO (vedi box a p. 61). •CASTROPIGNANO Rocca
d’Evoli (XIV secolo), ex chiesa duecentesca di S. Nicola. •LARINO Duomo (XIII-XIV secolo), palazzo ducale normanno (XII-XIII secolo). •ORATINO Palazzo Giordano (XV secolo), torre medievale. •RICCIA Castello quattrocentesco, zecca, chiesa di S. Maria Assunta (XIII secolo). •RIPALIMOSANI Castello (XI secolo), torrioni, chiesa di S. Maria Vergine Assunta (XV-XVI secolo). •SEPINO Borgo medievale, torri e porte della cinta muraria. •TERMOLI Cittadina d’impronta medievale, dominata dalla mole della rocca di origine normanna; cattedrale di S. Maria della Purificazione (XII-XIII secolo). •TORELLA DEL SANNIO Castello e chiesa di S. Nicola (XI secolo).
Nella pagina accanto Larino (Campobasso). Uno dei grifoni che ornano la facciata della cattedrale. In basso Castropignano (Campobasso). I resti del castello d’Evoli: edificato in epoca longobarda e rimaneggiato dai Normanni.
MEDIOEVO NASCOSTO
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Molise
AGNONE
Suona l’ora della storia
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A destra una campana prodotta dalla Fonderia Marinelli di Agnone (Isernia), attiva fin dal Medioevo. Sulle due pagine una veduta del borgo di Agnone, arroccato su un’altura, a oltre 800 m di quota.
di Francesco Colotta
A
gnone, la «città delle campane» (e per alcuni, non senza una certa enfasi, l’«Atene del Sannio»), era abitata fin dal III secolo a.C., epoca in cui si ipotizza la presenza nel suo territorio di profughi provenienti dall’Irpinia: si trattava di gruppi di reduci sanniti, sconfitti dai Romani nella battaglia combattuta nel 293 a.C. presso Aquilonia (città sannitica nell’alta valle dell’Ofanto). Un vero e proprio borgo cominciò a prendere forma in età altomedievale, negli anni dell’occupazione longobarda e conobbe i primi fasti architettonici nel XII secolo, con la dominazione della famiglia Borrello, originaria della vicina Pietrabbondante e legata politicamente alla Repubblica di Venezia. Questo stretto connubio favorí l’afflusso di numerosi artigiani lagunari, della cui permanenza si trova traccia nella parte piú antica dell’abitato, denominata «rione veneziano» e in alcuni monumenti cittadini sui quali compare l’effigie del leone di San Marco. I Veneziani che si stanziarono ad Agnone sarebbero stati esuli in fuga dalle zone dei Balcani occupate dall’impero ottomano; ma vi è anche chi ha ipotizzato che provenissero dalle colonie pugliesi della Serenissima. Grazie alla loro presenza, sorsero nuove attività artigiane, in particolare nel settore della lavorazione dell’oro, dell’argento, del ferro battuto e del rame. All’era luminosa della Serenissima fecero seguito un breve periodo di governo dei MEDIOEVO NASCOSTO
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Molise
nobili Carbonara, feudatari di re Manfredi di Svevia, e il dominio degli Annibaldi e dei Minutolo, fedeli luogotenenti degli Angiò.
Una tradizione di successo
Del notevole sviluppo delle attività artigianali beneficiò in primo luogo la produzione delle campane, destinata a trasformarsi in uno dei simboli della tradizione agnonese. Verso la fine del Medioevo, in questa attività altamente specializzata si misero in luce un artigiano locale, Giuseppe Campato e, soprattutto, la famiglia Marinelli: quest’ultima diede vita a un’industria vera e propria, facendosi apprezzare anche al di fuori dei confini del borgo. Quella dei Marinelli di Agnone è una delle piú antiche fonderie del mondo e, nel Trecento, sfornò la sua prima creazione: una campana del peso di circa 2 quintali, commissionata da una chiesa del Frusinate. Nel XV secolo, con il dominio aragonese sul Meridione d’Italia, la produzione registrò un significativo incremento, e gli splendidi manufatti dei Marinelli arrivarono a far sentire i propri rintocchi nell’intera Penisola. Nel 1924, la fonderia ricevette l’imprimatur della Santa Sede, che autorizzò l’apposizione dello stemma pontificio sulle campane. Tuttavia, il prestigio conquistato nei secoli da Agnone non fu solo frutto della sua fiorente industria fondiaria, ma anche della progressiva 58
MEDIOEVO NASCOSTO
In alto altre campane della Fonderia Marinelli. A destra, sulle due pagine la facciata della chiesa di S. Pietro. In basso la croce stazionaria collocata all’esterno della chiesa di S. Emidio.
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Molise Nella pagina accanto in alto veduta di Civita Superiore, frazione di Bojano nella quale si conserva una fortificazione di origine normanna. Nella pagina accanto, in basso incisione raffigurante la città di Bojano, da Il Regno di Napoli in prospettiva di Giovan Battista Pacichelli (1702).
La Porta Semiurna (o Porta Napoli) nella quale si apre un arco a ogiva in stile gotico. XII sec.
affermazione politica. Nell’Ottocento, infatti, al tempo del Regno delle Due Sicilie, il borgo figurava nell’elenco delle città dette «regie», dotate cioè di propri organi di governo – il sindaco, i giudici – e soggette direttamente all’autorità del sovrano: si trattava di località che rivestivano un’importanza strategica all’interno dei confini del regno e per questo esentate da qualsiasi sudditanza di tipo feudale.
Monumenti religiosi e civili
La struttura urbanistica di Agnone ha preso forma nell’area compresa fra le antiche chiese di S. Marco (XI-XII secolo), S. Nicola (X secolo, poi ristrutturata nel Trecento) e S. Pietro Apostolo (X-XI secolo). Altri pregevoli luoghi di culto sono la trecentesca chiesa di S. Francesco, eletta Monumento Nazionale, la cui facciata conserva un rosone e portale a sesto acuto, mentre all’interno è visibile un’impronta rinascimentale; la chiesa di S. Emidio, 60
MEDIOEVO NASCOSTO
anch’essa eretta nel XIV secolo con forme tipicamente gotiche; S. Biase (XI secolo), S. Amico (XII-XIII secolo) e S. Chiara (XV secolo). La chiesa di S. Antonio Abate (databile secondo una tradizione al XII secolo), invece, evidenzia imponenti architetture di epoca posteriore, come il campanile settecentesco, ma custodisce dipinti dell’VIII secolo. Nel corso del Medioevo, sorsero inoltre edifici funzionali alle attività artigianali in continua espansione. Al pianterreno di uno dei piú celebri palazzi cittadini, la Casa Nuonno (XIV secolo), ornato da una splendida bifora gotica, si trovavano locali adibiti a botteghe, fra cui quella di un orafo. Meritano infine una menzione il quattrocentesco Palazzo Apollonio, dalla cui facciata si protende un leone in pietra – con funzione di reggiscudo –, che evoca i già citati trascorsi veneziani del borgo, il trecentesco Palazzo Fioriti, la Casa Bonanni (XV secolo) e la Casa Santangelo (XVI secolo).
BOJANO
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a fondazione di Bojano è la storia di un rito che si intreccia con le leggende sull’origine dei Sanniti. Secondo la tradizione, i Sabini, freschi vincitori di una guerra contro gli Umbri, indissero una festa religiosa, il Ver Sacrum (la primavera sacra), in onore del dio Mamerte. La celebrazione prevedeva che alcuni giovani, guidati da un bue consacrato alla divinità, partissero in cerca di nuove terre in cui insediarsi. Dopo un lungo cammino, l’animale si fermò in una zona detta Samnium e l’evento, secondo il mito, fu l’atto di nascita del popolo sannita. Una tradizione contigua afferma, invece, che a quel luogo venne dato il nome Bovaianum o Bovianum proprio perché era stato il bue a sceglierlo. Bojano, era presumibilmente la «capitale» dei Pentri, una delle quattro tribú sannitiche. Secondo Tito Livio, era la città piú importante del Sannio e poteva contare su un sistema efficiente di fortificazioni. Espugnata dai Romani nel 305 a.C., fu poi trasformata in colonia e, nei primi anni dell’era cristiana, divenne anche diocesi. All’indomani della caduta dell’impero romano, il centro decadde rapidamente, ma riacquistò prestigio nel periodo della dominazione longobarda, durante la quale era gastaldato. Nell’XI secolo Bojano ebbe un nuovo governante, il cavaliere normanno Rodolfo de Moulins, dal cui cognome si fa comunemente derivare il termine Molise. Il nobile, a partire dal piccolo nucleo cittadino, fondò una contea che, in breve tempo, espanse i propri confini, raggiungendo un’estensione pari a quella dell’attuale regione. In seguito il borgo fu la roccaforte del conte del Molise Tommaso da Celano, che si asserragliò nel locale castello per sfuggire alle truppe di Federico II.
Sul finire del Medioevo la località cambiò spesso padrone e il piú delle volte fu amministrata da una signoria (i Carafa, i Pandone e i Filomarino). Colpita da terremoti e spesso vittima di assalti, Bojano ha conservato nei secoli la sua struttura medievale specie nella frazione di Civita Superiore, situata a oltre 700 m sopra il livello del mare. I ruderi del castello normanno fatto costruire da Rodolfo de Moulins si trovano qui, come i resti di fortificazioni altomedievali, le porte di accesso e la chiesa quattrocentesca di S. Giovanni Battista. Altri santuari medievali sono disseminati nel territorio comunale: l’eremo di S. Egidio (IX secolo), la cattedrale di S. Bartolomeo (XI secolo), la chiesa di S. Maria del Parco e di S. Erasmo entrambe del XIV secolo. Francesco Colotta MEDIOEVO NASCOSTO
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MOLISE
LAZIO
Rocca d’Evandro Roccamonfina Sessa Aurunca
Foggia Circello
Piedimonte Matese
Vairano Patenora Cusano Mutri Formicola
Teano
PUGLIA
San Marco dei Cavoti Campolattaro
Guardia Sanframondi Ariano Irpino Carinola Sant’Agata De’ Goti Sant’Angelo Mondragone Zungoli in Formis Caserta Montesarchio Frigento Sant’Angelo Maddaloni dei Lombardi Golfo Cimitile Mercogliano Gesualdo Andretta Aversa di Gaeta Nola Calitri Nusco Avellino Somma Vesuviana Ves V es Conza della Campania Taurano Bagnoli Irpino Na Napoli Bacoli Nocera Mercato San Severino Inferiore BASILICATA Torre Annunziata t Sieti Ischia Cava de’ Tirreni Campagna Amalfi Salerno Potenza Maiori Vico Equense Eboli Atrani Agerola Calvi Risorta
Benevento
Battipaglia
Capri
Golfo di Salerno
Capaccio
Agropoli
MAR TIRRENO
Castellabate
Roscigno
Felitto
Vallo di Lucania Ascea
Sala Consilina
Teggiano
Padula
Novi Velia Centola
Sapri
CAMPANIA
Policastro Bussentino
G
ià abitata dalle genti italiche degli Ausoni, degli Opici e dei Campani, la Campania fu una delle prime e piú importanti mete della colonizzazione greca, per effetto della quale fiorirono centri importanti come Ercolano, Pompei, Cuma, Poseidonia (Paestum), Eboli e l’antica Partenope, sul cui nucleo si sviluppò in seguito una parte di Napoli. Nel VII secolo a.C. si stanziarono nella regione gli Etruschi, quindi irruppero i Sanniti, che fissarono le loro roccaforti a Maleventum (Benevento), Airola, Montesarchio e San Giorgio del Sannio. L’ingresso nell’orbita di Roma ebbe inizio nel IV secolo a.C. e la progressiva e conseguente romanizzazione si tradusse per la Campania in un periodo di grande fulgore politico-economico. Sorsero molte colonie, tra cui Puteoli (Pozzuoli), Suessa (Sessa Aurunca) e Salernum (Salerno). In età imperiale, però, l’area campana visse una fase di decadenza, che coincise con la drammatica eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Nel periodo delle invasioni barbariche furono i Longobardi a lasciare le tracce piú profonde, con la fondazione del ducato di Benevento, mentre i Romani in fuga si asserragliarono sulle alture, favorendo lo sviluppo di centri come Ravello.
Segni visibili della dominazione longobarda sono ancora evidenti in alcuni borghi di origine medievale, come Montesarchio, Sant’Agata dei Goti, Morcone, Guardia Sanframondi e Sant’Angelo dei Lombardi. Una parte delle città costiere, invece, rimase sotto l’influenza bizantina, in particolare Napoli, Amalfi e Gaeta. L’XI secolo fece registrare l’arrivo dei Normanni, che, grazie alle imprese del condottiero Roberto il Guiscardo, dalla piccola Aversa estesero i loro possedimenti su tutta la regione e, in seguito, sull’intera Italia meridionale. La minaccia saracena comportò un nuovo spostamento delle popolazioni costiere verso le alture. La Campania fece parte del regno di Sicilia e divenne il principale teatro bellico nella lotta tra la monarchia sveva e gli Angioini. A Benevento, in un’epica battaglia, si consumò nel 1266 uno degli ultimi atti del dominio svevo sul Mezzogiorno della Penisola con la sconfitta di Manfredi e il trionfo di Carlo d’Angiò. Napoli rivestí il ruolo di capitale nel nuovo regno angioino in Italia e mantenne questo status di città guida anche dopo l’avvento degli Aragonesi, nel XV secolo.
I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di AVELLINO
•ARIANO IRPINO Cattedrale del X secolo e resti di un castello normanno. •BAGNOLI IRPINO Ruderi di un castello longobardo del XIII secolo, rocca quattrocentesca e rione della Giudecca con edifici medievali. •CALITRI Borgo Castello di Calitri. •CONZA DELLA CAMPANIA Palazzi feudali e mura antiche. •FRIGENTO Rovine del castello, chiesa S. Maria dell’Assunta. •GESUALDO Castello del VII secolo, chiesa Madre di S. Nicola (XII secolo). •MERCOGLIANO Santuario di Montevergine, fondato nel XII secolo. •NUSCO Castello longobardo e cattedrale dell’XI secolo. •SANT’ANGELO DEI LOMBARDI Borgo medievale, ruderi dell’abbazia del Goleto, castello del X secolo. •TAURANO Abbazia di S. Angelo (XI secolo), convento di S. Giovanni del Palco (XIV secolo). •ZUNGOLI Castello ed edifici gentilizi nel centro storico.
Annunciazione (particolare), tempera su tavola attribuita ad Angiolillo Arcuccio (notizie 1430-1492). Sant’Agata de’ Goti (Benevento), chiesa dell’Annunciata.
Provincia di BENEVENTO
•CAMPOLATTARO Castello (XIII secolo), cappella di Maria SS. del Canale. •CIRCELLO Castello (XI secolo), torre S. Angelo (XIII secolo). •CUSANO MUTRI Borgo medievale, ruderi del castello (V secolo), chiesa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo (VI secolo). •GUARDIA SANFRAMONDI Castello normanno del XII secolo, porte di accesso al centro. •MONTESARCHIO Borgo medievale, castello (VIII secolo), chiese del XII e del XV secolo. •SAN MARCO DEI CAVOTI Torre provenzale trecentesca, borgo medievale di piazzetta Vicidomini. •SANT’AGATA DE’ GOTI Borgo medievale, duomo del X secolo, chiesa longobarda di S. Angelo in Munculanis, chiesa di S. Mennato (XII secolo). Provincia di CASERTA
•AVERSA Mura, chiese medievali, sedile di San Luigi (XI secolo). •CALVI RISORTA Chiesa paleocristiana (V secolo), castello aragonese. •CARINOLA (vedi articolo alle pp. 64-71). •FORMICOLA. Chiese medievali. •MADDALONI Santuario (XII secolo), borgo antico dei Formali. •MONDRAGONE Castello (VIII-IX secolo), monastero di S. Anna a Monte (XIV secolo). •PIEDIMONTE MATESE Palazzi d’origine medievale, chiesa di S. Biagio, santuario di S. Maria Occorrevole (XV secolo). •ROCCA D’EVANDRO Castello del X secolo, chiese del XV secolo. •ROCCAMONFINA Santuario di S. Maria dei Lattani (XV secolo), palazzi medievali. •SANT’ANGELO IN FORMIS (CAPUA) Abbazia di S. Angelo in Formis (VI secolo). •SESSA AURUNCA Torre di S. Biagio (XIII secolo), castello Ducale. •VAIRANO PATENORA (vedi box a p. 77). Città metropolitana di NAPOLI
•AGEROLA Chiesa di S. Maria la Manna (XIII secolo), convento di S. Francesco di Cospiti (XI secolo). •BAIA (BACOLI) Castello (XV secolo). •CIMITILE (vedi box alle pp. 72-75). •NOLA Reggia Orsini (XV secolo), chiese medievali. •SOMMA VESUVIANA Borgo del Casamale, mura aragonesi. •TORRE ANNUNZIATA Castello dei
d’Alagno, torretta de’ Sena e torre di Rovigliano (XV secolo).• VICO EQUENSE Chiesa della SS. Annunziata (XIV secolo), castello Giusso (XIII secolo). Provincia di SALERNO
•AGROPOLI Castello angioino-aragonese, mura. •ATRANI Chiese medievali, torre dello Ziro (XV secolo), grotta dei Santi con affreschi bizantini. •CASTELLABATE Castello medievale, mura e porte. •CAVA DE’ TIRRENI Abbazia della SS. Trinità (XI secolo), castello di origine altomedievale. •CENTOLA Castelli di Molpa e di San Severino. •EBOLI Castello normanno (XI secolo), chiese medievali. •FELITTO Centro storico medievale. •MAIORI Castello di San Nicola de Thoro Plano (XIV secolo), chiese medievali. •MERCATO SAN SEVERINO Rovine del castello, chiese medievali. •NOCERA INFERIORE Castello del Parco (X secolo), santuari. •NOVI VELIA Torre normanna, palazzo feudale del XIII secolo. •PADULA Torri e porte medievali, battistero di Marcelliano (IV secolo). •POLICASTRO BUSSENTINO (SANTA MARINA) Centro storico con mura medievali, duomo (XI secolo). •ROSCIGNO Borgo medievale nella zona di Roscigno Vecchia. •SALA CONSILINA Rocca normanna con mura di cinta (XIII secolo), chiese di S. Stefano e di S. Eustachio (XII secolo). •SIETI (GIFFONI SEI CASALI) Borgo medievale. •TEGGIANO (vedi box a p. 76).
MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Campania
CARINOLA
Echi catalani in Terra di Lavoro di Francesco Miraglia e Corrado Valente
B
orgo della Campania settentrionale compreso nell’antica Terra Laboris (Terra di Lavoro), Carinola (oggi in provincia di Caserta) fu definita dallo storico dell’arte Adolfo Venturi (1856-1941) la «Pompei del Quattrocento», per le numerose strutture riferibili all’architettura catalana. Quest’ultima, tuttavia, rappresenta solo il periodo di maggiore concentrazione di specifici interessi politici da parte dei feudatari del tempo, in primo luogo la potente famiglia Marzano, seguita da quella del segretario di corte Antonello Petrucci (vedi box a p. 70). Lo sviluppo del centro storico di Carinola si può suddividere in quattro fasi. La prima (secoli VIX) ci mostra il nucleo antico: un insediamento paleocristiano del quale permangono un portico (nel tempo trasformato) e un sacello, urbanizzato in epoca longobarda. Al volgere dell’XI secolo fu realizzata la bella cattedrale di origine romanica. La seconda fase (secoli XI-XII) mostra una prima espansione sul versante sud del borgo, con la realizzazione anche della primigenia porzione delle mura, che giunse a compimento solo nel XV secolo. Le uniche aree non irrobustite da opere di difesa, però, sono proprio quelle situate a sud: si dovette evidentemente ritenere che questo settore dell’abitato fosse già naturalmente protetto dalla morfologia dell’ambiente circostante e dalla presenza di corsi d’acqua. L’espansione urbana piú significativa si colloca nella terza fase (secoli XIII-XV): è caratterizzata dall’occupazione angioino-aragonese e interessa il settore settentrionale, con la realizzazione di edifici in stile catalano, del castello e l’ampliamento del circuito murario. La quarta fase si può infine riferire a interventi preunitari, consistenti per lo piú nello sventramento del tessuto storicizzato in corrispondenza del versante est, per realizzare il corso Umberto I e la piazza. La forma urbis di Carinola – nelle cui mura si aprono tre porte nei pressi delle strutture poste a nord-est (sedile, castello e Annunziata) e una 64
MEDIOEVO NASCOSTO
Palazzo Marzano, scorcio del livello superiore della loggia quattrocentesca; sulla sinistra, il suggestivo portale coronato da un arco inflesso bicuspidato. a sud (porta di S. Andrea) – è «a spina», con la centrale via Roma e piccole strade che la intersecano seguendo il declivio naturale dell’insediamento. È un impianto a «sviluppo lineare», con abitazioni disposte in serie parallele e allineate secondo la direzione nord-sud. La casa a corte rappresenta una tipologia molto diffusa. Edifici a prima vista anonimi o rimaneggiati conservano spesso elementi storicizzati o intere porzioni murarie di significativo interesse. Nelle fabbriche piú complesse, oltre alla corte, si ritrova il giardino, in genere poco esteso, contenuto nell’area di pertinenza del manufatto e talvolta circondato da ulteriori ambienti plurifamiliari, adibiti a funzioni diverse, come quella di deposito o di stalla.
Un presidio poderoso e ben munito
Il castello di Carinola vanta una storia plurisecolare: oggi si presenta come rudere imponente, con le porzioni superstiti, purtroppo, a serio rischio di crollo. La struttura del fortilizio medievale si articola su due livelli, il muro della sala di rappresentanza e l’attiguo mastio, in gran parte conservato. Prima della quasi completa distruzione, avvenuta al volgere del secondo conflitto mondiale, si sviluppava intorno a un poderoso corpo centrale e aveva una forma pressoché triangolare, piuttosto rara nel territorio. In occasione dello sventramento operato nella seconda metà del XIX secolo, una sua porzione, in corrispondenza della fronte ovest, venne abbattuta per allargare l’arteria di collegamento che attraversava longitudinalmente gran parte del borgo in direzione nord-sud, per cambiare rotta verso est, sino a costeggiare l’area della cattedrale e raccordarsi con una delle strade che conducevano all’esterno. Sino agli anni Trenta del Novecento, il castello
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ITINERARI
Campania
si presentava come un poderoso edificio residenziale, su due livelli fuori terra e con una scala esterna a ovest. Come accennato, è tuttora integro, sebbene molto degradato, il possente mastio quadrangolare su tre livelli, che svetta sull’antica porta dell’Annunziata, presidiando il salto di quota che ricorda la presenza di un fossato difensivo. Scarse e lacunose notizie ascrivono la fondazione del fortilizio al periodo normanno, suffragata però dalla sola forma quadrangolare del mastio, peraltro non esclusiva di quella tradizione architettonica; oltretutto, come riferisce piú di una fonte, esso è stato ampiamente ristrutturato in epoche successive. Si deve inoltre segnalare che quello di Carinola non era compreso tra i castelli campani di pertinenza del demanio svevo.
Gli interventi angioini
Interventi di riparazione del castrum di Carinola sono attestati nel 1272, per volere di Carlo I d’Angiò, come si evince dai registri della Cancelleria angioina. Ciò rende plausibile che i lavori si riferissero anche al castello, riguardando forse la realizzazione del mastio, al di sopra di un basamento di epoca anteriore, soltanto questo di impianto normanno.
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MEDIOEVO NASCOSTO
Nella seconda metà del Quattrocento, il castello fu impreziosito di membrature catalane e ristrutturato per le nuove esigenze di difesa. Una testimonianza del suo valore difensivo, che investe Francesco Petrucci, figlio di Antonello e conte di Carinola, è riportata da Camillo Porzio ne La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il re Ferdinando I: lo studioso narra che Petrucci, dopo un soggiorno effettuato presso la corte napoletana per annusare il clima politico, preoccupato di incorrere nelle ire del sovrano che si preparava a tradire, tornò sollecitamente a Carinola, asserragliandosi proprio nel fortilizio. Ancora, tra il 1801 e il 1850, la struttura fu oggetto di rilievi a colori, noti come «minute di campagna», rinvenuti negli archivi dell’Istituto Geografico Militare e raffiguranti una porzione della Carta del Reame di Napoli. I grafici furono considerati inutilizzabili, perché inesatti, ma fanno emergere particolari interessanti e propongono una rappresentazione del castello leggermente diversa rispetto alle mappe dei decenni successivi, culminate nel catasto d’impianto. Esso è raffigurato di forma triangolare, con ingresso sulla fronte ovest e una pianta che, in linea di massima, richiama quella reale; ri-
Nella pagina accanto, in basso, nel tondo Carinola vista in prospettiva dal vedutista e cartografo spagnolo Francesco Cassiano de Silva, dal Regno Napolitano Anotomizzato. 1705. Vienna, Österreichische Nationalbibliothek. In basso veduta panoramica del borgo di Carinola, il cui assetto urbano odierno conserva tracce delle sistemazioni precedenti.
LE STRATIFICAZIONI URBANE
N
Nucleo antico (VI-X sec.) Espansione (XI-XII sec.) Espansione angioino-aragonese (XIII-XV sec.)
Via
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a
Interventi preunitari (seconda metà del XIX sec.)
a
om
R Via
Piazza Vescovado Piazza Municipio
Piazza Castello
spetto alle rappresentazioni piú tarde, differisce il rapporto tra pieni e vuoti, qui enfatizzato sulle fronti sud e nord. Sulla prima, infatti, si evidenzia una sorta di belvedere, non piú esistente. Sulla fronte est, invece, il castello era protetto dal fossato, dominato dal mastio. Su questo lato era posto anche uno degli ingressi alla cittadella piú importanti dal punto di vista strategico, al quale si perveniva dalle antiche vie per Capua e per Sessa. A nord, invece, le «minute» segnalano una figura geometrica – un esagono – al culmine della struttura: con tutta evidenza è l’iniziale costruzione grafica di un bastione poligonale, riferibile all’età moderna. La sua presenza è confermata da una foto aerea degli anni Quaranta del Novecento, anch’essa dell’Istituto Geografico Militare. Agli inizi degli anni Trenta del Novecento, la struttura castellare fu acquistata dal Comune di Carinola, anche grazie alla segnalazione dell’architetto Gino Chierici, alla guida della Regia Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna della Campania. Alla speranza di definirne una funzione degna delle sue caratterizzazioni, si
sostituí ben presto la discutibile necessità di utilizzarlo per ospitare funzioni produttive, destinandolo a canapificio. La sua storia recente culmina con le già segnalate deprecabili condizioni di conservazione.
Conci di tufo grigio
Anche per il castello si possono individuare diverse fasi costruttive, in un arco temporale compreso tra i secoli XIII e XV. La prima (XIII secolo) è riferibile al mastio, il cui paramento esterno è costituito da filari di conci squadrati di tufo grigio, al muro della fronte est del fortilizio – apparecchiato con ricorsi orizzontali periodici, nel MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Campania
territorio in analisi denominati «cantieri» – e a quello posto a sud, limitatamente al primo livello, coperto da una fodera di conci di tufo grigio realizzata in tempi recenti. L’interno del mastio, al secondo livello, è coperto da una volta a crociera a sesto ogivale. Un’analoga volta ne copre anche il primo livello: è probabile che il suddetto vano accogliesse una cisterna. Sempre all’interno del mastio, dall’analisi di un’apertura della fronte nord si comprende che i costituenti filari visibili sul paramento esterno e i «cantieri» con i quali è apprestato il muro, hanno la stessa altezza (mediamente 40 cm, corrispondenti a 1,5 palmi napoletani): sono dunque il risultato di un unico programma costruttivo. La seconda fase (XIV secolo) riguarda il corpo di fabbrica addossato alla fronte sud-ovest del mastio. In particolare, il muro sul lato nord dello stesso è organizzato, per quanto riguarda il paramento esterno, in ricorsi orizzontali di pietre spaccate. Peraltro, esso mostra la traccia di un’apertura, di cui si riconosce ancora parte dell’originaria cornice a sesto leggermente acuto, con ghiera in conci di tufo grigio, murata per innestarvi un grande arco a ogiva, oggi diruto, parte integrante di una volta a crociera non piú esistente. La terza fase (prima metà del XV secolo) informa della realizzazione dell’ambiente nord-est. Si tratta di una lunga sala, pressoché distrutta durante gli ultimi eventi bellici, con tracce visibili di quattro volte a crociera a sesto acuto, delle quali permangono i peducci del lato est, e di un altro ambiente sovrapposto, della stessa estensione, probabilmente coperto con capriate. Un’ulteriore fase (seconda metà del XV secolo) si può individuare nella realizzazione di una lunga copertura a botte a sesto ogivale lungo la sala nord, sulla fascia muraria delle fronti est e ovest (quest’ultima non piú esistente), che precedentemente ospitavano le quattro volte a crociera, anch’essa crollata. Con buona probabilità, la realizzazione della copertura a botte, la cui imposta è ancora individuabile sulla fronte est, attestata a 2,40 m circa e testimoniata dai resti degli aggetti del muro, si rese necessaria per sostituire le crociere ormai danneggiate, verosimilmente, dal violento terremoto che nel 1456 colpí la Campania e le regioni circostanti.
Il patrimonio civile e religioso
Il centro storico di Carinola offre anche un discreto numero di edifici sacri e civili, di proprietà ecclesiastica o pubblica. A est, lungo il tratto dell’antico fossato, al termine di via Annunziata, addossata alla seconda cinta muraria quat68
MEDIOEVO NASCOSTO
Carinola, castello. Fronte nord del corpo di fabbrica superstite: si notino il possente mastio e i resti dell’ampia volta a crociera.
trocentesca, si trova l’omonima chiesa, alla quale era un tempo annesso un ospedale. L’edificio sacro è riconducibile all’esperienza costruttiva tre-quattrocentesca e mostra una facciata semplice, priva di timpano, sovrastata da un oculo strombato. L’interno, preceduto da un portale in tufo finemente lavorato, presenta un impianto ad aula, culminante in una piccola abside quadrangolare, coperta con una volta a crociera ogivale. Annessa è la sagrestia: un ambiente minuto, anch’esso voltato a crociera, con un ulteriore spazio, molto contenuto, coperto da una volta a botte. A sinistra della navata si trova la cappella della Congregazione dell’Immacolata. In corrispondenza della porzione est del piccolo edificio sacro si staglia un campanile, con buona probabilità risalente al XVI secolo, realizzato per volere del principe di Stigliano
1 prima FASE (XIII sec.)
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seconda fase (XIV sec.)
terza fase (prima metà del xv sec.) 3
A
B
NASCITA E SVILUPPO DEL CASTELLO quarta fase (seconda metà del xv sec.) PRIMA FASE, XIII SEC. Costruzione del mastio su preesistenza e sopraelevazione del tratto nord-est delle mura urbane. SECONDA FASE, XIV SEC. Realizzazione del corpo di fabbrica a sud-ovest, addossato al secondo e al terzo livello del mastio, in parte costituente sopraelevazione delle mura urbane. TERZA FASE, PRIMA METÀ DEL XV SEC. Realizzazione di un’ampia sala a nord, coperta con volte a crociera ogivale (A) e di una sovrapposta (B), di una scala esterna e di ambienti di servizio al primo piano. QUARTA FASE, SECONDA METÀ DEL XV SEC. Realizzazione di una volta a botte a sesto acuto (A) e ricostruzione della sala del livello superiore (B).
4
A
B
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ITINERARI
Campania
CHI TROPPO IN ALTO SALE... Nato in un’umile famiglia di agricoltori di Teano, Antonello de Petrucis iniziò la sua lunga ascesa lavorando al servizio di importanti notai del regno e sposando la nobile Elisabetta Vassallo, dalla quale ebbe otto figli. Il suo particolare ingegno gli consentí di ottenere la benevolenza di uno dei segretari di Alfonso d’Aragona, Joan Olzina. Cosí, fu introdotto e conosciuto all’interno della corte, fino a ricevere la nomina di segretario e amministratore regio con Ferrante I. La carriera di Antonello Petrucci fu in continua ascesa, con l’assegnazione di svariati incarichi: fu uomo influente e ricco. Ebbe in dono e acquistò diversi feudi. Nel 1482 comprò la contea di Carinola scorporata dal feudo, un tempo dei Marzano, di Sessa Aurunca. La sua potenza, però, lo pose nel mirino degli avversari di Ferrante I e gli inimicò alcuni signori legati al sovrano e al suo erede Alfonso II. Tra i piú pericolosi, Diomede Carafa (il piú potente signore al tempo degli Aragonesi), che iniziò una campagna diffamatoria nei suoi confronti, sino a influenzare negativamente anche Alfonso II, che affiancava l’anziano Ferrante. La crescente sfiducia del re nei confronti del segretario portò questi a cercare nuove alleanze per garantirsi la vita. L’appoggio suo e dei figli Francesco e Giovanni Antonio ai baroni che si ribellarono al sovrano aragonese, dando vita alla congiura del 1485, ne causò il triste epilogo. Nel 1486, nonostante gli sforzi per ottenere nuovamente la fiducia del sovrano tradito, all’indomani della guerra contro papa Innocenzo VIII, Antonello e gli altri baroni furono arrestati in occasione di un matrimonio perorato dallo stesso segretario. Identica sorte toccò alla moglie e ai due potenti figli. I beni della famiglia Petrucci furono confiscati e, nel 1487, Antonello venne decapitato. Sei mesi piú tardi, anche i due figli furono giustiziati e, in particolare Francesco, conte di Carinola, venne definito dal re come «el pegio de tuti».
Qui sopra la facciata di Palazzo Petrucci (oggi Novelli) che dà su piazza Vescovado. In alto, a destra il campanile della cattedrale. XVII sec. A destra arca di epoca romana utilizzata per custodire le spoglie mortali di san Bernardo e collocata nella cattedrale. 70
MEDIOEVO NASCOSTO
Carinola, cattedrale. Affresco nella lunetta del portale centrale raffigurante la Vergine con il Bambino, che porge una croce a san Bernardo, il quale, a sua volta, presenta (fuori scala) il vescovo Taddeo Pepoli, aggrappato al suo pastorale; a sinistra della Vergine è ritratto san Martino. 1537.
Luigi Carafa e rimaneggiato nel tempo, in particolare nella parte terminale: presenta una cupoletta maiolicata a bulbo che risale probabilmente al XVIII secolo. Risalendo verso ovest, si scorge l’antico sedile (il luogo deputato alle riunioni dei maggiorenti locali, n.d.r.), da tempo trasformato in un’abitazione, con l’ingresso originario – sormontato da una significativa arcata ogivale ancora visibile – murato. Tornando verso il castello, poco lontano da esso, in direzione sud-ovest si trova il palazzo Marzano, verosimilmente attribuibile a epigoni di Guillermo Sagrera, il maestro maiorchino che ideò la volta stellare di Castel Nuovo. La presenza a Carinola di artefici catalani fu favorita da Marino Marzano, che si fece costruire il piccolo edificio per le visite della corte.
Una pregevole dimora signorile
A poche decine di metri, nella piazza centrale sono visibili il palazzo Petrucci e la cattedrale. Il primo è una struttura un tempo residenziale, che oggi ospita funzioni pubbliche a seguito di un restauro condotto nei primi anni Duemila. Già proprietà di Antonello Petrucci, il palazzo è frutto di stratificazioni che datano perlomeno al XII secolo, pervenendo al XV, periodo della sua complessiva ristrutturazione a opera del potente uomo politico. Acquisito nel XIX secolo dai Novelli, l’edificio, in taluni riferimenti storicolocali, riporta la propria denominazione riferita solo a quest’ultima famiglia. Come per palazzo Marzano, ci si trova dinanzi a una struttura che offre, al centro degli spazi abitativi, la corte, con una scala per l’accesso agli ambienti superiori, che disvela un interessante loggiato.
La cattedrale è una fabbrica religiosa annoverata tra gli esempi piú interessanti dell’architettura romanica campana. Il suo impianto originario, scandito da tre navate, fu realizzato al volgere dell’XI secolo su impulso del vescovo Bernardo, in un’area sacra nella quale era già presente un sacello paleocristiano. Il presule vi si trasferí, lasciando la vicina cattedra di Foro Claudio, sita nell’attuale frazione di Ventaroli, che ancora ospita una basilica paleocristiana ridefinita in epoca medievale. Poco dopo la sua morte, la cattedrale fu ampliata. Riferibile a questo periodo è anche la facciata con portale architravato sormontato da un arco a tutto sesto. A sud della navata destra fu inglobato uno spazio che conduceva al sacello, molto probabilmente con originaria funzione di porticato. La sua espansione piú significativa, a ogni modo, va riferita al XIV secolo, con l’allargamento del presbiterio e la realizzazione di tre absidi di forma pentagonale, che registrano assonanze stilistiche con quelle della chiesa di S. Eligio Maggiore a Napoli. Ulteriori interventi sono stati condotti nei secoli successivi: la realizzazione di alcune cappelle affiancate alla navata sinistra, del pronao cinquecentesco e di un secondo campanile, collocato sulla piazza antistante, in sostituzione dell’originario, in gran parte crollato, e oggi occultato da strutture recenti. Degne di nota sono, altresí, alcune statuette in terracotta invetriata, sino agli anni Settanta del Novecento collocate in facciata, poi rimosse. Oggi, dopo diversi decenni, i preziosi manufatti sono tornati a Carinola, ospitati nelle strutture dell’ex seminario. MEDIOEVO NASCOSTO
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Campania
CIMITILE Una veduta della basilica Vetus, fondata da Paolino di Nola alla fine del IV sec. Nella pagina accanto, in basso affresco raffigurante la Trinità eucaristica. Fine del X sec. basilica di S. Felice, abside occidentale.
Chiesa di S. Tommaso Chiesa di S. Stefano
P
ochi chilometri a nord-est di Napoli, Cimitile custodisce il complesso paleocristiano piú importante di tutta l’Italia meridionale. Una manciata di basiliche stratificatesi nel corso di un millennio ricopre un’intera città, Coemeterium, toponimo da cui la denominazione moderna di Cimitile, ovvero la necropoli del Municipium Nolae, il cui primo nucleo risale al I secolo a.C., divenuta poi cimitero cristiano e meta di pellegrinaggio. Qui trascorse gli ultimi anni di vita san Paolino di Nola – al secolo Meropio Ponzio Paolino (353-431), console e governatore della Campania, letterato e poeta. Dopo la conversione, avvenuta presso questo singolare luogo di martyrium, gravido di sacralità per la presenza della tomba di Felice Confessore – taumaturgo e poi santo, morto intorno al 303 – che attirava pellegrini da tutto il mondo, Paolino fondò nel 394 un cenobio, ispirato alla regola di Martino di Tours, insieme ad alcuni amici e alla moglie Terasia, con cui aveva deciso di vivere in castità dopo la morte del figlio. Il futuro santo realizzò gli ampliamenti e la sistemazione delle fabbriche già esistenti: l’aula intorno alla tomba di san Felice, cuore e fulcro della città santa (l’aula feliciana appare oggi circondata da un peristilio, che risale al VI secolo, interamente mosaicato), e la basilica
Tomba di S. Felice
Abside di ponente Edicola di S. Paolino
Basilica Nova
Basilichetta dei Ss. Martiri
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Basilica Vetus
In alto pianta del complesso monumentale di Cimitile, secondo un rilievo dell’architetto Arcangelo Mercogliano.
MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Campania
Mosaico raffigurante due pavoni affrontati, particolare della decorazione dell’aula che accoglie la tomba di S. Felice. Fine del V-inizi del VI sec.
QUANDO IL SANGUE GORGOGLIA Secondo la tradizione popolare, di fronte all’ingresso della basilica dei Ss. Martiri, nella pavimentazione, vi era un marmo antico con all’interno cinque fori, che copriva un pozzo-reliquiario contenente il sangue dei martiri: durante la Pasqua, nel giorno della morte di Cristo, lo si sentiva gorgogliare. Un giorno, un pellegrino avrebbe calato nel pozzo una corona: questa riemerse intrisa di sangue e una goccia si versò sul marmo incavandolo per sempre. Oggi quell’incavo venerato è protetto da una piccola grata e l’episodio è ricordato, nell’arco di ingresso alla basilica, da un’epigrafe che racconta anche un altro evento miracoloso: san Felice per sfuggire ai suoi carnefici si rifugiò in una cisterna lí vicino e una moltitudine di ragni compose un’enorme tela che coprí l’ingresso a mo’ di muro e protesse il santo, impedendone la cattura.
Basilica di S. Felice, edicola mosaicata. La tomba del santo titolare della chiesa, delimitata da un recinto composto da pilastrini e transenne di marmo. 74
MEDIOEVO NASCOSTO
LA FESTA DEI GIGLI Sul primitivo ingresso al complesso paleocristiano, lungo il decumano maggiore della Cimitile romana, venne eretto l’Arco santo, in tufo e voltato a botte. Le parole della lapide posta nel suo intradosso testimoniano l’intensa religiosità che si respira in questi luoghi: «Fermati, o viandante, sebbene tu abbia fretta, suvvia fermati. Ti spinga la devozione e la religiosità del luogo. Entra e con gioia spargi gigli a piene mani sul cenere di Felice, domanda e troverai la strada. E quel cenere che Agostino, Paolino e Beda esaltano con parole, tu veneralo stando in ginocchio». La leggenda attribuisce al santo patrono di Nola il fiore del giglio, che si racconta venisse sparso in quantità al suo sbarco sulle coste campane di ritorno dall’Africa; oggi la Festa dei Gigli a Nola (la domenica successiva al 22 giugno) è una suggestiva e particolarissima festa popolare: i gigli sono diventati enormi obelischi alti 25 m, trasportati a spalla in processione preceduti da una barca, il tutto a ripetere il rito dello sbarco del santo, arricchito, però, di forti implicazioni profane e folcloriche.
Vetus, sorta intorno al monumento sepolcrale, che in questo periodo venne interamente affrescata. Paolino edificò anche una nuova basilica, piú grande, adatta ad accogliere le moltitudini dei fedeli, che giungevano soprattutto dall’Africa: orientata in senso opposto alla vecchia, si incastrava in questa formando un unico corpo incrociato; dai resti delle colonne che ora campeggiano sul prato e dai pochi avanzi delle pareti e dall’abside poi incorporata nella basilica di S. Giovanni, edificata nel XIII secolo, immaginiamo la basilica Nova come una grandiosa costruzione, che però dopo soli centocinquant’anni fu distrutta da un sisma provocato dal Vesuvio e dall’alluvione che ne seguí. Dalla zona sacra della tomba di san Felice si accede ad altre costruzioni attigue e collegate le une alle altre: si passa in quelle che, secondo la tradizione popolare, furono le carceri della santa e martire Alcalà, nella basilichetta di S. Calionio (IV secolo) e in quella dei Ss. Martiri (III secolo). In quest’ultimo piccolo ambiente, dove si entra passando sotto un bel portico del X secolo – uno dei piú antichi e originali esempi di tali strutture in Italia, con colonne a pianta quadrata, finemente scolpite, come i capitelli e
l’architrave, con motivi floreali a intreccio – ci sono tracce di una teoria di affreschi che dovette essere veramente sorprendente, per tecnica e resa pittorica e per il forte simbolismo dei soggetti rappresentati (la Passione e scene del Vecchio Testamento). Nella basilica dei Ss. Martiri i vani ipogei sono tutt’intorno forati dai cubicula delle tombe pagane confuse con quelle cristiane. Il luogo non ha tanto l’aspetto di una chiesa, né conserva piú quello di un tratto della necropoli: l’ambiente, trasformandosi in seguito alle eruzioni e alluvioni che hanno flagellato la regione, appare oggi un curioso ibrido in cui si respira il peso delle leggende che qui sono venute a depositarsi, circondandolo di mistero. Il complesso paleocristiano di Cimitile è stato oggetto di un intervento di sistemazione e riqualificazione condotto in occasione del Giubileo del 2000. Il sito si estende su una superficie di circa 9000 mq, nella quale si concentrano, oltre ai già descritti luoghi di culto dedicati ai santi Felice, Gaulonio e ai santi Martiri, le chiese intitolate ai santi Tommaso e Giovanni e alla Madonna degli Angeli; su tutti domina l’imponente mole della parrocchiale costruita negli ultimi anni del Settecento. Anita Sepe
Il portale della basilica di S. Felice, nel quale è stato riutilizzato come architrave un pilastrino decorato da un tralcio fogliato (IX-X sec.). Il pilastrino è sostenuto da due mensole in tufo e sormontato da una lunetta a sesto acuto.
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ITINERARI
Campania
TEGGIANO
F
iorente vallata solcata dal fiume Tanagro e orlata da estesi gruppi montuosi, nel corso della storia il Vallo di Diano ha assunto importanza come corridoio di transito verso il Meridione. Bonificato prima dai Romani, che vi tracciarono la via consolare che collegava Capua con Reggio, poi dai Borboni, oggi si configura come area agricola a coltura intensiva ricca di storia e tradizioni. Tra i principali centri del Vallo, Teggiano è forse quello che, in tutta la provincia di Salerno, ha meglio conservato la sua fisionomia di roccaforte. L’antichità delle sue origini (era il centro lucano di Tegia, poi trasformato in municipio romano, che si chiamò poi Dianum, da cui il nome del Vallo) è testimoniata, tra gli altri, dai resti di mura megalitiche databili al IV secolo a.C. In età medievale acquistò un ruolo rilevante nel Salernitano: i principi Sanseverino, a cui si devono numerose e ambiziose realizzazioni nel Vallo di Diano, tra le quali la celebre Certosa di Padula, vi eressero un castello destinato a residenza e a luogo di difesa in caso di pericolo. Nel 1486 il principe Antonello, che l’anno prima aveva ordito, insieme alla nobiltà napoletana, la Congiura dei Baroni ai danni del re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona, vi subí l’assedio, e fu costretto a scendere a patti con il sovrano. L’importanza di Teggiano nel Medioevo è attestata da piú di un monumento: la cattedrale di S. Maria Maggiore, edificata sul finire del Duecento, conserva il portale principale, opera (1271) di Melchiorre da Montalbano, autore anche del pulpito, decorato con immagini allegoriche che evocano l’eterna lotta tra Bene
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e Male. All’interno della cattedrale si possono ammirare la tomba di Enrico Sanseverino, opera trecentesca della scuola di Tino di Camaino, quella del medico urbinate Orso Malavolta (XV secolo) e la reliquia del patrono del luogo, san Cono. La piccola chiesa di S. Antuono, eretta intorno all’XI secolo a pochi metri dal castello, ha il campanile incorporato nello spessore della facciata a una sola navata; un recente intervento di restauro ha riportato alla luce importanti affreschi medievali. Di epoca trecentesca è l’ex convento della SS. Pietà: la chiesa, dal bel portale in pietra (1476) sormontato da una lunetta scolpita raffigurante la Pietà, ha una grande navata centrale e una navata minore laterale con due cappelle, in cui spiccano dipinti e statue lignee del XIV e XV secolo. Il convento racchiude inoltre un grande chiostro quattrocentesco con colonne in pietra e resti di decorazioni nelle volte del portico. Nel refettorio si trova un pregevole affresco del 1476, L’andata al Calvario, di autore ignoto. Da visitare, ancora, le chiese di S. Andrea e dell’Annunziata, entrambe di epoca angioina, il Museo Civico, nell’ex chiesa romanica di S. Pietro, e la chiesa di S. Michele Arcangelo, dalla suggestiva cripta a tre navate su colonne con capitelli altomedievali zoomorfi, che conserva affreschi del XIV e XV secolo. Roberto Comunale
In alto Teggiano, cattedrale di S. Maria Maggiore. La tomba di Enrico Sanseverino, attribuita alla scuola di Tino da Camaino. 1336. In basso veduta di Teggiano, circondata dalle piane del Vallo di Diano.
VAIRANO PATENORA Vairano Patenora (Caserta), dominata dai resti del quattrocentesco castello aragonese.
I
l borgo di Vairano Patenora (oggi in provincia di Caserta) fu colonizzato in epoca altomedievale dai Longobardi, ma furono i Normanni a dotarlo delle prime vere fortificazioni: nell’XI secolo, su un rilievo collinare sorse il castello, che, nel 1193, fu in grado di resistere all’assedio delle truppe di Enrico VI di Svevia e dell’abate di Montecassino Roffredo dell’Isola. L’iniziativa militare dell’imperatore rientrava nella piú vasta strategia di attacco alle terre che avevano scelto di allearsi con il nemico Tancredi, re di Sicilia. Nel XIII secolo il borgo raggiunse la sua massima estensione e anche un certo rilievo politico, attestato dal
soggiorno tra le sue mura di personalità illustri, quali l’imperatore Federico II di Svevia e il pontefice Gregorio X. Vairano fu gravemente danneggiata nel Quattrocento, dalle incursioni del condottiero Giovanni Maria Vitelleschi e dei nobili avversi ai nuovi dominatori aragonesi. Gli Spagnoli ricostruirono la rocca e le fortificazioni a partire dal 1491. Tra le architetture medievali spiccano anche i resti dell’abbazia della Ferrara (XII secolo), nella quale visse per un periodo il giovane frate Pietro Angelerio, che il 5 luglio 1294 salí al soglio pontificio con il nome Celestino V; la chiesa di S. Tommaso e la chiesa della Madonna di Loreto.
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Vico del Gargano
Sannicandro Garganico
Vieste
San Severo
San Giovanni Rotondo Manfredonia
Pietramontecorvino Lucera Alberona
Foggia Margherita di Savoia
Troia
Cerignola Bovino Canosa Sant’Agata Ascoli di Puglia di Puglia Satriano
CAMPANIA
M A R A D R I AT I C O Giovinazzo Bitonto
Bari Ruvo di Puglia Bitetto Conversano Venosa Monopoli Acquaviva Gravina delle Fonti Gioia del Colle in Puglia Cisternino Altamura Carovigno Ginosa Ostuni Brindisi Castellaneta Matera Ceglie Messapica Potenza Massafra Mesagne Grottaglie Francavilla Fontana Oria Otranto Taranto Lecce Manduria Stigliano Martano Galatina Policoro BASILICATA Nardò Soleto Gallipoli Scorrano MAR IONIO
MAR TIRRENO
I
Barletta Bisceglie Trani Molfetta Andria
CALABRIA
Specchia Castrignano del Capo
PUGLIA
ntorno al XII secolo a.C. giunsero in Puglia le popolazioni illiriche dei Dauni, dei Peucezi e dei Messapi, che si spartirono il territorio. Piú tardi, nell’VIII secolo a.C., fu la volta dei Greci, che vi fondarono la colonia di Taranto. Quest’ultima, nel IV secolo a.C., diede vita alla Lega Italiota, un’alleanza tra colonie greche dell’Italia meridionale per far fronte agli attacchi delle popolazioni indigene. Da lí a poco, però, nella regione dilagarono le legioni romane, nonostante la strenua resistenza di Taranto e Brindisi. Roma provvide al varo di numerose opere pubbliche, che favorirono lo sviluppo urbanistico. La costruzione della via Appia e della via Traiana fece emergere alcuni centri che si trovavano lungo il percorso delle due consolari, tra cui Oria, Troia, Ordina, Gravina in Puglia e Bitonto. L’alba del Medioevo coincise con l’indebolimento dell’impero romano e con le guerre tra le popolazioni che ambivano alla conquista della regione: Bizantini, Goti e Longobardi. Alla fine, nel VII secolo, prevalse l’esercito longobardo. La Puglia fu soggetta pochi anni dopo alla dominazione, seppur parziale, dei Saraceni, che nelle zone costiere fondarono un emirato che aveva in Bari la sua roccaforte principale. Con il crollo del piccolo Stato islamico-levantino i Bizantini riuscirono a tornare in possesso della regione, ma il loro nuovo dominio fu presto scosso dalle rivolte delle città, Bari in testa. Accanto alla capitale si schierarono Bitonto e Bitetto. I Bizantini dovettero, poi, arrendersi ai Normanni che, nel 1042, fondarono la contea di Puglia insieme agli alleati longobardi. Il territorio fu diviso in baronie e la frammentazione ebbe come conseguenza il proliferare di centri minori che reclamavano uno spazio politico, tra i quali San Severo, Arpi e Pietramontecorvino.
Alla fine del XII secolo ebbe inizio il dominio degli Svevi che fortificarono alcuni luoghi simbolo del territorio, come Bari, Foggia, Castel del Monte e Lucera. Proprio in Puglia, nell’odierna Torremaggiore, morí il piú grande sovrano svevo, Federico II, il 13 dicembre del 1250. La sua scomparsa fu un prodromo della disfatta germanica nel Sud Italia, sancita poi dalla battaglia di Benevento. I vincitori angioini presero il posto degli Svevi e amministrarono la Puglia, puntando sulla feudalità. Nel 1442 la regione passò agli Aragonesi e rimase spagnola per un lunghissimo periodo.
I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Città metropolitana di BARI
Provincia di FOGGIA
•ACQUAVIVA DELLE FONTI Palazzo De Mari, concattedrale di S. Eustachio (XII secolo). •ALTAMURA Cattedrale di S. Maria Assunta (XIII secolo), chiesa di S. Nicola dei Greci (XIII secolo), «claustri» (piazzette) medievali. •BITETTO Cattedrale di S. Michele Arcangelo (XIV secolo), centro storico con struttura altomedievale. •BITONTO Mura e porte normanne (XII-XIII secolo), torrione angioino, duomo (XII secolo). •CONVERSANO Castello normanno (XI secolo), monastero di S. Benedetto (VI secolo). •GIOIA DEL COLLE Castello normanno-svevo (IX secolo). •GIOVINAZZO Cattedrale di S. Maria Assunta (XII secolo), chiesa del Carmine (IX secolo), edifici medievali. •GRAVINA IN PUGLIA Chiese medievali, complesso rupestre altomedievale delle Sette Camere, resti del castello di Federico II. •MOLFETTA Duomo di S. Corrado, basilica della Madonna dei Martiri (XII secolo). •MONOPOLI Rocca di S. Stefano (XI secolo), chiesa rupestre di S. Maria Amalfitana. •RUVO DI PUGLIA Concattedrale romanica (XII secolo), mura, torre del Pilota e torre Quercia.
•ALBERONA Borgo di impianto medievale, torre del Priore. •ASCOLI SATRIANO Castello normanno, chiese medievali. •BOVINO Castello ducale (XI secolo), duomo bizantino-romanico. •CERIGNOLA Borgo medievale di Terra Vecchia. •LUCERA Duomo trecentesco, fortezza svevo-angioina (XIII secolo). •MANFREDONIA Castello svevo-angioino-aragonese (XIII secolo), cattedrale duecentesca, abbazia romanica. •PIETRAMONTECORVINO Centro storico Terravecchia. •SAN GIOVANNI ROTONDO Chiesa di S. Giovanni Battista (VI secolo), chiesa di S. Onofrio Anacoreta (XIII secolo), resti di torri delle antiche mura. •SAN NICANDRO GARGANICO Castello normanno-aragonese, chiesa di S. Giorgio in Terravecchia. •SANT’AGATA DI PUGLIA (vedi box a p. 89).•TROIA Concattedrale e chiesa di S. Basilio (XI secolo). •VIESTE Concattedrale dell’XI secolo e castello svevo. •VICO DEL GARGANO (vedi box a p. 88). Provincia di LECCE
Provincia di BRINDISI
•CASTRIGNANO DEL CAPO Borgo medievale Terra. •GALATINA Basilica di S. Caterina d’Alessandria, palazzi del XV secolo, mura medievali. •GALLIPOLI Castello duecentesco, mura trecentesche. •MARTANO Palazzo Baronale (XV secolo), Casale di Apigliano (XIV secolo). •NARDÒ Castello Acquaviva (XV secolo), cattedrale dell’XI secolo. •OTRANTO Cattedrale dell’Annunziata, con mosaico di Pantaleone (1163-1665). •SCORRANO Porta Terra e chiesa di S. Francesco d’Assisi (XV secolo). •SOLETO Porta di S. Vito, chiesa di S. Stefano (XIV secolo), Guglia di Ramondello. •SPECCHIA Chiese medievali, frantoi ipogei (XV-XIX secolo).
•CEGLIE MESSAPICA Castello Ducale (XII secolo), abbazia di S. Anna. •CAROVIGNO Castello Dentice di Frasso (XIV secolo), cinta muraria aragonese. •CISTERNINO Torre normanno-sveva e chiesa Madre di S. Nicola (XIV secolo). •FRANCAVILLA FONTANA Castello quattrocentesco, resti delle mura trecentesche. •MESAGNE Castello (XI secolo), tempietto paleocristiano (VII secolo). •ORIA (vedi articolo alle pp. 80-87). •OSTUNI Concattedrale (XV secolo), mura aragonesi.
•CASTELLANETA Cattedrale (XI-XIV secolo), chiesa gotico-angioina di S. Maria della Luce (XIII secolo), palazzi nobiliari. •GINOSA Castello normanno dell’XI secolo, chiese rupestri. •GROTTAGLIE Castello Episcopio (XIV secolo), chiesa rupestre dei SS. Pietro e Paolo (VI secolo). •MANDURIA Ghetto ebraico medievale, chiesa Madre e torre Borraco (XV secolo). •MASSAFRA Chiesa di S. Lucia (XI secolo), castello medievale.
Provincia di BARLETTA-ANDRIA-TRANI
•ANDRIA Palazzo Comunale (XIII secolo), arco di Federico (XI secolo), forte di Porta Castello (XI secolo). •BISCEGLIE Concattedrale di S. Pietro Apostolo (XI secolo), cinta muraria aragonese (XV secolo), castello (XI secolo). •CANOSA DI PUGLIA Concattedrale longobarda (VII-VIII secolo), mausoleo di Boemondo I d’Antiochia (XII secolo). •TRANI Cattedrale romanica, castello svevo (XIII secolo), resti della cinta muraria.
Provincia di TARANTO
La fortezza svevo-angioina di Lucera (Foggia). XIII sec. MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Puglia
ORIA
Culla della tolleranza
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Oria (Brindisi). La cupola, decorata da mattonelle policrome, della cattedrale di Maria Santissima Assunta in Cielo.
di Francesco Colotta
O
ria ha ricevuto dal destino il dono della posizione geografica e orografica: a pari distanza da due mari, l’Adriatico e lo Ionio, svetta su un’altura che domina la circostante pianura salentina. Secondo lo storico greco Erodoto, la città venne fondata da un pugno di Cretesi, che, scampati a un naufragio, erano alla ricerca di un rifugio sicuro, lontano dal mare. L’abitato fu chiamato Hyria, nome che nel tempo mutò piú volte prima di approdare all’attuale versione. Durante la dominazione romana la città divenne municipio, sfruttando a proprio vantaggio la favorevole posizione costiera e la vicinanza con la via Appia. Conservò prestigio anche nel periodo di transizione fra Bizantini e Longobardi, diventando in seguito sede vescovile e rendendosi indipendente dal patriarcato di Costantinopoli. Nell’867 l’imperatore Ludovico II accorse per scacciare dalla città i Saraceni, ma non poté evitare il ripetersi dei loro attacchi. La spedizione mirava, comunque, anche a eliminare il dominio longobardo su Oria e andò a buon fine. Tra il IX e il X secolo la città irruppe sul palcoscenico della storia, intrecciando la sua sorte con l’ampio capitolo della presenza ebraica nel territorio, i cui primi segni s’erano già manifestati in epoca paleocristiana. L’impero romano d’Oriente aveva mostrato poca tolleranza nei confronti delle comunità israelitiche: Giustiniano aveva infatti disposto che tutte le sinagoghe venissero trasformate in chiese e che la lingua ebraica fosse sostituita con quella locale ai fini dell’insegnamento religioso. Ma in Puglia, per scarsa volontà politica dei funzionari adibiti all’applicazione degli editti imperiali, tali imposizioni rimasero lettera morta. Tanto che, nel IX secolo, la «lingua proibita», caduta l’intransigenza iniziale, s’era diffusa in maniera capillare. Anche quando un altro imperatore d’Oriente, Leone Isaurico, ordinò che tutti gli Ebrei fossero battezzati, ottenne risultati inferiori alle attese: molti fuggirono in terra musulmana e altrettanti finsero di convertirsi.
Il libro delle discendenze
Oria non fu peraltro investita dall’ondata persecutoria e ciò contribuí a far divenire la città un centro di presenza e cultura ebraica importante, inferiore solo a Roma. Non subí contraccolpi neppure quando, sotto Basilio I, la conversione divenne obbligatoria e fu spesso MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Puglia A sinistra le due torri cilindriche innalzate sul lato meridionale del castello svevo di Oria, denominate «del Cavaliere» e «del Salto». La fortezza fu eretta tra il 1225 e il 1233. A destra una delle sale del castello svevo che ospitano la collezione Martini-Carissimo, della quale fanno parte anche mobili, armi, monete e frammenti architettonici di epoca medievale.
LA MALEDIZIONE DI UNA MADRE Il Castello di Oria si erge sul Colle del Vaglio, com’era d’uso nell’età di Mezzo, similmente al piú noto Castel Del Monte. Costruito nel XIII secolo da Federico II di Svevia su una preesistente rocca di epoca normanna o altomedievale, aveva funzione di difesa del territorio. Fu però oggetto di modifiche nella struttura e nella destinazione d’uso per volontà dell’imperatore stesso, che da apprestamento militare lo trasformò in lussuosa residenza nella quale accolse gli ospiti convenuti per il suo matrimonio con Iolanda di Brienne. Ulteriori
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rimaneggiamenti furono apportati in epoca angioina. Una leggenda medievale spiega il fenomeno della nebbia, quasi un fumo, che talvolta offusca la vista della città. La tradizione narra che una donna si suicidò in una delle torri del castello perché le era stata uccisa la figlia per scopi rituali. Gli oracoli avevano infatti predetto che la rocca non sarebbe crollata qualora fosse stato sparso il sangue della giovane sulle mura. Prima di uccidersi, la madre della vittima avrebbe lanciato una maledizione contro la città, augurandosi di vederla avvolta dal fumo.
estorta con la forza: passata la tempesta, i convertiti poterono abiurare, tornando alla loro dottrina di appartenenza. Anche l’imperatore Romano I Lecapeno si scagliò contro le comunità ebraiche – soprattutto a Bari e Otranto –, facendo ricorso alla violenza e mettendole sullo stesso piano degli infedeli piú odiati da Costantinopoli, i Saraceni.
Il potere in mano ai rabbini
Questi ultimi, nel frattempo, mostravano un incessante attivismo militare nel Sud della Penisola e aggredirono le roccaforti cristiane, fra cui Oria, che fu piú volte saccheggiata e distrutta. Ma pur in questi frangenti, la città continuò ad assecondare lo sviluppo, meno visibile, ma molto incisivo, della cultura ebraica e ne divenne centro di irradiazione in Europa. Erano i rabbini a garantire la coesione delle comunità cittadine e ad assolvere anche a funzioni giudiziarie; tra l’altro, tali mansioni, comprendevano facoltà di infliggere la pena capitale. Apporti culturali diversi confluivano in Oria Sulle due pagine veduta di Oria, il cui nucleo urbano è raccolto attorno alla mole imponente del castello svevo. Già fiorente centro culturale nel Medioevo, grazie alla presenza di una consistente comunità ebraica, la città fu saccheggiata dai Saraceni nel X sec. Occupata dai Normanni, divenne in seguito, con Federico II, una delle piú solide roccaforti pugliesi.
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ITINERARI
Puglia
Oria, cattedrale. Dedicata a Maria Santissima Assunta in Cielo, la chiesa sorse nel XIII sec., ma, a seguito dei danni causati nel 1743 da un violento terremoto, venne interamente ricostruita nel 1750, nelle forme barocche che oggi si possono vedere.
IL GOLEM DI ORIA Secondo l’esoterismo ebraico, il golem è un gigante composto di materia inanimata che un iniziato può rendere vivo enunciando una formula segreta. La creatura, secondo alcune tradizioni, ha la funzione di difendere gli Ebrei dai nemici o di compiere azioni impossibili per le capacità umane. Una tradizione legata a Oria fa riferimento a una sorta di golem della città, ossia un bambino che alcuni esponenti della comunità avevano riportato in vita. Lo scrittore medievale Ahima’az ben Paltiel nel Libro delle discendenze (1054) scrisse che a Oria alcuni sapienti israeliti avevano la capacità di fabbricare i golem.
come in generale nel Meridione d’Italia, e soprattutto in Puglia: si deve a contributi provenienti dalla Palestina, per esempio, se in questi ambienti nacque una delle piú antiche scuole poetiche d’Europa, a cui si affiancò una pregiata attività di prosa che produsse Il libro delle discendenze, una cronaca familiare scritta nel 1054 da Ahima’az ben Paltiel (1017-1054 o 1060). L’autore risale dal padre a dieci generazioni di antenati fino al lontano Amittai ben
UN’ANIMA MEDIEVALE Oltre al castello, alla Porta degli Ebrei e al quartiere della Giudecca, Oria conserva altri monumenti medievali, soprattutto di architettura religiosa. La chiesa di S. Francesco d’Assisi, che risale al Quattrocento, la chiesetta rupestre in stile bizantino della Madonna di Gallana e il santuario, anch’esso rupestre, dedicato alla Madonna della Scala, che risale al XIII secolo.
Shefatiah, deportato da Gerusalemme in Puglia. Una cronaca che ha permesso di ricostruire interi capitoli della storia medievale di Oria e dei suoi illustri avi israeliti. Amittai rivestí il ruolo di capo della comunità ebraica della città a cavallo tra il IX e il X secolo. Era anche un raffinato poeta, che coltivava un profondo interesse per le scienze esoteriche, e alcuni suoi componimenti precorsero temi sviluppati in seguito dalla dottrina cabalistica.
Un altro importante intellettuale ebraico, Shabbetai Donnolo (913 circa-dopo il 982), occupò un posto di rilievo nelle cronache di Oria. Era uno studioso poliedrico, che visse nel X secolo, nel periodo di massimo splendore della comunità ebraica oritana, e i cui interessi spaziavano dalla medicina all’astronomia e dalla farmacologia all’esegesi dei testi religiosi. Si dedicò soprattutto agli studi di medicina e scrisse un trattato rivoluzionario per l’epoca, Il libro dei
In alto la chiesa di S. Francesco d’Assisi, che, secondo la tradizione popolare, sarebbe stata fondata dal santo medesimo. In realtà si tratta di un edificio di culto dedicato in origine alla Madonna di Costantinopoli. MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Puglia
rimedi, che conteneva un lungo elenco di terapie ricavate dalla sua quarantennale esperienza pratica e da scritti greco-romani. Compose anche testi di carattere filosofico-religioso, tra cui un saggio sul Sefer Yetzirah (uno dei libri fondamentali dell’esoterismo ebraico) e approfondí il confronto con la cultura cristiana.
In basso la Porta degli Ebrei, ovvero Porta Taranto.
Il colpo di grazia dei Saraceni
Il declino della comunità degli Ebrei di Oria coincise con l’infittirsi degli assalti saraceni. Nella seconda metà del X secolo le truppe islamiche si accanirono ancora una volta sul borgo dopo gli attacchi del 925 e del 927 che avevano in parte danneggiato l’abitato. In quelle due occasioni Oria, nonostante le ma-
LA PORTA DEGLI EBREI La Porta degli Ebrei, ovvero Porta Taranto, è cosí chiamata perché da essa parte la via che da Oria conduce alla grande città portuale. Fu innalzata originariamente intorno al Mille e poi ricostruita nel 1433. Nella muratura sono inseriti tre stemmi oggi quasi del tutto illeggibili, e una cinquecentesca statua dell’Immacolata è collocata a coronamento della struttura. Oltre la porta si estende un caratteristico quartiere medievale in cui un tempo la comunità israelitica oritana era solita riunirsi. Una delle piazze principali porta il nome di uno dei suoi esponenti piú noti: Shabbetai Donnolo.
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Veduta panoramica di Oria, sulla quale si staglia il profilo della cattedrale di Maria Santissima Assunta in Cielo.
cerie e le deportazioni, aveva saputo riprendersi in fretta, ma nel 977 si arrese. La comunità israelitica fu decimata e i sopravvissuti furono spediti come schiavi in altre zone della Penisola e in Africa. In seguito alla disfatta, a popolare ciò che restava dell’antica città fu un pugno di monaci basiliani anacoreti. Nel contempo l’imperatore di Costantinopoli Basilio II aveva provveduto ad avviare i lavori di ricostruzione dell’abitato che vennero ultimati solo nell’anno Mille. Per scongiurare nuovi rovinosi assalti i Bizantini dotarono Oria di solide mura di cinta e di numerose torrette di avvistamento. Con il nuovo sistema difensivo si poteva accedere al centro della città solo attraverso tre porte che durante la notte restavano chiuse.
La roccaforte di Federico II
La popolazione, vittima di un’eccessiva pressione fiscale e di metodi oppressivi, si ribellò contro i Bizantini nella prima metà dell’XI secolo. A dar loro man forte accorsero i Normanni che nel 1062, guidati da Unfredo di Altavilla, conquistarono la città. Il dominio normanno e la diffusione dei monasteri benedettini favorirono l’affer-
mazione del cattolicesimo, segnando un nuovo capitolo nella storia religiosa oritana. Ai Normanni subentrò quindi Federico II di Svevia, che elesse Oria città demaniale, rafforzandone ulteriormente le difese. Fece costruire un castello imponente (su una struttura preesistente), che egli stesso, come i suoi nobili, usò talvolta come residenza. Quando l’imperatore morí, la città compí la sua scelta nella guerra tra guelfi e ghibellini, schierandosi con i primi e quindi contro gli Svevi. Dopo la rivolta antibizantina, la popolazione non ebbe paura di prendere le armi contro un altro potente dominatore, con esiti, però, in questo caso infausti. Manfredi, il figlio di Federico, attaccò Oria e riuscí ad avere la meglio, nonostante l’eroica resistenza della città. Ordinò contro i vinti rappresaglie durissime, passando subito per le armi il capo degli insorti, il nobile Tommaso, che dopo l’esecuzione venne appeso sulle mura del castello. Anche il destino degli Svevi, comunque, era segnato. La città, come del resto la Puglia, presto sarebbe diventata angioina. Alla fine del Medioevo arrivarono gli Aragonesi e Oria si trasformò in marchesato. MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Puglia
VICO DEL GARGANO Uno dei bastioni del castello di Vico del Gargano (Foggia), monumento simbolo del borgo: la fortezza, costruita dai Normanni, venne poi ampliata dagli Svevi e dagli Aragonesi.
U
na delle prime comunità a stanziarsi sul territorio di Vico del Gargano fu un gruppo di Slavi, al quale i Bizantini aveva assegnato il gravoso incarico di fermare l’avanzata dei Saraceni. La missione fu compiuta con successo nel 970 e, come ricompensa, ai valorosi combattenti venne data la facoltà di stabilirsi nel sito in cui oggi sorge il borgo. Pochi anni piú tardi, nel Gargano irruppero i Normanni, che in quell’insediamento fecero edificare una rocca e alcuni luoghi di culto.
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Nel Duecento, gli Svevi ampliarono il castello e, nello stesso secolo, il piccolo abitato venne ulteriormente protetto, innalzando una cinta muraria e numerose torri. Proprio il castello e le mura rappresentano le piú evidenti sopravvivenze medievali di Vico del Gargano: nella rocca, di pianta quadrangolare, sono visibili gli interventi realizzati dagli Svevi e dagli Aragonesi. In ambito religioso, merita una menzione la chiesa di S. Marco (XIII-XIV secolo).
SANT’AGATA DI PUGLIA
A
vamposto chiave del Ducato di Benevento in periodo altomedievale, Sant’Agata di Puglia, nell’XI secolo, divenne dominio dei Normanni, ma si ribellò ai nuovi conquistatori. In realtà fu un normanno stesso, Abelardo, a porsi a capo di una rivolta popolare contro il duca Roberto il Guiscardo, costringendo quest’ultimo a sedare l’insurrezione con la forza. Per la sua posizione strategica, su un’altura che dominava tutto il Foggiano, il borgo rivestí un ruolo di primo piano per coloro che lo governarono in seguito, gli Svevi e gli Angioini. Tale prestigio trova riscontro nella decisione di Carlo d’Angiò di utilizzarne il castello come residenza. Sant’Agata di Puglia fu poi governata dalle famiglie degli Orsini e dei Loffredo. Il borgo odierno ha una tipica fisionomia medievale ed è protetto da una doppia cinta muraria: la prima, che racchiude il castello, risale al periodo longobardo, mentre la seconda, di epoca bassomedievale, presidia una parte dell’abitato sottostante. La rocca, rimaneggiata per adibirla a palazzo ducale, conserva ancora sezioni di epoca medievale, come per esempio le torri quadrangolari. Tra le chiese piú antiche si segnalano la chiesa Matrice S. Nicola e la chiesa di S. Andrea.
Sant’Agata di Puglia (Foggia). La chiesa di S. Andrea, edificata in età bizantina e poi rimaneggiata in epoca tardo-medievale. MEDIOEVO NASCOSTO
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PUGLIA
Rapolla Venosa Forenza Bra
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Pignola
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MAR IONIO
Maratea Viggianello
MAR TIRRENO
CALABRIA
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n Basilicata, là dove s’era insediata la popolazione italica degli Enotri, i Greci fondarono, nel VII secolo a.C., le colonie di Siris, Eraclea e Metaponto. Prima di esse, altri abitati erano sorti nel territorio dotandosi di fortificazioni imponenti: Ferrandina, Montescaglioso, Ripacandida, Garaguso e Pisticci. Nel III secolo a.C. i Romani si impadronirono dell’intera regione, fondando le colonie di Potentia (Potenza), Grumentum (Grumento Nova) e Venosa. L’epoca delle invasioni barbariche vide l’alternarsi di numerose popolazioni, dai Visigoti agli Ostrogoti, dai Bizantini ai Longobardi.
Nel VI secolo il territorio risultava saldamente in mano longobarda e fu annesso al ducato di Benevento. Anche la Basilicata, come la Puglia, non riuscí a frenare l’ondata dei Saraceni, della cui presenza si trova traccia nell’urbanistica delle cittadine di Tricarico e Tursi. Proprio Tursi, nel X secolo, divenne il capoluogo del thema di Lucania, quando i Bizantini riuscirono a imporre la propria autorità sulla regione. Dopo solo un secolo, però, il centro di potere
si spostò a Melfi, dove i Normanni stabilirono una delle loro capitali del sud. La città del Potentino conservò un ruolo di assoluto prestigio anche nel periodo in cui in Basilicata governarono gli Svevi. Federico II vi trascorse un periodo della sua vita, redigendo nel locale castello le Costituzioni di Melfi, con le quali, nel 1231, riaffermava l’autorità imperiale a scapito della nobiltà feudale e del clero. Dopo la morte dello stupor mundi, la regione visse un periodo di guerra tra opposte fazioni guelfe e ghibelline, le une schierate con gli Angioini e le altre con gli Svevi. Sotto la bandiera germanica combatterono molte città, tra cui Potenza, Matera, Rivello, Lavello e Montemilone. Quasi tutti i centri filo-svevi furono distrutti dai Francesi. Verso la fine del XIII secolo, nel corso della rivolta dei Vespri Siciliani, gli Aragonesi tentarono di invadere la Basilicata via mare e riuscirono a penetrarvi, nonostante le imponenti fortezze costiere di Maratea, Policastro e Scalea. Gli Angioini resistettero eroicamente, arroccandosi a Maratea, ma riuscirono solo a rimandare la loro capitolazione. I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di MATERA
•IRSINA Cattedrale di S. Maria Assunta (XIII secolo), chiesa del convento di S. Francesco (XII-XVI secolo). •MIGLIONICO Castello dell’VIII-IX secolo, resti di torri dell’antica cinta muraria, chiesa di S. Maria Maggiore (XIV secolo). •MONTESCAGLIOSO Castello normanno (XI secolo), abbazia di S. Michele Arcangelo (XII secolo), chiesa di S. Stefano (XI secolo). •PISTICCI Castello di S. Basilio (VII secolo), abbazia S. Maria La Sanità del Casale (XI secolo). •TRICARICO (vedi box a p. 99). Provincia di POTENZA
•ACERENZA Cattedrale e chiesa di S. Laviero Martire (XI secolo). •AVIGLIANO Castello di Lagopesole. •CASTELMEZZANO Borgo d’origine medievale, resti del castello normanno. •LAGONEGRO Resti dell’antica cinta muraria, chiesa romanica di S. Nicola (IX secolo). •MARATEA Ruderi del castello di Castrocucco (IX secolo), chiese medievali. •MURO LUCANO Castello del IX secolo, cattedrale del X secolo. •PIETRAPERTOSA Rocca normanno-sveva e chiese medievali. •RAPOLLA Cattedrale di origine normanna, chiesa di S. Biagio (XIII sec.). •VENOSA (vedi articolo alle pp. 92-98). Scomparto di polittico raffigurante i santi Antonio da Padova e Giovanni Evangelista, olio su tavola attribuito a Giovanni Luce da Eboli. XVI sec. Pietrapertosa, convento di S. Francesco. Nella pagina accanto il castello di Miglionico (Matera), costruito dai Normanni nell’XI sec. MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Basilicata
VENOSA Perla del Vulture Statua in bronzo del poeta latino Quinto Orazio Flacco, nato a Venosa nel 65 a.C. La scultura, opera di Achille D’Orsi, corona il monumento che venne inaugurato nel 1898.
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MEDIOEVO NASCOSTO
di Vito Bianchi
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enosa, erede della romana Venusia, fiorente colonia latina, fu patria del poeta Quinto Orazio Flacco (I secolo a.C.) e crogiolo del suo carpe diem. Ora come allora, la cittadina si distende su un altopiano che fu il letto d’un lago preistorico, ai margini montuosi del Vulture, nell’Appennino lucano. Longobardi, Bizantini, Saraceni: le dominazioni, i saccheggi, i passaggi di mano non sono mai mancati, vista la collocazione strategica della località, lambita dalla via Appia e posta allo snodo di itinerari cruciali per i collegamenti fra Est e Ovest, Sud e Nord della Penisola. Ma gli avvicendamenti politici non hanno mai prevalso sulla laboriosità e la tenacia della popolazione indigena. Sicché, anche nell’Alto Medioevo la comunità cittadina fondava la sua ricchezza su una sagace organizzazione agro-pastorale che, per alcuni periodi, dovette essere funzionale all’industria della manifattura laniera.
Convivenza pacifica
Cosí ben inserito nella rete viaria tardo-antica e medievale, il borgo venosino annoverava una compagine etno-sociale eterogenea: oltre a famiglie d’estrazione longobarda o bizantina, dal-
Il castello di Venosa, eretto nel 1470 da Pirro del Balzo, che conservò i caratteri difensivi del periodo angioino. La fortezza fu realizzata ricalcando il modello del Castelnuovo (o Maschio Angioino) di Napoli.
la metà del IV secolo vi è attestata una folta presenza ebraica. Erano Ebrei ricchi proprietari terrieri, mercanti, personaggi di spicco della vita politica locale, nonché alcuni «patroni» della città. Un’abbondante documentazione monumentale, letteraria, epigrafica e iconografica, che si prolunga almeno fino al IX secolo, attesta una presenza giudaica che, fra l’altro (come ha riconosciuto lo studioso Cesare Colafemmina), poteva contare sulla precisa definizione e articolazione dei ruoli sociali e religiosi. Soprattutto, le indagini e gli studi sul contesto storico altomedievale documentano, per Venosa, la pacifica convivenza di ebraismo e cristianesimo. Le catacombe che si aprono presso la collina della Maddalena, intricate di cunicoli, dense di arcosoli e di tombe incassate nel pavimento, hanno restituito iscrizioni in greco, latino ed ebraico, alcune delle quali bilingui: evidentemente, la convivenza giudaico-cristiana si riverberava anche nella cultualità funeraria, come se la coabitazione continuasse a permanere in un’ideale, sempiterna staffetta dal mondo dei vivi a quello dei morti. Epigrafi ebraiche sono state rinvenute anche presso l’anfiteatro romano del I-II secolo. Lí di MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Basilicata
UN CASO ECCEZIONALE
È molto probabile che a Venosa Ebrei e cristiani vivessero praticando ciascuno la propria fede e che convivessero abbastanza pacificamente. Di certo condividevano degli spazi funebri, presso un complesso di catacombe che, ubicato in località La Maddalena (una collina posta a un paio di chilometri dall’attuale abitato), annovera sepolture databili – sulla scorta delle testimonianze epigrafiche – prevalentemente fra il IV e il VI secolo. Si tratta di un fatto eccezionale: la presenza, nello stesso contesto sepolcrale, di tombe giudaiche e cristiane è, in effetti, molto rara nella storia dell’ebraismo e del cristianesimo. Se ne riscontrano pochi altri esempi del II-III secolo presso il cimitero di Gamart, a nord di Cartagine, e successivamente in località quali Lipari o Taranto. In ogni caso, il contesto è quasi sempre quello dell’Italia meridionale, una terra attraverso la quale gli Ebrei, sin dall’inizio dell’era volgare, iniziarono a risalire verso l’Europa centro-settentrionale. Le catacombe venosine della Maddalena sono state riqualificate e rese fruibili, attraverso un moderno e ben attrezzato percorso che rende suggestiva e interessante la visita. Fra arcosoli, nicchie, tombe terragne e iscrizioni in greco, in latino e in ebraico, spiccano talora nei colori brillanti dell’oro e del rosso gli oggetti piú emblematici della religiosità giudaica: la menorah (il candelabro a sette bracci), lo shofar (il corno) e la iulav (la palma), mentre un cedro e un’anfora per l’olio fanno presupporre la solennità di riti antichi. Intercettate ufficialmente nel 1853, interessate dai crolli frequenti delle pareti tufacee, le catacombe ebraiche di Venosa sono state oggetto di studio da parte di Cesare Colafemmina (a cominciare dal 1974) e di Eric M. Meyers (dal 1981), per essere finalmente riscoperte e riproposte, in tutta la loro suggestività, all’attenzione del pubblico.
In alto una delle numerose iscrizioni che si conservano nelle catacombe di Venosa e che contribuiscono a fissarne l’utilizzo tra il V e il VI sec.
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MEDIOEVO NASCOSTO
Nella pagina accanto, in alto, a destra Venosa, SS. Trinità. Affresco raffigurante papa Niccolò II, onorato quale fondatore dell’abbazia nel 1059. XIV sec. In basso, sulle due pagine l’interno della Chiesa Vecchia dell’abbazia della SS. Trinità.
fianco, dall’altra parte della strada moderna, si scorgono iscrizioni murate nelle pareti della magnifica, suggestiva, surreale «Incompiuta». Si entra allora nei decenni segnati dall’avvento normanno e caratterizzati, per il territorio venosino, da una notevole fioritura politica ed economica, sostenuta dalla potenza dell’abbazia della SS. Trinità: non a caso, alla metà del XII secolo, il geografo musulmano al Idrisi, intellettuale di corte del re Ruggero II, nel Libro di re Ruggero descriveva Venosa come «città ben nota fra quelle dei Longobardi» (intendendo per «Longobardi» gli abitanti di tradizione latina).
Una magnifica «Incompiuta»
In quegli stessi decenni maturò il progetto d’una nuova abbaziale benedettina, che andasse ad ampliare la precedente struttura ecclesiastica (detta «Chiesa Vecchia», e risalente agli interventi del vescovo Drogone, nel 1043, e dell’abate Ingilberto, nel 1051). Il nuovo edificio avrebbe dovuto estendersi per 125 m in lunghezza e 48 in larghezza, a coprire una su-
perficie di oltre 3000 mq. Avrebbe dovuto ripetere lo schema architettonico francese delle «chiese dei pellegrini», con tre navate, transetto sporgente e absidato, coro profondo e deambulatorio a cappelle radiali. Ma la maestosa costruzione, perfezionata col priorato di Egidio fra il 1168 e il 1184, ripresa dopo pause e rallentamenti fra il 1210 e il 1220, fu definitivamente accantonata nel 1297, quando papa Bonifacio VIII affidò la custodia del convento venosino ai Gerosolimitani. Da allora, dell’«Incompiuta» non restano che un nudo perimetro murario, col cielo per soffitto e l’erba per pavimento, e il colonnato di destra, un piliere, i sostegni del transetto, a rammentare una grandiosità mancata. Su un lato breve si delinea tuttora l’abside della basilica precedente, a sua volta giacente sui resti di strutture paleocristiane. Su un lato lungo, invece, un portalino si apre sull’area archeologica recuperata di fianco al complesso monastico, all’ombra di un campanile a vela cinquecentesco. Vi si riconoscono gli avanzi di un’insula episcopalis del V-VI secolo, caratterizzata in particolare da ambienti cultuali mosaicati e affrescati (fra cui una struttura trilobata, con deambulatorio esterno e al centro una vasca esagona, frutto di almeno due fasi edilizie). Gli studiosi non hanno escluso per l’area in questione funzioni di tipo martiriale. E comunque per Venosa è conosciuto il nome del vescovo Stefano, che dovette partecipare ai concili indetti a Roma da papa Simmaco nel 501 e 502, e che ebbe sicuramente un’importante funzione nella crescita cristiana e nello sviluppo economico cittadino, soprattutto se si presta fede all’ipotesi di una fabbrica figulina di proprietà episcopale.
La cometa e il terremoto
Tuttavia, non è facile stabilire quanto il ruolo dell’episcopio sia stato importante per i Venosini nei secoli successivi. Né è agevole ricostruire l’evoluzione urbanistica di un centro storico in cui le leggende si mescolano ai materiali di reimpiego. Leoni in pietra d’età romana campeggiano di lato alla fontana di Messer Oto, nella piazzetta omonima, o sono accostati all’imponente lavacro che la tradizione attribuisce a Carlo II d’Angiò. Fra il XIII e il XIV secolo le dominazioni prima sveva e poi angioina dovettero verosimilmente incidere sul sistema urbico. Ma sicuramente l’assetto del borgo fu sconvolto in età aragonese, dalla metà del Quattrocento in avanti: non solo per le incursioni del principe di Taranto, Giovanni Antonio del Balzo Orsini, che cercava di avoMEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Basilicata
UN SEPOLCRO PER GLI ALTAVILLA A oriente dell’odierna Venosa giganteggia l’abbazia della SS. Trinità, emblema della convergenza fra gli interessi politici dei Normanni e le istanze religiose dei Benedettini. La sua fondazione era avvenuta sui resti di un precedente complesso paleocristiano, già di per sé poggiante su un tempio pagano dedicato, forse, a Imene. Papa Niccolò II dovette consacrarne nel 1059 la chiesa, emanando un’apposita bolla. Da quel momento, il prestigio del monastero venosino si sarebbe accresciuto in parallelo all’affermazione del potere normanno: alla spinta propulsiva dell’abate Ingilberto seguí, nel 1066, l’arrivo dei monaci francesi di Saint-Évroul-en-Ouche e di Berengario, che resse l’abbazia sino al 1094. In quel periodo Roberto il Guiscardo, il Normanno nominato dal pontefice duca di Puglia e Calabria, decise di istituire presso la SS. Trinità di Venosa il pantheon degli Altavilla, per seppellire se stesso e i fratelli Guglielmo Bracciodiferro, Drogone e Umfredo. In seguito vi fu sepolta anche Alberada di Buonalbergo, la sposa ripudiata dal Guiscardo nel 1058 per sposare Sichelgaita, principessa longobarda di Salerno. Nella seconda metà del XII secolo si progettò la costruzione della gigantesca «Chiesa Nuova»: nondimeno, secondo la prassi, si sarebbe mantenuta in piedi la «Chiesa Vecchia», almeno finché non fosse giunto a compimento il nuovo progetto. Un completamento che non si concluderà mai: sicché oggi, della SS. Trinità di Venosa, funziona ancora e soltanto la parte che avrebbe dovuto essere rifatta. Intorno, le spoglie incompiute raccontano di un sogno grandioso e irrealizzato.
In alto abbazia della SS. Trinità, Chiesa Vecchia. Affresco raffigurante la Madonna con il Bambino. XIV sec. Sulle due pagine La «Chiesa Nuova» dell’abbazia della SS. Trinità, nota anche come «Incompiuta», poiché i
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lavori di costruzione, avviati agli inizi del XII sec., furono definitivamente sospesi nel 1297. Nella pagina accanto, in alto uno dei capitelli realizzati per il deambulatorio dell’Incompiuta.
A sinistra un edificio del centro storico di Sutri sviluppatosi su una casa di età medievale. Nella pagina accanto la Torre degli Arraggiati (o di S. Paolo). XIV sec. L’edificio sorge nell’area denominata Borgo di S. Stefano, sviluppatosi intorno all’omonimo convento.
care a sé territori su territori, in conflitto con la corona di Napoli, quanto soprattutto per il tremendo terremoto (di intensità calcolata fra l’ottavo e il nono grado della scala Mercalli) che devastò la Basilicata fra il 4 e il 5 dicembre del 1456, sei mesi dopo il passaggio nei cieli della cometa di Halley: ed è facile immaginare l’impressione suscitata dalla consequenzialità dei due portentosi eventi. Dalle distruzioni dei vecchi edifici prese avvio l’opera di risistemazione urbana del duca Pirro del Balzo Orsini, che nel 1470 volle, fra le altre cose, erigere un nuovo castello nel punto piú eminente del borgo, alla confluenza del vallone del Reale e del vallone del Ruscello. Era un luogo già precedentemente occupato dal duomo, che, a sua volta, era stato edificato sui resti di alcune cisterne romane, evidentemente connesse con l’acquedotto locale. E, in effetti, alcuni scavi archeologici eseguiti nel cortile della rocca hanno individuato gli avanzi di enormi serbatoi idrici rivestiti di intonaco: po-
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ITINERARI
Basilicata
POSSENTE MA ANCHE CONFORTEVOLE Il castello di Venosa è definito da una struttura quadrangolare a cortile centrale, e presenta robuste torri cilindriche angolari. Tutt’intorno alla costruzione, dotata di numerosi trabocchetti, corre un grande fossato, largo una quindicina di metri e profondo fra i 6 e gli 8. I lati meridionale e occidentale sono costituiti da mura piuttosto alte e possenti, mentre i versanti nord ed est sono caratterizzati da una loggia cinquecentesca a pilastri ottagonali. La merlatura della torre di ponente reca lo stemma di un sole raggiante, simbolo di Pirro del Balzo Orsini: come molti altri nobili del Quattrocento, anche il duca venosino era rimasto folgorato dal Castelnuovo di Napoli, sede palaziale del regno degli Aragona. Pertanto, il castello di Venosa era stato concepito proprio sul modello del Maschio Angioino. Con i torrioni scarpati, coi corpi di fabbrica possenti e adatti a sopportare i bombardamenti delle armi da fuoco, ma anche con una spazialità architettonica che non rinunciava alle comodità
trebbero essere i resti di un tipico castellum aquae, cioè di una torre per la raccolta e lo smistamento delle acque, apparecchiatura frequente nel panorama della romanità. Curiosamente, una volta dismesso, il castellum aquae avrebbe finito per fungere da base per un castellum medievale, con tutt’altre funzioni.
La fortezza di Pirro
Sottratto in un secondo momento a Pirro del Balzo, fra il XV e il XVI secolo il fortilizio venosino venne progressivamente dotato di fossato, per essere ulteriormente casamattato e ampliato con nuovi bastioni e un elegante loggiato interno, per meglio rispondere alle esigenze residenziali dei nobili che se ne trasmettevano l’eredità. In particolare, il maniero serví da palazzo gentilizio per Carlo Gesualdo, il «principe 98
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e al lusso, il castello di Venosa è quindi un tipico prodotto del suo tempo: oltre ad assolvere al ruolo di fortezza vera e propria, riuniva in sé quelle mansioni di rappresentanza che potevano qualificarlo esplicitamente come sede di un potere signorile, desideroso di esprimere lo status nobiliare a imitazione della reggia partenopea e del centro del potere aragonese. Nondimeno, dell’edificio sono tuttora testimoniate le funzioni carcerarie, ricordate dalla miriade di scritte graffite dai detenuti sulle pietre delle torri e sui muri degli ambienti nord-orientali. Dal 1991, infine, il castello ospita il Museo Archeologico Nazionale, che propone un’interessante raccolta del materiale archeologico reperito in loco.
madrigalista» che nel Cinquecento fece risuonare per gli ampi e sontuosi spazi castellari le sue composizioni musicali polifoniche. Un po’ piú in basso (rispetto alla posizione originaria, occupata dal nuovo castello), verso l’attuale piazza Municipio, la cattedrale dei Ss. Andrea e Felice faceva eco col suo sontuoso campanile. Ornata nel 1512 dal portale marmoreo del maestro Cola di Conza, strutturata all’interno con pilastri e arcate ogivali che definivano le tre navate, il transetto e la zona presbiteriale, la chiesa non mancò di reimpiegare materiale antico. Anche qui, quasi un inno a reiterare e a non consumare la memoria. Ancora una volta, attimi di storia da cogliere e da rimirare: possibilmente, con la misurata lentezza suggerita dalle atmosfere del borgo antico. E con tutta l’intensità insegnata da Orazio.
Un’altra veduta del castello eretto nel 1470 da Pirro del Balzo.
TRICARICO
A
vamposto fortificato del Materano, Tricarico conserva nel suo nucleo piú antico i segni di un armonico intreccio tra culture. Lo testimoniano in primo luogo le sue architetture, mirabili per la compresenza di stili che rievocano i domini succedutisi nel tempo: dai Longobardi ai Saraceni, dai Bizantini ai Normanni. Nel Quattrocento, il paese annoverava tra i propri residenti anche una nutrita comunità ebraica, mentre nel Cinquecento si popolò di Albanesi; quest’ultimo fenomeno migratorio si verificò in seguito all’insediamento, come feudatario della zona, di Erina, nipote dell’eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg. Il rilevante ruolo politico e la rinomanza di Tricarico in età tardo-medievale e rinascimentale trovano conferma nella sua presenza tra i luoghi illustrati dalla raccolta di mappe di Frans Hogenberg e Georg Braun, Civitates orbis terrarum (pubblicata fra il 1572 e il 1617).
Nella fisionomia del borgo risultano oggi ben riconoscibili e prevalenti le tracce della dominazione islamica e normanna: i quartieri storici della Ràbata e della Saracena presentano la struttura tipica della casba, quelli del Piano e del Monte, invece, sorsero in epoca normanna. Fra i monumenti di maggiore rilievo, possiamo ricordare la torre normanna (XI secolo), che nell’età di Mezzo costituiva il mastio di un imponente castello in seguito trasformato in convento; il Palazzo Ducale, risalente al XIV secolo e poi oggetto di ampie ristrutturazioni nel Seicento; i tratti della cinta muraria, alcune porte, le torri e gli orti terrazzati dei quartieri arabi (X secolo); la cattedrale romanica di S. Maria Assunta (XI secolo, in seguito rimaneggiata); la chiesa e il convento di S. Francesco d’Assisi (XIV secolo); il quattrocentesco convento di S. Antonio da Padova e il trecentesco convento di S. Chiara.
In alto veduta di Tricarico (Matera), la cui fisionomia mostra la compresenza di culture e stili diversi. A sinistra la pianta di Tricarico compresa nel Civitates Orbis Terrarum di Georg Braun e Franz Hogenberg, una raccolta di mappe delle città del mondo curata dai geografi tedeschi pubblicata in 6 volumi tra il 1572 e il 1617.
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BASILICATA
Montegiordano
Praia a Mare Papasidero
Amendolara
Morano Calabro Castrovillari
Verbicaro
Trebisacce
Civita Sibari
Corigliano Calabro
Altomonte
San Marco Argentano Guardia Piemontese
Rossano
Longobucco
Montalto Uffugo
San Giovanni in Fiore
Cosenza
Fiumefreddo Bruzio
Santa Severina
Amantea
Cutro
Lamezia Terme Tiriolo
MAR TIRRENO
Catanzaro Borgia
Filadelfia
Squillace
Pizzo Tropea
Vibo Valentia Rosarno
Bivongi
Cittanova
MAR IONIO
Stilo
Gioia Tauro
Scilla
Crotone
Caulonia Roccella Ionica Gerace
Reggio Calabria
CALABRIA
Bova
T
Pentedattilo
ra le genti della Calabria antica predominavano i Bruzi, di ceppo affine ai Lucani, che dovettero però cedere parte del proprio territorio ai Greci, quando questi vi fondarono le colonie di Reggio, Sibari e Crotone. Piú tardi, la lotta «fratricida» tra alcune città di origine ellenica espose la Calabria agli attacchi degli stessi Bruzi e dei Lucani, oltre che dei Romani. Nel III secolo a.C. Roma impose la sua autorità politico-militare sulla regione che in età imperiale, con la riforma di Diocleziano, acquisí lo status di provincia autonoma. All’epoca delle invasioni barbariche la regione rivestí un ruolo simbolico-leggendario sulla scia della tradizione che identifica Cosenza come luogo di sepoltura del re dei Visigoti, Alarico, morto prematuramente nel V secolo mentre era in marcia verso sud dopo la conquista di Roma. La dominazione gota non risollevò la Calabria dalla grave crisi politico-economica causata dal crollo dell’impero romano d’Occidente. I Bizantini contribuirono in modo rilevante alla ripresa e
alla nascita di varie città, tra cui Amantea, Tropea, Rossano e Gerace. Ancora oggi, a Bova, un borgo del Reggino, l’influenza di Costantinopoli è percepibile nel dialetto, che conserva termini di origine greca. Gli occupanti bizantini dovettero fronteggiare non tanto i Longobardi, quanto le incursioni dei Saraceni che espugnarono piú d’una roccaforte. L’arrivo degli Arabi sulle coste generò un esodo verso l’interno favorendo il popolamento di centri come Catanzaro, Stilo, Morano Calabro e Nicastro. Il pericolo di un’espansione islamica fu quindi scongiurato dalla conquista normanna, che pose le basi per una rivoluzione politicoreligiosa. Gli eremi di rito greco-ortodosso vennero soppiantati dai monasteri cattolici di Serra San Bruno, S. Maria della Sambucina, Cetraro, S. Eufemia, Mileto e Mattina. Nel XIII secolo la Calabria si sottomise agli Svevi, traendone benefici economici considerevoli. Fu verosimilmente per questo che i loro nemici angioini godettero sempre di scarse simpatie nella regione, anche nel periodo in cui combatterono contro gli Aragonesi.
I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Provincia di CATANZARO
•SAN GIOVANNI IN FIORE Arco normanno e abbazia Florense (XIII secolo). •SAN MARCO ARGENTANO Torre normanna (XI secolo), chiese.
•LAMEZIA TERME Resti del castello normanno e dell’abbazia di S. Maria (XI secolo). •SQUILLACE Castello normanno, convento di S. Chiara, chiesetta gotica di S. Maria della Pietà. •TIRIOLO Resti del castello aragonese, chiesa Matrice di S. Maria della Neve (XI-XII secolo).
Provincia di CROTONE
Provincia di COSENZA
Città metropolitana di REGGIO DI CALABRIA
•ALTOMONTE Chiesa di S. Maria della Consolazione (XIV secolo), castello dei conti di Altomonte (XII secolo). •AMANTEA Castello, collegiata di S. Biagio (XII secolo), chiesa di S. Bernardino da Siena (XV secolo). •CASTROVILLARI Castello del XV secolo, chiesa di S. Maria del Castello. •CIVITA Antico borgo arbereshe. •CORIGLIANO CALABRO (CORIGLIANO-ROSSANO) Castello ducale (XI secolo), porta di Prando, chiese del Carmine e di S. Antonio (XV secolo). •FIUMEFREDDO BRUZIO Resti del castello della Valle (XIII secolo), abbazia di S. Maria di Fonte Laurato (XIII secolo). •GUARDIA PIEMONTESE Torre di guardia dell’XI secolo, porte del borgo. •MORANO CALABRO (vedi box a p. 109). •PAPASIDERO Borgo d’impianto medievale, resti delle mura e della rocca normanno-sveva (XI-XIII secolo). •PRAIA A MARE Rocca di Praia (XIV secolo), santuario della Madonna della Grotta. •ROSSANO (CORIGLIANOROSSANO) abbazia di S. Maria del Patire (XI secolo), Cattedrale di Maria Santissima Achiropita, cinta muraria, porte.
•BIVONGI Grangia degli Apostoli, monastero ortodosso di S. Giovanni Theristis (XI secolo). •BOVA Cattedrale di origine altomedievale, ruderi del castello normanno (XI secolo). •CAULONIA Ruderi del castello (XV secolo), porte di accesso al centro storico. •GERACE (vedi articolo alle pp. 102-107). •PENTEDATTILO (MELITO PORTO SALVO) (vedi box a p. 108). •ROCCELLA JONICA Resti del castello normanno dei Carafa. •SCILLA Borgo di Chianalea. •STILO Ruderi del castello normanno di Ruggero II (XI secolo), chiesa bizantina «La Cattolica» (IX-X secolo), abbazia di S. Giovanni Theristis.
•SANTA SEVERINA Castello normanno dell’XI secolo, cattedrale con elementi del XIII secolo.
Provincia di VIBO VALENTIA
•PIZZO Castello (XV secolo), chiesetta di Piedigrotta. •TROPEA Cattedrale normanna (XII secolo), chiesa di S. Maria dell’Isola, monastero francescano cinquecentesco. Stilo (Reggio Calabria). La Cattolica. Fondata nel X sec., è uno dei piú importanti monumenti dell’architettura bizantina.
MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Calabria
I resti del castello di Gerace, Consolidato dai Bizantini su un preesistente impianto greco-romano, fu ristrutturato e potenziato dai Normanni.
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MEDIOEVO NASCOSTO
GERACE
Santa e fiera In basso, a destra la città di Gerace in un’incisione tratta da Il Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodeci provincie (...) opera dell’abate Gio. Battista Pacichelli. 1703.
di Domenico Gambardella
I
n cima a quella punta di tufo in estate il caldo non è opprimente. La strada in genere è poco animata, le porte e le finestre dei palazzi un tempo appartenenti alla nobiltà sono chiusi, e nelle strette vie non c’e quel cicaleccio animato tipico delle cittadine del Sud. Gerace, paesino calabrese della Locride situato ai piedi dell’Aspromonte, si presenta cosí al visitatore moderno. Infilarsi nei vicoli è facile, cosí come è semplice scorgere all’improvviso un portale, oppure una chiesa in parte da restaurare, una delle tante chiese che un tempo facevano di Gerace una «città santa». Quando si viene a sapere che questa cittadina rientra nei borghi classificati dall’ANCI come uno dei piú belli d’Italia non ci si stupisce. Per capirlo basta visitarlo. Percorrere cioè la Statale 106 Ionica, giungere a Locri, lasciare la costa, e penetrare all’interno, verso l’Aspromonte. Già, Locri. Il legame tra Locri Epizefiri, la colonia greca fondata nella metà dell’VIII secolo a.C., e Gerace appare inevitabile. Per alcuni studiosi furono proprio i Locresi, accorsi sulla rupe nel 915 per difendersi dagli attacchi dei Saraceni, a fondare Gerace. Per altri quel luogo aveva già una sua storia. Rifugiarsi in siti imprendibili, ecco la storia tra l’VIII e il X secolo di gran parte dei paesi calabresi che dall’alto ammirano il blu del mare.
MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Calabria
Gerace non sfugge a questa regola, tanto che l’«imprendibilità» è la prima sensazione che si prova osservando questo borgo. Fu cosí anche mezzo secolo prima dell’anno Mille. A quel tempo i conquistatori combattevano sotto le insegne dell’Islam e Gerace era uno degli ultimi capisaldi bizantini in Calabria. «È impenetrabile!», si dicevano i soldati, demoralizzati quanto i loro generali. La resistenza dei Geracesi fu energica a tal punto che i codici arabi del X secolo definirono Gerace «la piú fiera che si sia conosciuta». Due eserciti, entrambi poderosissimi, uno nel 104
MEDIOEVO NASCOSTO
951, un altro nel 986, furono necessari alla sua conquista. Quell’accanimento arabo aveva le sue ragioni. Gerace non era ricca, non era un bottino da prendere a tutti i costi, ma la sua importanza le derivava dalla posizione: si trovava, infatti, su una delle rotte di collegamento tra la Puglia e la Sicilia. Ma non solo, era la capitale amministrativa, militare e religiosa dell’intera regione. Quegli sforzi non furono premiati. Gli Arabi la ebbero solo per breve tempo: dopo pochi anni tornò bizantina. All’arrivo dei Normanni le cose cambiarono, in meglio, non solo per Gerace, ma per tutta la
Sulle due pagine veduta aerea di Gerace. In alto, a destra l’ingresso della cattedrale di S. Maria Assunta.
Calabria. Nel 1059 il borgo fu conquistato con poca resistenza dalle truppe di Roberto il Guiscardo (1015-85), ma raggiunse l’apice con il conte di Sicilia e di Calabria Ruggero II (110554), tanto che il biografo del re, l’arabo al-Idrisi, definí Gerace «città bella grande e illustre». L’impegno dei nuovi conquistatori fu immediato. Col favore della corte, il borgo iniziò la sua crescita: decine di chiese, monasteri e conventi, nel XII secolo tutto fece di Gerace una cittadina viva. Oggi le vie del borgo sembrano deserte e si può ripercorrere l’antico tessuto urbanistico medievale in assoluto silenzio.
Il castello e la cattedrale
Il castello si trova nella parte piú alta del paese e ci si arriva dopo una salita leggera ma costante. Fu Ruggero II a volerlo e oggi porta, piú che ogni altro monumento, le cicatrici del tempo. Le cronache raccontano che era inespugnabile ed era qui che la gente accorreva nei momenti difficili, durante gli assedi. Ristrutturato varie volte, fu il terremoto del 1783 a infliggergli il colpo mortale. Lasciarsi guidare dalla curiosità, ecco cosa bisogna fare quando si visita questo
borgo medievale, e sarà piú facile imbattersi in quello che il tempo ha conservato. A volte si tratta di piccole testimonianze, come la chiesa di S. Giovannello, voluta dai Bizantini nel X secolo e appartenente oggi al patriarcato di Costantinopoli, altre di grandi opere, anzi maestose, come la piú grande struttura religiosa romanica presente in Calabria. Da sede vescovile qual era Gerace, l’imponenza dell’edificio non sorprende, visto il processo di forte latinizzazione portato avanti dai Normanni. Secondo gli studiosi, i lavori iniziarono tra il 1085 e il 1110 per terminare poco dopo il 1120. La cattedrale è orientata secondo il rito greco, con le absidi volte a oriente e la facciata a occidente. Il vasto interno, con pianta a croce latina, sull’esempio delle basiliche tardo-antiche, è diviso in tre navate da due file di dieci colonne di spoglio, provenienti dagli edifici dell’antica Locri. La parte piú antica della cattedrale risiede altrove, nella cripta sotto l’area presbiteriale. Fu eretta probabilmente sulla platea di un oratorio basiliano del X o XI secolo ed è caratterizzata da trentacinque volte a crociera sorrette da ventisei colonne, provenienti MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Calabria
BARLAAM, VESCOVO SAPIENTE Quando nel 1342 Barlaam II venne eletto vescovo di Gerace, era fortemente determinato a porre fine agli intrighi e all’anarchia che imperavano nella sede vescovile di Gerace. Missione quasi impossibile, ma lui aveva il carisma per farlo. Nativo di Seminara, Barlaam II fu uno scrittore infaticabile: le cronache, piú che ricordarlo come vescovo di Gerace, lo
apprezzano per aver insegnato lettere greche al Petrarca ed essere stato maestro di Boccaccio, che lo definí «piccolo di statura ma di grandissimo sapere tanto da non essere stato tra i Greci, da piú secoli addietro altro fornito di tanta coltura». Barlaam II morí presso la sede apostolica di Avignone nel 1348, dopo sei anni di vescovato a Gerace.
anch’esse dall’antica colonia magno-greca. La piú grande testimonianza del periodo romanico in terra calabrese non ebbe però vita facile. Dopo un secolo, un terremoto la distrusse, ma gli Svevi, nuovi dominatori di queste terre nei primi anni del 1200, si prodigarono per ricostruirla e consacrarla il giorno in cui Federico II (1194-1250) passò da Gerace.
«Tre Chiese», cosí chiamata perché in pochi metri quadrati si affacciano appunto tre chiese, su un preesistente luogo di culto dedicato a san Lorenzo fu edificata nel 1252 la chiesa di S. Francesco d’Assisi, definita un’«opera elegante e magnifica». Il portale gotico con decorazioni di ispirazione araba non tradisce le attese, ma è l’interno, a una sola, spoglia navata, che custodisce l’attrazione principale: l’altare maggiore, voluto nel 1664 dal frate geracese Bonaventura Perna. Ogni suo particolare è finemente lavorato con intarsi di marmi policromi che danno vita a immagini floreali, animali, ma soprattutto splendide vedute della Gerace seicentesca con le sue case e i suoi monasteri. Dopo la dominazione sveva, la vita del borgo risentí inevitabilmente della lotta senza quar-
La piazza delle «Tre Chiese»
La dominazione sveva non passò inosservata nella sede vescovile di Gerace. I forti contrasti tra la Santa Sede e la monarchia sveva non impedirono alla città di continuare a svolgere un ruolo importante in Calabria. In quegli anni le attenzioni non furono riservate solo alla cattedrale, ma si spinsero oltre. Nella piazza delle 106
MEDIOEVO NASCOSTO
A sinistra uno scorcio dell’interno della cattedrale di S. Maria Assunta. La chiesa è articolata in tre navate, scandite da due file di dieci colonne di spoglio, provenienti dagli edifici dell’antica Locri Epizefiri.
tiere tra Angioni e Aragonesi. Si risollevò solo nel 1302, dopo la pace di Caltabellotta, quando passò definitivamente, come del resto tutta l’Italia meridionale, sotto il dominio angioino.
Sotto l’Arco del Sole
La Gerace di quel tempo racconta soprattutto la storia dei suoi vescovi. Di uno in particolare gli abitanti vanno tuttora fieri: Barlaam II di Seminara, il religioso che insegnò ad Avignone lettere greche al Petrarca e fu maestro di Boccaccio. Passò anche lui sotto l’Arco del Sole, una porta situata ai piedi del borgo. Un tempo non era cosí, per gli abitanti quella porta aveva un significato particolare: da lí i vescovi dovevano passare appena eletti, e a Gerace nei secoli l’attraversarono in duecento e piú. Ma
senza sfarzo, anzi, a sancire quel momento era l’umiltà, che il nuovo presule manifestava cavalcando un’asina bianca. Quei tempi ormai sono lontani, cosí come le dominazioni che Gerace nel corso dei secoli subí da parte di Spagnoli, Genovesi, Francesi, per finire con i Borboni. Oggi il visitatore che si trova tra le vie di questo borgo, da qualunque latitudine provenga, rimane affascinato. Come l’inglese Edward Lear (1812-1888), uno dei pochi ad avventurarsi con curiosità nelle terre del Sud Italia, che, dopo aver visitato nella metà dell’Ottocento Gerace, non esitò a definirla: «Di gran lunga il piú grandioso e superbo luogo, come posizione e come città che noi abbiamo visto in Calabria». Un giudizio che sentiamo ancora oggi di condividere.
L’esterno della cattedrale di S. Maria Assunta e, sulla destra, l’Arco dei Vescovi, eretto verso la fine del Cinquecento e sulla cui sommità è inserita una meridiana.
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ITINERARI
Calabria
PENTEDATTILO
P
ochi chilometri separano Pentedattilo dalla punta dello stivale della Penisola italiana. Collocato sulle pendici del Monte Calvario, il borgo prende nome dalla curiosa forma che un tempo presentava il suo abitato: simile a una mano gigantesca, con le cinque dita aperte (dal greco penta daktylos). Abbandonata nel Settecento, Pentedattilo è parzialmente tornata a vivere grazie a un gruppo di artigiani che ha adibito a botteghe e laboratori alcuni vecchi edifici del paese. In epoca romana, si era qui sviluppato un importante presidio militare, creato per sfruttare la posizione strategica del sito, collocato sulla
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MEDIOEVO NASCOSTO
strada che conduceva al massiccio dell’Aspromonte. Agli inizi del Medioevo, l’insediamento cominciò a spopolarsi e visse una fase di declino almeno fino alla dominazione dei Normanni, i quali accorparono il borgo ad altre località limitrofe, costituendo una baronia. Venne quindi dotato di fortificazioni piú imponenti, tra cui un castello, rimaneggiato nel Cinquecento e del quale oggi si vedono pochi resti. In condizioni migliori sono la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo e quella della Madonna della Candelora, mentre anche di un convento domenicano si conservano soltanto alcune porzioni delle strutture originarie.
Una veduta del borgo di Pentedattilo (Melito Porto Salvo, Reggio Calabria), arroccato sul Monte Calvario.
MORANO CALABRO
A
rroccato su uno sperone roccioso, Morano Calabro è uno dei centri piú importanti e pittoreschi del Parco del Pollino. Ciò che colpisce subito, arrivandovi, sono la silhouette del castello e quella della vicina collegiata. Il castello sorge sul luogo di un fortilizio preesistente, sui cui resti i Normanni edificarono il nucleo originario dell’attuale edificio, che si presenta simile al Castelnuovo di Napoli nella pianta rettangolare munita di sei torrioni angolari. Dal Quattrocento il castello appartenne ai Sanseverino di Bisignano, feudatari di Morano, i quali, nella prima metà del secolo successivo, lo ampliarono, fino a che, nel Seicento, la fortezza passò agli Spinelli, principi di Scalea e nuovi signori di Morano, che la tennero fino al 1806. Leggermente piú in basso rispetto al castello, si trova la collegiata dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo, forse del Mille, anche se i diversi rifacimenti non consentono di suffragare l’ipotesi. Nell’interno tardo-barocco, a tre navate e a croce latina, sono conservate importanti opere d’arte, tra cui due coppie di statue marmoree eseguite da Pietro Bernini, padre del piú celebre Gianlorenzo, una pala d’altare raffigurante il Compianto sul Cristo morto, di Cristofaro Roncalli detto il Pomarancio, e il bellissimo coro in stile rococò, capolavoro della bottega dei Fusco, iniziato da Agostino nel 1792 e portato a termine dal figlio Mario nel 1805. Ma i tesori di Morano non sono tutti qui. Proprio all’ingresso del paese c’è infatti la chiesa di S. Bernardino da Siena, appartenente al complesso conventuale fondato nel 1452 da Antonio Sanseverino, futuro principe di Bisignano. L’edificio, restaurato solo negli anni Cinquanta secondo le linee originarie, è uno dei rari esempi di architettura quattrocentesca nella regione. Nel semplice interno a una navata è conservata la statua lignea di san Bernardino, protettore di Morano, che viene portata in processione a conclusione della Festa della Bandiera, una sorta di palio cittadino che tradizionalmente si svolge ogni anno il 19 e il 20 maggio. A poca distanza dalla chiesa di S. Bernardino sorge quella di S. Nicola, costituita da due corpi di fabbrica posti a differenti livelli: la chiesa superiore, dedicata a san Nicola (seconda metà del XV secolo), e l’inferiore, intitolata a santa Maria delle Grazie (XIII secolo). Da segnalare, poi, nella parte bassa del paese, la collegiata di S. Maria Maddalena. Edificata forse in epoca medievale sui resti di una cappella preesistente, fu ampliata e restaurata nel XVI e XVIII secolo e oggi è una delle piú notevoli chiese barocche della Calabria. Scavi archeologici condotti negli ultimi decenni hanno inoltre messo in luce, nelle vicinanze del paese, un sito longobardo, destinato a necropoli nel VII secolo, dove, tra il IX e il X secolo, venne edificata una chiesetta bizantina. Clara Tartaglione
Il borgo di Morano Calabro (Cosenza), dominato dai resti del castello di origine normanna, realizzato sul modello del Castelnuovo di Napoli.
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Milazzo
MAR TIRRENO Castellammare del Golfo
Brolo
Carini
Messina
Rometta Cefalú Novara Tusa Montalbano di Sicilia Gratteri Erice Alcamo Elicona Savoca Caccamo Trapani Castelbuono Randazzo Castelmola Castiglione Salemi Marsala Corleone Gangi di Sicilia Calatabiano Polizzi Petralia Castelvetrano Generosa Soprana Adrano Sperlinga Burgio Aci Castello Paternò Mazara Calascibetta del Vallo Mussomeli Enna Catania Sciacca Caltanissetta
Palermo
Agrigento
Naro
Mazzarino Augusta
Siracusa
Palazzolo Acreide
Ragusa MAR MEDITERRANEO
Comiso
Noto
Modica Scicli
MAR IONIO Portopalo di Capo Passero
A
nio arabo, consolidato dalla conquista di Messina, Palermo, Siracusa e Taormina. L’architettura islamica permeò l’aspetto urbanistico delle principali città, ma anche di centri minori come Alcamo, Naro, Novara di Sicilia e Salemi.
Nel V secolo d.C. i Vandali occuparono una parte delle zone costiere lasciando, poi, il posto agli Ostrogoti di Teodorico. Sotto l’amministrazione ostrogota l’isola accrebbe la sua forza commerciale e continuò la sua ascesa economica, anche quando divenne un possedimento bizantino. Rimase immune, invece, dalle incursioni dei Longobardi, che non disponevano di una flotta con cui approdare sulle sue coste. Con la presa di Mazara del Vallo, nell’827, ebbe inizio il domi-
Nell’XI secolo l’isola fu invasa dai Normanni, che, in pochi anni, coronarono il sogno di unire l’intero Meridione sotto la loro sovranità. I nuovi governanti limitarono i diritti politici ai musulmani e ai cristiani di rito bizantino, garantendo autonomia e poteri alle comunità cattoliche. Con l’amministrazione normanna l’isola visse uno dei momenti di maggior splendore della sua storia, interrotto dall’irruzione dell’esercito svevo. Il dominio germanico assicurò, comunque, una certa prosperità all’isola, che si interruppe dopo la capitolazione di Manfredi di Svevia nel 1266. L’avvento dei Francesi fece imboccare alla Sicilia la via del declino politico e commerciale, che culminò nella rivolta dei Vespri, scoppiata nell’antica capitale normanna – Palermo – nel 1282. Solo un secolo dopo gli Angioini abbandonarono ogni pretesa sull’isola, arrendendosi agli Aragonesi.
SICILIA
bitata da Siculi, Sicani ed Elimi, la Sicilia fu investita dalla colonizzazione fenicia (IX secolo a.C.) e poi, nel settore orientale dell’isola, da quella greca. L’influenza ellenica si diffuse, in seguito, ad altre zone della regione dove sorsero splendidi monumenti, come a Syrakousai (Siracusa) e Akragas (Agrigento). L’antagonismo locale indebolí il fronte delle città greche e ne approfittarono i Cartaginesi, che presero il controllo del versante occidentale dell’isola. La conquista di Siracusa da parte del console Marcello, nel 212 a.C., segnò l’avvio della romanizzazione, ma molti centri conservarono una notevole autonomia.
I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Libero consorzio comunale di AGRIGENTO
•BURGIO Resti del castello arabo dei Peralta (XII secolo), chiesa madre di S. Antonio Abate (XII secolo). •NARO Duomo normanno (XI secolo), chiesa di S. Francesco, castello Chiaramontano. •SCIACCA Castello dei Conti Luna (XIV secolo), palazzo Amato (XIII secolo). Libero consorzio comunale di CALTANISSETTA
•MAZZARINO Rocca U’Cannuni (XII secolo), chiesa SS. Crocifisso dell’Olmo. •MUSSOMELI Castello (XIV-XV secolo), quartiere trecentesco «Terravecchia». Città metropolitana di CATANIA
•ACI CASTELLO Resti del castello di Aci. •ADRANO Castello normanno (XI secolo), ponte dei Saraceni (IX secolo). •CALATABIANO Castello arabo-normanno, resti delle mura. •CASTIGLIONE DI SICILIA (vedi box alle pp. 117-118). •PATERNÒ Castello normanno (XI secolo), porte del borgo, torre dei Falconieri (XIV secolo). •RANDAZZO Palazzo reale normanno (XII-XIII secolo), chiesa di S. Maria (XIII secolo). Libero consorzio comunale di ENNA
•CALASCIBETTA Torre normanna, chiese medievali. •SPERLINGA Castello (XII secolo), nicchie sepolcrali del IV secolo in contrada Ss. Quaranta. Città metropolitana di MESSINA
•BROLO Borgo con struttura medievale, castello dell’XI secolo. •CASTELMOLA Resti delle mura del castello normanno, chiesa di S. Giorgio (XV secolo), chiesa dell’Annunziata (XII secolo). •MILAZZO Castello arabo del IX secolo con rimaneggiamenti svevi e normanni, chiesa di S. Giacomo Apostolo (XV secolo). •MONTALBANO ELICONA Castello, chiesa di S. Caterina (XIV secolo). •NOVARA DI SICILIA Ruderi del castello saraceno, chiesa duecentesca di S. Francesco. •ROMETTA Chiesa bizantina di S. Maria dei Cerei (V e VI secolo), palazzo Federiciano. •SAVOCA Chiesa di S. Maria in Cielo Assunta (XII secolo), ruderi del castello di Pentefur e della sinagoga. •TUSA Castello (XIII-XIV secolo), torre Migaido (IX secolo), chiesa di S. Giovanni Battista in stile arabo-normanno. Città metropolitana di PALERMO
•CACCAMO (vedi articolo alle pp. 112-116). •CARINI Rocca normanna dell’XI secolo, duomo quattrocentesco. •CASTELBUONO Castello dei Ventimiglia (XIV secolo), chiesa di SS. Maria Assunta (XIV secolo). •CEFALÚ Duomo arabo-normanno (XII secolo), Osterio Magno di Ruggero II (XII secolo), lavatoio medievale. •CORLEONE Castello Soprano, castello Sottano e mura (XIII secolo). •GANGI (vedi box a p. 119). •GRATTERI Castello (VIII secolo), Matrice Vecchia di S. Michele Arcangelo (XIV
secolo). •POLIZZI GENEROSA Ruderi del castello, acquedotto (XV secolo), quartiere bizantino. •PETRALIA SOPRANA Chiesa Madre trecentesca, palazzo del Municipio con merli medievali. Libero consorzio comunale di RAGUSA
•COMISO Duomo quattrocentesco, castello dei Naselli d’Aragona (XIV secolo). •MODICA Castello medievale, Portale de Leva (XIV secolo). •SCICLI Resti del Castellaccio e della rocca dei Tre Cantoni (XIV secolo), complesso della Croce di origine tardo-medievale. Libero consorzio comunale di SIRACUSA
•AUGUSTA Rocca sveva, chiesa di S. Domenico (XIII secolo). •PALAZZOLO ACREIDE Castello medievale, chiesa dell’Annunziata (XIII secolo). •PORTOPALO DI CAPO PASSERO Fortezza di Carlo V (XIV secolo). Libero consorzio comunale di TRAPANI
•ALCAMO Castello dei conti di Modica (XIV secolo), rocca di Calatubo (XI secolo). •CASTELLAMMARE DEL GOLFO Chiesa Madonna del Rosario (XII secolo), castello arabo-normanno (XI-XIV secolo). •CASTELVETRANO Castello di Bellumvider, chiesa normanno-bizantina del XII secolo. •ERICE Castello di Venere, Chiesa Madre, chiese di S. Martino e di S. Giuliano, convento di S. Domenico. •MARSALA Castello normanno (XII secolo), convento del Carmine (XIII-XIV secolo).•MAZARA DEL VALLO Arco normanno, chiese della Madonna delle Giummare, di S. Nicolò Regale e S. Vito a Mare.•SALEMI Castello del XIII secolo, chiesa e convento dei monaci basiliani, chiesa paleocristiana di S. Miceli.
In alto veduta aerea del borgo di Novara di Sicilia (Messina). Nella pagina accanto Taormina (Messina). Una veduta di piazza IX Aprile, già Sant’Agostino, sulla quale si affacciano la chiesa omonima, quella di S. Giuseppe e la medievale Torre dell’Orologio. MEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Sicilia
CACCAMO
L’inespugnabile rifugio dei congiurati 112
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di Francesco Colotta Il castello normanno di Caccamo (Palermo). È una delle fortezze meglio conservate del Meridione d’Italia: databile al XII sec., sorge in prodigioso equilibrio su una rupe rocciosa a strapiombo sulla vallata.
D
efinita «Cartagine siciliana» dallo storico isolano seicentesco Agostino Inveges (che fondò la sua convinzione sull’opinione di Stefano Bizantino, secondo il quale in Sicilia era esistita una città chiamata Cartagine), l’antica Caccamo sorgeva su uno sperone roccioso, alle falde del Monte San Calogero: qui avrebbe trovato rifugio un gruppo di soldati punici sopravvissuti alla disfatta subita per mano dei Siracusani e degli Agrigentini nella battaglia di Imera del 480 a.C. (il piú grande scontro combattuto dalla grecità d’Occidente contro il barbaro). Nell’XI secolo, sull’altura si formò un piccolo centro fortificato, che il geografo arabo al-Idrisi cita con il toponimo tuttora in uso. Il borgo, all’epoca normanno, godeva dello status di baronia e venne in seguito ceduto al locale signore Goffredo de Sageyo, per poi passare, nel XII secolo, sotto il controllo dei nobili Bonello, che resero piú funzionale il castello. Proprio la rocca, in quel periodo, fu teatro di fatti di sangue che coinvolsero uno degli esponenti della famiglia Bonello, Matteo, che si pose a capo di una rivolta nobiliare contro il dispotico governatore Maione di Bari, luogotenente del re normanno Guglielmo I il Malo, odiato dall’intera popolazione. Matteo aveva preparato la sommossa insieme ad altri aristocratici e, nel giorno stabilito per l’azione, prese il comando delle operazioni: a Palermo – si presume sulla via Coperta, davanti al palazzo arcivescovile – assassinò Maione, dopo di che, rientrato nel castello di Caccamo, progettò addirittura di catturare il sovrano normanno Guglielmo. Questi, nel frattempo, si era dichiarato disposto a perdonare gli autori dell’eccidio, perché consapevole del consenso popolare di cui godevano, ma il suo atto di clemenza non lo salvò dalla violenta determinazione dei rivoltosi e pochi giorni dopo venne catturato. I congiurati non si limitarono a rapire il re, ma misero a ferro e fuoco interi quartieri di Palermo, scatenando, inoltre, una vera e propria persecuzione nei riguardi dei residenti di fede musulmana.
L’inganno di re Guglielmo
Le violenze provocarono la reazione dei fedelissimi del sovrano e la loro controffensiva costrinse i cospiratori a rifugiarsi nuovamente nella fortezza di Caccamo. Guglielmo, intanto, era stato liberato, meditava vendetta e, non
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ITINERARI
Sicilia
Sulle due pagine altre immagini delle architetture del castello di Caccamo.
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potendo espugnare il castello, finse di voler scendere a patti, promettendo inoltre l’emanazione di provvedimenti che avrebbero rafforzato l’autonomia dei nobili. Matteo Bonello, fidandosi delle promesse, uscí dal suo nascondiglio e si recò a corte per avviare le trattative, ignaro della trappola che il monarca gli aveva teso; venne infine arrestato, rinchiuso nel palazzo e ucciso dopo terribili torture. Alla morte di Guglielmo, Caccamo entrò a far parte dei possedimenti di un nobile francese, Giovanni Lavardino, il cui dominio non mancò di scatenare nuove rivolte. In seguito, al governo si succedettero numerosi aristocratici e ecclesiastici, tra i quali l’arcivescovo di Paler-
mo, ma verso la fine del Duecento, erano sempre le famiglie francesi a mantenere ben saldo il controllo del territorio. Solo con la guerra del Vespro (1282-1302), il destino politico di Caccamo subí un radicale cambiamento, in particolar modo con l’avvento al potere dei nobili Chiaramonte, ai quali i vincitori Aragonesi avevano concesso il borgo in feudo. In quel secolo, sorsero sontuosi palazzi, mentre sia le mura che il castello furono ristrutturati. Caccamo divenne successivamente contea, ma il periodo di splendore si interruppe presto, coincidendo con il declino politico dei Chiaramonte, entrati in rotta di collisione con l’amministrazione centrale spagnola. Nuovi ariMEDIOEVO NASCOSTO
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ITINERARI
Sicilia
stocratici, fedeli agli Aragonesi, si contesero l’egemonia sul Palermitano e non mancarono ulteriori sommosse popolari, che imposero un nuovo potenziamento della rocca.
Una fortezza immortale
Il castello di Caccamo è una delle fortezze medievali piú grandi e meglio conservate di tutto il Meridione. Arroccato a strapiombo su una rupe, ha una struttura compatta, difesa da cortine e dotata di bastione e merlature. Il complesso, di origine normanna, subí profonde trasformazioni nel XIII-XIV secolo e rimaneggiamenti anche nel Seicento, quando dovette assolvere alla funzione di palazzo baronale. La pianta risulta irregolare, per via dei diversi livelli ai quali furono innalzati i vari edifici. Al suo interno si trova la sala della congiura, dove nel 1160 i nobili, guidati da Matteo Bonello, ordirono appunto le proprie trame. 116
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L’abitato sottostante ha un tipico impianto medievale, che risulta piú accentuato nel nucleo piú antico, il quartiere della Terravecchia, del quale si può seguire il tracciato viario di origine duecentesca. Numerose sono le chiese dell’età di Mezzo, a partire dal duomo, di progettazione normanna, poi rimaneggiato nel Quattrocento e nel Seicento. Di fondazione medievale è la chiesa dell’Annunziata, ripetutamente rimaneggiata, in particolare in epoca barocca. L’ex chiesa di S. Marco conserva il suo portale trecentesco a sesto acuto, mentre si ritiene databile al Quattrocento il monastero di S. Francesco d’Assisi. Fuori dal centro storico sorgono altre interessanti architetture religiose bizantine e normanne, tra le quali possiamo segnalare il monastero basiliano di S. Nicola de Nemore (X secolo) e l’eremo di S. Anna.
Veduta panoramica di Caccamo, il cui abitato occupa una collina ai piedi del monte Eurako (o San Calogero) a 520 m di quota.
CASTIGLIONE DI SICILIA
A
dagiato su una collina a 600 m di altezza, in uno scenario incantevole tra il versante nord dell’Etna e la valle del fiume Alcantara, è uno dei rari borghi medievali sorti a ridosso del vulcano. Oltre allo splendore naturalistico, Castiglione di Sicilia – anticamente Castrum Leonis – vanta un passato illustre che affonda le radici nell’età del Bronzo, quando fu terra di numerosi insediamenti, come dimostrano i rilievi archeologici. Nell’Alto Medioevo divenne una delle principali roccaforti bizantine della Sicilia, in un periodo in cui l’isola accoglieva anche migliaia di monaci orientali che si erano opposti all’intransigente politica iconoclasta di Costantinopoli. Un primo, compiuto sviluppo dell’abitato si verifica nel Duecento con la fine del dominio arabo e l’arrivo dei Normanni, ma l’epoca d’oro
giungerà solo con il governo di Federico II di Svevia. L’imperatore fortifica il borgo, gli concede l’appellativo di «Città Animosa», ossia dotata di grande coraggio, ed elegge il locale castello come propria residenza estiva. Come in gran parte del Meridione d’Italia, alla dominazione sveva seguí quella angioina e con la guerra del Vespro prevalsero – nel 1282 – gli Aragonesi, con il rilevante contributo dell’ammiraglio Ruggero di Lauria, che in premio per l’impresa ricevette Castiglione come feudo. La sua successiva, azzardata scelta di campo nelle vicende politiche della corona iberica, tuttavia, determinò un iniziale declino per le terre che amministrava. Schieratosi dalla parte dell’illegittimo pretendente al regno di Spagna, Giacomo d’Aragona, scatenò le ire del sovrano in carica Federico III che decise di
Castiglione di Sicilia (Catania). La Cuba di S. Domenica, una cappella rurale situata poco fuori il centro abitato.
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ITINERARI
Sicilia
punirlo: il re attaccò militarmente Ruggero e, dopo un lungo assedio alla rocca di Castiglione, lo costrinse alla resa. Oggi le tracce piú antiche di Medioevo sono impresse nelle campagne limitrofe al centro storico, non lontano dal fiume Alcantara, dove si profilano le forme geometriche della Cuba di S. Domenica, splendida cappella rurale a una sola abside e tre navate, ornata da finestre monofore, bifore e trifore. L’impronta bizantina un tempo avvalorata dagli storici, è oggi messa in discussione da accurate analisi strutturali e dallo studio delle tecniche edilizie. Si ipotizza, piuttosto, un’origine posteriore alla dominazione di Bisanzio, nel periodo arabo oppure normanno (X-XI secolo). Periferica rispetto al borgo è anche la chiesa di S. Nicola, edificata nel XII secolo, mentre nel centro storico si staglia la fisionomia massiccia della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo sul cui muro perimetrale è impressa la data del 1105 – ma si ritiene che la sua costruzione risalga al Duecento. Domina dall’alto della collina, infine, la mole del castello Lauria, fortezza databile al periodo normanno-svevo, che costituisce solo uno dei pilastri dello storico sistema difensivo locale; le altre fortificazioni dell’età di Mezzo sono oggi in rovina, il Castelluccio e la Torre di San Vincenzo «U Cannizzu».
A destra uno scorcio del castello Lauria, a Castiglione di Sicilia, databile all’epoca normanno-sveva. Sulle due pagine veduta di Gangi (Palermo).
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GANGI
L
a bellezza del borgo di Gangi ha pochi eguali nell’Italia Meridionale. Una tradizione riferisce che sul suo sito anticamente venne fondata la colonia cretese di Engyon, nella quale sorgeva un sontuoso tempio dedicato al culto delle dee madri. Anche la storia medievale di Gangi è scandita da episodi che hanno contorni leggendari, come la tradizione secondo la quale il borgo sarebbe stato raso al suolo nel 1299 dalle truppe aragonesi. Risulta invece certo che, nell’XI secolo, i Normanni cacciarono i Saraceni da Gangi e annessero il paese alla potente contea di Geraci. Dopo la dominazione sveva e angioina, l’abitato crebbe notevolmente e un censimento del Cinquecento indica in 4000 il numero dei suoi abitanti. Nella parte piú alta del paese svetta il possente castello trecentesco, con le sue forme squadrate ed eleganti, acquisite con i rimaneggiamenti apportati nel Seicento. Altre fortificazioni a presidio del borgo sono la Torre dei Ventimiglia (XIV secolo) e la Torre Saracena, quest’ultima risalente all’epoca della dominazione araba. Trecentesca è anche la chiesa di S. Nicolò, mentre hanno subito profonde modifiche dopo il Medioevo il santuario dello Spirito Santo, la chiesa del SS. Salvatore, la chiesa di S. Maria della Catena e la chiesa di S. Cataldo.
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Luogosanto
Porto Torres
Castelsardo Tempio Pausania
Olbia
Sassari Codrongianos Alghero
Benetutti Bosa
Orotelli
Dorgali
Orgosolo
Olzei
Santu Lussurgiu
Nuoro
Atzara
Cabras
Ruinas
Oristano
Masullas
Furtei
Iglesias
Villasalto
Villaputzu
Dolianova Siliqua
Serdiana Quartu Sant’Elena Cagliari
Carloforte Tratalias
SARDEGNA
Capo Teulada MAR TIRRENO
C
ulla della civiltà nuragica, fiorita tra il II e il I millennio a.C., la Sardegna accolse importanti apporti esterni, primo fra tutti quello dei Fenici, che lasciarono tracce della loro presenza negli insediamenti di Sulcis, Caralis (Cagliari) e Nora. Nel 241 a.C. giunsero i Romani, che però non riuscirono a sradicare del tutto la presenza dei Cartaginesi, sopraggiunti dopo la colonizzazione fenicia. Il dominio di Roma comportò inizialmente l’assoggettamento delle città e l’assenza di autonomia, e solo in epoca cesariana ad alcuni centri furono concessi diritti – a Cagliari innanzitutto – mentre Porto Torres, Sulcis e Tharros divennero importanti colonie. La Sardegna subí l’invasione dei Vandali agli inizi del Medioevo, ma il loro dominio durò poco meno di un secolo. Nel 534 i Bizantini si stanziarono nell’isola, governando a lungo indisturbati grazie alla mancata presenza dei rivali longobardi. Il declino di Costantinopoli nel VII-VIII secolo contagiò anche la Sardegna che venne funestata dalle invasioni saracene.
Solo alcune zone della regione si arresero agli assedianti, mentre il potere restava saldo in mano a quattro città-stato, i cosiddetti «giudicati»: Cagliari, Arborea, Torres e Gallura. Nel XII secolo prese il sopravvento Arborea, che presto, però, dovette confrontarsi con le mire delle potenze marinare di Genova e Pisa che sostenevano i restanti tre giudicati. Altre città emersero come soggetti politici di rilievo, tra cui Oristano, Castelaragonese, Bosa, Castel di Calari e Alghero. Nel XIV secolo, contesa da Angioini e Aragonesi, l’isola finí sotto l’influenza dei secondi in seguito all’intervento di papa Bonifacio VIII. Gli Spagnoli governarono in modo dispotico, senza tener conto delle autonomie comunali ormai da anni radicatesi. Molte città rifiutarono questa forma di centralismo e si ribellarono. Per qualche anno i dissidenti, grazie anche all’appoggio di Pisa e Genova, strapparono al nemico porzioni di costa occidentale, ma fu un successo effimero. Dopo la battaglia di Macomer del 1478, la Sardegna fu infatti annessa al regno aragonese.
I LUOGHI SCELTI DA «MEDIOEVO» Città metropolitana di CAGLIARI
Provincia di ORISTANO
•QUARTU SANT’ELENA Chiesa romanica di S. Maria di Cepola, chiesa di S. Agata (XII secolo), torre di Carcangiolas.
•BOSA (vedi articolo alle pp. 122-126). •CABRAS Resti del castello di Casa di Regno, borgo di San Salvatore di Sinis. •SANTU LUSSURGIU Chiese medievali.
Provincia del SUD SARDEGNA
Provincia di SASSARI
•CARLOFORTE Mura, chiesa dei Novelli Innocenti (XIII secolo). •DOLIANOVA Chiesa romanica di S. Pantaleo. •FURTEI Borgo medievale.•IGLESIAS (vedi box alle pp. 128-129). •SERDIANA Chiesa di S. Maria di Sibiola (XII secolo). •SILIQUA Castello di Acquafredda (XIII secolo), chiese aragonesi. •TRATALIAS Borgo medievale.•VILLAPUTZU Resti di castelli e torri.
•BENETUTTI Chiesa di S. Saturnino (XII secolo), chiesa romanica di S. Salvatore. •CASTELSARDO Borgo d’impronta medievale, castello dei Doria, cattedrale di S. Antonio Abate (XIV secolo), chiesa romanica di S. Maria delle Grazie. •CODRONGIANOS Basilica della SS. Trinità di Saccargia (XII secolo). •LUOGOSANTO Santuario Nostra Signora di Luogosanto (XIII secolo), castello di Balaiana (XII secolo). •OLBIA Basilica romanica di S. Simplicio, resti del castello di Molara, resti della rocca di Pedres (XIII secolo). •PORTO TORRES Chiesa pisana di S. Gavino (XI secolo), torre Aragonese (XIV secolo). •TEMPIO PAUSANIA Cattedrale di S. Pietro di origine trecentesca, oratorio del Rosario.
Provincia di NUORO
•ATZARA Chiesa di S. Giorgio (XIII-XIV secolo), chiesa di S. Maria Bambina (IX secolo). •DORGALI Chiesa delle Grazie (XIII secolo), ospedale di S. Antonio, palazzo del Balivo (XIII secolo). •ORGOSOLO Chiesa trecentesca di S. Antonio Abate. •POSADA (vedi box a p. 127).
Codrongianos (Sassari). La basilica della SS. Trinità di Saccargia, magnifico esempio di architettura romanico-pisana, realizzata nel XII sec. A sinistra la tavola del Maestro di Castelsardo raffigurante la Madonna con il Bambino, attorniati da sei angeli musicanti. Fine del XV sec. Castelsardo, cattedrale di S. Antonio Abate.
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BOSA
La roccaforte del giudicato
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di Francesco Colotta Bosa (Oristano). Uno scorcio del borgo, sviluppatosi lungo il fiume Temo; sulla destra è l’ottocentesco Ponte Vecchio, mentre sullo sfondo, sopra la collina, si riconoscono i resti del castello Malaspina.
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Fenici navigarono spesso nelle acque antistanti Bosa e vi fondarono forse un insediamento. In età romana, la stessa area vide svilupparsi un abitato di dimensioni piuttosto estese, che raggiunse verosimilmente il rango di municipium e la cui fonte di ricchezza principale era il grande porto, che attirava intensi traffici mercantili. All’inizio del Basso Medioevo, Bosa fu sede vescovile, nonché capoluogo della curatoria
di Planargia, principale divisione amministrativa del giudicato di Logudoro. In seguito, come altre zone della Sardegna, il borgo si trovò esposto alla minaccia saracena. Fu coinvolto nella guerra che oppose le Repubbliche Marinare (Pisa e Genova) ai Saraceni, entrambi determinati ad assicurarsi il controllo dell’isola. Nel XII secolo, la frequenza delle incursioni navali suggerí di presidiare quell’importante snodo portuale
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con un castello, che venne innalzato nel 1112 per iniziativa dei marchesi Malaspina dello Spino Secco, famiglia nobiliare di origine lucchese alla quale il giudicato di Logudoro aveva concesso il borgo in feudo. Agli inizi del Trecento, con l’incombere dell’egemonia aragonese sulla Sardegna, le fortificazioni furono ampliate, ma l’intervento non impedí agli Spagnoli di dilagare. Nel XIV secolo, piú volte, gli Aragonesi cedettero in feudo Bosa al giudicato di Arborea, i cui amministratori maturarono l’intenzione di rendersi indipendenti: fu Mariano IV a compiere lo strappo e il
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castello divenne una delle principali roccaforti del Giudicato sardo. Con la battaglia di Sanluri del 1409, tuttavia, gli Aragonesi prevalsero sulle truppe del regno indipendente di Arborea e riconquistarono subito Bosa.
Autonomi, ma divisi
Gli Spagnoli concessero ampi spazi di autonomia (investendo di poteri effettivi il consiglio generale, il sindaco e il podestà), ma nel borgo si generò una vera e propria spaccatura interna. La gestione politica dell’abitato risultava, infatti, separata da quella del suo castello che era presi-
Sulle due pagine la torre di Bosa Marina, costruita dagli Aragonesi nel 1587 sull’Isola Rossa.
A destra la chiesa di S. Pietro extra muros. Situata poco fuori l’abitato di Bosa, è il piú antico edificio di culto romanico della Sardegna, un tempo cattedrale.
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diato da un feudatario degli Aragonesi. Ne scaturí un inevitabile conflitto armato: nel 1421, il capitano Pedro di San Giovanni bombardò l’abitato, dalla fortezza, nel tentativo di porre fine a una rivolta della popolazione, scesa in piazza per difendere l’autonomia del proprio vescovo, oppressa dall’ingerenza del castellano. Sul finire del Quattrocento, Bosa risultava governata dal capitano generale della flotta reale spagnola Giovanni di Villamarí e beneficiò di vari privilegi. Nominata città regia, accrebbe la proprie fortune politiche e mercantili, almeno fino al 1520. In seguito, andò incontro ad un rapido declino, generato soprattutto dalla perdita di centralità del porto.
A controllo del territorio
Del castello che fu protagonista della storia medievale del borgo restano le imponenti torri in pietra. Sorta sulla sommità del colle chiamato di Serravalle, la struttura è stata piú volte ampliata nel tempo, per opera di Pisani, Aragonesi e Spagnoli, fino a diventare un complesso circolare. Fulcro del fortilizio è il mastio centrale, o torre regina, circondato da una cinta muraria costruita in trachite chiara, sulla quale si elevano torri di avvistamento disposte a quasi 126
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uguale distanza lungo la cerchia, dalla quale si può controllare tutto il territorio circostante. Del complesso castrense fa parte la chiesa di Nostra Signora di Regnos Altos, che si trova sulla piazza d’armi del castello. Intitolata in origine a sant’Andrea, venne verosimilmente fondata al tempo in cui si mise mano alla costruzione del castello, vale a dire nei primi decenni del XII secolo. In occasione di un intervento di ristrutturazione, sono stati rinvenuti sulle pareti affreschi databili alla metà del XIV secolo e all’ambito della pittura italo meridionale di cultura franco-sveva. All’attuale titolare del tempio è legata la festa della Madonna di Regnos Altos, che ogni anno, in settembre, anima il centro storico di Bosa. Di rilievo sono anche altre testimonianze storiche contenute nei luoghi di culto, alcuni dei quali si trovano fuori dal perimetro del borgo. S. Pietro extra muros (XI-XII secolo), posta in una zona di campagna a poca distanza dall’abitato, è la chiesa romanica piú antica della regione. Altri esempi di architetture religiose medievali sono S. Giovanni Battista (XII secolo), in stile gotico-catalano; S. Maria di Caravetta (XII secolo); S. Eligio e la chiesa di Santa Croce, che risale all’inizio del Rinascimento.
Particolari degli affreschi che ornano le pareti della chiesa di Nostra Signora di Regnos Altos. Scoperte nel 1972 in occasione di un intervento di restauro, le pitture sono databili alla metà del XIV sec.
POSADA
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entro che, secondo recenti ipotesi, potrebbe addirittura essere stato fondato in epoca preromana da genti provenienti dall’Italia centrale, l’abitato sviluppatosi là dove oggi sorge Posada fu conquistato dai Romani e assunse il nome di Feronia. Nel Medioevo, il borgo appartenne al giudicato di Gallura e, data la sua delicata posizione di confine con il regno di Arborea, fu presidiato fin dal XII secolo da un castello, chiamato oggi «della Fava». Il nome della rocca è legato alla leggenda secondo la quale, durante un attacco turco, gli abitanti fecero mangiare a un piccione tutte le fave rimaste in paese e, dopo averlo ferito, lo spinsero nell’accampamento musulmano.
Gli assedianti, notando la pancia piena del volatile, si convinsero che Posada potesse contare su grandi riserve alimentari e che sarebbe stata in grado di resistere a lungo. Decisero, pertanto, di rinunciare all’attacco e tornarono sui propri passi. Alla fine del Duecento, il borgo fu conquistato dai Pisani e, nel secolo seguente, dagli Aragonesi. Nel Quattrocento, infine, entrò a far parte dei possedimenti del giudicato di Arborea. La Posada medievale si sviluppò intorno al suo castello, i cui resti ancora dominano l’abitato. Tra i luoghi di culto piú antichi, meritano una citazione le chiese di S. Lucia, della Madonna del Soccorso e di S. Antonio Abate.
Il borgo di Posada (Nuoro), dominato dai resti del castello della Fava (XII sec.): nel Medioevo, l’abitato occupava un’area di notevole importanza strategica, ai confini tra il regno di Gallura e quello di Arborea.
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IGLESIAS
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lla costellazione di piccole e grandi città turrite che nell’Italia peninsulare ben simboleggiano il Medioevo comunale, è possibile aggiungerne a pieno titolo almeno un’altra, situata oltre l’orizzonte occidentale del Mar Tirreno, in Sardegna: si tratta di Villa di Chiesa, oggi chiamata Iglesias. Venuta alla luce come piccolo borgo minerario, Villa di Chiesa fu costituita a Comune per volere di un illustre fondatore: il conte Ugolino della Gherardesca di Donoratico, il famosissimo e sfortunato personaggio immortalato da Dante in una delle pagine piú belle della Divina Commedia. Le vicende che condussero il conte toscano in Sardegna ebbero inizio già all’alba del primo millennio, quando la Repubblica di Pisa cominciò a intessere importanti rapporti economici con i sovrani dei quattro Stati sardi (i cosiddetti giudicati); ma, col tempo, l’interesse della città d’Arno verso l’isola acquisí un carattere sempre piú politico, tanto da culminare, nel 1257, nella conquista del regno di Cagliari, dopo aver costretto alla resa, strappandola all’occupazione genovese, l’allora capitale Santa Igia. Tranne Castel di Castro (Cagliari), che rimase sotto il dominio diretto di Pisa, l’intero territorio giudicale fu quindi diviso in tre parti, ciascuna delle quali affidata in
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feudo a una delle famiglie che avevano partecipato alla vittoriosa impresa militare. Pertanto, quella parte di Sardegna meridionale piú spostata a occidente, l’attuale regione del Sulcis-Iglesiente, spettò a due componenti della medesima casata, i conti Gherardo e Ugolino della Gherardesca di Donoratico. Quest’ultimo, in particolare, ottenne la curatoria del Sigerro (grosso modo l’attuale valle del fiume Cixerri), divenendo magnifico e potente signore «dell’Argentaria, di Villa di Chiesa, di Domusnovas e della sesta parte del Regno di Cagliari», cosí come viene salutato anche in un’epigrafe che celebra la fondazione della cattedrale di Villa di Chiesa. Agli occhi avidi del nuovo signore, il territorio assegnato apparve subito interessante, oltre che per la sua fertilità, per la ricchezza di giacimenti di piombo argentifero, già sfruttati in età punica e romana, cosí abbondanti da far presto ribattezzare «Argentaria» l’intero distretto. Fermamente intenzionato a mettere a profitto la generosità del sottosuolo, Ugolino dette impulso all’attività estrattiva e creò un’industria adibita alla lavorazione dei metalli. Cosí, Villa di Chiesa, «la città dell’Argento», si sviluppò con eccezionale rapidità, richiamando non soltanto lavoratori provenienti da tutta l’isola,
Veduta di Buggerru (Carbonia-Iglesias), abitato che sorse intorno al 1850 per lo sfruttamento dei giacimenti minerari del territorio ed è oggi abbandonato.
ma anche Corsi, Tedeschi, Terramagnesi (oggi diremmo «continentali»), fino a trasformarsi, dopo Castel di Castro, nel centro piú importante del giudicato cagliaritano. E proprio in quell’epoca il piccolo borgo, ormai popolato da migliaia d’abitanti (stimati all’inizio del Trecento tra gli 8000 e i 12 000), divenne una vera e propria città, non dissimile, neppure per la morfologia, da tante altre dell’epoca comunale. Il centro urbano venne infatti cinto da mura poderose, con quattro porte e una ventina di torri, e protetto, a nord-est, da un castello, detto «di San Guantino»; lo spazio abitato, suddiviso nei quartieri di Castello, Fontana, di Mezzo, Santa Chiara, risultava dominato dai due edifici simbolo del potere politico e religioso: il palazzo dei Donoratico e la cattedrale di S. Chiara, a cui facevano degno contorno il palazzo dell’Università (o palazzo del Comune) e la corte del Capitano. Vi erano inoltre un acquedotto, che faceva capo ad alcune fontane pubbliche, un ospedale, le carceri e la zecca, che utilizzava per il conio l’argento delle miniere locali. In questa Zecca fu prodotta quella che risulta essere la prima moneta medievale della Sardegna, un «grosso tornese» con lo stemma dei Donoratico (scudo partito, mezz’aquila e spaccato), da riferirsi a Lotto e Guelfo della Gherardesca, figli di Ugolino, che gli erano subentrati al governo di Villa di Chiesa dopo la sua crudele morte, avvenuta nel 1288. In realtà, questa successione non fu cosí semplice: i rapporti fra Ugolino e il Comune di Pisa si erano incrinati già da tempo, a partire dal mancato pagamento, al Pubblico Erario, del tributo dovuto dal conte proprio per le sue proprietà sarde. Pisa reagí con decisione: oltre a incamerare i beni del debitore, inviò nell’isola messer Simone de’ Sassi, affinché ne riprendesse ufficialmente possesso a nome della Repubblica. Dopo la sconfitta pisana nella battaglia navale della Meloria (1284) e la triste fine di Ugolino nella torre dei Gualandi, Guelfo, inviato in precedenza dal padre in Sardegna per reggerne i possedimenti, temendo eventuali ritorsioni pisane sulla propria discendenza, si rifugiò a Villa di Chiesa: qui si vendicò di Vanni Gubbetta dei Ripafratta che egli considerava corresponsabile della morte paterna e, fattolo legare per le mani e per i piedi, ordinò che fosse squartato da quattro cavalli. A Villa di Chiesa, Guelfo venne poi raggiunto dal fratello Lotto, reduce dalle prigioni genovesi, assieme al quale inaugurò un periodo di breve dominio sulla città: risale a questo preciso momento storico il già citato «grosso tornese» d’argento, nella cui legenda, tra l’altro, i due
conti di Donoratico vengono indicati come «Signori della terza parte del regno di Cagliari», lasciando intendere che, nel frattempo, si fossero impadroniti anche dei territori che spettavano agli eredi di Gherardo. La produzione di questa moneta ebbe però vita effimera, cosí come il governo dei due fratelli: Pisa (siamo nel 1295) inviò un contingente militare e riportò l’intero possedimento sotto il suo diretto controllo. Villa di Chiesa divenne a tutti gli effetti un’enclave pisana in Sardegna: le principali cariche comunali divennero monopolio di cittadini inviati dal Comune toscano, e tutta la città divenne una sorta di «piccola Pisa», lontana solo geograficamente dalla madrepatria. Le miniere continuarono a rappresentare la base dell’economia locale, e anzi, proseguendo la felice politica imprenditoriale di Ugolino, l’attività fu addirittura accresciuta: si stima che nella prima metà del Trecento l’argento estratto costituisse circa il 10% dell’intera produzione europea. Gran parte del minerale varcava il mare e salpava per la Toscana, creando un flusso costante di metallo prezioso che alimentava le zecche di Pisa e di altre città della Penisola: alcuni autori calcolano addirittura che in settant’anni di dominio siano state esportate circa 15 t annue d’argento. Settant’anni: tanto durò l’occupazione pisana di Villa di Chiesa; nel 1324, infatti, furono i Catalani di re Giacomo I d’Aragona a impadronirsi della città, dopo averla stremata con sette mesi di assedio. Grazia Villani
In alto la cattedrale di S. Chiara, la cui prima fondazione risale al XIII sec.
Una pagina del Breve di Villa di Chiesa. Iglesias, Archivio Storico del Comune.
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VO MEDIO E Dossier n. 62 (maggio/giugno 2024) Registrazione al Tribunale di Milano n. 233 dell’11/04/2007
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Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.
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