Medioevo Dossier n. 52, Settembre/Ottobre 2022

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VICHINGHI UNA STORIA EUROPEA di Tommaso Indelli

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€ 7,90

VICHINGHI

N°52 Settembre/Ottobre 2022 Rivista Bimestrale

IN EDICOLA IL 16 SETTEMBRE 2022



VICHINGHI UNA STORIA EUROPEA di Tommaso Indelli

LE ORIGINI 6. Una storia europea L’ESPANSIONE 32. Alla conquista del mondo I REGNI SCANDINAVI 86. Corone senza pace NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA 112. L’eredità «vichinga»




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LE ORIGINI

Il monumento in onore dell’esploratore Leif Eriksson, figlio di Erik il Rosso, si staglia, al tramonto, sul fiordo di Trondheim, in Norvegia. Partito intorno al Mille alla volta della Groenlandia, Leif scoprí nuove terre, tra cui quella da lui battezzata Vinland («Terra del vino»), forse identificabile con l’odierna isola di Terranova.

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Particolare della replica di una tipica imbarcazione vichinga.

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Un paeaggio tipico di Birka, isola del lago Mälaren, in Svezia (odierna Björkö) che fu un importante centro in età vichinga. Nell’829 Ludovico il Pio vi inviò la missione evangelizzatrice del monaco Ansgar, in onore del quale è stata eretta la croce monumentale visibile sullo sfondo.

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Una storia europea La battaglia di Svolder, olio su tela di Nils Bergslien. 1900. Collezione privata. Lo scontro si combatté nell’anno Mille tra il re Olaf Tryggvason di Norvegia e la vittoriosa alleanza tra il re di Danimarca, il re di Svezia, e lo jarl di Lade.

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Navigatori abilissimi, ma anche guerrieri e predoni spietati: chi erano davvero gli uomini che dal Grande Nord seminarono il terrore in piú d’una terra del Vecchio Continente? E quali furono le ragioni di un’espansione all’apparenza inarrestabile e capace di fare dei Vichinghi i protagonisti di molti episodi cruciali nella storia dell’Alto Medioevo?

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al punto di vista storiografico e cronologico, si intende per «età vichinga» il periodo compreso tra il 793 e il 1066, cioè tra il saccheggio dell’abbazia di Lindisfarne (piccola isola nel Northumberland, al largo della costa orientale inglese, n.d.r.) e la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Bastardo († 1087), duca di Normandia. In quel lungo periodo, l’Europa fu scossa dalle incursioni devastatrici dei Vichinghi o Normanni, bande di predoni di provenienza scandinava e origine germanica da cui, attraverso un processo storico durato secoli, trassero origine la Danimarca, la Norvegia e la Svezia. Proprio nel corso dell’«età vichinga», infatti, i popoli «nordici» o «norreni» – dal nordico norrön, «settentrionale» – posero le basi per la costruzione delle loro monarchie «nazionali», compagini statali sempre piú centralizzate e istituzionalmente elaborate. Fino alla seconda

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Le origini


metà del IX secolo, infatti, Danimarca, Norvegia e Svezia furono mere «espressioni geografiche» e non regni politicamente e istituzionalmente organizzati intorno alla figura di un monarca, e le lingue parlate dalle rispettive popolazioni erano molto simili, avendo un’origine comune, cosa che, ancora oggi, nonostante la sopravvenuta distinzione tra lingua danese, norvegese e svedese, rende possibile, a questi popoli, comprendersi vicendevolmente. Occorre inoltre precisare che, sebbene vengano molto spesso confusi, per ragioni di prossimità geografica, con i Vichinghi, i Finlandesi – o Finni – e i Lapponi, in realtà, per ragioni etnicolinguistiche, non sono Germani e, quindi, indoeuropei, ma sono ascrivibili al gruppo delle (segue a p. 18)

«QUELLI CHE SI ALLONTANANO» L’etimologia del nome «vichingo» – víkingr – è incerta e si suppone che abbia un’origine duplice, derivando dal norreno vík – baia – oppure dal sassone wic – borgo, città –, con chiari riferimenti, nel primo caso, all’attività predatoria di queste popolazioni e, nel secondo, a quella commerciale. È altresí probabile che víkingr derivi dal sostantivo norreno vig – «spedizione militare» – o dal verbo víkja – «girare da una parte» –, cosí che víkingr potrebbe significare «colui che si allontana», con allusione alle spedizioni intraprese dalle genti scandinave. Oltre al termine «Vichinghi» nelle fonti dell’epoca – latine e non solo – le genti del Nord erano anche indicate come Northmanni, «uomini del Nord», oppure Voeringjar, Vareghi o Variaghi, Rus (Varangoi, Rhos, in greco, Rus, in slavo, cioè «Russi»), nomi derivanti, presumibilmente, da vár, giuramento, o da rodhr, remo, con riferimento, nel primo caso, alle confraternite militari – vikingelag – che riunivano i guerrieri e, nel secondo, alle imbarcazioni – drakkar – con cui essi solcavano i mari. Con l’etnonimo Vareghi erano indicati, soprattutto nelle fonti slave, i Vichinghi di origine svedese che penetravano, per ragioni commerciali o di razzia, in Russia. Nelle fonti arabe del periodo era adoperato l’etnonimo al Majus – adoratori del fuoco – «gentili», «pagani», con riferimento ai culti politeistici di queste genti, mentre in quelle irlandesi veniva adoperato l’etnonimo Lochlannach o Gaill, rispettivamente, «Abitanti dei laghi» e «Stranieri».

In alto frammento di un segnacolo funerario rinvenuto a Lindisfarne sul quale è scolpita una teoria di guerrieri forse identificabili come Vichinghi. IX sec. Lindisfarne, Museo. Sulle due pagine i resti dell’abbazia di Lindisfarne (Inghilterra), assalita e saccheggiata da predoni scandinavi l’8 giugno 793. VICHINGHI

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Le origini

RADICI GERMANICHE Dal punto di vista etnolinguistico anche i Vichinghi appartenevano al grande raggruppamento delle popolazioni germaniche, di cui parlarono gli etnografi antichi, e, piú precisamente, al raggruppamento dei Germani settentrionali. Le tribú germaniche erano stanziate nel vasto territorio detto Barbaricum o Germania, delimitato, a ovest e a sud, dal Reno e dal Danubio, a est dall’Elba e dalla Vistola, a nord dal Mare del Nord e dal Mar Baltico. L’identità etnico-culturale «germanica» – molto discussa – si era progressivamente formata tra il II e il I millennio a.C., quando l’area delle attuali Germania e Scandinavia era stata interessata da correnti migratorie – molto probabilmente provenienti dall’Asia centrale – di tribú indoeuropee, progressivamente sovrappostesi e amalgamatesi con i popoli paleo-europei già insediati in quei territori. I Germani, quindi si distinguevano in Germani «continentali» – le tribú stanziate nel territorio compreso tra Reno, Danubio e Vistola – e i Germani del Nord o «insulari» – conosciuti meglio come Vichinghi o Normanni – che popolavano lo Jutland e la penisola scandinava, a torto ritenuta un’isola dagli antichi etnografi greci e romani.

INVASIONI INVASIONI BARBARICHE BARBARICHE E REGNI E REGNI ROMANO ROMANO - PITTI SCOTI

MARE DEL NORD

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Sotto il profilo linguistico – escludendo i Germani settentrionali, cioè Danesi, Norvegesi e Svedesi – i Germani continentali erano ripartiti in due grandi raggruppamenti: i Germani occidentali, stanziati tra il Reno, il Danubio e l’Elba, e i Germani orientali, dimoranti tra l’Elba e la i Cordoba Valencia B a l e a r Vistola. Come si può intuire, il territorio Sardegna dell’antica Germania era molto piú vasto di Siviglia Cartagena R E GNO quello attuale, comprendendo anche, a est Cadice dell’Elba, territori che furono poi occupati dalle DEI Ceuta tribú slave, nel VI-VII secolo. Secondo gli etnografi M A R VA N DALI Tangeri M E romani, le tribú germaniche occidentali D appartenevano a tre grandi raggruppamenti I Ippona C e s a r e a tribali o leghe, e cioè – procedendo da nord verso sud – agli Ingevoni, agli Erminoni e agli Istevoni. N u m i di a Cartagine A f r i ca Ciascuna delle tre leghe traeva origine da capostipiti diversi, da tre «eroi eponimi» che, nell’ordine, erano Ingvio, Hermin e Istwo. Rugi, gli Eruli, gli Juti e gli Angli, molto probabilmente Costoro, secondo lo scrittore romano Tacito († 120 d.C.) – originari dell’attuale Danimarca. Alcuni storici classici autore del De origine et situ Germanorum – erano figli di aggiungevano alle tre leghe menzionate da Tacito altre Manno, primo essere umano figlio di Tuisto, eroe androgino «confederazioni» – Vandili, Peucini, Bastarni – diffuse tra i figlio di Nerthus – la dea Terra – capostipite di tutti i Germani orientali, sulle rive dal Baltico. Germani. Tacito, tra l’altro, menzionò espressamente la tribú dei Suiones, espertissimi navigatori e, forse, Le altre tribú – escluse dalle confederazioni suddette – non identificabili con gli Svedesi, mentre alcune delle tribú facevano parte di alcuna lega, ma vantavano ciascuna propri germaniche che invasero l’impero romano nel V secolo eroi eponimi. Il nome «Germani» non è autoctono, ma sembra provenivano, senza dubbio, dall’area scandinava, come i che, pur essendo stato molto utilizzato dagli scrittori latini, 16

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IMPERO D’OCCIDENTE


- GERMANICI GERMANICI(IV (IV- VII - VIIsecolo) secolo)

Principali migrazioni dei popoli barbari

Situazione politica all’anno 476

JUTI

Unni

MAR M AR BALT BAL T ICO

Scandia

Alani, Vandali e Suebi

DANESI

Ostrogoti Visigoti

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Franchi Burgundi

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Alamanni Angli, Sassoni e Juti

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Pitti e Scoti

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Ratisbona

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Aquileia

Razzie e spedizioni di Vandali marittime dei Vandali Impero Romano tempo romano alal tempo di Diocleziano (284-305) Divisione dell’Impero dell’impero da parte di Teodosio (395)

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IMPERO D’ORIENTE

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sarebbe di origine celtica e il suo etimo sconosciuto. L’origine dell’etnonimo «Germani» sarebbe da ricollegare alla parola «fratello» – perché, ai Romani, sembravano tutti simili per fenotipo – oppure al celtico Garmanos, Carmanos, cioè gli «urlatori», i «rumorosi», con allusione, forse, ai canti di guerra delle tribú. Prima ancora dei Romani, i primi a utilizzare l’etnonimo furono i Celti, riferendosi alla tribú germanica dei Tungri, che viveva presso il Reno. In ogni caso, proprio l’origine non autoctona dell’etnonimo «Germani» sembra confermare l’ipotesi secondo la quale

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essi non utilizzavano un nome specifico per designare se stessi e non possedevano una coscienza nazionale, cioè la consapevolezza di appartenere a un ethnos unico, al di là delle singole frammentazioni tribali. Anche in mancanza di elementi certi che consentano di sostenere l’esistenza di una coscienza collettiva del genere, propria delle moderne nazioni, non è possibile disconoscere il fatto che, al di là del particolarismo tribale, un sostrato etnico-culturale e linguistico di fondo – di chiara matrice indoeuropea – accomunava le singole tribú. VICHINGHI

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Le origini

popolazioni ugrofinniche o uralo-altaiche, allo stesso modo di Ungheresi, Estoni e Turchi (vedi box alle pp. 16-17). Le cause dell’espansione vichinga furono molteplici e va senz’altro respinta l’idea ottocentesca che l’esplosione demografica scandinava fosse stata causata dalle intemperanze sessuali «pagane» dei Norreni. Oltre a ragioni demografiche, all’origine delle spedizioni vi furono, molto probabilmente, cause di carattere ambientale e climatico, ma anche motivazioni politiche connesse ai conflitti che laceravano la Scandinavia altomedievale e che ebbero come protagonisti gli jarlar – «conti», «nobili» – esponenti dell’aristocrazia locale (vedi box a p. 15). L’espansione vichinga suscitò grande sconcerto anche nei contemporanei, che ne indagarono l’origine. L’ecclesiastico franco Dudone di San Quintino († 1043 circa), autore del De moribus et actis primorum Normandiae ducum – una storia del ducato di Normandia – fu il primo ad attribuire le razzie dei Nor18

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reni a un aumento della popolazione, dovuto ai costumi sessuali «licenziosi» e alla pratica della poligamia. Invece, il chierico sassone e storico Adamo di Brema († 1081 circa), autore del trattato Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum – storia della diocesi di Amburgo scritta intorno al 1075 – imputò l’espansione vichinga alla povertà degli Scandinavi e alla crudeltà delle loro usanze religiose, arrivando a sostenere che solo la conversione al cristianesimo avrebbe determinato la fine delle razzie vichinghe cosa che – come si vedrà – è del tutto falsa.

Un assetto patriarcale

Sino alla fine dell’VIII secolo, la società norrena aveva un ordinamento prevalentemente agricolo – fondato sul ceto dei boendr, i proprietari terrieri – e patriarcale, fondato sulla aett, la famiglia monogamica, anche se, tra l’aristocrazia, era in uso la poligamia o il concubinato. Il fondamento giuridico e sacrale della famiglia vichinga riposava sul

Acquerello di Albert Sebille nel quale l’artista immagina una flottiglia di drakkar in azione. Nella pagina accanto, in basso litografia a colori nella quale si immagina un rito di cremazione vichingo.


A C D

B

E

G

F

H

In alto tavola relativa alla voce drakkar in un’edizione del Dizionario Enciclopedico Larousse della fine dell’Ottocento: A. i fori praticati lungo le fiancate per consentire l’inserimento dei remi; B. gli stessi fori chiusi quando non utilizzati; C. la poppa dell’imbarcazione, con il timone e la postazione del pilota; D. un drakkar a 32 remi (con il telo che riparava la coperta parzialmente in uso); E. pianta di un drakkar a 32 remi; F. sezione del drakkar all’altezza dell’albero; G-H. confronto tra una moderna imbarcazione norvegese (a sinistra) e un drakkar in navigazione con la vela spiegata.

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Le origini

La nave di Oseberg, imbarcazione utilizzata come sepoltura femminile, forse per la regina Åsa Haraldsdottir di Agder. IX sec. Oslo, Museo delle Navi Vichinghe. Nella pagina accanto, in alto isola di Gotland (Svezia). Particolare di una sepoltura contrassegnata da blocchi di pietra disposti a formare la sagoma di una nave. Il monumento viene tradizionalmente chiamato «Tomba di Tjelvar», leggendario eroe ricordato dalla Gutasaga, che avrebbe raggiunto l’isola e vi avrebbe a lungo regnato.

brudkaup – matrimonio –, generalmente frutto di un accordo tra le famiglie degli sposi: il marito acquisiva la potestà sulla donna versando, all’avente potestà, il mundr, mentre la donna portava al marito l’heimanfylgja, una sorta di dote. Il giorno seguente la notte delle nozze, il marito versava alla moglie una controdote, il morgingjöf. Il matrimonio poteva essere sciolto attraverso il divorzio, in genere attuato col ripudio della donna da parte del marito. 20

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La famiglia faceva parte della sippe, il clan di discendenza patrilineare, che svolgeva un importantissimo ruolo di sostegno e protezione, soprattutto in un contesto sociale in cui l’autorità dello Stato era assente e dove la riparazione di eventuali torti era affidata – come in tutte le tribú germaniche – alla faida. I casi piú gravi, però, venivano giudicati dal thing – «tribunale locale» –, composto dagli jarlar e dai boendr, (segue a p. 25)


In basso particolare della testa d’animale scolpita come terminale di uno dei quattro pali in legno di questo tipo rinvenuti nella sepoltura contenuta nella nave di Oseberg. IX sec. Oslo, Museo delle Navi Vichinghe.

Le navi, per i Vichinghi, non furono solo il formidabile veicolo della loro espansione, ma ebbero anche un grande valore simbolico VICHINGHI

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Le origini

GROENLANDIA Lofoten

MAR DI NORVEGIA

Reykjavik Thingvellir

Cartina dell’Europa nella quale sono indicati i territori d’origine delle genti vichinghe, le principali direttrici delle loro spedizioni e le terre conquistate e colonizzate, tra l’VIII e il IX sec. Sono inoltre evidenziati i centri abitati piú importanti, che possono essere considerati come altrettante capitali.

Trondheim

Fær Øer Shetland

Uppsala

Bergen Oslo

Haugesund

Helgö Birka

Kaupang Fyrkat Roskilde

Ebridi Lindisfarne Isola di Man

Ribe

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Amburgo

York Dorestad

Londra Hastings

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Bayeux

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Haithabu Dublino Dunmore

OCEANO

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Espansione Pamplona Incursione Zuge

Lisbona Tago Cordoba Cadice

Roma

Palermo

MAR MEDITERRANEO KAUPANG Era un importante centro artigianale, nei pressi del fiordo di Oslo, e nel IX secolo aveva circa 600 abitanti. Per i Norvegesi rappresentava una porta per l’Europa. BIRKA Si trovava sull’isola svedese di

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Björkö, pochi chilometri a ovest di Stoccolma. La sua fondazione risale all’VIII secolo e negli anni divenne uno dei piú importanti centri sulla rotta mercantile che univa la Scandinavia all’impero bizantino.

RIBE La città piú antica della Danimarca, situata oggi nel comune di Esbjerg. La sua fondazione risale ai primi anni dell’VIII secolo e, in poco tempo, intercettò gran parte del traffico commerciale.

MAR

Costantin


A sinistra e qui sotto ricostruzioni dell’aspetto che l’insediamento vichingo di Haithabu (Germania) doveva avere intorno al X sec. Busdorf, Wikinger Museum Haithabu. In basso monete probabilmente battute a Hedeby e rinvenute a Birka. Inizi del IX sec. Stoccolma, Museo di Storia. I primi due esemplari mostrano immagini delle tipiche navi vichinghe.

gorod Rostow

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MAR CASPIO

HAITHABU Sorgeva nei pressi dell’odierna città di Schleswig, nella Germania settentrionale. Dal porto, attraverso il fiordo dello Schlei, si raggiungeva il Baltico, mentre percorrendo il vicino fiume Treene era

possibile accedere all’Eider e quindi al Mare del Nord senza la circumnavigazione dello Jutland. SIGTUNA Situata a nord di Stoccolma, la sua importanza crebbe in seguito al declino di Birka. Svolse un ruolo di

primo piano come snodo per i traffici interni della Svezia. HELGÖ Isola svedese situata sul Lago Mälaren dove un tempo sorgeva una città vichinga, piú antica delle vicine Birka e Sigtuna.

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Le origini

Fino alla fine del (vecchio) mondo 3 50 a.C. circa Il navigatore Pitea, di Marsiglia, parla di Thule, creduta una grande isola del Nord. ●5 d.C. Una flotta romana esplora l’estremità dello Jutland (Danimarca). ●1 00-200 Espansione del commercio romano. Le fonti citano diverse tribú del Nord, tra cui i Gautar (Geati), citati nella Saga di Beowulf. ●3 00 circa Diffusione degli alfabeti runici (futhark) mutuati da alfabeti greci, etruschi e nord-italici. ●4 00-800 La civiltà scandinava matura in piena autonomia. ●7 89 Giugno 793 La prima nave danese approda alle coste inglesi. Saccheggio e strage alla chiesa di St. Cuthbert, nell’abbazia di Lindisfarne, Northumbria (Inghilterra nord-orientale). ●8 00 circa Inizio della conquista vichinga d’Irlanda. ●8 41-844 Saccheggio di Nantes e Rouen (Francia). ●8 50-851 Una flotta di 350 navi vichinghe attracca nel Tamigi. ●8 60-862 Nelle cronache russe compaiono i Rus o Variaghi (probabilmente capi scandinavi). ●8 65-867 Gli Inglesi pagano il Danegeld (il «soldo danese», un tributo politico) ai Danesi; saccheggio di York. ●8 78 Alfred, re del Wessex, sconfigge i Vichinghi danesi. ●8 50-900 Vichinghi norvegesi esiliati occupano l’Islanda. ●8 85-886 Fallito attacco vichingo a Parigi. ●9 11 I Norvegesi conquistano la Normandia. ●9 20 Riconquista anglo-sassone della Britannia meridionale. ●9 60 circa Il re Aroldo Dente Azzurro converte i Danesi al cristianesimo. ●9 80 Erik e Thorval sono banditi dall’Islanda e iniziano a esplorare la Groenlandia. ●9 85 Bjarni Herjólfsson salpa dall’Islanda per la Groenlandia, si perde e per caso avvista Vinland (la costa nordamericana). ●1 000 Thorgeir, all’Althing (assemblea) islandese, dichiara la conversione al cristianesimo. ●1 008 Olaf Skötkonung, re di Norvegia, accetta formalmente la nuova religione. ●1 014 Battaglia di Clontarf: sconfitta degli Scandinavi di Irlanda. ●1 016 Il sovrano danese Canuto, cristiano, diviene re d’Inghilterra. ●1 066 Battaglia di Stamford Bridge: re Aroldo II d’Inghilterra respinge l’armata del norvegese Harald III. Poco dopo si combatte la battaglia di Hastings e Guglielmo il Conquistatore prende l’Inghilterra. ●1 000-1100 Insediamento scandinavo a L’Anse aux Meadows (Newfoundland), possibile scena della saga di Leif Eriksson a Vinland. ●1 347 Ultima menzione di Markland (= Labrador) negli annali islandesi. ●1 492 Cristoforo Colombo riscopre l’America nelle isole caraibiche. ●

In alto elmo in ferro e bronzo dalla navesepoltura n. 1 di Vendel (Uppland, Svezia), VII sec. Stoccolma, Museo di Storia.

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A destra spada vichinga in ferro con elsa ageminata in argento, da Utrecht. X sec. Leida, Rijksmuseum van Oudheden.


che, in genere, applicava prove ordaliche come l’holmgänga – «duello a morte» – o sanzioni come lo skoggangr, il bando del colpevole. Il proscritto diventava utlagi – «fuorilegge» – e, privato di ogni garanzia giuridica, poteva essere impunemente ucciso. Nella società norrena era largamente praticata la schiavitú, ma era consentito l’affrancamento dei servi. Il traell – «schiavo» – poteva essere liberato in vari modi, per esempio a fronte della corresponsione al padrone di una leysingi – «somma di denaro» – oppure dietro promessa d’adempimento di uno specifico servizio – frjälsgjali – e quello adeguatamente capace poteva anche aspirare al ruolo di bryti, cioè di «sovrintendente» della casa e della fattoria del padrone. Le colture agricole piú diffuse erano orzo, segale e miglio, oltre agli ortaggi, mentre si allevavano bovini, ovini, suini, animali da cortile e cavalli.

Lunghe case di pietra e legno

La stragrande maggioranza della popolazione viveva in fattorie isolate o in villaggi, spesso fortificati con palizzate e fossati, uno dei quali è stato riportato alla luce nella località danese di Vorbasse. Escludendo la skali – piccola casa contadina, a tre o quattro stanze – le abitazioni rurali assumevano la caratteristica planimetria allungata della tipica langhallr nordica. Questa tipologia di abitazioni poteva arrivare fino a 60 m di lunghezza, era edificata in legno, talvolta con zoccolatura in pietra, ed era ricoperta da un tetto a spiovente, anch’esso realizzato in legno o paglia e canne, e sostenuto da travi e pilastri. All’interno, la pavimentazione era in legno o terra battuta e non esisteva, in genere, una separazione tra ambienti diversi, mentre il centro della casa era riservato al focolare, utilizzato sia per la cottura dei cibi che per riscaldarsi. Spesso gli animali convivevano all’interno dell’abitazione con l’uomo, soprattutto d’inverno e, oltre al mobilio, in casa c’era anche l’öndvegi, il «trono», in legno o in pietra, del capofamiglia, mentre le pareti erano ornate con arazzi e ricoperte di pellicce. Intorno all’abitazione, spesso circondata da un gardr – «recinto» – in legno o in pietra, sorgevano altri edifici adibiti a stalle, depositi per attrezzi e provviste, opifici vari, per fabbricare utensili o preparare il cibo. La fattoria, residenza della famiglia, e le pertinenze fondiarie annesse costituivano l’odal, il patrimonio familiare indivisibile che veniva trasmesso al solo primogenito o, comunque, a uno solo dei figli, che versava un’indennità agli altri. Le condizioni climatiche rendevano piú semplice l’attività agricola in Danimarca, anziché in

Norvegia e Svezia, dove l’economia locale prosperava anche grazie alla pesca e, nel caso della Norvegia, alla caccia alle balene e ai trichechi. Svedesi e Norvegesi, tra l’altro, intrattenevano proficui rapporti economici con i vicini Lapponi, abili cacciatori e allevatori di renne. Intorno alla metà dell’VIII secolo, col miglioramento climatico e con l’intensificarsi dello sfruttamento della terra, nella società scandinava cominciarono a emergere proprietari piú ricchi degli altri – gli jarlar –, che iniziarono a circondarsi di un vasto seguito di armati – hird o drott – e a consolidare i rapporti di fedeltà personale con altri boendr, i quali, attraverso la concessione di terre, si trasformarono in un ceto di lendir menn – «vassalli» – alle dipendenze di un’aristocrazia fondiaria sempre piú aggressiva, che, ben presto, aspirò a imporre, con la forza, il proprio dominio agli altri. I rapidi mutamenti sociali interni alla società norrena, i conflitti civili – che fecero crescere il numero degli esuli politici – gli squilibri sociali e la voglia di ricchezza e di avventura – incoraggiata anche dall’ethos guerriero tipico delle popolazioni scandinave – furono tra le cause che diedero inizio alla grande espansione vichinga. A tutto ciò bisogna anche aggiungere, tra l’VIII e il IX secolo, la «rivoluzione nautica», cioè la messa a punto, da parte dei Norreni, di un nuovo tipo di scafo agile, veloce e dal basso pescaggio, in grado di risalire la corrente dei fiumi, penetrando all’interno dei territori, ma anche di solcare l’Oceano (vedi box alle pp. 26-31). A queste imbarcazioni la tradizione ha imposto il nome di dreki, o, piú comunemente, drakkar – «nave del drago» –, perché gran parte di esse aveva, a prua, come polena, scolpita nel legno, la testa di un drago o di un serpente che, secondo gli antropologi, avrebbe svolto una funzione apotropaica, allontanando gli dèi o i landvaettir, gli «spiriti cattivi» dei territori in cui i Vichinghi facevano scalo. In realtà, le polene delle navi recavano scolpite le figure piú diverse, come, per esempio, il bisonte, che dava il nome – Visundr – all’ammiraglia del re di Norvegia Olaf II Haraldsson il Santo (1015-1030). La struttura di queste imbarcazioni da guerra – dette anche skeid, herskip, snekkja o langskip – è conosciuta grazie ai numerosi rinvenimenti archeologici, come quelli delle navi di Gokstad – costruita intorno al 905 – e di Oseberg – costruita intorno all’820 –, ritrovate entrambe in Norvegia, rispettivamente nel 1880 e nel 1904. Le imbarcazioni erano state utilizzate come camere funerarie, collocate sotto enormi tumuli, in cui erano sepolti personaggi di alto rango. VICHINGHI

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I VICHINGHI

Le origini

Realizzata in legno di quercia, la nave vichinga sfruttava la forza del vento, attraverso una grande vela quadrata – issata su un albero di pino o frassino di circa 15 m che, collocato al centro dell’imbarcazione, poteva essere smontato –, a cui si aggiungeva l’energia fornita dai rematoriguerrieri. Fabbricate con lino o lana, le vele venivano impermeabilizzate con olio di balena o foca. La nave utilizzava come timone un grosso remo posto a tribordo di poppa e poteva raggiungere la velocità di ben 10 nodi e battelli da guerra – quelli di Oseberg e Gokstad erano lunghi circa 20 m e larghi poco piú di 5 – sprovvisti di ponti e casseri, potevano raggiungere i 30 m di lunghezza e trasportare circa 70 uomini, come il Lungo Serpente – Ormrinn langi – l’ammiraglia della flotta del re norvegese Olaf I Tryggvessön (995-1000). La piú grande nave da guerra vichinga mai realizzata fu l’ammiraglia della flotta del re di Danimarca, Canuto II il Grande (1014-1035), con una lunghezza di ben 80 m e non meno di 60 banchi per i rematori.

IN CERCA DI NUOVE TERRE

Per spaventare il nemico

Queste navi, con scudi vivacemente dipinti posti lungo le fiancate, vele enormi e colorate, polene aggressive e scolpite a forma di animale, dovevano avere un aspetto terrificante e maestoso. Per renderle particolarmente agili, ma dotarle anche di una struttura elastica e impermeabile all’acqua, in grado di tenere il mare alto, si faceva in modo che le tavole del fasciame ligneo, collocate lungo le fiancate, fossero parzialmente sovrapposte le une alle altre – secondo la tecnica del clinker – e fossero fissate con chiodi di ferro ribattuti e calafatate con pelo di animali. Una nave nordica realizzata con questa tecnica, e risalente al IV secolo, è stata ritrovata in Danimarca, a Nydam. Si trattava di un’imbarcazione priva di vela, a remi, molto simile a quelle probabilmente utilizzate dagli Anglosassoni per invadere la Britannia romana nel V secolo. In ogni caso, le navi «da guerra» dei Norreni avevano, per lo piú, la funzione di trasporto e sbarco di truppe sulla terraferma, ma non erano adatte ad affrontare vere e proprie battaglie navali, poiché la loro struttura snella e leggera non consentiva di imbarcare macchine belliche – catapulte, baliste – e non offriva adeguata protezione all’equipaggio. Non conoscendo la bussola o un’evoluta cartografia nautica, i Vichinghi ricorrevano alla navigazione di cabotaggio oppure, in alto mare, si orientavano attraverso l’osservazione degli astri e dei venti, della fauna e flora marine, delle (segue a p. 31) 26

VICHINGHI

La «rivoluzione nautica» vichinga consentí, ben presto, alle popolazioni di semplici agricoltori, di diventare esperti navigatori e condottieri e, in questo campo, i Norvegesi furono autentici maestri. Inoltre, l’unificazione politica della Norvegia da parte di Aroldo I Bellachioma (870 circa-930), attuata alla fine del IX secolo, a cui seguí la sottomissione dei membri dell’aristocrazia locale – jarlar – determinò l’emigrazione dal paese di molti dei suoi avversari politici. Questo flusso migratorio, in alcuni casi, favorí la scoperta e la colonizzazione di territori fino ad allora sconosciuti e disabitati. Intorno all’874, Ingólf Arnarsön († 910 circa), un norvegese con pendenze giudiziarie, fuggí dal suo paese e scoprí l’Islanda, seguendo la rotta tracciata da alcuni predecessori, di cui si rammentano solo il nome e la provenienza e, cioè, i norvegesi Naddodh e Flóki Vilgerdharsson e lo svedese Gardhar Svarvarsson. L’Islanda costituiva un ambiente decisamente «esotico» per i Norreni, caratterizzato dalla presenza di vulcani e geyser, ma ricco, soprattutto lungo le coste, di pascoli, e dove si potevano cacciare balene, trichechi, foche e uccelli, oltre a praticare la pesca, e Ingólf battezzò l’isola «Terra del ghiaccio» – Islanda – nome che conserva ancora oggi. Pochi anni dopo la scoperta, l’Islanda fu al centro di un interessante esperimento politico-costituzionale. Intorno al 930, infatti, completata la colonizzazione dell’isola con la fondazione di alcuni insediamenti, fu istituita una vera e propria «repubblica», il cui governo fu basato sull’Althing, un grande parlamento a cui partecipavano tutti gli uomini liberi – Thingmenn – sotto la supervisione e il comando di trentasei godar, «signori-sacerdoti» che rappresentavano l’élite del paese. L’Althing fungeva anche da tribunale


In alto ricostruzione di una casa vichinga realizzata in Islanda come set di una produzione cinematografica. A destra lamina aurea raffigurante Aroldo Dente Azzurro, re di Danimarca, che annuncia la sua conversione al cristianesimo a Jelling, antica capitale vichinga della Scandinavia. XI sec. Copenaghen, Museo Nazionale.

presso il quale venivano dibattute le questioni giudiziarie piú importanti e si riuniva nella grande valle, di origine vulcanica, denominata Thingvellir, presso Reykjavík. Ogni tre anni, l’Althing procedeva all’elezione del Lögsögumadur – «Recitatore della legge» –, una sorta di «presidente» della repubblica islandese, cui spettava memorizzare e applicare la legge consuetudinaria vigente nel paese. A fini amministrativi, cultuali e censuali, l’isola fu anche divisa in quattro fiórdungar, circoscrizioni territoriali che ricalcavano i punti cardinali. Intorno al 1000, per iniziativa del re norvegese Olaf I Tryggvessön, agli abitanti dell’isola fu imposto il cristianesimo e, nel 1056, fu istituita la diocesi di

Skálholt e, nel 1106, quella di Hólar. L’Islanda, in ogni caso, fin dall’XI secolo, gravitò sempre nell’orbita del regno norvegese fino alla sua completa annessione, avvenuta nel 1261. Nello stesso periodo in cui l’Islanda fu scoperta, vennero colonizzati anche gli arcipelaghi delle Orcadi, delle Shetland e delle Faer Øer, tra Scozia e Islanda e, piú a ovest, delle Ebridi e, infine, l’isola di Man, tra Inghilterra e Irlanda. Contrariamente alle altre isole, su cui gli archeologi hanno confermato l’esistenza di insediamenti celtici pre-vichighi, l’Islanda e le Faer Øer erano totalmente disabitate. Gli arcipelaghi delle Orcadi e delle Shetland furono occupati, secondo la Orkneyinga saga – racconto della colonizzazione VICHINGHI

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I VICHINGHI

A destra le spedizioni vichinghe nell’Atlantico. Nella pagina accanto, in alto la cosiddetta Croce di Thorwald (X-XI sec.), sull’isola di Man. Il rilievo raffigura il Rágnarök («Giudizio degli dèi») e si riconosce il lupo Fenrir che divora Odino. Nella pagina accanto, in basso ricostruzione di un’abitazione vichinga all’Anse aux Meadows (Terranova, Canada). In basso Reykjavik. Il monumento a Leif Eriksson eretto davanti alla chiesa di Hallgrimskirkja.

Le origini

Baia di Baffin Baffin (Helluland)

Mare del Nord

Groenlandia

Stretto di Hudson

San Pietroburgo

Insediamento Occidentale

Trondheim

(Mittlere Siedlung) Brattahlid Insediamento Orientale

Sigtuna Birka Oslo Visby Bergen

Höfn

Reykjavik

Rebild Arhus Jelling

Orcadi

Labrador (Markland)

Ebridi

Haithabu

L’Anse aux Meadows Dublino Limerick

Terranova

Oceano Atlantico

Cork

SPEDIZIONI DEI VICHINGHI NELL'ATLANTICO SETTENTRIONALE Prime spedizioni (790-860) Erik il Rosso (985-986 circa) Bjarne Herjólfsson (985-986 circa)

Riga

Gotland

Shetland

York Londra

Dorestad

Wolin

Praga

Quentovic Rouen Parigi Orléans Nantes Bordeaux

Roma

Mar Mediterraneo

Leif Eriksson (1001 circa) Thorfinn Karlsefni (1005 circa) Rotte commerciali Correnti oceaniche

dell’isola, composto nel XIII secolo – da alcuni avversari di re Aroldo I Bellachioma che fuggivano dal proprio paese, guidati dal norvegese Rögnvald († 894 circa), jarl di Möre, che fondò la dinastia dei conti delle Orcadi e delle Shetland e che, dopo la morte, trasmise il potere al figlio Einar († 910 circa). Secondo la saga, Rognvald fu anche il padre di Rollone († 932 circa), primo duca di Normandia. Nei due arcipelaghi la presenza vichinga è stata confermata da ritrovamenti archeologici di fattorie – come a Jarlshof, nelle Shetland – e dai toponimi. L’isola di Man e le Ebridi interne ed esterne, benché scoperte dai Vichinghi e colonizzate già nel IX secolo, costituirono, fin dal 1079, un regno autonomo, fondato dall’islandese Godred Crovan, personaggio semileggendario che la tradizione dipinge come un sopravvissuto alla battaglia di Stamford Bridge del 1066, in cui Aroldo III lo Spietato (1047-1066), re di Norvegia, fu ucciso dagli Anglosassoni, mentre tentava di impossessarsi dell’Inghilterra. Nell’isola di Man, la presenza vichinga è confermata dalle caratteristiche croci irlandesi come quelle di Kirk Andreas e Kirk Michael, su cui furono incise rune. 28

VICHINGHI


Ancora oggi, il parlamento di Man prende il nome di Tynwald, derivante dall’islandese Thingvellir! Le Faer Øer furono occupate alla fine del IX secolo da alcuni oppositori di Bellachioma, guidati dallo jarl Grim Kamban, figura semileggendaria. Su queste isole la presenza vichinga è, a livello archeologico, documentata da rare testimonianze, come l’insediamento di Toftanes, nell’isola di Leirvík. Fatta eccezione per le Faer Øer, rimaste sempre sotto il controllo norvegese e, poi, dal XIV secolo, danese, tutte le altre isole passarono definitivamente sotto il controllo della Scozia, a cui furono cedute dalla Danimarca nel 1466, per poi confluire, nel XVII secolo, nei domini della Corona Britannica. Come narrano le saghe, intorno al 985, alcuni Islandesi scoprirono anche la Groenlandia – «Terra Verde» – a cui diedero il nome. La scoperta fu opera di Erik Thorvaldssön († 1007 circa) – detto «il Rosso» – che, probabilmente, si serví delle informazioni e della rotta tracciata dal vero scopritore dell’isola, l’islandese Gunnbjorn Ulfssön. Erik si stabilí in Groenlandia e incoraggiò l’immigrazione di altri Islandesi, con i quali fondò i primi insediamenti, come quello «orientale» – Eystribygdh – presso il quale era anche la sua dimora – Brattahlid, il «Ripido pendio» – e quello «occidentale», Vestribygdh. Intorno al 1225, fu istituito anche il vescovato di Gardar e, nel 1261, la Groenlandia divenne possesso della corona norvegese. L’economia degli insediamenti vichinghi si fondava sull’allevamento di pecore, di capre e bovini, sulla pesca e la caccia di renne, orsi e uccelli. La Groenlandia esportava in Norvegia e Islanda pelli di orsi bianchi, falchi da caccia, zanne di tricheco, fanoni di balena. Intorno al 1000, Leif

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I VICHINGHI

Le origini

Eriksson († 1020 circa), uno dei figli di Erik, navigando a ovest della Groenlandia, scoprí altri territori – fino ad allora sconosciuti – che battezzò con i nomi di Helluland – «Terra delle pietre» – Markland – «Terra dei boschi» – e Vinland, «Terra del vino». Mentre Helluland e Markland vengono comunemente identificate con l’attuale isola di Baffin e con il Labrador, dubbi permangono sulla Vinland, probabilmente identificabile con l’attuale isola di Terranova. Le perplessità derivano dal fatto che le odierne condizioni climatiche non consentono la crescita, in quell’area geografica, della vite selvatica, a cui fanno riferimento le saghe e che giustificò, probabilmente, il nome dato dai Vichinghi a quel territorio. È però probabile che le condizioni climatiche dell’epoca fossero molto diverse dalle attuali e che il riferimento al vino e alla vite – contenuto nelle saghe – fosse generico e indicasse altro genere di frutti, come le bacche, dalla cui fermentazione i colonizzatori trassero bevande alcoliche. I dubbi riguardanti l’identificazione della Vinland sono stati in parte fugati da scoperte archeologiche – avvenute a partire dagli anni Sessanta del Novecento – nell’attuale isola di Terranova, presso il sito dell’Anse aux Meadows – «Baia delle meduse» – dove è stato ritrovato un insediamento scandinavo dell’XI secolo, risalente proprio al periodo in cui sarebbe avvenuta la colonizzazione dell’isola. L’insediamento fu abbandonato dopo alcuni anni, probabilmente a causa del peggioramento delle condizioni climatiche e degli attacchi degli Skraelingjar, termine d’incerta etimologia – probabilmente indicante «i barbari» – con cui i Vichinghi appellarono le popolazioni amerinde – forse Eschimesi – con cui vennero in contatto. Attualmente, il racconto delle saghe norrene, pur tra molte riserve, viene considerato autentico: i

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A destra Groenlandia. Un paesaggio agreste nei pressi dell’area in cui Erik il Rosso aveva stabilito la sua dimora, chiamata Brattahlid, il «Ripido pendio». In basso resti di strutture vichinghe nell’area del Brattahlid.

Vichinghi scoprirono effettivamente l’America e molto tempo prima dei viaggi di Cristoforo Colombo. Tuttavia, la memoria di queste scoperte non fu conservata, soprattutto dopo che l’insediamento di Terranova scomparve alla metà dell’XI secolo e quello groenlandese agli inizi del XV, a causa di epidemie, del peggioramento delle condizioni climatiche e dell’aggressività dei nativi, a cui seguí l’interruzione di ogni contatto commerciale e diplomatico delle colonie con la madrepatria. Inoltre, i Vichinghi non ebbero mai la consapevolezza scientifica dell’esistenza di un nuovo continente, collocato tra Europa e Asia e fino ad allora ignoto, che fu raggiunta solo nel XVI secolo, dopo i viaggi del navigatore genovese. In ogni caso, gran parte delle monete vichinghe o di altri presunti reperti, ritrovati negli attuali Stati Uniti – come la pietra runica di Kensington, rinvenuta in Minnesota, nel 1898 – sono considerati altrettanti falsi. La scoperta della Vinland tornò a far parlare di sé negli anni Settanta del secolo scorso, quando, in ambito scientifico, imperversavano le polemiche riguardanti la «Mappa di


Vinland». Si tratta di una carta geografica, disegnata su una pergamena autentica, inserita in un codice del XV secolo, in cui era contenuta la Historia Mongalorum del francescano Giovanni da Pian del Carpine († 1252). Sulla carta erano raffigurati i tre continenti allora conosciuti – Europa, Africa e Asia – e, a ovest dell’Europa, un’isola, denominata Vinilanda insula. Negli anni Cinquanta, il codice venne in possesso della Biblioteca dell’Università statunitense di Yale e, a prima vista, la mappa fu ritenuta autentica. Se fosse stato realmente cosí, sarebbe apparso chiaro che, nell’Europa del XV secolo e alla vigilia della spedizione di Colombo, era ormai diffusa, almeno presso i ceti colti, la conoscenza di un altro continente, al largo delle coste europee. Tuttavia, negli anni Settanta, indagini piú approfondite effettuate sulla composizione chimica dell’inchiostro – usato per disegnare la mappa – hanno consentito di affermare, senza incertezze, che si tratta di un falso confezionato negli anni Trenta del XX secolo, benché l’identità dell’autore sia ancora dubbia.

migrazioni dei banchi di pesci e degli uccelli, usando il solarstein, una pietra particolare che aveva la funzione di polarizzare la luce e determinare la posizione del sole. Un altro strumento utile per orientarsi era il solfjol, una tavola lignea munita di ago verticale che, grazie all’ombra creata dal sole, permetteva di tenere la rotta. Nella stagione invernale quando, generalmente, non si navigava, la nave veniva portata in secca e conservata nei naust, sorta di arsenali in cui si procedeva anche alla riparazione e alla costruzione di nuove imbarcazioni. Accanto alle navi da guerra, i Vichinghi fecero ovviamente uso anche di imbarcazioni diverse, per il trasporto di merci e persone, mosse unicamente dalla forza del vento, come lo knörr – una nave panciuta utilizzata per il commercio – il kaupskip e il karfi, dotati solo di un grosso remo di poppa, con funzione di timone. Due esemplari di navi da trasporto sono state rinvenute a Skuldelev, in Danimarca, nel 1962.

Navi di pietra

L’importanza della nave, nell’immaginario culturale vichingo, è indiscutibile ed è dimostrata dal fatto che le imbarcazioni, come già accennato, venivano spesso utilizzate come elemento portante dei tumuli funerari di personaggi illustri, oppure adoperate per allestire sontuose cerimonie funebri e, poi, bruciate assieme al defunto. A volte, le tombe o i tumuli venivano collocati al centro di vaste aree, il cui perimetro era delimitato da pietre disposte a guisa di menhir, in modo da formare la sagoma di una nave, con le pietre piú alte a segnare la prua e la poppa. Un esempio del genere è la tomba monumentale di Lejre, in Danimarca, dove il tumulo funerario fu collocato al centro di un perimetro di pietre che circoscrivevano la sagoma di una nave, lungo circa 80 m. Nel caso della nave di Oseberg, invece, l’albero maestro era stato abbattuto, per far posto alla camera funeraria e al tumulo soprastante, collocati sulla nave, dove erano state sepolte due donne, una schiava e la sua padrona, un’aristocratica o una regina. Il corredo funerario era immenso e artisticamente pregevole, costituito da gioielli, sculture in legno, un carretto, tre slitte, terminali per mobili, quattro letti, pali per tende con teste di animali tridimensionali, un arazzo e, infine, vari utensili e i resti di alcuni animali domestici, sacrificati al momento della sepoltura del cadavere. È molto probabile che la nave di Oseberg non abbia mai solcato le acque, ma fosse stata costruita come battello da cerimonia, adibito esclusivamente a uso funerario. VICHINGHI

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I VICHINGHI

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VICHINGHI

L’espansione


La spettacolare Kingsgate Bay, nel Kent (Inghilterra sud-orientale). Lungo questa costa si registrarono i primi arrivi di genti vichinghe nell’isola.

L’ESPANSIONE

VICHINGHI

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Alla conquista del mondo

Tavola a colori nella quale si immagina l’assalto portato dai Vichinghi al monastero irlandese di Clonmacnoise nell’835.


Le prime incursioni vichinghe, sul finire dell’VIII secolo, furono l’avvisaglia di un’espansione di vasta portata, a seguito della quale molte furono le terre in cui gli uomini del Nord si insediarono stabilmente, assumendone il controllo. Un fenomeno dagli importanti risvolti sociali, economici e culturali, testimoniati oggi dall’archeologia, dallo studio delle fonti letterarie e da numerose sopravvivenze linguistiche


I VICHINGHI

L’espansione

Pedine degli scacchi rinvenuti nell’isola scozzese di Lewis nel 1831. XI sec. Londra, British Museum. Alcuni pezzi, come quello sulla destra, sono sagomati in forma di uomini armati che mordono gli scudi: si tratta dei Berserkir, i guerrieri scandinavi dotati, secondo la tradizione, di invulnerabilità e di una sorta di «occhio maligno», in grado di rendere inoffensive le spade avversarie. Prima di entrare in battaglia urlavano come ossessi e mordevano appunto il bordo dei propri scudi in preda a un furore spaventoso, quasi in uno stato di trance.

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VICHINGHI


L

e prime incursioni vichinghe, note con certezza, si verificarono tra il 787 e il 793, ai danni del regno anglosassone del Wessex, la prima, e della Northumbria, la seconda. Quasi certamente, ne furono responsabili predoni di origine norvegese, ma è molto difficile stabilire precise appartenenze etniche, anche perché, molto spesso, le bande erano «miste», cioè raccoglievano guerrieri di varia origine e provenienza. A capo delle spedizioni dovevano esserci, quasi sicuramente, gli jarlar, i soli che disponevano di risorse economiche per arruolare la ciurma e i guerrieri necessari, oltre che per allestire le navi. Non era raro, quindi, che i membri di queste spedizioni – alle quali partecipavano spesso anche donne e bambini – fossero i componenti dello hird signorile o lendir menn, legati al signore da un rapporto di fedeltà personale, cementato dall’onore. Né era raro il caso in cui piú jarlar, associandosi in félag – società a scopi commerciali e di «pirateria» – mettessero insieme risorse e manodopera per condurre una spedizione oltremare e per costruire le imbarcazioni della flotta, di cui tutti i «soci» acquisivano la proprietà, dividendo poi, in parti uguali, il bottino di guerra. Alla spedizione partecipavano spesso anche molti boendr diventati, per l’occasione, guerrieri (droengiar). Tra i guerrieri vichinghi sono da rammentare anche gli ulfhednar – «pellicce di lupo» – e i berserkir – «involucri d’orsi» – cosí denominati perché erano soliti vestirsi di pellicce d’animale, con cui tendevano a identificarsi (vedi box alle pp. 38-39). Essi facevano parte di confraternite magicosacrali, alle quali si accedeva dopo essersi sottoposti a terribili prove iniziatiche. Con il consolidamento del potere monarchico nei paesi scandinavi, nel corso del X secolo, le spedizioni vennero, sempre piú spesso, guidate personalmente dai re, al cui seguito militavano truppe mercenarie o «di leva» e gli jarlar. Le spedizioni davano la possibilità di procurarsi bottino, attraverso il saccheggio e la rapina, e di imporre alle popolazioni colpite il danegeld, una vera e propria «taglia». Se, in principio, le incursioni vichinghe assunsero sempre l’aspetto dello strandhögg, dell’assalto repentino «mordi e fuggi», con il tradizionale seguito di uccisioni e ruberie, in seguito cambiarono obiettivo e gli incursori preferirono il commercio e l’insediamento stabile nei territori, con la fondazione di colonie e la ripartizione, tra i VICHINGHI

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I VICHINGHI

L’espansione

ESISTEVANO DAVVERO... Le prove dell’esistenza del berserkir e degli ulfhednar provengono dalla Svezia. Si tratta di quattro lamine in bronzo ritrovate nel 1870 a Torslunda, sull’isola di Oland. Risalgono probabilmente al VI-VII secolo ed erano utilizzate per imprimere figure sugli elmi di guerra. In uno di questi stampi compare un guerriero con una spada e un coltello, affiancato da due orsi, che sembra inscenare una danza (4). Un’altra immagine raffigura un uomo che indossa pantaloni di pelle d’animale, mentre tiene un orso «al guinzaglio» (1). Un terzo stampo, invece, riporta una figura umana armata di due lance, e, accanto, un guerriero vestito da lupo con la testa sollevata nell’atto di ululare (3). Un vero e proprio ulfhedinn (singolare di ulfhednar). Oltre alle pedine di scacchi dell’isola di Lewis, raffiguranti guerrieri che mordono gli scudi (vedi foto alle pp. 36-37), esistono altre prove archeologiche. La piú eclatante conduce in Danimarca, a Gallehus, nella Penisola dello Jutland, dove furono ritrovati due corni d’oro, risalenti probabilmente al 425 d.C. In quello senza iscrizioni runiche sono rappresentati due esseri umani con la testa di lupo muniti di spade e asce. I corni furono trafugati nel 1802, ma le loro copie perfette sono oggi esposte presso il Nationalmuseet di Copenaghen. Si riconoscono sembianze di uomini-lupo anche nella brattea metallica di Obrigheim, datata al VII secolo. Un ulfhedinn compare armato di una spada e una lancia con accanto una figura danzante. Quest’ultimo particolare mostrerebbe anche qui l’effettuazione di un rito di iniziazione guerriero. Simile, probabilmente, a quello testimoniato dall’imperatore bizantino Costantino VII nel De ceremoniis aulae byzantinae. Il sovrano descrive una strana danza «gotica» con pelli e maschere di animali eseguita dai membri della sua guardia variaga, che erano tutti di origine scandinava. (red.)

Sulle due pagine matrici in bronzo da Torslunda (Svezia). VI-VII sec. Stoccolma, Museo di Storia. 38

VICHINGHI

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1 I l guerriero e l’orso Un guerriero, con pantaloni in pelle d’animale, regge una catena stretta attorno al collo di un orso dalle fattezze mostruose. Letture iconograflche differenti, invece, riconoscono nella figura maschile il dio della guerra Tyr e nell’animale mostruoso il lupo Fenrir. 2C inghiali dorati per Freyja Due guerrieri con lancia e spada portano sul capo un appariscente elmo con due cinghiali sull’apice. Il cinghiale dorato è uno dei simboli di Freyja, dea dell’amore, della sessualità e della morte.

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guerrieri, delle terre sottratte al nemico. In tal modo, i Vichinghi finirono per fondare veri e propri stati. I prodotti scambiati dai Vichinghi con le popolazioni straniere erano, prevalentemente, pellicce, miele, zanne di tricheco, ferro, armi, steatite e schiavi. In Scandinavia venivano importati preferibilmente vino, olio, frumento, tessuti pregiati, schiavi, oro e argento.

Un flagello inarrestabile 3

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3 L’ulfhedinn di Odino Due guerrieri, vestiti con pelli d’animale e armati di doppia lancia e spada, indossano un elmo con le corna (a sinistra) e una maschera con le fattezze di lupo (a destra). Quest’ultimo viene identificato come un ulfhedinn, mentre secondo alcune interpretazioni, il guerriero di sinistra rappresenterebbe Odino, dio protettore di ulfhednar e berserkir. 4 Una danza con gli orsi Un guerriero, vestito con pelli d’animale, regge una spada nella mano destra e un pugnale nella mano sinistra. È affiancato da due animali dalle fattezze mostruose, identificati come orsi, e sembra inscenare una danza.

Dopo l’aggressione all’abbazia di Lindisfarne, nel 793, nel 794 i Vichinghi assalirono le abbazie di Wearmouth e Jarrow, in Northumbria e, tra il 795 e il 799, le coste orientali dell’Irlanda. Nel 799 e, poi, nell’810, i Vichinghi saccheggiarono, per la prima volta, le coste dell’Aquitania, nell’attuale Francia sud-occidentale, territorio che apparteneva all’impero carolingio. A partire dall’832, le spedizioni si fecero piú frequenti in Irlanda, e Londra fu aggredita, per la prima volta, intorno all’850. Intanto, anche le Fiandre e la Germania venivano assalite: Anversa fu distrutta intorno all’840, Amburgo nell’845 e, negli stessi anni, vennero prese e distrutte anche Quentovic, nella Francia settentrionale e Dorestad, sempre nelle Fiandre. Nell’844, una banda di predoni vichinghi si spinse fino in Spagna e, dopo avere razziato le coste occidentali, risalito il corso del fiume Guadalquivir, prese e saccheggiò Siviglia, nel califfato omayyade di Cordova, per poi dileguarsi. A fare le spese maggiori del terrore vichingo furono, soprattutto, la Francia e l’Inghilterra, a causa della frammentazione politica che imperversava nei due paesi. In Francia, dopo la morte di Carlo Magno nell’814, salí al potere suo figlio, Ludovico I il Pio (814-840), sovrano piú interessato alle questioni religiose che a quelle politiche e militari e che dovette fronteggiare le continue ribellioni dei figli, che lo deposero e rimisero sul trono piú di una volta, nel corso del suo lungo regno. Tuttavia, Ludovico diede un contributo fondamentale all’avvio del processo di cristianizzazione della Scandinavia, dopo che un sovrano danese, Aroldo I il Loquace (813 circa-852), fece atto di sottomissione e si fece battezzare dai vescovi franchi nella tenuta imperiale di Ingelheim, nell’826. Aroldo era stato costretto a fuggire dalla Danimarca, a causa delle guerre civili che dilaniavano il paese e, cosí, Ludovico gli concesse anche la signoria dell’isola di Walcheren, a nord delle Fiandre (vedi box alle pp. 58-65). Alla morte di Ludovico, nell’840, scoppiò la guerra tra i figli per la divisione dell’impero e la pace fu raggiunta solo nell’843, con il trattato di VICHINGHI

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I VICHINGHI

L’espansione

Verdun. In base al trattato, Lotario I fu riconosciuto imperatore – con autorità sugli altri fratelli – e gli furono assegnate, col titolo regio, Italia e Lotaringia, un vasto territorio compreso tra il Mare del Nord e le Alpi, e tra Reno, Rodano, Mosa e Schelda. Gli altri fratelli, Carlo II il Calvo e Ludovico II il Germanico, ebbero l’uno la Francia a ovest di Reno, Schelda e Rodano – il regno dei Franchi «occidentali» – e l’altro la Germania a est del Reno, il regno dei Franchi «orientali». Nell’855, quando Lotario morí, l’Italia e il titolo di imperatore andarono al primogenito Ludovico II (855-875), la Lotaringia al secondogenito Lotario II (855-869). Nell’869, quando anche Lotario II morí, gli zii Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico si spartirono la Lotaringia, che cessò di essere un regno autonomo. Intanto, mentre i vari rami della stirpe carolingia si scontravano o si accordavano per la spartizione di ricchezze e territori, i Vichinghi cominciavano a risalire, con i loro drakkar, i principali fiumi francesi – Senna, Loira, Garonna –, infliggendo lutti e sofferenze: nell’841 fu deva40

VICHINGHI

stata Rouen e, nell’843, venne presa e saccheggiata Nantes. Nel corso di queste incursioni, i Vichinghi utilizzavano le isole fluviali – come Noirmoutier e Groix, sulla Loira, e Jeufosse, sulla Senna – per imboscarsi e attendere il momento favorevole per sferrare i loro attacchi. L’editto di Pîtres, promulgato nell’864 da Carlo il Calvo, tentò di arginare le incursioni dei razziatori, imponendo a tutti i sudditi, in grado di armare un cavaliere, di prestare servizio militare a difesa del regno, disponendo la costruzione di palizzate e castelli lungo le rive dei fiumi e l’edificazione di ponti fluviali con cui bloccare, o rendere piú difficile, la risalita dei corsi d’acqua.

Guerra psicologica

Carlo il Calvo tentò anche di arginare le razzie mettendo i capi norreni gli uni contro gli altri e, infatti, assoldò lo jarl Weland e la sua banda, che pagò profumatamente, ma, nell’863, Weland fu assassinato. Uno dei capi vichinghi piú noti di quel periodo fu Hasting, il quale, dopo aver saccheggiato Chartres, decise di dirigersi


Sulle due pagine raffigurazione di una nave vichinga con la prua in forma di drago, da un manoscritto di produzione inglese. XI sec. Londra, British Library. Nella pagina accanto, in alto tavola ottocentesca nella quale si immagina l’assedio vichingo di Parigi nell’845.

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verso il Mediterraneo con la sua flotta. Pertanto, affiancato da altri due capi norreni – Jernside e Björn – nell’859 attraversò lo stretto di Gibilterra e penetrò nel Tirreno, devastando le coste del Marocco, della Spagna e della Francia, le Baleari e la Provenza, spingendosi fino a Pisa e Luni, che prese e saccheggiò. Intorno all’863, tornò in Francia, per poi raggiungere l’Inghilterra, dove si stabilí definitivamente intorno all’896. Quando morí anche il carolingio Ludovico II, nell’875, la situazione politica dell’impero franco si aggravò. Lo zio Carlo il Calvo, infatti, fu eletto imperatore, ma, alla sua morte, nell’877, la carica rimase vacante fino all’881, quando suo nipote Carlo III il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico – morto nell’876 – fu incoronato re d’Italia e imperatore a Roma, da papa Giovanni VIII. Ma i titoli in possesso di Carlo erano destinati ad aumentare, poiché nell’882, morti i suoi fratelli Carlomanno († 880) e Ludovico III il Giovane († 882), fu eletto anche re di Germania e, nell’884, re di Francia, dopo l’estinzione della linea genealogica che risaliva a Carlo il Calvo. L’impero carolingio fu cosí parzialmente restaurato, ma territori tanto vasti divennero ancora piú

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difficili da controllare e da difendere e, infatti, la debolezza mostrata da Carlo il Grosso di fronte alle rivolte della nobiltà e alle incursioni vichinghe ne determinò la deposizione.

Parigi sotto assedio

Tra l’880 e l’885, i Vichinghi saccheggiarono ripetutamente l’attuale Belgio, la Renania tedesca, incendiando Colonia, Treviri e Magonza. Parigi stessa – capitale del regno franco – fu assediata per ben tre volte, nell’845-846, nell’855-856 e nell’885-886, proprio durante il regno di Carlo il Grosso. L’arrendevolezza dell’imperatore – che decise di allontanare gli assedianti col pagamento di un ingente riscatto – ne affrettò la fine. Infatti, nell’887, i nobili franchi, riuniti nella dieta di Tribur, lo detronizzarono e, agli inizi dell’888, seguí la sua morte improvvisa. Disgregatosi l’impero carolingio, la corona di Francia passò a Oddone, conte di Parigi, duca dei Franchi e marchese di Neustria – regione compresa tra la Senna e la Loira –, mentre quella di Germania andò ad Arnolfo di Carinzia (887899), figlio di Carlomanno e nipote di Carlo III. Arnolfo,


Alfredo il Grande, re del Wessex, in una delle vetrate policrome dell’abbazia di Bath (Somerset, Inghilterra). 1914. Nella pagina accanto, in alto moneta battuta al tempo del Danelaw. 920 circa. Londra, British Museum. Nella pagina accanto, in basso il tesoro di Harrogate, rinvenuto nel 2007 nei pressi di York. Composto da 617 monete d’argento e 65 oggetti in argento, argento dorato e oro, apparteneva probabilmente a un capo vichingo. 900 circa. Londra, British Museum.

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nell’891, sconfisse una grande armata vichinga – che saccheggiava la Germania settentrionale e le Fiandre – in Belgio, sul fiume Dyle, e costrinse gli invasori a riparare in Inghilterra, dove si stabilirono definitivamente. Oddone – detto anche Eude – il nuovo re di Francia, apparteneva a una delle famiglie piú prestigiose dell’aristocrazia franca, i Robertingi, piú tardi detti anche Capetingi e suo padre era stato Roberto il Forte, fedelissimo di Carlo il Calvo, marchese di Neustria e conte di Parigi, morto nell’866 a Brissarthe, in combattimento contro i Normanni. Oddone fu scelto come re perché si era distinto per il coraggio dimostrato durante l’assedio normanno di Parigi dell’885-886, di cui resta una vivida testimonianza nel poema in esametri De bellis Parisiacae urbis, scritto dal monaco Abbone di San Germano († 923 circa). Alla morte di Oddone, nell’898, fu incoronato re di Francia il carolingio Carlo III il Semplice, nipote del Calvo. Egli mostrò la stessa irrisolutezza del nonno nella difesa del regno dai Vichinghi e cosí, nel 911, per far cessare le incursioni, decise di concedere una vasta porzione del territorio francese a nordovest di Parigi al capo normanno Rollone († 932 circa), in cambio della sua conversione al cri-

Dipinto in cui il pittore russo Viktor Vasnetsov (1848-1926) immagina l’arrivo del principe variago Rurik a Staraja Ladoga, in Russia. Personaggio semileggendario, Rurik sarebbe stato chiamato a Novgorod con i suoi due fratelli e una schiera di seguaci perché ristabilisse l’ordine sconvolto dalle continue lotte fra Slavi e Finni.

A sinistra la pietra runica scoperta sull’isola di Berezani, nel Mar Nero. VI sec. Odessa, Museo. Commissionata dal guerriero Grani per commemorare il compagno Karl, è una delle testimonianze della presenza vichinga in Russia. 44

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stianesimo. Nasceva, cosí, il ducato di Normandia (vedi box alle pp. 66-67). Se la situazione sul continente era molto difficile, in Britannia non era migliore. Infatti, nel V secolo, dopo il ritiro delle legioni romane dalla provincia, le tribú germaniche dei Sassoni, Angli e Juti – note come «Anglosassoni» – che provenivano dalle attuali Sassonia, Schleswig e Jutland, avevano occupato la Britannia e, vinta

la resistenza degli autoctoni, dopo essersi stabilmente insediate sul territorio, fondarono alcuni regni che sono noti, convenzionalmente, come «eptarchia» anglosassone (dal greco epta, sette, e archo, essere a capo). I regni dell’eptarchia furono: Northumbria, Mercia, Sussex, Essex, Anglia Orientale, Wessex e Kent. Non ebbero tutti la stessa importanza e le vicende di alcuni – Sussex ed Essex – sono poco conosciuVICHINGHI

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te. Mentre le nuove compagini andavano costituendosi, la popolazione britannica – denominata Welsh dagli invasori – fu sottomessa o fuggí in Gallia, nella penisola dell’Armorica, a cui fu dato il nome di Bretagna. Una parte degli autoctoni si trasferí nella Britannia occidentale, dove conservò lingua e tradizioni celtiche, dando vita al regno di Dumnonia – comprendente Cornovaglia, Somerset e Devon – e, piú a nord, al regno di Strathclyde, alle foci del Clyde. Tra i due regni c’era il territorio del Galles, diviso nei principati di Gwynedd, Deheubarth e Powys, e, piú a nord, sulla costa occidentale scozzese, gli Scoti, provenienti dall’Irlanda, fondarono, nell’attuale Argyll, il regno di Dalriada che, nell’842, debellati gli autoctoni Pitti, fu unito alla Scozia dal re Kenneth MacAlpin († 858).

Il «re supremo»

Tuttavia, nel IX secolo, quando le incursioni vichinghe si intensificarono, gran parte della Britannia meridionale era già unificata sotto il dominio del regno del Wessex, retto da Egberto (802-839). Assunto il titolo di Bretwalda – «Re supremo dei Britanni» – grazie a vittoriose campagne militari, Egberto fece del Wessex la maggior potenza dell’isola: a ovest occupò la Dumnonia, a est e a nord, il Kent, il Sussex e l’Essex. Con queste annessioni, fu semplificata la carta politica britannica, poiché i regni anglosassoni indipendenti rimasero quattro: Anglia Orientale, Mercia, Northumbria e Wessex. Intanto, anche in Inghilterra, i Vichinghi iniziarono a stanziarsi stabilmente, fondando insediamenti colonici e spartendosi le terre degli sconfitti. Solo la potenza militare del Wessex fu in grado, col tempo, di respingere le incursioni norrene e di unificare il paese, inglobando gli insediamenti vichinghi (vedi box alle pp. 48-49).

Nella pagina accanto i gioielli che compongono il tesoro di Hon, nella contea di Buskerud (Norvegia). IX sec. Oslo, Museo delle Navi Vichinghe. Si tratta di un insieme di pezzi di varia origine (Roma, Bisanzio, Inghilterra, Francia) e in parte riadattati da orefici vichinghi. In basso pendente forse raffigurante il dio norreno Baldr in groppa al suo cavallo, da Birka. Stoccolma, Museo di Stato.

Esiti realmente imprevedibili ebbe l’espansione vichinga e, precisamente, svedese, nei territori delle attuali Russia e Ucraina, popolati da tribú slave. Qui, gli avventurieri Vareghi – o Variaghi – giunti per saccheggiare e commerciare, si insediarono, ben presto, a guisa di aristocrazia dominatrice e, dopo aver sottomesso con la forza le popolazioni del posto, si fusero culturalmente e biologicamente con esse e si «slavizzarono». Infatti, se si escludono pochi toponimi, relitti antroponimici e lessicali, i Vareghi scandinavi furono decisamente assimilati dalla preponderanza numerica delle popolazioni slave. Attraverso il golfo di Riga o di Finlandia, i Vareghi, risalendo con le loro imbarcazioni i fiumi Lovat, Volchov, Dvina, Don, Volga e Dnepr, penetrarono all’interno della Russia, da loro appellata Gardariki, «Terra delle città». Attraverso le acque interne russe, i Vareghi raggiunsero anche il Caspio, il Caucaso e il Mar Nero, stabilendo contatti commerciali con i paesi islamici – il Serkland, «Paese della seta» – e con l’impero bizantino e Costantinopoli, designata, nelle fonti vichinghe, col nome di Mikla(segue a p. 55)

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LA «LEGGE DANESE» L’8 giugno del 793, i Vichinghi assalirono l’abbazia di Lindisfarne, lungo la costa orientale della Northumbria. In realtà, sembra che la prima incursione vichinga in Britannia rimonti al 787, quando un gruppo di predoni assalí Portland, nel Wessex, uccidendo l’ufficiale che re Brihtric (786-802) aveva inviato loro incontro. Solo a partire dal 793, però, i predoni del Nord si diedero a saccheggiare, periodicamente, le coste britanniche. Nel 794, in Northumbria, furono vittime di razzia i monasteri di Wearmouth e Jarrow e, nel 795, fu attaccata anche l’Irlanda, furono depredate le isole di Inishmurray e Inishbofin e fu saccheggiata anche Iona, in Scozia. A partire dall’830, dopo aver fondato basi sulle isole britanniche di Wight e Sheppey, le incursioni cessarono di essere sporadiche e divennero continue. Il re del Wessex, Egberto (802-839), sconfisse i Norreni a Hingston Down, nell’838, e altrettanto fece il suo successore, Etelvulfo (839-858), a Okley, nell’851, battendo un grande esercito vichingo. Dall’830, gli attacchi dal mare colpirono assiduamente anche l’Irlanda, dove furono saccheggiati molti monasteri, tra cui Armagh, il piú importante dell’isola, sede dell’arcivescovato irlandese, ma anche fondati nuovi insediamenti sulla costa orientale come Dublino, Cork, Limerick, Wexford e Waterford. I Vichinghi iniziarono a risalire con le loro imbarcazioni il corso dei fiumi – Shannon, Erne, Liffey, Boyne – penetrando nell’isola e, tra i famigerati capi di queste incursioni, il piú noto fu Turgesius, che però nell’845 fu catturato dagli Irlandesi e ucciso. Il suo posto fu occupato, qualche anno dopo, dal re di Dublino, il norvegese Olaf il Bianco (853-873), al quale subentrò, nel X secolo, Olaf Cuaran (950 circa-980). La debolezza dell’Irlanda rispetto ai Vichinghi dipendeva dal non essere unita politicamente, ma divisa nei regni celtici di Meath, Ulster, Connacht, Munster, Leinster, formalmente sottoposti a un re supremo, l’Ard-Rig. Il regno vichingo di Dublino era diventato cosí potente da controllare tutti gli insediamenti norreni dell’isola, ma, nel 980, Olaf Cuaran fu ucciso

A destra miniatura raffigurante uno sbarco di Vichinghi, da un’edizione manoscritta della Passio Edmundi redatta da Abbone di Fleury. 1130 circa. New York, The Morgan Library & Museum. Nella pagina accanto l’assetto geopolitico dell’Inghilterra in epoca anglosassone. 48

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L‘INGHILTERRA ANGLOSASSONE (SEC. V-X) MARE NORVEGESI 793

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DANESI 840

L‘INGHILTERRA NEL IX SEC:

INVASIONI DEI POPOLI GERMANICI

REGNO DI WESSEX REGNO SASSONE DI EGBERTO DI WESSEX (802-839)

DUCATO DI MERCIA

LINEA DI SPARTIZIONE TRA DANESI E SASSONI (886)

IL “DANELAW”

COLONIE DANESI DALL’877 AL 942

DUCATO DI NORTHUMBRIA

nella battaglia di Tara da una coalizione di sovrani irlandesi e, con la battaglia di Clontarf, nel 1014, le tribú celtiche ebbero definitivamente ragione dei Norreni, sotto la guida dell’Ard-Rig Brian Boru che, tra l’altro, fu ucciso in battaglia. Da quel momento, e fino alla

conquista inglese, nel 1171, l’isola non fu piú tormentata dalle incursioni e gli insediamenti vichinghi furono progressivamente assimilati dalla popolazione e dalla cultura autoctone. L’acculturazione vichinga in Irlanda è ben dimostrata da monumenti come le VICHINGHI

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caratteristiche «croci irlandesi» in pietra, su cui sono incise rune scandinave e, talvolta, come sulla croce di Killaloe, anche iscrizioni ogamiche. Ancora oggi, molti termini gaelici sono un prestito delle lingue scandinave come bád, «barca, e margadh, «mercato». Nell’866, una «Grande Armata» di circa 3000 uomini, composta da effettivi di provenienza danese e norvegese, sbarcò in Northumbria, con l’obiettivo di colonizzare la regione. Secondo le saghe, al comando dell’esercito erano Ivar Senz’ossa († 873 circa), Ubbe († 867 circa) e Halfdan († 877 circa) Ragnarsson, figli di Ragnar Lodbrok – «Brache pelose» – capo vichingo di dubbia origine etnica, già autore degli assedi di Parigi dell’845 e dell’855. I tre comandanti avevano intenzione di vendicare il padre che, intorno all’865, era stato ucciso, mentre tentava di saccheggiare la Northumbria, da re Aella (863 circa-866), il quale, dopo averlo catturato, lo aveva lasciato morire in una fossa di serpenti. Nell’866, sbarcati in Northumbria, presa e saccheggiata York, i figli di Ragnar rivolsero l’esercito contro Aella e, profittando del fatto che il re era reduce da una guerra civile contro il fratello, Osberht, lo presero prigioniero e lo uccisero. Nell’867, Ubbe, Ivar e Halfdan si spostarono a sud e, occupate la Mercia e l’Anglia Orientale, deposero i rispettivi re e iniziarono a distribuire terre ai membri del loro seguito. Nell’869, il re dell’Anglia Edmondo, che rifiutò di abiurare il cristianesimo, fu martirizzato, mentre in Mercia i Vichinghi deposero re Burgred e imposero l’inetto Ceolwulf († 879) e, dovunque passavano, i conquistatori estorcevano il danegeld, il tributo. Spintisi piú a sud, invasero il Wessex, ma si trovarono di fronte alla ferrea resistenza del re Alfredo il Grande (871-899 circa), da poco successo al fratello, Etelredo (865-871). Morti i figli di Ragnar in circostanze poco chiare, il comando della «Grande Armata» fu assunto da re Guthrum († 890 circa), il quale, sconfitto da Alfredo a Edington, nell’878, accettò il battesimo e impose la conversione al suo popolo. In base al trattato di Wedmore, i Vichinghi ottennero la possibilità di insediarsi nella Britannia centrale e nord-orientale, nel Danelaw – «Legge danese» – che da essi prese il nome. 50

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Non si sa, esattamente, come organizzarono il territorio occupato dal punto di vista amministrativo, ma se ne conoscono i confini che, a nord, arrivavano al fiume Tweed, lambendo la Scozia, a sud, invece, risalivano il Tamigi fino alla confluenza con il Lea, proseguendo fino alle sorgenti del fiume e, da lí, fino a Watling Street, l’antica strada romana che congiungeva Britannia e Galles. Il Danelaw, comunque, non sembra essere mai stato un regno unitario, ma era diviso in piú reami, tra cui il «regno di York» – ribattezzata, dai

In basso la Pietra di Killaloe, sulla quale corrono un’iscrizione in caratteri runici (a sinistra) e una in ogamico, l’alfabeto usato in Irlanda nei primi secoli dell’era cristiana. XI sec. Killaloe (County Clare, Irlanda), cattedrale di S. Flannano.


La Croce delle Scritture a Clonmacnoise (Offaly, Irlanda). Alta 4 m, è ricavata da un blocco di arenaria e riporta iscrizioni con preghiere per Flann Sinna, re d’Irlanda, e per l’abate Colman, che commissionò il manufatto, entrambi artefici principali della costruzione della vicina cattedrale.

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IL DANELAW Pirati normanni del IX secolo, dipinto di Evariste-Vital Luminais (1822-1896). Moulins, Musée Anne de Beaujeu. L’opera ritrae due giovani vichinghi nell’atto di trasportare una «preda» umana. Vichinghi, Jórvík – collocato a nord dell’Humber e che ricalcava, approssimativamente, l’antica Northumbria. Il Danelaw, inoltre, comprendeva cinque importanti città che presidiavano i confini con il Wessex, denominate «i cinque borghi» (Five Boroughs), cioè Lincoln, Leicester, Derby, Nottingham e Stamford, ciascuna delle quali era probabilmente governata da un re. La presenza vichinga nel Danelaw è documentata non solo da resti archeologici, ma anche dalla toponomastica tipicamente scandinava, caratterizzata dall’aggiunta, ai nomi delle località, dei suffissi «by» e «thorp». E il lessico inglese ha incorporato circa 600 termini dell’antico norreno come il sostantivo «law».

In basso tavola ottocentesca raffigurante Alfredo il Grande, re del Wessex, travestito da arpista, che suona al cospetto del capo danese Guthrum. La scena evoca la leggenda secondo la quale il sovrano inglese avrebbe cercato di impossessarsi dei piani di battaglia del nemico, introducendosi nel suo accampamento sotto mentite spoglie.

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Nel corso del X secolo, gli insediamenti vichinghi in Britannia furono militarmente annientati dalla potenza del Wessex. Morto Alfredo, nell’899, gli successe il figlio Edoardo I il Vecchio, il quale intraprese una politica di conquista verso il Nord, scontrandosi con i Vichinghi del Danelaw che, nel 910, batté a Tettenhall. In tal modo, il Wessex incorporò tutti i territori al di sotto dell’Humber, lasciando ai Vichinghi il solo possesso di quelli a nord del fiume, fino ai confini della Scozia, e corrispondenti agli attuali Yorkshire e Northumberland. Alla morte di Edoardo, nel 924, gli successe, per pochi giorni, il figlio minore Ethelweard, dopodiché la corona passò al primogenito Atelstano (924-939), detto «il Glorioso». Questi consolidò le conquiste paterne dal punto di vista amministrativo e, nello stesso tempo, cercò di estendere l’influenza del Wessex sul Danelaw, favorendo le nozze tra una sorella naturale e il sovrano vichingo Sihtric († 927), ma, dopo la morte di questo, e l’incoronazione del fratello Guthfrith († 934), i rapporti tra i due regni si guastarono subito. Intanto, il re inglese stabilí buoni rapporti con il primo sovrano norvegese, Aroldo Bellachioma (870 circa-930), e ne ospitò a corte il figlio, Haakon il Buono († 960), che fece battezzare e adottò. Haakon, poi diventato re di Norvegia, fu il primo sovrano di fede cristiana. Nel 937, fallita ogni ipotesi di accordo, Atelstano affrontò, in un’epica battaglia, Olaf Guthfrithsson, nuovo re del Danelaw, che, per l’occasione, si alleò con i re di Scozia, Costantino II (circa 900-


L’isola di San Cutberto, presso Lindisfarne, dove l’omonimo vescovo si ritirò e visse sino alla morte, nel 687.

945), e di Strathclyde, Owain. La coalizione venne sbaragliata nella battaglia di Brunanburh, località ai confini con la Scozia, e, dopo la battaglia, in cui Owain trovò la morte, gli Scozzesi furono costretti a ritirarsi e Olaf Guthfrithsson fuggí in Irlanda e abbandonò il Danelaw, che cadde nelle mani di Atelstano, cosí che i confini del Wessex si espansero fino al Tweed, lambendo la Scozia. Morto Atelstano nel 939, la sua costruzione politica fu sul punto di crollare, perché Olaf Guthfrithsson ritornò dall’esilio e riprese possesso del Danelaw, che tornò a essere un regno indipendente. Ma ancora per poco. Nel 954, infatti, re Edredo (946-955), un successore di Atelstano, profittando di una guerra civile che divampava nel Danelaw tra opposti pretendenti al trono, occupò il paese, che fu annesso definitivamente al Wessex, cosí che la popolazione anglosassone si fuse con quella scandinava. Alla fine del X secolo, il Wessex aveva finalmente unificato una parte consistente della Britannia e l’isola, escluse le terre ancora abitata dai Celti – Scozia

A destra illustrazione raffigurante dall’alto, in senso orario, quattro re anglosassoni: Edmondo il Martire, Edoardo il Vecchio, Alfredo il Grande e Atelstano, dall’Abbreviatio chronicorum Angliae del cronista inglese Matteo Paris. XIII sec. Londra, British Library.

e Galles – unita sotto il governo di una sola corona, ben presto mutò anche il nome che fu adeguato ai nuovi equilibri politici: la Britannia divenne Angelcyn – la «terra degli Angli» – e la lingua dei suoi abitanti l’Englisc, la «lingua degli Angli». Grazie ad Alfredo e ai suoi successori, era stato compiuto il primo passo per la costituzione della «nazione» inglese. VICHINGHI

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I VICHINGHI A sinistra e in basso immagini delle case vichinghe che compongono il villaggio ricostruito presso l’insediamento di Haithabu (Germania). Busdorf, Wikinger Museum Haithabu.

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gard, «La Grande città». Le testimonianze archeologiche della presenza vichinga in Russia sono numerose come la pietra runica di Berezani – un’isola del Mar Nero – commissionata dal guerriero Grani, per commemorare la morte del compagno Karl, nel corso di una spedizione, o le oltre 180 fibbie ovali, molte di piú di quelle dell’intera Europa occidentale. La conquista varega di una parte dei territori dell’attuale Russia fu oggetto, già dall’Ottocento, di interminabili dispute storiografiche – proseguite anche dopo il tracollo della Russia zarista e l’avvento del regime sovietico – tra storici germanofili e slavofili sostenitori, i primi, dell’origine tedesca, e quindi vichinga, dell’identità etnica e culturale del popolo russo, i secondi di quella slava. La veemenza con cui tali problematiche furono affrontate in ambito scientifico, nel corso del XIX secolo e

Repliche di antiche imbarcazioni ormeggiate nel Ribe VikingeCenter, in Danimarca, parco archeologico che propone la parziale ricostruzione dell’insediamento vichingo. VICHINGHI

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per buona parte del XX, risentiva ovviamente del nazionalismo imperante nell’epoca in questione (vedi box alle pp. 68-75).

Le conseguenze dell’espansione

Le incursioni e i saccheggi dei Vichinghi alimentarono, ben presto, un ricchissimo traffico di merci verso la Scandinavia che ebbe ripercussioni non di poco conto nell’organizzazione sociale interna di quei paesi, accelerando la polarizzazione tra un’aristocrazia dominatrice e il resto della popolazione. Pian piano, cominciarono a emergere e ad affermarsi nuove categorie «artigianali» e «professionali», come lo smidr («fabbro»), il lagamadr («giurista»), il 56

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laekinr («medico»),che, fino ad allora, avevano avuto scarso peso sociale. In area scandinava arrivavano soprattutto schiavi, vesti e manufatti pregiati, monili e monete d’oro e argento, frutto delle razzie, compiute in tutta Europa e dei tributi estorti ai popoli sottomessi. Si è calcolato, infatti, che, nel solo IX secolo, i re franchi pagarono ai Vichinghi almeno 19 tonnellate di metalli preziosi! Inoltre, il fatto che, nel corso delle loro spedizioni i Vichinghi saccheggiassero prevalentemente monasteri ed enti ecclesiastici – facendo anche strage di chierici e monaci – non va ricondotto – come sostenuto in passato – al furore belluino di quelle popolazioni, alimentato dal


loro «paganesimo», quanto dalla motivazione, facilmente comprensibile, che gli enti ecclesiastici, con i loro arredi sacri, in metallo prezioso, e le ricchezze di cui disponeva il clero dell’epoca, erano prede molto ambite. L’importanza economica delle imprese vichinghe si manifestò, ben presto, con lo sviluppo, in Scandinavia, di importanti empori commerciali, tutti fondati nel IX secolo – non si sa se da sovrani o da jarlar locali –, ma, poi, progressivamente abbandonati verso le fine del secolo seguente per ragioni, ancora oggi, sconosciute, forse perché mutarono le direttrici dei flussi commerciali o perché i rispettivi porti andarono incontro a un progressivo insabbiamento o, ed

In alto Jelling (Danimarca). L’imponente tumulo funerario fatto realizzare dal re Aroldo Dente Azzurro per i suoi genitori, Gorm il Vecchio e Thyra Danebod. A sinistra le pietre runiche di Jelling, che risalgono ai tempi di Gorm e di Aroldo (X sec.) e riportano brevi testi in danese antico. Su quella di Gorm, la piú antica e la piú piccola di dimensioni (1,85 x 1,07 m), si legge la prima citazione storica in cui la Danimarca viene nominata quale entità politica. La pietra di Dente Azzurro (2,43 x 2,90 m) ospita un testo piú complesso e due disegni: un animale che lotta contro un serpente e, in un altro registro, la piú antica raffigurazione di Cristo in area scandinava.

è un’altra ipotesi, perché vennero meno, in seguito all’esaurirsi dei filoni minerari, le monete d’oro e argento provenienti dal mondo musulmano, attraverso la Russia.

Una fitta rete commerciale

Si trattava di Ribe e Hedeby, in Danimarca, Kaupang, nella Norvegia meridionale, e Birka, sul lago Mälaren, in Svezia. Birka – come è stato dimostrato dall’archeologia – era collocata a 30 km da Stoccolma ed era uno degli empori piú attivi del Nord, che intercettava flussi commerciali provenienti persino dalla Russia e dal Medio Oriente musulmano e dalle terre al di là del Caucaso e del Mar Nero. Birka aveva infatti preso il posto di un emporio preesistente, sull’isola di Helgö, risalente addirittura al V secolo, al periodo pre-vichingo. Hedeby, invece, si trovava sul Baltico, a pochi chilometri dalla «Via dei Buoi» o «degli Eserciti», la principale direttrice del commercio terrestre tra la Danimarca e la Germania. Questi centri di scambio, debitamente fortificati da mura e palizzate e dotati di porto, intercettavano i grandi flussi commerciali da e per la Scandinavia. In Scandinavia, infatti, affluivano grano, armi, sale, olio, manufatti in ceramica e vetro, tessuti, vesti pregiate e schiavi, mentre ne «uscivano» pelli e pellicce, zanne di tricheco, schiavi, steatite, corna di cervo, renna, alce e perle di vetro. Gli empori ospitavano anche molti opifici artigianali e sono stati effettuati importanti ritrovamenti di monete di diversa VICHINGHI

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provenienza – anche arabe, come dimostrano i depositi di dinar aurei e dirham argentei –, il che testimonia che dovevano essere frequentati da commercianti provenienti anche da aree territoriali lontanissime. Ovviamente, le monete affluivano anche come frutto di saccheggi e pagamento di tributi: si pensi che in Scandinavia ne sono state ritrovate piú di 200 000, in gran parte arabe! Le monete venivano utilizzate come monili, fuse per nuovi utilizzi metallurgici e, in parte, tesaurizzate, in vista dell’acquisto di beni di lusso su mercati stranieri.

Bracciali come monete

Questa grande quantità di denaro modificò ben presto la struttura della società norrena, fino ad allora basata sul baratto o sull’utilizzo, come mezzo generale di scambio, di pezzi argentei non monetati, ma utilizzati a peso. Si pensi che, come mezzo di scambio, soprattutto con le popolazioni celtiche dell’Irlanda e delle isole britanniche, i Vichinghi utilizzarono a lungo bracciali in metallo prezioso – una sorta di «denaro in bracciali» – del peso di circa 25 grammi, che corrispondevano all’eyrir, una unità di peso scandinava. I Vichinghi, progressivamente, impararono a far uso della moneta e, intorno alla metà del X secolo, i regni scandinavi che andavano costituendosi – in primis la Danimarca – iniziarono a coniare monete proprie, recanti la raffigurazione del sovrano con relativa legenda. I pezzi coniati ebbero come modello di riferimento le monete anglosassoni e quelle bizantine. L’afflusso costante, e a vario titolo, di oro, argento e gioielli di varia provenienza – verso la Scandinavia – è testimoniato dai ritrovamenti archeologici di numerosi «tesori», monete e preziosi nascosti sotto terra – o in altri luoghi ritenuti inaccessibili – dai loro proprietari, per ragioni di sicurezza. Gli archeologi hanno portato alla luce piú di 1000 tesori risalenti all’età vichinga, uno dei quali a Hon, in Norvegia – che conteneva piú di 3 kg di argento, oro e altri preziosi – ma la gran parte di essi poteva arrivare anche a 10 kg! La crescita progressiva della ricchezza spinse l’aristocrazia scandinava – e non solo – a intraprendere sempre nuovi viaggi e nuove spedizioni, anche in territori molto lontani come i paesi islamici – raggiungibili attraverso la Russia – e le terre sconosciute collocate oltre l’Atlantico. Allo stesso tempo, l’aumento del benessere generale rese la società vichinga piú complessa, competitiva e violenta e molti jarlar vollero accrescere, con la razzia e la guerra, il (segue a p. 65) 58

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LA CRISTIANIZZAZIONE DELLA SCANDINAVIA In area scandinava, il processo di formazione e consolidamento dei regni si accompagnò a quello di progressiva cristianizzazione delle stirpi nordiche, secondo il modello già offerto dai Germani del continente, nel corso dell’Alto Medioevo, e la Danimarca e la Svezia furono i primi paesi a esserne coinvolti. Secondo la tradizione, un primo tentativo di conversione dei Danesi fu intrapreso, addirittura, agli inizi dell’VIII secolo, in età pre-vichinga, dal santo anglosassone Villibrordo († 739), evangelizzatore dei Frisoni, ma il re Ongendo rifiutò di convertirsi! La prima missione di evangelizzazione ben organizzata rimonta al IX secolo, e fu guidata dal benedettino franco Anscario, già monaco a Corbie e a Corvey, designato vescovo di Amburgo nell’832. La missione fu diretta e organizzata da Ebbone († 847 circa), vescovo di Reims, su richiesta di papa Pasquale I. Anscario condusse alcune missioni non ben conosciute, prima in Danimarca e, poi, in Svezia, dove fondò anche chiese, ma, a quanto pare, non conseguí risultati durevoli. D’altronde, il IX secolo fu l’epoca dell’espansione vichinga e, nell’845, i predoni del Nord distrussero Amburgo, cosí che Anscario fu costretto a trasferirsi a Brema, a cui fu accorpata la diocesi di Amburgo, della quale fu consacrato vescovo. La diocesi di Brema ottenne dal papa piena autorità su tutta l’area scandinava coinvolta nel processo di evangelizzazione. Morto Anscario nell’865, la sua opera fu proseguita dai successori e poté dirsi conclusa solo alla fine dell’XI secolo. Molto attivo nell’opera di conversione fu l’arcivescovo di Brema, Adalberto (1043-1072), tutore e consigliere dell’imperatore Enrico IV di Franconia (1056-1106). Adalberto ebbe come prezioso collaboratore il canonico Adamo di Brema, autore dei Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, molto utili per ricostruire l’opera di evangelizzazione del Nord e, soprattutto, usi e costumi delle popolazioni norrene. La conversione dei Norreni, generalmente, seguiva un copione già sperimentato sul continente con i «barbari»: al battesimo dei sovrani, seguiva quello dei sudditi. Nel X secolo, i Danesi si convertirono dopo che Aroldo II Dente Azzurro (935-987) ebbe ricevuto il battesimo dal monaco tedesco Poppo. In Svezia – benché le notizie siano molto frammentarie – la popolazione accettò


il battesimo dopo che fu impartito al re Olaf I Skötkonung (995-1022) – «Re del tributo» – a cui si attribuisce anche l’unificazione del paese, prima diviso nei regni degli Svíar e dei Götar. Il processo di conversione della Norvegia, invece, fu piú complesso e presentò, fin dagli inizi, maggiori resistenze, concentrate soprattutto nel Trøndelag, la parte settentrionale del paese. Il regno di Norvegia si costituí solo all’indomani della battaglia di Hafrsfjord – combattuta tra l’870 e l’890 – in cui Aroldo I Bellachioma sconfisse i suoi nemici e impose una monarchia unitaria. Morto Aroldo, la Norvegia sprofondò

nella guerra per la successione, vinta dal figlio, Haakon I il Buono, il primo re cristiano. Haakon, infatti, era stato battezzato nel Wessex, dove aveva a lungo vissuto presso la corte di re Atelstano (924-939). Nel 960 Haakon fu assassinato e, sino alla fine del X secolo, fallí ogni tentativo di convertire l’intera popolazione, finché, nel 995, Olaf I Tryggvessön, pronipote del «Bellachioma», prese il potere e impose con la spada il cristianesimo. Nel 1000, Olaf trovò la morte nella battaglia di Svolder contro i Danesi. Nel 1015, infine, re Olaf II Haraldssön – altro discendente di Aroldo I – portò a termine l’opera di cristianizzazione della Norvegia, ma cadde nel

Tre statue facenti parte della ricca decorazione della facciata della cattedrale di Trondheim (Norvegia). Ritraggono, da sinistra: il re di Norvegia Olaf I Tryggvessön; Sigfrido di Växjö, vescovo e poi santo, evangelizzatore della Svezia; san Clemente I, papa.

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1030, nella battaglia di Stiklestad, combattuta contro i Danesi. La morte in battaglia, anche se a opera di Norreni ormai cristianizzati, fece di lui un martire e a Trondheim, dove fu sepolto, iniziarono a riversarsi folle di pellegrini. Ne nacque un culto che, per ragioni di opportunità politica, fu riconosciuto anche dalla Chiesa e, cosí, Olaf II divenne un santo «nazionale». Rispetto alla Norvegia, Danimarca e Svezia dovettero attendere ancora prima di avere un «proprio» santo. Nel 1086, in Danimarca, a Odense, nella chiesa di S. Albano, cadde assassinato il re Canuto IV (1080-1086), per mano di alcuni nobili che si opponevano al comportamento tirannico del sovrano, ma anche alla sua iniziativa di imporre le decime ecclesiastiche. Canuto fu subito considerato un martire e canonizzato nel 1101. La Svezia, invece, ebbe il suo primo santo nazionale solo nel 1160, quando re Erik IX – in carica dal 1155 – fu assassinato da alcuni avversari politici, probabilmente al soldo della Danimarca. Sebbene nessuna canonizzazione ufficiale intervenne mai a legittimarne il culto, ancora oggi Erik è venerato come patrono di Svezia. Nel corso dell’XI e XII secolo, mentre procedeva la cristianizzazione dei popoli nordici, le Chiese locali si dotarono di strutture amministrative sempre piú solide e sorsero le prime diocesi come Trondheim (1030 circa), in Norvegia, e Uppsala (1130 circa), in Svezia. In Danimarca, invece, già dal X secolo erano attive le diocesi di Roskilde, Ribe e Aarhus. Nel 1103, fu completata l’organizzazione istituzionale della Chiesa scandinava con l’istituzione dell’arcidiocesi di Lund, all’epoca facente parte del regno danese. In tal modo, tutte le diocesi scandinave finirono per dipendere dalla metropoli di Lund e non furono piú dipendenti da Brema e, indirettamente, dall’impero germanico. Infine, anche Trondheim e Uppsala furono trasformate in arcidiocesi – rispettivamente nel 1153 e nel 1164 – e distaccate dalla metropoli di Lund. È difficile ricostruire il «paganesimo» nordico, i suoi miti, le sue cosmologie e i suoi valori, senza fare ricorso a testi letterari, redatti in latino o in norreno, molto tempo dopo la conversione al cristianesimo delle stirpi scandinave. Nella gran parte dei casi, questi testi – come l’opera di Adamo di Brema – furono redatti da ecclesiastici 60

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In alto un’altra immagine della pietra runica di Aroldo Dente Azzurro a Jelling con la scena interpretata come la crocifissione di Cristo. A sinistra il monumento eretto a Stiklestad in memoria di Olaf II di Norvegia, re che fu considerato, pochi anni dopo la morte, il santo nazionale della Norvegia, ma venne canonizzato solo nel 1888. Nella pagina accanto capolettera miniato raffigurante la morte di Olaf II di Norvegia nella battaglia di Stiklestad, nel 1030, da un’edizione della Saga di Sant’Olaf. XIV sec. Reykjavik, Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum.


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THOR È la seconda divinità in ordine di importanza nel pantheon nordico. A differenza del padre Odino, che riscuoteva popolarità tra la classe nobiliare, Thor era il dio della gente comune, il protettore dei contadini. Combatteva spesso contro i giganti, munito del suo caratteristico martello Mjöllnir. Viaggiava con un carro volante che era trainato dalle capre Tanngnjóstr e Tanngrisnir.

FREYR Dio della fecondità. Indossava un elmo a forma di cinghiale e possedeva l’imponente nave Skidbladnir che magicamente poteva essere ripiegata e messa in tasca. Vigilava sui fenomeni naturali, sul sole, la pioggia e la crescita della vegetazione. ▼

Al di là di variazioni marginali, gli dèi, gli eroi e i miti dei Vichinghi richiamavano, in parte, quelli delle altre popolazioni germaniche stanziate sul continente europeo, ma di essi siamo meglio informati, anche grazie alla scoperta di un’opera in versi – l’Edda – redatta presumibilmente in Islanda, nel XIII secolo, e contenuta in un codice pergamenaceo – Codex Regius – scoperto, nel 1643, da Brynjólfur Sveinsson († 1675), vescovo di Skálholt, che, erroneamente, ne attribuí la paternità a Saemundr Sigfússon († 1133), chierico e poligrafo islandese. L’Edda – la cui denominazione, forse, significa «Ava», ma è d’incerto significato – è un collage di 29 componimenti poetici in norreno redatti, tra IX e X secolo, da autori sconosciuti, correntemente suddivisi in canti mitologici e canti eroici, a seconda della materia trattata, cioè l’origine del mondo, gli dèi scandinavi e le loro vicende oppure gli eroi – come Sigfrido, della stirpe dei Volsunghi – dell’epica germanica. Oltre a questo importante testo, per cercare di definire il «paganesimo nordico» occorre affidarsi all’archeologia e agli studi di onomastica e toponomastica. In genere, i Vichinghi credevano in due gruppi di divinità, gli Asi e i Vani, che, dopo essersi combattuti, nei tempi piú antichi, si erano riappacificati decidendo di governare assieme sull’universo. Un universo che i Vichinghi immaginavano ripartito in nove mondi, popolati da creature diverse – dèi, uomini, giganti, elfi –, sorretti da nove rami dell’albero cosmico – Yggdrasill –, posto proprio al centro del cosmo. Gli Asi erano divinità guerriere ed eroiche; i Vani erano, prevalentemente, dèi agresti, propiziatori di fertilità umana e rurale. Tra gli Asi, è da ricordare l’onnisciente Odino-Wotan, dio polimorfo della guerra, dell’ispirazione poetica, dei commerci e della

ODINO La divinità suprema. Violento e astuto, appariva nel corso delle battaglie ed era anche un amante della poesia. Per amore della sapienza, ottenuta attraverso la conoscenza magica delle rune, rimase appeso all’albero cosmico Yggdrasill per nove giorni. Si spostava con il velocissimo cavallo a otto zampe, Sleipnir, e usava due corvi come informatori.

che avevano tutto l’interesse a presentare la religione norrena sotto una luce aberrante e negativa e, molto spesso, fornivano informazioni errate e tendenziose. Per esempio, Adamo di Brema parlò dell’esistenza, intorno al 1075, di un vero e proprio tempio «pagano» a Uppsala, con tanto di simulacri di Odino, Thor e Freyr, e una casta sacerdotale addetta al sacrificio di uomini e animali. Ebbene, l’archeologia non ha trovato alcuna prova dell’esistenza di tale imponente edificio, per cui l’informazione fornita da Adamo deve considerarsi non veritiera.

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TÝR Dio della guerra e della giustizia. Proverbiale era il suo coraggio che lo portò a nutrire il terribile lupo Fenrir, del quale tutti avevano timore, perdendo una mano.

LOKI Figlio di un gigante, aveva una natura ambivalente di divinità e di demone ingannatore. Concepí mostri quali il lupo Fenrir e il serpente di Midgardr. ▼

BALDR Era una figura insolitamente mite, dotata di genialità e di una bellezza abbagliante. Dio dal cuore generoso abitava in una zona irraggiungibile, dove la malignità non poteva arrivare. Morí per mano del fratello cieco Hödr, sobillato dal crudele Loki.

HEL La dea degli inferi. Fu confinata nel mondo sotterraneo da Odino quando questi seppe che era la figlia dell’ingannatore Loki. HEIMDALLR Sorvegliava Bifröst, il ponte dell’arcobaleno che collegava la terra e la dimora degli dèi, Asgard. HŒNIR Alto, bellissimo e molto temuto. Era uno dei pochi destinati a sopravvivere dopo il Ragnarök.

IDUNN Era la custode delle mele dell’eterna giovinezza che gli dèi spesso mangiavano per evitare l’invecchiamento. NJÖRDR Dio del mare e del vento, decideva il destino dei navigatori. VICHINGHI

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saggezza, coadiuvato dai figli, Týr, dio della guerra, e Thor, il piú forte tra gli dei, signore del cielo, dei tuoni, dei fenomeni atmosferici e grande avversario degli Jötnar («giganti»). Tra i Vani, sono da ricordare i fratelli Freyr e Freya, figli di Njördr, dio dei mari, divinità della fertilità, protettori della famiglia, degli armenti e dell’agricoltura. L’archeologia ha rinvenuto anche alcune raffigurazioni degli dèi scandinavi: Freyr era generalmente ritratto in posa itifallica, Thor col martello Mjöllnir («Sbriciolatore»), con cui annientava i Giganti; Odino, invece, in sella a Sleipnir – cavallo a otto zampe –, con la lancia Gungnir e i corvi Hugin e Munin che, volando ogni giorno sulla Terra, gli recavano informazioni. Oltre alle divinità, i Vichinghi credevano in una serie di creature intermedie, folletti, elfi e le Dísir – sorta di «ninfe» che costituivano la corte di Freya –, che popolavano boschi, laghi e fiumi, presiedendo ai fenomeni naturali e facendo da intermediari tra uomini e dèi. Gli uomini popolavano la Terra, ossia Midgard – il «Mondo di mezzo» – collocato tra Asgard – la dimora degli dèi – ed Helheim, gli Inferi, riservati agli spiriti di quegli uomini che non fossero morti eroicamente in battaglia. Odino regnava sugli dèi e dimorava in Asgard, custodita dal «dio-guardiano» Heimdallr, e, precisamente, nel Valhalla – «Sala del massacro» –, dove ogni giorno banchettava, sorseggiando idromele, con i migliori guerrieri, gli Einherjar – «Coloro che combattono» – che vi venivano portati dal campo di battaglia, dove erano stati uccisi, dalle Valchirie, esseri semidivini al servizio di Odino. Ogni giorno, gli einherjar combattevano per prepararsi allo scontro apocalittico con le potenze «demoniache», avverse agli dèi, come i Giganti di fuoco e di brina, gli Elfi scuri, le creature mostruose come il cane infernale Garmr, il lupo Fenrir e Midgardsormr, il «serpente di Midgard» che, guidati da Loki – divinità dell’inganno e padre di gran parte di tali creature – alla fine dei tempi avrebbero determinato il Ragnarök, cioè l’incendio dell’Universo e la morte degli stessi dèi, a cui sarebbe seguita la nascita di un mondo nuovo e di un’altra progenie divina e umana. Il culto praticato dai Vichinghi consisteva, prevalentemente, nel blót, sacrificio cruento di animali a scopi propiziatori, gratulatori o espiatori, mentre è probabile che, soprattutto in epoca piú antica, siano avvenuti anche sacrifici umani. Molto diffusi erano anche i sacrifici 64

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incruenti, come le libagioni, che erano eseguiti dallo húsbóndi – il «capo famiglia» – quando si trattava di ricorrenze religiose familiari oppure, nel caso di celebrazioni pubbliche, dagli jarlar e, intorno al X secolo, dal sovrano stesso. Oltre ai sacrifici, un modo corretto di onorare gli dèi era il veizla – «banchetto rituale» – in cui i partecipanti mangiavano la carne consacrata alla divinità e facevano brindisi in suo onore. Probabilmente, dovevano esservi anche sacerdoti, ma non costituivano un ordine sociale distinto dal resto della popolazione, come avveniva invece nell’Europa cristiana. Ogni occasione, pubblica o privata, era buona per compiere un sacrificio agli dèi e cementare il sentimento di appartenenza alla comunità, anche se esistevano ricorrenze solenni come lo jól – solstizio d’inverno –, il solstizio d’estate o le celebrazioni primaverili ed estive che coincidevano col raccolto e la trebbiatura. Non è documentata archeologicamente l’esistenza di veri e propri templi, pertanto il culto si svolgeva presso sorgenti, paludi e fiumi, o presso i vé, boschetti sacri dove, al massimo, si erigeva un herg, cioè un sacello in pietra o legno, o un altare, piuttosto che monumentali edifici come le chiese cristiane. Nelle paludi, soprattutto nelle regioni svedesi dell’Uppland e del Gotland, gli archeologi hanno rinvenuto centinaia di reperti come armi e frammenti di utensili, offerti alle divinità. Grande importanza veniva attribuita alla divinazione e alle arti magiche in genere, praticate dalla völva, cioè da una «veggente» che, attraverso rudimentali tecniche e conoscenze sciamaniche, era in grado di operare guarigioni, formulare vaticini ed entrare in contatto con gli dèi e i defunti, attraverso il sistema dello hamfar, il «viaggio» e la «possessione» divina. La völva poteva formulare un sejdr – «incantesimo» – colpendo col «malocchio» un individuo o un’intera comunità e, entrando in contatto col mondo dei morti, attraverso l’ausilio di tecniche sciamaniche, poteva placare i draugar – gli «spettri» dei defunti privati della sepoltura o sepolti con esequie effettuate senza osservare le norme prescritte – che tornavano dall’aldilà per molestare i vivi. La vita ultraterrena, in genere, era considerata una prosecuzione di quella condotta sulla terra, come è dimostrato da alcune raffigurazioni ritrovate su pietre runiche o su frammenti di arazzo – rappresentanti processioni, banchetti

Walhalls Sturz (La caduta del Walhalla), olio su tela di Fritz Roeber (1851-1924). Collezione privata. Il dipinto è ispirato ai racconti delle saghe islandesi dell’Edda.


rituali e libagioni – oppure dalla tipologia delle sepolture, con nave o senza, in cui il defunto era accompagnato da armi, utensili domestici, animali – soprattutto cavalli e cani – e, talvolta, persino da qualche schiavo, sacrificato durante le esequie, per «accompagnare» il padrone nell’oltretomba. Escludendo le tombe monumentali, a tumulo e con nave, spesso, per i defunti di condizione piú umile, si ricorreva alla cremazione o all’inumazione e il perimetro tombale veniva segnalato da cippi in pietra o da semplici pali lignei. La cristianizzazione dei Vichinghi determinò la fine di questo mondo, dei sacrifici cruenti, della poligamia – praticata dall’aristocrazia – dell’esposizione degli infanti – specie se deformi – oltre all’abbattimento dei simulacri e dei sacelli dedicati alle antiche divinità e l’introduzione di molti divieti alimentari come quello di mangiare carne di cavallo. Inoltre, il cristianesimo influenzò anche l’onomastica nordica: infatti, si diffusero nuovi nomi di santi cattolici o personaggi delle Sacre Scritture, al posto dei nomi tradizionali, ispirati alle antiche divinità «pagane» – Thor, da cui Toke, Throstein, Thorkel – o ad animali, come Orm, «serpente», Ulf, «lupo», Björn, «orso». Inoltre, la cristianizzazione portò alla totale scomparsa dell’uso dell’alfabeto runico.

proprio onore e la propria fama, come dimostra il proliferare, in tutta l’area scandinava, di pietre runiche, monumenti eretti a scopo celebrativo che costituiscono una delle manifestazioni piú singolari della civiltà norrena.

Messaggi sulla roccia

Collocate in gran parte in Svezia, le pietre runiche erano monoliti sui quali erano incise iscrizioni celebrative – nella gran parte dei casi del committente – accompagnate da figure scolpite nella roccia, spesso vivacemente colorate. I testi, spesso molto lunghi e redatti anche in versi, erano scritti in runico, l’alfabeto piú antico utilizzato dalle popolazioni germaniche e, in alcuni casi, avevano andamento bustrofedico. Le pietre costituiscono una manifestazione importante dell’arte vichinga e si conoscono i nomi di due incisori svedesi di pietre runiche, Fot – che ne realizzò otto – e Opir, che ne scolpí circa cinquanta. L’alfabeto runico – detto anche futhark, dalle prime sei lettere che lo componevano – è attestato, per la prima volta in Germania, nel II secolo d.C., e si componeva, originariamente, di 24 caratteri, poi ridotti, verso il VI secolo, a 16, per ragioni ancora sconosciute. VICHINGHI

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Questi segni consistevano in tratti verticali o diagonali – poche volte orizzontali – e, quando si ridussero a 16, ciascuno di essi finí per indicare piú di un fonema. Le rune – da rúnar, «mistero» – hanno un’origine dubbia e si suppone che tali segni possano essere stati mutuati dai Germani dagli alfabeti latino, etrusco e greco, e appositamente adattati per le esigenze fonetiche della loro lingua. Si trattava di un alfabeto diffuso presso popolazioni la cui cultura era prevalentemente orale e, quindi, destinato a essere utilizzato non per documenti od opere letterarie, testi elaborati su papiro o pergamena, quanto per composizioni brevi, di taglio celebrativo e realizzate su materiale solido come il metallo, il legno e la pietra, oppure per apporre firme – come sulle pietre runiche – o dediche. Forse, in origine, le rune avevano anche una valenza sacrale – non a caso erano sacre a Odino, che ne era considerato l’«inventore» – e venivano utilizzate per comporre brevi testi con valenza magica come, per esempio, «maledizioni» o «incantesimi», di cui l’archeologia ha recuperato alcune iscrizioni, incise su oggetti vari come monili e utensili di vario genere – coltelli, armi – in metallo, pietra o in osso.

Una spedizione sfortunata

Tra le pietre runiche piú note si ricordi quella di Gripsholm, in Svezia (IX secolo), caratterizzata da un testo inserito in una decorazione serpentiforme, commemorativa dei fratelli Harald e Ingvar, che morirono nel corso di una spedizione nel Serkland, in terra musulmana, probabilmente in Persia. Da ricordare anche le due pietre runiche di Jelling (X secolo), in Danimarca, inserite in un piú ampio complesso funerario, caratterizzato da due tumuli, sotto i quali erano sepolti il re Gorm il Vecchio (890 circa-935) e la moglie Thyra. La prima pietra runica fu innalzata da Gorm stesso, in onore della moglie defunta, la seconda, invece, dal figlio di Gorm, Aroldo II Dente Azzurro (935-987). Questa seconda pietra presenta un testo in runico molto lungo, che si snoda lungo i tre lati del monolite e che commemora i defunti Gorm e Thyra, ma anche l’opera politica dello stesso Aroldo, unificatore della Danimarca, conquistatore della Norvegia e promotore della conversione del popolo danese al cristianesimo. Sulla pietra, inoltre, furono scolpiti un serpente che avvinghia un leone e un’immagine di Cristo in croce, una delle prime raffigurazioni di un soggetto cristiano in un territorio, fino ad allora, «pagano» (vedi box alle pp. 76-85). 66

VICHINGHI

IL DUCATO DI NORMANDIA Il ducato di Normandia fu costituito nel 911, quando il re di Francia, Carlo III il Semplice, per frenare le incursioni vichinghe nel Nord della Francia, aveva concesso, a titolo feudale, a Rollone († 932 circa), capo normanno di origine norvegese, le contee di Rouen e di Caen, lungo il corso della Senna, con il compito di proteggere il territorio dalle incursioni dei suoi connazionali vichinghi. In cambio della concessione, Rollone fu costretto a battezzarsi e ad assumere il nome di Roberto, sposando la figlia naturale del re, Gisela. I suoi successori – Guglielmo Lungaspada (932 circa-942), Riccardo I Senza Paura (942-996) e Riccardo II il Buono (9961026) – si denominarono «duchi» e proseguirono l’opera di conquista, ampliando i loro domini con l’annessione del Cotentin, dell’Avranchin e di parte della Bretagna, creando le premesse di una superba struttura politica, il ducato di Normandia con capitale Rouen, esteso su buona parte della Francia nord-occidentale e proiettato, per naturale conformazione geografica, verso l’Inghilterra. Il nome Normandia – terra Normannorum –

In basso particolare della tela ricamata (piú nota come «arazzo») di Bayeux raffigurante Lewine e Gyrd, fratelli del re Aroldo, che trovano la morte in battaglia. XI sec. Bayeux, Musée de la Tapisserie.


per indicare l’insediamento nella Francia settentrionale, non si diffuse prima dell’XI secolo, ma il processo di acculturazione franca e cattolica dei Normanni fu comunque molto rapido. Basti pensare che nessun duca, dopo Rollone, portò un nome scandinavo, mentre l’influsso della lingua norrena su quella franca fu limitato ad alcuni toponimi e ad alcune parole inerenti alla pesca e alla navigazione. Nel 1066, con la battaglia di Hastings, il duca di Normandia, Guglielmo il Bastardo (1035-1087) – detto poi «il Conquistatore» – figlio di Roberto il Magnifico (1027-1035) e della lavandaia di Falaise, Arlette († 1050 circa), sconfisse gli Anglosassoni, diventando re di Inghilterra. Guglielmo estese in Inghilterra gli accentrati ordinamenti amministrativi che aveva già instaurato in Normandia, dopo aver debellato l’aristocrazia ribelle nelle battaglie di Val ès Dunes (1047), Mortemer (1054) e Varaville (1057). Morto Guglielmo nel 1087, sul trono inglese gli successero i figli Guglielmo II il Rosso (1087-1100) ed Enrico I (1100-1135),

detto, per la sua notevole istruzione, «Beauclerc», il «Chierico». Morto Enrico I, nel 1135, gli successe come regina la figlia Matilde († 1167), dato che il suo unico figlio legittimo, Guglielmo, era morto nel 1120. Matilde dovette combattere una lunga guerra civile contro il cugino, Stefano di Blois (1135-1154), che rivendicava il trono inglese e, solo nel 1154, dopo la morte di Stefano, poté assistere all’incoronazione del figlio, Enrico II. Con Enrico II, salí al trono inglese una nuova dinastia, di origine francese, i Plantageneti, che resse le sorti del regno fino al 1485. Enrico II, infatti, era il figlio di Matilde e Goffredo V il Bello (1109-1151), conte di Angiò, appartenente a una delle piú prestigiose famiglie della feudalità francese. Il dominio di Enrico II era immenso e comprendeva, oltre all’Inghilterra, vari feudi sul continente, ereditati dal padre e dalla madre, vassalli del re di Francia. Si trattava della Normandia, Angiò, Maine, Limosino e Turenna, a cui si aggiunsero, nel 1152, il ducato di Aquitania e la contea del Poitou, portatigli in dote dalla moglie, la duchessa Eleonora († 1204).

Particolare della tela ricamata di Bayeux raffigurante il duca di Normandia, Gugliemo, che impartisce ordini alle sue truppe. XI sec. Bayeux, Musée de la Tapisserie.

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I VICHINGHI

L’espansione

I VICHINGHI DELL’EST Per posizione geografica la Svezia è naturalmente protesa nel Baltico e verso Oriente e, da lungo tempo, i Vichinghi avevano instaurato rapporti diplomatici e commerciali con i Vendi, gli «Slavi del Baltico» stanziati tra Oder e Vistola, di cui conoscevano lingua e costumi e da cui importavano la preziosa ambra, vendendo loro schiavi, armi e pellicce e frequentando gli empori di Wolin, sull’Oder, e Truso, sulla Vistola. La penetrazione commerciale e militare dei Vareghi svedesi in territorio russo e ucraino, quindi, è perfettamente comprensibile ed è ben documentata non solo dalla storiografia bizantina, ma anche dal resoconto del mercante e diplomatico musulmano Ahmad ibn Fadlan († 960 circa), il quale, intorno al 921, guidò, per conto del califfo abbaside di Baghdad, al-Muqtadir (908-932), un’ambasceria presso il khanato dei Bulgari del Volga. Ibn Fadlan ebbe modo di imbattersi in alcuni Vareghi, di cui descrisse le usanze religiose – da lui considerate, a dir poco, «barbare» – e fu

testimone anche delle esequie di un capo vichingo, conclusosi con l’incendio della nave, su cui fu adagiato il cadavere. Per ricostruire la presenza norrena in Russia, un’altra fonte molto importante è la Cronaca degli anni passati, scritta da Nestore († 1113 circa), monaco del Monastero delle Grotte, fondato intorno alla metà dell’XI secolo a Kiev, e che ripercorreva, in ordine cronologico, gli eventi della storia russa, dal IX secolo ai suoi tempi. Nestore assemblò e diede ordine al materiale annalistico che altri monaci, prima di lui, avevano trascritto in maniera alquanto disorganica. Uno dei primi capi vareghi a spingersi in terra russa fu Rurik – o Rjurik –, il quale, intorno all’858-860, s’impossessò della città slava di Novgorod, sul fiume Volchov, facendone la capitale di un principato. Altri due capi, Sineus e Truvor, presero Beloozero e di Izborsk, ma morirono o furono uccisi poco tempo dopo e, cosí, Rurik poté annettere i loro domini. Assieme a Rurik arrivarono, in quelle lande sconosciute, altri capi vareghi, tra cui Askold e Dir, che si impossessarono del centro slavo di Kiev, sul fiume Dnepr, nell’attuale Ucraina. Rurik guidò la

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Sulle due pagine Ritratti di Monarchi Russi, tavola a colori tratta dall’opera Il costume antico e moderno di Giulio Ferrario, pubblicata per la prima volta tra il 1818 e il 1826. 1. Rurik 2. Ivan IV il Conquistatore 3. Olga di Kiev 4. Vladimiro il Grande 5. Igor 6. Sviatoslav

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prima spedizione navale vichinga contro Costantinopoli, intorno all’860, ma l’imponenza delle mura della città, ubicate lungo il porto del Corno d’Oro, e l’uso del fuoco greco consentirono ai Bizantini di respingere l’attacco. Morto Rurik intorno all’879, gli successe il figlio, Igor (912-945), primo esponente della stirpe principesca dei Rjurikidi che, tuttavia, fino al 912 non poté governare in prima persona, perché sotto reggenza del capo varego Oleg (879-912). Oleg avviò una politica di conquiste che, ben presto, espanse il principato varego fino al Baltico e al Mar Bianco, a nord, e, a sud, fino al Mar Nero e al Caucaso. Oleg eliminò Askold e Dir, impossessandosi di Kiev, dove trasferí la capitale dello stato da Novgorod e, nel 907 e nel 911, attaccò per ben due volte Costantinopoli, ma fu respinto. Intanto, il principe allacciava buone relazioni commerciali con i Cazari – popolazione turcofona, convertita al giudaismo, stanziata a nord del Mar Nero – e con i Bulgari del Volga, incoraggiando la fusione biologica e culturale con le tribú slave che, ben presto, portò alla formazione di un

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popolo nuovo, interamente slavizzato nella lingua e nei costumi a cui fu dato, appunto, il nome di Rus, «Russi». L’acculturazione slava dei Vareghi è dimostrata dall’onomastica e, infatti, i nomi dei sovrani di Kiev, pur avendo origine norrena, andarono progressivamente slavizzandosi, come dimostrano i casi di «Helgi-Oleg» e «Ingvar-Igor». Dal punto di vista linguistico, i Vareghi cessarono col tempo, di parlare il norreno e divennero, a tutti gli effetti, slavofoni, salvo alcune parole dell’idioma nativo che entrarono a far parte delle lingue slave. Salito al potere nel 912, Igor sottomise le tribú slave dei Vervi, Kriviti e Drugoviani, riprese la politica aggressiva verso Gríklad – l’impero bizantino – e assediò nuovamente Costantinopoli nel 941, ma dovette accontentarsi di un trattato con cui avviò una proficua collaborazione militare e commerciale con l’impero. Da quel momento, i Russi furono arruolati nelle milizie bizantine e ottennero la possibilità di recarsi, in gruppi numericamente contenuti, nella stessa Costantinopoli, per commerciare. A questi mercanti norreni – o agli uomini arruolati nella «Guardia Varega» – sono forse da VICHINGHI

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attribuire le rune incise su una balaustra di S. Sofia, la basilica di Costantinopoli, o sul leone marmoreo del Pireo d’Atene e che, dal XVIII secolo, si trova all’Arsenale di Venezia. I rapporti tra Vareghi e impero, alla lunga, favorirono anche l’acculturazione bizantina della Russia, come iniziò a essere denominato l’immenso territorio a nord del Danubio. Dei rapporti diplomatici, commerciali e militari tra Vareghi e impero bizantino dà conto il De Administrando Imperio, trattato politico dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito (912-959). Morto Igor nel 945, gli successe il figlio Svjatoslav (945-972), che, fino al 964, fu sotto la reggenza della madre Olga. Terminata la reggenza, Olga si convertí al cristianesimo e si trasferí a Bisanzio, dove morí intorno al 969 e fu poi riconosciuta santa dalla Chiesa ortodossa. Assunto il potere, Svjatoslav combatté al fianco dell’impero d’Oriente contro Cazari e Bulgari, finché, cambiata politica, nel 969 attraversò il Danubio e attaccò la Tracia, ma fu fermato dall’imperatore Giovanni Zimisce (969-976). Alla sua morte, nel 972, il principato di Kiev fu travolto dalla guerra tra i figli Jaropolk, Vladimiro e Oleg. Oleg fu assassinato da Jaropolk nel 976 e Vladimiro fu costretto a fuggire in Svezia da 70

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In alto miniatura raffigurante i principi Askold e Dir che ottengono da Rurik l’autorizzazione ad andare a Costantinopoli, dalla Cronaca Radziwill. Fine del XV sec. San Pietroburgo, Accademia delle Scienze. A destra La morte di Askold e Dir. Mosca, Biblioteca Statale di Russia. cui tornò, intorno al 979, quando sconfisse e uccise il fratello Jaropolk. Vladimiro I il Grande o «il Santo» (979-1015), quindi, poté iniziare il suo regno e, come i suoi predecessori, si pose al servizio del nuovo imperatore, Basilio II Bulgaroctono (963-1025), al quale forní truppe nelle guerre contro Bulgari e Arabi, dandogli aiuto anche contro alcuni nobili ribelli. Infine, intorno al 987, Vladimiro sposò Anna Porfirogenita († 1011 circa), sorella di Basilio, e si fece battezzare, diventando cristiano. Nel 989, il principe impose a tutti i sudditi il battesimo che, secondo la tradizione, avvenne nelle acque del Dnepr. Non pago di ciò, il principe accolse nel suo stato monaci e ecclesiastici ortodossi, per favorire la diffusione della nuova fede e l’abbandono dei culti «pagani» mentre, a Kiev, si insediò un metropolita bizantino, consacrato dal patriarca di Costantinopoli, che iniziò l’edificazione di chiese e monasteri. La diffusione dei testi sacri cristiani comportò lo


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sviluppo di una cultura scritta, con la diffusione dell’alfabeto cirillico – ideato, nel IX secolo, dai santi greci Cirillo († 869 circa) e Metodio († 886 circa), evangelizzatori degli Slavi e dei Bulgari – come lingua ufficiale della nascente Chiesa ortodossa russa. Morto Vladimiro nel 1015, il principato di Kiev fu nuovamente travolto dalla guerra civile tra i diversi pretendenti. Due figli del defunto principe, Boris e Gleb, furono assassinati nel 1019 dal fratello Mstislav e, poi, venerati come martiri dalla chiesa ortodossa russa. Intorno al 1036, eliminati i fratelli Mstislav e Svjatopolk, Jaroslav I il Saggio (1036 circa-1054) poté iniziare a governare da solo, continuando l’opera di cristianizzazione dei Russi, già intrapresa dal padre, e promulgando leggi severe come la Russkaja Pravda – «La Giustizia russa» – il primo codice legislativo scritto. Il regno di Jaroslav dimostrò anche come i rapporti tra Kiev e il mondo scandinavo non vennero mai meno. Jaroslav, infatti, sposò Ingegerd, figlia del re di Svezia Olaf I Skötkonung (995-1022) e, in seguito, diede in sposa la propria ad Aroldo III «lo Spietato» (1047-1066), re di Norvegia. Un’altra figlia di

Jaroslav, Anna († 1075), andò in sposa al re di Francia, Enrico I (1031-1060). Alla morte del principe, la Russia risprofondò nella guerra civile tra rami collaterali della stirpe dei Rjurikidi, causata anche dalla mancanza di una legge di successione dinastica certa che escludesse parenti collaterali o figli «bastardi» dalla successione. Dopo il regno di Vladimiro II Monomaco (1113-1125), lo stato russo andò frantumandosi in principati diversi – Rjazan’, Rostov, Tver’, Vladimir-Suzdal’ – retti dai vari rami della dinastia dei Rjurikidi. Novgorod, l’antica capitale, si trasformò invece in una «repubblica» indipendente, governata da un’oligarchia di mercanti. Progressivamente, tutti questi stati sarebbero stati riunificati nel principato slavo di Mosca. Mosca fu fondata intorno al 1157 sulle rive della Moscova, affluente dell’Oka, come centro fortificato – kreml’, da cui «cremlino» – dal principe di Vladimir-Suzdal’, nel cui principato era inclusa. Nel 1263, alla morte di Alessandro Nevskji (1236-1263), signore di Novgorod e principe di Kiev e Vladimir-Suzdal’, Mosca divenne un

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In basso, sulle due pagine una veduta della città russa di Velikij Novgorod tratta dal Beschreibung der moskowitischen und persischen Reise, resoconto della spedizione in Persia del duca Federico III di Holstein-Gottorp scritto da Adam Olearius. 1647


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Dall’alto Ritratti di Monarchi Russi, tavola a colori tratta dall’opera Il costume antico e moderno di Giulio Ferrario, pubblicata per la prima volta tra il 1818 e il 1826. 1. Yaroslav 2. Sviatoslav II 3. Sviatopolk 4. Ivan III 5. Ivan II 6. Demetrio di Russia 7. Vladimiro Monomaco 8. Jurij Dolgorukij.

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granducato a sé, appositamente costituito per Danilo (1263-1303), uno dei figli di Alessandro. Nel 1303, alla morte di Danilo, gli subentrò il figlio, Giorgio (1303-1325), che, nel 1319, s’impossessò del principato di Vladimir-Suzdal’ e, accolto il metropolita di Kiev a Mosca, ne fece la nuova sede dell’arcivescovato di Russia. Infatti, intorno alla metà del XIII secolo, il territorio russo era stato occupato dai Mongoli che, nel 1240, avevano distrutto Kiev, costringendo il metropolita a fuggire prima a Vladimir e poi, nel 1325, a Mosca. I principati russi erano diventati tributari dell’impero mongolo ma, ben presto, il granduca di Mosca Demetrio Donskoj (1359-1389) guidò la riscossa contro i dominatori, infliggendo loro una dura sconfitta a Kulikovo, sul Don, nel 1380. Intanto, nel 1362, Kiev e l’Ucraina fino al Dnepr erano state inglobate nel granducato di Lituania, una nuova formazione politica, ubicata ai confini occidentali del nascente stato moscovita. Dopo la morte dei successori di Demetrio Donskoj, Basilio I (1389-1425) e Basilio II (1425-1462), il granducato di Mosca andò a Ivan III (1462-1505), che subito intraprese l’opera di conquista di tutte le terre russe. 74

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E, infatti, tra il 1474 e il 1478, Ivan prese e annesse i principati di Rjazan’, Rostov, Tver’, Vladimir-Suzdal’ e la repubblica di Novgorod, volgendosi, poi, ai khanati mongoli della steppa, che furono messi in condizione di non nuocere. Quando Costantinopoli fu conquistata dai Turchi, nel 1453, Ivan si proclamò zar, in russo, «Cesare», e proclamò Mosca la «Terza Roma», cioè l’erede politica e religiosa di Bisanzio. L’emblema bizantino dell’aquila bicipite – simboleggiante la sovranità imperiale su Occidente e Oriente – fu adottato dallo stato e dalle milizie moscovite. Nel 1472, Ivan sposò la principessa Sofia Paleologo († 1503), nipote dell’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI (1448-1453), morto sugli spalti delle mura di Costantinopoli, mentre difendeva la città dall’assalto ottomano. Il nipote di Ivan III, Ivan IV il Terribile (1533-1584), a partire dal 1547, iniziò a utilizzare ufficialmente il titolo di «zar». Nel 1589, il figlio, lo zar Fedor I (1584-1598), spinse il metropolita di Mosca, Giobbe (15861607), ad assumere il titolo di «patriarca di Mosca e di tutte le Russie», sancendo cosí, definitivamente, la completa indipendenza giuridica della Chiesa russa da Costantinopoli. Ma questa è un’altra storia.

In alto miniatura raffigurante la guardia variaga, dal Codex Graecus Matritensis Ioannis Skyllitzes, manoscritto greco di produzione siciliana che riporta la Sinossi della Storia di Giovanni Scilitze. XII sec. Madrid, Biblioteca Nazionale. Nella pagina accanto acquerello su pergamena raffigurante la ricostruzione in pietra del Cremlino, disposta nel 1367 dal principe Demetrio di Russia. 1570 circa. Mosca, Museo Storico di Stato.


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NON SOLO GUERRA, MA ANCHE CULTURA Tra IX e XI secolo, mentre le spedizioni vichinghe si abbattevano sull’Europa, fiorí, in tutta la Scandinavia, la produzione poetica scaldica, creata dagli «scaldi» – skáld –, poeti itineranti presso le corti degli jarlar e, poi, dei sovrani norreni, e che componevano canti celebrativi

Nella pagina accanto frontespizio di un’edizione seicentesca della Snorra Edda (Edda in prosa), colorato ad acquerello nel 1764. Reykjavik, Biblioteca Nazionale e Universitaria d’Islanda.

Miniatura raffigurante uno dei personaggi piú celebri delle saghe islandesi, Egill Skallagrímsson, poeta dal carattere irascibile e dalla forza sovrumana. XVII sec. Reykjavik, Stofnun Árna Magnússonar.

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della fama e delle gesta dei loro patroni, da cui ricevevano vitto, alloggio e, molto spesso, lauti compensi. Sono noti i nomi di circa 200 scaldi, ma la loro produzione poetica è frammentaria e conosciuta grazie a fonti letterarie posteriori all’età vichinga, quando la cristianizzazione della Scandinavia era ormai compiuta. Benché fosse, essenzialmente, una poesia encomiastica, non mancarono, nella poesia scaldica, riferimenti a temi come l’amore e l’amicizia. Il componimento piú diffuso fu la drápa, il «carme di lode», i cui versi, spesso declamati con accompagnamento musicale, in occasioni pubbliche come feste e banchetti, erano raggruppati in strofe intercalate da uno stef, un «ritornello». La poesia scaldica era un’arte molto dotta, attenta al particolare e alla sontuosa elaborazione stilistica, fondata sull’allitterazione – cioè sulla ripetizione costante, nei versi, delle stesse lettere o sillabe – e l’uso abbondante di kenningar, «metafore» o perifrasi come «destriero delle onde», per indicare la nave, e «rugiada delle battaglie», per indicare il sangue. Questi virtuosismi stilistici renderebbero, ancora oggi, molto difficile la comprensione dei componimenti, se non fosse per un’opera utilissima, redatta nel XIII secolo, dallo scrittore e storico norvegese Snorri Sturlusön († 1241), eminente figura di intellettuale e letterato. Si tratta dell’Edda in prosa, un manuale «di poesia», che mira a fornire al lettore tutte le informazioni necessarie per comprendere la poesia scaldica – e per comporla – e risulta articolato in tre parti, introduzione esclusa. La prima parte, Gylfaginning – «La delusione di Gylfi» – è un vero e proprio ragguaglio sull’intero patrimonio mitologico norreno, a cui gli scaldi attingevano a piene mani, nel comporre le loro opere. La seconda, Skáldskaparmal – «Discorso sulla creazione poetica» –, fornisce informazioni dettagliate sul lessico, le metafore e gli artifici retorici utilizzati dagli scaldi, mentre la terza e ultima parte, Háttatal – «Numero dei metri» –, è dedicata, nello specifico, alla metrica scaldica. Snorri fu anche autore della Egils Saga, una biografia di Egill Skallagrímsson († 990 circa), uno dei piú importanti scaldi vichinghi, di cui Snorri era un discendente da parte di madre. Egill è rimasto giustamente famoso anche perché, oltre che poeta, fu guerriero e uomo d’azione che serví il sovrano norvegese, Erik I Ascia di sangue (930-935 circa), e il re del Wessex, Atelstano (924-939). Inoltre, la poesia


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di Egill – a differenza di molti poeti contemporanei – oltre a esaltare i valori guerreschi e le gloriose imprese dei committenti – era caratterizzata anche da profonda introspezione psicologica e da un commovente richiamo ai sentimenti genitoriali e familiari. Tra i suoi poemi si ricordino Adalsteinsdrápa (Carme in lode di Atelstano), componimento celebrativo del re anglosassone; Höfudlausn (Il riscatto della testa), che narra come Egill salvò la sua vita dal re Erik I, che lo aveva condannato a morte; infine, Sonatorrek (Perdita di un figlio), poema commemorativo del figlio Bodvar, morto in un naufragio. Tra gli scaldi piú noti, oltre a Egill, occorre ricordare Bragi Boddason (IX secolo), autore della Ragnarsdrápa (Carme in onore di Ragnar), probabilmente il famigerato Ragnar Lodbrok – e Thorbjorn Hornfloki (IX-X secolo), attivo alla corte di Aroldo I Bellachioma (870 circa-930), primo re di Norvegia. Norvegese fu anche Jorúnn Skáldmaer, unico scaldo donna conosciuto, vissuta nella prima metà del X secolo. Con la cristianizzazione della Scandinavia e, di conseguenza, l’adozione dell’alfabeto latino a fini liturgici e catechetici, la civiltà vichinga iniziò un nuovo percorso di sviluppo culturale, con la progressiva scomparsa dell’alfabeto runico e la diffusione, su vasta scala, della cultura scritta. Pertanto, si svilupparono generi letterari – storiografia, trattatistica politica – già diffusi nel resto d’Europa e una vasta produzione letteraria in latino o in norreno, questa volta trascritto con l’ausilio di segni alfabetici latini, adattati a esprimere i fonemi delle lingue nordiche. Queste – norreno occidentale (islandese e norvegese), meridionale (danese) e orientale (svedese) – iniziarono a differenziarsi sempre di piú anche da lingue affini come il tedesco o l’anglosassone e, pur conservando la medesima origine indoeuropea, assunsero, alla fine del Medioevo, le caratteristiche odierne. La letteratura scandinava bassomedievale, oltre a importare generi e modelli letterari stranieri, ebbe anche caratteri originali come dimostra il genere della «saga». La Saga – dal norreno segja, «dire» – è una sorta di romanzo in prosa, spesso frammista anche a versi, in cui sono narrati eventi pubblici o familiari, prevalentemente dell’età vichinga, il cui nucleo

storico è stato trasfigurato dalla leggenda. Ciò non inficia la validità complessiva del racconto, il cui nucleo narrativo, attinente all’ethos vichingo, a istituzioni giuridiche e sociali norrene, può considerarsi autentico e preziosissimo per conoscere quel mondo. La nascita della saga si colloca in Islanda, nel XII secolo, anche se, col tempo, si diffuse in Norvegia e negli altri paesi scandinavi, almeno fino al XV secolo. Tra le prime saghe bisogna ricordare quelle relative alla colonizzazione vichinga dell’Islanda come il Landnámabók (Libro dell’insediamento) e l’Isledingabók (Libro degli Islandesi). Il primo testo, redatto nel XII secolo, è anonimo e ripercorre le tappe della colonizzazione

In alto un’edizione manoscritta della Snorra Edda (Edda in prosa) di Snorri Sturluson. XIV sec. Uppsala, Biblioteca Universitaria. Nella pagina accanto miniatura raffigurante il re Atelstano in ginocchio davanti a Guy di Warwick, che lo benedice, da un’edizione della Chronicle of England. 1307-1327. Londra, British Library. VICHINGHI

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A sinistra una sezione del rotolo pergamenaceo contenente la genealogia dei re inglesi da Aroldo II a Enrico I e comprendente i duchi di Normandia, da Rollone a Guglielmo il Conquistatore. 1300-1340 circa. Londra, British Library.

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norvegese dell’Islanda attraverso un elenco esaustivo di famiglie, clan e indicazione dei luoghi degli insediamenti coloniali, ripercorrendo la genealogia di circa 400 coloni, fino al XII secolo. Il secondo testo, piú discorsivo, è opera di Ari Thorgilsson († 1148 circa), detto «Frodhi» – «il Dotto» – scrittore e religioso islandese che, secondo alcuni, avrebbe avuto una parte importante anche nella redazione della prima opera. Da ricordare è anche la Jómsvíkinga saga (Saga dei Vichinghi di Jomsborg), scritta intorno al XIII secolo. Jomsborg, secondo la tradizione norrena – purtroppo non supportata da evidenze

In alto il parco archeologico di Wolin (Polonia), nel quale è stato ricostruito un villaggio con strutture slave e vichinghe in uso tra il IX e il X sec. A sinistra paticolare di una spada vichinga, da Lesja (Norvegia). X sec. Oslo, Museo Storico.

archeologiche – era una fortezza situata sul Baltico, alla foce dell’Oder, fondata intorno alla metà del X secolo dal guerriero danese Palnatoke, col consenso del re di Danimarca Aroldo II Dente Azzurro (935-987). In questa fortezza – che disponeva di un porto per ben 300 navi – piú di mille mercenari vichinghi, danesi e non, si autogovernavano e vivevano in un regime di grande austerità, sottoponendosi a un durissimo addestramento quotidiano che, per certi versi, ricordava il sistema di vita spartano. Gli Jomsvikingar servirono, con fedeltà, Aroldo II e i suoi successori, Sveno I Barba forcuta (9871014) e Canuto II il Grande (1014-1035), ma, nel 1043, Jomsborg fu distrutta dal re di Norvegia Magnus I il Buono (1035-1047). Per esigenze sistematiche ed espositive gli studiosi sono soliti catalogare le saghe in base all’oggetto della narrazione e, quindi, in gruppi distinti. Pertanto, si avranno «saghe dei re» – incentrate sulle figure dei monarchi scandinavi – «saghe dei vescovi» – focalizzate sulla vita di importanti ecclesiastici – «saghe degli scaldi» – se narrano la vita dei poeti – e «saghe delle VICHINGHI

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famiglie», incentrate sulla storia delle stirpi e dei clan vichinghi piú famosi. Tra il XIII e il XV secolo, con la diffusione, anche in area scandinava, dei temi della letteratura cortese – Carlo Magno e i paladini di Francia, Artú e i Cavalieri della Tavola Rotonda – buona parte di questo materiale, debitamente tradotto, divenne oggetto delle saghe. Inoltre, si diffusero anche componimenti come le «ballate», di argomento amoroso e cavalleresco, mutuate dagli analoghi componimenti diffusi presso le corti d’Europa. Tra la produzione letteraria in norreno, fiorita in Scandinavia nel Basso Medioevo, bisogna ricordare anche Heimskringla (L’Orbe terrestre), un’opera storiografica monumentale, consistente in una raccolta di saghe dei re norvegesi, dalle origini mitiche fino al 1177, scritta dal già citato Snorri Sturlusön. Nello stesso periodo, bisogna 82

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ricordare anche la fioritura di testi di contenuto politico-ideologico come gli Specula principum (Specchi dei principi), diffusi nel resto d’Europa, manuali sull’arte del buon governo che delineavano la figura del sovrano «ideale», rispettoso delle leggi e della giustizia, difensore della fede e tutore dei privilegi di Santa Romana Chiesa. Tra questo genere di testi, è da menzionare il norvegese Konungs skuggsjá (Specchio del re), redatto intorno al 1250, probabilmente da un ecclesiastico attivo alla corte del re Haakon IV Haakonarson (12171263), ma rimasto anonimo. Notevole fu anche la produzione letteraria in latino come l’Historia de antiquitate regum Norvagensium, opera del monaco norvegese Teoderico, che ripercorreva la storia della monarchia di Norvegia dai tempi piú antichi fino al XII secolo e i Gesta Danorum – opera storica

A sinistra l’unica pagina superstite dell’edizione manoscritta del Kringla, componimento di Snorri Sturluson compreso nell’opera Heimskringla. 1258-1264. Reykjavík, Biblioteca Nazionale e Universitaria d’Islanda. In alto particolare della decorazione a intaglio che corre lungo uno dei fianchi del carro rinvenuto nella nave funeraria di Oseberg. IX sec. Oslo, Museo delle Navi Vichinghe.


redatta dal chierico danese Saxo Grammaticus († 1210 circa) – che ripercorreva la storia della monarchia danese dall’epoca mitica al XII secolo, non disdegnando di mescolare verità storica e leggenda. Proprio nei Gesta Danorum compare la figura di Amleto, il principe danese che uccise il fratello, Fengo, vendicando l’assassinio del padre, Horvendill, e che fu poi trasfigurata dall’opera drammatica dello scrittore inglese William Shakespeare († 1616). La civiltà vichinga eccelse anche nel campo dell’arte figurativa, ma, come tutte le popolazioni germaniche, i Norreni si distinsero, soprattutto, nella decorazione a bassorilievo o intaglio di utensili, armi e oggetti di ogni tipo, fabbricati in metallo, avorio, osso, pietra o legno, spesso anche vivacemente colorati, ma non mancarono anche sculture tridimensionali.

A destra un altro particolare della decorazione del carro di Oseberg raffigurante un volto maschile in atteggiamento aggressivo. IX sec. Oslo, Museo delle Navi Vichinghe. VICHINGHI

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A destra grande ascia cerimoniale vichinga in ferro con inserti in argento, da Mammen (Jutland). X sec. circa. Copenaghen, Museo Nazionale. Secondo il tipico stile decorativo germanico, i soggetti raffigurati erano prevalentemente animali o vegetali, spesso inseriti in figure geometriche, avvolte da nastri e fogliame. Uno dei soggetti piú diffusi fu la «bestia rapace», sorta di serpente-drago raffigurato di fronte o, piú spesso, di profilo, con le zampe che ghermiscono qualsiasi cosa alla sua portata, dotato di un lungo corpo che, verso l’estremità, va traformandosi in senso nastriforme. Convenzionalmente, l’evoluzione dell’arte figurativa vichinga è caratterizzata dall’alternanza di «stili» diversi, che prendono nome dalle località scandinave dove sono avvenuti i ritrovamenti archeologici piú interessanti e caratteristici del singolo stile. Nell’ordine, essi sono: Oseberg (750-840), Borre (835-970), Jelling (880-1000), Mammen (950-1060), Ringerike (980-1080) e Urnes (1035-

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In basso particolare di un finimento equino, da Mammen (Jutland). X sec. circa. Copenaghen, Museo Nazionale.

1150). Lo stile di Oseberg prende nome dai manufatti lignei intagliati, ritrovati nel tumulo funerario di Oseberg, in Norvegia, tra cui vi erano pali con, in cima, altrettante teste tridimensionali di animali. Lo stile di Borre, invece, prende nome dalla località norvegese in cui furono ritrovate guarnizioni in bronzo dorato che costituiscono i manufatti esemplari di questo stile, mentre lo stile di Jelling è cosí designato dall’omonimo sito danese, dove è stata ritrovata una coppa d’argento, su cui furono incisi due animali con corpo nastriforme intrecciato. Lo stile di Mammen è cosi detto dalla località danese in cui fu trovata un’ascia su cui era inciso un uccello avvolto da viticchi, mentre lo stile di Ringerike prende nome dall’omonima località norvegese dove fu scoperto un complesso di pietre runiche su cui furono incise masse di viticchi e fogliame. Urnes, ultimo degli stili, è denominato cosí dall’omonima località norvegese, dove furono trovati splendidi intagli lignei sul portale di una chiesa, su assi a muro e piloni, sui quali l’abbondanza delle decorazioni vegetali e geometriche, che si intrecciano a soggetti animali, raggiunge il suo acme. Tutti questi stili si sovrapposero parzialmente l’uno all’altro, nonostante il tentativo degli storici dell’arte di stabilire cesure cronologiche nette. Inoltre, a partire dallo stile di Borre, in seguito all’espansione scandinava, molte testimonianze degli stili suddetti sono rinvenibili anche al di fuori della Scandinavia, come in Irlanda e Inghilterra.


In alto sperone aureo lavorato nello stile di Borre, da Vaerne Kloster Rod (Norvegia). Fine del IX-inizi del X sec. Oslo, Universitetets Oldsaksamling.

A destra coppa in argento di produzione vichinga, da Jelling. X sec. Copenaghen, Museo Nazionale.

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Una veduta a volo d’uccello della piazzaforte ad anello vichinga di Fyrkat (Danimarca), che ne evidenzia la collocazione a ridosso del fiordo di Marjager, il piú lungo dello Jutland.

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Corone senza pace La storia delle monarchie scandinave si dipana all’insegna di faticosi processi di unificazione e, soprattutto, di ricorrenti lotte intestine, scontri per la successione e vere e proprie guerre civili Sverd i fjell (Spade nella roccia), il monumento composto da tre spade in bronzo alte una decina di metri ciascuna realizzato a Hafrsfjord per celebrare la vittoria grazie alla quale, nell’870 circa, Aroldo I Bellachioma riuscí a unificare il territorio norvegese in un unico regno. Autore dell’opera, inaugurata nel 1983 dal re Olav V di Norvegia, è lo scultore norvegese Fritz Røed.

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l processo di costruzione statale delle monarchie scandinave iniziò alla fine del IX secolo e proseguí, ininterrottamente, fino alle soglie della modernità (XV secolo). Tuttavia, il potere del konungr – «sovrano» – scandinavo non fu mai paragonabile, in età medievale, a quello di un monarca assoluto del XVII secolo: esso, infatti, incontrava forti limiti giuridici e politici nel rispetto delle leggi fondamentali – anche consuetudinarie – del regno, e nell’osservanza della volontà del thing, l’assemblea popolare, una sorta di parlamento composto dagli jarlar e dai boendr, gli uomini liberi, possidenti terrieri relativamente benestanti, aventi il diritto di portare le armi e l’obbligo di servire, a proprie spese, e quando ve ne fosse la necessità, nell’esercito regio. Il thing, inoltre, svolgeva anche l’importante ruolo di tribunale supremo, nel quale venivano dibattute e giudicate le questioni giuridiche piú importanti. Solo alla fine del Medioevo il consolidamento dei regni e delle rispettive identità nazionali – ormai distinte – dei Danesi, Norvegesi e Svedesi, poté dirsi compiuto, pur con i limiti anzidetti. Ma andiamo con ordine. La formazione di un saldo potere monarchico avvenne quando, in Scandinavia, con l’aumento generale del benessere e dei commerci emerse la necessità di avere un maggior ordine sociale, tale da assicurare lo svolgimento pacifico e «civile» della vita associata e, quindi, un sovrano che fosse in grado, anche con la forza, di garantire l’ordine. Inoltre, era necessaria una struttura di potere nuova, con un unico capo che garantisse i rapporti internazionali con i sovrani stranieri e il culto degli dèi, responsabili della pace e della prosperità. La costituzione di monarchie solide e autorevoli poté concretizzarsi quando una delle stirpi degli jarlar fu in grado, per forza militare e ricchezze, di costituirsi un vasto seguito di fideles, prendere il so-

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pravvento sulle altre, privarle di uomini e terre e costringerle a sottomettersi. La Norvegia, il cui nome in norreno – Noregr – significava molto probabilmente «Via del Nord», fu la prima nazione scandinava ad avviare un processo politico di costruzione nazionale quando, tra l’870 e l’890, lo jarl del fiordo di Oslo, Aroldo I Bellachioma (870 circa-930), della stirpe Ynglinga, si proclamò re, sconfisse ad Hafrsfjord i suoi nemici e sottomise tutto il territorio norvegese al suo dominio. Morto Aroldo, la corona di Norvegia passò al figlio, Erik I Ascia di sangue (930-935 circa), che fu cacciato dopo appena un quinquennio a causa del suo comportamento dispotico. Gli successe, allora, il fratello Haakon I il Buono (935 circa-960), il primo re cristiano, cresciuto e battezzato in Inghilterra presso la corte del re Atelstano (o Etelstano, 924-939). Haakon non perseguitò i culti «pagani» e non impose il battesimo con la forza ma, dopo alcuni anni, fu assassinato da un gruppo di nobili che parteggiavano per suo fratello, Erik I. Questi, intanto, era fuggito in Inghilterra, nel Danelaw, dove si era proclamato re ma, a Stainmore, nel 954, fu ucciso in battaglia da un altro pretendente. In Norvegia, intanto, ad Haakon successe proprio il figlio di Erik, Aroldo II dal Manto Grigio, il quale finí a sua volta assassinato nel 970. Dopo la sua morte, la corona andò ad Haakon, jarl del Trøndelag, vasta regione collocata nella Norvegia settentrionale – con capoluogo Lade, vicino Trondheim – ai confini con la Lapponia e che, all’epoca, era semi-indipendente, non essendosi mai sottomessa ad Aroldo I Bellachioma e ai suoi successori. Con l’assassinio di Aroldo II, Haakon intendeva vendicare la morte del padre, lo jarl Sigurd, da lui fatto uccidere. Appena salito al trono, Haakon si avvicinò ai Danesi e si sottomise al loro re, Aroldo II Dente Azzurro (935-987), per conto del quale governò il paese fino al 995, quando fu ucciso da un servo.

Conversioni forzate

La corona di Norvegia passò a Olaf I Tryggvessön (995-1000), pronipote del «Bellachioma», che impose con la spada il cristianesimo a tutta la popolazione e sottomise alla sua autorità Islanda, Orcadi, Shetland, Faer Øer, Ebridi e l’isola di 90

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A destra pietra con iscrizioni runiche a Trelleborg (Danimarca), piazzaforte vichinga costruita nella stessa epoca di quelle di Aggersborg, Fyrkat e Nonnebakken, durante il regno di Aroldo Dente Azzurro.

In alto moneta in argento battuta al tempo di Canuto il Grande (o il Magnifico), re di Danimarca, d’Inghilterra e di Norvegia.

Man. Molto probabilmente, Olaf si era fatto battezzare in Inghilterra intorno al 994, mentre combatteva al seguito delle armate danesi che avevano invaso l’isola. A Olaf I, successe poi, nel 1015, Olaf II il Santo (1015-1030), anch’egli discendente di Aroldo I e convinto sostenitore della religione cristiana. Questi due sovrani dovettero affrontare l’espansione militare della Danimarca che, a partire dal X secolo, andava imponendosi come


potenza egemone nel Mare del Nord. Infatti, nel X secolo, la Danimarca – il cui nome in norreno, Danmörk, significava «Marca dei Danesi» – avviò il suo percorso di progressiva conversione al cristianesimo e, nello stesso tempo, di consolidamento di una solida monarchia unitaria, grazie all’energica azione politica dei re Aroldo II Dente Azzurro (935-987), figlio di Gorm il Vecchio (890 circa-935), Sveno I Barba forcuta (987-1014) e Canuto II il Grande (1014-

1035), sovrani originari della regione danese di Jelling. Infatti, benché si abbia notizia di sovrani danesi prima del X secolo – come il noto Goffredo (805-810 circa), che ebbe rapporti diplomatici con Carlo Magno – non sembra che il potere di questi re fosse esteso all’intero Jutland, ma doveva limitarsi, molto probabilmente, al Sud del paese, prossimo ai domini carolingi. In ogni caso, in Danimarca, dopo la morte di Goffredo, il paese sprofondò nella guerra civile VICHINGHI

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I VICHINGHI Uno scorcio della piazzaforte ad anello vichinga di Fyrkat (Danimarca).

I regni scandinavi tra l’usurpatore Hemming e alcuni nipoti di Goffredo, Sigfrido e Anulo, che furono, a loro volta, uccisi intorno all’813. Aroldo II, Sveno I e Canuto II sottomisero la nobiltà danese al loro volere ed edificarono un sistema burocraticoamministrativo e militare solido e compatto.

Per proteggere il regno

A questi sovrani, inoltre – anche in vista della politica imperialista che li avrebbe contraddistinti – sono attribuibili il rifacimento e la prosecuzione del Danevirke, una vera e propria barriera artificiale – realizzata a partire dall’VIII

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secolo e completata nel XII – lunga circa 30 km e alta 6 m, che andava dal Baltico al Mare del Nord e, precisamente dalla città di Hedeby a quella di Hollingstedt. Il muro di confine aveva la funzione di proteggere il regno di Danimarca da incursioni provenienti dalla Sassonia e, in genere, dalla Germania. La costruzione della barriera fu promossa dalla monarchia danese per esigenze difensive e – come ha dimostrato l’archeologia – essa era attraversabile solo in alcuni punti, cioè presso porte fortificate attentamente vigilate dall’autorità regia. Il Danevirke era costituito da fossati e terrapieni,


rafforzati da palizzate lignee e muri di pietre a secco, a cui, piú tardi, si aggiunsero anche murature in laterizio. Secondo le fonti, la costruzione del Danevirke sarebbe iniziata in epoca pre-vichinga, e precisamente nel 737, su iniziativa di un re danese, Ongendo, di cui si sa molto poco ma che, probabilmente, non estendeva la sua sovranità su tutto il paese. In origine, il muro difensivo non superava i 7 km. Molto probabilmente, ad Aroldo II Dente Azzurro si può attribuire anche l’edificazione di enormi accampamenti militari – Aggersborg, Trelleborg, Fyrkat, Nonnebakken – poi ristrut-

turati dai suoi successori, edificati in pietra e legno e caratterizzati da una perfetta planimetria circolare, con porte collocate secondo i punti cardinali. L’edificazione di queste fortezze va messa in relazione con la politica di contenimento dell’espansione militare dell’impero germanico contro il quale, intorno al 974, Aroldo II combatté una guerra vittoriosa. Le fortezze stupiscono, ancora oggi, per la perfezione della loro struttura architettonica, forse mutuata da quella di analoghe costruzioni carolinge. Al loro interno, gli edifici avevano imponenti assi viari che, partendo dalle quattro porte e

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disegnando una croce al centro, dividevano il campo in quattro aree, in cui erano collocate «case lunghe», adibite all’acquartieramento delle truppe e opifici per la fabbricazione di armi o la preparazione del rancio. Queste piazzeforti avevano la finalità di alloggiare le truppe – e le loro famiglie, di cui sono stati ritrovati i resti – di fornire un luogo adatto all’addestramento, favorendo il controllo di aree nevralgiche del regno danese. Gli eserciti vichinghi che invasero l’Inghilterra nel X secolo, molto probabilmente avevano ricevuto qui il loro addestramento. Nello stesso, periodo, la monarchia danese promosse anche la costruzione di importanti città – Lund, Ribe, Aarhus, Odense – adibite allo svolgimento di funzioni amministrative, di zecca e di piazze commerciali. Consolidato il regno all’interno, Aroldo II Dente Azzurro, Sveno I Barba forcuta e Canuto II il Grande poterono avviare, finalmente, una politica di espansione che, in breve tempo, portò la Danimarca a governare sul Mare del Nord e sul Baltico. Nel 1000, infatti, Olaf I di Norvegia fu ucciso da Sveno Barba forcuta nella battaglia di Svolder, e la Norvegia affidata al governo di Erik figlio di Haakon, jarl del Trøndelag, che si sottomise ai Danesi. Erik fu a sua volta cacciato da Olaf II, nel 1015, che si proclamò re di Norvegia ma, nel 1028, dovette fuggire in Russia, presso il principe di Kiev Jaroslav, per chiedere aiuto contro i Danesi. Rientrato in Norvegia nel 1030, Olaf II fu sconfitto e ucciso da Canuto II, nella battaglia di Stiklestad. La Norvegia fu annessa ai domini danesi e affidata al governo di Sveno – il figlio che Canuto II di Danimarca aveva avuto dalla moglie sassone, Ælfgifu († 1040 circa) –, ma, dopo la morte di Canuto, nel 1035, tornò a essere indipendente.

L’occupazione dell’Inghilterra

Intanto, anche l’Inghilterra non era al sicuro dall’espansionismo danese. Le incursioni vichinghe che, nel IX secolo, avevano minacciato l’isola tornarono a farsi sentire con maggiore carico di distruttività e, nel 980, i Danesi, sotto la guida di Aroldo II, attaccarono Southampton e, nel 983, Portland. Negli anni successivi, la loro furia distruttiva crebbe e, sotto la guida di Sveno I e Canuto II, dopo aver occupato la Norvegia, riuscirono anche a occupare l’Inghilterra. Il regno inglese era attraversato da una grave crisi politica, determinata soprattutto dall’incompetenza dei discendenti di Alfredo il Grande. Morto Edoardo II il Martire (975-978), la corona passò al fratellastro Etelredo II lo Sconsigliato (978-1016), sovrano assolutamente in94

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capace di fronteggiare l’emergenza vichinga. Nel 991, durante una delle loro incursioni, i Danesi massacrarono a Maldon, nell’Essex, un intero esercito guidato dal conte Byrhtnoth, evento poi ricordato nel poema epico La battaglia di Maldon, scritto, probabilmente, alla fine del X secolo. Il 13 novembre del 1002, giorno di san Brizio, Etelredo II ordinò il massacro di tutti i Danesi presenti in Inghilterra – evento ricordato appunto come «massacro di san Brizio» –


e ciò ebbe terribili conseguenze, perché re Sveno ritornò nell’isola, col preciso proposito di conquistarla e cingerne la corona. Etelredo, allora, fuggí in Normandia, dove sposò Emma († 1052), sorella del duca Riccardo II (996-1026), sperando di avere il suo aiuto. I Danesi, intanto, continuarono a saccheggiare l’isola e a farvi svernare le truppe fino alla morte di Sveno I, nel 1014, quando il figlio, Canuto II, alla guida dell’esercito, si proclamò re. Quan-

Un tratto del Danevirke presso Haithabu (Germania). La barriera artificiale, realizzata tra l’VIII e il XII sec., era lunga circa 30 km e alta 6 m, e correva dal Baltico al Mare del Nord.

do Etelredo tornò in Inghilterra dalla Normandia, nel 1016, Canuto lo affrontò e lo sconfisse, ma poco dopo il re morí e gli successe il figlio, Edmondo II Fianco di ferro. Questi affrontò Canuto nella battaglia di Ashingdon, dove fu sconfitto e morí, cosí che tutta l’Inghilterra cadde nelle mani di Canuto. Quest’ultimo, nel 1018, profittando anche della morte del fratello Aroldo III (1014-1018), re di Danimarca, si impossessò pure di questo regno. Intorno al 1030, il Mare del Nord era diventato un vero e proprio «mare danese», perché le corone di Inghilterra, Danimarca e Norvegia erano riunite nelle mani di Canuto, mentre la Svezia gli pagava un tributo. Molto probabilmente, proprio in quel periodo le regioni meridionali della Svezia – Scania, Blekinge, Halland e Bohuslän – entrarono a far parte della Danimarca, a cui appartennero fino al XVII secolo. Del vasto «impero del Nord» costituito da Canuto II, l’Inghilterra era la pietra angolare, dato che il sovrano soggiornò per lo piú nel paese, dove fissò a Winchester, nel Wessex, la sua capitale. Canuto riservò grande attenzione al regno inglese, nel quale amava risiedere per gran parte dell’anno, e, nel solco tracciato dai suoi predecessori sassoni, promulgò le «leggi di Oxford», redatte in lingua anglosassone, e, nel 10261027, andò in pellegrinaggio a Roma, dove incontrò l’imperatore germanico Corrado II di Franconia (1024-1039) – che si trovava nell’Urbe per la sua incoronazione –, con il quale stipulò un patto di alleanza, cementato dal matrimonio tra il figlio dell’imperatore – il futuro Enrico III (1039-1056) – e Gunilde († 1038), figlia di Canuto. Nel 1035, alla sua morte, l’impero danese andò in pezzi, perché Norvegia e Danimarca ottennero l’indipendenza e l’Inghilterra andò a costituire un regno a sé. In Norvegia, infatti, salí al potere il figlio di Olaf II, Magnus I il Buono (1035-1047), il quale, poco piú tardi, si impossessò anche del trono di Danimarca. Alla sua morte, nel 1047, i due regni tornarono ad avere storie separate, perché in Norvegia salí al trono lo zio di Magnus, fratellastro di Olaf II il Santo, Aroldo III lo Spietato (1047-1066), mentre in Danimarca venne incoronato un nipote di Canuto II, Sveno II (1047-1076), figlio della sorella Estrid e del duca sassone Wulfsige.

Dalla Norvegia a Costantinopoli

Aroldo III fu uno dei personaggi piú singolari del mondo scandinavo. Infatti, quando il fratellastro, Olaf II, fu ucciso dai Danesi nel 1030, fuggí in Russia e, da lí, a Costantinopoli, dove si VICHINGHI

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I VICHINGHI Trelleborg (Danimarca). Uno scorcio della piazzaforte ad anello vichinga, al cui interno si disponevano varie strutture, di cui i blocchi di pietra indicano la pianta e l’articolazione.

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I regni scandinavi arruolò nella famigerata «guardia variaga», il corpo di mercenari scandinavi al servizio dell’imperatore d’Oriente. Combatté, al servizio dell’impero bizantino, dapprima in Asia Minore e, poi, in Sicilia, contro i musulmani, agli ordini dello stratega Giorgio Maniace († 1043), il conquistatore di Siracusa. Intorno al 1042, Aroldo lasciò Bisanzio e tornò in Norvegia, dove si fece riconoscere erede dal nipote Magnus, cui suc-

cesse nel 1047. Nel 1050, fondò la città di Oslo, nel sud del paese, destinata a diventare la capitale della Norvegia nel XIV secolo. In Inghilterra, morto nel 1035 Canuto II, gli successero, nell’ordine, i figli Aroldo I Piede di Lepre (1035-1040) – avuto dalla moglie sassone Ælfgifu († 1040 circa) di Northampton – e Canuto III (1040-1042) – avuto dalla seconda moglie, Emma di Normandia, già consorte di


Etelredo II. Alla morte di Canuto III, la corona andò al sassone Edoardo III il Confessore (1042-1066), figlio di Emma e del primo marito Etelredo II e che, fino a quel momento, era vissuto in Normandia. Tuttavia, Edoardo – la cui mitezza, unita al fervore religioso, gli valse, nel 1161, la canonizzazione – ebbe un regno difficile, sottoposto alle continue ingerenze dei nobili, guidati dal conte del Wessex, Godwin, che era

anche il suocero di Edoardo. Nel 1053, alla morte di Godwin – che, per un breve periodo, era stato anche bandito dall’Inghilterra – gli subentrò nel Wessex il figlio Aroldo che, alla morte di Edoardo, nel 1066, rivendicò il trono. Ma Edoardo – che non aveva avuto figli da Edith († 1075) del Wessex – aveva diseredato il cognato e gli aveva preferito il cugino, Guglielmo il Bastardo (1066-1087), duca di Norman-

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La battaglia di Svolder, olio su tela di Otto Sinding. 1883-1884. Collezione privata.

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dia, lontano discendente dei predoni vichinghi. La guerra fu inevitabile. Guglielmo, dopo essersi assicurato l’appoggio di papa Alessandro II (1061-1073), sbarcò in Inghilterra il 26 settembre e, il 14 ottobre, sconfisse e uccise Aroldo II nella battaglia di Hastings.

La vittoria del normanno dipese anche dal fatto che l’esercito sassone era già esausto e indebolito per le perdite subite nella battaglia di Stamford Bridge, combattuta il 25 settembre contro il re di Norvegia Aroldo III lo Spietato – che accampava diritti sul trono inglese – e che


cadde nello scontro. In dicembre, Guglielmo fu incoronato re d’Inghilterra a Londra, nell’abbazia di Westminster, e poté cominciare il suo regno, mentre in Norvegia salí al trono il figlio di Aroldo lo Spietato, Olaf III il Pacifico (10661093), il cui soprannome ben denota il carattere

del suo regno, durante il quale fu fondata Bergen, nella Norvegia sud-occidentale. Intanto, Guglielmo d’Inghilterra, nel 1069 dovette affrontare l’invasione del re danese Sveno II che sbarcò in Northumbria, rivendicando il trono nel nome dello zio – Canuto II – profittando VICHINGHI

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anche della ribellione dei Sassoni all’esosa politica fiscale del normanno. La ribellione fu domata e Sveno, senza che vi fosse alcuno scontro, nel 1070 tornò in Danimarca.

Nella terra degli Svíar

In Svezia – nome che in norreno significava «terra degli Svíar», con allusione a uno dei grandi gruppi etnici del paese – una prima parvenza di unità è ravvisabile sotto il regno di Olaf I Eriksson Skötkonung (995-1022) – «Re del tributo» – il primo sovrano svedese a convertirsi al cristianesimo, ma anche il primo a unificare il paese prima diviso nei regni distinti degli Svíar e dei Götar. La sua politica fu proseguita dai figli Anud Jakob (1022-1050) ed Emund Slemme (1050-1060). Si hanno poche informazioni sull’organizzazione istituzionale dei regni scandinavi tra X e XII secolo, ma è molto probabile che la sottomissione dei vari jarlar al potere regio ne abbia ridimensionato i poteri, relegandoli al ruolo di ufficiali regi – la cui carica restava ereditariamente trasmissibile – responsabili dell’amministrazione delle loro signorie fondiarie e delle circoscrizioni periferiche dei regni in cui avevano le loro proprietà. I sovrani scandinavi e le loro corti restavano, nella gran parte dei casi, itineranti anche se, a partire dall’XI secolo, cominciarono a emergere città-capitali, in cui i sovrani risiedevano piú o meno stabilmente come Trondheim, in Norvegia, Roskilde, in Danimarca, Uppsala, in Svezia. Della fiscalità pubblica non si conosce nulla, anche se è probabile che, come in tutte le monarchie medievali, il re «vivesse del suo», cioè che le esigenze finanziarie del monarca, della corte e della burocrazia fossero colmate col ricorso alle rendite fondiarie del demanio regio, con l’imposizione di alcune imposte indirette sulle transazioni economiche dei sudditi, sui commerci e sull’utilizzo di ponti, strade e altre infrastrutture demaniali, con le confische di beni a criminali e ad avversari politici e con l’esercizio della pirateria di stato. Esisteva, inoltre, una serie di obblighi pubblici – corvée – che si concretizzavano in prestazioni, trasporto, fornitura di alloggio e viveri a truppe e funzionari, che gravavano su tutti i sudditi. Ben presto, le monarchie si dotarono di un efficiente apparato di uffici amministrativi centrali oltre che di una cancelleria, deputata a redigere i diplomi e ogni altro documento pubblico, in 100

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latino e nel rispetto di determinati formulari e formalità. Nel mondo scandinavo il primo documento pubblico conosciuto, redatto da una cancelleria regia, è un diploma emesso dal re danese Canuto IV, nel 1085, a favore del monastero di S. Lorenzo di Lund. Poco sappiamo anche degli eserciti regi. Risultavano, sempre piú spesso, composti da sudditi di condizione libera – aventi l’obbligo di servire militarmente, a proprie spese – sul modello del fyrd anglosassone, da mercenari e da milizie arruolati dagli jarlar nelle loro tenute e posti sotto il loro comando. Era composto in questo modo l’esercito danese che, tra il X e l’XI secolo, invase l’Inghilterra: il comando spettava al re di Danimarca, al cui seguito erano truppe di soldati di leva e alcuni reparti agli ordini di jarlar come Thorkell il Lungo († 1023 circa). Inoltre, con i Danesi, militavano anche due jarlar norvegesi con il relativo seguito, Olaf Tryggvessön e Olaf Haraldssön, che sarebbero diventati, in seguito, sovrani della Norvegia.

Scudi rotondi e colorati

Al di là delle esagerazioni delle fonti cristiane, le milizie vichinghe erano composte, generalmente, da non piú di 2/3000 uomini; erano armate di scudo rotondo in legno, spesso vivacemente dipinto, di giavellotti, spade e asce, spesso decorate in oro e argento. Gli elmi, contrariamente a quel che si pensa, non avevano le corna, ma erano simili a quelli in uso nell’Europa altomedievale, con paragnatidi e nasale, oppure dotati di «occhiali metallici» protettivi del viso, come quello ritrovato a Gjermundbu, in Norvegia (vedi foto a p. 102). La tradizione norrena – saghe, raffigurazioni – attesta anche l’esistenza di elmi con cimieri a forma di animale – cinghiale, corvo, drago –, ma questi ultimi avevano, probabilmente, una funzione cultuale e rituale e non erano utilizzati in battaglia. La protezione del corpo era assicurata dalla brynja, una giubba metallica composta da anelli in ferro, a maniche lunghe o corte, o da piastre metalliche fissate su una veste di lana spessa o cuoio. Gli eserciti norreni erano, per lo piú, composti da uomini che, raggiunto a cavallo il campo di battaglia, smontavano per combattere a piedi. La formazione d’attacco piú diffusa era lo svinfylking – «grugno di porco» – con l’esercito disposto «a piramide», il vertice occupato dal re, dagli jarlar e dalle truppe scelte e, ai fianchi, le ali, pronte ad


Miniatura raffigurante il re Canuto il Grande e la sua consorte, Ælfgifu di Northampton, che, assistiti da due angeli, collocano una croce sull’altare dell’abbazia di New Minster (Winchester), sotto lo sguardo dei monaci seduti sui loro stalli; sopra la coppia, sta il Cristo, in una mandorla, affiancato da Maria Vergine e san Pietro, patroni dell’abbazia, dal New Minster Liber Vitae. 1031 circa. Londra, British Library. Nella pagina accanto Maldon (Essex). Statua di Byrhtnoth, signore dell’Essex, che venne duramente sconfitto dai Danesi nella battaglia combattuta nella località inglese nel 991.


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A destra l’elmo di Gjermundbu, rinvenuto all’interno di una sepoltura scoperta nell’omonimo sito nei pressi di Buskerud (Norvegia). 950-1000 circa. Oslo, Kulturhistorisk Museum. Si tratta, a oggi, dell’unico elmo vichingo giunto sino a noi e dovette forse appartenere a un cavaliere, forse un condottiero ricco e potente. L’elmo venne distrutto, ritualmente, durante o subito dopo la cerimonia funebre. In basso disegno ricostruttivo dell’equipaggiamento tipico di un guerriero vichingo.

accerchiare il nemico con una manovra avvolgente. Gli eserciti avevano anche stendardi, decorati con raffigurazioni mitologiche come il corvo, animale sacro a Odino.

Turbolenze e conflitti

La stabilità dei regni scandinavi fu seriamente minacciata, nel corso del XII secolo, da alcune guerre civili (sul punto, si veda piú avanti), tra partiti contrapposti che si contendevano il trono, in mancanza di una legge che disciplinasse, in maniera certa, la successione. In Danimarca, dopo l’assassinio del principe reale Canuto Lavard, nel 1131, il paese sprofondò nella guerra civile che ebbe termine solo nel 1157, con l’incoronazione di Valdemaro I il Grande (11571182), figlio di Canuto. In Norvegia, la guerra 102

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civile fu molto piú lunga e scoppiò, tra i vari pretendenti, dopo la morte, nel 1130, di re Sigurd I (1103-1130). Le fazioni che si contesero il regno furono i Bagler e i Birkebeiner, i primi sostenitori della Chiesa norvegese e della nobiltà, i secondi dei diritti del «popolo»: la guerra fu molto cruenta e si concluse solo nel 1217, con l’incoronazione di Haakon IV Haakonarson il Grande (1217-1263). In Svezia, invece, la guerra civile imperversò nel corso del XII secolo tra i sostenitori di Sverker I il Vecchio (1135-1155) ed Erik IX il Santo (11551160). Quando quest’ultimo fu assassinato dai sostenitori di Sverker, la Svezia piombò nella guerra civile tra le fazioni che sostenevano, rispettivamente, i discendenti di Sverker e quelli di Erik, finché, nel 1234, con l’incoronazione di

Erik XI (1234-1250), prevalse la seconda fazione. Erik XI, inoltre, portò a termine la conquista e la cristianizzazione della Finlandia che, fino al XVIII secolo – quando fu annessa dalla Russia zarista – rimase un’appendice del regno svedese, di cui condivise il destino politico. Nel XIV secolo, la Danimarca si avviò a diventare la potenza egemone del Nord, sotto la guida di Valdemaro IV Atterdag (1340-1375). Nel 1363, Valdemaro fece sposare la figlia Margherita († 1412) al re di Norvegia, Haakon VI (1343-1380), ponendo le premesse per l’ampliamento dei domini norvegesi. Morto nel 1375 Valdemaro, Margherita assunse la reggenza della Danimarca per il figlio Olaf V, e quando morí il marito Haakon (1380), quella della Norvegia. Nel 1387, morto Olaf, Margherita fu

I resti di una giubba metallica (brynja) composta da anelli di ferro rinvenuta nella stessa sepoltura di Gjermundbu che ha restituito l’elmo (vedi foto alla pagina precedente). 950-1000 circa. Oslo, Kulturhistorisk Museum.

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L’assassinio di Canuto IV di Danimarca nella chiesa di Sant’Albano (1086), olio su tela di Christian Albrecht von Benzon. 1843. Odense, Musei Civici. proclamata regina di Danimarca e Norvegia, a cui appartenevano anche Groenlandia, Islanda, Ebridi, Man, Faer Øer, Orcadi e Shetland. Nel 1389, Margherita intervenne in Svezia, su richiesta dei nobili, contro il re Alberto di Meclemburgo († 1412), che fu sconfitto a Falköping e fatto prigioniero e, poco dopo, fu acclamata dalla dieta svedese regina di Svezia e Finlandia. Nel 1397, nel corso di una dieta tenuta a Kalmar, in Svezia, Margherita proclamò l’Unione perpetua delle corone di Danimarca, Norvegia e Svezia, e designò suo erede il nipote, Erik VII di Pomerania († 1459). Alla morte di Margherita, nel 1412, Erik le successe come previsto, ma il suo comportamento tirannico ne provocò la deposizione, nel 1438, e l’elezione, come re dell’Unione, del nipote Cristoforo di Baviera. Nel 1448, alla sua morte, fu eletto re il tedesco Cristiano I (1448-1481), conte di Oldenburg, che, tuttavia, non fu riconosciuto dalla Svezia, dove salí al trono Carlo VIII Knutsson († 1470). A nulla valsero i tentativi di Cristiano e del suo successore, Giovanni I (1481-1513), di ricondurre la Svezia all’obbedienza e, nel 1523, il regno svedese si separò definitivamente dall’Unione di Kalmar, sotto la guida di Gustavo I Vasa (1523-1560). Nel 1460, Cristiano, dopo la morte dello zio Adolfo VIII di Schauenburg, annesse alla Danimarca anche la contea di Holstein e il ducato di Schleswig, che appartenevano formalmente all’impero germanico. Nel 1466, il sovrano risolse il conflitto con la Scozia per il possesso di Ebridi, Man, Orcadi e Shetland, che passarono sotto la sovranità scozzese come dote di sua figlia Margherita († 1486), sposa di Giacomo III di Scozia (1460-1488).

La guerra civile norvegese

Uno degli episodi meno conosciuti – ma non meno importanti – della storia della Scandinavia medievale è la lunga «guerra civile» – Borgerkrig – combattuta, tra il 1130 e il 1240, tra i Birkebeiner – «Quelli con gambe di betulla» – e i Bagler, «Quelli del pastorale». I nomi delle due fazioni avevano una specifica valenza sociologica e politica: la prima comprendeva mercanti, ma anche esponenti dei ceti contadini e popolari che, per la loro povertà, erano soliti coprirsi le gambe e i piedi con improvvisate calzature di corteccia di betulla, mentre la seconda era composta, per lo piú, da nobili e, soprattutto, dal clero secolare e dall’importante vescovato di 104

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I regni scandinavi di illegittimi che, al momento della successione, accampava pretese a scapito della discendenza legittima. Nel 1130, morí re Sigurd I (1103-1130) il Crociato, cosí denominato per la sua partecipazione a una spedizione militare in Terra Santa, dove si era recato tra il 1107 e il 1111. Sigurd era il figlio di re Magnus III Gambe nude (1093-1103) e, quindi, discendente, per parte di padre, dalla gloriosissima stirpe di Aroldo I Bellachioma, fondatore del regno norvegese.

In lotta per la successione

In alto Viborg (Danimarca). Il monumento in onore di Margherita I di Danimarca ed Erik VII di Pomerania, opera di Axel Poulsen. 1961-1965. Nella pagina accanto Lund (Svezia), cripta della Cattedrale. La statua del gigante Finn (Jätten Finn) che, secondo la leggenda, venne trasformato in pietra per aver provato a far crollare la chiesa abbattendone una delle colonne portanti.

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Trondheim-Nidaros. Nell’epoca in questione, l’«era vichinga» era ormai terminata e Norvegia, Danimarca e Svezia erano regni pienamente cristianizzati. Il percorso di conversione era stato lungo e accompagnato dal rafforzamento della presenza ecclesiastica nei tre regni, a cui era seguita la fondazione di diocesi e monasteri, spesso dotati di ingenti patrimoni. Durante la guerra civile la Chiesa norvegese non rimase neutrale ma, con l’appoggio della Santa Sede, intervenne a favore dei Bagler, nella speranza di consolidare, a guerra finita, i suoi privilegi fiscali e giuridici e di condizionare la nomina stessa del sovrano. All’origine del conflitto vi era il fatto che il regno di Norvegia non aveva una legge di successione dinastica e il concubinato praticato dai sovrani produceva un largo numero

La corona fu subito rivendicata dal figlio Magnus IV, contro cui si schierò lo zio paterno, Aroldo IV Servo di Cristo, tornato in Norvegia dopo aver vissuto, per lungo tempo, in Irlanda. Non vi era alcuna prova certa della parentela di Aroldo con Sigurd I, ma ciò non gli impedí di proclamarsi re e di catturare Magnus IV, farlo mutilare e rinchiudere in un convento. Il regno di Aroldo IV durò fino al 1136, quando fu ucciso da Magnus IV – adesso denominato il Cieco» – liberato dalla prigionia da un altro zio, Sigurd II il Bastardo, presunto fratello di Sigurd I, che si fece incoronare assieme al nipote. Nel 1139, i due sovrani furono spodestati e uccisi dai figli di Aroldo IV – Inge il Gobbo, Eystein e Sigurd la Bocca –, che si proclamarono re e si divisero il paese. Ben presto, però, sorsero tra loro dissidi e Inge I fece mettere a morte Sigurd III, nel 1155, e poi Eystein, nel 1161, ma, nel 1162, fu spodestato e ucciso da Haakon II dalle Spalle larghe, figlio naturale di Sigurd III. La situazione era diventata insostenibile e la Chiesa norvegese, nella persona del vescovo di Trondheim e primate del paese, Agostino Erlendssön (1161-1188), decise di intervenire nell’agone politico, designando un candidato che offrisse opportune garanzie di tutelarne i privilegi e di assicurare stabilità politica al regno. Il prescelto fu Magnus, il figlio di sette anni di Erling Skakke, un nobile legato alla dinastia di Sigurd I il Crociato, e marito di sua figlia Kristin († 1178). Nel 1162, Haakon fu sconfitto e ucciso da Erling e, l’anno successivo, a Bergen, Magnus V Erlingssön fu consacrato re dai vescovi. Si apriva, cosí, un lungo periodo di pace, durante il quale furono poste le basi per un regno prospero e solido e la Chiesa norvegese, profittando della giovane età del sovrano, dettò le norme per la trasmissione del potere regio. Secondo le nuove disposizioni,



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I regni scandinavi

LE GUERRE CIVILI DANESI E SVEDESI Danimarca e Svezia profittarono della Borgerkrig, per intervenire negli affari interni della Norvegia, sperando di ricavarne benefici territoriali, benché entrambe avessero attraversato, tempo prima, conflitti simili a quello norvegese. Dopo avere raggiunto l’unità politica nell’XI secolo, sotto Olaf I Skötkonung, la Svezia consolidò le sue strutture amministrative sotto i re Sverker I il Vecchio (1135-1155) ed Erik IX il Santo (1155-1160). Quando quest’ultimo venne assassinato dai sostenitori di Sverker, la Svezia piombò nella guerra civile tra le fazioni che sostenevano, rispettivamente, i discendenti di Sverker e quelli di Erik finché, nel 1234, con l’incoronazione di Erik XI (12341250), fu la seconda fazione a prevalere. Nel XII secolo, anche la Danimarca fu travolta da un sanguinoso conflitto, in seguito all’assassinio del principe Canuto Lavard, figlio del re di Danimarca, Erik I il Semprebuono (1095-1103), e duca di Schleswig. Nel 1103, alla morte di Erik I, avvenuta a Cipro, durante un pellegrinaggio in Terra Santa, suo fratello Niels fu incoronato re, ma non riuscí ad appianare l’aspra rivalità tra suo figlio, Magnus il Forte, e Canuto Lavard. Nel 1131, Canuto fu assassinato dal cugino e suo fratello, Erik II il Degno di memoria, accusò Magnus del delitto e insorse contro Niels che, nel 1134, fu sconfitto nella battaglia di Fotevik e, poco dopo, ucciso assieme a Magnus. Erik II si proclamò re ma, nel 1137, fu a sua volta assassinato da un nipote, Erik III l’Agnello che usurpò il trono. Nonostante la precarietà della situazione politica, Erik III governò fino al 1147, quando, di fronte alla minaccia degli Slavi del Baltico – i Vendi – preferí abdicare e ritirarsi nel convento di Odense, dove morí poco dopo. La sua abdicazione, però, lasciò campo libero alle rivendicazioni dinastiche dei tre cugini Valdemaro, figlio di Canuto Lavard, Sveno, figlio di Erik il Degno di memoria e Canuto, figlio di Magnus il Forte, che assunsero il titolo regio e si spartirono il paese, salvo entrare in conflitto qualche anno dopo. Assassinato Canuto Magnussön, rimasero solo Sveno e Valdemaro a contendersi il regno finché, nel 1157, nella battaglia di Grathe, Valdemaro sconfisse e uccise Sveno e divenne l’unico sovrano della Danimarca. Nel 1170, Valdemaro I (1157-1182), poi detto «il Grande», ottenne dal papa la canonizzazione del padre, Canuto Lavard, e, cosí, accrebbe il prestigio della dinastia.

Affresco raffigurante il principe Canuto Lavard in trono. XIII sec.Ringsted, chiesa di S. Benedetto. 108

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Birkebeinerne, olio su tela di Knud Larsen Bergslien. 1869. Oslo, Holmenkollen Ski Museum. Il pittore ha immaginato il leggendario salvataggio del piccolo principe Haakon Haakonsson (il futuro re Haakon IV) da parte di due Birkebeiner, nel 1206. avrebbero potuto essere consacrati re di Norvegia solo i primogeniti maschi o, comunque, i figli legittimi e uno per volta. I vescovi si riservarono anche il diritto di veto, cioè il potere di escludere dalla successione dinastica un candidato considerato poco «affidabile» e, da quel momento, il consiglio dei nobili – jarlar – e dei vescovi avrebbe coadiuvato il sovrano. La pace durò fino al 1177, quando Sverre Sigurdssön avanzò pretese al trono, asserendo di essere figlio naturale di Sigurd III la Bocca, cresciuto dalla madre, Gunnhild, nelle isole Faer Øer, dove era anche stato consacrato prete. Tuttavia, la carriera ecclesiastica non era tra le sue ambizioni e cosí, tornato in Norvegia, fondò un suo «partito», i cui membri presero il nome di Birkebeiner. Nel 1179, assicuratosi il controllo della Norvegia occidentale, Sverre uccise Erling Skakke nella battaglia di Kalvskinnet e, nel 1184, nella battaglia di Fimreite, eliminò anche suo figlio, Magnus V, diventando l’unico re. Sverre fu scomunicato da papa Celestino III (1191-1198) e, contro questa scomunica, il re scrisse anche un pamphlet – Discorso contro i vescovi – dal chiaro impianto anticlericale. Il regno di Sverre I non pacificò il paese, perché i Bagler controllavano le regioni orientali della Norvegia, anche col supporto di Danimarca e Svezia e, nel 1196, presero nuovamente le armi contro il sovrano, iniziando una nuova guerra conclusasi, provvisoriamente, nel 1199 (vedi box a p. 108). Nel 1202, morto Sverre, gli successe suo figlio, Haakon III Sverressön, che si riconciliò con la Chiesa e il cui regno si concluse nel 1204. La morte senza eredi legittimi del sovrano fece ripiombare nel caos la Norvegia e allora i Birkebeiner riconobbero come re un bambino, Haakon Haakonssön, forse figlio naturale di Haakon III. La vita del piccolo fu subito messa in pericolo dai Bagler, che lo cercavano per imprigionarlo o, forse, sopprimerlo e, cosí, nel 1206, fu portato in salvo da alcuni Birkebeiner nel Trøndelag, nella Norvegia settentrionale. Il bimbo fu salvato grazie a una fuga rocambole-

sca, col ricorso a mezzi di fortuna come slitte e sci, attraverso monti e selve innevate. In Norvegia, ancora oggi, quella corsa avventurosa è ricordata con la Birkebeinerrennet – «La corsa dei Birkebeiner» – una maratona sciistica, lungo una pista di oltre 50 km, che si snoda tra la località di Rena e quella di Lillehammer, in cui i partecipanti devono caricarsi un peso di cica 3,5 kg, in ricordo del piccolo Haakon, portato in salvo, sulle spalle, dai Birkebeiner.

Il compromesso e, infine, la pace

La guerra civile proseguí fino al 1208 quando, grazie alla mediazione del vescovo di Oslo, Nicholas Arnessön (1190-1225), fu raggiunto un compromesso tra le due fazioni, in base al quale la corona sarebbe spettata a Inge II Bardssön, capo dei Birkebeiner e nipote di Sigurd III la Bocca, mentre le regioni orientali – da sempre territorio dei Bagler – sarebbero andate, senza il titolo regio, a Philip Simonssön, leader dei Bagler e figlio di Simon Karessön, oppositore di re Sverre. Il piccolo Haakon Haakonsson, erede alla corona, fu affidato a re Inge II e trasferito a Bergen. Nel 1217, la morte di Inge II e di Philip Simonssön riaprí il problema della successione, ma il compromesso tra Bagler e Birkebeiner resse e, nella cattedrale di Bergen, fu consacrato re di Norvegia Haakon IV Haakonsson (1217-1263). Si racconta che la madre, Inge, pur di garantire al figlio la corona, si sottopose, alla presenza dei vescovi, all’ordalia del fuoco, provando la discendenza del figlio dalla stirpe di Sverre I. Haakon IV fu riconosciuto re anche dal papa e, cosí, la Norvegia si avviò verso un periodo di pace. Tuttavia, fino alla maggiore età, il giovane re fu posto sotto la reggenza di Skule Bardssön, fratellastro di Inge II, che, nel 1239, non esitò a proclamarsi re col supporto di alcuni Bagler. Nel 1240, l’assassinio di Skule pose fine alla lunga stagione della Borgerkrig norvegese e Haakon IV poté dedicarsi all’opera di riordino amministrativo del regno. Della repressione seguita alla morte di Skule fu vittima anche l’islandese Snorri Sturlusön († 1241), eminente figura di intellettuale e letterato, di cui si è già detto. Sotto il governo di Haakon, la Norvegia si affermò come potenza commerciale e militare nel Mare del Nord e nel Baltico e, con alcune campagne militari, furono sottomesse e annesse Groenlandia, Islanda e Faer Øer. Tuttavia, il conflitto con la Scozia per il possesso delle Orcadi e delle Shetland si concluse, nel 1263, con la sconfitta navale di Largs e, poco dopo, con la morte dello stesso Haakon. VICHINGHI

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Cefalú (Palermo), Duomo. Il grandioso mosaico absidale raffigurante il Cristo Pantocratore. XII sec. Vuole la leggenda che la splendida chiesa fosse sorta per volere del re normanno Ruggero II in seguito a un voto da questi espresso nei confronti del Santissimo Sacramento.

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L’eredità «vichinga» Alle soglie del Mille fanno la loro comparsa in Italia i Normanni, abili guerrieri nelle cui vene scorreva il sangue di coloro che, duecento anni prima, erano scesi in Europa dalle terre scandinave

A

ll’inizio dell’XI secolo, il Mezzogiorno d’Italia era una realtà politica estremamente frammentata, sottoposta a tre distinte dominazioni: longobarda, bizantina e saracena. Nel 774, caduta per mano franca Pavia, capitale del regno longobardo, Arechi II (758-787), duca di Benevento, si proclamò principe, facendosi ungere dai vescovi con il sacro crisma, alla maniera dei re. Arechi affermava cosí che la continuità dinastica e politica del regno longobardo si radicava nel principato beneventano. Il principe esercitava la sua sovranità su una compagine molto vasta, che si estendeva, a nord-ovest, fino al corso del Garigliano e del Liri, e, a nord-est, sino al fiume Pescara, inglobando l’attuale Campania, il Molise e parte dell’Abruzzo, mentre, a sud, il confine

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Palermo, Palazzo dei Normanni, camera di Ruggero II. Un’immagine della ricca decorazione a mosaico che orna la parete meridionale della sala. XII sec.


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del principato era particolarmente labile, a causa della presenza bizantina. Il principato comprendeva anche la Lucania e parte della Calabria, fino a Cosenza, oltre che una parte del territorio pugliese, escluso il Salento, che restava in mano imperiale. Il principato unitario sopravvisse fino al IX secolo, quando, morto il principe Sicardo (832839), una grave crisi dinastica, dopo una guerra intestina decennale portò, nell’849, alla sua scissione nei principati distinti di Salerno e Benevento. Intorno all’840, da Salerno si distaccò Capua, capoluogo di contea e, infine, nel 900, principato indipendente. Soltanto durante il governo di Pandolfo I «Capodiferro» (961-981), principe di Capua e duca di Spoleto, i tre principati furono riunificati in un’unica compagine ma, dopo la sua morte, tornarono a dividersi seguendo politiche autonome, mentre i rimanenti possedimenti bizantini nel Sud, intorno alla metà del X secolo, vennero riorganizzati in una nuova provincia, detta catepanato, con capitale Bari, costituita dai tre temi di Lucania,

Puglia e Calabria. Sulla costa del basso Lazio e campana, sorgevano i ducati di Gaeta, Napoli, Sorrento e Amalfi, formalmente sottoposti a Bisanzio. Intanto, in Sicilia, già dominio bizantino, si erano insediati i Saraceni che, dopo una secolare guerra di conquista (827-902), avevano trasformato l’isola in un emirato autonomo, senza riuscire a estendere il loro potere sul Mezzogiorno peninsulare.

Dalla Francia all’Italia

L’arrivo dei Normanni nel Sud è collocabile tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo. Discendenti dai Vichinghi, questi cavalieri erano originari del ducato di Normandia, nella Francia nordoccidentale, dove avevano, già da tempo, subito un lungo processo di «deculturazione»: avevano abbandonato il norreno in favore della lingua d’oïl, gli antichi «culti pagani» e si erano convertiti al cristianesimo (vedi box a p. 117). I Normanni giunti nel Sud della Penisola erano, per lo piú, cavalieri di ritorno dai Luoghi Santi che, attratti dall’amenità dei luoghi e dalle ri-

In alto moneta in argento battuta al tempo di Canuto il Grande (o il Magnifico), re di Danimarca, d’Inghilterra e di Norvegia.

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In alto particolare di una miniatura, raffigurante un contingente di soldati normanni durante l’attraversamento della Manica, da un’edizione de La Vie de Saint Aubin d’Angers. XI sec. Parigi, Bibliothèque nationale de France. A sinistra l’assetto geopolitico dell’Italia meridionale tra il X e l’XI sec.


LE CAUSE DELLA MIGRAZIONE La presenza dei Normanni nel Mezzogiorno, agli inizi dell’XI secolo, è incontestabile, mentre è piú problematico ricostruire le esatte motivazioni che li spinsero a stabilirsi nel Sud Italia, e permangono dubbi anche sulle direttrici di marcia seguite per raggiungere il Mezzogiorno italiano. Molto probabilmente seguirono il tracciato della via Francigena, praticato da tutti i pellegrini diretti a Roma, oppure, abili navigatori, si servirono della navigazione di cabotaggio, lungo le coste franco-spagnole, fino a Gibilterra, per entrare nel Mediterraneo e raggiungere le coste italiane. Le cause che determinarono la seconda espansione normanna, nell’XI secolo, furono di ordine economico, sociale e politico. Dal punto di vista economico-sociale, il fenomeno va certamente collegato alla ripresa demografica, economica e produttiva che attraversò l’Europa occidentale, a partire dall’XI secolo. Molto probabilmente, il ducato di Normandia fu travolto dalla crescita demografica, cui non si riuscí a provvedere con un adeguato sviluppo delle risorse produttive disponibili. Lo squilibrio tra demografia e risorse, aggiunto alla trasmissione in senso «patrilineare» dei beni feudali e allodiali, spinse molti esponenti «cadetti» dei lignaggi nobiliari normanni ad abbandonare il ducato, per trovare altrove migliori opportunità e condizioni di vita. Il «fenomeno normanno», quindi, coinvolse tutta l’Europa, e non solo il Mezzogiorno italiano. Come non ricordare figure come Roussel de Bailleul († 1077), abile cavaliere, che si pose, con i suoi uomini, al servizio dell’Impero bizantino contro i Turchi Selgiuchidi, o Ruggero di Tosny, che si uní ai conquistatori di Barbastro, nel 1064, durante una delle piú importanti imprese militari della Reconquista? Altrettanto può dirsi per i Drengot e gli Altavilla. Ma accanto a cause di ordine economico e demografico, ve ne erano, di ben piú gravi, d’ordine politico. Tra il 1035 e il 1066, il ducato di Normandia fu travolto dalle guerre civili che opponevano il duca, Guglielmo il Bastardo (1035-1087), all’aristocrazia normanna, poiché il duca perseguiva una «centralizzazione politica» che urtava gli interessi delle piú potenti famiglie del ducato. Tra il 1047 e il 1060, Guglielmo il Bastardo combatté le sue prime e piú importanti battaglie – Val ès Dunes, Mortemer, Varaville – contro l’aristocrazia che minacciava il suo potere. Questi conflitti civili alimentarono l’emigrazione dal ducato verso il resto d’Europa, in particolar modo verso il Mezzogiorno d’Italia.

sorse economiche del Mezzogiorno d’Italia, decisero di stabilirsi in quelle terre alla ricerca di migliori condizioni di vita e, ben presto, furono seguiti da altri nuclei di combattenti, attratti anch’essi dalle stesse possibilità. L’esperienza normanna, che non si configura come una «migrazione di massa», dimostrò come una minoranza guerriera abile, spregiudicata e senza scrupoli, favorita dalle debolezze e divisioni degli autoctoni, potesse facilmente assumere un ruolo dominante e modificare, profondamente, le strutture politico-sociali del Mezzogiorno italiano. I nuovi signori si appropriarono di gran parte delle terre per «diritto di conquista» e le distribuirono ai milites che costituivano le loro «bande», sotto forma di benefici feudali, pur continuando a persistere la proprie-

tà privata. Attraverso l’uso sistematico dei legami vassallatici «importati» dalla Francia, i conti riuscirono a costituire un complesso sistema di gerarchie di potere, basato sulla fedeltà personale, coinvolgendo anche i ceti dirigenti locali longobardi e bizantini che, ben presto, si sottomisero ai conquistatori. In origine – come si è detto – si trattava, probabilmente, di pellegrini-guerrieri, in visita al santuario garganico di S. Michele che, di ritorno dal pellegrinaggio, giunti a Salerno, assediata dai Saraceni – tra il 999 e il 1016 – fornirono un valido aiuto militare per respingere l’assalto islamico, e vennero ricompensati dal principe, Guaimario III (999-1027), con armi, terre e vettovagliamento. Alcuni di essi, dopo un breve rientro in Normandia, tornarono a Salerno, con VICHINGHI

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Nel Mezzogiorno d’Italia

altri conterranei, e si misero al servizio, come mercenari, del principe Guaimario; altri, invece, andarono a cercare fortuna piú a sud, in Puglia, dove divampavano alcune rivolte contro gli occupanti bizantini. Tra i raggruppamenti di questi avventurieri se ne distinsero subito due: il primo faceva capo ai fratelli d’Altavilla, figli di Tancredi, il secondo gruppo faceva capo al clan dei Drengot-Quarrel, guidato dai fratelli Osmondo e Rainulfo. Questi avventurieri riuscirono a crearsi una solida base di potere militare, territoriale e politico, attraverso la razzia, il saccheggio e la forza, oltre a un’abile capacità di mettersi al servizio dei potentati piú diversi.

Propositi rivoluzionari

A partire dall’XI secolo, la Puglia era attraversata da fermenti di rivolta antibizantina, fomentati da Melo di Bari – un notabile barese di origine longobarda – ribellatosi al governo imperiale. Melo era sostenuto, nei suoi propositi rivoluzionari, dall’imperatore tedesco, Enrico II (1002-1024), che lo aveva investito del titolo di «duca di Puglia», auspicando la formazione, nel Mezzogiorno, di una compagine politico-territoriale che avrebbe dovuto gravitare nella sfera d’influenza dell’impero germanico. Con l’aiuto delle truppe normanne, Melo mosse guerra all’Impero e riportò alcune vittorie ma, alla fine, fu sconfitto dal nuovo catapano Basilio Bojoannes, nel 1018, nella battaglia di Canne. Intanto, morto il principe di Salerno, Guaimario

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Incisione raffigurante papa Leone IX fatto prigioniero dai Normanni dopo l’annientamento del suo esercito. 1780 circa.

III, gli successe il figlio, Guaimario IV (10271052), che intraprese una politica espansionistica in direzione dell’intero Mezzogiorno, con l’intenzione di ricostituire l’unitario principato di Benevento dell’epoca di Arechi II, servendosi proprio dell’aiuto dei cavalieri normanni. Guaimario IV, infatti, piú del padre, intuí subito l’utilità che i contingenti di questi cavalieri avrebbero potuto avere nel perseguire i suoi obiettivi di espansione verso il Mezzogiorno, al fine di combattere i Bizantini ed eroderne i precari possessi. I Normanni, nel frattempo, avevano sconfitto piú volte l’esercito imperiale a Canne, Montemaggiore e Montepeloso, e avevano ampliato i propri domini in Puglia e in Lucania. Sprovvisti di una guida politica, accettarono che tale ruolo fosse assunto da Guaimario IV, che si avvicinò al clan emergente degli Altavilla. Per cementare l’alleanza, Guaimario favorí le nozze di una sua nipote, figlia del fratello Guido, con Guglielmo d’Altavilla, detto «Braccio di Ferro» († 1046), uno dei capi piú prestigiosi, che era riuscito a costituirsi un cospicuo possedimento territoriale in Puglia e in Basilicata. Guaimario, inoltre, si proclamò «duca di Puglia e Calabria», facendo dell’Altavilla un suo vassallo, e lo investí della contea di Puglia o Melfi, dal nome del capoluogo amministrativo, ai piedi del Vulture, a qualche chilometro da Venosa, dove sorgeva la famosa abbazia benedettina della SS. Trinità, voluta dagli Altavilla e destinata alla loro sepoltura.


Gli Altavilla cominciavano a emergere su tutti gli altri clan normanni, attraverso un rapporto speciale di fedeltà politica e di parentela con la piú importante dinastia longobarda del Mezzogiorno. Intanto, a nord di Salerno, Guaimario era riuscito a inglobare nel suo principato anche Gaeta, Sorrento e Amalfi. Ma la Puglia non fu il solo teatro delle imprese normanne, poiché anche Pandolfo IV, principe di Capua (1016 circa-1049), aveva intrapreso una politica di espansione militare ai danni del ducato di Napoli. Impossessatosi di Napoli, Pandolfo costrinse il duca Sergio IV (1004 circa-1034) a fuggire e a trovare aiuto presso il clan normanno dei Drengot-Quarrel. Grazie all’aiuto dei Drengot, nel 1028 il duca di Napoli tornò in possesso del ducato e, nel 1030, ricompensò i suoi alleati con la concessione, in feudo, del castrum di Aversa, ubicato nell’attuale Terra di Lavoro. Affidata al governo di Rainulfo Drengot († 1045), capo del clan Quarrel, la contea di Aversa fu posta alle dipendenze del duca di Napoli, e costituí il primo nucleo territoriale e militare dell’insediamento normanno nel Mezzogiorno, ben prima della contea di Puglia, costituita da Guaimario, intorno al 1043.

L’avvento dell’«Astuto»

Intanto, morto Guglielmo d’Altavilla nel 1046, gli successero, nel governo della contea di Puglia, i fratelli Drogone († 1051) e Umfredo († 1057). Alla morte di Umfredo, la contea passò al fratellastro Roberto, detto «il Guiscardo» – dal francese dell’epoca Guischart, «l’Astuto» – che estromise i figli di Umfredo dalla successione. Roberto aveva avuto già modo di distinguersi in battaglia, comandando l’ala sinistra dell’esercito normanno che, nel 1053, aveva inferto una durissima sconfitta alle truppe papali e bizantine. Infatti, mentre i Normanni si espandevano nel Mezzogiorno, a supplire all’assenza dell’iniziativa militare degli imperatori germanici, intervenne papa Leone IX (1049-1054). Personalità energica, Leone apparteneva a quei «papi tedeschi» che ascesero al trono di Pietro, tra il 1046 e il 1058, e che promossero il processo di riforma interna alla gerarchia ecclesiastica. Leone IX, pertanto, sostenuto dall’imperatore Enrico III (1039-1056) e dal catapano bizantino Argiro (1050-1058), figlio di Melo, promosse una vasta campagna militare contro i Normanni, a cui partecipò anche il principe di Salerno, Gisulfo II (1052-1077), figlio di Guaimario IV, salito al trono nel 1052. Il papa riuscí a mettere insieme un esercito di oltre 20 000 uomini, ai quali promise la remis-

sione dei peccati se avessero combattuto, sotto il vessillo della Santa Sede, contro i Normanni. Nell’estate del 1053, gli alleati marciarono verso la Puglia, ma l’esercito pontificio fu duramente sconfitto a Civitate, il 18 giugno, anche perché non era riuscito a ricongiungersi con le truppe di Argiro che i Normanni avevano battuto presso Siponto, costringendo il catapano a riparare a Vieste e, poi, a Bari. Il papa, sconfitto, fu fatto prigioniero, condotto a Benevento e liberato dai Normanni solo dopo il pagamento di un cospicuo riscatto. Tornato a Roma, Leone IX morí il 19 aprile del 1054. La disfatta di Civitate aumentò il prestigio degli Altavilla che, negli anni successivi, collezionarono altre vittorie ai danni dei Bizantini e, precisamente, Matera (1054), Oria (1055), e Taranto (1056). L’avvento di Roberto alla guida della contea di Puglia coincise con un ulteriore impulso all’espansione militare in direzione di Puglia, Calabria e Campania. Il giovane Altavilla si imparentò con il figlio e successore di Guaimario IV, Gisulfo II (1052-1077), di cui sposò la sorella, Sichelgaita. Nel frattempo, anche il conte normanno di Aversa, Riccardo Drengot (10491078), consolidava ed espandeva i suoi domini in Campania, impadronendosi di quanto restava del principato longobardo di Capua. Alla morte di Pandolfo IV, nel 1049, il principato risultava fortemente indebolito e avviato a una rapida decadenza politica che i Normanni con-

Venosa, abbazia della SS. Trinità, Chiesa Vecchia. Un’immagine della tomba degli Altavilla. Alla metà del Quattrocento, nell’arca furono riunite le spoglie di vari componenti della famiglia, tra cui quelle di Roberto il Guiscardo.

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Nel Mezzogiorno d’Italia

Sovrani illustri TANCREDI (980/990-1040?)

ALTAVILLA E DRENGOT

Serlone I (1010 circa-?) rimane in Normandia Guglielmo Braccio di Ferro (1010 circa-1046), 1° conte di Puglia (1042)

= (1) Muriella

Drogone (1015 circa-1051), 2° conte di Puglia (1046) = Gaitelgrima di Salerno (Altrude)

Riccardo d’Altavilla (1045 circa 1110 circa)

Umfredo (1020 circa-1057), 3° conte di Puglia (1051) Goffredo (1020 circa-1071), conte di Capitanata

= (2) Fredesenda

Roberto il Guiscardo (1025 circa-1085), conte di Puglia e di Calabria (1057), poi duca di puglia, di Calabria e di Sicilia (1059) Malgerio (1025 circa-1064), conte di Capitanata (1057) Guglielmo (1030 circa-1080 circa), conte del Principato di Salerno (1056)

Escluse le femmine, Tancredi ebbe undici figli. Da Muriella, la prima moglie, aveva avuto: Guglielmo, Drogone, Umfredo, Serlone. Da Fredesenda: Roberto, detto il Guiscardo, Maugerio, Ruggero, Guglielmo (II), Tancredi, Uberto, Alveredo. I Drengot-Quarrel provenivano, come gli Altavilla, dalla Normandia, guidati da Osmondo e Rainulfo, i quali erano fuggiti dal loro borgo natio, in quanto ricercati per l’omicidio di un nobile del luogo, Guglielmo Repostel, di cui avevano violentato la figlia. Quarrel doveva essere un cognomen toponomasticum derivante dall’omonimo borgo, identificabile con l’attuale Les Carreaux, comune di Avesnes-en-Bray, ubicato nel dipartimento Seine-Maritime. Si conoscono i nomi soltanto di cinque fratelli Quarrel, Rainulfo, Rodolfo, Asclettino, Osmondo e Gilberto.

Alveredo o Alfredo, rimasto in Normandia Tancredi, venuto in Italia e scomparso Beatrice (1030 circa-?) Emma (1030 circa-?) Fredesenda (1030-1097) Ruggero I (1031 circa-1101), conte di Sicilia (1062) =

Matilde (1062-1094) (1) 1061 Giuditta di Evreux (1050-1076)

Adelicia Emma Malgerio, conte di Troina (1080 circa-1100 circa)

(2) 1077 Eremburga di Mortain (†1087)

Busilla (Felicia) (1080 circa-1102) Costanza (1080 circa-?) Violante (Iolanda) Giuditta

(3) 1087 Adelaide del Vasto (1074-1118)

Simone di Sicilia (1093-1105) Matilde (1090 cica-11119) Ruggero II (1095-1154), conte (1105) poi re di Sicilia (1130) =

Coutences (Francia), Cattedrale. Particolare della statua raffigurante Roberto il Guiscardo. La scultura, posta sull’esterno, è una copia ottocentesca dell’originale gotico, che fu distrutto durante la rivoluzione francese. 120

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Ruggero (1175-1193) Costanza Valdrada Maria Albina (1175 circa-1234), contessa di Lecce Guglielmo III (1185-1198), re di Sicilia (1194)

L’investitura solenne

Palermo, Palazzo dei Normanni, Cappella Palatina. Particolare del mosaico del Trono Reale raffigurante lo stemma del Regno di Sicilia con le insegne della Casa d’Aragona e le aquile imperiali sveve. XII sec.

Ruggero (1118-1148), duca di Puglia e Calabria = Bianca di Lecce Tancredi (1120 circa-1138), principe di Bari Alfonso (1122 circa-1144), duca di Napoli

(1) 1116 Elvira Alfonso di Castiglia (1097-1135) (2) 1149 Sibilla di Borgogna (1126-1150) (3) (N)

Guglielmo I il Malo (1131-1166), re di Sicilia (1154-1166) = Margherita di Navarra Adelicia (1130 circa-?)

Tancredi (1138-1194), conte di Lecce, re di Sicilia (1189-1194) = Sibilla di Medania Ruggero (1150-1161), duca di Puglia Guglielmo II il Buono (1153-1189), re di Sicilia (1166-1189) Enrico (1158-1172), principe di Capua Matina

Simone di Taranto

(4) 1151 Beatrice di Rethel (1135 circa-1185)

Costanza (1154-1198) = Enrico VI, imperatore (1165-1197)

tribuirono ad affrettare. Nel 1058, Capua fu assediata dai Normanni e cedette definitivamente ai conquistatori nel maggio del 1062, mentre Landolfo VI, l’ultimo principe, prendeva la via dell’esilio. Poco dopo, anche Gaeta cadeva nelle mani di Riccardo Drengot. L’evento piú significativo, nell’affermazione del dominio normanno nel Mezzogiorno, si verificò nel 1059. Prima della presa di Reggio Calabria da parte del Guiscardo, il nuovo papa, Niccolò II (1059-1061), nel corso di un sinodo ecclesiastico tenuto a Melfi, nel luglio-agosto del 1059, investí Roberto il Guiscardo del ducato di Puglia e Calabria, conferendogli anche la sovranità sulla Sicilia, nel caso di vittoria sui Saraceni. Dalla fallimentare impresa militare di Leone IX, si passò all’azione diplomatica con cui Niccolò II riportò un brillante successo. Pertanto, nell’estate del 1059, il Guiscardo venne solennemente investito del ducato di Puglia e Calabria, e della Sicilia, che, all’epoca, era in mano musulmana, non ancora sottomessa dal duca. L’investitura feudale di vasti domini al Guiscardo prevedeva, come corrispettivo, l’assunzione di un obbligo di fedeltà assoluta verso il papa.

FEDERICO II (1194-1250), imperatore

Con l’investitura del ducato, la posizione di preminenza del Guiscardo, nei confronti del clan degli Altavilla e di tutti i Normanni del Sud, era pienamente definita e il papa non solo riuscí a contenere l’espansionismo dei conquistatori, ma anche a indirizzarlo verso obiettivi precisi che coincidevano con i reali interessi della Santa Sede nel Meridione, coinvolgendo i Normanni nel processo di «ricattolicizzazione» dei territori del Mezzogiorno, bizantini e musulmani. La stessa politica il papa seguí verso i Drengot di Aversa, il cui capo, Riccardo, si era impossessato da poco di Capua (1058), sebbene la conquista definitiva della rocca della città – come si è detto – sarebbe avvenuta solo nel 1062. Riccardo venne solennemente investito dal pontefice del dominio del territorio capuano con il titolo di principe. Dopo il sinodo di Melfi la conquista normanna del Mezzogiorno ebbe un’accelerazione. Il Guiscardo si accordò con il fratello Ruggero, per una ripartizione degli impegni militari. Ruggero fu investito dal Guiscardo del governo della Sicilia e di parte della Calabria, a sud del fiume Sinni, con il titolo di conte e con il compito di muovere guerra ai Saraceni, in una sorta di crociata. Roberto, invece, si riservò il possesso e la conquista della terraferma che procedette spedita. Nel 1071 cadde Bari, capitale del catepanaVICHINGHI

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Miniatura raffigurante papa Niccolò II che incorona Roberto il Guiscardo, dall’edizione della Nuova Cronica di Giovanni Villani contenuta nel Ms Chigiano L VIII 296. 1350-1375. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana.

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Nel Mezzogiorno d’Italia

to, e, poco dopo, caddero in mano del Guiscardo Amalfi, nel 1073, e Salerno, nel 1077. La conquista di Salerno – dove fu trasferita la capitale del ducato di Puglia – pose fine al secolare principato longobardo, costringendo all’esilio l’ultimo principe e cognato del Guiscardo, Gisulfo II. Il duca di Puglia, invece, non riuscí a impossessarsi di Benevento – dal 1051 sotto la protezione del papa – che, a seguito dell’estinzione della dinastia principesca, nel 1077, fu incorporata nei domini pontifici. Mentre il Guiscardo occupava Salerno, il conte Ruggero procedeva alla conquista della Sicilia, che poté definirsi conclusa solo nel 1091, con la caduta della piazzaforte di Noto in mano normanna. Ruggero, cosí, acquistò il possesso dell’isola, anche se stabilí a Mileto, in Calabria, la capitale della contea. La Sicilia conservò, in buona parte, le strutture amministrative precedenti, ma si deve ricordare che, in base agli accordi intercorsi col Guiscardo prima dell’inizio della conquista, Ruggero era vassallaticamente sottoposto al fratello e non era titolare di una piena sovranità sull’isola. A definire meglio la posizione del conte, anche nei confronti della Chiesa siciliana, intervenne, il 5 luglio 1098, la

bolla Quia propter prudentiam tuam, promulgata da papa Urbano II (1088-1099). La bolla ratificava l’avvenuta conquista e Ruggero venne nominato «legato apostolico», cioè massimo rappresentante ecclesiastico nell’isola, con diritto di portare anello, dalmatica e mitra vescovile, pur essendo un laico. Il papa si impegnava a non nominare legati pontifici senza il consenso del sovrano e a ottenere da costui l’autorizzazione a che prelati, abati e vescovi lasciassero l’isola per partecipare a eventuali concili, o perché convocati dal pontefice. La designazione di abati, arcivescovi e vescovi non poteva avvenire senza il consenso del conte. Il privilegio, pur essendo riservato al solo Ruggero, fu fatto proprio anche dai suoi successori e abolito del tutto solo nel 1192.

Ruggero II e la nascita del regno

In base alla sistemazione politica del Mezzogiorno, data a Melfi nel 1059, le compagini statali normanne risultavano tre: il principato di Capua, retto dai Drengot, il ducato di Puglia e Calabria e la contea di Sicilia, retti da rami distinti degli Altavilla, che facevano capo, rispettivamente, a Roberto il Guiscardo e al fratello


Ruggero. Il Guiscardo morí nel luglio del 1085 a Cefalonia, mentre conduceva una campagna militare contro l’Impero bizantino dal 1081. Nel 1074, il duca di Puglia, tessendo abilmente relazioni diplomatiche con l’impero d’Oriente, diede in moglie la figlia, Olimpia – ribattezzata Elena – al giovane principe Costantino († 1095), erede al trono imperiale, figlio dell’imperatore Michele VII Ducas (1071-1078). Quando Michele fu deposto con la forza dall’esercito (1078), Costantino fu estromesso dal trono e Olimpia venne relegata in un monastero. Il Guiscardo, allora, mosse guerra al nuovo imperatore, Niceforo III Botaniate (1078-1081), pretendendo la liberazione della figlia e il ritorno di Michele – costretto a monacarsi – sul trono imperiale. Mentre si svolgeva la guerra nei Balcani – i Normanni avevano attaccato Durazzo – il Guiscardo aveva espugnato Roma (1084), sottoponendola a un duro saccheggio, per liberare il papa, Gregorio VII (1073-1085), prigioniero dell’imperatore Enrico IV di Franconia (1056-1106), mentre infuriava «la lotta per le investiture». Gregorio fu condotto a Salerno, dove morí il 25 maggio del 1085. Il Guiscardo lasciò due figli, Marco – detto Boemondo – e Ruggero, detto «Borsa». Ruggero ereditò il ducato di Puglia e Calabria che governò, pacificamente, fino al 1111, quando gli successe il figlio, Guglielmo, che resse il ducato fino alla morte, nel 1127. In Sicilia, morto il conte Ruggero nel 1101, gli successe uno dei figli, Simone. Alla morte di Simone, nel 1105, gli successe il fratello Ruggero II (1105-1154) che, tra il 1105 e il 1112, fu sotto la reggenza della madre, Adelasia del Vasto († 1118). Ma è sull’opera del «creatore del regno normanno», comprendente tutto il Mezzogiorno peninsulare, su cui, ora, è necessario soffermarsi. Ruggero trasferí da Mileto a Palermo la capitale della contea e, alla morte del duca di Puglia, Guglielmo, nel 1127, sbarcò a Salerno e si proclamò duca. Papa Onorio II (1124-1130) – che rivendicava l’alta sovranità feudale su quelle terre – promosse subito una coalizione militare contro di lui, comprendente i Drengot di Capua e altri conti normanni che non accettavano di buon grado l’usurpazione di Ruggero. La coalizione, però, si sfaldò già nell’estate del 1128 e il papa fu costretto a riconoscere a Ruggero il ducato di Puglia, con bolla pontificia promulgata a Benevento, nell’agosto del 1128. Nel 1130, tuttavia, si verificò un gravissimo scisma, che ebbe pesanti conseguenze nella storia del Mezzogiorno italiano. In quell’anno, infatti, a causa dei conflitti in seno al conclave, fomentati

Miniatura raffigurante l’imperatore Niceforo III Botaniate tra san Giovanni Crisostomo e l’arcangelo Michele. XI sec. Parigi, Bibliothèque nationale de France.

dall’aristocrazia romana, vennero eletti ben due pontefici: Innocenzo II (1130-1143) e l’antipapa Anacleto II (1130-1138). Ruggero II si schierò con l’antipapa, aiutandolo a insediarsi a Roma, e costringendo alla fuga il suo rivale che trovò rifugio a Pisa. Anacleto, allora, riconobbe il titolo regio a Ruggero, con bolla promulgata nel settembre del 1130 ad Avellino e, nella notte di Natale di quell’anno, l’Altavilla si fece ungere re, nella cattedrale di Palermo, dal cardinale di Santa Sabina, alla presenza dell’arcivescovo e degli alti dignitari del regno.

L’imperatore in aiuto del papa

Per tutta risposta, Innocenzo II sobillò l’aristocrazia contro Ruggero, arrivando a scomunicarlo. Innocenzo II riuscí anche a ottenere il riconoscimento della propria elezione dai principali regni europei e dal re di Germania, Lotario II (1125-1137). Nel 1133, Lotario scese in Italia e riuscí a insediare a Roma Innocenzo II, da cui ottenne, in S. Pietro, la corona imperiale, ma solo nel 1137 si decise a un intervento piú serio

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Nel Mezzogiorno d’Italia era morto nel 1137, lasciando il governo della città nelle mani dell’arcivescovo e dell’aristocrazia. Ruggero II, cosí, costituiva un regno vastissimo, di circa 75 000 kmq, esteso dalla Sicilia a Gaeta, a ovest, fino al fiume Pescara, a est. La capitale amministrativa, sede della Curia Regia, ovvero degli uffici centrali dell’amministrazione, rimase Palermo (vedi box a p. 127).

Come un «primo ministro»

contro Ruggero, conducendo una grande campagna nel Mezzogiorno, conclusasi con la disfatta dell’Altavilla a Rignano, in Puglia. Nel corso di una solenne cerimonia, a Melfi, il papa e l’imperatore investirono del ducato di Puglia Rainulfo, conte di Alife, uno dei piú valorosi conti normanni, imparentato con Ruggero, di cui aveva sposato la sorella Matilde. Poco tempo dopo, morti l’imperatore (1137), l’antipapa (1138) e lo stesso conte di Alife (1139), Innocenzo II rimase da solo a fronteggiare Ruggero, che, tornato sulla terraferma con un vasto esercito, dopo la fuga in Sicilia, seguita alla disfatta di Rignano, sconfisse il papa a Galluccio, nella valle del Garigliano, il 22 luglio del 1139. Innocenzo II fu fatto prigioniero e dovette riconoscere a Ruggero, con titolo regio, la Sicilia, il ducato di Puglia e il principato di Capua – sottratto ai Drengot – con apposita bolla emanata il 27 luglio di quell’anno. Nel 1140 l’Altavilla annetteva ai suoi domini anche il ducato di Napoli, il cui duca, Sergio VII (1120 circa-1137) 124

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Ritratto di Gregorio VII, eletto papa nel 1073, olio su tela di Giuseppe Franchi. 1600-1624. Milano, Pinacoteca Ambrosiana.

In politica estera Ruggero II cercò di porre le fondamenta di un vasto «impero» mediterraneo normanno, conducendo campagne militari in direzione dell’Africa settentrionale e dell’Oriente bizantino. In questa politica di espansione militare, il sovrano fu coadiuvato da personalità illustri, probabilmente d’origine greca come l’ammiraglio degli ammiragli Cristodulo († 1130 circa) e il suo collaboratore e, poi, successore, Giorgio di Antiochia († 1153). Durante il regno di Ruggero, l’admiratus admiratorum era il piú importante ufficiale della burocrazia regia e svolgeva, approssimativamente, le funzioni di «primo ministro», segretario di stato e comandante supremo delle forze armate. In Africa, Ruggero riuscí a sottomettere e annettere Gerba, Tripoli, Mahdia, Sfax, Tunisi e Bona, ovvero tutta una serie di località estese dalla Libia all’Algeria, i cui emiri fecero atto di sottomissione al sovrano, pagando un tributo. Nei confronti delle comunità islamiche siciliane Ruggero mostrò sempre grande tolleranza, lasciando loro la possibilità di professare liberamente la propria fede, in cambio del pagamento di un tributo e della fedeltà al nuovo regime. Il re si richiamò espressamente a simbologie politiche islamiche, quando si trattò di legittimare la sua autorità verso i sudditi di fede musulmana, per esempio assumendo – tra i titoli che definivano la sua autorità – quello di alMu’tazz bi-llah, ovvero «Potente per mezzo di Dio», che volle apparisse su molte monete di conio arabo come i tarí. Tra il 1146 e il 1149, Ruggero condusse campagne contro i Bizantini che consentirono l’annessione delle isole Ionie, tranne Corfú, riconquistata dall’impero nel 1149, grazie all’aiuto veneziano. In politica interna, con vaste riforme legislative, Ruggero pose le premesse di un solido apparato amministrativo, che fece del regno normanno del Mezzogiorno uno dei regimi piú centralizzati ed efficienti del Medioevo europeo, con un organigramma istituzionale decisamente evoluto per gli standard dell’epoca e che, probabilmente, risentí dell’influenza dell’esempio istituzionale dell’Inghilterra plantageneta.


ria e tributaria, probabilmente modellato sull’esempio della Cancelleria dello Scacchiere dell’Inghilterra normanna.

Gli organi periferici

A livello periferico il regno era suddiviso in circoscrizioni minori, rette da camerari, giustizieri e connestabili. I camerari amministravano il demanio regio ed esercitavano la giustizia in tutti gli affari riguardanti i feudatari del re e in materia civile, i giustizieri amministravano la giustizia penale, riservando a sé la cognizione dei reati piú gravi, punibili con ammende elevatissime, con la morte o con pene che comportavano lesioni all’integrità fisica del reo. I connestabili si occupavano dell’arruolamento e del comando delle truppe regie, del loro approvvigionamento e della disciplina militare. Al di sotto di questi organi periferici erano le università – le città – suddivise in demaniali e feudali, a seconda che rientrassero sotto la diretta potestà regia o sotto quella di un conte. Le città conservarono, in genere, gli ordinamenti amministrativi precedenti alla conquista e le proprie consuetudini, mentre al vertice delle stesse fu posto un ufficiale – baiulo – di nomina regia o signorile, con compiti di vigilanza delle amministrazioni cittadine, riscossione delle imposte e Unificato il Mezzogiorno, Ruggero si diede a un’intensa opera di organizzazione amministrativa cercando, per quanto possibile, di non alterare la fisionomia istituzionale degli stati preesistenti. Le antiche formazioni politiche – principato di Capua, ducato di Puglia e contea di Sicilia – sopravvissero solo come articolazioni geografiche del regno, mentre la capitale fu fissata a Palermo, sede della Magna Curia Regis, ovvero del re e degli ufficiali dell’amministrazione centrale dello stato, tra cui vanno menzionati il cancelliere – la cancelleria era divisa in tre sezioni, latina, greca e araba – l’ammiraglio degli ammiragli, il gran connestabile, il maestro giustiziere e il maestro camerario. Un ruolo direttivo nella gestione del governo fu riservato, come si è detto, all’«ammiraglio degli ammiragli», una sorta di primo ministro. La cancelleria regia rispecchiava la composizione multietnica del regno di Ruggero II e ciò è provato dalla presenza, oltre che di ufficiali d’origine greca e normanna, anche di funzionari d’origine araba denominati, appunto, «gaiti» – dall’arabo qa’id, «comandante» – che, formalmente, avevano accettato di essere battezzati. A Palermo aveva sede anche la Dogana – Dohana – ufficio supremo di amministrazione finanzia-

Qui sopra Canosa di Puglia, mausoleo di Boemondo. Uno scorcio della parte inferiore del complesso architettonico, con la porta in bronzo che chiude l’accesso alla tomba. XII sec.

In alto, a sinistra particolare di una miniatura raffigurante il ritorno in Puglia di Boemondo I, da un’edizione della Historia di Guglielmo di Tiro. XV sec. Ginevra, Bibliothèque de Genève. VICHINGHI

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Nel Mezzogiorno d’Italia ulteriori sub-infeudazioni nell’ambito dei rispettivi domini, ma ogni vassallo era tenuto all’«omaggio ligio» verso il sovrano, dominus supremo. La successione nei feudi, l’alienazione e la costituzione in dote degli stessi erano rigidamente disciplinate dalla legislazione regia, per evitare l’eccessiva dispersione del patrimonio, con conseguente difficoltà ad adempiere gli obblighi verso la curia. Solo i conti – appartenenti alle stirpi piú antiche e prestigiose – detenevano i pieni poteri di governo sui propri sudditi ma, in genere, non potevano mai spingersi fino all’erogazione della pena di morte, riservata ai giustizieri.

I successori di Ruggero

Palermo, chiesa della Martorana. Mosaico raffigurante Cristo che incorona Ruggero II. XII sec.

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amministrazione della giustizia nei casi meno gravi non devoluti ai giustizieri. Il regno normanno non disdegnò di ricorrere ai rapporti feudali come strumento di organizzazione del territorio e di inquadramento delle popolazioni, sebbene tali rapporti erano sempre inseriti nelle strutture burocratiche dello stato. Sotto questo punto di vista lo stato di Ruggero II fu realmente un «regno feudale», non dominato dal disordine politico e dalla frammentazione istituzionale, ma capace di servirsi dell’istituto del feudo – e della connessa delega di poteri – per rafforzare, anziché indebolire, l’autorità regia. I vassalli regi, tenuti al sevizio militare o al pagamento di un’imposta sostitutiva – adiutorium – erano divisi in due categorie – conti e semplici baroni – e potevano essere singoli milites, quanto enti ecclesiastici. Con il consenso regio, conti e baroni potevano procedere a

Ruggero II si spense il 26 febbraio del 1154, lasciando il trono al figlio Guglielmo I, associato al potere già dal 1151. Guglielmo I, detto «il Malo» (1154-1166), aveva sposato Margherita di Navarra († 1183) da cui aveva avuto Enrico, principe di Taranto, premorto al padre, e Guglielmo, che fu il suo successore. Il regno di Guglielmo I fu denso di eventi di rilevanza sociale, politica e militare. Da subito, il sovrano dovette affrontare una grave ribellione che vedeva coinvolti esponenti della feudalità sobillati dal pontefice Adriano IV (1154-1159). Tra essi figuravano Roberto, conte di Loritello e Conversano, Riccardo d’Aquila, conte di Fondi, Ugo II, conte di Molise, Andrea di Rupecanina e Roberto, conte di Alife. Dopo due anni di scontri, i ribelli furono sconfitti nel 1156 dal regio esercito, guidato dall’ammiraglio Asclettino († 1156 circa). Con il pontefice, Guglielmo stipulò un accordo a Benevento, nel giugno del 1156, con cui otteneva il riconoscimento del regno e si impegnava a rispettare gli obblighi, verso il papa, contratti dai suoi predecessori, e, nel 1158, fu conclusa anche una pace trentennale con l’impero d’Oriente che, in quegli stessi anni, aveva approfittato della rivolta dei baroni per impossessarsi di alcuni porti pugliesi. Alla morte di Guglielmo I, il 7 febbraio 1166, gli successe il figlio Guglielmo II (1166-1189), detto «il Buono», il cui regno cominciò sotto la reggenza della madre, Margherita di Navarra. La reggenza durò fino al 1171 ed ebbe un’importanza determinante per riequilibrare i rapporti, già tesi, tra la corte e la nobiltà del regno. Margherita, infatti, promulgò un’amnistia generale, consentendo a molti ribelli degli anni precedenti di rientrare in possesso delle proprie contee. Questa politica di distensione favorí anche lo sviluppo di importanti fermenti culturali, in parte già diffusi sotto il governo dei


PALERMO, CAPITALE DEL REGNO Nel 1139, dopo la fondazione del regno, Ruggero II fissò la capitale a Palermo, città che contava all’epoca circa 100 000 abitanti ed era il centro piú popoloso del Mezzogiorno e uno dei piú vasti d’Europa. Palermo sostituí le precedenti città che, man mano che la conquista normanna si estendeva, avevano svolto la funzione di «capitali provvisorie» – Melfi, Venosa, Salerno, Mileto – e divenne sede degli uffici della burocrazia statale, cosí che il baricentro politico-amministrativo del regno fu spostato in Sicilia, dove rimase fino al XIII secolo, quando Carlo I d’Angiò (1266-1285) trasferí la capitale a Napoli. Nonostante i Normanni abbellissero la città con nuove opere edilizie, Palermo conservò, prevalentemente, l’assetto urbano e topografico di epoca musulmana. Importante centro portuale e commerciale, la città, si sviluppava lungo il mare, dove erano il porto e gli arsenali. Nel Tirreno si gettavano i due corsi d’acqua, Papireto e Kemonia, oggi interrati, che ne delimitavano i confini, a ovest e a est, e costituivano le due principali fonti di approvvigionamento idrico per la città e per gli hammam, i bagni pubblici. Sebbene la conquista di Palermo fosse stata violenta, i Normanni consentirono agli islamici residenti di continuare a professare il culto pubblico nelle molte moschee che caratterizzavano il tessuto urbano, fatta eccezione per la piú grande, quella del venerdí – masjid jami ‘a, che poteva ospitare piú di 7000 fedeli – che ritornò a svolgere la funzione di chiesa cattedrale. La città si presentava divisa in due grandi blocchi urbanistici, quello sul porto, la Kalsa – al Khàlisa – l’«Eletta», di piú recente costruzione, e quello piú antico, nell’interno, il Cassero – al Qasr – la «Fortezza», in origine sede dell’emiro e degli apparati di corte, e dove i Normanni, piú tardi, edificarono la reggia. Nella cinta muraria si aprivano nove porte, ognuna delle quali aveva un nome legato al quartiere a cui dava immediato accesso: Bab al Bahr, «Porta del mare», che conduceva al porto e agli arsenali; Bab as Sudan, «Porta dei negri» che conduceva al quartiere abitato da schiavi o commercianti dell’Africa subsahariana; Bab al Saqaliba, «Porta degli schiavoni», cioè degli Slavi, che prestavano servizio militare come mercenari

In alto Monreale, Duomo. Particolare della decorazione a mosaico, raffigurante Guglielmo II nell’atto di dedicare la cattedrale alla Vergine. XII sec. A destra Palermo, Palazzo

In alto Salerno. Il portale d’accesso al quadriportico della cattedrale, la cui realizzazione è riconducibile a Roberto il Guiscardo. XII sec. o veri e propri schiavi. Suddivisa in cinque quartieri, la città, presentava un assetto urbanistico caotico, perché la topografia ortogonale di epoca romana era andata scomparendo, poche erano le grandi strade percorribili e molti i vicoli, alcuni dei quali erano vere e proprie vie a fondo cieco. Fatta eccezione per le mura e le strutture monumentali, la gran parte delle abitazioni – in genere a due piani con cortile interno – aveva una struttura molto semplice, realizzata in pietra e calce, senza grandi decorazioni esterne, perché la vera bellezza era all’interno. Nel perimetro urbano vi erano molti giardini e padiglioni forniti di buona acqua, grazie alle complesse tecniche di irrigazione introdotte dai musulmani.

della Zisa. Veduta panoramica ripresa dal versante delle vasche d’acqua. Magnifico edificio voluto da Guglielmo I, è chiaramente ispirato ai canoni dell’architettura araba. XII sec. VICHINGHI

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Nel Mezzogiorno d’Italia

predecessori. Tuttavia, nel 1168, si registrò, ancora una volta, una pericolosa ribellione, le cui cause furono l’autoritarismo esasperato del cancelliere del regno e arcivescovo di Palermo, Stefano di Perche (1166-1168), cugino e amante della regina, che aveva disposto, provvisoriamente, il trasferimento della capitale da Palermo a Messina. Il cancelliere fu costretto a fuggire dalla Sicilia, assieme ai suoi favoriti, e Margherita istituí una direzione collegiale del regno che faceva capo a tre illustri personalità della corte: Walter of the Mill († 1191), arcivescovo di Palermo, Riccardo Palmer († 1189), vescovo di Siracusa, Matteo d’Aiello († 1193 circa), vicecancelliere. Nel 1171, terminata la reggenza, il re assunse direttamente il potere, continuando a usufruire del contributo di questi preziosi collaboratori.

Contro il Barbarossa

Al di là della ribellione del 1168, fu soprattutto la politica estera a interessare il sovrano. Nel 1160 era ufficialmente iniziato lo scontro tra l’imperatore Federico I Barbarossa (1152-1190), i comuni e il papa Alessandro III (1159-1181), e Guglielmo II decise di parteciparvi, militarmente e finanziariamente, schierandosi contro il Tedesco. Una scelta di campo comprensibile, se si pensa alle rivendicazioni dell’impero germanico sul Mezzogiorno, che vide impegnato Guglielmo fino alla pace di Venezia del 1177. Guglielmo II fu anche molto attivo contro l’Oriente bizantino e i Saraceni nel Mediterraneo. Queste sue azioni militari non sortirono grandi successi, per quanto il re fosse supportato da una grande flotta, comandata da Margheritone di Bari, abile ammiraglio, e da un numeroso esercito. Tra il 1180 e il 1185, il re attaccò ripetutamente i possedimenti bizantini in Grecia, saccheggiando il Peloponneso, l’Attica e la Beozia, ma, nel 1185, le sue truppe furono seriamente battute in Macedonia e, rinunciando a un’ulteriore espansione, conservò 128

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Manto purpureo appartenuto a Ruggero II, con oro, perle e smalti. 1133-1134. Vienna, Kunsthistorisches Museum.

il possesso delle isole ionie: Zante, Cefalonia e Itaca. Il pretesto per l’attacco all’impero fu trovato nel rifiuto dell’imperatore Manuele (1143-1180) di dare in sposa la figlia Maria a Guglielmo, che ripiegò su Giovanna Plantageneto († 1199), figlia di Enrico II d’Inghilterra (1154-1189), sposata nel 1177. Nel 1175, la flotta normanna comparve al largo di Alessandria d’Egitto, ma le truppe non riuscirono a sbarcare e dovettero ritirarsi, limitandosi a saccheggiare il litorale egiziano. Nel 1187, caduta Gerusalemme nelle mani del Saladino († 1193), Guglielmo cominciò a preparare l’esercito per la crociata indetta dal papa e inviò la flotta lungo la costa palestinese, il che impedí l’ulteriore espansione dei musulmani in direzione del Mediterraneo. Nel frattempo, urgeva risolvere altri problemi. Sprovvisto di discendenza, il re iniziò a predisporre la successione, facendo sposare la zia, Costanza d’Altavilla († 1198) – figlia di Ruggero II – con Enrico di Hohenstaufen († 1197), figlio di Federico I Barbarossa, duca di Svevia e futuro imperatore. Il fidanzamento ufficiale fu annunciato ad Augusta, nel 1184, e le nozze furono celebrate a Milano, nel 1186, mentre il re, nell’assise solenne di Troia, in Puglia, si faceva promettere dall’aristocrazia del regno di accettare, alla sua morte, il nuovo sovrano. Morto Guglielmo II il 18 novembre del 1189, e sepolto, come il padre, a Monreale, si estinse la dinastia degli Altavilla e, a dispetto degli auspici di Guglielmo, iniziò un lungo periodo di guerre civili che lacerarono il regno fino al 1194. Infatti, Tancredi, conte di Lecce († 1194), nipote di Ruggero II, si mise a capo del «partito normanno» che riuniva tutta l’aristocrazia del regno ostile al cambio di dinastia a favore dei Tedeschi, ma il disegno politico di Tancredi fu interrotto dalla sua morte improvvisa nel 1194, ed Enrico VI di Hohenstaufen, già imperatore, divenne anche re di Sicilia.


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VICHINGHI

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VO MEDIO E Dossier n. 52 (settembre/ottobre 2022) Registrazione al Tribunale di Milano n. 233 dell’11/04/2007

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