Archeo monografie n. 44, Agosto/Settembre 2021

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NURAGHI ALLA RISCOPERTA DEI TESORI DELLA SARDEGNA PREISTORICA a cura di Anna Depalmas testi di Anna Depalmas, Giovanna Fundoni, Noemi Fadda, con contributi di Filippo Casu, Carmen Delogu, Maria Giovanna De Martini, Luca Doro, Maurizio Minchilli, Miriam Spanu, Loredana F. Tedeschi

6. Presentazione

Viaggio nell’isola delle torri 22. Nur_Way,

il cammino dei nuraghi

Un itinerario nell’archeologia della Sardegna preistorica 24. Gli antefatti 32. Il mondo dei morti 36. L’architettura nuragica 104. I tempi del cambiamento 116. Mostre,

itinerari e musei

118. Tutti i segreti di un’isola megalitica 120. Sei itinerari alla scoperta della preistoria della Sardegna 124. La civiltà dei nuraghi nei musei della Sardegna: nove incontri ravvicinati Pubblicazione realizzata nell’ambito del progetto Nur_Way, finanziato con fondi POR FESR 2014/2020 Asse Prioritario I «Ricerca scientifica, Sviluppo tecnologico e Innovazione»


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«I

l presente lavoro piú che a conclusione (che sarebbe arroganza scientifica e intellettuale) serva di stimolo per ulteriori necessari approfondimenti di un’epoca ancora piena di segreti». Si chiude con queste parole La civiltà nuragica, un volume pubblicato nel 1982 da Giovanni Lilliu (1914-2012), autore di una precedente, monumentale, opera che, per la storia dell’archeologia della Sardegna e non solo, ha costituito una pietra miliare: La civiltà dei Sardi dal neolitico all’età dei nuraghi, pubblicato nel 1963 e piú volte ristampato, con una sua terza e ultima edizione, ampliata e aggiornata, del 1988. Nel novembre del 1985, «Archeo» usciva in edicola con un dossier monografico, scritto dallo stesso Giovanni Lilliu e intitolato La Sardegna nuragica. Fu la prima volta che le fondamentali ricerche condotte dal maestro dell’archeologia sarda (tra il 1949 e il 1956 Lilliu aveva condotto gli scavi pionieristici del nuraghe di Barumini) varcavano la soglia della letteratura specialistica per raggiungere un pubblico piú ampio e – come risultò ben presto – attento e interessato. Oggi, a distanza di 36 anni, presentiamo ai nostri lettori questa nuova monografia dedicata alla riscoperta dell’archeologia preistorica della Sardegna. Gli autori, coordinati da Anna Depalmas, docente di protostoria europea e di protostoria della Sardegna all’Università di Sassari, sono portavoce e protagonisti di un nuovo progetto di ricerca denominato Nur_Way, volto a promuovere la ricerca e la conoscenza della realtà archeologica dell’isola. Una realtà, come sottolinea Anna Depalmas «dal carattere assolutamente unico, grazie alla presenza dei suoi monumenti preistorici, straordinariamente conservati». Le grandi costruzioni in pietra (il cui numero varia, a seconda delle stime, dalle 7000 alle 10 000 unità) oggi si compenetrano con l’ambiente naturale, dando vita a quel «paesaggio nuragico» che contraddistingue ampia parte della Sardegna. Ci piace pensare che, con il progetto Nur_Way – e con le ricerche illustrate nelle pagine seguenti – quel lontano augurio pronunciato da Giovanni Lilliu sia, effettivamente, stato accolto. E che quell’«epoca ancora piena di segreti» possa svelarsi, vieppiú, ai nostri lettori. Andreas M. Steiner

Il nuraghe Paddaggiu, presso Castelsardo (Sassari).


Ricostruzione virtuale di un momento di vita quotidiana nel villaggio del nuraghe Losa, presso Abbasanta (Oristano). Sulla sinistra dell’immagine svetta la torre centrale del nuraghe, cinta da un bastione triangolare, provvisto di tre torri (vedi scheda alle pp. 50-51).

VIAGGIO NELL’ISOLA DELLE TORRI | SARDEGNA VALLE D’AOSTA | 6| 6 |


| VALLE | SARDEGNA D’AOSTA | 7 |


Che cos’è un nuraghe?

L

a parola nuraghe, cosí come le sue varianti locali – nurake, nuraki, nuraci, nuraxi, nuragi, naracu, ecc. – riconducibili a un antico sostrato linguistico mediterraneo, indica una costruzione di muratura a filari a secco che nella sua forma piú caratteristica si configura come una torre tronco-conica. Il nuraghe a tholos è una torre tronco-conica a piú piani al cui interno sono ricavati un corridoio d’ingresso – su cui si apre a sinistra il vano scala per il piano o i piani superiori e a destra una nicchia – e una camera circolare ricoperta da una falsa volta «a tholos», con nicchie (da 1 a 3) disposte lungo il perimetro. Il piano superiore può presentare una camera analoga a quella del piano terra oppure un terrazzo a cielo aperto. Questo spazio era in origine provvisto di un aggetto – presumibilmente di legno – sostenuto da mensole litiche che sporgevano in alto presso l’ultimo filare; solo in alcuni casi si conservano in posto, ma la documentazione della loro posizione e funzione è data anche dai modelli in miniatura di nuraghi, che forniscono un’immagine idealizzata ma comunque realistica di come dovessero essere i monumenti integri. L’edificio a torre sopra descritto costituisce una sorta di modulo base che fu

In deroga ai consueti criteri redazionali e per espresso desiderio degli autori, in questa Monografia di «Archeo» i termini rame, bronzo, ferro hanno l’iniziale minuscola nelle locuzioni quali «età del rame, età del bronzo finale, prima età del ferro»; assumono la maiuscola solo quando implicano convenzionalmente il concetto di «età» (per esempio, il Bronzo Finale, il Primo Ferro).

| SARDEGNA VALLE D’AOSTA | 8| 8 |

Le ricostruzioni virtuali che corredano questa introduzione sono opera dell’architetto Gabriele Pettinau, che ringraziamo per averne concesso la pubblicazione. Le immagini sono tratte dai video Nuragic Megalithic Citadel in Sardinia: Losa e Reconstruction of a Nuragic Temple in 1200 b.C.: Santa Cristina, disponibili sul canale YouTube dell’autore (Gabriele Pettinau).


Ricostruzione virtuale delle strutture al cui interno si apriva il pozzo sacro del santuario nuragico di Santa Cristina, presso Paulilatino (Oristano; vedi scheda alle pp. 100-103).

edificato isolato (nuraghe monotorre) oppure associato ad altre torri (nuraghe complesso o polilobato, da due a cinque torri), in modo da comporre edifici di maggiore complessità. Soprattutto i nuraghi complessi fanno supporre una progettazione accurata, indispensabile per raccordare i vari corpi costruttivi con cortili, corridoi, scale e spazi accessori. In termini generali, è possibile affermare che i nuraghi presentano aspetti di notevole omogeneità negli schemi planimetrici e nelle soluzioni architettoniche pur ammettendo un’ampia varietà tipologica. Benché le torri e i numerosi ruderi dislocati in ogni parte dell’isola possano dare l’impressione di una generale omogeneità tipologica, vi sono diversità significative: la piú rilevante, in quanto anche espressione di una differenza cronologica, è quella tra nuraghi a corridoio e nuraghi a tholos, che, a loro volta, vengono distinti in monotorre o semplici e in pluriturriti o complessi. Il periodo definito «Nuragico», se utilizzato in modo appropriato, dovrebbe riferirsi solo al periodo di costruzione dei nuraghi che rientra – rapportato ad ambiti europei e della penisola italiana – tra il Bronzo Medio e il Bronzo

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Recente (1700-1200 a.C.) e non riguardare le fasi successive del Bronzo Finale (1200-950 a.C.) e della prima età del ferro (950-600 secolo a.C.) in cui non si ha conoscenza del protrarsi del processo di edificazione delle torri.

La funzione Quale fosse la reale funzione dei nuraghi è ancora oggi oggetto di dibattito tra gli archeologi. Nel XVI secolo illustri eruditi, come Sigismondo Arquer e Francesco Fara, scrivono sui nuraghi, fornendo descrizioni e ponendo per primi i problemi della funzione, della cronologia, dell’uso e identificandoli con «i molti, belli, edifici in stile greco antico, e tra gli altri edifici a cupola» citati nel De Mirabilibus Auscultationibus erroneamente attribuito ad Aristotele. A partire da quel momento e nei secoli seguenti, unitamente alle teorie sull’origine mitica dei costruttori (esuli di Nora, Greci, Troiani, Traci, Egizi, Giganti, ecc.), vengono proposte le identificazioni dei nuraghi con tombe principesche, horrea publica, torri contro i pirati e luoghi sacri. Oltre alla non molto diffusa opinione sulla destinazione abitativa, già nel Seicento si affermò con maggiori consensi l’ipotesi della funzione difensiva dei nuraghi, sostenuta dall’evidenza dell’uso massiccio della pietra con cui sono realizzati gli straordinari apparati murari delle torri e degli annessi, anche se – è importante rilevarlo – l’utilizzo di murature di pietra, anche possenti, non è limitato ai nuraghi, ma si ritrova nelle strutture abitative del villaggio e in ogni altro edificio coevo. La chiave di lettura bellicista ha quindi determinato la nomenclatura relativa agli elementi strutturali dei nuraghi, per i quali si utilizzano denominazioni proprie dell’architettura militare come antemurale, baluardo, bastione, mastio, feritoia, garitta, porta a tenaglia, ecc. Nella metà dell’Ottocento già Alberto della Marmora espresse il suo scetticismo per un’identificazione dei nuraghi come vedette e fortezze e su questa posizione concordò anche Giovanni Pinza agli inizi del Novecento. Molte delle perplessità di della Marmora, ufficiale dell’esercito sardo-piemontese, erano fondate sulla considerazione che qualità irrinunciabile di un fortilizio sia l’ubicazione in un luogo alto, già naturalmente difeso, in posizione tale da esercitare anche un controllo visivo e quindi strategico sul territorio.

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Sulle due pagine altre ricostruzioni virtuali del santuario nuragico di Santa Cristina, presso Paulilatino. Nel santuario erano compresi un tempio a pozzo, che costituiva il cuore del complesso, e altri edifici connessi con il culto, come una capanna delle riunioni, un recinto e varie strutture a schiera.

In questa prospettiva, si può notare che, seppure vi siano numerosi monumenti posti in posizione preminente, non sono rari i casi in cui non vengono scelti siti piú elevati rispetto al nuraghe stesso. Infatti, considerando i numerosi comparti regionali dell’isola, se è possibile individuare, anche di frequente, monumenti arroccati, è altrettanto vero che tali ubicazioni non si rivelano spesso le migliori nell’ottica dell’occupazione di postazioni difese, poiché non garantiscono la massima visibilità sul territorio, mentre rocche isolate o posizioni piú elevate rispetto al nuraghe non vengono occupate. Quello a cui il nuraghe non sembra decisamente assimilabile è quindi l’insediamento difeso come è inteso e conosciuto in ambito protostorico, dove condizione imprescindibile è la localizzazione su altura. Inoltre, le comunità nuragiche non sembrano mostrare particolare preoccupazione per eventuali pericoli provenienti dall’esterno e infatti lungo le coste è assente un sistema di nuraghi finalizzato alla difesa dei litorali. L’osservazione delle posizioni occupate dai nuraghi ci porta a rilevare che l’unità morfologica naturalmente difesa appare eventualmente occupata secondo una logica apparentemente casuale, in evidente contraddizione con una cosciente strutturazione di un «sistema

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difensivo». In piú di quattro secoli di storia degli studi, la prospettiva militare è stata però quella maggiormente seguita e solo negli ultimi anni tale interpretazione è stata da piú parti ripensata a favore di un uso difensivo saltuario e non esclusivo. Secondo un’altra, recente prospettiva di lettura, il nuraghe può essere identificato con le usuali unità abitative della comunità del Bronzo Medio e Recente nell’ambito di una società fortemente coesa, che fonda nelle architetture monumentali la sua principale forza espressiva e identitaria. Un aiuto alle diverse interpretazioni funzionali può venire dal numero delle torri, dalla dislocazione e distribuzione spaziale.

Una distribuzione densa e capillare Nella letteratura archeologica sarda viene di frequente ribadito che la modalità di diffusione dei nuraghi nel territorio avverrebbe nell’ambito di «cantoni». I «cantoni» o «distretti» sarebbero, infatti, le unità territoriali in cui è divisa e organizzata la Sardegna nuragica, zone pertinenti a comunità dedite alla

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Un’altra ricostruzione virtuale del nuraghe Losa, che mostra, nel dettaglio, il bastione trilobato e la torre centrale.


salvaguardia degli interessi economici del proprio territorio. Una concreta definizione dei limiti di tali spazi cantonali è però lungi dall’essere individuata, anche perché, fatte salve alcune eccezioni, le distribuzioni non mostrano significative soluzioni di continuità. Le aree a maggiore concentrazione di monumenti presentano infatti elevate densità di distribuzione, nelle quali appare difficile individuare zone prive di costruzioni, identificabili come aree cuscinetto o di confine tra territori con differenti pertinenze. I nuraghi complessi sono stati anche interpretati come palazzi-castelli, dimore del re, prova di un’accentuata stratificazione sociale, ma, in realtà, non sono mai stati ritrovati indicatori di distinzione di ruolo né manufatti collegabili a figure emergenti e di potere, né vi sono tombe singole e con corredi distintivi. D’altra parte, le strutture complesse sono realizzate seguendo il medesimo schema costruttivo della torre semplice, attraverso l’iterazione dei moduli, e non sono presenti ambienti particolari da intendersi destinati a funzioni amministrative o di rappresentanza.

| VALLE D’AOSTA | 13 |


Siti e monumenti

Carta dei principali siti archeologici della Sardegna. In evidenza (da 1 a 17) quelli coinvolti nel Progetto Nur_Way.

1

Area archeologica di Janna ‘e Pruna

2

Area archeologica di Monte Prama

3

Area archeologica di Santa Cristina Area archeologica di Tamuli Necropoli Filigosa Necropoli Sant’Andrea Priu Nuraghe Fronte Mola Nuraghe Loelle Nuraghe Losa Nuraghe Majori

4 5 6 7

Veduta a volo d’uccello virtuale del nuraghe Losa, che ne mostra l’articolazione all’epoca della sua frequentazione: intorno al bastione trilobato, cardine del complesso, si estendeva un villaggio la cui estensione è stata stimata in 3,5 ettari.

Se identifichiamo i nuraghi non come sedi principesche o costruzioni straordinarie, ma come le unità costruttive di normale diffusione su cui si incentra la vita dal Bronzo Medio al Bronzo Recente, la percezione di queste manifestazioni si priva dell’atmosfera di mistero e romanzo che nel passato – e, in una certa misura, ancora oggi – li ha avvolti e acquista la reale dimensione di documento archeologico, sia pure straordinario. Anche se non sembra possibile, in senso assoluto, identificare i nuraghi con normali «abitati» protostorici, è pur vero che, in alcune aree, la loro densità molto elevata suggerisce che la popolazione residente potesse essere tutta alloggiata entro di essi. In generale, infatti, solo una minima percentuale di nuraghi risulta associata o integrata con un villaggio di capanne, cosicché il rapporto nuraghi/villaggi risulta fortemente squilibrato per la scarsità numerica dei secondi che, tra l’altro, quando presenti, non sono necessariamente in sincronia con i primi. I pochi scavi effettuati all’interno delle camere dei nuraghi non hanno messo in evidenza – per quanto riguarda la fase originale – arredi particolari o altri elementi che consentano di connotare in modo specifico la natura funzionale degli ambienti. Nella camera centrale sono stati di frequente documentati focolari – forse meglio bracieri o comunque zone di combustione –, macine litiche e anche l’accesso a un silos o ambiente/ magazzino, nonché ceramica d’uso per la preparazione, la cottura, il consumo e la conservazione degli alimenti. Molto piú diversificati sono i dati che emergono dai contesti in cui è attestata una continuità d’uso o comunque la frequentazione nell’età del ferro o nella fase finale del Bronzo. A questi periodi sono, infatti, da riconnettere i ritrovamenti di armi, derrate, manufatti di pregio, arredi sacri che indicano differenti funzioni, non piú solo civili, ma anche cultuali, documentate nelle fasi di reimpiego del nuraghe. Anna Depalmas

| SARDEGNA VALLE D’AOSTA | 14| |14 |

8 9 10 11 12

Nuraghe Nolza Nuraghe San Marco

Nuraghe Santa Barbara Nuraghe Santu Antine 15 Sa Mandra Manna 13 14

16

Villaggio nuragico Su Muru Mannu

17

Villaggio santuario di Abini Nuraghe Villaggio nuragico protostorico Villaggio preistorico Pozzo sacro Grotta funeraria preistorica Grotta funeraria protostorica Grotta d’abitazione preistorica e protostorica Tempio a cella protostorico (a «megaron») Tempio preistorico Menhir, betilo e stele Dolmen e tomba megalitica nuragica e preistorica Tomba dei giganti Ipogeo funerario preistorico Santuario protostorico Recinto nuragico


Bocche di Bonifacio Maddalena Cala Villa Marina

Lu Brandali S. Teresa di Gallura

Li Mizzani Palau Li Muri

Asinara

Li Lolghi

Porto Torres Monte d’Accoddi

Camposanto Olmedo

Oridda Senori

Sa Turricola Muros

Palmavera Anghelu Ruju

Grotta Verde

Capo Caccia

Alghero

Sant’Imbenia Sa Ucca e Su Tintiriolu Mara

10

Grotta dell’Elefante Castelsardo

Sassari

Arzachena Albucciu

Casanili Luogosanto

Gol fo del l ’As i na r a

Punta Falcone

Caprera

Tempio Pausania

Olbia

Monte di Deu Calangianus

Monte e S’Ape

Predio Canopoli Perfugas

Abealzu Osilo

15

Grotta Inferno Muros

Burghidu Ozieri

S. Antioco Bisarcio San Michele Ozieri Ozieri Mandra Antine Thiesi Sa Coveccada Istalai 14 Mores Nule Su Coveccu Bultei

7

Riu Mulinu Bonorva Mura Cariasas Bonorva

Pozzo Milis

6

Sos Furrighesos Anela

Sos Nurattolos Alà dei Sardi Iselle Budduso

8 Maone Benetutti

Nuraghe Pitzinnu Posada

Capo Comino 1

Su Tempiesu Orune

Orosei

Noddule Biristeddi Nuoro Molia Motorra Illorai Nuoro Serra Orrios Oliena Orolio Sas Concas Cala Gonone Gonagosula Silanus Nuraddeo Macomer 5 Oniferi Dorgali Oliena Suni Istevene S’Altare de 13 Grotta del Bue Marino Mamoiada 4 Ponte Sa Logula Sedda Sos Serrugiu Dualchi Sarule Carros Cuglieri G olfo S. Michele Gorthene Oliena Iloi Elighe Onna Fonni Orgosolo Sedilo Oragiana di Orosei S. Lussurgiu Cuglieri S’ena Sa Vacca 17 Bidistili S’Omu e S’Orcu Lugherras Olzai Fonni Urzulei Fanne Massa 9 S’angrone Paulilatino Cuglieri S.Pietro Golgo Losa Abbasanta Pedras Fittas Baunei Abbasanta Campu Maiore 3 Ovodda Serra Is Araus Busachi Sa Carcaredda S. Vito Milis S’Urachi Villagrande S. Barbara S. Vero Milis Villanova Truschedu Pitzu e 11 Ruinas Sceri Arbatax Pranu 2 Arzana Ilbono Genna Corte Belvi Cuccuru Arrius Ardasai Laconi Perdalonga Cabras Oristano Seui Genna Seleni Tortoli Arrele 16 Lanusei Laconi Fenosu Aiodda Gol fo S. Antinu Palmas d’Arborea Motrox ‘e Bois Serbissi Nurallao Genoni Osini Usellus di O r i s t ano Roja Cannas Cuccureddi Uras Esterzili Paras Coni Is Isili Aleri 12 Nuragus Monte Arci Tertenia Marceddi S. Vittoria S’ Omu S’Orcu Terralba Serri Su Siddi Orrubiu Nastasi Nuraxi Barumini Cuccarada Orroli Tertenia Barumini Mogoro Su Molinu Su Pranu Orroli Villafranca Saurecci Funtana Coberta Genna Maria Guspini Ballao Villanova Forru Pranu Muteddu Genna Prunas Is Pirois Pardu e Jossu Guspini Sa Turriga Goni Monti Villaputzu Sanluri Mannu Serrenti Senorbi S. Cosimo Sa Corona Gonnosfanadiga Pranu Sanguini Villagreca S. Nicolò Gerrei Corongiu Capo Pecora Pimentel Perda Fitta Sa Grutta ‘e Ianas Su Mannau Serramanna San Vito Fluminimaggiore Matzanni M. Olladiri Sebiola Asoru Vallermosa Monastir Serdiana San Vito S. Gemiliano D’Omu S’Orcu Buoncammino Sestu Domusnovas Su Cungiau Cuccuru Craboni de Marcu Iglesias Maracalagonis Decimoputzu Seruci Tani Monte Claro Gonnesa Is Concias Diana Quartucciu Quartu Su Moiu Su Carropu Cagliari Narcao Capo S. Elia Carbonia Montessu Isola di G olfo Santadi S’Arriorgiu S. Pietro Antigori Santadi di C agliari Capo Carbonara Sarroch Istmo Domu S’Orcu Sarroch

Mar Tirreno

Isola di S. Antioco

Cannai

S. Anna Arresi

Mar

Tirreno

| VALLE | SARDEGNA D’AOSTA | 15 |


3600 a.C.

6000 a.C.

10 000 a.C.

TAVOLA CRONOLOGICA mesolitico età

neolitico

antico

medio

recente

finale

inferiore

medio

cultura e civiltà

sub - ozieri su carroppu

ceramica impressa «cardiale»

elementi significativi della cultura materiale

eneolitico

microliti in ossidiana

grotta verde

filiestru

ceramica ceramica impressa non decorata «strumentale» ceramica e « cardiale » ingubbiata in rosso a cordoni plastici anelloni litici

bonu ighinu

san ciriaco

ceramica impressa e graffita strumenti in selce e ossidiana strumenti in osso , vasi in pietra

ozieri

rare decorazioni di tradizione «bonu ighinu »

ceramica impressa , incisa e ingubbiata rossa

vasi a orlo estroflesso

vasi in pietra strumenti in selce e ossidiana strumenti in osso

primi strumenti in ossidiana (?)

oggetti metallici

filigosa

decorazioni rare ceramica dipinta in rosso vasi carenati oggetti metallici

abealzu

vaso

«pluriangolare» bicchiere carenato vaso a fiasco vaso biconico bugne singole o in coppia , forate o no

vaso a fiasco con collo allungato bicchiere allungato , vaso conico , assenza di vasi carenati

rara decorazione graffita , impressa a punti oblunghi decorazione incisa e dipinta

(a bande rosse)

crogioli fittili armi in rame ornamenti d ’ argento e rame vasi miniaturistici

arte mobiliare e immobiliare (pittura, scultura e incisioni)

anse fittili antropomorfe

figurine in pietra

figurine in pietra , ceramica , osso

anse fittili zoomorfe

motivi scolpiti , incisi , dipinti su parete di domus de janas

motivi zoomorfi impressi su ceramica

riparo , grotta , villaggio all ’ a perto

(?)

grotta

statue - menhir

motivi antropomorfi incisi su ceramica

motivi geometrici incisi in domus de janas e ripari sotto roccia

tempio su terrazza

religiosi

grotta

motivi scolpiti , incisi e dipinti in domus de janas , motivi dipinti in ripari sotto roccia , motivi incisi in grotta e ripari sotto roccia

grotta

riparo , riparo , grotta , villaggio grotta , all ’ aperto in materiale villaggio all ’ a - deperibile o in muratura perto villaggi sotto roccia

villaggio all ’ aperto grotta naturale

(?)

riparo sotto roccia

monumenti

capanne circolari civili

capanne tipo serra linta

muro di difesa di villaggio

funerari

riparo (?)

grotta naturale (?)

grotta , grotticella artificiale

fossa terragna grotta naturale , domus de janas (grotticella artificiale ) domus miste tombe a circolo con struttura in muratura tombe a circolo con cista

| SARDEGNA VALLE D’AOSTA | 16| |16 |

dolmen

sepoltura primaria

sepoltura secondaria anfratto fossa terragna

(?)

domus de janas riutilizzate o ristrutturate o scavate ex novo allée couverte tombe a circolo


superiore

finale

monte claro

campaniforme

ceramica a solcature , a incisione , a stralucido , dipinta a nastri rosso - ocra

materiali litici

antico

oggetti in rame e piombo

vaso a campana , tripode , tetrapode

medio

bonnanaro

ansa a gomito ; ceramiche inornate

decorazione a rotella dentata

recente

510 a.C.

950 a.C.

1800 a.C.

2200 a.C.

età del bronzo

eneolitico

età del ferro

finale

età nuragica

tegami ceramiche a nervature armi e utensili in bronzo

ceramiche tipo « tamuli »

olle a orlo ingrossato

ceramica pregeometrica

ceramica geometrica

ceramiche a nervature

ceramica micenea

forme ceramiche specializzate

askoi , brocche piriformi

armi e utensili di bronzo

ambra e bronzi d ’ importazione tirrenica

bronzi d ’ importazione orientale (?)

importazioni fenicie

ceramica a pettine

brassard , bottoni , armi

lingotti e armi di tipo egeo armi e utensili di bronzo

betili aniconici

sculture architettoniche

modelli litici e bronzei di nuraghe

statuaria lapidea bronzi figurati modelli litici e bronzei di nuraghe

pozzi sacri

villaggio di capanne rettangolari con zoccolo in muratura e vani multipli

villaggi villaggio di capanne di capanne (pali e frasche e / o muratura )

villaggio di capanne grotta naturale

villaggio con capanne circolari

pozzi sacri

templi a megaron

villaggio santuario

templi a cella circolare

grotte d ’ uso sacro

isolati a corte centrale

villaggio con capanne a settori

capanne rettangolari absidate

nuraghe a corridoio , a tholos , semplice e complesso

muraglia su altura muro di difesa di villaggio grotta naturale domus de janas realizzate ex novo riutilizzo di domus de janas dolmen allée couverte fossa terragna deposizione entro vaso cista litica

cista litica riutilizzo di dolmen e di domus de janas grotta naturale

grotta naturale domus de janas ex novo o riutilizzata cista litica

tomba di giganti con « stele », con fronte a filari e tecnica poligonale o isodoma

tomba di giganti con facciata a filari e tecnica isodoma

tomba monosoma a fossa e a pozzetto tafone tomba di giganti

allée couverte tomba di giganti scolpita nella roccia allée couverte scolpita nella roccia

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IL PROGETTO NUR_WAY

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ur_Way è uno dei progetti cluster finanziati da Sardegna Ricerche che prevedono azioni collaborative tra organismi di ricerca pubblici regionali e imprese del territorio, per favorire l’innovazione attraverso attività di trasferimento tecnologico. Il progetto – che coinvolge organismi di Ricerca come l’Università di Sassari e Sardegna Ricerche, imprese ed enti legati alla gestione del patrimonio archeologico della Sardegna – intende

elaborare un approccio innovativo per la realtà dei beni culturali sardi, basato anche sull’uso delle tecnologie informatiche. L’obiettivo è quello di trasferire conoscenza dagli organismi di ricerca alle imprese di gestione dei siti archeologici coinvolti, per diffondere la corretta conoscenza della preistoria e della protostoria della Sardegna, migliorare la qualità dell’offerta culturale e produrre nuovi attrattori di flussi turistici. Nur_Way è la via dei nuraghi, la via che collega

Chi siamo

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ur_Way è frutto dell’impegno congiunto di organismi di ricerca, enti locali, imprese, professionisti, operatori turistici e culturali. Nato all’interno dell’Università di Sassari e con la collaborazione di Sardegna Ricerche, il progetto coinvolge archeologi, ingegneri, informatici, fisici, che fanno ricerca negli ambiti dell’archeologia protostorica, della geomatica, delle tecnologie informatiche e dell’archeometria. Agli organismi di ricerca si legano enti locali e imprese che operano nella gestione del patrimonio archeologico sardo, professionisti e operatori che gravitano intorno a esso. Il progetto Nur_Way è stato ideato e sviluppato da un’équipe dell’Università di Sassari composta da unità di ricerca afferenti a diversi dipartimenti: • DUMAS (Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali), sotto la direzione della professoressa Anna Depalmas e con la collaborazione delle dottoresse Giovanna Fundoni, assegnista di ricerca e Loredana F. Tedeschi, borsista; nelle ultime fasi del progetto si è unita al gruppo, come borsista, la dottoressa Noemi Fadda. Dalla collaborazione con l’architetto Gabriele Pettinau sono nati i video delle ricostruzioni virtuali sulla vita negli insediamenti del nuraghe Losa e del tempio a pozzo di Santa Cristina, accessibili dal sito web e dall’App Nurway. • DADU (Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica) sotto la direzione del professor Maurizio Minchilli. • Dipartimento di Agraria, sotto la direzione del professor Enrico Grosso e con la collaborazione del dottor Filippo Casu, assegnista di ricerca e dell’ingegner Matteo Sanna. • Dipartimento di Chimica e Farmacia, sotto la

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direzione del professor Antonio Brunetti e con la collaborazione del dottor Carlo Nocco, dottorando di ricerca. Coordinatrice e responsabile scientifico del progetto è la professoressa Anna DepalmasDUMAS. La gestione amministrativa è stata seguita dalla segreteria dello stesso dipartimento DUMAS, nelle persone delle dottoresse Maria Paola Mazza e Anna Paola Sanna. Referente del progetto per Sardegna Ricerche è il dottor Dario Carbini. Le imprese che fanno parte del cluster sono: • Cooperativa Archeotur • Cooperativa Costaval • Cooperativa Esedra Escursioni • Cooperativa La Pintadera • Cooperativa Ortuabis • Cooperativa Paleotur • Cooperativa Penisola del Sinis • Cooperativa Siendas • Cooperativa Sociale Liber • Agriturismo Sa Tanchitta • Associazione FuTurismo • Fondazione Vulci • GeoInfoLab • Luca Doro Beni Culturali • Nabui Società Benefit • Società di Servizi Turistici Balares • Taulara Srl • Comune di Genuri • Comune di Tula La sinergia tra i dipartimenti universitari e la collaborazione con le imprese operanti sul territorio, attraverso la promozione di Sardegna Ricerche, danno vita a Nur_Way.


Geomatica per l’archeologia?

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ella pianificazione degli interventi di rilievo 3D sui siti archeologici analizzati, sono state fatte alcune considerazioni preliminari per costruire un processo integrato, di grande rigore e con diverse possibilità di utilizzo successivo. Avendo esperienze dirette, da spettatori, delle innumerevoli iniziative tese – nei musei e nei siti di interesse culturale – alla ricostruzione «virtuale» di ambienti e spazi in modo pseudo-tridimensionale si è voluto costruire qualcosa di diverso, mirato sia alle analisi scientifiche che alla fruizione turistica. Le tecnologie di acquisizione e restituzione 3D sono oggi assai diffuse e, in alcuni casi, anche di basso costo. L’ottenimento di risultati mediocri, anche se di grande effetto scenico, è quindi possibile anche con mezzi e procedure modeste, mentre l’ottenimento di modelli rigorosi, ad alta e altissima risoluzione, richiede catene metodologiche piú complesse, costi piú elevati e personale dotato della necessaria esperienza. Nel nostro caso di studio si è voluto portare a termine un processo operativo che, a partire da acquisizioni geo-topografiche sui luoghi, portasse a modelli complessi esplorabili e analizzabili con metodologie finalizzate sia alla comprensione «geometrica» dei siti, sia alla cognizione spaziale delle attività umane in esso ricostruibili. Sia il parco strumentale che l’intervento specialistico sono stati ottenuti dall’attività scientifica del Laboratorio di geomatica ProSIT del Dipartimento di Architettura dell’Università di Sassari.

Ortofoto del nuraghe Losa (Abbasanta, Oristano) sulla quale sono riportate le curve di livello di tutti gli elementi presenti nel sito.

La geomatica oggi comprende tecniche integrabili, tese allo studio di collocazioni spaziali, e analisi geometriche sulla superficie terrestre, ma anche su elementi di medie dimensioni, come i manufatti dell’uomo, nonché di singoli oggetti. Termini come fotogrammetria, geodesia, posizionamento satellitare, cartografia, ecc. appartengono a questo settore scientifico presente in vari corsi di studio a livello universitario. Dopo i necessari sopralluoghi, sono state progettate, e costruite in loco, le «reti di inquadramento geodetico» necessarie a fornire una maglia di punti la cui collocazione fosse rigorosamente georeferenziata e cioè nota in un sistema di riferimento assoluto. Dai vertici di tali maglie, le cui coordinate sono state acquisite con le moderne

tecnologie satellitari differenziali, sono stati ottenuti i vertici, segnalizzati o «fotografici», posizionati sul sito archeologico e sui suoi manufatti. Al termine di queste operazioni la rete di inquadramento era adatta per orientare univocamente ogni porzione di territorio o di manufatto acquisito. Le acquisizioni tridimensionali sono state eseguite con metodologie definibili «classiche», come la fotogrammetria aerea e terrestre, ma con processi integralmente digitali dalla fase delle riprese fino alle elaborazioni finali. Come vettore aereo sono stati naturalmente scelti i «droni» multirotore e in particolar modo i modelli di medio peso al decollo capaci di trasportare un sensore fotografico con una risoluzione di poco inferiore ai 50Mpix. Le coperture aeree sono state

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In questa pagina altre immagini del nuraghe Losa successivamente rielaborate nel corso delle operazioni eseguite al fine di produrre ricostruzioni tridimensionali del sito.

eseguite a quota bassa e ultrabassa con il raggiungimento di risoluzioni geometriche di pochi millimetri. La costruzione delle nuvole di punti, e delle successive mesh e texture fotografiche, hanno assorbito capacità di calcolo notevoli, per la quantità di dati in input e quindi tempi di elaborazione importanti. I modelli finali hanno subito vari gradi di decimazione dei punti, sia per sfoltire zone con accumulo sovrabbondante di informazioni, sia per produrre modelli a bassa

risoluzione finalizzati alla fruizione nel web. Come previsto nel progetto preliminare, la catena operativa ha avuto come serbatoio finale, e ambiente di esplorazione spaziale, un sistema informativo costruito su basi cartografiche organizzate su vari livelli a partire dal generale – l’intero territorio regionale – per finire alle analisi geometriche e topologiche di piccole porzioni dei siti archeologici. Maurizio Minchilli e Loredana F. Tedeschi

Il sito web e l’App mobile NUR_WAY

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el contesto del progetto cluster Nur_Way, oggetto dei due pacchetti di lavoro che hanno interessato il gruppo di ricerca Visione Artificiale è stata la realizzazione di una piattaforma integrata, declinata in due diverse modalità, specificatamente orientata al rilascio di servizi e microservizi per le aziende partecipanti al cluster e per altri attori, piú marcatamente scientifici, presenti in ambito universitario. La prima modalità, il cui studio, progettazione e sviluppo hanno interessato la maggior parte degli sforzi, ha dato luogo a una web-application complessa, costituita nella sua interezza da una

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parte di front-end e da una parte di back-end. La seconda modalità a supporto della piattaforma integrata è stata una mobile-app georeferenziata che presenta i principali servizi offerti dal frontend della web-application. La web-application (www.nurway.it), lato front-end, è costituita da una homepage nella quale sono presenti tutti i siti appartenenti al cluster, identificati da un’immagine e da alcune informazioni base, e la corrispondente collocazione sulla mappa della Sardegna e dalla funzione «cerca». Per ogni sito archeologico, dopo averci cliccato sopra, è disponibile la navigazione multimediale, attraverso i monumenti che lo


organismi di ricerca e imprese di gestione del patrimonio archeologico, la via che unisce il turismo culturale alle altre realtà territoriali, una rete fatta di archeologia, tecnologia, territorio. Ma è anche una rete di persone: ricercatori, professionisti, operatori turistici, uniti per migliorare l’attrattiva e la fruibilità del patrimonio archeologico della Sardegna. Uno degli obiettivi principali perseguiti dal progetto è quello di legare l’archeologia ad altre realtà economiche locali (produttori, artigiani, servizi turistici, ecc.), promuovendo la collaborazione e la creazione di

reti sinergiche, tali da assicurare un’offerta culturale e turistica piú completa e contribuire cosí allo sviluppo del territorio. Grazie alla tecnologia, Nur_Way favorisce la conoscenza e diffusione non solo del patrimonio archeologico, ma anche dei sistemi di reti territoriali a esso collegati, promuovendo la loro offerta e rendendoli competitivi. Il sito web del progetto è www.nurway.it. L’App per Android è nurWAY. Il Codice Sorgente del progetto è disponibile nel portale del Parco Scientifico e Tecnologico della Sardegna all’indirizzo http://www.p-arch.it/

L’Università di Sassari

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ella metà del XVI secolo, le città sarde di Cagliari e Sassari si adoperarono per l’istituzione di sedi universitarie nel Regno di Sardegna che, di fatto, nel caso dell’ateneo turritano, è da ricollegare al lascito testamentario di Alessio Fontana, funzionario della cancelleria imperiale di Carlo V, il quale, nel 1558, scelse di donare i suoi beni alla città di Sassari affinché venisse istituito un collegio di studi. Si dovette però attendere il XVII secolo, quando, il 9 febbraio 1617, il re Filippo III concesse al collegio gesuitico sassarese lo statuto di università regia, che divenne cosí la prima della Sardegna.

costituiscono, le distinte componenti dei monumenti, i reperti e le pubblicazioni scientifiche. Ognuna di queste parti è corredata da informazioni e dati multimediali inseriti da personale altamente specializzato, proveniente dal mondo accademico. Inoltre, il front-end presenta anche le aziende che gestiscono i siti archeologici, fornendo le informazioni fondamentali per poterli visitare. La web-application include anche un’area riservata, alla quale possono accedere solamente gli utenti registrati, nella quale vi sono le schede di inserimento per gli elementi relativi ai siti

L’ateneo ha la sua sede principale nella città di Sassari, ma ha corsi attivi anche ad Alghero, Olbia, Nuoro e Oristano, e conta una popolazione composta da circa 13 000 studenti. Con 10 dipartimenti e oltre 650 docenti provenienti dagli atenei di tutta l’Italia, l’Università di Sassari offre formazione in presenza e a distanza (e-learning e teledidattica) sia in campo umanistico che scientifico. Nell’ateneo operano oltre 40 centri di ricerca interdisciplinari e 12 biblioteche, e sono attivi rapporti di cooperazione con atenei, istituzioni e centri di ricerca di tutto il mondo.

archeologici (monumenti, componenti, dati multimediali, pubblicazioni, ecc.) e per i dati informativi delle aziende che gestiscono i siti. La mobile-application ricalca, declinandole per smartphone, le maggiori funzionalità informative presenti nella web-app. La pagina principale dell’app mostra la disposizione dei siti archeologici attraverso un layout minimalista, che dà importanza alla posizione sulla mappa, e consente di visualizzarli e selezionarli attraverso lo scorrimento da destra a sinistra. È presente, come nel caso web, la funzione di ricerca. Filippo Casu

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NUR_WAY

IL CAMMINO DEI NURAGHI Un itinerario nell’archeologia della Sardegna protostorica di Anna Depalmas

Il cammino dei nuraghi ha un punto d’origine assai lontano, che si perde nella notte dei tempi, o che perlomeno rimonta alle fasi piú antiche del popolamento dell’isola. In età preistorica, attraverso un periodo che occupa non meno di sette millenni, i gruppi umani stanziati in Sardegna hanno lasciato tracce notevolissime delle loro azioni, che noi possiamo documentare esclusivamente attraverso l’analisi delle manifestazioni di cultura materiale pervenute sino ai tempi attuali. Oltre agli oggetti della vita | SARDEGNA | 22 |


La domus de janas S’Acqua ‘e is dolus («L’acqua dei dolori»), presso Settimo San Pietro (Cagliari). 3400-2700 a.C.

quotidiana, utensili e manufatti, ritrovati nel corso di indagini archeologiche programmate o grazie a fortuiti ritrovamenti di scavo o di superficie, sono emerse numerose tracce di edifici che hanno completato il quadro già ricco del patrimonio archeologico preistorico. Si tratta di un elevatissimo numero di strutture di foggia e funzione diverse: monumenti di natura civile, funeraria e cultuale dislocati su tutto il territorio della Sardegna. Alcuni di questi monumenti hanno mantenuto, come retaggi di tempi oscuri, nomi fiabeschi, come domus de janas e tumbas de gigantes, che hanno concorso a delineare nell’immaginario comune una storia intrecciata con leggende e credenze popolari e a rappresentare la Sardegna come una terra caratterizzata da un passato misterioso e leggendario. Tuttavia, nella ricostruzione delle vicende storiche reali il ruolo fondamentale è svolto dalla ricerca scientifica, che, nel corso degli ultimi settant’anni, ha avuto un forte impulso e ha consentito di mettere correttamente in luce i diversi aspetti archeologici attraverso indagini mirate e nuove scoperte, che hanno permesso di definire con sufficiente dettaglio le sequenze della preistoria e della protostoria della Sardegna. | SARDEGNA | 23 |


GLI ANTEFATTI

GLI ANTEFATTI: ABITARE NELLA PREISTORIA

I

l periodo che definiamo nuragico si sviluppa in Sardegna nel corso dell’età del bronzo, ma prima di questa fase protostorica è documentata una lunga e articolata fase preistorica, che prende avvio dal primo popolamento dell’isola, sia che questo sia avvenuto nel Pleistocene, secondo gli indizi indiretti, oppure agli inizi dell’Olocene secondo quanto indica la documentazione archeologica. Gli esigui gruppi umani che vivono in Sardegna durante il Mesolitico (9500-6400 a.C.) si muovono lungo la costa, forse attraverso spostamenti sul mare, occupando stagionalmente ripari che consentano lo sfruttamento delle risorse e delle materie prime locali e avviando la produzione di un’industria litica atipica, con rocce di scarsa qualità. Le prime comunità di agricoltori e allevatori che si insediarono dall’inizio del VI millennio a.C. si localizzarono di preferenza nei territori della costa occidentale e nel centro-sud dell’isola

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con abitati all’aperto, ma anche in grotte e ripari. Nella fase piú antica del Neolitico (VI millennio a.C.), le ceramiche hanno forme semplici non articolate, come scodelle o olle con corpo ovoidale o globulare, spesso


Sulle due pagine una veduta del massicio del Monte Arci, nel Campidano. Il sito acquisí notevole importanza in età preistorica, poiché vi fu individuata la presenza di un giacimento di ossidiana. A destra e nella pagina accanto, in alto schegge di ossidiana. Da questo vetro vulcanico, caratterizzato dal colore nero lucido, si ricavavano strumenti e, in particolare, lame.

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GLI ANTEFATTI

decorate con le impressioni del bordo di valve di conchiglia cardium. In seguito, comparvero motivi realizzati con pettini e punzoni, sino alla scomparsa della decorazione cardiale e alla presenza di radi motivi incisi su vasi piriformi. La lavorazione della pietra vede, oltre all’utilizzo della selce e del diaspro, la crescente diffusione dell’ossidiana del Monte Arci, attestata in un ampio areale, che comprende territori extrainsulari come la Corsica, la zona centro-settentrionale della penisola italiana, la Provenza e il Midi della Francia.

Produzioni raffinate Nella fase successiva del Neolitico Medio, detta di Bonu Ighinu (prima metà del V millennio a.C.), oltre a uno sviluppo nella tecnologia ceramica che dà luogo a produzioni vascolari particolarmente raffinate, con superfici accuratamente lustrate e decorate da minuti punti o tratteggi, emerge il notevole

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impulso dato alla fabbricazione di elementi di ornamento di conchiglia e all’industria su osso, con punte di zagaglia, punteruoli, aghi e lesine, tra cui si annovera un esemplare con la riproduzione stilizzata di un volto umano. Di recente enucleazione è l’aspetto culturale di San Ciriaco (seconda metà del V millennio a.C.), corrispondente al passaggio tra Neolitico Medio e Recente o all’inizio del Neolitico Recente. La sua diffusione coincide in parte con quella del Bonu Ighinu e in parte si evidenzia in villaggi all’aperto ai margini della pianura del Campidano, dove compaiono le ciotole carenate, le tazze a profilo sinuoso, le tazze-attingitoio, prevalentemente inornate, a pareti sottili e ben rifinite caratteristiche di quest’aspetto. Durante le fasi avanzate del Neolitico, con l’aspetto culturale di San Michele di Ozieri (prima metà del IV millennio a.C.), la Sardegna appare oramai intensamente popolata come

In basso frammento di vaso decorato con figure umane. Cultura di Ozieri, 4000-3500 a.C. circa.


indicano i diffusi ritrovamenti di manufatti ceramici e litici anche nelle zone piú interne. Il vasellame è ben caratterizzato da decorazioni spesso barocche con motivi geometrici rettilinei e curvilinei che denotano un certo gusto cromatico per l’uso di incrostazioni bianche e rosse sul fondo nero. La produzione di manufatti di ossidiana e selce ha raggiunto elevati standard di specializzazione sia nello sfruttamento della materia prima (per esempio nella realizzazione di lame), sia nella circolazione regionale ed extrainsulare. Benché nel Neolitico Antico, Medio e Recente siano ampiamente attestati, oltre agli insediamenti in grotta, anche abitati all’aperto con strutture di forma ovale leggermente infossate, è solo con le fasi finali di Ozieri che si ha una piú ricca documentazione dell’edilizia domestica oltre che funeraria.

Planimetrie complesse Recenti scoperte hanno permesso di individuare sul terreno tracce delle abitazioni di cui da tempo era stata ipotizzata l’esistenza sulla base degli indizi forniti dall’architettura funeraria. Oltre a modelli di abitazione impostati su moduli costruttivi di pianta circolare, rettangolare o quadrangolare, sono state infatti scoperte peculiari strutture composte da ambienti di pianta rettangolare e semicircolare accostati a formare unità abitative che occupano superfici di notevole estensione. L’unico insediamento in cui sono documentate le tracce di strutture di pietra di planimetria definita e complessa, come quella sopra descritta, è quello di Serra Linta a Sedilo (Oristano), presso le sponde del fiume Tirso, dove sono state individuate abitazioni con superfici estese anche piú di 280 m². Ben attestato archeologicamente è il modello insediativo che sembra prediligere l’ubicazione degli abitati su modesti rilievi, spesso adiacenti alle pianure fluviali, in corrispondenza di terreni di natura alluvionale, irrigui, caratterizzati da livelli di produttività ottimali per l’agricoltura e lambiti da fiumi o lagune. Un tratto comune alle strutture edilizie di questi

insediamenti è la presenza di paramenti murari realizzati in tecnica a secco, con pietre di piccole e medie dimensioni che emergono per un alzato molto modesto e che paiono indicativi dell’impiego di un basamento litico posto a supporto di pareti lignee o di materiale deperibile. Tali caratteristiche hanno di conseguenza limitato le probabilità di conservazione e visibilità di queste murature, in quanto esse sono soggette facilmente a interro, a rimozione spesso inconsapevole o, se residue, una vegetazione anche stentata è sufficiente per nasconderne la presenza. La scarsità delle evidenze archeologiche riferibili alle case neolitiche è bilanciata dalla diffusa presenza delle tombe ipogee scavate nella roccia che rappresentano una documentazione straordinaria per la ricchezza degli schemi planimetrici, degli elementi architettonici e dei particolari decorativi riconducibili all’edilizia domestica.

Le case delle fate Vi sono indizi per ipotizzare che, nell’ambito della facies San Ciriaco, vengano realizzate le prime tombe con circolo di pietre e cista litica al centro (Li Muri a Arzachena) e inizi l’escavazione in roccia delle prime grotticelle artificiali (domus de janas, case delle fate), destinate a costituire lo spazio funerario preferito dal Neolitico Recente sino alle soglie dell’età nuragica e anche oltre. Gli oltre 3500 ipogei si aprono a fior di suolo o sulle pareti di roccia, e al loro interno possono svelare una labirintica sequenza di ambienti dalle planimetrie semplici e articolate (sino a un massimo di 22 ambienti), nei quali sono di frequente riprodotti elementi architettonici quali nicchie, lesene, pilastri, banconi, setti divisori e, sul soffitto, la resa in positivo o negativo della copertura lignea di un tetto. Rientrano nell’ambito cultuale le piccole cavità scavate sul pavimento per la combustione o la deposizione di offerte e le raffigurazioni, piú o meno schematiche, di protomi o corna bovine. È inoltre ampiamente documentato l’uso della pittura rossa per evidenziare i bassorilievi o per

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GLI ANTEFATTI

Una proposta per World Heritage UNESCO: «Arte e Architettura nella Preistoria della Sardegna. Le domus de janas»

I

l progetto di proporre la candidatura al World Heritage UNESCO di alcuni significativi beni archeologici della preistoria sarda è stato avviato nel 2017 e la richiesta di inserimento nella Lista propositiva italiana dell’«Arte e Architettura nella Preistoria della Sardegna. Le domus de janas» è all’esame della Commissione Nazionale Italiana UNESCO (CNIU). Con tale richiesta è iniziato ufficialmente un lungo processo che, se positivo in tutte le sue fasi, porterà all’inserimento di 35 siti preistorici sardi nella Lista del Patrimonio mondiale. Le domus de janas della Sardegna sono circa 3500, diffuse in tutte le regioni storiche dell’isola, con particolare concentrazione nella parte centrosettentrionale e costituiscono l’espressione funeraria e artistica piú rilevante del sistema culturale sviluppatosi tra la fine del V e il III millennio a.C. Almeno 220 di esse, inoltre, presentano figurazioni d’arte di vario tipo, realizzate con le tecniche della scultura, della pittura e dell’incisione, che per la qualità e la pregevolezza delle manifestazioni d’arte contenute, costituiscono un patrimonio storico, culturale e artistico di altissimo valore. Il Comitato promotore, formato dal Cesim (Associazione di Promozione SocialeCentro Studi «Identità e memoria», presidente Giuseppa Tanda) dai Comuni di Ossi e di Alghero, sostenuto da un Comitato scientifico, costituito da archeologi e professionisti, ha stimolato il coinvolgimento delle amministrazioni locali – proponendo una rete dei Comuni – e della popolazione, a sviluppare una chiara consapevolezza del valore del patrimonio costituito dalle domus de janas decorate e a impegnarsi direttamente per la loro salvaguardia. La proposta prende in considerazione alcune evidenze archeologiche significative, relative alle componenti

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del sistema culturale che caratterizza la Sardegna nella preistoria, tra la fine del V e il III millennio a.C. Oltre agli ipogei a domus de janas, sono considerate strutture di carattere civile, vale a dire le officine litiche, i ripari e le grotte, i villaggi all’aperto, i recinti fortificati megalitici; altre tombe, come i circoli funerari, i dolmen e le allées couvertes; le costruzioni e gli elementi del sacro, cioè il complesso archeologico di Monte d’Accoddi, i circoli di carattere magico-religioso, i menhir, singoli o in allineamento. Tra i beni inseriti nella proposta vi sono: officine litiche di Sennisceddu a Pau; Grotta Corbeddu a Oliena; Riparo Luzzanas a Ozieri; Villaggio all’aperto di Serra Linta a Sedilo; Complesso fortificato di Monte Baranta a Olmedo; Necropoli di Li Muri ad Arzachena (circoli funerari e menhir); dolmen di sa Coveccada a Mores; complesso archeologico di Monte d’Accoddi a Sassari (altare, villaggio e menhir); Parco di Pranu Mutteddu a Goni (circoli funerari e cultuali, menhir in coppia, triade e in allineamento); domus de janas dell’Orto del Beneficio Parrocchiale di Sennori e della Roccia dell’Elefante a Castelsardo. Le necropoli a domus de janas sono quelle di: Anghelu Ruju e Santu Pedru ad Alghero; Puttu Codinu e Pubusattile a Villanova Monteleone; Monte Siseri a Putifigari; Mesu ‘e Montes e S’Adde Asile a Ossi; Su Crucifissu Mannu a Porto Torres e di Montalè a Sassari; Su Murrone a Chiaramonti; Mandra Antine a Thiesi; Parco dei Petroglifi a Cheremule; Sant’Andrea Priu e Sa Pala Larga a Bonorva; Molia a Illorai; Sos Furrighesos ad Anela; Tomba del Labirinto a Benetutti; Ispiluncas a Sedilo; Mrangias/ Mandras ad Ardauli; Sas Arzolas de Goi a Nughedu Santa Vittoria; Brodu a Oniferi; Istevene a Mamoiada; Corongiu a Pimentel; Montessu a Villaperuccio.


La domus de janas di Sa Domu de S’Orcu (o Sa Grutta ‘e sa Perda), presso Setzu (Medio Campidano).

creare motivi architettonici o decorativi. Tra i soggetti scolpiti nelle tombe, oltre alle citate figurazioni bovine e ai motivi astratti come le spirali – interpretabili come stilizzazioni di protomi animali –, vi sono figure umane stilizzate, tra cui alcune con maschere animali, rappresentate in scene di danza (Tomba Branca, Cheremule), e altre raffigurate a testa in giú con il corpo ad ancora (per

esempio Sas Concas, Oniferi). A fronte di un numero cosí elevato di ipogei sono estremamente esigui i dati relativi ai rituali funebri, anche a causa della consuetudine, reiterata nei secoli, di riutilizzare gli spazi funerari, rimuovendo le deposizioni piú antiche. Nell’ambito culturale Ozieri sono documentate sia le sepolture primarie che quelle secondarie (che comportano la deposizione dei soli resti

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SARDEGNA

Necropoli Sant’Andrea Priu, Bonorva (Sassari) La necropoli di Sant’Andrea Priu è situata nella parte meridionale della piana di Santa Lucia, nel territorio di Bonorva, nella Sardegna nordoccidentale. Il sepolcreto consta di 20 tombe ipogee, del tipo a domus de janas, scavate in un affioramento trachitico, a qualche metro di altezza rispetto al piano di campagna. Alcuni ipogei sono andati distrutti o parzialmente danneggiati a causa dell’utilizzo dell’area come cava di materiale da costruzione. All’interno gli ipogei sono caratterizzati da particolari architettonici, quali architravi, travi, focolari, pilastri, stipiti, scolpiti nella roccia, come a voler riprodurre l’aspetto delle case dei vivi a essi contemporanee. Tra le piú note e spettacolari le cosiddette «tomba del capo», «tomba a camera», «tomba a capanna», che spiccano per dimensioni, decorazioni e complessità. Si data al Neolitico Finale, con la cultura di Ozieri (prima metà del IV millennio a.C.), ma fu parzialmente riutilizzata fino a epoca medievale. In epoca romana una delle tombe fu trasformata in chiesa cristiana e al IV-VI secolo risale un esteso insediamento rurale individuato in tempi recenti all’esterno dell’area funeraria. Sono note anche frequentazioni piú tarde, attestate da maioliche arcaiche del XV-XVI secolo

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e, secondo fonti orali, alcuni ipogei furono utilizzati dai pastori come abitazioni, stalle e pagliai fin quasi ai primi del Novecento.

La tomba detta «del capo» (ipogeo 6) è la piú grande e complessa: ha 18 ambienti e una superficie di 250 m², che ne fa la piú estesa dell’intera Sardegna. In epoca romana fu trasformata in chiesa cristiana, poi consacrata a sant’Andrea e utilizzata per gran parte del Medioevo. Si compone di un piccolo atrio che fa da ingresso, un’anticella o vestibolo e due ampi vani dai quali si diramano ambienti piú piccoli, spesso collegati tra loro, con loculi e piani per deporre i defunti e le offerte. L’anticella ha un

soffitto scolpito, con travetti a rilievo che riproducono il tetto di una capanna, e numerose coppelle ricavate sul piano pavimentale, alcune delle quali all’interno di un cerchio posto al centro dell’ambiente. Attraverso un’apertura decorata da un architrave e stipiti in rilievo si accede al primo vano, il cui soffitto, che raggiunge i 3 m d’altezza, intonacato e dipinto con ocra rossa, è «sorretto» da due colonne risparmiate nella roccia. I restauri effettuati nel 1969 portarono in luce affreschi paleocristiani e iscrizioni medievali apposti sulle pareti dell’ambiente, che ne testimoniano l’uso cultuale in entrambi i periodi. Un’altra apertura immette nella seconda stanza, che ci appare nella sua trasformazione in presbiterio di

In basso l’interno della tomba detta «a camera» nella necropoli di Sant’Andrea Priu, presso Bonorva (Sassari).

Nella pagina accanto l’interno della tomba detta «del capo», la piú grande e complessa della necropoli di Sant’Andrea Priu.

La tomba del capo


Nella pagina accanto, in alto la necropoli di Li Muri ad Arzachena, nella quale sono attestate tombe con circolo di pietre e cista litica al centro.

scheletrici dopo la decomposizione del corpo), mentre nello spazio esterno del corridoio (dromos) o nel primo ambiente (anticella) dell’ipogeo avvenivano i riti funebri, anche con combustione di offerte vegetali (cereali e legumi). Le domus de janas si trovano talvolta isolate, ma, piú frequentemente, sono raggruppate in piccoli aggregati, che sono espressione di comunità di ampiezza limitata.

epoca storica. Presso l’ingresso, in età medievale fu posizionato un altare, sopra il quale fu aperto un lucernario, che, con lo scopo di fornire luce all’ambiente, attraversa fino al soprastante piano di campagna uno spessore di roccia di 5 m. Al di sopra di questo, tre pilastri in muratura disposti sul bordo dovevano probabilmente reggere una struttura lignea realizzata per riparare l’ambiente dalla pioggia. Sulle pareti si conservano ancora gli affreschi di scuola romanica: un Cristo in trono con gli Evangelisti e sul soffitto motivi geometrici, croci e uccelli.

La tomba a camera La «tomba a camera» (ipogeo 8) è una delle piú note del complesso. Vi si accede da una vasta anticella quadrangolare sulla quale si aprono due piccole finestre e una porta architravata. La cella, di forma rettangolare, è caratterizzata da due pilastri ricavati nella roccia che dal pavimento raggiungono il culmine del soffitto, che imita un tetto ligneo a due spioventi, in cui sono rappresentati a bassorilievo anche i dettagli delle tavole di copertura. Sul lato lungo della camera si aprono due portelli che portano ad altrettante celle, sulla parete opposta sono scavati due loculi e nel piano pavimentale è presente una grande fossa, forse di epoca romana,

In alcune zone le aggregazioni di ipogei sono particolarmente interessanti dal punto di visto numerico, della varietà tipologica degli schemi planimetrici e dei particolari descrittivi, poiché riflettono la presenza di ampie compagini sociali insediate nel territorio. Un esempio molto significativo di quest’ultima classe di monumenti è quello della necropoli di Sant’Andrea Priu a Bonorva.

con risega per alloggiare la copertura. Sul lato corto invece è presente un gradone e un’altra bassa cella a pianta rettangolare. La tomba appare ampliata e rielaborata in momenti distinti.

La tomba a capanna La «tomba a capanna» (ipogeo 5) è attualmente inaccessibile a causa del distacco della roccia su cui era scavata la gradinata d’accesso. Ha un’anticella rettangolare con un portello che accede alla cella principale, di pianta circolare. Il tetto è conico, decorato da una raggiera di solchi incisi come a riprodurre i tetti straminei delle capanne. Nel piano pavimentale sono presenti numerose coppelle e, sulle pareti, diverse piccole nicchie. Di fronte all’ingresso, a destra e a sinistra, si aprono due celle piú piccole, con copertura ad arcosolio,

sicuramente realizzate in epoca romana o tardo-romana, cosí come la tomba a fossa rettangolare con incasso per la copertura. Giovanna Fundoni

Cooperativa Costaval La Cooperativa Costaval si occupa di servizi turistici. Gestisce la Necropoli a domus de janas di Sant’Andrea Priu, il Civico Museo Archeologico di Bonorva e organizza inoltre itinerari volti a scoprire il patrimonio archeologico, ambientale e paesaggistico del territorio. Sede Bonorva (Sassari), via Luigi di Savoia 4 Info tel. 348 5642611; e-mail: santandreapriu@libero.it

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IL MONDO DEI MORTI

DALLA PREISTORIA ALLA PROTOSTORIA: IL MONDO DEI MORTI

A

partire dal Neolitico Finale, accanto al grandioso fenomeno funerario delle sepolture ipogee neolitiche (domus de janas), si assiste all’edificazione di differenti modelli di strutture funerarie, che rientrano nell’ambito

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del megalitismo e si ricollegano a una tradizione architettonica che innalza costruzioni subaeree con pietre di grandi dimensioni e, piú in generale, con muratura a secco. L’evidenza piú significativa, almeno dal punto di


vista numerico, è costituita da monumenti di carattere funerario, soprattutto sotto forma di dolmen semplici e allées couvertes (tomba di forma allungata a corridoio, coperto da lastroni), ma anche di elementi in combinazioni miste di ipogeo con corridoio trilitico o di strutture in tecnica a filari e ortostati che sembrano corrispondere a una nuova e piú forte esigenza di presenza e visibilità nell’ambito di un dato spazio territoriale. Benché le sepolture subaeree costruite in elevato (dolmen e allées couvertes) si

L’ingresso di una delle tombe della necropoli eneolitica di Filigosa, presso Macomer (Nuoro).

affermino in tutta la Sardegna già dal Neolitico, l’uso di seppellire i morti entro gli ipogei scavati nella roccia non terminerà con questa fase, ma continuerà nel corso dell’Eneolitico e sino all’inizio dell’età del bronzo. Benché il riuso delle domus de janas neolitiche sia molto diffuso durante le epoche successive, alcuni ipogei furono realizzati nell’Eneolitico e si distinguono per determinate caratteristiche strutturali, quali, per esempio, il lungo corridoio (dromos) di accesso ben rappresentato dal gruppo di ipogei di Filigosa a Macomer, facente parte di un piccolo gruppo di tombe che, grazie allo scavo, hanno restituito forme vascolari caratteristiche dell’aspetto culturale eponimo, peculiare dell’Eneolitico iniziale.

Nuovi canoni estetici Nel corso dell’Eneolitico (III millennio a.C.), attraverso la successione, non rigidamente sequenziale, di aspetti culturali diversi (denominati Sub-Ozieri/Ozieri II, Filigosa, Abealzu), si osservano mutamenti nelle produzioni ceramiche che, partendo dalla tradizione Ozieri, sviluppano un gusto meno interessato alla decorazione, sebbene si sperimentino l’introduzione della pittura in ceramiche sub-figuline e la resa mediante graffito di motivi geometrici. L’industria litica in ossidiana subisce una contrazione rispetto ai periodi precedenti. Sebbene l’inizio dell’attività metallurgica possa risalire a fasi Ozieri (anellini di rame e argento ritrovati a Pranu Mutteddu a Goni), a partire dal Sub-Ozieri inizia la diffusione di lame, lesine e punteruoli, oggetti d’ornamento di rame e argento, che vengono prodotti in loco, come attestano i crogioli e le scorie di fusione nell’ambito degli insediamenti (per esempio Su Coddu a Selargius). Nelle fasi medie ed evolute dell’Eneolitico, gli aspetti culturali Monte Claro e campaniforme rappresentano un’interruzione del fenomeno di continuità radicato nel solco della tradizione neolitica che aveva caratterizzato la prima parte del periodo. Tra le manifestazioni architettoniche riconducibili a tempi eneolitici, vi sono muri

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IL MONDO DEI MORTI

megalitici e recinti realizzati presso il bordo di rilievi o sulla sommità di pianori isolati, la cui costruzione sembra suggerire l’indicazione di un avvenuto cambiamento nel rapporto delle comunità con il proprio territorio, percepibile nella ricerca di posizioni su alture difese naturalmente e nella delimitazione di spazi mediante strutture fortificate che prelude alle scelte che caratterizzeranno le prime fasi dell’età del bronzo.

A questa nuova concezione, che sovraordina la definizione degli spazi sia di ambito funerario, sia domestico o pubblico, e che si manifesta nella realizzazione di opere di pietra in elevato, sono ricollegabili anche elementi cultuali rappresentati da circoli megalitici (per esempio Is Cirquittus a Laconi), menhir (o pietre fitte) aniconici, stele con elementi simbolici (Boeli a Mamoiada) e da statue-stele (o statue-menhir), disposti isolati o in allineamenti (per esempio

In basso l’interno di una delle quattro tombe della necropoli di FIligosa.

Necropoli di Filigosa, Macomer (Nuoro)

L’area archeologica di Filigosa è inserita in un contesto ambientale ricco di risorse naturali – quali il Rio S’Adde –, che hanno reso possibile l’insediamento umano fin dalla preistoria. Collocata pochi chilometri a nord dal centro abitato di Macomer, la necropoli è costituita da quattro tombe del tipo domus de janas, scavate nel versante meridionale della collina di Filigosa, a 610 m slm. L’articolazione planimetrica delle quattro tombe è

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costituita da un corridoio di accesso, il dromos, che conduce all’ipogeo articolato in piú ambienti. Le prime indagini archeologiche furono condotte da Ercole Contu nel 1965 e in seguito riprese nel 1980 sotto la direzione di Alba Foschi. I sepolcreti oggetto di scavo sono quattro: tre risultano scavati nel tufo ai piedi dell’altura, mentre il quarto si trova a un livello leggermente superiore. La tomba I presenta un

dromos lungo 11 m, che immette al vano principale, di forma trapezoidale; sulla parete meridionale è presente un letto funebre decorato da due coppelle emisferiche inserite nella parte superiore della parete. Al centro del vano sorge un focolare di 1 m di diametro con margine anulare in rilievo e coppella centrale. Due portelli nella parete di fondo conducono a sei celle secondarie. Il primo introduce in un vano poligonale e da questo in un altro


In basso il focolare nel vano principale della tomba I di Filigosa. La struttura misura 1 m di diametro, con margine anulare in rilievo e coppella centrale.

Pranu Mutteddu a Goni) o in particolari concentrazioni anche nell’ambito di uno stesso territorio (per esempio Laconi). In Sardegna, il passaggio tra l’Eneolitico e l’antica età del bronzo (facies Bonnanaro) avvenne attraverso una lenta evoluzione degli aspetti tecnologici. Tra le ceramiche prevalgono le forme aperte, come le tazze, le ciotole e i vasi tripodi; la decorazione è assente o limitata a cordoni plastici e bugne; le anse sono spesso

rettangolare; l’altro permette di accedere a quattro vani disposti a coppie, uno dei quali è a sua volta diviso in due parti da un «tramezzo». Lo scavo ha restituito una quantità considerevole di materiale, tra cui un raro vasetto miniaturistico in legno e vasi in ceramica decorati con coppelle, tazze carenate e vasi tripodi. La tomba II è costituita da un dromos con sviluppo lievemente curvilineo, una cella maggiore di forma trapezoidale che conduce ad altri tre vani collegati in successione orizzontale. Anche in questo caso al centro della cella maggiore sono presenti un focolare e una coppella posta su una parete. La tomba III presenta una planimetria differente, costituita dal corridoio di

a gomito e a volte presentano un prolungamento asciforme. In questo periodo, alla lunga tradizione di seppellire i morti nelle tombe ipogee si affiancò, affermandosi diffusamente, quella dell’inumazione in ciste, tombe megalitiche e anche in grotte e cavità naturali. I resti scheletrici ritrovati all’interno delle sepolture documentano sia la sepoltura primaria, sia le deposizioni secondarie di ossa semicombuste.

accesso che risulta coperto nella parte terminale, che conduce a due vani quadrangolari coassiali. Anche la tomba IV ha un andito seguito da tre celle coassiali e quadrangolari – con focolare, coppelle e piccola nicchia –, mentre un quarto vano laterale è aperto nel secondo ambiente. Occorre menzionare il riutilizzo della tomba I in età nuragica: il prospetto del dromos venne arricchito con conci ben sagomati, simulando l’ingresso

delle tombe dei giganti. Il contesto è attribuibile all’età del rame e costituisce un tassello importantissimo per l’archeologia sarda, poiché il materiale rinvenuto al suo interno ha dato il nome a una facies culturale dell’Eneolitico sardo, la cultura di Filigosa, sviluppatasi tra il 3000 e il 2400 a.C. Sono identificabili ulteriori frequentazioni di epoca nuragica e di età romana. Noemi Fadda

Esedra escursioni La società opera dal 1998 nel campo dei servizi per il turismo culturale e ambientale, promuovendo la tutela, la conoscenza, la divulgazione del patrimonio culturale e naturalistico del territorio del Marghine. Si occupa della creazione di itinerari turistici, percorsi tematici, eventi. Organizza escursioni, tour, trekking, di vari livelli di difficoltà sia a piedi che in fuoristrada, nel territorio del Marghine e in tutta la Sardegna, nonché itinerari di carattere folklorico culturale, con pranzi e degustazioni di prodotti tipici locali. Offre anche servizi alla persona, quali prenotazioni alberghiere, trasporti, accoglienza e assistenza nei porti e aeroporti. Promuove e organizza gli itinerari del «trenino verde» per la tratta turistica a scartamento ridotto Macomer-Bosa. Gestisce il rifugio montano ubicato a Macomer, in località «Su Cantareddu», nel monte di Sant’Antonio a circa 700 m slm. Sempre a Macomer gestisce i siti archeologici di Filigosa, Tamuli, nuraghe Santa Barbara, nuraghe Succuronis e il Museo Etnografico Le Arti Antiche. Sede Corso Umberto I – 08015 Macomer (Nuoro) Info tel. 0785 743044; e-mail: esedraescursioni@libero.it; www.esedraescursioni.it

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

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LA PROTOSTORIA: LA NASCITA E LO SVILUPPO DELL’ARCHITETTURA NURAGICA

L

a scarsità di attestazioni relative alle forme di insediamento del Bronzo Antico, periodo per il quale gran parte della documentazione archeologica verte sull’ambito funerario, non consente di operare una ricostruzione organica delle vicende storiche che precedono l’affermarsi del periodo nuragico e che portarono allo sviluppo degli abitati con forme nuove rispetto a quelle del periodo precedente e in generale della preistoria. Le case del Bronzo Antico, espressione dell’aspetto culturale Bonnanaro (fine del III-inizi del II millennio a.C.), individuate in sole tre località, nell’unico sito in cui sono osservabili le caratteristiche (Su Stangioni de su Sali a Portoscuso), mostrano pianta rettangolare con ingresso aperto sul lato breve sud-orientale, lati brevi curvilinei, zoccolo in muratura di piccole pietre, focolare centrale e pavimento in acciottolato esteso anche sul lato sud-orientale esterno, in corrispondenza dell’ingresso. Questi edifici rettangolari costituiscono un trait d’union tra le abitazioni eneolitiche a pianta rettangolare absidata (per esempio Biriai-Oliena) e quelle analoghe, caratteristiche dell’inizio del Bronzo Medio, documentate soprattutto in diverse zone della Sardegna settentrionale e centrale. Le prime attestazioni dell’inizio del Bronzo Medio (1800 a.C. circa), riconducibili all’aspetto culturale di Sa Turricola, sono infatti relative,

Sulle due pagine immagini dell’insediamento nuragico di Sa Mandra Manna, presso Tula (Sassari). In alto, l’area del sito; nella pagina accanto, il prolungamento del protonuraghe nel corridoio; in basso, l’ingresso est, all’interno della muraglia.

oltre che a frequentazioni in grotta, ad abitazioni a zoccolo litico di pianta rettangolare, anche absidata, ed ellittica. Esiste una relazione di contemporaneità, perlomeno parziale, tra case di pianta allungata e i nuraghi piú antichi, dato che è frequente l’associazione topografica delle une con i primi edifici turriti. Rimangono ancora sconosciuti i processi preparatori all’edificazione delle prime costruzioni a torre anche se, come si è visto, le strutture di pietre non erano estranee alla tradizione della preistoria sarda e compaiono già nelle fasi neolitiche di Ozieri, come dimostrano le tombe con copertura a filari aggettanti attestate, per esempio, a Pranu Mutteddu di Goni. Anche le (segue a p. 40)

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L’ARCHITETTURA NURAGICA Sa Mandra Manna, Tula (Sassari) Ubicato su un modesto altopiano trachitico che domina a sud-ovest un territorio collinare che degrada verso la piana solcata dal Riu MannuCoghinas, l’insediamento nuragico di Sa Mandra Manna si compone di un villaggio protetto da una muraglia, un nuraghe a corridoio e una tomba di giganti. A breve distanza dall’insediamento nuragico sono presenti altri monumenti che documentano la frequentazione preistorica dell’area: una domus de janas formata da due celle con all’esterno, nella parte superiore, una lastra di roccia naturale che fa assumere al monumento un aspetto megalitico; una piccola necropoli costituita da almeno tre dolmen. La muraglia delimita e protegge uno spazio semicircolare di circa 2200 m²,

difeso naturalmente dal bordo del ciglione; ha una lunghezza complessiva di 120 m. Nella struttura muraria dell’edificio si aprono due ingressi di tipo «a corridoio»: uno a est e l’altro a nord-ovest. Un terzo varco, ormai in stato di crollo, permetteva l’accesso al pianoro direttamente dal ciglione roccioso. L’ingresso settentrionale (lungh. 4,50 m) presenta nei massi del corridoio complesse incisioni lineari di difficile significato. La muraglia, riferibile forse a una fase preistorica eneolitica, è stata ristrutturata durante l’età del bronzo attraverso la realizzazione di un sistema di rifasci murari che hanno interessato anche il corridoio dell’ingresso nord-ovest, dove, sul rifascio della muratura, fu innestato, cambiando leggermente angolazione, un nuovo corridoio con

In basso incisioni realizzate all’ingresso del corridoio NW dell’insediamento nuragico di Sa Mandra Manna (Tula, Sassari).

Nella pagina accanto il nuraghe Fronte ‘e Mola, presso Thiesi (Sassari), databile nel Bronzo Medio, tra il 1800 e il 1400 a.C.

ingresso rivolto a sud-sud ovest e munito, nella parete occidentale, di una nicchia a camera sub-ellittica con pareti a leggero aggetto. Il nuovo edificio rientra nella categoria monumentale dei nuraghi a corridoio passante. La pianta esterna di questa struttura è sub-rettangolare. Le pareti, in leggero aggetto, conservano in alcuni punti la copertura orizzontale a lastroni. Sempre nell’area dell’ingresso nord-ovest sono stati individuati, durante gli scavi archeologici effettuati nel 2005-2006, i resti di una capanna sub-ellittica (ambiente A), occultata dalla costruzione del rifascio e probabilmente tagliata dalla muratura del nuraghe. Una seconda cinta muraria piú esterna, della quale rimangono in alcuni punti solo le pietre di base, si sviluppa parallelamente alla prima muraglia e potrebbe prolungarsi anche al di sotto del ciglione roccioso. La tomba di giganti, ancora parzialmente interrata, è situata a 100 m circa dalla muraglia, in direzione nord-nord est. Luca Doro

Comune di Tula Il Comune di Tula si trova nella provincia di Sassari nella regione del Logudoro, sulla costa occidentale del bacino artificiale del Coghinas. Sorge a circa 275 m slm e ha una popolazione di 1570 abitanti. Vanta un ricco patrimonio storico, architettonico e archeologico, che intende promuovere e valorizzare. Sede Comune di Tula - 07010 Tula (SS) Info tel. 079 7189001; e-mail: cultura@comune.tula.ss.it; sito web: www.comune.tula.ss.it

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Nuraghe Fronte ‘e Mola, Thiesi (Sassari) Il nuraghe Fronte ‘e Mola è localizzato sulle articolate pendici del ciglione roccioso di Mesu ‘e Roccas, che domina la vallata del Rio Bidighinzu, oggi occupata dall’invaso. È immerso nel parco comunale di Su Saucu, area di notevole valore naturalistico, con una rete di sentieri e un suggestivo paesaggio che si apre verso il lago sottostante. Ubicato all’interno di un terreno privato, è raggiungibile percorrendo la strada Thiesi-Ittiri. Il nuraghe, del tipo a corridoio, ha pianta rettangolare, con spigoli ben marcati. Fu realizzato con grossi massi di trachite parzialmente lavorati, di dimensioni maggiori alla base, piú piccoli nelle parti piú alte e ha una struttura a due piani. Attualmente conserva un’altezza massima di 8 m. L’ingresso, architravato, si apre a sud, lungo uno dei lati corti. Nel piano inferiore è presente il corridoio di 12 m, che si sviluppa longitudinalmente e sul quale si aprono

4 nicchie laterali. Questo corridoio è provvisto di una copertura «a piattabanda», con grossi lastroni di pietra posizionati orizzontalmente al di sopra delle pareti verticali. Dalla prima nicchia a destra si diparte la scala che procede parallela al lato lungo e conduce al piano superiore, purtroppo deteriorato, del quale si conservano solo alcuni filari. La struttura venne in parte scavata nel 1961 da Ercole Contu, ma le indagini non restituirono materiale datante. Furono invece rinvenuti reperti ascrivibili all’età romana, a testimonianza di una lunga frequentazione del sito. Le caratteristiche del monumento permettono di inquadrarlo nell’ambito del Bronzo Medio, tra il 1800 e il 1400 a.C. L’area su cui fu edificato il nuraghe Fronte ‘e Mola è particolarmente interessante, giacché, a breve distanza, sullo stesso ciglione roccioso, sono presenti i due nuraghi di Su Eredu e di

Colte Unali, il primo con struttura a corridoio, e il secondo con struttura mista (corridoio e tholos), che testimoniano una intensa presenza umana presso la valle del Bidighinzu. Maria Giovanna De Martini

Siendas Siendas è una cooperativa nata a Thiesi nel 2017 con l’obiettivo di valorizzare, tutelare e rendere fruibile il patrimonio del territorio di Thiesi e far sí che questo, attraverso strategie efficaci, si trasformi in reale beneficio economico. Organizza escursioni, visite guidate, corsi, laboratori didattici, eventi che promuovono il territorio e le sue risorse. Sede Via A. Manzoni 10 07047 Thiesi (Sassari) Info tel. 349 8311073; e-mail: siendas.scarl@gmail.com

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

cinte murarie considerate espressione del periodo eneolitico – pur se spesso prive di indicatori cronologici certi – caratterizzate da grandi massi e munite di ingressi architravati, risultano spesso associate o in prossimità dei piú antichi edifici nuragici, come ben esemplificato a Sa Mandra Manna di Tula, dove il nuraghe si sviluppa intorno al corridoio di una cinta muraria e dove sono presenti anche le tracce di antiche capanne probabilmente absidate.

Planimetrie articolate Con il debutto dell’età nuragica, che coincide con le fasi iniziali del Bronzo Medio (1800-1600 a.C.), si assiste all’edificazione di una

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particolare classe monumentale, quella dei nuraghi a corridoio, chiamati anche protonuraghi o nuraghi arcaici. Sono costruzioni dallo sviluppo planimetrico articolato, prevalentemente curvilineo a pianta ellittica, subcircolare, spesso molto irregolare, soprattutto quando vengono sfruttati spuntoni naturali di roccia come integrazione alle murature. Piuttosto rara è la forma quadrangolare, che è comunque attestata, come ben esemplificato dal nuraghe Fronte ‘e Mola di Thiesi, che presenta una singolare pianta rettangolare con gli angoli ben definiti, quasi a spigolo vivo. Il numero dei nuraghi a corridoio è senz’altro inferiore a quello dei nuraghi di tipo classico: se ne conoscono,

Il nuraghe Majori, presso Tempio Pausania (Olbia-Tempio). Il complesso risulta essere stato utilizzato fra l’età del bronzo medio e la prima età del ferro.


Nuraghe Majori, Tempio Pausania A destra un’immagine dell’interno del nuraghe Majori, appartenente alla classe dei nuraghi misti, in quanto in esso si fondono le caratteristiche delle strutture a corridoio e di quelle a tholos.

Il nuraghe Majori è situato nel Nord Sardegna, nel cuore della subregione storica e geografica denominata Gallura e precisamente nel Comune di Tempio Pausania, in località Conca Marina. È inserito in un contesto naturalistico di straordinaria bellezza, costituito da un fitto bosco misto di sughere, lecci, roverelle, frassini, ontani con sottobosco formato da pungitopo, corbezzolo ed erica. Edificato su un’emergenza granitica in posizione di altura a controllo delle risorse circostanti, il monumento rientra nella classe tipologica dei nuraghi misti: le caratteristiche architettoniche del nuraghe a corridoio e quelle del nuraghe a tholos si fondono, infatti, in un unico complesso. L’ingresso architravato e sormontato da un finestrino di scarico immette in un corridoio che taglia longitudinalmente l’intera massa muraria; a destra e a sinistra si aprono gli ingressi, anch’essi architravati, che immettono in vani di forma ovoidale irregolare con copertura a falsa cupola. Nell’ambiente di sinistra è consentita la visita solo nei mesi invernali, poiché, da aprile a ottobre vi stanzia una colonia riproduttiva di piccoli pipistrelli (Rinolophus hipposideros) che da secoli utilizza il nuraghe Majori come nursery e, pertanto, si evita che questi insoliti abitanti siano disturbati nel delicato momento del parto e dell’allattamento. In fondo al corridoio si apre l’accesso al cortile, di pianta semicircolare, delimitato da una cortina leggermente aggettante costituita da blocchi di dimensioni inferiori rispetto a quelli utilizzati nelle altre parti del nuraghe. Nell’estremità sud-ovest, tra la cortina e il corpo sud della torre, è ubicata la scala tramite la quale si accede al piano superiore; qui si può leggere parzialmente il perimetro di una struttura quasi circolare della quale restano in piedi alcuni filari. Alberto Ferrero Della Marmora, nel suo Voyage en Sardaigne, nel 1840 ipotizza l’esistenza di un altro ambiente sovrastante la camera situata al piano terra, e descrive il nuraghe sormontato da due torri. Il

monumento è stato oggetto di scavi archeologici nel 1986 e nel 1995. Durante le indagini sono stati rinvenuti materiali ceramici di uso quotidiano e in particolare teglie, tegami, ciotole, tazze, scodelle e forme chiuse come le olle. L’analisi dei tipi ceramici rinvenuti nel vano a del nuraghe Majori fornisce un inquadramento cronologico tra le fasi mature del Bronzo Medio e l’età del bronzo finale. Le fasi di vita del nuraghe vanno dal Bronzo Medio 3 alla prima età del ferro. Miriam Spanu

Balares La Società Balares nasce nel 2003 per tutelare, valorizzare e far conoscere il patrimonio archeologico sardo e in particolare del territorio di Tempio Pausania. Gestisce il sito archeologico del nuraghe Majori di Tempio Pausania. L’attività della società consiste nella presenza costante sul sito per consentirne la visita, fornendo informazioni di carattere non solo archeologico, ma anche naturalistico, turistico, culturale. Propone inoltre varie attività didattiche, come diversi tipi di laboratori finalizzati alla conoscenza e al rispetto del patrimonio culturale. Sede località nuraghe Majori 07029 Tempio Pausania (Olbia-Tempio) Info tel. 347 299 5933; e-mail: info@gallurarcheologica.com; Sito web: www.gallurarcheologica.com

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

infatti, poco piú di 400, anche se proiezioni di tipo statistico ne valutano il numero originario tra le 1000 e le 1400 unità. Questo tipo di edifici non raggiunge in genere altezze elevate e si distingue anche per una tessitura muraria che utilizza preferibilmente blocchi privi di rifinitura, poliedrici e di grandi dimensioni. La caratteristica principale, che costituisce la ragione del nome, è la presenza di uno o piú corridoi interni coperti da lastroni, anche con nicchie laterali, talvolta sopraelevati.

Ambienti angusti La presenza, su uno dei lati o sul fondo del corridoio, del vano scala per il terrazzo superiore consente di ipotizzare che, anche per questo tipo di nuraghi, la sommità del monumento fosse un elemento particolarmente importante, sia che risultasse a cielo aperto e priva di vani, sia che presentasse una o piú strutture con tetto di materiale deperibile. All’interno del nuraghe gli ambienti sono angusti e la massa muraria prevale sullo spazio utile. Rientrano nella categoria dei nuraghi arcaici anche i nuraghi «a camera naviforme» o di «transizione», ossia strutture esternamente del

tutto simili, per tessitura muraria e per planimetria, a un nuraghe a corridoio o, piú raramente, anche a un nuraghe a tholos, ma caratterizzate all’interno da un ambiente di pianta ellittica, piú o meno larga e allungata, definito da pareti aggettanti e terminante con una copertura di lastre orizzontali, cioè definibile, sulla base della sezione, a «ogiva tronca». Si tratta di monumenti piuttosto

Il nuraghe Loelle, presso Buddusò (Sassari).

Nuraghe Loelle, Buddusò (Sassari) L’area archeologica di Loelle si trova su un altopiano granitico, a 5 km circa dal Comune di Buddusò, ed è costituita da un nuraghe complesso, un villaggio e due tombe di giganti. Il nuraghe sorge su un affioramento roccioso, a quasi 800 m di altitudine. Si tratta di un nuraghe complesso di tipo misto, caratterizzato dalla compresenza di elementi tipici dei nuraghi a corridoio e dei nuraghi a tholos. È costituito da una torre centrale, alla quale si addossa un bastione trilobato, costruito con blocchi di granito di piccola e media grandezza. Al monumento si accede mediante un ingresso architravato, rivolto a sud-est, dotato di finestrino di

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scarico, che immette in un piccolo e breve corridoio dal quale si diparte la scala. Sulla destra dell’ingresso si trova una grande nicchia. La scala conduce a un altro corridoio, in origine coperto, che si snoda lungo il perimetro del muro esterno del nuraghe. A metà circa del percorso del corridoio, si apre un’altra scala, salendo la quale si raggiungono il secondo piano e la camera principale, di forma circolare, della quale rimangono i muri perimetrali e una piccola nicchia. Nel paramento murario esterno, a destra dell’ingresso al monumento, si apre un secondo ingresso, che si trova a un livello di 1 m circa piú basso del

piano di campagna attuale. Questo ingresso immette in un vano semicircolare, coperto da volta a tholos, che non comunica con gli altri ambienti del nuraghe e che veniva probabilmente utilizzato come ripostiglio. Si ipotizza che il nuraghe sia stato realizzato in due fasi, nato come nuraghe a corridoio e poi trasformato in struttura complessa. Intorno al monumento è presente il villaggio di capanne circolari; una di esse è stata scavata nei primi anni Novanta del secolo scorso e ha restituito materiali riferibili all’età del bronzo recente e finale. In tutta l’area circostante si possono inoltre


lastra orizzontale si configura come una tholos embrionale in cui sembrano ormai risolti i problemi tecnici di statica che l’ampliamento della superficie di base del vano e dell’altezza del soffitto necessariamente comportano. I nuraghi a corridoio, cosí come quelli a «camera naviforme», nonostante appaiano in genere meno sviluppati in altezza rispetto ai nuraghi classici a tholos, presentano spesso planimetrie articolate e di notevole complessità con superfici di rilevante estensione. Non sono rare strutture complesse «miste» in cui a una struttura principale a corridoio o di transizione vengono aggiunte parti strutturali con coperture del tipo a tholos: esemplificativi di questa particolare classe monumentale sono il nuraghe Majori di Tempio Pausania e il nuraghe Loelle di Buddusò. significativi per la ricostruzione dello sviluppo autoctono delle architetture nuragiche, poiché rappresentano l’elemento di raccordo tra i nuraghi a corridoio e quelli a tholos e, in questo senso, possono a buon diritto essere definiti «di transizione». La camera interna a corridoio allargato o a pianta ellittica rappresenta, infatti, una sorta di prototipo in cui la copertura costituita da filari aggettanti coronati da una

intravedere i resti di diverse strutture circolari interrate. Nel complesso era presente anche un pozzo, purtroppo scomparso nel secolo scorso, forse andato distrutto durante i lavori per la

Complessi difficilmente classificabili È importante rimarcare come numerosi nuraghi sfuggano a un tentativo organico di classificazione, poiché sono documentate molte varietà e soluzioni tecniche spesso scelte per adattarsi all’ambiente e alla conformazione litologica offerta dal territorio. In particolare, esistono nuraghi che non

realizzazione della vicina strada provinciale. Il monumento si inquadra nell’età del bronzo recente, con una modesta frequentazione nelle epoche successive, fino all’età tardo-romana.

A 100 m circa dal villaggio nuragico di Loelle si trovano i resti di due tombe di giganti, delle quali si conservano soltanto i blocchi basali. Giovanna Fundoni

Cooperativa sociale Liber La cooperativa Liber si occupa di servizi sociali, educativi e culturali. Per l’ambito culturale il suo obiettivo è promuovere il patrimonio archeologico, naturalistico e culturale dei territori di Buddusò e Irgoli, attraverso un’ampia offerta turistica fatta di escursioni, tour, esperienze e servizi di accoglienza. Gestisce l’Antiquarium Comunale e le aree archeologiche di Janna ‘e Pruna e Su Notante a Irgoli, il centro di accoglienza turistica, l’area archeologica di Loelle e il Museo d’Arte Contemporanea (MAC) a Buddusò. Sede corso Vittorio Emanuele 79 – 07020 Buddusò (Sassari) Info tel. 0795 610041 oppure 391 1728514; e-mail: info@visitbudduso.it; sito web: www.visitbudduso.it

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

rientrano nella categoria di quelli a corridoio, né di quelli a tholos; si tratta di strutture che nelle murature sfruttano la roccia naturale, che diventa l’elemento architettonico predominante e, se di natura granitica, offre anche la possibilità di utilizzare vani ipogei. A partire dalla media età del bronzo, si afferma nell’intera Sardegna un’organizzazione sociopolitica unica, caratterizzata dalla spiccata omogeneità delle principali manifestazioni monumentali, rappresentate da nuraghi e tombe collettive. Tale evidente uniformità culturale è particolarmente significativa se si considera il contesto geologico e geomorfologico della Sardegna, caratterizzato da accentuate differenziazioni sub-regionali. Infatti, nonostante il composito mosaico di morfologie ed ecosistemi, qualsiasi zona

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dell’isola rivela un paesaggio fortemente permeato dalle sue torri di pietra e chi la percorre non può non restare colpito dal numero considerevole dei nuraghi disseminati ovunque. Un conteggio preciso dei nuraghi monotorre a tholos non è a tutt’oggi stato ancora realizzato, ma il numero totale piú plausibile, considerando anche quelli andati (segue a p. 48)


Sulle due pagine il nuraghe Santu Antine, presso Torralba (Sassari). La veduta dall’alto (qui sopra) permette di apprezzare la sagoma trilobata del bastione a pianta triangolare, al centro del quale si eleva la poderosa torre (foto qui accanto), che in origine superava i 20 m d’altezza.

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L’ARCHITETTURA NURAGICA Nuraghe Santu Antine, Torralba (Sassari) Il nuraghe Santu Antine è ubicato nella regione storica del Meilogu, su un pianoro denominato Cabu Abbas. Le prime indagini stratigrafiche furono condotte da Antonio Taramelli nel 1933 e interessarono la torre centrale e i bastioni. Lo studioso riferí dell’esigua quantità dei materiali rinvenuti e pubblicò solo quelli che ritenne maggiormente rappresentativi. La situazione stratigrafica da lui rinvenuta nel cortile del nuraghe era distinta in tre momenti di frequentazione: uno di epoca eneolitica, uno pienamente nuragico e la fase finale di frequentazione dell’edificio in età romanorepubblicana. Negli anni 1965 e 1966 vennero effettuati lavori di restauro da parte del soprintendente Guglielmo

Maetzke, che si occupò anche dello scavo dell’area antistante il nuraghe, evidenziando la presenza di capanne pertinenti al villaggio. In seguito, nel 1983 e nel 1984 vennero condotti sondaggi stratigrafici a opera di Susanna Bafico e Guido Rossi, con lo scopo di verificare quanto riportato nei diari di scavo di Maetzke. A partire dal 2004, e a varie riprese fino al 2009, nell’ambito di un progetto di restauro dell’edificio curato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Sassari e Nuoro, venne indagato il deposito stratigrafico del pozzo. Il nuraghe è costituito da una torre centrale (A) dotata di tre piani, contenuta dal bastione trilobato a pianta triangolare. Due torri sono disposte ad addizione frontale, mentre In alto la scala in pietra che collegava i diversi livelli dei vani ricavati nella torre centrale del nuraghe Santu Antine.

la terza si trova alla convergenza di due corridoi. In prossimità del perimetro del bastione sono presenti diverse capanne circolari pertinenti al villaggio nuragico e alcune strutture rettangolari riferibili alla fase di frequentazione di età romana. La torre centrale ha dimensioni imponenti (diametro 15,50 m, altezza residua 18 m circa, stimata in origine circa 21 m) e conserva tre camere a tholos sovrapposte. Le prime due sono integre, mentre della terza si conservano pochi filari di base ed è possibile intravedere la prosecuzione del vano scala, che fa supporre la presenza in origine di un quarto piano adibito a terrazza. Il paramento murario è ottenuto con l’impiego di grandi blocchi poliedrici in basalto locale nei filari di base, mentre in altezza i conci risultano ben lavorati e di dimensioni minori. La


Nella pagina accanto, in basso uno dei corridoi interni del nuraghe. In alto la torre orientale del nuraghe, collegata a quella centrale con passaggi e corridoi. Nella fascia inferiore della muratura, si riconoscono varie feritoie.

porta di ingresso, collocata a sud-est, è sormontata da un architrave e dal relativo finestrino di scarico, immette in un corridoio coperto da lastre poste a piattabanda. Attraverso il corridoio è possibile accedere a vari ambienti: a sinistra, il vano scala conduce ai piani superiori, mentre sulla destra è presente un’apertura che porta a un corridoio anulare ricavato entro lo spessore murario della camera centrale. L’andito anulare è in comunicazione diretta con la camera attraverso tre diversi ingressi disposti nel tipico schema cruciforme, solitamente riservato alle nicchie, e termina al di sotto del vano scala. All’interno del corridoio è stato recentemente rinvenuto un pozzo per l’acqua. Un’ulteriore peculiarità architettonica è costituita dal vano ricavato sopra l’andito d’ingresso: si tratta di un piccolo ambiente con

copertura a tholos (2,60 x 3,50 m, alto 4 m), al quale si accede tramite una finestra sopraelevata collocata a 8 m d’altezza sopra l’architrave della camera centrale. A questa quota si trovano spazi tra i filari destinati ad alloggiare le travi che sostenevano un ballatoio ligneo: da questo livello superiore, raggiungibile tramite una scala di legno, si poteva accedere al vano sussidiario ubicato al di sopra dell’ingresso. La torre centrale è cinta da un bastione dotato di tre torri angolari unite da cortine murarie. A sud-est si apre l’ingresso che, attraverso un corridoio, conduce al cortile: il piú ampio fra quelli interni ai bastioni nuragici (19,25 x 7,05 m), in cui è localizzato il pozzo che assicurava l’approvvigionamento idrico alla struttura. Dal cortile è possibile accedere direttamente alle due torri

frontali (est e ovest) e a due passaggi di raccordo che conducono ai corridoi principali che mettono in comunicazione le torri frontali con la torre nord. Vi sono inoltre altri due ingressi, sopraelevati rispetto al piano di calpestio, che conducono al piano superiore del bastione. All’interno della torre nord è stato rinvenuto di recente un ulteriore pozzo per l’acqua che, nelle fasi di vita finali del monumento, venne utilizzato per scopi rituali. Scavata solo parzialmente, l’area del villaggio è costituita da una quindicina di capanne circolari e sub-circolari pertinenti all’abitato nuragico mentre nel lato sud-est si individuano strutture di età romana impiantatesi sopra gli ambienti nuragici. L’area archeologica fu abitata a partire dal Bronzo Medio fino all’età del ferro e in seguito frequentata in età punica e romana. Noemi Fadda

Società Cooperativa La Pintadera La cooperativa La Pintadera nasce nel 1991 con l’obiettivo della tutela, valorizzazione e divulgazione del patrimonio archeologico, ambientale e culturale del territorio di Torralba. Si occupa della gestione di siti archeologici, museali e monumentali, di promozione del territorio e di laboratori didatticoeducativi. Attualmente gestisce l’area archeologica del nuraghe Santu Antine di Torralba e il Museo della Valle dei Nuraghi. Sede via Carlo Felice, 143 07048 Torralba (Sassari) Info tel. 079 847481; e-mail: nuraghes.antine@tiscali.it www.nuraghesantuantine.it

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

completamente perduti o non ancora individuati, potrebbe essere aggirarsi intorno alle 6500/7000 unità, ed è evidente, quindi, che si tratta di una quantità di monumenti tale da far sí che questo fenomeno architettonico abbia indirizzato la denominazione di un’epoca e di una fase culturale. L’entità numerica dei resti archeologici nuragici è decisamente troppo elevata perché si possa stilare un elenco di tutti i monumenti piú significativi. Il criterio di selezione seguito in queste pagine è quindi quello della segnalazione di casi particolarmente esemplificativi per la classe tipologica di riferimento.

Lo schema «classico» Se le strutture nuragiche piú antiche sono i nuraghi a corridoio, il tipo piú comune di nuraghe è però quello a tholos, la cui costruzione inizia in un momento avanzato del Bronzo Medio e avrà compimento nel Bronzo Recente. Il nuraghe «classico» corrisponde infatti a una torre tronco-conica costruita con filari concentrici di pietre di varie dimensioni, in genere con le piú grandi e irregolari disposte alla base e le piú piccole e regolari collocate nelle parti alte. Benché la costruzione sia realizzata in muratura a secco, talvolta tra le pietre si notano leggeri strati di malta di argilla con inzeppature di pietre piú piccole. Solo in pochi casi documentati (per esempio

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nuraghe Santu Antine di Torralba) è attestata la pratica di realizzare le fondazioni dell’edificio mentre piú comunemente il filare basale poggia sul banco di roccia naturale o su un piano regolare di terra, o, ancora, in rari casi, i nuraghi possono essere edificati su una piattaforma artificiale realizzata per livellare il piano di fondazione evidentemente poco idoneo ad accogliere l’impianto della struttura. Come per quelli a corridoio, anche nei nuraghi a tholos l’ingresso è costituito da un’apertura a luce trapezoidale o quadrangolare, sormontata da un architrave e che immette in un corridoio coperto con soffitto piatto di lastre orizzontali oppure a «schiena d’asino», ossia con sezione ogivale determinata dall’inclinazione progressiva delle pareti. Lo schema «canonico», il piú diffuso, prevede che nel corridoio d’ingresso vi sia a destra una nicchia e di fronte, a sinistra, il vano scala con sviluppo a spirale che, tramite gradini o piano inclinato, conduce alla camera del piano superiore o al terrazzo; questo schema può presentarsi invertito, con scala a destra e nicchia sulla sinistra oppure, negli esemplari piú antichi, può non esserci la scala, talvolta sostituita da una scala interna alla camera. Sono note, infatti, anche camere provviste di scala di camera sopraelevata dal suolo e quindi evidentemente raggiungibile mediante scale retrattili di legno o corda. Questo particolare si

In alto, a sinistra veduta del bastione e della grande capanna con feritoie (sulla destra) del nuraghe Losa, presso Abbasanta (Oristano).


Veduta aerea del nuraghe Losa, composto da una torre centrale, cinta da un bastione di forma triangolare costituito da tre torri.

può notare nella torre laterale nord-orientale del nuraghe Losa di Abbasanta. Il corridoio d’ingresso conduce alla camera principale circolare coperta a tholos, ossia con soffitto cupoliforme, realizzata attraverso la sovrapposizione di filari concentrici aggettanti, sporgenti verso l’interno sino a concludere in un culmine costituito da una pietra di chiusura, priva di funzione statica, poiché l’intera struttura della volta si autosostiene attraverso un sistema di spinte reciproche tra pesi delle singole pietre. La sezione della volta a tholos – con ogiva piú o meno stretta e alta – è stata spesso considerata un indicatore per valutare la maggiore o minore antichità dell’edificio. Secondo Giovanni Lilliu (1914-2012), infatti, le sezioni strette e lanceolate delle camere a

ogiva sembrano essere piú antiche di quelle in cui il rapporto tra diametro della pianta e altezza dell’alzato è vicino a uno, mentre le piú recenti sarebbero quelle in cui il diametro è maggiore dell’altezza della cupola. Alcune camere erano predisposte, attraverso riseghe nella muratura, per la messa in opera di un soppalco ligneo. Alla base del perimetro circolare della camera si aprono una, due (come nella torre centrale del nuraghe Santa Barbara di Macomer), oppure piú comunemente tre nicchie disposte a croce (come nel nuraghe Santa Cristina di Paulilatino e nella torre centrale del nuraghe Losa). Il piano superiore può quindi presentare una camera analoga a quella del piano terra (segue a p. 52)

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L’ARCHITETTURA NURAGICA Nuraghe Losa, Abbasanta (Oristano) Presso l’area archeologica del nuraghe Losa, oggi nel territorio del comune di Abbasanta, è visitabile uno dei complessi piú significativi della civiltà nuragica. Punto cardine dell’area archeologica è il nuraghe trilobato, attorniato da un esteso insediamento di 3,5 ettari circa, indagato solo parzialmente. Sono presenti anche resti di edifici di epoca tardo-punica, romanorepubblicana, romano-imperiale, tardo-romana e bizantina e una necropoli romana. La maestosità del monumento ha da sempre attirato

l’attenzione degli studiosi: alla fine dell’Ottocento il nuraghe fu rilevato da Alberto La Marmora. Nello stesso periodo, nel 1890, venne effettuato lo scavo archeologico della struttura. Fu Giovanni Pinza, nel 1901, a pubblicare i dati dello scavo e a rielaborare i rilievi del nuraghe. Nel 1915 Antonio Taramelli riprese gli scavi, concentrandosi sull’area esterna e portando in luce alcune strutture che circondano il nuraghe: lo studioso scavò e identificò capanne ellittiche e sub-circolari che, sulla base dei materiali ritrovati, identificò

come romane. Interventi di scavo condotti poi nel dopoguerra evidenziarono nuovi settori dell’abitato dentro la cinta muraria. Negli anni Settanta, l’allora soprintendente Ferruccio Barreca scavò altre strutture abitative quadrangolari di età romana e altomedievale e si occupò del restauro del nuraghe. Dal 1989 al 1994, Vincenzo Santoni, Paolo Benito Serra e Ginetto Bacco condussero ulteriori indagini su altri settori dell’insediamento nuragico e di epoca storica. Negli stessi anni furono eseguiti interventi di restauro e consolidamento. Il complesso archeologico è collocato al centro del vasto altopiano basaltico di Abbasanta, a 317 m di quota, su un lieve rilievo del terreno roccioso, non lontano dall’abitato moderno. Chi percorre la strada statale 131 «Carlo Felice», fra i km 123 e 124, viene attratto dall’imponenza del monumento, che si staglia massiccio sul paesaggio circostante. Il nuraghe Losa è del tipo complesso a tholos, composto da una torre centrale, cinta da un bastione di forma triangolare costituito da tre torri. Al nuraghe si addossa l’antemurale, che in origine circondava l’intero bastione, mentre oggi ne è visibile solo la porzione nord-occidentale, caratterizzata dalla presenza di due torri collocate ai margini. Nell’insieme delle torri e della cortina si registra un’altezza media residua di 3,00 m. Inoltre, una cinta muraria circonda una vasta area. A sud-est, in prossimità del varco di accesso al bastione, si trova la capanna 1, una torre-capanna circolare (diametro esterno 10,50 m circa per 3,60 di altezza) caratterizzata dalla presenza di due ingressi, nicchie parietali e feritoie. Si tratta di una costruzione che A sinistra una delle torri del nuraghe Losa. Nella pagina accanto la camera centrale del nuraghe Losa.

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differisce in parte dalla tradizionale capanna nuragica; il ritrovamento di un pilastrino in trachite ha portato a ipotizzare una funzione rituale dell’ambiente. Il bastione trilobato (altezza residua 13 m) presenta un profilo concavo-convesso ed è munito di un ingresso architravato che consente di accedere alle torri sud-ovest e sud-est, mentre la torre nord/nord ovest è accessibile dall’esterno del bastione. Nella camera della torre nord/nord-ovest, a 2 m di altezza dal pavimento, si apre una scala che conduceva agli spalti e, collegandosi a un’altra scala, al mastio. Un piccolo vano con volta a ogiva e un silos troncoconico

sovrastano questa torre. Il mastio presenta un ingresso architravato orientato a sud est; esso immette in un corridoio che porta alla camera principale, circolare e dotata di 3 nicchie semiellittiche dove è possibile ammirare la volta a tholos perfettamente conservata. Seguendo uno schema tipico dell’architettura nuragica, il corridoio di accesso è dotato di una nicchia sul lato destro, mentre sul lato sinistro un’apertura fornisce il passaggio alla scala a spirale che porta alla camera superiore. Il vano scala era in origine illuminato da piccole finestrelle, occluse dopo la costruzione del bastione. È inoltre presente un

ripostiglio intramurario, accessibile tramite un’apertura alla base della parete. Il complesso archeologico è stato costruito in epoche differenti: tra il XV e gli inizi del XIII secolo a.C. venne edificata la torre principale (mastio). Successivamente, tra la metà del XIII e la fine del XII secolo a.C. furono innalzati il bastione, l’antemurale e la cinta muraria esterna. La capanna 1 si data, sulla base del materiale archeologico rinvenuto, tra la fine del XII e gli inizi del IX secolo a.C. L’area continuò a essere abitata, senza soluzione di continuità, nella prima età del ferro (inizi IX-seconda metà del VII secolo a.C.) e fino al VII-VIII secolo d.C. Noemi Fadda

Società Cooperativa Paleotur La società cooperativa Paleotur si occupa di valorizzare, gestire e custodire il patrimonio archeologico del territorio di Abbasanta. È titolare della gestione del Parco Archeologico del Nuraghe Losa, per il quale garantisce tutto l’anno l’accoglienza ai visitatori e le visite guidate. Presso la struttura offre il servizio caffetteria, editoria, vendita di artigianato artistico e souvenir. Gestisce anche il Meta Museo Etnografico di Abbasanta e la Mostra Archeologica di Su Monte a Sorradile. Realizza inoltre eventi culturali e propone anche laboratori didattico-educativi. Sede Località nuraghe Losa 09071 Abbasanta (OR) Info tel. 0785 52302 oppure 331 9128790; e-mail: info@nuraghelosa.net sito web: www.nuraghelosa.net

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L’ARCHITETTURA NURAGICA Nuraghe Santa Barbara, Macomer (Nuoro) Il nuraghe è posto a 648 m di quota, sopra un pianoro basaltico, a dominio della via naturale che dalla piana di Macomer porta all’altopiano di Campeda. Nelle vicinanze è presente una tomba di giganti, mentre su un modesto terrazzo, a una quota inferiore, è situata la muraglia megalitica di Pedra Oddetta. Si tratta di un nuraghe quadrilobato, che doveva essere circondato da un antemurale situato a 8 m da esso e rilevato da Alberto La Marmora, ma oggi non piú visibile. Il monumento è circondato da un insediamento non scavato, che mostra tracce di frequentazione dal Bronzo Medio fino all’età storica.

Il nuraghe è di tipo complesso: l’articolazione planimetrica è costituita da una torre centrale racchiusa da un bastione quadrilobato a profilo sinuoso, con cortile a cielo aperto. La torre centrale si conserva per un’altezza di 15 m: presenta tre camere sovrapposte, nicchia e scala d’andito. Il paramento murario è costituito da pietre di basalto locale disposte a filari. L’ingresso al mastio, rivolto a sud-ovest, di forma trapezoidale, appare sovrastato da un robusto architrave e dal connesso finestrino di scarico, e introduce al corridoio che porta ai piani superiori. A metà del corridoio, nel punto di massima larghezza, si aprono,

oppure un terrazzo a cielo aperto. Questo spazio era in origine provvisto di un aggetto – presumibilmente di legno –, un ballatoio sorretto da mensoloni di pietra che, in alcuni casi (per esempio nuraghe Losa), si conservano ancora in posto, ma la documentazione della loro posizione e funzione è data anche dai modelli in miniatura di nuraghi che forniscono un’immagine idealizzata, ma comunque su base realistica, di come

affrontati, gli accessi a una nicchia, a sinistra, e al vano della scala. La tholos della camera centrale è alta 9,6 m e presenta 19 filari: al suo interno, secondo lo schema consueto della architettura nuragica, sono state ricavate tre nicchie, due laterali e una in asse con l’ingresso. Al primo piano è presente una camera circolare ancora integra, priva di altri spazi accessori; continuando il percorso della scala si arriva a quella che doveva essere la terza camera circolare (3,10 m di diametro), della quale si conserva solamente la circonferenza, mentre nulla rimane del paramento murario che costituiva l’alzato. Il bastione

dovessero essere i monumenti integri. Sulla base di questi modellini è anche possibile ipotizzare che il terrazzo potesse accogliere una struttura, forse coperta con materiale deperibile, o che comunque l’accesso alla scala avesse una copertura per protezione. I materiali da costruzione prescelti sono rocce dure, ossia quelle del locale substrato litico, come il granito e i diversi litotipi vulcanici, tra i quali venne decisamente preferito il basalto, che fornisce in natura blocchi di varie dimensioni particolarmente adatti per la messa in opera di mura «ciclopiche». In una certa misura vennero utilizzate anche altre pietre locali, come l’arenaria, la riolite, il calcare. Tuttavia, a causa della natura piú tenera della roccia, il loro impiego venne piú di frequente riservato per le parti alte delle torri, dove venivano adoperate pietre di minore dimensione e peso e in cui era possibile ottenere effetti cromatici decorativi mediante l’alternanza di pietre piú chiare (toni del giallo, bianco, grigio, rosa) rispetto al basalto.

Come grandi castelli Il termine «nuraghe complesso» designa edifici composti da piú torri, in genere aggiunte a una preesistente torre isolata. Sono tuttavia noti

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A sinistra veduta aerea del nuraghe Santa Barbara, presso Macomer (Nuoro). A destra la torre centrale del nuraghe Santa Barbara, che si conserva per un’altezza di 15 m.


presenta una pianta quadrangolare caratterizzata da cortine murarie a profilo concavo/convesso che uniscono quattro torri angolari. Le torri e le mura di raccordo costituiscono il perimetro del cortile interno, antistante l’ingresso del mastio. Le murature esterne si conservano per un’altezza massima di 8,80 m nel lato nord-ovest; l’opera muraria è in blocchi di basalto sommariamente lavorati, disposti in filari abbastanza regolari. L’ingresso si apre nel lato sud-est, lievemente decentrato nella cortina, ed è in asse con la porta del mastio; un successivo breve andito, privo di spazi sussidiari, immette in un piccolo cortile, di pianta

sub-ellittica, che serve da disimpegno per gli accessi al mastio e alle due torri laterali del prospetto anteriore. L’indagine stratigrafica ha interessato il cortile, le due torri laterali e il mastio, mentre alcuni sondaggi all’esterno hanno messo in luce strutture riferibili all’abitato. Il deposito stratigrafico è stato interamente scavato in tutti gli ambienti del nuraghe, a eccezione delle torri C e E, ancora da esplorare. Il riempimento della camera del piano terra del mastio raggiungeva una potenza di 2,5 m: il suo scavo ha permesso di individuare quattro strati, di cui solo il IV ha rivelato una situazione integra, mentre gli altri erano

notevolmente rimaneggiati. La tipologia dei materiali rinvenuti denota una situazione di rimescolamento del deposito, vista l’associazione di frammenti di ceramica di età nuragica, romana e medievale. Numerosi sono gli esemplari di teglie e tegami con decorazione a pettine impresso, di cui è possibile cogliere l’articolato repertorio di motivi decorativi. Sulla base dei materiali rinvenuti la principale fase di vita del nuraghe Santa Barbara è ascrivibile al Bronzo Recente. Noemi Fadda Il sito è gestito dalla Cooperativa Esedra Escursioni (vedi info a p. 35).

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

nuraghi concepiti già dall’origine come strutture complesse, come sembra potersi dedurre sia dall’accentuata integrazione tra i diversi corpi che compongono il nuraghe sia dalle indicazioni fornite dai materiali archeologici nei contesti scavati (per esempio Arrubiu-Orroli). Allo stato attuale delle ricerche non è stata ancora elaborata una carta di distribuzione dei nuraghi complessi che permetta di stabilirne con certezza il numero, anche se l’archeologo Giovanni Lilliu ipotizzava l’esistenza di circa 2000 strutture del genere. I nuraghi appartenenti a questa classe monumentale, oltre a essere definiti

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«complessi» vengono denominati «plurimi» o «multipli», o anche «pluriturriti» e «polilobati»: si parla di addizioni frontali di una o due torri, con o senza cortile; addizioni frontale e laterale; addizione tangenziale di torri e cortili; addizione concentrica senza e con cortile. Il numero delle torri aggiunte rispetto alla torre centrale determina la definizione di bilobati, trilobati (per esempio nuraghe Losa, nuraghe Santu Antine), quadrilobati (per esempio nuraghe Santa Barbara, nuraghe Nolza di Meana Sardo, ecc.) sino ai pentalobati. La modalità di addizione concentrica con tre, quattro e cinque torri laterali è quella che ha

Veduta panoramica del nuraghe Nolza, edificato su di un rilievo denominato Cuccuru Nolza, 8 km a sud del paese di Meana Sardo (Nuoro).


dato vita agli edifici piú rappresentativi con spiccati caratteri di monumentalità. L’aggiunta delle torri laterali avviene attraverso un rifascio murario che, oltre ad assolvere allo scopo di unire i diversi corpi aggiunti, assicura uniformità e compattezza e accentua l’aspetto armonico e unitario della struttura. Le modalità di raccordo delle torri perimetrali si sviluppano con profili ad andamento sinuoso senza soluzione di continuità (per esempio nuraghe Loelle, nuraghe Santu Antine, nuraghe Santa Barbara, nuraghe Losa) oppure con decorso a linea spezzata composto da tratti rettilinei alternati alla sporgenza curvilinea

delle torri (per esempio nuraghe Nolza, nuraghe San Marco di Genuri). In particolare, i nuraghi complessi fanno supporre un’accurata progettazione, indispensabile per raccordare i vari corpi costruttivi con cortili, corridoi, scale e spazi accessori. È stato osservato come i complessi di forma geometrica regolare, come i trilobati «equilateri», rivelino una sostanziale uguaglianza nelle misure dei diversi lati (per esempio nuraghe Losa: 25 x 25 x 22 m; nuraghe Santu Antine: 37 x 38,90 x 39 m), che riporterebbe all’utilizzo di un’unità metrica compresa tra 54,4 e 56,07 cm.

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

Le modalità di collegamento tra le diverse torri delle strutture complesse seguono differenti soluzioni, che di frequente vedono la presenza di un cortile con funzioni di spazio di raccordo tra gli ingressi delle torri laterali – perlomeno di quelle posizionate sulla fronte del monumento – e quello della torre principale (per esempio nuraghe Santu Antine; nuraghe Nolza; nuraghe Santa Barbara; nuraghe San Marco). Se alcune delle soluzioni piú articolate prevedono la realizzazione di un corridoio anulare che consente di mettere in comunicazione tra loro le tre torri laterali come nel caso del nuraghe Santu Antine, in altri (segue a p. 61)

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Sulle due pagine il nuraghe Nolza, presso Meana Sardo (Nuoro). In basso, l’interno della tholos; a destra, una veduta aerea del bastione quadrilobato che racchiude il mastio del complesso.


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L’ARCHITETTURA NURAGICA

Una proposta per World Heritage UNESCO: Monumenti protostorici della Sardegna

L’

Associazione culturale no profit «La Sardegna verso l’UNESCO» ha avviato l’iter per il riconoscimento dei monumenti della protostoria della Sardegna nel Patrimonio Culturale Universale dell’UNESCO. L’istanza per il riconoscimento è stata approvata all’unanimità dalla Giunta e dall’intero Consiglio Regionale della Sardegna, con delibera del 30 settembre 2020. L’obiettivo è inserire tutte le manifestazioni architettoniche della protostoria sarda (nuraghi, tombe dei giganti, fonti e pozzi sacri, edifici templari) nel patrimonio tutelato dall’UNESCO. In tal modo sarebbe possibile assolvere a una duplice finalità: rafforzare la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico protostorico e, nel

contempo, accrescere le possibilità di fruizione di tali monumenti. Una vetrina come quella offerta dal riconoscimento UNESCO rappresenta, inoltre, un’occasione di crescita e di sviluppo economico per l’isola, in grado di fornire un forte sostegno alla crescita del turismo culturale. A sostenere il progetto in qualità di partner sono le Università di Cagliari e Sassari, il centro ricerche Crs4, il distretto aerospaziale della Sardegna (DASS), Confindustria Sardegna, la Regione e il Consiglio regionale, il Cagliari Calcio, il Fai, sindaci e consiglieri di oltre 350 comuni della Sardegna, le associazioni dei sardi nel mondo (FASI) e la rete delle Proloco e la Fondazione di Sardegna.

Nuraghe Nolza, Meana Sardo (Nuoro) Nuraghe Nolza è il monumento di età nuragica piú rilevante dell’intera area che lo ospita, compresa nel territorio comunale di Meana Sardo, piccolo centro della provincia di Nuoro al limite delle regioni storiche della Barbagia di Belví e del Mandrolisai. Il nuraghe Nolza è stato edificato su di un rilievo scistoso denominato Cuccuru Nolza, 8 km a sud del paese di Meana. È stato sottoposto a indagini di scavo archeologico sin dal 1994, quando appariva ancora completamente interrato e i dati relativi alla sua costruzione, frequentazione e ristrutturazione sono stati confermati dalla lettura delle strutture murarie. I primissimi scavi misero in luce un poderoso bastione quadrilobato, che racchiude il mastio e si innalza ancora oggi per un’altezza considerevole. Non è ancora chiaro se il bastione centrale fosse circondato da un antemurale, mentre è accertata la presenza di un esteso villaggio, di cui al momento non si conoscono le dimensioni precise (presumibilmente

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1,5-2 ettari): si intravedono soltanto alcuni resti affioranti di strutture circolari, di piccole e medie dimensioni, spesso ravvicinate, realizzate con blocchi semilavorati. La struttura quadrilobata ha subito nel tempo varie ristrutturazioni e la prima fase dell’insediamento è stata in parte nascosta e obliterata dagli interventi successivi: è questo uno dei motivi per

cui non abbiamo una precisa contezza delle strutture che componevano il nuraghe nel suo momento piú antico, collocabile nell’età del bronzo medio tardo (circa XV-XIV secolo a.C.). Già in epoca nuragica, la struttura fu oggetto di varie ricostruzioni e rifacimenti, che portarono al completo riempimento di una delle torri, occludendo cosí volutamente le feritoie

La cortina sud del nuraghe Nolza, per la cui costruzione si ricorse all’impiego di grossi massi in porfido che contrastano con il resto dell’originaria struttura in scisto.


I monumenti della protostoria della Sardegna prescelti per rappresentare il bene di cui si chiede il riconoscimento UNESCO sono 30 e tra essi vi sono nuraghi, tombe di giganti, fonti sacre, templi a pozzo, templi a megaron, abitazioni e altri edifici dei villaggi; sculture monumentali. Si tratta della tomba di giganti Coddu Ecchju di Arzachena; nuraghe Maiori di Tempio; pozzo sacro Predio Canopoli di Perfugas; nuraghe Palmavera di Alghero; complesso cultuale Romanzesu di Bitti; nuraghe Santu Antine di Torralba; nuraghe Appiu di Villanova Monteleone; fonte sacra Su Tempiesu di Orune; villaggio di Serra Orrios di Dorgali; nuraghe Orolo di Bortigali; complesso cultuale Sa Sedda ‘e Sos Carros di Oliena; nuraghe Losa di Abbasanta;

e la stessa scala che portava al terrazzamento superiore. È chiaro, quindi, che dal XII secolo a.C. questa torre non venne piú utilizzata. Nel complesso, la struttura del quadrilobato si presenta con forma leggermente asimmetrica e trapezoidale, aspetti dovuti all’adattamento del monumento alla collina su cui sorge. Il nuraghe è stato edificato per i 2/3 della sua altezza con massi poco elaborati in scisto (pietra locale) e posati a secco, mentre per il terrazzamento finale sono stati utilizzati conci in trachite policroma, lavorati con perizia. La torre centrale aveva due camere sovrapposte, con copertura a tholos, e quella di base con un pavimento di lastre di scisto. A ridosso delle cortine murarie sono stati trovati numerosi mensoloni e altri elementi di trachite perfettamente lavorati, forse appartenenti alle parti superiori del monumento. Oggi è possibile accedere al nuraghe oltrepassando un piccolo muro in scisto che grava sulle torri del

tombe di giganti Madau di Fonni; complesso cultuale Santa Cristina di Paulilatino; complesso cultuale S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili; necropoli di Mont’e Prama di Cabras; nuraghe Is Paras di Isili; complesso cultuale Domu de Orgia di Esterzili; complesso cultuale Santa Vittoria di Serri; tomba di giganti Sa Domu ‘e s’Orku di Siddi; nuraghe Arrubiu di Orroli; nuraghe Cuccurada di Mogoro; nuraghe Genna Maria di Villanovaforru; nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca; complesso cultuale Sant’Anastasia di Sardara; pozzo sacro Funtana Coberta di Ballao; nuraghe Seruci di Gonnesa; tomba di giganti Is Concias di Quartucciu; nuraghe Diana di Quartu Sant’Elena; nuraghe Arresi di Sant’Anna Arresi.

versante ovest. Durante il XII secolo a.C., i grandi lavori di ristrutturazione videro smantellate e ricostruite le torri D e C, del versante sud-est, l’occultamento dell’ingresso originario a est e l’apertura di un nuovo ingresso a ovest, apportando la variazione anche degli ambienti interni. La torre D e la cortina sud furono riedificati con grossi massi in porfido che contrastano con il resto dell’originaria struttura in scisto. La scala interna, composta da 21 gradini in scisto, è agevole e in buone condizioni, permette l’accesso al cortiletto esterno sul piano sopraelevato, che gli scavi hanno rilevato essere in origine coperto da lamine di sughero e da uno strato di argilla. Fra i materiali di risulta della rimozione delle antiche fasi di frequentazione si identificano forme tipiche delle fasi intermedie e finali del Bronzo Recente, quali fusaiole, scodelle e scodelloni, piccole scodelle a risega interna in ceramica grigia nuragica, ciotole carenate e olle a

colletto, che permettono di confermare la datazione del sito e l’utilizzo abitativo del monumento. Carmen Delogu

Cooperativa Ortuabis La cooperativa Ortuabis nasce nel 1984 dall’idea di un gruppo di giovani di Meana Sardo, che dal 1987 si occupano della cura e manutenzione di aree verdi e boschi. Da 21 anni gestisce l’area archeologica Nuraghe Nolza, valorizzando il territorio e le sue tradizioni con attività di promozione, organizzazione di eventi a tema, giornate didattiche ed escursioni. Propone escursioni archeologiche e naturalistiche, itinerari personalizzati, laboratori didattici di archeologia. Sede Località Nolza 08030 Meana Sardo (Nuoro) Info tel. 0784 64183; e-mail: ortuabis@tiscali.it

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L’ARCHITETTURA NURAGICA Nuraghe San Marco, Genuri (Medio Campidano) Veduta dall’alto del nuraghe San Marco, presso Genuri. È un nuraghe complesso, quadrilobato, costituito da una torre centrale circondata da quattro torri laterali.

Il nuraghe San Marco sorge alla periferia di Genuri, un piccolo centro agricolo ai piedi dell’altopiano della Giara di Gesturi, nella Sardegna centro-meridionale. Prende nome dalla vicina chiesetta campestre dedicata a san Marco. È un nuraghe complesso, quadrilobato, circondato da un antemurale e con un esteso villaggio. È costituito da una torre centrale circondata da 4 torri laterali, realizzate con grossi blocchi di basalto semilavorati. L’ingresso al bastione si apre a sud e immette in un ampio cortile a forma di mezzaluna, dal quale si accede alla torre centrale e a tre di quelle laterali. La torre centrale A è la piú grande e all’interno ha uno schema a croce, con due nicchie a nord, una delle quali coperta a ogiva, l’altra in parte crollata, e una di fronte alla scala. Le due torri B e C sono realizzate con

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un doppio paramento in blocchi di basalto e marna, squadrati o sbozzati, legati con malta di terra e rinzeppati. Entrambe si aprono sul cortile, cosí come la torre F, e sono caratterizzate dalla presenza di feritoie e nicchie. La quarta torre, L, è venuta parzialmente in luce nel corso delle ultime campagne di scavo del 2013. Il cortile è raggiungibile quindi da tutti gli ambienti interni, ma anche dall’esterno, attraverso un ingresso aperto nella cortina sud. In esso è presente un pozzo per l’approvvigionamento idrico dotato di ghiera, rinvenuto al di sotto di un vespaio datato al Bronzo Finale, momento in cui aveva perso la sua funzione probabilmente per un degrado strutturale del nuraghe, che portò a una generale ristrutturazione tra le età del bronzo recente e finale. Lo scavo del pozzo ha restituito

numerosi materiali ceramici, ossa, resti botanici (vinaccioli, cereali, legumi, semi di frutti tra cui il gelso e bacche come il lentisco) e frammenti di legno. Il monumento è circondato da un antemurale dotato di torri nei soli lati meridionale e occidentale del bastione, mentre non è protetta la parte verso la Giara. Questo aveva 5 torri, collegate da cortine murarie rettilinee, la cui pianta è quasi integralmente conservata, a parte il tratto sud-est nel quale le parti del nuraghe sono parzialmente obliterate da strutture tardo-antiche. Fu costruito nel Bronzo Recente, ebbe una fase di riuso e trasformazione nel Bronzo Finale e fu piú volte riutilizzato in epoca punica, romana e tardo-antica. La fase tardoantica è la meglio documentata con uno stanziamento esteso attorno al nuraghe, del quale restano parti di strutture rettilinee e tre sepolture. Giovanna Fundoni

Comune di Genuri Il comune di Genuri si trova nella provincia del Medio Campidano, nella regione storica della Marmilla. Paese prevalentemente agricolo, ha un importante patrimonio archeologico e culturale, nel quale spicca il nuraghe San Marco, monumento che il Comune intende promuovere e valorizzare. Sede piazza San Giuliano 3 09020 Genuri (Medio Campidano) Info tel. 070 9365128; e-mail: comune.genuri@alice.it; sito web: www.comune.genuri.vs.it


nuraghi il collegamento interno tra le torri laterali è parziale, limitato a due torri, mentre la terza ha un accesso autonomo dalla muratura esterna (nuraghe Losa). Molti nuraghi complessi, e pressoché tutti quelli che presentano un carattere di rilevante monumentalità, sono muniti di un sistema di muri, rettilinei o curvilinei, che collegano torri circolari, originando schemi poligonali che si sviluppano intorno al nuraghe, costituendo una cinta muraria esterna a esso. La cinta turrita che circonda il nuraghe denominata «antemurale» è ben documentata in tutti i territori in cui si rileva una notevole densità di torri nuragiche. Le mura turrite dell’antemurale si possono impostare direttamente sul bastione e svilupparsi solo per un tratto parallelo al nuraghe, come al nuraghe Losa e anche al nuraghe San Marco, oppure circondare l’intero complesso come nei casi piú noti di Su NuraxiBarumini, Arrubiu-Orroli, Palmavera-Alghero e Genna Maria-Villanovaforru.

Sull’altopiano dei cavallini

C

hiamato localmente «Jara», l’altopiano della Giara (di Gesturi) abbraccia una vasta area (45 km²) nel cuore della Sardegna, che si estende alla quota di poco piú di 500 m slm. Il nome italiano Giara ed il nome sardo Jara sono usati in questa parte dell’isola, ma non solo, per indicare altopiani basaltici o alture pianeggianti, spesso ricoperte di lava, e deriva probabilmente dal latino glarea, cioè ghiaia. Coperta in origine da fitti boschi, la Giara di Gesturi presenta oggi gli aspetti caratteristici di una tipica area mediterranea di cui l’uomo abbia condizionato la trasformazioneconservazione, dando vita ad ambienti molto diversi tra loro: boschi, macchia, gariga, praterie, prati. Tra i mammiferi che vivono sulla Giara, il piú noto è senza dubbio il cavallino della Giara, Equus caballus giarae e, poiché in Sardegna non sono noti ritrovamenti fossili di equini, si pensa che il cavallo sia stato introdotto probabilmente in epoca nuragica o in età punica (informazioni tratte da https://parcodellagiara.it/).

Le «feritoie» Le torri appaiono in molti casi caratterizzate da un paramento murario particolarmente sviluppato entro il quale vi sono aperture strombate verso l’interno, le cosiddette feritoie. A Su Nuraxi, le torri dell’antico antemurale hanno spessori di oltre 4 m e dieci feritoie aperte al livello pavimentale. I tessuti murari risultano nel complesso coerenti con quelli dei nuraghi e dei bastioni che li rifasciano, con grossi massi poligonali alla base e filari piú regolari e di dimensioni decrescenti nelle parti alte. Nelle torri dell’antemurale del nuraghe Losa, una parte della muratura è costituita da blocchi martellinati posti in verticale. L’altezza del muro degli antemurali può superare i 7 m e arrivare anche a 10, come ipotizzato per Su Nuraxi di Barumini. In molti casi la sostanziale verticalità delle pareti delle torri dell’antemurale e l’assenza di cupola litica fanno pensare che la copertura fosse lignea (torre-capanna).

In questa pagina paesaggi tipici della Giara di Gesturi, con una mandria dei suoi rinomati cavallini, appartenenti alla specie Equus caballus giarae.

Talvolta, in assenza di indagini di scavo, è difficile comprendere se si sia di fronte a casi di distruzione oppure se vi siano casi in cui l’antemurale non ha uno sviluppo completo e recinge solo parzialmente il nuraghe. Un caso emblematico può essere quello del nuraghe Losa, anche se è opportuno sottolineare che lo scavo non è stato esteso a quella porzione di terreno in cui potrebbero trovarsi le tracce del proseguimento del recinto. Qui, all’esterno della parete nordoccidentale e raccordato a essa, si sviluppa un tratto di antemurale costituito da due torri unite da un tratto murario a linea spezzata, con andamento NE-SO e cinque feritoie.

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

Un complesso grandioso e accuratamente pianificato

S

u Nuraxi di Barumini (Medio Campidano) è il primo nuraghe scavato con criteri scientifici (1951-1956, scavi Lilliu). Circondato da un antemurale turrito, il nuraghe ha una torre centrale piú antica, sviluppata su tre piani per un’altezza di 19 m circa, intorno a cui si imposta un bastione con quattro torri a due piani, raccordate da mura rettilinee. La realizzazione di queste strutture si colloca nell’età del bronzo medio avanzato, tra la fine del XV e gli inizi del XIII sec. a.C., mentre il villaggio di oltre 200 capanne che circonda il nuraghe si sviluppò nel Bronzo Finale e nella prima età del ferro. Gli studi finora condotti provano che a monte di opere come Su Nuraxi – che appartiene alla categoria dei nuraghi complessi – vi era una pianificazione accurata, che teneva conto anche dei numerosi apprestamenti accessori, indispensabili per garantire la piena funzionalità dell’insieme.

La torre piú settentrionale presenta otto feritoie e ha la tholos in parte crollata. A questa torre si addossa un muro rettilineo che, dopo 20 m circa, piega ad angolo retto e prosegue sino a un’altra torre a ovest. Un piccolo ingresso con architrave immette nello stretto cortile rettangolare delimitato dal muro dell’antemurale e dalla parete occidentale del bastione (definito da Lilliu in modo colorito «camera della morte»). L’utilizzo del termine antemurale, e quindi muro di difesa, è una scelta operata da Giovanni Lilliu

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che identifica questo tipo di apparato come un elemento importante di una «concezione difensiva di linee concentriche terrazzate, nella quale cioè le differenti parti si vanno elevando in gradoni destinati all’artiglieria (frecce, giavellotti, pietre e altri materiali bellici) dal campo circondante al centro della fortezza». Cosí lo studioso ricostruiva il sistema di difesa di cui l’antemurale dovrebbe costituire un dispositivo centrale per valenza protettiva. Se questa ricostruzione appare plausibile nel caso di Su Nuraxi e di altri edifici

Sulle due pagine vedute del Su Nuraxi di Barumini (Medio Campidano), il complesso nuragico di gran lunga piú noto dell’isola. Intorno al nuraghe vero e proprio, edificato in una fase avanzata del Bronzo Medio, si sviluppò un villaggio di oltre 200 capanne, che prese forma tra il Bronzo Recente e la prima età del ferro.


particolarmente maestosi, in altri casi emergono evidenti incongruenze, che consentono di avanzare qualche perplessità sull’efficacia del sistema difensivo messo in essere attraverso l’antemurale. In particolare, i dubbi sorgono sull’adeguatezza delle torri costellate di feritoie, non funzionali a una difesa con armi da getto; sulle mura a cremagliera che determinano angoli morti che limitano la visibilità; sulla posizione in piano delle strutture fortificate; sull’altezza spesso limitata e non adeguata delle cortine. Le fasi di edificazione sembrano quindi coincidere con le fasi avanzate del Bronzo Medio e il Bronzo Recente. Nel Bronzo Finale e nel primo Ferro sono ben documentati i casi in cui il villaggio che si sviluppa attorno al nuraghe invade lo spazio dell’antemurale talvolta sovrapponendosi ai tratti murari andati in rovina o forse appositamente abbattuti, occupando il cortile e

riutilizzando nelle costruzioni il materiale lapideo crollato dalle parti alte delle torri.

Le cinte murarie Oltre gli antemurali, sono documentate altre mura perimetrali che circondano non solo i nuraghi, ma anche gli antemurali e gli interi insediamenti. In genere, tali cinte murarie presentano spessori non inferiori ai 2 m, hanno un andamento planimetrico vario, spesso rotondeggiante o ellissoidale ma anche irregolare e sono del tutto o quasi sprovviste di torri. Le rare torrette circolari sporgono esternamente dagli spigoli, come negli antemurali (non piú di due o tre: per esempio nuraghe Losa). In qualche caso le torrette funzionano da vere e proprie porte a vestibolo, e sono inoltre provviste di feritoie, ma l’accesso è consentito anche da semplici aperture architravate non distinte dal profilo della muraglia, come nel nuraghe Losa.

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

Gli abitati I nuraghi rappresentano le unità costruttive proprie del popolo nuragico che, dal Bronzo Medio al Recente, incentra la propria vita intorno a questo singolare tipo di edifici. In alcune aree, la densità molto elevata dei nuraghi lascia infatti ritenere che la popolazione

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residente potesse essere tutta alloggiata al loro interno. Intorno a numerosi nuraghi, ma non sempre, sorgono strutture abitative definite comunemente capanne, che costituiscono raggruppamenti di varia entità numerica. Sulla base dei dati disponibili – ossia quelli fondati su indagini di scavo o sulla fortuita

La penisola del Sinis al tramonto.


visibilità delle strutture – l’identificazione è possibile solo per un numero limitato di casi. Con il termine villaggio di ambito nuragico, si intende usualmente un insieme di strutture – altresí dette capanne – costruite con uno zoccolo litico o, nelle zone di pianura prive di pietre, realizzate con materiale deperibile e/o

con mattoni crudi di fango, anche semi-ipogee. Questi agglomerati, che sorgono intorno a un nuraghe, ma anche, di frequente, isolati e in assenza di esso, sono caratterizzati dall’accostamento di vani di forma prevalentemente circolare definiti da un muro perimetrale alto 0,80-1,50 m circa; la copertura

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

Veduta a volo d’uccello (da sud verso nord) della penisola del Sinis, presso Cabras. In primo piano si riconoscono i resti di Tharros, uno dei piú importanti siti punici della Sardegna, e, qualche centinaio di metri piú a sud, quelli del villaggio nuragico di Su Muru Mannu (vedi box a p. 69).

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era lignea, piú raramente litica con lastre piatte, costituita da travi e travetti che poggiavano sulla base muraria, mentre al centro del vano era il focolare o una macina litica. Un aspetto rilevante è quello della contemporaneità, assolutamente non scontata, tra nuraghe e abitato, giacché è piuttosto frequente che lo sviluppo dell’insediamento di strutture abitative sia avvenuto in un tempo successivo alla costruzione del nuraghe, se non in un momento in cui questo era stato defunzionalizzato rispetto all’uso originario di abitazione. Infatti, nel Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.) e nella prima età del ferro (X-VIII secolo a.C.) si assiste alla massima diffusione e sviluppo degli abitati, che diventano l’unica forma di insediamento delle comunità, considerato che i nuraghi in queste fasi non vengono piú costruiti.

Aggregazione e sviluppo centripeto Le prime forme di abitato del periodo nuragico sono caratterizzate dall’accostamento di strutture a pianta circolare o ellittica e rettangolare presenti in raggruppamenti sparsi e disarticolati, anche se, in tempi abbastanza antichi nel Bronzo Medio, inizia il processo di aggregazione di ambienti circolari e quadrangolari, secondo uno schema che tenderà allo sviluppo centripeto dei complessi. A una fase del Bronzo Medio pieno o finale (XV-XIV secolo a.C.) è da riferire il villaggio di Su Muru Mannu di Tharros-Cabras, che costituisce un significativo esempio di agglomerato di strutture litiche in un’area, il Sinis, in cui prevalgono altri tipi di abitazioni, infossate e realizzate con materiale deperibile. La muratura è di pietre basaltiche costituite da massi di grandi dimensioni all’esterno, per un’altezza massima di 0,70 m, e da filari di pietre piú piccole all’interno. Le abitazioni sono a pianta circolare, improntate su almeno tre ordini di grandezza: un modulo piccolo (6-7 m²), uno medio (9-11,5 m²) e uno medio-grande (15,5-21 m²). Tranne in un caso, in cui due strutture presentano un tratto murario in

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

La sentinella del golfo

I

resti dell’antica Tharros sono situati sul promontorio del Capo San Marco, all’estremità nord-occidentale del golfo di Oristano, nel territorio comunale di Cabras. Fondata dai Fenici verso la seconda metà dell’VIII secolo a.C., Tharros passò sotto il dominio cartaginese alla fine del VI secolo a.C. E le testimonianze piú consistenti sono appunto riferibili a questa fase: si tratta di necropoli con tombe a camera ipogea, di un tempio, del tofet, nonché dei resti delle opere di fortificazione.

comune, gli ambienti hanno paramenti distinti e si presentano affiancati o distanziati l’uno dall’altro e collegati da tratti murari rettilinei e curvilinei; questi ultimi presentano una curvatura particolarmente accentuata, che delimita, in due casi, una sorta di piccolo vano laterale alla struttura. Gli ambienti e i muri di raccordo determinano lo sviluppo centripeto dell’insieme attorno ad almeno due corti, di cui la meglio definita, quella meridionale, è delimitata esternamente da un recinto aperto di dimensioni maggiori (40 m² circa).

Spazi per le azioni comunitarie

In alto veduta aerea di un settore dell’area archeologica di Tharros. Nella pagina accanto immagini del villaggio nuragico di Su Muru Mannu, presso Cabras (Oristano). Dall’alto,

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una veduta zenitale dell’insediamento; un particolare dei resti delle capanne, che avevano pianta circolare e si trovavano in posizione isolata oppure accorpate intorno a un cortile.

Tale organizzazione di spazi indipendenti, ma che gravitano attorno a uno spazio di raccordo, sembra far presupporre lo svolgersi delle attività quotidiane non confinato all’interno dell’ambiente chiuso in muratura, ma proiettato verso l’area all’aperto, nell’ambito di azioni familiari comunitarie. Questo tipo di strutturazione non doveva differire, nella sostanza, da quella ipotizzabile per insediamenti privi di strutture litiche secondo un modello delineato da recenti indagini di scavo sempre nel territorio di Cabras (insediamento di Sa Osa) e, forse, ricostruibile anche per altri contesti in cui sono presenti «fondi di capanne», con o senza alzati di pietre (per esempio Piscin’Ortu, San Sperate). A Sa Osa, l’insediamento del Bronzo Medio avanzato sembra svilupparsi entro ambienti di diversa forma, dimensione e funzione – costituiti da strutture in negativo, infossate – dislocati in aree aperte entro le quali sono impiantati spazi funzionali alla combustione e alla cottura, alternati a pozzi per l’approvvigionamento idrico. L’estensione media degli abitati nuragici appare generalmente compresa tra un terzo di ettaro e un ettaro e mezzo, il che corrisponde a muraglie circolari o ellittiche lunghe da 200 a 430 m circa. È del tutto eccezionale la superficie occupata dall’insediamento del nuraghe Losa, pari a 3,5 ha (corrispondente a 705 m di lunghezza della muraglia); in generale, però, i villaggi in cui è testimoniata una


Il villaggio nuragico di Su Muru Mannu, Cabras (Oristano) L’insediamento di Su Muru Mannu occupa un’area situata nella parte orientale del promontorio di capo San Marco che chiude a nord il Golfo di Oristano e gode di una vista strategica sul golfo e su tutta la penisola del Sinis. A partire dal 1977, la campagna

di scavi condotta dal Centro Studio per la Civiltà fenicio-punica del CNR allo scopo di indagare il tofet di Tharros, offrí la possibilità di mettere in luce il preesistente villaggio nuragico. Dal 1981, in seguito al rinvenimento di reperti ceramici ciprioti di tradizione

micenea, l’interesse per l’insediamento nuragico crebbe e iniziarono le prime campagne di scavo sistematico, volte a stabilire la natura dell’insediamento. Il villaggio si estende su una zona a natura collinare, sulla cui sommità è possibile individuare le strutture capannicole e la grande muraglia che delimitava l’abitato (muru mannu = grande muro). Si tratta di un piccolo numero di capanne circolari, delle quali si conservano pochi filari, sia singole che accorpate attorno a un cortile, e di una struttura simile a un nuraghe del quale non è stata ancora accertata la natura. I materiali rinvenuti in situ permettono di datare solo le fasi iniziali del villaggio nuragico alla fine del Bronzo Medio, dal momento che l’insediamento del successivo tofet punico potrebbe aver contribuito alla distruzione dei livelli pertinenti alle fasi finali di vita. Noemi Fadda

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

Cabras, cittadina dell’Oristanese il cui territorio vanta un ricco patrimonio archeologico, con siti di varie epoche, come Su Muru Mannu, Mont’e Prama e Tharros.

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muraglia recintoria sono la minoranza. I villaggi di capanne vedono il massimo incremento nel Bronzo Finale e nella prima età del ferro con l’adattamento e la rielaborazione del modulo circolare secondo nuove soluzioni sintattiche, come gli isolati a corte centrale.

Nel caso degli impianti di questi orizzonti cronologici, la consueta difficoltà di una puntuale attribuzione culturale delle strutture viene in parte superata dall’evidente riconoscibilità dell’insieme architettonico, caratterizzato dall’aspetto centripeto e serrato del complesso.

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

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Sulle due pagine immagini dell’area archeologica di Tamuli, presso Macomer (Nuoro). Fra le peculiarità del sito, spicca la presenza dei betili, ben riconoscibili in entrambe le foto.

I vani appaiono, infatti, strettamente aggregati e, quando di nuovo impianto, sembrano perdere la pianta circolare in favore di una piú adattabile forma quadrangolare o ellittica, che meglio concorre a comporre il complessivo schema rotondeggiante. La fase costruttiva dell’isolato appare, in genere, organica e unitaria, e i muri di delimitazione delle unità abitative appaiono condivisi. Mentre la corte centrale acquista spazio, le dimensioni dei singoli ambienti sono piú piccole anche se nel complesso non si assiste alla riduzione degli spazi utili.

Soluzioni diversificate Benché alcuni caratteri dei complessi di queste fasi siano abbastanza evidenti e riconoscibili, non sembra di poter seguire una linea evolutiva univoca e lineare nel passaggio da un sistema che tende all’aggregazione (per esempio Su Muru Mannu) a uno che ha realizzato l’accentramento dei vani in un complesso

unitario (per esempio isolati 11, 20 e 42 nel villaggio di Su Nuraxi di Barumini). In molti casi si individuano complessi del Bronzo Finale e della prima età del ferro frutto di adattamenti e modifiche di preesistenti strutture circolari, alle quali furono apportate poche modifiche, allo scopo di ottenere una disposizione «a isolato». Sistemi aggregativi disarticolati possono individuarsi nel villaggio che circonda il nuraghe Santu Antine di Torralba e porzioni di strutture aggregate si ravvedono anche tra le costruzioni parzialmente messe in luce entro la cinta muraria del nuraghe Losa. Le strutture aggregate del villaggio di Abini a Teti appaiono piú definite e decisamente orientate a costituire unità tendenti alla disposizione centripeta intorno a un cortile centrale.

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

I luoghi dei morti Dagli inizi del Bronzo Medio le prime comunità che possiamo definire nuragiche, in quanto artefici di edifici a torre, occupano in modo diffuso ampi territori dove tra le prime evidenti manifestazioni dell’aspetto culturale, vi saranno le tombe di pietra, espressione dell’idea comune di monumentalità. Alle diverse principali classi di torri nuragiche (a corridoio, a tholos, complessi) corrispondono altrettanto grandiose costruzioni di ambito funerario. La sepoltura dei defunti della comunità avveniva, infatti, in edifici appositi, eretti a breve distanza dai nuraghi e dai villaggi. Non è stato calcolato, né è forse possibile valutare con esattezza, il rapporto numerico tra nuraghi e tombe, ma nelle aree a maggiore densità di monumenti, presso ciascun nuraghe è attestata la presenza da una fino a cinque tombe. Questi edifici – definiti nella tradizione popolare e, ormai, anche nella letteratura archeologica «tombe di giganti» – sono tombe collettive caratterizzate da una camera funeraria il cui ingresso si apre al centro della fronte e da una facciata concava definita da lastre ortostatiche o da

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filari di massi grezzi o isodomi (perfettamente squadrati), che delimitano uno spazio aperto semicircolare (esedra). Le strutture piú antiche (Bronzo Medio iniziale), contemporanee ai nuraghi a corridoio, sono realizzate con tecnica a ortostati, con lastre disposte secondo lo schema dolmenico del trilite con una stele al centro dell’esedra (grande lastra monolitica o bilitica con la parte superiore curvilinea e portello di ingresso alla tomba), mentre le costruzioni piú evolute (Bronzo Medio avanzato) hanno la copertura con filari aggettanti e sezione ogivale, la struttura a filari anche isodomi e sono privi di stele (sul culmine della fronte è una lastra con incavi e dentelli per l’alloggiamento di betilini votivi; come, per esempio, a Tamuli). Contemporanei alle tombe di giganti piú antiche sono alcuni ipogei, riutilizzati o di nuovo impianto, con stele scolpita sulla parete di roccia dell’ingresso, diffusi in un’area limitata alla Sardegna nord-occidentale. (segue a p. 78)

Nella pagina accanto due immagini della tomba 1 di Tamuli, appartenente alla categoria delle tombe di giganti e caratterizzata dalla presenza di betili. In questa pagina la parte sommitale di due dei betili ancora in posto a Tamuli.


Tamuli, Macomer (Nuoro) L’area archeologica di Tamuli è situata a pochi chilometri da Macomer, nella Sardegna centro-occidentale, sul declivio del monte di Sant’Antonio. Il complesso è costituito da un nuraghe a corridoio, un villaggio e una necropoli di tre tombe di giganti, che si datano tra il Bronzo Medio e il Bronzo Recente. Il nuraghe, che sorge su uno sperone di roccia basaltica, è a corridoio di tipo complesso, con torre centrale a corridoio e corpo aggiunto frontalmente. Ai suoi piedi si estende un villaggio di capanne a pianta circolare o ellittica ed entrambi sono circondati da un antemurale realizzato in blocchi di trachite sbozzati, che ingloba nel suo percorso diversi affioramenti rocciosi.

Tomba 1 La tomba 1 è la piú nota per il suo stato di conservazione e per la peculiare presenza di betili. Ha un corridoio funerario rettangolare e absidato che doveva essere chiuso a ogiva, del quale rimane parte del rivestimento interno di lastre ben squadrate. Sono ancora presenti due ortostati lavorati e la lastra di testata del corridoio con riseghe laterali. All’esterno la tomba ha un’ampia esedra semicircolare, lungo la quale è presente un bancone-sedile, ed è delimitata da una serie di lastroni la cui altezza degrada dal centro verso gli estremi. L’ingresso è arretrato rispetto alla muratura esterna dell’esedra, il portello è stato ricavato in una lastra piatta squadrata e forata, attualmente spezzata e mancante della parte sinistra. Al centro dell’esedra si trova ancora il suo chiusino, insieme al concio a dentelli e ad altri blocchi. Lungo il lato sinistro sono presenti sei betili in basalto ben lavorati: tre di essi sono lisci e identificabili come rappresentazioni maschili, mentre gli

altri hanno nella parte superiore due bozze coniche mammellari e sarebbero quindi rappresentazioni femminili. Nello spazio dell’esedra gli scavi hanno recuperato resti di vasi, tra cui olle con orlo a tesa interna, anche decorate all’esterno con motivi cosiddetti metopali, che alternano zone di forma geometrica lisce ad altre decorate, caratteristiche del Bronzo Medio pieno e tardo (che in seguito a tale ritrovamento vengono anche definite ceramiche tipo «Tamuli»). Sono stati inoltre recuperati frammenti di vasi globulari o carenati e tegami anche decorati a pettine, databili tra il Bronzo Medio e il Bronzo Recente.

Tomba 2 La tomba 2 ha un corpo rettangolare, purtroppo lacunoso. Il corridoio funerario ha la soglia sopraelevata rispetto al piano pavimentale, costituito da lastroni squadrati. Del paramento interno resta solo una lastra lavorata al centro del corridoio. Non resta traccia dei blocchi della copertura e dell’abside documentati da Alberto Della Marmora, se non un concio ad arco e il concio superiore della testata dispersi nell’area circostante. All’esterno l’esedra era delimitata da

ortostati, oggi in gran parte perduti, e dotata di un bancone-sedile basso.

Tomba 3 La tomba 3, o C, la piú lacunosa, è di ridotte dimensioni e presenta una fattura grossolana. Ha una struttura megalitica realizzata con pietre appena sbozzate disposte a filari, con una forma piú tozza delle classiche tombe di giganti e con gli elementi architettonici non ben distinti. Ha uno stretto corridoio di forma rettangolare irregolare, delimitato da un concio di testata e da due conci per parte, ma non è presente l’abside. I muri laterali sono costituiti da blocchi di dimensioni diverse. L’ingresso è segnato da due grandi blocchi, mancano le ali dell’esedra e la parte frontale è chiusa da piccole pietre, probabilmente disposte in occasione di un riutilizzo successivo. Mentre nella camera non si è trovato alcun manufatto, nello spazio antistante l’esedra, gli scavi del 2002 hanno restituito frammenti di vasi di età nuragica, in particolare tegami inornati e decorati a pettine. Giovanna Fundoni Il sito è gestito dalla Cooperativa Esedra Escursioni (vedi info a p. 35).

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L’ARCHITETTURA NURAGICA Mont’e Prama, Cabras (Oristano) L’area archeologica di Mont’e Prama si trova nella parte centrale della penisola del Sinis, a ovest dello stagno di Cabras. La prima attestazione in letteratura del contesto risale al XVII secolo quando padre Salvatore Vidal localizzò la presenza di un insediamento nella zona.

La scoperta e le prime indagini Nel 1974, durante lavori di aratura, vennero alla luce i primi frammenti di sculture calcaree. Le prime indagini archeologiche iniziano nel dicembre del 1975 e le campagne di scavo sistematico proseguirono fino al 1977, portando alla luce una necropoli costituita da sepolture individuali e 5200 frammenti di calcare pertinenti a un numero imprecisato di statue e modelli di nuraghe. In base ai dati ricavati dalle indagini archeologiche, sappiamo che la necropoli di Mont’e Prama venne utilizzata per alcuni secoli. La prima fase è collocabile tra il XII e il X secolo a.C. ed è rappresentata da un piccolo gruppo di tombe singole a pozzetto. I sepolcri sono poco profondi e di forma cilindrica: l’inumato era disposto in posizione rannicchiata, talvolta con un unico vaso come corredo e ricoperto da un piccolo tumulo di pietre. Tra il X e il IX secolo a.C. la necropoli sembra assumere un aspetto monumentale attraverso la realizzazione di nuove tombe a pozzetto, che differiscono dalle piú antiche per la sostituzione del tumulo di pietre con una lastra di pietra finemente lavorata. Agli inizi del IX secolo a.C. si datano ulteriori modifiche nella struttura delle tombe: vengono scavate nella roccia

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tenera e coperte con lastroni quadrati in arenaria e talvolta delimitate con lastre verticali sui fianchi (per tale motivo vengono definite sepolture a pseudo-cista). Le sepolture risultano allineate ai lati di una «strada» funeraria. Ogni gruppo di tombe è delimitato, sul lato che si affaccia alla strada, da un filare di lastre e da betili che, talora, superano i 2 m di altezza. A questa fase sono attribuibili le straordinarie statue e i modelli di nuraghe realizzati in pietra calcarea. Le tombe della terza fase sono senza corredo, a eccezione della tomba numero 25, all’interno della quale è stato rinvenuto un giovane maschio inumato accompagnato da un sigillo che imita uno scarabeo egizio, datato all’VIII secolo a.C. in base ai confronti. Attualmente risulta difficile stabilire con certezza il momento in cui le statue vennero distrutte. È certo che vennero ridotte intenzionalmente in frammenti, gettate tra la terra di una discarica di età punica del IV secolo a.C. e utilizzate per appianare un avvallamento del terreno. Nuove campagne di scavo, effettuate tra il 2014 e il 2016, hanno permesso di identificare altre 38 tombe, sia del tipo a pozzetto con copertura a lastra, sia con tumulo di pietrame. Sono state inoltre rinvenute due statue di pugilatori, la cui iconografia si avvicina a quella della statuetta di bronzo rinvenuta a Cavalupo di Vulci. Sono quarantuno gli individui trovati in deposizione primaria. Il rituale di sepoltura prevedeva che i corpi fossero deposti in posizione rannicchiata, con le ginocchia verso il petto e le caviglie incrociate, le braccia piegate e le mani appoggiate sul petto. Il genere

predominante è quello maschile: al momento solo un inumato è attribuibile con certezza al sesso femminile. Lo studio delle caratteristiche della dentatura ha permesso di notare che gli incisivi di ventuno dei trentasei individui dotati dei denti superiori erano a forma di «pala». Trattandosi di un fattore ereditario si può affermare che la necropoli di Mont’e Prama fosse destinata a una comunità caratterizzata da un elevato grado di consanguineità.

Il restauro delle sculture I 5200 frammenti delle statue rinvenuti nel corso delle campagne di scavo condotte tra il 1974 e il 1979, sono stati conservati per anni nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. A causa della carenza di personale, di adeguate strutture e finanziamenti, per molto tempo non fu possibile effettuare un restauro complessivo delle sculture e ci si limitò a interventi preliminari su alcuni frammenti significativi. Solo nel 2005, contestualmente alla creazione del Centro di Conservazione e Restauro di Sassari-Li Punti, tutti i frammenti furono trasferiti e venne dato avvio al progetto di restauro. L’intervento ha avuto una durata complessiva di quattro anni, dal novembre del 2007 al novembre del 2011. Attraverso un paziente lavoro di catalogazione, riconoscimento e ricongiungimento dei frammenti, è stato possibile ricomporre 24 statue antropomorfe, 12 modelli di nuraghe, un betilo e uno scudo di guerriero. Nonostante l’immenso lavoro effettuato, restano ancora migliaia di frammenti isolati e per tale motivo non è possibile stabilire con certezza quale fosse il numero originario delle sculture connesse all’area della necropoli scavata negli anni Settanta del secolo scorso. Le statue


Sulle due pagine particolari di alcune delle statue rinvenute a Mont’e Prama e oggi custodite presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Da sinistra, veduta frontale di un volto con gli occhi resi in maniera stilizzata, tracciando doppi cerchi incisi; il retro di uno dei grandi ritratti, che permette di vedere l’acconciatura in trecce della capigliatura; una testa sormontata da una sorta di elmo.

ornato, mentre la destra impugna una spada. Gli esemplari ai quali è stato possibile associare una testa offrono altri dettagli: i capelli sono acconciati in lunghe trecce ricadenti sul petto e sulle spalle; la fronte e il naso sono resi tramite un rilievo e gli occhi sono stilizzati in un doppio cerchio inciso. La tecnica dell’incisione è utilizzata anche per la resa della bocca. Attualmente le statue sono esposte in due musei isolani: presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari è possibile ammirare 18 esemplari (3 arcieri, 2 guerrieri e 13 pugilatori), mentre presso il Museo Civico Giovanni Marongiu di Cabras sono esposti 9 esemplari (3 arcieri, 1 guerriero e 5 pugilatori). Noemi Fadda Il Museo Civico Giovanni Marongiu di Cabras è gestito dalla Cooperativa Penisola del Sinis (info a p. 78).

rappresentano individui maschili e sono di dimensioni maggiori del vero, con un’altezza che supera i 2 m. Considerando gli esemplari piú recenti, rinvenuti nel 2014, i soggetti maggiormente rappresentati corrispondono all’iconografia del pugilatore (18): gli esemplari portano un gonnellino che, nella parte posteriore, termina a punta; l’avambraccio destro è protratto in avanti e protetto da un guantone, il braccio sinistro è portato sopra la testa e regge un grande scudo dalla forma ricurva. Gli arcieri (6) sono raffigurati con la mano sinistra protetta da un

guantone decorato e con l’arco appoggiato sulla spalla, mentre la mano destra è aperta in segno di saluto o preghiera. Negli esemplari dotati di testa, questa si presenta protetta da un elmo decorato con lunghe corna e con una cresta al centro. Indossano una placca posta a protezione del petto, sostenuta da fettucce alle quali, sulla schiena, è assicurata la faretra. Il tipo meno rappresentato è quello dei guerrieri (3 statue e uno scudo): questi esemplari sono dotati di un elmo cornuto e di una corazza riccamente decorata. La mano sinistra è protesa in avanti e regge uno scudo finemente


L’ARCHITETTURA NURAGICA

Già dal principio è però ampiamente documentata la deposizione dei defunti anche all’interno di sepolcri realizzati in tempi ben piú antichi come quelli neolitici ed eneolitici, sulla base di scelte che privilegiano la continuità con il passato nella ricerca di legittimazione del possesso di un territorio e di discendenza dai primi occupanti dello stesso. Accanto ad alcune tombe di giganti si trovano i betili, pietre fitte, lisce o con rilievi mammelliformi, talvolta associate nella stessa località come a Tamuli di Macomer. È ipotizzabile che la funzione dei betili, collocati a breve distanza dalle sepolture collettive, possa essere considerata analoga a quella delle statuemenhir del periodo eneolitico ossia quella di defunti eroizzati, antenati protettori e custodi del mondo dei morti. La monumentalità delle tombe di giganti,

Società Cooperativa Penisola del Sinis Dal 1983 la Cooperativa Penisola del Sinis promuove e valorizza il patrimonio storicoarcheologico e le specificità culturali, naturalistiche ed enogastronomiche del territorio comunale di Cabras. Gestisce il Museo Civico Giovanni Marongiu, l’Area archeologica di Tharros, la Torre Spagnola di San Giovanni di Sinis, la chiesa paleocristiana di S. Giovanni di Sinis e tutti i servizi connessi alla loro fruizione, quali visite guidate, percorsi tematici, laboratori e attività ludico-didattiche, eventi culturali in presenza e on line, itinerari, escursioni nel territorio, percorsi con trenino turistico «Il Trenino di Tharros», punti ristoro e bookshop con vendita di gadget culturali e prodotti locali. Sede via Tharros 163 – 09072 Cabras (Oristano) Info Museo Civico, tel. 0783 290636; Area Archeologica di Tharros, tel. 0783 370019; e-mail: info@penisoladelsinis.it; sito web: www.penisoladelsinis.it

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Sulle due pagine alcune delle statue di Mont’e Prama esposte nel Museo Civico Giovanni Marongiu di Cabras. Nella pagina accanto, nel riquadro l’ingresso dell’edificio che ospita il museo.


DOVE E QUANDO MUSEO CIVICO GIOVANNI MARONGIU Cabras, via Tharros Orario gli orari variano stagionalmente e possono essere reperiti sul sito web del museo Info tel. 0783 290636; www.museocabras.it

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

analogamente a quella dei nuraghi, sembra connessa alla volontà di manifestare l’occupazione di un dato territorio e, in questo senso, la posizione di elevata visibilità di alcune strutture funerarie sembra ribadire questa finalità. La tomba di giganti costituisce, infatti, un punto di riferimento nel paesaggio e, attraverso l’uso continuato nel tempo, consente di sancire il legame con gli antenati. L’area semicircolare antistante la tomba (esedra) è quella riservata allo svolgimento dei riti collettivi che, presumibilmente, ruotavano intorno alla commensalità attraverso il consumo di cibo e di bevande, come indiziato dai contenitori ceramici, con prevalenza di tegami per la probabile cottura di pani rituali, ritrovati sistematicamente entro questo spazio e sulla banchina perimetrale. Dentro la camera funeraria erano sepolti i defunti, sia in deposizione primaria, sia secondaria; per accogliere le nuove deposizioni venivano spinti sul fondo i resti delle precedenti, ma quando lo spazio si esauriva, si approntava un ossario attraverso lo scavo di

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una buca nello spazio dell’esedra. Insieme agli inumati venivano deposti scarsi elementi di corredo, oggetti di metallo (spilloni per sudario), pochi vasi e ornamenti personali.

Una società fortemente coesa Se valutiamo nel complesso gli aspetti culturali del periodo nuragico dal Bronzo Medio al Recente, sia in ambito civile che funerario, emerge una società a base familiare caratterizzata da forte coesione. Numerosi indizi attestano i mutamenti nella società nuragica del Bronzo Finale e prima età del ferro e, di conseguenza, ciò che si rileva nell’ambito funerario appare coerente con un generale fenomeno di trasformazione che investe le modalità insediative, l’organizzazione territoriale, i sistemi di produzione e le classi tipologiche dei manufatti. Nelle fasi del Bronzo Finale-prima età del ferro, benché continui l’utilizzo delle tombe di giganti, vengono realizzati anche sepolcri di diverso tipo per sepolture singole, come tombe a fossa e a pozzetto. Queste ultime sono state individuate

Resti del santuario nuragico di Janna ‘e Pruna, presso Irgoli (Nuoro).


in poche località, in gruppi piú o meno consistenti, tra i quali il piú importante per estensione e numerosità delle tombe è quello di Mont’e Prama di Cabras, che fornisce importanti informazioni riguardo il rituale – deposizione del defunto seduto entro un pozzetto cilindrico – e sulla composizione del gruppo sepolto. L’adozione del rituale individuale è quindi uno dei segnali del cambio profondo che investe ogni aspetto della società nuragica. La scarsità di ritrovamenti di questo tipo di sepolture è da ricollegare alla difficoltà di riuscire a individuare le tombe del tipo a pozzetto senza lastre, salvo scoperte fortuite e intercettazioni accidentali. L’evidenza del fenomeno è quindi sottodimensionata. Anche gli altri cambiamenti nei costumi funerari – individuabili nelle tombe senza esedra o nel riuso delle camere funerarie delle tombe di giganti – sono sintomatici di fattori di distinzione sociale cosí come l’incremento dell’uso di oggetti di corredo, spesso beni di pregio o di altri elementi distintivi dello status del defunto (armi).

Oltre ciò non si affievolisce, ma si rafforza, il legame con i luoghi e le tombe degli antenati, tra cui gli ipogei di impianto neolitico che vengono ancora utilizzati per nuovi seppellimenti e per riti in onore degli avi.

I luoghi del sacro Durante le fasi di nascita e sviluppo della civiltà nuragica (Bronzo Medio e Recente), il luogo della religiosità sembra coincidere con quello riservato ai riti per i defunti e, forse, per gli antenati, come si deduce dall’innalzamento dei betili aniconici presso le tombe. L’esedra delle tombe è lo spazio nel quale vengono deposte le offerte e in cui si svolgono le cerimonie comunitarie. La Sardegna di età nuragica è l’unica regione della protostoria italiana che abbia restituito strutture monumentali identificabili come edifici realizzati appositamente per il culto. Le espressioni piú evidenti della religiosità di età nuragica si manifestano, infatti, nell’ambito di numerosi complessi cultuali e nelle cospicue strutture monumentali, in gran parte connesse a rituali

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L’ARCHITETTURA NURAGICA

che prevedevano l’uso dell’acqua. Il quadro della documentazione è particolarmente ricco e diversificato, rappresentato oltre che da pozzi e fonti anche da edifici di pianta rettangolare (i templi detti «a megaron»), retto-curvilinea e circolare, e le cosiddette «rotonde con bacile», sebbene spazi per il culto vengano ricavati anche all’interno delle strutture abitative. Intorno ai templi si sviluppano agglomerati piú o meno estesi di capanne, probabilmente in gran parte utilizzate solo in coincidenza di festività e cerimonie religiose che catalizzavano l’incontro delle comunità insediate nel territorio, analogamente a quanto avviene ancora oggi nei santuari campestri cristiani.

Il culto dell’acqua La categoria piú rappresentata è indiscutibilmente quella degli edifici direttamente ricollegabili al culto dell’acqua e cioè pozzi e fonti sacre, strutture architettoniche che permettono di raggiungere una vena d’acqua presente nel sottosuolo o affiorante in superficie. In Sardegna, durante le età del Bronzo Medio e Recente, l’aspetto dell’architettura sacra non appare ben definito, sebbene non siano noti rinvenimenti di questi periodi in edifici di pianta rettangolare (templi a megaron) e in successivi fonti e templi a pozzo. Oltre a rari casi in cui la prima frequentazione dell’area sembrerebbe ascrivibile al Bronzo Medio, in un numero significativo di complessi santuariali e di pozzi sacri sottoposti a indagini di scavo sono stati recuperati materiali databili al Bronzo Recente. Lo sviluppo dei complessi cultuali e degli edifici incentrati sulla presenza dell’acqua o a essa connessi sembra prendere le mosse alla fine del Bronzo Recente, forse in relazione a una situazione climatica che determina una contrazione delle riserve idriche. L’ipotesi, avanzata da piú di uno studioso, non ha sinora trovato riscontri oggettivi probanti nelle, ancora troppo limitate, indagini paleobotaniche. I dati relativi a diverse zone europee portano a ritenere che nell’area nord-occidentale del (segue a p. 87)

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La fonte sacra di Su Notante, situata a poca distanza dal santuario nuragico di Janna ‘e Pruna e dedicata al culto dell’acqua.


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Sa Osa, Cabras (Oristano)

N

el territorio del Comune di Cabras, in prossimità della foce del fiume Tirso all’interno del Golfo di Oristano, lavori di costruzione di una strada intercettarono l’area di un villaggio dell’età del bronzo. Lo scavo archeologico di emergenza, condotto congiuntamente dalla Soprintendenza Archeologica di Cagliari e dall’Università di Sassari, si è svolto tra il 2008 e il 2009. L’insediamento ha la singolarità di essere pressoché privo di strutture litiche, mentre l’aspetto del contesto archeologico è caratterizzato da fosse, pozzi e silos di varie dimensioni, piú o meno profondi, ricchi di materiale fittile e reperti organici. Nell’ambito della protostoria della Sardegna, esso rappresenta una delle poche realtà archeologiche che offra un quadro completo sullo sviluppo dello sfruttamento di risorse naturali, delle tecnologie agricole, delle pratiche di allevamento e cattura, consentendo di ricostruire la dieta della popolazione ivi stanziata e di visualizzarne l’evoluzione in un arco di tempo che va dalle prime fasi del Bronzo Medio fino alla prima età del ferro. La località si trova sulla sommità di un terrazzo alluvionale antico e sulla piana alluvionale del Tirso, a 2 km circa dall’attuale linea di costa del Golfo di Oristano. La connessione dell’insediamento con le dinamiche fluviali e marine ha sollecitato l’avvio di un ampio programma di indagini geomorfologiche e geoarcheologiche svolte dall’Università di Cagliari, allo scopo di analizzare l’interazione tra fattori fisici e antropici in un ambiente per sua natura instabile, a causa delle ricorrenti esondazioni e per gli spostamenti del meandro fluviale. Oltre alle tracce di una frequentazione nell’Eneolitico iniziale e nel Bronzo Antico, è stata messa in luce un’ampia superficie corrispondente a un abitato del Bronzo Medio, caratterizzato da cavità di diversa forma e grandezza (da 5 a 17 m²) e da pozzi e pozzetti cilindroidi, incisi nelle alluvioni grossolane antiche. Le fosse apparivano colme di una grande quantità di materiale ceramico, litico, osseo e di elementi di concotto (pezzi informi di argilla cotta), recanti le impronte in negativo di rami e canne, riferibili a una coibentazione di argilla presumibilmente disposta sul soffitto e sulle pareti degli ambienti.

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Intorno alle cavità sono venuti alla luce suoli d’occupazione caratterizzati dalla presenza di focolari e piastre di concotto, queste ultime funzionali alla cottura del cibo, previo riscaldamento. Per alcuni pozzi è possibile ipotizzare funzioni originarie di rifornimento idrico e di conservazione delle derrate. Risultati straordinari provengono dallo scavo di alcuni pozzi che hanno restituito un ricchissimo contesto di fine Bronzo Recente-inizi Bronzo Finale, con resti di pesci di grossa taglia, legni anche lavorati, semi di varie specie, tra cui un

grosso quantitativo di semi di uva coltivata. I resti carpologici rinvenuti in grande quantità testimoniano un elevato grado di specializzazione in campo agricolo. Di particolare rilievo è la grande quantità di vinaccioli di uva (V. vinifera) recuperati all’interno dei pozzi e di semi di fico a essi associati (Ficus carica). Le analisi morfometriche dei vinaccioli hanno permesso di


Nella pagina accanto una veduta aerea (in alto) e l’interno di un pozzo (in basso) di Sa Osa. Qui sotto materiale archeologico affiorante in una struttura in negativo del sito.

scoprire che la maggior parte di essi appartenevano a varietà coltivate, rappresentando cosí uno dei dati piú antichi del Mediterraneo occidentale. Da uno dei pozzi provengono anche diversi semi di melone (Cucumis melo), la cui analisi al C14 ha fornito una forchetta cronologica compresa tra il 1310 e il 1120 a.C. (2 sigma). Il dato è di particolare importanza perché si tratta della piú antica evidenza in Europa occidentale. Tra gli altri resti vegetali, oltre all’uva e al fico, che costituiscono il 90% dei resti, si segnalano mirto, olivo, melone, prugnolo, mora di rovo e mora di gelso. I dati pollinici indicano che il territorio circostante il sito di Sa Osa era coperto dalla macchia mediterranea, in cui predominavano il ginepro e le Ericaceae. La presenza dei resti faunistici testimonia la pratica dell’allevamento di alcuni animali domestici come ovicaprini, suini e bovini, ma rivestiva un ruolo importante anche la caccia, documentata dalla presenza di resti di cervo e cinghiale. Tra i frammenti osteologici sinora studiati si riconoscono mammiferi che abitano

ambienti boschivi e altri che prediligono la macchia mediterranea ed emerge un ambiente fortemente antropizzato e utilizzato dall’uomo per il pascolo e l’allevamento degli animali domestici. Benché nella protostoria della Sardegna il ruolo della pesca sembri relegato in una posizione secondaria rispetto all’allevamento, nel sito nuragico di Sa Osa si osserva la presenza di una discreta quantità di resti di ittiofauna e di suppellettili ascrivibili ad attrezzature per la pesca che testimoniano un’economia basata anche sullo sfruttamento delle risorse ittiche. Il campione di resti ittici è composto da squame, vertebre, spine e porzioni ossee appartenenti a crani di grandezze variabili che attestano la presenza anche di esemplari di notevoli dimensioni. Lo studio dettagliato di questi reperti potrà fornire, oltre a informazioni di carattere tassonomico, dati sulla stagione di cattura, ma anche sul trattamento di questo tipo di cibo. L’attività della pesca è inoltre attestata dalla presenza, in vari contesti indagati, di utensili appartenenti all’equipaggiamento del pescatore: numerosi pesi da rete, un amo di bronzo e un arpione di osso. I pescatori di Sa Osa possedevano un alto grado di specializzazione delle tecniche di pesca, che consentiva le catture di specie marine che ben si adattano ad ambienti lagunari salmastri, come il muggine (Mugil cephalus) o la spigola (Dicentrarchus labrax) e l’orata (Sparus aurata). La presenza di tali indicatori, organici e inorganici, permette di ricostruire le attività di pesca che la comunità di Sa Osa esercitò soprattutto nelle fasi del Bronzo Recente e Finale, inserendo nella propria economia un consumo importante di ittiofauna, meno rappresentata nelle fasi piú antiche, caratterizzate invece dalla presenza di diverse specie di mammiferi selvatici e d’allevamento. I materiali ceramici e litici ritrovati nelle strutture in negativo e nei pozzi costituiscono insiemi omogenei e ben rappresentativi delle fasi di frequentazione dell’insediamento. I reperti sono conservati, e in parte esposti, nel Museo Civico «G. Marongiu» di Cabras. Anna Depalmas Vinaccioli d’uva (V. vinifera) restituiti dallo scavo di un pozzo e oggi conservati nel Museo Civico G. Marongiu di Cabras.

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Nella pagina accanto Su Tempiesu di Orune (Nuoro), fonte sacra monumentalizzata in forma di tempio, alla cui sommità vi è un timpano triangolare sul quale poggiava un acroterio che sosteneva venti spade votive di bronzo.

Mediterraneo le condizioni climatiche mediterranee si installarono intorno al 1050 a.C., durante l’episodio arido collocabile tra 1550 e 550 a.C. Tra Bronzo Recente e Finale le comunità nuragiche avrebbero iniziato a sperimentare una crescente variabilità nelle precipitazioni, con la conseguente ridotta produttività delle coltivazioni e con siccità estive piú lunghe della norma. Questa instabilità potrebbe anche aver preso le caratteristiche di un’autentica fase arida tra l’XI e il IX secolo a.C. La questione climatica e i problemi dell’interazione tra clima e impatto antropico tra età del bronzo e del ferro sono comunque ben lontani dall’essere definiti e necessitano di indagini di integrate paleobotaniche e palinologiche su contesti significativi da diversi comparti geografici della Sardegna. Un dato indiretto a sostegno dell’ipotesi di una crisi climatica di tipo arido proviene dall’insediamento di Sa Osa, dove, in un’area di circa 300 m², sono stati individuati circa venti pozzi, in gran parte datati alla fine del Bronzo Recente e al Bronzo Finale, interpretabili come il prodotto di un’intensa attività di ricerca di falde idriche, evidentemente non captabili con facilità e stabilmente.

Architetture monumentali Se, come si è visto, è possibile ritenere che già nel Bronzo Recente l’interesse per sorgenti o località in cui si svilupperà un edificio templare fosse già indirizzato in un senso che aggiunge significati al normale uso della risorsa, è nel corso del Bronzo Finale, e soprattutto nel Primo Ferro, che avviene lo sviluppo dell’architettura monumentale sacra e dei complessi cultuali. In molti altri casi il ritrovamento di materiali piú antichi nei luoghi di culto nuragici può riferirsi a una frequentazione dell’area precedente all’edificazione. Non si può escludere, infatti, che la localizzazione dei complessi sacri fosse determinata dalla preesistente sacralità del topos che, nel caso della maggior parte delle aree, coincideva anche con la presenza di una sorgente o una vena d’acqua. Potrebbe, infatti, essere riduttivo ritenere che le sorgenti siano

state considerate luoghi adatti al culto solo a partire dal Bronzo Finale-prima età del ferro quando si sviluppa il fenomeno della costruzione dei templi. La maggior parte dei complessi cultuali, quindi, consiste, come già detto, in pozzi sacri, cioè strutture architettoniche che permettono di raggiungere una vena d’acqua direttamente nel sottosuolo mediante la realizzazione di una costruzione ipogea composta da un ambiente ricoperto a tholos, costruito sopra il punto di raccolta dell’acqua e accessibile tramite una scala. Unitamente ai pozzi sono ben documentate le fonti sacre dove, in corrispondenza di un affioramento superficiale di acqua sorgiva, sorge un edificio che, quando conservato nell’alzato, si rivela di straordinaria imponenza e monumentalità. Il monumento meglio conservato – anche grazie a consistenti interventi di ripristino degli alzati murari – è quello di Su Tempiesu di Orune, in cui il tempio, alto 6,85 m, è formato da un vestibolo con banconi laterali, una scala e una cella coperta a tholos che raccoglie l’acqua della vena sorgiva; la sommità culmina con un timpano a triangolo acuto, sul quale poggiava un acroterio che sosteneva venti spade votive di bronzo. Benché oramai completamente distrutta nelle parti in elevato, si può supporre che la fonte sacra di Abini a Teti fosse simile a quella di Su Tempiesu, come indicano i numerosi blocchi residui accuratamente squadrati e sagomati, muniti anche di alloggiamento per le spade votive. Sia i pozzi, sia le fonti, ma anche i megara hanno un temenos, ossia una cinta muraria che circonda il tempio e lo distingue dagli altri edifici presenti nell’area. Oltre a queste classi monumentali sono ampiamente attestate strutture di pianta rettangolare o piú frequentemente circolare che, pur non disponendo di una fonte naturale di acqua, presentano all’interno vasche di pietra e/o bacili ricollegabili all’uso di un elemento liquido, appositamente portato nell’edificio templare. Fonti sacre, templi a pozzo, edifici di pianta rettangolare o circolare possono quindi sorgere

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Il recinto sacro di Abini, presso Teti (Nuoro), attorno al quale è stata rilevata la presenza di numerose strutture, alcune delle quali probabilmente legate ad attività cultuali.

isolati ma, piú di frequente, appaiono associati in modo da comporre spazi articolati di notevole complessità. La composizione di strutture di diverso tipo non avviene necessariamente in modo organico, ma talvolta entro un ampio areale, secondo una disposizione a quote differenti e non contigua dei diversi elementi, come per esempio a Janna ‘e Pruna di Irgoli. Solo per gli aggregati piú strutturati e complessi si utilizza il termine di santuario, che assume anche una rilevante connotazione nell’ambito di un’organizzazione spaziale che considera il complesso cultuale come elemento centrale di incontro delle tribú del territorio, da cui anche la diffusa accezione di santuario federale.

Aspetti ricorrenti e peculiari È stato già osservato come i santuari protostorici sardi presentino come caratteristiche ricorrenti: • la presenza di strutture stabili legate al culto; • la distinzione di forma e d’uso rispetto all’architettura civile; • l’evidenza di frequentazione estesa ai membri di piú di una comunità. Oltre a questi aspetti è opportuno considerare, come elementi connotanti il santuario, anche: • la ricorrente associazione di piú strutture monumentali con destinazione cultuale; • la complessità topografica. Alcuni dei piú noti santuari si sviluppano su un supporto orografico ben percepibile, costituito da un pianoro definito naturalmente. In altri casi, l’area entro cui si articola il complesso santuariale non è distinguibile con certezza, non essendoci limiti naturali e mancando una delimitazione artificiale, come una cinta muraria che circondi l’intera superficie: è il caso di Santa Cristina a Paulilatino che sorge non distante dal margine naturale di un altopiano vasto circa 450 km². In molti casi la nostra difficoltà nel comprendere lo sviluppo dei complessi è data dalla visibilità limitata o non ottimale delle strutture, determinata spesso dall’incompletezza delle indagini sinora svolte, (segue a p. 92)

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L’ARCHITETTURA NURAGICA Il villaggio-santuario di Abini, Teti (Nuoro) Il complesso nuragico di Abini sorge a 12 km circa dal paese di Teti, su un piccolo pianoro, in una valle circondata da colline alla cui base scorre il fiume Taloro. Il sito è inquadrabile nella categoria dei villaggi-santuari nuragici ed è costituito da un’area di culto con fonte sacra e recinto, circondata da un esteso villaggio. Attorno al recinto sacro vi sono numerose strutture, alcune delle quali probabilmente legate alle attività cultuali, ma l’insediamento si sviluppa in tutta l’area circostante, con edifici di diverso tipo e funzione. Saccheggiato da cercatori di tesori fin da tempi molto antichi, fu oggetto di numerose ricerche soprattutto a partire dall’Ottocento, quando divenne famoso per i ritrovamenti di straordinarie quantità di oggetti di bronzo (armi, strumenti, statuine). Si data tra Bronzo Finale e prima età del ferro.

stati trovati i blocchi perfettamente squadrati sparsi nell’area circostante. Proprio da questi si può ipotizzare una copertura, realizzata parte in trachite e parte in basalto, probabilmente simile a quella di altri monumenti, come la fonte di Su Tempiesu di Orune, alla quale rimandano i blocchi modanati che costituivano una sorta di timpano triangolare. L’uso di materiali di natura e colori differenti doveva conferire al monumento un particolare aspetto tricromo, riscontrabile in altri edifici cultuali nuragici, ottenuto con i colori rosa e grigio chiaro della trachite e grigio scuro del basalto. Sebbene nella vasca, scavata nel substrato di disfacimento del granito, si accumuli periodicamente l’acqua piovana, la fonte non è piú collegata alla sorgente

originaria, o comunque risulta ostruito il canale di immissione dell’acqua.

A sinistra la struttura 4 di Abini, un ambiente di forma quasi ellittica, il cui scavo ha restituito una grande quantità di ceramica e di ossa animali calcinate. In alto veduta dall’alto del recinto sacro, realizzato con un muro a doppio paramento in grossi blocchi di basalto semilavorati. La

struttura originale risulta in parte alterata dalla sua riutilizzazione, protrattasi fino agli anni Sessanta del Novecento. Nella pagina accanto una veduta dei resti del villaggio, composto da strutture a pianta circolare e sub-circolare, a oggi solo in parte indagate archeologicamente.

Il recinto La fonte è circondata da un recinto sub-circolare, realizzato con un muro a doppio paramento in blocchi di basalto semilavorati. Presenta due aperture, una a est e una a sud-ovest, ma l’autenticità della seconda è tuttora discussa. L’andamento del muro non rispecchia perfettamente la planimetria realizzata da Antonio Taramelli e in alcuni punti non presenta i caratteri propri dell’architettura nuragica, il che fa ipotizzare il rifacimento di alcune parti in tempi relativamente recenti. Fino agli anni Sessanta del Novecento, infatti, l’area è stata riutilizzata dai pastori come ricovero per animali.

La fonte La fonte doveva essere il principale edificio cultuale del complesso e si trova all’interno di un ampio recinto sub-circolare. Distrutta da scavatori clandestini, oggi è visibile solo per parte del perimetro anteriore e della base della vasca in cui si raccoglieva l’acqua. Era costituita da una cella circolare, un vestibolo e una struttura superiore, oggi distrutta, di cui sono

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Nella parte centrale si erge la fonte, che nella zona antistante aveva un pavimento lastricato, conservato in parte, dove nel secolo scorso furono trovati i ripostigli con i bronzi. Alla base del muro perimetrale del recinto sono presenti un bancone sedile e un affioramento roccioso, che conserva i fori in cui venivano fissati bronzi e spade votive. L’area a nord, nello scavo condotto nel 2013, ha restituito alcuni allineamenti di pietre apparentemente simili ai gradini o sedili noti in altri santuari nuragici, ma un attento studio delle loro caratteristiche e dei materiali ritrovati fa pensare si tratti piuttosto di una risistemazione dell’area con terrazzamenti o gradoni risalente alle fasi d’uso piú tarde del tempio. Tra i materiali ritrovati negli scavi antichi si annovera una ingente quantità di manufatti di bronzo tra armi, strumenti, statuine, ornamenti. Dagli interventi recenti vengono invece perle di pasta vitrea, vaghi di collana e bottoni, frammenti di lame e rivetti di

bronzo. Poca la ceramica, con olle a cordone, ciotole carenate, vasi con anse a gomito rovescio, ma anche rari frammenti di vasi di epoca storica.

Il villaggio Il villaggio si estende attorno all’area cultuale ed è costituito da numerose strutture circolari e sub-circolari, solo in parte portate alla luce. Gli ambienti indagati sono infatti quelli scavati da Taramelli nella prima metà del secolo scorso e quelli messi in luce durante le ricerche dell’Università di Sassari (2013-2018). Tra essi si evidenziano tre strutture situate vicino al recinto e scavate negli ultimi anni, forse pertinenze del santuario. La struttura 4, in particolare, è un ambiente di forma quasi ellittica, addossato alla struttura 3. Lo scavo del vano, delimitato da un muro a doppio paramento di pietre semilavorate, ha restituito una grande quantità di ceramica tra cui ciotole carenate, scodelle a orlo rientrante, scodelloni, olle con cordone e anse a

nastro, nonché ossa animali calcinate. La presenza di vasi capovolti e rotti in posto e la terra scura carboniosa hanno fatto pensare a un livello di rovina con i vasi caduti da un ripiano, forse in seguito a un evento improvviso come un incendio. Tra i materiali, spiccano anche sei lame di pugnale a lama triangolare di bronzo, rinvenute lungo il muro perimetrale. A sud dell’area cultuale è presente una sorta di isolato, con ambienti di varie dimensioni a pianta circolare o a ferro di cavallo. Alcuni sono provvisti di un bancone lungo il perimetro interno, pavimenti lastricati, nicchie e qualcuno conserva un discreto alzato. Pochi i materiali ritrovati, ceramica molto frammentata, elementi informi di bronzo e di piombo, una fascetta bronzea forse di bracciale, un anello, uno spillone e un pendaglio in forma di pugnaletto a elsa gammata. Sulla base dei ritrovamenti, questi edifici si datano tra Bronzo Finale e prima età del ferro. Giovanna Fundoni

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come per l’importante santuario di Abini. Benché siano note alcune associazioni ricorrenti di edifici – con strutture che ricalcano comunque quasi sempre classi tipologiche note – non sono documentati schemi rigidi e costanti nella composizione della topografia dell’area santuariale. I diversi edifici – fonte o pozzo, megaron, recinto, strutture rettangolari e circolari (con o senza bancone) – sono giustapposti senza un ordine evidente e con un’apparente

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anarchia nell’iterazione di un edificio invece di un altro. Ciò è particolarmente visibile a Romanzesu di Bitti, che presenta ben quattro edifici rettangolari all’interno di un villaggio di circa un centinaio di capanne, con un tempio a pozzo e un recinto gradonato per cerimonie. Le strutture riconducibili alla sfera del culto sono quindi pozzi, fonti, strutture a pianta rettangolare come templi a megaron ed edifici con pianta retto-curvilinea e circolare, ma spazi per il


Il santuario nuragico di Janna ‘e Pruna, presso Irgoli (Nuoro), la cui frequentazione, sulla base dei materiali rinvenuti nel corso degli scavi, si articola in due fasi, tra il Bronzo Finale e la prima età del Ferro.

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culto vengono ricavati anche all’interno delle strutture civili, come nuraghi e villaggi. Intorno ai templi si sviluppano abitati che sembrano avere carattere temporaneo o comunque una stretta correlazione con lo svolgimento delle feste comunitarie. Non sembra, invece, contemplata la commistione con un insediamento di carattere civile, sebbene esistano santuari che sorgono in contiguità di villaggi apparentemente non differenti da normali abitati (per esempio Abini). Tali strutture cultuali sorgono sia isolate – con limitati annessi tali da configurare il complesso come secondario o di valenza locale –, sia associate a edifici di vario tipo, che compongono un paesaggio sacro articolato, identificabile come un santuario di riferimento per ampie unità territoriali (cosiddetto santuario federale). È stato messo l’accento sulla difficoltà di elaborare una definizione univoca di santuario e rimarcata – nell’ambito dell’ampia e variata casistica – l’importanza del fattore architettonico quale elemento distintivo e connotante. Sembra evidente che il termine di santuario nell’ambito dei luoghi di culto debba

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riservarsi ai complessi dotati di una certa articolazione, ovvero compresenza di strutture differenziate e di particolare cura delle tecniche costruttive, nonché di cospicui depositi di materiali, caratteri che ne rendono chiara la distinzione rispetto a luoghi o edifici cultuali di schema semplice, che in genere non restituiscono depositi di oggetti comparabili.

Fonti monumentalizzate e pozzi sacri In Sardegna sono note 76 località in cui sono stati monumentalizzati una fonte oppure uno o piú pozzi sacri, tra cui si distinguono complessi in cui, entro un’estensione spaziale piú o meno ampia, si distribuiscono differenti strutture monumentali con destinazione cultuale. Si tratta di Serra Niedda-Sorso, Monte Sant’Antonio-Siligo, Romanzesu-Bitti, Janna ‘e Pruna-Irgoli, Gremanu-Fonni, Abini-Teti, Santa Cristina-Paulilatino, Sant’Anastasia-Sardara, Santa Vittoria-Serri. Oltre a questi, sono noti altri luoghi in cui edifici di pianta circolare e rettangolare si trovano associati senza che vi sia una sorgente naturale, anche se in quasi tutti i casi vasche di vario tipo e dimensione

Un’altra immagine del santuario nuragico di Janna ‘e Pruna, presso Irgoli (Nuoro). Cuore del complesso è un tempio, circondato da un temenos a pianta trapezoidale.


consentono di ricollegare questi santuari al culto dell’acqua (per esempio Su Monte a Sorradile). La complessità topografica che caratterizza i santuari si manifesta attraverso soluzioni non stereotipate, ma legate alla peculiarità morfologica del sito archeologico. Ne è un esempio il santuario di Janna ‘e Pruna di Irgoli, che sorge sul Monte Senes, in corrispondenza di un valico che collega la valle del Rio di Loculi/Siniscola a quella del Cedrino. Il complesso sorge a circa 600 m slm, in corrispondenza del passo ed è costituito da un ampio recinto che delimita un’area con ambienti sub-circolari e un piú piccolo temenos rettangolare, entro cui è un tempio di pianta circolare con vestibolo. Il resto del complesso si articola sul versante verso la valle, dove, alla distanza di 200 m circa, su un piccolo terrazzo, sono stati edificati un ambiente circolare con nicchie e una struttura rettangolare con gradoni. Un ulteriore elemento che completa l’insieme santuariale è rappresentato dalla fonte sacra di Su Notante, ubicata 100 m piú a valle, presso il Riu Remulis. Altri santuari (per esempio Santa Cristina, Romanzesu-Bitti) sorgono su altopiani in zone pianeggianti prive di delimitazioni naturali e artificiali. In entrambi i casi si nota la tendenza a disporre gli edifici in piccoli aggregati non contigui all’interno della superficie di sviluppo dell’area santuariale. L’impossibilità di una visione completa dello sviluppo del santuario si registra anche nel caso di Sant’Anastasía-Sardara, che si trova entro il tessuto abitativo moderno e anche di altre aree santuariali come Santa Cristina e Abini, dove lo scavo archeologico ha messo in luce solo una parte dei rispettivi complessi. Un’altra modalità di composizione degli ambienti cultuali è quella che ricalca lo schema dell’insula o capanna a settori a sviluppo centripeto intorno a uno spazio aperto centrale, che è ben esemplificato da Sa Sedda ‘e Sos Carros di Oliena. Nel complesso, anche se non è possibile generalizzare un fenomeno tanto articolato, si possono notare alcune linee di tendenza

ricorrenti in numerose aree santuariali: • l’associazione di piú edifici monumentali funzionali al culto, anche di differente tipo; • la presenza di sorgenti d’acqua (fonti o pozzi) e/o di templi di pianta circolare (con o senza atrio) spesso muniti di vasche; • la presenza di ambienti circolari o ellittici; • la presenza di strutture con sedili perimetrali.

Materiali importati e di colori diversi In tutti i casi sono evidenti il notevole impegno nelle architetture, spesso con l’utilizzo di materiale da costruzione importato da altre zone e sagomato accuratamente, e il largo impiego di elementi decorativi e di cromatismo ottenuto accostando litotipi di differente colore (per esempio Su Tempiesu; Abini). Altri elementi caratteristici che contribuiscono a connotare il santuario sono gli arredi di pietra funzionali al culto, quali tavole – lisce o con coppelle –, vasche di vario formato, sgabelli cilindrici, basamenti, blocchi predisposti per l’infissione di bronzi figurati e di spade votive, ecc., nonché le rappresentazioni simboliche come quelle diffusissime che riproducono in forma miniaturistica il nuraghe; la loro compresenza è ampiamente attestata (per esempio S’Arcu ‘e is Forros). Verosimilmente, i grandi complessi cultuali, definiti anche federali, possono identificarsi come sedi di potere e di coordinamento politico-religioso. In particolare, la loro ubicazione entro zone cruciali nell’ambito di una data regione sembra riconducibile a precise ripartizioni del territorio in distretti, nei quali la presenza delle strutture cultuali legate al culto delle acque sembra aver avuto un ruolo primario e determinante nella costituzione di tali nuovi assetti organizzativi, che si definiscono a partire dall’età del bronzo finale. Tali assetti prendono le mosse dalla fase di disgregazione del sistema territoriale attuato nel Bronzo Medio e Recente, basato sulla costruzione delle torri nuragiche, e dalla riorganizzazione della popolazione nell’ambito di villaggi di capanne con zoccolo litico impiantati intorno ai preesistenti nuraghi o

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lontani da essi. Sulla base di alcuni casi emblematici (come, per esempio, l’altopiano di Abbasanta o la penisola del Sinis di Cabras), sembra infatti che la diffusione dei villaggi sia orientata alla formazione di distretti distinti, utilizzando zone cuscinetto prive di insediamenti. All’interno di tali distretti, se si prendono in considerazione i villaggi di grandi dimensioni, si nota che la loro distribuzione sembra, di frequente, direttamente ricollegabile alla presenza nel territorio di alcuni edifici di culto, quali pozzi e fonti sacre.

Le offerte sacrificali di animali Nei santuari è possibile individuare sia spazi «pubblici», corrispondenti ad ampie zone a

cielo aperto recintate e anche con ambienti a «celle», sia spazi riservati per gli addetti al culto (templi di varia natura) e alle élite («capanne delle riunioni»). Nell’ambito degli edifici adibiti a spazi comunitari e cerimoniali la presenza di ossa di specie domestiche e selvatiche anche bruciate (resti faunistici riconducibili soprattutto a caprovini) fanno pensare a una liturgia in cui era contemplata la combustione di offerte animali, forse anche nell’ambito di pasti rituali comunitari, testimoniati indirettamente dalla presenza di grandi «coppe di cottura», calderoni, bacili. Non si conoscono le modalità di svolgimento dei riti e delle cerimonie nell’ambito dei santuari, né è chiaro come l’acqua venisse impiegata nell’ambito delle

In basso il tempio del santuario nuragico di Janna ‘e Pruna, presso Irgoli. Il paramento murario esterno si segnala per la particolare cura riposta nella posa in opera dei blocchi di granito che lo compongono, disposti in filari.

Il santuario di Janna ‘e Pruna, Irgoli (Nuoro) Il santuario nuragico di Janna ‘e Pruna è collocato a 12 km dal centro abitato di Irgoli, lungo la dorsale del Monte Senes (862 m slm). La strada che conduce al complesso archeologico (Irgoli-Norchio) ricalca le vie di comunicazione utilizzate in antico che, passando lungo il valico di Janna ‘e Pruna, collegavano la valle del Rio Cedrino e del Riu Siniscola. La zona presenta le tracce dall’insediamento umano dall’età preistorica fino a epoca medievale, a testimonianza dell’importanza di tale via di comunicazione. Il contesto ambientale nel quale è collocato il santuario è particolarmente suggestivo, sovrastato da imponenti emergenze granitiche e punteggiato dalle essenze arbustive tipiche della macchia mediterranea. Arrivati in prossimità dell’area archeologica, è possibile ammirare, a est, il Monte Senes e una veduta panoramica della valle del Cedrino, i monti Tuttavista, Corrasi e il massiccio del Gennargentu verso sud/sud est, il massiccio del Monte Albo verso nord nord/est e il golfo di Orosei a est.

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Le campagne di scavo condotte nel 2001 e nel 2003 hanno permesso di individuare un tempio circondato da un temenos a pianta trapezoidale. In prossimità dell’angolo sud/ovest del temenos è presente una struttura circolare pavimentata, compresa all’interno di un’ulteriore recinzione muraria. Il tempio ha un’apertura orientata a sud/sud-est ed è costituito da un atrio che conduce alla cella circolare. Il paramento murario esterno è formato da blocchi di granito disposti

in filari regolari sagomati a coda e con faccia a vista particolarmente curata. L’atrio era dotato di un bancone collocato ai piedi della parete ovest; la copertura del vano era probabilmente realizzata a doppio spiovente, con utilizzo di lastre litiche. Un ingresso architravato immette nella cella circolare che, in antico, doveva essere caratterizzata da una copertura a tholos; al centro del vano è presente un focolare caratterizzato da diverse fasi di utilizzo. Lo scavo ha consentito


Qui sotto la cella del tempio del santuario di Janna ‘e Pruna. In basso, a destra una veduta dall’alto del santuario.

cerimonie. Il tempio è la sede deputata alla deposizione di beni; tra questi, quelli in bronzo rappresentano una classe particolarmente preziosa, perché riproducono offerenti e offerte e permettono di avere un’idea piuttosto dettagliata dei beni deperibili donati nel santuario. I bronzetti, ossia le riproduzioni in bronzo di uomini, animali o manufatti, rappresentano spesso offerenti che donano al tempio arieti o montoni, prodotti della natura e

oggetti (per esempio spighe di grano, pelli conciate, e vasi quali brocche, olle, piatti o scodelle). Tra i beni presentati è ben individuabile una forma di pane o focaccia riprodotta con un incavo al centro e incisioni radiali, ma sembra di poter riconoscere altri pani di forma rotondeggiante e allungata e a ciambella, disposti sopra un vassoio circolare o rettangolare. Con tutta probabilità, sia gli oggetti di bronzo miniaturistici, sia gli animali sono indicativi della varietà di oggetti in scala reale donati al tempio. Non esiste invece alcuna raffigurazione riferibile a divinità e quindi ricollegabile al culto, per cui, a (segue a p. 102)

accuratamente squadrati. È ancora possibile ammirare, inoltre, un tratto di un poderoso muro di recinzione/ terrazzamento realizzato in grandi blocchi di granito locale che alla sua estremità nord si innesta a incastro di individuare due fasi di vita, collocabili, sulla base del materiale recuperato, tra il Bronzo Finale e la prima età del ferro. Tra i materiali rinvenuti si segnala la presenza di anse a nastro e a bastoncello decorate con punti impressi, frammenti bronzei riconducibili a una spada votiva, un pugnaletto a codolo, un lingotto piano-convesso e un frammento di palco di cervo in bronzo. Numerose sono anche le cosiddette colate di piombo, tipiche degli edifici sacri di epoca nuragica, utilizzate per fissare le offerte di bronzo alle basi votive litiche. Il temenos racchiude il tempio, definendo un’area presumibilmente riservata a sacerdoti o notabili. Ai due lati, lungo il paramento esterno, corre un bancone. L’indagine archeologica ha

restituito una mole considerevole di reperti, collocabili tra l’età del bronzo finale e la prima età del ferro: vi sono forme pressoché integre di ceramica d’impasto e due pugnali di bronzo a base semplice. Sono state recuperate anche alcune porzioni di basi votive provviste degli appositi fori di inserimento per gli ex voto di bronzo: una delle basi, realizzata in calcare, riproduce un nuraghe in miniatura.

La fonte sacra di Su Notante Scendendo lungo il pendio a ridosso del Rio Remulis, a una distanza di 250 m circa dal complesso sacro di Janna ‘e Pruna, s’incontra la fonte sacra di Su Notante. Dedicata al culto delle acque, la fonte è costruita su una sorgente perenne e presenta una facciata realizzata con blocchi di basalto

nella tessitura muraria del prospetto della fonte. Il monumento può essere collocato tra un momento avanzato del Bronzo Recente e l’età del bronzo finale (XII-X secolo a.C.). Noemi Fadda La gestione del sito è affidata alla Cooperativa Liber (info a p. 43).

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Il santuario nuragico di Santa Cristina, presso Paulilatino (Oristano), al centro del quale si apre un pozzo sacro, circondato da un muro a secco che costituisce una sorta di temenos.

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L’ARCHITETTURA NURAGICA Il pozzo e santuario di Santa Cristina, Paulilatino (Oristano) Santa Cristina è un complesso archeologico immerso in un parco di 14 ettari nel comune di Paulilatino, nella Sardegna occidentale. L’area comprende diversi monumenti archeologici e storici: il santuario con il pozzo sacro e diverse strutture cultuali circostanti, un nuraghe monotorre con villaggio, almeno tre capanne allungate di età storica, una chiesa circondata da piccole abitazioni temporanee, chiamate in lingua sarda «muristenes». Il santuario è costituito da un tempio a pozzo e da altri edifici connessi con il culto, come una capanna delle riunioni, un recinto e diverse strutture a schiera.

Il pozzo sacro Il pozzo sacro è forse il piú conosciuto e meglio conservato dell’isola. È costituito da un vestibolo, una scala e una camera coperta a falsa cupola o «tholos». Se si esclude il reintegro fatto nella parte alta della scala durante i restauri della metà del secolo scorso, la struttura oggi visibile è quella originale, della quale, però, non si conserva l’elevato esterno, se non per qualche filare del muro perimetrale.

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Qui sotto e nella pagina accanto, in alto due immagini della scala che scende al pozzo sacro del santuario consistente in una rampa di 25 gradini coperta da architravi disposti in modo speculare, che creano l’effetto di una scala rovesciata.

Nella pagina accanto, in basso sezione del pozzo sacro e della sua scala di accesso. In basso, in questa pagina il nuraghe Santa Cristina, un monotorre dalla forma semplice, tronco-conica, alto (attualmente) 6 m e largo 13.


Il pozzo è realizzato con blocchi di basalto finemente squadrati, ha una cella circolare con una vasca scavata nella roccia che raccoglie l’acqua di una falda perenne e una copertura a falsa cupola alta 7 m circa, che termina nella parte alta con un foro. Si discute se questo foro apicale desse luce al pozzo anche in antico o se fosse chiuso da una pietra ora non piú presente. Alla cella si accede per mezzo di un vano scala di forma trapezoidale, con una rampa di 25 gradini coperta da architravi disposti in modo speculare, che creano l’effetto di una scala rovesciata. All’esterno la struttura doveva avere una copertura che non si è conservata, forse realizzata in materiale deperibile. Davanti all’ingresso si apre un vestibolo, uno spazio rettangolare delimitato dalla struttura del pozzo stesso e dal recinto sacro, dotato di un bancone-sedile sui lati. Questa struttura è a sua volta circondata da un recinto, costituito da un muro a doppio paramento di forma ellittica con accesso sul fronte del pozzo, che doveva separare e delimitare l’area sacra. Il pozzo si data tra il Bronzo Finale e prima età del ferro.

Il villaggio del pozzo Nell’area attorno al pozzo sono presenti resti di un insediamento legato all’edificio cultuale, strutture forse connesse ai culti e alle attività che si svolgevano nel

santuario, forse anche rivolte ai pellegrini. Sono ambienti singoli, aggregati in gruppi o in isolati, di forma circolare, sub-rettangolare, allungata, o a schiera, realizzati con muri a doppio paramento di blocchi semilavorati. Tra le poche strutture scavate c’è l’ambiente A1, di forma sub-rettangolare, absidata sul retro e internamente divisa da un muretto trasversale, situata a nord-est del tempio a pozzo in un piccolo isolato creato attorno a un cortile comune. Gli ambienti A2 e A3, localizzati nella stessa zona, sono invece di forma circolare e purtroppo poco leggibili a causa dei danni arrecati in passato dai lavori agricoli. Gli ambienti A4 e A5 sono strutture in continuità, l’una a

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forma di ferro di cavallo aperta sul lato sud e l’altra tendenzialmente ellittica, allungata e divisa in due vani da un muro interno. Si aggiungono due serie di strutture affiancate o disposte a schiera situate a nord est e nord ovest del pozzo, ambienti aperti su un lato di forma quadrangolare e a ferro di cavallo, che trovano confronti con strutture simili presenti in altri santuari dell’isola, come Santa Vittoria di Serri. Se ne ipotizza un uso per attività commerciali o legate al tempio. Nel terreno affiorano i resti di altri edifici interrati, spesso danneggiati,

meno che non si voglia pensare a un idolo aniconico – comunque non comprovabile sulla base dei dati archeologici –, si può ipotizzare che l’oggetto del culto fosse l’acqua. L’occasione delle feste santuariali, con l’incontro e la riunione delle tribú del territorio, poteva essere il momento della rievocazione delle storie degli antenati, delle leggende e dei miti. In questo contesto, potrebbero essere interpretate alcune particolari raffigurazioni della bronzistica, come le scene in cui le ben note «madri» appaiono sedute su uno sgabello con in grembo un adulto o un bambino, o le iconografie di figure

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che dovevano far parte dell’insediamento. Il villaggio si data tra il Bronzo Finale e gli inizi dell’età del ferro.

La capanna delle riunioni La cosiddetta «capanna delle riunioni» è una struttura di forma circolare, di grandi dimensioni (diametro 10 m), con bancone sedile che segue tutto il perimetro interno. Il piano pavimentale è coperto da una sorta di acciottolato e le pareti si conservano per un’altezza di 1,70 m circa. Non si hanno notizie di materiali ritrovati all’interno, ma le

fantastiche, come il bronzetto a quattro braccia e quattro occhi di Abini o il personaggio metà uomo e metà toro («minotauro» di Nule).

Lingotti e rottami Arricchiscono questo quadro i ritrovamenti di ingenti quantità di metallo, sia sotto forma di prodotti finiti, sia come materia prima – lingotti e pani –, ma anche in rottami. Le attestazioni di attività metallurgica (ben documentate, per esempio, a S’Arcu ‘e is Forros) si accompagnano alla concentrazione di prodotti di artigianato specializzato, quali vasi, bronzi


Nella pagina accanto l’interno del nuraghe Santa Cristina, la cui costruzione precede quella del pozzo sacro e si colloca nel Bronzo Medio (XV sec. a.C.). A sinistra una delle capanne di epoca storica che si trovano nell’area di Santa Cristina e che

si caratterizzano per la forma allungata. In basso i resti della struttura identificata come «capanna delle riunioni» e la cui funzione è comunque connessa al culto dell’acqua per il quale fu realizzato il pozzo sacro.

delle riunioni e probabilmente destinato ad accogliere animali per sacrifici oppure offerte al tempio. La mancanza di dati di scavo non consente di definire pienamente la cronologia e funzione dell’ambiente. Giovanna Fundoni

Società Cooperativa Archeotour

caratteristiche architettoniche suggeriscono la destinazione pubblica dell’ambiente, come documentato in altre strutture simili note in Sardegna. A essa si addossa un vano circolare aggiuntivo, di datazione e funzione incerte. L’assenza di dati di scavo rende difficile definire pienamente la funzione e la cronologia di questo ambiente.

Il recinto Tra le altre strutture attorno al pozzo c’è un grande recinto delimitato da un muro curvilineo, situato vicino alla capanna

La Cooperativa Archeotour viene fondata a Paulilatino nel 1987 ed è una delle prime aziende create per la valorizzazione del patrimonio dei beni culturali della Sardegna. Si occupa della conservazione e della valorizzazione in chiave produttiva del patrimonio storico, archeologico, culturale ed etnografico del territorio di Paulilatino. Gestisce da anni il Complesso Nuragico di Santa Cristina e dal 1995 anche del Museo Archeologico-Etnografico palazzo Atzori di Paulilatino. Offre anche laboratori didattici ed escursioni nel territorio di Paulilatino. Sede Località Santa Cristina – 09070 Paulilatino (OR) Info tel. 0785 55438; e-mail: info@pozzosantacristina.com; sito web: www.pozzosantacristina.com

figurati, strumenti e armi. Inoltre, la frequenza di oggetti di pregio anche d’importazione – fibule, grani d’ambra e bronzi – rafforza l’idea che il gruppo di potere che gestisce il tempio sia – almeno nel Primo Ferro – l’interlocutore privilegiato con cui le comunità extrainsulari tirreniche instaurarono contatti e scambi. Il santuario nuragico si configura come centro di raccolta di beni di pregio e di consumo sotto forma di offerte, e quindi come luogo di accumulo, tesaurizzazione e gestione di ricchezze. I santuari dell’acqua mostrano il potere e la ricchezza delle comunità protostoriche

sarde, attraverso la monumentalità delle strutture, la ricchezza delle decorazioni lapidee, la presenza di arredi esclusivi, le offerte votive. Con i loro spazi, non solo cultuali, ma anche di produzione e abitativi, i santuari dell’acqua dovevano agire da centri catalizzatori per l’incontro delle comunità insediate nel territorio. Sotto la sfera del sacro, nei loro spazi avvenivano incontri e accordi, scambi. Essi si configurano quindi come centri di importanza non solo religiosa, ma anche politica, economica e sociale per le comunità nuragiche, che in essi si riunivano sotto il segno dell’acqua.

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NUOVI SCENARI

I TEMPI DEL CAMBIAMENTO

N

ei momenti finali dell’età del bronzo (1150-1020 a.C.), molteplici indizi portano a supporre che i caratteri e l’assetto territoriale formatosi nel corso delle fasi precedenti, con l’edificazione dei nuraghi, subiscano mutamenti sostanziali, che portano alla fine del fenomeno di costruzione di tali monumenti. Il progressivo indebolimento del concetto di nuraghe come punto di riferimento della società riflette una trasformazione reale, che si concretizza anche nel contemporaneo affermarsi, con forme rinnovate e consolidate, del sistema insediativo dei villaggi. Gli abitati di questa fase sono costituiti, oltre che da

A destra olla a tesa interna, dalla tomba di giganti di San Cosimo a Gonnosfanadiga (Medio Campidano). Età del bronzo medio. Sulle due pagine il nuraghe Arrubiu, presso Orroli (Medio Campidano).

strutture circolari, da vani di varia forma accessibili attraverso un cortile centrale che li raccorda. Nel villaggio è presente anche una grande capanna circolare con sedile perimetrale definita «capanna delle riunioni». Al suo interno, è frequente il rinvenimento di modellini in pietra di nuraghe, che ne testimoniano l’esaltazione e il culto come opera degli antenati. Nella nuova organizzazione territoriale che fa seguito all’emergere del ruolo


primario del villaggio, sembra acquisire una particolare importanza la presenza degli edifici di culto comunitari (pozzi, fonti e altri edifici di pianta rettangolare o circolare). Intorno ai templi si sviluppano abitati che sembrano avere carattere temporaneo o comunque una stretta correlazione con lo svolgimento delle feste comunitarie.

Quando si dice «nuragico»... È attualmente oggetto di dibattito l’opportunità di denominare età nuragica il periodo che si svolge nel Bronzo Finale e nella prima età del ferro, quando si conclude la fase di costruzione dei nuraghi. Una proposta suggerisce di utilizzare le indicazioni cronologiche di Bronzo Finale e prima età del ferro sardi e, quindi, di

Modello di nuraghe, da Mont’e Prama. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale. Sebbene stilizzata, la rappresentazione corrisponde all’architettura reale dei nuraghi, come è stato provato dall’archeologia e dall’analisi dei crolli in cui si rinvengono i mensoloni e i conci di coronamento delle parti sommitali.


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non estendere la denominazione di periodo nuragico anche alla porzione temporale non piú interessata dalla costruzione dei nuraghi e delle tombe di giganti. Al di là della questione terminologica, la fase protostorica viene convenzionalmente considerata conclusa con l’affermarsi dei centri costieri punici nel VI secolo a.C. e la conquista cartaginese dell’isola, nel 509 a.C. Nelle fasi avanzate della prima età del ferro si registra una accentuata contrazione del numero degli abitati. Da questa significativa crisi, le comunità indigene non si risolleveranno e per le fasi successive non si riuscirà piú a distinguere con evidenza i processi e le vicende dei gruppi locali rispetto a quelle degli interlocutori giunti dall’esterno.

La cultura materiale L’omogeneità e l’unitarietà delle manifestazioni architettoniche caratterizza, per molti versi, anche le produzioni di cultura materiale, che non presentano, se non per alcune fasi limitate, marcati elementi di distinzione zonale. Il repertorio vascolare, a partire da un insieme di forme limitato in termini di varietà tipologica, si arricchisce nel corso del tempo di nuove classi e tipi che, dalla fine dell’età del bronzo, comporranno set caratterizzati da forme specializzate che coincidono con fogge esclusive della Sardegna. Nelle fasi iniziali del Bronzo Medio (facies Sa Turricola) la forma piú diffusa è il tegame, con basse pareti e fondo piatto, talvolta ansato; in questo periodo ha notevole diffusione anche il «bollitoio», recipiente cilindrico con risega interna per l’alloggiamento di un setto forato, la cui funzione, ricostruita attraverso la comparazione con esemplari della penisola italiana, è da collegare alla bollitura del latte. Fa la sua comparsa anche la «coppa di cottura», una sorta di campana con sommità convessa, che perdurerà perlomeno per tutta l’età del bronzo, utilizzata per il cuocere sottili sfoglie di pane sul dorso della sommità convessa, anche se non si può escluderne l’uso come fornetto a campana. Forma tipica della fase piena ed evoluta del Bronzo Medio è l’olla a tesa

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In alto frammento di testa eburnea di guerriero, da Mitza Purdia, Decimoputzu. Il manufatto, di produzione egea, è una prova dei contatti fra la Sardegna e le altre aree

del Mediterraneo, già dal Bronzo Medio. Nella pagina accanto scavi nel sito di Pila Kokkinokremos, a Cipro. In basso il sito di Hala Sultan Tekkè, sul golfo di Larnaca (Cipro).


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interna (vedi foto a p. 104), un vaso carenato caratterizzato da orlo sporgente verso l’interno, decorato sulla parete esterna da cordoni plastici o da impressioni ottenute mediante uno strumento a punta o con un pettine dentato, organizzate entro motivi metopali. I tegami caratterizzano anche la successiva fase del Bronzo Recente, soprattutto nella Sardegna centro-settentrionale, dove sono tipici della facies cosiddetta «a pettine», nella quale il fondo interno di tali vasi è decorato da motivi geometrici realizzati con l’impressione di uno strumento dentato. I vasi contenitori di grandi dimensioni (dolii) iniziano a comparire in numero significativo nel corso di questa fase, ma sarà soprattutto nella fase successiva (Bronzo Finale) che si diffonderanno esemplari di dimensioni molto grandi. In sincronia con la

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facies «a pettine» del Nord, nella Sardegna meridionale si diffonde una classe definita «grigio ardesia», caratterizzata da forme aperte e contenitori a collo modellati con argilla depurata e cotta ad alte temperature di colore tendenzialmente grigio. Nel Bronzo Finale e nella successiva età del ferro, si affermeranno fogge originali, spesso finemente decorate con motivi geometrici, come la bottiglia, il vaso piriforme, i vasi con vaschetta interna (a «saliera») o esterna (a «falso versatoio»), il vaso a listello esterno, l’anfora, il boccale con ansa a gomito rovescio e la caratteristica brocca askoide, ossia un vaso di forma chiusa con stretto collo decentrato. Tra la ceramica non vascolare, oltre agli alari, ai sostegni e ai bracieri, si diffondono le pintadere, ossia timbri discoidali per imprimere

Navicella nuragica di bronzo con figurine di uccelli e di carri trainati da buoi, dall’Edificio B del santuario di Hera Lacinia, presso Crotone.


vari motivi geometrici, forse sul pane ma verosimilmente anche su altre categorie di materiali come le stoffe.

Una fitta rete di scambi e contatti La posizione della Sardegna al centro del Mediterraneo e la presenza di comodi approdi predisponevano l’isola ad avere, già nel periodo nuragico, un ruolo importante nei traffici sulle medie (coste tirreniche, Eolie, Sicilia) e lunghe distanze a oriente (Grecia, Cipro, Levante) e a occidente (penisola iberica). La piú antica importazione di materiale egeo in età nuragica è quella dell’alabastron miceneo ritrovato al nuraghe Arrubiu di Orroli, databile alla seconda metà del XIV secolo a.C. (Tardo Elladico IIIA:2), mentre di poco posteriore sarebbe il frammento di testa eburnea di guerriero di

Mitza Purdia, Decimoputzu. Se per la fine del Bronzo Medio vi sono evidenti indicazioni circa i contatti diretti tra Sardegna e mondo egeo, nel Bronzo Recente il fenomeno acquista concretezza e rilievo come percepibile dalla diffusa presenza di manufatti micenei e ciprioti, tra cui ceramica d’importazione e di imitazione del Tardo Elladico IIIB nei nuraghi Antigori di Sarroch e nei contesti di Monte Zara – Monastir e forse Corti Beccia – Sanluri. Nella stessa fase, le presenze di materiale nuragico negli emporia di Cannatello, nella Sicilia occidentale, e di Kommos, sulla costa meridionale di Creta, costituiscono importanti attestazioni del raggio di azione dei contatti extrainsulari. Teatro delle scoperte piú recenti è stata Cipro, in due insediamenti della costa sud-orientale dell’isola, presso il golfo di Larnaca: Pila Kokkinokremos

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NUOVI SCENARI

e Hala Sultan Tekkè. Nella prima località sono venuti alla luce diversi frammenti e vasi interi estranei alla tradizione locale, che sono stati riconosciuti di produzione sarda in quanto pertinenti a vasi a collo con caratteristiche anse a «gomito rovescio», tipiche di produzioni sarde del Bronzo Finale e della prima età del ferro. Nel caso specifico si tratta di un’attestazione piuttosto antica, perché attribuibile al passaggio tra il Bronzo Recente e Finale, poiché il sito archeologico è inquadrabile in un orizzonte temporale circoscritto e ben definito (1230-1170 a.C.). Alcuni frammenti erano riparati con una grappa di piombo che sottoposta ad analisi ha rivelato, analogamente alla ceramica, l’origine sarda del piombo che deriverebbe dalla miniera sulcitana di Sa Duchessa. Anche nella vicina località di Hala Sultan Tekkè sono stati ritrovati sia piombo di origine sarda, sia cinque scodelle con risega interna di ceramica d’impasto del tipo grigio-ardesia o grigio nuragico, rinvenute in alcuni pozzi votivi che si datano anche essi tra il Bronzo Recente e gli inizi del Bronzo Finale (Late Cypriot IIC).

Le navi e i loro modellini Alla fine del Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.) si attivano i contatti con la penisola iberica (vedi box a p. 112), mentre gli scambi piú intensi con la penisola italiana si svolgono nell’epoca che si

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Navicella nuragica in bronzo, da Cagliari. Firenze, Museo Archeologico Nazionale.

apre con l’inizio dell’età del ferro, nella metà del X secolo a.C. Vettore di questi traffici erano le navi di cui i Sardi ci hanno lasciato dettagliate riproduzioni di bronzo. Le oltre 150 navicelle riproducono imbarcazioni caratterizzate da un corpo realizzato in forma di scafo di nave che termina, in corrispondenza dell’estremità anteriore, con una protome animale. Oltre ad avere particolari funzionali alla miniatura (peducci, anello per appendere), questi modellini mostrano elementi pertinenti a un mezzo di navigazione. Si tratta di scalmi, sartie, legature, battagliole, gavoni, alberi, coffe: elementi che ci riportano all’attenta osservazione e riproduzione delle imbarcazioni reali e che fanno emergere la familiarità dei Sardi nuragici con il mezzo di trasporto marino. La presenza in alcune navicelle di un albero al centro dello scafo appare un chiaro riferimento all’uso, oltre ai remi (peraltro mai raffigurati), della vela. L’albero è sempre coronato da un anello di sospensione che, al di là della funzione di appicagnolo, potrebbe ricollegarsi anche a un karkesion di bronzo, cioè al dispositivo adottato per incappellare gli stragli e per far scorrere le drizze del pennone della vela. L’impiego funzionale dell’oggetto come lucerna votiva è ipotizzabile sulla base del confronto con l’analoga classe di manufatti ceramici, per la


quale è ampiamente documentato l’uso come lampade in vani utilizzati a scopo cultuale. Un elemento ricorrente negli esemplari bronzei sardi è la presenza di uno o piú volatili collocati sul margine dello scafo e/o sulla sommità dell’anello di sospensione. Lo stretto legame tra imbarcazione e volatile è testimoniato, oltre che dagli esempi iconografici, risalenti in Egitto al IV millennio a.C., anche da numerose fonti storiche – dal poema di Gilgamesh al libro della Genesi, a Strabone, a molti autori latini – che riferiscono dell’uso generalizzato di una pratica che sfruttava l’osservazione del volo migratorio e affidava alla presenza di volatili (colombe, corvi) sulla stessa imbarcazione la possibilità di individuare la vicinanza della terraferma. Benché sia possibile istituire confronti con esemplari di imbarcazioni prodotte in ambito egeo e in particolare a Cipro, nel corso dell’età del bronzo, le navicelle sarde appaiono una manifestazione singolare, diversa e isolata all’interno delle rappresentazioni di imbarcazioni nel panorama mediterraneo, distinta per il materiale utilizzato, per l’elevato livello artigianale e artistico e per l’originalità delle soluzioni adottate nel produrre tipi, varietà e varianti al modello di imbarcazione, che resta comunque fedele al modello con scafo fusiforme terminante nell’estremità anteriore con una protome animale. Numerosi elementi delle navicelle

Navicella nuragica in bronzo, da Cagliari. Milano, Museo Civico Archeologico.

appaiono fortemente evocativi della società nuragica: l’iconografia delle figurine di animali sul margine dello scafo e quella delle protomi, elementi decorativi quali le spirali, le trecce, gli avvolgimenti di filo, le colonnine con capitello a gola analoghe alle torri dei modellini di nuraghe. Le navicelle sembrano trasmettere un esplicito valore rappresentativo della cultura dell’età del ferro sarda di appartenenza, riecheggiata, oltre che dagli elementi simbolici e figurativi della preziosa scultura di bronzo, anche dall’immagine stessa della barca, che presumibilmente richiama la potenza commerciale e marinara delle genti sarde. Al di là del loro valore estrinseco di raffinate sculture, questi oggetti ci parlano infatti con evidenza di una vocazione marinara che i Sardi nuragici coltivarono parallelamente ad altre, meglio documentate, attività agricolo-pastorali. Le navicelle di bronzo attestano quindi un interesse per la navigazione che non poteva mancare in un popolo coinvolto nelle relazioni con l’esterno e stanziato in una terra che, anche per posizione geografica, si pone al centro di un’area di traffici transmarini, straordinariamente intensi nelle età del bronzo e del ferro.

La metallurgia Benché la Sardegna sia un’isola ricca di mineralizzazioni metalliche, lo sfruttamento di tali risorse non è stato sempre costante e

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NUOVI SCENARI Le ceramiche sarde in Spagna

F

ra le testimonianze di contatti tra la Sardegna e il mondo extrainsulare, spicca un discreto numero di ceramiche rinvenute in Spagna in occasione di recenti scavi archeologici e individuate tra i materiali di vecchie pubblicazioni. Si tratta di piú di 300 frammenti di vasi, tipici del repertorio sardo del Bronzo Finale e dell’età del ferro, rinvenuti in Andalusia, a Huelva, Siviglia, Cadice, Malaga, piú un caso in Catalogna, ad Aldovesta. I contesti di ritrovamento sono insediamenti, necropoli e luoghi di culto, legati alla prima presenza fenicia in Occidente, con l’eccezione dell’insediamento indigeno prefenicio alla periferia

di Huelva. Sono siti costieri situati nei pressi di antichi approdi o in posizioni strategiche per le comunicazioni e i rapporti con l’esterno. I reperti piú antichi vengono dalla periferia di Huelva, datati al X-IX secolo a.C., ma la maggior parte dei materiali viene da contesti datati tra il IX e il VII secolo a.C. I tipi di vasi ritrovati sembrano legati a due ambiti differenti: quello dello scambio di beni rappresentato dai loro contenitori (vasi a collo, anfore Sant’Imbenia, dolii, brocche askoidi) e quello della vita quotidiana con vasi per la preparazione e consumo di cibi o bevande (teglie, ciotole, boccali con ansa a gomito rovescio).

intenso nel corso delle fasi preistoriche. Se le prime sperimentazioni relative alla produzione di semplici elementi di ornamento o di piccoli utensili di argento e rame si manifestano infatti già dalla fine del Neolitico e si arricchiscono nell’età del rame – anche con semplici lame di pugnali –, è con l’inizio dell’età del bronzo che si hanno le prime significative attestazioni metallurgiche dell’utilizzo di quella lega. Se per il Bronzo Medio (XVIII- XIV secolo a.C.) sono noti pugnali a base semplice e corta lama triangolare e daghe a base semicircolare e triangolare, nonché un tipo di ascia a margini rialzati di forma stretta e slanciata, per la successiva fase del Bronzo Recente (XIV-XIII secolo a.C.) non sono note produzioni particolarmente diversificate e consistenti. L’attività metallurgica piú significativa della Sardegna protostorica sembra quindi avere inizio nel Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.) per svilupparsi quindi, soprattutto, nel corso della prima età del Ferro. In questa fase vengono infatti realizzate numerose categorie di utensili (asce, scalpelli, punteruoli, trapani, lime e seghe, perforatori, picconi, zappe, falci), oltre a

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Si ipotizza che questi materiali siano collegati a un traffico di vino dalla Sardegna alla penisola iberica, con veri e propri servizi di vasi per il suo trasporto, conservazione, mescita e consumo. Le ceramiche d’uso quotidiano testimonierebbero la possibile presenza, anche temporanea, di individui sardi in Spagna nell’ambito degli stessi traffici. Giovanna Fundoni

una diversificata produzione di armi, quali pugnali (a codolo, a base trapezoidale e anche a manico fuso) e spade, queste ultime sia di fogge esclusive dell’isola (spade dette «votive»), sia di fogge occidentali dell’area atlantica e della penisola iberica, regione da cui provengono anche modelli di asce. La grande circolazione di lingotti, interi o a pezzi, spesso ritrovati nell’ambito di ripostigli e l’individuazione di aree per la produzione di manufatti metallici, in particolare nei villaggi annessi ai santuari, suggerisce che il grande sviluppo della metallurgia sia direttamente connesso al tipo di società che realizza e gestisce i grandi centri di aggregazione rappresentati dai luoghi di culto (fonti e pozzi sacri, templi a megaron, ecc.), nei quali venivano deposte le offerte di armi, utensili e bronzi figurati.

Armi e strumenti da lavoro I prodotti della metallurgia ci offrono importanti informazioni sulla tecnologia che supportava le attività economiche dei nuragici. Oltre alle asce utilizzate per la lavorazione del legno, sono noti

Foto e restituzione grafica della navicella nuragica rinvenuta nella tomba del Duce di Vetulonia. Firenze, Museo Archeologico Nazionale.


Nella pagina accanto vaso askoide di produzione sarda rinvenuto a Cadice, in Spagna.

altri strumenti, quali scalpelli, punteruoli, trapani, lime e seghe. Gli strumenti per lavorare la pelle sono raschiatoi, lame, perforatori, le cui funzioni possono essere state assolte anche da altri manufatti di bronzo come qualche qualche particolare foggia di scalpello, dagli stessi pugnali o dai pochi coltelli e dai punteruoli, uguali o simili a quelli usati per il legno. La cultura materiale offre diversi strumenti di bronzo che potevano essere utilizzati in agricoltura: lame di falci, picconi e zappe. Le falci sono la categoria che si ritrova piú spesso fra gli arnesi agricoli. All’attività agricola

sono attribuiti anche i picconi, che stupiscono per la loro funzionalità. Lo sviluppo delle produzioni risulta scandito da una continua evoluzione, che permette al popolo sardo di presentarsi caratterizzato nelle diverse epoche da nuovi elementi, che non si distaccano mai nettamente da ciò che le ha precedute, permettendoci di individuare una cultura capace di rinnovarsi continuamente, anche nell’ambito della tradizione. La produzione della bronzistica figurata, ossia di bronzetti che rappresentano uomini e donne, animali, oggetti e navicelle, risulta attestata solo dall’inizio della prima età del ferro (seconda metà del X secolo a.C.), sebbene non si possa escludere che sperimentazioni a riguardo siano cominciate anche dalla fine dell’età del bronzo. Quanto appena detto vale soprattutto in relazione allo sviluppo della civiltà nuragica durante il Bronzo Medio e Recente, mentre il

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NUOVI SCENARI Il pozzo Irru, Nulvi (Sassari)

Il pozzo Irru è un tempio a pozzo situato su un piccolo rilievo nel territorio di Nulvi (Sassari), a pochi chilometri dal paese. Fa parte di un vasto insediamento costituito da un nuraghe complesso, del quale è ben visibile il mastio centrale, circondato da un villaggio abitato dall’età nuragica fino a epoca romana. Venne scoperto per caso negli anni Ottanta del Novecento durante un intervento di ricerca idrica, coperto da un potente strato di oltre 4 m di sedimenti e fu in parte danneggiato dai mezzi meccanici.

Bronzo Finale, pur ricollegandosi alle epoche precedenti, si presenta come un periodo durante il quale si accentuano e si fanno piú marcati i segni del mutamento, sia nell’assetto societario, sia nelle connesse manifestazioni architettoniche e materiali.

La grande statuaria Se i piccoli bronzi hanno una diffusione in tutta l’isola, la grande scultura è invece ricollegabile alla sola località di Mont‘e Prama, una piccola altura nella penisola del Sinis. Frutto di una scoperta casuale avvenuta nel 1974, i frammenti di statue portati alla luce dagli scavi condotti tra il 1974 e il 1979 sono stati custoditi

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È costituito da una camera di raccolta dell’acqua, un vestibolo e due atrii. La camera è circolare, realizzata con blocchi di calcare finemente lavorati, lisci e perfettamente aderenti e ha una copertura a tholos; essa raccoglie l’acqua di una vena sorgiva che proviene da un altro pozzo sotterraneo, adiacente e comunicante, non visibile dall’esterno. Nelle ultime due file inferiori di blocchi del paramento interno, sotto l’imboccatura di uscita dell’acqua, sono presenti grosse bugne in rilievo. Alla camera si accede attraverso un vestibolo e due atrii lastricati, nei quali una canaletta di scolo, ricavata nei blocchi del pavimento e in antico totalmente coperta, fa defluire l’acqua in eccesso in una piccola conca e poi, attraverso una seconda canaletta, in una vasca di calcare situata all’esterno del monumento. Il secondo atrio è inclinato rispetto al primo per favorire il deflusso dell’acqua, ha forma rettangolare e presenta delle panchine sui lati. La facciata del monumento è costruita con conci di calcare ben squadrati, del tipo a coda, con la faccia a vista segnata da due bugne in rilievo. Il pozzo è circondato da un recinto sacro, costituito da un grosso muro in blocchi di calcare squadrati che corre lungo tutto il perimetro esterno del tempio. I materiali restituiti dagli scavi degli anni Novanta hanno permesso di datare il principale momento di vita del monumento tra il Bronzo Finale e la prima età del ferro, ma il primo impianto della camera sembra risalire al Bronzo Medio-Recente. Il pozzo era inizialmente costituito dalla sola camera di raccolta dell’acqua, ma tra Bronzo Finale e prima età del ferro, venne modificato, con l’aggiunta degli atrii e del prospetto di facciata, trasformandolo in santuario

presso il Museo Nazionale di Cagliari sino al momento del loro trasferimento presso il Centro di Conservazione e Restauro di SassariLi Punti del MIC, nel quale, dopo il restauro (www.monteprama.it), è ancora custodita una parte dei 5172 frammenti litici in calcare. Sono state sinora assemblate e ricollocate in posizione eretta 27 sculture, la cui altezza supera i 2 m. In totale, i soggetti ricomposti corrispondono a guerrieri (3), arcieri (6) e pugilatori (18). Nove di essi sono esposti al Museo Civico Giovanni Marongiu di Cabras (vedi anche, nel capitolo precedente, alle pp. 76-79) e comprendono tre arcieri, un guerriero e cinque pugilatori, alcuni dei quali

In alto il pozzo sacro di Irru, presso Nulvi (Sassari).


un vero e proprio. In un momento non ben determinabile, il tratto finale dell’atrio piú esterno si abbassò, non riuscendo piú a svolgere le sue funzioni di deflusso, e venne perciò praticato un foro su un blocco del paramento murario esterno, al cui interno è stata trovata una maschera fittile punica. Sono testimoniate anche fasi d’uso piú tarde, nel periodo punico, romano e altomedievale. In epoca romana sono stati eseguiti interventi di restauro con «malta e cotto» sia nella camera che nel vestibolo. Tra i reperti si contano alcuni frammenti di modellini di nuraghe, una lama di bronzo lunga circa 2 m, brocche askoidi, mentre ai momenti d’uso piú tardi risalgono ceramiche di importazione puniche e greche. Giovanna Fundoni

Associazione FuTurismo Turismo Esperienziale in Sardegna L’Associazione di Promozione Sociale «FuTurismo. Turismo Esperienziale in Sardegna» nasce a Nulvi alla fine del 2016 con lo scopo di sviluppare progetti innovativi in materia di turismo e territorio, in termini di programmazione, progettazione, promozione e commercializzazione. Dal 2018 gestisce l’Ufficio Turistico del Comune di Nulvi, svolgendo attività di promozione, informazione e accoglienza turistica, funzionali a garantire informazione e assistenza a turisti e visitatori, valorizzazione delle risorse turistiche locali disponibili, diffusione di materiale per la conoscenza delle tradizioni locali. Effettua inoltre visite guidate ai due siti archeologici di maggior rilievo e piú facilmente raggiungibili presenti nel territorio comunale: il complesso archeologico di Irru e il nuraghe Alvu. Sede Via Vittorio Veneto - 07032 Nulvi (Sassari) Info tel. 334 2281974 oppure 349 3395191; e-mail: aps.futurismosardegna@gmail.com; pagina Facebook: https://www.facebook.com/Ufficio-Turistico-Nulvi-Ass-FuTurismo-509906532775177

In alto veduta aerea del nuraghe Alvu, presso Nulvi (Sassari).

recuperati in seguito agli scavi condotti nel 2014. Gli schemi iconografici sono gli stessi delle figurine di bronzo: una corta veste, la placca al petto, la gorgiera, il guanto e l’elmo cornuto per gli arcieri, il guantone e lo scudo sopra il capo per i pugilatori, acconciature con lunghe trecce ricadenti sul petto e sulle spalle; la fronte e il naso sono in rilievo, gli occhi sono resi da un doppio cerchio eseguito con l’incisione, cosí come la bocca. L’analisi delle superfici ha evidenziato l’uso di strumenti di metallo e omogeneità nello stile e nelle tecniche di lavorazione. Il problema della datazione delle statue non appare però del tutto chiarito data la non

incontrovertibile sincronia tra esse e la necropoli: infatti, l’unica evidenza certa è che le sculture, ridotte intenzionalmente in frammenti, sono state gettate e sparse tra la terra di una discarica di età punica del IV secolo a.C., realizzata per colmare un avvallamento del terreno e nel quale erano presenti anche le tombe al disopra dell’area sepolcrale. Il riferimento a un complesso di natura funeraria e cultuale nell’area di ritrovamento dei manufatti sembrerebbe da ricollegare al villaggio esteso sul versante e alla base del colle di Mont‘e Prama, preesistente alla necropoli di tombe individuali. Anna Depalmas

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Altre aziende ed enti coinvolti nel progetto Nur_Way GeoInfoLab

Taulara SRL

Agriturismo Sa Tanchitta

Nata come distributore italiano delle soluzioni GIS 3D by Skyline, GeoInfoLab propone soluzioni e servizi per la geo-localizzazione in 2D, 3D e 4D, e relativi servizi di contesto (rilievo con drone, elaborazione dati, ecc.). La società è certificata ENAC per l’utilizzo basico di APR multirotore fino a 25 Kg. Distribuisce per l’Italia le soluzioni per il mapping geospaziale di immagini oblique a marchio Obliquo by Voxel 3D. Tra i settori applicativi, spiccano Smart City e Safe City, fotogrammetria e rilievo da APR, creazione di GeoTotem per la valorizzazione e la promozione del territorio.

L’azienda opera nell’ambito della valorizzazione degli archivi storici e della gestione documentale. Si dedica anche alla promozione del patrimonio storico, culturale e archeologico della Sardegna. Elabora progetti per valorizzare i beni culturali del territorio, utilizzando riprese in VR, riprese aeree con droni, geo-referenziando i luoghi ed effettuando panoramiche sferiche per permettere la visita virtuale dei siti e creando un itinerario virtuale fra i vari beni, in una mappa interattiva. Realizza gallerie multimediali, dinamiche e interattive, con la partecipazione di studenti e docenti.

Sede via Micaleddu,16 07026 Olbia (Sassari) Info tel. 0789 1980189 o 328 2515928; www.geoinfolab.com, www.skylineitalia.com

Sede Via Nino Deroma 1 - 08100 Nuoro (Zona Industriale Prato Sardo) Info tel. 0784 208120; e-mail: info@taulara.com; www.taulara.com

L’agriturismo Sa Tanchitta si trova nella campagna di Ula Tirso, nella regione del Barigadu in Provincia di Oristano. Dispone di sala ristorante, aperto a pranzo e a cena, in cui vengono serviti piatti tipici, con ingredienti aziendali o a km 0. Offre anche possibilità di alloggio con colazione, mezza pensione o pensione completa. Nella struttura si organizzano laboratori didattici per bambini e adulti, visite agli animali allevati in azienda, visite guidate nei dintorni. Sa Tanchitta si trova a pochi chilometri dal Lago Omodeo, dall’Oasi di Assai e da importanti siti archeologici come il Nuraghe Losa, il Pozzo Sacro di Santa Cristina, il parco di Biru ‘e Concas, le Terme Romane di Fordongianus.

Nabui Società Benefit Nabui è la prima Società Benefit in Sardegna. Svolge attività di ricerca nel campo delle scienze umanistiche e si impegna in tre aree di impatto per il futuro del pianeta: creare nuove comunità sostenibili, combattere la desertificazione e favorire la transizione energetica. Nabui, in sardo «nuova città», fu un’antica città della Sardegna, con una forte identità rurale che in età romana fu al centro di un grande processo di sperimentazione di nuove economie. Info e-mail: innova@nabui.it; sito web: www.nabui.it

Fondazione Vulci Fondata dal Comune di Montalto di Castro, la Fondazione Vulci non ha scopo di lucro e opera per la conoscenza, la formazione e lo sviluppo della cultura in genere, nonché per la promozione del territorio. Gestisce il Parco Naturalistico Archeologico di Vulci e provvede al recupero, al restauro e alla valorizzazione del materiale archeologico rinvenuto. Sede Località Vulci - 01014 Montalto di Castro (VT) Info tel. 0766 870180: e-mail: fondazione@vulci.it sito web: www.vulci.it

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Sede via Giuseppe Garibaldi, 1 09089 Ula Tirso (OR) Info tel. 328 8616067; e-mail: satanchitta@gmail.com; www.satanchitta.com

Luca Doro Archeologia e Beni Culturali Luca Doro Archeologia e Beni Culturali è una ditta che opera nel settore dell’archeologia e dei beni culturali. Si occupa di consulenze scientifiche, scavi archeologici, schedatura e rilievo dei monumenti, schedatura e disegno dei materiali, didattica, allestimento mostre e grafica editoriale. Sede via Santa Maria di Lu Gardu, 9 07100 Sassari Info tel. 348 1218098; e-mail: lucadoro@gmail.com; Facebook: Luca Doro Archeologia e Beni Culturali



ALLA SCOPERTA DELLA PREISTORIA

TUTTI I TESORI DI UN’ISOLA MEGALITICA

L’universo culturale della Sardegna antica si incammina per l’Europa

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UNA GRANDE MOSTRA INTERNAZIONALE

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erlino, San Pietroburgo, Salonicco e Napoli sono le tappe di una straordinaria mostra dedicata alle antichissime culture della Sardegna. Inauguratasi il 30 giugno al Museo per la Preistoria e Protostoria di Berlino, «Sardegna Isola Megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo» proseguirà, con la seconda tappa, al Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo (dal 19 ottobre al 16 gennaio 2022) e, con un terzo appuntamento, al Museo Archeologico Nazionale di Salonicco (dall’11 febbraio 2022 al 15 maggio 2022), per concludere il suo viaggio in uno dei piú importanti musei di antichità del mondo, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (dove la mostra potrà essere visitata dal 10 giugno all’11 settembre del 2022). La Sardegna è un’isola nel cuore del Mediterraneo, alla quale oggi viene sempre piú riconosciuto dagli studiosi internazionali il ruolo di primo piano in età preistorica e protostorica nei contatti e negli incroci di civiltà, sia nell’ambito del Mare Nostrum, sia nei rapporti con il Centro e Nord Europa e con il Levante. Un’isola che ha visto svilupparsi, millenni or sono, culture e civiltà originali, capaci di dare vita a testimonianze ed evidenze monumentali. Il mito e la leggenda hanno spesso incrociato la storia nell’interpretazione delle antiche civiltà sarde, società senza stato e senza scrittura ancora al centro di studi, scavi e ricerche. Oggi sono molti i punti fermi di questa avventura plurimillenaria e di essi la mostra dà conto, attraverso importanti reperti provenienti dai musei archeologici di Cagliari, Nuoro e Sassari. Filo rosso del progetto espositivo è il megalitismo, ovvero l’attitudine alla realizzazione di edifici con elementi litici di grandi dimensioni. Quest’attitudine contraddistinse l’isola per un lungo lasso di tempo, dall’età neolitica

Nella pagina accanto il nuraghe Arrubiu, presso Orroli (Medio Campidano). In basso bronzetto raffigurante un guerriero con due scudi, da Abini. Età del ferro. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale.

attraverso tutta l’età del bronzo fino a quella del ferro, e segna tuttora il paesaggio sardo, grazie ai lasciti della civiltà nuragica, tra cui circa 7000 edifici detti appunto «nuraghi».

Dee madri e guerrieri Cosí, la mostra accende i riflettori sulle sepolture delle domus de janas (case delle fate) di epoca neolitica ed eneolitica e sulle iconiche riproduzioni statuarie di «dee madri», talvolta veri e propri capolavori artistici; sulle incredibili architetture dei nuraghi che hanno caratterizzato l’età del bronzo nell’isola e sulle cosiddette «tombe di giganti»; sui contatti tra civiltà lontane e sugli eccezionali bronzetti nuragici raffiguranti donne, uomini, guerrieri e animali; su spade votive, modellini di edifici e di navi e sugli incredibili, monumentali guerrieri di Mont’e Prama: autorappresentazione di un passato mitico riferito all’apogeo dell’età nuragica, ma in piena età del ferro. Eccezionalmente, grazie al Ministero della Cultura italiano e alla direzione del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, una di queste affascinanti grandi sculture, mai prestate prima d’ora, sarà ospite d’onore dell’esposizione. «Sardegna Isola Megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo» è la mostra-evento promossa dalla Regione Sardegna-Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio con il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e la Direzione Regionale Musei della Sardegna, con il Patrocinio del MAECI e del MIC, la collaborazione della Fondazione di Sardegna e il coordinamento generale di Villaggio Globale International. La mostra fa parte del progetto Heritage Tourism, finanziato dall’Unione Europea, e ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica. Info: www. mostrainternazionalesardegna.it

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ALLA SCOPERTA DELLA PREISTORIA

SEI ITINERARI ALLA SCOPERTA DELLA PREISTORIA DELLA SARDEGNA Itinerario Nord-Est In un ristretto spazio geografico, la Gallura offre la possibilità di visitare numerosi monumenti del periodo nuragico, inseriti in un suggestivo paesaggio di rocce granitiche, lecci e querce da sughero. Nel territorio di Arzachena si possono vedere diversi aspetti del mondo nuragico a poche decine di chilometri dalle località turistiche piú note. Qui, infatti, è possibile effettuare un percorso di visita che preveda un nuraghe a corridoio, Albucciu, e un nuraghe complesso circondato da un villaggio, la Prisgiona. Nella stessa area, immerse tra campi e vigneti di uve vermentino, le tombe di giganti di Li Lolghi e Coddu Vecchiu sono chiari esempi dell’ambito funerario nuragico. Questo itinerario può completarsi con la visita del nuraghe Majori di Tempio Pausania, un nuraghe di tipo misto, immerso in un fitto bosco misto di sughere, lecci, roverelle, frassini, ontani, che rappresenta il monumento piú significativo nell’area dell’altopiano che si sviluppa a nord del Monte Limbara. Da Tempio Pausania si lascia la Gallura proseguendo verso ovest nella regione dell’Anglona. Dopo circa 45 km, tra paesaggi di rocce granitiche, sugherete e poi campi ondulati, si arriva a Nulvi, dove merita una visita il pozzo nuragico Irru. Rientrando verso est, ci si ferma nel piccolo centro di Tula, vicino al lago artificiale del Coghinas. Qui sorge il complesso archeologico di Sa Mandra Manna, con testimonianze che vanno dalla preistoria all’età nuragica. Infatti, è possibile vedere una tomba ipogea del tipo domus de janas, una muraglia megalitica con annesso un nuraghe a corridoio, un dolmen. Km totali circa 125. Durata consigliata 1 giorno.

Itinerario Centro-Est o dei santuari Da Olbia si segue la SP24, con una breve sosta alla tomba di giganti Su Monte ‘e

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S’Abe, alla periferia della città e con ingresso dalla stessa direttrice. Proseguendo in direzione Buddusò, si fa una deviazione per il paese di Alà dei Sardi, dove a quasi 1000 m di altitudine si può visitare il santuario nuragico di Sos Nurattolos. Si raggiunge poi il vicino paese di Buddusò, alla cui periferia si può ammirare la necropoli di domus de janas di Ludurru. Proseguendo lungo la stessa strada in direzione Bitti, su un altipiano granitico con boschi di lecci e querce da sughero, si incontra il nuraghe Loelle e le due vicine tombe di giganti. Si raccomanda una sosta a Bitti per visitare il santuario nuragico di Romanzesu, dove vedere il pozzo sacro e la grande vasca gradonata. L’itinerario continua per circa 25 km verso Orune, per visitare la nota fonte sacra nuragica di Su Tempiesu e si conclude raggiungendo Irgoli alla volta del santuario di Janna ‘e Pruna. Km totali circa 156. Durata consigliata 1 o 2 giorni.

Itinerario Ovest: Mejlogu e Marghine All’interno del vasto territorio della provincia di Sassari, la regione del Mejlogu offre un grande patrimonio archeologico dalla preistoria all’età nuragica. Nel piccolo centro di Thiesi è degno di nota il nuraghe a corridoio di Fronte Mola, noto come il «nuraghe quadrato». Proseguendo per pochi chilometri, in un paesaggio ondulato con campi costellati da decine di nuraghi, spicca fra tutti il maestoso nuraghe Santu Antine di Torralba, tra i meglio conservati della Sardegna. Proseguendo verso Bonorva, merita una visita la piú famosa necropoli di domus de janas dell’isola, quella di Sant’Andrea Priu, da dove è d’obbligo una deviazione per il villaggio abbandonato di Rebeccu con la fonte sacra di Su Lumarzu. Entrando poi nella vicina regione del


La tomba di giganti di Li Lolghi, presso Arzachena (Sassari).

Marghine, si scopre il territorio di Macomer, con i suoi nuraghi che sovrastano speroni di roccia basaltica. Nell’area è possibile ammirare le domus de Janas della necropoli di Filigosa e il vicino nuraghe Ruggiu, l’area archeologica di Tamuli, con un nuraghe a corridoio e tre tombe di giganti. Infine, merita una visita il vicino nuraghe Santa Barbara. Km totali circa 76. Durata consigliata 1 giorno.

Itinerario Centro-Ovest: l’Oristanese La provincia di Oristano vanta una straordinaria densità di siti archeologici e monumenti in tutto il suo territorio. L’alto Oristanese, nell’area intorno al lago Omodeo, offre la possibilità di effettuare un esauriente itinerario tra monumenti prenuragici e nuragici. Nella sponda settentrionale del lago artificiale, nel territorio di Sedilo, è possibile

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ALLA SCOPERTA DELLA PREISTORIA

visitare la necropoli a domus de janas di Ispiluncas e il complesso di Iloi, con un nuraghe, villaggio e tombe di giganti. Nella sponda opposta, nei pressi del piccolo centro di Sorradile, si consiglia la visita del santuario nuragico di Su Monte. Proseguendo verso Oristano, al margine della strada, in un caratteristico paesaggio di altopiano, spiccano il superbo nuraghe Losa di Abbasanta e a pochi chilometri, nei pressi del paese di Paulilatino, il famoso complesso nuragico di Santa Cristina, nel quale è possibile visitare un nuraghe monotorre con villaggio e un santuario che comprende il pozzo sacro piú

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conosciuto della Sardegna. Spostandosi quindi verso il mare, nella penisola del Sinis è possibile visitare l’area archeologica di Su Muru Mannu, il centro punico-romano di Tharros e la necropoli nuragica con tombe a pozzetto di Mont’e Prama, dalla quale vengono le famose statue di pietra oggi ammirabili all’interno del Museo Civico G. Marongiu di Cabras. Km totali circa 110. Durata consigliata 1 giorno.

Itinerario centrale: il Mandrolisai Il territorio della provincia di Nuoro conserva numerose testimonianze archeologiche di

In basso l’interno del nuraghe Su Mulinu, presso Villanovafranca (Medio Campidano).


A destra il santuario di Su Tempiesu, presso Orune (Nuoro).

epoca nuragica. Una delle zone meno conosciute che merita senza dubbio una visita è il Mandrolisai. Si raggiunge il piccolo centro di Teti, dove visitare il santuario nuragico di Abini, noto per la grande quantità di oggetti di bronzo in esso ritrovati in passato, e il villaggio di S’Urbale. Proseguendo tra aree boschive alternate a pascoli si arriva a Meana Sardo, dove si visita il maestoso nuraghe complesso di Nolza. Km totali circa 65. Durata consigliata 1 giorno.

Itinerario Sud o dei nuraghi Il Meridione della Sardegna detiene alcuni tra i monumenti e complessi archeologici di epoca nuragica meglio conservati. Nella regione della Marmilla, in mezzo a campi coltivati e oliveti sorge il piccolo centro di Genuri, dove

visitare il nuraghe complesso San Marco. A pochi chilometri si trova il paese di Barumini, dove non può mancare la visita al famoso complesso nuragico di Su Nuraxi e al museo Casa Zapata. Da qui, proseguendo verso il vicino altopiano della Giara, si raggiunge Gesturi, dove vedere il particolare nuraghe a corridoio di Brunku Madugui, nella splendida cornice naturalistica della Giara. Continuando in direzione sud si arriva a Villanovafranca e in un paesaggio ondulato tra campi coltivati si erge il nuraghe Su Mulinu, noto per il famoso altare presente all’interno di una delle torri. Da qui si raggiunge il centro termale di Sardara, dove, presso la chiesa di S. Anastasia, è possibile ammirare un pozzo sacro e i resti di un’area cultuale. Km totali circa 65. Durata consigliata 1 giorno.

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I MUSEI

LA CIVILTÀ DEI NURAGHI NEI MUSEI DELLA SARDEGNA: NOVE INCONTRI RAVVICINATI Cagliari. Museo Archeologico Nazionale

A

rroccato nel quartiere medievale di Castello, il Museo fa parte del complesso museale della Cittadella dei Musei, realizzata tra il 1956 e il 1979 con il recupero delle antiche mura su progetto degli architetti Cecchini e Gazzola. Rappresenta la piú importante e prestigiosa sede espositiva di antichità della Sardegna e con i suoi oltre 4000 oggetti racconta una storia lunga quasi 7000 anni, dalla preistoria all’Alto Medioevo. La collezione è organizzata in maniera cronologico-didattica e dispone di itinerari tattili e supporti multimediali che rendono la visita coinvolgente e inclusiva. Il Museo è inoltre dotato di dispositivi all’avanguardia, con le nuove tecnologie immersive in 3D che ricostruiscono i piú importanti contesti dai quali provengono i A destra statuetta femminile in pietra, dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (Cabras). Neolitico Medio. In basso due statue di «pugilatori», da Mont’e Prama. IX-VIII sec. a.C.

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In alto una vetrina dedicata ai bronzetti. A destra statuetta in bronzo dal carattere votivo, dal santuario nuragico di Abini-Teti (Nuoro). In basso l’entrata al Museo.

reperti della collezione. La collezione del Museo è distribuita su quattro piani, a cui corrispondono altrettanti temi espositivi: il piano terra è dedicato alla didattica con un excursus cronologico sull’archeologia della Sardegna, il primo e il secondo piano seguono invece una logica topografica e territoriale. Il terzo piano è interamente dedicato alla mostra delle Statue di Mont’e Prama. È possibile ammirare oggetti che provengono dai centri principali dell’isola – Tharros, Nora, Bithia, Monte Sirai e Barumini –, una raccolta di piccoli bronzi nuragici provenienti dai luoghi di culto e le suggestive statue di guerrieri, arcieri e pugilatori di Mont’e Prama, allestite al piano terra e al terzo piano espositivo. Museo Archeologico Nazionale Cagliari, piazza Arsenale 1 Info https://museoarcheocagliari.beniculturali.it

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ALLA SCOPERTA DELLA PREISTORIA

Sassari. Museo Nazionale Archeologico ed Etnografico «Giovanni Antonio Sanna»

Nuoro. Museo Archeologico Nazionale «Giorgio Asproni»

S

ituato nel centro storico di Nuoro e alle pendici del granitico Monte Ortobene, nel cuore della Barbagia, il museo è un importante riferimento culturale per il territorio circostante. La ricca raccolta di reperti archeologici e paleontologici, provenienti Qui sopra gruppo di statuine bronzee dall’intera provincia, racconta la storia dei territori provenienti dal tempio di Domu de Orgia, Esterzili, e ricomposte in un’ideale scena della Barbagia e d’offerta, con cacciatori, sacerdotesse, dell’Ogliastra, dalle origini oranti e animali. 1100-900 a.C. all’età medievale. In alto replica a dimensioni reali della Sede del Museo è uno dei piú fonte sacra circolare del villaggio di Sa importanti palazzi Sedda ‘e Sos Carros. ottocenteschi della città. L’edificio in stile neoclassico, appartenuto al grande intellettuale e politico sardo Giorgio Asproni, si apre su un grande giardino, ingresso principale del Museo. L’esposizione offre un’intensa testimonianza del ricco patrimonio paleontologico e archeologico proveniente dalla provincia di Nuoro: dalle testimonianze di vertebrati del Monte Tuttavista e della Grotta Corbeddu, ai reperti del Paleolitico di Ottana e alla collezione di oggetti di vita quotidiana del Neolitico. Seguono i materiali delle culture dell’età del rame di Filigosa, Abealzu, Monte Claro, del vaso campaniforme e della cultura di Bonnanaro, a cui si data lo scheletro di Sisaia, ritrovato nell’omonima grotta. Gli oggetti del periodo nuragico, dell’età del bronzo e del ferro provengono da importanti siti quali Su Tempiesu a Orune, Sa Sedda ‘e Sos Carros a Oliena; la collezione include inoltre la ricostruzione della fonte sacra di Oliena. Attualmente il museo è chiuso perché interessato da lavori di ristrutturazione finalizzati alla realizzazione di un importante progetto di valorizzazione architettonica che, grazie a innovative tecnologie multimediali, permetterà la messa a punto di un percorso di visita in cui la rilettura degli apparati didattici si legherà a innovative formule di comunicazione, visualizzazioni immersive e ricostruzioni architettoniche 3D. Museo Archeologico Nazionale «Giorgio Asproni» Nuoro, via Mannu 1 Info drm-sar.museoarcheo.nuoro@beniculturali.it

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L

a collezione del Museo Sanna, punto di riferimento culturale, archeologico e antropologico della Sardegna settentrionale, è composta da due sezioni principali: archeologica ed etnografica. La parte archeologica narra l’archeologia e la storia dell’area settentrionale della Sardegna a partire dal Paleolitico inferiore e le culture preistoriche sarde fino all’epoca medievale. Sono particolarmente interessanti all’interno di questa sezione le sale dedicate al tempio prenuragico di Monte D’Accodi. La collezione etnografica è la piú antica presente in Sardegna e raccoglie tessuti, gioielli, canestri, abiti e arredi, testimonianze dei modi tradizionali del vivere quotidiano nell’isola. Il Museo è attualmente chiuso per lavori di ristrutturazione. Museo Nazionale Archeologico ed Etnografico «Giovanni Antonio Sanna» Sassari, via Roma 64 Info drm-sar.museoarcheo.sassari@beniculturali.it

La sede del Museo «Sanna» di Sassari. Nella pagina accanto, in alto, a sinistra bronzetti facenti parte della collezione sassarese.


Irgoli. Museo Archeologico-Antiquarium Comunale

L’

Antiquarium di Irgoli, ospitato nella vecchia sede municipale, accoglie nelle sue sale reperti provenienti quasi esclusivamente dal territorio comunale, collocabili in un ampio arco cronologico che va dal Neolitico Recente al Medioevo. Ai materiali recuperati da raccolte di superficie condotte negli anni passati dalla locale Associazione C.I.A.S. si affiancano gli oggetti rinvenuti nelle recenti campagne di scavo dei monumenti sacri di epoca nuragica di Janna ‘e Pruna e di Su Notante. Museo Archeologico-Antiquarium Comunale Irgoli, via San Michele 14 Info www.sardegnaturismo.it

In alto una sala del Museo Archeologico di Irgoli.

Dorgali. Museo Archeologico

I

reperti esposti nel Museo illustrano prevalentemente gli scavi archeologici nei siti della domus de janas di Marras, della Grotta del Bue Marino, del villaggio nuragico di Serra Orrios, della tomba di giganti di Thomes, del villaggio di Nuraghe Arvu, della Grotta di Ispinigoli, dell’abitato di Tiscali e dell’insediamento nuragico-romano di Nuraghe Mannu. Museo Archeologico Dorgali, via Lamarmora Info www.museoarcheologicodorgali.it

Materiali di età nuragica (in alto) e romana nel Museo di Dorgali.

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I MUSEI

Cabras. Museo Archeologico Comunale «Giovanni Marongiu»

Sardara. Civico Museo Archeologico «Villa Abbas»

A

Torralba, Museo della Valle dei Nuraghi del Logudoro-Meilogu

llestito in un edificio risalente agli inizi del Novecento, il museo ha un arco cronologico di riferimento compreso tra la preistoria e il tardo Medioevo. Si articola in due piani ed espone reperti archeologici rinvenuti nelle principali campagne di scavo che hanno interessato la fascia dei comuni da Sardara a Monastir. La Sala V è adibita alla conservazione dei manufatti rinvenuti nei vari siti del territorio di Sardara, comprese le copie dei due famosi arcieri nuragici rinvenuti fortuitamente, nel 1913, in una tomba ai margini settentrionali del paese, e databili al IX-VIII secolo a.C. (gli originali sono nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari). Si tratta di due degli esemplari piú raffinati della piccola plastica in bronzo dell’età nuragica.

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Civico Museo Archeologico «Villa Abbas» Sardara, piazza della Libertà 7 Info www.coopculture.it

I

l museo espone reperti archeologici provenienti dal territorio comunale di Cabras nella penisola del Sinis. Il periodo prenuragico e nuragico è documentato dai materiali recuperati con lo scavo del villaggio di Cuccuru is Arrius, sito lungo la sponda meridionale dello stagno di Cabras, che ha restituito significative testimonianze a partire dal Neolitico medio. Nel 2014 è stata inagurata la sala dedicata al complesso statuario di Mont’e Prama. Museo Archeologico Comunale «G. Marongiu» Cabras, via Tharros Info www.museocabras.it

l museo, a carattere archeologico e etnografico, illustra le caratteristiche costruttive del nuraghe Santu Antine, offrendo una testimonianza importante della cultura materiale della civiltà nuragica. La sezione archeologica, infatti, espone buona parte dei reperti di scavo ritrovati presso il complesso nuragico. Il monumento, nelle diverse fasi del Bronzo Medio e dell’età del Ferro, è rappresentato da un plastico; una sala è adibita all’esposizione dei reperti provenienti dagli scavi della fortezza e di alcune capanne del villaggio. Tra i reperti, dell’età del bronzo e dell’età romana imperiale, spiccano i proiettili in pietra calcarea, le pinze da fonditore dell’XI secolo, un frammento di modellino di nuraghe, un bronzetto raffigurante un cagnolino. L’insediamento antico è illustrato con pannelli didattici e foto dei monumenti preistorici. Il museo è accessibile su prenotazione, contattando anticipatamente il centro accoglienza e la biglietteria del sito archeologico del nuraghe Santu Antine di Torralba. Museo della Valle dei Nuraghi del Logudoro-Meilogu Torralba, via Carlo Felice 151 Info e-mail: nuraghes.antine@tiscali.it www.nuraghesantuantine.it

In alto vaso piriforme, da Sardara. Prima età del ferro. A destra una sala del museo Villa Abbas di Sardara.

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Villanovaforru. Museo Civico Archeologico Genna Maria

A

llestito nella palazzina ottocentesca del Monte di Soccorso, il Museo ospita materiali archeologici dallo scavo del vicino complesso nuragico di Genna Maria e da altre indagini sia nel territorio di Villanovaforru sia in altri Comuni della Marmilla. Sono illustrate le fasi edilizie del nuraghe Genna Maria e, attraverso un plastico in scala, è possibile ricostruire le fasi di vita di un villaggio nuragico, apprezzare la varietà delle ceramiche e degli altri utensili, cogliere l’evoluzione delle credenze e dei riti attraverso i secoli, dall’epoca nuragica all’età bizantina. L’esposizione coinvolge anche i paesi limitrofi, con reperti di età preistorica, protostorica, punica, romana e tardo-antica provenienti da villaggi, necropoli, tombe monumentali individuati a Villanovafranca, Las Plassas, Gesturi, Lunamatrona, Siddi, Collinas e Pauli Arbarei. Di particolare interesse è la sezione dedicata alla molitura, in cui i visitatori, seguendo le istruzioni, possono azionare le diverse macine: quella preistorica, quella greca e quella romana. Museo Civico Archeologico Genna Maria Villanovaforru, Piazza Costituzione, 4 Info www.gennamaria.it In alto la palazzina del Monte di Soccorso di Villanovaforru, oggi sede del Museo Civico Archeologico Genna Maria.

Indicazioni bibliografiche Esiste un’amplissima bibliografia relativa al periodo nuragico e ai monumenti e ai materiali della Sardegna protostorica. Considerando solo le piú recenti trattazioni, aspetti tematici e schede di dettaglio sono illustrati nei Corpora delle antichità della Sardegna dedicati a La Sardegna nuragica. Storia e materiali (a cura di Alberto Moravetti, Elisabetta Alba, Lavinia Foddai; Carlo Delfino Editore, Roma 2014) e La Sardegna nuragica. Storia e monumenti (a cura di Alberto Moravetti, Paolo Melis, Lavinia Foddai, Elisabetta Alba; Carlo Delfino Editore, Firenze 2017). Ulteriori spazi dedicati a lavori di carattere generale e di approfondimenti tematici si trovano nel volume Il tempo dei nuraghi. La Sardegna dal XVIII al VIII secolo a.C. (a cura di Tatiana Cossu, Mauro Perra, Alessandro Usai; Ilisso, Nuoro 2018). Le sintesi sulle fasi preistoriche della Sardegna e le presentazioni di dati

e contesti sono pubblicati negli Atti della XLIV Riunione Scientifica dell’IIPP, La preistoria e la protostoria della Sardegna (vol. I, Firenze 2009; vol. II-IV, Firenze 2012). Altri aggiornamenti su scavi e scoperte sono nel catalogo della mostra L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica (Marco Minoja, Gianfranca Salis, Luisanna Usai; Carlo Delfino Editore, Soveria Mannelli 2015). Le guide archeologiche di alcuni dei monumenti trattati in questa sede sono edite nella serie Guide e Itinerari (Carlo Delfino Editore): La necropoli di Sant’Andrea Priu (n. 3); Il nuraghe Santu Antine (n. 6); Il santuario nuragico di Santa Cristina (n. 32); Il nuraghe Losa di Abbasanta (n. 33); Teti nella preistoria (n. 56); Mont’e Prama (Cabras) le tombe e le sculture (n. 57); Il Museo Civico Giovanni Marongiu di Cabras (n. 59); Il nuraghe Majori Tempio Pausania (n. 60).

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MONOGRAFIE

n. 44 agosto/settembre 2021 Registrazione al Tribunale di Milano n. 467 del 06/09/2007 Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Alessandria, 130 – 00198 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it Impaginazione Davide Tesei Amministrazione amministrazione@timelinepublishing.it Gli autori: Anna Depalmas è professore associato di preistoria e protostoria all’Università di Sassari. Giovanna Fundoni è dottore di ricerca in preistoria e protostoria e cultore della materia presso l’Università di Sassari. Noemi Fadda è dottore di ricerca in preistoria e protostoria e cultore della materia presso l’Università di Sassari. Filippo Casu è dottore di ricerca in ingegneria informatica. Carmen Delogu è archeologa e guida turistica. Maria Giovanna De Martini è dottore di ricerca in preistoria e protostoria. Luca Doro è archeologo. Maurizio Minchilli già professore ordinario di geomatica, Università di Sassari. Miriam Spanu è archeologa e guida turistica. Loredana F. Tedeschi è docente a contratto di geomatica, Università di Sassari. Illustrazioni e immagini: Cortesia degli autori: pp. 19, 20, 24-25, 26, 30 (alto), 32-35, 42/43, 60, 64/65, 69 (basso), 70/71, 75 (alto), 79 (alto), 92/93, 96-97, 103, 104, 106-107, 112 – Gabriele Pettinau: pp. 6-13, 14 – Cooperativa Costaval: pp. 30 (basso), 31 – Shutterstock: pp. 22/23, 28/29, 45, 61 (alto), 62-63, 66/67, 68, 72/73, 74, 86, 100, 101 (alto), 102, 104/105 – Luca Doro: pp. 36-37, 38 – Cooperativa Siendas: p. 39 – Doc. red.: pp. 40/41, 46, 52/53, 61 (basso), 80/81, 108-111, 112/113, 127 (destra, in alto, al centro, in basso), 128-129 – Cooperativa Balares: p. 41 – Mondadori Portfolio: Electa/Sergio Anelli: pp. 44/45, 48; Electa/Paolo e Federico Manusardi: pp. 47, 52; Samuel Magal/Sites & Photos/Heritage-Images: p. 50 – Cooperativa Paleotour: pp. 48/49, 51 – Cooperativa Ortuabis: pp. 56-57, 58; A. Varcasia: pp. 54/55 – A. Gallo: rielaborazione fotografica a p. 69 (alto) – Esedra escursioni: pp. 72, 75 (centro) – Stefano Mammini: pp. 76-77, 78/79, 105 – Università di Sassari, Laboratorio Ripam: pp. 88-91 – Cooperativa Liber: pp. 94/95 – Cooperativa ArcheoTour: pp. 98/99 – Associazione Futurismo: 114-115 – Teravista di Giovanni Alvito: pp. 118, 120-123 – MiCMuseo Archeologico Nazionale di Cagliari: pp. 119, 124-125 – MiC-Direzione regionale Musei Sardegna: pp. 126, 126/127, 127 (alto, a sinistra) – Cippigraphix: cartine e rielaborazioni grafiche alle pp. 14/15. Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.

In copertina: la torre centrale del nuraghe Santa Barbara, presso Macomer (Nuoro).

Presidente Federico Curti Pubblicità e marketing Rita Cusani e-mail: cusanimedia@gmail.com tel. 335 8437534 Distribuzione in Italia Press-di - Distribuzione, Stampa e Multimedia Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Stampa Roto3 - Industria Grafica srl via Turbigo 11/B - 20022 Castano Primo (MI)

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