Medioevo Dossier n. 51, Luglio/Agosto 2022

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L’ORDINE DEI TEMPLARI

di Federico Canaccini

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TEMPLARI

STORIA

LEGGENDA di Federico

MEMORIA

Canaccini

INTRODUZIONE 6. Alle origini di un mito L’ETÀ DELLE CROCIATE 14. «Dio lo vuole!» LA NASCITA E LA REGOLA 30. Come diventare un «buon» Templare LA VITA QUOTIDIANA 56. Combatti e lavora L’ORGANIZZAZIONE 76. Case, chiese e castelli LA CRISI 94. Dalla condanna al rogo IL TEMPLARISMO 110. Templari di ieri e di oggi


GLI UOMINI E I VALORI DI UN GRANDE PASSATO


LO/MI. L. 46/2004, art. 1, c.1, . - D.L. 353/2003 conv.

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Alle origini di un mito L

a nostra storia ha inizio in Spagna dove, dopo la morte del profeta Maometto nel 632, sono giunte le truppe animate dal suo messaggio. L’avanzata dell’Islam, dopo l’unificazione della Penisola araba, aveva infatti travolto l’Africa settentrionale, che, nel corso del VII secolo, era stata riconquistata dall’esercito dell’imperatore di Bisanzio, Giustiniano: Cartagine, centro del potere vandalico e poi di nuovo bizantino, aveva capitolato nel 698. Il governatore Musa ibn-Nusayr, responsabile dell’Africa settentrionale, obbediva al lontano signore di Damasco, il califfo Abd al-Walid (705715) e, a partire dal 711, era riuscito a sottomettere il regno iberico, ancora sotto la dominazione visigota, grazie alle truppe guidate dal generale berbero Tariq ibn-Ziyad, che sconfisse e uccise il re Roderico nella battaglia di Guadalete, il 19 luglio del 711. Questo condottiero è legato in modo imperituro al monte che ne porta il nome, che in arabo si dice Gebel Tariq (il «monte di Tariq»), ovvero Gibilterra! La conquista fu rapida e fulminea: nel 712 cadde Toledo, capitale del regno visigoto, e, tra il 713 e il 714, furono occupate la Cantabria e l’area di Tarragona. Ma già nel 718 (o nel 722) si registra la prima vittoria cristiana, per mano del nobile visigoto Pelagio, re delle Asturie, che avrebbe sconfitto una grande armata musulmana con un pugno di irriducibili: si tratta della battaglia di Covadonga, nelle Asturie (Spagna nord-occidentale), divenuta immediatamente l’inizio e il simbolo di quella epica lotta sostenuta dalla Spagna (e da Dio) contro gli infedeli. Se don Pelagio ottenne la vittoria, infatti, fu solo grazie all’intervento di Dio, questa volta giunto in soccorso dei cristiani, per debellare i musulmani. Pelagio sconfisse e uccise il condottiero arabo al-Qama, catturò Opas, un traditore cristiano, e cacciò il governatore omayyade Mu-

Covadonga (Asturie, Spagna). Particolare della statua raffigurante Pelagio, re delle Asturie, scolpita da Geraldo Zaragoza nel 1965 e posta a coronamento del monumento che celebra il vincitore della battaglia tradizionalmente considerata come l’inizio della Reconquista. Nella pagina accanto la battaglia di Covadonga in un’incisione ottocentesca. 6

TEMPLARI


nuza fuori dal territorio delle Asturie, primo nucleo della Spagna cristiana, che ebbe capitale Cangas de Onis. Nella battaglia di Covadonga si ritrovano in fondo tutti gli elementi essenziali per la grande epopea delle crociate: un iniziale episodio di resistenza a ridosso dell’invasione; un piccolo gruppo di cristiani, coraggiosi e indomiti, e una vittoria contro tutti i pronostici, certamente voluta da Dio, presente e vivo in battaglia; la morte del nemico infedele e la punizione del traditore cristiano, passato al nemico. Covadonga, perciò, fu scelto come l’episodio da cui far partire le narrazioni per il processo della Reconquista in Spagna, ma questo è anche il nostro punto di partenza per comprendere la genesi del movimento crociato e la nascita

degli Ordini monastico-cavallereschi, il piú famoso dei quali è certamente quello dei Poveri d’arme di Cristo e del Tempio di Salomone: i Templari.

Uno stato di belligeranza costante

In Spagna, intorno al Mille, la guerra contro gli islamici è ormai una prassi consolidata: è il resto d’Europa che si interroga se impugnare la spada e combattere, o percorrere la via della tolleranza nei confronti di una popolazione che, in Terra Santa, si era a lungo mostrata conciliante. Agli inizi dell’XI secolo la Penisola Iberica è frammentata in molti piccoli territori, con a capo un signore che risiede in una città: il signore di Cordova ha perso il controllo su quello che TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

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TEMPLARI

Presentazione


León

Castiglia

Douro

Coimbra Tago

Lisbona

Badajoz

Zamora

Górmaz

Jaca

Aragona Huesca

Saragozza

Catalogna

Balaguer Lérida Barcellona

Calatayud Medinaceli Guadarrama Somosierra Tortosa Guadalajara Madrid Alcalá de Henares Talavera Toledo de la Reina Valencia Salamanca

Mérida Denia

Evora Madinat al-Zahra Córdoba Jaén Siviglia Málaga

Oceano Atlantico

Tarifa

Minorca

Isole Baleari

Majorca

Ibiza

Alicante

Granada Almeria

Mar Mediterraneo

Gibilterra Ceuta

Fez

r d o N In alto cartina della Spagna islamica nel periodo dell’emirato omayyade e del successivo califfato (711-1031). Sono indicate le aree di religione musulmana e cristiana. A sinistra incisione ottocentesca raffigurante El Cid Campeador che conquista la città di Valencia, nel 1084.

Narbonne

Navarra Pamplona Eb ro

Asturia-León Oporto

Tolosa

o

Santiago de Compostela

Rodan

Golfo di Biscaglia

Oviedo

a r i c f A

un tempo era un unico califfato. Ne approfittò la cristianità che, guidata da condottieri di cui El Cid Campeador è il piú famoso, riuscí a rintuzzare efficacemente gli Arabi. Alfonso VI, re di Castiglia, con il supporto di cavalieri provenienti dalla Provenza e dalla Francia, sconfisse gli islamici in battaglia e riconquistò l’antica capitale del regno visigoto, Toledo, città simbolicamente legata alla vittoria di Covadonga. La reazione araba non si fece attendere e dal Marocco giunse in soccorso un esercito almoravide che ribaltò in parte la situazione: gli Arabi avanzarono di nuovo, ma nel Mediterraneo, grazie alle flotte di Pisa e Genova, tornarono sotto controllo cristiano prima la Corsica e poi la Sardegna. Se in Occidente la cristianità aveva ottenuto qualche successo, in Oriente la situazione appariva sempre piú drammatica. A Baghdad il califfato abbaside era crollato nel 1055 sotto l’attacco dei Turchi, comandati da Togrul Beg che si proclamò sultano, assumendo su di sé poteri di tipo amministrativo, militare e civile. Quindici anni dopo fu Arp Arslan (1030-1073) a rivoluzionare ulteriormente lo scacchiere geopolitico del Vicino Oriente: dopo essere riuscito a riunire sotto il proprio controllo tutti i territori conquistati dai Selgiuchidi, con una potente armata sottomise i Fatimidi d’Egitto, conquistando Siria e Palestina. Minacciato nei suoi confini anatolici, l’impero bizantino cercò di reagire: Romano IV Diogene († 1072), distintosi nelle guerre TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

Ritratto di papa Gregorio VII (al secolo, Ildebrando da Sovana), olio su tela di Giuseppe Franchi. 1600-1624. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Nella pagina accanto capolettera miniato di Girolamo da Cremona raffigurante il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. XV sec. Siena, Duomo, Libreria Piccolomini.

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TEMPLARI

Presentazione


contro i Peceneghi, si diresse incontro al nemico e lo affrontò a Manzikert, nell’agosto del 1071, in uno scontro che però si risolse in una disfatta e, per la prima volta, un imperatore bizantino venne catturato in battaglia. A Roma, frattanto, papa Gregorio VII si prodigava in una riforma della Chiesa, voluta per sottrarre al controllo secolare l’istituzione ecclesiastica e affermare la piena potestà del successore di Pietro. Ciononostante, il pontefice non era sordo alle richieste di aiuto da parte di coloro che tornavano dalla Terra Santa e da Bisanzio, lamentando soprusi e violenze perpetrate dai Turchi. Oltre a ciò i rapporti con l’Oriente furono aggravati dallo strappo causato dal patriarca Michele Cerulario († 1058), il quale, dal 1043, iniziò una violenta polemica antilatina, opponendosi al principio del primato petrino, agli usi liturgici (come l’uso di pane azzimo nell’eucaristia) e ad alcuni principi teologici della Chiesa di Roma, primo fra tutti il problema del Filioque (ovvero la dottrina secondo la quale lo Spirito Santo proviene dal Padre e dal Figlio congiuntamente, n.d.r.). Autoproclamatosi «ecumeni-

co», il patriarca ricevette la delegazione romana capeggiata dal cardinale Umberto di Silva Candida, ma l’incontro si risolse nel peggiore dei modi: i due, infatti, si scomunicarono a vicenda, causando la definitiva – e mai piú risolta – scissione tra le due Chiese cristiane di Oriente e d’Occidente. Papa Gregorio VII moriva a Salerno nel 1085, dopo aver assistito al saccheggio di Roma da parte delle truppe di Enrico IV. Sul finire del secolo accaddero poi due fatti significativi: nel 1086, a Zallaqa, in Spagna, i cristiani furono sconfitti dalle truppe saracene, mentre pochi mesi dopo Gerusalemme cadde nelle mani di Artuq, fondatore della dinastia turcomanna degli Artuqidi, che la strappò ai Fatimidi. La situazione era particolarmente difficoltosa. Sedeva allora sul soglio pontificio Desiderio, abate di Montecassino, che aveva assunto il nome di Vittore III: il suo pontificato durò appena sedici mesi, troppo pochi per poter lasciare un segno significativo in un frangente tanto delicato. Dopo di lui fu eletto il francese, Oddone di Lagery, che scelse il nome di Urbano II e che legò indissolubilmente il proprio nome alle crociate. TEMPLARI

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Oslo Uppsala

Edimburgo

Svezia Arhus

Danimarca

York

Dublino

Lund

Chester

Inghilterra Ultrecht Londra

Fiandre

Gand

Colonia

Boulogne

Normandia

Tours

SACRO ROMANO IMPERO Praga Lorena GERMANICO

Blois

Francia

Regno di León

Saragozza Lisbona

Marsiglia

Belgrado Nis

Roma Montecassino Napoli

Normanni Palermo

Algeri Tunisi

Almoravidi

Tripoli

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TEMPLARI

Cristianità cattolica

Ugo di Vermandois

Cristianità ortodossa Cristianità monofisita

Goffredo di Buglione Boemondo di Taranto

Islam sunnita Islam sciita

Raimondo di Tolosa Roberto II di Normandia

Battaglia

Percorso comune Baldovino di Boulogne

Via Egnatia

Peceneghi

Serbia

Pisa

Granada Tangeri

Halych

Ungheria

Aquileia

Ragusa Toledo Valencia

Marrakech

Cracovia

Buda

Genova Saint-Gilles

Rus’ di Kiev

Vienna

Milano

Tolosa

Varsavia

Breslavia

Pontarlier

Cluny

Leon

Polonia

Ratisbona

Strasburgo

Clermont Le Puy

Bordeaux

Minsk

Danzica Stettino Gniezno Magdeburgo

Amburgo

Durazzo Taranto

Sofia Adrianopoli

Impero bizantino


Le vie della crociata

Novgorod Jaroslavi

Bulgar

Smolensk

Cernihiv

Kiev Itil

Sulle due pagine cartina che mostra la suddivisione confessionale dell’Europa e del Vicino Oriente e i tragitti percorsi dai condottieri al tempo della prima crociata.

Nomadi Cherson Tbilisi Trebisonda Costantinopoli

Danishmendidi

Nicea Dorylaeum

Sultanato t di Iconio Smirne

Regno di Georgia

Iconio

Cesarea

Armeni Maras

Selgiuchidi

Tripoli

Ascalona

Mossul

Edessa

Tarso Antiochia

San Giovanni d’Acri

Stefano qui recupero io un soldatino qualcosa per riempire....devo vedere

Homs

Baghdad

Damasco Gerusalemme

Alessandria d’Egitto Il Cairo

Petra Aqaba

Nomadi

Fatimidi

Medina

TEMPLARI

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«Dio lo vuole!» Il 27 novembre 1095 papa Urbano II esorta i cristiani a strappare il Santo Sepolcro dalle mani di un «popolo abominevole»: ha inizio l’epopea delle crociate, in un clima di fede e «giusta» violenza, da cui emerge – e poi si afferma – l’Ordine dei Cavalieri del Tempio

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La traversata del Bosforo. 1097, olio su tela di Émile Signol. 1854. Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon. Cosí l’artista ha immaginato il battello a bordo del quale viaggiava Goffredo di Buglione.

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l peregrinus è uno straniero, colui che, nell’antica Roma, giungeva per scopi religiosi, varcando e attraversando territori diversi (da per-agere: portare a termine, eseguire, trascorrere). La «peregrinatio», intesa come un viaggio diretto verso i luoghi in cui vissero o morirono coloro dalle cui vicende l’uomo resta affascinato, ancor piú se si tratta di un profeta o addirittura di una divinità, è pratica antichissima. Nel III millennio a.C. gli Egizi percorrevano il Nilo per giungere a Bubasti, dove sorgeva il tempio di Bastet, dea della fertilità e protettrice della casa. I Greci si recavano a Epidauro, per avvicinarsi al

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L’ORDINE DEL TEMPIO

L’età delle crociate

dio della medicina, Asclepio, che lí aveva il suo santuario piú importante. Persino gli Ebrei, monoteisti, non disdegnavano di recarsi in pellegrinaggio a Hebron, là dove era stato costruito il sepolcro al patriarca Abramo. Il cristianesimo delle origini, prediligendo la natura divina di Cristo, non contemplava la pratica del pellegrinaggio, che si impose con il trionfo politico di Costantino il Grande, sotto il quale vennero glorificati, con grandi edifici cultuali, il Calvario, il Sepolcro, la grotta di Betlemme. Già dopo l’Editto di Milano (313), sappiamo di pellegrini che visitarono la Palestina giungendo da Bordeaux, dall’Aquitania e da tutto l’Occidente, come attesta san Girolamo,

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TEMPLARI

Roma, chiesa dei Ss. Quattro Coronati. Affresco raffigurante sant’Elena che scopre la croce di Cristo a Gerusalemme. 1246.

che descrive questo flusso continuo di fedeli. Agli inizi del V secolo iniziarono a essere costruiti monasteri e hospitia destinati ad accogliere e rifocillare quanti giungevano in Terra Santa con il desiderio di vedere i luoghi in cui aveva vissuto Gesú Cristo.

A imitazione dell’Anastasis

Gerusalemme era la meta prediletta, e il successo di tale pellegrinaggio ebbe risvolti in Europa, dove fiorirono rapidamente chiese denominate o architettonicamente pensate come repliche della Anastasis, la rotonda del Santo Sepolcro di età costantiniana. Nel corso del V secolo prese piede anche l’uso di onorare i luoghi in cui era-


no sepolti i martiri cristiani: a Efeso sorgeva la tomba di san Giovanni (monumentalizzata da Costantino), santo di cui si conservava un sandalo a Ravenna, che divenne nuova meta di pellegrinaggio. Sorsero santuari in tutto l’Occidente e quindi si moltiplicarono i viaggi devozionali, tra i quali si distinguevano quello diretto a Roma, città sacra per le tombe di Pietro e Paolo e di molti altri martiri, come Lorenzo, e poi quelli di san Giacomo in Galizia, a Compostela, e di san Michele al Gargano. Dopo le interruzioni imposte dalle flotte vandaliche e poi dai Saraceni, i pellegrinaggi in Terra Santa ripresero a partire dal X secolo, benché già Carlo Magno avesse creato strutture ricetti-

A destra ampolla «del pellegrino» in piombo e stagno. VII-VIII sec. Monza, Tesoro del Duomo. Le ampolle dei pellegrini servivano per raccogliere olio santificato per i sacramenti e olio proveniente dalle lampade che ardevano vicino ai luoghi santi.

ve sul Monte degli Ulivi. Dopo il Mille la pratica della peregrinatio si diffuse tanto da poter essere addirittura comminabile come pena canonica: il pellegrino visitava i luoghi santi e, al contempo, otteneva il perdono dei peccati, istituendo un binomio che attribuiva, in particolare a Gerusalemme, speciali poteri spirituali. Non si possono comprendere le crociate e la nascita di un Ordine militare come quello dei Templari senza una simile prospettiva religiosa: a ciò si deve aggiungere il fatto che, a partire dal 1071, si facevano sempre piú gravi le voci circolanti sulle intemperanze dei Turchi nei confronti dei cristiani che tentavano di giungere in Palestina e che, invece, furono costretti a tornare in Occidente riportando racconti sempre piú terrificanti.

L’appello alla crociata

Non possediamo il resoconto ufficiale del discorso che papa Urbano II pronunciò il 27 novembre 1095 a conclusione del Concilio di Clermont-Ferrand: abbiamo, per contro, varie versioni redatte da altrettanti cronisti una decina d’anni dopo l’allocuzione, nelle quali essi riversano la propria idea di «teologia A sinistra conchiglia di san Giacomo, in piombo, fabbricata a Santiago de Compostela. Fine del XV sec. Parigi, Musée de Cluny. TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

L’età delle crociate Miniatura raffigurante papa Urbano II che presiede il Concilio di Clermont, da un’edizione de Les Passages d’outremer faits par les François... 1474-1475 circa. Parigi, Bibliothèque nationale de France. Nella pagina accanto miniature raffiguranti papa Urbano II che si reca a Clermont, per partecipare al Concilio indetto nell’estate del 1095, e che lancia il suo appello alla crociata, da un’edizione del Roman de Godefroy de Bouillon di Guglielmo di Tiro. 1337. Parigi, Bibliothèque nationale de France.

della crociata» piú che la trascrizione del discorso del papa. La versione di Roberto il Monaco, tra le piú note, fa dire al pontefice che «dai confini di Gerusalemme e da Costantinopoli ci sono giunti tristi racconti che spesso hanno colpito le nostre orecchie. Popoli del Regno dei Persiani, nazione maledetta, completamente estranea a Dio, razza che non ha rivolto il suo cuore verso di Lui e non ha affidato i suo animo al Signore, hanno invaso in 18

TEMPLARI

quelle contrade le terre dei Cristiani, devastandole con il ferro, il saccheggio e il fuoco. (...) Chi dunque ha il dovere di punirli e di sottrarre loro ciò che hanno invaso, se non voi, ai quali il Signore ha accordato su tutte le altre nazioni l’insigne gloria delle armi, la grandezza d’animo, l’agilità del corpo e la forza di sottomettere coloro che vi resistono? (...) Prendete la strada del Santo Sepolcro, strappate quei territori dalle mani di questo popolo abominevole, e


URBANO II, UN PONTEFICE DI POLSO

Il futuro pontefice Urbano era nato da una famiglia di cavalieri originaria della Champagne intorno al 1040. Figlio di Isabella e Heucherio, signore di Lagery, era stato battezzato con il nome di Eudes (Oddone). Avviato alla carriera religiosa, entrò a Cluny intorno al 1070 per diventarne ben presto priore, a circa quarant’anni. Il suo status lo poneva indubbiamente in una posizione molto delicata, in quanto si era nel cruciale momento della riforma gregoriana e papa Gregorio VII lo nominò ben presto cardinale vescovo di Ostia, facendone un fedelissimo alleato nel propugnare la sua politica riformista. Alla morte di Vittore III – succeduto a Gregorio VII nel 1087 – e dopo la crisi che ne seguí, venne eletto pontefice dopo sei mesi particolarmente convulsi: solo il 12 marzo del 1088, infatti, venne consacrato papa a Terracina, poco lontano da Gaeta. Il neoeletto dovette immediatamente fronteggiare l’antipapa Clemente III, che era frattanto divenuto signore di Roma, appoggiato sia dall’imperatore, sia dall’ala piú moderata dei vescovi riformatori. Urbano seppe tuttavia superare le difficoltà, riaffermando la politica di Gregorio VII in merito alla simonia, al nicolaismo e alle investiture, contro cui tanto aveva lottato il suo predecessore. Su quest’ultimo punto Urbano si fece forte della minaccia dell’interdetto contro tutti i chierici che avessero prestato omaggio e fedeltà a signori laici, ma, al contempo, si mostrò particolarmente conciliante e moderato, intuendo la difficile situazione e l’impossibilità di imporsi in modo troppo rigido, rischiando di trovarsi contro tutto il collegio. Urbano seppe poi approfittare di una serie di congiunture

politiche che certamente lo favorirono nella propria ascesa: il matrimonio del duca di Baviera con la contessa Matilde, il fronte comune delle città lombarde contro le truppe imperiali, il passaggio del figlio dell’imperatore sul fronte papale, nonché l’appoggio dei Normanni nel Mezzogiorno. Grazie a tutto ciò Urbano poté finalmente giungere nella Città Eterna nel 1093, riuscendo a insediarsi in Laterano e poi, cinque anni piú tardi, nel fortilizio che controllava il Vaticano, Castel sant’Angelo. Solo quando il suo potere fu certo e stabile Urbano si espose in maniera piú marcata, scomunicando, per esempio, il re di Francia, Filippo I. Urbano impose piú volte a un’Europa bellicosa e turbolenta la cosiddetta Tregua di Dio: una prima volta al Concilio di Melfi (1089), poi a Troia (1093) e infine a ClermontFerrand (1095). L’idea che la violenza fosse giusta e legittima, come quella utilizzata in Spagna contro gli infedeli, lo portò a convogliare tali energie verso un obiettivo comune e lontano dall’Occidente cristiano. E infatti il suo nome resta indissolubilmente legato all’appello alla crociata lanciato durante il Concilio che indisse a Clermont-Ferrand nel novembre del 1095. Il progetto di una spedizione, o di un pellegrinaggio armato, verso i Luoghi Santi andava di pari passo con l’idea accarezzata dal pontefice di un riavvicinamento concreto con la Chiesa d’Oriente. La risposta entusiasta che l’Europa intera diede al suo appello dovette stupire il pontefice, che però non seppe mai dei successi crociati: la morte, infatti, lo colse il 29 luglio del 1099, impedendogli di ricevere la notizia che Gerusalemme era tornata in mano cristiana. TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

L’età delle crociate

In alto sigillo in bronzo di un re crociato di Gerusalemme in cui sono raffigurati i tre luoghi piú importanti della città nel Medioevo: il Santo Sepolcro, la Cupola della Roccia e la Cittadella. Collezione privata. A sinistra Baldovino prende possesso della città di Edessa, 1097, olio su tela di JosephNicolas Robert-Fleury. 1839. Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon. Il condottiero, uno dei comandanti della prima crociata, fu a capo della contea di Edessa e, nel 1100, venne eletto sovrano del regno di Gerusalemme.

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TEMPLARI


IL REGNO DI GERUSALEMME Nato dopo la caduta della Città Santa, nel 1099, il Regno di Gerusalemme venne affidato in un primo momento a Goffredo di Buglione, nativo del Brabante. A Goffredo fu offerto dapprima il titolo di re di Gerusalemme, ma questi, convinto che la Terra Santa fosse di pertinenza solamente ecclesiastica, rifiutò il titolo regale, preferendogli quello di «advocatus», difensore del Santo Sepolcro. Lo seguí in tale gravoso compito il fratello, Baldovino I di Boulogne, incoronato nel 1100, il quale però assunse effettivamente il titolo di re di Gerusalemme. Il Regno di Gerusalemme comprendeva, oltre alla Città Santa, la costa che andava da Beirut a Gaza, la valle del fiume Giordano, il deserto del Negev: oltre a ciò, imponeva la propria supremazia sugli altri Stati sorti nel corso della prima crociata, come il principato di Antiochia, la contea di Edessa e quella di Tripoli. Il regno si basava sugli stessi principi del sistema feudale presente in Occidente ed era sostenuto in modo essenziale dalle città marinare italiane che dalle

Al termine del discorso pronunciato da papa Urbano, sembra che dalla folla si fosse levato il grido «Dio lo vuole!». Il vescovo di Le Puy, Ademaro di Monteil, si inginocchiò dinnanzi al pontefice e gli chiese di poter prendere parte alla spedizione: Urbano gli rispose esortandolo a presiedere alla crociata come «comandante». Le parole del pontefice crearono sconcerto, discussioni, ma anche grande entusiasmo, attestato dal fatto che altri, al pari di Ademaro, gli chiesero di poter partecipare all’impresa. Chi partiva prese a cucire una croce sui propri vestiti, in omaggio alla croce di Cristo. Il cronista Fulcherio di Chartres riporta che quando alcuni nobili pronunciavano il giuramento di partire alla volta di Gerusalemme, facevano croci scintillanti, ritagliandole da abiti sfarzosi, d’oro e (segue a p. 24)

Sultanato di Rum

Contea di Edessa (1098-1146)

Piccola Armenia (1138-1375)

Edessa

Adana Antiochia

Atabeg di Mosul

Aleppo

Principato Regno di Antiochia di Aleppo

Eufrate

(1098-1268)

Regno di Cipro (1192-1489)

Or

Famagosta

Contea di Tripoli (1102-1146)

Nicosia

on

te

Palmira Krak dei Cavalieri Homs

Tripoli Beirut

Mar Mediterraneo

Tiro Montfort Acri Chastel Pélerin Cesarea Giaffa Ascalona

Damietta

Beaufort

Le Chastellet

Belvoir

Amman Gerusalemme

Regno di Kerak Gerusalemme (1099-1187)

Califfato fatimide di Egitto (968-1171)

Golfo di Suez

DESERTO DI SIRIA

Ajlun

Gaza

El Mansûra Il Cairo

Regno di Damasco

Damasco

o

Con la croce cucita sulla spalla

Mappa del Regno di Gerusalemme e degli altri Stati latini d’Oriente.

Giordan

sottomettetelo alla vostra potenza. Dio ha concesso a Israele la precedenza su questa terra di cui la Scrittura dice che vi scorrono latte e miele: Gerusalemme ne è il centro, il suo territorio fertile piú di ogni altro, offre le delizie di un altro Paradiso. Il Redentore lo ha reso illustre con la sua venuta, onorato della sua dimora, consacrato con la sua passione, riscattato con la sua morte, reso distinto con il suo sepolcro. (...) Prendete dunque questo cammino, in remissione dei vostri peccati, e partite, forti della gloria che vi attende imperitura nel Regno dei Cieli».

spedizioni crociate trassero enormi guadagni e vantaggi. Il regno gerosolimitano non ricevette, invece, grande sostegno dai sovrani d’Europa e ben presto cadde nuovamente nelle mani dei musulmani: nel 1187, sotto l’attacco di Saladino, sulla Città Santa sventolava di nuovo il vessillo con la mezzaluna. Grazie alla terza crociata (1189-1192) i cristiani riuscirono a recuperare buona parte della costa, che mantenne il nome di Regno di Gerusalemme, anche se la città del Santo Sepolcro non fu ripresa: capitale di questa nuova realtà geopolitica fu eletta San Giovanni d’Acri. Anche questa nuova versione del regno non ebbe molto successo e anche lo stesso Federico II riuscí a ottenere una tregua col sultano, garantendo ai pellegrini l’accesso a Gerusalemme, di cui era formalmente re, avendo assunto il titolo per via matrimoniale. Alla fine del XIII secolo, nel 1291, Acri, ultimo avamposto di quel regno nato neppure due secoli prima, cadeva sotto i colpi dei Mamelucchi d’Egitto, nuovi signori del Vicino Oriente.

Stati latini d’Oriente Regno di Gerusalemme Contea di Tripoli

Shawbak Petra

SINAI

‘Aqaba

Mar Rosso

Principato di Antiochia Contea di Edessa Principali fortezze crociate Principali fortezze musulmane

TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

L’età delle crociate

Cartina dell’Europa e del Mediterraneo nella quale sono indicati gli itinerari dei pellegrinaggi piú importanti e le principali città toccate dai diversi percorsi.

Riga

Amburgo Brema

Northampton

Wilsnack Lipsia

Francoforte

Santiago de Compostela

Parigi Provins Chartres Bar-sur-Aube Troyes Offenburg Vezelay Lione

Bordeaux Le Puy Tolosa

Ginevra Milano

Beaucaire Marsiglia

Saragozza

Danzica

Lubecca

Londra Bruges Canterbury Gent Colonia Calais Ypres

Oceano Atlantico

Novgorod

Stoccolma

Friburgo

Kiev Breslavia

Vierzehnheiligen Cracovia Norimberga Eichstätt Vienna

EUROPA

Verona Venezia

Tersatto

Piacenza Genova Lucca Firenze Siena

Monte Sant'Angelo Roma Barletta Bari

Montserrat Barcellona

Sardegna

Costantinopoli Tessalonica

Efeso

Sicilia

AFRICA In basso veduta di Santiago de Compostela (Galizia, Spagna), dominata dalla cattedrale intitolata a san Giacomo.

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TEMPLARI

Mar Mediterraneo

Candia


A destra il portale della preromanica Cappella della Corticella, poi inglobata nella cattedrale di Santiago de Compostela. Al centro della lunetta è l’Adorazione dei Magi.

SAN GIACOMO E IL CAMPO DI STELLE

Mar Nero

ASIA

Seleucia

Antiochia

Tripoli Damasco

Gerusalemme Alessandria

L’origine del primo nucleo abitativo di Santiago de Compostela si lega alla scoperta di una tomba identificata con la sepoltura dell’apostolo Giacomo Maggiore. Dopo la morte di Cristo, infatti, Giacomo avrebbe iniziato la sua opera evangelizzatrice, spingendosi nella provincia romana dell’Iberia, inoltrandosi fino in Galizia. Dopo la missione e la predicazione, Giacomo sarebbe tornato in Palestina, dove avrebbe subito il martirio nel 44 d.C., condannato alla decapitazione per volere di Erode Agrippa. I suoi discepoli, però, utilizzando una barca guidata da un angelo, ne traslarono il corpo in Galizia, là dove aveva portato il messaggio di Cristo e dove aveva avuto accoglienza, per seppellirlo in un bosco nei pressi di Iria Flavia, il porto romano piú importante della zona. La tradizione vuole che poi, anche a causa delle persecuzioni e delle progressive proibizioni di accesso al sepolcro, nel corso dei secoli si perse la memoria del luogo di sepoltura di san Giacomo. Nella prima metà del IX secolo, verso l’813, un eremita di nome Pelagio rimase strabiliato di fronte all’apparizione di strane luci nel cielo, simili a stelle, che brillavano sopra il monte Libredón. Seguendo queste «stelle comete», Pelagio avrebbe rinvenuto le vestigia di un antico villaggio celtico: allertato dello strano fenomeno, il vescovo Teodomiro sarebbe giunto sul posto e avrebbe scoperto una tomba, probabilmente di età romana, in cui erano sepolti tre scheletri, uno dei quali decapitato. Sul sepolcro una scritta indicava in modo inequivocabile: «Qui giace Giacomo, figlio di Zebedeo e Salomé». Il luogo fu ribattezzato Campus Stellae (donde l’espressione «compostela») e la cittadina sorta attorno al sepolcro fu detta Santiago, San Giacomo. Santiago divenne ben presto sede episcopale, elevando il luogo a città, che fu saccheggiata nel 968 dai Normanni e distrutta da al-Mansur una trentina di anni dopo. Risorse dalle sue ceneri per merito dell’energico vescovo Diego Gelmirez, al punto da essere elevata a sede arcivescovile da papa Callisto II nel 1120. E proprio Gelmirez pose la prima pietra della cattedrale oggi meta di uno dei pellegrinaggi piú famosi della cristianità: il cosiddetto Camino de Santiago, infatti, divenne ben presto un fenomeno di massa e lo è tuttora. Attraverso quattro vie principali, che si diramavano nell’intera Europa, il percorso, costellato di ospizi e oratori per l’accoglienza, dopo aver attraversato la Francia e valicato i Pirenei, conduceva in Galizia, là dove, dopo oltre 800 km, il pellegrino poteva ricevere la «compostela». Rinfrancato spiritualmente dalla vicinanza ai resti dell’Apostolo e dalla vista dell’Oceano, il pellegrino percorreva la strada al ritroso non prima di aver raccolto dalla spiaggia una concha, una conchiglia di capasanta, mollusco assai diffuso in Galizia, divenuto ben presto il simbolo dell’avvenuto pellegrinaggio. TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

L’età delle crociate

LE RELIQUIE, TRA FEDE E SUPERSTIZIONE Fin dai primi secoli del cristianesimo postcostantiniano, i fedeli erano interessati alle reliquie: esse rappresentavano, infatti, una sorta di garanzia per la città in cui venivano conservate. La presenza fisica di una parte del corpo di un santo assicurava alla comunità la continuità della sua intercessione presso Dio e il conseguente aiuto verso i membri della comunità nei momenti del bisogno, fornito tramite i miracoli realizzati certamente in primo luogo da Dio, ma per intercessione dei santi. La prassi di traslare i corpi dei santi per farne reliquie iniziò presto in Oriente e solo in età carolingia prese piede in Occidente. L’ostensione delle reliquie spettava

seta, e poi le cucivano sulle proprie spalle. Dai racconti dei cronisti del tempo, si può supporre che dietro a queste reazioni entusiaste, vi fosse anche un disegno predefinito: piú di uno storico ha suggerito che il grido «Dio lo vuole!», levatosi dalla piazza e poi divenuto il grido di battaglia dei crociati, fosse stato ideato dalla Curia, cosí come anche il gesto eclatante di Ademaro e di altri prelati, in accordo con Urbano II, con il chiaro intento di invogliare altri a partire. Altrettanto vale per il «rito» di cucire la croce sui propri abiti, un gesto visivo, piú chiaro di molte parole. E cosí, vedere turbe di persone con la croce cucita sulle spalle, chiariva immediatamente agli altri (e a Dio), lo sforzo e il desiderio di partire, di liberare il Sepolcro e di guadagnare il Regno dei Cieli, anche a costo del martirio. I Gesta Francorum riportano che i Franchi cucirono la croce sulla spalla destra; Roberto il Monaco afferma che il papa disse di cucirla sul petto o sulla schiena. Guiberto di Nogent precisa che la croce poteva essere fatta di qualsiasi materiale ed essere cucita sulle maglie, sui camici, sulle tonache, sopra la cotta di maglia. Prendere la croce era in fondo un atto di pietà e un’attestazione di fede. Chi avesse pronunciato il voto e non avesse preso la strada per la Terra Santa, sarebbe stato invece considerato un fuorilegge per tutto il resto della sua vita.

Il Passaggio d’Oltremare

Queste croci, grandi o piccole, cucite sugli abiti dei pellegrini originarono il termine con cui poi sarebbero state indicate le spedizioni armate dirette in Terra Santa: le crociate, una denominazione piuttosto tardiva, che compare, in realtà, verso la metà del Duecento. Sino ad allora si parlò piuttosto di «Viaggio a Geru24

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al vescovo o al re e, considerato il successo che questi sacri resti riscuotevano, iniziò ben presto un traffico di reliquie vere, false e presunte. Verso l’XI secolo la Chiesa aveva messo in guardia i cristiani dal credere a venditori che assicuravano di possedere reliquie di questo o quel santo, e ciò si verificava in un momento in cui la credenza in quelle vere era al massimo. È il secolo della crociata. Ma in quegli stessi anni, Guiberto di Nogent (1053-1121) compone il De pignoribus sanctorum, in cui demolisce il culto e l’adorazione di reliquie spacciate per vere: come il dente di Gesú esposto a Soissons – un dente da latte, replicarono i monaci, giustificandone cosí la sopravvivenza –, il latte

salemme», il cosiddetto Iter Hierosolymitanum, oppure di Via Sancti Sepulchri e poi di «Passaggio d’Oltremare». Un pellegrinaggio, dunque, benché armato, come altri che esistevano nell’Occidente medievale: chi vi partecipava veniva in effetti chiamato semplicemente peregrinus, e piú raramente crucesignatus. Al di là delle differenze, i resoconti del discorso di Urbano concordano sul fatto che chi avesse intrapreso il pellegrinaggio verso Gerusalemme avrebbe ottenuto la remissione dei peccati, argomento di cruciale importanza per il cristiano del tempo, che viveva un momento di attesa escatologica, aspettando la seconda venuta di Cristo e l’avvento degli Ultimi giorni, descritti nella Bibbia. Per tutti costoro si avvicinava dunque il Giudizio Universale e ciò aumentava l’urgenza di


di Maria Vergine – «una stupidaggine superstiziosa», stando alle parole di Gilberto – e molte altre tragicomiche realtà. Al vescovo Oddone di Bayeux, che cercava le reliquie di sant’Essuperio, fu presentato il cadavere di un contadino che portava semplicemente lo stesso nome del santo! «Nel 1008 – scriveva Rodolfo il Glabro – grazie a segnali di varia natura, furono ritrovate le reliquie di moltissimi santi nei luoghi in cui da lungo tempo giacevano nascoste. Quasi si tenessero pronte per la gloria della resurrezione, esse si rivelarono per volontà di Dio allo sguardo dei fedeli, e riempiendo il loro animo di una grandissima gioia». Tale era dunque il clima di fede, superstizione,

misticismo che percorreva il secolo XI e con tale spirito, dalla Francia di Gilberto e di Rodolfo in migliaia sarebbero partiti alla volta del Santo Sepolcro. A Roma c’erano le tombe di Pietro e Paolo, le ossa di molti papi e di molti martiri. Costantinopoli conservava il mantello e la cintura di Maria Vergine, le trombe di Gerico, le bende di Cristo morto, i legni delle croci dei ladroni, le spine della corona e molto altro. Ma era la Terra Santa quella che conservava i luoghi, la memoria del passaggio di Gesú Cristo: lí era nato, lí aveva vissuto e predicato. Ed era a Gerusalemme che il Figlio di Dio era morto ed era poi risorto. Ed era lí che i crociati volevano andare.

Il condottiero Saladino si appropria della Vera Croce durante la battaglia di Hattin del 1187, illustrazione tratta dalla Chronica Maiora del monaco benedettino inglese Matteo Paris. XIII sec. Cambridge, Corpus Christi College.

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L’ORDINE DEL TEMPIO

L’età delle crociate

giungere mondi dai peccati dinnanzi a Dio. Partecipare alla liberazione del Santo Sepolcro, poi, avrebbe probabilmente aggiunto meriti alle anime dei pellegrini, e ancor piú se fossero morti per questo nobile intendimento. Per la bellicosa nobiltà europea, invece, l’intento di Urbano II, rampollo di una famiglia di cavalieri della Champagne, era quello di combattere un nuovo nemico, in Oriente, lontano dai regni occidentali, veicolando la violenza fuori dai confini della cristianità: i cavalieri furono dunque incoraggiati a combattere, furono benedetti in questa spedizione violenta, che invece veniva frenata e condannata in patria, tramite movimenti quali le Tregue di Dio e le Paci di Dio.

La guerra legittima

Il messaggio di Urbano II ebbe quel clamoroso successo grazie a diverse congiunture in fase di evoluzione e ad alcuni fatti contingenti. Le prime erano rappresentate dall’idea di pellegrinaggio nei luoghi in cui era viva la memoria del Cristo, strumento penitenziale proposto come tale sin dal VII secolo e reso obbligatorio a partire dal Mille per chi infrangeva le Paci di Dio, nonché dall’evoluzione del concetto di bellum iustum (guerra legittima), attuato già con successo nella Penisola Iberica nella Reconquista. A ciò si può aggiungere una visione escatologica che voleva la conversione di tutti gli Ebrei come conditio necessaria, senza la quale non si sarebbero veri-

NON SOLO TEMPLARI: LA NASCITA DEGLI ORDINI A seguito della Reconquista e della prima crociata (1096-1099) sorsero molte istituzioni militari, che si stanziarono nei territori conquistati in Terra Santa, ma anche nel resto della cristianità: fra tutte, occupano un posto di indubbio rilievo i cosiddetti Ordini monastico-cavallereschi. Singolarissimi nella loro ideologia, questi ordini furono formati in un primo momento, in modo spontaneo, per la volontà di cavalieri mossi da zelo religioso, operanti in Terra Santa e desiderosi di difendere i pellegrini e le terre appena strappate agli infedeli. La Chiesa di Roma li istituzionalizzò e riconobbe in un tempo relativamente breve, considerato anche il clima di eresie, in cui una pletora di movimenti pauperistici ed eterodossi stava sorgendo un po’ ovunque. Il pontefice, dunque, impose loro una regola autonoma e, tra il XII e il XIII secolo, questi Ordini divennero un vero e proprio punto di riferimento per gli eserciti crociati che si avvicendarono nelle varie spedizioni nel corso dei secoli ora in Palestina, ora nell’impero bizantino, ora in Egitto. Il primo di questi Ordini fu quello degli Ospedalieri di Gerusalemme, detti Gerosolimitani, istituito nello stesso anno della presa della Città Santa (1099). Gli Ospedalieri nacquero, come dice il nome della loro congregazione, con finalità di assistenza, ma a essa affiancarono ben presto anche quella militare. Alla fine dell’esperienza in Palestina, si stanziarono a Rodi e poi, in una fase di ulteriore recessione, a Malta, affiancando il nome di queste località al loro titolo di Cavalieri. Nel 1118 nasceva l’Ordine dei Templari e, nel 1191, all’epoca della terza crociata, quello dei Cavalieri Teutonici, in realtà

Riproduzione dell’acquerello (oggi perduto) raffigurante la Morte e il cavaliere teutonico. 1649. Berna, Bernisches Historisches Museum. L’opera originale apparteneva al ciclo di pitture sul tema della Danza Macabra realizzato, tra il 1516 e il 1520, da Albrecht Kauw nel cimitero del convento domenicano di Berna, distrutto nel 1660. Nella pagina accanto, in basso tavola ottocentesca con cavalieri di vari Ordini: da sinistra, del Tempio, di Alcantara, di Santiago e di Calatrava.

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MONASTICO-CAVALLERESCHI chiamati Ordine dei Fratelli della Casa di Santa Maria in Gerusalemme, sorto specificatamente per dare protezione ai pellegrini di nazionalità tedesca. Poi, tra la fine del XII e i primi del XIII secolo, sull’esempio dell’esperienza d’Oltremare, nel resto delle regioni d’Europa in cui l’espansione, politico-religiosa, stava tentando di prendere piede, furono fondati nuovi Ordini monasticocavallereschi: ecco, allora che, nel Baltico, sorsero i Cavalieri Portaspada di Livonia (1202), autorizzati a combattere gli infedeli che popolavano le regioni slave e baltiche comprese fra la Polonia e la Lituania. Terminata l’esperienza in Terra Santa, i Cavalieri Teutonici spostarono i propri interessi verso quest’area e inglobarono i Portaspada. Spostandoci nella Penisola Iberica, teatro di una guerra religiosa sin dall’VIII secolo, nella seconda metà del XII secolo assistiamo alla nascita degli Ordini di Calatrava (1158) e di Santiago (1175), seguiti dall’Ordine dei Mercedari ai primi del Duecento (1218). Nel corso del Trecento, poi, in Europa si diffuse la moda di creare Ordini sempre piú elitari, nel tentativo di distinguere, all’interno della cerchia di cavalieri, i milites di rango piú elevato, quelli piú degni di sedere accanto al re. Tali Ordini erano dunque collegati ai tentativi dei regni nascenti di legittimare la propria forza e la propria identità nazionale, e i sovrani tentavano di unificare cosí le famiglie nobiliari sino ad allora fortemente divise, con lo scopo ultimo di recuperare

un’unità utilissima in un momento di forti scontri internazionali. Per farlo, si rivelò utile rispolverare una gestualità, fatta di riti e sovrastrutture, proprie dell’antico ordine cavalleresco. Ecco allora sorgere, in competizione l’uno dell’altro, l’Ordine della Giarrettiera in Inghilterra (1347) a cui quattro anni dopo fece eco quello della Stella in Francia (1351), poi quello dell’Annunziata in Savoia (1364) e infine quello del Toson d’Oro in Borgogna (1429).

In alto particolare di una miniatura raffigurante il Gran Maestro dei Cavalieri di Rodi, Pierre d’Aubusson, che impartisce istruzioni per la difesa dell’isola dall’attacco degli Ottomani di Maometto II, dal Gestorum Rhodie obsidionis commentarii... 1482-83. Parigi, Bibliothèque nationale de France.

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L’ORDINE DEL TEMPIO

L’età delle crociate

I secoli dell’incontro/ scontro fra cristianità e Islam 30 circa In seguito ai ritrovamenti 3 che la tradizione attribuisce a sant’Elena, madre di Costantino, vengono fondate a Gerusalemme e a Betlemme alcune basiliche per ricordare i principali momenti della vita del Cristo; inizia la devozione per i Luoghi Santi cristiani. ● 614 I Persiani del Gran Re Cosroe conquistano Gerusalemme; la basilica della Resurrezione, che ospita l’edicola del Santo Sepolcro, viene distrutta e la reliquia della Vera Croce portata a Ctesifonte come trofeo di guerra. ● 622 Egira (hijrah, «migrazione») del profeta Maometto da Mecca a Yatrib (piú tardi detta Medina, 15 giugno «la Città»). ● 629 L’imperatore bizantino Eraclio libera Gerusalemme dai Persiani, conquista Ctesifonte capitale del Gran Re e recupera la reliquia della Vera Croce; si restaura la basilica della Resurrezione. ● 632 Morte del profeta Maometto a Medina. ● 638 Il califfo Umar conquista Gerusalemme. ● 639 Inizia la conquista araba dell’Egitto. ● 641 Gli Arabi conquistano Alessandria. ● 647 Inizia la conquista araba dell’Ifriqiyah (corrispondente all’antica provincia romana d’Africa), terminata attorno al 705. ● 732 (o 733) 25 ottobre Battaglia di Poitiers (la data è quella piú comunemente accettata). ● 750 Fondazione del califfato abbaside. ● 756 L’omayyade Abd ar-Rahman I fonda l’emirato di Cordova. ●

ficate le condizioni per la Seconda Venuta di Cristo. Le cause piú prossime, invece, furono l’avanzata dei Turchi in Asia Minore, soprattutto dopo la vittoria contro Bisanzio a Manzikert (1071), e i sempre piú allarmati appelli degli imperatori bizantini al papa, in cui venivano descritte le misere condizioni e i rischi a cui erano sottoposti i cristiani del Vicino Oriente, minacciati dai musulmani. Tuttavia, mentre Alessio Comneno immaginava di ricevere rinforzi o truppe mercenarie, si originò un ampio movimento popolare che sfociò in spedizioni armate indette o promosse dalla Chiesa di Roma: pellegrinaggi armati volti a liberare il Santo Sepolcro, in un misto di fede e violenza, con intenti destinati a mutare nel corso dei secoli. I Templari incarnarono ben presto l’unione di questi obiettivi: essi si proposero infatti come combattenti dediti a un tipo di violenza incoraggiato dalla Chiesa, benedetto dal papa, contemperato da una profonda preghiera e vita monastica, tale da giustificare un’azione violenta ma giusta, finalizzata a restituire la pace e la concordia, e a estirpare il male. 28

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In alto miniatura raffigurante la chiesa del Santo Sepolcro e la la Cupola della Roccia di Gerusalemme, da un Libro d’Ore di Renato d’Angiò illustrato dal miniatore fiammingo Barthélemy d’Eyck. XV sec. Londra, British Library. Nella pagina accanto Goffredo di Buglione deposita nella chiesa del Santo Sepolcro i trofei di Ascalona, agosto 1099, olio su tela di François Marius Granet. 1839. Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon.


62 Fondazione di Baghdad, nuova capitale 7 del califfato abbaside. ● 797 Avvio delle relazioni diplomatiche fra Carlo Magno e Harun ar-Rashid. ● 801 I Franchi riconquistano Barcellona. ● 827 Inizio della conquista aghlabita della Sicilia (completata nel 902). ● 827-961 Emirato arabo nell’isola di Creta. ● 833 Conquista musulmana di Palermo. ● 844 Assalto normanno a Siviglia, respinto da cristiani e musulmani che combattono insieme. ● 846 Incursione araba su Roma. ● 847-871 Emirato arabo di Bari. ● 849 Battaglia di Ostia, conclusasi con la vittoria dei cristiani sugli Arabi. ● 859 I Normanni incendiano la moschea di Algesiras, in Spagna. ● 870 Occupazione musulmana dell’isola di Malta. ● 902 Conquista musulmana delle Baleari. ● 960-961 I Bizantini riconquistano Creta. ● 969 Fondazione del Cairo. ● 982 A Capo Colonna, in Calabria, i Saraceni battono l’imperatore romano-germanico Ottone II di Sassonia. ● 997 Al-Mansûr, visir del califfo di Cordova, attacca e saccheggia la città di Santiago de Compostela. ● 1009 Il califfo fatimide d’Egitto al-Hakim fa distruggere la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. ● 1031 Fine del califfato omayyade di Cordova. ● 1085 6 maggio Alfonso VI di Castiglia conquista Toledo. ● 1086 I Castigliani sono sconfitti dagli Almoravidi a Zallaqa. ● 1090 Ruggero d’Altavilla occupa Malta e Gozo. ● 1094 15 giugno El Cid conquista la città di Valencia. ● 1095 18-28 novembre Concilio di Clermont d’Alvernia. Discorso di Urbano II. ● 1096-1099 Prima crociata in SiriaPalestina. Vi partecipano quattro eserciti: Goffredo di Buglione, duca di Lorena, comanda i Lotaringi; Roberto, duca di Normandia, e Roberto, conte di Fiandra, capeggiano i cavalieri della Francia settentrionale; Raimondo, marchese di Provenza, guida i cavalieri della Francia meridionale; Boemondo d’Altavilla è alla testa dei Normanni venuti dall’Italia meridionale. ●

098 giugno I crociati conquistano Antiochia, 1 della quale si appropria Boemondo d’Altavilla. ● 1099 10 luglio El Cid Campeador muore a Valencia. ● 1099 15 luglio I crociati conquistano Gerusalemme. ● 1100 Baldovino di Boulogne diviene il primo sovrano del Regno «franco» di Gerusalemme. ● 1102 Gli Almoravidi occupano Valencia. ● 1128 Concilio di Troyes: la fraternitas dei pauperes milites Templi salomonici diviene una militia (Ordine religioso-cavalleresco). ● 1145-1146 Papa Eugenio III emana, in due differenti successive redazioni (1° dicembre 1145 e 1° marzo 1146), la Quantum praedecessores, prima bolla pontificia regolatrice del movimento crociato. ● 1147 ottobre I crociati prendono Almeria e poi Lisbona. ● 1148-1152 Seconda crociata in Siria-Palestina. Vi confluiscono la crociata tedesca, guidata da Corrado III, e quella francese, al seguito di Luigi VII e della moglie Eleonora d’Aquitania. ● 1157 Gli Almohadi riconquistano Almeria. ● 1177 25 novembre Le truppe cristiane guidate da Baldovino IV di Gerusalemme sconfiggono l’armata di Saladino nella battaglia di Montgisard. ● 1187 Vittoria saracena a Hattin; Saladino conquista Gerusalemme. Papa Gregorio VIII promulga l’enciclica Audita tremendi. ● 1187-1192 Terza crociata. Vi partecipano l’imperatore tedesco Federico I Barbarossa, il re di Francia Filippo Augusto e il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. ● 1195 19 luglio Gli Almohadi battono i Castigliani ad Alarcos. ● 1202-1204 Quarta crociata, detta «dei baroni», riuniti sotto il comando del ●

marchese Bonifacio di Monferrato; si conclude con la conquista di Costantinopoli e la fondazione dell’impero latino. ● 1209 Innocenzo III bandisce la crociata contro gli eretici catari detti «Albigesi». ● 1210 Predicazione di una nuova crociata nella Penisola Iberica, causata dalla conquista almohade di Salvatierra. ● 1212 «Crociata dei fanciulli» (o «degli innocenti»). ● 1212 17 luglio Le truppe cristiane francoispano-portoghesi riportano una grande vittoria nella battaglia di Las Navas de Tolosa. ● 1217-1221 Quinta crociata, organizzata da Andrea II re d’Ungheria e da Leopoldo VI duca d’Austria. Incontro tra Francesco d’Assisi e al-Malik al-Kamil, sultano d’Egitto. ● 1228-1229 Sesta crociata (crociata di Federico II); Gerusalemme è recuperata per mezzo di un accordo diplomatico con il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil. ● 1229-1231 Crociata aragonese contro le Baleari. ● 1232-1253 Crociata aragonese contro l’emirato di Valencia. ● 1244 Rogo degli ultimi difensori catari di Montségur; le milizie nomadi kwarizmiane occupano Gerusalemme. ● 1248-1254 Settima crociata (prima crociata di Luigi IX): spedizione in Egitto del re di Francia. ● 1258 I Mongoli conquistano Baghdad; fine del califfato abbaside. ● 1267 Completata la conquista cristiana del Portogallo. ● 1270 Ottava crociata (seconda crociata di Luigi IX, che muore durante l’assedio di Tunisi). ● 1291 Caduta di Acri. ● 1300 Giubileo proclamato da Bonifacio VIII.

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Come diventare un «buon» Templare


Come altri Ordini coevi, anche quello del Tempio ha, in origine, scopi assistenziali, innanzi tutto a beneficio dei pellegrini che giungevano in Terra Santa. Ma dalla filantropia alla pratica guerresca il passo è breve e, grazie al sostegno di Bernardo di Chiaravalle, prende forma un potente – e ricco – braccio armato della Chiesa

Riconoscimento ufficiale da parte di papa Onorio II dell’Ordine del Tempio al Concilio di Troyes, nel 1128, olio su tela di François Marius Granet. 1840. Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon.


Statua in calcare di San Giovanni Battista, dal castello di Montmorot (Francia), sede di una comanderia dei Templari. XV sec. Parigi, Museo del Louvre.

I

Templari nascono negli anni immediatamente successivi alla presa di Gerusalemme da parte di Goffredo di Buglione, per volontà di alcuni soldati particolarmente devoti, arrivati nella Città Santa dopo il 1110 con lo scopo di proteggere i pellegrini che sarebbero giunti nel territorio appena conquistato, che aveva certamente bisogno di aiuti per difendere le vie che attraversavano le brulle terre della Palestina e che collegavano i porti con le città di Betlemme, Nazareth e, naturalmente, Gerusalemme. Spentisi gli entusiasmi iniziali, la gran parte dei crociati aveva fatto la strada a ritroso, tornando in Europa: ora che il Vicino Oriente era divenuto cristiano, il Regno di Gerusalemme andava difeso e servivano guerrieri dediti a questo specifico scopo. Il capo di questo gruppuscolo iniziale era Ugo di Payns, un nobile della Champagne, membro di un ramo collaterale dei signori di Troyes: si presentò con i suoi a re Baldovino, il quale, intorno al 1119, offrí loro un alloggio vicino all’area della moschea al-Aqsa, là dove si credeva sorgesse l’antico Tempio di Salomone, distrutto nel 587/586 a.C. dal babilonese Nabucodonosor II. Nei paraggi ottennero dai canonici del Santo Sepolcro anche scuderie per le loro cavalcature. I primi anni di vita furono all’insegna della frugalità: un gruppo di laici che dedica la propria esistenza al servizio degli altri, seguendo il modello dei consacrati, rispettando la castità, imponendosi la povertà e dando l’obbedienza a uno di loro che detiene un ruolo piú importante. Questi uomini devoti si dedicano alla preghiera, che osservano assieme, a orari fissi, e mangiano insieme, rispettando il silenzio, cosí come in un refettorio monastico. Dipendono totalmente dal re e dal patriarca di Gerusalemme, il quale, con il contributo dei ricchi prelati presenti in città, provvede a nutrirli e a sovvenzionarli in cambio dei loro pii servigi.

L’indifferenza dell’Europa

Ma cavalieri dediti all’esercizio delle armi, piegati unicamente alla preghiera e all’assistenza, dovevano mal sopportare questa condizione. Lo storico inglese Peter Partner (1924-2015) ha sottolineato come Ugo di Payns, in una lettera, palesasse il risentimento provato dai suoi compagni cavalieri costretti a lavorare umilmente per gli altri, peraltro all’insaputa di un’Europa dalla quale non giungevano né supporti economici, né neppure preghiere per le loro anime. Furono la caparbietà di Ugo e il sostegno di Bernardo di Clairvaux a fare di questi cavalieri una potenza militare e poi economica, 32

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Ugo di Payns, primo Gran Maestro dell’Ordine del Tempio, olio su tela di Henri Lehmann. 1841. Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon.

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L’ORDINE DEL TEMPIO

Il capitolo dell’Ordine del Tempio tenutosi a Parigi, il 22 aprile 1147, olio su tela di François Marius Granet. 1844. Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon. L’assise si svolse alla presenza di papa Eugenio III e del re Luigi VII.

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La nascita e la Regola

trasformando il gruppo di volontari laici in un vero e proprio Ordine monastico. Nel 1127 Ugo lasciò Gerusalemme e i suoi confratelli per recarsi in Francia: a Troyes, poco lontano dalla sua terra natale, durante il concilio del 1128, a cui partecipò Bernardo, il gruppo dei Poveri Cavalieri del Tempio – da una decina d’anni regolati da una semplice normativa di vita religiosa – ricevette il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa. L’influsso di Bernardo, che si prodigò anche nella stesura di una regola per il neonato Ordine, ispirata a quella degli Agostiniani, fu talmente forte che la de-

vozione per questa figura fu sempre grande, ancor piú dopo la canonizzazione voluta da papa Alessandro III nel 1174. La società medievale era stata tripartita idealmente dal vescovo Adalberone di Laòn († 1077) nel suo Carmen ad Rotbertum regem, composto verso il 1025: in esso il presule delinea ed esalta una società utopica, idealmente perfetta e ben calibrata, in cui sono ben distinguibili le tre funzioni necessarie. Al clero spetta la preghiera (oratores), ai laici spettano i compiti di difendere (bellatores) e lavorare (laboratores), in un ideale rapporto di mutuo soccorso, in cui ciascuno, con la


sola propria funzione, soccorre ai bisogni degli altri due. Una società, cosí suddivisa, avrebbe rispecchiato in Terra, il mistero trinitario e l’unicità di Dio. Adalberone compose quest’opera in un momento critico per il potere regio e in opposizione a Cluny, dove il potente abate Odilone godeva di ampi privilegi e di immunità, essendo sotto la diretta dipendenza da Roma, e gestiva tanto beni spirituali che temporali, travalicando nella sfera di competenza che, nell’idea di Adalberone, spettava al sovrano. Il Concilio di Troyes accolse il nuovo Ordine dei Templari come una corporazione di ca-

valieri, ferventi religiosi, sottoposta a leggi ecclesiastiche: una questione di non facile risoluzione, giacché la loro stessa esistenza creava una sovrapposizione di piani, andando a fondere in un’unica anima l’Ordine religioso con quello militare. Era stata la Chiesa di Roma a puntare sempre piú su una separazione di ambiti, lottando contro le investiture da parte di laici, quand’anche fossero stati re o imperatori. Vi era poi stata la netta presa di posizione circa l’impossibilità, per chi si fosse macchiato di omicidio, di toccare oggetti o arredi liturgici: qualora un cavaliere, pentitosi della sua vita violenta, TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

La nascita e la Regola mente inconciliabili, rappresentati dalla spada e dal saio. San Bernardo aveva un’idea tutt’altro che lusinghiera dei nobili cavalieri d’Europa, che per lui erano tutto fuorché nobili: ai suoi occhi, la massa di cavalieri che si era diretta verso Gerusalemme nel 1096, era composta per lo piú da «incredibili malfattori, saccheggiatori, sacrileghi, omicidi, spergiuri, adulteri». Bernardo gioiva per la loro partenza perché duplice era il vantaggio: «gli Europei sono ben felici di vederli andar via, e coloro in aiuto dei quali essi accorrono in Terra Santa, sono deliziati di vederli arrivare. È dunque senz’altro vantaggioso per quanti vivono su entrambe le sponde del mare, dacché essi ne proteggono una e cessano di molestare l’altra».

Un nuovo tipo di monaco

avesse deciso in tarda età di entrare in monastero, ciò gli veniva di certo accordato – a meno che non vi fossero gravi impedimenti –, essendo intervenuta la Misericordia di Dio e la sua, seppur tardiva, conversione. Ma in monastero, accadeva spesso che questi cavalieri pentiti venissero emarginati da quanti erano stati destinati a vita monastica in tenera età, spesso ad appena cinque o sei anni. Gli uni avevano vissuto all’insegna della violenza, dell’arroganza, disprezzando i chierici; questi, d’altro canto, vivevano in un mondo spesso fatto di cultura, di idealizzazioni, non sempre consapevoli della realtà del mondo secolare, quantunque molti abati e vescovi fossero ben radicati nella mondanità. E ora, con la benedizione di Bernardo di Clairvaux, si presentavano sulla scena i Templari, pronti a scardinare con la loro stessa esistenza – ma anche a istituzionalizzare ciò che era spesso già in atto – alcune idee preconcette e separazioni fra questi due mondi apparente36

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Come fare, allora, a rendere desiderabile e apprezzabile un nuovo Ordine monastico se le premesse erano queste, ben sapendo che la gran parte di coloro che avrebbero fatto parte dei Templari provenivano dal mondo dei milites? Bernardo tentava di conciliare l’idea del bellum iustum propugnata da sant’Agostino di Ippona, contrastando il principio che aveva accompagnato l’uomo medievale sino ad allora, e cioè che a un uomo consacrato interamente a Dio fosse estraneo e proibito spargere sangue, combattere, uccidere. Non si deve immaginare che tutti i prelati e tutti i chierici fossero cosí ligi ai dettami di Cristo e comprendessero in maniera corretta il messaggio evangelico: in un slancio di zelo, ai primi del Mille, l’arcivescovo di Bourges ordinò a tutti i cristiani di dichiararsi «nemici di chi ostacola la pace» – e fin qui avrà meritato le lodi dell’Altissimo – e pronti a combatterli, armi in pugno, se ciò fosse stato necessario. Insieme a questo pacifismo portato al parossismo, in Europa era anche motivo di riflessione l’idea elaborata da sant’Agostino che aveva ammesso, ai tempi delle invasioni barbariche, la possibilità di ingaggiare una guerra «giusta», da combattersi per ordine divino. Agostino scriveva quando Roma cadeva nelle mani dei Vandali di Genserico, suscitando sgomento in tutti i cives dell’impero. L’Europa dei tempi di san Bernardo, invece, era percorsa da nobilastri arroganti e violenti, che non rispettavano le Tregue di Dio e che forse, la Chiesa sperava, potevano


Nella pagina accanto due vignette tratte da un’edizione della Histoire d’Outremer di Guglielmo di Tiro. XI sec. Dall’alto, Goffredo di Buglione, dopo la conquista, prega sul Santo Sepolcro; la morte di Goffredo e l’incoronazione del fratello Baldovino come primo re di Gerusalemme. In basso un’altra vignetta dalla Histoire d’Outremer di Guglielmo di Tiro (XI sec.) raffigurante Baldovino II di Gerusalemme che concede a Ugo di Payns e Goffredo di Saint-Omer la possibilità di insediare l’Ordine presso i resti del Tempio di Salomone.

essere convogliati in guerre contro pagani o addirittura nemici della cristianità. Gli storici non dubitano che tra le Paci di Dio e la nascita della guerra santa vi sia uno stretto legame: nel 1095, quando Urbano II proclama il suo appello alla crociata, di fronte a un variopinto pubblico di chierici e di laici, il suo discorso è l’esito di quel processo di riforma spirituale e disciplinare che prende il nome di Riforma Gregoriana, una riforma che mirava a un distacco dalle cose terrene e che conferí alle crociate un’attrattiva tutta particolare e che in parte spiega il successo straordinario ottenuto dalle sue parole. A ciò si aggiunga che nei confronti dell’Islam si era sviluppata una letteratura polemica, spesso in modo esagerato, indirizzata a censurare le pretese colpe degli idolatri musulmani, crudeli e sessualmente perversi, senza tener in alcun conto i buoni rapporti diplomatici sino allora intercorsi con Bisanzio e le Chiese cristiane d’Oriente. Ecco allora profilarsi l’orizzonte culturale su cui Bernardo può intessere la sua De laude novae militiae ad milites Templi (Ai cavalieri del Tempio in lode della nuova milizia): «In verità – scrisse il futuro santo – i cavalieri di Cristo combattono le battaglie del loro Signore senza correre alcun rischio, senza in nessun modo sentire di aver peccato

nell’uccidere il nemico, non temendo il pericolo della loro stessa morte, dato che sia il dare la morte, sia il morire, quando sono fatti in nome di Cristo, non sono per nulla atti criminosi ma addirittura meritano una ricompensa gloriosa. Per questo motivo dunque, per Cristo! Perciò Cristo si persegue. Chi, in verità, liberamente accetta la morte del proprio nemico come un atto di vendetta, ancora piú volentieri trova consolazione nella propria condizione di soldato di Cristo. Il soldato di Cristo uccide sentendosi sicuro, muore sentendosi ancora piú sicuro. Non per nulla egli porta la spada! Egli è lo strumento di Dio per la punizione dei malfattori e per la difesa dei giusti. Inoltre, quando egli uccide un malfattore, non commette omicidio bensí malicidio e può essere considerato il carnefice autorizzato da Cristo contro i malvagi».

Parole accalorate

Bernardo aveva molto a cuore le sorti del piccolo nuovo Ordine cavalleresco e al Concilio di Troyes del 1128 volle assicurarsi che, di fronte alle sue perorazioni, fosse presente un legato pontificio: con un biglietto da visita come le accalorate parole di Bernardo, la via per l’autorizzazione pontificia era quasi assicurata. Una decina di anni piú tardi, con la bolla Omne da(segue a p. 40)

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L’ORDINE DEL TEMPIO

La nascita e la Regola

BERNARDO, «DOTTORE MELLIFLUO» Bernardo di Clairvaux era nato a Fontaines-lès-Dijon (non lontano da Digione) da una nobile famiglia borgognona, nel 1090. Destinato fin dalla nascita alla vita ecclesiastica, a cinque anni fu affidato alle cure dei canonici di SaintVorles di Châtillon, ma, a ventuno, convinse il padre a lasciarlo abbracciare la nuova Regola dei Cistercensi e si recò al monastero fondato da Roberto di Molesmes a Cîteaux (Cistercium, da cui cistercensi): riuscí addirittura a convincere a entrare in monastero altri suoi quattro fratelli e piú di una ventina di amici e parenti. Appena un anno dopo avere vestito il saio, a 25 anni, riceveva l’incarico dall’abate Stefano Harding di fondare una nuova abbazia e, con altri dodici monaci, consuetudine cistercense, scelse la disabitata Valle dell’Assenzio, poi chiamata, in segno di buonaugurio, Clara Vallis. Bernardo era un uomo riservato e schivo, di carattere severo, perfino nei riguardi dei monaci di Cluny, secondo lui ormai lassisti, attenti a chiese troppo sfarzose, dimentichi che «il povero ha fame». Ai suoi cistercensi, invece, chiede meno preghiere, meno letture, ma tanto lavoro. Tornato a Cîteaux, spossato dalle fatiche per la costruzione della nuova abbazia, viene presto colpito da una malattia che lo debilita gravemente: Guglielmo di Champeaux, nel 1116, si reca al Capitolo generale dei Cistercensi e illustra le difficili condizioni in cui Bernardo e i suoi vivono. Verrà proprio dalla casa madre, allora, l’invito a moderare la severità e il rigore imposto da Bernardo a sé e ai suoi. Bernardo riesce ormai ad attirare nuovi monaci e addirittura a fondare, di propria iniziativa, nuove case: dal 1123 gli vennero attribuiti persino miracoli, esorcismi e guarigioni. Bernardo invia dunque in Europa i suoi monaci dissodatori, che predicano in modo attivo, con la vanga e il sudore, che disboscano, creano canali di irrigazione, allevamenti, e cosí facendo cambiano ben presto il volto dell’Europa. Nel 1128 interviene al Concilio di Troyes, ove svolge la funzione di segretario ed è qui che ispira la nascita della Militia Templi, l’Ordine dei Templari, con lo scopo manifesto di combattere gli infedeli al di là del Mediterraneo e, per l’occasione, compone il De laude novae militiae ad milites Templi. Leader carismatico, il Doctor mellifluus – come fu ribattezzato – viene spesso chiamato a partecipare a missioni importanti e percorre l’Europa in lungo e in largo per farvi riconoscere il papa Innocenzo II (Gregorio Papareschi) insidiato dall’antipapa Anacleto II, il cardinal Pierleoni. Non c’è dubbio che il suo prestigio, la sua abilità oratoria e anche la sua umiltà diedero un grande contributo a che lo scisma rientrasse. In quegli anni i suoi monaci varcano le Alpi e fondano molti nuovi insediamenti in Nord Italia, il primo dei quali è l’abbazia di Tiglieto, nelle Alpi Liguri. Nonostante la sua mansuetudine e la sua ascesi, Bernardo non sempre 38

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riesce a entrare in sintonia con quanti stanno tentando di accedere a Dio attraverso percorsi diversi dal suo. Il Cistercense attacca duramente la dottrina trinitaria sostenuta da Gilberto Porretano, vescovo di Poitiers e lettore di dialettica e teologia a Parigi: nel 1148 il papa condannò quattro sue proposizioni. Bernardo poi fa addirittura condannare l’insegnamento di Pietro Abelardo, docente di teologia a Parigi, affermando che il teologo riduceva la fede a una «semplice opinione sganciata dalla verità rivelata». Nel 1145 viene eletto papa il suo discepolo Bernardo dei Paganelli, che assume il nome di Eugenio III: Bernardo ne approfitta per inviargli un trattato adattato per lui, con l’invito a guardarsi dai cardinali che lo circondano: «Puoi mostrarmene uno che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto piú si sono professati tuoi servitori, tanto piú vogliono spadroneggiare». Bernardo viene invitato dal papa a predicare la seconda crociata, in difesa del regno cristiano di Gerusalemme: il Cistercense si prodiga anima e corpo, incontra il re di Francia a Vézelay, poi si porta in Germania, dove convince molti principi e lo stesso imperatore a partire. Ma la crociata sarà un fallimento e si fermerà davanti alle mura di Damasco. Gli ultimi anni sono difficili e minati da problemi crescenti: sorgono infatti difficoltà all’interno dell’Ordine, si diffondono nuove eresie e a ciò si aggiunge la sofferenza fisica. È probabilmente un tumore allo stomaco che lo conduce alla morte il 20 agosto 1153, a Clairvaux. Viene sepolto nella chiesa del monastero, ma con la Rivoluzione francese i resti andranno dispersi, fuorché la testa, ora conservata nella cattedrale di Troyes. Papa Alessandro III lo proclama santo nel 1174 e Pio VIII, nel 1830, gli concede il titolo di Dottore della Chiesa.


Nella pagina accanto miniatura raffigurante san Bernardo e i monaci di Cîteaux che prendono possesso dell’abbazia di Clairvaux. 1485-1490. Londra, British Library.

San Bernardo predica la seconda crociata alla presenza del re Luigi VII e della regina Eleonora, olio su tela di Émile Signol. 1840. Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon. TEMPLARI

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UN NUOVO GENERE DI CAVALIERI Bernardo di Chiaravalle non scrisse la Regola dei Templari, ma ne fu l’ispiratore. Piuttosto, si deve a lui, un’operetta, scritta verso il 1128, intitolata De laude novae militiae ad milites Templi, indirizzata ai Templari e che rappresenta il manifesto del nuovo Ordine. L’opera venne scritta su sollecitazione di Ugo di Payns il quale, come dichiara lo stesso Bernardo, «per una, due e tre volte, se non erro», chiese «di scrivere un discorso di esortazione per te e per i tuoi compagni d’arme e di brandire la penna, dal momento che non mi è concesso brandire la lancia, contro un nemico tirannico. Affermi che per voi sarà di non poco conforto se io vi incoraggerò tramite i miei scritti, giacché non posso farlo tramite le armi. Ho tardato molto, in verità, non perché la richiesta mi sembrasse da disprezzare, ma perché il mio consenso non fosse tacciato di leggerezza e frettolosità». In queste pagine Bernardo non incita alla violenza (per quanto il risultato di fatto non cambi!), teorizzando l’idea del «malicidio», finalizzato a estirpare il male, incarnato in questo caso dagli infedeli restii alla conversione e dediti a perseguitare i cristiani. La guerra che lui propone è in fondo, nella sua teorizzazione, una guerra giusta, esemplata sul modello proposto da Agostino, finalizzata a creare o mantenere la pace nel mondo, inseguendo (con sistemi oggi, ma anche allora, certamente discutibili) una pace universale. Bernardo ammetteva che l’uccisione degli infedeli era una sorta di extrema ratio: «Non si dovrebbero uccidere neppure gli infedeli, se in qualche modo si potesse impedire la loro eccessiva molestia e l’oppressione dei fedeli. Ma nella situazione odierna è meglio che essi vengano uccisi, piuttosto che lasciare senza scampo la verga dei peccatori sospesa sulla sorte dei giusti e affinché i giusti non spingano le loro azioni fino all’iniquità». Ecco allora che per attuare questo disegno si è presentato questo nuovo, inedito tipo di cavaliere, di cui Bernardo stende le lodi e ne fornisce le giustificazioni ideologiche: «Un nuovo genere di cavalieri, dico, che i tempi passati non hanno mai conosciuto: essi combattono senza tregua una duplice battaglia, sia contro la carne e il sangue, sia contro gli spiriti maligni del mondo invisibili (...) Essi sono a vedersi piú miti degli agnelli e piú feroci dei leoni, al punto che dubito se sia meglio chiamarli monaci o piuttosto cavalieri. Ma forse potrei chiamarli piú correttamente in entrambi i modi, giacché a essi non manca né la dolcezza del monaco né la fermezza del cavaliere». 40

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tum optimum (1139), Innocenzo II rafforzò quale Ordine religioso i Templari, accennando in modo inequivocabile a una giustificazione della loro aggressività, mentre non si parla piú di protezione di quanti desideravano raggiungere la Città Santa: i Templari morti in battaglia, avrebbero ottenuto la vita eterna, poiché «immergendo le mani nel sangue degli infedeli, le avevano al contempo consacrate a Dio».


Da subito i cavalieri-monaci presero parte alle operazioni militari, dotati dei loro mantelli bianchi, ereditati dai Cistercensi, a cui aggiunsero una grande croce rossa patente (cioè a bracci che vanno allargandosi dal centro, n.d.r.), ottenuta da papa Eugenio III nel 1147 e che non compariva nella Regola del 1129. Il vessillo dei Templari, detto beauceant, ci viene descritto dal monaco benedettino Matteo Paris come «uno

Un drappello di Templari in battaglia. L’Ordine del Tempio nacque nel 1119 e ottenne il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa nel concilio tenuto a Troyes nel 1128.

spaccato d’argento e nero, a cui fu aggiunta – sulla porzione bianca – la croce patente rossa». La simbologia che sta dietro a questa bipartizione starebbe a indicare la compresenza degli aspetti spirituali e temporali, la natura monastica e bellicosa. A ciò, a livello piú simbolico, si può aggiungere una rappresentazione cromatica dell’eterna lotta tra il Bene e il Male, le forze della Luce che combattono incessantemente

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L’ORDINE DEL TEMPIO

La nascita e la Regola

Templari

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Cittadella dei Templari

contro quelle delle Tenebre: in araldica, lo smalto dell’argento – reso con il bianco – rappresenta infatti la verità, la trasparenza. Su tutto, poi, campeggia una grande croce, rossa come il sangue, che evoca la prontezza al martirio per Cristo e indica anche la loro identità. L’ingresso dei Templari nella società fu particolarmente problematico: Ugo di Payns li aveva tratteggiati come necessari alla società cristiana, pari alla funzione dei laboratores, pur essendo bellatores. Un cavaliere paragonato a un villano era certamente una grave offesa per milites membri di una società feudale. E in quanto monaci-guerrieri, erano guardati con sospetto e sufficienza dai monaci religiosi verso i quali, spesso, alcuni Templari piú devoti confluivano, lasciando l’Ordine. Fu il caso eclatante del terzo Gran Maestro, Everardo di Barres, il quale, tornato dalla Terra Santa in Francia, si fece cistercense ed entrò a Clairvaux, da dove Bernardo aveva impartito i suoi insegnamenti. A leggere le parole del teologo e filosofo cistercense Isacco di Stella († 1169 circa), non si fatica a comprendere come molti prelati, teologi e intellettuali fossero TEMPLARI

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A sinistra pianta di San Giovanni d’Acri con i principali monumenti della città. In basso un cavaliere dell’Ordine degli Ospedalieri, riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa nel 1113, con una bolla di papa Pasquale II.


giustamente sconcertati di fronte a questa novità. In un suo sermone Isacco dichiara, non senza perplessità, che: «È sorto come un monstrum di una nuova cavalleria, con lo scopo di costringere, a colpi di lancia e bastone gli infedeli a credere, e di spogliare legittimamente e trucidare religiosamente quelli che non portano il nome di Cristo; e se qualcuno di loro perisce in questi atti di brigantaggio, li si proclama martiri di Cristo».

Per la cura dei viaggiatori

In realtà, ancor prima della spedizione crociata conclusasi con la presa di Gerusalemme, nella Città Santa, verso il 1070, vi era una modesta

Veduta del porto dell’odierna Acri/Akko (San Giovanni d’Acri) che si affaccia sulla costa meridionale di Israele. Nel 1291 fu l’ultima roccaforte cristiana a cadere nelle mani dei musulmani.

fondazione destinata all’accoglienza dei pellegrini. Era sorta per iniziativa di un gruppo di mercanti amalfitani e vi prestavano servizio alcuni frati ospedalieri, dediti alla cura e all’accoglienza dei viaggiatori, spesso bisognosi di assistenza. Dopo l’enorme afflusso di crociati, a seguito della grande spedizione incoraggiata da papa Urbano II, la comunità, adesso fornita di molti piú mezzi dai nobili che avevano reso possibile la spedizione, si sviluppa enormemente grazie alla volontà di colui che ne presiedeva il nucleo primitivo, tal Gerardo, che appare come il vero fondatore degli Ospedalieri. Si tratta dell’embrione di un nuovo Ordine monaTEMPLARI

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Nella pagina accanto Rodi in una litografia tratta da una miniatura del XV sec. 1. Torre dei Mulini Detta anche «di Francia» o «di S. Angelo», prende nome dai mulini un tempo presenti sul molo naturale. 2. Torre di Naillac Oggi scomparsa a causa di un terremoto, sorse al tempo di Philibert de Naillac, Gran Maestro dal 1396 al 1421. 3. Torre e forte di S. Nicola La torre fu costruita, tra il 1464 e il 1467, dal Gran Maestro Piero Raimondo Zacosta, e integrata da una fortezza dal Gran Maestro d’Aubusson. 4. Collachium Situato su una collina che scendeva al mare, il Collachium coincideva con la cittadella bizantina dell’isola e vi erano riuniti il palazzo del Gran Maestro, la cattedrale conventuale di S. Giovanni, il cui campanile serviva anche come punto di avvistamento, la loggia di S. Giovanni, l’Ospedale, gli Alberghi delle Lingue e le abitazioni dei cavalieri.

stico, avente come patrono san Giovanni Battista. Bisogna attendere però il 1113 per poter considerare l’Ordine formalmente fondato e riconosciuto dalla Chiesa: Pasquale II, infatti, con una bolla papale, prende i frati direttamente sotto la protezione pontificia, confermando peraltro tutte le donazioni che erano state fatte loro da laici, dal 1070 sino ad allora. Si tratta ancora di un Ordine prevalentemente dedicato all’assistenza, vocazione originale dell’Ospedale, le cui origini affondavano in un momento precedente al conflitto tra cristiani e islamici, benché del bellum iustum, anche i frati Ospedalieri fossero culturalmente imbevuti. E infatti, a partire dal 1120, sotto l’influsso e per volontà del maestro Raimondo di Le Puy, alla pristina vocazione ospedaliera si aggiunse via via un carattere squisitamente militare. Come regola adattarono alle nuove esigenza quella dei frati agostiniani, vedendola approvare prima del 1153 da papa Eugenio III. L’Ordine comprendeva tre tipi di frati, assai diversi tra loro: vi erano infatti i cavalieri, i sergenti e i preti. A questo punto la vita dell’Ordine degli Ospedalieri va di pari passo con quella delle crociate d’Oltremare, giungendo sino al suo epilogo, quando, nel 1291, l’ultima roccaforte cristiana, San Giovanni d’Acri, cade in mano musulmana. Tra il XII e il XIII secolo l’Ordine crebbe enormemente e, grazie all’entusiasmo di volta in volta ravvivato dalle nuove spedizioni, ottenne privilegi, diritti, terre e castelli. Stabilí in tutta Europa commende destinate a procurare uomini e fondi utili per le guerre che venivano condotte, con risultati sempre piú precari, in Oltremare. Alla caduta della città, peraltro dedicata al loro santo patrono, Giovanni, gli Ospedalieri ripararono nella vicina Cipro, mentre i Templari trovarono riparo nell’isoletta di Ruard, distante dalla costa pochi chilometri. Da entrambe le isole, però, sarebbero stati cacciati una decina d’anni piú tardi: gli Ospedalieri, a partire dal 1306, intrapresero la conquista dell’isola di Rodi, stabilendovisi nel 1310, fortificandola e assumendo il titolo di Cavalieri di Rodi. Nel corso del Trecento e poi del Quattrocento, continuarono a garantire l’ospitalità ai pellegrini che transitavano per Rodi, avamposto cristiano in un mare sempre piú islamico. Essi parteciparono, inoltre, a tutte le iniziative militari condotte contro i Turchi, animate ancora dallo spirito crociato. Dopo avere respinto diversi assedi, gli Ospedalieri capitolarono, infine, nel 1522, davanti alle truppe di Solimano il Magnifico e dovettero abbandonare anche Rodi. Otto anni dopo, l’imperatore Carlo V donò loro l’isola di

Malta e l’Ordine, cosí come ancora oggi lo conosciamo, assunse il nome di Ordine dei Cavalieri di Malta. Occupata dagli Aglabiti nell’870, Malta fu recuperata alla cristianità con una triplice operazione: nel 1090 il conte Ruggero di Sicilia riuscí a ottenere un formale riconoscimento della sovranità normanna; nel 1127 furono insediati un governatore, un vescovo e il suo relativo capitolo; nel 1249 fu stabilita l’espulsione della comunità musulmana. Malta fu sempre una preda ambita dalle repubbliche marinare, che, a ogni crisi della corona palermitana, tentavano di sottrarre l’arcipelago maltese al controllo della Sicilia: tentarono i genovesi Pescatore, poi i Moncada e i Chiaramonte. Con l’aumentare delle scorribande maltesi, i sovrani aragonesi iniziarono a delegare la difesa di Malta agli Ordini militari fin quando, ormai nel 1530, gli Ospedalieri ottennero l’infeudamento di Malta e Gozo.

Legati all’impero

L’Ordine militare dei Cavalieri Teutonici venne fondato nel 1198, su imitazione di quello dell’Ospedale e, ben presto, acquisí terre e beni tanto in Siria quanto in Germania. La storia dei Fratelli Serventi dell’Ospedale di Santa Maria dei Teutoni di Gerusalemme è simile, ma anche assai diversa, da quella dei Templari e degli Ospedalieri, giacché si svolse in gran parte in Europa ed è quindi legata a doppio filo con le vicende dell’impero. La storia dei Teutonici ebbe inizio, al pari degli altri Ordini monastici, con un ospedale, costruito da alcuni Tedeschi nella città di San Giovanni d’Acri, nella prima metà del XII secolo. La vera base dell’Ordine, però, fu quella sorta durante l’assedio della città, un ospizio fondato da alcuni mercanti di Lubecca e Brema e affidato alle truppe del duca di Svevia nel 1191, nel corso della terza crociata. I Cavalieri Teutonici combinarono l’aspetto militare dei Templari con quello caritativo dei primi Ospedalieri, dando vita a un Ordine riconosciuto nel 1196 da papa Celestino III e confermato due anni piú tardi. Tratti originali di questo Ordine furono il carattere spiccatamente nazionale dei suoi membri, perciò detti Teutonici – tanto nelle gerarchie piú alte che nei cavalieri –, ma anche l’intimo legame con gli imperatori tedeschi impegnati nella politica mediterranea. Inoltre, le loro case e i loro beni si radicarono da subito in Germania e nelle altre terre germanofone, per poi estendersi all’Europa orientale. L’esperienza in Terra Santa, infatti, fu particolarmente limitata da quella degli Ospedalieri e dei TEMPLARI

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La nascita e la Regola

Templari che risiedevano e operavano in Oltremare da diversi decenni. Anche se fino al 1271 il Gran Maestro dell’Ordine Teutonico risiedette nella fortezza di Montfort, da loro edificata tra Acri e Tiro, furono ben presto attratti negli affari dell’impero, soprattutto tramite il langravio di Turingia e sua moglie Elisabetta d’Ungheria il cui padre, Andrea II, tra il 1211 e il 1225, li aveva chiamati in soccorso contro i Cumani, donando loro la regione della Transilvania, detta all’epoca Siebenbürgen. Servendosi della fondazione di Marburgo (nell’Assia, in Germania), donatagli dalla stessa Elisabetta, i Cavalieri Teutonici furono chiamati anche dal duca Corrado I di Masovia, l’attuale territorio di Varsavia, per impegnarli nella lotta contro i Prussiani, la cosiddetta Vecchia Prussia e il territorio a est della Vistola, quella che veniva detta la Kulmerlandia, o Terra di Chełmno (dall’omonima città, nell’odierna Polonia, chiamata Kulm in tedesco).

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Rodi. Il palazzo del Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Rodi, già Ospitalieri di San Giovanni, che acquisirono il controllo dell’isola nel 1307 e lo mantennero per circa due secoli.


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La prima figura di spicco fu certamente Hermann von Salza, proveniente dalla Turingia e in carica dal 1209 al 1239: fu il quarto Gran Maestro e si distinse nell’assedio di Damietta, ma, soprattutto, per le indubbie capacità di mediazione fra il papa e Federico II, in un momento di forte dissidio tra i due poteri universali. Nel corso della crociata dello Stupor Mundi (1228-1229), scomunicato da papa Gregorio IX per i suoi ritardi e le sue inadempienze, Hermann e i suoi Teutonici furono gli unici a sostenere l’imperatore e ciò procurò all’Ordine

A destra i resti del castello di Montfort, in Galilea (Israele), edificato dall’Ordine teutonico. In basso statue in bronzo di Grandi Maestri dell’Ordine teutonico collocate nei giardini del castello di Marienburg (Malbork): da sinistra, Hermann von Salza

enormi vantaggi. Sotto la guida di Hermann von Salza, inoltre, i Cavalieri Teutonici iniziarono la loro ascesa stabilendosi a Kulm, Marienwerder ed Elbing (1230). Dopo la loro avanzata verso est, i Cavalieri Teutonici furono fermati nella battaglia del Lago Peijpus (o «dei Ciudi», oggi al confine tra l’Estonia e la Russia, n.d.r.) dall’esercito di Alexander Nevskij nel 1242 (celebrata nel 1938 da Sergei Ejzenstein nel suo capolavoro cinematografico, Alexander Nevskij, prodotto di alto livello per l’epoca, nonché di propaganda antinazista). Lo Stato teutonico si spinse fino a Memel, ben oltre l’Oder e il territorio fu presidiato da città fortificate come Thorn e le già citate Marien(segue a p. 53)

(1209-1239), Siegfried von Feuchtwangen (1303-1311), Winrich von Kniprode (1352-1382) e Alberto del Brandeburgo-Ansbach (1510-1525). Le sculture appartenevano in origine a un monumento in onore di Federico il Grande, poi smembrato.

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La nascita e la Regola VIETATO CACCIARE... FUORCHÉ IL LEONE Due capitoli della Regola dei Templari sono dedicati alla caccia, uno dei passatempi prediletti dai cavalieri. La Regola, che punta alla rinuncia al secolo da parte del monaco, impone di astenersi dallo svago derivante dall’arte venatoria, specie coi falconi. E ai Templari è persino vietato accompagnare qualcun altro a cacciare: «In piena concordia di vedute vietiamo a ogni fratello di cacciare uccelli per mezzo di altri uccelli. Non si addice a un uomo di religione soccombere ai piaceri, bensí ascoltare di buon animo i comandamenti di Dio, pregare di frequente e confessare ogni giorno, fra le lacrime, i propri peccati. In particolare nessun fratello ritenga lecito accompagnare un altro uomo che cacci gli uccelli per mezzo di altri uccelli. È piuttosto confacente a un uomo di religione procedere quietamente e umilmente, senza ridere o parlare troppo, ma esprimendosi in modo assennato e senza alzare la voce: per tale motivo in particolare vietiamo a tutti i fratelli di cacciare animali per i boschi con archi e balestre, o di accompagnare un cacciatore, a meno che non si tratti di salvarlo dagli infedeli pagani. Né dovrete andare appresso ai cani, né gridare o chiacchierare, né spronare il cavallo per brama di catturare una fiera». Niente caccia, dunque, né col falcone, né coi cani, né col cavallo, e neppure in veste di compagno di altri, autorizzati a cacciare. Tuttavia c’è un’eccezione, alla quale è dedicato un sottoparagrafo, breve ma chiaro: «Invero il vostro dovere consiste nell’offrire le vostre anime per la salvezza dei vostri fratelli, come fece Gesú Cristo, e nel difendere la terra dei pagani miscredenti nemici del figlio della Vergine Maria. Tuttavia la suddetta proibizione a cacciare non riguarda affatto il leone, il quale è sempre in cerca di vittime da divorare, le sue zampe contro ogni uomo e le braccia di ogni uomo contro di lui». Pur essendo il simbolo della forza e l’animale piú gettonato in araldica da nobili e sovrani per attestare un’assoluta preminenza, il leone rappresentava anche un animale diabolico fin dai tempi del Vecchio e del Nuovo Testamento: nella Bibbia incarna la superbia e la ferocia, al pari delle pantere e dei lupi. Nei bestiari medievali è simbolo della empietà, della furbizia, della ferocia e incarna le forza di Satana, e, nel Vecchio Testamento, rappresenta i nemici di Israele, i tiranni e i malvagi e tutti coloro che vivono in modo impuro. Sansone viene spesso rappresentato nell’atto di stritolare un leone, simbolo del Male; Davide, davanti al gigante Golia, esclama: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo». Daniele viene gettato, con l’inganno e la frode, nella fossa dei leoni, ma Dio lo salva grazie alla sua preghiera. Nel Nuovo Testamento san Pietro associa il leone al demonio, che è come «un leone ruggente», mentre san Giovanni, nell’Apocalisse, descrive le teste dei cavalli infernali come «teste di leoni». Tutto questo patrimonio biblico era certamente ben noto a Bernardo e ai Templari, ma oltre a ciò doveva esserci quasi certamente una questione pratica. Se infatti in Francia e, piú in generale, in Occidente di leoni non c’era traccia – e molti Templari risiedevano in Europa –, il problema si poneva certamente per coloro che esercitavano nell’Oltremare, dove persino le carte geografiche chiarivano il rischio il motto hic sunt leones! Il re della foresta era un pericolo reale e concreto, tanto per i Templari quanto per i pellegrini che perciò dovevano essere protetti sia dai Turchi che da animali tutt’altro che… docili.

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Sansone e il leone, incisione di Israhel van Meckenem. 1475 circa. Washington, National Gallery of Art. Nella pagina accanto disegno della lastra tombale di un cavaliere templare sepolto nella Temple Church di Londra. 1840. Londra, London Metropolitan Archives.

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La nascita e la Regola


In alto La Valletta (Malta). Il forte S. Elmo, a pianta stellare, impiantato sul sito di una piú antica torre. I Cavalieri Gerosolimitani presero possesso dell’isola nel 1530, quando essa venne loro ceduta da Carlo V con l’approvazione di papa Clemente VII. Nel 1565, guidati dal Gran Maestro Fra Jean de la ValletteParisot, la difesero vittoriosamente dagli Ottomani. Nella pagina accanto La Valletta. Uno degli ambienti del Palazzo del Gran Maestro.

werder, Kulm e Marienburg che, dal 1309, divenne sede e residenza del Gran Maestro, dopo che anche la Pomerania era passata sotto il controllo dell’Ordine.

Il tramonto di una grande potenza

Di fatto, tutti i paesi che andavano dalla Pomerania alla Livonia erano sotto il controllo dei Cavalieri Teutonici, e ciò ostacolava l’accesso al Baltico ai regni di Polonia e Lituania. Lo scontro fu inevitabile e si risolse a Tannenberg (o Grunwald), nel luglio del 1410, quando una coalizione polacco-lituana e bielorussa, guidata dal re Ladislao II Iagellone, sconfisse l’Ordine. Prima che la potenza teutonica venisse definitivamente respinta, si combatterono ancora due conflitti, la cosiddetta Guerra della Fame (1414) e quella di Gollub (1422). Infine, dopo la Guerra dei Tredici Anni, nel 1460, Marienburg cadeva in mano polacca, preludio alla pace di Torun (1466), che sanciva anche il crollo dello Stato

teutonico e la perdita della maggior parte dei territori di sua pertinenza. Ciononostante l’Ordine, che è ancora attivo, mantenne nell’impero – e soprattutto in Austria – le proprie commende e case, oltre a un grande prestigio nell’ambito della nobiltà germanofona. Nel 1804 fu amministrato dai piú alti membri della famiglia asburgica fino alle dimissioni dell’ultimo Gran Maestro d’Asburgo, il quale lo cedette al papa che lo trasformò in un Ordine canonicale tout court. Nel 1938, subí la persecuzione da parte nazista, che non vedeva di buon occhio la casata d’Austria, e cosí ne soppresse l’esistenza in Austria, in Boemia e in Moravia, ma, nel 1942, si appropriò del nome, dando vita al Deutscher Orden, la piú importante delle onorificenze concesse dal Partito Nazionalsocialista, creata per assecondare le fantasie di Heinrich Himmler e di altri fanatici, interessati ad aspetti mistico-religiosi ed esoterici. TEMPLARI

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Gli statuti gerarchici che furono aggiunti alla Regola nel 1165, quando l’Ordine era ormai pienamente operativo, mostrano che la sua struttura rispecchiava quella della società feudale. Esso era cosí diviso: SERGENTI

Uomini liberi, che potevano essere o artigiani o agricoltori. Portavano il mantello marrone e disponevano di un cavallo.

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CAVALIERI

Provenienti dalla classe dei proprietari terrieri. I cavalieri indossavano il mantello bianco e disponevano di quattro cavalli.


SERVITORI

Civili che ricevevano vitto e alloggio presso le precettorie dell’Ordine in cambio del servizio.

SCUDIERI A ogni cavaliere era assegnato uno scudiero. Portavano il mantello nero o marrone e disponevano di un cavallo.

CAPPELLANI

I preti dell’Ordine.

Le autorità superiori dell’Ordine erano: IL GRAN MAESTRO Comandante supremo dell’Ordine.

IL SINISCALCO

Sostituto del Gran Maestro, che doveva subentrargli qualora questi rimanesse ucciso.

IL MARESCIALLO

Capo del versante militare delle attività dell’Ordine.

IL DRAPPIERE

IL TESORIERE

Responsabile delle finanze dell’Ordine.

IL VESSILLIFERO

Responsabile della fornitura degli abiti e della biancheria da letto.

Chi aveva l’incarico di portare in battaglia lo stendardo nero e bianco.

I MAESTRI E COMANDANTI PROVINCIALI

Ufficiali al comando delle province dell’Ordine, per esempio l’Inghilterra, la Scozia o l’Aragona.

I VISITATORI

Ispettori nominati dal Gran Maestro con il compito di visitare e ispezionare ciascuna provincia.

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Combatti e lavora La Regola alla quale i Templari dovevano attenersi conteneva prescrizioni precise e rigorose su tutti gli aspetti della vita quotidiana e sul comportamento da adottare. Affinché fossero sempre garantiti il buon nome e il decoro dell’Ordine

Due Templari in preghiera in una scena della serie televisiva Knightfall, nella quale si racconta l’epilogo della storia dell’Ordine, dalla persecuzione allo scioglimento.



L’ORDINE DEL TEMPIO

La vita quotidiana

L

a figura del Templare ha da sempre attirato la curiosità di molti: l’ibrido inedito e di difficile comprensione per la mentalità attuale, tra preghiera e bellicosità affascina tanti, forse anche troppi. Ci sono decine di gruppi di persone – sto parlando del XXI secolo – che si abbigliano come Cavalieri Templari, di cui conoscono a menadito la Regola e che ricostruiscono scrupolosamente abiti, armi, simboli e sigilli. Niente di male, sia chiaro: ma credo che ai piú sfugga la profonda religiosità che animò in primo luogo questi monaci, che erano certamente anche guerrieri, ma che seguivano una serie di regole che mettevano al primo posto la fede in Dio, l’obbedienza, la castità, la povertà. Tutto ciò traspare dalle norme, dagli orari, dai gesti che i monaci (cosí come altri religiosi del Medioevo) dovevano seguire: il motto benedettino dell’Ora et Labora può apparire forse meno affascinante. Ma bisogna provare almeno a fare uno sforzo, sostituendo quel Labora con Pugna: e dunque «Prega e lavora», ma «combattendo», beninteso. Cosí facendo, si dovrebbe tentare di accendere nella nostra mente l’immagine – pur con tutte le eccezioni e le debolezze umane possibili – di uomini disposti a tagliarsi i capelli, con una bella tonsura, svegliarsi prima dell’alba per cantare tutti insieme le lodi al Signore, rinunciare a passioni tipiche dei ragazzi del tempo – come la caccia –, bere con moderazione, dimenticare amplessi focosi o amori romantici, mangiare carne appena tre volte alla settimana: insomma, tutto il contrario di quanto facevano i cavalieri! Ciò che invece colpisce del Templare, dimenticando quanto è stato sinora descritto, è forse il fatto che essi vengano per lo piú rappresentati con quello che potremmo chiamare «l’abito da lavoro» e non con quello da «preghiera», nell’atto di pugnare piú che in quello di orare. E questo lo esprimevano bene e da subito i precettori a coloro che, affascinati da tutto ciò – ieri, ma anche oggi –, chiedevano di poter accedere all’Ordine: «Caro fratello, chiedi una cosa molto grande, poiché del nostro Ordine non scorgi che l’apparenza. Tu infatti vedi bei cavalli e luccicanti armature, cibi squisiti e vini pregiati, vestiti eleganti, e quindi pensi che con noi starai molto bene. Ma ignori i duri comandamenti che si nascondono dietro tutto ciò: sarà infatti penoso per te, che sei padrone di te stesso, farti servo degli altri. Da qui in avanti sarà dura per te fare ciò che vuoi: se infatti vorrai restare di qua dal mare, ti si manderà di là; se vuoi stare ad Acri, sarai mandato a Tripoli o ad Antiochia, o in Armenia;

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Sulle due pagine vignette ottocentesche che evocano i principi dell’Ordine del Tempio. Nella prima, in alto, un Templare giura sulla sua spada di combattere i nemici della fede cattolica; nella seconda, due cavalieri giurano davanti a Dio che non obbediranno ad altri che al Gran Maestro.

e anche in Apulia, in Sicilia, in Lombardia o in Francia, in Borgogna o in Inghilterra, o in una delle numerose terre dove abbiamo commende e possedimenti. E se vorrai dormire, dovrai vegliare; e se qualche volta vorrai vegliare, ti sarà ordinato di andare a riposare nel tuo letto» (dal testo della cerimonia di ammissione all’Ordine).

L’accoglienza non sia immediata

Conditio sine qua non per diventare Templari è naturalmente quella di essere battezzati, a cui si aggiungono l’essere animati da una grande fede in Dio, il voler difendere il papa, e il coraggio di affrontare la morte per proteggere la Chiesa di Roma. L’articolo 11 della Regola sia la premessa a quanto seguirà: «Se un cavaliere, o qualunque altro uomo, desidera separarsi dalla massa dei dannati, abbandonare la vita secolare e scegliere la vostra vita comunitaria, non accoglietelo immediatamente, poiché l’apostolo san Paolo disse: (segue a p. 62)



L’ORDINE DEL TEMPIO

La vita quotidiana

B A

ALLE ORIGINI DEL NOME Il nome dell’Ordine dei Templari deriva dal fatto che la loro prima sede fu stabilita a Gerusalemme, presso l’area in cui sorgeva l’antico Tempio di Salomone. A dire il vero, la dicitura esatta della nuova «congregazione» era «Poveri commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone». Intorno al 440 a.C., grazie a Esdra e Neemia, venne fondato il nuovo regno di Giuda, al tempo del Secondo Tempio, che occupava la vetta dell’Ophel, un rilievo a forma di clava, la cui parte bassa, detta Sion, corrisponde al primo nucleo della città, mentre su quella piú alta, il monte Moriah, si trovava la Spianata del Tempio, oggi occupata dalla Cupola della Roccia. Alla metà del II secolo a.C. i cittadini piú aperti al processo di ellenizzazione decisero di costruire una nuova città, che si sviluppò dunque tra la valle del Tyropeon e quella di Innom, mentre sulla zona dell’Ophel rimase il Tempio, presso il quale sorse però una fortezza, detta Baris, con quattro torri angolari, una delle quali fu detta di Stratone. Gerusalemme fu assediata nel 63 a.C. da Gneo Pompeo e «in uno stesso momento perdemmo la nostra libertà, fummo asserviti alla dominazione romana e costretti a ridare indietro il territorio che avevamo conquistato con le nostre armi», scrisse lo storico Flavio Giuseppe (I secolo d.C.) nella Guerra Giudaica. I Romani sferrarono l’attacco finale nel giorno di sabato: le mura cedettero e il Tempio fu invaso, ma i sacerdoti continuarono il rito, come se nulla fosse accaduto. Pompeo entrò nel Sancta Sanctorum, ma, stando alle fonti, non toccò il Tempio e i suoi tesori. Si deve però a Erode il Grande la costruzione della nuova Gerusalemme, con un cantiere colossale che interessò tutta la città. Edificò innanzitutto

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MOSCHEA AL-AQSA


un palazzo per sé, difeso da tre robuste torri, un teatro, forse uno stadio, un muro interno a protezione della Città Alta e fortificò la porta delle seconde mura. Ma sul monte del Tempio volle perpetuare il proprio nome, edificando un nuovo Tempio: «Chi non ha visto il Tempio costruito da Erode non ha mai visto un edificio realmente bello», si legge nel Baba Batra (uno dei trattati facenti parte del Talmud). Erode fece raddoppiare la spianata, la circondò di mura e di portici, il piú caratteristico dei quali fu il «Portico Reale», che Erode fece unire alla Città Alta da un nuovo ponte, oggi noto con il nome del suo scopritore, l’Arco di Robinson. Ricostruí il Tempio con dimensioni colossali, adornato con pietre magnifiche e, per assicurarsene il controllo, trasformò il castello di Baris in una fortezza inespugnabile, che chiamò Antonia in onore di Marco Antonio. Tutto ciò fu raso al suolo nel 70 d.C. durante l’assedio portato da Tito – figlio del nuovo imperatore Vespasiano –, in seguito alla rivolta scoppiata dopo che «gli addetti al culto si rifiutarono di offrire sacrifici in favore di quel popolo e di Cesare». I Romani aprirono una breccia nelle mura esterne il 25 maggio, poi, il 30 maggio, superarono le seconde mura. Il 16 giugno attaccarono la Fortezza Antonia. L’assedio si protrasse per tutta l’estate, finché, il 6 agosto, cessarono i sacrifici nel Tempio: dopo una decina di giorni, i Romani diedero fuoco ai portici. Infine, dopo aver innalzato una scala contro il muro interno del Tempio, i Romani penetrarono nel Sancta Sanctorum e, il 28 agosto, gli diedero fuoco. L’intera popolazione di Gerusalemme venne fatta prigioniera e gli edifici furono rasi al suolo: del Tempio rimasero appena le fondamenta che corrispondono a quello che oggi chiamiamo il Muro del Pianto. Da quella memoria i Templari trassero il loro nome.

SCUDERIE DI SALOMONE Nella pagina accanto, in alto Gerusalemme. La Spianata delle Moschee (in arabo, al-Haram al-Sharif, «nobile recinto sacro»), con la moschea al-Aqsa (A) e le cosiddette «scuderie di Salomone» (B).

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L’ORDINE DEL TEMPIO

La vita quotidiana

“Probate spiritus si ex Deo sunt”, ovvero “Mettete alla prova il loro spirito per vedere se esso proviene da Dio”. Ma prima che gli sia concessa la compagnia dei Confratelli, fate in modo che gli sia letta la regola, e se desidera obbedire sollecitamente ai precetti della regola, e se il Maestro e i Confratelli sono disposti ad accoglierlo, lasciate che manifesti il proprio desiderio dinanzi a tutti i Confratelli riuniti nel Capitolo e che esponga con purezza di cuore, la sua richiesta». La Regola primitiva inizia infatti in modo inequivocabile, mettendo al centro il servizio dei cavalieri al Re Supremo, pronti «a seguire coloro che Dio, nella sua grande pietà, ha destinato alla difesa della Santa Chiesa» (art. 1). Il primo passo da fare è la professione di fede (art. 2): credi nella Santissima Trinità? Sei pronto a combattere in nome dell’Amore di Gesú? Sei pronto a difendere i piú umili, i poveri, i barboni, i bambini, le vedove, gli orfani? Ecco, allora puoi essere un Templare. Se sei un vanaglorioso che (segue a p. 66) Miniatura raffigurante il Gran Maestro Gerard de Ridefort che assolda un gruppo di soldati, da un’edizione del Romanzo di Goffredo di Buglione di Guillaume de Tyr illustrata dal Maestro di Fauvel. 1337. Parigi, Bibliothèque nationale de France.

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TUTTI I GRANDI MAESTRI DELL’ORDINE Quella di Gran Maestro era la piú alta carica dell’Ordine dei Templari e poteva essere mantenuta a vita o lasciata a un successore per abdicazione. I Grandi Maestri dei Templari furono in tutto ventitré e il primo Maestro Generale fu anche il loro fondatore, Ugo de Payns. Il Gran Maestro doveva sovrintendere a tutte le operazioni militari e finanziarie sostenute dall’Ordine, tanto in Terra Santa quanto in Europa. Piú di un articolo della Regola riguarda il Gran Maestro che, all’interno dell’Ordine, era ovviamente la figura piú potente. Ecco dunque le norme principali che regolavano le sue prerogative: «Il maestro ha diritto a quattro cavalli, un cappellano, un chierico con tre cavalli, un sergente con due cavalli e un valletto di nobile lignaggio con un cavallo che porta il suo scudo e la sua lancia; se lo desidera il maestro può fare cavaliere il valletto che lo ha servito per un certo periodo; ma ciò non dovrebbe accadere troppo spesso. Ha diritto poi a un maniscalco, uno scrivano saraceno, un turcopolo (arciere a cavallo, n.d.r.) e un cuoco; e può avere due fanti e un turcomanno che deve essere sempre sorvegliato nella carovana. E quando il maestro va a cavallo da un luogo all’altro il turcomanno deve essere scortato da uno scudiero a cavallo; al ritorno del maestro, il turcomanno deve tornare nella carovana e


TEMPLARE durante i periodi di guerra rimane al suo seguito. Inoltre quando il maestro si reca a cavallo da un luogo all’altro, può portare con se due bestie da soma. E tali bestie da soma saranno al suo seguito, sia nell’accampamento sia al pascolo. E durante il tempo di guerra il maestro può disporre di quattro bestie da soma, e anche quando deve varcare il fiume Giordano o la Gola del Cane. Ma quando il maestro è nel convento, le bestie da soma devono tornare nelle stalle ed essere impiegate al servizio della casa. Il maestro ha diritto a essere accompagnato da due cavalieri, tanto valorosi da meritare di prendere parte anche ai consigli ristretti, cui partecipano solo cinque o sei fratelli; e spetta loro la stessa razione di orzo del maestro. E mentre i fratelli del convento hanno diritto a una razione (di orzo) ogni dodici cavalli, il maestro ne ha una ogni dieci. E durante il tempo di guerra, quando i cavalieri escono dalla casa, le scorte (di orzo) sono messe in comune e possono essere aumentate o diminuite solo per ordine del capitolo, Lo stesso vale per l’olio e per il vino. Finché gli animali sono al pascolo il maestro può ridurre le razioni di orzo, ma quando l’erba viene a mancare, le razioni devono rimanere invariate. Nel caso che Dio chiami a sé uno dei compagni del maestro, questi può tenere ciò che gli aggrada del suo equipaggiamento e consegnare il resto al maresciallo per la carovana. Il maestro non deve avere le chiavi o il lucchetto del tesoro. Tuttavia può tenere all’interno del tesoro un forziere per custodirvi i propri gioielli; e quant’altro gli venga donato dovrà essere custodito nel tesoro. Il maestro può dare in prestito i beni della casa fino a mille bisanti, con il consenso di alcuni dei fratelli piú valorosi; se desidera dare in prestito somme piú ingenti dovrà avere l’approvazione della maggioranza dei fratelli piú valorosi. Il maestro può donare cento bisanti o un cavallo a un nobile amico della casa; o anche un calice d’oro o d’argento, o una pelliccia di vaio o altri oggetti preziosi del valore di non piú di cento bisanti, purché il dono vada a vantaggio della casa; e il maestro può fare tali doni solo con il consenso dei suoi compagni e degli uomini piú valorosi, sempre a vantaggio della casa. Ogni tipo di arma può essere donato, tranne la lancia, la spada e il giaco (indumento in maglia d’acciaio che copriva il corpo e le braccia e scendeva fino alle cosce, n.d.r.)». Alcuni Grandi Maestri guidarono personalmente in battaglia i cavalieri Templari: nel 1153, per esempio, il Gran Maestro Bernard de Tremelay condusse una sortita di 40 cavalieri per sfuggire all’assedio di Ascalona, mentre nel 1189, dopo la presa di Acri da parte del Saladino, il Gran Maestro Gerard de Ridefort fu catturato

Miniatura raffigurante l’assedio di Ascalona (1153) e, in basso, Baldovino III e i suoi cavalieri riuniti davanti alla Vera Croce, da un’edizione de Les Passages d’outremer faits par les François... 1474-1475 circa. Parigi, Bibliothèque nationale de France.

e decapitato coi suoi dal Saladino. Nel corso dell’assedio di Acri del 1291, Guglielmo di Beaujeau uscí dalla città alla testa di 300 dei suoi, con lo scopo di distruggere le macchine d’assedio che circondavano la città. Ecco dunque l’elenco dei Grandi Maestri dell’Ordine. Ugo di Payns (1119-1136), fondatore ufficiale dell’Ordine e primo Gran Maestro. Roberto de Craon (1136-1147), sotto il suo mandato l’Ordine venne esentato dal pagamento delle tasse e reso indipendente dalla giurisdzione ecclesiastica.

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L’ORDINE DEL TEMPIO

La vita quotidiana

I GRANDI MAESTRI verardo di Barres (1147-1149), precettore dei E Templari in Francia, divenne Gran Maestro nel 1147. Fu il primo ad abdicare per entrare a Clairvaux come monaco. Guglielmo di Tiro narra che, durante l’assedio di Ascalona, «Everardo di Barres con i suoi confratelli, entrò per primo. E fece cosí per procurarsi piú bottino in città. Era questa un’abitudine corrente in terre d’Outremer, per indurre i combattenti a fare coraggiosamente il loro dovere, spinti dalla cupidigia. Quando veniva presa una fortezza, ciascuno poteva tenere per sé e per i suoi eredi tutto ciò che riusciva a strappare al nemico e ad Ascalona c’erano tante ricchezze da poter rendere tutti quanti ricchi. Se solo avessero potuto entrare, perché talvolta succede che le cose cominciate con intenzioni cattive, hanno un esito infausto, come fu dimostrato in quella occasione. Infatti i Turchi, che dapprima erano rimasti intimoriti, videro che nessuno seguiva coloro che erano penetrati in città. E cosí presero coraggio e li attaccarono da tutti i lati: i Templari, che erano pochissimi, non furono in grado di difendersi e furono tutti uccisi». Bernardo di Tremblay (1149-1153), dopo aver ricostruito la fortezza di Gaza avrebbe tentato di impadronirsi di Ascalona rimanendo sopraffatto dalle truppe del sultano d’Egitto. Andrea di Montbard (1154-1156), primogenito del conte di Montbard, era nientemeno che lo zio di

Tavole realizzate da Gustavo Doré per un’edizione illustrata della Storia delle crociate di Joseph-François Michaud. 1884. In alto, Riccardo Cuor di Leone fa giustiziare per rappresaglia i prigionieri dell’esercito di Saladino; a sinistra, l’assedio di San Giovanni d’Acri (1189-1191). Bernardo di Clairvaux, in quanto fratellastro della madre del santo, Alita de Montbard. Andrea fu tra i primi Templari assieme al fondatore, un ristretto gruppo di nove, e nel corso della sua carriera ricoprí piú volte il ruolo di siniscalco. Bertrando di Blanchefort (1156-1169), a lui si devono importanti riforme dell’Ordine, tra cui i Retraits che gerarchizzarono la struttura del Tempio. Philippe de Milly (1169-1171), per motivi sconosciuti lasciò la carica di Gran Maestro nel 1171, dopo aver partecipato alla difesa di Gaza. Oddone di Saint-Amand (1171-1179), propugnatore della costruzione della fortezza di Le Chastellet, fu catturato e decapitato dal Saladino. Arnoldo di Torroja (1181-1184), è l’unico Gran Maestro di cui si conosca la sepoltura, conservata nel loggiato trecentesco della chiesa di S. Fermo Maggiore a Verona. Nel 2018, infatti, è giunta la conferma dell’esame del DNA svolto sui resti presenti in un 64

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sarcofago in pietra. La tomba era stata scoperta qualche tempo prima e una grande croce patente, su uno dei lati del sarcofago in pietra, aveva da tempo attirato l’attenzione degli studiosi che, combinando fonti storiche e archeologiche, sono piuttosto sicuri che si tratti della tomba del Gran Maestro di origini catalane, morto il 30 settembre del 1184 proprio a Verona. Gerardo di Ridefort (1185-1189), fu catturato e decapitato nel corso dell’assedio di Acri. Roberto di Sablé (1191-1193), non era neppure un Templare, ma un semplice cavaliere, quando venne scelto come Gran Maestro. Gilberto Hérail (1193-1200), originario dell’Aragona, tentò di mantenere la pace stipulata tra re Riccardo Cuor di Leone e il Saladino. Philippe de Plaissis (1201-1208), partito dall’Angiò come semplice crociato nel 1189, entrò nell’Ordine una volta giunto in Palestina. Guglielmo di Chartres (1209-1219), morí di peste durante l’assedio di Damietta. Pietro di Montaigu (1219-1232), grazie ai suoi successi gli vennero restituiti alcuni frammenti della Vera Croce. Armand de Périgord (1232-1245), quando fu eletto era maestro della provincia di Sicilia-Calabria sotto Federico II. Sulla sua sorte le fonti divergono: non si sa se venne ucciso o catturato nel corso della battaglia di La Forbie. Riccardo di Bures (1245-1247), forse rivestí temporaneamente la carica come «reggente», dopo la morte del suo predecessore, in attesa di essere eletto ufficialmente. Guglielmo di Sonnac (1247-1250), morto nella battaglia di al-Mansura. Matteo Paris lo descrive come «un uomo discreto e circospetto, che era anche abile ed esperto negli affari di guerra». Rinaldo di Vichiers (1250-1256), un Gran Maestro molto amico di Luigi IX, re di Francia. Tommaso Béraud (1256-1273), forse l’unico Gran Maestro di origini italiane. Alcuni infatti hanno proposto di estendere il suo cognome con quello della famiglia abruzzese dei Berardi, ma la notizia non è certa. Guglielmo di Beaujeu (1273-1291), il Gran Maestro che perse la vita nell’interminabile assedio di Acri Tebaldo Gaudin (1291-1292), detto «il Monaco», entrò molto giovane nell’Ordine, nel 1260 fu catturato a Tiberiade. Al momento dell’elezione era tesoriere. Jacques de Molay (1292-1314), l’ultimo Gran Maestro e forse il piú famoso per la tragica vicenda che lo vide coinvolto nel processo che lo condusse al rogo.

Jacques de Molay, l’ultimo Gran Maestro dell’Ordine del Tempio, in un’acquatinta dei primi dell’Ottocento, da un originale realizzato per l’opera di André Thevet, Les vrais pourtraits et vies des hommes illustres (1584). Parigi, Bibliothèque nationale de France. TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

La vita quotidiana

vuole entrare solo per uccidere e sei affascinato dall’elmo e dalla spada, non hai capito nulla del messaggio evangelico! Al mattino non si poltrisce certo nel letto, ma ci si sveglia presto, per «ascoltare il mattutino e l’intero ufficio secondo la legge canonica e le usanze dei maestri regolari della Città Santa di Gerusalemme» (art. 9). Non ci sono scusanti neppure per coloro che magari il dovere ha tenuto fuori negli orari convenuti per la preghiera: infatti «se un fratello è impegnato lontano per conto della casa cristiana d’Oriente – il che crediamo avvenga spesso – e non potrà ascoltare l’ufficio divino, reciterà tredici paternoster in luogo del Mattutino, sette per ogni ora canonica e nove in luogo dei Vespri. Ciò affermiamo unanimemente. Tuttavia laddove sia possibile, il fratello

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impegnato per tali necessità le cui circostanze impediscono di tornare in tempo per ascoltare l’ufficio divino, dovrà rispettare le ore canoniche per dare a Dio ciò che gli è dovuto» (art. 10). L’Ordine sconsiglia vivamente a un ragazzo di entrare a far parte dei Templari, e cerca di dissuadere in tutti i modi anche i genitori, che dovranno comunque nutrire il figliolo fino a che non sarà maggiorenne e in grado di combattere adeguatamente. Precauzioni efficaci per evitare che vengano portati in monastero figli magari illegittimi o indesiderati, tutelando bambini che probabilmente non nutrono alcun interesse per una carriera militare e di preghiera, che potrebbe rivelarsi del tutto inadatta a loro: «È molto meglio che non prenda i voti da bambino, ma solo

Jacques de Molay conquista Gerusalemme, 1299, olio su tela di Claude Jacquand. 1846. Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon. L’opera ricostruisce un evento immaginario: il Gran Maestro, infatti, non si trovava nella Città Santa.


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L’ORDINE DEL TEMPIO

La vita quotidiana

QUELLA FAMA CATTIVA, MA IMMERITATA

Probabile conseguenza della leggenda nera dei Templari è anche un curioso modo di dire che li vuole avari e particolarmente mondani, sodomiti, e dediti ai vizi, tra i quali anche quello del gozzovigliare e – nello specifico – del bere smodatamente. Riguardo all’avidità il problema dovette sorgere dal fatto che, in quanto detentori di banche, i Templari maneggiarono per un paio di secoli ragguardevoli cifre di denaro che, alla fine, attirarono l’attenzione del re di Francia, Filippo il Bello. Per il mangiare e il bere il discorso è un altro: in quanto monaci, i Templari dovevano essere parchi, e, in quanto guerrieri, certamente sobri, anche se nella Regola

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proposta da Bernardo di Chiaravalle, al paragrafo 25, è scritto che «è opportuno che ogni fratello riceva nella propria coppa la medesima quantità di vino». Al paragrafo 30, quello che riguarda la colazione, si precisa ancora che «se [il Templare] ordina che sia distribuita acqua, o, misericordiosamente, vino diluito, distribuitene con giudizio. Poiché invero occorre prenderne con moderazione e senza eccedere. Come disse Salomone: “Quia vinum facit apostatare sapientes”. Ovvero: “Il vino turba i sapienti”». Nel corso del Cinquecento prese sempre piú piede, in Francia, il modo di dire «Bere come un Templare!»,


Nella pagina accanto capolettera miniato raffigurante un monaco addetto alle cantine che assaggia il vino mentre lo sta spillando da una botte, da un’edizione realizzata in Francia dei Livres pour la santé garder di Aldobrandino da Siena. Fine del XIII sec. Londra, British Library. stante a significare, appunto, bere in modo eccessivo. Tra il 1532 e il 1564 François Rabelais pubblicò i cinque libri che compongono il romanzo Gargantua e Pantagruel, un’opera satirica, mordace e a tratti triviale. Dopo innumerevoli peripezie, i protagonisti del racconto giungono in un tempio, sulle cui pareti è rappresentata la vittoria di Bacco, dove la sacerdotessa Bacbuc li conduce dinnanzi all’Oracolo, il cui responso è «Trinch!», parola che in inglese antico significa «Bevi, trinca!». Ora i tre personaggi iniziano a vantarsi delle loro capacità di bevitori e uno afferma che «beve come una spugna», un altro che «è una terra senz’acqua» e un terzo che «beve come un Templare!». Trent’anni piú tardi, nella Chronique de Savoye, Guillame Paradin rincarava la dose, affermando che i Cavalieri del Tempio «erano quelli che riempivano meglio la pancia, con la piú gran reputazione tra loro; e per questo si dice ancor oggi “Bere come un Templare”, che è un proverbio da taverna». L’idea dei Templari inclini ad alzare il gomito è giunta sino all’Ottocento: riferendosi a un parroco non proprio integerrimo, la scrittrice francese George Sand (al secolo, Aurore Dupin) affermava che «giura come un Dragone e beve come un Templare», evidentemente riferendosi a soldatacci. E anche Walter Scott, nel suo celebre Ivanhoe, dipinse piú volte i Templari e gli Abati come quelli che «amano bere buoni vini e la buona misura! Dovrebbero bere solo acqua, ma ora “Bere come un Templare” è il vanto di ogni gaudente». Forse, alla radice di questo motto c’è una «L» di troppo. Alcuni linguisti francesi, infatti, tra Sette e Ottocento, proposero come spiegazione che il proverbio era in realtà la corruzione di «Bere come un Vetraio», come un «Bicchieraio» e non come un «Templare». In francese, infatti, temprier significava proprio vetraio, sinonimo di bicchieraio (verrier), un tipo di lavoro che costringeva questi operai a stare lungo tempo dinnanzi al fuoco, inducendoli a bere molta acqua. Oppure l’associazione era che questi tempriers, alla fine della giornata lavorativa, si trovavano attorniati da cosí tanti e tanti bicchieri che potevano, immancabilmente, riempire con del buon vino? Che sia vero o no, il proverbio ha avuto successo fino ai giorni nostri perché, curiosando tra siti enologici, sono davvero molti (forse troppi!) i vini, bianchi e rossi, che associano il loro nome a quello dei cavalieri del Tempio di Salomone. Prosit!

quando è piú grande, ed è meglio se non se ne pente, che se lo fa. A partire da quel momento colui che ha chiesto di entrare nella confraternita, sia esaminato con equità dal maestro e dai cavalieri» (art. 14). Che in chiesa ci sia almeno un po’ di decoro: per quanto «soldati» di Cristo, non si deve cantare a squarciagola, non si rimane in piedi se non è il momento, si segue la liturgia in silenzio, per non disturbare gli altri. Poi si deve cantare, non ci si può vergognare: dunque «cantino il salmo che inizia con Venite, l’invitatorio e l’inno, rimanendo seduti; e preghino quietamente, a voce bassa, in modo da non disturbare le preghiere dei fratelli (art. 15). Ma alla fine dei salmi, quando si canta il Gloria, (...) vi alzerete inchinandovi verso l’altare, mentre i deboli e gli infermi abbasseranno il capo. Questo vi comandiamo; in piedi ascolterete la spiegazione del Vangelo, e canterete il Te deum e le altre tre laudi, fino alla fine del mattutino. Noi stessi vi comandiamo dunque di restare in piedi in questi momenti del mattutino e in tutte le ore dedicate alla Madonna» (art. 16).

Abiti sobri e capelli corti

Anche l’abbigliamento è rigorosamente regolato: ci troviamo in un monastero che è al contempo una caserma ed è dunque prevista una divisa, uguale per tutti. Il mantello bianco rappresenta la castità, a cui i Templari devono attenersi: niente donne, né in monastero né in caserma: «La castità rende il cuore saldo e il corpo sano. Poiché il fratello che non farà voto di castità non potrà pervenire alla pace eterna, né vedere Dio» (art. 17). Non si possono abbellire gli abiti con orpelli o altro e se qualcuno infrange la norma e ne pretende uno migliore «gliene venga dato uno peggiore». (artt. 18 e 19). Niente scarpe all’ultima moda, né capelli lunghi o abiti stravaganti: «proibiamo l’uso di stringhe e di scarpe appuntite in qualunque circostanza. Poiché è risaputo che tali cose abominevoli appartengono ai pagani. Né avranno capelli o abiti troppo lunghi. Poiché coloro i quali servono il Supremo Creatore devono di necessità essere mondi dentro e fuori» (art. 21). «Neanche i finimenti dei cavalli siano impreziositi, o ci siano inutili foderi di spade o lance» (artt. 52 e 53). E per dormire bastano e avanzano un cuscino e una coperta (art. 20). A tavola si mangia tutti insieme, ma, naturalmente, in silenzio: ci sono gesti con cui chiedere le cose. E se questi gesti ancora non sono stati imparati se «ne farà richiesta a bassa voce ai propri commensali, con umiltà e sottomissione» (art. 23). E, quando è possibile, un confratello legga la Parola di Dio cosí da accompagnare il pasto (art. 24). TEMPLARI

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UN CAVALLO PER DUE Sul sigillo dei Templari sono stati versati i proverbiali fiumi di inchiostro. Il simbolo è noto: due cavalieri a dorso di un solo cavallo. Nel 1259 il vescovo di Lucca descrisse cosí il sigillo del Maestro Tommaso Béraud: «Immagine di un cavallo che porta due immagini di uomini che tengono le lance e gli scudi, con queste lettere: SIGILLUM MILITUM XRI», cioè Sigillo dei Cavalieri di Cristo. Il messaggio sembra abbastanza chiaro: due superbi, come erano i milites, non possono cavalcare su di una sola sella, su di un solo cavallo, dal momento che entrambi vorranno sedere davanti, per tener le briglie. Chi mai vorrebbe starsene seduto dietro? Il sigillo ha comunque un carattere simbolico, dal momento che la Regola, all’articolo 315, chiarisce che «nessun confratello deve, senza permesso, far correre il proprio cavallo per mezza corsa portando un’altra persona». Come ha scritto Franco Cardini, la chiave interpretativa del sigillo è «la scelta estrema dell’umiltà. Il vero Templare deve rinunciare a tutti i privilegi della condizione di cavaliere, persino a quelli d’immagine. Anche in questo caso il cavaliere templare si comporta come un cavaliere «anti-eroico», coraggiosamente disposto a identificarsi con un’immagine socialmente impossibile e decisamente umiliante». Qualcuno ha voluto intravedere nel

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simbolo la duplice natura di Cristo, umana e divina, e altri la duplice natura dell’Ordine, militare e religioso. Altre spiegazioni dipingevano il sigillo come simbolo di povertà, stante a significare che i Templari non potessero permettersi un cavallo ciascuno e che dovessero condividere la cavalcatura con un confratello. Al di là della difficoltà posta dall’articolo 315, anche un altro articolo della Regola viene in soccorso, ed è il 138, che recita che «ciascun confratello cavaliere deve avere tre cavalli e uno scudiero; un quarto cavallo poteva essere assegnato, con un eventuale secondo scudiero, a discrezione del Maestro». Ma oltre a ciò, sempre Franco Cardini ha mostrato un’altra possibilità interpretativa, trovando un exemplum nella Vita di uno dei Padri del Deserto. Nella Vita di Sant’Arsenio del V secolo, infatti, si legge un racconto molto interessante che calza a pennello col problema che un sigillo come il nostro può porre. L’abate Arsenio, che lasciò la corte di Bisanzio per vivere come un eremita nel deserto d’Egitto, vide due uomini a cavallo che portavano sulle spalle, di traverso, una lunga trave di legno. Entrambi volevano entrare nel Tempio, ma non riuscivano a varcare insieme la porta. Nessuno dei due accettò, umiliandosi di lasciare il posto all’altro. E cosí rimasero fuori dal Regno dei Cieli a causa della loro superbia.

A sinistra, in alto e in basso sigilli dei Templari, databili fra il 1255 e il 1259. Parigi, Achives Nationales. Sulle due pagine foglio di un’edizione manoscritta dei Chronica Majora di Matteo Paris in cui compare un disegno raffigurante due Templari in sella al medesimo cavallo. XIII sec. Cambridge, Corpus Christi College.


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La vita quotidiana

PUGNALE ELMO A CAPPELLO MAZZA FERRATA

SCURE

SPADA ELMO CON NASALE LE ARMI DEI TEMPLARI

Un Templare e il suo sergente (a sinistra). I sergenti, uomini liberi, potevano essere artigiani o agricoltori. Portavano il mantello marrone e disponevano di un cavallo.


Vari tipi di scudi utilizzati dai Templari e, in basso, i cavalieri con il loro equipaggiamento.

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La vita quotidiana

La Regola primitiva prevede che si usi un piatto ogni due monaci, e si riceva la stessa quantità di vino (art. 25). La carne, che tanto piace ai cavalieri, si mangerà – come gli altri Ordini monastici – tre volte alla settimana e durante le feste comandate: negli altri giorni le proteine saranno assunte grazie a fave, fagioli o ceci. La domenica, invece, che è il giorno in cui si festeggia la Resurrezione, i fratelli mangeranno due pasti di carne, i sergenti e gli scudieri uno solo (artt. 26 e 27). Di venerdí si mangia poco e in bianco: per onorare la passione di Gesú e si segue un digiuno da Ognissanti a Pasqua (art. 28). Guai a sprecare il cibo: il pane non consumato andrà portato ai poveri, e un decimo del pane che spetta ai Templari verrà dato comunque all’elemosiniere che lo porterà ai piú bisognosi (art. 29). Al tramonto, al suono della campana, un’altra preghiera: poi verrà distribuita un po’ d’acqua, forse con un poco di vino (art. 30). Dopo di che non si può piú parlare: la giornata è finita e si va a dormire, in silenzio! (art. 31). Non ci si azzardi a prendere regali e tenerli per sé, anche se fossero un salame o una caciotta... Prima si dà al Maestro il quale deciderà che farne: «Se infatti un laico dona a un fratello, per riconoscenza, qualche alimento, per esempio della carne, il fratello lo consegnerà al Maestro o al vivandiere. Ma se un parente o un amico desidera donare qualcosa al fratello e a non altri che a lui, questi non potrà accettare il dono senza il permesso del Maestro o di chi ne fa le veci. Inoltre se qualche parente invia alcunché a un fratello, il dono non gli sarà consegnato senza il permesso del Maestro o di chi ne fa le veci» (art. 44). Era, insomma, una vita all’insegna dell’obbedienza. Nella quale non si deve dimenticare il rispetto, soprattutto per i confratelli vecchi e per quelli malati: bisognerà aiutarli, lavarli e servirli (artt. 60 e 61). E quando muore un confratello si deve dire una messa per la sua anima (art. 62), senza dimenticare di continuare a mantenersi saldi in Cristo, recitando la Professione di fede notte e giorno (art. 63).

Una scelta rivoluzionaria

Molte altre norme riguardano invece la vita pratica, da miles, e sono quelle che hanno sempre attirato le maggiori attenzioni, mettendo in secondo piano gli articoli concernenti il tempo dedicato alla preghiera su cui invece ci siamo soffermati finora. L’attenzione alle norme legate al mondo militare è stata talvolta interpretata come un prevalere dell’aspetto bellico su quello religioso. Ma si deve 74

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Un’altra sequenza della serie televisiva Knightfall, la cui vicenda prende avvio all’indomani della caduta di San Giovanni d’Acri, nel 1291.

riflettere sul fatto che, innanzi tutto, si trattava di una novità: regolamentare norme di comportamento militare all’interno di un codice monastico era un fatto rivoluzionario, e una tale minuziosità serviva probabilmente anche a chiarire agli aspiranti Templari che il clima a cui l’Ordine era improntato era ben diverso da quello cavalleresco, che aveva regole proprie e che qui era spesso bandito: niente individualismi, niente sfarzo, niente


vanti. Va peraltro sottolineato che i primi articoli chiariscono come tutto questo venga fatto per la gloria del Re dei Re, Gesú Cristo, e la fede occupa uno spazio ben maggiore, non tanto nel testo, quanto di fondo. Se, infatti, si combatte per la vanagloria – si legge –, allora tanto vale lasciar perdere. La Regola chiarisce la cura da dedicare alle cavalcature, la difesa del gonfalone – il beauceant –, l’assoluto rispetto della gerarchia, «senza

porre tempo in mezzo, come se l’ordine provenisse da Dio in persona» (art. 39). La vanagloria viene bandita anche nei cavalli: i Templari ne possono possedere solo tre; eventualmente un quarto cavallo può essere dato a discrezione del Maestro (art. 138). Bisogna capire che stiamo parlando di strumenti adatti al loro servizio, l’equipaggiamento necessario per svolgere degnamente la loro missione di difesa dei pellegrini e della Terra Santa. TEMPLARI

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Case, chiese e castelli


Sebbene la culla dell’Ordine templare fosse stata la Terra Santa, ben presto i cavalieri, cresciuti di numero, estesero i propri domini. Dando vita a una rete di possedimenti che dall’Oriente spaziava a molte aree dell’Europa

Siria. Uno scorcio dal Krak des Chevaliers, situato presso Homs, sulla cima di una collina isolata a circa 700 m di quota, in collegamento visivo con il vicino Chastel Blanc (Safita).


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in dal primo anno di vita del loro Ordine, i Templari furono coinvolti nella costruzione di diversi tipi di edifici. Quando infatti Baldovino II concesse il Monte del Tempio ai Templari, come loro sede, nel 1120, li autorizzò a disporre dell’area come meglio desideravano. Vent’anni piú tardi, un privilegio dava loro la possibilità di costruire le proprie chiese e le tombe dei confratelli. Infine, agli inizi del XII secolo, i monaci guerrieri iniziarono a costruire nuove fortificazioni per controllare le aree di loro pertinenza e per soccorrere i pellegrini diretti ai Luoghi Santi. I Templari edificarono in Terra Santa almeno una quarantina di castelli, di dimensioni e importanza assai diverse, per lo piú a difesa delle vie di comunicazione, battute dai pellegrini, ma anche a ridosso dei confini nemici, cosí da poter controllare il territorio e organizzare periodicamente operazioni di difesa, di scorta, di soccorso o di attacco. Dopo i primi entusiasmi legati alla conquista di Gerusalemme, gli Europei si trovarono infatti nella condizione di dover difendere i territori acquisiti e, per farlo, sfruttarono

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Sulle due pagine i resti del Toron dei Cavalieri, presso Latrun (Israele). In basso miniatura raffigurante il Saladino con il suo esercito, da un’edizione francese dell’Historia Rerum in Partibus Transmarinis Gestarum di Guillaume de Tyr. Metà del XIII sec. È possibile che la rappresentazione a dimensioni simili a quelle di un gigante rifletta il terrore che il condottiero ayyubide incuteva. Nella pagina accanto carta dei possedimenti templari in Terra Santa.


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Sulle due pagine un’altra veduta del Krak des Chevaliers (Siria). Fondato dall’emiro di Homs nel 1031, passò piú volte di mano, fino a che, nel 1142, il conte Raimondo II di Tripoli lo cedette agli Ospitalieri, che rafforzarono e ampliarono le fortificazioni. Nella pagina accanto il castello di Margat, posto a controllo della valle della Nekaa.

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molte delle fortificazioni preesistenti, per lo piú di epoca bizantina, spesso già rimaneggiate, nei secoli precedenti, dagli Arabi e dai Turchi. Sulla strada che conduce da Giaffa a Gerusalemme, i Templari ereditarono il castello detto Castrum Arnaldi, costruito dal patriarca della Città Santa ma poi donato ai cavalieri. La via che invece conduceva al sud era protetta dal Toron dei Cavalieri, detto anche Latrun. L’edificio castrale era stato costruito dal conte Rodrigo González di Toledo tra il 1137 e il 1141, durante un pellegrinaggio armato, ma fu poi donato ai Templari. Lungo la strada che conduceva a Gerico, invece, i Templari si impegnarono nell’edificazione del castello di Maldoim, noto anche come Cisterna Rubea (Cisterna rossa). All’Ordine fondato da Ugo di Payns era assegnata anche la difesa dell’area montuosa a nord di Antiochia dove gestirono, o costruirono ex novo, una fitta rete di fortificazioni: tra queste spiccavano il castello di Gaston, oggi conosciuto come Baghras, nel quale si stabilirono sin dal 1154. Il castello, però, fu conquistato dal Saladino nel 1187, che, conoscendone la potenza, ne dispose lo smantellamento. I Templari però, nel 1216, nel corso di una nuova fase di piccoli successi nell’area, lo recuperarono e restaurarono per poi lasciarlo definitivamente

poco piú tardi, nel processo di ritirata generale dai territori, ora minacciati dal sultano mamelucco Baibars. A quest’ultimo si deve una grande opera di costruzioni militari in Terra Santa: le sue cittadelle fortificate di Damasco e Aleppo sono comunque imitazioni, seppur grandiose, di fortificazioni di impianto greco o latino. Prima di Baibars, di fatto, i castelli siriani si riducevano a ben poca cosa, come attestano le piccole fortezze di Masyad e Kadmus.

Pascoli e una fonte d’acqua limpida

In Galilea i Templari costruirono il castello de La Fève, già prima del 1172, per poi perderlo nel 1187. Un cronista islamico, dopo la sua conquista, lo definí «il piú bello e piú forte castello, il meglio fornito di uomini e armi. Per i Templari esso era un castello potentissimo, luogo di rifugio e pilastro di potenza». Nei dintorni c’erano spazio per pascoli e una fontana di acqua limpida, e i Templari lo utilizzavano sovente per i loro incontri e per far pascolare i propri cavalli: da lí spesso partivano per i loro raids o per andare in battaglia, come accadde sotto il comando del loro Gran Maestro, Gerardo di Ridefort, e di quello degli Ospedalieri, Ruggero des Moulins, quando, il 1° maggio del 1187, si diressero a Cresson, nei pressi di Nazareth, dove furono però scon-

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fitti. «Nello scontro inaspettato che ne seguí, il Saladino mise in fuga il primo e uccise il secondo» riporta l’Itinerarium Peregrinorum et Gesta Regis Ricardi. I Templari gestivano anche diversi castelli nella regione di Gaza, tra cui la grande fortezza costruita da re Baldovino III di Gerusalemme, che gliela donò nel 1149, come base per la lotta contro i musulmani asserragliati in Ascalona, e per proteggere la frontiera meridionale dalle possibili incursioni provenienti dall’Egitto. Nei pressi di un importante guado sul fiume Giordano, poi, iniziarono la costruzione della straordinaria fortezza di Le Chastellet, strategicamente fondamentale in quanto posta a guardia dell’unico passaggio del fiume. Saladino offrí 100 000 dinari a Baldovino IV perché lo demolisse e quando dal sovrano cri-

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stiano giunse il rifiuto, si preparò ad assediarlo. Quando Saladino iniziò l’attacco, nell’agosto del 1169, il castello non era stato ancora completato nelle cortine murarie esterne. Attraverso i corridoi scavati nella roccia, ma ancora non del tutto protetti, gli uomini di Saladino riuscirono a introdursi nella fortezza, trucidando 800 uomini della guarnigione. Altri 700 Templari furono poi uccisi dal Saladino una volta preso il castello, che fu immediatamente smantellato.

La rete dei castelli

A un’osservazione generale del territorio in mano ai crociati, è possibile stabilire una tripartizione delle fortificazioni che costellavano il Regno di Gerusalemme. La parte settentrionale, infatti, era protetta da una rete di grandi ca-


stelli, collegati tra loro a mo’ di cerniera a protezione del territorio da possibili attacchi da nord, nell’area del principato di Antiochia. Tra questi spiccava il già citato Baghras, poco lontano dal passo di Belen, e connesso con i castelli di Roche-Guillaume, Port Bonnel, La Roche Roissel e Trepessac. La difesa dell’area centrale, invece, era garantita dalle potenti fortezze degli Ospedalieri del Krak des Chevaliers, collegato con i castelli di Margat e Chastel Blanc, posti a difesa della valle del Nekaa, lungo cui transitavano le carovane provenienti dalla Siria e dirette verso i porti di Haifa o di Acri. A ulteriore protezione fu eretto il castello di Tartus, lungo la costa, e affidato ai Templari. La parte meridionale, corrispondente grosso modo all’area che va dal Libano a Israele, era la

In alto il poderoso mastio quadrangolare del Chastel Blanc (Safita). Sulle due pagine il castello di Belfort.

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piú fortificata. I Templari controllavano le fortezze di Belfort, Safad, Le Chastellet; lungo la costa erano dell’Ordine templare i castelli di Sumeriya, Doc, Recordane, Haifa, protetta all’interno dal castello di Shefa Amr e Le Féve. Nell’area molti altri castelli erano in mano all’Ordine dell’Ospitale: la possente fortezza di Belvoir, i castelli di Cana, Sabarim e Ashtera, e poi ancora Letaria e Seleth, la fortezza di Arsuf e il castello di Rentie. Tra la costa e Gerusalemme, infine, l’Ospedale controllava Semsem, Agelen, Beth Gibelin, Deirelcobebe, Huldre, Bothme e Deirnachar. Un’area, infine, alle spalle di San Giovanni d’Acri, era sotto il controllo dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici e comprendeva la fortezza di Montfort e i piú piccoli castelli di Meilya e Juddin. Vi era un’altra area europea in cui i Templari ebbero la possibilità di edificare castelli: non dobbiamo immaginare che l’Ordine impiegasse il denaro per impegnarsi in una costosissima operazione come l’erezione di un castello, senza che ve ne fosse una ragione concreta. Non abbiamo castelli templari in Inghilterra, in

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Francia, in Italia, perché non c’erano nemici contro i quali combattere. Nella Penisola Iberica, invece, la presenza dei Mori offrí la possibilità di partecipare alla lotta, e quindi vi fu la necessità per i Templari di edificare, al pari della Terra Santa, fortificazioni la cui funzione variava: ora teste di ponte per future spedizioni, ora controllo della viabilità, ora in posizione strategica per sorvegliare vallate, ora poste al confine per evitare inattese incursioni nemiche. Dal 1130 la presenza templare è attestata dalla documentazione in Aragona, Catalogna e Navarra, e, successivamente, anche in Castiglia e León. Il piú celebre castello edificato dall’Ordine è Ponferrada, ottenuto nel 1178, ma concluso nel 1282, e noto come Castello dei Templari, nella provincia di León, a difesa del Cammino di Santiago. Vi sono poi quelli di Almasa e Belmonte e la fortezza di Peniscola, edificata su una precedente fortificazione araba, tra il 1294 e il 1307, anno in cui i Templari furono soppressi e il fortilizio passò all’Ordine di Santa Maria di Montesa, che conservò castello e governo della città sino alla fine del Trecento.

Il castello templare di Ponferrada, nella provincia di León (Spagna).


I Templari non erano solo guerrieri: per l’addestramento delle nuove reclute e l’amministrazione delle finanze gestite dall’Ordine vennero costruiti numerosi edifici, dal carattere molto semplice, spartano e funzionale. Naturalmente, essendo anche monaci, un edificio doveva essere dedicato alla preghiera. Si è poi creato nel tempo il mito della forma ottagonale, circolare e magica delle chiese e degli edifici templari, spesso messi in relazione ad aspetti esoterici. Il sigillo templare riportava sul rovescio la raffigurazione della Cupola del Duomo della Roccia, a Gerusalemme, una costruzione a pianta ottagonale, come la chiesa dell’Anastasis del Santo Sepolcro, a cui – in verità – si sono ispirati pochi edifici templari.

Verso il sole sorgente

Il modello a pianta ottagonale era del resto già diffuso: si pensi alla Cappella Palatina di Aquisgrana, voluta da Carlo Magno, che probabilmente si rifaceva a modelli bizantini e romani, come il Battistero di Costantino, il mausoleo di Costanza o la basilica di S. Vitale a Ravenna. In realtà la gran parte delle chiese templari era a

pianta regolare, con abside rivolta a oriente, e l’ingresso sul lato opposto. Quest’uso, «Versus Solem Orientem», cioè verso dove nasce il sole, era nato già nei primi secoli del cristianesimo, come eredità pagana, dal momento che tanto per i pagani che per i cristiani la salvezza e la rinascita erano collegate alla rinascita quotidiana del Sole, fonte di vita. Il giorno del Natale si fece coincidere dunque con la festa del Sol Invictus, che cade in quello dell’apparente solstizio invernale (alla latitudine romana): Cristo ereditò il simbolo del Sole (Sol iustitiae, Sol Invictus, Sol Salutis) e orientare le chiese significò la vittoria della Luce sulle Tenebre. Una simbologia solare cosí vincolata a Cristo richiedeva quindi un’attenta progettazione delle chiese e un’analoga precisa orientazione rispetto alle direzioni astronomiche fondamentali: può sorprendere, ma una delle personalità piú prestigiose che contribuí a diffondere l’idea e l’abitudine di orientare le chiese fu Gerberto d’Aurillac († post 996), monaco benedettino e futuro papa Silvestro II, il quale, in gioventú, (segue a p. 89)

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Il Santo Sepolcro al tempo dei crociati A destra pianta della chiesa crociata di Gerusalemme (XII sec.). Il complesso comprendeva la zona del Calvario, quella del Sepolcro e della Resurrezione di Gesú Cristo. In basso, sulle due pagine sezione della chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme, con indicazione degli elementi piú importanti (vedi legenda sotto la pianta).

BIZANTINI E CROCIATI 1. La Rotonda venne ricostruita dall’imperatore bizantino Monomaco nel 1048, con un tetto conico aperto al vertice. 2. Fin dai primi tempi dell’esistenza della chiesa, il sepolcro di Cristo fu protetto da un’edicola. 3. Attorno al perimetro della Rotonda, Costantino Monomaco aveva fatto costruire un ambulacro a volta. 4. La torre campanaria venne eretta accanto all’ingresso della chiesa sulla piú settentrionale delle tre cappelle che si trovavano nel cortile d’entrata. Nel 1545 fu parzialmente distrutta da un terremoto. 5. Il Catholicon fu costruito sul sito del Giardino Sacro dei tempi di Costantino. 6. All’epoca dei crociati entrambi gli ingressi nel transetto erano ancora aperti. 7. Il coro è attualmente separato dal resto della chiesa dall’iconostasi del Catholicon. 8. L’abside è preceduta da alcuni ripidi scalini. 9. Tutto intorno all’abside corre un ambulacro. 10. La Cappella di Sant’Elena commemora la madre dell’imperatore Costantino e il ritrovamento della Vera Croce. 11. Un grande chiostro venne edificato sul sito della basilica costantiniana.

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In alto la Cappella dei Templari di Laon, località situata una quarantina di chilometri a nord-ovest di Reims, in Francia. La costruzione, a pianta ottagonale, sorse intorno al 1140, e il terreno che la circondava fu adibito a cimitero, nel quale trovarono sepoltura vari membri dell’Ordine del Tempio. Nella pagina accanto, a sinistra Gerusalemme. Santo Sepolcro. Facciata del transetto meridionale. XII sec. Qui si apriva l’entrata principale della chiesa crociata. I fedeli potevano accedere attraverso il doppio portale d’ingresso, ornato da colonne, lesene e modanature a disegni floreali. Sopra le porte erano collocati due architravi scolpiti sormontati da archi ogivali.

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AVIDI, MA FORSE ANCHE GENEROSI! La fama di avidità dei Templari fu certamente dovuta anche al fatto che molti principi e sovrani si indebitarono piú volte con l’Ordine. Fra tutti costoro, Filippo il Bello fu quello che risolse la questione nel modo piú discutibile e spregiudicato, dal momento che fu lui a promuovere la soppressione dei Templari. Non si può dire altrettanto di Luigi VII (1120-1180), detto il Giovane, anch’egli sovrano di Francia e che partecipò alla seconda crociata. Partito nel giugno del 1147, giunse dapprima a Costantinopoli e poi proseguí fino ad Antiochia con sua moglie, Eleonora d’Aquitania, la quale, su consiglio di Bernardo di Chiaravalle, lo seguí come pellegrina, anche con la speranza di ricucire i dissapori coniugali. In assenza del sovrano, fu nominato reggente del regno Sugerio, abate di Saint-Denis, già consigliere politico di Luigi VI. Per intraprendere il viaggio, re Luigi aveva chiesto una considerevole somma di denaro ai Templari e, all’indomani del suo arrivo in Antiochia, scrisse immediatamente a Sugerio, senza sapere che nel frattempo l’abate era defunto: «Non possiamo neppure immaginare come avremmo potuto sopravvivere in queste lande senza il loro aiuto e la loro assistenza. Questo aiuto non ci è mai mancato e ogni giorno i Templari sono piú servizievoli. Ci hanno prestato e hanno preso a prestito a loro nome, una somma considerevole che deve essere loro resa, cosí che la loro casa non sia oggetto di calunnia o venga distrutta. Dobbiamo sforzarci affinché riescano a mantenere la parola data e noi non dobbiamo disonorarci nei loro confronti. Vi chiediamo dunque di rimborsare loro, senza ulteriore indugio, la somma di duemila marche d’argento».

Miniatura da un’edizione delle Chroniques de Saint-Denis. Fine del XIV sec. Sulla sinistra è raffigurato il matrimonio fra Luigi VII di Francia ed Eleonora d’Aquitania; a destra compare il re che parte per la seconda crociata, nel 1147.

aveva avuto modo di studiare geometria e astronomia nella Spagna islamica, là dove fiorivano studi scientifici di tal sorta. Sono quindi illazioni prive di fondamento storico – frutto della superstizione popolare e di accostamenti azzardati – quelle che vogliono un’Europa disseminata di chiese circolari, volute a imitazione del Santo Sepolcro, per agevolare le riunioni del Capitolo, perché legate alla Tavola Rotonda o a eventuali sette sataniche o massoniche....

Banchieri e prestatori di danaro

Il mondo feudale e bellicoso del XII secolo, invece, apprezzò enormemente questi nuovi monaci guerrieri, che nel Basso Medioevo, vennero impiegati in modi disparati: in Spagna furono rapidamente inquadrati nelle spedizioni contro gli infedeli nell’ambito della Reconquista e furono apprezzati dai re di Francia e Inghilterra, che fecero loro grandi donazioni. L’afflusso di grandi donativi, in denaro e in beni immobili, fece assu(segue a p. 92) TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

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QUEL CASTELLO SPARITO NEL NULLA... A sinistra i resti del castello di Safed, costruito su una collina della Galilea a 900 m di quota. In basso Thomas Edward Lawrence in una foto dei primi del Novecento, vestito all’araba. Prima di dedicarsi alle attività belliche e di spionaggio, «Lawrence d’Arabia», come fu soprannominato, si era formato come archeologo e aveva studiato i castelli della regione siriana.

A un’osservazione generale dei castelli gestiti dai Templari, si comprende come non fossero stati ispirati da un unico principio architettonico. Innanzi tutto, alcune fortificazioni erano preesistenti, di origine bizantina o islamica, e furono riadattate, ampliate o completamente riedificate. Ma anche i castelli templari sorti ex novo nel XII secolo, non presentavano il medesimo schema, né, tanto meno, erano tutti a pianta circolare o contenevano richiami all’ottagono o ad altre figure geometriche con presunti riferimenti simbolici o esoterici. Costruire un castello, in primo luogo, rispondeva a necessità pratiche, logistiche e spesso era condizionato dall’orografia del luogo prescelto. Safed (nell’odierno Israele, n.d.r.), per esempio, aveva una cinta ellittica, adeguata alla morfologia del sito, e vi spiccava un mastio rettangolare aggiunto dopo il 1170. Né i castelli templari erano solamente a pianta rettangolare e muniti da torri solo quadre: in Terra Santa, infatti, si trovano castelli a pianta concentrica, con torri circolari e poligonali, e risulta perciò opinabile la ricerca di elementi caratteristici che li distinguano dalle fortezze degli Ospedalieri. Thomad Edward Lawrence, meglio noto come Lawrence d’Arabia, si recò in Siria per studiare in situ i castelli crociati, confrontandoli con le fortificazioni europee e discusse la sua tesi di Laurea a Oxford nel 1909. Il suo quaderno di viaggio è un tripudio di appunti, schizzi, foto e disegni a mano libera che oggi risulta quanto mai affascinante: «Non potrai mai renderti conto, senza visitarla, dell’impervietà della regione (...); sulla strada che va da Antiochia ad Aleppo la mia scorta ha camminato, insieme con i cavalli, per quattro ore, 90

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e viaggiare a piedi è cosa che va contro ogni naturale disposizione di un siriano». Nella sua tesi Lawrence affrontava temi diversi: dall’architettura militare europea sino alla fine dell’XI secolo, all’architettura bizantina, dalle fortificazioni crociate in Siria a quelle europee nel XII secolo, osservando l’evoluzione e cercando influenze reciproche. E ancora, si soffermò sulla posizione strategica dei castelli crociati descrivendo, piú in dettaglio, cinque fortezze nella regione di Edessa. Archeologo, agente segreto di Sua Maestà britannica, militare e condottiero, traduttore e scrittore, Lawrence è stato sicuramente uno dei personaggi piú affascinanti della sua epoca e la sua morte, dovuta a un banale incidente in moto, ha troncato una vita sicuramente promettente.

Particolare di un sigillo del sultano Baibars, rappresentato da un leone incedente.

Tra i vari appunti del suo libretto, c’è una descrizione del castello templare di Safed, oggi ridotto a poca cosa. La fortezza venne edificata su di una collina a 900 m sul livello del mare, da cui si dominano quasi completamente la Galilea e il lago di Tiberiade. In origine, sul sito, fu costruita una semplice torre di osservazione, detta dell’Orfano, che però venne ben presto sostituita, ai primi del XII secolo, da una fortificazione piú complessa che, dopo vicende alterne, passò infine all’Ordine dei Templari. Il castello, infatti, fu edificato nel 1140, ricostruito nel 1180 e poi nuovamente a metà del Duecento. La planimetria dell’edificio del XII secolo è incerta, dal momento che i resti di ciò che vediamo oggi appartengono alla riedificazione avvenuta tra il 1240 e il 1260. L’altura su cui sorge il castello è ben coperta di terra, per cui i fossati che circondavano il castello hanno una forma simile ai fossati che circondavano i castelli europei. I terremoti e l’espansione del quartiere ebraico, edificato prevalentemente proprio nell’area compresa fra i fossati, fanno comprendere come oggi della grandiosa fortezza di Safed resti un vago ricordo. A testimoniare l’antico splendore rimane, sotto il cortile interno del fortilizio, un pozzo coperto da una volta, che doveva essere utilizzato come deposito per le provviste. Il castello era protetto da due cinte murarie delle quali quella esterna doveva essere munita di torri a pianta circolare, quella interna di torri rettangolari, mentre, forse, nel punto piú alto del sito, sorgeva una sorta di chiesapalazzo di forma poligonale o cilindrica. L’ingresso, posto sul terrapieno, aveva un accorgimento particolare e innovativo: il ponte per accedere alla cittadella e superare TEMPLARI

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cosí il primo circuito murario, doveva infatti poggiare su di una torre che superava in altezza il terrapieno. In maniera cadenzata, altre torri erano disposte sulla la sommità dei terrapieni. A Safed doveva sorgere una sorta di cammino di ronda interno all’avanguardia, dotato di crotae o fortiae, le feritoie che consentivano agli arcieri di controllare lo spazio posto tra le due cinte murarie ma rimanendo al chiuso, in posizione sicura. Nel 1179 Saladino tentò, senza successo, di conquistare il castello: la guarnigione asserragliata a Safed resistette all’assedio e poi, una volta partito il nemico, il castello venne restaurato. Dieci anni piú tardi, invece, dopo un interminabile bombardamento e un mese di embargo, i Templari dovettero arrendersi per fame. Il castello fu smantellato nel 1219 dal sultano di Damasco, impossibilitato a controllare Safed e altri fortilizi: quando nel 1240 i Templari, nel corso di una tregua, lo recuperarono, trovarono solo rovine. Il cantiere venne riaperto e il castello fu interamente ricostruito, ma con tecniche moderne e innovative: Safed divenne una fortezza imponente. I due fossati ora erano profondi circa 14 m e larghi poco meno, ed erano protetti da casematte a strapiombo da cui arcieri e balestrieri potevano tirare indisturbati. Le mura piú interne potevano raggiungere quasi i 40 m, mentre quelle esterne erano alte 20, per un totale di circa 750 m di circuito murario, intervallato da sette o otto torri. I Templari rimasero a Safed fino al 9 giugno del 1266, quando Baibars si decise alla sua conquista: tentò di intavolare trattative e inviò ai Templari doni che, però, gli furono restituiti con un colpo di catapulta. Per tutta risposta Baibars bombardò il castello con trabucchi e catapulte, ma le potenti mura della fortezza opposero una notevole resistenza. Il condottiero promise di lasciare in vita i turcopoli e i sergenti di origine siriana, se avessero abbandonato il castello, cosa che in molti fecero, lasciando sguarnito il fortilizio. I Templari si arresero, dopo che Baibars gli promise un salvacondotto fino a San Giovanni d’Acri. Li attendeva però un’amara sorpresa: al momento dell’uscita, infatti, Baibars chiese loro di rinnegare la fede cristiana e di abbracciare l’Islam. Al rifiuto dei monaci guerrieri, seguí una esecuzione di massa. Se fosse rimasta integra, la fortezza di Safed sarebbe stata una delle fortificazioni piú belle del Vicino Oriente, al pari del Krak des Chevaliers. 92

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mere all’Ordine un nuovo compito. Non essendo stato approntato in Europa alcun sistema di deposito bancario, le case del Tempio divennero ben presto le «banche» d’Europa. I ricchi patrimoni che l’Ordine si trovò rapidamente a gestire furono ripartiti nelle loro varie sedi e si pose la necessità di controllare l’enorme flusso di denaro destinato a fornire aiuti e beni in Terra Santa: in modo quasi inatteso, i Templari si trovarono a essere i banchieri del Medioevo, venendo chiamati a svolgere questo anche da molti sovrani e principi. Il maneggiare denaro – definito «lo sterco del Diavolo» già da san Basilio – non era certamente visto di buon occhio nel Medioevo e, non a caso, era un compito che veniva lasciato largamente, ma non del tutto, agli Ebrei. Ciò non significa che tutti gli Ebrei d’Europa fossero usurai, come talvolta è stato detto: come ha puntualizzato lo storico Giacomo Todeschini, innanzitutto gli Ebrei non erano solamente usurai, ma anche tintori, falegnami e abili lavoratori del corallo, e inoltre «non facevano i prestatori di denaro solo perché i cristiani non potessero toccarlo o gestire transazioni. Anzi, i cristiani lo facevano eccome e, non per niente, il diritto canonico prevedeva punizioni come la scomunica». La concezione del denaro muta radicalmente nella visione cristiana e in quella ebraica del tempo: Todeschini prosegue segnalando che «per i cristiani esisteva una dualità del denaro, quello astratto e quello concreto. Mentre gli Ebrei lo concepivano solo nella sua concretezza e questo perciò non costituiva problemi per loro». Comunque, la gestione del denaro era da sempre, nel messaggio cristiano (e non solo nel messaggio evangelico), una brutta faccenda e accumularne grandi quantità e gestirlo era ancor piú disdicevole.

Accuse in versi

Il poeta francese Guiot de Provins, vissuto nel corso del XII secolo, compose un’opera satirica, intitolata Bible (termine che non fa riferimento all’Antico Testamento ma che significa genere satirico nel francese antico). Se l’identificazione con un poeta provenzale è corretta, egli viaggiò molto e forse partecipò alla Terza Crociata: fu in quella occasione, ma anche in patria, che ebbe modo di vedere da vicino i cavalieri del Tempio. Trattando il tema della moralità, il poeta, entrato nell’Ordine cluniacense, non esitò a cantarle ai Templari, rimarcando già alla fine del XII se-


I CAVALIERI DEL TEMPIO VISTI DAGLI ARABI Usama ibn Munqidh, emiro di Shaizar (1095-1188), è una tra le figure piú interessanti del mondo siriano che abbiano tramandato testimonianza relative all’incontro-scontro di civiltà fra mondo cristiano e Islam. Scrittore, cacciatore e cavaliere, politico senza scrupoli, ma anche letterato, Usama visse barcamenandosi tra Franchi, emiri siriani e califfi fatimidi. Ha lasciato un’autobiografia – il Kitab al-I’tibar (Il libro della riflessione) – e varie raccolte poetiche. In un passo del Libro della riflessione narra un curioso episodio che lo vide protagonista e che rende onore ai Templari e mostra invece l’ignoranza degli Europei, illuminandoci su quale tipo di tolleranza e vicendevole rispetto si potesse creare in una società come quella della Gerusalemme del XII secolo. I Templari sono i primi ad accogliere un islamico e gli offrono addirittura un piccolo oratorio cristiano per pregare invece il suo dio Allah: «Un tratto della rozzezza dei Franchi – Dio li confonda! – è il seguente: quando visitai Gerusalemme io solevo entrare nella Moschea al-Aqsa, al cui fianco c’è un piccolo oratorio, di cui i Franchi avevano fatto una chiesa. Quando dunque entravo nella Moschea al-Aqsa, dove erano insediati i miei amici Templari, essi mi mettevano a disposizione quel piccolo oratorio per compiervi le mie preghiere. Un giorno entrai, dissi la formula Allah Akbar e ristetti per iniziare a pregare, quando un Franco mi si precipitò addosso, mi afferrò e volse il viso verso oriente, dicendomi: “Cosí si prega!”. Subito

colo, e quindi pochi decenni dopo la loro nascita, la loro brama di denaro: «Molto tengono nelle loro Case Giustizia tengono grande e fiera Perciò l’Ordine è piú grande e piú caro. Ma di due cose sono accusati Molte volte e spesso biasimati Sono avidi, dicono tutti, e hanno grande fame di orgoglio». Guiot non ha dubbi: due colpe balzano agli occhi dei piú. La prima è l’avidità, che diventerà la loro rovina; la seconda è quella che deriva loro dai nobili natali, l’orgoglio di cavaliere che mal si sposa con l’abito monastico. Anche il cronista benedettino Matteo Paris, vissuto nella prima metà del Duecento, li definí parimenti «orgogliosi e avari». Questa loro possibilità di gestire il denaro venne agevolata da molti privilegi elargiti dalla Curia: ciò li rese ampiamente invisi ai vescovi, che si videro privati del controllo giurisdiziona-

intervennero alcuni Templari che lo presero e allontanarono da me, mentre io tornavo a compiere la preghiera. Ma costui, colto un momento che non badavano, mi si ributtò addosso rivolgendomi la faccia a oriente e ripetendo: “Cosí si prega!”. E di nuovo i Templari intervennero, lo allontanarono e si scusarono con me dicendo: “è un forestiero, arrivato in questi giorni dal paese dei Franchi, e non ha mai visto nessuno pregare fuorché col viso rivolto a Oriente”. “Ho pregato abbastanza”, risposi e uscii stupefatto per quel demonio che tanto si era alterato e agitato al vedere pregare in direzione della Qibla!».

In alto la fortezza di Shaizar, città di cui fu emiro Usama Ibn Mundiqh, autore di un’autobiografia che contiene osservazioni di grande interesse sull’incontro/scontro fra la cristianità e l’Islam. Nella pagina accanto la copertina del volume di Thomas Edward Lawrence sui castelli crociati.

le e finanziario su quella che poteva essere una nuova fonte di profitto. Vedersi esautorati ed economicamente indeboliti, mise i cavalieri sempre in una cattiva luce agli occhi dell’episcopato europeo. Fare affari con i Templari, di converso, portava vantaggi ai laici: chiunque avesse contribuito ai fondi dell’Ordine poteva fruire di alcuni privilegi in veste di «fratello del Tempio», di cui poteva vestire l’abito al momento del trapasso. Il grande vantaggio di cui godeva l’Ordine consisteva nel riuscire a far presa, anche in questo modo, sulla classe nobiliare, sui cavalieri che provavano un grande rispetto per questi monaci-guerrieri, che sapevano contemperare l’esuberanza del miles con la continenza della regola monastica. Accogliere questi «fratelli e sorelle» nell’Ordine garantiva un cospicuo introito annuale, che al singolo costava forse un’inezia, ma che, essendo ormai divenuto un fenomeno di massa, assicurava un buon reddito alle casse dei Templari. TEMPLARI

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Dalla condanna al rogo L’Ordine del Tempio consolida la sua potenza con l’accumulo di enormi ricchezze, una circostanza che, però, segnerà la sua fine. Cresce l’insofferenza verso i cavalieri del bianco mantello e contro di loro viene orchestrata una campagna diffamatoria violentissima. Tra gli avversari piú acerrimi figura Filippo il Bello: il re di Francia passa alle vie di fatto, in un crescendo di arresti, torture ed esecuzioni capitali, preludio alla soppressione definitiva della nobile e antica confraternita

Miniatura raffigurante l’arresto dei Templari nel 1308, da un’edizione delle Chroniques de France ou de St. Denis. Fine del XIV sec. Londra, British Library.

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L’ORDINE DEL TEMPIO

D

La crisi

opo la caduta di San Giovanni d’Acri, nel 1291, i Templari e gli altri Ordini monastici andarono incontro a un futuro fatto di incertezze e difficoltà che ciascuno affrontò in maniera diversa. Gli Ospedalieri, infatti, si stabilirono a Rodi, in previsione di nuove spedizioni, ma con l’obiettivo di rendere sicure le rotte nel Mediterraneo. I Cavalieri Teutonici si erano ormai stabiliti in Prussia, da dove conducevano spedizioni contro i pagani delle fredde terre del Nord. Senza possedimenti da proteggere in Terra Santa, i Templari non avevano invece uno scopo ben delineato e inoltre venivano da tempo criticati per uno stile di vita troppo cavalleresco e poco monastico, sfarzoso piú che frugale. Il loro ruolo di banchieri dell’Occidente, del resto, non faceva che fomentare le malelingue, che parlavano di grandi accumuli di denaro e proprietà terriere, e ciò anche in virtú del fatto che, molti di questi detrattori, erano in debito con loro. Una soluzione proposta – con piú energia all’indomani della caduta di San Giovanni d’Acri – fu la fusione dei Templari con gli Ospedalieri, considerato che i Teutonici, come accennato, erano ormai legati alla loro realtà e avevano un’identità germanofona. Già discussa in occasione del Concilio di Lione nel 1274, l’idea fu caldeggiata, fra gli altri, da Raimondo Lullo e da Pierre Dubois. Lullo († 1315) era un teologo catalano, dedito a un ambizioso programma missionario, volto a convertire al cristianesimo

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Dall’alto una sala della fortezza crociata e una veduta panoramica di San Giovanni d’Acri (Israele), città che assunse tale denominazione quando divenne la sede dei Cavalieri di San Giovanni (poi Cavalieri di Malta), a cui si deve l’estrema difesa dal definitivo assalto arabo del 1291.

gli Ebrei e i musulmani e autore di un’opera, il De fine, nella quale si interroga sulla liceità della guerra contro gli islamici. Dubois († post 1321) era invece un giureconsulto e pubblicista francese, convinto assertore del potere regale e del gallicanesimo (insieme di tendenze dottrinali e atteggiamenti politici delineatisi in Francia, che miravano a ottenere piena libertà e autonomia della Chiesa francese e della monarchia nei confronti dell’autorità pontificia, n.d.r.), che sostenne fieramente Filippo il Bello contro la politica teocratica di Bonifacio VIII. (segue a p. 100)


PRINCIPALI OPERAZIONI MILITARI

Tigri

Spedizioni franche Spedizioni mamelucche Spedizioni mongole Battaglie

Edessa

Mara Sis

Ambasceria franca A alla al corte dei Mongoli

Adana

Tarso Mersin

Antiochia 1265 Latakia 1287

1271 Limassol

o 127 1

Mar Mediterraneo

SELGIUCHIDE

Hama Margat 1285 Crac des Chevaliers 1271

Tripoli 1289 Beirut Be

71 Mag g i o 1 2

Akrotiri

Saone

Tortosa Tort

Famagosta

SULTANATO

SSidone Dicembre 1271 Tiro T

Damasco

gn

Acri

Giu

1291

Cesarea 1265

Ascalona

Qaqun 1271 Gerusalemme Betlemme

Gaza Damietta

Alessandria

b re 1 271

Seleucia

CIPRO

1271 Aleppo

N o ve m

Alanya

Alessandretta

Kerak

CALIFFATO FATIMIDA (DINASITA AYYUBIDE DOPO IL 1171)

L’assetto geopolitico dei territori del Vicino Oriente nel periodo dell’assedio di Acri, con l’indicazione delle campagne militari che precedettero la presa della città.

GLI STATI CROCIATI ALLA VIGILIA DELLA CADUTA

Cairo

lfo

Go di z

Sue

Golfo di A qaba

Aqaba

Regno armeno di Cilicia Principato di Antiochia Contea di Tripoli Regno di Gerusalemme

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L’ORDINE DEL TEMPIO

La crisi

L’assedio di Acri 1. Arrivo dall’Egitto del sultano al-Ashraf e del grosso delle armate mamelucche (5 aprile). 2. Quartier generale di al-Ashraf. 3-4. I Mamelucchi di Siria prendono posizione (5 aprile) e si schierano davanti alle fortificazioni orientali e settentrionali di Montmusard. 5-6. I Mamelucchi d’Egitto prendono posizione (5 aprile) e si schierano tra la baia di Acri e la congiunzione con le fortificazioni di Montmusard. 7. Il contingente di Baybars al-Mansuri si posiziona davanti all’incontro fra le mura settentrionali e orientali di Acri. 8. Le truppe del governatore ayyubide di Hama, al-Malik al-Muzaffar, si schierano alla destra dell’armata mamelucca. 9. Quartier generale di al-Muzaffar. 10. Posizione dei Templari lungo

9

8 21

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A sinistra miniatura identificata come raffigurazione dell’assedio di Acri del 1291 (vedi box alle pp. 100-101), dal Codice Cocharelli. 1320-1330. Firenze, Museo Nazionale del Bargello. 98

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i bastioni settentrionali di Montmusard. 11. Posizione degli Ospitalieri sui bastioni orientali di Montmusard e, forse, lungo una parte delle mura settentrionali di Acri. 12. Probabile schieramento dei Teutonici, accanto alle truppe di Enrico II (forse alla sua sinistra). 13. Le truppe cipriote e del regno di Gerusalemme, sotto la guida di Amalrico (fratello di Enrico II), si schierano a difesa del punto piú vulnerabile del sistema difensivo: l’angolo in cui sorge la Torre del Re e probabilmente il barbacane di Ugo II. 14. Crociati francesi agli ordini di Jean de Grailly. 15. Crociati inglesi agli ordini di Ottone di Grandson. 16. Truppe veneziane o milizie comunali (che forse comprendono i crociati giunti dall’Italia settentrionale nel 1290). 17. Truppe pisane e milizie italiane. 18. Milizia urbana di Acri. 19. In un primo tempo, i difensori non

chiusero le porte, per compiere sortite con le quali ostacolare la costruzione delle batterie mamelucche (dal 5 al 10 o 11 aprile). 20. La manganella detta Vittoriosa, puntata contro i Pisani. 21. La manganella detta Furiosa, puntata contro i Templari. 22. Un’altra grande manganella, puntata contro gli Ospitalieri. 23. Macchina semovente piazzata davanti alla Torre Maledetta, probabilmente per proteggere l’operato dei genieri. 24. Grandi navi mercantili si posero alla fonda all’esterno della baia, affidando a imbarcazioni piú piccole il trasbordo delle derrate e degli uomini. 25. Varie navi crociate attaccarono le truppe di Hama sul fianco destro delle linee mamelucche: una di esse era dotata di una manganella, mentre le altre imbarcavano arcieri e truppe che sbarcarono e attaccarono il 13 o il 14 aprile; i legni furono poi dispersi da una tempesta.

Movimenti dei Mamelucchi Posizioni dei Mamelucchi Accampamento Localizzazione presunta delle principali batterie di artiglieria dei Mamelucchi Movimenti dei Crociati Posizioni dei Crociati Localizzazione presunta delle batterie di artiglieria dei Crociati

1

Torre Maledetta

7

Torre degli Inglesi 13

4

6

14 15

16

Porta di S. Antonio 22

10

5 Torre del Re e Barbacane 4 II di Ugo

23

19

2

3

11

17

12

20

18

Castello reale

Fortezza degli Ospitalieri

Torre delle Mosche

24

Castello dei Templari TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

La crisi

1291: L’ASSEDIO DI ACRI E LA MORTE DI UN GRAN MAESTRO Nel 1291, l’ultima città ancora in mano ai crociati, era San Giovanni d’Acri. Nell’aprile dello stesso anno al-Ashraf, «il sultano, giunse davanti ad Acri e cominciò l’assedio un giovedí, il giorno cinque di aprile dell’anno 1291 dell’incarnazione di Cristo e la prese il giorno 18 del mese di maggio successivo dello stesso anno», scrisse un cronista ai primi del Trecento. La città era difesa dai Templari, dagli Ospedalieri, dai Teutonici, dai cavalieri di San Lazzaro, di San Tommaso e dello Spirito Santo, che erano però in netta inferiorità numerica. Aggiunge infatti il cronista che «il sultano si mosse per venire ad Acri con molti uomini a cavallo e a piedi, e si dice che fossero piú di settantamila uomini a cavallo, e a piedi piú di centocinquantamila. Ad Acri non c’erano, tra donne e uomini e bambini, che da trenta a quarantamila persone, delle quali erano a cavallo da settecento a ottocento, e a piedi a contare i crociati ce n’erano circa tredicimila». Le cifre sono certamente da ridimensionare, ma per quanto lo si faccia, si intuisce che la lotta intorno ad Acri fu impari. I crociati potevano tuttavia contare su una possente duplice cinta di mura, intervallata da un fossato molto profondo, da case-torri e da veri e propri castelli urbani, che erano le basi operative dei vari Ordini: il Liber Secretorum Crucis fornisce una mappa che lascia ben comprendere come Acri fosse piú una fortezza che una città come le altre. Persino le strade erano pensate per rendere impossibile un assedio, cosí come testimonia

Tra le sue opere spicca il trattato De recuperatione Terrae Sanctae, composto fra il 1305 e il 1307, poco prima del disastro dei Templari. Filippo il Bello era un grande sostenitore di questa teoria, anche perché aveva contratto grandi debiti con l’Ordine del Tempio e intravedeva cosí una soluzione per lui agevole: in aggiunta proponeva che il re di Francia divenisse il Gran Maestro del nuovo Ordine, risultante dalla fusione dei due, pronto a organizzare una nuova spedizione per recuperare finalmente la Terra Santa.

Processo postumo

Nel 1305 fu eletto al soglio pontificio Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, che assunse il nome di Clemente V. Il nuovo papa fu incoronato a Lione sotto il controllo del re di Francia, che premette affinché fosse assolto da tutte le precedenti condanne comminategli da Bonifacio VIII, contro il quale fu anche condotto un processo postumo. Il neopontefice stabilí la nuova residenza papale dapprima a Poitiers, poi, dal 1309, (segue a p. 104) 100

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nel 1700 lo studioso Giovanni Mariti, quando scrive che «le strade della Città di Acri son tutte strette, e quando per le larghe vi passa un cammello è impossibile che vi possa passare un altro animale». Tra tutti gli edifici spiccava il palazzo dell’Ordine dei Templari, descritto da un cavaliere che partecipò all’assedio del 1291: «La fortezza dei templari era l’edificio piú importante della città, e per la maggior parte della sua estensione correva lungo la costa. La struttura era robusta: l’entrata era protetta da due possenti torri, le cui mura erano spesse 8,5 metri. Ai due lati delle torri furono costruite due torri piú piccole, entrambe sostenenti un leone dorato grande come un toro». Nulla rimane, oggi, di tutto questo splendore, giacché il mare ha ingoiato le strutture del sontuoso palazzo templare. Nel 1994, però, l’archeologia ha rivelato testimonianze preziose: un’équipe guidata da Albert Lin, ha utilizzato i dati laser per ricostruire in computergrafica una fitta rete di gallerie dopo aver identificato un tunnel che, dal palazzo, conduceva al mare. Il cunicolo è lungo 350 m, largo 4 e alto 2,5; scavato nel banco di pietra, è stato completato nella copertura con blocchi di pietre tagliate che costituiscono una interminabile volta a botte. Si è invece conservato il Grande Palazzo degli Ospedalieri, in cui si trovano tre edifici principali: la chiesa di S. Giovanni, l’ospedale e il quartiere generale

Jacques de Molay, Gran Maestro dei Templari, olio su tela di François Richard Fleury (1777-1852). Malmaison, Musée national des châteaux de Malmaison et de Bois-Préau. L’artista ha immaginato de Molay a confronto con uno dei religiosi incaricati degli interrogatori condotti durante il processo all’Ordine.


con le imponenti sale dei cavalieri attorno a un cortile aperto, che si estende ancora su una superficie di 1200 mq. Di enorme impressione, per le dimensioni e l’accuratezza dell’edificio, è il refettorio, una sala composta da un sistema di otto volte a crociera. La sala è alta 10 m, sostenuta da tre colonne rotonde di pietra di 3 m di diametro. La città era poi costellata dai quartieri fortificati delle città marinare, tra cui primeggiavano quelli di Pisa, Venezia e Genova, in lotta per il predominio sul commercio mediterraneo. Per prendere Acri, il sultano diede l’ordine di sottoporla a un bombardamento continuo. Il fuoco si concentrò su un tratto di mura che venne spianato, furono minate e fatte crollare le torri, allestendo cosí gli ultimi preparativi per l’assalto finale: «E quando venne il venerdí, prima di giorno, un tamburo risuonò molto forte e al suono di quel tamburo, che faceva un rumore orribile e molto intenso, i saraceni assalirono la città di Acri da tutte le parti». La battaglia dilagò tra le viuzze della città e i cristiani furono sopraffatti dai nemici, in numero soverchiante. Non prima però di alcuni gesti di eroismo da parte dei cavalieri. Il maresciallo degli Ospedalieri, Matteo di Chiaromonte, «galoppò in mezzo ai saraceni come una furia, attraversò la porta di Sant’Antonio e finí oltre l’intero esercito. Con i suoi colpi gettò a terra molti degli infedeli, e altri ancora fuggivano da lui come pecore che

fuggono dal lupo». Spossato dallo scontro impari, ripiegò in città col cavallo sfinito; fu cosí raggiunto e colpito a morte. «Cosí questo fedele guerriero, cavaliere di Cristo, abbandonò la sua anima al Creatore». Il Gran Maestro dell’Ospedale, ferito nel corso dell’assedio, fu imbarcato e portato via per prestargli le cure necessarie. A quel punto il Gran Maestro dei Templari, Guglielmo di Beaujeu raccolse i pochi cavalieri che gli restavano e lanciò un’ultima carica. Mentre il drappello avanzava e faceva strage dei nemici, il cronista riporta che «un giavellotto fu scagliato in direzione del maestro del Tempio, nel momento in cui aveva la mano sinistra alzata e lo colpí sotto l’ascella. La punta di ferro gli entrò a un palmo di mano dentro il corpo, nel punto in cui le placche della corazza non erano attaccate, perché quella non era una corazza sicura, ma una corazza leggera per armarsi facilmente alla svelta. E quando si sentí ferito a morte, voltò il cavallo e cominciò ad andarsene. Molti pensarono che volesse mettersi in salvo e pure lo stendardiere del Tempio lo seguí, cosí come tutti i suoi uomini. Mentre se ne andavano venti crociati del Vallo di Spoleto lo rincorsero per dirgli: “Per Dio, signore, non andatevene, perché la città sarebbe presto perduta!” E lui gli rispose a voce alta, in modo che tutti lo udissero: “Signori, non posso piú, perché sto morendo”. E allora vedemmo il giavellotto conficcato nel suo corpo».

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LA FORMIDABILE ASCESA DI BERTRAND, NOBILE GUASCONE Uno dei protagonisti del processo intentato contro i Templari fu Bertrand de Got, salito al soglio pontificio col nome di Clemente V. Nato a Villandraut, in Gironda, da una nobile famiglia guascona, studiò diritto a Orléans e poi all’Università di Bologna, entrando quindi al servizio del re d’Inghilterra. Forse ebbe un ruolo, quale procuratore di Edoardo I il Plantageneto, presso la Curia romana tra il 1287 e il 1288. Ma nel 1294 la nomina a cardinale di suo fratello Béraud gli aprí ulteriormente le porte della corte pontificia. Sotto Bonifacio VIII fece una rapida carriera, venendo nominato prima vescovo di Comminges (1295) e poi arcivescovo di Bordeaux (1299): all’esplosione del conflitto con il re di Francia, riuscí a mantenere con grande abilità una posizione di equilibrio. Ciononostante, nel 1302, partecipò a Roma al concilio che avrebbe dovuto condannare Filippo il Bello e, in quella occasione, fu nominato cappellano del cardinale Francesco Caetani. Alla morte di Bonifacio VIII (1303), fu eletto papa il domenicano Niccolò Boccassini, Benedetto XI, il quale però morí dopo appena otto mesi di pontificato. Si vociferò di un avvelenamento da parte di agenti francesi capitanati dal Nogaret. Il 5 giugno del 1305, a Perugia, fu nominato papa Bertrand, che assunse il nome di Clemente V, in linea con Clemente IV, al secolo Guido Fulcodi, vissuto alla metà del XIII secolo e che tanta parte aveva avuto nel successo della casata angioina. Bertrand si trovava in quel momento a Lusignan, e il re di Francia fece celebrare l’incoronazione papale a Lione, il 14 novembre. Dopo l’elezione, Clemente V chiarí il nuovo indirizzo politico, nominando dieci cardinali tutti di

origini francesi e guascone, a eccezione di un solo cardinale inglese. I porporati italiani, sino ad allora predominanti, furono cosí messi in netta minoranza fin dal principio e poi, ancor di piú, quando nominò altri dieci cardinali francesi. Nel 1307 Filippo il Bello chiese al pontefice la soppressione dell’Ordine dei Templari e la condanna di papa Bonifacio VIII. Il papa fece eseguire le indagini sull’Ordine del Tempio e, dopo alterne e burrascose vicende, lo abolí, non per ragioni giuridiche, ma per il bene comune. Riguardo a papa Caetani, invece, il processo contro la sua memoria iniziò il 13 settembre del 1309 e Clemente V riuscí a condurlo senza emettere alcuna condanna. Clemente V si preoccupò di introdurre l’insegnamento dell’ebraico, del greco, dell’arabo e del siriaco in molte università europee e a lui si devono le raccolte di costituzioni promulgate prima e dopo il Concilio di Vienne e perciò dette Clementine. Sua fu anche la scelta della nuova residenza papale, Avignone, che rimase sede pontificia per quasi tutto il XIV secolo. Clemente V canonizzò Celestino V nel 1311, una mossa con cui riabilitò anche la figura di Bonifacio VIII, riconoscendo tacitamente che egli avrebbe «fatto il gran rifiuto» in favore di Benedetto Caetani. La morte, dovuta a una malattia e sopraggiunta il 20 aprile del 1314, viene talvolta legata a una leggendaria profezia che Jacques de Molay avrebbe fatto prima di salire al rogo, prevedendo la morte del papa e del re entro l’anno: cosa che puntualmente accadde, ma che, con buona probabilità, è frutto del caso. Ed è ancor piú probabile che la diceria sulla sinistra coincidenza sia stata costruita ad arte da quanti propugnano la «mitologia» dei Templari.

In alto ritratto ad affresco di Clemente V, opera di Andrea di Bonaiuto. 1365-1367. Firenze, chiesa di S. Maria Novella, Cappellone degli Spagnoli. Nella pagina accanto miniatura raffigurante un gruppo di Templari che brucia sul rogo sotto gli occhi di Filippo il Bello e della sua corte, dal Trésor des histoires. 1415 circa. Parigi, Bbiliothèque nationale de France. 102

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UN RE SENZA SCRUPOLI Filippo IV era il primogenito di Filippo II, detto l’Ardito e di Isabella d’Aragona. Successe al padre, morto durante la crociata detta «d’Aragona», una spedizione che non aveva voluto. Si trattava di un conflitto sorto a causa della successione del regno di Navarra e causato dagli intrighi di Carlo d’Angiò, divenuto nel frattempo re di Sicilia, dopo le vittorie contro gli ultimi Hohenstaufen. Dopo la vittoria di Pietro d’Aragona nel 1282, e la presa della Sicilia contro l’Angiò, Filippo fu trascinato nella lotta contro gli Aragonesi e qui perse la vita. Filippo divenne dunque re di Francia nel 1285 e avviò subito relazioni diplomatiche piú moderate con il re d’Aragona, ispirandosi alla politica che era stata propria di suo nonno, Luigi IX, di cui perorò la canonizzazione che giunse nel 1297. Pur possedendo la devozione e la moralità di Luigi, Filippo attuò una politica molto innovativa, forse spregiudicata per l’epoca, accrescendo il potere dei suoi consiglieri, come il giurista Guglielmo di Nogaret, mandati a studiare diritto nelle piú famose università europee, dando vita a un pragmatismo politico mai visto sino ad allora. Il re, di fatto, desiderava potenziare l’affermazione della centralità del potere regio e dello Stato, dando un taglio netto a una serie di vincoli che trattenevano la Francia da uno slancio che Filippo riteneva imprescindibile. Nasce con lui l’idea e l’espressione stessa che «il re è imperatore nel proprio regno». Per farlo, non ebbe remore a sfruttare la crociata a favore del proprio regno, considerato che, pur avendo tentato tutte le forme di tassazione in patria, non ottenne grandi risultati. Dalle casse della regione della Champagne, infatti, i proventi non furono sufficienti per intraprendere il primo grande progetto della sua ambiziosa politica: la sottomissione della Fiandra, che fu inaugurata dalla clamorosa disfatta subita a Courtrai, nel 1302, nella battaglia degli Speroni d’Oro in cui caddero molti membri della cavalleria francese. L’altro grande conflitto di cui si rese protagonista fu quello contro papa Bonifacio VIII, il piú convinto sostenitore della teocrazia: se Bonifacio aveva lanciato proclami ormai anacronistici contro il sovrano, costui rispose con impopolari ma energiche reazioni, come il processo a Bernard Saisset, presule di Pamiers, e l’attacco personale contro papa Caetani, che fu aggredito ad Anagni nel suo palazzo.

Per sanare le finanze del regno, Filippo intraprese anche una politica monetaria, ma la scarsità di metallo prezioso e le variazioni di prezzo dell’oro e dell’argento resero l’operazione fallimentare, al pari dei tentativi di ricorrere ai creditori italiani, detentori delle piú famose banche d’Europa del tempo. Ricorse, da ultimo, alla spoliazione dei gruppi minoritari ed emarginati: nel 1306 espulse le comunità ebraiche dalla Francia, non prima di averne sequestrato e incamerato i beni. Un’operazione analoga fu condotta a danno dei Lombardi, detentori di quantità considerevoli di danaro. In questo meccanismo di appropriazione indebita si deve inserire anche l’attacco all’Ordine dei Templari nel 1307. Filippo il Bello certamente tentò, con una politica accentratrice, di far crescere il potere del regno di Francia, ma i risultati non giunsero: nel 1313, alla morte di Arrigo VII, tentò di candidare al titolo imperiale il proprio figlio omonimo, ma la richiesta fu respinta; nel 1314 dovette annullare una spedizione militare prevista contro le Fiandre e si ritrovò con i nobili del regno alleati contro di lui. Nello stesso anno, Filippo IV cadeva da cavallo, colpito da ictus nel corso di una battuta di caccia: condotto in gravissime condizioni al castello di Fontainebleau, moriva il 29 novembre del 1314, lasciando la corona al figlio primogenito Luigi X, già re di Navarra dal 1305.

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ad Avignone. A un anno dall’insediamento, Clemente convocò a Poitiers i due Gran Maestri, Jacques de Molay, per i Templari, e Fulco di Villaret, per gli Ospedalieri, per ridiscutere l’argomento della fusione dei loro Ordini. Nel 1307 de Molay raggiunse effettivamente la corte papale a Poitiers, mentre Folco non si presentò: l’argomento venne comunque discusso con il Gran Maestro del Tempio e il papa chiese spiegazioni anche in merito alle accuse di eresia che circolavano contro i Templari e che erano state mosse da tre cavalieri dell’Ordine: Esquin di Floryan, Bernardo Pelet e Gerardo di Byzol. Benché nutrisse dubbi sulla fondatezza di quelle contestazioni, il papa richiese al braccio secolare, e quindi a Filippo IV, di investigare sull’accaduto. Filippo probabilmente intravide una buona opportunità per agevolare la caduta dei Templari, ottenere la cancellazione del proprio debito e conseguire la fusione dei due Ordini, che aveva da sempre caldeggiato. A quel punto, il re inviò dispacci segreti per tutto il regno e, all’alba del 13 ottobre del 1307, ben 5000 monaci templari, incluso il Gran Maestro, furono arrestati con l’accusa di eresia, blasfemia e sodomia. Le accuse erano imperniate su un fantomatico

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rito di iniziazione, durante il quale il novello Templare avrebbe dovuto sputare sul crocefisso, rinnegare Cristo tre volte e baciare il Templare che accoglieva il nuovo adepto. In realtà, la croce era tenuta in grande considerazione dai monaci guerrieri: Giovanni da Coma dichiarò che i Templari, quando si recavano in bagno, si levavano addirittura il mantello, con cucita la croce del Tempio, perché il simbolo di Cristo non venisse contaminato da un luogo cosí turpe come una latrina. Alcuni storici, però, considerato che tale prassi venne confessata, hanno ipotizzato che sputare sulla croce potesse anche essere richiesto come gesto estremo, cosí da dimostrare la totale devozione a quella che era pur sempre un’istituzione militare e in cui vigevano regole rigide, dettate anche da un rapporto di forza tra veterani e cadetti.

Un idolo simile a un demone

Veniva addebitata loro anche l’adorazione di un idolo, non meglio identificato, e poi sostituito da tal Bafometto, deformazione del nome del Profeta: sotto tortura, il templare Raoul de Gizy, parlò di un idolo terrificante, che sembrava un maufè, cioè un demone. Pur di far cessare le


Sulle due pagine illustrazioni che riproducono raffigurazioni in origine appartenenti a un cofanetto con scene ispirate alle leggende fiorite intorno all’Ordine templare. Parigi, Bibliothèque nationale de France.

torture a cui venivano sottoposti, molti Templari asserirono di aver adorato tale demonio, per poi ritrattare appena i supplizi cessavano. Atti di sodomia e baci osceni potevano anche essere stati praticati, ma la Regola dei Templari era chiara e prevedeva il carcere per chi avesse commesso atti del genere, considerato che il voto di castità era imprescindibile. Quanto alle dicerie sull’avidità, la voce era da tempo sulla bocca di tutti e l’accusa poteva essere facilmente strumentalizzata, considerata la gran quantità di denaro gestita dal Tempio. Che l’arresto dei Templari fosse mosso da ben altre motivazioni era già chiaro agli uomini del tempo. Appena due settimane dopo la cattura di Jacques de Molay, l’ambasciatore Cristiano Spinola scriveva al re d’Aragona che «il re di Francia ha fatto arrestare tutti i templari per sospetto di eresia. Si comprende, però, che il papa e il re fanno questo per impadronirsi del loro denaro e che vogliono fare del Tempio e dell’Ospedale e di tutti gli altri frati un unico ordine, al quale il re vuole dare come Maestro uno dei suoi figli. Ma il Tempio avversa duramente questo progetto e non ne vuol sapere di accettare». Il 22 novembre del 1307, con la bolla Pastoralis praeminentiae, il papa chiese ai sovrani europei di spiccare un mandato di arresto contro i Templari TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPIO

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UN’INCHIESTA FATALE La pergamena di Chinon è un documento contenente l’interrogatorio di Jacques de Molay e di altri importanti rappresentanti dell’Ordine, eseguito appunto nel castello di Chinon nel 1308 da tre cardinali inviati da Clemente V: Berengario Fredol, Stefano di Suisy e Landolfo Brancaccio. Il papa, infatti, «desiderando e intendendo conoscere la pura, piena e integra verità circa gli alti dignitari del detto Ordine, e cioè fra’ Giacomo di Molay, Gran Maestro di tutto l’Ordine dei Templari, e i confratelli Rambaldo di Caron, Precettore d’Oltremare, e i Precettori delle Magioni templari Ugo di Peyraud, in Francia, Goffredo di Gonneville in Aquitania e Poitou e Goffredo di Charny in Normandia», aveva ordinato che essi fossero trasferiti al piú presto a Poitiers, là dove il pontefice si tratteneva. Il drappello venne prelevato e iniziò il viaggio, ma, bloccato da una guarnigione inviata da Filippo – timoroso di quanto avrebbero potuto dire i Templari al papa e di quanto costui avrebbe potuto fare alla luce di queste rivelazioni – fu costretto a fare marcia indietro: i Templari furono rinchiusi nella Torre di Coudray a Chinon e lí interrogati, sotto l’occhio vigile di Guglielmo di Nogaret, Guglielmo di Plaisians e di quattro notai inviati da Filippo il Bello. L’inchiesta dei tre cardinali iniziò il 17 agosto del 1308 e, in quattro giorni, furono ascoltati i piú alti esponenti dell’Ordine: le dichiarazioni non differivano molto le une dalle altre. Confermavano sostanzialmente quanto era stato detto negli interrogatori precedenti: i Templari abiuravano gli errori commessi, rifiutavano qualsiasi accusa di eresia, giuravano sul Vangelo di voler ricevere l’assoluzione e di poter fruire nuovamente dei sacramenti, cosa che i cardinali fecero, riammettendoli «all’unità della Chiesa e restituendoli

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alla comunione dei fedeli e ai sacramenti ecclesiastici». I dignitari dell’Ordine dichiararono che le confessioni erano state estorte loro sotto tortura e che, cessata quella, erano pronti a ritrattare tutto: alla luce di queste dichiarazioni, il papa era probabilmente pronto a declassare il processo per eresia a una inchiesta di tipo disciplinare, con il fine ultimo di salvare l’Ordine. Ma la pressione del re e dell’opinione pubblica, adeguatamente fomentata dal sovrano e dai suoi dignitari, costrinse il pontefice ad abbandonare tale disegno, lasciando Jacques de Molay e i suoi agli insidiosi interrogatori dei fedelissimi di Filippo il Bello.


A destra vignetta raffigurante la pratica dei baci osceni di cui i Templari furono piú volte accusati, dal manoscritto dei Voeux du Paon di Jacques de Longuyon. 1350 circa. New York, The Pierpont Morgan Library. Nella pagina accanto due particolari del rotolo di pergamena contenente la trascrizione di 231 deposizioni rese da cavalieri templari durante il processo al loro Ordine, celebrato in Francia dal 12 novembre del 1309 al 5 giugno 1311. Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano.

presenti nei loro territori e di sequestrare i loro beni: «Per poter procedere piú opportunamente nel processo dei fratelli dell’Ordine dei Templari, a voi e a ognuno di voi (…) in qualunque luogo del Regno di Francia in cui siano detenuti i Templari, anche se venissero portati in altro luogo, e a voi e a i commissari deputati nello stesso processo, sembrerà essere piú conveniente indagare e ricercare qualunque prova nelle stesse province e luoghi, senza che possano opporsi lettere apostoliche di nessun tipo, concesse a voi o a voi dirette, grazie alle quali possa essere impedita l’applicazione di qualsiasi concessione, visto il contenuto delle nostre prime missive, concediamo piena facoltà, con l’autorità dei presenti». Nel febbraio del 1308 Clemente ordinò anche che i Templari francesi venissero rilasciati e fossero consegnati a commissari pontifici, bloccando gli interrogatori e revocando gli incarichi agli inquisitori: alla luce di questa prospettiva, il Gran Maestro e molti altri Templari ritrattarono le loro ammissioni, affermando che erano stati sottoposti a tortura e che tutto ciò che avevano raccontato era il risultato di terribili violenze. Filippo corse ai ripari, giacché c’era il rischio che il papa potesse salvare l’Ordine: convocò quindi Guglielmo Humbert, inquisitore e confessore privato del re. Il sovrano diede vita anche a una campagna diffamatoria, culminata negli Stati Generali convocati a Tours, durante i quali il giurista Guglielmo di Nogaret dichiarò la colpevolezza accertata dei Templari, mentre i processi erano in realtà ancora in corso. Filippo inviò poi il suo consigliere Guglielmo di Plaisians a partecipare a due concistori papali, nei quali tenne discorsi particolarmente duri contro l’Ordine e si permise di suggerire al papa di prendere provvedimenti per evitare di cadere in connivenza con questi pericolosi idolatri.

Bolle, arresti e condanne

Messo alle strette, il papa comprese che lo scandalo avrebbe potuto rovinarlo e dunque reintegrò gli inquisitori precedenti, pur mantenendo il diretto controllo del processo grazie alle commissioni che furono costituite il 12 agosto del 1308 con la bolla Faciens misericordiam. Il processo ebbe inizio nel 1309 e proseguí per ben cinque anni. Alle domande sull’uso del denaro, il Gran Maestro rispose che l’Ordine si era sempre distinto in opere di carità; quanto alle cerimonie blasfeme, asserí che le messe dei Templari superavano in liturgia quelle di molti altri Ordini e, infine, che nessun altro Ordine aveva sparso il proprio sangue come quello templare in difesa della croce di Cristo. Il papa emanò una nuova bolla, la Regnans in coelis, con cui

convocava un concilio ecumenico da tenersi a Vienne nel 1310 per decidere le sorti dell’Ordine. Fiduciosi nell’azione dell’inquisizione pontificia, i monaci arrestati iniziarono le ritrattazioni, denunciando la falsità delle accuse e dichiarandosi ancora pronti a difendere l’Ordine: il 28 marzo del 1310, piú di cinquecento Templari furono radunati nel cortile dell’arcivescovo di Parigi e per costoro vennero nominati quattro difensori dell’Ordine, Bertrando di Sartiges, Guglielmo di Chambonnet, Rinaldo di Provins e il giurista Pietro da Bologna. Per tutta risposta l’arcivescovo di Sens, alle dipendenze del re di Francia, condannò al rogo piú di cinquanta Templari, accusati di aver ritrattato. Intimoriti da tali condanne, i cavalieri nominati rinunciarono alla difesa, sperando nella giustizia rappresentata dal papa. Il clima si fece ben presto tesissimo e al Concilio di Vienne, inaugurato il 16 ottobre del 1311, con un anno di ritardo, i prelati che lo presenziavano si trovarono immediatamente in disaccordo, dal momento che alcuni erano favorevoli allo scioglimento dell’Ordine e altri no. Le lungaggini del Concilio indussero Filippo a minacciare il papa di marciare su Vienne. Al che, il 20 marzo del 1312, Clemente V promulgò la Vox in excelso, con cui sciolse definitivamente l’Ordine dei Templari, «non per sentenza di giudizio, ma per provvedimento o decisione apostolica». A questa seguí, il 2 maggio dello stesso anno, la TEMPLARI

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Incisione nella quale si immagina il rogo sul quale bruciano Jacques de Molay e Goffredo di Charney, il 18 marzo del 1314. L’esecuzione ebbe luogo a Parigi, non lontano dalla cattedrale di Notre-Dame, verso la quale il Gran Maestro chiese di poter essere rivolto, cosí da poterla contemplare negli ultimi istanti di vita.

bolla Ad Providam Christi Vicari, per effetto della quale la gran parte dei beni veniva trasferita all’Ordine degli Ospedalieri.

La condanna

Lo stato maggiore del Tempio fu giudicato da una commissione separata, ma, considerato che i suoi membri erano molto legati al re di Francia, il Gran Maestro e i suoi piú stretti collaboratori furono condannati al carcere a vita. Goffredo di Gonneville e Ugo di Peyraud accettarono la sentenza, mentre il Gran Maestro e Goffredo di Charney, precettore di Normandia, ricordarono agli inquisitori di essere stati precedentemente assolti a Chinon e reiterarono la professione di innocenza, ricordando che l’ammissione di colpevolezza gli era stata estorta con la tortura. Il 18 108

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marzo del 1314, infine, si consumò probabilmente la fase piú cruciale del processo, quella che dovette anche impressionare maggiormente l’opinione pubblica: Jacques de Molay e Goffredo di Charney furono infatti condannati a morte sul rogo come eretici relapsi (recidivi). Per l’esecuzione fu scelta un’isoletta prospiciente la cattedrale parigina di Notre-Dame, verso la quale Jacques de Molay chiese insistentemente di essere rivolto quando venne legato al palo per essere arso vivo. Molti dei Templari sopravvissuti passarono al servizio dell’Ospedale, molti dovettero tornare alla vita laica, terrorizzati dall’accaduto: alcuni trovarono riparo in Svizzera, in Scozia e in Germania, dove l’influenza papale e francese era decisamente minore. Al Concilio di Vienne il cistercense Giacomo di


LE DICHIARAZIONI SOTTO TORTURA Ai tempi del processo, Raymond de Saguardia, precettore della casa di Mas-Déu nel Rossiglione (Francia), guidò la resistenza dei Templari d’Aragona e dichiarò contro i suoi accusatori che «non avendo potuto provare nessuno dei crimini che ci vengono imputati, questi perversi individui hanno fatto appello alla violenza e alla tortura, perché è solo con questi sistemi che hanno potuto strappare delle confessioni a qualcuno dei nostri confratelli». Il fatto è confermato piú volte e da piú imputati. Il 27 novembre del 1309 Ponsard de Gizy, presentatosi per difendere l’Ordine dalle accuse, dichiarò che «era pronto a soffrire, purché il supplizio fosse rapido, la decapitazione o il fuoco, o l’acqua bollente, ma era incapace di sopportare i lunghi tormenti nei quali si era già trovato, avendo subito una prigionia di piú di due anni». Rinaldo da Congoregio, arcivescovo di Ravenna, si trovò a giudicare i Templari della sua provincia e li assolse. Nonostante i richiami del papa, che lo esortava a riaprire il processo e a utilizzare la tortura, Rinaldo rifiutò e, il 18 giugno del 1311, rispose che «si devono considerare innocenti coloro che hanno confessato per timore della tortura se in seguito hanno ritrattato le loro confessioni, o anche coloro che non hanno avuto il coraggio di ritrattare per paura delle torture o per timore di nuovi supplizi, sempreché il fatto sia stabilito». Il 13 maggio del 1310, dopo l’esecuzione di 54 suoi compagni, Amerigo di Villiersle-Duc si presenta dinnanzi alla commissione pontificia, «pallido e terrorizzato», e dichiara che «le colpe attribuite all’Ordine erano del tutto inesistenti, benché a seguito di numerose torture che gli erano state inflitte a quanto disse da G. di Marsillac e Ugo di

Thérines († 1321) espresse tutti i dubbi che probabilmente molti nutrivano sull’affaire del processo intentato ai Templari da Filippo il Bello e che da subito insospettí la Curia e molta dell’opinione pubblica. La sua esternazione è sottile, degna di un filosofo quale Giacomo fu: «I fatti rimproverati ai Templari e che molti di loro, specialmente i principali maestri dell’Ordine, hanno confessato pubblicamente nel Regno e altrove, sono certamente esecrabili: devono ispirare orrore a tutti i cristiani. Se ciò che si dice è vero questi uomini erano dunque caduti in un errore vergognoso e criminale, sotto il profilo della fede e della morale. Motivo di sorpresa e di stupore! Come è possibile che in uomini del genere, tanto importanti (...) cresciuti in famiglie legittime, vissuti fra cristiani osservanti, all’improvviso… la luce della fede, anzi la fiaccola della legge

la Celle, cavalieri del re che lo avevano interrogato, proprio lui, venuto a testimoniare, avesse confessato alcune delle colpe suddette. Disse che il giorno prima aveva visto coi propri occhi 54 frati del suddetto ordine essere condotti al rogo su un carro (...) e che egli stesso, temendo di non saper resistere se condotto al rogo, avrebbe confessato e deposto sotto giuramento, per paura della morte (...), che tutte le accuse erano vere, e avrebbe perfino confessato di aver ucciso Gesú Cristo se gielo si fosse chiesto».

Incisione ottocentesca che ricostruisce le torture inflitte al Gran Maestro Jacques de Molay.

naturale, abbia potuto oscurarsi in modo cosí vergognoso e orribile? Entravano nell’Ordine per vendicare le offese recate a Cristo (...) e cosí in fretta il principe delle tenebre li ha trasformati. D’altronde se tutto ciò è falso, com’è possibile che i principali membri dell’Ordine, abituati al mestiere delle armi, sui quali non doveva aver facile presa un terrore incontrollato, abbiano confessato tali orrori davanti all’Università di Parigi e davanti al papa? Ma, allora, se invece tutto è vero, come è possibile che ai Concili Provinciali di Sens e Reims molti Templari si siano fatti condannare al rogo volontariamente ritrattando le loro prime confessioni, quando sapevano di potersi sottrarre al supplizio rinnovando semplicemente queste confessioni? Ecco che cosa induce molte persone, da una parte e dall’altra, a nutrire dei dubbi». TEMPLARI

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Templari di ieri e di oggi


Le fiamme della pira accesa a Parigi nel 1314 posero fine all’esistenza terrena dell’ultimo Gran Maestro, ma le idee delle quali era il massimo custode gli sopravvissero. E nei secoli a venire furono in molti a proclamarsi legittimi continuatori dell’Ordine del Tempio... Bozzetto del Tempio del Sacro Graal ideato per una messa in scena del Parsifal di Richard Wagner. 1882. Bayreuth, Richard Wagner Museum.


L’ORDINE DEL TEMPO

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Il templarismo

ggi, accostandosi all’Ordine dei Templari, si deve fare attenzione e distinguere ciò che riguardò l’Ordine religioso-militare del Tempio (1118-1314) dalle superfetazioni aggiuntesi nei secoli e traboccanti di leggende, nate soprattutto tra il Settecento e il Novecento, che hanno dato luogo al cosiddetto «templarismo», un fenomeno legato a doppio filo al moderno esoterismo. «D’altra parte – come ha piú volte sostenuto lo storico Franco Cardini, profondo conoscitore del fenomeno – anche i miti, le leggende e le menzogne, cosí come le illusioni e i sogni, sono materia di Storia». Ecco allora che un conto è parlare della loro Regola, delle preghiere che dovevano recitare o del ruolo di san Bernardo, altro è parlare del tesoro dei Templari, del Graal e degli insediamenti che i cavalieri avrebbero fondato in America dopo la caduta di Acri, ma

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A destra La Chiesa e la torre del Tempio, antico presidio costruito dai Templari nel quartiere parigino del Marais, in una tavola realizzata per un’edizione dell’Histoire de France populaire di Henri Martin. 1870 circa. In basso BernardRaymond Fabré-Palaprat, Gran Maestro dell’Ordine templare rifondato in Francia nel 1811, in una incisione ottocentesca.


ben prima del fatidico 1492. Senza dimenticare molte altre cose, come la massoneria, qualche maledizione e l’immancabile presenza del demonio, sotto le spoglie del mitico Bafometto. La fine dell’Ordine suscitò grande scalpore in tutta Europa e la morte del Gran Maestro, dipinto come un eretico dalla propaganda regia,

fu trasformata presto in un martirio. Il cronista fiorentino Giovanni Villani († 1348), vissuto in quegli anni, racconta che «la notte appresso che ‘l detto maestro e ‘l compagno furono martorizzati, per frati e altri religiosi le loro corpora e ossa come reliquie sante furono ricolte e portate via in sacri luoghi». Erano stati appena condannati come TEMPLARI

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L’ORDINE DEL TEMPO

Il templarismo A sinistra Wolfram von Eschenbach, poeta ricordato per essere l’autore del Parzival, in una miniatura del Codice Manesse, una collezione di ballate e componimenti poetici redatta a Zurigo tra il 1300 e il 1340. Heidelberg, Biblioteca dell’Università. Nell’opera del trovatore tedesco compaiono i Tempelheisen, cavalieri che da alcuni sono stati identificati con i Templari. A destra miniatura raffigurante il prodigioso recupero del Graal da parte di Galahad, uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda, da un’edizione della Quête du Saint Graal. 1470 circa. Parigi, Bibliothèque nationale de France.

eretici, blasfemi e sodomiti, e già da subito erano stati trasformati in martiri, ingiustamente condannati da un re avido e arrogante.

Una coincidenza sinistra

A un mese dal rogo sul quale arsero Jacques de Molay e Goffredo di Charny, moriva di cancro papa Clemente V e, dopo otto mesi, anche Filippo il Bello: iniziò a circolare la diceria che, prima di morire, il Molay avesse annunciato la morte imminente ai principali responsabili della fine dell’Ordine e della sua condanna a morte. Al re avrebbe lanciato una maledizione fino alla tredicesima generazione e – guarda caso! – il 21 gennaio del 1793, mentre Luigi XVI (tredicesimo discendente di re Filippo) si preparava ad affrontare la ghigliottina, il boia Charles-Henri Sanson, gli avrebbe sussurrato: «Io sono un 114

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templare e sono qui per portare a compimento la vendetta di Jacques de Molay». In ambiente ecclesiastico, invece, il pregiudizio verso il disciolto Ordine rimase e si accentuò, anche perché risultava complicato ammettere che il papa avesse commesso un cosí grave errore di valutazione. Nel Cinquecento fu data alle stampe in Francia la Chronique de Savoye (1552) di Guglielmo Paradin, un religioso umanista, autore di diverse opere a carattere storico, ma caratterizzate da un approccio moralizzante, come era uso nel Cinquecento. Nel testo, che riprende spesso passi di Philippe de Commynes, si conferma e si aggrava l’accusa, soprattutto in campo sessuale, che voleva che i Templari «violentassero donne e ragazze (...), eseguissero stupri, adulteri, volgarità come anticamente si faceva a Roma durante i Baccanali (...). Quan-


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do poi, dall’unione di un Templare con una fanciulla, nasceva un bambino, tutti i confratelli si mettevano in cerchio e se lo passavano di mano in mano, come quando si gioca alla “pentolaccia”, e non smettevano di lanciarselo finché non fosse morto tra le loro mani. Poi lo arrostivano, cosa esecrabile, e con il grasso ungevano il loro grande idolo». Se la Chiesa dunque continuò a considerare l’Ordine del Tempio come esecrando, in antitesi a ciò si sviluppò un’idea illuminista che li fece martiri dell’oppressione monarchica congiunta all’azione di una Chiesa oscurantista. Da questa visione prese forma il cosiddetto «neotemplarismo», ovvero la rinascita dell’Ordine templare, con caratteristiche completamente nuove, senza legami storici con quello nato nel XII secolo, a cui invece i Nuovi Templari affermavano di essere collegati. Esisterebbe addirittura un documento affidato da Jacques de Molay, e poi firmato da tutti i suoi successori, a tal Gian Marco l’Armeno, ad attestare questa continuità: si tratta della Charta Transmissionis, o Charta di Larménius, considerata un falso palese. Tra Sette e Ottocento, dunque, nacquero diversi movimenti pseudo-templari, ognuno dei quali affermava di essere erede dell’antico Ordine cancellato dalla volontà pontificia e regia per motivi che via via divenivano sempre piú coloriti e fantasiosi. Nel Settecento, sulla scia

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degli ideali illuministici, la critica ai poteri universali si intensificò e la croce templare divenne nuovamente motivo di interesse anche in ambienti religiosi: i gesuiti di Clermont tentarono di introdurre nella massoneria idee templari, quasi riabilitando l’Ordine infamato, di cui il Discours tenuto nel 1736 dallo scrittore scozzese Andrew Michael Ramsay (1686-1743) è una sorta di manifesto programmatico. Ramsay accenna infatti alla presunta sopravvivenza dell’Ordine dei Templari, sfuggiti alla cattura e rifugiatisi in Scozia dove avrebbero vissuto in segreto come massoni, temendo nuove persecuzioni. Tutto ciò conferiva alle vere logge massoniche settecentesche un legame nobile e romantico con i Templari, con cui, in realtà, non esisteva alcun nesso.

Un nuovo Gran Maestro

Nel 1754, i tentativi di riattivare l’Ordine fallirono miseramente: i tempi della nobiltà erano ormai al tramonto, i venti della Rivoluzione soffiavano sulla Francia e il sistema cavalleresco che a Clermont si tentava di salvaguardare era sull’orlo del collasso. Superata la sanguinosa fase della Rivoluzione, nel 1811, con ideali illuministici, l’Ordine rinacque ed ebbe anche un nuovo Gran Maestro, Bernard-Raymond FabréPalaprat, il quale, a motivo di queste idee, fu

Nella pagina accanto, in alto cerimonia di investitura di cavalieri e dame dell’Ordine Equestre dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Firenze, 2014. Nella pagina accanto, in basso l’ex monaco cistercense Josef Lanz propugnatore della presunta superiorità della razza ariana e fondatore della rivista Osthara. In basso la cappella di Rosslyn, in Scozia, uno dei numerosi luoghi che, secondo la leggenda, sarebbero stati scelti dai Templari per occultare il loro tesoro.


EPIGONI INQUIETANTI

Nel 1900, l’ex monaco cistercense Josef Lanz fonda, assieme ad alcuni pastori luterani espulsi, una rivista, Osthara dal nome di un’antica dea germanica della Primavera, il cui principio ispiratore era la superiorità della razza ariana, chiamata a difendere la civiltà occidentale dalle etnie inferiori, definite «uominiscimmia». Come ha scritto lo storico Joachim Fest († 2006), Lanz «si attribuiva un titolo nobiliare inventato di sana pianta», facendosi chiamare Jorg Lanz von Liebenfels. Nel 1905 diede vita a una confraternita ario-cristiana, denominata Nuovo Ordine Templare, basata su teorie razziste e che pretendeva di essere la diretta discendente dei nobili cavalieri Templari, difensori dell’Occidente cristiano. A Werfenstein, nell’Austria meridionale, stabilí un castello dell’Ordine, una base «dalla quale patrocinava la fondazione e l’organizzazione di un ordine maschile ario-eroico destinato a divenire l’avanguardia di signori biondi e dagi occhi azzurri nel sanguinoso scontro con le razze inferiori e impure», scriveva.

oltre 2000 iscritti in Europa: le peculiarità richieste sono «fede, volontà, lealtà e un po’ di coraggio». Negli anni Ottanta del Novecento risorse un fantomatico Ordine del Tempio Solare, dalle ceneri dell’omonima associazione fondata da Jean-Louis Marsan (1923-1982): l’Ordine, capeggiato da Luc Jouret e Jo di Mambro, fu al centro della cronaca nera, a causa di pratiche pseudo-religiose che il 5 ottobre del 1994 condussero 48 membri a un’isteria collettiva sfociata in una serie di omicidi-suicidi. Un’analoga setta, l’Ordine del Tempio di Gerusalemme Celeste, poi divenuta Ordine dei Nuovi Templari Operativi, fu sciolta dalle autorità francesi a causa di derive pericolose dopo altre tragedie di suicidi di massa consumatesi in Svizzera, Francia e Canada tra il 1994 e il 1997. Complici di questi movimenti sono, purtroppo, pubblicazioni pseudoscientifiche, film, se non addirittura videogiochi, interpetati come pubblicazioni scientifiche e quindi portatori di verità storiche. Non è dunque basato su fatti storici il Codice da Vinci, con tutto ciò che ne consegue, né è mai esistita una Confraternita della Spada Cruciforme, se non nelle scene del film Indiana Jones e l’Ultima Crociata.

Negli ultimi decenni sono poi fioriti numerosi movimenti neotemplari, alcuni dei quali – specialmente in Inghilterra – apertamente ostili alla Chiesa cattolica, e altri – sopratutto in Italia – legati invece alla Santa Sede. Quest’ultima si è perciò trovata a dover ripetutamente precisare che gli unici Ordini riconosciuti sono il Sovrano Militare Ordine di Malta e l’Ordine Equeste del Santo Sepolcro di Gerusalemme che, peraltro, non sono Ordini templari. Esiste oggi la possibilità di diventare un Templare Cattolico, un’associazione cattolica di volontariato, che annovera

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subito incarcerato: una sorta di martire moderno della causa templare, visto invece con favore da Napoleone Bonaparte, che, nel 1808, fece anche celebrare dal clero parigino una cerimonia di riabilitazione per il povero de Molay. Nel 1833, a Parigi, fu ufficialmente inaugurata una nuova «Maison du Temple», con tanto di templaresse: l’esperienza, che pretendeva di collegarsi con l’Ordine originale, fallí miseramente. Nel 1894 in Belgio fu istituita una laica Segreteria Internazionale dei Templari: la società de La Trinità della Torre si sciolse nel 1930, poi, due anni dopo, venne istituito il Gran Priorato del Belgio, da cui germinò L’Ordine sovrano e Militare del Tempio di Gerusalemme, legato alla Segreteria Internazionale, scioltasi nel 1934. Quasi inutile aggiungere che L’Ordine sovrano e militare del Tempio di Gerusalemme partorí altri Ordini, uno piú legittimo dell’altro: in Francia, in Portogallo, in Brasile, in Italia. La Germania non fu da meno: il barone Karl Gotthelf von Hund si dichiarava templare con-

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Sulle due pagine il Touro Park di Newport (USA), nel quale sorge una torre già attribuita ai Templari ma che risale invece al XVII sec. In primo piano è il monumento al teologo e riformatore William Ellery Channing (1780-1842). Nella pagina accanto, in alto disegno dello «Scheletro con l’Armatura» di Fall River (Massachusetts), rinvenuto nel 1832 (leggi a p. 129).


sacrato – non si sa bene da chi, dal momento che si parla di un misterioso «cavaliere dalla penna rossa»! –, legittimo erede dell’Ordine, la cui vita non si era mai interrotta, riprendendo le teorie che volevano i Templari fuggiti in Scozia nel 1314. Dopo gli entusiasmi iniziali, il progetto naufragò con la morte del suo volenteroso animatore e dopo quella di von Hund, i 26 principi tedeschi, entrati a far parte della stretta «osservanza» templare, si ritrovarono in mano l’ennesimo pugno di mosche. Nell’Europa moderna, quella degli ideali risorgimentali, un Ordine come quello dei Templari era quanto mai anacronistico e lontano dalla realtà: una chimera per pochi, sempre piú isolati dalla società che stava rapidamente cambiando. Richiami a queste società templari si ritrovano un po’ ovunque, nella letteratura e nell’arte: nel dramma in cinque atti di Nathan il Saggio, pubblicato nel 1779 da Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), l’Ordine templare riprende vita (segue a p. 123)

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UN POTERE MISTERIOSO E SCONFINATO Come si può spiegare l’incredibile successo e la fortuna accumulata da un Ordine nato da nove umili cavalieri? La domanda andrebbe posta anche per altre congregazioni: per esempio, da dove viene il successo dei Francescani che hanno case ancora oggi in tutto il mondo, dopo 800 anni? Come fece il santo di Assisi ad assicurarsi un successo straordinario attirando confratelli in cosí poco tempo? Perché venne santificato immediatamente? E da dove giunsero tutti i denari per costruire la grandiosa basilica di Assisi, affrescata poi da uno dei piú famosi pittori del tempo? Dalla pietà cristiana, dal successo popolare e dall’incoraggiamento della Chiesa e dei signori del tempo che compresero il messaggio di Francesco. E invece, per l’Ordine del Tempio la risposta non può essere analoga. Deve dunque esserci sotto qualcosa, qualcosa che è stato tenuto nascosto per secoli. In questa vicenda si mescolano tante storie diverse: dal possesso dei rotoli del Mar Morto alla conoscenza della relazione di Gesú con la Maddalena, da una presunta prole di questa unione – il «Sang Real», legato a Meroveo –, fino alla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Nel 1781 la marchesa Marie de Négri, ultima dei Blanqeufort, svelò un segreto di famiglia al curato di Rennes-le-Chateau, nel dipartimento dell’Aude in Linguadoca. Dieci anni piú tardi, il prete fece collocare sul sepolcro della marchesa una lastra proveniente da un’altra tomba che era conservata ad Arques. Il canonico, che avrebbe nascosto alcuni documenti in un pilastro e avrebbe fatto porre una lastra di pietra vicino all’altare, dovette rifugarsi in Spagna nel 1792. Legata a questa storia è la vicenda dell’abate François Bérenger Sauniére, vissuto alla fine del Settecento, il quale, a seguito di un restauro della chiesa di Rennes-le-Chateau, ricevette donazioni da diversi enti, tra cui il Comune, ma poi entrò «misteriosamente» in contatto con qualcosa che lo rese prodigiosamente ricco, al punto da essere ribattezzato il «prete miliardario». Il sacerdote parlò di «medagliette di Lourdes», ma probabimente si trattò di un paiolo contenente centinaia di scudi d’oro, forse dell’epoca di Luigi IX: nel suo diario scrive chiaramente di aver trovato un tesoro. Circa l’origine di tali ricchezze si è speculato e si specula ancora, evocando ancora una volta il tesoro dei Templari che, secondo alcune teorie, sarebbe stato nascosto nel cimitero di Rennes-le-Chateau, dove trovava riposo l’ultima discendente della nobile famiglia dei Blanquefort, un membro della quale era stato – guarda caso – il sesto Gran Maestro del Tempio...

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In alto l’abate François Bérenger Sauniére davanti alla chiesa di Rennes-le-Chateau nella quale avrebbe rinvenuto un tesoro. A sinistra scultura raffigurante il diavolo nella chiesa di S. Maria Maddalena a Rennes-le-Chateau.


La Torre Magdala di Rennes-le-Château, un monumento neomedievale costruito per volontà dell’abate Bérenger Saunière intorno al 1900.

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CAVALIERI DI CELLULOIDE E CAVALIERI DI CARTA La letteratura, il cinema, il mondo dei fumetti e ancora giochi, da tavolo e per consolle, hanno reso spesso omaggio all’Ordine dei Templari. Nel 1989 Steven Spielberg propose un anziano e bonario cavaliere crociato, presumibilmente un Templare, visto l’abito, che per sette secoli avrebbe custodito la coppa del Santo Graal fino all’arrivo dell’archeologo Indiana Jones, una sorta di prescelto, l’unico degno di recuperare l’ambitissimo manufatto. Ci sono poi L’ultimo dei Templari (2011) e Il Mistero dei Templari (2004), due pellicole caratterizzate da un mix non particolarmente originale tra umorismo e azione: abbastanza evidenti sono i rinvii a Indiana Jones e Il Codice da Vinci, con mappe da decifrare, simboli da riconoscere e un generale clima da caccia al tesoro. Outcast-L’ultimo Templare (2014), invece, ci trasporta nientemeno che nella Cina del XII secolo, dove l’erede legittimo al trono dell’Impero cinese viene salvato da tal Jocob, il quale, manco a dirlo, è un (disilluso) Templare. Dai videogiochi della serie di Assassin’s Creed è nato nel 2016 un film omonimo, nel quale si affrontano le due società segrete degli Assassini e dei Templari, in competizione per impossessarsi della cosiddetta Mela dell’Eden, un manufatto creato da un’antica civiltà, contenente il codice genetico del libero arbitrio. Nel 2011 è uscito invece l’improbabile Dragon Crusaders, in cui alcuni Templari, dopo lo scioglimento dell’Ordine, arrivano in un villaggio da poco attaccato da una nave di pirati: dell’approssimazione con la quale l’intera operazione è stata condotta dà prova il fatto che la produzione si è servita di un panfilo moderno nel corso delle riprese... Tuttavia, sconfiggendo i predoni, i Templari scatenano una maledizione che li trasforma in... mostri. E, per liberarsi dal sortilegio, ai cavalieri viene data una sola possibilità, che consiste nell’uccidere un dragone, sotto le cui fattezze si nasconde uno stregone, rompendo cosí l’incantesimo. Anche il mondo dei fumetti non si è lasciato sfuggire l’occasione di rendere i Templari argomento delle piú impossibili avventure. La Cosmo editoriale ha dedicato una collana, denominata proprio Templari, in cui alcuni cavalieri sono per l’ennesima volta alle prese con

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un tesoro e una maledizione: una formula piuttosto abusata, ma che evidentemente funziona sempre. Dago, eroe ideato da Robin Wood e Alberto Salinas, ha avuto a che fare con il tesoro dei Templari, e cosí anche Martin Mystère, personaggio di casa Bonelli, il quale si è trovato faccia a faccia con i Cavalieri del Tempio in piú di una occasione, persino in America.

In alto la locandina del film Dragon Crusaders (2011). In basso la copertina di un volume della serie a fumetti L’Ultimo Templare. Nella pagina accanto, in alto Nicolas Cage nei panni di Gallain, uno dei protagonisti del film OutcastL’ultimo Templare (2014). Nella pagina accanto, in basso Harrison Ford in Indiana Jones e l’ultima crociata (1989), diretto da Steven Spielberg.

grazie a un anonimo cavaliere e vi è un incontro tra le tre grandi religioni monoteiste: la rappresentazione dell’opera fu proibita dalla Chiesa. Nei Geheimnisse di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), invece, compare una confraternita simile a quella templare, e una misteriosa Società della Torre s’incontra nel romanzo Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister. Si devono a Zacharias Werner (1768-1823) una serie di romanzi dedicati ai Templari: I figli della valle (1803-04), I Templari a Cipro (1803) e I Fratelli della Croce (1804). Ispirato agli ideali di Rousseau, Werner oscillò fra un richiamo allo stato di natura e un’ammirazione per la Chiesa: dopo una iniziazione alla massoneria (1811), si convertí e abbracciò addirittura la carriera ecclesiastica. Rincarò la dose, aggiungendovi il tema dell’adorazione di un idolo, Joseph von Hammer-Purgstall (1774-1856), nel Mysterium baphometis revelatum e nel Die Schuld der Templer. Dagli scritti di von Hammer-Purgstall si originarono altri studi, riguardanti «misteriosi» luoghi e oggetti templari, come il giardino iniziatico nella Villa Vigodarzere di Saonara (Padova) o i cofanetti conservati a Essarois (Francia) e a Volterra, definiti «templari» solo perché rinvenuti presso importanti precettorie dell’Ordine. Altri romanzi in cui compaiono misteriosi Templari, o riferimenti all’Ordine, sono l’incompiuto Andrea o La Torre, dello scrittore viennese Hugo von Hofmannsthal (1874-1929), a cui l’autore mise mano piú volte, con continui rifacimenti e ripensamenti. Lo scrittore tedesco Stefan George (1868-1933), nel suo esoterico Il settimo anello (1907), non fa che dichiarare l’ammirazione per i Templari: attirò, suo malgrado, le attenzioni di Hitler, che gli propose di divenire presidente della Società degli scrittori tedeschi, carica che George rifiutò. Neppure la musica classica è estranea ai Templari. Il Flauto Magico di Mozart evoca Ignaz von Born, legato alla massoneria e al templarismo, alle religioni misteriche e agli studi sui misteri egizi: il titolo originale dell’opera di Mozart era in origine Il mistero egizio e gran parte della trama era contenuta in una conferenza tenuta proprio da von Born nel 1782.

Il Graal e l’America

Ormai, quando si parla di Templari, non si può non parlare del Santo Graal e altri misteri. Come giustificare i dieci anni intercorsi tra la richiesta di una sede per l’Ordine e l’ufficializzazione concessa al Concilio di Troyes? Perché un’attesa tanto lunga? Perché – affermano molti esoteristi – quegli anni furono spesi da TEMPLARI

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Ugo di Payns e compagni in una frenetica ricerca del Santo Graal e altre reliquie nelle fondamenta dell’Antico Tempio di Salomone. I Templari sarebbero dunque divenuti ricchi e potenti grazie al ritrovamento dell’Arca dell’Alleanza – con incluse le Tavole della Legge di Mosè –, in grado di fornire, come riporta il Libro della Sapienza, «misura, numero e peso». Come spiegare se non cosí lo sviluppo dell’architettura gotica che fiorisce proprio in quei secoli? C’è però da domandarsi perché invece le chiese templari, ispirate alla sobrietà dei modelli cistercensi, non siano caratterizzate da questi arditi slanci architettonici. Ma non solo: tra i passaggi segreti del Tempio di Salomone i Cavalieri del Tempio avrebbero trovato anche il Calice del Graal, quello con cui Cristo istituí il sacramento dell’Eucarestia, e dentro al quale Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Gesú deposto dalla croce. Il trovatore tedesco Wolfram von Eschenbach (1170-1220), vissuto alla corte del langravio Ermanno di Turingia, compose il poema cavalleresco piú ampio di tutto il Medioevo tedesco, il Parzival, rielaborazione del famoso Perceval francese di Chrétien de Troyes. Lo straordinario successo dell’opera ha oscurato altri suoi scritti, come il Willehalm e l’incompiuto Titurel, anch’esso ispirato alle vicende del Graal. Nell’opera lo sfondo storico-letterario è fornito dal nuovo sentire successivo alle crociate: vi compaiono alcuni cavalieri detti Tempelheisen (che alcuni traducono con Templari, che invece in tedesco corrisponde a Tempelritter), che si sovrappongono al mondo fatato e celtico di Artú e dei Cavalieri della Tavola Rotonda.

Un rifugio ideale

Il Graal e i Templari sono anche al centro di viaggi rocamboleschi, che li portano ai quattro angoli del pianeta: dopo il processo del 1314, alcuni cavalieri sarebbero infatti sfuggiti a Filippo il Bello, rifugiandosi in Scozia. In quell’anno, a Bannockburn, gli schiltrons scozzesi frenarono le cariche dei cavalieri inglesi, conducendo Robert the Bruce sul trono di Scozia, che divenne indipendente: un luogo ideale, evidentemente, per proteggere i Templari in fuga. Niente di tutto ciò è storicamente provato: a Rosslyn, poco fuori Edimburgo (vedi foto a p. 116), sarebbe stato nascosto il tesoro dei Templari, partiti in gran segreto dal porto de La Rochelle. La chiesa conterrebbe simboli, allusioni e allegorie legate per piú versi all’Ordine del Tempio: l’edificio fu costruito alla (segue a p. 129) 124

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Templari da vedere In Italia sono molti i luoghi nei quali è possibile ritrovare la presenza dell’Ordine dei Templari: alcune sono chiese, altre magioni, altri castelli o sepolcri. Case templari sorgevano naturalmente nelle città portuali, dalle quali si partiva alla volta dell’Oriente, imbarcandosi su navi da guerra o da trasporto: a Venezia c’era una precettoria a S. Maria in Capite Brolio; a Pisa a S. Sofia; a Civitavecchia erano sistemati nella chiesa dedicata a santa Maria; mentre nel Mezzogiorno ricordiamo le chiese di S Agostino ad Andria, quella di S. Leonardo a Barletta, che ha conservato due lastre funerarie di precettori del Tempio, oggi esposte nel Museo locale. A Fidenza, anticamente denominata Borgo san Donnino, sorgeva la chiesa templare dedicata a san Thomas Becket; a San Gimignano la chiesa di S. Jacopo; a Siena la magione di S. Pietro; a Viterbo c’era la chiesa dedicata a santa Maria in Carbonara, poco distante dal Palazzo dei Papi. Altre sedi sorgevano a Firenze, presso la chiesa di S. Jacopo in Campo Corbolini; a Bologna nella chiesa di S. Maria detta del Tempio; a Milano sempre nella chiesa del Tempio, sulla attuale via della Commenda.

Sulle due pagine il castello medievale di Vulci (Viterbo), che domina il ponte a schiena d’asino sul fiume Fiora. Nella pagina accanto, in alto lo stemma dell’Ordine degli Ospedalieri sull’Aventino, a Roma. Nella pagina accanto, in basso l’interno della chiesa romana di S. Maria del Priorato.


LAZIO

A Roma, sul colle Aventino, si trova la chiesa di S. Maria del Priorato che, nel corso del XII, fu proprietà dei Templari, per poi passare agli Ospedalieri al momento della soppressione dell’Ordine. Nulla si è conservato della costruzione originaria, giacché la chiesa è andata incontro a un totale rifacimento in epoca barocca: ciò che si vede oggi si deve ai lavori di Giovanni Battista Rezzonico, che si basò su un progetto di Piranesi, ideatore anche di altre sezioni del Priorato di Malta che ha sede proprio sull’Aventino. Del nucleo antico resta solo il pozzo, posto al centro del giardino, recante una scritta datata al 1244, che ricorda il

precettore del Tempio Pietro da Genova. Nel Viterbese, a Vulci, si trova un piccolo castello, protetto da una torre e circondato su tre lati da un fossato e da uno strapiombo sul fiume sottostante. Nel 1293 fu affidato a fra’ Paolo, già castellano di Cencelle e Monte Cocozzone, sui Monti della Tolfa. La rocca di Vulci, proprietà benedettina e poi cistercense, era strategicamente molto importante e non poteva essere gestita da semplici monaci, che non fossero anche avvezzi alle strategie militari. La struttura, infatti, controllava il ponte etrusco-medievale sul fiume Fiora, attraversato da un’antica via doganale che connetteva la zona mineraria del Monte Amiata con la

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Il templarismo A sinistra l’Interno della chiesa di S. Giustino d’Arna, presso Perugia. In basso uno scorcio dell’interno e alcuni particolari degli affreschi del complesso monumentale di S. Bevignate, edificato tra il 1256 e il 1262. Le pitture della chiesa perugina sono di grande interesse, poiché costituiscono una documentazione ricca e dettagliata sulla storia dei Templari.

costa tirrenica e con la via Aurelia in direzione di Roma: oltre alla sorveglianza armata, non è da escludere che il castellano templare riscuotesse anche il dazio sulle merci in transito.

UMBRIA

A Perugia si trova la chiesa di S. Bevignate, della prima metà del XIII secolo. Il tempio si presenta sobrio e possente all’esterno, con quattro contrafforti agli angoli e due sui 126

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lati. L’interno, invece, è alleggerito da un gioco di slanciati costoloni. La parte piú interessante si trova sulla controfacciata, decorata da un ciclo pittorico relativo alla missione in Terra Santa dell’Ordine dei Templari. Affreschi di varie epoche medievali si estendono anche sul catino absidale e lungo le pareti laterali. Articolata in due livelli, S. Bevignate conserva nei sotterranei strutture archeologiche di età romana.


A sinistra Siena. La chiesa di S. Pietro alla Magione. In basso San Gimignano. La chiesa di S. Jacopo.

A pochi chilometri di distanza sorge la chiesa di S. Giustino d’Arna, un insediamento agricolo di proprietà templare. Ciò che resta è una cappella, a navata unica, con una cripta che sostiene la parte dell’abside la quale è a sua volta decorata da una doppia serie di arcature cieche. La storia di S. Giustino inizia intorno al X secolo ed è funestata da liti per il controllo del territorio circostante la cui giurisdizione comprendeva almeno una trentina di chiese. Con il

declino dell’Ordine fondato da Benedetto da Norcia, la chiesa, passò dai Benedettini ai Templari, che la gestirono fino ai primi del Trecento, quando l’Ordine venne soppresso. Pochi anni dopo lo scioglimento dell’Ordine del Tempio il convento passò agli Ospedalieri, oggi Cavalieri di Malta, che ne sono tuttora i legittimi proprietari.

TOSCANA

Nella città di Siena, in Camollia, è possibile visitare la chiesa di S.

Pietro alla Magione, che deve il suo nome proprio alla Magione del Tempio. Si tratta di una chiesa in pietra, a pianta rettangolare con una facciata a doppio spiovente. Le prime notizie della chiesa risalgono al X secolo, quando ancora dei Templari non si immaginava neppure l’esistenza. Mentre invece, un atto del 1148, stipulato «Extra portam de Camullia prope domum Templi» (cioè vicino la casa del Tempio), attesta la precoce presenza a Siena dei

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L’ORDINE DEL TEMPO

Il templarismo A sinistra particolare degli affreschi conservati nella chiesa di S. Maria del Tempio a Ormelle (Treviso). Nella pagina accanto la tomba del Gran Maestro Arnaldo de Torraja nella chiesa veronese di S. Fermo Maggiore. In basso un altro scorcio della chiesa di S. Maria del Tempio a Ormelle.

Templari, i quali, istituiti trent’anni prima (1118), si erano rapidamente diffusi in tutto l’Occidente per gli ideali di fede e di umanità che professavano. Agli inizi del Duecento l’Ordine si insediò nella chiesa di S. Pietro, che prese il nome di «Mansio Templi», la Magione del Tempio appunto, cioè

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la Casa (dal latino mansio e dal francese maison). Con l’espansione urbanistica di Siena verso nord, i Templari acquisirono sempre maggiore importanza e alla chiesa furono aggiunte altre costruzioni sul retro, con il muro di cinta che andava dall’attuale via Malta alle mura cittadine: oggi su un fianco si

possono vedere ancora i resti del chiostro in cui si apriva il pozzo. Anche in questo caso, dopo il 1312, la chiesa passò agli Ospedalieri che portarono la struttura al suo maggior splendore: vennero dunque affrescati i sepolcreti dell’antico portico e fu decorato anche il refettorio del piano


metà del 1400, e questo sembra già un motivo sufficiente per passare ad altro che però, per qualche aspetto, è collegato, dal momento che nella chiesa di Rosslyn figurano delle sculture che sono state interpretate come un cactus e una pianta di mais, originarie dell’America in cui, alla fine del Trecento, il conte scozzese di Sinclair – assieme ad altri Templari – si sarebbe recato e dove avrebbe anche costruito una bella torre (o chiesa?) circolare ancora visibile a Rhode Island, nel parco di Touro a Newport (vedi foto alle pp. 118/119): si tratta di un edificio seicentesco, come ha rivelato l’analisi del C14, probabilmente un mulino a vento.

Croci, spade e un cavaliere seduto

superiore; fu poi costruita la loggia interna tuttora visibile, restaurata il secolo scorso, quando si intervenne anche sulla loggia esterna che affaccia sull’antico chiostro. A San Gimignano sorgeva un’altra chiesa templare, questa volta dedicata a san Jacopo e tuttora visitabile. La presenza templare in Toscana risale al XII secolo, mentre si hanno notizie di un Hospitale de Templo in quest’area, solo nella prima metà del Duecento. Si tratta di un edificio semplice e modesto, la cui facciata è bipartita essendo la parte superiore in cotto, decorata da un rosone «a ruota di carro», mentre quella inferiore in conci di travertino. Nell’architrave del portale, su cui poggia una lunetta monolitica, è scolpita in rilievo una bella croce dell’Ordine templare.

VENETO

A Ormelle, in provincia di Treviso, sorge la chiesa di S. Maria del Tempio, lambita dal fiume Lia. Si tratta di un grande edificio, circondato sulla facciata e sul lato destro dal portico che costituiva un tempo il chiostro originario, affrescato con pitture

databili al XII e XIV secolo. L’edificio chiesastico, perfettamente conservato, è l’unica testimonianza rimasta della Casa del Tempio edificata nel XII secolo dall’Ordine monastico-militare. Oggi è invece inserita in un complesso architettonico risalente alla gestione degli attuali Cavalieri di Malta. La denominazione Tempio apparve una prima volta in un documento del 1178 e poi nel 1304, mentre il termine Mason, cioè la Mansio Templi, comparve nel 1184. I Templari si insediarono in questo luogo anche perché qui si snodava uno degli antichi percorsi viari romani, la via che da Oderzo conduceva a Trento, vicinissima alla via Postumia che collegava Genova ad Aquileia. A Verona, invece, si trova la tomba di Arnaldo de Torraja, l’unica sepoltura di un Gran Maestro. Arnaldo morí a Verona alla fine del XII secolo e grazie a un recente studio è stato dimostrato, con un buon margine di sicurezza, che l’arca in pietra, decorata da una croce patente, che si trova nel chiostro della chiesa di S. Fermo Maggiore è proprio la sua tomba.

Incredibile a dirsi, ma anche oltreoceano qualcuno ha inciso croci sulle pietre e ciò attesterebbe la presenza inequivocabile dei Templari, ben prima dello sbarco di Colombo. Inoltre, come non recarsi in Massachussets per ammirare la Stele di Westford, in cui comparirebbe niente meno che un cavaliere medievale... Nel 1873 era stata identificata una roccia con scanalature dovute all’erosione glaciale su cui era stata presumibilmente aggiunta un’incisione fatta da nativi americani. Poi, dal 1954, si iniziò a parlare di una spada vichinga, per giungere infine alla ricostruzione di un’intera figura umana con tanto di scudo, stemma araldico e spada a pomello, diffusa in Scozia nel XIV secolo. Dopo il 1972, alcuni esperti di araldica, consultati dai sostenitori di questa strampalata teoria, riconobbero nelle linee erose sulla roccia lo stemma di Sir James Gunn, cavaliere templare che viaggiò con Sinclair in America... Ancora in Massachussets, nel 1832, furono rinvenute a Fall River le spoglie di un uomo, seduto, ribattezzato «Lo scheletro con l’Armatura» (vedi disegno a p. 119, in alto). Portava un giustacuore triangolare corredato da una sorta di collana formata da tubicini di 4/5 cm e da alcune punte di freccia. Fu identificato come lo scheletro di un indigeno: e, del resto, la postura seduta non basta ad avallare l’ipotesi che si tratti di un cavaliere medievale… cristiano, o templare! A onor del vero, per l’uomo di Fall River, furono proposte anche altre origini, chiamando in causa i Fenici, i Cartaginesi e naturalmente gli Egizi, i quali, forti della loro esperienza in materia, avrebbero rivelato alle popolazioni mesoamericane la tecnica di costruizione delle piramidi... Il mistero dello scheletro è destinato a rimanere tale, poiché le ossa e gli altri reperti sono comunque andati in fumo nel «Grande incendio» del 1843. TEMPLARI

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VO MEDIO E Dossier n. 51 (luglio/agosto 2022) Registrazione al Tribunale di Milano n. 233 dell’11/04/2007

Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Alessandria, 130 - 00198 Roma tel. 06 86932068 - e-mail: info@timelinepublishing.it Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it Lorella Cecilia (Ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it Impaginazione Alessia Pozzato Amministrazione amministrazione@timelinepublishing.it L’autore Federico Canaccini è dottore di ricerca in storia medievale. Illustrazioni e immagini Mondadori Portfolio: AKG Images: copertina (e pp. 40/41) e pp. 13 (e p. 54), 28, 38, 42 (basso), 55 (basso, a destra e p. 73), 65, 72, 78, 106, 112; Album/Prisma: pp. 6/7 (alto), 108; Album/Documenta: pp. 8/9, 109; Veneranda Biblioteca Ambrosiana: p. 10; Electa/Sergio Anelli: p. 11; Album/Fine Art Images: pp. 30/31, 66/67, 103, 114/115; London Metropolitan Archives (City of London)/Heritage Images: p. 50; A+E Studios/ Midnight Radio/Stilking Films/The Combine/Album: pp. 56/57, 74/75; Album/ Collection IM/Kharbine Tapabor: pp. 58-59; Erich Lessing/Album: p. 63; Fototeca Gilardi: p. 64; Album/Jean Vigne/Kharbine Tapabor: p. 70; Fine Art Images/Heritage Images: pp. 70/71, 110/111; Mauritius Images/Skaya: p. 87 (alto); Ann Ronan Picture Library/Heritage Images: p. 88/89; The Print Collector/Heritage Images: p. 90 (basso); Werner Forman Archive/Islamic Museum, Cairo/ Heritage Images: p. 91; Album/Grob/ Kharbine Tapabor: pp. 112/113; Mauritius Images/Steve Vidler: p. 120 (basso); Cortesia Everett Collection: p. 122 (alto); Paramount Pictures/Lucasfilm/Collection Christophel: p. 122 (basso) – Shutterstock: pp. 6/7 (basso), 22/23 (basso), 23, 48/49, 52, 76/77, 78/79, 80-85, 96, 118/119, 120/121, 124-125, 127 – Doc. red.: pp. 14-20, 24-27, 29, 32-37, 39, 42/43, 44-47, 48, 53, 55 (alto, a sinistra e al centro), 60-61, 62, 68, 86, 86/87, 90 (alto), 93, 94/95, 98, 100/101, 102, 104-105, 107, 114, 117, 119, 126, 128-129 – National Gallery of Art, Washington: p. 51 – Alamy Stock Photo: p. 116 – Bridgeman Images: p. 120 (alto) – Cippigraphix: cartine e rielaborazioni grafiche alle pp. 9, 21, 42, 79 – Patrizia Ferrandes: cartine e rielaborazioni grafiche alle pp. 12/13, 22/23, 97, 98/99.

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